GIOVANNI CALIBITA
Secondo un'antica leggenda, l'Isola Tiberina si sarebbe formata nel modo seguente: i Romani, dopo la
cacciata dei Tarquini, in segno di ribellione, gettarono in que! punto del fiume centinaia di migliaia d1
sacchi di grano ad essi appartenuti. Ancora piu fantasioso e il paragone con una grossa barca iY i
naufraga ta, poi lentamente sfasciata dall'impeto delle acque e in seguito trasformata in isola. Leggenda a
parte, l'Isola Tiberina da sempre sorge in que! punto del Tevere: il tempo e la mano dell'uomo le hanno
conferito !'aspecto attuale. Fin dall'antichita fu considerara «luogo ospedaliero» per eccellenza. Gia
durante !'impero di Claudio vi venivano confinati gli schiavi colpiti da mali inguaribili; i sopravvissuti
venivano poi messi in liberta. Proprio perla sua ubicazione strategica, l'isola fu usata, ne! corso dei secoli,
come una sorta di «lazzaretto»; durante !'epidemia di peste del 1656, probabilmente la piu funesta mai
scoppiata a Roma, nell'isola confluirono centinaia di migliaia di ammalati. Nella punta nord fu costruito,
ne! 1 549, un grande ospedale, adattando un precedente vecchio convento; !'importante istituzione, ancor
oggi una delle migliori di Roma, fu realizzata dall' Arciconfratern ita di S. Giovanni di Dio che gia
possedeva una casa di cura peri poveri in Piazza di Pietra. Ne! 1 584 veniva affidata ali' Arciconfraternita
anche la chiesa annessa all'antico convento, intitolata a S. Giovanni Calibita.
Facciamo ora un passo indietro. La chiesa esisteva gia da diversi secoli; qualcuno fa risalire la sua
fondazione al 111 o IV secolo. Ne! 464 sarebbe stata distrutta da Genserico e quindi ricostruita da un certo
Pietro, vescovo di Porto. Allora denominata «S. Giovanni de Insula» o «Cantofiume». L ' Armellini
riferisce che le reliquie di S. Giovanni Calibita furono rinvenute ne!' 5 0 0 sotto !'altar maggiore durante un
restauro, ivi portate forse da! vescovo di Porto. 11 Santo, vissuto ne! V secolo, apparteneva a una nobile e
ricchissima famiglia romana; ma agli agi e ai piaceri della vita preferi la vita monastica e l'eremitaggio.
Scappó quindi da casa per ritornarvi, sei anni dopo, poveramente vestito; senza farsi riconoscere, visse in
un tugurio (kalybe) poco lontano dalla propria abitazione. Quando mori si fece riconoscere dalla madre.
La leggenda e pressoché identica a quella di S. Alessio e probabilmente frutto della fantasía popolare.
Ne! XVII secolo la chiesa venne radicalmente restaurata e, ne! secolo successivo, fu rinnovata da un
allievo del Fontana, Antonio Carapecchia.
La semplice facciata del 1 7 4 1 e su due ordini di lesene coronata da tímpano triangolare. 11 campanile
settecentesco e stato restaurato nel secolo scorso dall'architetto Bazzani.
L'interno, ricco di marmi, fregi e stucchi e a navata unica; notevoli i dipinti settecenteschi ne!
presbiterio, opera di Corrado Giaquinto, al quale si deve anche l'affresco della volea raffigurante la
«Gloria di S. Giovanni di Dio». Bella e luminosa la sacrestia, le cui finestre affacciano direttamente su!
Tevere.
Ne! 1577, durante una piena rovinosa, una fiammella che ardeva sotto un'immagine della Vergine,
murata all'esterno della chiesa, alla base del campanile, pur essendo sommersa dalle acque, continuó ad
ardere. L'immagine miracolosa, detta la Madonna della Lampada, fu poi trasferita in chiesa e ancor oggi
possiamo ammirarla subito a destra dell'ingresso.
330
S. BARTOLOMEO ALL'ISOLA
Nel lontano 292 a.C., Roma fu colpita da una terribile epidemia di peste. 'arra la leggenda che una
delegazione di cittadini si imbarcó su di una nave e si recó ad Epidauro, in Grecia, per consultare
l'Oracolo. Ai Romani fu allora affidato il serpente di Esculapio, veneraco come dio della medicina.
L'anno seguente la nave rirornó in patria e, mentre risaliva il Tevere, il serpente scivoló in acqua, nuotó
fino alle sponde dell'lsola Tiberina e si in filó in un folco macchione che scelse come sua dimora. 11 fatco fu
incerpretaco come un chiaro presagio e in quello stesso luogo venne erettO un tempio in onore del dio
Esculapio. La peste cessó e da quel momento l'isola diventó luogo ospedaliero per eccellenza.
Su lle ro vine del tempio di Esculapio l'imperarore Ottone III costrui, alla fine del X secolo, una chiesa
in onore dell'amico Adalberto, vescovo di Praga, ucciso barbaramente a Danzica. Si dice poi che Ott0ne,
quando espugnó Benevento, abbia rrafugat0 le reliquie di S. Bartolomeo per portarle con sé in
Germanía.Mala morte lo colse a Roma e i resri del Santo furono riposti nella chiesa di S. Adalberto. on
sappiamo se questo corrisponde al vero, ma sappiamo che, una delle prime volte in cui la chiesa venne
menzionata (nei primi anni del secolo XI), la sua denominazione era: «S. Bartolomeus e Domo loanni
Cayetani». Adiacente ad essa, infatti, vi era la roccaforte della famiglia Caetani della quale rimane ancor
oggi una rorre. Durante il pontifica to di Pasquale II ( 1 0 9 9 - 1 1 1 8 ) vennero compiuti importan ti lavori di
rinnovamento e fu cosrruito il bel campanile su tre ordini di bifore e trifore a sinistra della facciara.
lnutile dire che, a causa della sua posizione, la chiesa di S. Banolomeo fu piu volte soggetta a spavenrose
inondazioni. La prima risale al 1 1 8 0 e in seguito ad essa si dovetre procedere a importanti lavori di
restauro. Un altro disastro, forse il piu grave, avvenne durante la piena del 1557: parte della chiesa
rovinó, travolta dalle acque, il mosaico che orna va la facciata fu completamente distrutto e il ciborio fu
divelco (le colonne che lo sostenevano sono ora in Vaticano nella Gallería degli Arazzi).
La chiesa rimase chiusa fino al 1583, anno in cui iniziarono i la vori di restauro. La forma atrua le risale
al 1624 e ad ulteriori restauri eseguiti ne! ' 7 0 0 . Ne! 1937 la chiesa veniva nuovamente invasa dalle acque
del Tevere; un segno del livello raggiunto dal fiume é inciso in una lapide murara nell'atrio.
La bella facciata barocca fu realizzata probabilrnente da Orazio Torriani, ma alcuni scudiosi sono
propensi ad attribuirla a i\iartino Longhi il Giovane. Essa é su due ordini: l'inferiore consiste in un
portico a tre arcare inframmezzace da due nicchie fiancheggiate da alte colonne marmoree. L'ordine
superiore, coronato da tímpano triangolare e raccordaro con curiosee ampie voluce, é diviso in cinque
campare; in ognuna di esse vi é una finesrra. Le ere centrali sono ornare di fregi e coronare da tímpano.
L'interno é a pianta basilicale, diviso in tre navare da belle colonne antiche, forse di spoglio; il
rransetto e l'abside sono molro rialzati. In mezzo alla scalinata che sale al presbiterio si trova un antico
putea le di marmo del 1 1 oo ornato di bassorilievi, realizzat0 probabilrnente da Pietro Vassalletto. Le
reliquie dei santi si trovano in una grande vasca di porfido posta sotto !'altar maggiore. Nella seconda
cappella a destra gli affreschi e la pala d'altare sono opera di Antonio Carracci (secolo XVII). ella
cappella Orsini, in fondo allana vaca destra, da notare il bel soffitto ligneo del ' 6 0 0 e, alla base dei pilastri,
due leoni «stilofori» provenienti dalla chiesa precedente.
332
S.OMOBONO
Se osserviamo un'antica (ma non troppo) fotografia del Vico J ugario, conserva ta all' Archivio
Fotografico Comunale, ci rendiamo conto perfettamente di quanto sia stato alterato il tessuto urbano di
Roma in seguito agli «sventramenti» effettuati durante !'era fascista. Interi isolati, chiese, palazzi, case e
casupole furono spazzati via dai picconi del «regime» per dar inizio a orrendi edifici (vedi ad esempio il
Palazzo dell' Anagrafe) e a enormi stradoni (oggi peraltro utilissimi per smaltire il traffico caotico ).
Alcuni monumenti furono risparmiati dalla frenetica distruzione e rimasero isolati in un vuoto irreale.
Uno di questi e la piccola chiesa di S. Omobono, situara di fronte alle pendici meridionali del
Campidoglio identificabili con la mítica Rupe Tarpea, luogo oggi degradato a teatro di squallidi
«incontri» e di violenze. La chiesa sorge ai margini della cosiddetta Area Sacra di S. Omobono; qui
durante gli scavi archeologici del 1936-37, vennero alla luce numerosi antichissimi reperti che testimo-
niano la presenza nella zona di un nucleo abicato in epoca precedente alla fondazione di Roma. La chiesa,
ora in restauro a causa di pericolose infiltrazioni d'acqua, e quasi sempre chiusa; rimane aperca qualche
ora la prima domenica di ogni mese.
La notizia piu antica che riguarda S. Omobono risale alla fine del X V secolo quando la chiesa fu
concessa alla Compagnia di S. Maria in Portico, che possedeva lo Spedale situato nelle immediate
vicinanze. Ne! 1510 la compagnia esegui alcuni lavori di restauro, ma pochi anni dopo la chiesa e l'area
circostante vennero completamente abbandonate. La chiesa fu depredara di preziosi rivestimenti
marmorei; gli antichi ruderi dei templi pagani, di cuí la zona era assai ricca, furono frantumati per
ricavarne pietre da costruzione e calce.
Nel 157 5 la chiesa fu affidata all'Universita dei Sarti, Giubbonari e Calzettari che la ricostrui ex novo.
E di que! periodo anche la costruzione di un oratorio che fu poi demolito negli anni crenta. I confratelli
dedicarono la chiesa a S. Omobono patrono dei Sarti. 11 Santo era figlio di un ricco mercante cremonese
del XII secolo e scelse di esercitare il mestiere di sarto per obbedire letteralmente all'esortazione cristiana
di «vescire gli ignudi». Non solo, ma non avendo figli, decise di donare ai poveri tutte le sue ricchezze,
nonostante fosse ostacolato energicamente dalla moglie cattiva che le voleva per sé. I Sarci, ne! corso
degli anni, abbellirono e restaurarono la chiesa diverse volte, fino alla seconda meca del secolo X I X
quando venne eretto il campanile (distrutto nel 1936) e ricostruito il soffitto a cassettoni, il pavimento e
la decorazione interna. E proprio la decorazione del soffitto e la tela di Cesare Mariani (1877), situata al
centro di esso e raffigurante l'«Incoronazione della Vergine tra i SS. Omobono e Antonio» che oggi si sta
cercando di risanare dall'acqua piovana e dall'umidita. L'unica navata con quattro arcare per lato e
abside, e piuttosto disadorna; nella terza arcata a sinistra da notare il monumento funebre della famiglia
Sarti (fine d e l ' 400 ). Abbastanza piacevoli e forse un po' <maives» i due affreschi seicenteschi nelle lunette
sopra la terza arcata su entrambi i latí, simili per gusto e per soggetto. Il dipinto nella seconda arcata a
sinistra, sull'altare dedicato a S. Omobono, raffigura il «Santo che da le vestí a un mendicante», attribuito
a G. Antonio Galli detto lo Spadarino ( 1615 - 4 5).
La facciata, preceduta da una ripida scala a doppia rampa, si presenta in aggraziate forme tardo-
cinquecentesche, a un solo ordine di lesene, coronara da tímpano. Sopra il portale una bella finestra
circolare inscritta in una cornice quadrata, decorara da teste di cherubini.
3 34
S. ELIGIO DEI FERRAR!
La chiesa intitolata a S. Giovanni Decollato sorge nell'omonima vía, di fronte a S. Eligio dei Ferrari,
poco distante dall' Arco di Giano. Fino a qualche anno fa si pensava che la chiesa fosse stata realizzata nel
secolo X V ampliando una chiesa piu antica dedicara a S. Maria «de Fovea» o della Fossa. Ma alcuni
storici hanno recentemente «chiarito che non si tracto dell'antichissima chiesetta di S. Maria de Fovea,
gia nominata ne! 1192, che venne invece concessa in un secondo tempo per l'ampliamento della
Congregazione» (Gallavotti Cavallero). Detta Congregazione era l'Arciconfraternita della Misericordia
della Nazione Fiorentina, fondata a Firenze ne! 1488, della quale fece parte anche Michelangelo. Scopo
dei confratelli era l'assistenza ai condannati a morte e la loro sepoltura. Paolo III ( 1534 - 1549) concesse
ali' Arciconfraternita il privilegio di liberare un condannato a marte una vol ta all'anno; in quell' occasio-
ne si svolgeva una grande processione durante la quale il neo-liberato veniva trattato con tutti gli onori.
Alla fine del '400 i confratelli iniziarono, nella zona del Velabro, la costruzione di un grande complesso
monastico comprendente una chiesa, un oratorio, il convento e il chiostro. I lavori durarono fino alla
meta del '500. Nel secolo XVIII la chiesa e gli altri edifici furono restaurati e, nel 1727, nuovamente
consacrati da papa Benedetto XIII. Altri piccoli lavori di restauro furono eseguiti alla fine del secolo
scorso. Oggi poiché i condannati a morte non esistono piu la Confraternita assiste le famiglie dei
detenuti.
La facciata della chiesa, tutta in mattoni, e a un solo ordine di lesene doriche, coronato da tímpano
triangolare.
L'interno, mol to decora to, e a nava ta unica, con le pareti laterali scandite da alte paraste doriche, fra le
quali si aprono tre nicchie con al tare su ogni lato. Sull'altare maggiore, che risale al restauro settecentes-
co, e posta una tavola, dipinta da! Vasari nel 15 53, raffigurante la «Decollazione di S. Giovanni».
Dalla chiesa si puó passare a visitare il chiostro; quindi, tornando nell'androne, si puó accedere
all'Oratorio, costruito tra il 1 530 e il 1 53 5. Qui sono conservati gli affreschi di alcuni fra gli artisti piu
importanti del manierismo toscano: Jacopino del Conte, Francesco Salviati, Battista Franco e altri,
dipinsero, tra il 1535 e il 1 553, di verse scene della vita del Battista.
Oggi visitare la chiesa e !'oratorio di S. Giovanni Decollato e pressoché impossibile e bisogna affidarsi
a visite guidate organizzate dalla Soprintendenza o da associazioni culturali.
S. GIORGIO AL VEl.ABRO
«Velabro» e la costruzione di due parole antiche: «vel», espressione etrusca che significa palude 1:
«aurum» che sta ad indicare la sabbia dorara lungo le sponde del Tevere. La zona del Velabro, una picea!
valle tra il Campidoglio, il Palatino e il fiume, si trova a u n livello m a l t a basso rispetto ai luoghi limitror
e quindi, nei tempi antichi, era spesso inondata durante le piene. lnoltre ivi confluivano alcuni picea
rigagnali provenienti dalle cime dei colli, per cui tutea la zona era quasi perennemente in vasa dalle acque
stagnanti di una malsana palude. F u per questa motivo che, gia all'epoca di Tarquinio Prisco (VI secola
a.C.), si tentó un'opera di bonifica canalizzando l'acqua nella Cloaca Massima. Ma fu solo un lieve
palliativo; il problema n o n fu risolto prima del secolo scorso quando si costruirona i grandi muraglioni
su! Tevere. Oggi la via del Velabro e una piccola oasi di Roma antica rimasta pressoché inalterata durante
i secoli, inserita in una piu vasta area caratterizzata dagli sventramenti e da di verse alteraziani del tessuto
urbano. Lastrada si allarga ne! p u n t o in cuí sorge !'importante arco di Giano, un tempo p u n t o di sosta e
di incontro di mercanti e sensali. L'arca resiste da circa sedici secali, nanostante abbia subito varíe
trasformazioni (nel Medioevo i Frangipane gli sovrapposero una torre merlata).
Di fronte si trova la splendida chiesa di S. Giorgio al Velabro, dalla classica forma basilicale,
perfettamente ripristinata in seguito a un restauro del 1926 ad opera di Antonio Munoz. Le sue origini
sembrano risalire al VII seco lo, durante il breve pontifica t o di Leone II (68 2 - 68 3); a llora era dedica ta a S.
Sebastiano, il quale, secondo la tradizione, sarebbe stato gettato nella Cloaca Massima, dopo aver su bito
il martirio, proprio in questo punto. Circa u n secolo piu tardi il papa greco Zacearía (741 - 75 2) riportó
dall'oriente il cranio di S. Giorgio, un solda to ucciso in seguito a un terribile martirio, durante !'impero
di Diocleziano (IV secolo).
F u aliara che la chiesa m u t ó denominazione e fu intitolata a S. Giorgio. Gregorio IV (827 - 844) fece
costruire il portico e restaurare parte della chiesa; in quello stesso periodo l'abside fu completamente
rifatta. Ne! secolo X I I fu realizzato il campanile a cinque ordini di trifore, inglobato nella navata a
sinistra. Alla fine del XIII secolo risale l'affresco, oggi un p o ' rimaneggiato, nella conca absidale; pare
che a realizzarlo sia stato niente meno che Giotto o Pietro Cavallini, ma sono solo supposizioni prive di
fondamento. I laboriosi restauri del secolo scorso e quelli eseguiti da! Munoz negli anni venti,
riportarono la chiesa alla forma primitiva, togliendo tutte le superfetazioni aggiunte durante i secoli.
All'interno fu abbassato il pavimento, che copriva la base delle sedici splendide colonne di spoglio che
dividono le t r e n a vate, al livello originale. La pianta della chiesa e assai irregolare, restringendosi verso
l'abside; probabilmente fu costruita seguendo l'andamento delle fondazioni di precedenti edifici.
Bellissimo l'altare maggiore di foggia cosmatesca, sorretto da colonnine, con la sottostante confessione
che racchiude le reliquie del Santo. Le quattordici finestre laterali, risalenti al Medioevo furono riaperte
durante il restauro del Munoz. Sulle pareti numerosi frammenti di lapidi e dell'antica Schola Cantorum.
La facciata e preceduta da! portico medioevale sostenuto da quattro colonne con capitello ionico (di
spoglio) e da due pilas tri angolari in mattoni fregiati di una bellissima decorazione marmorea. Ai lati due
teste di leone recuperare forse da u n antico portale.
34º
S. MARIA IN COSMEDIN
Per risalire alle origini di S. Maria in Cosmedin bisogna anclare molto indietro nel tempo, addirittura a
diversi anni prima della monarchia e dei sette re di Roma. Ne! luogo oggi occupato dalla cripta della
chiesa, alcuni studiosi (ma i pareri sono discordi), avrebbero individuato !'«Ara Maxima» di Ercole. In
questa area di Roma denominara «Foro Boario», esistevano infatti alcuni templi dedica ti a Ercole Invitto
e a Cerere. Fin dall'antichita si esercitavano in questa «area sacra» i riti secondo il culto greco; la zona era
infatti abitara da una folta colonia di greci. «Cosmedin» deriva da kosmidion, parola greca che significa
ornamento, decorazione. In luogo della chiesa di S. Maria in Cosmedin, esisteva, gia nel secolo III, una
piccola cappella. Notizia piu sicura e che l'antico tempio pagano divenne ne! IV secolo una diaconía e
prese il nome di S. Maria in Schola Graeca. Nel 78 z il papa Adriano I riedificó la chiesa, in que! periodo
officiata dai greci. Cent'anni piu tardi era in rovina p e r i danni subiti durante un terremoto, e Niccoló I
(8 58 - 867) la restauró. Fu in parte distrutta nel 108 z dai Normanni e fu ricostruita in forme romaniche da
Gelasio II ( 1118 - 1119) e da Callisto II ( 11 19 - 11 24). Nei secoli che seguirono, la chiesa e il palazzo
diaconale furono restaurati piu volte; verso la fine del '600 tutto il complesso era semiabbandonato, in
uno squallido ambiente malsano. E di que! periodo l'accorata supplica che il parroco di S. Maria in
Cosmedin invió al papa Alessandro VII, accompagnata da un attestato medico in cui era chiaramente
specificato che ... «!'aria del sito dove sta la chiesa di S. Maria in Cosmedin e di qualita cattiva per di verse
cause e per essere domina ta maggiormente dai sirocchi (ven ti di scirocco) dopo il taglio de lle sel ve della
campagna, fatta in tempo di Siseo V onde purgarle dai banditi che !'infesta vano. Quindi e pericoloso il
dimorare piu d'un'hora e mezza in questa chiesa». Un intervento radicale fu eseguito durante il
pontifica to di Clemente XI ne! 171 5: l'intera zona fu bonifica ta e la facciata della chiesa fu rifatta in forme
barocche da Giuseppe Sardi. Alla fine dell' '800 vennero rimosse tutte le sovrastrutture settecentesche e
si conferi alla chiesa !'aspecto romanico dei tempi di Callisto II, con il portico preceduto dal protiro e il
bel campanile a sette ordini di bifore e trifore.
L'interno, bellissimo e austero, e diviso in tre navate da colonne e pilastri, probabilmente di spoglio,
con splendidi capitelli. Al centro la Schola Cantorum del XII-XIII secolo con il pavimento cosmatesco;
anche il candelabro pasquale, gli amboni, la cattedra episcopale e il ciborio sono cosmateschi; quest'ulti-
mo e opera di Deodato, figlio di Cosma il giovane. In sacrestia si conserva un frammento di mosaico
rappresentante l'«Epifania», risalente ai tempi di Giovanni VII (706 - 707), qui trasportato dalla basilica
di S. Pietro. La cripta, scavata in un blocco di tufo dell'antico tempio di Ercole, e divisa in ere piccole
navate da tre colonne per parte con antico capitello; sul fondo piccola abside con airare.
Prima di uscire e d'obbligo un'occhiata alla famosa «Bocea della Verita», sistemata nella parte sinistra
del portico. E un antico chiusino di fogna in forma di grottesca maschera rotonda. La leggenda vuole che
si obbligassero i furfanti a introdurre una mano nella bocea del mascherone: se erano innocenti non
succedeva niente, se erano colpevoli ricevevano un terribile morso. Delle leggende popolari romane e
forse la piu famosa.
34 2
S. SABINA
La basilica di S. Sabina, una delle piu antiche e famose chiese di Roma, sorge in cima ali' Aventino,
luogo affascinante e ricco di eventi storici. La chiesa, ne! corso dei secoli, ebbe vita travagliata e solo
grazie ai recenti restauri ha riacguistato l'antico splendore. La leggenda vuole che gui sorgesse la casa di
Sabina, ma le versioni sulla sua vita e su! suo martirio sono di verse e contrastanti. Alcuni dicono che essa
sia stata una ricca gentildonna romana convertita al cristianesimo dalla sua serva greca Seraphia;
entrambe furono arrestate e uccise dai soldati dell'imperatore Traiano nell'anno 114. Altri invece
affermano che Sabina, fanciulla di origine umbra, abbia subito il martirio, insieme ad altri suoi amici,
durante !'impero di Vespasiano (69-79).
La chiesa di S. Sabina fu costruita sui ruderi di antichi edifici romani, durante il pontificato di
Celestino I (422 - 432); fondatore fu un ricco prete intellettuale di nome Pietro, proveniente dall'Illiria. I
lavori della grande basilica furono ripresi da Sisto III (432 - 440); Leone III (795 - 816) esegui lavori di
restauro; Eugenio II (825 - 827) la rinnovó ornandola con pitture e arredi sacri e vi costrui la schola
cantorum. Da! X secolo in poi la chiesa fu gravemente alterata: cominció il príncipe Alberico a
trasformarla in fortilizio, continuarono i Crescenzi e poi i Savelli che ne fecero la propria roccaforte.
Cencio Savelli abita va gui guando nel 1216 fu eletto papa col nome di Onorio III. Sempre gui si
riunirono in conclave i cardinali ne! , 288 ed elessero papa Niccoló IV. Ma fu un concalave disgraziato:
tutti i cardinali, tranne uno, si ammalarono di malaria. Da! XIII al XV secolo la chiesa fu ulteriormente
modifica ta; all'inizio del '5 oo si eseguirono scavi archeologici e si riportarono alla luce antichi manufatti,
che furono venduti di nascosto a caro prezzo. el 1 586 Domenico Fontana, per ordine di Sisto V, inizió
a restaurare la chiesa. Quanto di antico restava fu tolto di mezzo e adoperato per altri usi; la schola
cantorum fu distrutta e cosi pure l'iconostasi e il ciborio; guasi tutte le finestre vennero chiuse e furono
costruite nuove cappelle funebri. Ne! '600 e nel '700 la chiesa venne ulteriormente rimaneggiata. Ne!
18 30 iniziarono i restauri, i guali, in successive fasi, durarono fino a gualche anno fa. Si eliminarono tutte
le aggiunte barocche e si ripristinó l'antica basilica di S. Sabina cosi com'era stata costruita 1 500 anni
prima.
L'interno e ora splendido e maestoso: le tre navate sono divise da ventiguattro colonne scanalate
corinzie sulle guali sono impostati direttamente gli archi senza travatura orizzontale (primo esempio a
Roma). Sopra gli archi una fascia in marmi policromi risalente al V secolo. Le ventinove grandi finestre
paleocristiane furono riaperte da Munoz nella prima meta del '900. Al centro la schola cantorum
perfettamente ricostruita; poco prima una lastra tombale in mosaico (unica a Roma) copre il sepolcro di
Munoz de Zamora, generale dei Predicatori morto ne! 1 300. La calotta absidale e ornata da! grande
affresco di Taddeo Zuccari ( 1560) che raffigura «Cristo, Apostoli e Santi», identico soggetto del
preesistente mosaico andato perduto. L'unico mosaico paleocristiano rimasto e sulla parete dell'ingresso
e consiste in una fascia colorata in blu e oro con un'iscrizione metrica e due figure di donna ai lati.
Splendido il portale d'ingresso sotto !'atrio, con i battenti in legno di cipresso del V secolo ornati da
bassorilievi raffiguranti scene dei Testamenti, tra le guali una «Crocifissione» che pare sia una delle piu
antiche pervenuteci.
344
SS. BONIFACIO E ALESSIO
A pochi passi da S. Sabina si trova un'alrra antichissima chiesa intitolata ai SS. Bonifacio e Alessio; le
sue origini risalgono al II o al IV secolo, quando una ricca matrona romana la fece costruire dedicandola
a S. Bonifacio. E interessante sapere per sommi capi una leggenda legata alla storia di questa chiesa. In
una casa adiacente abitava, circa ne! V secolo, un senatore di nome Eufemiano; questi aveva un figlio,
Alessio, il quale, dota to di una buona <lose di a more verso il prossimo, passava il suo tempo a curare gli
ammalati e ad aiutare i poveri. Ma questo pío atteggiamento non piaceva all'autorevole padre, tanto che
lo obbligó a prender moglie. 11 giovane Alessio non si dette per vinto e il giorno stesso scomparve per
sempre piantando in asso la malcapitata sposa: nessuno seppe piu nulla di luí. Alessio fuggi nelle lontane
comrade della Mesopotamia e li passó gran parte della sua vita a perseguire i suoi ideali cristiani. Dopo
circa vent'anni tornó, in incognito, vestito di stracci, alla casa paterna e domando ospitaliti al vecchio
genitore, il quale non lo riconobbe e lo alloggió in un angusto sortoscala. Alessio mori, di dolore o di
stenti non sappiamo, e in punto di morte riveló il suo segreto. Non si sa quanto di vero ci sia in questa
storia («raccontata» negli affreschi della basílica inferiore di S. Clemente); ad ogni modo un pezzo della
scala di legno sotto la quale sarebbe spirato S. Alessio e conservato in una cappella a sinistra dell'ingresso
della chiesa a lui dedicata. Alla fine del X secolo, quando fu trasformata in abbazia da! monaco basiliano
Sergio, cui era stata affidata da papa Bonifacio VI, la chiesa fu intitolata anche a S. Alessio.
Ne! 1216 papa Onorio III la ricosrrui dalle fondamenta; e di quell'epoca il bel campanile romanico a
cinque ordini e la cornice cosmatesca del portale d'ingresso. Nella seconda meta del XVI secolo fu
restaurara e poi innalzata a tito lo cardinalizio. Nel 17 5o fu notevolmente r:imaneggiata fino a perdere
quasi completamen te l'antico aspetto basilicale. Dopo la meta del secolo scorso fu ulteriormente
restaura ta.
La chiesa e preceduta da un bel cortile con fiori e piante rampicanti e una fontana su! lato destro. La
facciata settecentesca, opera di Tommaso De Marchis, e caratterizzata da un portico sormontato da un
ampio attico con balaustra.
L'interno, completamen te altera to da! restauro del 175 o, e diviso in tre na vate separa te da massicci
pilastri con addossate lesene corinzie scanalate. Del periodo di Onorio III restano avanzi di pavimento
cosmatesco e, ne! presbiterio, due graziose colonnine, di cui, quella di destra, e firmara da Giacomo
Cosma. L'altare maggiore e posto sotto un elegante ciborio a cupola sostenuto da colonne marmoree,
progettato da! De Marchis. All'inizio della navata la triste composizione scultorea, che racchiude la scala
di S. Alessio, eseguita da Andrea Bergondi ne! XVIII secolo.
Nella cripta bell'altare e baldacchino e serie di affreschi del XII e del XIII secolo.
S. MARIA DEL PRIORATO
Piazza dei Cavalieri di Malta, sulla sommita dell' A ven tino, é uno dei luoghi piu tranquilli e ptu
suggestivi di Roma. Al di la della settecemesca recinzione, c'é un bellissimo giardino di proprieta del
Sovrano Ordine Militare di Malta. Le costruzioni che si trovano all'interno, era cui la chiesa di S. Maria
del Priorato, risalgono al X secolo.
In que! tempo a Roma spadroneggiava il barone Alberico II, figlio di Alberico di Spoleto e di
Marozia. Egli aveva cacciato dalla citta il re d'Italia Ugo di Provenza e, ne! 932, era divenuto signare
assoluto di Roma. Prima di morire riuscl a far eleggere papa suo figlio Octaviano, di appena sedici anni,
che assunse il nome di Giovanni XII (primo papa che cambió nome salendo al soglio pontificio).
Alberico II trasformó il suo palazzo sull' A ven tino in un convento di benedettini e lo affido a Oddone di
Cluny. La fondazione della chiesa risale probabilmente a que! periodo. Ne! secolo XII il monastero fu
abitato dai Templari, un ordine religioso cavalleresco, il cui scopo era quello di proteggere i pellegrini in
Terrasanta. Nella prima meta del secolo XIV, il complesso monastico fu affidato ai Cavalieri Gerosoli-
mitani, «che vi stabilirono il loro priorato a partire dalla fine del Trecento, e diedero il nome alla chiesa»
(Gallavotti Cavallero). I Gerosolimitani erano i membri del Sovrano Ordine Militare e Ospitaliero di
Malta, detti anche Ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme. Le origini dell'Ordine risalgono al secolo
XII e le funzioni che esercitava erano pressoché identiche a quelle svolte dai Templari.
Chiesa e ospedale furono restaurati nei secoli X VI e XVII; ma !'aspecto attuale di tuteo il complesso
risa le al 1765 e si <leve all'ingegno di Giovan Battista Piranesi. Nato presso Venezia nel 1720, Piranesi,
pur avendo studiato da architetto, si specializzó nell'arte dell'incisione. All'eta di venti anni giunse a
Roma e vi si stabili; si formó alla scuola del Vasi, uno dei piu famosi incisori del tempo. Durante il
pontificato di Clemente XIII ( 17 58-1769), godette alta considerazione soprattutto da parte del ni pote del
papa, Giovan Battista Rezzonico, priore dell'Ordine di Malta, il quale gli commissionó il restauro del
complesso ospitaliero sull' A ventino. Fu l'unica opera architettonica di Piranesi: egli sistemó la chiesa, gli
edifici e il giardino, trasformando tuteo !'ambiente in un «capola voro di classicismo romamico» (Pastor).
La monumentale facciata della chiesa é a un solo ordine campito da quattro lesene scanalate corinzie e
coronato da un timpano triangolare con le insegne dell'Ordine; sopra il portale si apre un finestrone
circolare. Da notare la ricchezza dei particolari decora ti vi: «S. Maria del Priorato - afferma l' Argan -
sembra fatta con pezzi di antiche architetture bizzarramente ricomposti, arbitrariamente accoscati, come
cose della cui antica ragione e funzione si sia perduta la memoria».
L'interno, bianco e luminoso, e a navata unica con nicchie laterali e abside; la volea é riccamente
decorata con stucchi. Da notare, sopra la trabeazione della navata e sotto quella dell'abside, i medaglioni
con i bassorilievi raffiguranti gli Apostoli. Attorno alla piccola lanterna, sulla volea del presbiterio, al tri
piccoli medaglioni raffigurano «Scene della vita di S. Giovanni». Il monumentale gruppo scultoreo
dell'altar maggiore, disegnato da Piranesi, raffigura «S. Basilio in gloria». Lungo la parece di destra, nella
prima nicchia, vi é un sarcofago romano decorato con un bassorilievo, in cui e sepolto l'umanista
Baldassarre Spinelli; nella seconda nicchia il cenotafio (sepolcro vuoto) del Piranesi. A destra del
presbiterio comba di Bartolomeo Carafa (sec. XV); a sinistra comba del Gran Maestro Riccardo
Caracciolo, in un sarcofago romano scanalato. Nella terza nicchia a sinistra, piccolo aleare medioevale
(sec. X) ornato di misteriosi simboli.
S. PRISCA
La chiesa di S. Prisca, situata alle pendici del!' A ventino, non lontano dalla basílica di S. Sabina, e una
delle piu antiche di Roma. Non sappiamo nulla di veramente preciso sulle sue origini, anche perché la sua
storia e legata ad avvenimenti piu leggendari che reali. Addirittura negli «Atti degli Apostoli» viene
menzionata da S. Paolo «ecclesia domestica» dei coniugi Aquila e Priscilla, i quali abita vano nello stesso
luogo in cui oggi sorge la chiesa o nelle immediate vicinanze. Nei pressi vi era la casa di una certa Prisca, la
quale, molto probabilmente, era loro figlia. Costei, secondo la tradizione, fu battezzata da S. Pietro
all'interno della casa dei genitori; qualche tempo dopo fu catturata dai solda ti dell'imperatore Claudio (41
- 54) e data in pasto ai leoni del Colosseo, i quali pero non la toccarono. Fu ali ora decapitata e sepolta
sull' A ven tino. Papa Eutichio (275 - 28 3) disseppelli il corpo e lo inumó sotto l'altare della chiesa dedica ta
alla Santa. Questa chiesa non era, ovviamente, quella attuale, ma molto piu antica, sorta a un livello assai
inferiore. Puó anche darsi che la chiesa dedicata a S. Prisca sia stata ricavata ampliando un Santuario che
Aquila e Priscilla avevano fondato ne! 57 d.C., trasformando una parte della loro casa.
L e prime notizie certe risalgono al V secolo: sicuramente la chiesa era stata costruita sui ruderi di un
insediamento romano risalente al primo Impero. Tra l'altro, ne! 1 9 3 0 , fu scoperto, nei sotterranei di S.
Prisca, un luogo di culto orientale dedicato al dio Mitra, annesso ad antiche abitazioni, con resti di
affreschi e gruppi scultorei. E impossibile, in questa sede, soffermarsi sugli interessanti reperti presentí
nel sotterraneo (oggi vi si rabile con mol ta difficolta), e si rimanda il lettore a pubblicazioni specializzate o,
meglio, alle visite guidate organizzate periodicamente dall' Assessorato alla Cultura del Comune di Roma
o da altre organizzazioni.
Ritorniamo pertanto alla decorazione della chiesa superiore. Questa fu restaurata nel 77 2 da Adriano I e
fu in seguito tenuta dai monaci Basiliani sino alla meta del secolo XI. Ne! 1084 fu semidistrutta dai
Normanni capeggiati da Roberto il Guiscardo. Durante il pontifica to di Pasquale II ( 1 0 9 9 - 1 1 1 8 ) venne
restaurata. Nei primi anni del X V secolo, quando era officiata dai Francescani, la chiesa fu seriamente
danneggiata da un incendio, che provocó il crollo delle prime due campate. Fu allora restaurata da
Callista III ( 145 5 - 14 58 ) e affidata ai Domenicani, i quali la tennero fino al , 6 0 0 ; in quell'anno passó ai
Padri Agostiniani ancora oggi presentí.
Ne! 1 6 6 0 furono eseguiti ulteriori restauri su ordine del cardinale titolare Benedetto Giustiniani. E di
que! periodo la facciata barocca, opera di Cario Lambardi, a un solo ordine di quattro lesene, coronato da
tímpano triangolare. II ponale e fiancheggato da due colonne antiche di granito con capitellino ornato da
testa di angioletto. In alto finestra ovale inscritta in cornice sagomata rettangolare.
L'interno e diviso in tre navate da sette colonne ioniche seminascoste nei pilastri seicenteschi. Da
notare, nella navata destra, il grande capitello dorico (II secolo d.C.) adibito a fonte battesimale. Servl,
secondo la leggenda, a S. Pietro per battezzare S. Prisca; !'episodio e raffigurato ne! dipinto sull'altare
maggiore, ese guito ne! 1 6 0 0 da Domenico Cresti detto il Passignano. Ne! presbiterio: «Storie del martirio
della Santa», affreschi attribuiti al Fontebuoni (secolo XVII).
3 5°