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UNIVERSITÀ DI CATANIA

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

COMPLEMENTI DI
IMPIANTI TERMOTECNICI
COGENERAZIONE E SUE APPLICAZIONI
IL MOTORE PRIMO E SUE CARATTERISTICHE
APPLICAZIONI DELLA COGENERAZIONE
LA TRIGENERAZIONE ED APPLICAZIONI
L’ENERGIA SOLARE E SUA DISPONIBILITA’
IMPIANTI SOLARI TERMICI E TERMODINAMICI
IMPIANTI FOTOVOLTAICI
IMPIANTI EOLICI
CELLE A COMBUSTIBILE
PRODUZIONE E ACCUMULO DELL’IDROGENO
IMPIANTI DI TERMOVALORIZZAZIONE
VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE
IMPIANTI ANTINCENDIO
DICHIARAZIONE ISPESL

PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE E MECCANICA


SEZIONE DI ENERGETICA INDUSTRIALE ED AMBIENTALE

AGGIORNAMENTO DEL 25/10/2005


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI ii

FILE: COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI.DOC


AUTORE: GIULIANO CAMMARATA
DATA: 25 OTTOBRE 2005

www.gcammarata.net
gcamma@diim.unict.it

La riproduzione a scopi didattici di quest’opera è libera da parte degli Studenti purché non siano
cancellati i riferimenti all’Autore sopra indicati. Non sono consentiti usi commerciali di alcun genere
senza il consenso dell’Autore
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 1

INTRODUZIONE
Questo volume introduce alcuni importanti argomenti che in questi ultimi anni si sono proposti
all’attenzione degli impiantisti termotecnici: la Cogenerazione (e in particolare gli impianti Total Energy), la
Valutazione di Impatto Ambientale e l’utilizzo delle energie alternative e gli Impianti di termovalorizzazione termica
dei Rifiuti. Quest’ultimo capitolo si propone di grande interesse in questi ultimi anni nei quali si parla
sempre più spesso di emergenza rifiuti.
Prima di affrontare con maggior dettaglio i singoli argomenti è opportuno delinearne brevemente
le problematiche.

IMPIANTI DI COGENERAZIONE
L’impiantistica termotecnica ha subito in questi anni una forte accelerazione tecnologica dettata
anche da nuovi sviluppi legislativi che hanno cercato di favorire le applicazioni cogenerative sia in
campo civile che industriale. Sia la L. 9/91 che la L. 10/91 attuano il nuovo Piano Energetico Nazionale
(PEN) fornendo modalità operative per la riduzione dei consumi energetici e per lo sviluppo di fonti
alternative o assimilabili. L’art 5, comma 16, del DPR 412/93 stabilisce l’obbligo in edifici pubblici di
ricorrere ad impianti utilizzanti fonti energetiche rinnovabili o ad essi assimilabili. L’allegato D del DPR
412 definisce come impianti assimilabili:
⋅ - impianti con pompe di calore
⋅ - pompe di calore a motore
⋅ - impianti di cogenerazione.
Inoltre sempre la L. 10/91 stabilisce che l’utilizzo è obbligatorio per tutti gli edifici ad uso pubblico
qualora non vi siano impedimenti di natura tecnica o economica, ove per impedimento di natura
economica si intende un tempo di rientro semplice dell’investimento maggiore di:
⋅ 10 anni in comuni con più di 50.000 abitanti;
⋅ 8 anni negli altri casi.
Attualmente le tariffe ENEL non differenziano gli usi energetici per usi domestici da quelli per
altri usi e sono composte da due voci così distinte:
⋅ costo fisso per di potenza;
⋅ costo dell’energia realmente consumata. Oltre i 3 kW di potenza installata si può avere la tariffa
bioraria ed inoltre è prevista una speciale agevolazione per la prima casa. In ogni caso le tariffe per usi
domestici sono indipendenti dalla quantità totale di energia fatturata. Per potenze oltre 400 kW si possono
avere tariffe multiorarie (ben 4 tipologie dipendenti dai consumi) per media tensione e monomia (si
hanno 3 tipi di tariffazione in funzione dei consumi per bassa tensione.
A tutte le tariffe ENEL, qualunque siano gli usi dell’energia, si applicano il sovrapprezzo termico e gli
oneri fiscali locali.
Per la distribuzione del gas metano la SNAM si avvale di reti nazionali e locali e di società di
gestione (concessionarie) che applicano tariffe che dipendono dai consumi e sono formate, oltre che
parte di costo del metano, da oneri regionali e nazionali( imposta erariale) di distribuzione.
L’imposta erariale varia da Nord a Sud e non viene applicata per le industrie e gli alberghi.
Il gasolio ha distribuzione libera su scala nazionale e la tariffa si compone del costo di mercato del
gasolio e dagli oneri erariali (imposta di fabbricazione).
Il Piano Energetico Nazionale (PEN) si propone di defiscalizzare il combustibile nel caso sia utilizzato
per autoproduzione dell’energia elettrica. Lo stesso non vale per l’autoproduzione di energia meccanica
che, pertanto, risulta pienamente fiscalizzata.
La defiscalizzazione segue la regola:
D = KE
Ove si ha:
⋅ D quantità combustibile defiscalizzata;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 2

⋅ E energia elettrica prodotta,


⋅ K coefficiente funzione del combustibile che vale:
⋅ 0,565 m3/kWh per il metano
⋅ 0,250 l/kWh per il gasolio
⋅ 0,199 l/kWh per il GPL
La L 9/91 considera due tipologie di impianti di autoproduzione: Combustibili fossili; Fonti
energetiche rinnovabili. I limiti applicati per la defiscalizzazione sono di 500 kW per impianti utilizzanti
combustibili fossili e di 3000 kW per quelli con fonti energetiche rinnovabili. Un impianto di
autoproduzione è considerato assimilabile a Fonte Energetica Rinnovabile se risulta : IEN > 0,51
Si hanno due possibili autoproduzioni: di energia elettrica; di energia frigorifera. In entrambi i casi
si hanno forme di recupero che può essere sfruttato per produrre: Energia Termica, Energia
Frigorifera o anche Energia Elettrica. I sistemi che assommano entrambe le caratteristiche sono detti
Total Energy. Si tenga presente che l’autoproduzione di energia elettrica conviene solo con tariffe
multiorarie perché deve aversi, per le diverse tariffe denominate F1, F2, F3 ed F4, i costi di impegno
annuo dati, per diverse possibilità di consumi, dalla seguente Figura 1.
Le fasce orarie indicate con F1÷F4 corrispondono alla seguente suddivisione:
⋅ F1 ore di punta che per la tariffa multioraria va dalle ore 8,30 alle 10,30 e dalla 16,30 alle
18,30 dal lunedì fino al venerdì;
⋅ F2 ore di alto carico che per tariffa multioraria va dalle 6,30 alle8,30dalle 10,30 alle16,30,
dalle18,30 alle 21,30 in inverno e dalle 8,30 alle 12,30in estate, sempre dal lunedì al
venerdì;
⋅ F3 ore di medio carico corrispondenti, sempre per tariffa multioraria, dalle 6,30 alle 8,30 e
dalle 12,0 alle 21,30 dal lunedì al venerdì;
⋅ F4 ore vuote corrispondenti dalle 0,00 alle 6,30,dalle 21,30 alle 24,00 dal lunedì al venerdì e
dalle 0,00 alle 24,00 sabato e domenica d’agosto.
Per applicazioni destinate ad usi civili (terziario) si possono fare bilanci basati sui dati correnti e si
hanno le seguenti conclusione:
⋅ Il risparmio di esercizio dipende in massima parte dal minor impegno di potenza richiesto,
soprattutto in fascia F1;
⋅ In estate il risparmio è sempre limitato.
⋅ In inverno si ha sempre convenienza ad utilizzare la cogenerazione, a causa dell’elevato costo
dell’energia termica con sistemi tradizionali;
Per l’autoproduzione di energia frigorifera si hanno le seguenti possibilità:
⋅ direttamente accoppiato: il motore termico alimenta un compressore frigorifero a vapori saturi;
⋅ sistema tandem: un motore termico alimenta sia un compressore frigorifero che un generatore
elettrico per produrre contemporaneamente anche energia elettrica;
⋅ sistema alimentazione ibrida: situazione simile alla precedente con possibilità di funzionare o con
il solo compressore o con il solo generatore elettrico.
Si approfondiranno i decreti vigenti sulla cogenerazione industriale ed i criteri di applicazione.
Oltre alle applicazioni di cogenerazione di sistemi tradizionali (motori primi termici, con turbine a
gas o con turbine a vapore, dei quali si parlerà nel prosieguo) si stanno affacciando sul mercato le Celle a
Combustibile (Fuel Cells) il cui funzionamento elementare è schematizzato in Figura 2 e sarà approfondito
nel prosieguo unitamente alla problematica della produzione, trasporto ed accumulo dell’idrogeno.

1 Si parlerà di questo indice nel prosieguo.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 3

Accoppiando più concetti si possono avere più sistemi che, funzionando in parallelo, fornisco in
modo integrato energia termica ed elettrica con un unico modulo alimentato a metano (o metanolo o
anche combustibili tradizionali).
Un modulo di 10 kW (3 elettrici e 7 termici) è allo studio da parte dell’Ansaldo Ricerche e si spera
possa esser immesso sul mercato nei prossimi anni: un sistema siffatto può essere sufficiente per fornire
calore ed elettricità ad una famiglia media.
Nella Figura 3 si ha uno schema di massima sul funzionamento di questi moduli complessi con
celle a combustibile (argomento interessantissimo ma fuori dall’interesse di questo corso).
Nei prossimi capitoli si esamineranno i principi fondamentali per i sistemi cogenerativi e per il
progetto di Sistemi ad Energia Totale (SET). La comprensione di questi argomenti richiede la conoscenza
delle nozioni di Fisica Tecnica e di Macchine.

350.000

300.000

250.000
Bassa Utilizzazione
200.000 Media Utilizzazione

150.000 Alta Utilizzazione


Altissima Utilizzazione
100.000

50.000

0
F1 F2 F3 F4

Figura 1: Andamento dei consumi al variare delle tariffe

Figura 2: Principio di base delle Celle a Combustibile


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 4

Figura 3: Principio di base di un modulo complesso con celle a combustibile

EGERGIA SOLARE E SUE APPLICAZIONI


In questo capitolo rientrano le applicazioni degli impianti solari termici, fotovoltaici ed eolici.
L’Energia solare riveste oggi notevole importanza strategica perché ad essa si pensa di attribuire
quote significative di mercato. Questa necessità deriva non solamente dall’esigenza di limitare la
dipendenza energetica ma anche e soprattutto per potere rispettare il Protocollo di Kyoto che impone
all’Italia una sostanziale riduzione delle emissioni di CO2.
Il DM 28/07/2005 reca norme per l’incentivazione della produzione dell’energia elettrica
mediante impianti fotovoltaici.
Il Dlgs 192 del 19/08/2005 introduce norme per la certificazione energetica degli edifici ed
impone la predisposizione di superfici in copertura per l’inserimento di collettori solari e/o pannelli
fotovoltaici nonché la previsione di volumi tecnici per gli impianti accessori.
Da questi eventi recenti si deduce che la volontà politica di incentivare l’utilizzo delle energie
alternative è forte e tangibile.

IMPIANTI DI TERMOVALORIZZAZIONE DEI RIFIUTI


Tutti gli abitanti della Terra producono rifiuti (detti anche RSU acronimo di Rifiuti Solidi Urbani) e
così pure tutte le attività industriali ed artigianali in genere. La quantità di rifiuti urbani prodotta varia, a
seconda dello sviluppo sociale raggiunto, da 0,5 a 1.5 kg/abitante/giorno. A questi si aggiungono i
rifiuti industriali, ospedalieri, …….
In definitiva una enorme quantità di rifiuti viene prodotta giornalmente.
Fino a pochi anni fa questi rifiuti erano allegramente smaltiti in discariche pubbliche (ufficiali o
abusive non importa in questa sede) nelle quali questi venivano ammucchiati e lasciati marcire nel
tempo. Le conseguenze di una simile scellerata politica sono a dir poco catastrofiche: i sono avuti
inquinamenti di suoli, di falde acquifere e dell’atmosfera!
Quando il problema è divenuto estremamente acuto, anche in conseguenza di catastrofi
ambientali quali l’incidente di Severo ed altri nel mondo, l’Umanità ha preso coscienza di essere
praticamente sommersa dai rifiuti di tutti i tipi e di ricevere danni spesso irreversibili dal loro mancato
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 5

trattamento. E’ nata così una coscienza ambientalista che ha portato alcuni stati europei e nord americani
(l’Italia è stata bellamente a guardare fino a d oggi!) ad sviluppare politiche ambientali per contrastare
l’emergenza rifiuti.
Sono state sviluppate metodologie di riuso (ove possibile) dei rifiuti ferrosi, plastici, vetrosi, …e
sono stati progettati i primi impianti inizialmente detti di distruzione o di incenerimento e che ora sono detti
di termovalorizzazione dei rifiuti.
La prima idea è stata di usare le tecnologie già note e mature quali i forni a griglia e, più di
recente, quelli a letto fluido. Si è poi pensato di usare anche la pirolisi per ricavare gas dai rifiuti. Infine,
da qualche anno, si sono proposti impianti che utilizzano le torce al plasma per disintegrare i rifiuti e
ricavarne gas.
Dal 1997 il D.Lgs 22 (detto anche Decreto Ronchi) ha regolamentato il problema dei rifiuti
introducendo una loro classificazione (detta CER acronimo di Codice Europeo dei Rifiuti) e indicando le
possibili metodologie di stoccaggio e di smaltimento.
Questo decreto non fornisce indicazioni sui metodi di smaltimento per la termovalorizzazione
ma introduce questo termine per indicare il modo di valorizzare i rifiuti estraendone energia.
Se solo si fanno semplici prodotti fra il numero di abitanti per la produzione pro-capite per
l’energia media (2000÷2500 kcal/kg) prodotta dai RSU si intuisce come questi ultimi possano essere
considerati una vera e notevole fonte energetica.
Queste problematiche saranno esaminate nel capitolo dedicato alla termovalorizzazione dei rifiuti
e si vedranno i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna tecnologia.

VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE


Nella seconda parte del volume si affronterà un problema oggi assai importante in tutti i campi
della progettazione: la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Norme europee e nazionali impongono
che per grandi opere sia predisposto uno Studio di Impatto Ambientale (SIA) che tenga conto di tutte le
possibili interazioni dell’opera in progetto con l’ambiente. Fra le opere di interesse nell’ambito del
presente Corso vi sono gli impianti termotecnici e gli impianti di cogenerazione (specialmente di
potenza elevata).
Negli ultimi anni si è affermata in modo sempre più netto l’esigenza di una valutazione
sistematica preventiva degli effetti che possono derivare da opere, di rilevante portata, sull’ambiente. Il
concetto di ambiente in questo contesto comprende il complesso di fattori, sociali, culturali ed estetici
che riguardano gli individui e le comunità e che, in definitiva, ne determinano, il carattere, le relazioni e
lo sviluppo.
Con il termine impatto ambientale si definisce l’insieme delle alterazioni dei fattori e sistemi
ambientali prodotto dall’attività collegata alla realizzazione di un’opera data.
Lo studio di impatto ambientale deve rispondere ai contenuti richiesti dal D.M. n. 559 del 28
dicembre 1987 in relazione alle analisi della compatibilità ambientale degli impianti in progetto e, in
particolare, la valutazione degli impatti fisici sia positivi che negativi sulle componenti ambientali
potenzialmente soggette a subire gli effetti del progetto.
La valutazione dei sopraccitati impatti si utilizzano le metodologie già elaborate e consolidate sul
contesto della problematica attinente la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) così come definite
dalle direttive CEE del 27/6/1985, a cui fa riferimento, per la definizione delle procedure di
valutazione, la recente normativa emanata dal Ministero Ambiente (DPCM 377/88 e DPCM del
27/12/88).
La V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale) rappresenta appunto una procedura di analisi
predisposta per individuare preventivamente tutte le ripercussioni che la realizzazione di una nuova
opera può avere sull’ecosistema; valutandone gli effetti già in fase di programmazione dell’intervento.
In base a tali indicazioni è possibile:
⋅ - formulare un giudizio motivato sulla “compatibilità ambientale dell’opera progettata”;
⋅ - disporre gli adeguamenti infrastrutturali eventualmente ritenuti necessari o, nei casi estremi, non
autorizzarne la realizzazione.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 6

La V.I.A. costituisce una procedura tecnico-amministrativa volta alla formulazione di un giudizio


di ammissibilità sugli effetti che una determinata azione avrà sull’ambiente. Si tratta cioè di pervenire alle
più corrette valutazioni sulla pubblica accettazione dei futuri cambiamenti ambientali, dovuti ad una azione
proposta, e del probabile effetto sulla futura qualità della vita delle popolazioni.
Si intende cioè assicurare la prevenzione dell’ambiente da inquinamenti e da altre perturbazioni
già nella fase della progettazione, individuando i rischi associati e valutandone l’entità, intervenendo per
ridurli o ad eliminarli in fase progettuale anziché intervenire successivamente all’accadimento
dell’alterazione ecosistema.
Si configura, quindi, come uno studio per procedere e, per quanto possibile, quantificare gli effetti
provocati sui sistemi ambientali dalle costruzioni e dall’esercizio di determinate opere ed attività.
La V.I.A. costituisce, quindi, l’elemento di raccordo fra la fase di programmazione e quella
tecnico-esecutiva dell’opera in progetto, ed è costituita da due componenti differenti ed essenziali:
⋅ 1) una procedura d’impatto ambientale costituita dal complesso degli atti amministrativi
che permettono di arrivare (o non) ad una decisione di accettabilità ambientale
dell’opera;
⋅ 2) uno Studio di Impatto Ambientale (S.I.A.) realizzato dal proponente l’opera,
mediante il quale, tramite tecniche, il più possibile oggettive, si determinano i futuri
assetti sull’ambiente in relazione all’opera o alla attività proposta.
In termini estremamente semplificati lo Studio di Impatto Ambientale (S.I.A.) si articola in tre
momenti metodologicamente interconnessi:
⋅ - segmentazione delle componenti ambientali sulle quali è ipotizzabile l’impatto;
⋅ -definizione di tutte le attività collegate alla fase di realizzazione e di esercizio dell’opera, che
possono produrre modificazioni dell’ecosistema preesistente;
⋅ - valutazione ed analisi degli impatti e delle interrelazioni quali-quantitative tra le due classi
preesistenti.
Il termine “valutazione di impatto ambientale” traduce differenti nomenclature derivate dalle attuali
normative esistenti in materia negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia. Esso è l’insieme di studi,
rilevazioni, documenti, istanze partecipative, atti amministrativi finalizzati ad effettuare previsioni
(suffragate da metodologie attendibili) riguardo al verificarsi di conseguenze (impatti) positive o
negative, dirette od indirette, sull’ambiente dovute alla realizzazione di un progetto e di valutare la
portata delle stesse in termini di entità, estensione temporale e spaziale, nonché la distribuzione delle
componenti ambientali e dei gruppi sociali coinvolti.
In pratica la suddetta procedura dovrebbe consentire di rendere trasparenti i conflitti in atto
sull’uso delle risorse, l’effettiva allocazione dei benefici e dei costi previsti, i criteri seguiti per
l’assunzione delle decisioni, al fine di assumere le decisioni per la ottimale utilizzazione delle risorse, e
cioè definire la migliore allocazione dell’opera da realizzare con il minimo impatto sull’ambiente ed a
costi ragionevoli.
Un’altro aspetto della problematica decisionale connessa con la V.I.A. è quello del rapporto tra la
procedura della V.I.A. e l’analisi costi-benefici; cioè se la V.I.A. deve esprimere un giudizio finale sul
prevalere dei costi sui benefici o limitarsi alla valutazione consultiva per il solo aspetto ambientale,
nell’ambito di un meccanismo decisionale comprendente le altre valutazioni (economiche, sociali,
politiche).
L’ottimo sarebbe di poter misurare con unico metro tutti i costi e tutti i benefici compresi quelli
ambientali; ma poiché la valutazione dei fattori ambientali è difficilmente monetizzabile si ricorre, per
quanto riguarda l’ambiente, alle valutazioni in termini fisici, necessariamente eterogenee.
La decisione di investimento, tuttavia, non può fondarsi soltanto sugli aspetti ambientali, ma
anche su quelli di natura economica. Si tratta, dunque, di vedere se, e nel caso positivo come, integrare i
due aspetti valutandoli separatamente. Inoltre, anche la citata direttiva CEE è chiaramente improntata
ad escludere qualsiasi tipo di valutazione costi-benefici, tenendo ad interpretare la V.I.A. come
valutazione comparata tra più progetti per individuare quello che comporta i minori effetti fisici sull’ambiente.
L’impostazione da dare nella preparazione della VIA è quella di porre in evidenza nell’ambito
della problematica progettuale il citato “vincolo ecologico”.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 7

In tal senso si imposta la progettazione, le attività e i modi di realizzazione sono stati individuati,
tra quelli possibili ed idonei a risolvere le problematiche tecniche dell’intervento, tenendo conto del
suddetto vincolo, nell’ambito delle decisioni già assunte, quali la localizzazione dell’intervento e la sua
potenzialità complessiva.
Lo studio della VIA ha lo scopo, di norma, di evidenziare e misurare solamente gli impatti fisici
sia positivi che negativi. Si ritiene, infatti, che gli aspetti socio-economici connessi con la realizzazione
di un progetto, debbano essere analizzati separatamente. Pur tuttavia la metodologia di rating che verrà
presentata nel prosieguo tiene conto anche di azioni ed effetti di tipo socio economici.
L’elaborato VIA si propone di affrontare precipuamente il problema ambientale evidenziando e
misurando gli impatti fisici, sia positivi che negativi, rimandando all’analisi tecnico-economica della
proposta progettuale gli aspetti più prettamente tecno-socio-economici-gestionali.
I possibili obiettivi che si possono porre nel momento in cui ci si appresta ad un S.I.A. possono
essere così sintetizzati:
⋅ a) scegliere l’opera d’impatto minimo tra più di un progetto e più di un sito;
⋅ b) scegliere l’opera d’impatto minimo tra più di un progetto per un solo sito;
⋅ c) scegliere tra un solo progetto e più di un sito;
⋅ d) giudicare l’ammissibilità ambientale di un solo progetto per un solo sito;
⋅ e) giudicare l’entità dell’accettabilità ambientale di un’opera già allocata.
Il lavoro è allora articolato secondo le seguenti fasi:
⋅ - identificazione delle componenti ambientali coinvolte dal progetto;
⋅ - determinazione delle caratteristiche più rappresentative del sito e dell’impianto;
⋅ - individuazione di una scala di valori con cui stimare le diverse situazioni di ciascun
fattore;
⋅ - definizione del contributo ponderale del singolo fattore su ciascuna componente
ambientale;
⋅ - raccolte di dati peculiari sul sito e loro quantificazione;
⋅ - valutazione degli impatti elementari con l’ausilio di modelli (matrici-grafici, networks,
liste di controllo, etc.).
Punto di partenza per l’impostazione del citato studio è quello di definire il concetto di
“ambiente”. Nella fattispecie per ambiente deve intendersi quel complesso involucro fisico entro il
quale si sviluppano tutte le relazioni “orizzontali”, che legano fra di loro le diverse attività e i diversi
soggetti variamente dislocati nello spazio e “verticali”, che legano, invece, ciascuna attività e ciascun
soggetto alle condizioni e alle risorse naturali.
Il raggiungimento di un equilibrio stabile di tali rapporti o il mantenimento è divenuto ormai il
problema centrale nel campo della pianificazione territoriale, che deve ricercare quella interazione
equilibrata fra sistemi di attività, esigenze dello sviluppo e sistemi ambientali. Lo studio dell’inserimento
di nuove opere nell’ambiente dovrà, pertanto, definire da un lato i soggetti ed i sistemi ambientali che
saranno integrati da modifiche e dall’altro valutare l’entità degli impatti che le nuove opere avranno sui
primi.
Non si vuole qui entrare ulteriormente nei dettagli di una così vasta problematica quale è la VIA
ma si vuole nel prosieguo presentare una metodologia di analisi innovativa che consente facilmente di
effettuare la valutazione (rating) delle matrice azioni-effetti dette anche matrici di impatto.

IMPIANTI ANTINCENDIO
La protezione antincendio è necessaria ed obbligatoria, specialmente negli edifici pubblici,
industriali e di spettacolo.
Si hanno due sistemi di protezione:
- protezione passiva: affidata alle strutture e all’organizzazione architettonica dell’edificio;
- protezione attiva: affidata agli impianti veri e propri antincendio.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 8

I criteri di progetto per entrambi i sistemi richiedono conoscenze specialistiche che saranno
affrontate in questo capitolo.
Si vedranno anche le procedure per l’ottenimento del Certificato di Protezione Incendio (CPI) e
come predisporre la Relazione Antincendio.
Particolare attenzione verrà poi prestata ai sistemi integrati di progettazione (CAD) con
l’applicazione ad esempi concreti.

Catania 25/10/2005
Giuliano Cammarata
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 9

1 LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICI

1.1 DECRETO LEGISLATIVO N. 192 DEL 19 AGOSTO 2005.


Sul supplemento ordinario n. 158 della Gazzetta Ufficiale n. 222 del 23 settembre 2005, è stato
pubblicato il Decreto Legislativo n. 192 del 19 agosto 2005 “Attuazione della direttiva 2002/91/CE
relativa al rendimento energetico in edilizia”.
In conseguenza di questo, il DM 27 luglio 2005 risulterà abrogato dal 8 ottobre 2005, data di
entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 192 del 19 agosto 2005.
Si è compreso che si tratta di un’impostazione evoluta, in linea con la direttiva europea
2002/91/CE, che propone, ad esempio, criteri di ottimizzazione sui singoli elementi dell’edificio (limiti
sui valori di trasmittanza) al posto del “vecchio” calcolo del Cd della Legge 10/91.
In conseguenza di questo decreto tutta la normativa vigente (L 10/91 e DPR 412/93 con
successivi aggiornamenti) risulta ampiamente rimaneggiata. Viene, in particolare, modificata la
Relazione di calcolo ai sensi dell’art. 28 della L. 10/91 e le verifiche precedentemente indicate nei
decreti attuativi.

Figura 4: Nuovi parametri del Dlgs 192/05


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 10

Figura 5: Nuovi parametri del Dlgs 192/05


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 11

Figura 6: Predisposizioni previste dal Dlgs 192/05


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 12

Figura 7: Nuovi dati nella relazione di calcolo del Dlgs 192/95


Il nuovo decreto andrà in vigore il 10/10/05.
1.2 CONSIDERAZIONI SUL D.LGS 192/2005
Questo decreto va ad innovare la normativa esistente sulla riduzione del consumo energetico per
il riscaldamento degli edifici.
I dati principali si possono così riassumere:
• Verifica di isolamento non più legata al calcolo del Cd ma legata alla trasmittanza di tutti gli
elementi disperdenti;
• Verifica energetica del FEN semplificata;
• Mantenimento del rendimento globale di impianto;
• Calcolo del consumo specifico di energia ai fini della certificazione energetica degli edifici;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 13

• Incentivazione all’utilizzo di energie alternative (solare termico, solare fotovoltaico,


teleriscaldamento) con maggiore attivismo da parte delle amministrazioni pubbliche;
• Obbligatorietà di previsione di adeguate superfici (almeno il 25% della superficie in pianta) per
l’installazione delle superfici di raccolta dell’energia solare, di opportuni locali per ospitare i
serbatoi di accumulo e le apparecchiature di condizionamento elettriche degli impianti solari ( pari
a 0,050 mc/mq di superficie solare sopra indicata).
• Verifica delle prestazioni di impianto;
• Calcoli redatti da tecnici competenti con assunzione di responsabilità diretta.
La necessità di prevedere adeguate superfici di esposizione non ombreggiate ed esposte a sud
comporta una interazione forte nei criteri di progettazione architettonica.
L’utilizzo di energie alternative non è più considerato un lusso ma una necessità, anche al fine di
rispettare il protocollo di Kyoto.
Le nuove abitazioni e quelle da ristrutturare superiori a 1000 mq dovranno tenere conto di queste
specifiche e dovranno prevedere l’interazione dell’impiantistica solare non solamente con una adeguata
superficie di raccolta ma anche con la previsione di un volume tecnico e di opportuni cavedi di
collegamento.
La certificazione energetica non è da considerare di secondaria importanza: tutti gli atti notarili di
compravendita dovranno citare il certificato energetico degli edifici.
Si presume una influenza di questa certificazione energetica anche sul valore degli immobili per
effetto delle incentivazioni che da questa certificazione deriveranno.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 14

2 I CONSUMI ENERGETICI E LO SVILUPPO SOSTENIBILE

La storia dell’Uomo è stata sempre segnata dalla necessità di avere forza lavoro per soddisfare i
propri bisogni. Egli non si è fatto alcuno scrupolo di sottomettere animali e gli stessi suoi Simili pur di
avere la possibilità di svolgere le attività lavorative (agricoltura), industriali e/o belliche. Le guerre fra
popoli avevano come scopo ultimo la conquista di territorio e di uomini ridotti in schiavitù per i lavori
più umili e quotidiani.
Fino alla seconda metà dell’Ottocento lo Schiavismo era giustificato dalla necessità di avere mano
d’opera a basso costo per le piantagioni di cotone del Sud degli Stati Uniti e ancora oggi questa grave e
perversa forma di sottomissione dell’Uomo è pratica, anche se in modo meno ufficiale ed appariscente,
in alcune regioni della Terra.
La nascita delle prime macchine a vapore, verso la fine del Settecento, ha segnato, almeno
idealmente, anche la nascita dell’era Contemporanea che, nel bene e nel male (non sono qui per giudicare!),
ha determinato anche l’affrancamento dell’Uomo dalla schiavitù e dalla fatica. Ora è possibile sostituire
animali e schiavi con macchine potenti e docili per effettuare qualsivoglia lavoro.
Oggi è possibile intraprendere attività di così larga estensione da modificare anche l’ambiente e la
stessa geografia terrestre: gli istimi di Corinto e i canali di Panama e di Suez ne sono una conferma.
Se da un lato l’utilizzo delle macchine ha introdotto effetti benefici per l’evoluzione socio
economica dell’Uomo, dall’altro ha dato inizio allo sfruttamento energetico del pianeta Terra. Le
macchine, infatti, sono dispositivi di conversione energetica ed hanno bisogno di energia primaria
ottenuta, quasi esclusivamente, da conversione di fonti energetiche non rinnovabili.
Con le macchine nascono anche gli impianti industriali nei quali sono effettuate miriadi di
lavorazioni di trasformazione e produzione di beni di consumo e questo ha ulteriormente aggravato
l’esigenza di sfruttamento delle risorse energetiche non rinnovabili della Terra.
In pratica il ricorso all’utilizzo del petrolio è stato esponenzialmente crescente nel Novecento,
tanto da porre interrogativi sulla necessità di limitarne l’utilizzo per gli effetti ambientali negativi che si
sono manifestati.
L’economia del petrolio ha di fatto determinato l’evoluzione politica dell’ultimo secolo e tuttora
sembra orientare gli sviluppi socio politici del futuro immediato. Guerre più o meno diffuse nei
continenti o micro guerre localizzate su aree di piccola estensione sono all’ordine del giorno e
sembrano svilupparsi sempre di più.
Non vi è dubbio che il benessere provocato dalla civiltà industriale ha, anche se non da solo,
contribuito all’abnorme crescita della popolazione terrestre che ha, a sua volta, generato una crescita
esponenziale dei consumi energetici.
In pochi decenni la popolazione terrestre è passata da poco più di 4 miliardi alla fine
dell’Ottocento agli attuali 6 miliardi attuali: si tratta di un incremento enorme e vertiginoso che
condiziona e condizionerà sempre di più lo sviluppo socio-economico di tutti i popoli.
Alle fine degli anni ‘Sessanta e con gli anni ‘Settanta si sono avuto alcune crisi energetiche su scala
mondiale generate dall’acuirsi di conflitti regionali sulla scena medio-orientale (guerre arabo – israeliane),
che hanno dato inizio ad una presa di coscienza del problema della disponibilità energetica e della fine
più o meno prossima delle risorse petrolifere.
In quegli anni il CLUB DI ROMA commissionò al MIT uno studio sui limiti di sviluppo del
genere umano. Questo studio, noto come Rapporto del Club di Roma, stabilì, non senza una iniziale
sorpresa collettiva, che tali limiti di sviluppo non erano dettati dalla crescita esponenziale della
popolazione terrestre né dalle ridotte disponibilità in futuro delle riserve petrolifere bensì
dall’inquinamento conseguente ai modelli di vita dell’Uomo moderno e contemporaneo.
In pratica già quasi 35 anni fa si cominciava a parlare di compatibilità fra vita dell’Uomo e
l’ambiente. Il limite di sviluppo dell’Umanità, infatti, era dovuto all’avvelenamento ambientale
conseguente all’utilizzo delle fonti energetiche tradizionali e agli effetti provocati dall’accumulo dei
rifiuti prodotti sia dalle attività antropiche che, soprattutto, da quelle industriali.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 15

Quel primo importante rapporto costituì un campanello di allarme che ebbe notevole risonanza
mondiale e pose le basi per una presa di coscienza globale sull’imminente crisi che nell’arco di meno di
un secolo si sarebbe generata irreversibilmente per l’Uomo.
Nacquero, così, i primi movimenti ecologisti, le prime manifestazioni di massa, le prime
conferenze internazionali.
2.1 LA TRASFORMAZIONE DELL’ENERGIA
Le crisi energetiche in primo luogo e la coscienza dello sviluppo sostenibile in secondo luogo
hanno generato il bisogno di trovare metodi e/o sistemi di trasformazione dell’energia che rispondano
almeno ai seguenti requisiti fondamentali:
avere rendimenti energetici (di primo principio) elevati;
avere rendimenti exergetici (di secondo principio) elevati;
avere elevati standard di eco - compatibilità;
garantire lo sviluppo sostenibile.
I primi due punti sono di carattere prettamente ingegneristico mentre gli altri sono di salvaguardia
ambientale. Per avere un’idea dell’importanza dei primi due punti si osserva che il rendimento
energetico nazionale delle attuali centrali termo-elettriche è fissato al 35% mentre è possibile già oggi
costruire centrali con rendimento energetico dell’ordine del 60%.
Al di là dei riflessi ambientali ed ecologici va da sé che una centrale con più elevato rendimento di
trasformazione consuma meno combustibile e quindi inquina meno l’ambiente. Tuttavia il sistema
monopolistico di produzione dell’energia elettrica ha portato ad avere centrali termoelettriche obsolete
senza avere la necessità di aggiornarle (refurbishment) per mancanza di concorrenza interna.
Sull’importanza del rendimento exergetico si parlerà nel prosieguo: basti qui osservare che esso tiene
conto del secondo principio della Termodinamica e pertanto rende giustizia di alcuni preconcetti ed
errori concettuali tipici dell’applicazione del solo primo principio della Termodinamica.
2.2 FABBISOGNI ENERGETICI
L’esigenza della trasformazione energetica deriva direttamente da un fabbisogno energetico
esteso a varie utenze (domestiche, industriali, terziario, agricoltura).
Si vuole in questa sede limitare, ma a solo scopo esemplificativo, l’esame della situazione
energetica della sola Sicilia: una situazione analoga si ha per quasi tutte le regioni italiane e per l’Italia
nella sua globalità. Gli impianti di produzione dell’energia elettrica operanti in Sicilia dal 1997 al 2000
sono riportati nella seguente Tabella 1.

Tabella 1: Impianti di produzione dal 1997 al 2000


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 16

La distribuzione dell’utilizzo globale in Sicilia nello stesso periodo è riassunta in Tabella 2.

Tabella 2: Distribuzione dei consumi in Sicilia dal 1997 al 2000

2.3 EMISSIONI DI GAS PER LE VARIE TIPOLOGIE DI IMPIANTI


Considerando le tipologie più importanti per la produzione di energia, di cui si farà cenno più
avanti, un parametro fondamentale per lo sviluppo sostenibile è la quantità di gas (sia cosiddetti serra
che inquinanti in generale) prodotti per kWh di energia prodotta. In Tabella 3 si ha un quadro
riepilogativo che ben evidenzia come il gas (naturale e/o metano) sia il più vantaggioso.

Tabella 3: Dati di emissione e di rendimento per le varie tipologie di impianti


Per ciclo combinato si intende l’utilizzo del combustibile in una turbina a gas accoppiata ad un
generatore; i gas esausti, con ancora un notevole contenuto entalpico, vengono ulteriormente sfruttati
in una caldaia ed il vapore prodotto può essere utilizzato in un sistema turbina a vapore – alternatore
per produrre un’ulteriore quantità di energia elettrica o per altri utilizzi industriali o civili
(teleriscaldamento), con un sensibile aumento del rendimento totale.
Nel sistema STIG (Steam Injected Gas Turbine), il calore residuo dei gas di scarico della turbina a gas
viene ancora utilizzato in una caldaia per produrre vapore che viene iniettato nella camera di
combustione della turbina stessa; ciò determina un aumento nell’energia prodotta dalla turbina e, in
definitiva un aumento del rendimento di conversione energia termica – energia elettrica, nonché una
riduzione delle emissioni di NOx.
Una variante di tale sistema è costituita dal ciclo denominato ISTIG, in cui l’aria destinata alla
combustione, tra uno stadio e l’altro di compressione viene raffreddata in scambiatori esterni; così
facendo, si ottiene un’ulteriore incremento del rendimento dell’impianto.
Un ulteriore passo sarà rappresentato dalla messa a punto industriale delle celle a combustibile, a
gas metano, che possono raggiungere rendimenti globali (elettrici e termici) pari all’82 % con emissioni
nell’ambiente estremamente ridotte.
Risulta evidente una tendenza in crescita per la produzione di CO2 e in decrescita per NOx. Ciò
dimostra che l’utilizzo di combustibili più pregiati e una maggiore attenzione alla produzione di gas
inquinanti ha portato benefici notevoli sia per le centrali ENEL che per quelle private.
Analoga tendenza a decrescere si ha nella produzione globale di polveri prodotte nelle centrali
termoelettriche siciliane, come illustrato in Tabella 4.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 17

Tabella 4: Produzione di polvere nelle centrali ENEL dal 1998 al 2001

2.4 CONSUMI ENERGETICI


I consumi finali di energia nell'industria italiana (Rif. Enea) presentano, in valore assoluto, un
andamento praticamente costante dal 1988 al 1996 e, come percentuale sul totale dei consumi energetici
nazionali, una continua diminuzione a partire dal 1974. In valore assoluto si passa dalle 35,8 Mtep del
1971 alle 36 Mtep del 1996.

Andamento consumi energetici nell'industria


(Mtep / anno)

50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
71 73 75 77 79 81 83 85 87 89 91 93 95

Figura 8: Consumi energetici nazionali dal 1971 al 1995


In Figura 8 si ha l’andamento dei dati storici per il consumo nazionale dal 1971 al 1995 si può ben
osservare come il trend si mantenga approssimativamente costante per circa un quarto di secolo.
L'efficienza energetica nell’industria è relativamente stabile, dopo essere velocemente aumentata
negli anni 1972 - 1986. A livello nazionale, l’intensità energetica nell’industria nel periodo 1971 - 1995
si è ridotta del 43% passando dalle 193 tep / miliardi di Lit ‘85 del 1971 alle 110 tep / miliardi di Lit ‘85
del 1995, vedi Figura 9.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 18

Andamento dell'intensità energetica nell'industria (tep / Glire 1985)

250

200

150

100

50

0
71 73 75 77 79 81 83 85 87 89 91 93 95

Figura 9: Andamento dell’intensità energetica nell’industria italiana dal 1971 al 1995


Per quanto attiene alle fonti energetiche nell'industria si sottolinea come, nel corso degli anni che
vanno dal 1971 al 1996, ma soprattutto dal 1971 al 1991, la struttura dei consumi energetici
nell’industria è stata modificata profondamente: l'importanza di alcune fonti è progressivamente
aumentata, a scapito di altre che hanno visto ridurre considerevolmente il loro peso:
⋅ i combustibili solidi sul totale dei consumi industriali passano dall'11,1 % del 1971 al 13 %
del 1996; in valore assoluto dalle 4 Mtep del 1971 alle 4,5 Mtep del 1996;
⋅ il gas naturale è aumentato notevolmente, sia in valore assoluto sia in percentuale sul
consumo totale dell’industria, in percentuale dal 1971 al 1996 è quasi triplicato, essendo
passato dal 15 % del 1971 al 42 % del 1996; in valore assoluto è passato dalle 5,5 Mtep del
1971 alle 15 Mtep del 1996;
⋅ il peso dei prodotti petroliferi è calato drasticamente, il contributo percentuale dei prodotti
petroliferi è passato dal 59 % del 1971 al 17 % del 1996; e in valore assoluto dalle 21 Mtep
del 1971 alle 6,3 Mtep del 1996;
Il contributo della energia elettrica al fabbisogno energetico dell'industria è progressivamente
aumentato, essendo passato in percentuale dal 15 % del 1971 al 28 % del 1996 (a partire dal 1991 tale
contributo è rimasto pressoché invariato, essendosi attestato su una percentuale intorno al 28 %), in valore assoluto il
consumo di energia elettrica è passato dalle 5,4 Mtep del 1971 alle 10,2 Mtep del 1996. In riferimento
ai consumi di energia per settore e per fonte, i seguenti settori concorrono a più dell’ 85 % dei consumi
energetici finali nell’industria (1996):
⋅ siderurgia 6,9 Mtep (19,2 %),
⋅ chimica 4,7 Mtep (13,2 %),
⋅ meccanica 4,2 Mtep (11,6 %),
⋅ materiali da costruzione 4,1 Mtep (11,3 %),
⋅ vetro e ceramica 3,0 Mtep (8,3 %),
⋅ agro alimentare 2,8 Mtep (7,9 %),
⋅ tessile e abbigliamento 2,5 Mtep (7,0 %),
⋅ cartaria e grafica 2,5 Mtep (7,0 %).
Insieme questi otto settori hanno consumato, nel 1996, 30,7 Mtep su 36 Mtep di usi finali
energetici nell’industria. I settori maggiori consumatori di biomasse sono: alimentare, legno, carta,
tessile, chimica, pelli e cuoio, gomma e materie plastiche, minerali metalliferi e varie. I settori maggiori
consumatori di materiali “non determinati” sono: chimica, gomma e materie plastiche, tessile. Per
quanto attiene alle emissioni inquinanti in atmosfera i dati disponibili in forma aggregata sono quelli
relativi alle emissioni maggiormente correlate agli usi energetici, in particolare si tratta di tre dei sei gas
serra (questione climatico energetica):
⋅ - CO2 anidride carbonica o biossido di carbonio,
⋅ - CH4 metano,
⋅ - N2O protossido di azoto.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 19

Quattro gas, o gruppi di gas, di cui due ad effetto acidificante (sostanze tossiche o con effetti ambientali
rilevanti):
⋅ NOx (acidificante) ossidi di azoto,
⋅ CO ossido di carbonio o monossido di carbonio,
⋅ COV (Composti Organici Volatili),
⋅ SO2 (acidificante) anidride solforosa.
Quattro tipi di inquinanti solidi:
⋅ Particolato di diametro inferiore a 10 micron,
⋅ Cd cadmio,
⋅ Pb piombo,
⋅ Hg mercurio.
La Tabella 5 riassume, per l’anno 1995, le emissioni inquinanti dovute all’industria e causate dai
soli usi energetici, termici e elettrici, del combustibile.

Tabella 5: Emissioni di inquinanti dell’industria per usi energetici termici ed elettrici


I dati riportati non tengono conto delle emissioni di inquinanti dovute a reazioni chimiche o
fisiche, diverse dalla combustione, che avvengono durante i processi.
2.5 DINSIQUINARE EQUIVALE A INQUINARE MENO?
Quanto sopra detto riassume un modus vivendi ottimamente sintetizzato dal vecchio adagio “chi
mangia fa molliche”. La vita stessa dell’Uomo e tutta la Sua attività antropica porta ad avere,
necessariamente ed ineluttabilmente, produzione di inquinamento di qualsivoglia tipologia.
Prima di affrontare le problematiche energetiche di queste conseguenze è qui opportuno
osservare che nell’immaginario collettivo si ha spesso la convinzione che inquinare è comunque
lecito a patto che si paghino poi le spese per disinquinare. Nulla di più errato !
L’inquinamento è, da un punto di vista termodinamico, una produzione di disordine interno del
Sistema Globale che Noi chiamiamo Ambiente. Tale disordine interno si configura anche come
produzione di entropia o, se si vuole, come produzione di anergia e quindi di irreversibilità.
In altre parole, perché qualunque trasformazione (fisica, chimica, biologica, ….) possa avvenire
occorre sempre avere una produzione di irreversibilità che è ineluttabile e produce perennemente una
perdita di lavoro o di trasformazioni successive.
Un esempio può chiarire il concetto: nelle trasformazioni naturali il calore passa sempre da corpi
a temperatura più elevata verso quelli a temperatura più bassa.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 20

Noi possiamo sovvertire questo andamento naturale utilizzando le macchine frigorifere che
operano proprio in modo inverso: tolgono calore dai corpi freddi per riversarlo in corpi più caldi. Tutto
questo, però, avviene a spese di energia esterna che dobbiamo necessariamente fornire alla macchina
frigorifera.
In pratica tutte le volte che cerchiamo di sovvertire la naturale evoluzione dei fenomeni
dobbiamo pagare qualcosa che, alla fine, si risolve ancora in produzione di irreversibilità ed anergia.
Pertanto se possiamo immaginare di operare una qualche trasformazione inversa che porti ad
avere una riduzione di inquinamento (di qualsivoglia natura) dobbiamo ricordare che se anche
paghiamo, in termini energetici, per poterla eseguire questa lascia comunque un segno indelebile
nell’ambiente, anche se di altra natura.
Ne consegue che ridurre l’inquinamento è molto più produttivo, coerente con la sostenibilità e
con la Termodinamica, che non disinquinare. Quest’ultima operazione può cambiare la natura
dell’inquinamento (ad esempio meno rifiuti) ma non l’irreversibilità totale prodotta (meno rifiuti a spese di altro
inquinamento prodotto nelle operazioni di termovalorizzazione). Questa osservazione è fondamentale per
comprendere il concetto stesso di sostenibilità: se vogliamo trasmettere alle future generazioni il diritto
alla vita e alla qualità della vita come Noi oggi la intendiamo allora dobbiamo anche operare in modo da
ridurre le irreversibilità e la disponibilità sia energetica che dei materiali.
Il petrolio che oggi consumiamo non sarà più disponibile in futuro e tutti i materiali che, in
obbedienza al credo utilitaristico e commerciale, utilizziamo e poi gettiamo nelle discariche saranno
indisponibili per le generazioni future. E non è possibile pensare che spendendo somme anche ingenti
le cose si aggiusteranno.
La sostenibilità passa attraverso il concetto fondamentale di riutilizzabilità dei materiali, del riciclo
quanto più possibile degli stessi e al ricorso quanto più ridotto possibile ai processi irreversibili ad
elevata incompatibilità ambientale.
Pertanto se per produrre energia occorre comunque utilizzare cicli termodinamici con rendimenti
di trasformazione sempre inferiore ad 1 abbiamo almeno l’obbligo morale e materiale di perseguire i
rendimenti massimi possibili in modo da ridurre l’utilizzo delle fonti energetiche.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 21

3 LA COGENERAZIONE

Le ripetute crisi energetiche degli anni ‘settanta hanno svegliato l’interesse verso la cogenerazione cioè
la produzione combinata di energia meccanica o elettrica e di energia termica. I settori di interesse sono
numerosi e variano dai trasporti, al riscaldamento ambientale, alla termovalorizzazione dei rifiuti solidi
urbani e in genere a tutti gli usi civili ed industriali dell’energia.
L’uso combinato di sistemi integrati per la produzione contemporanea di energia elettrica e
termica partendo dalla stessa fonte primaria consente non solo di avere rendimenti complessivi elevati
ma anche di ridurre il consumo di combustibili di tipo tradizionali e quindi anche di ridurre le emissioni
di CO2 nell’atmosfera. Quest’ultimo effetto è quanto mai importante anche alla luce delle
determinazioni della Conferenza Internazionale di Kyoto (1992) per la riduzione dell’effetto serra.
La condizione probabilmente più importante ed impegnativa degli impianti cogenerativi è la
simultaneità della richiesta energetica elettrica e termica che porta ad avere una utilizzazione degli
impianti quasi costante ed ai massimi livelli. Per questo motivo la cogenerazione ha avuto interessanti
sviluppi nel settore industriale, dove i carichi sono quasi sempre a regime costante, mentre ha stentato a
farsi strada nel settore civile caratterizzati da una variabilità notevoli dei carichi sia termici che elettrici.
Si pensi alla variabilità stagionali dei carichi: in inverno sono elevati quelli termici per il
riscaldamento mentre in estate sono elevati quelli elettrici per il condizionamento (compressori
alimentati elettricamente).
L’uso di un frigorifero ad assorbimento potrebbe convertire l’utenza elettrica estiva in una
termica e quindi consentire il recupero dell’energia termica prodotta dal cogeneratore ma esistono
alcune difficoltà generate dalla non equivalenza dei carichi.
Fra le applicazioni civili, inoltre, spiccano quelle di grandi complessi (centri commerciali, ospedali,
grandi alberghi, strutture aeroportuali, ….) caratterizzati da una utenza di base costante, soddisfatta
dagli impianti di cogenerazione, e da una parte variabile soddisfatta mediante apparecchiature ausiliari o
importando energia dalle reti esterne.
Ai fini del calcolo dei rendimenti occorrerebbe fare riferimento all’exergia anziché all’energia a
meno di non introdurre macchinose espressioni, spesso prive di significato fisico, per meglio definire i
vari contesti operativi degli impianti di cogenerazione. A questo scopo è utile richiamare i concetti
fondamentali dal corso di Termodinamica Applicata svolto in Fisica Tecnica.
3.1 STORIA DELLA COGENERAZIONE
Il termine cogeneration fu usato per la prima volta dal Presidente Carter nel suo messaggio sull’energia
del 1977 ed è un modo moderno di rappresentare concetti antichi. Gia nel 1930 la centrale elettrica di
Langerbrugge (Belgio) forniva anche vapore alla vicina fabbrica di carta. Interno agli anno ’50 si ebbe
un nuovo impulso negli USA dove circa il 15% dei fabbisogni energetici dell’industria venivano
garantiti da impianti cogenerativi, pur con notevoli difficoltà dovute al bassissimo prezzo del petrolio in
quegli anni e fino all’inizio degli anni ’70. Fu proprio la crisi petrolifera del 1973 che portò Carter ha
promulgare una legge per la privatizzazione della produzione e distribuzione dell’energia elettrica in
regime di puro mercato. Ciò è stato sufficiente per avere uno sviluppo di impianti cogenerativi che
utilizzano meglio le fonti primarie e quindi garantiscono un uso più razionale dell’energia prodotta.
L’Italia si è sempre contraddistinta in negativo nel recepire le novità e per oltre due decenni ha
mantenuto intatto il regime di monopolio dell’ENEL, anzi ha complicato le cose introducendo un
assurdo e antieconomico sovrapprezzo termico dettato solamente da esigenze di difesa dello stesso del
regime di monopolio. Questo balzello (non so come si possa definire altrimenti!) ha praticamente
bloccato lo sviluppo delle energie alternative ed è servito a mantenere ben saldo il potere dell’ENEL.
Proprio negli anni ‘settanta nasceva il TOTEM® della Fiat che si è visto chiudere il possibile
mercato a favore del monopolio energetico ENEL.
Finalmente nel 1991 con la L. 9/91 e L. 10/91 si cominciano a recepire gli aspetti innovativi della
cogenerazione favorendo lo sviluppo dell’autoproduzione dell’energia elettrica mediante l’applicazione
della nota determinazione del Comitato Interministeriale Prezzi n. 6 (detta CIP-6) che consentiva ai privati
di vendere all’ENEL l’energia elettrica autoprodotta in eccesso rispetto ai propri fabbisogni.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 22

Ci sono voluti più di venti anni per capire ciò che il resto del mondo aveva capito ed attuato due
decenni prima. E ancora non siamo al meglio: solo di recente (Decreto Bersani) si parla di ridurre il
monopolio ENEL con la possibilità di produzione e distribuzione dell’energia elettrica aperta ai privati.
C’è molto rumore sui nuovi soggetti industriali ma ancora si è fatto poco, ad eccezione di un
numero limitato di aziende municipalizzate di grandi città che hanno sviluppato in proprio il settore
energetico (vedansi gli esempi di Milano, Brescia, Ferrara, Roma,..).
Va detto che in questi ultimi anni l’Italia ha un deficit produttivo di energia elettrica dell’ordine
del 20% e che l’autoproduzione dei privati ha contribuito per ben il 12% dell’energia prodotta,
riducendo fortemente il deficit. Forse è stata questa la sorpresa maggiore delle nuove leggi.
Ma quando c’è un monopolista che vuole difendere i propri interessi c’è poco da fare: l’ENEL ha
sempre contrastato l’applicazione del CIP-6 riguardante la cessione in rete dell’eccesso di energia
autoprodotta per una asserita (e in parte condivisibile) difficoltà di gestione e programmazione dei flussi
di energia prodotta e nel febbraio 1997 ha abrogato (l’ENEL è ancora lo stesso Stato!) questa possibilità
consentendo il solo vettoriamento. Per fortuna c’è l’Europa!
Infatti le norme sulla libera concorrenza hanno di fatto scardinato il potere dei monopoli (che
Italia ancora resistono abbarbicati dietro leggi e leggine che ne stanno prolungando ancora la vita con
mille scuse non certo degne di uno stato moderno che vuole sentirsi protagonista europeo) e pertanto
l’ENEL deve rinunciare alla sua (comoda!) posizione di monopolista e cedere parte delle proprie
centrali termoelettriche riservandosi (giusto perché siamo in libero mercato?) il 50% della produzione e
il monopolio del vettoriamento: la rete di distribuzione resta sempre dell’ENEL con buona pace
dell’Europa. SIC!
Ad ogni buon conto il 50% passerà ai privati che potranno innescare quel benefico regime di
concorrenza che solo una elevata efficienza industriale potrà garantire.
E’ certo, comunque, che sia le nuove centrali che il revamping2 delle vecchie esistenti dovranno
utilizzare cicli combinati e cogenerativi per sfruttare al massimo ogni Joule ottenibile dal combustibile
che, ogni giorno di più, diviene caro e prezioso.
3.2 EXERGIA
Il rendimento di una macchina motrice è dato dal rapporto:
L
η = netto (1)
Q fornito
Il lavoro massimo ottenuto dal calore Q1 è dato, secondo Carnot, dall’espressione:
 T 
Lmax = Q1 1 − 2  (2)
 T1 
Quest’espressione definisce anche il livello termico di riferimento T2 solitamente coincidente con
l’ambiente esterno. Gli anglosassoni, sempre piuttosto fioriti nelle loro definizioni, chiamano l’ambiente
esterno con il termine dead state (stato morto) per meglio testimoniare il fatto che, approssimandosi la
temperatura di utilizzo dell’energia termica alla temperatura dell’ambiente il lavoro ottenibile tende a
zero. La (2) definisce anche un valore termico della quantità di calore Q1 dato dal fattore di Carnot:
T
1− 2 (3)
T1
qualora si assume T2 come temperatura di riferimento.
Si ricorda ancora che la degradazione dell’energia verso livelli inferiori (ad esempio mediante uno
scambiatore di calore) porta ad una perdita inevitabile di lavoro dato da:

2 Termine utilizzato nell’industria per indicare il rifacimento o l’aggiornamento di un impianto.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 23

1 1
∆L = T2  −  = T2 ∆Stotale (4)
 T3 T1 
Una produzione di entropia è sempre correlata ad una perdita di lavoro utile. Si ricorda ancora che il
secondo principio della Termodinamica può essere scritto nella forma di Clausius:
δQ
dS = + dSirreversibile (5)
T
la quale esprime il concetto di produzione di entropia per irreversibilità. Questa produzione è sempre
presente nelle trasformazioni reali e pertanto essa è anche associata ad una perdita di exergia propria di
queste trasformazioni. In genere, nota la produzione di entropia si ha:
∆L = T0 ∆S (6)
con T0 temperatura dell’ambiente (dead state), considerato come serbatoio finale di tutte le
trasformazioni reali.
Come conseguenza di quanto sopra accennato possiamo dire che il primo principio della
Termodinamica esprime la conservazione dell’energia e quindi anche di quella termica.
Il secondo principio ci dice che, a pari energia, parte dell’exergia viene perduta nelle trasformazioni
(reali) per divenire energia perduta o anergia. Vale, quindi, il seguente bilancio:
∆E = ∆X + ∆A (7)
ove si sono indicati:
⋅ ∆E variazione di energia;
⋅ ∆X variazione di exergia
⋅ ∆A variazioni di anergia.
Esiste, quindi, una notevole differenza fra l’energia e la sua disponibilità (availability) ad essere
utilizzata e in particolare ad essere trasformata in lavoro.
Definiamo, pertanto, come energia disponibile di un sistema rispetto ad un altro, definito come
serbatoio, la massima quantità di energia che può essere trasformata in lavoro quando il sistema è portato in equilibrio
con il serbatoio. Avendo detto che il serbatoio finale delle trasformazioni reali è l’ambiente esterno allora
definiamo exergia l’energia disponibile di un sistema rispetto all’ambiente, considerato come serbatoio
ideale. Si definisce exergia di sistema per un sistema chiuso la differenza:
Ex = (U − T0 S ) − (U 0 − T0 S0 ) (8)
avendo usato il pedice 0 per l’ambiente.
Possiamo dare ancora una nuova definizione del secondo principio della Termodinamica:
l’exergia si conserva solo per i sistemi reversibili mentre si degrada nei sistemi irreversibili.
3.3 EFFICIENZA DELL’USO DELL’ENERGIA
Si è soliti utilizzare, per abitudine ormai plurisecolare, una definizione di rendimento basato
sull’energia (detto anche rendimento di primo principio) e quindi assumendo che l’energia totale del
sistema si conserva (1° Principio). Ne segue che, nelle applicazioni pratiche, l’ottimizzazione energetica
si risolva in una riduzione al minimo delle perdite di energia dal sistema (ad esempio attraverso i fumi
nel camino o attraverso i disperdimenti dalle pareti o mediante la riduzione degli attriti, …).
In pratica il rendimento energetico viene definito dal rapporto:
E
ηen = utile (9)
Etotale
avendo anche definito:
Eutile = Etotale − E perduta (10)
Il rendimento energetico è una grandezza minore di 1 e il suo complemento esprime il rapporto fra
l’energia perduta e quella totale. Si intuisce dalla (10) come massimizzare il rendimento significhi
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 24

minimizzare le perdite. E’ quello che si fa nelle caldaie, negli accumulatori termici, nel riscaldamento
degli edifici, ….
Si può subito osservare che quanto sopra definito è corretto se le energie in gioco sono tutte dello
stesso valore ovvero se sono della stessa qualità. Va bene per una macchina elettrica o una macchina
operatrice meccanica ma non va bene per una macchina termica perché cambia il valore termico
dell’energia in funzione della temperatura di utilizzo, in base al fattore di Carnot (3).
Pertanto se forniamo ad una caldaia calore a 1500 K per riscaldare acqua a 370 K è evidente che
una definizione di rendimento basato sulla (9) è concettualmente errata perché il calore a 370 K ha un
valore termico molto inferiore del calore fornito a 1500 K. Eppure è ciò che viene giornalmente fatto
quando si definisce il rendimento di caldaia come:
Eutile all ' acqua
ηcaldaia = (11)
E fornita dal bruciatore
e la differenza fra denominatore e numeratore è data dalle perdite attraverso il mantello della
caldaia e attraverso i fumi. L’analisi energetica (diagramma di Sunkey) ci dice che le perdite exergetiche a
bassa temperatura (cioè vicine a quella ambiente) sono trascurabili rispetto al degrado termico
effettuato nello scambiatore di calore fra 1500 K e 370 K.
Ecco allora che appare più corretto definire il rendimento di secondo principio (o secondo
ordine) come:
Lmin ( Exergia utile)
ηex = (12)
Lmax ( Exergia introdotta )
e vale anche la relazione:
Lmax = Lmin + ∆Ex (13)

avendo indicato con ∆EX le perdite di exergia.


Massimizzare il rendimento exergetico significa ridurre le perdite exergetiche dissipando la
minore quantità di lavoro possibile.
E’ utile osservare che l’analisi exergetica può portare a conclusioni anche profondamente diverse
da quelle dell’analisi energetica. Ad esempio il rendimento exergetico di una buona caldaia è circa il 5%
mentre quello energetico può essere anche il 97%: il primo valore ci dice che siamo di fronte ad un
assurdo termodinamico (il degrado del calore dall’alta alla bassa temperatura) mentre il secondo valore
ci inebria e ci riempie di illusioni sulla funzionalità della caldaia.
Lo stesso avviene, lo si ricorderà dalla Fisica Tecnica, andando a calcolare le perdite exergetiche
definite dal rapporto:
Eexergia _ perduta
η perdite _ exergetiche = (14)
Eexergia _ ricevuta
per un condensatore in un impianto a vapore a ciclo Hirn: le perdite energetiche sono enormi
(circa il 66%) mentre quelle exergetiche sono irrisorie (circa 1,5%). Il diagramma di Sunkey per un ciclo
a vapore ci dice che perdiamo moltissima exergia nel processo di combustione e di riscaldamento del
vapore a soli 570 °C pur avendo una temperatura di fiamma di circa 1800 °C.
In base a quanto detto si può osservare che un impianto di riscaldamento può essere reso
efficiente se è possibile migliorare la combustione del gas (ad esempio metano) e degli scambi termici.
Si può immaginare di bruciare metano in una centrale termoelettrica con rendimento exergetico
del 40% e di riscaldare l’acqua dei radiatori con una pompa di calore con COP 3.
Il rendimento exergetico complessivo diviene pari all’8% circa contro qualche percento ottenibile
con l’uso diretto del metano in caldaia per produrre acqua a 80 °C.
Una seconda ipotesi potrebbe essere quella di bruciare metano in un motore a combustione
interna, ad esempio un motore di automobile opportunamente convertito per questo utilizzo, con
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 25

rendimento exergetico del 35% circa e che azioni una pompa di calore. Questa potrebbe preriscaldare
l’acqua che alimenta i radiatori fino a 50 °C utilizzando parte dell’energia del liquido di raffreddamento
del motore e dei gas di scarico del motore per raggiungere temperature fino a 80 °C. Il COP della
pompa di calore salirebbe fino a 3,5 ed il rendimento exergetico complessivo salirebbe fino all’11%.
La cogenerazione e la trigenerazione3 rispondono bene alle necessità di economia dell’exergia
migliorando la qualità dei processi di trasformazione dell’energia. Queste nuove tecniche applicano il
concetto dell’energy cascading e quindi consentono alle singole utenze di attingere ad una sorgente il cui
livello exergetico è il più consono per gli usi finali preposti. Ciò consente di riversare nell’ambiente un
cascame termico quasi del tutto esausto, cioè con un minor grado di irreversibilità e quindi con minore
impatto ambientale.
3.4 IL FATTORE DI QUALITÀ, FQ
Per caratterizzare una fonte di energia si utilizza il fattore di qualità, FQ, che misura la parte di
exergia contenuta nella quantità totale di energia.
Per l’energia elettrica e meccanica FQ=1 mentre per l’energia termica vale il fattore di Carnot (3)
che esprime il grado di conversione ideale di una sorgente di calore in lavoro utile (cioè la sua exergia).
In Figura 10 si ha l’andamento del Fattore di Carnot in funzione della temperatura della sorgente
calda rispetto ad un ambiente a 300 K.

1
0.85

0.8

0.6

FQ ( T )

0.4

0.2

0 0
0 500 1000 1500 2000
300 T 3
2 ×10
Figura 10: Andamento del Fattore di Carnot
Si comprende bene, dall’osservazione di questa figura, come FQ tenda a zero quando ci si
avvicina all’ambiente (dead state) mentre cresce molto quanto più alta è la temperatura della sorgente.
Noto il fattore di qualità FQ si può calcolare l’exergia ottenibile dalla semplice relazione:
e = FQ ⋅ h (15)
ove con h si è indicata l’entalpia specifica (kJ/kg) della fonte considerata.

3
Con Trigenerazione si intende la produzione simultanea di energia elettrica, di calore e di freddo. Si vedrà in seguito
come sono costituiti gli impianti trigenerativi.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 26

3.5 ESPRESSIONI DEI RENDIMENTI


Se consideriamo una macchina cogeneratrice che produrre una potenza elettrica E ed una termica
Q utilizzando una fonte di energia primaria C =m⋅(p.c.i.), con m quantità di combustibile avente potere
calorifico inferiore p.c.i., si definisce rendimento energetico della cogenerazione:
E +Q E+Q
η= = = ηE + ηT (16)
m ⋅ pci C
ove ηE ed ηT sono i rendimenti elettrici e termici ciascuno riferito alla stessa quantità di energia
primaria C. L’exergia del combustibile è definita come il lavoro massimo ottenibile in un sistema termodinamico
aperto in regime puramente con possibilità di scambio termico solo con l’ambiente esterno, sede di una reazione di
ossidazione completa (mediante operazioni reversibili) dell’unità di massa del combustibile con aria comburente, i reagenti
entrando nel sistema a temperatura e pressione ambiente ed i prodotti della combustione uscendo dal sistema ancora a
temperatura e pressione ambiente, ed in equilibrio chimico con l’ambiente esterno.
Ai fini pratici l’exergia del combustibile è quasi coincidente con il suo p.c.i. Nella seguente tabella
si ha il rapporto e/pci di alcuni combustibili.
Combustibile e/pci
Monossido di Carbonio, CO 0,97
Idrogeno, H2 0.985
Metano, CH4 1.035
Etano, C2H6 1.046
Etilene, C2H4 1.028
Acetilene, C2H2 1.007
Gas Naturale 1.04
Coke 1.05
Carbone 1.06
Torba 1.16
Oli combustibili 1.04
Tabella 6: Rapporto exergia-potere calorifico inferiore per alcuni combustibili
L’exergia totale di una massa m di combustibile può, in prima approssimazione, essere posta pari :
ecambustibile = mcombustibile ⋅ pci (17)
Il rendimento exergetico può essere posto nella forma:
E ⋅ FQ ( E ) + Q ⋅ FQ (T )
ηexergetico = = ηE + ηT FQ (T ) (18)
mcombustibile pci
ove si è posto, come già osservato, FQ(E) =1. Si osservi che in questa espressione si suppone che
l’exergia del vapore o dell’acqua calda sia riferita a quella ambiente (che è nulla). Se ci si riferisce ad un
circuito chiuso con acqua di ritorno a temperatura diversa da quella ambiente allora occorre valutare
correttamente l’exergia del flusso di calore come differenza fra il flusso entrante e quello uscente dal
sistema e cioè:
E + mH 2O ( hentrante − huscente ) − T0 ( suscente − sentrante ) 
ηexergetico = (19)
mcombustibile pci
Si vedrà nel prosieguo che è importante confrontare il rendimento cogenerativo con quella del
Sistema di Confronto, SC, definito come il sistema che produce la stessa energia elettrica e termica con
processi separati e quindi non partendo dalla stessa fonte di energia primaria.
Il rendimento della produzione separata del SC è dato dal rapporto:
E+Q
ηSC = (20)
C ( E ) + C (Q)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 27

ove C(E) e C(Q) sono, rispettivamente, le energie primarie necessarie per fornire l’energia
elettrica E e quella termica Q. Naturalmente la produzione separata si suppone effettuata con le migliori
tecnologie reperibili sul mercato.
La cogenerazione è priva di interesse quando ha rendimento minore di quello del sistema di
confronto, cioè con produzione separata.
3.6 RISPARMIO ENERGETICO NEL RISCALDAMENTO DEGLI EDIFICI
La più volte citata L10/91 sul contenimento dei consumi energetici per il riscaldamento
ambientale obbliga al ricorso a fonti rinnovabili o assimilate4 nel caso di edifici pubblici.
Si tratta, quindi, di una norma che tende a favorire il risparmio energetico nelle forme oggi
possibili e sostanzialmente in modo attivo (cioè mediante l’uso di impianti attivi,ad esempio solari) o
passivo (cioè intervenendo sugli involucri degli edifici).
Il risparmio dell’energia nella climatizzazione degli edifici può essere ottenuto in numerosi modi,
spesso sinergici. In primo luogo si può (e si deve!) intervenire nel sistema costruttivo mediante l’uso di
coibenti termici in tipologia e spessori adeguati.
A questo riguardo alcune amministrazione (ad esempio le province autonome di Trento e
Bolzano e qualche altra amministrazione del Nord Ovest) incentivano l’utilizzo dei coibenti termici
anche al di là delle prescrizioni indicate dalla L. 10/91 (già viste in precedenza) premiando il maggior
investimento con una riduzione degli oneri di urbanizzazione o del sistema di tassazione locale.
Un secondo metodo di pari efficacia è quello di ottimizzare l’interazione edificio-impianto mediante
scelte ottimali dei generatori (ad alto rendimento energetico) e con l’adozione di adeguati piani di
manutenzione. Infine la sostituzione delle normali finestre a singolo vetro con analoghe a doppio vetro
o con vetro-camera può contribuire in modo significativo alla riduzione dei consumi energetici,
unitamente al controllo delle infiltrazioni esterne.
L’eliminazione del riscaldamento unifamiliare a favore del riscaldamento centralizzato di
condominio o, meglio, di quartiere può contribuire ancora alla riduzione dei consumi energetici con il
raggiungimento di rendimenti energetici dei generatori certamente superiori a quelli dei piccoli
generatori singoli unifamiliari. In quest’ultima ipotesi si avrebbero benefici notevoli anche sulla
riduzione dell’inquinamento atmosferico per effetto di un miglior controllo della combustione.
Dal punto di vista della riduzione dei consumi, l’applicazione dei concetti di cogenerazione può
fornire contributi certamente significativi. Si consideri, infatti, che l’utilizzo dell’energia termica per il
riscaldamento ambientale è fatto a temperatura sostanzialmente bassa (70 °C in media nei radiatori e 35
°C nei pannelli radianti) e quindi il rendimento exergetico risulta molto basso se si tiene conto che la
combustione in caldaia del gasolio o del gas porta ad avere temperature dell’ordine dei 1000 °C e quindi
con un degrado exergetico molto grande.
Ad esempio, con un utilizzo a temperatura di 330 K rispetto ad una temperatura di fiamma di
1573 K si ha un rendimento exergetico di circa il 4%.
Se consideriamo che ai fini del riscaldamento ambientale solo una frazione (anche se
maggioritaria) dell’energia prodotta in caldaia arriva agli ambienti (si ricordi il rendimento globale
definito con la L. 10/91 come prodotto dei rendimenti del generatore, di distribuzione, di emissione e
di regolazione) allora, detta Qa l’energia effettivamente utilizzata si ha il rendimento exergetico, riferito
all’exergia Ec fornita alla caldaia mediante il combustibile, si ha:;
 T 
Qa 1 − e 
Tai   T 
ηex =  = ηen 1 − ae  (21)
ɺ c
mE  Tai 

4
Si intendono per fonti assimilabili le fonti energetiche derivanti dalla cogenerazione, il calore recuperato da scarichi
(fumi,…), i risparmi energetici conseguenti all’utilizzo di isolanti termici.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 28

avendo indicato con Tae la temperatura dell’aria esterna di alimentazione della caldaia e Tai quella
dell’aria interna. Assumendo Tae = 0 °C e Tai = 20 °C ed un rendimento energetico di caldaia ηen=90%
si ottiene un rendimento exergetico pari a ηex=6%.
Quanto appena calcolato, confrontato con il rendimento energetico dei generatori di calore
normalmente utilizzato nell’impiantistica termotecnica, ci dice che l’utilizzo dell’energia termica da
combustione per il riscaldamento ambientale è, da un punto di vista termodinamico di seconda legge,
scarsamente efficiente.
Se invece di utilizzare l’energia termica direttamente nell’impianto di riscaldamento la utilizziamo
per produrre energia elettrica (ciclo Hirn) ed alimentiamo in contropressione la turbina in modo da
avere anche un utilizzo termico allora il fattore di utilizzazione energetico diviene:
Energia _ Elettrica + Energia _ Termica
fu = (22)
Entalpia _ combustibile
Si osservi che la precedente relazione non definisce un rendimento termodinamico poiché rapporta
energie non omogenee (cioè di diversa qualità exergetica).
Un uso dei combustibili come prima indicato porta ad avere riduzioni significative del 20÷30%
rispetto alla produzione separata di energia elettrica e termica.
Anche l’uso delle pompe di calore risulta exergeticamente più conveniente. Ad esempio, con
riferimento ad un ciclo di Carnot inverso, una potenza meccanica W fornisce una potenza termica:
T1
W (23)
T1 − T2

ove T1 è la temperatura maggiore e T2 quella minore (in pratica si ha COP=T1/(T1-T2) ).


Ad esempio operando con un ciclo inverso di Carnot fra 1 e 40 °C si ha un COP = 8.06 che, in
un ciclo reale divengono circa 5.
La pompa di calore può anche funzionare in modo diretto (ciclo estivo) producendo acqua
refrigerata per il condizionamento e quindi potrebbe essere utilizzata durante tutto l’anno per la
climatizzazione degli edifici.
Ne segue che per un uso intelligente dell’energia occorrerebbe incentivare l’installazione di
impianti di climatizzazione a pompa di calore. Purtroppo i costi elevati dei componenti unitamente ad
una tariffazione dell’energia elettrica che vede l’Italia molto sfavorita (abbiamo le tariffe più alte in
Europa!) rendono la diffusione delle pompe di calore problematica e quasi di nicchia, malgrado che
l’attuale legislazione preveda anche forme di sovvenzionamento per i nuovi impianti.
La produzione combinata di energia elettrica e vapore per teleriscaldamento (vedansi gli esempi dei
comuni di Brescia e Ferrara) produce benefici elevati sia in termini energetici che di costi finali del
riscaldamento ambientale.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 29

4 SISTEMI AD ENERGIA TOTALE, SET

La pigrizia mostrata per decenni nell’uso della cogenerazione viene oggi pian piano combattuta
dall’esigenza di innovazione tecnologica in settori (quelli energetici) spesso scossi da forti crisi mondiali
che finiscono per condizionare la vita stessa dei popoli. In questa ottica si inquadrano i Sistemi ad Energia
Totale (detti SET) che cercano di soddisfare contemporaneamente entrambe le esigenze di una utenza: quella
termica e quella elettrica. I SET possono utilizzare energie tradizionali o anche fonti energetiche
rinnovabili o comunque alternative a quelle fossili tradizionali. Qui ci limiteremo ad esaminare con
maggior dettaglio i SET alimentati con energia tradizionale.
Occorre precisare che i sistemi SET si stanno sviluppando in Italia solo di recente poiché fino a
pochi anni fa la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica era appannaggio unicamente
dell’ENEL. Con l’avvento della deregulation in campo energetico elettrico (L. 308/82) si è avuta la
possibilità di avere energia elettrica prodotta da terze parti e quindi anche da privati o industrie (piccole
e grandi) mediante sistemi quasi sempre di tipo combinato, cioè che risolvono problemi sia termici che
elettrici.
Si pensi, ad esempio, all’industria petrolifera che ha in Sicilia tre poli di notevole importanza
capaci di autoprodursi ed esportare l’energia elettrica in eccesso con potenze di centinaia di MW.
Purtroppo le condizioni di monopolio degli enti statali per l’energia elettrica (ENEL) e per il gas
(SNAM) hanno bloccato ogni sviluppo, anche scientifico, nel settore dei SET.
Finalmente l’epoca dei monopoli (di mentalità tipicamente e strettamente italiana!) sta per finire
sotto l’impulso delle nuove regole europee di libera concorrenza (evviva!) e pertanto anche la comunità
scientifica potrà giovarsi dei nuovi sviluppi che il settore dell’energia potrà dare.
Si pensi che l’ENEL sta per lasciare in parte il settore produttivo (le centrali termoelettriche) per
dedicarsi alla sola distribuzione. Nuovi soggetti, anche privati, potranno produrre energia elettrica e
potranno liberamente distribuirla in rete.
Lo schema di funzionamento di un sistema ad energia totale, SET, è dato in Figura 11. Si può
osservare come detto sistema cerchi di risolvere sia l’aspetto termico che elettrico dell’utenza (civile o
industriale) ottimizzando l’utilizzo delle fonti energetiche e quindi massimizzando le qualità
termodinamiche (cioè exergetiche). Per potere raggiungere questi obiettivi occorre definire con precisione
le configurazioni di impianto, i vincoli esterni, le metodologie di analisi exergetica e i criteri di
valutazione del SET in relazione al mondo esterno (sia sotto l’aspetto energetico che ambientale).
Ciò comporta la definizione di una adeguata metodologia progettuale e di impiego di tecniche di
analisi (energetica ed economica) adeguate.

C O M B U S T IB IL E U TEN ZE
MOTORE PRIMO
E L E T T R IC H E

C O M B U S T IB IL E
U T E N Z E T E R M IC H E
CALDAIA

Figura 11: Schema di principio di un SET


4.1 CONFIGURAZIONE DEI SISTEMI ENERGETICI TOTALI (SET)
Il SET è un sistema termodinamico a tutti gli effetti e pertanto può essere essenzialmente di tipo
aperto e di tipo chiuso. Definiamo chiusi i SET che interagiscono con la sola utenza, vedi Figura 12,
mentre definiamo aperto un SET che interagisce anche con le grandi reti di distribuzione dell’energia
elettrica e del calore, vedi Figura 13.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 30

ENERGIA ELETTRICA

SET UTENZA

ENERGIA TERMICA

Figura 12: Schema chiuso di un SET


La scelta della tipologia è dettata dalla taglia dell’impianto e dagli obiettivi che si intendono
raggiungere. I sistemi aperti possono esserlo solo dal lato elettrico o dal lato termico o da entrambi i
lati. Per sistemi aperti dal lato elettrico si ha la possibilità di sfruttare la rete elettrica ENEL che,
essendo attualmente monopolistica, è piuttosto diffusa e ben magliata. Un sistema aperto dal lato
termico può appoggiarsi alle reti di distribuzione del calore (reti urbane di teleriscaldamento, reti dei
servizi di utilities industriali, …).
E’ il motore primo che caratterizza il SET. E’ questo componente, infatti, che alimenta l’utenza
elettrica con una frazione di scarto di energia termica.
Spesso non è sufficiente un solo motore primo per soddisfare tutte le esigenze dell’utenza poiché
esistono quasi sempre vincoli impiantistici fra le frazioni di energia elettrica e termica prodotte.
Di solito l’integrazione delle richieste elettriche viene effettuata tramite l’allacciamento alla rete
ENEL. Se l’utenza richiede servizi più articolati, ad esempio calore, elettricità e servizi di riscaldamento
e condizionamento a pompa di calore, allora occorre integrare il SET anche con altri componenti quali
pompe di calore, macchine ad assorbimento, sistemi di refrigerazione e/o di accumulo dell’energia.

RETE ELETTRICA ITALIANA

ENERGIA ELETTRICA

SET UTENZA

ENERGIA TERMICA

RETE DI CALORE

Figura 13: Schema Aperto di un SET


In genere si hanno due tipologie di funzionamento del motore primo, a seconda delle esigenze
dell’utenza e delle condizioni al contorno del SET:
⋅ Funzionamento a carico elettrico imposto: il motore primo è dimensionato per soddisfare
totalmente il carico elettrico dell’utenza e pertanto il carico termico può essere soddisfatto anche
con integrazioni esterne (sistema aperto dal lato termico).
⋅ Funzionamento a carico termico imposto: il motore primo è dimensionato per fornire
totalmente il carico termico dell’utenza e si utilizza la rete ENEL per soddisfare eventuali
deficienze nel carico elettrico (sistema aperto dal lato elettrico).
La scelta del sistema di funzionamento è funzione di variabili economiche e di condizioni al
contorno del SET e dell’utenza.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 31

Le condizioni al contorno (vincoli) variano a seconda se il SET è indirizzato al settore civile o a


quello industriale. Nel settore civile si possono avere società di servizi (energia elettrica, calore, gas)
municipalizzate che possono avere proprie centrali di produzione.
Nel settore industriale le industrie (specialmente quelle di grande taglia) possono produrre
quantità notevoli di energia elettrica e possono anche rivenderla all’ENEL (in futuro non ci sarà più questo
interlocutore unico, per fortuna). Nel caso di cessione di energia al Gestore (ENEL) si hanno regole fissate
dall’attuale legislazione che fissano il prezzo in base alle delibere del Comitato Interministeriale Prezzi (CIP).
I contratti con ENEL garantiscono i seguenti servizi:
⋅ Integrazione: cioè fornitura di energia all’utenza nel caso di richiesta (acquisto) di energia per i
propri fabbisogni (tipico dei sistemi a carico termico imposto);
⋅ Parallelo: cioè capacità di collegamento alla rete ENEL con la garanzia del mantenimento della
frequenza (50 Hz ± 0,5 Hz) e della tensione. In pratica l’ENEL rende disponibile il proprio
sistema di regolazione potenza-frequenza in modo da mantenere il più uniforme possibili i valori di
tensione e frequenza. Questa regolazione consente alla rete pubblica di avere inserimenti e
disinserimenti di carichi (anche grandi) senza conseguenze sulle variabili di controllo suddette.
⋅ Soccorso: in questo caso l’ENEL fornisce energia all’utenza nel caso di fuori servizio degli impianti
interni;
⋅ Riserva programmata: viene fornita energia all’utenza durante i periodi di manutenzione
programmata dei loro impianti;
⋅ Vettoriamento: nel caso di soggetti produttori con più sedi localizzate in siti distinti l’ENEL si
incarica di trasportare l’energia prodotta da uno stabilimento all’altro;
⋅ Ritiro dell’energia: cioè acquisto da parte ENEL dell’energia prodotta dal soggetto e che risulti in
eccesso rispetto ai propri fabbisogni interni;
⋅ Permuta: quindi scambio di energia autoprodotta con quella prodotta dall’ENEL in determinati
periodi.
Come già detto in precedenza, in Sicilia si hanno casi notevoli di autoproduzione dell’energia
elettrica nei poli petrolchimici di Priolo, Gela e Milazzo. La potenza disponibile in rete è dell’ordine del
centinaio di MW e questo contribuisce a ridurre il deficit energetico ENEL e quindi a limitare le
importazione energetiche dal Nord. Una interessante possibilità di energia prodotta e venduta come
sopra specificato si avrà in Sicilia con l’installazione di impianti di termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani
(RSU). Questi nuovi impianti potranno produrre una potenza valutata in 100÷150 MW e quindi
ridurranno ancora ulteriormente il deficit energetico siciliano. Questa energia, inoltre, avrà un prezzo di
acquisto da parte ENEL concordato secondo le indicazioni del CIP65 o del nuovo Decreto Bersani6
entrato in vigore nel 2000.
Si tenga presente che i sistemi SET e in genere i sistemi di cogenerazione richiedono conoscenze
tecnologiche aggiuntive a quelle dei tradizionali impianti termotecnici ed elettrici. Ciò comporta il
ricorso a competenze tecniche specialistiche che aggravano i costi di primo impianto e di gestione. In
campo civile questo problema può essere rilevante mentre in campo industriale si può pensare che le
suddette competenze siano più facilmente reperibili all’interno delle stesse industrie. In ogni caso un
progetto SET basa la sua motivazione d’essere sulla maggiore convenienza rispetto agli impianti
tradizionali.

5 La delibera del Comitato Interministeriale dei Prezzi relativa alla tariffa speciale di acquisto dell’energia elettrica
prodotta da terze parti è nota come CIP6 del 1992. Attualmente il prezzo dell’energia è di circa 290 L/kWh (prezzo politico
di incentivazione) ed ha una validità contrattuale di 8 anni. Il CIP6 è attualmente sospeso in attesa di una nuova delibera CIP
che fissi modalità di cessione dell’energia elettrica confacente alle nuove esigenze di produzione e distribuzione dell’energia.
6 Questo decreto impone ai nuovi gestori della distribuzione dell’energia elettrica di acquistare e distribuire almeno il

2% di energia indicata col termine verde e cioè prodotta da fonti alternative (fra cui anche i RSU). Questa percentuale
dovrà salire negli anni futuri fino oltre il 6%. L’energia verde viene ceduta mediante certificati di credito che attualmente
valgono circa 200 Lire per kWh.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 32

Questa convenienza deve essere dimostrata con una analisi economica dettagliata (studio di
fattibilità tecnico-economica e business plan) che parta dall’esame dei carichi elettrici e termici e tenga conto
delle condizioni al contorno (distributori esterni di elettricità e di calore).
Quanto appena detto comporta la necessità di descrivere con maggior dettaglio l’approccio
metodologico all’analisi progettuale dei SET.
4.2 METODI DI ANALISI PROGETTUALI PER UN SET
La scelta e la composizione di un sistema energetico totale può essere molto complessa sia per la
molteplicità di soluzioni tecniche possibile che per grande variabilità delle esigenze dell’utenza.
E’ necessario, pertanto, una attenta analisi economica ed energetica sulla base dei diversi parametri di
riferimento possibili e disponibili.

4.2.1 ANALISI DELLE ESIGENZE DELL’UTENZA


L’analisi progettuale inizia con l’esame delle esigenze impiantistiche dell’Utenza e cioè dalla
corretta definizione delle esigenze termiche ed elettriche, dalla tipologia di impianto (fluidi termovettori,
variabilità temporale dei carichi,….) e dalla conoscenza e definizione dei vincoli tecnologici ed
ambientali.
I parametri principali nell’analisi del fabbisogno dell’Utenza si possono qui riassumere:
⋅ Potenza elettrica assorbita; PE;
⋅ Potenza termica assorbita, PT;
⋅ Energia elettrica consumata, EE;
⋅ Energia termica consumata, ET;
⋅ Rapporto termico/elettrico (energia termica richiesta rispetto all’energia elettrica richiesta), C;
⋅ Portata del fluido termovettore, Q;
⋅ Temperatura e pressione del fluido termovettore, T,p;
⋅ Fattore di utilizzazione degli impianti, fu.
Ai fini della scelta del motore primo occorre conoscere i valori medi e le variabilità dei suddetti
parametri. Inoltre questa scelta è funzione della destinazione d’uso degli impianti: per uso civile e per
uso industriale.

4.2.2 SETTORE CIVILE


Per la definizione dei valori dei parametri di una utenza civile occorre partire dai dati urbanistici,
demografici e metereologici.
I consumi di energia elettrica sono tipicamente destinati a:
⋅ Servizi pubblici (acquedotti, illuminazione, );
⋅ Servizi abitativi locali (illuminazione esterna,ascensori, elettrodomestici, illuminazione interna,
condizionamento, produzione di acqua calda,…);
⋅ Servizi per le utenze terziarie (scuole,uffici, negozi,…)
I consumi di energia termica sono tipicamente destinati a:
⋅ Servizi abitativi (riscaldamento, acqua calda per usi sanitari, usi di cucina,…);
⋅ Servizi per le utenze terziarie (riscaldamento, acqua sanitaria, altri usi, …..).
Nel caso dell’uso civile la parte preponderante dell’energia termica è destinata al riscaldamento
ambientale che è caratterizzato da una variabilità giornaliera, mensile e stagionale.
Occorre sapere il tipo di combustibile utilizzato (gasolio, metano, oli pesanti,….) e di fluido
termovettore (ad esempio acqua calda,..).
I consumi termici possono essere caratterizzati da indici di prima approssimazione (quale, ad
esempio, il consumo specifico per unità di volume) o di seconda approssimazione, più precisi, derivanti
da calcoli specifici in relazione alla tipologia edilizia e alla climatologia del sito.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 33

E’ possibile anche usare codici di calcolo per avere indicazioni più affidabili in funzione dei
parametri edilizi e climatologici del sito. I dati relativi al fabbisogno possono essere globali (riferiti
all’anno), mensili, giornalieri o anche orari.

4.2.3 SETTORE INDUSTRIALE


Oltre a quanto specificato per il settore civile occorre aggiungere anche i consumi interni per i
processi di lavorazione che offrono una grande casistica e variabilità.
Nel caso di applicazioni industriali ci si può riferire alla contabilità aziendale per centri di costo
per reperire dati certi e specifici sui costi energetici.
Anche in questo caso si possono avere dati organizzati per media annuale, mensile, giornaliera ed
oraria. Spesso è possibile organizzare i dati mediante curve di frequenza che forniscono l’andamento
cumulativo dei carichi nel tempo.
C A R IC O

1000 2000 4000


ORE

Figura 14: Andamento cumulativo dei carichi (Diagramma di Frequenza)


Occorre anche definire i sistemi di produzione e i fattori di utilizzo degli impianti e dei sistemi di
produzione e trasformazione dell’energia. Quando è possibile, è sempre bene effettuare una rilevazione
diretta dei carichi termici ed elettrici.
4.3 SCELTA DELLA CONFIGURAZIONE
La configurazione del SET può essere effettuata una volta noti i carichi, come sopra indicato, e la
disponibilità di servizi aggiuntivi (sistemi aperti). In particolare si può scegliere il motore primo e gli
eventuali componenti aggiuntivi (caldaie, pompe di calore, …).
I motori primi disponibili su mercato sono caratterizzati da ben precisi rapporti fra energia
termica ed energia elettrica prodotte:
Energia_Termica_Utile_Prodotta
CMP = (24)
Energia_Elettrica_Utile_Prodotta
Pertanto la scelta del motore primo si effettua confrontando il rapporto offerto rispetto a quello
richiesto dall’Utenza (vedi parametri sopra definiti).
Preliminarmente si assume CMP ≤ CU per minimizzare la quantità di energia termica recuperata dal
motore non utilizzabile dall’Utenza.
La scelta del motore primo deve essere compatibile con i livelli entalpici e i fluidi termovettori
richiesti dall’Utenza e de essere compatibile con i vincoli esterni (combustibili disponibili, rispetto
ambientale, impatto ambientale, …).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 34

Inoltre occorre tenere conto della durata dei fabbisogni di energia termica ed elettrica dell’Utenza,
cioè del numero di ore annuo in cui il rapporto utente è eguagliato o superato.
Di solito si fa in modo che le punte di carico (sia termico che elettrico, vedi Figura 14) siano
soddisfatte dalle reti di servizio esterne (rete elettrica e/o termica) lasciando al motore primo i carichi
intermedi in modo da non saturarlo. Nel caso di indisponibilità di reti esterne (sistema aperto) si fa
ricorso a componenti integrativi. Spesso la rete termica non è disponibile e pertanto si ricorre ad un
generatore ausiliario mentre si lascia alla rete ENEL il compito di intervenire per soddisfare le punte del
carico elettrico.

4.3.1 OTTIMIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI SET


La variabilità dei carichi elettrici e termici e le peculiarità dei motori primi disponibili portano alla
necessità di ottimizzare gli impianti SET ricorrendo a componenti aggiuntivi ed integrativi. Occorre
tenere conto che:
⋅ La pompa di calore elettrica permette di modificare il rapporto termico/elettrico dell’Utenza
trasformando un fabbisogno termico in uno elettrico, vedi Figura 15.

CO M BU STIBILE UT ENZE
MOTORE PRIMO
E LE TTR ICHE

ENERGIA POMPA DI
TERMICA CALORE

CO M BUS TIB ILE CALDAIA


AUSILIARIA
UTE NZE TE RM ICHE

Figura 15: Inserimento di una pompa di calore per incrementare il carico elettrico
⋅ La macchina ad assorbimento permette di trasformare un fabbisogno di tipo elettrico
(compressore frigorifero tradizionale) in uno di tipo termico (cioè si ha il caso duale del
precedente).
⋅ Un sistema di accumulo di energia termica permette di ridurre le punte di potenza nel
diagramma di carico orario dell’Utenza.
Le tre possibilità concorrono ad avvicinare CMP al CU minimizzando il ricorso (interscambio)
all’integrazione mediante reti esterne (ENEL o di servizi calore).
4.4 ANALISI ENERGETICA ED ECONOMICA DI UN SET
Per stabilire la convenienza di un SET occorre effettuare una analisi energetica ed una economica
secondo le linee delineate nel prosieguo.
4.5 ANALISI ENERGETICA DI UN SET
Per effettuare l’analisi energetica di un SET occorre seguire una metodologia di analisi che sia in
grado di quantificare le prestazioni del SET, permetta di operare un confronto con la situazione
preesistente o in ogni caso con un sistema convenzionale. Inoltre occorre pervenire alla definizione dei
dati necessari per la valutazione della convenienza economica. Abbiamo fin ad ora caratterizzato il
motore primo mediante il rapporto CMP (rapporto termico/elettrico fornito). E’ ora opportuno definire
nuovi parametri caratteristici e in particolare:
Rendimento Elettrico (o Termodinamico) NE
E’ dato dal rapporto:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 35

EE
NE = (25)
F
ove EE è l’energia elettrica prodotta ed F è l’energia primaria del combustibile necessaria per
produrre EE.
Rendimento Termico NT
E’ dato dal rapporto:
ET
NT = (26)
F
con ET energia termica utile prodotta ed F energia del combustibile per produrre ET.
Rendimento Globale NTot
E’ dato dalla somma:
NTot = N E + NT (27)
Si ricordi che questa somma non è omogenea in quanto si sommano grandezze aventi qualità
termodinamica diversa.
Rendimento Exergetico EEx
Dato dalla relazione:
 T 
EEx = N E + NT 1 − 0  (28)
 T1 
ove T0 è la temperatura di riferimento, in K, T1 è la temperatura di utilizzo del calore, in K.
Il rendimento exergetico pesa in modo corretto i contributi elettrici e quelli termici (mediante il
Fattore di Carnot) e quindi valuta correttamente i benefici di un sistema SET basato sulla
cogenerazione. Come è facile dedurre dalla (28), il rendimento exergetico è tanto maggiore quanto più
elevata è la temperatura di utilizzo termico T1.
Quanto sopra indicato vale per un SET nel quale siano individuati univocamente i morsetti
elettrici (uscita elettrica) e la flangia di uscita del calore. Possono esserci casi più complessi nei quali, ad
esempio, gli utilizzi termici avvengono a temperature diverse e quindi si dovranno calcolare
separatamente i singoli contributi termici.
Rendimenti di distribuzione
Per tenere conto della distribuzione dell’energia si definiscono i seguenti rendimenti:
⋅ Rendimento di distribuzione elettrica NDE;
⋅ Rendimento di distribuzione termica NDT.
Come già detto, per valutare i benefici indotti dal SET occorre effettuare un confronto con la
soluzione preesistente o convenzionale. Ciò si ottiene introducendo il concetto di Sistema
Convenzionale di Riferimento (SC) definito come quel sistema che produce in modo disgiunto la
stessa quantità di energia elettrica e termica ottenuta, questa volta in modo congiunto, dal SET.
Risparmio di Energia Primaria, R
E’ il risparmio di energia primaria di un SET che abbia rendimenti elettrico NE e termico NT è
definito, a pari quantità di energia elettrica e termica prodotta, dalla relazione:
1
R= (29)
N E NT
+
N E NT
ove i parametri sopra segnati sono riferiti al Sistema Convenzionale (SC).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 36

Costo Marginale del Calore, CMT


Il Costo Marginale del Calore è l’energia primaria che occorre fornire in più ad un SET che produce
solo energia elettrica per produrre una unità di energia termica e la stessa energia elettrica prodotta dal
SC. Esso è definito, quindi, dal rapporto:
N
1− E
NE
CMT = (30)
NT
Costo Marginale dell’Energia Elettrica, CME
Il Costo Marginale dell’Energia Elettrica è l’energia primaria che occorre fornire in più ad un SET
che produce solo energia termica per produrre una unità di energia elettrica e la stessa energia termica
prodotta dal SC. Esso è definito, quindi, dal rapporto:
N
1− T
NT
CME = (31)
NE
Entrambi i due parametri di costo marginale possono anche tenere conto dei rendimenti di
distribuzione dell’energia elettrica e termica.
Modalità di Confronto fra SET ed SC
Per confrontare il Sistema Convenzionale (SC) ed il Sistema ad Energia Totale (SET) in una data
applicazione si possono utilizzare i rendimenti exergetici.
Sulla base dei parametri definiti nel paragrafo precedente è possibile confrontare i flussi di energia
in entrata e in uscita sia per il SC che per il SET, la quantità di energia utile prodotte dal SC e dal SET, il
consumo di combustibile, i rendimenti ed il risparmio di energia primaria.
4.6 ANALISI ECONOMICA DI UN SET
I benefici termofisici (riduzione dei consumi, riduzione di energia primaria) di un sistema SET
possono essere calcolati mediante le definizioni del paragrafo precedente. Il confronto e la convenienza
di un SET è però determinata anche da parametri economici e pertanto è fondamentale predisporre
un’analisi economica approfondita.
Da un punto di vista termodinamico sarebbe meglio definire un’analisi exergonomica, cioè un’analisi
economica basata sui rendimenti exergetici anziché solamente energetici. In definitiva un’analisi basata sul
secondo principio della Termodinamica è oggi (da non più di due decenni) più indicata di una semplice
analisi di primo principio.
In genere un sistema termofisico (cioè un impianto di cogenerazione nel caso in esame) con i
valori di rendimenti più elevati è anche il sistema economicamente più costoso sia in termini di primo
investimento che di gestione.
Occorre pertanto verificare sempre la convenienza economica di una scelta progettuale (SET) e
in particolare, tenuto conto dell’obiettivo di un SET di ridurre i consumi energetici rispetto ai sistemi
convenzionali, occorre dimostrare che le spese di investimento richieste per il SET (certamente
maggiori rispetto a quelle corrispondenti di un Sistema Convenzionale che utilizza tecnologie note e più
comuni) siano giustificate da un minor costo di gestione.
E’ proprio quest’ultimo aspetto che riveste una importanza economica fondamentale: in genere la
fattibilità tecnico economica tende a dimostrare che il risparmio di gestione (cioè di energia primaria
e manutenzione degli impianti SET) nell’arco di vita (programmata) dell’impianto compensa il
maggior costo di investimento.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 37

E in genere c’è anche un utile aggiuntivo7 che giustifica l’investimento!


E’ bene sottolineare che non sempre la convenienza energetica porta (o giustifica) una
convenienza economica per cui è bene condurre le analisi energetica ed economica con molta
attenzione utilizzando dati certi e verificati. Spesso il margine di profitto di questi investimenti è basso o
addirittura nullo e l’investimento si giustifica anche per altri benefici indotti quali il minor
inquinamento, posti di lavoro aggiuntivi, rinnovo degli impianti, riduzione delle tasse8 ,….
L’analisi economica segue le regole finanziarie tipiche dell’analisi Costi Benefici e/o del Bussiness
Planning che in questa sede non si approfondiscono perché appaiono fuori tema. Se ne forniscono
brevemente i principi basilari e si rimanda ai testi specializzati di economia per una trattazione
approfondita.
Scopi dell’analisi economica
Fra gli scopi principali occorre:
⋅ Valutare gli effetti economici della scelta e quindi della costruzione di un sistema ad energia
totale, SET, in funzione dei fattori di progetto quali, i dati di produzione e consumi di energia
termica ed elettrica, configurazione dell’impianto e criteri di gestione;
⋅ Valutare i dati economici relativi all’investimento e alla gestione dell’impianto anche in relazione
al costo di mercato dei vari componenti, del costo dell’energia e dei servizi esterni;
⋅ Valutare i dati economici dell’Utenza, quali il personale, il sito, le strutture ausiliarie, le spese
assicurative, …;
⋅ Prevedere lo scenario evolutivo della disponibilità e del costo dell’energia. Si tratta di una
operazione complessa e fortemente aleatoria in quanto legata a variabili non governabili
localmente ma dipendenti, a scala mondiale, da situazioni geo-politiche, da interessi economici e
speculativi di difficile previsione.
In genere i costi vengono suddivisi in:
⋅ Fissi: sono i costi relativi all’investimento per l’acquisto dei componenti, per la realizzazione delle
opere civili, per gli impianti ausiliari, per le spese di montaggio e collaudo dell’opera;
⋅ Variabili: sono i costi relativi ai combustibili, ai lubrificanti e in genere ai materiali di consumo
legati al funzionamento del SET. Sono qui comprese le spese di manutenzione e, per i sistemi
aperti, i costi dei flussi di energia elettrica e termica dalle reti esterne.
Metodo del Cash Flow Attualizzato
Un metodo molto spesso utilizzato e particolarmente efficace per la valutazione economica è
denominato Cash Flow Attualizzato e rappresenta il bilancio, in genere si base annuale, dei flussi di cassa del
denaro attualizzati che interessano una data attività e quindi anche per l’analisi economica di un SET.
In Figura 16 si ha lo schema a blocchi di un cash flow per un sistema ad energia totale, SET e
vale il seguente simbolismo:
⋅ AS incasso annuale totale proveniente dalla globalità delle vendite dei prodotti e/o servizi;
⋅ ATE spese totali annuali necessarie per vendere e produrre il prodotto e/o servizi (ad
esclusione degli ammortamenti);
⋅ ACI Entrata di cassa annuale;
⋅ AIT Tassa annuale sulle entrate;

7 La L. 10/91 si basa su questo concetto di ritorno dell’investimento aggiuntivo favorendo l’aggiornamento degli

impianti da parte di Terzi Dante Causa (cioè i Gestori) senza richiedere alcun costo agli Enti Proprietari. In definitiva i
Gestori possono aggiornare gli impianti e in particolare possono sostituire le caldaie con altre di alto rendimento (più
moderne ed efficienti) pagando le spese con il minor costo di gestione (energia e manutenzione) conseguente.
8 Si pensi alla Carbon Tax che oggi in sede europea si vuole applicare a tutte le attività produttive che generano CO
2
mediante processi di combustione.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 38

⋅ ATC spese annuali di capitale di investimenti che non sono necessariamente nulli dopo che
l’impianto è stato costruito (ad esempio, per ampliamenti, modifiche, sostituzioni, ….);
⋅ ACF Flusso di cassa annuale al netto delle tasse.

ATE AIT ATC

As ACI ACF

Figura 16: Schema a blocchi di un Cash Flow per un SET


Valgono le seguenti relazioni di bilancio (espresse in moneta coerente, L/anno o €/anno):
ACI = AS − ATE (32)

ANCI = ACI − AIT (33)


ove ANCI è l’entrata di cassa netta. Ancora:
AIT = ( ACI − AD − AA ) t (34)
ove è:
⋅ AD quota annuale di ammortamento. L’ammortamento è una grandezza che non
corrisponde ad un vero flusso di denaro di cassa ma risulta essere una scrittura contabile
di una forma di ripristino del capitale iniziale speso per gli acquisti dell’impianto. Le
quote di e la durata di ammortamento sono determinate da norme fiscali che possono
variare da stato a stato.
⋅ AA quota di denaro annua corrispondente ad eventuali sgravi fiscali (ad esempio
cofinaziamento o altre forme di sgravio fiscale determinato dalla legislazione corrente
per il tipo di investimento).
⋅ t aliquota di tassazione (espressa in valore relativo fra 0 ed 1).
Ancora si ha la relazione:
ACF = ACI − ( ACI − AD − AA ) t − ATC (35)
Pertanto il flusso di cassa attualizzato si ottiene sommando algebricamente, per tutto l’arco di
tempo di vita dell’impianto, le grandezze annuali attualizzate dello schema a blocchi di Figura 16.
L’andamento temporale del Cash Flow varia di anno in anno, come indicato a titolo di esempio in
Figura 17. All’inizio il cash flow è negativo perché si pagano gli impianti senza riceverne alcun beneficio
e il periodo di negatività dipende dalla complessità dell’opera esaminata.
Successivamente il Cash Flow comincia a salire e può variare nel corso degli anni per effetto di
modifiche di benefici fiscali9.
In genere la sola conoscenza dell’andamento di ACF (Cash Flow) nell’arco di tempo considerato
come tempo di vita dell’impianto o dell’iniziativa fornisce informazioni poco fruibili per la valutazione

9 Ad esempio la tariffazione agevolata CIP6 scade dopo 8 anni e quindi la vendita di energia elettrica a tariffa di

mercato (notevolmente inferiore a quella CIP6) comporta una riduzione di flusso cassa, come indicato in Figura 17.
Analogamente si possono avere cessazioni di benefici fiscali per la mano d’opera: in Sicilia si ha la fiscalizzazioni di parte
degli oneri sociali per i primi 5 anni di attività. Oppure ci possono essere dipendenti assunti con la cosiddetta Legge Giovanile
con oneri fiscali ridotti e che dopo due anni di servizio ritornano alla piena fiscalità.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 39

della convenienza economica poiché non è agevole confrontare tra loro movimenti di danaro distribuiti
nel tempo in modo non omogeneo.
Si utilizzano, pertanto, opportuni indicatori economici che sintetizzano la variabilità nel tempo di ACF
in espressioni di facile e comodo uso.
Cash Flow (icluding taxes)

60.000

40.000

20.000

0
0 2 4 6 8 10 12 14 16
CF

Cash Flow (icluding taxes)

-20.000

-40.000

-60.000

-80.000
Anni

Figura 17: Andamento tipico di un Cash Flow nell’arco di 15 anni


⋅ Valore attuale, VAN: somma estesa a tutto il tempo di vita dell’impianto o dell’iniziativa di tutti
i flussi di cassa annuali attualizzati ad uno stesso anno, di solito quello iniziale;
⋅ Indice di Redditività interno, IIR: tasso di interesse che rende nullo il valore attuale;
⋅ Tempo di pay-back o di ritorno, TPB: è il numero di anni (o frazione di anni) dopo i quali il
cash flow cumulativo diviene nullo. In pratica questo parametro indica il tempo necessario a
riprendere il capitale investito nell’iniziativa10.
Il valore attuale del flusso di cassa (indicato universalmente con l’acronimo NPV, Net Presentò
Value) è dato dalla seguente espressione:
N

∑ nA CFn
NPV = 1
(36)
(1 + i )
n

dove si ha il simbolismo:
⋅ i tasso di attualizzazione11;
⋅ n anno di vita considerato dell’iniziativa;
⋅ N tempo di vita dell’impianto o dell’iniziativa. Questo tempo è dettato, spesso, da
considerazioni finanziarie quali, ad esempio, tempo di estinzione del mutuo bancario avuto per
l’investimento o la durata di una concessione pubblica o contrattuale di una iniziativa.
Normalmente varia fra 15 e 20 anni anche se si possono considerare tempi più lunghi.

10
In Figura 17 il tempo di pay-back è dato dall’ascissa di intersezione della curva cumulativa con l’asse dei tempi.
11
L’attualizzazione tiene conto della svalutazione del denaro per effetto degli interessi (tasso di sconto) da pagare al
finanziatore per avere disponibile la somma S al momento iniziale dell’investimento. Il valore di S fra n anni con interessi i è
V = S (1 + i ) e V è detto valore attuale della somma S al tasso di sconti i dopo n anni.
n
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 40

L’indice IIR (Indice di Redditività Interno) si ha quando è NPV=0. Questo indice è considerato fra i
più importanti per la valutazione economica perché sintetizza numerosi aspetti economici che il Tempo
di Ritorno12 o il Valore Attuale da soli non consentono di vedere. Questi ultimi due parametri sono, però,
accessori all’IIR e comunque richiesti per la valutazione economica.
Viene indicato con Valore Attuale Netto di un investimento I nel periodo N e valore attuale NPV
la differenza:
VAN = NPV – I (37)
Si definisce Indice di Profitto, IP, il rapporto tra la somma dei flussi di cassa lordi attualizzati ed il
valore degli investimenti. Nel caso in cui l’intero investimento sia riferibile al momento iniziale allo si
ha:
VAN + I NPV
IP = = (38)
I I
Si definisce inoltre Redditività dell’Investimento, RI, il rapporto:
VAN
RI = (39)
I
Sono oggi molto usati alcuni indici di derivazione anglosassone e in particolare il Tasso di
Redditività, ROI (Return of Investment), definito dal rapporto fra l’utile medio annuale e l’investimento
iniziale. L’utile medio annuale è definito come differenza tra il risparmio annuale medio R e la quota di
ammortamento della spesa iniziale Sa, pertanto si ha:
R − Sa
TR = ROI = (40)
I
Osservazione sul metodo del Net Cash Flow
Il metodo del flusso di cassa netto consente di determinare una innumerevole quantità di indici
(più o meno richiesti dalle banche in sede di certificazione del bussiness plan) ma occorre fare molta
attenzione al valore reale che il metodo può avere. Esso, infatti, si basa sulla presunzione di prevedere gli
andamenti a lungo termine dei vari parametri finanziari oltre che dei costi e dei ricavi.
Non è assolutamente facile arrivare a tanta sicurezza specialmente se le previsioni si estendono
oltre i cinque anni. Un esempio può chiarire quanto appena enunciato. Se si vuole esaminare la
convenienza economica di un SET nell’arco di venti anni si deve inevitabilmente assumere un costo
dell’energia primaria (gasolio, gas metano, …) che è certamente noto al momento della stesura dello
studio ma che è del tutto imprevedibile nel corso dei successivi venti anni.
Si suole ipotizzare uno scenario di sviluppo dei costi che è più o meno cabalistico poiché nessun
operatore economico può prevedere l’evoluzione geopolitica delle regioni fornitrici di materie prime
per l’energia (paesi arabi, Russia, Regioni africane, ..).
Basta un piccolo conflitto regionale o una ipotesi di conflittualità in una regione della terra per
innescare una spirale non controllabile di innalzamento dei prezzi. In questi mesi stiamo vivendo una
situazione che esemplifica molto bene quanto appena detto: il costo del barile di grezzo è passato nei
giro di sei mesi da 14 a 34 $/barile.
All’inizio degli anni settanta, con la prima grande crisi petrolifera innescata dai conflitti arabo –
israeliani, il costo del petrolio sembrava aumentare del 15% all’anno e certo una tendenza del genere
avrebbe innescato eventi catastrofici sulle economie degli stati importatori di petrolio.
Dopo circa un paio d’anni il costo del barile scese dai circa 40 $ ai 12 $ annullando tutte le
previsioni possibili, da quelle ottimistiche a quelle pessimistiche. Allo stesso modo è difficile prevedere
il costo del denaro per lunghi periodi a causa della contingenza economica ormai su scala mondiale.

12 Si può avere un tempo di ritorno breve ma poi un cash flow minore per effetto della variabilità dei parametri,

come già osservato. Così pure, il valore attuale può essere piccolo ma essere alla fine del tempo di vita dell’impianto e quindi
poco importante per l’iniziativa.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 41

La sostanziale insicurezza delle previsioni di cassa rende il metodo del cash Flow sostanzialmente
approssimato e quindi poco affidabile. Per questo motivo, ad esempio, le banche richiedono molti
indici economici poiché ognuno di essi presenta suscettibilità di errore differenziati.
Inoltre la prevedibile imprecisione dei flussi di cassa porta a richiedere indici non solo elevati, e
quindi sinonimi di convenienza economica dell’iniziativa esaminata, ma le banche si mettono al riparo
da sorprese possibili richiedendo valori più elevati del necessario in modo da essere sicure che l’iniziativa
possa recuperare liquidità anche in situazioni contingenti molto sfavorevole. Così, ad esempio, non
basta che, detratte le tasse, una iniziativa renda il 20% (valore già elevato!) ma si chiede che la redditività
netta sia superiore al 30÷35% (enorme!).
Si può intuire quale sia la ratio di una simile richiesta: una redditività molto alta garantisce un
ritorno degli investimenti in un numero limitato (2÷4) di anni e quindi le possibilità di rischio si
riducono fortemente quanto minore è il tempo di pay back.
In genere gli indici economici di breve periodo forniscono più sicurezza alle banche rispetto ad
altri di lungo periodo.

4.6.1 TEMPO DI RITORNO ATTUALIZZATO DELL’INVESTIMENTO, TAR


E’ già stato definito come il tempo necessario a riacquistare l’investimento iniziale (attualizzato) e
il metodo del flusso di cassa consente facilmente, vedi l’esempio di Figura 17, di trovarlo come valore
dell’ascissa di intersezione con la curva del cash flow.
Questo tempo (Discounted pay back, DPB) assume un significato notevole, come illustrato in
precedenza, poiché fino a quel momento l’investitore è esposto a perdite finanziarie e quindi incapace di
riacquistare (e quindi le banche non possono riavere) l’investimento iniziale.
Si osservi che nel lungo periodo, cioè nel tempo di vita dell’impianto o in genere dell’iniziativa,
non è detto che quanto minore risulta il TRA tanto migliore è l’iniziativa poiché dopo questo periodo si
possono avere capovolgimenti di ogni sorta. Una iniziativa può essere più favorevole nel lungo periodo
di un’altra anche se con TRA maggiore. Pur tuttavia, anche ai fini di un recupero del credito da parte di
enti finanziatori, il TRA riveste grandissima importanza e l’analisi di cassa in questo breve periodo
(rispetto alla durata dell’iniziativa che normalmente è di 15÷20 anni) sia quanto più precisa e
coscienziosa possibile. Superato il TRA l’iniziativa risulta comunque remunerativa e con indici
economici variabili in base al flusso di cassa del periodo successivo fra il TAR e la vita prevista per
l’iniziativa. Un TRA ridotto è preferito anche nei periodi congiunturali meno favorevoli per uno stato.
Nel caso in cui il TRA è di pochi anni si può abbandonare l’ipotesi di attualizzare i costi e flussi di
cassa. In questo caso il rapporto fra l’investimento I ed il risparmio R fornisce il Tempo di ritorno Semplice,
TRS (SPB Simple Pay Back). Si tratta di una stima immediata ed efficace sulla proponibilità dell’iniziativa
anche se i flussi considerati non sono attualizzati.

4.6.2 ANALISI DI SENSITIVITÀ


L’incertezza nella previsione dei flussi di cassa e quindi dell’analisi finanziaria giustifica la
necessità di conoscere entro quali limiti la realtà può discostarsi dalla previsione senza subire una
perdita finanziaria. Quanto detto comporta l’analisi di sensitività del valore attuale netto, VAN, rispetto
alla variazione di uno o più parametri finanziari rispetto ai valori nominali previsti. Risulta utile
conoscere il valore limite di un parametro finanziario per cui il VAN si annulla: esso rappresenta il
limite del campo di convenienza dell’investimento.
Il Tasso Interno di Redditività, (che gli anglosassoni indicano con IIR Internal Rate of Return)
introdotto in precedenza come il tasso di attualizzazione che rende nullo il VAN nel periodo previsto
per l’investimento, va visto nell’ottica dell’analisi di sensitività. Poiché il tasso di sconto non è mai certo nel
lungo periodo allora l’IIR indica il valore limite del tasso che annulla i guadagni (o meglio il VAN) nel
periodo previsto.
Pertanto quanto maggiore è la differenza fra il Tasso di Sconto previsto in analisi e l’IIR tanto minore
è il rischio legato alla variabilità (o stima approssimata) di questo parametro.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 42

L’analisi di sensitività può essere estesa anche ad altri parametri, oltre il tasso di sconto, e in
genere si individuano quei parametri che influenzano il risultato economico e finanziario dell’iniziativa e
che più sono soggetti ad imprecisione di valutazione iniziale.
In genere si calcola l’IIR in funzione di ciascuno di questi parametri, a parità di altre assunzioni,
per cui è possibile individuare il valore limite del parametro nell’ambito della convenienza dell’impianto
(o dell’iniziativa) che corrisponde ad un dato IIR così calcolato pari al tasso di sconto i.
Fra i parametri che interessano gli impianti SET sono da considerare il costo dell’energia
primaria, il fatturato, la spesa di investimento (specialmente se il periodo di costruzione dell’impianto
non è breve). L’analisi di sensitività può essere oggi condotta con strumenti di calcolo sofisticati e
computerizzati. In ogni caso è sempre bene ricorrere ad uno specialista finanziario per evitare di
incorrere in errori grossolani.

4.6.3 INDICE ENERGETICO IEN


Si è già detto che l’attuale legislazione nazionale favorisce le fonti rinnovabili incentivando la
cessione di energia all’ENEL (Prezzo concordato mediante CIP-6 o Certificati Verdi).
Per le fonti energetiche tradizionali si dice che sono assimilabili a quelle rinnovabili se l’efficienze
energetica raggiunta nelle trasformazioni è elevata. In definitiva la Legge tende a favorire i sistemi per il
risparmio energetico per le ricadute sociali ed ambientali che esso produce. Il Criterio di Assimilabilità delle
fonti energetiche tradizionali si base sul concetto di Indice Energetico (denominato IEN) definito
dalla relazione:
E ET
IEN = E + −a (41)
EC 0 − 9 EC
dove si ha il simbolismo:
⋅ EE energia elettrica netta prodotta in un anno;
⋅ ET energia termica utile prodotta in un anno;
⋅ EC energia consumata in un anno mediante combustibili fossili.
Il termine a è dato dalla relazione:
 1  E 
a= − 1  0.51 − E  (42)
 0.51   EC 
Ne segue che perché un impianto tradizionale sia assimilabile ad un impianto che utilizza fonti
rinnovabili13 deve essere IEN>0.51.
In questo modo si ha diritto alla tariffazione privilegiata dell’energia ceduta all’ENEL. Si osservi
che l’indice energetico è la somma del rendimento di trasformazione elettrica (EE/EC) più quello di
trasformazione termica supponendo di avere un generatore con rendimento del 90%.
Questa somma viene penalizzata se il rendimento di trasformazione elettrica è inferiore a 0.51
tramite il fattore sottrattivo a. In Figura 18 si ha l’andamento dell’indice IEN. Ancora meglio vanno le
cose se risulta IEN>0.6 per cui si ha diritto ad una tariffazione più elevata.
Si osservi che il valore limite 0.51 è particolarmente selettivo nei riguardi di impianti cogenerativi
con elevate prestazioni.
Per impianti di produzione combinati questa limitazione equivale a scrivere:
EE ET
EC E
+ C ≥1 (43)
0.51 0.9

13 Cioè energia solare, eolica, idraulica, geotermica, marina o da rifiuti.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 43

AREA RISPETTO IEN

50%

RENDIMENTO TERMICO
45%

MEDIO ANNUALE
40%

35%

30%

25%

20%
25% 26% 27% 28% 29% 30% 31% 32% 33% 34% 35% 36% 37% 38% 39% 40%

RENDIMENTO ELETTRICOMEDIO ANNUALE

Figura 18: Andamento di IEN in funzione dei rapporti di trasformazione elettrica e termica
Si deduce che i due rendimenti limiti per l’assimilabilità sono 0.51 per l’elettrico e 0.9 per il
termico. Ora mentre è agevole, con le attuali tecnologie, arrivare a 0.9 per un generatore elettrico non è
altrettanto facile raggiungere il valore 0.51 per il rendimento elettrico, specialmente per gli impianti
cogenerativi.
Ne deriva che per compensare il minor rendimento elettrico si debbono avere forti rendimenti
termici e quindi risultano favoriti gli impianti con una forte utilizzazione termica a scapito degli impianti con
forte utilizzazione elettrica.
I cicli misti gas-vapore sono nettamente svantaggiati rispetto ai motori a combustione interna e alle
turbine a gas con forte post combustione14 (vedi nel prossimo capitolo le caratteristiche dei motori
primi). Naturalmente tutto ciò è vero se si ha una piena utilizzazione dell’energia termica prodotta.
Quest’ultima osservazione incentiva, specialmente negli usi civili, l’uso del calore in esubero per la
produzione del freddo nel periodo estivo.
4.7 I MOTORI PRIMI DEL SET
Il componente fondamentale di un Sistema ad Energia Totale, SET, è il motore primo cioè il
componente che fornisce energia termica ed elettrica in modo cogenerativo. Quelli maggiormente
utilizzati sono:
⋅ Il motore alternativo;
⋅ La turbina a vapore;
⋅ La turbina a gas.
E’ importante inquadrare il funzionamento del motore primo in un ciclo termodinamico nel
quale si evincano i livelli di utilizzo delle frazioni energetiche interessate.
Vediamo ora brevemente (si rimanda ai Corsi di Macchine per maggiori approfondimenti) i punti
principali da ricordare per la scelta del motore primo di un impianto di cogenerazione.

4.7.1 MOTORI ALTERNATIVI


I motori alternativi che più vengono utilizzati sono quelli endotermici basati su ciclo Diesel e su
Ciclo Otto. Va tenuto presente, tuttavia, che se i combustibili di elezione di questi motori sono il
gasolio e la benzina, in campo cogenerativo si usano anche combustibili diversi quali il metano, il syngas
(derivato da pirolisi industriali), oli pesanti (di scarto), …..
La cogenerazione spinge questi motori a funzionare al limite delle possibilità termodinamiche
nello spirito di utilizzare il maggior numero di fonti energetiche primarie possibili.

14
La post combustione non incrementa il rendimento elettrico poiché agendo sui soli gas di scarico non porta
maggior potenza alla turbina che alimenta il generatore elettrico.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 44

4.7.2 CICLO DIESEL


Il campo di potenza interessato da questi motori si estende fino a 40 MW ed essenzialmente si
utilizzano motori diesel o anche, in minor misura, motori a gas.
Il rendimento elettrico delle unità di maggiore potenza si avvicina sensibilmente a quello delle centrali
termoelettriche raggiungendo punte del 40÷42 %.
Il rendimento globale, incluso il recupero di calore di scarto, raggiunge valori elevati pari a 80÷85%.
Un grosso vantaggio di questo tipo di motore primo è che la curva di rendimento si mantiene
quasi piatta in funzione del carico fino al 50÷60 % del carico nominale ed inoltre l’utilizzazione del
calore di scarto, anche ad alta temperatura, non riduce le prestazioni meccaniche del motore.
E’ anche possibile frazionare la potenza in varie unità modulari e ciò consente di avere
rendimenti massimi in ampie condizioni di carico.
Il diesel può anche funzionare a gas con opportune iniezioni di nafta (combustione pilota) in
percentuale del 5% del totale. Questa soluzione (detta dual quel) consente di funzionare anche a gas ma
con un aggravio dei consumi di circa il 10% rispetto al solo funzionamento a nafta.
Va tenuto conto anche degli aspetti negativi che il motore diesel presenta e cioè:
⋅ Potenza unitaria limitata e non suscettibile di rapidi aumenti;
⋅ Complessità notevole della macchina e quindi maggiori oneri di manutenzione;
⋅ Abbondante produzione di ossidi di azoto.
Ciclo Termodinamico
Il ciclo Diesel è formato da due isoentropiche una isobara ed una isocora, come indicato in
Figura 19. La fase di combustione avviene insufflando, ad alta pressione (oltre 100 bar e oggi si
possono avere pressioni elevatissime fino a 1500 bar nei diesel common rail), gasolio nebulizzato in
piccolissime goccioline nel cilindro ove si trova aria compressa nelle condizioni del punto B e quindi ad
una temperatura di circa 900 °C, sufficiente per fare avvenire la combustione.
Temperatura

C
C A L O R E F O R N IT O
P E R C O M B U S T IO N E A
P R E S S IO N E
CO STAN TE

B LAVORO NEI
C IL IN D R I

LAV O RO
COMPRESSORE D

A C A L O R E D I S C A R IC O A
VOLUM E COSTANTE
E n tro p ia

Figura 19: Ciclo ideale Diesel


Non occorre alcun dispositivo elettrico di accensione, quindi, e la trasformazione avviene ad una
pressione che si può ritenere, almeno idealmente, costante poiché durante la combustione si ha un
aumento di volume della camera di combustione per effetto del movimento del pistone.
Il rendimento del ciclo Diesel è dato dalla relazione:
1  rc − 1 
k
η = 1− k −1   (44)
rv  k ( rc − 1) 
ove rv è sempre il rapporto di compressione volumetrico mentre rc è il rapporto di combustione
definito dalla relazione:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 45

vC
rc = (45)
vB
con i simboli di Figura 19. I rendimenti di questo ciclo sono elevati, rispetto ai cicli Otto, poiché
si può comprimere solo aria nella fase AB evitando i fenomeni di autodetonazione delle benzine.
I motori diesel richiedono poca manutenzione e sono caratterizzati da un numero di giri al
minuto inferiore rispetto a quello dei cicli a benzina. Oggi si hanno i cicli misti, cicli Sabathè,
caratteristici dei diesel veloci. Si raggiungono circa 6000 g/m ed alti rendimenti.

4.7.3 CICLO OTTO


Si tratta di uno dei cicli termodinamici più utilizzati ed è il ciclo di riferimento per i motori a benzina.
Esso si compone, vedi Figura 20, di una compressione isoentropica, sempre con riferimento al ciclo
ideale ad aria standard, seguito da una combustione interna isocora, mediante scoppio attivato da una
scarica elettrica, seguita da una fase utile di espansione e poi di una fase di scarico dei prodotti di
combustione in atmosfera ancora isocora. Il rendimento di questo ciclo è dato dalla seguente relazione:
1
η = 1 − k −1 (46)
rv
ove rv è il rapporto di compressione volumetrico dato da:
v
rv = A (47)
vB
I valori di rendimento che si ottengono normalmente sono compresi fra il 16 e il 24% e quindi
bassi rispetto ai valori ottenibili con un ciclo ideale di Carnot
Temperatura

C
C A LO R E F O R N ITO
P E R C O M B U S TIO N E A
V O LU M E C O S TA N T E

B LA V O R O N E I
C ILIN D R I

LA V O R O
COM PRESSORE D

A C A LO R E D I S C A R IC O

E ntrop ia

Figura 20: Ciclo Otto per motori a benzina


Nel confronto con il ciclo Diesel il ciclo Otto funziona meglio a pari rapporto di compressione. In
realtà a pari temperatura massima di ciclo si ha un notevole vantaggio nel rendimento dei motori Diesel
potendosi raggiungere, in quest’ultimi, elevati rapporti di compressione con sola aria impensabili con i
cicli Otto. I cicli reali Diesel e Otto risultano alquanto modificati rispetto ai cicli ideali sopra indicati per
varie ragioni fra le quali, si ricorda:
⋅ Compressione ed espansione reali (politropiche) dei fluidi;
⋅ Comportamento della miscela di gas diverso dall’aria standard e quindi con calori specifici variabili
alle varie pressioni e temperature;
⋅ I prodotti di combustione presentano fenomeni di dissociazione ad elevate temperature;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 46

⋅ I fenomeni di accensione e combustione avvengono in intervalli di tempo non trascurabili e


quindi non istantanei;
⋅ I cicli sono aperti e quindi con scambi di massa con l’esterno.

4.7.4 COMBUSTIBILI UTILIZZATI DAI DIESEL


I Diesel possono utilizzare, nelle versioni industriali, diversi tipi di oli combustibili e quindi sia
frazioni leggere, come il gasolio, che frazioni pesanti. Le caratteristiche delle frazioni leggere sono:
Proprietà Valori Unità di Misura
Densità 835÷870 Kg/m²
Viscosità a 40 °C 2.1÷13 CSt
Viscosità a 50 °C 1.1÷1.8 °E
Residuo Conradson (max) 6 %
Ceneri (max) 0.02 %
Acqua e sedimenti (max) 0.3 %
Zolfo 2.5 %
Potere Calorifico Inferiore 42.7 MJ/kg
Tabella 7: Proprietà dei frazioni leggere per Diesel
Le proprietà delle frazioni pesanti sono:
Proprietà Valori Unità di Misura
Densità 950÷990 Kg/m²
Viscosità a 38 °C 75÷120 °E
Residuo Conradson (max) 16 %
Acqua (max) 0.3 %
Ceneri (max) 0.03 %
Asfalteni (max) 4÷11 %
Zolfo (max) 1÷4 %
Potere Calorifico Inferiore 41 MJ/kg
Vanadio 100÷200% ppm
Sodio 20÷80% ppm
Tabella 8: Proprietà dei frazioni pesanti per Diesel
Si osservi che il residuo Conradson e le ceneri influiscono molto sullo sporcamento e sull’usura del
motore. Il tenore di vanadio e di sodio influenza il grado di corrosione ad elevata temperatura e la
formazione di depositi sulle valvole.
Infine il tenore di zolfo influenza la corrosione nel motore e negli scambiatori di recupero termico
dei gas di scarico. Le frazioni leggere possono essere usate nei diesel veloci ed automobilistici mentre le
frazioni pesanti possono essere usate solo nei diesel lenti con opportune scelte di materiali (testate in
ghisa).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 47

4.7.5 IMPATTO AMBIENTALE DI UNA LOCALIZZAZIONE DI MOTORI


ALTERNATIVI
I motori Diesel (o anche quelli Otto) di grande potenza pongono problemi di impatto ambientale
(vedi capitolo successivo per altri approfondimenti) per localizzazioni all’interno di aree urbane e di
centri densamente abitati a meno di ricorrere a soluzioni di protezione ambientale spesso costosi e
complessi.
Nel valutare l’impatto ambientatale occorre considerare:
⋅ Le emissioni nei gas di scarico (e quindi il tipo di combustibile utilizzato);
⋅ La rumorosità prodotta e quindi il rispetto del DPCM 1/3/91 e L. 447/94;
⋅ Le vibrazioni eventualmente indotte negli edifici.
Un motore diesel produce circa 7÷8 kg/kWh prodotto di gas di scarico ad una temperatura
uscente dallo scambiatore di recupero di circa 120÷180 °C. In genere si ha circa il 77% di N2, 13% di
CO2, 5% di CO e 5% di H2O. Si hanno, inoltre, varie percentuali di COx ed NOx oltre che idrocarburi
incombusti, ceneri e fuliggine.
Un parametro che deve essere tenuto in considerazione è l’opacità dei fumi misurata in gradi Bosch o
Bacharach e compresa fra 0.3÷0.5 ° Bosch.
Per quanto riguarda la rumorosità i motori Diesel si distinguono dai motori Otto a benzina, vedi
Figura 21, per uno spettro più ricco alle basse frequenze e di notevole ampiezza
In genere le fonti di rumorosità sono individuabili in corrispondenza a:
⋅ Aspirazione dell’aria;
⋅ Emissione dei gas di scarico;
⋅ Funzionamento del motore (specialmente quelli lenti)
Nei primi due casi si può fare uso di speciali silenziatori per attenuare la rumorosità mentre per il
rumore del motore occorre intervenire sugli edifici mediante applicazione di coibenti acustici.

Figura 21: Spettro a banda di terzi di ottava di un motore a benzina


Per le vibrazioni i problemi possono essere rilevanti in considerazione della notevole massa in
gioco nei motori di potenza. In genere occorre progettare bene il blocco di fondazione avendo cura di
isolarlo (mediante tagli) dal terreno circostante con l’interposizione di materiali assorbenti (pannelli di
gomma, strati di sughero, ammortizzatori meccanici, …).
Si ricordi che le frequenze naturali dell’edificio debbono essere lontane da quelle indotte dalle
vibrazioni dei motori per evitare pericolose risonanze.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 48

Per un corretto studio del blocco delle fondazioni occorre conoscere i modi di vibrazione del
blocco motore-fondazioni, l’impedenza meccanica del terreno e i modi di oscillazione dell’edificio.
Come criterio guida per la progettazione della fondazione occorre che la sollecitazione unitaria
sul terreno non deve superare 1/3 ÷ ¼ della sollecitazione statica ammissibile, il baricentro dei carichi
deve essere sulla verticale al centro dell’area di base della fondazione, l’ampiezza delle vibrazioni deve
essere contenuta entro valori limiti imposti dalle norme e il peso della fondazione (cioè del solo blocco
di calcestruzzo di base) deve essere grande (3÷20 volte maggiore) rispetto a quello del motore, anche in
funzione della velocità di rotazione di quest’ultimo.

4.7.6 COGENERAZIONE DEI MOTORI DIESEL


Il motore alternativo diesel (ma anche quello a benzina) presenta sorgenti differenziate di calore
in corrispondenza degli scarichi gassosi, dell’acqua di refrigerazione, dell’aria di sovralimentazione,
dell’olio di raffreddamento secondo quanto indicato, sommariamente, in Figura 22.
In genere dagli scarichi si può ricavare 900÷1200 kcal/kWh di lavoro meccanico erogato all’asse
del motore. Circa il 15% del calore introdotto viene asportato dall’acqua di raffreddamento e dall’olio
che escono dal motore a temperature di 80 e 75 °C rispettivamente. Si tratta di calore facilmente
recuperabile mediante l’inserimento di uno scambiatore di calore.
In alcuni casi si possono avere temperature dell’acqua di raffreddamento fino a 125÷130 °C e
dell’olio di 80÷85 °C.
Per motori con intercooler si può estrarre circa il 9% di calore fra il primo e il secondo stadio del
sistema di raffreddamento dell’aria di sovralimentazione.
Il calore asportato nei gas di scarico è circa il 33% di quello totale introdotto ed è disponibile ad
un livello di temperatura di circa 400 °C. Si osservi che non è possibile raffreddare totalmente a
temperatura ambiente i gas di scarico per evitare pericolose e corrosive condense dei fumi. Di solito ci
si ferma a circa 110÷120 °C anche in funzione del tenore di zolfo del combustibile adottato.

Gs di scarico a 400 °C

Acqua Motore a 80 °C

Aria sovralimentazione
a 150 °C
Olio Raffreddamento

Irraggiamento Acqua
polverizzatori
Lavoro Utile

Figura 22: Bilancio di un motore Diesel


Ipotizzando una portata dei gas di scarico di 7÷8 kg/kWh si ha una quantità di energia termica
recuperabile pari a 400÷600 kcal/kWh. Considerando l’elevata temperatura dei gas di scarico è anche
ipotizzabile la produzione di vapore acqueo.
Il rapporto C = ET/EE per i motori Diesel è compreso fra 1÷1.2 con rendimenti elettrici fra
0.35÷0.41. Per motori a ciclo Otto si ha C =1.3÷1.4 ed NE fra 0.3÷0.34.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 49

4.7.7 SCHEMI DI IMPIANTO


Sulla base di quanto sopra detto si può pensare di utilizzare il motore alternativo in diversi modi
con soluzioni che tengono conto delle diverse esigenze impiantistiche.
In Figura 23 si ha la soluzione più semplice: il gas di scarico (a 400 °C) viene utilizzato in uno
scambiatore a recupero per produrre vapore mentre l’acqua di raffreddamento e l’olio di lubrificazione
cedono la loro energia termica in uno scambiatore per il recupero a bassa temperatura (70÷80 °C).
In Figura 24 si ha uno schema impiantistico più complesso ove lo scambiatore di calore
dell’acqua di raffreddamento e dell’olio lubrificante serve per preriscaldare l’acqua di alimento dello
scambiatore a recupero dei gas di scarico per la produzione di vapore.
Si può anche rinunciare alla produzione di acqua calda se l’Utenza non la desidera. In questo caso
si ha solamente produzione di vapore che può ancora essere inviato in una turbina per la produzione di
energia elettrica.
In Figura 25 si ha un impianto a ciclo combinato con produzione di energia elettrica e calore
(sotto forma di vapore ed acqua surriscaldata) che raggiunge rendimenti complessivi dell’ordine del
75%. Si può anche immaginare di utilizzare il motore primo a ciclo Diesel per produrre acqua calda a
80 °C e surriscaldata a 120÷200 °C per alimentare una rete di teleriscaldamento urbano. Il calore viene
recuperato dall’acqua di raffreddamento e dall’aria di sovralimentazione e dai gas di scarico.

4.7.8 MOTORI PRIMO CON TURBINE A GAS


Le turbine a gas si prestano bene alle applicazioni cogenerative. Si tratta di macchine a flusso
continuo con fluido comprimibile che può operare sia a ciclo aperto che a ciclo chiuso.
Va osservato che la turbina a gas nella versione per impianti di terra (heavy duty) non raggiunge
rendimenti paragonabili agli impianti a vapore o con motori diesel ma presenta alcuni vantaggi (rapidità
di messa in marcia e variabilità del carico) che la fanno preferire per impianti di produzione di energia
elettrica per carichi di punta.
Nelle installazioni heavy duty è possibile modificare il ciclo termodinamico di base con
rigenerazioni termiche, intercooler ed altri accorgimenti tecnici che rendono la turbina a gas
alimentabile con calori di scarto e pertanto conveniente anche per i carichi di base.
Tra i pregi si citano:
⋅ Accettabile costo di investimento;
⋅ Basso rapporto massa/potenza;
⋅ Semplicità costruttiva;
⋅ Potenza unitaria elevata (fino a 200 MW);
⋅ Avvio rapido;
⋅ Non necessita di acqua di raffreddamento.
Per contro si hanno alcuni difetti che qui si riportano:
⋅ Basso rendimento elettrico;
⋅ Necessità di combustibili di elevata qualità;
⋅ Vita limitata di alcuni componenti;
⋅ Necessità di manutenzione frequente.
Il rendimento della turbina a ciclo aperto ha valori medi dell’ordine del 30% nel caso di ciclo
Bryton semplice e del 35% nel caso di ciclo rigenerativo.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 50

ALL-UTENZA

SEPARATORE DI VAPORE

SCAMBIATORE GAS DI
SCARICO

POMPE
``

`
MOTORE
`

ALL-UTENZA

SCAMBIATORE OLIO
SCAMBIATORE ACQUA POMPE
ACQUA DI ALIMENTO

Figura 23: Schema di un impianto di recupero del calore di un motore diesel

ALLA UTENZA

E C O N O M IZ Z A T O R E
A L C A M IN O

S C A M B IA T O R E G A S D I
S C A R IC O

S C A M B IA T O R E

ALLA UT ENZA

`
MOTORE
`

S C A M B IA T O R E OSLCIO
A M B IA T O R E A C Q U A POM PE A C Q U A D I A L IM E N T O

Figura 24: Schema di un impianto di recupero del calore di un motore diesel con economizzatore
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 51

ALLA UTENZA

ACQUA DI ALIMENTO

SEPARATORE DI VAPORE

VALVOLA
SCAMBIATORE GAS DI
DI BY POASS
SCARICO

MOTORE

POMPA

Figura 25: Schema di impianto con motore Diesel e recupero di calore con produzione di vapore

4.7.9 IL CICLO TERMODINAMICO


Si utilizza il noto ciclo di Joule - Bryton. Esso consiste15, con riferimento al ciclo ideale ad aria
standard16, in un ciclo formato da due isobare e due isoentropiche, come indicato in Figura 26.
Lungo la trasformazione AB si ha una compressione (qui supposta ideale isoentropica) dell’aria
esterna fra la pressione pA e la pressione pB.
La compressione viene effettuata in un compressore rotativo alimentato dalla turbina (vedi dopo)
e pertanto assorbe parte dell’energia prodotta dalla stessa turbina.
Nella trasformazione BC si ha la combustione di petrolio raffinato (detto JP, Jet Propeller)
all’interno di una camera di combustione toroidale.
La combustione avviene a pressione costante perché si ha fuoriuscita dei gas di combustione in
modo continuo verso l’anello di distribuzione della turbina di potenza.

15Si rimanda ai corsi di Macchine per maggiori approfondimenti.


16Un ciclo si dice ideale quando è formato da trasformazioni termodinamiche internamente reversibili. I cicli a
combustione (ciclo Otto, Diesel, Sabathè, Joule-Bryton) utilizzano aria come comburente e benzina o gasolio o petrolio come
combustibile. La combustione produce vari composti chimici detti gas di combustione e pertanto la composizione del fluido di
lavoro (inizialmente aria esterna) viene modificata. Poiché le caratteristiche termodinamiche complessive (calore specifico,
densità, costante di adiabaticità,….) non sono molto diverse da quelle dell’aria esterna allora si fa l’ipotesi (ovviamente
semplificativa) di fluido di lavoro con caratteristiche costanti e coincidenti con quelle dell’aria standard ossia dell’aria supposta
come fluido ideale e quindi con calori specifici costanti al variare della temperatura. Questa ipotesi semplifica molto i calcoli
termodinamici anche se è un po’ lontana dalla realtà. Per quanto necessario nell’ambito di questo corso possiamo accettare
pienamente questa semplificazione senza perdita di generalità.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 52

Temperatura
C
C A LO R E F O R N ITO Q 1

B LA V O R O
TU R B IN A

LA V O R O
COMPRESSORE D

A C A LO R E C E D U TO Q 2

En tro pia

Figura 26: Ciclo Joule – Bryton con aria standard


La trasformazione di espansione (sempre supposta ideale isoentropica) CD avviene in turbina ed
è proprio in essa che si ha la produzione di energia meccanica che serve in parte ad alimentare il
compressore. La differenza fra l’energia meccanica prodotta e quella assorbita dal compressore è
l’energia utile che è possibile utilizzare esternamente al ciclo.
La trasformazione isobare DA è di raffreddamento e può avvenire in uno scambiatore di calore
(impianti fissi di terra) o in aria (impianti mobili aeronautici) cioè scaricando i prodotti di combustione
nell’atmosfera esterna. Si osservi che avendo aspirato aria atmosferica con il compressore in A lo
scarico equivale ad una cessione di calore all’ambiente esterno a pressione costante.
In Figura 28 si ha la vista sezionata di una turbina di tipo aeronautico nella quale si possono vedere
i componenti fondamentali del ciclo Joule – Bryton e cioè il compressore, a destra in primo piano, a cui
segue la camera di combustione toroidale, al centro, e poi la turbina di potenza che, per questo tipo di
motore, è seguita da un ugello di scarico che fornisce la spinta per far muovere gli aerei.
Per gli impianti di terra si usano configurazioni impiantistiche meno compatte e con elevati
carichi di lavoro (heavy duty) tipicamente 8000 ore/anno.
Il rendimento del ciclo Joule – Bryton è dato dalla relazione:
1
η = 1 − k −1 (48)
rp k
ove rp è il rapporto delle pressioni definito come:
p
rp = B (49)
pA
Poiché il lavoro prodotto dalla turbina:
L+ = hC − hD (50)
viene assorbito dal compressore in quantità pari a:
(51)
ne segue che il lavoro utile prodotto dal ciclo è dato dalla differenza:
Lu = L+ − L− = ( hC − hD ) − ( hB − hA ) (52)
Per motivi impiantistici dipendenti dalla resistenza termica dei materiali alle elevate temperature
(oltre 1200 °C) occorre limitare la temperatura massima del ciclo e ciò porta anche ad avere un rapporto
massimo delle pressioni che vale:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 53

k
k −1
T 
rpmax = C (53)
 TA 

Figura 27: Layout del ciclo Joule – Bryton


Si definisce Rapporto dei lavori il rapporto fra il lavoro utile e il lavoro positivo della turbina:
k −1

L+ − L−  r  k
RL = +
= 1−  p  (54)
L  rpmax 
Il Rapporto dei lavori è massimo per rp=0 mentre vale 0 quando rp = rp.max come indicato in
Figura 29. In essa si può anche osservare come il lavoro utile abbia un andamento parabolico con un
valore massimo corrispondente interno al rapporto delle pressioni.
Il Rapporto dei lavori è quindi massimo in corrispondenza ad un valore ottimale del rapporto delle
pressioni che vale:
k
2( k −1)
T 
rpottimale = rpmax = C  (55)
 TA 
I cicli Joule – Bryton sono caratterizzati da uno sviluppo di grandi potenze con piccoli volumi di
impianto. Ciò è dovuto al fatto che, diversamente dai motori a scoppio (sia a benzina che diesel) essi
producono potenza in continuità.
I rendimenti vanno dal 25% al 35% a seconda del rapporto delle pressioni utilizzato e del
rapporto fra la temperatura massima e la minima del ciclo.
Si tratta di valori lontano dai rendimenti dei cicli a vapore (circa 40% e oltre nei moderni
impianti) e pertanto la produzione di grandi potenze elettriche è oggi sempre più delle centrali a vapore
(sia tradizionali che nucleari) mentre i cicli a gas sono considerati complementari ai cicli a vapore.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 54

Figura 28: Sezione di una turbina a gas per aereo

Figura 29: Andamento del rendimento del ciclo Joule – Bryton e del Rapporto dei lavori

4.7.10 IMPIANTI DI TERRA


Negli impianti di terra si vuole ottenere dal ciclo Joule – Bryton la massima potenza senza avere il
problema del peso da trasportare. Pertanto negli impianti fissi si hanno layout che favoriscono gli
scambi termici (combustori esterni ottimizzati) e si possono anche avere cicli rigenerativi cioè cicli nei
quali si riducono le irreversibilità esterne delle trasformazioni di scambio termico (Q1 e Q2) non
isoterme. In pratica si fa in modo di recuperare parte del calore che andrebbe riversato in atmosfera per
preriscaldare l’aria di alimento in camera di combustione. Il ciclo così modificato presente un miglior
rendimento ma richiede uno scambiatore di calore in più.
Oltre alla rigenerazione si possono anche usare uno o più raffreddamenti intermedi sia nella fase
di compressione (cicli con intercooler) che nella fase di espansione in turbina (cicli ad espansione multipla). In
questi cicli occorre inserire tanti scambiatori di calore intermedi quante sono le interruzioni delle fasi di
compressione e di espansione. Si rinvia ai testi specializzati per ulteriori approfondimenti. In Figura 30
si ha una rappresentazione di impianti a gas di terra: a sinistra si può osservare il combustore (ora
esterno alla turbina) e a destra si ha una vista di una turbina a più stadi accoppiata ad un compressore
sullo stesso albero motore.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 55

Figura 30: Impianti a gas di terra

4.7.11 COMBUSTIBILI UTILIZZATI DALLE TURBINE A GAS


Negli impianti di terra le turbine a gas sono nate per bruciare gas naturale ma l’evoluzione
tecnologica porta oggi all’uso anche di combustibili gassosi di altro tipo ed anche liquidi purché
sottoposti a trattamenti di depurazione particolari.
Le caratteristiche medie dei combustibili gassosi sono le seguenti:
Proprietà Valori Unità di Misura
Piombo < 0.02 ppm
Vanadio <0.01 ppm
Sodio <0.024 ppm
Polveri < 25 Mg/Nm³
Zolfo <0.5 %
Potere Calorifico Inferiore 12.5÷35.5 MJ/Nm³

Per i combustibili liquidi si hanno le seguenti proprietà:


Proprietà Valori Unità di Misura
Viscosità 3÷20 cSt
Densità <875 Kg/m³
Residuo Conradson <0.2 %
Acqua < 0.1 %
Zolfo <0.5 %
Potere Calorifico Inferiore >24 MJ/Nm²
Ceneri <0.01 %
Vanadio < 0.5 ppm
Sodio <0.5 ppm
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 56

Per combustibili aventi caratteristiche diverse da quelle sopra indicate occorre prevedere turbine
opportunamente modificate. Nel caso di combustibili gassosi non devono essere presenti fasi liquide.
I combustibili pesanti possono richiedere un preriscaldamento per rendere possibile sia la
nebulizzazione che il pompaggio.
I metalli vanno separati mediante trattamento di separazione elettrostatica, lavaggio e
centrifugazione (per il sodio) e l’aggiunta di additivi neutralizzanti (per il vanadio).
Nel caso di funzionamento con olio pesante occorre prevedere una fermata ogni 400÷1000 ore
per l’eliminazione delle ceneri ed il lavaggio con acqua calda.

4.7.12 VALUTAZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE PER LE TURBINE A GAS


A causa del grande eccesso d’aria (oltre il 200%) necessario per il controllo della temperatura in
camera di combustione si ha una percentuale di azoto ed ossigeno nei gas di scarico con percentuali del
4 e 16% rispettivamente.
Sono presenti ancora componenti varie di NOx e COx oltre a idrocarburi incombusti e frazioni
trascurabili di SOx e di particolato. Gli ossidi di zolfo presenti sono in proporzione alla percentuale di
zolfo nel combustibile. Gli idrocarburi incombusti e la CO sono emessi nelle fasi di avviamento e nei
periodi di funzionamento a carico parziale.
Per ridurre le emissioni azotate è opportuno usare combustibili a basso contenuto di azoto,
ridurre i picchi ad elevata temperatura e il rapporto combustibile- aria (anche se questo tende ad elevare
la temperatura in camera di combustione). Oggi si usano camere di combustione di opportuna
geometria e getti di acqua e vapore per evitare la combinazione dell’azoto con l’ossigeno dell’aria.
I fumi emessi sono poco visibili poiché l’opacità Bosch è sempre <1.

4.7.13 LA RUMOROSITÀ DEGLI IMPIANTI CON TURBINA A GAS


La rumorosità delle turbine a gas è sempre elevata e richiede particolare cura in fase di progetto
(Valutazione di Impatto Ambientale, vedi dopo) e della scelta del sito. Essa si origina in corrispondenza
delle tre sezioni: aspirazione, scarico e corpo motore. In corrispondenza dell’aspirazione del
compressore d’aria si ha l’emissione di un rumore a forma di sibilo (rumore a sirena) la cui frequenza è
data dal prodotto del numero di giri dell’asse per il numero di pale.
Questo rumorosità può essere ridotta con opportuni filtri acustici e con l’orientamento delle
bocche di aspirazione verso l’alto in modo da non produrre coni acustici che investano edifici viciniori.
La rumorosità allo scarico è di solito di bassa frequenza e richiede forti spessori di isolante inseriti
in pannelli fonoassorbenti.
Le pareti che portano i pannelli possono a loro volta riemettere rumore verso l’esterno e quindi
debbono attentamente essere isolate mediante rivestimenti esterni di materiali isolanti e con l’inviluppo
di lamiere pesanti. Il rumore prodotto dal corpo della turbina viene ridotto coibentando la sala
macchine e costruendone le pareti in calcestruzzo pesante.

4.7.14 POSSIBILITÀ DI COGENERAZIONE DELLE TURBINE A GAS


Tipicamente per una turbina a gas si hanno le percentuali di energia indicate in Figura 31.
L’elevata percentuale di energia nei gas di scarico (67%) lascia intravedere forti possibilità di
recupero energetico a temperature variabili fra 400 e 550 °C e quindi ancora interessanti
impiantisticamente.
Naturalmente occorre evitare che la temperatura finale dei gas di scarico scenda al di sotto dei
120÷140 °C per evitare il pericolo di condensazione dell’acqua acida.
Le possibilità di cogenerazione delle turbine a gas possono essere schematizzate nelle seguenti:
⋅ Recupero termico per uso diretto di processo;
⋅ Produzione di fluidi termovettori (ad esempio per il teleriscaldamento)
⋅ Ciclo combinato turbina a gas – turbina vapore.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 57

Gs di scarico
Olio Raffreddamento
Lavoro Utile

Figura 31: Bilancio energetico per una turbina a gas

Figura 32: Ciclo combinato a gas e a vapore


Il rapporto C = ET/EE può variare nell’intervallo 1.7÷3.5 per turbine a semplice recupero.
La produzione di acqua calda surriscaldata o anche di vapore per tele riscaldamento urbano lascia
intravedere interessanti sviluppi per questo tipo di impianti.
In Figura 32 si ha lo schema di impianto per un ciclo combinato gas- vapore con caldaia a
recupero per la produzione del vapore acqueo da inviare nella turbina a vapore (che può essere a
condensazione, a derivazione, a spillamento o in contropressione a seconda delle esigenze
impiantistiche).
In Figura 40 si ha lo schema di ciclo rigenerativo con la possibilità di recupero termico e
produzione di vapore.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 58

Si possono pensare diverse applicazioni dei cicli cogenerativi negli impianti di


termovalorizzazione. Infatti, si può gassificare i RSU, alimentare un impianto a gas e poi produrre acqua
calda surriscaldata per alimentare una rete di teleriscaldamento. Una applicazione del genere è realizzata
nel comune di Brescia per la centrale di alimentazione del teleriscaldamento urbano.

4.7.15 LE MICROTURBINE
Le microturbine sono dei piccolo generatori elettrici che bruciano combustibile gassoso o liquido
per generare un’elevata velocità di rotazione che mette in moto un alternatore. Oggi la tecnologia della
microturbina è il risultato di un lavoro di sviluppo nelle piccole turbine a gas degli autoveicoli,
apparecchiature ausiliari di potenza, che furono sviluppate dall’industria automobilistica dal 1950. I test
sulle microturbine iniziano attorno al 1997 e diventano commerciali nel 2000. Le potenze di targa delle
microturbine commercializzate vanno dai 30 ai 350 kW, mentre le turbine a gas convenzionali
presentano un range di potenze che vanno dai 500 kW ai 250 MW.
Le microturbine come le maggior parte delle turbine a gas, possono essere usate per la
generazione di sola potenza elettrica oppure per la produzione combinata di calore ed elettricità (CHP
= Combined Heat Power). Esse sono capaci di funzionare con una varietà di combustibili, includendo
il gas naturale, gas acidi, e combustibili liquidi come benzina, cherosene, e diesel.
Le microturbine sono adatte per le applicazioni di “generazione diffusa” dovuto alla loro
flessibilità nei metodi di connessione, infatti possono essere collegati in parallelo per servire un grande
carico, inoltre provvedono ad una stabile e attendibile potenza con basse emissioni. Le applicazioni
tipiche sono:
• livellamento dei picchi e generazione di una potenza base ( grid parallel).
• Produzione combinata di calore ed elettricità.
• Stand-alone power.
• ecc,…
I campi di applicazione includono le telecomunicazioni, i ristoranti, gli alloggi, gli ospedali, gli
uffici ed altri settori commerciali.
Le microturbine sono attualmente utilizzate nelle applicazioni di recupero di risorse nelle sorgenti
di produzione di olio e gas, nelle miniere di carbone, ecc. Il loro uso è importante poiché la maggior
parte di questi luoghi non sono serviti da corrente elettrica, e spesso quando sono serviti dalla rete, il
servizio è molto costoso.
Nelle applicazioni combinate, il calore di scarico della microturbina è usato per produrre acqua
calda sanitaria, per riscaldare gli edifici, per far funzionare una macchina frigorifera ad assorbimento o
a fornire energia

4.7.16 4.1 − DESCRIZIONE DELLA TECNOLOGIA


Le microturbina sono piccole turbine a gas, la maggior parte di esse presenta uno scambiatore
interno di calore chiamato recuperatore.
In una microturbina, un compressore radiale centrifugo comprime l’aria in ingresso che poi è
preriscaldata nel recuperatore usando il calore proveniente dai gas di scarico della turbina (Figura 33).
In seguito l’aria calda uscente dal recuperatore viene miscelata con il combustibile nella camera di
combustione. I gas caldi della combustione vengono fatti espandere nella turbina. Questo determina la
rotazione della turbina e quindi del compressore che a sua volta, nel modello ad albero singolo, mette in
rotazione il generatore.
Nel modello a due alberi, una prima turbina trascina il compressore invece la seconda trascina il
generatore. Alla fine, il recuperatore usa i gas di scarico della turbina per preriscaldare l’aria uscente dal
compressore.
I modelli ad unico albero operano generalmente a velocità superiore ai 60.000 rpm e generano
una potenza elettrica di elevata e variabile frequenza (corrente alternata, AC). Questa potenza è
modificata in corrente continua (DC) e poi mutata a 60 Hz per gli Stati Uniti.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 59

Nella versione a doppio albero, la turbina è connessa mediante ingranaggi al generatore che
produce potenza elettrica a 60 Hz. Alcuni costruttori offrono delle unità che producono potenza a 50
Hz. Queste vengono richieste da paesi dove la frequenza standard è di 50 Hz, come l’Europa e parte
dell’Asia.

Figura 33: Schema di una microturbina.

4.7.17 4.2 − COMPONENTI DI BASE


I componenti base delle microturbine sono il compressore, la turbina e il recuperatore (Figura 41)
Turbocompressore
Il cuore della microturbina è il turbocompressore, che è comunemente montato su un singolo
albero insieme al generatore elettrico. Due cuscinetti supportano l’unico albero. Questa soluzione è
utilizzata per ridurre le necessarie manutenzioni e accrescere la totale realizzabilità. Ci sono anche
versioni a due alberi, le quali, anche se hanno più parti in movimento, non complicano la conversione
dall’alta frequenza ai 60Hz.
Per le contenute dimensioni le turbomacchine a gas usano turbine e compressori assiali
multistadio, nelle quali il gas fluisce lungo l’asse dell’albero ad è compresso e fatto espandere attraverso
gli stadi.
Comunque, il turbocompressore e la turbina delle microturbomacchine sono basati su un singolo
stadio radiale. La turbomacchine radiali usano piccole quantità di portate volumetriche di aria e di
prodotti della combustione con la conseguenza di elevate efficienze. Le grandi turbine ed i grandi
compressori assiali sono tipicamente più efficienti di quelle radiali. Comunque, nelle dimensioni delle
microturbine radiali i componenti presentano piccole superficie disperdenti procurando efficienze
molto elevate.
Nelle microturbine, l’albero del turbocompressore ruota ad elevate velocità, circa 96.000 rpm nel
caso di macchine di 30 kW e circa 80.000 rpm in quelle di 75 kW.
Le turbine radiali che conducono il compressore sono abbastanza simili in termini di modello e
portate volumetriche a quelle delle automobili, camion, ecc.
Le piccole turbine a gas, delle dimensioni e potenze delle microturbine, vengono anche utilizzate
come sistemi ausiliari di potenza sugli aeroplani.
Generatore
Le microturbine producono potenza elettrica grazie ad un generatore che è posto in rotazione o
sull’unico albero del turbocompressore oppure con una seconda turbina di potenza che guida, mediante
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 60

ingranaggi, un generatore convenzionale che ruota a 3600 rpm. Il generatore del modello ad unico
albero utilizza un alternatore, del tipo magnete permanente (tipicamente Samarium-Cobalt), e richiede
che l’alta frequenza in AC di uscita (circa 1600 Hz per una macchina di 30 kW) sia convertita a 60÷50
Hz per i diversi impieghi. Questo tipo di operazione richiede due fasi:
• rettificazione, in questa fase si modifica l’alta frequenza, da corrente alternata (AC) a corrente
continua (DC).
• inversione, in questo caso si converte la DC in AC con frequenza di 60÷50 Hz.
Il processo di conversione comporta una riduzione dell’efficienza (approssimativamente 5%).
Nella fase di avvio, nel modello ad albero singolo, il generatore funge da motore mettendo in
moto il turbocompressore. Raggiunta una sufficiente velocità di rotazione si avvia il combustore. Per
completare la fase di avviamento sono richiesti parecchi minuti. Se il sistema opera indipendentemente
dalla rete sono richiesti dei gruppi elettronici di continuità per avviare il generatore.
Recuperatore
I recuperatori sono degli scambiatori di calore che utilizzano i gas caldi di scarico della turbina
(tipicamente attorno ai 650 °C) per preriscaldare l’aria compressa (tipicamente attorno ai 150 °C) che
poi va al combustore. In questo modo si riduce di molto il combustibile necessario per raggiungere
elevate temperature in ingresso turbina. Questo tipo di sistema è detto rigenerativo (Fig. 4.2.3.1) il quale
comporta un elevato rendimento termodinamico rispetto a quello senza rigenerazione, infatti facendo
riferimento all’aria standard si ha:
• senza rigenerazione:
(h − hD ) − (hB − hA ) = (TC − TD ) − (TB − TA )
ηno _ rig = C
(hC − hB ) (TC − TB )
• con rigenerazione:
ηsi _ rig =
(hC − hD ) − (hB − hA ) = (TC − TD ) − (TB − TA )
(hC − hE ) (TC − TE )
p
B
T C

p
A

E
D
B

A
s
CALORE DI RIGENERAZIONE

Figura 34: Ciclo rigenerativo con l’evidenziazione del calore trasferito.


Nelle microturbine i recuperatori possono più che raddoppiare l’efficienza della macchina.
Comunque, poiché c’è una caduta di pressione nel recuperatore sia nel lato turbina che nel lato
compressore, la potenza di uscita si abbassa di circa 10÷15% da quella ottenibile senza la rigenerazione.
Il recuperatore inoltre abbassa la temperatura dei gas di scarico della microturbine, riducendo l’efficacia
della microturbine nelle applicazioni cogenerative (CHP).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 61

4.7.18 4.3 − APPLICAZIONI COGENERATIVE (CHP)


Nelle applicazioni cogenerative (CHP) viene utilizzato un secondo scambiatore di calore (Figura
40) che trasferisce l’energia rimanente dei gas di scarico della microturbina ad un sistema di
riscaldamento dell’acqua sanitaria. Il calore dei gas di scarico può essere utilizzato anche per diverse
applicazioni come: raffrescamento mediante macchine ad assorbimento, riscaldamento degli edifici, ecc.
Alcune microturbine realizzate per le applicazioni cogenerative non usano il recuperatore, infatti
in questo caso la temperatura dei gas di scarico è più alta e quindi più calore può essere utilizzato per il
recupero.
Le caratteristiche delle microturbine utilizzate per scopi cogerativi sono:
• calore in uscita, le microturbine producono un calore in uscita a temperature comprese tra i 200 ed
i 270 °C, adatto per svariati impieghi.
• flessibilità sul combustibile, le microturbine possono funzionare usando differenti combustibili: gas
naturale, gas acidi, e combustibili liquidi come benzina, cherosene, gasolio.
• affidabilità e durata, la durata di progetto è stimata tra le 40000 e le 80000 ore di lavoro. Sebbene i
componenti hanno dimostrato un’elevata affidabilità, essi non hanno dato, nei servizi
commerciali, una durata abbastanza lunga.
• potenza di targa, le microturbine commerciali ed in via di sviluppo presentano potenze di targa
variabili tra i 30 ed i 350 kW.
• emissioni, le basse temperature di ingresso e gli elevati valori del rapporto aria-combustibile
comportano una riduzione degli NOX di circa 10 parti per milioni (ppm) quando si utilizza il gas
naturale.
• modularità, le unità possono essere connesse in parallelo per servire un elevato carico.
• Carico parziale, poiché le microturbine riducono la potenza riducendo la portata d’aria e la
temperatura di combustione, può succedere che l’efficienza a carico parziale sia superiore a quella
a pieno carico.

4.7.19 PRESTAZIONI DELLE MICROTURBINE


Le microturbine sono più complesse delle convenzionali turbine a gas a ciclo semplice, inoltre
l’aggiunta del recuperatore in entrambi i casi riduce la quantità di combustibile utilizzato (aumenta di
molto l’efficienza) ma introduce una perdita di pressione interna che abbassa di poco l’efficienza e la
potenza di uscita.
Il recuperatore a sua volta presenta quattro connessioni, per cui diventa una sfida per il
produttore di microturbine fare delle connessioni in modo tale da ridurre le perdite di pressione,
mantenere i costi di produzione bassi ed avere allo stesso tempo un’elevata affidabilità. Il recuperatore
ha due parametri che ne misurano le prestazioni, l’efficienza e la caduta di pressione, che vengono
selezionate facendo un’analisi dei costi e delle vendite. Un’elevata efficienza richiede un recuperatore
con grande superficie di scambio termico, la quale genera un incremento del costo e un’ulteriore caduta
di pressione. Quest’ultima riduce la potenza netta prodotta e di conseguenza aumenta il costo delle
microturbine per ogni kW.
Efficienza elettrica
La Figura 35 mostra l’efficienza elettrica di una microturbina con recuperatore in funzione del
rapporto di compressione, per un intervallo di temperature di fiamma comprese tra i 850 ed i 950°C alle
quali corrisponde un’ottima conservazione della vita dei materiali della turbina. L’efficienza riportata è
quella lorda infatti non vengono considerate le perdite di conversione dall’alta alla bassa frequenza. La
stessa figura 4.4.1.1 mostra una elevata prestazione per un rapporto delle pressioni compreso tra 3 e 4.
La Figura 36 mostra l’andamento della potenza specifica per lo stesso intervallo di temperature di
fiamma e del rapporto delle pressioni. Più elevato è il rapporto di compressione e più alta è la potenza
specifica. Comunque, i limiti pratici del raggiungere certe velocità di punta da parte dei componenti del
compressore e della turbina dovuto alla forza centrifuga, fa si che si utilizzano rapporti delle pressioni
tra 3,5 e 5.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 62

Figura 35: Efficienza della microturbina in funzione del rapporto di compressione e della temperatura di fiamma.
In questa figura è mostrato anche il valore del potere calorifero superiore (HHV), il quale include
il calore di condensazione del vapore acqueo nei prodotti della combustione.

Figura 36: Potenza specifica delle microturbine in funzione del rapporto di compressione e temperatura di fiamma.
Nella letteratura scientifica è spesso usato il potere calorifero inferiore (LHV), il quale non
include il calore di condensazione del vapore acqueo. Il potere calorifero superiore è più grande di
quello inferiore e nel caso di gas naturale la differenza è del 10%.
Prestazioni a carico parziale
Quando siamo a carico parziale si richiede una minor potenza di uscita dalla microturbina. La
riduzione di potenza può avvenire riducendo la portata massica (ottenuta riducendo la velocità del
compressore) e la temperatura di ingresso alla turbina.
I tempi necessari ad una microturbina per andare dalla condizione di assenza di carico a quella a
pieno carico sono dell’ordine dei 15 secondi. Una rapida eliminazione del carico causerà quindi un
accumulo di energia nella microturbina con un aumento della velocità di rotazione che danneggerà la
stessa.
Insieme ad una riduzione della potenza, questi cambiamenti delle condizioni operative riducono
anche l’efficienza (Figura 37).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 63

Figura 37: Prestazioni a carico parziale di una microturbina.


Effetti delle condizioni ambientali sulle prestazioni delle microturbine
Le condizioni ambientali in cui lavora una microturbina ha un notevole effetto sulla potenza di
uscita e sull’efficienza. Ad una elevata temperatura dell’aria in ingresso, decrescano sia la potenza che
l’efficienza. La potenza decresce a causa di una minore portata d’aria d’ingresso (infatti la densità
dell’aria diminuisce all’aumentare della temperatura), e l’efficienza decresce perché il compressore
richiede una maggiore potenza per comprimere aria ad una più elevata temperatura (Figura 38).

Figura 38: Effetto della temperatura ambiente sulle prestazioni di una microturbina.

Un altro fattore che condiziona le prestazioni delle microturbine è l’altitudine in quanto la densità
decresce all’aumentare dell’altitudine rispetto al livello del mare e di conseguenza diminuisce la potenza
(Figura 39).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 64

Figura 39: Effetto dell’altitudine sulle prestazioni della microturbina.


Recupero di calore
L’uso dell’energia termica contenuta nei gas di scarico accresce l’economicità delle microturbine.
L’energia contenuta nei gas di scarico può essere recuperata ed usata in svariati modi, incluso il
riscaldamento dell’acqua sanitaria, il riscaldamento degli edifici, il raffrescamento mediante chiller ad
assorbimento.
L’efficienza del sistema di cogenerazione delle microturbine è funzione della temperatura del
calore di scarico. L’efficacia del recuperatore influenza fortemente la temperatura di scarico della
microturbina. Di conseguenza i sistemi cogenerativi delle microturbine hanno differenti valori di
efficienze e di calore netto utilizzabile. Queste variazioni sono dovuti al modello e al costo di
realizzazione del recuperatore.
Emissioni
Le microturbine presentano delle emissioni particolarmente basse. Tutte la microturbina si
basano sulla tecnologia di bruciare combustibili gassosi che hanno la caratteristica di essere premiscelati
e magri. In questo caso si riducono gli NOx.
I principali inquinanti che fuoriescono dalle microturbine sono gli NOx (ossidi di azoto), CO
(monossido di carbonio) e idrocarburi incombusti. Esse producono anche delle piccole quantità di SO2
(diossido di zolfo). Le microturbine sono realizzate per ridurre le emissioni quando siamo a pieno
carico; spesso esse sono molto più elevate quando si opera a carico parziale. L’inquinante NOx è una
miscela di NO e NO2.
Gli NOx si formano da tre meccanismi quello predominante è quello termico. L’ossigeno e
l’azoto presenti nell’aria non reagiscono tra loro a temperatura ambiente ma possono reagire ad alta
temperatura dando luogo all’ossido di azoto:
O2 + N 2 ⇒ 2 NO
Il livello di NOx prodotti dall’effetto termico dipende dalla temperatura di fiamma e del tempo di
residenza. Una elevata temperatura di fiamma incrementa di molto la produzione di NOx.
Una combustioni incompleta ci dà CO ed idrocarburi incombusti. Le emissioni di CO sono
dovuti ad un insufficiente tempo di residenza ad elevata temperatura. Le emissioni di CO dipendono
pesantemente anche dalle condizioni di carico. Infatti un’unità che lavora a bassi carichi tenderà ad
avere una combustione incompleta che incrementerà la formazione di CO. I valori di CO devono
essere sotto i 50 ppm.
Anche se non è considerato come un inquinante nel vero senso della parola, le emissioni di CO2
sono alquanto pericolose per il contributo al riscaldamento della Terra. Il riscaldamento atmosferico è
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 65

dovuto al fatto che la radiazione solari penetra sulla superficie della Terra ma la radiazione infrarossa
emessa dalla stessa superficie viene assorbita dalla CO2 presente nell’atmosfera incrementando quindi la
temperatura del globo terrestre. La quantità di CO2 emessa è funzione del carbonio contenuto nel
combustibile e dall’efficienza del sistema.
Le emissioni tipiche di una microturbina sono mostrate nella Tabella 9.

Emissioni Sistema 1 Sistema 2 Sistema 3 Sistema 4


Nominai Eiectricity Capacity (kW) 30 70 100 350
Eiectricai Efficiency, HHV 23% 25% 27% 29%
NOx,ppmv 9 9 15 9
NOx, lb/MWh14 0.54 0.50 0.80 0.53
CO,ppmv 40 9 15 25
CO, lb/MWh 1.46 0.30 0.49 0.72
THC, ppmv <9 <9 <10 <10
THC, lb/MWh <0.19 <0.17 <0.19 <0.19
CO2, (lb/MWh) 1,928 1,774 1,706 1,529
Carbon, (lb/MWh) 526 484 465 417
Tabella 9: Valori delle emissioni di una microturbina

4.7.20 ESEMPIO DI COGENERATORI CON TURBINE GAS


Esistono in commercio moduli compatti di sistemi di cogenerazione con turbina a gas del tipo di
quelli indicato in Figura 41 (Sistema Turbec ®) capace di produrre, alle condizioni nominali di 15 °C di
temperatura a b.s. dell’aria di immissione, 100 kW di energia elettrica e 160 kW di energia termica con
acqua a 95 °C.

Figura 40: Ciclo rigenerativo a gas


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 66

Figura 41: Esempio di modulo compatto di cogeneratore con turbina a gas


In Figura 42 si ha la vista frontale dello stesso modulo: sono visibili i canali di immissione dell’aria
esterna e di espulsione dei gas combusti. In Figura 43 si ha la vista dell’interno del modulo Turbec ® da
100 kWe nominali.
Si osservi come il contenitore (lungo 2900 mm, largo 760 mm ed alto 1900 mm) racchiuda sia la
turbina a gas che il generatore elettrico e i recuperatori di calore.

Figura 42: Vista frontale del modulo


I canali di immissione aria sono di 400 mm di diametro e quelli di espulsione degli incombusti di
200 mm di diametro. Il sistema è dato per un funzionamento garantito di almeno 60.000 ore (cioè di
oltre 7 anni continui di funzionamento).

Figura 43: Interno del modulo Turbec da 100 kWe nominali.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 67

Il package sopra indicato consente di utilizzare il sistema di cogenerazione come un qualsiasi


generatore al quale ci si deve preoccupare di garantire l’aria di combustione e lo scarico dei gas. Il
modulo prevede anche, vedi figure precedenti, gli attacchi per l’ingresso e l’uscita dell’acqua calda.
Il sistema indicato funziona a gas metano con pressione di alimentazione di 6.5 bar e con
consumo nominale di 360 kW e rendimento globale pari al 72 %..
La rumorosità del modulo è ridottissima e pari a 70 dB ad 1 m di distanza. Si tratta, quindi, di un
generatore molto silenzioso, specialmente se paragonato ai generatori a turbina tradizionali.
Il costo indicativo del sistema Turbec ® è di circa 280 ML, esclusa installazione e pipino e quindi si
tratta di un sistema interessante sia per le applicazioni di cogenerazione di media grandezza che per le
applicazioni di trigenerazione in accoppiamento con un refrigeratore d’acqua ad assorbimento a
bromuro di litio.

4.7.21 MOTORE PRIMO CON TURBINA A VAPORE


La turbina a vapore si presta benissimo quale motore primo per gli impianti di cogenerazione.
Essa può essere a condensazione, a contropressione o a prelievo regolato.
La turbina a condensazione è solitamente utilizzata per sola produzione di energia elettrica ed
hanno ottimi rendimenti (specialmente con gruppi di potenza > 100 MW).
La turbina a contropressione scarica parte del vapore ad una pressione stabilita per usi esterni (di
processo o termici) mentre parte (o anche niente per la contropressione totale) prosegue fino a
condensazione).
La turbina a vapore consente di utilizzare combustibili diversi ed avere anche caldaie a recupero
per varie applicazioni. Ha una elevata affidabilità, facilità di conduzione e manutenzione e bassi
consumi specifici per la produzione di elettricità.
In genere la turbina a vapore consente poca elasticità nel carico e quindi si ha una elevata rigidità
di impianto. Le turbine a prelievo regolato presentano una maggiore flessibilità in funzione della
variazione del carico.

4.7.22 CICLO TERMODINAMICO


La macchina a vapore utilizza il vapore come fluido di lavoro poiché esso gode della caratteristica
di operare trasformazioni isotermiche ed isobariche all’interno della curva di Andrews, come indicato in
Figura 44. Si osservi, infatti, che per una generica isobara all’interno della curva si ha un andamento
orizzontale (coincidente con l’isoterma, anche se non di eguale valore, s’intende!). Questo è giustificato
dalla varianza ridotta ad 1 quando il vapore è saturo17. Questa caratteristica risulta interessante per la
realizzazione di un ciclo che si avvicini al ciclo ideale di Carnot.
Si osservi, infatti, la Figura 45: in essa si ha all’interno della curva di Andrews un ciclo di Carnot a
tratto intero. Non vi è dubbio che le trasformazioni BC di vaporizzazione e DA di condensazione sono
contemporaneamente isotermiche ed isobare. Nella realtà si ha sempre un perdita di pressione nel
movimento del vapore saturo nelle tubazioni della caldaia ma si può per il momento pensare che queste
perdite siano piccole e trascurabili.
Le trasformazioni CD e AB sono isoentropiche ma non realizzabili nella realtà. L’espansione CD
può essere politropica e quindi con una perdita di lavoro utile a causa della non isoentropicità. La
trasformazione AB rappresenta una compressione di un vapore saturo (in D) che viene compresso fino
al punto A in cui è liquido saturo secco.
Una tale trasformazione non è in alcun modo realizzabile nella pratica, neanche con produzione
di irreversibilità, a causa della grande variazione del volume specifico del fluido (grande quando c’è
vapore e piccolo quando c’è liquido!) e del pericolo di impuntamento del pistone di compressione.

17 Un vapore si dice saturo quando è in presenza del proprio liquido.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 68

Pertanto la trasformazione AB viene sostituita, per il momento con riferimento al ciclo ideale
reversibile, con la trasformazione di piena condensazione DA’ e poi segue una compressione in fase
liquida (mediante una normale pompa) da A’ alla pressione in caldaia, punto A’’.
Dal punto A’’ occorre ora riscaldare l’acqua fino al punto B di inizio vaporizzazione per poi
proseguire con le fasi normali del ciclo di Carnot. Purtroppo la fase di riscaldamento A’’B è
esternamente irreversibile nel senso che in questa trasformazione si fornisce calore alla macchine ma
a temperatura variabile e pertanto si ha una irreversibilità termodinamica che porta ad avere un ciclo
ideale (cioè internamente reversibile) ma con un rendimento inferiore rispetto al ciclo di Carnot.
Il ciclo di Carnot così modificato è il ciclo Rankine che è il ciclo noto fin dalla fine del settecento
come ciclo delle macchine a vapore. Le prime macchine a vapore furono costruite in Gran Bretagna per
azionare i montacarichi nelle miniere del Galles. Esse avevano rendimenti bassissimi (2-4%) ma
segnarono l'inizio della cosiddetta era industriale.
Pian piano vennero perfezionate e divennero sempre più affidabili e potenti tanto da potere
essere utilizzate anche per le locomotive a vapore e per i motori marini dei piroscafi.
Temperatura

T
x=0.6

x= 0
.2

x=1
x=0.4
x= 0

a
x= 0

bar
.8

X iso
A
B
T e p costanti
Curv
a de
o
secc

l vap
ore s
turo
o sa

aturo
quid

secc
del li

o
a
curv

sl sx sv Entropia Specifica

Figura 44: Curva di Andrews per il vapore d’acqua


Le macchine a vapore del secolo scorso (ma che sono utilizzate anche oggi in alcune applicazioni)
utilizzavano quale organo motore il cassonetto con stantuffo.
L'esempio tipico é quello delle locomotive a vapore o dei motori marini vecchio tipo.
Oggi tali organi motori sono stati soppiantati quasi del tutto dalle turbine a vapore. Il ciclo di
Rankine o delle macchine a vapore e rappresentato in Figura 46 nel piano (p,v). Il calore viene ceduto
in caldaia all'acqua che vaporizza (trasformazione ABC) e poi si invia il vapore in una turbina dove
viene fatto espandere (trasformazione CD).
In uscita dalla turbina il vapore viene condensato (cioè passa dallo stato di vapore a quello di
liquido) nel condensatore (trasformazione DA) e da questo mediante una pompa (non é rappresentata
in figura la corrispondente trasformazione perché troppo piccola alla scala considerata) viene rimandato
in caldaia e si ripete il ciclo.
Il rendimento termodinamico dipende dalle quantità di calore cedute nella vaporizzazione in
caldaia e nella condensazione nel condensatore secondo la relazione
L Q
η= = 1− 2 . (56)
Q1 Q1
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 69

Ricordando che per trasformazioni isobare si può calcolare il calore scambiato mediante
differenza di entalpia così come per trasformazioni adiabatiche il lavoro è ancora dato dalla differenza
di entalpia, si può ancora scrivere:
L h −h
η= = C D (57)
Q1 hC − hA
Questo ciclo é utilizzato in tutte le centrali termiche per ottenere potenze elevate. Esso é
utilizzato nelle centrali ENEL (non nella versione di base ora vista ma con ulteriori miglioramenti
impiantistici) e negli impianti industriali.
Il ciclo Rankine produce, negli impianti di grande potenza (oggi si hanno centrali da 1 GW),
inquinamento termico nel senso che il condensatore si hanno scarica nell'ambiente enormi quantità di
calore a bassa temperatura che può, qualora non adeguatamente controllato, provocare mutazioni
nell'equilibrio ecologico dell'ambiente circostante.
In genere si limitano a due o tre i surriscaldamenti per problemi in caldaia.
In Figura 48 si ha il confronto (supponendo trasformazioni internamente reversibili!) fra il ciclo
Rankine ed il ciclo di Carnot. L’area tratteggiata indica la perdita ideale18 rispetto al ciclo di Carnot a pari
temperature estreme. La stessa figura spiega anche perché è importante utilizzare i vapori saturi per le
macchine termiche.
Temperatura

B C

A''

A' D
A

Entropia

Figura 45: Ciclo di Carnot con vapore saturo


Si osserva, infatti, che la trasformazione BC è di vaporizzazione (da A verso B) e pertanto, per
quanto detto per i cambiamenti di stato, la temperatura è costante. Analogo discorso, anche se parziale,
può essere fatto per la trasformazione DE di parziale condensazione.
Quindi l’utilizzo di trasformazioni all’interno della curva di Andrews consente di avere scambi
termici a temperature costanti e quindi, almeno idealmente, di essere confrontabili con le analoghe
trasformazioni del ciclo di Carnot.

18 Si ricordi che le trasformazioni reali sono sempre irreversibili e che le aree nel piano di Gibbs non sono pari ai
lavori reali poiché sono incluse anche le perdite per irreversibilità che il diagramma entropico non visualizza.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 70

Si può ancora osservare dalla Figura 48 che la fase AB di preriscaldamento del liquido fino alle
condizioni di saturazione (corrispondenti al punto B) non avviene a temperatura costante e pertanto la
trasformazione, pur essendo internamente reversibile, è esternamente irreversibile con la conseguenza che il
rendimento del ciclo Rankine è ineluttabilmente inferiore a quello del ciclo di Carnot corrispondente.
Oggi si cerca di ovviare a queste conseguenze mediante la rigenerazione termica con la quale si riduce
al massimo la fase esternamente irreversibile di preriscaldamento. Il Ciclo che ne deriva è più complesso di
quello sopra schematizzato.

4.7.23 DISPOSITIVI FONDAMENTALI PER LE CENTRALI TERMICHE A VAPORE


Le trasformazioni indicate in Figura 46 sono realizzate mediante particolari dispositivi,
schematizzati con simbolismo in Figura 46 a destra. Questi dispositivi sono fra loro collegati mediante
tubazioni nelle quale scorre il vapore o l’acqua di condensa, a seconda delle trasformazioni.
La Caldaia
Le caldaie di potenza sono mastodontiche installazioni, vedi Figura 49, nelle quali si trasferisce la
massima quantità di energia termica dalla fiamma, in basso nella sezione conica, all’acqua e al vapore
che fluiscono lungo le pareti e nella zona laterale protetta, rispettivamente. La zona laterale è utilizzata
per il surriscaldamento del vapore: essa riceve calore solo per convezione poiché l’irraggiamento
termico della fiamma viene mascherato dalla struttura e in questo modo può limitare la temperatura
massima del vapore. Si ricordi, infatti, che il calore specifico del vapore è minore di quello dell’acqua e
pertanto se si mantenesse lo stesso flusso termico di fiamma si avrebbe il rischio di bruciatura dei tubi.
Queste caldaie sono assai ingombranti e pongono seri problemi anche dal punto di vista delle
installazioni. Esse richiedono, infatti, strutture portanti di grandi dimensioni, solitamente in acciaio, e
capaci di sopportare azioni deflagranti e sismiche.
TURBINA

LAVORO UTILE

CONDENSATORE
CALDAIA

POMPA

Figura 46: Ciclo delle macchine a vapore di Rankine


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 71

Temperatura
B C

D
E

Entropia

Figura 47: Rappresentazione del Ciclo Rankine ideale.


Temperatura

Zona in difetto rispetto al ciclo di Carnot

B C

D
E

Entropia

Figura 48: Confronto fra il ciclo Rankine e il ciclo di Carnot


Per impianti di modeste dimensioni si possono avere tipologie di caldaie più semplici a tubi
d’acqua e a tubi di fumo. La fiamma proveniente dal bruciatore produce fumi che lambiscono i tubi
all’interno dei quali scorre l’acqua che viene così riscaldata e/o vaporizzata.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 72

Figura 49: Layout di una caldaia di potenza per grandi centrali


Le caldaie a tubi di fumo (cioè con passaggio dei gas di combustione all’interno del fascio tubiero
mentre l’acqua scorre all’esterno) hanno limiti di pressione e temperatura di 30 bar e 350 °C con una
produzione di circa 2.8 kg/s (cioè 10 t/h).
Le caldaie a tubi d’acqua possono produrre vapore in condizioni diverse.
Nelle caldaie a circolazione naturale la circolazione avviene senza organi motori esterni. Nelle caldaie
a circolazione forzata le pompe di alimentazione assicurano la circolazione attraverso l’intero generatore a
vapore in modo da favorire lo scambio termico in condizioni di assoluta sicurezza.
I componenti di una caldaia sono, in genere:
⋅ La camera di combustione in cui avviene la trasformazione dell’energia del combustibile in calore;
⋅ Il corpo cilindrico superiore in cui la miscela acqua-vapore (funzione del titolo di uscita) si separa
liberando in alto il vapore acqueo che prosegue il ciclo;
⋅ Il corpo cilindrico inferiore che serve per distribuire l’acqua nel fascio tubiero;
⋅ Il fascio tubiero costituito da tubi, investiti esternamente dai fumi caldi e percorsi internamente
dall’acqua in riscaldamento e/o vaporizzazione;
⋅ Il surriscaldatore, costituito da una serpentina ove il vapore passa da saturo a surriscaldato;
⋅ Il desurriscaldatore in cui il vapore viene raffreddato in caso di necessità;
⋅ L’economizzatore, posto nella parte estrema della caldaia con la funzione di riscaldare l’acqua di
alimento;
⋅ Il riscaldatore d’aria che sfrutta il calore contenuto nei fumi all’entrata della caldaia;
⋅ Le pompe di circolazione, presenti solo nelle caldaie a circolazione forzata o controllata;
⋅ L’impianto di pulizia della caldaia per allontanare i depositi e/o le incrostazioni.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 73

La Turbina a vapore
L’organo che produce potenza attiva è la turbina a vapore il cui schema costruttivo è dato in
Figura 50 nella quale sono visibili gli organi di distribuzione del vapore e gli anelli del rotore di diametro
crescente verso l’uscita19.
Nella Figura 51 si può osservare una turbina a vapore di potenza aperta in stabilimento. Sono ben
visibili gli anelli di palette e la sezione crescente verso il collettore di uscita (coclea esterna).
Le dimensioni delle turbine a vapore sono crescenti man mano che la pressione di esercizio si
abbassa rispetto a quella atmosferica. Pertanto le turbine ad alta pressione (oltre 50 bar) sono molto più
piccole di quelle a bassa pressione (una decina di bar).
Le turbine ad alta pressione sono spesso del tipo contrapposto, vedi Figura 52, per ridurre lo sforzo
sui cuscinetti di supporto. In questo caso la distribuzione del vapore è centrale e il flusso viene poi
suddiviso verso i due lati in modo da bilanciare la spinta laterale sui banchi di supporto.
I parametri che caratterizzano una turbina a vapore sono i seguenti:
⋅ condizioni del vapore all’ammissione e allo scarico;
⋅ portata massica del vapore;
⋅ rendimento adiabatico;
⋅ potenza fornita.
Il rendimento adiabatico ηa dipende dal tipo di turbina e in particolare dalla taglia secondo la
seguente tabella:
⋅ per potenze sopra i 150 MW si ha ηa= 0.82÷0.83
⋅ per potenze tra 5 e 50 MW si ha ηa= 0.76÷0.82
⋅ per potenze fra 1 e 5 MW si ha ηa= 0.70÷0.76
⋅ per potenze < 1 MW si ha ηa< 0.72
Quando la turbina a vapore è accoppiata ad un alternatore occorre tenere conto, ai fini del calcolo
della potenza elettrica prodotta, del rendimento di quest’ultimo variabile, secondo la taglia,
nell’intervallo 0.96÷0.99.

19 Si ricordi che il vapore espandendosi aumenta considerevolmente il suo volume specifico e pertanto la turbina
deve consentire questo incremento volumetrico mediante l’incremento della sezione di passaggio del vapore.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 74

Figura 50: Schema di una turbina a vapore


Condensatore
Il condensatore è l’organo di maggiori dimensioni di tutto l’impianto.
Esso è costituito da grandi banchi di tubi di rame nei quali si fa passare acqua fredda all’interno e
vapore in uscita dalla turbina all’esterno.
La condensazione avviene ad una temperatura di 32-40 °C e ad una pressione di 0,035-0,045 bar.
Si utilizza, di norma l’acqua di mare o l’acqua di fiumi di grandi portate (ad esempio il Po) per
evitare l’inquinamento termico cioè l’innalzamento sensibile della temperatura dell’acqua e ciò per evitare
conseguenze biologiche nella flora e nella fauna marina.
Pompe di alimentazione in caldaia
L’acqua uscente dal condensatore a bassa pressione (circa 0,04 bar) viene poi portata alla
pressione di alimentazione in caldaia (circa 70 bar) mediante opportune pompe di alimentazione le cui
dimensioni sono piccole rispetto a quelle degli altri organi sopra descritti.
La potenza assorbita dalle pompe di alimentazione è di 1-÷2 % di quella prodotta dalle turbine.

4.7.24 CICLO HIRN


L’evoluzione naturale del ciclo Rankine è il ciclo Hirn nel quale il vapore in uscita dalla caldaia
non è in condizioni saturo secco bensì surriscaldato, vedi Figura 53. Il rendimento di questo ciclo è
ancora dato dalla (56) ma con calore Q1 dato dalla differenza:
Q1 = hD − hE (58)
e pertanto il rendimento vale:
L hD − hE
η= = (59)
Q1 hD − hA
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 75

Figura 51: Turbina a vapore aperta


Rispetto al ciclo Rankine il surriscaldamento del vapore da C a D porta ad avere rendimenti più
elevati anche se le perdite per irreversibilità rispetto al ciclo di Carnot corrispondente sono ancora
maggiori.
La temperatura massima oggi raggiungibile in D è di circa 570 °C per le centrali ENEL e di 760
°C per le centrali tedesche. Il motivo di questa diversità è da ricercare nel tipo di acciaio utilizzato per le
costruzioni impiantistiche.
In Italia si usano acciai meno pregiati ma più economici mentre in Germania si utilizzano acciai
austenitici più costosi ma che consentono di lavorare a temperature più elevate con conseguente
maggior rendimento rispetto alle centrali italiane. Oggi con il combustibile ad alto costo è preferibile
avere rendimenti più elevati che costi iniziali di installazione più ridotti. Per aumentare ulteriormente il
rendimento del ciclo Hirn si può anche avere più di un surriscaldamento, come riportato in Figura 54.
In genere si limitano a due o tre i surriscaldamenti per problemi in caldaia.

4.7.25 CICLI A SPILLAMENTO


L’ultima tendenza nella direzione del miglioramento del rendimento del ciclo a vapore è quella
dei cicli a spillamento. In questi cicli, che qui non si approfondiscono per la limitatezza del corso, si cerca
di riparare al guasto termodinamico provocato dal preriscaldamento dell’acqua prima di vaporizzare.
Questa fase è, come già detto in precedenza, fortemente irreversibile e riduce molto il rendimento
del ciclo Hirn (o anche di Rankine). Allora se si riesce a riscaldare il più possibile l’acqua di alimento in
caldaia con calore sottratto allo stesso vapore durante l’espansione in turbina si può pensare di ridurre
le perdite di irreversibilità anzidette.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 76

Figura 52: Turbina a vapore ad anelli contrapposti


Temperatura

C
B

F E

Entropia

Figura 53: Ciclo Hirn nel piano (T,s)


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 77

Temperatura
G
D

C
B
E

F H

Entropia

Figura 54: Ciclo Hirn con due surriscaldamenti


Questo è proprio quello che si fa nei cicli a spillamento. Si preleva vapore dalla turbina durante la
fase di espansione e lo si fa condensare in uno scambiatore di calore (detto recuperatore) in modo da
cedere il calore di condensazione all’acqua che alimenta la caldaia.
In Figura 55 si ha un esempio di ciclo Hirn con 4 spillamenti che portano l’acqua dalle condizioni
del punto A (uscita dalla pompa) fino al punto B’. Occorrerà fornire solamente il calore di
preriscaldamento da B’ a B.
Questo è certamente inferiore al calore AB senza spillamenti e pertanto si riducono le perdite per
irreversibilità.
Aumentando il numero di spillamenti si può portare il punto B’ molto vicino a B incrementando,
così, il rendimento termodinamico. Per motivi di costo si limitano gli spillamenti a 12÷18 al massimo.
I cicli a spillamento risultano vantaggiosi anche perché producono una sensibile riduzione delle
dimensioni delle turbine e del condensatore. In questi organi, infatti, viene a fluire una portata inferiore
rispetto al caso di ciclo senza spillamento.
Per il calcolo del rendimento occorre prima determinare le frazioni di vapore spillate e poi
determinare l’energia utile prodotta dalla quantità residua di vapore che si espande fra i vari tratti del
segmento DE.
Per la determinazione delle frazioni spillate si ricorre ad equazioni di equilibrio termico nei singoli
recuperatori di calore (in numero pari agli spillamenti).
Tale applicazione viene qui tralasciata per semplicità. Si osservi ancora che vi sono vari criteri per
individuare i punti ottimali di spillamento.
Un criterio semplice, ma in buon accordo con la pratica, è quello di suddividere il salto termico
DE in parti eguali al numero di spillamenti desiderati (come indicato nella Figura 55).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 78

Temperatura
D

Calore di preriscaldamento C
B

B'

re
alo
di c

Spillamenti
ero
cu p
Re

A
F E

Entropia

Figura 55: Cicli a spillamento

4.7.26 COMBUSTIBILI UTILIZZATI


Si è detto che nel ciclo a vapore si può, in generale, utilizzare qualunque tipologia di combustibile
sia esso solido, liquido o gassoso. La scelta del combustibile si riflette sulle caratteristiche della caldaia,
del ciclo di trattamento del combustibile e del sistema di depurazione dei fumi. La combustione con
combustibili gassosi e con polverino di carbone polverizzato viene realizzata tramite l’uso di bruciatori
nei quali l’aria viene miscelata al combustibile mentre nel caso di combustibili solidi (non polverizzati) si
ha un focolare dotato di griglie.
Fra i combustibili principali si ricordano:
⋅ greggio;
⋅ olio combustibile
⋅ gas naturale
⋅ gas residuo (gas di cokeria, gas di raffineria, …)
⋅ polverino di carbone;
⋅ coal-oil
Nelle caldaie a focolare si possono bruciare:
⋅ carbone povero
⋅ combustibile da rifiuti (CDR)
⋅ legna
I combustibili gassosi non richiedono, in generale, alcun trattamento ed i bruciatori sono più
semplici che in altri casi. I combustibili liquidi comportano una fase di filtraggio e riscaldamento al fine
di raggiungere i valori necessari di pressione e viscosità (40÷60 bar e η< 5 °E) per la successiva
operazione di polverizzazione al bruciatore.
I combustibili solidi (carbone, scarti di lavorazione, RSU, …) possono subire trattamenti
preliminari per raggiungere i valori di granulometria e contenuto d’acqua imposti dal tipo di bruciatore
adottato o del tipo di forno (ad esempio a letto fluido).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 79

4.7.27 POSSIBILITÀ DI COGENERAZIONE


Per un ciclo cogenerativo nel quale si desideri avere la necessaria flessibilità nel soddisfacimento
del carico elettrico e termico si utilizza, di solito, la turbina in derivazione e condensazione (detta anche
a prelievo regolato).
Questo tipo di impianto può lavorare anche separatamente dalle reti esterne (parallelo elettrico e
termico) come pure possono lavorare in parallelo con la rete ENEL e cedere energia in caso di
sovrapproduzione.
Impianti a derivazione e condensazione
Il rapporto C =ET/EE può variare fra 0 e 4 e anche oltre nel caso di contropressione. In Figura
56 si ha un esempio di impianto con turbina a vapore a derivazione e condensazione.
In questo caso la turbina è sostanzialmente divisa in due parti: un corpo ad alta pressione, ove si
espande tutto il vapore prodotto, ed uno a bassa pressione dove avviene l’espansione del vapore che
eccede quello richiesto dalla utenza.

TURBINA

CONDENSATORE
CALDAIA

Figura 56; Ciclo a vapore a derivazione e condensazione


Questo tipo di impianto consente di realizzare tutti i casi fra la turbina a condensazione pura e
quella in contropressione pura. E’ quindi molto flessibile e segue perfettamente le esigenze del carico
elettrico e termico dell’Utenza. Si tenga presente che occorre avere almeno 6÷7% di vapore in
espansione nella sezione a bassa pressione per avere un raffreddamento del corpo turbina.
Inoltre il corpo a bassa pressione non è dimensionato per ricevere tutta la portata di vapore e
pertanto i due casi limiti sono solo teorici. Per questa tipologia di impianto occorre considerare i
seguenti parametri:
⋅ rendimento totale, N
⋅ rendimento elettrico, NE
⋅ consumo specifico di vapore per la produzione elettrica, qp
⋅ rapporto energia termica su energia elettrica, C.
Tutti questi parametri variano al variare del carico elettrico e della potenza termica estratta. In un
gruppo a derivazione e condensazione si può variare il carico elettrico, entro certi limiti, senza pesare
sul carico termico e, viceversa, è possibile variare il carico termico senza disturbare il carico elettrico. La
regolazione, infatti, agisce sia sulle valvole di ammissione alla turbina che su quelle a valle del prelievo.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 80

DESURRISCALDATORE TURBINA GENERATORE

CALDAIA

ALLA UTENZA

DEGASATORE RITORNO CONDENSA

Figura 57: Schema di un impianto a vapore con turbina in contropressione

4.7.28 IMPIANTI A CONTROPRESSIONE


Questi impianti sono detti a recupero totale e forniscono calore ad una utenza (detta fredda) in
grado di dissipare tutto il carico.
Essi presentano una elevata rigidità e quindi non consentono di variare indipendentemente i
carichi elettrici e termici.

TURBINA GENERATORE
TURBINA

G
AP BP

CALDAIA

DEGASATORE RITORNO CONDENSA

Figura 58: Schema di un impianto a contropressione con due turbine e due livelli di scarico vapore
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 81

DESURRISCALDATORE TURBINA GENERATORE

RETE ELETTRICA ESTERNA


CALDAIA

UTENZA

Figura 59: Schema di un SET con turbina a vapore a contropressione per reti di teleriscaldamento
In genere gli impianti a contropressione sono dimensionati sull’utenza termica con rendimento
complessivo che può raggiungere il 90%. In Figura 57 si ha lo schema di un impianto in
contropressione nella versione più semplice, adatto per piccole taglie. Lo stadio di riduzione di
pressione e di desurriscaldamento del vapore, unitamente al by-pass della turbina, è utilizzato sia in fase
di avviamento del gruppo che in caso di fuori servizio della turbina. Il desurriscaldatore serve ad
adattare il vapore alle esigenze dell’utenza.
In Figura 58 si ha uno schema di impianto a contropressione con due turbine: in questo modo si
hanno due livelli di scarico del vapore a diversa pressione. In Figura 59 si ha uno schema tipico per
applicazioni di teleriscaldamento.
La turbina in contropressione è regolata dalla quantità di combustibile bruciato in caldaia e quindi
dalla quantità di vapore inviato alla turbina stessa, a parità di condizioni termodinamiche. In linea di
principio la regolazione può essere asservita sia al carico termico che al carico elettrico.
4.8 ESEMPI DI APPLICAZIONI DELLA COGENERAZIONE
Gli effetti della L 9/91 e L 10/91 non si sono fatti aspettare e già oggi si contano numerose
applicazioni della cogenerazione che hanno dimostrato maturità e convenienza. In genere i problemi
tecnici sono di facile risoluzione per cui la convenienza dei sistemi cogenerativi si basa tutta sull’analisi
finanziaria ed economica, come precedentemente detto.
Un errore da evitare è quello di sovradimensionare questi impianti ad esempio scegliendo taglie
dei componenti dimensionati per far fronte alle punte dei carichi termici e/o elettrici: si rischia di avere
oneri finanziari molto grandi e rendimenti ai carichi ridotti bassi.
Il dimensionamento dei componenti di impianto e della giusta taglia del SET deve partire
dall’analisi approfondita e certa degli andamenti dei carichi termici ed elettrici (ad esempio mediante le
curve cumulative già citate) avendo cura di selezionare i carichi medi e non le punte.
Non sempre questa analisi risulta agevole poiché certe applicazioni (ad esempio quelle di
climatizzazione degli edifici) risultano sempre fortemente variabili nel tempo. In questi casi occorre
diversificare i casi di edifici esistenti per i quali sono reperibili dati storici ed edifici nuovi per i quali si
debbono operare scelte progettuali sulla base di confronti e/o assimilazioni con casi esistenti.
Un metodo oggi seguito per la previsione dei carichi è quello dell’utilizzo di codici di calcolo
affidabili che forniscano risultati utili per lo scopo prefissato.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 82

In genere si fa riferimento ad un anno tipo (reference year) o a sequenze temporali di dati


climatologici tali da essere statisticamente significativi per il periodo di simulazione desiderato. Tali
codici sono reperibili commercialmente20 o tramite istituti di ricerca.

4.8.1 APPLICAZIONI INDUSTRIALI DELLA COGENERAZIONE


La taglia industriale degli impianti cogenerativi varia da 100 kW a 20 MW e più e quindi si tratta
di potenze significative anche rispetto alle applicazioni più importanti in campo civile.
L’esigenza della cogenerazione scaturisce, di norma, dall’elevato costo dell’energia elettrica nelle
fasce orarie di maggior uso e dalla necessità di disporre di calore per applicazioni di processo (vapore,
acqua calda, reti tecnologiche interne,…). Sono spesso utilizzati motori endotermici (quando si
richiedono basse temperature) più efficienti e comodi rispetto agli altri tipi di motori primi.
Per potenze elevate e per temperature richieste superiori ai 100 °C si utilizzano prevalentemente
turbine a vapore o a gas: si tratta quasi sempre di grosse iniziative che nascono in grandi
raggruppamenti industriali che utilizzano anche residui di lavorazione o rifiuti urbani o industriali (oli,
scarti petroliferi, …).

4.8.2 IL TELERISCALDAMENTO
Il teleriscaldamento è una distribuzione di energia termica distribuita sul territorio anche a
notevole distanza e per applicazioni anche differenziate. In Italia si sono avute applicazioni di
teleriscaldamento per iniziativa di Aziende Municipalizzate per il riscaldamento urbano (vedansi gli
esempi di Brescia, Ferrara, …).
Purtroppo questa tecnologia è da considerare ancora agli inizi e limitata a superfici limitate
(qualche quartiere). L’energia termica viene prodotta in una centrale appositamente attrezzata (forni
policombustibile) e distribuita mediante reti, magliate e/o ramificate, di tubi di acqua calda a pressione
posta sotto terra.
Le centrali cogenerative consentono di produrre sia energia termica che elettrica, entrambe
distribuite in rete dalle stesse aziende municipalizzate. Il calore viene utilizzato sia per riscaldamento
ambientale che per usi sanitari e/o ospedaliero.
Il dimensionamento dell’impianto viene effettuato utilizzando i codici di calcolo per la previsione
dei carichi termici al variare delle condizioni esterne. E’ cos’ possibile conoscere per una taglia di
motore primo l’energia termica che può essere prodotta per soddisfare l’utenza (carico termico imposto) e la
conseguente energia elettrica disponibile.
La convenienza economica e finanziaria di questi impianti porta a preferire taglie dimensionate
per i carichi comuni più frequenti e quindi lontani dai carichi di picco: in genere l’80% dell’energia
richiesta è circa il 40% inferiore al carico di picco.
Per soddisfare le punte massime di carico si usano generatori ausiliari (più economici) che
entrano in funzione nel momento richiesto dall’utenza.

4.8.3 GLI OSPEDALI


Un complesso ospedaliero moderno può essere considerato (per estensione, tipologia e taglia
degli impianti) un impianto industriale vero e proprio. Si hanno forti consumi energetici sia termici che
elettrici e, in genere, gli ospedali costituiscono una favorevole occasione per la cogenerazione.
Gli studi preliminari debbono stabilire i consumi (storici per enti esistenti o prevedibili per nuove
costruzioni) sia elettrici che termici.

20 Si citano, per la loro grande diffusione e riconosciuta validità, i codici TRNSYS, DOE, BLAST. L’ASHRAE ha

proposto il metodo TEDT/TA nel 1967 e CLTD/CLF nel 1977: entrambi questi metodi sono implementati in programmi
commerciali. Anche i codici BIOCLI e DPM predisposti dal Gruppo di Fisica Tecnica della Facoltà di Ingegneria di Catania
si inquadrano in queste tipologie di strumenti di previsione. Questi, fra l’altro, sono stati validati sperimentalmente presso le
test facilty europee della Conphoebus di Catania.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 83

In quest’ultimo caso occorre anche stabilire le temperature di utilizzo delle fonti termiche: ad
esempio, vapore di sterilizzazione a 140 °C, vapore per i mangani per la stiratura a 180 °C. In passato
l’uso di grandi quantità di vapore ha portato ad avere generatori termici solamente per la produzione di
vapore che veniva usato anche per altri scopi, compresi la produzione di acqua sanitaria, il
riscaldamento e il raffrescamento (mediante macchine frigorifere ad assorbimento) ambientale.
Oggi, dato l’alto costo di gestione dei generatori di vapore e delle reti di distribuzione, si
preferisce limitare l’uso del vapore ai soli casi necessari e quindi utilizzando normali caldaie per la
produzione di acqua sanitaria e per il riscaldamento ambientale.
Un aspetto interessante si ha, sempre negli ospedali, per l’utilizzo dell’energia elettrica.
Oltre al normale collegamento alla rete ENEL occorre sempre prevedere gruppi di continuità con
alimentazione preferenziale per le sale operatorie, le sale di terapia intensiva e per tutti i casi ove la
continuità del servizio è assolutamente necessaria.
Pertanto, oltre all’uso di gruppi di continuità elettronici di limitata durata, occorre prevedere veri
e propri gruppi elettrogeni alimentati con motori a combustione interna e capaci di assicurare l’energia
elettrica anche per lunghi periodi.
Pertanto risulta immediata la possibilità di usare questi motori per cogenerare anche l’energia
termica usata internamente negli ospedali. Al fine di dimensionare il sistema cogenerativo occorre
valutare correttamente i carichi termici, suddivisi per temperatura di utilizzo, e i carichi elettrici,
compresi i carichi per illuminazione.
La scelta del criterio di progetto può essere basata sia sul carico termico imposto che sul carico
elettrico imposto. Quest’ultima possibilità risulta conveniente nel caso di tariffa multioraria e in ogni
caso quando il costo di autoproduzione dell’energia elettrica risulta inferiore alla tariffa ENEL.
In genere è l’analisi economica e finanziaria che consiglia, caso per caso, il criterio migliore da
seguire in base ai tempi di ritorno più rapidi.

4.8.4 IL TERZIARIO
L’attuale tendenza alla concentrazione di attività commerciali in grossi centri ha creato un nuovo
mercato per la cogenerazione. La mole delle strutture e l’esigenza di climatizzazione sia invernale che
estiva, oltre alle altre esigenze impiantistiche interne (catena del freddo, banconi frigoriferi,…)
presentano ottime possibilità per la cogenerazione.
I criteri progettuali sono del tutto simili a quelli indicati per gli ospedali. Occorre quindi
esaminare correttamente i carichi termici ed elettrici (eventualmente prevedendoli mediante codici di
calcolo opportuni).
Occorre tenere presente che la variabilità climatica incide moltissimo sull’andamento dei carichi
sia termici che elettrici.
Un sistema sufficientemente semplice di cogenerazione è quello di recuperare il calore dei
condensatori di raffreddamento dei gruppi frigoriferi.
La variabilità delle tipologie edilizie e delle tipologie di carico non consentono, a priori, di indicare
il miglior sistema cogenerativo. Spesso considerazioni economiche (maggior investimento iniziale) e di
gestione limitano l’adozione di sistemi cogenerativi a soluzioni ibride di recupero degli scarti energetici
(ad esempio nei condensatori dei gruppi frigoriferi) o di riduzione degli sprechi.
Si tenga presente che per effetto del sistema di tariffazione ENEL non risulta spesso conveniente
autoprodurre energia elettrica nel periodo estivo (tariffa F4 per ore vuote in agosto) perché più costosa
di quella venduta dall’ENEL.
Ciò limita notevolmente la possibilità di ipotizzare sistemi total energy complessi a favore dei sistemi
cogenerativi ridotti dianzi esposti.

4.8.5 LA MICROGENERAZIONE
Per applicazioni al di sotto dei 100 kW elettrici (carico elettrico imposto) si hanno
microcogenerazioni che possono risultare convenienti quando si ha una frazione di energia termica
richiesta che si mantiene costante durante l’anno.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 84

Ciò si ottiene, ad esempio, quando si ha un elevato consumo di acqua sanitaria e quindi questa
microcogenerazione si applica a servizi sportivi, camping, alberghi, …., e cioè la dove i servizi sono non
trascurabili rispetto al riscaldamento ambientale.
L’impianto di cogenerazione viene dimensionato sulla base del carico termico costante da
alimentare con motori endotermici a carico elettrico costante.
Sono stati immessi sul mercato da una decina d’anni sistemi total energy che utilizzano motori
automobilistici per produrre circa 40 kW elettrici e circa 100 kW termici.
Uno di questi sistemi è il TOTEM® originariamente predisposto dalla FIAT con un motore
endotermico derivato da quello della 127. Combinando più unità si possono ottenere potenze elettriche
e termiche anche considerevoli per applicazioni civili condominiali.

4.8.6 CENTRALI TERMO-ELETTRO-FRIGORIFERE


L’idea di base di un SET è di fornire contemporaneamente elettricità e calore e quindi di soddisfare,
direttamente o con l’inserimento di ausiliari o con scambi di rete (sistemi aperti) i fabbisogni globali
dell’utenza.
Una delle esigenze oggi in crescita è la produzione del freddo sia per l’accresciuta domanda nel
settore climatico ambientale sia per applicazioni commerciali ed industriali. Appare quindi logico
soddisfare le richieste di energia frigorifera sfruttando la produzione di calore dei sistemi cogenerativi.
In primo luogo si può pensare di usare un motore primo per trasformare energia primaria (data dal
combustibile) in energia meccanica per alimentare i compressori alternativi di una macchina a
compressione di vapori saturi per la produzione del freddo. Se poi il ciclo è reversibile si può anche
avere produzione di calore.
Questa applicazione consente di svincolarsi dall’uso diretto dell’energia elettrica sia per la
produzione di freddo che di caldo. Inoltre questo schema libera il sistema total energy dal rigido rapporto fra
produzione di energia elettrica ed energia termica.
La taglia dei sistemi appena descritti è medio-bassa (entro qualche centinaio di kW) e quindi il
motore primo è quasi sempre un motore endotermico e, al limite superiore, con piccole turbine a gas.
Un motore endotermico consente facilmente l’accoppiamento sia ad un compressore che ad un
generatore elettrico, come schematizzato in Figura 60.
Il generatore elettrico è di solito sempre accoppiato anche in assenza di carico elettrico (con
funzioni di volano) mentre il compressore viene accoppiato mediante innesto a frizione nel momento
di richiesta del carico.
Se il motore elettrico è di tipo asincrono può fungere anche da motore di alimentazione del
compressore nel momento in cui il motore primo si ferma (gusto e/o manutenzione) assicurando la
produzione del freddo. In questo modo il sistema si comporta come una centrale elettro-termo-
frigorifera capace di adattarsi a tutte le esigenze di carico.

INNESTOA
FRIZIONE

G
GENERATORE MOTOREPRIMO

COMPRESSORE

Figura 60: Schema dell’accoppiamento di un motore primo con un compressore ed un generatore


Il compressore fa parte, come già accennato, di una pompa di calore (freddo-caldo) e quindi si
tratta di pompe endotermiche e non del tipo usuale con motori elettrici.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 85

Oggi si trovano sul mercato pompe di calore endotermiche alimentate da motori a combustioni
interna di derivazione automobilistica. Il compressore funziona con R22 o similare. Le taglie di potenza
termica totale (di ciclo inverso e di recupero termico) sono variabili da 150 a 400 kW con gradini di 50
kW (vedasi il già citato TOTEM®). E’ possibile avere potenze maggiori mediante parallelo di più
moduli termici.
Il motore endotermico può essere alimentato anche con gas metano di rete e la regolazione del
numero di giri avviene mediante regolazione sulla valvola a farfalla. In questo modo si mantengono
1000÷1500 gpm con un rendimento, quasi costante, di circa il 31%. Combinando la variazione del
numero di giri con la parzializzazione dei cilindri del compressore (già vista nel capitolo sulle centrali
frigorifere) si possono avere variazioni di potenza fra il 15% ed il 100% della potenzialità nominale.
Dal raffreddamento del motore e dai fumi di scarico si può ancora ricavare energia termica, allo
stesso modo di quanto già descritto nei sistemi cogenerativi usuali e pertanto la pompa di calore
endotermica presente un rendimento termico elevatissimo e superiore a quello relativa ad una buona
caldaia tradizionale ad alto rendimento nella stagione invernale.
Rispetto alle pompe di calore elettriche si hanno anche ulteriori vantaggi derivati, ad esempio,
dalla possibilità di sbrinamento (quando la temperatura esterna scende al di sotto dei 5°C) mediante
calore di recupero dal motore e non con inversione di ciclo, come avviene nelle pompe di calore
alimentate elettricamente.
Poiché le pompe di calore endotermiche funzionano con ciclo reversibile è possibile soddisfare
anche le esigenze del condizionamento estivo.
Per valutare la convenienza economica di questo sistema (che presenta un maggior costo iniziale
dovuto al motore primo a al generatore elettrico) si deve dimostrare che sottraendo al costo della
macchina il risparmio che si ottiene per la riduzione della potenzialità della centrale termica e dei
refrigeratori tradizionali si ottiene un vantaggio economico al limite pari a zero.
Si tenga presente che attualmente ci sono contributi previsti dalle leggi vigenti sia per
l’installazione (e quindi per l’acquisto) di pompe di calore endotermiche che una riduzione tariffaria del
gas metano di alimentazione. Tuttavia non è possibile avere certezza della durata di questi incentivi né
della loro estensione a tutti i settori civili e del terziario.
Nel dimensionare questi tipi di sistemi si ricordi che la potenza meccanica dei motori endotermici
è pari a circa 1/5 della potenza termica totale prodotta.
Da confronti effettuati in casi reali (edifici commerciali con superfici variabili da 5000 a 12000
m2) si osserva che il risparmio energetico (in termini di energia primaria riferita al consumo nominale
dell’impianto in assenza di macchine endotermiche) varia dal 15 al 40% per potenze del motore variabili
da 150 a 1000 MW.
Se si considera il consumo energetico per il condizionamento estivo il sistema a pompa di calore
endotermica consente di raggiungere risparmi maggiori con tariffe multiorarie.
A conclusione di questo capitolo si fa osservare che l’attuale sistema legislativo introduce sgravi
fiscali per il combustibile utilizzato per la semplice cogenerazione termica – elettrica ma non per
l’alimentazione delle pompe di calore endotermiche.
Questa assurda dissimmetria può in taluni casi portare ad una convenienza maggiore installando
un normale sistema cogenerativo che alimenta elettricamente una pompa di calore elettrica reversibile.
Per taglie grandi (oltre 500 kW) si possono raggiungere economie del 15÷15% nel combustibile e
questo non per un fatto termodinamico ma solo per una sperequazione legislativa. SIC! L’uso
combinato delle pompe di calore endotermiche con accoppiamento al generatore elettrico richiede
un’analisi complessa che dipende fortemente dalla taglia, dall’andamento dei carichi (elettrici e termici) e
dal tipo di tariffazione elettrica utilizzata.
I risparmi energetici e gestionali appaiono maggiormente rilevanti, per grandi impianti, per sistemi
cogenerativi mentre la redditività è maggiore per i sistemi a pompa di calore endotermica alimentate a
gas, malgrado la non favorevole agevolazione fiscale. Per i sistemi alimentati elettricamente i sistemi
cogenerativi, pur fornendo risparmi energetici maggiori, pongono problemi di utilizzo della notevole
quantità di energia termica recuperata.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 86

4.9 LA TRIGENERAZIONE
Si indica con Trigenerazione la produzione combinata di elettricità, calore e freddo applicando i
criteri dell’energy cascading ai gas di scarico di un’unità motrice rotativa o alternativa. Per la
climatizzazione ambientale si utilizza una macchina ad assorbimento che fornisce caldo in inverno e
freddo in estate.
Per la parte termica si ha, in genere, anche richiesta di vapore e pertanto il sistema trigenerativo
utilizza un generatore di vapore a recupero alimentato con i gas di scarico di un motore primo del tipo
turbina a gas.
Lo schema impiantistico è dato in Figura 61. Il calore sensibile dei gas di scarico è recuperato
attraverso una caldaia a recupero (HRSG) per la produzione di vapore destinato alla copertura dei
fabbisogni termici, invernali ed estivi, questi ultimi attraverso un gruppo ad assorbimento.
La turbina è collegata tramite albero ad un alternatore per la produzione dell’energia elettrica. In
aggiunta si ha un circuito di emergenza, vedi Figura 63, verso cui scaricare il flusso di vapore prodotto
per smaltire il calore in caso di overhating oppure di overcooling dell’immobile.
Vapore alle utenze

Condensato dall'utenza
Gas caldi

Gas di scarico al camino


Alternatore Turbina a gas
Figura 61: Schema di un impianto per Trigenerazione

4.9.1 LA TURBINA A GAS


Le turbine a gas hanno subito in questi ultimi anni una grande evoluzione tecnologica dovuto
all’aumento delle potenze unitarie, al miglioramento dei rendimenti e alla riduzione delle emissioni di
NOx nell’ambiente. L’uso di quei motori primi in assetto cogenerativo favorisce la flessibilità
dell’impianto (E/C = 0.3÷1.5).
I tempi di avviamento sono oggi ridotti a pochi minuti e la caldaia a recupero inizia a produrre
vapore dopo circa venti minuti dall’avviamento della turbina.
Questi tempi si dimezzano con avviamenti a caldo e sono bassissimi rispetto a quelli ottenuti con
turbine a vapore. Di soliti è presente un camino di by-pass dei gas di scarico e del post bruciatore per
rendere la turbina più flessibile e adatta alle applicazioni del terziario.

4.9.2 CALDAIA A RECUPERO, HRSG


I gas di scarico in uscita dall’espansore della turbina hanno ancora una temperatura di circa 500
°C. La caldaia a recupero HRSG (Heat Recovery Steam Generator) permette di trasferire parte del calore
sensibile dei gas all’acqua surriscaldata circolante in pressione all’interno dei tubi. Si ha così il recupero
del calore dei gas di scarico su cui si basa il concetto di cogenerazione.
L’acqua surriscaldata alimenta un corpo cilindrico dove si separa il vapore per l’utilizzazione.
Questo può essere ulteriormente surriscaldato per usi specifici.
Il punto critico della caldaia a recupero è nella sezione nella quale la differenza di temperatura tra
i gas di scarico e l’acqua di alimentazione è la più bassa possibile (pinch point).
Per uno scambio efficace occorre avere una differenza di temperatura minima di almeno 10 °C.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 87

PINCH POINT

Figura 62: Diagramma di scambio gas di scarico acqua


Le caldaie a recupero sono caratterizzate, da un punto di vista costruttivo, da:
⋅ Superfici di scambio termico superiori alle corrispondenti caldaia radiative tradizionali;
⋅ Utilizzo di tubi alettati allo scopo di aumentare il coefficiente di scambio termico globale;
⋅ Pressioni del vapore generalmente inferiori a 40 bar al fine di avere un pinch point sufficientemente
elevato.

Figura 63: Schema impiantistico di un trigeneratore


In Figura 63 si ha un ulteriore dettaglio impiantistico del trigeneratore. Questo tipo di impianto di
cogenerazione risulta conveniente quando si ha la presenza della contemporanea richiesta dei tre
carichi, ad esempio negli ospedali.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 88

4.9.3 LA REGOLAZIONE DELL’IMPIANTO DI TRIGENERAZIONE


Nel caso in cui la richiesta di vapore non è costante nel tempo si possono avere due possibilità di
regolazione: una riguarda la turbina a gas e l’altra la caldaia a recupero.
Regolazione della Turbina a Gas mediante IGV
Si varia l’inclinazione delle pale mobili dello statore all’ingresso del compressore mediante un
dispositivo detto IGV (Inlet Guide Variable) per regolare la portata di aria in ingresso alla turbina a gas.
Se la portata in ingresso diminuisce la portata dei gas combusti varia all’incirca nello stesso rapporto nel
caso di temperatura di ingresso turbina costante.
La diminuzione della portata d’aria in ingresso produce una diminuzione analoga della quantità di
energia termica recuperabile.
Regolazione del carico mediante post combustione
Qualora il contenuto energetico dei fumi non è sufficiente per coprire i fabbisogni dell’utenza
allora si ricorre alla post combustione, possibile grazie all’eccesso d’aria tipica delle turbine a gas. La
post combustione può aumentare notevolmente la potenza termica della caldaia a recupero
permettendo, così, di rispondere alla domanda di calore facendo funzionare la turbina in condizioni di
funzionamento nominale.
Naturalmente il combustibile utilizzato per la post combustione non fornisce energia elettrica e
pertanto si riduce il risparmio energetico.
D’altra parte essa è utilizzata per i picchi di carico termico e consente di ridurre i costi di
investimento per le turbine di maggiori dimensioni.
Nel caso la post combustione non sia sufficiente a far fronte alla variazione dei carichi allora si
possono utilizzare generatori tradizionali in parallelo ovvero importare energia dalle reti (sistemi aperti).
Scelta della modalità della regolazione
La scelta delle opzioni di regolazione scaturisce da un compromesso tecnico-economico dovuto
alla grande mole di parametri da tenere in conto quali, ad esempio, il costo di investimento, il
diagramma del carico termico, il costo di vendita dell’energia elettrica (L/kWh), il costo del
combustibile. Se la turbina a gas è dimensionata, com’è solito farsi, per il carico medio allora sono
possibili entrambi i criteri di regolazione sopra indicati. Va però tenuto presente che attualmente,
malgrado il risvegliarsi dell’interesse per la cogenerazione mediante turbine a gas, si hanno ancora pochi
modelli disponibili sul mercato e pertanto la scelta del motore primo è spesso dettata anche da un
compromesso o da una scelta obbligata.
Macchine ad assorbimento
Nel caso della trigenerazione termica si utilizzano, dal lato termico, le macchine ad assorbimento
che garantiscono sia la produzione di acqua calda per riscaldamento che l’acqua fredda per il
condizionamento estivo. Le macchine ad assorbimento costituiscono una valida scelta impiantistica
anche in considerazione delle incertezze in materia di inquinamento e di costo dell’energia ed inoltre
trasformano un carico solitamente elettrico, quale quello frigorifero, in carico termico e quindi
migliorando il rapporto ET/EE.
Queste macchine richiedono solo una minima quantità di energia elettrica (per gli organi ausiliari)
e pertanto presentano una maggiore compatibilità ambientale rispetto ai compressori frigoriferi
alimentati elettricamente. Il loro costo iniziale di investimento è più elevato rispetto ai frigoriferi
tradizionali ma hanno, per contro, un minore costo di gestione e di manutenzione. Inoltre non danno
luogo a vibrazioni per assenza di parti in movimento e pongono pochi problemi di installazione nei siti
dove sono richieste. Le tipologie oggi maggiormente utilizzate sono:
⋅ Acqua ed ammoniaca;
⋅ Acqua e bromuro di litio.
Il funzionamento di queste macchine è semplice (vedi corso di Fisica Tecnica). In Figura 64 é
schematizzato lo schema impiantistico per una macchina del tipo acqua-ammoniaca.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 89

La miscela acqua-ammoniaca si compone di acqua che fa da solvente e di ammoniaca che fa da


soluto (e quindi più volatile).

NH3 30 °C La macchina ad assorbimento si


compone due due bocce dette
NH3 Condensatore - Generatore : ove cedendo una
Q3
quantità di calore Q3 si fa libe-
Q1 rare NH3 pura;
Generatore

Componenti Normali
H2O+NH3 - Assorbitore : ove l'NH3 pura si
130 °C ricombina, cedendo il calore Q4,
Laminazione

Laminazione
con la miscela impoverita prove-
niente dal Generatore.
Pompa

p1>p2 Linea delle


pressioni Per effetto del calore Q3 si separa
p2 dalla miscela H2O+NH3 l'ammonia-
ca quasi pura che segue poi le nor-
mali fasi del ciclo frigorifero :
45 °C Q2 - Condensazione;
Evaporatore - Laminazione;
Assorbitore - Evaporazione.
H2O+NH3 -10 °C La miscela arricchita nell'assorbitore
NH3
viene pompata nel generatore per un
Q4
nuovo ciclo interno.

Figura 64: Schema di una macchina frigorifera ad assorbimento


Per effetto del calore Q4 ceduto al serbatoio superiore (detto generatore) si libera NH3 allo stato
quasi puro e ad alta pressione. L'NH3 inizia il ciclo classico di condensazione, laminazione ed
evaporazione (presente anche nel ciclo frigorifero classico a compressione di vapori saturi).
All'uscita dell'evaporatore l'NH3 si ricombina nel serbatoio inferiore, detto assorbitore, con la
miscela di acqua-ammoniaca impoverita di ammoniaca e proveniente dal serbatoio superiore (tramite
una valvola di laminazione perché in basso c'è una pressione inferiore a quella presente in alto).
La reazione di assorbimento é esotermica e quindi cede calore Q4 all'esterno. Una pompa provvede
a riportare la miscela di acqua e ammoniaca ricomposta al serbatoio superiore (generatore) e si riprende
il ciclo.
In conclusione si hanno due cicli:
⋅ uno interno fra generatore e assorbitore;
⋅ uno esterno che produce nell'evaporatore l'effetto frigorifero.
Nella Figura 64 sono anche indicate le temperature tipiche di utilizzo della macchina proposta.
Oltre alla miscela acqua-ammoniaca si utilizzano oggi anche miscele acqua-bromuro di litio o anche acqua-
fluoruro di litio: in questi casi é l'acqua il componente più volatile.
Queste macchine hanno il pregio di funzionare a temperatura inferiore (circa 80 °C) rispetto a
quella ad ammoniaca (130÷150 °C). In alcuni casi si é anche utilizzata l'energia solare per alimentare il
generatore (Q3).
Le macchine ad assorbimento possono essere utilizzate anche con cascami termici (termine usato
per indicare i rifiuti termici nei processi di lavorazione industriale). L'utilizzo come pompa di calore
appare improprio: la temperatura del calore fornito al generatore é maggiore di quella del condensatore
anche se in minore quantità.
Negli impianti di trigenerazione, a causa dell’elevata temperatura raggiungibile con il vapore nella
caldaia a recupero, si utilizzano assorbitori con acqua e bromuro di litio a doppio effetto in modo da
potere avere temperature di ingresso all’assorbitore di 190 °C. Le macchine a doppio effetto sono
certamente più costose rispetto a quelle a singolo effetto ma presentano consumi specifici di vapore
inferiori e quindi hanno minori costi di esercizio.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 90

Il bromuro di litio (LiBr) è un sale igroscopico che presenta grande affinità con il vapore acqueo
ed è usato in concentrazioni del 60÷64%. Non è un sale tossico e non è infiammabile. E’ leggermente
corrosivo per cui si aggiunge lo 0,4% di nitrato di litio (LiNO3) per disinibirne l’aggressività in assenza
di aria. Le macchine a doppio effetto dispongono di due generatori e di due scambiatori di calore per la
soluzione. I generatori sono detti ad alta pressione (comunque inferiore a quella atmosferica con uno
scambiatore ad alta temperatura) e a bassa pressione (con uno scambiatore a bassa temperatura).
Il fluido frigorigeno è l’acqua che segue il ciclo canonico (condensazione, laminazione,
evaporazione) per poi essere assorbita nuovamente nel LiBr contenuto nell’assorbitore. Mediante una
pompa di circolazione si riporta la miscela nel generatore di alta pressione dove si ha una prima
separazione del vapore acqueo. Da questo generatore si passa in quello a bassa pressione e temperatura
ove si ha una ulteriore fase di separazione del vapore acqueo che prosegue il ciclo frigorifero. La
separazione dei due generatori (ad alta e bassa temperatura) consente di ottimizzare i consumi di
energia in base ai livelli termici richiesti.
Le macchine ad assorbimento hanno la grande capacità di adattarsi facilmente alle fluttuazioni di
carico e quindi presentano una buona flessibilità impiantistica potendo variare la loro potenzialità
teoricamente nell’intervallo 0÷100% con minime variazioni del COP.
La regolazione della capacità frigorifera si ottiene variando la concentrazione della soluzione
nell’assorbitore in due modi, spesso anche in combinazione fra loro:
⋅ variando la quantità di vapore o la portata d’acqua surriscaldata che attraversa il generatore (e
quindi regolando l’energia termica fornita alla macchina);
⋅ inviando nell’assorbitore una soluzione più diluita del generatore.
Al diminuire del carico termico anche la temperatura dell’acqua fredda in uscita tende a crescere
per cui una sonda di temperatura comanda l’inizio della chiusura della valvola modulante sul vapore di
alimentazione o della valvola a tre vie dell’acqua surriscaldata. In questo modo si rallenta il ripristino
della soluzione concentrata nel generatore e pertanto la quantità di refrigerante (acqua) che torna
all’evaporatore diminuisce e quindi scende anche il livello di acqua in esso presente.
Quando il carico scende a circa il 50% della capacità di progetto si può anche ridurre la portata di
soluzione di LiBr al generatore e ciò fa diminuire anche il consumo di energia poiché viene richiesta una
minore quantità di vapore al generatore.
Un problema a cui può andare incontro una macchina ad assorbimento è la cristallizzazione del
LiBr nel generatore. Questo fenomeno è irreversibile e non produce danni meccanici alla macchina ma
solo una riduzione della capacità frigorifera. La cristallizzazione avviene per diversi motivi fra i quali:
⋅ perdita di vuoto;
⋅ temperatura dell’acqua di condensazione troppo bassa;
⋅ arresto improvviso e prolungato della macchina per mancanza di corrente;
⋅ infiltrazioni di incondensabili nel circuito in quantità superiore alla capacità di spurgo;
⋅ arresto della macchina senza che venga continuato il processo di diluizione della soluzione di
LiBr nell’assorbitore;
⋅ cariche errate di refrigerante (acqua) e della soluzione nel circuito della macchina.
Nelle moderne macchine ad assorbimento sono inseriti numerosi accorgimenti atti a ridurre o ad
eliminare il pericolo della cristallizzazione anzidetta. In ogni caso è sempre bene avere personale tecnico
opportunamente addestrato alla gestione di questi impianti.

4.9.4 COSTI DELL’IMPIANTO DI TRIGENERAZIONE


Spesso si ha il problema di sostituire gli impianti esistenti con questi cogenerativi. In altri casi
(invero ancora pochi e limitati) occorre affrontare il progetto di trigenerazione ex novo partendo da
considerazioni non solo termodinamica (certamente positive) ma anche economiche.
Occorre affrontare un’analisi costi benefici considerando fra i costi:
⋅ Costo fisso di impianto
⋅ Consumi di combustibile dell’unità motrice (dalla simulazione)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 91

⋅ Manutenzione e gestione (aggiuntivi)


⋅ Interessi passivi sul debito
Fra i benefici si hanno:
⋅ Costo evitato sull’acquisto dell’energia elettrica
⋅ Costo evitato del combustibile di alimentazione delle caldaie
⋅ Ricavi dalla vendita delle eccedenze di produzione elettrica al netto delle imposteAlla base delle scelte
economiche ed impiantistiche occorre effettuare la scelta della taglia ottimale della turbina a gas e la
valutazione del risparmio di gestione sulla fattura energetica rispetto all’impianto esistente, nel caso di
sostituzione di vecchio impianto, a rispetto al sistema di confronto, SC, nel caso di nuovo impianto.

4.9.5 SCELTA DELLA TAGLIA DELL’IMPIANTO


La prima decisione è, quindi, la taglia da adottare per far fronte alla richiesta energetica
dell’utenza. La scelta è ancora fra la tipologia a carico elettrico imposto o a carico termico imposto. Vediamo
brevemente quali sono le problematiche che ne scaturiscono.
Carico Elettrico Imposto (Power Driven)
In questa condizione si dimensiona l’impianto in modo da soddisfare con il motore primo tutto il
carico elettrico dell’utenza. Il calore recuperato dai gas di scarico varia con la domanda di elettricità.
E’ questa una soluzione utile quando si hanno carichi elettrici costanti durante tutto l’anno o
comunque presentano fluttuazioni piccole rispetto al valore medio.
Se la scelta del gruppo motore è fatta sulla massima potenza elettrica richiesta allora la turbina a
gas si troverà a lavorare al di sotto delle condizioni nominali quando il carico elettrico risulta inferiore a
quello massimo e ciò comporta una riduzione, anche sensibile, del rendimento termodinamico della
turbina a gas.
Inoltre, a causa della diretta proporzionalità del calore recuperato con la produzione di energia
elettrica, le variazioni di carico elettrico debbono essere compensate da variazione di pari segno del
carico termico. Qualora queste condizioni non si verifichino allora occorre ricorrere, se si è in difetto di
energia termica recuperata, ad fonti energetiche supplementari (generatori termici ausiliari) ovvero, se si
è in eccesso di energia termica recuperata, ad una dispersione nell’ambiente dell’esubero energetico
mediante scambiatori di calore raffreddati con aria ambiente.
Carico termico Imposto (Heat Driven)
In questo caso si dimensiona il motore primo e quindi la taglia dell’impianto per soddisfare tutto
il carico termico dell’Utenza. Si ha il caso duale rispetto al precedente e gli eccessi o i difetti di
produzione di energia elettrica conseguenti alle variazioni del carico termico possono essere compensati
con interscambi positivi o negativi dalla rete ENEL (sistema aperto). Potendo avere la post
combustione per la fornitura di energia termica21 in eccesso da recuperare le eventuali maggiori richieste
del carico termico possono essere soddisfatte rapidamente ed efficacemente. Pertanto la scelta della
taglia di impianto va eseguita sui valori medi dei carichi termici.
In Figura 65 si ha una schematizzazione di quanto appena detto: la sezione inferiore della figura è
coperta dalla configurazione nominale della turbina mentre la parte superiore, dovuta ad una maggiore
richiesta del carico termico, è soddisfatta mediante il post combustore.
Naturalmente l’uso del post combustore penalizza il rendimento totale di cogenerazione poiché
non comporta maggiore produzione di energia elettrica ma rappresenta un modo efficace di controllo
del carico termico senza dover far ricorso, fin dove è possibile, a generatori ausiliari e quindi con una
riduzione degli investimenti iniziali.

21Si ricordi che la post combustione agisce a valle della turbina e quindi non produce effetti sulla produzione di
energia elettrica ottenuta dal generatore elettrico comandato dall’albero motore della turbina.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 92

Scelta della Turbina a Gas


Nell’ipotesi, per altro molto spesso rispettata nei casi pratici, di dimensionamento a carico termico
imposto, la turbina deve garantire il soddisfacimento del carico termico durante tutto l’anno. Resta ancora
da valutare se la scelta di un grosso gruppo turbogas, e quindi di grande produzione di energia elettrica,
sia conveniente alla luce degli andamenti di mercato dell’energia elettrica in eccesso.
Si verifica, infatti, che quanto più il punto di funzionamento nominale della turbina è prossimo
alla domanda di calore richiesta dall’utenza tanto più elevata è la produzione nominale di potenza
elettrica. Il costo del motore primo (turbina a gas) rappresenta all’incirca il 40% del costo totale
dell’investimento e pertanto esagerare nella taglia potrebbe comportare il rischio di investimento non
economico. Inoltre la variabilità di regime di funzionamento della turbina comporta anche una perdita
di rendimento che riduce ulteriormente la convenienza economica dell’investimento.
A priori non è possibile dare una regola fissa per la scelta del motore primo ma è l’analisi
economica (cash flow) nel periodo di vita previsto dell’impianto che deve indicare, in base alla variazione
dei carichi termici ed elettrici reali dell’utenza, quale è la migliore scelta impiantistica.
In Figura 66 si ha la schematizzazione di quanto detto: al variare della potenza nominale della
turbina varia il cash flow attualizzato (NTP, Net Present Value) di una determinata applicazione e
pertanto il valore massimo di NTP si determina per un valore della potenza ottimale intermedio fra la
potenza minima e la massima ammissibile.
Q
CARICO CON POST COMBUSTIONE

CARICO DI BASE

Ore

Figura 65: Copertura del carico termico con il post combustore

NTP
NTPmax

Potenza nominale della turbina

Pot min Pot Pot max


ammissib ileottimal e ammissibile

Figura 66: Andamento del Cash Flow attualizzato al variare della potenza della turbina
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 93

4.9.6 ANALISI ECONOMICA


Gli indici economici da prendere in considerazione sono quelli già visti in precedenza e in
particolare i tempo di pay back e il VAN a 20 anni (periodo canonico per questo tipo di investimenti).
Fra le voci da considerare nell’analisi economica vi è il costo fisso di impianto dovuto alla turbina a
gas. Il costo di mercato di questo motore primo varia molto in funzione del tipo di turbina e della
potenza nominale.
In Figura 67 si ha una curva che indica il costo medio specifico per turbine commerciali con
potenze nominali variabile da 1 MWe a 60 MWe. Questa curva è stata ricavata mediando i listini
commerciali (anno 1999) dei fornitori di turbine a gas di varia potenzialità.
Questi costi sono suscettibili di variazione sia per contingenze economiche sia per innovazione
tecnologica possibile in caso di domanda crescente.
Il costo del combustibile è una delle variabili più imprevedibile di tutta l’analisi economica poiché
questo elemento varia quasi giornalmente, come gli avvenimenti degli ultimi sei mesi ci hanno mostrato,
in funzione di contingenze anche politiche, dell’andamento dei cambi e dell’umore dei fornitori.
Si pensi, ad esempio, che all’inizio del 1999 il gasolio costava 1200 L/Litro circa mentre oggi
costa circa €/L 0.92 (1800 L/Litro). E fra un anno? Potrà costare 2,00 €/Litro o anche più: chi può
prevedere un andamento certo di questo parametro?
1 .10
6
5
9.578×10

9 .10
5

8 .10
5

y ( x)
7 .10
5

6 .10
5

5
5.077×10 5 .105
1 .10 2 .10 3 .10 4 .10 5 .10 6 .10
4 4 4 4 4 4
0
3 x 4
1×10 6×10
Figura 67: Costo medio specifico, y, di una turbina a gas in funzione della potenza nominale (x in kWe)
Anche il costo di acquisto e di vendita dell’energia elettrica variano in modo non del tutto
indipendenti dal costo del combustibile per via del famigerato sovrapprezzo termico che lega la tariffa
elettrica al costo del petrolio. I costi di acquisto variano da 250 a 320 L/kWh.
Simulazione dell’Impianto
Per valutare le prestazioni di questo impianto si utilizzano codici di calcolo del tipo GATE22
CYCLE la cui rappresentazione è data in Figura 68.
Il programma consente di simulare impianti esistenti o in fase di progettazione in modo
descrittivo, combinando una interfaccia grafica con modelli di analisi termodinamica dettagliati di tutti i
processi descritti (turbina, scambiatori di calore, pompe,…).

22 Acronimo di Gas Turbine Evaluation.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 94

Il codice GATE CYCLE è stato predisposto per simulare impianti contenenti turbine a gas di
costruttori diversi23 e quindi svincolando i progettisti dalla necessità di utilizzare i codici proprietari dei
costruttori che valgono, come si intuisce, solo per i modelli da loro forniti. Nel 1988 il codice ha
integrato i cicli a vapore e da questo deriva il nome GATE CYCLE.
Nel 1993 è stata aggiunta anche la possibilità di usare caldaie tradizionali e quindi si ha oggi uno
strumento valido per simulare qualunque tipo di impianto di produzione di potenza. Possono essere
studiate diverse tipologie di impianto, dai più semplici basati su cicli a gas a quelli più complessi basati
su cicli combinati a livelli multipli di pressione. E’, inoltre, possibile affrontare problemi di repowering e di
cogenerazione. L’uso interattivo del codice, mediante icone rappresentative di componenti di impianto,
è facilitato anche da un controllo delle connessioni effettuato dallo stesso programma in base alle
caratteristiche dei componenti selezionati.
Mediante alcune macro si possono poi simulare condizioni di funzionamento particolari. Le macro
stabiliscono un legame tra le variabili presenti nel modello simulato e, ad esempio, si possono scrivere
macro che combinano certe variabili con funzioni definite dall’operatore. Una macro può calcolare il
consumo aggiuntivo di combustibile nel post bruciatore in funzione delle portate di acqua calda agli
scambiatori della caldaia a recupero.
Con questo codice si possono simulare i rendimenti, le quantità di energia termica ed elettrica
prodotta ed effettuare confronti fra le prestazioni in varie configurazioni nel periodo di vita ipotizzato e
per gli andamenti temporali dei carichi disponibili o ipotizzati (anche in questo caso mediante codici di
simulazione del tipo già citato).

Torre evaporativa

S27 CT1
S26

S28

S25

HX3
PUMP3 S29

V1
S9
Vapore risc. a 10 bar e 180 C

S17 S18

S24
HX2
Ritorno del vapore da risc. a 165 C S11

SP1
S8
Vapore out verso il generatore: 170 C, 8bar

S20 S21
S5

Vapore macch. ad assorb: 90 C, 8 bar HX1


M1
S14

S7
S6 S22
S1 S16
Fumi al camino
S12
S13
S2 S3 S4

GT1

DUCT1 DB1 SPHT1


ECON1
EVAP1
Turbina post-bruciatori
PUMP2

Caldaia a recupero

Figura 68: Rappresentazione di un impianto di Trigenerazione con GATE CYCLE

23
Il codice ha al proprio interno un corposo data base sui modelli di turbine esistenti con tutte le loro caratteristiche
meccaniche e termodinamiche,
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 95

Il codice può funzionare in modalità on design ed off design. Nel primo caso vengono stabilite le
caratteristiche operative e fisiche di un componente (ad esempio il rendimento della turbina, la
superficie di uno scambiatore di calore, …) mentre nel secondo modo viene valutata la performance
dell’intero impianto al variare delle condizioni ottimali, del carico termico e del carico elettrico.
Il codice GATE CYCLE consente di valutare anche le emissioni gassose utilizzando programmi
specifici di libreria per la composizione dei gas di combustione e di scarico in aria.
In questo modo è possibile conoscere le specie chimiche emesse in camino anche ai fini della
valutazione di impatto ambientale (vedi nel prosieguo). Una simulazione per un caso concreto con
diverse turbine a gas ha fornito i risultati riportati in Figura 69. In particolare per una potenza di 2.7
MW si hanno i risultati indicati in Figura 70 al variare del costo dell’energia.
A conclusione di questo capitolo si vuole rimarcare la complessità del problema della
progettazione di un impianto di trigenerazione e, in generale, di cogenerazione. Occorre evitare sempre
di sovradimensionare gli impianti perché questo riduce o annulla addirittura la loro convenienza
economica vanificando l’investimento. Spesso più che di un errore progettuale di calcolo si tratta di un
errore basato sull’ignoranza o sul timore di sottodimensionare gli impianti. Comunque una scelta
sbagliata della taglia si rivela un errore grave perché irreversibile e quindi irrecuperabile per l’impianto.
Di certo la progettazione in oggetto non è basata su regole certe ma si tratta di una progettazione
complessa che richiede la sintesi di più algoritmi risolutivi e di più competenze (tecniche, economiche,
chimico-fisiche, …).
30
25
20
15
VAN [G£]

10
5
0
-5 120 150 170 200
-10
[£ / kWh]
-15
-20

2,4 MW 3,3 MW
4,5 MW 2,7 MW

Figura 69: VAN per varie potenze di turbine a gas installate

25,000 5,000

20,000 4,000
VAN [G£]

15,000 3,000
anni

10,000 2,000

5,000 1,000

- -
120 150 170 200
[£/kWh]

VAN TPB

Figura 70: Andamento del VAN e TPB al variare del costo energetico
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 96

5 COGENERAZIONE NELL’INDUSTRIA

5.1 RIFERIMENTI NORMATIVI


77/714/CEE: “Raccomandazione del Consiglio, del 25 ottobre 1977, concernente
l’istituzione negli Stati membri di organi o comitati consultivi per promuovere la produzione
combinata di calore e di energia nonché la valorizzazione del calore residuo”
Il Consiglio delle Comunità Europee ritiene che si può utilizzare più razionalmente l’energia
ricorrendo maggiormente alla produzione combinata di calore ed energia e valorizzando il calore
residuo nei settori dell’industria, della produzione di elettricità e dell’erogazione di calore a distanza.
Invita inoltre gli Stati membri ad individuare e rimuovere gli ostacoli legislativi, amministrativi o tariffari
che si oppongono allo sviluppo della produzione combinata di calore e di energia destinati ad essere
erogati all’industria.

Legge 9 gennaio 1991, n. 9 "Norme per l'attuazione del nuovo Piano energetico
nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia,
autoproduzione e disposizioni fiscali" (S.O. alla G.U. n. 13 del 16 gennaio 1991 – Serie
Generale)
L'art. 22 stabilisce che la produzione di energia elettrica a mezzo di impianti combinati di energia
e calore non è soggetta alle autorizzazioni previste dalle normative di settore ma è sufficiente una
semplice comunicazione al Ministero dell'Industria e all'UTF competente per territorio. L'eccedenza di
produzione può essere ceduta all'ENEL o alle imprese produttrici e distributrici.

Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 18 dicembre 1997 concernente una
strategia comunitaria per promuovere la produzione combinata di calore ed elettricità (GUCE
8 gennaio 1998, pag. C 4/01)
Si afferma che “la produzione combinata calore/energia elettrica costituisce un impiego
efficiente delle risorse energetiche e può pertanto contribuire in modo sostanziale alla riduzione delle
emissioni di CO2”.
Si indica anche agli Stati membri che l’obiettivo da raggiungere “è l’elaborazione di una
strategia per assicurare il raddoppio della quota globale della cogenerazione nella Comunità entro il
2010”.

Seconda comunicazione nazionale dell’Italia alla Convenzione-quadro sui cambiamenti


climatici, Roma novembre 1998
Al paragrafo 5.3.6 si riconosce “il ruolo fondamentale e l’importanza crescente della
cogenerazione per l’approvvigionamento del paese di energia elettrica con caratteristiche di elevata
efficienza energetica e basso inquinamento ambientale”.

D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 9 (decreto Bersani) “Attuazione della direttiva 96/92/CE


recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica” (G.U. n.75 del 31 marzo
1999)
La cogenerazione viene definita come la produzione combinata di energia elettrica e calore alle
condizioni definite dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che garantiscano un significativo
risparmio di energia rispetto alle produzioni separate. (art. 2, comma 8).
Il decreto stabilisce una serie di agevolazioni per l’utilizzo delle fonti rinnovabili e della
cogenerazione:
art. 3, comma 3: obbligo di utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili e di quella prodotta da cogenerazione.
art. 11, commi 1 e 2: obbligo di produzione (o alternativamente di acquisto) di una certa quota
(2%) di energia rinnovabile da parte degli autoproduttori.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 97

D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (decreto Letta) “Attuazione della direttiva 98/30/CE
recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della
legge 17 maggio 1999, n. 144” (G.U. n. 142, 20 giugno 2000)
Art. 22, comma 1, lett. b: Le imprese che acquistano gas per la cogenerazione sono considerate
“cliente idoneo”, indipendentemente dal livello di consumo annuale e limitatamente alla quota di gas
destinata a tale utilizzo.

Decreto 24 aprile 2001 “Individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio


energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili di cui all’art.16, comma 4, del decreto legislativo 23
maggio 2000, n. 164”
Decreto 24 aprile 2001 “Individuazione degli obiettivi quantitativi per l’incremento
dell’efficienza energetica negli usi finali ai sensi dell’art.9, comma 1, del decreto legislativo 16
marzo 1999, n. 79” (S.O. n. 125 del 22 maggio 2001 alla G.U. n. 117 del 22 maggio 2001)
Questi due decreti attuano le disposizioni previste dai citati decreti di liberalizzazione del mercato
elettrico e del gas e vincolano i distributori energetici a conseguire degli obiettivi progressivamente
crescenti di innalzamento dell’efficienza energetica.
Le possibilità di intervento sono indicate in tabelle allegate ai decreti le quali definiscono un
ampio menù di soluzioni tecnologiche: tra queste vengono esplicitamente menzionate le sueguenti
tipologie di interventi:
• la climatizzazione diretta tramite teleriscaldamento da cogenerazione
• la cogenerazione e i sistemi di microcogenerazione come definiti dall’Autorità per l’energia
elettrica e il gas
• uso del calore geotermico a bassa entalpia e del calore da impianti cogenerativi, geotermici o
alimentati da prodotti vegetali e rifiuti organici e inorganici per il riscaldamento di ambienti e per
la fornitura di calore in applicazioni civili.
Il varo dei decreti offrirà dunque la possibilità di far decollare programmi di incentivazione per la
diffusione della cogenerazione e della microcogenerazione.

Autorità per l’energia Elettrica e il Gas: Deliberazione 19 marzo 2002, n. 42 “Condizioni


per il riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come
cogenerazione ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”
(GU n. 79 del 4 aprile 2002, pag. 58)
La Deliberazione definisce come impianti di cogenerazione quelli che soddisfano
contemporaneamente due condizioni:
• un risparmio energetico del 10% per ogni nuova sezione dell'impianto
• una produzione di almeno il 15% di energia termica sul totale della produzione complessiva
(termica più elettrica).
Le due condizioni variano in funzione di altri parametri (potenza della sezione dell'impianto,
combustibili utilizzati, destinazione dell'energia prodotta).

Decreto del Ministero dell'ambiente 31 luglio 2003 "Modifiche al decreto 4 giugno 2001,
n. 467, relativo all'individuazione dei programmi nazionali, previsti ex art. 3 del decreto n. 337
del 2000" (G.U. n. 260 dell'8 novembre 2003)
Vengono definiti nuovi programmi nazionali di ricerca per la riduzione delle emissioni ai fini del
raggiungimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto. Tra gli altri viene approvato il sottoprogramma
3/i "Diffusione dei sistemi ad alta efficienza di microcogenerazione diffusa di energia elettrica e calore"
(Accordo programmatico con Confindustria), art. 2, comma 1.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 98

Direttiva 2002/91/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003 sul
rendimento energetico nell'edilizia
Tra le altre disposizioni, questa Direttiva richiede agli Stati membri di provvedere affinchè, per gli
edifici nuovi la cui metratura utile totale superi i 10.000 m2, sia valutata la fattibilità tecnica, ambientale
ed economica dell'installazione di sistemi alternativi quali la cogenerazione prima dell'inizio dei lavori di
costruzione. (art. 5).
Gli Stati membri dovranno adeguarsi entro il 4 gennaio 2006.

D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell'elettricità" (s.o. G.U. n. 25 del 31 gennaio 2004))
L'art. 5, comma 1 prevede la nomina di una commissione di esperti che, entro un anno
dall'insediamento, predisponga una relazione nella quale siano indicate, tra l'altro, le condizioni per la
promozione prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza elettrica inferiore a 5 MW (lettera g). L'art.
5 tratta la valorizzazione energetica delle biomasse, dei gas residuati dai processi di depurazione e del
biogas quindi è ragionevole pensare che gli impianti cogenerativi di cui si parla alla lettera g) siano quelli
alimentati da tali fonti.

Autorità per l’energia Elettrica e il Gas: Delibera 30 dicembre 2003, n. 168 “Condizioni
per l’erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica sul territorio
nazionale e per l’approvvigionamento delle relative risorse su base di merito economico, ai sensi
degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79” (GU – Supplemento ordinario n.
16 del 30.1.04), poi integrata dalla successiva Delibera AEEG n. 71/2004
La Delibera stabilisce le condizioni per la priorità di dispacciamento delle unità di cogenerazione,
nel primo periodo di esercizio delle stesse, in maniera da partecipare al sistema delle offerte avviato con
la Borsa elettrica.

Direttiva 2004/8/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 febbraio 2004 sulla
promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno
dell'energia e che modifica la direttiva 92/42/CE (GUCE L 52 del 21.2.2004, pag. 50)
La Direttiva si propone di creare un quadro utile alla promozione della cogenerazione al fine di
accrescere l'efficienza energetica e migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti nel settore
energetico.
La cogenerazione è definita come "la generazione simultanea in un unico processo di energia
termica ed elettrica e/o di energia meccanica" (art. 3, lettera a). Al di sotto di 50 kWe si parla di
microcogenerazione, tra 50 kWe e 1 MWe si parla di piccola cogenerazione.
Viene anche definita la cogenerazione ad alto rendimento che si ha quando l'impianto fornisce
un risparmio di energia primaria pari almeno al 10% rispetto ai valori di riferimento per la produzione
separata di elettricità e calore. Gli Stati membri dovranno adeguarsi entro il 21 febbraio 2006.

Legge 23 agosto 2004, n. 240 "Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo
per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia" (G.U. n. 215 del 13.09.2004)
All'art. 1, comma 85 vengono definiti gli impianti di microgenerazione come "impianto per la
produzione di energia elettrica, anche in assetto cogenerativo, con capacità di generazione non
superiore a 1 MW".
Al successivo comma 86 viene stabilito che gli impianti di microgenerazione sono soggetti a
norme autorizzative semplificate.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 99

5.2 DELIBERAZIONE 19 MARZO 2002: Condizioni per il riconoscimento della produzione


combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione ai sensi dell’articolo 2,
comma 8, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (deliberazione n. 42/02)
L’AUTORITA’PER L’ENERGIA ELETTRICA E IL GAS
• Nella riunione del 19 marzo 2002,
Premesso che:
- l’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale, Serie generale, n. 75 del 31 marzo 1999 (di seguito: decreto legislativo n. 79/99)
prevede che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (di seguito:
- Autorità) definisce le condizioni alle quali la produzione combinata di energia elettrica e
calore è riconosciuta come cogenerazione, e che tali condizioni devono garantire un
significativo risparmio di energia rispetto alle produzioni separate;
- - l’articolo 3, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 79/99 stabilisce che
l’Autorità prevede, nel fissare le condizioni atte a garantire a tutti gli utenti della rete la libertà
di accesso a parità di condizioni, l’imparzialità e la neutralità del servizio di trasmissione e
dispacciamento, l’obbligo di utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta a mezzo di
fonti energetiche rinnovabili e di quella prodotta mediante cogenerazione;
- - l’articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 79/99 prevede che i titolari degli impianti di
cogenerazione sono esonerati dall’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, a
partire dall’anno 2002, energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili
entrati in esercizio dopo il 31 marzo 1999, gravante sui produttori e sugli importatori di
energia elettrica da fonti non rinnovabili con produzioni e importazioni annue eccedenti i 100
GWh;
- - l’articolo 11, comma 4, del medesimo decreto legislativo dispone che la società Gestore della
rete di trasmissione nazionale Spa assicura la precedenza all’energia elettrica prodotta da
impianti che utilizzano, nell’ordine, fonti energetiche rinnovabili, sistemi di cogenerazione e
fonti nazionali di energia combustibile primaria;
- - l'articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 142 del 20 giugno 2000 (di seguito: decreto
legislativo n. 164/00) prevede l’attribuzione della qualifica di cliente idoneo alle imprese che
acquistano il gas per la cogenerazione di energia elettrica e calore, indipendentemente dal
livello di consumo annuale, e limitatamente alla quota di gas destinata a tale utilizzo;
Visti:
⋅ - il decreto legislativo n. 79/99;
⋅ - il decreto legislativo n. 164/00;
⋅ - il decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con il
Ministro dell’ambiente 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n.
292 del 14 dicembre 1999 (di seguito: decreto 11 novembre 1999);
⋅ - il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;
⋅ - il decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 9 maggio 2001 recante
disciplina del mercato elettrico, pubblicato nel Supplemento ordinario, n. 134 alla Gazzetta
Ufficiale, Serie ordinaria, n. 127 del 4 giugno 2001 (di seguito: decreto ministeriale 9 maggio
2001);
Visti:
⋅ - il documento per la consultazione recante Criteri e proposte per la definizione di cogenerazione
e per la modifica delle condizioni tecniche di assimilabilità degli impianti che utilizzano fonti
energetiche assimilate a quelle rinnovabili diffuso dall’Autorità il 3 agosto 2000;
⋅ - il documento per la consultazione recante Condizioni per il riconoscimento della produzione
combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione diffuso dall’Autorità il 25 luglio 2001;
⋅ - le osservazioni e le proposte inviate dai soggetti interessati all’Autorità in seguito alla diffusione
di due soprarichiamati documenti per la consultazione;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 100

Considerato che:
⋅ - l’Autorità intende definire le condizioni tecniche che devono essere soddisfatte dagli impianti
per la produzione combinata di energia elettrica e calore affinché tali impianti possano avvalersi
dei benefici e dei diritti descritti in premessa come previsti dai decreti legislativi n. 79/99 e n.
164/00;
⋅ - il risparmio di energia conseguibile mediante la produzione combinata di energia elettrica e di
calore deve essere valutato con riferimento a soluzioni tecnologiche caratterizzate da specifiche
taglie di impianto e tipi di combustile utilizzati;
⋅ - l’evoluzione tecnologica dei componenti termici ed elettromeccanici utilizzati nella realizzazione
degli impianti con produzione combinata di energia elettrica e calore richiede che vengano
periodicamente aggiornati i parametri che individuano le sopra richiamate condizioni tecniche;
Ritenuto che:
⋅ - gli impianti di cogenerazione contribuiscano alla promozione della concorrenza nell’attività di
generazione elettrica, assicurando un significativo risparmio di energia primaria rispetto alle
produzioni separate delle stesse quantità di energia elettrica e termica e riducendo le conseguenze
ambientali negative, a parità di altre condizioni;
⋅ - le norme per la produzione combinata di energia elettrica e di calore debbano favorire soluzioni
tecnologiche che comportano un significativo risparmio di energia rispetto alle produzioni
separate, escludendo soluzioni orientate alla produzione di sola energia elettrica o di sola energia
termica per una quota significativa dell’anno solare;
⋅ - sia opportuno fare riferimento agli anni solari nel riconoscimento della produzione combinata di
energia elettrica e di calore, come previsto dall’articolo 3, comma 1, del decreto 11 novembre
1999;
⋅ - sia opportuno fare riferimento alle sezioni degli impianti di produzione combinata di energia
elettrica e calore con potenza nominale non inferiore a 10 MVA, in coerenza con la “Disciplina
del mercato elettrico” predisposta dalla società Gestore del mercato elettrico Spa e approvata con
decreto del Ministro delle attività produttive del 9 maggio 2001;

DELIBERA
Articolo 1

Definizioni
1.1 Ai fini del presente provvedimento, si applicano le definizioni di cui all'articolo 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e all'articolo 2, lettera g), del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164,
nonché le seguenti:
⋅ a) Autorità è l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, istituita con legge 14 novembre 1995, n. 481;
⋅ b) decreto legislativo n. 79/99 è il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79;
⋅ c) decreto legislativo n. 164/00 è il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164;
⋅ d) impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è un sistema integrato che converte
l’energia primaria di una qualsivoglia fonte di energia nella produzione congiunta di energia
elettrica e di energia termica (calore), entrambe considerate effetti utili, conseguendo, in generale,
un risparmio di energia primaria ed un beneficio ambientale rispetto alla produzione separata
delle stesse quantità di energia elettrica e termica. In luogo della produzione di energia elettrica in
forma congiunta alla produzione di energia termica, è ammessa anche la produzione di energia
meccanica. La produzione di energia meccanica o elettrica e di calore deve avvenire in modo
sostanzialmente interconnesso, implicando un legame tecnico e di mutua dipendenza tra
produzione elettrica e utilizzo in forma utile del calore, anche attraverso sistemi di accumulo. Il
calore generato viene trasferito all'utilizzazione, in forme diverse, tra cui vapore, acqua calda, aria
calda, e può essere destinata a usi civili di riscaldamento, raffrescamento o raffreddamento o a usi
industriali in diversi processi produttivi. Nel caso di utilizzo di gas di sintesi, il sistema di
gassificazione è parte integrante dell’impianto di produzione combinata di energia elettrica e
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 101

calore. Nel caso di impianto a ciclo combinato con postcombustione, il post-combustore è parte
integrante dell’impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore. Le eventuali caldaie
di integrazione dedicate esclusivamente alla produzione di energia termica non rientrano nella
definizione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore;
⋅ e) sezione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è ogni modulo in cui può essere
scomposto l’impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore in grado di operare
anche indipendentemente dalle altre sezioni e composto da un insieme di componenti principali
interconnessi tra loro in grado di produrre in modo sostanzialmente autosufficiente energia
elettrica e calore. Una sezione può avere in comune con altre sezioni alcuni servizi ausiliari o
generali. Nel caso di utilizzo di gas di sintesi, il sistema di gassificazione è parte integrante della
sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore. Nel caso di sezione a ciclo
combinato con post-combustione, il postcombustore è parte integrante della sezione di
produzione combinata di energia elettrica e calore;
⋅ f) cogenerazione, agli effetti dei benefici previsti dagli articoli 3, comma 3, 4, comma 2, e 11, commi
2 e 4, del decreto legislativo n. 79/99 e dell’articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto legislativo
n. 164/00, è la produzione combinata di energia elettrica e calore che, ai sensi di quanto previsto
dall'articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99 e dell’articolo 2, lettera g), del decreto
legislativo n. 164/00, garantisce un significativo risparmio di energia rispetto alle produzioni
separate, secondo i criteri e le modalità stabiliti nei successivi punti del presente provvedimento;
⋅ g) potenza nominale di un generatore elettrico è la massima potenza ottenibile in regime continuo, come
fissata nella fase di collaudo preliminare all'entrata in esercizio o, in assenza di collaudo, come
certificata dal costruttore o dal fornitore dell’impianto;
⋅ h) potenza nominale di una sezione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è la somma
aritmetica delle potenze nominali dei generatori elettrici della sezione destinati alla produzione di
energia elettrica;
⋅ i) potenza nominale di un impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è la somma aritmetica
delle potenze nominali dei generatori elettrici dell'impianto destinati alla produzione di energia
elettrica;
⋅ j) taglia di riferimento ai fini della determinazione del parametro hes di cui all’articolo 2, comma
2.2, del presente provvedimento è:
i) la potenza nominale del generatore elettrico di ciascuna delle turbine a gas nel caso di
sezioni a recupero con più turbine a gas operanti in ciclo semplice o di ciascuno dei motori
a combustione interna che alimentano un unico sistema a recupero di calore;
ii) ii) la potenza nominale del generatore elettrico di ciascuna delle turbine a gas sommata ad
una parte della potenza nominale del generatore elettrico della turbina a vapore della
sezione proporzionale al rapporto tra la potenza nominale di ciascuna delle turbine a gas e la
somma delle potenze nominali di tutte le turbine a gas nel caso di sezioni a ciclo combinato
costituite da più turbine a gas che alimentano un ciclo termico a recupero di calore dotato di
turbina a vapore;
iii) iii) la potenza nominale della sezione, come definita alla precedente lettera h), negli altri casi;
⋅ k) potere calorifico inferiore di un combustibile, a pressione costante, è la quantità di calore che si libera
nella combustione completa dell'unità di peso o di volume del combustibile, con l’acqua
contenuta nei fumi allo stato di vapore, ovvero con il calore latente del vapor d'acqua contenuto
nei fumi della combustione non utilizzato a fini energetici;
⋅ l) energia primaria dei combustibili utilizzati da una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore
Ec è il contenuto energetico dei combustibili utilizzati, pari al prodotto del peso o del volume di
ciascun tipo di combustibile utilizzato nel corso dell'anno solare per il rispettivo potere calorifico
inferiore, come definito alla precedente lettera k). Nel caso di sezioni a ciclo combinato con post-
combustione, l’energia primaria del combustibile utilizzato comprende anche il contenuto
energetico del combustibile che alimenta il post-combustore. Nel caso di sezioni alimentate da
gas di sintesi, l’energia primaria del combustibile utilizzato comprende il contenuto energetico di
tutti i combustibili utilizzati, inclusi quelli che alimentano un eventuale sistema di gassificazione;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 102

⋅ m) produzione di energia elettrica lorda di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è la
quantità di energia elettrica prodotta nell’anno solare, misurata dai contatori sigillati dall’UTF
situati ai morsetti di uscita dei generatori elettrici;
⋅ n) produzione di energia elettrica netta di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore Ee è la
quantità di energia elettrica lorda prodotta dalla sezione nell'anno solare, diminuita dell'energia
elettrica destinata ai servizi ausiliari della sezione e delle perdite nei trasformatori principali. I
servizi ausiliari includono i servizi posti sui circuiti che presiedono alla produzione di energia
elettrica e di calore, inclusi quelli di un eventuale sistema di gassificazione, ed escludono i servizi
ausiliari relativi alla rete di trasporto e distribuzione del calore, come le pompe di circolazione
dell'acqua calda. Nel caso in cui i servizi ausiliari siano in comune tra più sezioni, i loro consumi
sono da attribuire ad ogni sezione in misura proporzionale alla rispettiva quota parte di
produzione di energia elettrica lorda. Nel caso di produzione combinata di energia meccanica e
calore, l’energia meccanica viene moltiplicata per un fattore pari a 1,05 per convertirla in una
quantità equivalente di energia elettrica netta;
⋅ o) produzione di energia termica utile di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore Et è la
quantità di energia termica utile prodotta dalla sezione nell'anno solare effettivamente ed
utilmente utilizzata a scopi civili o industriali, pari alla differenza tra il contenuto entalpico del
fluido vettore in uscita ed in ingresso misurato alla sezione di separazione tra la sezione di
produzione e la rete di distribuzione del calore, al netto dell’energia termica eventualmente
dissipata in situazioni transitorie o di emergenza (scarichi di calore). Qualora non esista
fisicamente una rete di utilizzazione del calore, la produzione di energia termica utile può essere
calcolata con metodi indiretti. I consumi specifici di calore utile risultanti dalle utilizzazioni a
scopo civile o industriale devono risultare confrontabili a quelli utilizzati in campo nazionale per
analoghe applicazioni con produzione separata di calore. La produzione di energia termica di
eventuali caldaie di integrazione dedicate esclusivamente alla produzione di energia termica non
rientra nella determinazione della produzione di energia termica utile Et. L’eventuale utilizzo di
vapore per iniezione nelle turbine a gas non è energia termica utile. Et è somma delle due
componenti Etciv e Etind definite come:
⋅ energia termica utile per usi civili Etciv è la parte di produzione di energia termica utile di una
sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore destinata alle utilizzazioni di
tipo civile a fini di climatizzazione, riscaldamento, raffrescamento, raffreddamento,
condizionamento di ambienti residenziali, commerciali e industriali e per uso igienico-
sanitario, con esclusione delle utilizzazioni in processi industriali;
⋅ energia termica utile per usi industriali Etind è la parte di produzione di energia termica utile di
una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore destinata ad
utilizzazioni diverse da quelle previste per Etciv ;
⋅ p) rendimento elettrico netto medio annuo hes di un impianto destinato alla sola produzione di energia
elettrica è il rapporto tra la produzione annua netta di energia elettrica e l'energia primaria del
combustibile immessa annualmente nell'impianto, entrambe riferite all’anno solare;
⋅ q) rendimento termico netto medio annuo hts di un impianto destinato alla sola produzione di energia
termica è il rapporto tra la produzione annua netta di energia termica e l'energia primaria del
combustibile immessa annualmente nell'impianto, entrambe riferite all’anno solare;
⋅ r) energia elettrica autoconsumata Eeautocons è la parte di energia elettrica prodotta, definita alla
precedente lettera n), che non viene immessa nella rete di trasmissione o di distribuzione
dell’energia elettrica in quanto direttamente utilizzata e autoconsumata nel luogo di produzione;
⋅ s) energia elettrica immessa in rete Eeimmessa è la parte di energia elettrica netta prodotta che non rientra
nella definizione di cui alla precedente lettera r);
⋅ t) indice di risparmio di energia IRE è il rapporto tra il risparmio di energia primaria conseguito dalla
sezione di cogenerazione rispetto alla produzione separata delle stesse quantità di energia elettrica
e termica e l’energia primaria richiesta dalla produzione separata definito dalla formula:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 103

Ec
IRE = 1 −
Ee Etcv Etind
+ +
ηes p ηts ,civ ηts ,ind
dove:
⋅ - Ec, Ee, Etciv e Etind sono definite, rispettivamente, alle precedenti lettere l), n) e o), espresse in
MWh ed arrotondate con criterio commerciale alla terza cifra decimale;
⋅ - ηes è il rendimento elettrico medio netto, come definito alla precedente lettera p), della modalità
di riferimento per la produzione di sola energia elettrica;
⋅ - ηts,civ è il rendimento termico netto medio annuo, come definito alla precedente lettera q), della
modalità di riferimento per la produzione di sola energia termica per usi civili Etciv;
⋅ - ηts,ind è il rendimento termico netto medio annuo, come definito alla precedente lettera q), della
modalità di riferimento per la produzione di sola energia termica per usi industriali Etind ;
⋅ - p è un coefficiente che rappresenta le minori perdite di trasporto e di trasformazione
dell’energia elettrica che gli impianti cogenerativi comportano quando autoconsumano l’energia
elettrica autoprodotta, evitando le perdite associate al trasporto di energia elettrica fino al livello
di tensione cui gli impianti stessi sono allacciati o quando immettono energia elettrica nelle reti di
bassa o media tensione, evitando le perdite sulle reti, rispettivamente, di media e alta tensione. Il
coefficiente p è calcolato come media ponderata dei due valori di perdite evitate pimmessa e pautocons
rispetto alle quantità di energia elettrica autoconsumata Eeautocons ed immessa in rete
⋅ Eeimmessa, come definite rispettivamente alle precedenti lettere r) e s), secondo la seguente
formula:
p ⋅ Eeimmessa + pautocons ⋅ Eeautocons
p = immessa
Eeimmessa + Eeautocons
I valori di pimmessa e pautocons dipendono dal livello di tensione cui è allacciata la sezione di
produzione combinata di energia elettrica e calore e sono riportati nella seguente tabella:

⋅ u) limite termico LT è il rapporto tra l’energia termica utile annualmente prodotta Et e l’effetto utile
complessivamente generato su base annua dalla sezione di produzione combinata di energia
elettrica e calore, pari alla somma dell’energia elettrica netta e dell’energia termica utile prodotte
(Ee + Et), riferiti all’anno solare, secondo la seguente formula:
Et
LT =
Ee + Et
con il significato dei simboli definito alla precedente lettera t);
⋅ v) data di entrata in esercizio di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è la data in cui
è stato effettuato il primo funzionamento in parallelo con il sistema elettrico nazionale della
sezione, come risulta dalla denuncia dell’UTF di attivazione di officina elettrica;
⋅ w) data di entrata in esercizio commerciale di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è la
data di entrata in esercizio commerciale della sezione fissata dal produttore, considerando come
periodo di collaudo e avviamento un periodo massimo di 12 (dodici) mesi consecutivi a partire
dalla data in cui è stato effettuato il primo funzionamento della sezione in parallelo con il sistema
elettrico nazionale, come risulta dalla denuncia dell’UTF di attivazione di officina elettrica;
⋅ x) sezione esistente è la sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore che, alla data di
entrata in vigore del presente provvedimento, era già entrata in esercizio o per la quale, alla
medesima data, erano state assunte obbligazioni contrattuali relativamente alla maggior parte, in
valore, dei costi di costruzione;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 104

⋅ y) rifacimento di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è l’intervento su una
sezione dell’impianto che sia in esercizio, esistente da almeno venti (20) anni, finalizzato a
migliorare le prestazioni energetiche ed ambientali attraverso la sostituzione, il ripotenziamento o
la totale ricostruzione di componenti che nel loro insieme rappresentano la maggior parte dei
costi di investimento sostenuti per la realizzazione della sezione;
⋅ z) sezione di nuova realizzazione è la sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore
con data di entrata in esercizio commerciale successiva alla data di entrata in vigore del presente
provvedimento.
Articolo 2
Definizione di cogenerazione ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99 e
dell'articolo 2, lettera g), del decreto legislativo n. 164/00
2.1 Si definisce cogenerazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99 e
dell'articolo 2, lettera g), del decreto legislativo n. 164/00 ed ai fini dei benefici di cui al precedente
articolo 1, lettera f), un sistema integrato di produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di
energia termica, entrambe considerate energie utili, realizzato dalla sezione di un impianto per la
produzione combinata di energia elettrica e calore, come definita al precedente articolo 1, lettera e), che,
a partire da una qualsivoglia combinazione di fonti primarie di energia e con riferimento a ciascun anno
solare, soddisfi entrambe le condizioni concernenti il risparmio di energia primaria e il limite termico di
cui ai successivi commi 2.2 e 2.3.
2.2 Ai fini del riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come
cogenerazione, di cui al precedente comma 2.1, l'indice di risparmio di energia IRE della sezione, come
definito al precedente articolo 1, lettera t), non deve essere inferiore al valore minimo IREmin che, fino
al 31 dicembre 2005, viene fissato pari a 0,050 (5,0%) per le sezioni esistenti, come definite al
precedente articolo 1, lettera x), pari a 0,080 (8,0%) per i rifacimenti di sezioni, come definiti al
precedente articolo 1, lettera y), e pari a 0,100 (10,0%) per le sezioni di nuova realizzazione, come
definite al precedente articolo 1, lettera z), assumendo:
⋅ a) per il parametro ηes il rendimento elettrico netto medio annuo delle modalità di riferimento per
la produzione separata di sola energia elettrica, differenziato per ciascuna fascia di taglia di
riferimento, come definita al precedente articolo 1, lettera j), e per ciascun tipo di combustibile
utilizzato, secondo i valori riportati nella seguente tabella:

Nel caso di utilizzo di combustibili solidi fossili di produzione nazionale in misura non inferiore
al 20% dell’energia primaria annualmente immessa nella sezione di produzione combinata di energia
elettrica e calore, i valori del parametro ηes riportati in tabella sono ridotti del 5%. A tale fine, non
rientrano tra i combustibili fossili di produzione nazionale il carbone di tipo coke, prodotto
in Italia a partire da carbone di importazione, e il petrocoke o coke di petrolio.
Nel caso di utilizzo di combustibili di processo e residui, biogas, gas naturale da giacimenti minori
isolati il parametro ηes è pari a 0,35 per tutte le taglie di riferimento.
Nel caso di sezioni di produzione combinata di energia elettrica e calore che utilizzino più
combustibili di diverso tipo C1, C2,…,Cn, il parametro ηes viene calcolato come media ponderata dei
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 105

parametri di cui alla precedente tabella rispetto all’energia primaria EcC1, EcC2, …,EcCn, dei combustibili
annualmente immessi nella sezione, secondo la seguente formula:
η ⋅ EcC1 + ηes ,C 2 ⋅ EcC 2 + ..... + ηes ,Cn ⋅ EcCn
ηes = es ,C1
EcC1 + EcC 2 + ..... + EcCn
Nel caso di utilizzo di combustibili diversi da quelli sopra richiamati, ai fini della determinazione
del parametro ηes si assume il gas naturale come combustibile di riferimento. I valori del parametro ηes
riportati nella tabella per i rifiuti solidi, organici e inorganici, e per le biomasse si applicano nei soli casi
di co-combustione, definita come la combustione contemporanea di combustibili da fonti rinnovabili,
come definite dall’articolo 2, comma 15, del decreto legislativo n. 79/99, e di combustibili da altre fonti
di energia. Ai fini dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), e in particolare di quelli previsti
dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 79/99, l’indice di risparmio di energia IRE per gli
impianti di produzione combinata di energia elettrica e calore con potenza nominale inferiore a 10
MVA è riferito all’intero impianto.
Nel caso di sezioni di impianto aventi n taglie di riferimento T1, T2,...,Tn, che individuano n
rendimenti elettrici di riferimento ηes,1, ηes,2, …, ηes,n, ed una potenza nominale della sezione pari a P, il
parametro ηes da utilizzare per il calcolo dell’indice IRE della sezione viene determinato con la seguente
formula:
n η ⋅T
ηes = ∑ es , j j
j =1 P
b) per il parametro ts,civ un valore pari a 0,8 e per il parametro ts,ind un valore pari a 0,9. Nel
caso di utilizzo di combustibili solidi fossili di produzione nazionale in misura non inferiore al 20%
dell’energia primaria annualmente immessa nella sezione di produzione combinata di energia elettrica e
calore, i valori dei parametri ts,civ e ts,ind sono ridotti del 5%. A tale fine, non rientrano tra i
combustibili fossili di produzione nazionale il carbone di tipo coke, prodotto in Italia a partire da
carbone di importazione, e il petrocoke o coke di petrolio.
2.3 Il limite termico LT, come definito al precedente articolo 1, lettera u), per il processo di cui al
comma 2.1 non deve essere inferiore al valore minimo LTmin che, fino al 31 dicembre 2005, viene
fissato pari a 0,150 (15,0%). Nel caso di sezioni di nuova realizzazione che soddisfino la condizione di
IREmin di cui al comma 2.2, ma non soddisfano la condizione per il limite termico LT è ammessa, ai soli
fini dell’esenzione dall'obbligo previsto dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo n. 79/99,
l’esenzione dal predetto obbligo per la quota di energia elettrica che soddisfa il limite termico di 0,150
(15,0%). Ai fini dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), e in particolare di quelli previsti
dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 79/99, si assume che nel calcolo del limite termico
LT per gli impianti di produzione combinata di energia elettrica e calore con potenza nominale inferiore
a 10 MVA la sezione coincide con l’impianto.

Articolo 3
Aggiornamento e periodo di validità dei parametri di riferimento
3.1 I valori di riferimento dei parametri ηes, ηts,civ, ηts,ind, LTmin e IREmin, come riportati al
precedente articolo 2, sono in vigore fino al 31 dicembre 2005 e vengono aggiornati dall’Autorità
con periodicità triennale.
3.2 Per ciascuna sezione esistente i valori di riferimento dei parametri ηes, , ηts,civ, ηts,ind, LTmin e
IREmin, di cui al precedente articolo 2, rimangono fissi, ai fini del riconoscimento della condizione
tecnica di cogenerazione, per un periodo di dieci (10) anni a partire dalla data di entrata in vigore del
presente provvedimento. A partire dall’anno solare successivo a quello in cui vengono completati i dieci
(10) anni di esercizio si applicano i valori di riferimento dei parametri aggiornati dall’Autorità su base
triennale, di cui al comma 3.1, in vigore per quel triennio.
3.3 Per ciascuna sezione di nuova realizzazione e per i rifacimenti i valori di riferimento dei
parametri ηes, ηts,civ, ηts,ind, LTmin e IREmin in vigore alla data di entrata in esercizio rimangono fissi, ai
fini del riconoscimento della condizione tecnica di cogenerazione, per un periodo di quindici (15) anni.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 106

A partire dall’anno solare successivo a quello in cui vengono completati i quindici (15) anni di esercizio
si applicano i valori di riferimento dei parametri aggiornati dall’Autorità su base triennale, di cui al
comma 3.1, in vigore per quel triennio.
3.4 Nel caso di sezioni dotate di reti di teleriscaldamento per la distribuzione del calore utile
prodotto i periodi di cui ai commi 3.2 e 3.3 vengono estesi di 5 (cinque) anni.
3.5 Durante il periodo di collaudo e avviamento, e limitatamente al periodo massimo di 12
(dodici) mesi consecutivi di cui al precedente punto 1, lettera w), si applica per il parametro IREmin un
valore pari a 0,050 (5,0%) e per il parametro LTmin un valore pari a 0,100 (10,0%). Per l’anno solare in
cui termina il periodo di collaudo e avviamento, i valori dei parametri IREmin e LTmin sono calcolati
come media ponderata sui due periodi.
3.6 Agli impianti di nuova realizzazione per i quali, alla fine di un triennio di vigenza dei valori di
riferimento dei parametri ηes, , ηts,civ, ηts,ind, LTmin e IREmin di cui al precedente articolo 2, sono state
assunte obbligazioni contrattuali in valore relativamente alla maggior parte dei costi di costruzione, si
applicano i valori di riferimento previsti per il triennio precedente .

Articolo 4
Attestazione delle condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energia
elettrica e calore come cogenerazione
4.1 I soggetti produttori con sezioni di produzione combinata di energia elettrica e calore che
intendono avvalersi dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), comunicano, separatamente
per ciascuna sezione, mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà firmata dal legale
rappresentante ai sensi degli articoli 21, 38 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
2000, n. 445, il valore dell'indice di risparmio di energia IRE e del limite termico LT, calcolati con
riferimento ai valori dei parametri ηes, ηts,civ e ηts,ind fissati nel precedente articolo 2, relativi all’anno
solare precedente.
4.2 La dichiarazione di cui al comma 4.1 deve essere inviata alla società Gestore della rete di
trasmissione nazionale Spa entro il 31 marzo di ogni anno. La società Gestore della rete di trasmissione
nazionale Spa, entro il 30 giugno di ogni anno, trasmette all’Autorità un prospetto riepilogativo delle
dichiarazioni pervenute ed un piano annuale di verifiche sulle sezioni ai sensi dell’articolo 5 del presente
provvedimento. Tale dichiarazione deve contenere le seguenti informazioni:
⋅ a) identificazione del soggetto produttore, in particolare: ragione sociale, natura giuridica, sede
legale, codice fiscale o partita Iva;
⋅ b) identificazione della sezione e dell’impianto, in particolare: localizzazione geografica,
eventuale denominazione, data di entrata in esercizio e data di entrata in esercizio
commerciale, come definite, rispettivamente, al precedente articolo 1, lettere v) e w);
c) energia elettrica utile prodotta nell’anno solare precedente dalla sezione al netto dell’energia
assorbita dai servizi ausiliari (Ee), come definita al precedente articolo 1, lettera n); energia termica utile
(Et), incluse le due componenti per usi civili Etciv e industriali Etind prodotte nell’anno solare precedente
dalla sezione, come definite al precedente articolo 1, lettera o); tipologia e quantità dei combustibili
utilizzati (C1, C2, …, Cn) e energia primaria immessa nell’anno solare precedente nella sezione per
ciascuna tipologia di combustibile (EcC1, EcC2, …,EcCn), come definita al precedente articolo 1, lettera
l). Tutti i dati della presente lettera c) devono essere espressi in MWh e arrotondati con criterio
commerciale alla terza cifra decimale;
⋅ d) metodi di misura e criteri utilizzati per la determinazione dei valori delle grandezze di cui alla
precedente lettera c);
⋅ e) programma annuale di utilizzo della sezione, in particolare: capacità di produzione combinata
di energia elettrica e calore, rendimenti e combustibili utilizzati (inclusi i combustibili di processo,
residui o recuperi di energia, combustibili non commerciali), finalità della produzione (usi propri,
distribuzione, vendita ad altri soggetti, riportando le quantità annue di produzione dei prodotti
nel cui processo di lavorazione viene utilizzato il calore, il consumo specifico di calore per le
diverse fasi del ciclo produttivo, nel caso di usi propri, e le quantità di calore vendute a terzi, con
indicazione dei soggetti acquirenti e delle rispettive quote, nel caso di vendita a terzi);
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 107

⋅ f) caratteristiche tecniche generali della sezione, in particolare: tipo di sezione e di impianto,


schema generale di funzionamento, identificazione e caratteristiche di generatori e scambiatori di
calore, motori primi, generatori elettrici (tra cui, almeno, la potenza nominale dei generatori
elettrici, come definita al precedente articolo 1, lettera g), e taglia di riferimento ai fini della
determinazione del parametro ηes, come definita al precedente articolo 1, lettera j) ed altri
componenti significativi.
4.3 La documentazione di cui al precedente comma 4.2, lettere d) e f), deve essere trasmessa in
occasione della prima richiesta di riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e
calore come cogenerazione e, successivamente, solo nel caso in cui siano intervenute variazioni con
conseguenze significative sul rispetto della condizione tecnica di cogenerazione.
4.4 L’invio di informazioni incomplete o difformi comporta, per la sezione o per l’impianto,
l'esclusione, per l’anno di riferimento, dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f). La società
Gestore della rete di trasmissione nazionale Spa ne dà comunicazione al soggetto produttore e
all’Autorità.
4.5 In caso di dichiarazioni contenenti dati e informazioni non veritiere, l’Autorità, su
segnalazione della società Gestore della rete di trasmissione nazionale Spa, può applicare le sanzioni di
cui all’articolo 2, comma 20, lettera c), della legge 14 novembre 1995, n. 481.

Articolo 5
Verifiche sulla sezione
5.1 Le verifiche sulla sezione atte a controllare il rispetto delle condizioni per il riconoscimento
della produzione combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione ai fini dei benefici di cui al
precedente articolo 1, lettera f), sono effettuate dalla società Gestore della rete di trasmissione nazionale
Spa e svolte, ove necessario, attraverso sopralluoghi al fine di accertare la veridicità delle
informazioni e dei dati trasmessi, avvalendosi eventualmente anche della collaborazione di altri enti
o istituti di certificazione.

Articolo 6
Disposizioni finali
6.1 La presente deliberazione viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e
nel sito internet dell’Autorità ed entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione.

5.2.1 COMMENTI SULLE NORME VIGENTI SULLA COGENERAZIONE


L’Autorità per l’Energia e il Gas formula una definizione di cogenerazione che consente di
identificare, sia fra gli impianti esistenti che in quelli di nuova installazione, quelli che forniscono un
significativo risparmio di energia rispetto alle produzioni separate.
A questo scopo sono considerati uno o più indicatori che consentono:
⋅ di valutare il risparmio effettivo di energia primaria di un impianto di cogenerazione rispetto alle
produzioni separate;
⋅ di garantire l’effettiva natura cogenerativa delle modalità di utilizzo dell’impianto evitando i casi di
soluzioni eccessivamente sbilanciate nella produzione di energia elettrica.
Questi indicatori debbono, inoltre:
⋅ risultare applicabili alle diverse configurazioni impiantistiche presenti in questo segmento della
generazione caratterizzate da differenze significative nelle prestazioni tra impianti di piccola e
grande taglia, nuovi ed esistenti, con utilizzazione stagionale o continua;
⋅ essere riferiti a data di consumo misurabili su base annuale con sistemi di contabilizzazione
certificati e controllati;
⋅ considerare l’evoluzione tecnologica con meccanismi di aggiornamento periodici per impianti
non ancora entrati in esercizio.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 108

6 IL CLIMA E INFLUENZE SULLA PROGETTAZIONE IMPIANTISTICA

Si è più volte detto che il clima condiziona l’evoluzione termica di un edificio e pertanto è
necessario conoscerne le caratteristiche che lo determinano. Una classificazione già indicata nel
paragrafo Regioni Climatiche è la seguente:
⋅ Caldo umido: caratterizzate da surriscaldamenti dell’atmosfera con temperatura media
superiore a 20°C e con umidità relativa24 intorno all’80%.
⋅ Caldo secco: caratterizzate da surriscaldamenti dell’atmosfera con temperatura media
superiore a 25°C e con umidità relativa bassa.
⋅ Clima temperato: caratterizzato da dispersioni termiche notevoli in inverno e insufficienti
in estate e con temperatura media variabile con la stagione fra –15÷25 °C e con umidità che
raramente raggiungono il valore medio dell’80%.
⋅ Clima freddo: caratterizzato da temperature che variano in inverno fra –15 ÷ (-40) °C e
con umidità relativa invernale solitamente elevata.
In figura 74 si ha una classificazione del clima a scala terrestre con le indicazioni delle quattro
zone climatiche sopra indicate.

Figura 74: Classificazione delle zone climatiche sulla Terra.


Nel caso del clima per l’Europa si ha una classificazione più fine: clima alpino, clima oceanico, clima
mediterraneo, clima continentale, clima umido, clima freddo,… come rappresentato in figura 75. Si osserviamo le
linee a temperatura media di 0°C separa in inverno le regioni carpatico-danubiane-balcaniche
dall’Europa occidentale che risulta influenzata dalla presenza dell’Oceano Atlantico.
In estate la linea di temperatura a 20°C in estate separa le zone sub-alpine (prevalentemente
mediterranee) dalle zone nordeuropee con clima ad inverno rigido .

24 L’Umidità relativa, indicata con ϕ , è il rapporto fra la pressione del vapore d’acqua nelle condizioni attuali rispetto
alla pressione massima di saturazione cioè alla pressione di passaggio di stato (condensazione) alla temperatura dell’aria. Se
ϕ=1 allora il vapore d’acqua contenuto nell’aria è anche nella quantità massima possibile per la temperatura e pressione data.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 109

Figura 75: Regioni climatiche europee.


Per l’Italia in particolare si ha la situazione riportata nella figura 76.

Figura 76: Località per le quali si hanno stazioni climatiche in Italia.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 110

6.1 IL CLIMA RISPETTO ALLE SCALE GEOGRAFICHE


Una ulteriore classificazione viene effettuata sul clima in funzione dell’estensione del territorio al
quale è riferito. In particolare si ha la situazione espressa nella seguente tabella.
Clima Distribuzione Distribuzione Esempio Scala temporale
orizzontale (m) verticale meteorologica (s)
Microclima 10-2÷10² 10-2÷101 Serra 10-1÷101
Clima locale 102÷104 10-1÷10³ Fascia di 104÷105
inversione termica
3 5 0 3
Mesoclima 10 ÷2x10 10 ÷6x10 Clima di bacino 104÷105
Macroclima 2x105÷5x107 100÷105 Regione dei monsoni 105÷106

La climatologia dell’ambiente costruito si occupa, in base a questa classificazione, del microclima


all’interno degli ambienti. Nel caso di studi approfonditi del microclima esterno (a scala di 100 m)
questo risulta condizionato dalla morfologia del terreno, dalla sua composizione geologica,
dall’esposizione ai raggi solari e al vento, dall’andamento delle ombre portate, dalla presenza di specchi
d’acqua e/o di macchie di vegetazione. Ancora più in particolare il microclima esterno coinvolge gli
strati d’aria vicini al suolo e quindi la distribuzione verticale di temperatura, umidità e pressione assume
primaria importanza rispetto a quella orizzontale che è, invece, oggetto del clima locale. La
progettazione architettonica, per quanto riguarda la climatologia e quindi le condizioni di benessere e di
consumi energetici, è interessata dalle scale climatiche del microclima e del clima locale.
E’ compito del progettista definire il microclima esterno prima di effettuare la progettazione di un
edificio in modo da conoscere con esattezza tutti i fattori climatici che lo definiscono. E’ opportuno
osservare, inoltre, che il microclima esterno può in qualche modo essere cambiato o condizionato
dall’uomo mentre nessuna alterazione può essere fatta a scala geografica maggiore. Si ricordi, ad
esempio, la modificazione del microclima effettuata in Patagonia (Argentina del sud) per consentire la
vita degli abitanti plagiati da condizioni locali particolarmente ventose: mediante impiantazioni di alberi
d’alto fusto delimitanti zone esterne di qualche decina di metri di lato si è fatto in modo che le
abitazioni costruite all’interno delle aree interne fossero protette dalla strato limite e quindi meno
soggette al vento.
6.2 FATTORI CLIMATICI
Sono definiti fattori climatici quei fenomeni naturali quale il soleggiamento, la nuvolosità, il vento,
le precipitazioni o la radiazione solare che determinano le caratteristiche climatiche di una data località.
6.2.1 RADIAZIONE SOLARE
Si è già parlato della radiazione solare in generale nei capitoli precedenti e ad essi si rimanda per
una trattazione più approfondita. Qui si vuole considerare la radiazione solare per l’Italia così come
rilevata di recente dall’ENEA nel 1995 mediante tecniche avanzate che fanno uso di riprese da satellite.
In particolare sono state utilizzate le riprese del satellite Meteosat ricevute dal centro europeo di
Darmstadt.
Le immagini sono poi convertite in mappe digitalizzate nelle quali l’irraggiamento solare è dato in
forma grafica a colori, come indicato nelle figure seguenti. Nella tabella seguente si hanno gli
irraggiamenti solari mensili nei comuni della provincia di Siracusa ed analoghe tabelle si hanno per tutti
i comuni d’Italia.
Nelle figure da 77a 77n si hanno le mappe di irraggiamento medio mensile per i mesi da gennaio
e febbraio in Italia su superfici orizzontali, espresse in MJ/m²/giorno.
Questi dati possono essere utilizzati per i calcoli dell’irraggiamento solare per superfici comunque
inclinate ed orientate, come indicato in precedenza.
Dati ancora maggiori si possono desumere dai due manuali della Comunità Scientifica Europea:
Atlante Europeo della Radiazione Solare.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 111

Tabella per l’irraggiamento solare nei comuni della provincia di Siracusa.

Figura 77a: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a gennaio


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 112

Figura 77b: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a febbraio

Figura 77c: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a marzo


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 113

Figura 77d: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) ad aprile

Figura 77e: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a maggio


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 114

Figura 77f: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a giugno

Figura 77g: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a luglio


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 115

Figura 77h: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) ad agosto


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 116

Figura 77i: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a settembre

Figura 77l: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) ad ottobre


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 117

Figura 77m: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a novembre

Figura 77n: Irradiazione giornaliera media mensile (MJ/m²/giorno) a dicembre

6.2.2 FENOMENI CHE MODIFICANO LA TRASPARENZA ATMOSFERICA


La radiazione solare extraterrestre come sopra calcolata non è tutta disponibile sulla superficie
terrestre poiché l’atmosfera modifica, spesso anche fortemente, la radiazione solare attenuandola per
effetto degli assorbimenti dei gas che la compongono, vedi figura 58. Viene indicata massa d’aria il
rapporto fra la massa dell’atmosfera attraversata dalle radiazioni solari e la massa corrispondente alla
posizione dello zenith del sole (cioè perpendicolare, ove possibile). A livello del mare m=1 quando il
sole è allo zenith ed m=2 per un angolo di 60°. Per un angolo zenitale variabile fra 0 e 70° si ha, con
buona approssimazione, la relazione:
1
m=
cos θ z
L’atmosfera modifica la radiazione solare mediante due meccanismi.
Scattering (Diffusione) atmosferico
Quando la radiazione solare attraversa l’atmosfera interagisce con le molecole dell’aria
(principalmente del vapore d’acqua e gocce varie) e con la polvere determinando il fenomeno dello
scattering cioè della diffusione dei raggi solari. Questo fenomeno dipende dal numero di particelle con le
quali la radiazione viene a contatto e le dimensioni di queste particelle rispetto alla lunghezza d’onda λ
delle stesse radiazioni. La lunghezza del cammino della radiazione attraverso le molecole dell’aria è
descritto dalla massa d’aria mentre le particelle di aria e di polvere dipendono anche dalle condizioni
locali e temporali dell’atmosfera. Il risultato dello scattering è la perdita di coerenza direzionale dei raggi
solari che, invece, provengono da tutte le direzioni dello spazio.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 118

Assorbimento atmosferico
La radiazione solare subisce diversi fenomeni di assorbimento nell’attraversare l’atmosfera (vedi
figura seguente) a causa delle interazioni con i gas presenti. L’assorbimento è dovuto in modo
preponderante all’ozono nel campo dell’ultravioletto (λ<0,38 µm) e al vapore d’acqua e il biossido di
carbonio nell’infrarosso (λ>0,78 µm). In particolare l’ozono assorbe quasi del tutto la radiazione per
λ<0,29 µm
Influenza della massa d’aria
Gli effetti della massa d’aria sono illustrati dalla figura 59. Al crescere della massa d’aria da 0
(radiazione extraterrestre) fino al valore 5 (atmosfera con bassa turbidità) si ha una progressiva
attenuazione della radiazione al suolo. Si osservi anche il progressivo spostamento verso lunghezze
d’onda maggiore, ciò che provoca il caratteristico colore rossastro all’alba e al tramonto.

6.2.3 RADIAZIONE EMESSA DALLA TERRA


Uno dei fattori importanti nel bilancio della radiazione terrestre è il termine relativo alla
radiazione emessa dalla superficie terrestre e da alcuni costituenti atmosferici. Tale radiazione può
ancora essere valutata secondo la relazione:
E = εσT 4
con ε e T rispettivamente l’emissività (con valori molto prossimi ad 1, ad esempio l’acqua ha
ε=0.97) e la temperatura della superficie terrestre (comprese fra 250 ÷ 320 K). La radiazione terrestre è
concentrata nell’intervallo di lunghezze d’onda 4 ÷40 µm con un valore massimo interno ai 10 µm.
L’emissione atmosferica è dovuta essenzialmente alle molecole di CO2 e H2O con range di
emissione variabili fra 5 ÷ 8 µm e oltre i 13 µm.
Nell’intervallo 8 ÷ 12 µm si ha una regione di trasparenza detta finestra atmosferica. Il calcolo
dell’emissione atmosferica può essere fatto supponendo che la terra veda la volta celeste avente una
temperatura equivalente Tvc variabile fra 230÷285K. In pratica si può scrivere la relazione:
Eatm = σTvc
4

Secondo questo modello si può dire che lo scambio radiativo netto, in assenza di radiazione
solare tra la superficie terrestre e l’atmosfera, è rappresentato dalle curve di figura 60 ove si sono
rappresentate due curva: la curva b) è relativa ad un corpo nero alla stessa temperatura dell’atmosfera
mentre la curva a) e la curva di emissione atmosferica nella quale risulta evidente la finestra radiativa.

Figura 58: Radiazione solare fuori dell’atmosfera e al suolo.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 119

Figura 59: Effetti della massa d’aria sulla radiazione al suolo


L’area tratteggiata (differenza fra le due emissioni radiative) rappresenta la potenza radiativa
scambiata fra la superficie terrestre e la volta celeste.

Figura 60: Emissione terrestre-atmosferica (curva a) e del corpo nero (curva b)


Un’applicazione interessante della finestra radiativa si ha con il raffreddamento naturale (anche al di
sotto di 0°C) che si può ottenere ricoprendo le superfici con pellicole selettive (della famiglia dei Mylar)
che emettano in corrispondenza della finestra.
6.2.4 ANALISI STATISTICA DELLA RADIAZIONE SOLARE
Si vuole qui fornire un esempio di studio sulla radiazione solare effettuato presso la Facoltà di
Ingegneria di Catania con dati storici forniti dall’Osservatorio Astrofisico dell’Università. I dati
sperimentali di irraggiamento solare globale su superficie orizzontale sono stati raccolti nell'anno 1967.
Essi costituiscono un complesso di oltre 18.200 elementi, sui quali è stato condotto uno studio
sistematico delle principali proprietà statistiche ed applicato in seguito un modello di simulazione
fondato sul metodo della matrice di Markoff atto a generare, mediante elaboratore elettronico,
sequenze temporali casuali, caratterizzate da una statistica congruente con quella dell'anno storico.
L'indagine qui presentata consiste in una classificazione condotta non direttamente sui dati
energetici di insolazione quanto sulle trasparenze del cielo, definite dal rapporto tra l'irraggiamento
storico e l'irraggiamento extra-atmosferico, e classificate in 25 classi di passo 0,04.
Il motivo di questa scelta è da ricercarsi nella possibilità di un successivo confronto tra la
statistica dei dati storici e quella dei dati simulati a mezzo della matrice di Markoff, in coerenza con le
metodologie seguite da altri ricercatori.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 120

Oggetto dello studio è, dunque, l'analisi della curva di distribuzione della frequenza percentuale
delle trasparenze dei dati storici, ovvero della funzione di densità di probabilità. L'indagine è stata poi
estesa alla distribuzione puntuale e cumulativa delle frequenze di soglia, cioè alla classificazione della
probabilità del verificarsi di una data classe di irraggiamento e della corrispondente probabilità di
irraggiamenti superiori o uguali a quella stessa classe.
Si è, infine, ricostruito l'anno storico nelle sue varie determinazioni temporali con passo
rispettivamente giornaliero. settimanale, quindicinale e mensile
Procedure operative
I calcoli sono stati condotti tramite elaboratore elettronico che ha tracciato anche i diagrammi
relativi. Nel calcolo dello scarto quadratico medio si è utilizzata la formula riferita alla popolazione
estesa, ritenendo il complesso dei dati sufficiente per giustificarne l'uso.
I dati o le sequenze di dati mancanti sono stati sostituiti inizialmente da valori nulli e ripristinati
in un secondo momento con valori generati col metodo Montecarlo25 onde assicurare una realistica
ricostruzione della situazione sperimentale.
I dati registrati, disponibili sotto forma di tracciati continui sulle strisce eliofanografiche, sono
stati letti senza l'ausilio di mezzi digitali e memorizzati nel calcolatore con un passo temporale di 15'.
Analisi dei risultati: Curva PDF della frequenza di insolazione
Dai risultati ottenuti e dai diagrammi riportati, la funzione densità di probabilità (ovvero la
frequenza percentuale) dei dati di insolazione mensili risulta del tipo bimodale centrata attorno ai valori
0,25 ÷ 0,35 e 0,70 ÷ 0.80 (fig. 78).
Dal diagramma consuntivo delle frequenze annuali discende un utile confronto con le
distribuzioni ottenute in altre località rispettivamente del centro e del nord Italia (fig. 79). Il valore
medio delle frequenze oscilla attorno ai valori 0,56 ÷ 0,60 leggermente più alti di quelli della media
nazionale, come risulta particolarmente dai mesi della stagione estiva, ma non eccezionali se confrontati
con quelli di altre località dell'isola.
Analisi delle frequenze
Con questa indagine si è inteso studiare la distribuzione dei valori dell'irraggiamento appartenenti
all'intervallo 0 ÷ 1000 W/m2, e suddiviso in passi da 50 W/m2, nonché la distribuzione cumulativa di
particolare interesse applicativo nel campo dei dispositivi di misura e conversione dell'energia solare.
Di ogni stagione è riportato il grafico delle frequenze puntuali e cumulative (fig. 80).
È immediato notare come l'area coperta dal diagramma si sposta verso le soglie più alte al
progredire dei mesi verso le stagioni calde, mentre la curva delle distribuzioni annuali (fig. 81)
approssima ottimamente una gaussiana.
La generazione delle sequenze simulate: Metodi di previsione stocastica delle sequenze di
insolazione. I metodi per la previsione teorica della radiazione solare globale vengono classificati come
deterministici e probabilistici. I primi sono costruiti da sequenze di valori medi desunti da analisi statistica
dell’insolazione in lunghi periodi (generalmente un ventennio). L'anno solare così costruito viene detto
"anno di riferimento" (Reference Year) per quella località o territorio e determinato con diversi passi
temporali (mensili, settimanali, giornalieri, orari).
Per quanto, però, di grande affidabilità e significatività dal punto di vista statistico, le sequenze di
insolazione restano definite una volta per tutte e fissate in forma rigidamente deterministica senza

25 Il metodo Montecarlo è nato durante lo sviluppo del progetto Manhattan a Chicago durante l’ultimo conflitto
mondiale. Esso è un metodo statistico che associa alla densità di probabilità uniforme di numeri casuali le storie di vita che si
intendono simulare, determinando a posteriori le frequenze dei casi favorevoli. Questo metodo richiede notevoli risorse di
calcolo poiché per fornire risultati accettabili deve elaborare migliaia di casi in modo che, per la Legge del Caso, la frequenza di
calcolo a posteriori tenda alla probabilità matematica definita, invece, a priori.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 121

alcuna informazione sulla casualità del fenomeno attinometrico che ne costituisce, invece, un aspetto
caratteristico.

Figura 78: Trasparenze storiche nella varie stagioni a Catania

Figura 79: Trasparenze in varie località


Il recupero della aleatorietà del dato di insolazione viene realizzato con l'adozione di metodi
probabilistici, tipicamente il metodo Monte Carlo, previa conoscenza dei due parametri statistici
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 122

fondamentali del periodo da simulare: la media m e lo scarto quadratico medio s utilizzati nella relazione
I = m + x s, dove x è una variabile casuale normale compresa, di solito, nell'intervallo - 0,2 ÷ + 0,2. Le
sequenze così generate riproducono le fluttuazioni statistiche che si potrebbero osservare
sperimentalmente, potendosi con uguale probabilità verificare periodi di alto come di basso
soleggiamento.
Il limite tuttavia insito in questo metodo risiede nella mancanza di correlazione tra un dato ed i
precedenti, quando l'osservazione sperimentale dichiara invece la forte dipendenza delle condizioni del
cielo, in un certo istante, dalle vicende meteorologiche precedenti.
Per superare questo limite e per esprimere il grado di correlazione tra dati successivi di
insolazione è stato studiato il modello ARMA (m, n) (Auto Regressive Moving Average) che consente di
predire la trasparenza del cielo in un istante t tramite una combinazione lineare di m precedenti valori di
T e degli n precedenti valori della variabile random V, secondo una relazione del tipo:
n m
Ti = ∑ aiTt −i + ∑ b jVt − j + Vt
i =1 j =1

dove ai e bj sono costanti definite in funzione del coefficiente di correlazione, mentre il numero
dei termini m ed n viene scelto in base ad altre grandezze statistiche.
Il metodo, ottimo per la previsione di distribuzioni normali, non ha, tuttavia, dato risultati
soddisfacenti in quanto quella delle trasparenze sperimentali non è una distribuzione normale26 ma, come
già visto, bimodale.
È stato quindi elaborato il metodo della matrice autoregressiva o matrice di Markoff col quale ci
si limita a correlare un dato con quello immediatamente precedente, mediante un procedimento che fa
dipendere la variabile random Vt dalla trasparenza Tt-1.
Il risultato è la costruzione di una matrice quadrata sulla base dei dati sperimentali di insolazione
e tale che i suoi elementi pij esprimono la probabilità di transizione della trasparenza del cielo dallo stato
i allo stato j.
Si è infine tentato di generalizzare questo modello in modo da includere, nella determinazione
della trasparenza del cielo in un certo istante, n stati precedenti: il risultato è stato il metodo TTT
(Transmìttance, Transition, Tensor) che definisce una matrice tridimensionale il cui tensore pijk esprime la
probabilità che ha il cielo di passare allo stato k, essendo al presente allo stato j e, nell'istante
precedente, allo stato i.
È stato dimostrato che una tale generalizzazione non apporta essenziali miglioramenti al
modello di Markoff, che resta pertanto il più semplice e rappresentativo modello di previsione
stocastica applicato alle condizioni attinometriche.
La statistica insita nella matrice di Markoff consente, pertanto, di generare un numero
qualsivoglia di anni casuali e di riprodurre ancora il grado di correlazione tra diverse sequenze di
insolazione.
Di particolare rilievo risulta poi questa proprietà, essendo fondamentale la conoscenza del
succedersi delle sequenze di basso ed alto soleggiamento, per esempio nelle applicazioni connesse con
l'accumulo dell'energia solare a breve e medio termine ed in generale con tutti i processi caratterizzati da
un funzionamento “a soglia”.
Descriviamo qui il metodo seguito per la compilazione della matrice di Markoff, sulla base dei
dati raccolti di soleggiamento nel territorio di Catania, per la generazione di un anno medio (risultato
dalla media statistica di 10 anni di simulazioni) nonché lo studio delle principali proprietà statistiche
quali la funzione densità di probabilità, frequenza cumulativa, valori medi e deviazioni standard della
trasparenza del cielo dell'anno così ricostruito.

26 Una distribuzione dicesi normale quando segue la distribuzione gaussiana e quindi con un solo massimo (modo).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 123

Figura 80: Analisi delle frequenze di soglia nelle varie stagioni a Catania

Figura 81: Frequenze di soglia storiche a Catania

Figura 82: Frequenze di soglia simulate a Catania


Descrizione dell'algoritmo per la generazione della matrice di Markoff
L'algoritmo utilizzato, di tipo iterativo, consente di generare una matrice quadrata che
precedenti studi hanno dimostrato opportuno definire di dimensioni 25 x 25 e che consiste nel
sommare una unità a quell'elemento di matrice aij i cui pedici sono dati dalla classe di appartenenza di
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 124

due trasparenze successive; ad ogni ciclo l'indice riga è posto uguale all'indice colonna precedente e tale
procedura è ripetuta fino all'esaurimento dei valori disponibili. La matrice così ottenuta viene
normalizzata e sottoposta alla verifica di ergodicità (o convergenza), che consiste nel verificare se,
moltiplicando n volte la matrice per sé stessa, risulta:
aijm − aijm−1 < ε
per qualunque coppia (i,j) e per ε comunque piccolo.

Figura 83: Analisi dei dati simulati - Frequenze di soglia nelle varie stagioni a Catania.
Dopo tale verifica la matrice (normalizzata) è definita "Matrice di Transizione Autoregressiva" e può
essere utilizzata per la generazione delle sequenze casuali. L'algoritmo utilizzato a questo scopo prevede
l'estrazione di un numero random, che, moltiplicato per il passo di classificazione delle trasparenze, viene
assunto come indice riga.
La trasparenza simulata viene assunta come l'indice colonna di quell'elemento della riga, prima
individuata, tale che la somma degli elementi precedenti risulti non minore di un secondo numero
random estratto. Ad ogni ciclo successivo verrà poi posto l'indice riga eguale all'indice colonna. La serie
delle trasparenze simulate viene così a costituire una banca dati, i cui elementi, moltiplicati per
l'irraggiamento extra-atmosferico, riproducono l'anno casuale, la cui statistica simula con ottima
approssimazione l'anno storico originario.
L'analisi statistica dell'anno casuale
Sull'anno casuale generato automaticamente sono state condotte le stesse indagini statistiche
eseguite sui dati storici. Sono state in particolare studiate le curve di distribuzione delle trasparenze,
classificate in 25 categorie di passo 0,04, e mostrate per tutte le stagioni dell'anno nelle figure 79, 80 e
81, nonché la curva di distribuzione complessiva dell'intero anno (fig. 82). Quest'ultima mostra un
andamento quasi costante attorno ai valori medi e con larghi massimi attorno ai valori 0,25÷ 0,35 e
0,7÷0,80 che ne rappresentano i picchi modali.
La differenza tra l'andamento medio annuale dei dati storici e quello delle sequenze simulate è
dovuta essenzialmente al fatto che trattasi di due situazioni non del tutto congruenti, risultando la prima
dalla media di 10 anni e la seconda da un solo anno e particolarmente soleggiato. D’altra parte analoghe
differenze sono visibili anche dal confronto di anni storici e simulati presso altre località da altri
ricercatori, come risulta dalla figure 79 e 84.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 125

Considerazioni sui metodi statistici per l’analisi della radiazione.


Le considerazioni sopra esposte consentono di rimarcare una caratteristica importante della
generazione markoffiana: anche se la statistica fondamentale si riferisce all'anno storico di base, gli anni
simulati hanno variabilità statistica tale da avere, ad esempio, anni con insolazione particolarmente
elevata o particolarmente bassa. Si ritiene, pertanto, che il metodo di simulazione fondato stilla tecnica
delle catene di Markoff sembra essere oggi tra i più semplici ed affidabili strumenti di previsione
applicati ai fenomeni atmosferici ed in particolare alla simulazione dell'irraggiamento solare. come
d'altra parte dimostra la vasta letteratura oggi disponibile.

Figura 84: Funzioni di densità di probabilità della trasmittanza


L'analisi qui condotta dimostra una larga congruenza tra la statistica dei dati simulati con quelli
storici, tanto più se si osserva che i picchi e le singolarità dell'anno storico vengono attenuati verso i
valori medi, consentendo così una rappresentazione più aderente alla situazione reale mediata su lungo
periodo. Un vantaggio sostanziale del metodo della matrice di Markoff consiste infine nella possibilità
di simulare un numero qualsivoglia di anni casuali, con variabilità statistica tale da avere per esempio
periodi (o anni stessi) con insolazione particolarmente bassa o particolarmente elevata. Quest'ultima
considerazione risulta infine di notevole utilità per la progettazione di impianti solari, con particolare
riferimento al problema del dimensionamento degli accumulatori di calore o della sorgente integrativa
ausiliaria e comunque in tutte le applicazioni di processo caratterizzate da una soglia inferiore di
funzionamento.

6.2.5 NUVOLOSITÀ
La nuvolosità influisce notevolmente sul clima poiché modifica il rapporto tra la radiazione
diretta e la radiazione diffusa per effetto dell’assorbimento e della diffusione delle molecole d’acqua
costituenti le nubi. Durante le giornate nuvolose la radiazione globale ricevuta su una superficie
comunque inclinata è quasi esclusivamente diffusa e pari al 5 ÷ 20 % di quella diretta. Pertanto
l’irraggiamento totale si riduce notevolmente. Anche la limpidità atmosferica influisce sulle condizioni di
soleggiamento. Questa è data dall’assenza di polveri o altri fattori inquinanti che assorbono la
radiazione solare o che la modificano (ad esempio per scattering e per diffusione). Questo fattore è
comunque legato molto alle condizioni locali, cioè alla presenza di ciminiere industriali, cave, vulcani,
…. Nella Sicilia, ad esempio, la presenza di polveri vulcaniche o di sabbia sahariana riduce spesso la
limpidità atmosferica e quindi l’irraggiamento solare.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 126

6.2.6 TEMPERATURA DELL’ARIA


La temperatura di un sito geografico dipende sia dall’irraggiamento atmosferico che dalle
possibilità di scambi termici tra la terra e l’atmosfera. Infatti il bilancio globale di questo scambio
dipende dalla dispersività dell’atmosfera, dalle correnti d’aria e dalla presenza di masse termiche. E’
infatti osservabile da tutti come certe zone risultino più calde di altre, pur essendo vicini e
apparentemente simili; in effetti esse differiscono per il versante, per la presenza di valli o di monti, per
la geologia dei terreni, per la presenza di acqua in bacini o fiumi, ….
Le stagioni metereologiche non dipendono solamente dalla lunghezza dei giorni ma risultano
sfasate di uno-due mesi rispetto ai periodi di massima durata. Ad esempio le condizioni di maggior
caldo si hanno in Italia in agosto e non in giugno-luglio che pure hanno maggiore insolazione. Allo
stesso modo le temperature minori non si verificano in corrispondenza del solstizio di inverno (21
dicembre) a gennaio-febbraio. A scala temporale più ridotta questo sfasamento avviene anche fra
l’irraggiamento orario giornaliero e la temperatura oraria giornaliera: il massimo si ha dopo le 14 e il
minimo si ha durante la notte o poco prima dell’alba.

6.2.7 MOVIMENTI D’ARIA


Se si osserva la distribuzione della radiazione solare netta (vedi figura 38) appare evidente che si
ha un deficit della radiazione solare nelle zone di elevata latitudine (>70°) e un eccesso alle basse
latitudini (<30). Ciò, tuttavia, non comporta un surriscaldamento delle zone intertropicali poiché si ha
un riequilibrio termico operato dalle correnti d’aria (che trasportano circa i 4/5 dell’energia) e delle
correnti marine (che trasportano l’altro 1/5 di energia restante). In pratica i flussi di aria e di acqua
costituisco un vero e proprio sistema di ridistribuzione dell’energia, riscaldando le zone fredde e
raffrescando quelle calde. Del resto è sotto gli occhi di tutti l’azione calmieratrice del clima che la
presenza del mare opera nelle zone costiere. Il clima mediterraneo si estende fin dove l’azione del mare
mediterraneo si fa sentire. Gli spostamenti di masse d’aria avvengono per effetto di differenze di
temperatura fra zone diverse della Terra e per differenza di pressione (vedi figure 39, 40,41, 42).
Nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea la velocità media del vento è di 3÷4 m/s nelle
zone costiere e 2÷3 m/s nell’entroterra. In Italia le direzione di provenienza del vento risultano assai
variabili e strettamente legati a fattori locali, quali l’orografia del terreno e la presenza di bacini d’acqua.
Inoltre l’altimetria dei luoghi influenza notevolmente il regime dei venti a parità di latitudine.

6.2.8 UMIDITÀ DELL’ARIA


Questo fattore dipende dai meccanismi di evaporazione e traspirazione dovuti alla radiazione
solare e ai gradienti termici dell’atmosfera. L’umidità influenza fortemente le condizioni di benessere
termico: l’aria fredda e umida appare molto più fredda dell’aria a bassa umidità alla stessa temperatura.
Una percentuale di umidità ritenuta accettabile (vedi nel prosieguo le condizioni di comfort
termico) deve essere compresa fra 35÷70 %. A causa dell’assorbimento della radiazione solare da parte
del vapore acqueo (come già detto in precedenza) le zone più umide sono anche meno soleggiate e
quindi più fredde. L’umidità è spesso legata alle condizioni locali e quindi al microclima del sito
geografico. A parità di latitudine e radiazione solare alcune zone sono più umide di altre e addirittura in
alcuni si ha la formazione di nebbia e in altre non. La presenza di precipitazioni e di nebbie
condizionano notevolmente la progettazione degli edifici e deve essere presa in giusta considerazione
dal progettista.
6.3 INFLUENZA DEL SITO SULLA PROGETTAZIONE IMPIANTISTICA
Oltre ai fattori climatici sopra descritti, il progettista deve esaminare con cura anche la topologia
dei luoghi ed effettuare un’attenta analisi del sito, anche in considerazione del fatto che le condizioni
microclimatiche sono in stretta correlazione con l’orografia e topografia dei luoghi e in particolare con
l’altitudine, la pendenza del terreno, la sua orientazione e natura geologica nonché la sua forma.

6.3.1 EFFETTI DELL’ALTITUDINE


La latitudine influenza il clima esterno sia con la temperatura che con il regime dei venti. La
temperatura esterna diminuisce di 1 °C ogni 180 m di dislivello in estate e 1 °C ogni 220 m in inverno a
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 127

causa, principalmente, dell’aumento della trasparenza atmosferica. L’orografia del terreno influenza la
situazione dei venti e quindi anche delle precipitazioni del sito. Inoltre i profili degli strati limiti
vengono modificati, come visualizzato nella figura seguente.
L’azione delle colline e dei monti è quindi fondamentale per il controllo delle piogge e
dell’umidità del luogo anche per effetto di decompressioni e compressioni adiabatiche delle correnti
d’aria ascensionali o discendenti dai fianchi delle colline e dei monti.

Figura 85: Andamento del profilo di velocità del vento.


Nella figura 85 si ha la rappresentazione dello strato limite dinamico27 ossia dello strato di fluido nel
quale si ha variazione di velocità (cioè presenza di gradiente). L’altezza di questa zona può variare da
qualche metro a decine e anche centinaia di metri. E’ per questa ragione che nelle terrazze di palazzi alti
si sente molto più vento che nei piani bassi. Per lo stesso motivo occorre prevedere dei fattori correttivi
per adeguare il calcolo dei carichi termici dei piani alti alla situazione di maggior ventosità e quindi di
maggiori coefficienti convettivi esterni.

6.3.2 EFFETTI DI CORPI D’ACQUA


Le influenze che masse d’acqua possono esercitare sul microclima dipendono fortemente dalle
dimensioni e dalla posizione di queste rispetto al vento. Sono più incisive i corpi d’acqua a monte del
sito dove si riscontra, in genere un clima più mite e favorevole. La massa d’acqua esercita un’azione di
moderazione sulle variazioni di temperatura a causa del maggior calore specifico rispetto a quello del
terreno: ne deriva che l’acqua è più calda d’inverno e più fredda d’estate e pertanto le zone poste nelle
vicinanze subiscono un effetto calmieratore sulle variazioni termiche locali, avendosi temperature
minime più alte in inverno e temperature massime più basse in estate.

27 Lo strato limite dinamico rappresenta l’altezza a partire dalla parete entro la quale il fluido risente della presenza della
parete e quindi la velocità varia da 0 al 99% della velocità massima non disturbata.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 128

Se le masse d’acqua sono notevoli (mare o lago) si ha anche la formazione di brezze: durante il
giorno, quando la terra è più calda, si ha un venticello verso la riva che di notte inverte di direzione
essendo l’acqua più calda della terra.

6.3.3 EFFETTI DELLA VEGETAZIONE


La presenza della vegetazione induce, di norma, un aumento di umidità relativa ed una
diminuzione di temperatura dovuta sia all’effetto dell’ombreggiamento che alla evapotraspirazione delle
foglie che assorbono gran parte del calore incidente.
Questi effetti non sono da attribuire ad un singolo albero (a meno che non si viva al di sotto delle
chiome) ma ad ampie zone di verde. L’effetto sulla temperatura e sull’umidità si risente in una zona
tanto più vasta28 quanto più è ampia la superficie arborea, anche in funzione degli ostacoli presenti
(edifici, direzione delle strade, ostacoli di vario genere).
Anche la copertura del terreno influenza le condizioni microclimatiche. Si è osservato, infatti, che
un terreno erboso fa diminuire la temperatura contrariamente ad un terreno con copertura artificiale. Si
tenga presente per quanto si dirà nel prosieguo, la natura del terreno influenza molto la radiazione
riflessa (onde corte) da quest’ultimo.
Infatti la radiazione su una superficie inclinata è data dalla relazione:
1 + cos β 1 − cos β
I T = I b Rb + I d Rd + I t Rt = I b Rb + I d + I ρt
2 2
e pertanto il fattore di riflessione del terreno ρ determina un contributo che può essere non
trascurabile. Nella tabella seguente si riportano i fattori di riflessione per alcune tipologie di terreno.
Per contro le radiazioni termiche emesse dal terreno riscaldato (onde lunghe) dipendono dalle
componenti radianti del terreno e devono essere considerate nel calcolo della temperatura media
radiante e della temperatura operante (vedi capitolo sul comfort termico).
Ad esempio, con una temperatura dell’aria esterna di 37 °C l’asfalto può fare innalzare la
temperatura per effetto dell’irraggiamento proprio di 5 °C; la temperatura superficiale di questo varia
dai 47°C ai 62 °C (con aria esterna a 47°C) e con punte massime di ben 72 °C.
Tipo di superficie Fattore di riflessione
Terreno nudo, asciutto 0.10÷0.15
Terreno nudo, bagnato 0.08÷0.10
Sabbia asciutta 0.18÷0.30
Sabbia bagnata 0.10÷0.19
Terra nera, asciutta 0.13÷0.15
Terra nera, bagnata 0.06÷0.08
Roccia 0.11÷0.16
Erba secca 0.28÷0.35
Campi verdi 0.04÷0.16
Foglie verdi 0.20÷0.34
Foresta scura 0.04÷0.07
Deserto 0.22÷0.30
Laterizio (in funzione del colore) 0.22÷0.50
Asfalto 0.12÷0.15
Aree urbane 0.08÷0.12

28 Ricerche effettuate da Oke dimostrano un 66% del raffrescamento teoricamente possibile ricoprendo di verde la

superficie urbana per un terzo della sua estensione e ciò solo ai processi di evapotraspirazione. Sono stati misurati riduzioni
di 5.5 °C in una notte estiva e 1÷2 °C di giorno in vicinanze di zone di verde urbano.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 129

6.3.4 EFFETTI DELL’EDIFICATO URBANO


Un agglomerato urbano influenza il microclima esterno29 in quanto modifica tutti i fattori
microclimatici prima accennati: radiazione solare, il regime dei venti, la temperatura dell’aria esterna e
l’umidità relativa.
Lo studio dell’evoluzione climatica urbana può oggi essere effettuato mediante sofisticati e
complessi modelli di calcolo che simulano l’evoluzione di tutti i fenomeni igro-termo-fluidodinamici
interessati dall’area urbana. La temperatura è mediamente più elevata, anche in considerazione della
presenza di asfalto nella pavimentazione stradale, e l’umidità relativa più bassa rispetto alle zone rurali
circostanti.
Nella figura 85 è visibile l’azione esercitata dall’area urbana sullo strato limite generato dalle
correnti d’aria. Gli edifici creano turbolenza ed effetti di canalizzazione del vento che, a sua volta,
influenza la temperatura dell’aria fino ad annullare gli effetti dell’isola di calore tipica degli agglomerati
urbani. La velocità limite per la quale questa rottura avviene può essere calcolata da una semplice
relazione che è funzione del numero di abitanti della città:
Vcritica = −116
. + 3.4 Log P
Inoltre la differenza di temperatura fra la città (calda) e la campagna circostante (fresca) genera
una brezza detta brezza di campagna.

6.3.5 INFLUENZA DEL RAPPORTO DI FORMA E DEL RAPPORTO


SUPERFICIE-VOLUME
L’evoluzione dell’Architettura è stata profondamente dettata dal rapporto intimo edificio-
ambiente. La scelta dell’involucro esterno dell’edificio deve sempre più rispondere ad esigenze
funzionali (energetiche, illuminotecniche, acustiche,…) oltre che estetiche.
Le disposizioni di legge sul consumo energetico negli edifici hanno legato il fattore di forma S/V
ai parametri prestazionali (Cd, FEN, FEL-limite,…) funzioni, a loro volta, delle condizioni climatiche
esterne.
Il rapporto edificio-ambiente influisce fin dall’inizio nella progettazione dell’edificio: un clima
esterno mite favorisce l’apertura degli spazi interni verso l’esterno (le antiche corti, i patii, … sono segni
in questa direzione) mentre un clima ostile induce alla chiusura dell’involucro esterno, verso una forma
più protettiva dell’ambiente interno.
In pratica si instaura, anche inconsciamente, un rapporto di causa-effetto che condiziona
l’interazione delle forze fisiche con la forma architettonica: una conoscenza delle forze fisiche
contribuisce a meglio modellare la forma e viceversa una buona modellizzazione architettonica
consente un migliore controllo delle forze fisiche. Esiste (o meglio, dovrebbe esistere) una simbiosi fra
ambiente ed edificio così come succede fra mondo vivente e la natura: gli organismi edilizi dovrebbero
evolvere con l’ambiente alla ricerca della migliore forma possibile, così come le specie vivente si
evolvono ricercando il migliore adattamento con la natura.
La forma ottimale per un edificio non può mai essere determinata se non si fissano tutte le
variabili in gioco sia del microclima esterno che delle caratteristiche termofisiche delle pareti. Per
ciascuna zona climatica si può pensare di determinare un rapporto di forma ottimale che riducano al
massimo il bilancio energetico dell’edificio. Uno studio del genere è stato affrontato da Victor Olgyay
che è pervenuto ai risultati illustrati nella figura seguente. In essa si hanno i rapporti ottimali per le
quattro zone climatiche: fredda, temperata, caldo secca e caldo umida.
Le considerazioni che si possono fare sono qui riassunte (vedi figura 86 e 87):
⋅ Nelle zone fredde è meglio avere piante di forma più regolare quadrata che allungata: il rapporto
ottimale è di circa 1:1.1.

29 La scienza che si occupa di questo fenomeno è detta Climatologia urbana che esula dal contesto di questo corso.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 130

⋅ Nelle regioni temperate si possono avere edifici allungati e in genere di forma più libera: il
rapporto ottimale è 1:1.6 e quindi di forma rettangolare allungata lungo l’asse est-ovest.
⋅ Nelle regioni con caldo secco si potrebbe pensare di avere una pianta allungata in inverno ma le
condizioni estive consigliano una forma più compatta con rapporti di forma ottimali pari a 1:1.3.
⋅ Nelle regioni caldo umide è opportuno avere un edificio di forma allungata, sempre lungo l’asse
est-ovest, con rapporti di forma ottimali pari a 1:1.7. Si possono avere pilotis per favorire la
ventilazione. L’uso di piante libere è possibile ma occorre prevedere ripari ombreggianti e
schermanti.
Inoltre occorre tener presente alcune regole pratiche che così possiamo sintetizzare:
⋅ E’ sempre opportuno orientare l’asse principale lungo la direttrice est-ovest per avere una
maggiore efficienza energetica.
⋅ La pianta a base quadrata non sempre risulta vantaggiosa e conviene avere un allungamento lungo
la direttrice est-ovest.
Il rapporto superficie-volume è fondamentale nelle regioni fredde30 al fine di ridurre le perdite di
calore verso l’esterno. E in questo senso la L. 10/91 ne limita i valori massimi in funzione delle zone
climatiche e della destinazione d’uso.
Un rapporto basso comporta un edificio chiusi e quindi poco comunicante con l’esterno mentre,
al contrario, un rapporto più elevato consente un maggior movimento delle forme e pertanto anche una
maggiore penetrazione e comunicazione con l’ambiente esterno.
Molta importanza riveste la superficie vetrata nelle pareti esterne. Un uso smodato di questa (e
con vetri di elevata trasmittanza) può portare contraccolpi notevoli sul rapporto di forma S/V poiché le
perdite di calore tendono a crescere notevolmente31 e pertanto per compensare questo effetto occorre
agire sull’isolamento delle pareti, sul rapporto S/V e quindi sull’architettura dell’edificio stesso.
Va tenuto presente che l’effetto del volume degli edifici si riflette spesso sui carichi termici (sia
estivi che invernali). L’ASHRAE pubblica sul suo Fundamentals Handbook alcuni dati sui carichi di
edifici monofamiliari e multipiano. Il risultato è che gli edifici monofamiliari hanno carichi termici
molto più elevati rispetto a quelli multipiano, con percentuali variabili fra il 60 e il 90%. Pertanto si può
anche dire che un maggior volume, a parità di condizioni esterne, porta spesso ad avere più
compattezza dell’edificio ed una migliore risposta alle sollecitazioni termiche esterne.
6.3.6 INFLUENZA DEL CLIMA SULLA DENSITÀ URBANA
Quanto detto per il singolo edificio vale anche, con le opportune considerazioni, per il tessuto
urbano. Le condizioni climatiche esterne condizionano fortemente la struttura urbana delle città o degli
agglomerati in genere.
I climi freddi favoriscono spazi relativamente ampi per consentire una migliore cattura della
radiazione solare mentre, al contrario, un clima caldo torrido favorisce la formazione di celle chiuse che
portino ad una riduzione degli effetti del soleggiamento e quindi ad una maggiore ombreggiatura. In
figura 88 si ha un esempio di città algerina che riassume il concetto sopra espresso: le strade sono strette
e spezzate o curve e gli edifici sono addossati per favorire la formazione dell’ombra.
In genere nelle zone fredde il tessuto urbano è favorevole ad insediamenti isolati e riparati, nelle zone
temperate si favorisce un insediamento aperto che si fonde con l’ambiente esterno, in zone caldo secche si
hanno tessuti densi e chiusi per meglio difendersi dall’irraggiamento solare e nelle zone caldo umide si
hanno edifici allungati per favorire la ventilazione e quindi il tessuto urbano diviene piuttosto articolato.

30 Vedasi l’igloo degli esquimesi che ha il miglior rapporto superficie-volume per ridurre al massimo le perdite di calore
verso l’esterno.
31 Se consideriamo una parete isolata avente una trasmittanza K=0.35 W/(m²K) ed una parete vetrata con K=7

W/(m²K) si vede che 1 m² di vetrata equivale a 20 m² di parete isolata. L’uso di vetri doppi porta la trasmittanza del vetro a
valori variabili, a secondo dello spessore delle lastre vetrate e dell’intercapedine d’aria, fra 3.5÷5 W/(m²K) e quindi 1 m² di
vetrata equivale a 10÷15 m² di parete esterna. Si intuisce quindi il peso grandissimo che le vetrate hanno ai fini della
riduzione del bilancio energetico degli edifici.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 131

Figura 86: Rapporti di forma ottimali per le quattro zone climatiche.


6.4 CARATTERIZZAZIONE CLIMATICA DEL TERRITORIO
L’influenza del clima sull’Uomo e su tutte le attività umane è indiscussa.
Da Aristotele a Montesquieu e T. di Lampedusa, molti studiosi di tutti i tempi hanno convenuto
che il clima ha effetti determinanti sugli aspetti fisici e psichici degli individui; ha relazione con l’eredità
razziale e lo sviluppo culturale e dappertutto ha condizionato la civiltà umana.
Non per niente la civiltà si è sviluppata originariamente nelle zone a clima temperato (bacino del
Mediterraneo), vedansi gli egizi, i greci, i romani e le civiltà europee in genere. Questa dipendenza della
vita dal clima è vera anche a livello animale e vegetale.
Le principali differenziazioni di piante e animali sono dovute essenzialmente al contesto climatico
di appartenenza32. E’ sotto gli occhi di tutti che la previsione delle condizioni climatiche e
metereologiche risultano vitali per numerose attività umane: la pesca, l’agricoltura, la navigazione,
l’aviazione,….

32 Si veda, a tal proposito, il testo di Olgyay : Design with climate.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 132

Figura 87: Influenza dei rapporti di superficie e volume sui disperdimenti termici
Anche l’Architettura, per che riguarda in particolare la risposta termica dell’edificio ovvero il
comportamento energetico degli stessi, è legata fortemente alle condizioni climatiche. Pertanto per
eseguire una corretta previsione del clima occorre caratterizzarlo.
Ciò si attua, come già detto, individuando le grandezze fisiche di interesse capaci di descriverne
compiutamente l’evoluzione temporale e la dipendenza spaziale. In pratica si utilizzano le seguenti
variabili: velocità del vento, umidità relativa, temperatura esterna, radiazione solare.
Vediamo adesso l’influenza di ciascuna di queste variabili sulla caratterizzazione del clima.

6.4.1 VELOCITÀ DEL VENTO


Questa variabile ha interesse sia in ambito strutturale (resistenza della struttura all’azione del
vento) che in ambito energetico. Da essa dipendono, infatti:
⋅ le infiltrazioni d’aria negli edifici; queste comportano sempre (sia in estate che in inverno) un
aggravio al carico termico in quanto richiedono trattamenti termo-igrometrici dell’aria aggiuntivi.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 133

⋅ i coefficienti convettivi sulle pareti esterne: essi dipendono dalla velocità del vento V secondo
relazioni (in parte già indicate nel paragrafo 2.3.9 (Metodi di calcolo del coefficiente di
convezione termica) del tipo:
- pareti scabre: he = 10.75 + 12 . V con V in [m/s] ed h in [W/(m²K)];
- pareti vetrate: he = 8.21 + 0.08 V − 0.0024 V 2 con V in [m/s] ed h in [W/(m²K)].

Figura 88: Effetti del clima caldo torrido sulla densità urbana
Il regime di vento modifica fortemente il comportamento termico degli edifici. Ad esempio in
figura 87 possiamo vedere la formazione degli strati limiti di velocità in una zona edificata. Si osservi
come procedendo da sinistra verso destra (cioè dalle zone periferiche rurali verso il centro città) si
abbiano gradi di protezione dal vento crescenti.
L’azione di schermatura degli edifici (vedi dopo) si amplifica man mano che il vento si addentra
nella città. La presenza di un edificio alto in una zona edificata con edifici bassi provoca una turbativa
del microclima fino ad una distanza pari all’altezza dell’edificio, vedi figura 90. La distribuzione degli
edifici può creare effetti di turbolenza o di accelerazione (effetto Venturi). Ad esempio, in figura 91
sono visibili sia gli effetti dei pilotis che quello di accelerazione provocato dal restringimento della
sezione di passaggio dell’aria per effetto di edifici posti in restringimento della sede stradale.
Nella stessa figura si può osservare l’effetto di canalizzazione dell’aria provocato dalla formazione
degli allineamenti stradali degli edifici. Questo effetto esalta la velocità dell’aria rispetto al movimento
che si avrebbe in zone libere.
Nella figura 92 si mostra come la presenza di edifici (abitazioni in centri urbani) modifica il
microclima per effetto di riflessioni ridotte, alti assorbimenti e bassa vaporizzazione per la presenza di
poca umidità rispetto alle zone rurali.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 134

Inoltre sempre in figura 92 si ha l’evidenziazione della formazione della cosiddetta isola di calore
caratteristica delle grandi città e che in pratica risulta dovuta alla scarsa capacità di disperdere il calore
prodotto per radiazione e convezione negli strati alti dell’atmosfera, per mancanza di correnti d’aria.
Anche la stratificazione termica nelle vallate può essere spiegata come l’azione di inversione
termica prodotta dall’aria fredda che stagna in alto rispetto a quella calda che ristagna in basso.
Nella figura 93 si evidenziano i regimi di vento che si hanno nelle masse continentali (a Nord e a
Sud), nella vallate e in vicinanza del mare.
Nelle figure 94 e 95 si possono osservare gli effetti provocati dal vento sugli edifici: la zona
frontale è sottoposta ad una sovrapressione mentre quella sottovento ad una depressione. Gli edifici ad
L causano formazioni di larghe zone d’ombra e di turbolenza nelle zone di depressione.
Inoltre la disposizione degli edifici in schiere può essere utilizzata per creare zone di depressione
più ridotte.
L’azione di schermatura degli edifici viene illustrata nella figura 95 dove si hanno sequenze di
effetti provocati da edifici bassi verso edifici alti e viceversa.
Azioni per la riduzione degli effetti di convezione termica indotti dal vento.
Poiché il vento produce una migliore convezione termica nelle pareti esterne degli edifici si ha
anche un maggiore disperdimento termico, nella stagione invernale.
Per ridurre questi effetti indesiderati si possono adottare alcune azioni precauzionali.
⋅ Limitare al massimo l’altezza degli edifici: gli edifici più bassi si comportano meglio di quelli alti
anche per effetto della minore velocità del vento per effetto dello strato limite.
⋅ Creare, ove possibile, barriere artificiali (edifici per deposito, magazzini, parcheggi, edifici
industriali,…) attorno all’edificio da schermare.
⋅ Schermare gli edifici con barriere (anche arboree) per ridurre gli effetti del vento.
⋅ Limitare le forme con tagli acuti: queste facilitano la vorticosità e quindi lo scambio convettivo
esterno. Usare, quindi, forme arrotondate e senza spigoli vivi per ridurre i disperdimenti termici.
⋅ Le balconate agiscono come le alette e quindi facilitano lo scambio termico convettivo, pertanto
in zone ventose è bene limitare le superfici aggettanti.
Un tessuto urbano compatto e denso agisce come trappola per il vento e quindi favorisce la
schermatura degli edifici.
Per contro rimane il problema di smaltire l’inquinamento atmosferico che, al contrario, il vento
porta via diluendolo negli strati alti dell’atmosfera.
6.5 CALCOLO DELLA RADIAZIONE SOLARE MEDIA
Se si considera la Terra come una grande sfera nello spazio in movimento attorno al sole e si
applicano le regole della geografia astronomica allora si può calcolare con grande precisione
l’irraggiamento solare33 che risulta dato da:
Io = Icsr cos ϑ [60]
ove si ha:
⋅ Ics costante solare pari a 1353 W/m²;
⋅ R correzione per variazione della distanza terra-sole;
⋅ cosθ angolo di inclinazione rispetto alla normale alla superficie terrestre.
La correzione per distanza terra-sole è data da:

r = 1 + 0.033 cos
360 n FG IJ
365 H K
[61]

essendo n il giorno giulianeo34.

33 L’irraggiamento solare è dato dall’energia che incide nell’unità di tempo sull’unità di superficie. Le unità di misura
sono [W/m²].
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 135

Figura 89: Profili di velocità in zone urbane. Effetti provocati dagli edifici.

34 Si ricorda che il giorno giulianeo è dato dal numero progressivo del giorno a partire dal 1° gennaio, pari a n=1, fino al
31 dicembre pari a n=365. In questo modo i giorni dell’anno seguono una numerazione progressiva da 1 a 365.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 136

Figura 90: Effetti sul microclima provocati da edifici alti rispetto al tessuto urbano circostante

Figura 91: Effetti Venturi e di canalizzazione provocati dagli edifici


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 137

Figura 92: Circolazione dell’aria nei continenti. Brezze marine


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 138

Figura 93: Effetti degli edifici- Isole di Calore e Pozzi termici.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 139

Figura 94: Formazione delle zone di sovra e sotto pressione


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 140

Figura 95: Effetti di schermatura provocati dagli edifici


Si definisce angolo solare ω l’angolo corrispondente allo spostamento relativo del sole nelle 24 ore
per cui si ha ω=15 °/ora. L’irraggiamento extraterrestre varia da un minimo di 1325 W/m² a 1415
W/m² durante l’anno.
L’intensità giornaliera extra-atmosferica della irradiazione solare è data dall’integrale della [60]
estesa dall’alba35 al tramonto e quindi da:

Ho =
ωs
z24
ω
FG IJ
−ω s
Io d
2π H [62]
K

35 L’alba e il tramonto sono detti sun rise e sun set e indicati con ωs nella letteratura internazionale.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 141

In geografia astronomica, nota la latitudine ϕ di un sito, si definisce declinazione solare l’angolo


rispetto al piano orizzontale corrispondente all’altezza massima del sole e si indica con δ ed è dato,
indicando con n il giorno giuliano, dalla relazione:
FG
δ = 23.45 sin 360
IJ
284 + n
H 365 K [63]

Pertanto si dimostra che la radiazione media giornaliera extra-atmosferica è data dalla relazione:
Ho =
24
z ωs
b g
cos ϕ cos δ cos ω + sin ϕ sin δ dω =
24 FG
rIcs cos ϕ cos δ sin ω s +
π IJ
ω s sin ϕ sin δ [64]

rIcs
−ω s 2π H 180 K
Per una superficie generica è necessario calcolare l’angolo di inclinazione solare θ che, mediante
considerazioni di trigonometria sferica, dati la latitudine φ la declinazione δ e l’angolo solare ω, è dato
dalla relazione:
cos ϑ = cos ϕ cos β cos ω + sin ϕ sin β cos γ cos δ cos ω + sin β sin γ cos δ sin ω +
[65]
+ sin ϕ cos β sin δ − cos ϕ sin β cos γ sin δ
ove si ha il seguente simbolismo, vedi Figura 71:

Sun

θ
Ovest
Nord
n
β
γ

Est

Sud

Figura 71: Angoli fondamentali per l’irradiazione solare.


⋅ β angolo di inclinazione della superficie rispetto al piano orizzontale, 0 ≤ β ≤ 180° ; β>90°
significa superficie rivolta verso il basso;
⋅ γ angolo azimutale dato dalla deviazione rispetto al meridiano locale della proiezione sul
piano orizzontale della normale alla superficie: azimut 0 significa superficie rivolta a sud, per
superficie rivolta ad est si hanno valori negativi e positivi se rivolte ad ovest, pertanto è
−180° ≤ γ ≤ 180° ;
⋅ ω angolo solare, 15° per ogni ora di spostamento apparente del sole verso est o verso ovest;
⋅ δ angolo di declinazione dato dalla posizione del sole a mezzogiorno rispetto al piano
dell’equatore, considerato positivo verso nord e variabile fra −23.45° ≤ δ ≤ 23.45° ;
⋅ θ angolo di incidenza fra la radiazione solare sulla superficie e la normale alla stessa
superficie;
⋅ ϕ latitudine cioè la posizione angolare a nord (positiva) o a sud (negativa) dell’equatore e
variabile fra −90° ≤ ϕ ≤ 90° ;
Per alcuni casi particolari si hanno le seguenti relazioni:
Superficie orizzontale (β=0):
cos ϑ h = cos ϕ cos δ cos ω + sin ϕ sin δ
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 142

Superficie verticale rivolta verso l’equatore (β=90°, γ=0):


cos ϑ vs = sin ϕ cos δ cos ω − cos ϕ sin δ
Superficie rivolta a sud con inclinazione qualunque (γ=0, β qualunque):
cos ϑ β = cos(ϕ − β )cos δ cos ω + sin ϕ − β sin δ b g
Durata del giorno per superficie orizzontale:
cos ω s = − tgϕtgδ [66]
da cui si deriva la durata in ore pari a:
2
Tg = ω s [67]
15
Durata del giorno per superficie inclinata β:
d b
ω 's = min ω s, ar cos − tg ϕ − β tgδ g i [68]
L’irradiazione extra-atmosferica su una superficie orizzontale è data dalla [66] mentre quella su
superficie inclinata β è data dalla relazione:

Hoβ =
24 LM b g
rIcs cos ϕ − β cos δ sin ω 's +
π
sin ϕ − β sin δb g OPQ
π N 180
[69]

Viene definito il rapporto fra i valori medi giornalieri delle due irradiazioni:
π
b g
cos ϕ − β cos δ sin ω 's +
180
b g
sin ϕ − β sin δ
Rb = [70]
π
cos ϕ cos δ sin ω s + ω s sin ϕ sin δ
180
Con Rb si indica il valore medio mensile.
Su una superficie inclinata arriva, oltre alla radiazione diretta, anche la radiazione diffusa dal cielo
e quella riflessa. Ciascuna di queste due ultime componenti risulta in genere di difficile valutazione.
Possiamo, però, supporre che il cielo abbia un comportamento isotropico e pertanto queste
valutazioni risultano semplificate. In particolare la radiazione riflessa non ha una formulazione unica
potendo questa variare, ad esempio, per effetto di edifici o corpi riflettenti viciniori alla superficie
considerata.
Possiamo in genere scrivere la relazione:
Ac IT = Ib Rb Ac + I d ,isotropica As Fs−c + ∑i Ii ρ i Ai Fi− c [71]
ove il primo termine a secondo membro rappresenta la radiazione diretta sulla superficie Ac , il
secondo termine la radiazione diffusa isotropica e l’ultimo termine la radiazione diffusa dalle superfici
circostanti a quella considerata. Con Fs-c e Fi-c si sono indicati i fattori di forma superficie-cielo e
superficie-corpi vicini.
Il modello di radiazione diffusa isotropica è stato proposto da Liu e Jordan (1963): la radiazione
totale su una superficie inclinata è composta ancora da tre termini: diretta, diffusa isotropica e diffusa
dal terreno. Il termine relativo alla riflessione va calcolato caso per caso in funzione delle geometrie di
scambio radiativo con le superfici vicine utilizzando i fattori di forma visti in precedenza. Per una
superficie inclinata β il fattore di forma Fs-c è facilmente calcolabile e risulta pari a:
1 + cos β
Fc − s = [72]
2
e, nell’ipotesi di cielo isotropo, si può anche dire che esso è anche il rapporto Rd fra la radiazione
diffusa sul piano inclinato e quella sul piano orizzontale.
Il fattore di vista superficie-terreno è pari a:
1 − cos β
Fs− t = [73]
2
Pertanto la radiazione totale sulla superficie inclinata risulta data dalla relazione:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 143

1 + cos β 1 − cos β
IT = Ib Rb + I d Rd + It Rt = Ib Rb + I d + Iρ t [74]
2 2
ove si è definito, analogamente a quanto fatto per Rd il rapporto Rt fra la radiazione diffusa dal
terreno sulla superficie inclinata rispetto a quella sul piano orizzontale e pari a Fs-t.. Ancora in analogia
alle precedenti definizioni, possiamo indicare con R il rapporto fra la radiazione totale sulla superficie
inclinata β rispetto a quella sul piano orizzontale che risulta data da:
I I 1 + cos β 1 − cos β
R = b Rb + d + ρt [75]
I I 2 2
Ai fini del calcolo della radiazione totale nelle applicazioni pratiche (collettori solari, edifici
solarizzati, edifici bioclimatici) occorre calcolare la radiazione solare media giornaliera mensile HT.
Pertanto possiamo parafrasare quanto detto sopra per il calcolo di IT sommando i contributi della
radiazione diretta e di quella diffusa dal cielo e dal terreno. Le equazioni divengono le seguenti:
FG H
HT = H 1 − d Rb + H d
IJ
1 + cos β
+ Hρ t
1 − cos β
H H K 2 2
[76]

e per il rapporto R medio la relazione:


H H FG
R = T = 1 − d Rb + d
IJ
H 1 + cos β
+ ρt
1 − cos β
H H H H K2 2
[77]

Il rapporto fra la radiazione media diretta sulla superficie inclinata e quella su superficie
orizzontale è indicato con Rb = HbT Hb ed è funzione della trasparenza atmosferica. Liu e Jordan
propongono di calcolare questo rapporto supponendo che l’atmosfera sia assente e pertanto, per una
superficie nell’emisfero boreale e rivolta verso l’equatore, cioè con γ=0° si ha:
π
b g
cos ϕ − β cos δ sin ω 's +
180
b g
sin ϕ − β sin δ
Rb = [78]
π
cos ϕ cos δ sin ω s + ω s sin ϕ sin δ
180
ove ω’ è l’angolo solare per l’alba e il tramonto calcolato nel giorno medio del mese e dato dalla
relazione:
Lcos b− tan φ tan δ g OP
ω ′ = min M
−1

[79]
s
MNcos b− tan(φ − β g tan δ PQ
−1

Ove con min si intende il minore dei due valori in parentesi quadra.
Il rapporto H d / H può essere calcolato nota che sia la trasparenza atmosferica data da:
H
KT = [80]
Ho
La trasparenza dipende dal sito, dalla torbidità atmosferica (presenza di industrie, smog, …), presenza
di vapore (per nebbia, per presenza di laghi o del mare) e pertanto non si può fornire una correlazione
universale per il suo calcolo.
Hottel (1976) ha presentato un metodo semplificato per il calcolo della radiazione solare diretta
trasmessa attraverso un’atmosfera chiara e che prende in esame l’angolo zenitale, l’altitudine e tipologie
climatiche. La trasmittanza solare diretta atmosferica è definita dalla relazione:
H −k
τ b = d = ao + a1e cos ϑ z [81]
Ho
ove le costanti ao, a1, k per atmosfera standard (con 23 km di visibilità) sono determinate dalla
costanti (valide per altitudini inferiori a 2500 m s.l.m.):
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 144

ao* = 0.4237 − 0.00821(1 − A)2


a1* = 0.5055 + 0.00595( 6.5 − A)2
k * = 0.2711 + 0.01858( 2.5 − A)2
con A altitudine (in km) dell’osservatore.
Partendo dai valori delle costanti asteriscate si applicano opportuni fattori correttivi per tenere
conto delle tipologie climatiche dati in tabella:
Tipo di Clima ao a rk = k
ro = r1 = 1 * k*
a *o a1
Tropicale 0.95 0.98 1.02
Estivo di mezza latitudine 0.97 0.99 1.02
Estivo subartico 0.99 0.99 1.01
Invernale di mezza latitudine 1.03 1.01 1.00
Tabella 10: Calcolo dei coefficienti di Hottel
Pertanto, la radiazione diretta per cielo pulito è data dalla relazione:
Icd = Ioτ d cos ϑ z [82]
con Io dato dalla [60]. Analoghe relazioni valgono per gli irraggiamenti orari o giornalieri o medi
mensili. Liu e Jordan hanno presentato una teoria secondo la quale la trasparenza oraria kT = I o
Io
giornaliera KT = H H dell’atmosfera presenta andamenti statistici simili per luoghi aventi la stessa
o

trasparenza media mensile KT = H . In particolare definite la trasparenze dirette e diffuse come:


Ho
D
KD = o
H eo
Ho
KT =
H eo
ove D e H0 sono le radiazioni diffuse e totali sul piano orizzontali nell’atmosfera e Heo la
radiazione totale giornaliera sul piano orizzontale extra atmosferica. Liu e Jordan propongono la
relazione:
K D = 0.124 + 0.677 KT − 3.256 KT2 + 6.881KT3 − 4.917 KT4 − 0.427 KT5
Questa teoria è stata recentemente criticata per alcune incongruenze che si vengono ad avere
nelle zone a clima tropicale. Pur tuttavia la teoria di Liu e Jordan trova tutt’oggi ampia diffusione e
Bendt (1981) ha proposto una correlazione che risponde bene per valori delle frequenze distributive36
inferiori a f=0.9. Per valori superiori si ha una sovrastima dell’indice di trasparenza. Le equazioni di
Bendt sono le seguenti:
γK T , mim
e − eγKT
f ( KT ) = γK T , mim
γKT ,max
e −e

36 Per i vari siti si possono disegnare le frequenze dei giorni aventi vari valori di KT in funzione di KT . Queste
curve sono dette curve distributive e, normalmente, presentano un picco (curve modali) o due (curve bimodali). Da queste curve
distributive si possono disegnare (integrandole) le curve cumulative che rappresentano la frazione f dei giorni che sono meno
chiari di KT in funzione della stessa KT . Queste curve cumulative sono dette curve ( KT ,f), secondo il simbolismo
proposto da Whillier.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 145

ove il parametro γ è determinato dalla seguente equazione:


FG K −
1IJ e γKT ,min FG
− KT ,max −
1IJ e γK T ,max

KT =
H T ,min
γK
γK
H γK
γK
e T ,min − e T ,max
Risolvendo l’equazione trascendentale per la variabile γ si può calcolate la funzione cumulativa
f(KT) .
Herzog (1985) fornisce una via semplificata per calcolare γ mediane la semplice relazione:
. ξ − 27182
1184 . e −1.5ξ
γ = −1498
. +
KT ,max − KT ,min
ove si è posto:
KT ,max − KT ,min
ξ=
KT ,max − KT
Infine Hollands e Huget (1983) propongono la seguente correlazione per il calcolo di KT,max :
KT ,max = 0.6313 + 0.267 KT − 119
. KT − 0.75 c h8

Gli andamenti delle trasparenze orarie e giornaliere sono simili, secondo Whillier, a quelle delle
trasparenze medie mensili.
Il valore istantaneo del rapporto H d / H può essere calcolato mediante molteplici relazioni
fornite da numerosi ricercatori in questi ultimi decenni. Ad esempio una buona relazione è data da
Collares-Pereira e Rabl:
R|
0.99 per K T ≤ 017
.
Hd
=S
|1188
. − 2.272 K + 9.473K − 21865
T . K + 14.648 K
2
T
3
T
4
T per 0.17 ≤ K T ≤ 0.75
H ||−0.54 K + 0.632 per 0.75 ≤ K ≤ 0.80
T T

T0.2 per K > 0.80 T

Qualora si desideri introdurre una dipendenza stagionale (tramite l’angolo orario ωs per l’alba o
per il tramonto) occorre usare le seguenti correlazioni:
Per ωs < 81.4°
Hd
=
10RS
. − 0.2727 KT + 2.4495K 2T − 119514
. K 3T + 9.3879 K 4T per KT < 0.715
H T
0143
. per KT ≥ 0.715
Per ωs > 81.4°
Hd
=
RS
. − 0.2832 KT − 2.5557 K 2T + 0.8448 K 3T
10 per KT < 0.715
H T
0175
. per KT ≥ 0.715
Per stimare la radiazione oraria su una superficie orizzontale usando i valori medi mensili occorre
utilizzare opportune correlazioni statistiche mediate su numerose osservazioni.
Queste presentano il rapporto rt = I H fra la radiazione oraria totale e quella giornaliera totale in
funzione della lunghezza del giorno e dell’ora in esame. Una correlazione molto buona, data da
Collares-Pereira Rabl, è la seguente:
π cos ω − cos ω s
rt =
I
=
H 24
b
a + b cos ω
πω s
g
sin ω s − cos ω s
180
ove i coefficienti a e b sono dati dalle relazioni:
a = 0.409 + 0.5016 sin ω s − 60 b g
b = 0.6609 − 0.4767 sin ω s − 60 b g
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 146

Naturalmente in queste equazioni ω è l’angolo orario in gradi per il tempo in esame (ad esempio
il punto centrale dell’ora per la quale si effettua il calcolo) ed ωs è l’angolo orario dell’alba.
Per gli andamenti orari si può utilizzare la correlazione proposta da Orgill e Hollands:
R| . − 0.249 kT
10 per k T < 0
Id
I
S|
= 1557
. − 1884
. kT per 0.35 < k T < 0.75
T
0177
. per k T > 0.75
Molto utilizzata è anche la correlazione di Erbs seguente:
R|. − 0.09 kT
10 per kT ≤ 0.22
Id
I
S|
= 0.9511 − 01604
. kT + 4.388 k T − 16.638 k T + 12.336 k T
2 3 4
per 0.22 < kT ≤ 0.8
T
0165
. per kT > 0.8
In genere per valori di kT >0.8 si hanno pochissimi dati e questi mostrano un incremento della
frazione diffusa rispetto a quella diretta.
6.6 SIMULAZIONE DEI CIRCUITI SOLARI CON L’ANNO TIPO
Per la simulazione degli impianti solari oggi si può utilizzare anche un foglio elettronico per
simulare circuiti complessi con sufficiente precisione. Va tenuto presente che in tutti i bilanci energetici
sopra indicati si ha sempre una notevole indeterminazione nel calcolo o nella previsione
dell’irraggiamento solare disponibile per un dato sito. Purtroppo l’utilizzo dell’energia solare in modo
massiccio è relativamente recente e i dati attinometrico e climatologici disponibili sono pochi e limitati
alle località monitorate dall’Aeronautica Militare Italiana (che si occupa della Meteorologia ufficiale) o
che in questi ultimi due decenni hanno trovato interesse del CNR o di alti enti pubblici.
Malgrado le numerose campagne di misure effettuate in questi ultimi anni i dati disponibili sono
ancora pochi e la statistica che da questi si può derivare non sempre presenta indici di affidabilità
elevati. In questo ultimo decennio si è fatta strada, anche a livello dell’Unione Europea, l’idea di
costruire un anno tipo (Reference Year) tale da presentare una statistica affidabile con i dati degli ultimi 20
anni. In effetti quest’anno di riferimento dovrebbe potere fornire dati di simulazione tali da ricreare non
solo l’anno medio ma anche l’anno con la minore o la maggiore insolazione. In alcuni casi, infatti, il
progetto dell’impianto solare richiede un impianto ausiliare che deve essere dimensionato per far fronte
non solo al valore medio dell’energia richiesta ma anche al valore massimo.
L’anno tipo dipende dalla storia delle sequenze di registrazione dei dati di insolazione e in genere
climatologici di ogni sito. E’ necessario conoscere la trasparenza dell’atmosfera in ogni sito per potere
calcolare la radiazione solare diretta e diffusa con affidabilità.
La trasparenza atmosferica varia in funzione dell’orografia (presenza di monti, di pianure, ..) della
presenza o non di industrie con scarichi industriali in atmosfera, di vulcani, del mare, ….
Pertanto non si può calcolare con affidabilità l’irraggiamento solare partendo solamente dai dati
geografici (latitudine, longitudine, …) perché si ottengono quasi sempre dati non rispondenti alla realtà
dei luoghi reali. Così, ad esempio, la presenza del vulcano Etna a Catania o della zona industriale a
Priolo rendono il calcolo teorico dell’energia solare molto aleatorio potendosi avere scostamenti
sensibili dai valori reali.

6.7 ENERGIE RINNOVABILI – EFFETTO SERRA E RIMOZIONE CO2


⋅ Il problema dell’effetto serra nell’atmosfera comporta un aumento delle emissioni di CO2
nell’ultimo secolo per effetto, prevalentemente, dei processi di combustione.
⋅ Possibili interventi riduttivi oggi all’attenzione dei tecnici sono rivolti alla cattura e allo stoccaggio
della CO2 ad esempio con l’introduzione di impianto di assorbimento CO2 con etanolammine.
La temperatura della Terra e degli altri pianeti del Sistema Solare è determinata principalmente da
tre fattori:
⋅ la quantità di radiazione luminosa ricevuta dal sole
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 147

⋅ la quantità di questa luce riflessa nello spazio (33%, infrarossa)


⋅ la capacità dell’atmosfera di ritenere parte del calore ricevuto (effetto serra o Greenhouse effect)

208
W/m2

304
W/m2

Figura 72: Bilancio energetico radiativo sulla Terra


Dovuto alla presenza delle specie gassose costituenti l’atmosfera terrestre, principalmente
⋅ anidride carbonica
⋅ vapore acqueo
⋅ ossidi di azoto
⋅ metano
Le molecole dei GHG dell’atmosfera hanno un effetto simile a quello dei pannelli di vetro delle
serre dei vivai. La temperatura media della Terra è ≅ 15 °C
La CO2 è assorbita:
⋅ ½ circa è riassorbita in breve tempo dagli oceani e dai processi di fotosintesi dei vegetali;
⋅ l’altra parte staziona in atmosfera per diversi decenni, cosicché la sua concentrazione subisce un
progressivo incremento e successivo decremento a cicli più lunghi
Il Metano è assorbito da:
⋅ 2/3 attribuibili agli allevamenti, attività agricole intensive e minerarie
⋅ 1/3 a processi naturali
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 148

CO2 CH4 N2O [ppbv]]


[ppmv]] [ppbv]]
Concentrazione pre-industriale 280 700 275
Concentrazione nel 1994 358 1720 312
Velocità di variazione [ppmv, 1.5 10 0.8
ppbv/anno]
Tempo di permanenza in atmosfera 50-200 12 120
[anni]]

Tabella 11: Emissioni di gas serra


Produzione naturale CO2 (respirazione, decomposizione piante e animali, microflora oceanica) è
pari a 200 Gt/anno. Essa è bilanciata da fotosintesi oceanica e terrestre. La Produzione per attività
umane è pari a circa 8 Gt/anno secondo la seguente ripartizione:
⋅ 2 Gt/anno da deforestazione
⋅ 6 Gt/anno dai combustibili fossili, di cui:
⋅ 4.2 Gt/anno - Trasporto e industria, attività domestiche
⋅ 1.8 Gt/anno- Generatori termoelettrici
Solo 4.5 riassorbiti naturalmente mentre gli altri contribuiscono all’aumento concentrazione CO2
in atmosfera.

Figura 73: Ripartizione della CO2 a livello mondiale


Negli USA si producono 1.65 miliardi di tonnellate di carbonio equivalente (il 20% di quella
globale del pianeta).
Le previsioni di crescita del pianeta sono:
⋅ Popolazione: 6.4 miliardi
⋅ Crescita economica: 2% all’anno rispetto ai livelli attuali, successivamente stazionaria;
Costi impianti nucleari: diminuzione dello 0.4% ogni anno
Le emissioni di COP2 saranno dalle 7.4 Gton/anno attuali alle 8.8 Gton/anno nel 2025, per poi
scendere a 4.6 nel 2100.
Il Protocollo di Kyoto
Le previsioni del Protocollo di Kyoto sono qui sintetizzate:
⋅ 2008 - 2012: - 5.2 % rispetto ai livelli del 1990-95
⋅ USA -7%
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 149

⋅ Unione Europea -8%


⋅ Giappone -6%
⋅ Federazione Russa, Nuova Zelanda, Ucraina: stabilizzazione
⋅ Norvegia +1%
⋅ Australia +8%
⋅ Islanda +10%
⋅ Paesi in via di sviluppo: non ci sono limitazioni
Il programma dell’Italia è il seguente:
⋅ Riduzione del 7% entro il 2010 (circa 110 Mt di CO2 equivalente)
⋅ Trasporti (24 Mt CO2 equivalente)
• controllo traffico urbano
• realizzazione veicoli alta efficienza
• linee metro e tram
• ammodernamento ferrovie e via mare
• Spostamento trasporto merci da strada a ferrovia
⋅ Rifiuti (21 Mt CO2 equivalente)
• riduzione produzione pro capite
• riduzione e bonifica discariche
• valorizzazione energetica biogas
• raccolta differenziata
• recupero materiali ad elevato contenuto energetico
⋅ Industria (4.5 Mt CO2 equivalente)
⋅ interventi riduzione emissioni biossido di azoto
⋅ Incremento fonti rinnovabili (21 Mt CO2 equivalente)
⋅ Settore energetico (48 Mt CO2 equivalente, circa il 50% del totale)
 Cicli combinati e cogenerazione
 metano per riscaldamento
 risparmio energetico
Le possibili riduzioni possono essere:
CONTRIBUTO CAPACITA' DI
RIDUZIONE
Incremento dell’efficienza dei sistemi energetici e 200-600 GtC
produttivi
Fonti energetiche rinnovabili 200-600 GtC
Fissione nucleare 100-300 GtC
Fusione nucleare 0-25 GtC
Passaggio da carbone a idrocarburi liquidi o gassosi 0-300 GtC
Cattura e stoccaggio della CO2 100-300 GtC
Riforestazione 50-100 GtC

Tabella 12: Possibilità di riduzione della CO2


⋅ Fonti energetiche alternative: grosso contributo alla riduzione delle emissioni di gas serra ma ha
bisogno di diversi anni per poter essere messa a punto, soprattutto su larga scala
⋅ Aumento dell’efficienza dei sistemi di produzione e consumo dell’energia: interessanti, ma lascia
aperti larghi margini di incertezza sulla rapidità di sviluppo nell’uso collettivo a costi competitivi e
sostenibili
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 150

⋅ Passaggio a combustibili pregiati: pone grossi problemi di approvvigionamento e trasporto in


molte aree del pianeta
⋅ Fissione nucleare: lascia aperte questioni riguardanti lo stoccaggio delle scorie e la sicurezza
⋅ Via più percorribile nell’immediato e sostenibile in futuro: è quella legata alla cattura, rimozione e
stoccaggio della CO2, dapprima con sistemi semplici da applicare ad impianti esistenti e poi con
soluzioni via via più sofisticate
I principali problemi legati alla riduzione della CO2 sono:
⋅ notevole sforzo sia dal punto di vista economico che da quello energetico.
⋅ In generale la CO2 deve essere separata da N2, H2O, O2 e impurità presenti nel gas
⋅ I principali motivi dell’alto costo energetico ed economico delle tecniche di separazione sono:
⋅ basse concentrazioni e a basse pressioni della CO2
⋅ la componente fondamentale nei gas di scarico è l’N2. Per separare l’anidride carbonica
sono necessarie alte pressioni e/o basse temperature
⋅ complicazione: il largo numero di componenti chimiche presenti (N2, CO2, H2O, O2,
H2S, CO, SOx, NOx) e la natura corrosiva di alcune di queste specie
⋅ rimozione del vapore acqueo (l’acqua di condensa può essere molto corrosiva)
⋅ l’anidride carbonica separata deve rimanere in pressione per essere trasportata sotto forma
di liquido, alla destinazione finale, sotto acqua, sotto terra, o per altri scopi
⋅ La domanda di utilizzo di anidride carbonica è più bassa rispetto alla quantità prodotta
dagli impianti di produzione di energia, quindi il costo di separazione non può essere
coperto tramite la vendita

6.8 TECNICHE PER LA SEPARAZIONE E CATTURA DELLA CO2 NEGLI IMPIANTI


DI POTENZA
⋅ Assorbimento - Reazioni di assorbimento chimico e/o fisico tra CO2 ed uno o più assorbenti basici
rigenerabili o non.
⋅ Adsorbimento - Basati sulle forze intermolecolari che si creano tra i gas e la superficie di materiali
solidi come carboni attivi, zeoliti, allumina, gel al silicio (chimico e/o fisico). Si accumula una
sostanza gassosa (adsorbita) su una superficie solida (adsorbente). Legami chimici deboli (Van der
Waals) e alte superfici richieste (1000-1500 m2/g).
⋅ Separazione CO2 tramite membrane - la loro struttura porosa permette il passaggio selettivo di alcune
specie molecolari costituenti una miscela (a separazione, ad assorbimento e a trasporto facilitato)
⋅ Membrane ad assorbimento - Membrane solide microporose in contatto con un adsorbente liquido: il
componente gassoso da separare diffonde attraverso la membrana solida
⋅ Processi criogenici - Compressione e raffreddamento miscela gassosa. Cicli con miscele di CO2/O2.
Indicata per alte concentrazioni di CO2, rilasciata liquida

⋅ Rimozione alcalina - Usano generalmente carbonato di sodio (Na2CO3) come reagente alcalino per
la rimozione della CO2 rilasciando prodotti solidi (CaCO3)
Assorbimento chimico
⋅ L’assorbimento della CO2 coinvolge una o più reazioni chimiche reversibili fra questo composto
e altre sostanze come mono-, di-, tri- etanolammina, isopropanolammina, idrossido di sodio,
carbonato di sodio, carbonato di potassio. In queste reazioni si formano dei composti solidi o
liquidi, che tramite riscaldamento si dissociano liberando l’anidride carbonica e rigenerando il
solvente.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 151

Le ammine più utilizzate sono:


⋅ Monoetanolammina (MEA)
⋅ Dietanolammina (DEA)
⋅ Metildietanolammina (MDEA)
Questi processi, in generale, richiedono:
⋅ grande dispendio di energia (sotto forma di vapore, usato nel processo di rigenerazione del
solvente, o in maniera diretta o tramite l’utilizzo di uno scambiatore di calore)
⋅ utilizzo di energia elettrica (per pompare il solvente e per comprimere il gas)
⋅ acqua di raffreddamento (per raffreddare il gas dopo la rigenerazione).

Figura 74: Layout di un impianto ad assorbimento


I problemi legati all’assorbimento chimico sono:
⋅ Corrosione
⋅ gas acidi disciolti
⋅ CO2 libera ad alte temperature e in presenza di acqua (acciaio con acido carbonico,
quando T aumenta precipita carbonato insolubile)
⋅ prodotti della degradazione dei reagenti, dovuti alle reazioni irreversibili fra i solventi ed i
costituenti dei gas esausti (MEA ⇒ poliammine; DEA o MDEA pochi problemi)
⋅ Rimedio: inibitori della corrosione, con basse temperature e basse concentrazioni di
ammine
⋅ Formazione di schiume
⋅ idrocarburi leggeri condensati, solidi sospesi molto fini, prodotti della degradazione delle
ammine o particolari agenti superficiali trasportati dai gas.
⋅ problemi di efficienza
⋅ Rimedi: con sostanze inibenti o pretrattando il gas da depurare di modo da rimuovere il
particolato con filtri a carbone attivo eliminando così i composti organici formatisi
⋅ Degradazione delle ammine
⋅ ossidazione
⋅ reazione con SOx ed NOx
⋅ Rimedi: precipitazione di sale o carbone attivo
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 152

Rimozione della CO2 con membrane


Le membrane: strutture solide, porose o semiporose che lasciano passare alcune specie chimiche
e ne trattengono altre.
⋅ Membrane a separazione
⋅ solide
⋅ la loro struttura porosa permette il passaggio di alcune specie gassose trattenendone altre
⋅ parametri fondamentali: selettività permeabilità
⋅ la qualità della separazione dipende dalla selettività della membrana e da due parametri di
processo: il rapporto fra flusso di gas permeato e flusso di ingresso al separatore e il
rapporto fra pressione del gas permeato rispetto a quello di ingresso

Figura 75: Layout per la rimozione della CO2 con membrane


⋅ impianti multistadio (composti da due o più stadi di compressione e separazione), con
incremento dei costi di compressione e di capitale
⋅ il costo energetico più elevato è da attribuirsi alla compressione
Rimozione della CO2 con membrane ad assorbimento
Si tratta di membrane solide microporose in contatto con un liquido assorbente.
⋅ Il gas da separare viene diffuso sulla membrana solida ed è poi assorbito e rimosso dal liquido
assorbente che, posto dall’altro lato della membrana, è selettivo nei confronti di una specie
gassosa e non rispetto alle altre
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 153

Figura 76: : Layout per la rimozione della CO2 con membrane ad assorbimento
⋅ non è necessario che la membrana sia selettiva, infatti deve servire unicamente come area di
contatto, impedendo che il gas ed il liquido si mischino fisicamente
⋅ non è necessario che vi sia un gradiente di pressione
⋅ la rimozione di CO2 e di SO2 viene ottenuta utilizzando membrane porose idrorepellenti in
combinazione con un apposito liquido assorbente, che può essere costituito da una soluzione
amminica, da solfato o da carbonato
⋅ più compatta rispetto al caso delle membrane a separazione
⋅ più bassi costi energetici (dovuti soprattutto alla compressione)
⋅ trattamento del liquido assorbente carico di CO2
Rimozione della CO2 con membrane a trasporto facilitato
Queste membrane sfruttano il processo di assorbimento
⋅ hanno la struttura impregnata di un liquido in grado di assorbire le specie chimiche al suo interno,
in maniera selettiva
⋅ la CO2 viene assorbita nel lato superiore della membrana, poi reagisce con i vettori formando un
composto instabile e viene trasportata attraverso la membrana liquida fino alla parte inferiore
della stessa dove poi viene rilasciata
⋅ problemi in termini di stabilità nel tempo e di bassa permeabilità
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 154

Figura 77: Layout per la rimozione della CO2 con membrane a trasporto facilitato
Rimozione della CO2 con sistemi misti
Sono processi che accoppiano impianti a membrane e ad assorbimento:
⋅ le unità ad ammine utilizzano un’energia crescente all’aumentare della concentrazione di CO2; le
membrane a separazione invece sfruttano le differenze di pressione fra lato di alimentazione e
lato permeato per il processo e risultano più efficaci per alte concentrazioni di anidride carbonica
⋅ in un sistema misto il reattore a membrane (monostadio) posto a monte rimuove la maggior parte
della CO2, mentre le ammine vengono utilizzate per la pulizia finale dell’effluente gassoso, in
modo da ottenere il rendimento depurativo richiesto
⋅ Il pregio di questo metodo e costituito dal fatto che la rimozione della maggior parte della CO2
da parte del dispositivo a membrane riduce i costi di capitale e operativi in maniera consistente,
rispetto ai convenzionali processi.
Stoccaggio, smaltimento e riutilizzo della CO2
Sono stati proposti diversi schemi possibili:
⋅ negli oceani
⋅ in giacimenti di petrolio o gas naturale esauriti
⋅ sul fondo di falde acquifere saline
⋅ trasformazione in carbonati solidi e disposizione sulla terra
⋅ utilizzo per favorire l’accrescimento delle foreste e di alghe (circa 2000 km2 sono necessari per
assorbire la CO2 prodotta durante la vita di un impianto da 500 MW alimentato a carbone)
⋅ Utilizzi commerciali: può essere usata come materia prima in sostituzione di altre per produrre
composti chimici (es. per incrementare la produzione di petrolio grezzo, EOI (Enhanced Oil
Recovery)
⋅ Utilizzo in processi alimentari ma il fissaggio non è permanente e torna in atmosfera
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 155

Figura 78: Schema di stoccaggio della CO2


Dispersione negli oceani
Interazione CO2 - acqua di mare: dipende dalla profondità a cui viene rilasciata e dalle
caratteristiche della corrente immessa in acqua:
⋅ h < 500 m: stato gassoso
⋅ h > 500 m: la fase liquida
Alla T dell’acqua si ha:
⋅ H < 3000 m Densità CO2 liquida < densità acqua ⇒ tendenza a risalire

⋅ H > 3000 m Densità CO2 liquida > densità acqua


Si ha la possibilità che nel rilascio di CO2 liquida si formi un idrato solido (CO2 6H2O oppure
CO28H2O), più denso sia dell'acqua che dell'anidride carbonica liquida e quindi potrebbe depositarsi
sul fondale
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 156

Figura 79: Variazione delle proprietà della CO2 con la profondità


⋅ Si può ricavare la profondità a cui deve essere rilasciata la corrente di CO2, affinché le goccioline,
che tenderanno a risalire in funzione delle proprie caratteristiche, possano essere completamente
assorbite prima di raggiungere la profondità di 500 m, a cui la CO2 rischierebbe di passare allo
stato gassoso per la diminuzione di pressione
⋅ 750 - 1000 m, sufficiente per dissolvere le gocce di CO2, il massimo raggio permesso a queste
profondità è di circa 1 cm ed usando un fattore cautelativo di 2, esso dovrebbe essere limitato a
0.5 cm.
Ciclo combinato semichiuso con rimozione della CO2 (SCGT/CC)
Il flusso in uscita dalla caldaia a
Steam to
recupero é diviso in due. Bottoming
Cycle Scrubbing
Natural Amine/H2O
Tower
Gas solution
By-Pass
Louver
CC
HRSG Stack
La portata principale viene
Gas to
raffreddata (H2O condensa) e C T Scrubbing
riciclata all’aspirazione del Water from
Gas
CO2 (gas)
Bottoming
compressore. Fresh Air Supply
(stoichiometric)
Cycle Recycle

Cooled Gas Recycle


Eventual Condensate Recycle Gas Cooler/ Ext. Cooling
for Power Boosting Condenser

La portata secondaria é indirizzata prima alla


separazione della CO2 (facilitata per la più alta ηEL ≅ 52%
concentrazione e la minore portata) e poi allo Wsp ≅ 550 kJ/kg
scarico CO2 ≅ 60-70 g/kWh
(80-85% rimossa)

Figura 80: Layout del ciclo combinato semichiuso


Il metodo è descritto nella Figura 80.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 157

Il ciclo SCGT/RE
Il ciclo recupera calore dai gas di scarico per la rigenerazione delle ammine, a valle del
rigeneratore del turbogas. Elimina il ciclo combinato ed adotta uno schema di TG rigenerativa con
inter/post refrigerazione d iniezione d’acqua
Amine
Regeneration
Heat load Scrubbing
Amine/H2O Tower
solution
water inj. to CC
Natural
Gas/Gas Gas
IC AC
Regenerator
CC Stack
By-Pass
water inj. from IC or AC Louver
Gas to
C1 C2 T
Scrubbing
CO2 (gas)
Gas
Recycle
Air

Cooled Gas Recycle to Compressor


Gas Cooler/ Ext. Cooling
Condensate Recycle Condenser

Figura 81: Layout del ciclo SCGT/RE


L’alimentazione dell’assorbitore avviene a spese di un calore che comunque andrebbe perso se
non si cogenera: solo per assorbitori ad alta richiesta si penalizzano le prestazioni
Il ciclo L– Matiant
Ciclo turbogas rigenerativo che utilizza CO2 come fluido di lavoro ed O2 come ossidante per la
combustione

Figura 82: Layout del ciclo L – Matiant


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 158

Il CO2 è compresso tramite una serie di stadi di compressione interrefrigerati fino a raggiungere
le condizioni di temperatura e pressione corrispondenti allo stato liquido. A questo punto, parte della
CO2 liquida (esattamente quella prodotta dalla combustione con O2) è estratta per mantenerne il
bilancio di massa ed inviata allo stoccaggio; la parte restante è ricircolata, dopo pompaggio in fase
liquida, all’interno del ciclo, che lavora così con CO2.

Figura 83: Ciclo termodinamico L – Matiant


Il ciclo Schat
Le caratteristiche del ciclo sono:
⋅ Due sezioni di umidificazione rigenerativa (come negli HAT standard)
⋅ Sistema con valvola di By-pass per permettere la parziale ricircolazione dei gas di scarico
⋅ Scambiatore di calore con condensazione di acqua ⇒ consente la condensazione della maggior
parte dell’acqua di combustione (è la stessa acqua usata per l’umidificazione)
⋅ L’Economizzatore è sostituito dal carico termico necessario per la rigenerazione delle ammine e
consente di raggiungere una temperatura dei gas di scarico depurati al camino dell’ordine di 80°C
Gli obiettivi: che si prefigge questo ciclo sono:
⋅ 1) Proporre un ciclo turbogas ad alte prestazioni
⋅ 2) Ridurre le emissioni a livelli minimi
⋅ 3) Ottenere un alto livello di rimozione CO2
⋅ 4) Avere un consumo d’acqua assai limitato
Si hanno i seguenti risultati:
ηEL ≅ 51%
Wsp ≅ 650 kJ/kg
CO2 ≅ 70-80 g/kWh (80% rimossa
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 159

Cicli con decarbonizzazione del combustibile: Rimozione CO2 in cicli combinati con

Gassificatori di carbone
La rimozione separata di CO2 ed H2S consente di ottenere due correnti separate quasi pure (CO2
ed H2S)
⋅ La CO2 viene compressa, liquefatta e trasportata per lo stoccaggio
⋅ H2S viene utilizzato per la produzione di zolfo (processo CLAUS)
⋅ Un reattore di shift catalitico consente arrivare alla camera di combustione della TG con solo
idrogeno + gas inerti

Figura 84: Layout del ciclo con decarbonizzazione del combustibile


I dati raggiunti sono:
⋅ ηEL ≅ 41.7%
⋅ Wsp ≅ 650 kJ/kg
⋅ CO2 ≅ 200 g/kWh
⋅ (80-85% rimossa)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 160

7 IMPIANTI SOLARI ATTIVI CON COLLETTORI PIANI

Il collettore solare è un dispositivo capace di convertire la radiazione solare in energia termica.


In esso si sfrutta il cosiddetto effetto serra: la radiazione solare (di bassa lunghezza d’onda λ < 3
µm) passa attraverso il vetro (vedi curve del fattore di trasmissione in Figura 85) mentre la radiazione
termica emessa dalla piastra captatrice (di alta lunghezza d’onda cioè con λ >3 µm) resta bloccata dalla
lastra vetrata.
1

Quarzo
τ
Vetro
comune

0.5

Vetro
antisolare

Visibile

0
0.2 1.0 2.0 3.0 µm
Figura 85: Fattore di trasmissione di alcuni tipi di vetro
Possono essere di diverse tipologie: piani, parabolici, a vetri, a tubi di calore, …, ma qui
prenderemo in esame solamente i collettori solari piani.
7.1 ANALISI DEL FUNZIONAMENTO
Consideriamo il collettore indicato in sezione in Figura 86: esso è formato essenzialmente da un
contenitore (detto carter) nel quale sono inseriti una piastra captatrice solitamente in materiale metallico
annerito (lamiera di acciaio o di rame o di alluminio), da una o più lastre di vetro poste al di sopra della
piastra captatrice ad una distanza variabile fra 1 e 2 cm e infine dal coibente posto fra carter e piastra
captatrice.

Figura 86: Schema di un collettore solare piano


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 161

Figura 87: Spaccato di un collettore solare piano


Chiameremo energia utile quella che può essere trasportata all’esterno del collettore sotto forma di
energia termica. In funzionamento statico (cioè senza acqua di circolazione nei tubi) l’energia solare
intrappolata per effetto serra serve a riscaldare i componenti del collettore (piastra, vetro, carter) fino ad
una temperatura di equilibrio (escludiamo qui le condizioni transitorie per la complessità delle
problematiche che ne derivano) tale che renda le perdite di calore (per convezione ed irraggiamento)
verso l’esterno pari all’energia solare guadagnata.
In pratica vale l’equazione di equilibrio:
H T Ac (ατ ) e = Qconvezione + Qirraggiamento [83]
 
Energia solare assorbita Energia termica perduta

In questa equazione si è indicata con HT l’irraggiamento solare, con (ατ)e il prodotto fra fattore di
assorbimento α della piastra e della trasmissività del vetro τ. In realtà la relazione tiene conto anche
delle infinite riflessioni ed assorbimenti residuali della radiazione solare fra piastra di captazione e vetro
di copertura. Ac è l’area della superficie del collettore.
Le perdite a secondo membro possono essere espresse nei modi consueti della Trasmissione del
Calore e cioè, per la convezione fra vetro ed aria esterna:
Qconvettivo = hv Av ( tv − te ) [84]
con hv coefficiente di convezione fra vetro ed aria esterna. Per l’irraggiamento fra vetro ed aria
esterna:
Qirraggiamento = εσ 0 F12 Av ( Tv4 − Te4 ) [85]

ove F12 è il fattore di vista fra la superficie della piastra vetrata e l’ambiente esterno37, ε l’emissività
del vetro, σ0 la costante di Stefan Boltzmann, Av l’area della superficie vetrata, Tv e Te le temperature
assolute del vetro e dell’aria esterna. Si fa osservare che il bilancio energetico sopra detto è riferito solo
alla piastra vetrata perché, in equilibrio termico, il flusso uscente dalla piastra captatrice verso quella
vetrata deve eguagliare quello che dalla piastra vetrata va verso l’aria esterna.
Ben più complesse sono le equazioni di bilancio termico per la piastra captatrice perché la
distribuzione di temperatura in essa non è uniforme ma variabile fra un massimo al centro delle strisce

37 Per il calcolo della radiazione solare media giornaliera su una superficie inclinata di un angolo β rispetto

all’orizzontale si può assumere F12 pari al fattore di vista per radiazione solare diretta, cioè F12 =
(1 + cos β ) .
2
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 162

ove non sono presenti i tubi ed un minimo al centro delle strisce ove sono presenti i tubi. Questa
disuniformità è più elevata quando si ha circolazione di acqua.
Data la brevità del presente corso si rimanda ai testi specializzati l’approfondimento di queste
tematiche. Se si fa circolare l’acqua all’interno, vedi ad esempio il circuito di Figura 96, allora il bilancio
indicato nella [83] cambia perché occorre tenere conto anche del calore trasportato dal flusso di acqua
di refrigerazione. In pratica l’acqua che circola all’interno dei tubi porta via una quantità di energia
termica pari a:
Qu = mc ɺ a ( t fu − t fi ) [86]

ove, con il solito simbolismo, si indicano con:


⋅ mɺ la portata di acqua, kg/s;
⋅ ca calore specifico dell’acqua, 4186 J/kg/K;
⋅ tfu temperatura dell’acqua in uscita dal collettore, °C;
⋅ tfi temperatura dell’acqua in ingresso dal collettore, °C;
Pertanto l’equazione di bilancio energetico viene ora modificata nella forma:

ɺ a ( t fu − t fi )
H T Ac (ατ ) e = Qconvezione + Qirraggiamento + mc
     [87]
Energia solare assorbita Energia termica perduta EnergiaUtileQu

Di solito si suole esprimere questo bilancio in funzione di grandezze di facile accesso nella pratica
impiantistica. Ad esempio le perdite radiative e convettive sono espresse in funzione della differenza di
temperatura fra il fluido in ingresso, di solito nota da considerazioni impiantistiche (ad esempio è la
temperatura del serbatoio di accumulo o la temperatura di ritorno di uno scambiatore di calore di un dispositivo di
utilizzazione dell’energia), e la temperatura dell’aria esterna (di solito nota per ogni sito di applicazione).

7.1.1 RELAZIONE DI HOTTEL WHILLIER BLISS


Tutto ciò, unitamente alla disuniforme distribuzione della temperatura sia trasversalmente al
flusso di acqua che longitudinalmente lungo il flusso di acqua, porta a definire il bilancio indicato nella
[87] in una forma convenzionale oggi universalmente accettata nell’impiantistica solare.
In particolare si esplicita il flusso di energia netta convertita da un collettore solare piano che è
data dalla relazione di Hottel-Bliss-Whillier:

Qu = FR Ac  H T (ατ )e − U L ( T f ,i − Te ) [88]

ove si ha il seguente simbolismo:


Ac Area netta di raccolta del collettore solare, [m²];
⋅ FR detto Fattore di rimozione termica del collettore che tiene conto della disuniformità
longitudinale della temperatura per effetto del flusso del refrigerante ed è definito dalla relazione

FR =
Raccolta reale di energia utile
ossia, in termini analitici: FR =
ɺ P
mC
1− e
− LM AcU L F '
ɺ P
mC
OP .
Raccolta di energia utile con Tfi = Tfu ACU L MN PQ
Valori correnti di FR variano nell’intervallo 0.8÷0.85 con le ipotesi di portata di massa nel
collettore di 50÷60 kg/h.m² e con tipologia di saldatura dei tubi alla piastra sufficientemente
efficiente (in particolare la conduttanza CB deve essere sufficientemente elevata in modo da non
incrementare il coefficiente globale di perdita del collettore. Semplificando la precedente
relazione mediante sviluppo in serie al secondo termine, si può scrivere una espressione
semplificata del fattore di rimozione termica FR molto utile nelle applicazioni perché prescinde dal
calcolo di F’ (fattore di efficienza): FR = 1 con Mɺ portata totale del circuito e
 U L Ac 
 1 + 0.5 ɺ 
 Mc p 
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 163

con il solito simbolismo degli altri termini. Se ci si riferisce alla portata specifica per unità di
superficie di piastra assorbitrice si può ancora scrivere la relazione in forma semplificata:
FR = 1 ;
 UL 
 1 + 0.5 
 ɺ p 
mc
⋅ F’ detto fattore di efficienza del collettore tiene conto delle disunformità di distribuzione orizzontale
1
della temperatura ed è definito dalla relazione: F ' =
LM PPO
U L

1 1 1
+ +
W
MNU L b
D+ W −D F g
Cb πDi h fi Q
ove D è il diametro dei tubi, W è la larghezza della striscia elementare di raccolta dell’energia
solare (distanza fra due diametri consecutivi), Cb la conduttanza della saldatura fra tubo e piastra,
Di il diametro interno del tubo, hfi il coefficiente di convezione termica del fluido di
raffreddamento all’interno dei tubi, UL il coefficiente globale di perdita fra piastra e aria dato dalla
relazione di Klein:
R| U| −1

|| 1 || d
σ Tpm + Ta Tpm
2
+ Ta2 id i
=S + V +
N
UL
|| C LM dT − T i OP
pm a
e
h |
w
|| dε p + 0.00591 ⋅ Nhw i −1
+
. εp
2 N + f − 1 + 0133
εg
[89]

|T T MN N + f PQ
pm
W
ove si ha:
N numero di lastre di vetro;
d
f = 1 + 0.089hw − 0.1166hwε p 1 + 0.07866 N ib g
C c h
= 520 ⋅ 1 − 0.000051β 2 per 0° < β < 70° , per β > 70° usare β = 70°
FG
= 0.430 ⋅ 1 − 100 T
IJ
E
H pm K
β inclinazione del collettore solare (in gradi)
εg emissività del vetro (=0.88 per vetro normale)
εp emissività della piastra di assorbimento
Ta temperatura assoluta dell’aria ambiente, K
Tpm temperatura media assoluta della piastra assorbente, K
hw coefficiente di convezione vetro-aria, W/m²K
⋅ ΗT è la radiazione solare incidente sulla piastra captatrice, W/m²
⋅ (ατ)e prodotto del fattore di assorbimento medio effettivo e del fattore di trasmissione medio
della piastra captatrice;
⋅ Tfi temperatura del fluido in ingresso nel collettore solare, °C
⋅ Te temperatura dell’aria ambiente, °C
I tre parametri FR, (ατ) e UL sono fondamentali per la scelta e il funzionamento dei collettori
solari piani. Nelle seguenti tabelle si hanno alcuni valori per le tipologie più ricorrenti. Per (ατ) la tabella
seguente vale per angoli di incidenza compresi fra 0° e 60° e per fattore di estinzione dei raggi solari nel
vetro pari a KL = 0.0524.
NUMERO DI LASTRE VETRATE
N 1 2 3 4
(ατ) 0.86 0.73 0.65 0.55
Tabella 13: Fattore di assorbimento al variare dl numero di lastre
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 164

Per il coefficiente globale di scambio termico UL vale la seguente tabella riassuntiva valida per
TP=60 °C e velocità del vento di 5 m/s.
TIPO DI VETRO
Tipo di collettore SINGOLO DOPPIO TRIPLO
Dipinto di nero (εp =0.95) 6.5 3.6 2.4
Dipinto con vernice selettiva (εp =0.1) 3.5 2.4 1.7
Tabella 14: Coefficienti globali di perdita al variare del numero di vetri
In Figura 88 si ha una rappresentazione schematica degli scambi energetici per un collettore
piano. Si può osservare che l’energia utile raccolta (quella che viene quindi trasformata in calore) varia
dal 15 al 40% a seconda delle condizioni operative. In particolare si hanno percentuali di raccolta
(meglio definite come rendimenti di raccolta) maggiori, apri condizioni esterne di temperatura dell’aria
Ta e di velocità del vento, quanto più è maggiore la radiazione solare, HT, e quanto più è bassa la
temperatura di ingresso del fluido nel collettore, Tfi. Nella Figura 95 sono riportate alcune tipologie di
saldature e di attacco delle tubazioni alla piastra captatrice.
Se la tipologia di attacco dei tubi alla piastra captatrice non è buona allora le conseguenze sul
fattore di rimozione termica sono pesanti e il suo valore scende vistosamente.

Figura 88: Illustrazione schematica della distribuzione dell’energia nei collettori solari piani

7.1.2 EFFICIENZA DI RACCOLTA DELL’ENERGIA SOLARE


L’efficienza media giornaliera di un collettore solare attivo è definita dal rapporto fra l’energia utile
totale raccolta, vedi la [88] e l’energia totale incidente sul collettore:

∑ [Qu = Ac FR (ατ ) e H T − U L (T fi − Ta ) ]


ηmd
ore _ utili
=

[90]
ore _ utili
Ac H T
La precedente relazione si può scrivere, con riferimento ai valori istantanei, nella forma lineare:
 T fi − Ta 
η = FR  (ατ ) e − U L
 H T  [91]

Pertanto l’efficienza di un collettore piano si può diagrammare come una retta, vedi Figura 89, e
l’ordinata all’origine vale (ατ)FR mentre l’ascissa di intersezione con l’asse ∆T/I vale FRUL.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 165

(ατ) Fr

Figura 89: Retta di efficienza per un collettore solare piano


Queste considerazioni suggeriscono le modalità operative per calcolare sperimentalmente i
parametri caratteristici dei collettori solari (ατ) e UL noto il valore di FR. Nel valutare l’efficienza
suddetta occorre tenere presente che il numeratore deve essere positivo (cioè su deve avere raccolta
utile di energia solare) in caso contrario si avrebbe un raffreddamento dell’acqua all’interno del
serbatoio di accumulo.
Di solito questa inversione di flusso si evita ponendo una centralina elettronica che confronta le
temperature di uscita del collettore con quella di ingresso e blocca la circolazione se questo confronto
risulta negativo. In termini analitici la [90] ci dice che Qu>0 quando:
(ατ )e H T − U L (T fi − Ta ) > 0
ovvero quando l’irraggiamento risulta:
U L (T fi − Ta )
HT >
(ατ )e
Il periodo non utile di irraggiamento solare (cut-off) dipende, quindi, non solamente dalle
caratteristiche del collettore solare, cioè da (ατ)e e da UL, ma anche dalla differenza di temperatura del
fluido in ingresso con quella dell’ambiente esterno.
Pertanto il periodo di raccolta utile è tanto maggiore quanto più bassa è la temperatura di utilizzo
dell’energia solare poiché la temperatura del fluido in ingresso nella piastra è quasi coincidente con
quella uscente dall’accumulo termico.
I valori usuali per i nostri climi e condizioni meteorologiche sono compresi fra il 10÷25% nel
periodo invernale e 25÷45% nel periodo estivo.
I valori inferiori dei rendimenti si hanno con temperature di uscita più elevate del fluido di
refrigerazione mentre i rendimenti maggiori si hanno con temperature del fluido inferiori.
In Figura 90 si ha un esempio di cut-off per un collettore piano avente UL=6 W/m²K, (ατ)e= 0.87,
temperatura di ingresso del fluido di 80 °C (ad esempio per un impianto di condizionamento con
macchina ad assorbimento con temperatura del generatore di 75°C) per latitudine di 37.2° con
inclinazione della superficie di captazione di 25 ° e condizioni esterne climatiche corrispondenti a 10
luglio. Il circuito si suppone aperto, nel senso che l’acqua di ingresso è sempre alla stessa temperatura,
indipendentemente dalle funzioni dell’accumulo termico.
Si osservi come si abbia racconta di energia utile da circa le ore 7 alle ore 17 mentre la radiazione
solare è presente dall’alba, circa le 5, alle ore 19. In pratica il cut-off è di circa il 50%. L’efficienza
teorica di raccolta in questo caso vale 27,7%. Nelle stesse ipotesi di funzionamento ma con temperatura
del fluido in ingresso di 40 °C si ha la situazione di Figura 91 ove il cut-off si è ridotto notevolmente e
l’efficienza teorica di raccolta è salita al 67,7%.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 166

Irradiazione - Energia Utile

800,00

700,00

600,00

500,00

400,00
Wh

300,00

200,00

100,00

0,00
0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00
-100,00
Ore

Figura 90: Esempio di cut-off con utilizzatore ad alta temperatura

Irradiazione - Energia Utile

800,00

700,00

600,00

500,00

400,00
Wh

300,00

200,00

100,00

0,00
0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00
-100,00
Ore

Figura 91: Esempio di cut-off con utilizzatore a bassa temperatura


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 167

I valori dell’efficienza reale sono di solito inferiori a quelli calcolatati per effetto delle variazioni
climatiche esterne (velocità del vento, sopra supposta < 6 m/s, torbidità dell’atmosfera, sopra supposta
pari alla media estiva per Catania), all’influenza della variazione della temperatura del fluido in ingresso
ai collettori per effetto della variazione della temperatura del serbatoi di accumulo in funzione del carico
termico ad esso collegato.
Inoltre si è considerata l’energia solare come tutta diretta trascurando la radiazione diffusa che
nella realtà è circa il 20% della totale e fornisce un suo contributo quando la radiazione solare diretta
manca (ad esempio per la presenza delle nuvole).
Non è considerato, inoltre, l’effetto di riflessione totale della radiazione solare diretta quando
l’angolo di incidenza sulla piastra vetrata supera l’angolo limite (legge di Snell).
Le variazioni possono anche essere significative (oltre il 50%) soprattutto nel periodo invernale.
Abbassando ulteriormente la temperatura del fluido a 30 °C, ad esempio per un utilizzo
dell’energia solare a bassa temperatura per la produzione di acqua calda per le docce di un campeggio, si
ha la situazione di Figura 92 con una efficienza teorica di raccolta del 78.4 % e quindi molto elevata.
Se il circuito si suppone chiuso e quindi si ha l’effetto della presenza dell’accumulatore sulla
temperatura di ritorno del fluido, allora le cose cambiano un po’, come si può osservare dalla seguente
figura nella quale si suppone che la temperatura di alimentazione dell’acqua del serbatoio sia di 30 °C,
che l’acqua accumulata sia inizialmente alla temperatura di 25 °C.
Si osserva dalla Figura 93 che il cut-off per circuiti chiusi non è simmetrico, come si intuisce anche
dall’esame delle curve di temperatura della figura successiva.
L’andamento delle temperature nei fluidi e di quella ambiente sono riportate nella seguente figura.

Irradiazione - Energia Utile

800,00

700,00

600,00

500,00

400,00
Wh

300,00

200,00

100,00

0,00
0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00
-100,00
Ore

Figura 92: Esempio di cut-off con utilizzatore a bassa temperatura per docce
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 168

Irraggiamento - Energia Utile

800,00

700,00

600,00

500,00

400,00
I
W/m²

Qu
300,00

200,00

100,00

0,00
0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00
-100,00
Ore

Figura 93: Andamento del cut-off per circuito chiuso a bassa temperatura

Temperature

70,00

60,00

50,00

40,00 Te
Ti
°C

30,00 Ta

20,00

10,00

0,00
0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00
Ore

Figura 94: Andamento delle temperature per circuito aperto


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 169

La curva superiore è quella di ingresso ai collettori, la curva intermedia rappresenta la temperatura


dell’acqua nel serbatoio di accumulo e la curva inferiore è la temperatura dell’aria esterna. La pompa di
circolazione dall’accumulo termico al carico si suppone spenta nel momento in cui manca l’apporto di
energia solare.
In pratica per raccogliere più energia solare è bene farlo alla temperatura più bassa che
l’applicazione consente. Per quanto detto sono molto convenienti le applicazioni di energia solare per
produzione di acqua calda sanitaria a bassa temperatura (35 ÷ 50 °C) rispetto alle applicazioni di
processo a temperatura elevata (ad esempio per il riscaldamento e/o il condizionamento estivo degli
ambienti).
Va ancora tenuto conto che l’energia solare è soggetta ad andamento statistico per effetto della
nuvolosità non prevedibile e pertanto assieme all’impianto solare è sempre opportuno avere anche un
generatore tradizionale (caldaia a gas o a gasolio) che integra il contributo dovuto all’energia solare
quando questa non è sufficiente. Ciò comporta, si intuisce, una maggiore spesa di impianto che innalza
il periodo di ammortamento e di pay-back38 rendendo l’uso dell’energia solare ancora poco conveniente
rispetto all’energia tradizionale a basso prezzo.
7.2 RISCALDAMENTO SOLARE DELL’ACQUA SANITARIA
Mediante l’energia solare si può pensare di riscaldare anche l’acqua calda sanitaria utilizzata per
usi domestici.
Va tenuto in considerazione che i collettori solari non funzionano con continuità ma solamente
durante la giornata e pertanto occorre sempre prevedere anche un sistema di riscaldamento ausiliario in
aggiunta a quello ad energia solare.
I sistemi per produzione di acqua calda sanitaria sono suddivisi in due tipologie principali:
1. Sistemi per produzione di acqua calda locale
2. Sistemi per produzione di acqua calda centralizzata.
Di solito i sistemi con superficie dei collettori fino a 8 m² sono classificati come sistemi locali
mentre quelli con superficie maggiore sono classificati come sistemi centralizzati.

Figura 95: Tipologie di attacco dei tubi alla piastra captatrice

38Si definisce pay-back il tempo necessario a recuperare il capitale investito tenendo conto della svalutazione del
denaro nel tempo (costo attualizzato del denaro).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 170

Figura 96: Schema di un sistema locale per produzione di acqua calda sanitaria
Nella Figura 96 è data una rappresentazione schematica di un sistema per la produzione
localizzata dell’acqua calda. In esso si riconoscono i seguenti elementi fondamentali:
⋅ Coppia di collettori solari piani;
⋅ Boiler per l’accumulo dell’acqua calda sanitaria
⋅ Pompa di circolazione dell’acqua calda dal collettore al boiler
⋅ Resistenza elettrica ausiliaria
Anche se non è indicata, è opportuno prevedere una centralina di regolazione e controllo che
impedisca, dopo il tramonto del sole, la circolazione parassitaria dell’acqua dal collettore solare al boiler.
Infatti quando il collettore non raccoglie energia solare si trasforma in un radiatore verso l’atmosfera e
pertanto l’acqua che è in circolazione all’interno dei tubi si raffredda.
La centralina impedisce alla pompa di alimentare il boiler di notte e quindi consente di mantenere
la temperatura dell’acqua calda all’interno del serbatoio di accumulo. Il serbatoio di accumulo ha di
solito due tipi di scambiatore, come rappresentato in Figura 101:
⋅ Scambiatore del tipo tube and tube (tubo e tubo);
⋅ Scambiatore del tipo shell and tube (mantello e tubo).
Quest’ultimo tipo risulta più efficiente raggiungendo efficienze superiori di 1÷3% rispetto agli
scambiatori tube and tube.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 171

Figura 97: Collettore solare piano a tubi d’acqua

Figura 98: Layout di un impianto solare domestico


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 172

Figura 99: Vista di un boiler di accumulo per impianti solari

Figura 100: Schema di installazione di un impianto solare domestico


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 173

Tabella 15: Schema circuitale di un impianto solare con integrazione termica per riscaldamento
7.3 CRITERI DI PROGETTO PER I SISTEMI LOCALIZZATI
Si elencano alcune regole pratiche utili per il dimensionamento rapido di sistemi localizzati per la
produzione dell’acqua calda sanitaria.
⋅ La superficie dei collettori solari può essere calcolata considerando almeno 1 m² per persona
avendo cura di formare una superficie di raccolta di almeno due collettori.
⋅ L’orientamento dei collettori è a SUD con deviazioni massime tollerate di 10° verso EST o
OVEST.
⋅ L’angolo di inclinazione dei collettori è pari alla latitudine L del luogo per un funzionamento
continuo annuale mentre è consigliato L-15° per un funzionamento principalmente invernale ed
L+10° per un funzionamento prevalentemente estivo.
⋅ La scelta del tipo di collettore solare dipende anche dal valore di insolazione disponibile sul
posto. In generale si può dire, per le nostre latitudini, che un collettore a piastra dipinta di nero e
con una sola copertura di vetro semplice va bene per un funzionamento annuale. Qualora si
desideri avere un miglior funzionamento prevalentemente invernale allora è consigliabile un
collettore con vetro doppio. L’uso di piastre con vernice selettiva è necessario solo per
applicazioni che richiedono elevate temperature (>50 °C).
⋅ La capacità termica del serbatoio può essere dimensionata prevedendo 50÷70 kg per collettore
ovvero anche 30÷50 kg/m² di collettore. E’ opportuno ricordare che i valori più elevati di
volume di accumulo portano ad avere efficienze di raccolta maggiori ma anche temperature di
accumulo inferiori.
⋅ Per i sistemi di produzione di acqua calda localizzati è opportuno prevedere una resistenza
elettrica ausiliaria di almeno 2 kW.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 174

Figura 101: Boiler per sistemi localizzati con scambiatore del tipo tube and tube e a shell and tube

Figura 102: Sezione di un accumulatore solare ad acqua calda


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 175

Tabella 16: Dati tecnici di accumulatori ad acqua


⋅ E’ necessario isolare il serbatoio di accumulo con almeno 10 cm di isolante termico (ad esempio
lana di vetro) e il rivestimento esterno deve essere in alluminio o in lamiera di acciaio
galvanizzato.
⋅ Tutti i tubi di collegamento fra collettori e boiler debbono essere coibentati con isolante termico
di spessore di almeno 5 cm.
⋅ Al fine di ridurre la potenza di circolazione è opportuno limitare al massimo sia la lunghezza dei
tubi che le resistenze concentrate mediante raccordi curvi non angolati e valvole a minore
resistenza. La pompa di circolazione ha di solito una prevalenza di 1000÷2000 Pa.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 176

⋅ La portata del fluido refrigerante può essere calcolata prevedendo un valore di 100÷120 kg/h per
collettore (di superficie di 1.5 m²).
⋅ Il vaso di espansione ha una capacità di 15÷20 litri.
⋅ E’ necessario prevedere, come già segnalato, una centralina di regolazione e controllo collegata ai
collettori e al boiler per impedire la circolazione inversa parassita.
⋅ Per evitare il pericolo del congelamento invernale si può svuotare l’impianto, se questo non è
attivo, oppure aggiungere 10÷20% di glicole etilenico per uso organico in modo da abbassare il
punto di congelamento del fluido refrigerante.
7.4 SISTEMI CENTRALIZZATI PER L’ACQUA CALDA SANITARIA
I sistemi con più di quattro collettori solari sono tipicamente utilizzati per la produzione
dell’acqua sanitaria centralizzata. Si tratta, quindi, di impianti di grandi dimensioni adatti per la
produzione di acqua sanitaria per condomini, alberghi, scuole , campeggi,….. Essi sono strutturati in
modo più complesso, come indicato in figura seguente.
La superficie dei collettori solari è realizzata con un numero elevato di collettori solari e tale da
potere effettuare un collegamento serie-parallelo degli stessi.
Quando due collettori solari sono collegati in serie allora la temperatura di uscita dell’acqua calda
è maggiore rispetto al caso di un collettore singolo, per contro si ha una diminuzione del rendimento di
trasformazione dell’energia solare poiché crescendo la temperatura di uscita aumenta la temperatura
media dei collettori e quindi aumentano le perdite per convezione e radiazione (cresce, quindi, UL).
Il collegamento in parallelo dei collettori solari mantiene la temperatura di uscita del singolo
collettore, cresce la portata del fluido refrigerante e quindi l’energia raccolta e il rendimento di
trasformazione dell’energia solare è più elevato rispetto al collegamento in serie.
In figura 6 si può osservare come i collettori sono collegati in batterie da tre collettori serie e poi
le batterie sono collegati in parallelo.
Il fluido refrigerante viene inviato in un primo boiler dove si riscalda l’acqua mediante uno
scambiatore a shell and tube molto efficiente.
Da questo primo accumulatore l’acqua calda viene mandata in un secondo scambiatore di
miscelazione con l’acqua calda fornita da una caldaia ausiliaria in modo da raggiungere la temperatura
desiderata per l’utenza.
La centralina di regolazione provvede a bloccare la pompa primaria del circuito solare per evitare
la circolazione inversa.
7.4.1 CRITERI DI PROGETTO DI UN IMPIANTO CENTRALIZZATO
Molti dei criteri già evidenziati per i sistemi localizzati possono ancora ritenersi validi per i sistemi
centralizzati. Si forniscono qui altri criteri più indicati per i sistemi centralizzati.
⋅ Per bilanciare i circuiti di collegamento delle batterie solari è opportuno utilizzare l’anello di
Tickelman. Esso consiste in un collegamento a ritorno inverso in modo da realizzare per tutti i
circuiti un percorso di eguale lunghezza.
⋅ I collegamenti dei collettori in serie nelle singole batterie debbono essere realizzati in modo da
evitare eccessive perdite localizzate.
⋅ Non eccedere nel collegamento in serie dei collettori solari per non penalizzare eccessivamente il
rendimento di trasformazione solare. Di solito si limita il collegamento a 2÷3 collettori.
⋅ L’orientamento e l’inclinazione dei collettori solari segue le stesse indicazioni viste per i sistemi
localizzati: l’angolo di inclinazione dei collettori è pari alla latitudine L del luogo per un
funzionamento continuo annuale mentre è consigliato L-15° per un funzionamento
principalmente invernale ed L+10° per un funzionamento prevalentemente estivo.
⋅ Limitare al massimo le perdite di pressione nei circuiti in modo da ridurre la potenza di
pompaggio. La velocità del fluido refrigerante non dovrebbe mai superare 1 m/s.
⋅ L’alimentazione dell’acqua fredda dovrebbe anche avere una valvola di drenaggio e filtraggio.
⋅ La centralina elettronica deve avere un termostato differenziale per il controllo della pompa
principale di circolazione.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 177

⋅ I tubi, il boiler primario e quello di miscelazione debbono essere generosamente coibentati per
limitare perdite di energia nel circuito.

Figura 103: Schema di un impianto centralizzato per la produzione dell’acqua calda


⋅ La capacità del boiler primario può essere calcolata prevedendo un consumo specifico C=40÷50
l/giorno/persona e quindi:
V = n⋅C
con:
C consumo specifico per persona, come sopra indicato;
n numero di persone da servire
⋅ Il numero dei collettori solari, T, è determinato dalla relazione:
V
T=
P
ove:
Pproduzione unitaria di acqua calda (litri/giorno per collettore) di solito pari a:
⋅ P=50 L/g/collettore per il periodo invernale;
⋅ P=60 L/g/collettore per un periodo annuale;
⋅ P=70 L/g/collettore per il periodo estivo invernale;
⋅ La capacità termica dello scambiatore di calore, H, preferibilmente del tipo shell and tube, è data
dalla relazione:
H =V ⋅u⋅s
con:
V capacità (litri) del serbatoio di accumulo;
u fattore di utilizzazione dello scambiatore di calore (solitamente pari a 0.3);
s fattore di acculo (di solito pari a 1.25).
⋅ La portata del fluido refrigerante è pari a:
M = m⋅T
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 178

con:
m = 100÷120 kg/h/collettore (portata di massa specifica per collettore);
T = numero di collettori solari del sistema.
⋅ La capacità del vaso di espansione, E, è data dalla relazione:
E = e⋅T
ove:
e = 5 L/collettore (espansione specifica per collettore);
T = numero di collettori solari del sistema.
7.4.2 METODO F - CHART
I criteri sopra enunciati sono di larga massima e non debbono essere considerati di validità
generalizzata.
Per il dimensionamento corretto degli impianti solari occorre fare riferimento a codici di calcolo
specializzati (ad esempio TRNSYS) o a criteri di maggiore affidamento, quale l’f-Chart.
Questo metodo si basa su alcune correlazioni ottenute da simulazioni numeriche dettagliate per
impianti solari in diverse configurazioni e con condizioni di insolazione variabile.
Le simulazioni hanno consentito di calcolare la frazione mensile dell’energia utilizzata, f, definita dal
rapporto fra l’energia solare fornita dall’impianto, ES, e quella totale necessaria per il riscaldamento
dell’acqua sanitaria, ER, nell’arco di un mese:
E
f = S [92]
ER
Nota la quantità di acqua calda da produrre, M, si può calcolare l’energia ER necessaria:
ER = Mgc p ( te − t A ) [93]
ove si ha:
⋅ g numero di giorni del mese considerato,
⋅ tA temperatura dell’acqua di rete, °C,
⋅ te temperatura di erogazione dell’acqua sanitaria, °C.
Se si conosce f allora si può conoscere l’energia complementare necessaria da fornire mediante
caldaia, oltre quella fornita dall’impianto solare:
EC = (1 − f ) ER [94]
Le simulazioni numeriche hanno consentito di calcolare la frazione f fornita dall’impianto solare:
f = 1.029 Y − 0.065 X − 0.245Y 2 + 0.0018 X 2 + 0.0215 [95]
ove X ed Y hanno le seguenti espressioni:
 FR KS (100 − tm' ) gD   11.6 + 1.18t + 3.86t − 2.32t ' 
X =  e A m

− '
  
E R 100 t m 
e ancora:
ξ FR' (ατ )e gH T
Y=
ER
ove si ha il simbolismo:
⋅ F’R(ατ)e prodotto del fattore di rimozione termica per il l’assorbimento-trasmissione effettivo del
collettore solare utilizzato;
⋅ ξ fattore correttivo per tenere conto dell’angolo di incidenza della radiazione solare sul collettore
rispetto alla direzione normale. Si può assumere ξ=0.90 per collettori ad un vetro e ξ=0.88 per
collettori a due vetri;
⋅ D durata del giorno, in ore;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 179

⋅ g numero di giorni nel mese considerato;


⋅ t’m temperatura media diurna nel mese considerato, °C;
⋅ HT radiazione solare media nel mese considerati, kJ/m²/day;
La temperatura media mensile, t’m, può essere stimata nota la temperatura media giornaliera, tm, e
l’escursione media giornaliera mensile, di solito fornita da opportune tabelle dell’UNI-CTI 10349,
mediante la relazione:
tm' = tm + 0.18∆tm Estate
tm' = tm + 0.31∆tm Inverno
Il calcolo della radiazione media giornaliera risulta più complesso ma si possono applicare gli
algoritmi già visti nel Corso di Climatologia.
Osservazioni sul metodo f-Chart
Il metodo della f-Chart si può utilizzare anche per impianti solari destinati al riscaldamento
ambientale e alla produzione di acqua sanitaria. Quest’ultima variante, per altro più complessa, non
viene qui sviluppata per la limitatezza del Corso e può essere analizzata in manuali tecnici specializzati.
Si osserva però che il metodo nasce non tanto da verifiche sperimentali dirette bensì da
applicazioni di modelli di calcolo affidabili, quale il TRNSYS.
Gli accordi di Kyoto hanno dato nuovo impulso alle applicazioni solari e in particolare alle
applicazioni per produzione di acqua calda per usi sanitari. Gli accordi prevedono, infatti, una riduzione
delle emissioni di CO2 nell’atmosfera da parte dei paesi industrializzati e per l’Italia è stata assegnata una
percentuale pari al 6% dell’emissione del 1996.
Per raggiungere tale riduzione (invero pesante) occorre limitare l’uso di combustibili tradizionali e
pertanto è auspicabile la sostituzione di alcuni impianti termici (quelle per usi sanitari, ad esempio) con
impianti solari visti in questo capitolo
Resta da superare la difficoltà del costo totale di questi impianti oggi notevolmente elevato
rispetto agli impianti tradizionali. Senza un sensibile abbassamento dei prezzi unitari dei collettori solari
il decollo dell’energia solare resterà solamente un desiderio.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 180

8 IMPIANTI SOLARI ATTIVI DI POTENZA – SOLARE TERMODINAMICO

In questo capitolo si descrive la possibilità di integrare una sezione dedicata all’energia solare
termica ad alta temperatura alle già esistenti centrali a ciclo combinato. In particolare si esamina la
possibilità di integrare una sezione di potenza con la tecnologia del Solare Termico alla esistente
centrale Archimede di Priolo Gargallo (SR).
Il progetto del Solare Termico “Archimede” con tecnologia basata su specchi parabolici con fluido
termovettore costituito da sali fusi prende forma in seguito ad un accordo tra Enea ed Enel avvenuto il
25 settembre 2003.
Il sistema composto della parte solare termodinamica e la parte relativa al ciclo combinato si
definisce ibrido. La potenza della parte solare sarà di 20 MW. In Figura 104 si può osservare lo schema
semplificato di integrazione tra un impianto a ciclo combinato e un impianto solare.

Figura 104: Schema di integrazione del vapore solare in un impianto termoelettrico a ciclo combinato (fonte Enel)
Le principali innovazioni nel campo dell’energia solare riguardano essenzialmente tre aspetti:
• l'utilizzo di un accumulo termico di grandi dimensioni, mediante il quale l'impianto può erogare
una potenza elettrica costante nell'arco delle 24 ore, indipendentemente dalla variabilità della
fonte solare;
• l’incremento della temperatura di funzionamento dell'impianto (fluido termovettore ed
accumulo). Questa innovazione richiede, da un lato, l'uso di un fluido termovettore (miscela di
nitrati di sodio e di potassio) diverso dall’olio sintetico impiegato negli impianti attualmente in
esercizio e, dall’altro lato, un sostanziale miglioramento delle proprietà ottiche del rivestimento
del tubo ricevitore dei collettori che permetta un migliore assorbimento del calore;
• la progettazione di un nuovo tipo di concentratore, basato sull'impiego di specchi più sottili
sostenuti da una struttura, in grado di assicurare una significativa riduzione dei costi di
costruzione e posa in opera.
Il sistema dovrebbe avere costi inferiori a quelli previsti dagli impianti a torre ed essere, rispetto
ad essi, più flessibile per quanto riguarda le condizioni del sito e la disponibilità energetica.
Il collettore parabolico lineare rappresenta il modulo base del sistema. Il raggiungimento della
potenza richiesta è ottenuto mediante l’utilizzo di più moduli.
Tale configurazione è facilmente adattabile alle caratteristiche di siti reperibili nell’Italia
Meridionale.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 181

Figura 105: Gli specchi parabolici (fonte Enel)

8.1 DESCRIZIONE GENERALE DELL’ IMPIANTO SOLARE


Il campo solare è costituito da collettori parabolici lineari (Figura 105) disposti in file parallele,
ciascuna delle quali è formata da più elementi, collegati in serie a costituire il singolo modulo o stringa.
Il collettore è un riflettore che raccoglie e concentra continuamente tramite un sistema di controllo la
radiazione solare su un ricevitore lineare disposto sul fuoco della parabola. Tale ricevitore consta di un
tubo al cui interno circola un fluido termoconvettore che asporta l’energia solare assorbita.
Il sistema di accumulo ha poi il compito di immagazzinare l’energia termica prodotta dal campo e
renderla disponibile con continuità indipendentemente dalla variabilità della sorgente solare. Esso è
costituito da due serbatoi che operano a due diverse temperature, 550°C il caldo e 290°C il freddo. Il
GVS (Generatore di Vapore Solare) è il sistema di utilizzo dell’energia termica accumulata. Esso è
costituito da scambiatori a superficie, mediante i quali il calore sensibile del fluido di processo viene
trasferito all’acqua che passa allo stato di vapore e raggiunge le turbine a vapore della centrale
termoelettrica. In Figura 106 è possibile osservare un layout semplificativo del processo appena
descritto.

Serbatoio
caldo

Generatore Impianto
Sistema di accumulo di vapore Archimede

Serbatoio
freddo
sali fusi

Campo solare

Figura 106: Layout di massima (fonte Enel)


I principali sistemi ausiliari dell’impianto sono quelli relativi alla preparazione del fluido di
processo, alla sua circolazione nell’impianto, al riscaldamento delle tubazioni e dei componenti, al
movimento dei collettori solari. Per finire parte essenziale è il sistema di regolazione e controllo della
centrale solare che dovrà assolvere le seguenti funzioni: supervisione e monitoraggio dell’intero
processo, regolazione della temperatura del fluido, calcolo dell’angolo di puntamento dei paraboloidi e
comunicazione con i sistemi di movimentazioni dei collettori, monitoraggio dei sistemi di riscaldamento
elettrico delle tubazioni e dei componenti principali, gestione delle sequenze automatiche durante le
transizioni di stato, gestione allarmi, procedure di sicurezza, emergenze.
Riepilogando, i principali componenti dell’ impianto solare sono dunque:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 182

• Campo solare o campo specchi


• Circuito idraulico dei sali fusi
• Sistema di accumulo termico
• Generatore di vapore solare GVS
• Sistemi ausiliari per avviamento e mantenimento impianto
• Sistema di regolazione e controllo
E’ bene a questo punto riassumere brevemente quello che rappresenta il ciclo del processo. In
presenza di radiazione solare diretta il fluido termovettore, prelevato dal serbatoio a 290°C viene fatto
circolare attraverso il campo specchi. In uscita da questo, raggiunti i 550°C, viene inviato al serbatoio
caldo. I Sali fusi in uscita dal serbatoio vengono pompati nel GVS in cui, trasferendo all’acqua il loro
calore sensibile, si raffreddano a 290° e ritornano al serbatoio freddo chiudendo così il ciclo.

8.2 DESCRIZIONE GENERALE CICLO COMBINATO


La centrale termoelettrica ENEL di Priolo Gargallo, inizialmente alimentata ad olio combustibile
e di recente ambientalizzata a CH4 in assetto combinato, è composta da due sezioni da 380 MWe
ciascuna (250 MWe il gruppo turbogas, 130 MWe il gruppo vapore) per una potenza complessiva di
760 MWe.
In ognuno dei due gruppi a ciclo combinato della centrale è possibile distinguere quattro
sottosistemi, il gruppo turbogas Siemens V94 3/A (TG), il generatore di vapore a recupero (GVR), la
turbina a vapore (TV), e il condensatore (C). Come si può apprezzare dalla Figura 107, nel gruppo
turbogas il metano e l’aria compressa dal compressore CO vengono bruciati nella camera di
combustione CC; da qui i fumi prodotti dalla combustione vengono inviati nella turbina a gas TG dove
cedono la loro entalpia che viene trasformata in energia meccanica.
La turbina a gas fornisce energia in parte al compressore CO che continua a comprimere nuova
aria proveniente dall’ atmosfera, in parte al generatore elettrico GE1 che immette l’energia elettrica in
rete. I fumi in uscita dalla turbina a gas, essendo ancora ad alto contenuto entalpico, vengono spediti al
generatore di vapore a recupero dove cedono gran parte della loro energia al vapore attraverso i vari
scambiatori di calore posti nel GVR: il vapore aumenta così il suo livello entalpico e viene inviato
quindi ai vari livelli della turbina a vapore.
Qui il fluido cede la propria energia e viene spedito al condensatore, da cui parte nuovamente per
raggiungere il GVR.

Figura 107: Schema a blocchi - centrale a ciclo combinato (fonte Enel)


Il vapore solare prodotto dalla centrale solare integrata deve essere distribuito alle due turbine a
vapore. Si pone così il problema dello spillamento del vapore che dal GVR deve raggiungere il
generatore di vapore solare GVS. Tale problema verrà esaminato più avanti.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 183

1.3.1 I CICLI TERMODINAMICI


Per ciò che concerne il gruppo turbogas, si ricorda che esso segue il ciclo Bryton; con riferimento
alla Figura 108 osserviamo le seguenti trasformazioni: la 1-2 è una compressione adiabatica a entropia
crescente, il compressore CO comprime l’ aria proveniente dall’ atmosfera.
La 2-3 rappresenta la trasformazione di riscaldamento del fluido grazie alla combustione che
avviene in camera di combustione: si può osservare che la 2-3 non è isobara, ma la pressione tende via
via a diminuire, sebbene di poco, a causa delle perdite di carico.
La 3-4 rappresenta l’espansione in turbina e la trasformazione risulta essere adiabatica a entropia
crescente. A chiudere il ciclo interviene la 4-1 che avviene nell’ atmosfera.

Figura 108 : Ciclo Bryton, Ciclo Hirn


Il ciclo Hirn descrive invece il processo compiuto dal vapore; la 0-1 indica la fase di
riscaldamento dell’ acqua che avviene nella parte meno calda del Generatore di Vapore a Recupero, in
particolare negli scambiatori detti “Economizzatori” (Eco); la 1-2 è una trasformazione isotermobarica di
vaporizzazione, avviene sempre nel GVR, ma nelle sezioni dei cosiddetti “Evaporatori” (Eva); la 2-3
rappresenta la fase di surriscaldamento del vapore, tale fase avviene ancora all’ interno del GVR ma
nelle sezioni dei surriscaldatori (SH); la 3-4’ rappresenta una prima espansione del vapore (ciò avviene
nella Turbina a vapore) che rimane comunque, allo scarico, ancora surriscaldato; da qui il vapore viene
ancora risurriscaldato dai risurriscaldatori (RH) del GVR ed inviato in turbina dove si espande secondo
la 3’-4; siamo ora all’uscita del vapore dalla turbina e a questo punto il vapore viene inviato al
condensatore C dove avviene appunto la condensazione del vapore lungo la isotermobarica 4-0.
8.3 LA CENTRALE A CICLO COMBINATO
In questo capitolo si tiene conto, in prima battuta, degli aspetti generali del ciclo combinato; non
entrando nei particolari del gruppo turbogas, già sufficientemente descritto nel capitolo introduttivo,
passando poi alla descrizione del GVR, propedeutica ai fini dello studio dell’integrazione della centrale
solare col ciclo combinato.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 184

Figura 109:Centrale Archimede

8.3.1 GENERALITÀ SUGLI IMPIANTI COMBINATI GAS – VAPORE


Dal punto di vista strettamente termodinamico le turbine a gas sono convertitori di energia di
buona resa; tuttavia per meglio sfruttare la loro potenza è bene far ricorso agli impianti in assetto
combinati gas-vapore. In tali impianti, come detto, il calore dei gas di scarico della turbina a gas viene
utilizzato in una caldaia a recupero per generare vapore d’ acqua che evolve in un ciclo a vapore a
condensazione. A tale ciclo viene quindi demandato il ruolo di recuperare, nel modo più efficiente
possibile, il calore presente allo scarico della turbina a gas e di trasformarlo in energia
meccanica/elettrica. L’accoppiamento dei due circuiti gas-vapore consente di realizzare un’ esigenza
sempre perseguita nella termodinamica dei cicli di potenza: la coesistenza dell’ introduzione di calore ad
alta temperatura (possibile solo in impianti a combustione interna) e del rilascio del calore a bassa
temperatura (possibile solo con cicli a condensazione).

Figura 110: Centrale Archimede


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 185

Nonostante l’idea base dei cicli combinati sia nota da lungo tempo, la realizzazione industriale di
tali impianti, essendo ovviamente subordinata allo sviluppo tecnologico della turbina a gas, è molto
recente. Le prime applicazioni dei cicli combinati risalgono agli anni ’60, ma non ebbero grande
diffusione perché i rendimenti delle turbine a gas di quell’ epoca erano inferiori allo 0,25 e di
conseguenza il rendimento dei cicli combinati non raggiungeva lo 0,40: essi erano quindi poco
competitivi rispetto alle tradizionali centrali a vapore. Inoltre la tecnologia della turbina a gas era poco
sviluppata e la macchina era ritenuta scarsamente affidabile. La situazione è radicalmente cambiata solo
con il recente avvento (anni ’80) delle turbine a gas industriali di seconda generazione con rendimenti
superiori a 0,3: tutte le centrali a ciclo combinato installate negli anni ’80 presentano così rendimenti
netti compresi fra 0,44 e 0,50, ben superiori a quelli delle centrali convenzionali a vapore.
Le moderne centrali a ciclo combinato, come la centrale Archimede di Priolo Gargallo, Figura
109 e Figura 110, ha un rendimento di 57,75%, impensabile sino a qualche tempo fà.
Ma oltre ai pregi dell’ elevato rendimento gli impianti combinati hanno altri vantaggi di carattere
economico e funzionale, in particolare:
a) Rendimenti elettrici elevati anche ai carichi parziali;
b) Alta flessibilità di esercizio, consentendo:
1. Il funzionamento di “base”
2. Il funzionamento con “modulazione di carico”
3. Il funzionamento di “punta”
4. Avviamenti giornalieri
5. Ridotto impatto ambientale
6. Bassi costi di installazione, esercizio e manutenzione
7. Possibilità di utilizzare diversi combustibili
8. Elevata affidabilità e disponibilità
9. Tempi brevi di costruzione e di installazione
La turbina il cui combustore è alimentato a gas naturale è il tipo di macchina meno inquinante tra
quelle esistenti perché, all’assenza di emissioni a base di zolfo, unisce una concentrazione di pochi ppm
di CO e di idrocarburi incombusti e al massimo di 70 ppm di NOx essendo provvista di sistema di
abbattimento con iniezione di acqua o vapore in camera di combustione.
Una ulteriore riduzione a 10-15 ppm di NOx , può essere ottenuta con l’installazione di un
sistema catalitico inserito nella caldaia a recupero, oppure di camere di combustione “a secco” a
premiscelazione.

8.3.2 IL GVR DEL CICLO COMBINATO


Il Generatore di Vapore a Recupero (GVR), come detto più volte, ha il compito di trasferire il
calore dei gas di scarico del gruppo turbogas ad un ciclo termico al fine di ottenere vapore atto ad
alimentare una turbina a vapore accoppiata al relativo alternatore. I GVR installati nella centrale
Archimede sono 2, uno per ogni gruppo turbogas presente; sono di tipo orizzontale rispetto al flusso
dei gas provenienti dalla Turbina a Gas TG.
Sono composti da sezioni di scambio termico che producono vapore a tre livelli di pressione con
banchi evaporanti a circolazione naturale a tubi verticali e privi di qualunque sistema di post
combustione (la post combustione è nociva in quanto, sotto il profilo termodinamico, è beneficio
introdurre nel ciclo l’energia pregiata del combustibile alle temperature più elevate, e quindi nella
camera di combustione del gruppo turbogas, piuttosto che degradarla, come si fa nella post
combustione, in uno scambio termico a temperature relativamente basse come quelle del ciclo a
vapore).
Il GVR è previsto per il solo funzionamento a recupero, con i livelli di AP MP e BP a pressione
variabile in funzione del carico, ed è completamente drenabile.
I dati di progetto del GVR riferiti al CNC, ovvero al carico nominale continuo, sono sotto
riportati:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 186

Riferimenti
Temperatura ambiente 15° C
Pressione ambiente 1013,25 mbar
Umidità Relativa 60%

Ingresso fumi da turbogas


Portata fumi 620° C
Temperatura 14,19% massa
Temperatura di progetto max 5,19% massa
O2 nei fumi Perdita carico totale fumi GVR
H2O nei fumi
650,4 kg/s 31 mbar
591,5° C

Sezione di AP
Portata vapore 72,7 kg/s uscita GVR
Pressione vapore uscita GVR 101,17 bar
Temperatura vapore uscita GVR 540° C
Portata desurriscaldamento SH 105,5 bar
Pressione cc 0

Sezione di MP
Portata vapore 16,8 kg/s
Pressione vapore uscita GVR 15,5 bar
Temperatura vapore uscita GVR 294° C
Pressione cc 16,5 bar

Sezione di BP
Portata vapore 8,1 kg/s
Pressione vapore uscita GVR 3,82 bar
Temperatura vapore uscita GVR 300° C
Pressione cc 4,5 bar
Portata ricircolo ECO 39,16 kg/s
Temperatura ingresso ECO 60° C

Sezione di RH
Portata vapore da turbina
Portata vapore uscita GVR
Temperatura monte miscelazione SHMP
Pressione vapore ingresso GVR
Pressione vapore uscita GVR
Temperatura vapore uscita GVR

65,63 kg/s
82,44 kg/s
292,6° C
15,47 bar
13,97 bar
540° C
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 187

La larghezza del GVR, intesa quella di alloggiamento di tutti i fasci tubieri (arpe) è di 10 m. L’
altezza del GVR interessata all’ attraversamento dei fumi è 21 m, mentre l’altezza massima del GVR
rispetto al pianori riferimento è di 36m: a tale quota sono installati i silenziatori degli sfiati ed il
serbatoio per la conservazione del GVR in azoto. La mezzeria dei tre corpi cilindrici si trova a quota
31,3m dal piano di riferimento, e la loro lunghezza è di 12m.
la lunghezza del convogliatore del gas verso il GVR, compreso il giunto dilatatore, è di 14m. la
mezzeria del condotto di scarico gas dalla TG si trova a 4,58m da terra. La ciminiera è alta circa 90m.I
quantitativi di acqua richiesta per il riempimento di tutto il GVR sono di circa 271m3 di acqua.
Ogni banco di riscaldamento è costituito da tre banchi verticali detti appunto arpe. Ogni arpa è
costituita da più gruppi di 1, 2, 3, 4 tubi alettati, in parallelo per quanto riguarda il percorso dei fumi.
Un certo numero di arpe costituiscono i vari banchi ECO, tubi vaporizzatori, e di
surriscaldamento dei vari livelli di pressione.
Dal punto di vista del percorso dei fumi, tutti i banchi sono disposti in serie. In Figura 111 è
riportato uno schema di principio del GVR e delle sue interconnessioni con il turbogas e la turbina a
vapore. L’impianto di Priolo possiede due impianti simili a quello di figura, esercibili in maniera
indipendente, per una potenza complessiva di circa 2 x 385 MW elettrici.

Energia elettrica (130 MW)

TURBINA A VAPORE CONDENSATORE


S43

CND1
S23
S29
Ingr. Acqua mare
PUMP2

HPST
S30
Usc. Acqua mare
S41
IPST S19
S32

ADMMIX CNDPMP
USCUTA S33

S14
S25
CONDST
S44
S22

GVR

S48

PUMP1 S3

RHTMIX S39
HPPUMP
S2
S24 PMPSPL

S45 S49 S34

S21 S28
S42

S46 S35 S27 S26

S38 S50

S5 S6 S7 S8 S9 S10 S11 S12 S15 S16 S17 S18 S20 S13 S4 Fumi
DUCT
SH2AP SH1AP EVAAP SHMP SHBP ECO3AP EVAMP ECO2AP ECOMP ECO1AP EVABP WHTR
RH2MP RH1MP

S1

TURBOGAS

Metano
S40

PRIOLO - Ciclo Combinato di base


C1
CMB1

Schema semplificato di principio


S31
S36

Aria
S37

EX1

S47

Energia elettrica (250 MW)

Figura 111: Ciclo combinato di base, fonte ENEL


RINGRAZIAMENTI E DEDICA 188

8.4 IL CICLO DEL VAPORE ALL’ INTERNO DEL GVR

8.4.1 SEZIONE DI BASSA PRESSIONE BP


L'acqua di alimento proveniente dal condensatore, dopo essere passata attraverso
l'economizzatore di BP, viene inviata alla torre degasante posta sopra il CC di BP.. Per eliminare i
possibili fenomeni di condensazione del vapore d'acqua contenuto nei fumi, dovuti alla bassa
temperatura dell'acqua di alimento, è stato previsto un sistema di ricircolo di una parte dell'acqua in
uscita-ingresso ECO, tramite una pompa ed una valvola di regolazione temperatura ingresso ECO che
regola la temperatura stessa a 60°C circa.
Inoltre, per evitare i fenomeni di vaporizzazione dell'acqua uscita ECO BP, è prevista una valvola
a tre vie che serve per regolare la temperatura in ingresso al degasatore ad un valore di 10 °C inferiore
alla temperatura del saturo all'interno del C.C. (Sottorafreddamento); comunque la pressione all'interno
delle tubazioni dell'economizzatore di BP sarà garantita, dalla PEC (Pompe Estrazione Condensato), ad
un valore nettamente superiore a quella esistente nel C.C., pertanto non si dovrebbero verificare
fenomeni di vaporizzazione dell'acqua ingresso torre degasante.
La valvola a tre vie, inoltre, è dimensionata anche da by-pass eco BP per evitare che temperatura
dei gas di scarico scendano al di sotto di un certo valore (100°C).
II C.C. BP è collocato sotto la torretta del degasatore e serve da serbatoio di raccolta acqua
degasata e riscaldata per mezzo vapore prodotto nello stesso CC; la sua capacita deve garantire il
corretto e stabile funzionamento in tutte le condizioni operative nominali.
L'acqua satura dal corpo cilindrico di B.P. è inviata al circuito evaporante, costituito da tubi di
caduta (downcomers), evaporatore, in cui avviene lo scambio termico acqua/fumi equicorrente rispetto
al flusso dei fumi, dai tubi di ritorno (risers) che convogliano la miscela liquido - vapore all'interno del
CC; la circolazione nel circuito evaporante avviene in modo naturale.
La miscela acqua/vapore prodotta viene fatta passare entro "cicloni" con separatori in modo da
realizzare una prima sostanziale separazione dell'acqua dal vapore e dopo questa prima separazione il
vapore attraversa i filtri essiccatori situati direttamente al di sotto delle uscite del vapore dal corpo, che
provvedono ad essiccare al massimo il vapore.
Dal corpo cilindrico è derivata la linea che serve le pompe di acqua alimento per i livelli di alta e
media pressione del GVR; in esso si innestano anche le due linee separate dei ricircolo di minima
portata delle pompe acqua di alimento.
II degasatore è integrato con il corpo cilindrico di BP il cui evaporatore produce, oltre al vapore
di processo, anche il vapore per il degasaggio dell'acqua alimento; quindi la maggior portata di vapore
richiesta per la degasazione sarà sottratta a quella erogata dall'SH BP.
Le valvole di regolazione livello C.C. sono due, una normalmente in regolazione, l’ altra di riserva.

8.4.2 SEZIONE DI MEDIA PRESSIONE MP


L'acqua mandata da uno stacco intermedio delle pompe di alimento, secondo il verso di
percorrenza perviene in ingresso al GVR dove si trovano le seguenti apparecchiature:
• valvola motorizzata di intercettazione dell'alimento di MP con relativa valvola di non ritorno;
• derivazione per la linea di attemperamento utilizzata per il controllo della temperatura del vapore
SH di MP;
• economizzatore di MP con relativa valvola di sicurezza che garantisce la protezione
termomeccanica di emergenza dell'economizzatore che scarica al serbatoio spurghi intermittente;
• valvola motorizzata al serbatoio spurghi intermittente per flussare il banco ECO di MP quando la
portata è inferiore ad un certo valore;
• complesso di regolazione di livello del corpo cilindrico costituito da due valvole una di riserva
all'altra; è installato a valle dei banchi ECO MP in modo da mantenere più alta la pressione ed
aumentare quindi il margine disponibile prima di trovarsi in condizione di saturazione;
• corpo cilindrico di MP;
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 189

• sfiato motorizzato C.C. al serbatoio spurghi intermittente; su questa linea s'immette l'attacco per
la conservazione in azoto.
L'acqua satura dal corpo cilindrico di MP è inviata al circuito evaporante, costituito da tubi di
caduta (downcomers), evaporatore, in cui avviene lo scambio termico acqua/fumi equicorrente rispetto
al flusso dei fumi, dai tubi di ritorno (risers) che convogliano la miscela liquido - vapore all'interno del
CC; la circolazione nel circuito evaporante avviene in modo naturale.
La miscela acqua/vapore prodotta viene fatta passare entro "cicloni".
A valle valvola stop troviamo la valvola pneumatica di regolazione con relativa non ritorno, per
immissione vapore di MP sulla linea dell'RHF.
Attraverso questa linea, opportunamente dotata di valvola di sicurezza, il vapore SH di MP
insieme a quello proveniente dallo scarico turbina di AP perviene nei primi due banchi dell'RH,
nell'attemperatore per controllarne, tramite immissione di acqua mandata pompe alimento, la
temperatura finale e, successivamente, nell'ultimo banco dell'RH.

8.4.3 SEZIONE DI ALTA PRESSIONE AP


L'acqua mandata dalle pompe di alimento, secondo il verso di percorrenza, perviene in ingresso al
GVR dove si trovano le seguenti apparecchiature:
• valvola motorizzata di intercettazione dell'alimento di AP e relativa non ritorno;
• immissione mandata pompa per eventuale conservazione in umido;
• Economizzatore AP di bassa temperatura;
• Economizzatore AP di media e di alta temperatura;
• valvola di sicurezza che scarica al serbatoio spurghi intermittenti;
• valvola motorizzata al serbatoio spurghi intermittente per flussare il banco ECO di AP quando la
portata è inferiore ad un certo valore;
• linea di immissione azoto per la conservazione;
• complesso di regolazione di livello del corpo cilindrico;
• sfiato, motorizzato, che scarica al serbatoio spurghi intermittenti con linea di conservazione in
azoto;
L'acqua satura dal corpo cilindrico di AP è inviata al circuito evaporante, costituito da tubi di
caduta (downcomers), evaporatore, in cui avviene lo scambio termico acqua/fumi equicorrente rispetto
al flusso dei fumi, dai tubi di ritorno (risers) che convogliano la miscela liquido - vapore all'interno del
CC; la circolazione nel circuito evaporante avviene in modo naturale.
II vapore saturo secco in uscita dal C.C, attraversa i banchi dell'SH sino alla valvola stop caldaia.
A monte valvola stop troviamo lo sfiato finale, regolante, con relativo silenziatore; su questa linea
s'immette l'eventuale conservazione in azoto, la presa per campione chimico, la mandata pompa per
eventuale conservazione in umido e la valvola di sicurezza.
8.5 LA TURBINA A VAPORE
Nella Centrale Archimede di Priolo Gargallo sono attualmente presenti due turbine di
costruzione Tosi (anni 1975 e 1978), di potenza nominale originaria di 329 MW, prima adibite al
funzionamento accoppiato a caldaie a vapore di tipo olio / gas.
La turbina, in figura 2.4, a fronte della trasformazione in Centrale a Ciclo Combinato, è stata
modificata nelle sezioni di alta e media pressione come in Figura 112.
Le perdite meccaniche in questa macchina sono di 1000 kW, le perdite dell’ alternatore sono di
2336 kW, la potenza netta ai morsetti risulta essere pari a 131 MW.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 190

Figura 112: Turbina prima della modifica per il funzionamento a ciclo combinato

Figura 113: Turbina a vapore modificata


RINGRAZIAMENTI E DEDICA 191

8.6 L’ IMPIANTO SOLARE


In questo capitolo si descrive dettagliatamente ogni componente necessario per il buon
funzionamento della centrale solare a partire dagli specchi parabolici che raccolgono l’energia solare.

8.6.1 I CONCENTRATORI PARABOLICI LINEARI


La sezione di raccolta dell’energia solare è costituita da pannelli, elementi, collettori e moduli. Il
sistema base è un paraboloide riflettente di lunghezza 12 m e apertura 5,9 m denominato Elemento.
Ogni elemento è costituito da 10 specchi ricurvi detti Pannelli, vedere le Figura 114 e Figura
115. I collettori sono costituiti da 8, 6 o 4 elementi e hanno lunghezze rispettivamente di 100 m, 75
m, 50 m. Il modulo o stringa è un insieme di collettori collegati in serie idraulicamente: ha una
lunghezza di 600 m.
L’asse focale sarà quella nord-sud, il moto di inseguimento solare avverrà sul piano azimutale,
da est a ovest.
Per il pannello riflettente abbiamo il coefficiente di riflessione ρ = 0,94; il tubo ricevitore è
caratterizzato dal coefficiente di trasmissione τ = 0,97 (è in acciaio) ed è alloggiato in un tubo esterno
di vetro antiriflettente.

Figura 114: Concentratore Parabolico Lineare


Fra i due tubi vi è un’intercapedine di vuoto con pressione di 10¯² Pa, condizione questa
finalizzata alla massima limitazione delle perdite termiche del tubo ricevitore per conduzione e
convezione.
Sul tubo in acciaio si ha un rivestimento in cermet (film di allumina e tungsteno) avente
coefficiente di assorbimento dello spettro solare α = 0,94. Il rendimento ottico del sistema risulta allora
η ottico = ρ τ α γ , con γ fattore di intercettazione, cioè frazione di flusso solare intercettato dal ricevitore.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 192

Figura 115: Vista in scala dei supporti per i pannelli (fonte Enel)

Figura 116: vista dall’alto di un elemento da 10 pannelli


In letteratura tecnico-scientifica γ = 0,95, per cui il rendimento ottico risulta pari a η ottico =
ρ τ α γ = 0,81. Con i valori più bassi di ρ, τ otteniamo un ηottico dirty pari a 0,77.
Il rendimento totale del paraboloide ηtot = η ottico * η termico.
Il rendimento termico è funzione del coefficiente di perdita globale del sistema, delle condizioni
di scambio termico nell’interfaccia fluido – ricevitore, della temperatura di lavoro, dell’irradianza solare.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 193

Figura 117: Specchi e collettori in fase di montaggio (fonte Enel)


Il fluido termovettore è costituito da una miscela di sali composta per il 40% da nitrato di
potassio, per il 60% da nitrato di sodio. Questi sali sono stabili fino a 600° e sono poco inquinanti,
poco costosi, poco corrosivi.
Passando da 550° a 290° la potenza termica estraibile in perfetta adiabaticità da 1 kg/s è q =
393,96 kW con Cx 1,515 kJ/kgK.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 194

Figura 118: Moduli rispettivamente a 8, 6 4 elementi.

Figura 119: Layout del collettore


RINGRAZIAMENTI E DEDICA 195

8.7 BILANCI DI ENERGIA NEI SOTTOINSIEMI DELLA CENTRALE SOLARE


L’energia che entra in gioco nel bilancio dei vari sottoinsiemi è:
• Energia solare raccolta dal campo specchi
• Energia termica trasmessa al fluido termovettore (assorbita) in uscita dal campo specchi
• Energia potenzialmente immagazzinabile nel sistema di accumulo ottenuta sottraendo alla energia
termica assorbita dal fluido le perdite termiche della rete di distribuzione durante le ore di
produzione del campo specchi
• Energia persa durante le ore notturne e di bassa insolazione
• Energia scartata (causa serbatoio caldo già saturo di miscela)
• Energia integrata, energia che occorre integrare quando il serbatoio caldo non è alla massima
capacità di accumulo e si è di notte o in presenza di bassa insolazione
• Energia utilizzata, inviata cioè al GVS
• Energia elettrica, prodotto finale della centrale solare

8.8 PERDITE
Nei periodi di insufficiente radiazione solare (notte, giornate nuvolose), all’interno del campo
solare e nella rete di distribuzione, è necessario mantenere i sali fusi in movimento allo scopo di
evitarne la cristallizzazione. Nel campo solare si hanno quindi perdite dal campo specchi e dalla rete di
distribuzione in condizioni di scarsa irradiazione e perdite di energie, essenzialmente dalla rete di
distribuzione, in condizioni di produzione di energia.
Le ore di funzionamento annue del campo specchi con produzione di energia termica sono 2393,
le ore di non funzionamento 6367. Le perdite termiche annuali del campo specchi e della rete di
distribuzione in condizioni di mancanza di produzione termica da fonte solare ammontano a 23,7
GWh. Le perdite termiche annuali della rete di distribuzione in condizione di produzione termica da
fonte solare sono di circa 5,2 GWh.

8.9 BILANCIO TERMICO NELL’ACCUMULO


In assenza di accumulo termico la produzione di energia sarebbe possibile solamente in presenza
di radiazione solare, con un fattore di carico (rapporto tra l’energia termica inviata al GVS e quella
necessaria se l’impianto lavorasse sempre nelle ore di funzionamento alla potenza nominale) pari a circa
il 16%. Per il dimensionamento dell’accumulo termico si è prima fatta l’ipotesi di funzionamento
continuo dell’impianto; un documento dell’ENEA conclude che la capacità termica ottimale è di 500
MWh, corrispondente a circa 14 ore di accumulo alla massima potenza termica di 36,4 MWt.
Il fattore di utilizzo, rapporto tra l’energia termica inviata al GVS e la massima accumulabile,
raggiunge il 90%, il fattore di carico aumenta al 38%.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 196

Fattore di utilizzo Fattore di carico


1.0

0.8
Frazione

0.6

0.4

0.2

0.0
0 500 1,000 1,500 2,000 2,500
Capacità accumulo [ MWh ]

Figura 120: Fattore di utilizzo e fattore di carico, in funzione della capacità di accumulo
L’energia solare che arriva annualmente sul campo specchi è pari a 253,4 GWht e l’energia
termica prodotta (assorbita dal fluido) è pari a 156,6 GWht. Le perdite di rete annuali sono, durante la
produzione, pari a 5,2 GWht e dunque l’energia accumulabile a tali condizioni è 151,3 GWht.
Assumendo che il generatore di vapore solare GVS utilizzi 120,3 GWht si determina una potenza
termica media annua di 19,4 MW; appena il 30,12 % del carico massimo ammissibile dal GVS.
L’energia termica accumulabile è dunque di 151,3 GWht, che depurata dell’energia spesa nel
ricircolo notturno determina l’energia termia consegnabile al GVS a meno di quantità scartate o
reintegrate, ed è pari a 127,6 GWht. Ma allora ci si aspetta che complessivamente la somma algebrica
degli scarti (-) e dei reintegri (+) sia uguale a 127,6 – 120,3 = 7,3 GWht. Inoltre l’energia scartata è di
13,1 GWht mentre la reintegrata è di 5,7 GWht.
L’energia effettivamente accumulata nel serbatoio sarà allora pari a 138,2 GWht, in quanto
differenza tra l’ accumulabile e la scartata. Dunque la centrale solare riesce ad accumulare l’ 88,3 %
dell’energia solare trasferita al fluido ed a utilizzare nel GVS l’ 87 % dell’energia accumulata (fattore di
utilizzo). Alla potenza termica entrante nel GVS corrisponde un rendimento di conversione termico
elettrico del 38,1 %. L’energia elettrica prodotta dalla centrale solare è quindi pari a 0,381*120,3=45,83
GWht,con un rendimento annuo solare elettrico del 18,09 %. La potenza elettrica prodotta mediata
sulle 6200 ore di funzionamento è pari a 7,4 MW.
Rifacendo lo stesso ragionamento possiamo poi effettuare il bilancio nell’ipotesi in cui la centrale
sia in funzione tra le 7 e le 21, ovvero per 14 ore al giorno, per un totale annuo di 5.110 ore (il 58 %
delle ore) osserviamo che:
• L’energia solare che arriva annualmente sul campo specchi è pari a 253,4 GWht e l’ energia
termica prodotta annualmente dai paraboloidi (assorbita cioè dal fluido) è pari a 156,5 GWht
con un rendimento medio annuo del sistema solare pari al 61,8%.
• Durante la produzione, essendo le perdite di rete 5,2 GWht, l’energia accumulabile è di 151,3
GWht.
• L’energia termica scartata scende a 1,4 GWht (contro i 13,1 di energia scartata nel caso di
funzionamento continuo); ciò dimostra come in tale modalità si massimizzi l’energia l’utilizzo
dell’energia termica prodotta dal campo specchi.
• Evidentemente l’energia effettivamente accumulata nel serbatoio caldo sarà pari a 149,9 GWht .
• Il GVS in tal modo utilizza 130,6 GWht che determinano una potenza termica media di 47,1 MW
• La centrale riesce ad accumulare dunque il 99,1% dell’energia solare accumulabile e ad utilizzare
nel GVS l’87% dell’energia accumulata (fattore di utilizzo): alla potenza termica entrante nel
GVS si ha un rendimento di conversione termico elettrico pari al 42,% per cui annualmente si
ha una potenza elettrica media di 20,1 MW e una produzione di energia elettrica lorda da fonte
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 197

solare di 55,9 GWht. L’energia elettrica netta viene ottenuta dalla lorda sottraendo da questa un
3% necessario al funzionamento degli ausiliari relativi alla parte solare.
• Rispetto al funzionamento continuo l’aver ridotto il numero il numero di ore di produzione ha
notevolmente aumentato potenza termica media e potenza elettrica media dell’impianto.

Figura 121: Schema a blocchi che riassume il bilancio energetico annuale con funzionamento “parzializzato” di 14 h/d .I pedici
“s”, “t” ed “e” indicano rispettivamente potenza solare, termica ed elettrica

8.10 DIMENSIONAMENTO DELL’ACCUMULO


L’energia termica in joule accumulata in un kg di sale quando questo si riscalda passando da 290°
a 550° è di 393,962 kJ. Poiché la capacità termica di progetto del serbatoio è di 500 MWh, la massa di
sale fuso necessaria sarà: m = (500*3,6*10E6)/393,962 = 4569 t. La densità è pari a 1740 kg/m³,
dunque il volume del sale è di 2626 m³. Stimando in prima approssimazione la quantità di Sali presenti
nel campo solare e nelle tubazioni che collegano i serbatoi al campo solare e al GVS, complessivamente
la massa di sale che deve essere accumulata nei serbatoi è pari a circa 5168*103 kg con un volume ( a
550°) pari a 2970 m³.
L’effettiva capacità dei serbatoi è stata definita prevedendo anche uno spazio vuoto tra il livello
massimo e il tetto del serbatoio e una quantità aggiuntiva di sali da lasciare sempre nel serbatoio per un
livello pari ad un metro, questo allo scopo di mantenere assicurata la presenza dei Sali fusi in tutto il
sistema di riscaldamento di questi ultimi.
In definitiva la quantità complessiva di sali nel serbatoio risulta pari a 6615*103 kg , ovvero circa
3800 m³ a 550°.
8.11 INTERAZIONE GVS CON GVR E TV DEL CICLO COMBINATO
Il vapore prodotto dall’impianto solare servirà ad integrare quello prodotto dal recupero del
calore dei fumi del gruppo turbogas. La scelta progettuale è quella di creare un GVS distinto dal
generatore di vapore a recupero dell’attuale ciclo combinato. Naturalmente il GVS è uno scambiatore di
calore sali fusi – acqua/vapore. E’ stato ipotizzato di produrre nel GVS vapore con caratteristiche simili
a quello prodotto dal GVR, sfruttando la controcorrente dei due fluidi.
Il GVS sarà pertanto costituito da tre scambiatori, economizzatore, evaporatore, surriscaldatore.
L’acqua da inviare al GVS verrà spillata dal GVR dell’attuale ciclo combinato. Se il turbogas
lavora a condizioni di carico nominale la maggiore portata di vapore dovuta alla produzione di vapore
solare in uscita dal GVS altera i valori di pressione e temperatura.
Occorre dunque aver ben presenti i valori di pressione massima ammissibile e di temperatura per
i vari componenti dell’attuale GVR. Possiamo già anticipare che il vapore di origine solare va inviato ad
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 198

entrambi i due gruppi dell’attuale ciclo combinato. Dall’analisi delle varie modalità di spillamento
dell’acqua dal GVR risulta che la soluzione più efficiente è quella che prevede lo spillamento dell’acqua
in uscita dall’ ECO2 AP. I benefici legati a tale configurazione sono i seguenti:
• Acqua prelevata a valle del degasatore, non richiede dunque specifici trattamenti di degasaggio.
• La pressione di spillamento è superiore a quella a cui avviene l’immissione di vapore nella turbina
di alta temperatura; ciò consente di utilizzare la pompa attualmente presente a valle
dell’economizzatore di media pressione, previa verifica funzionale.

Figura 122: Interazione GVS e GVR (fonte Enel)

• La temperatura di spillamento è la massima possibile, per cui la portata di acqua da ricircolare


dall’uscita all’ingresso dell’economizzatore per riscaldare l’acqua a 238° è la minima possibile.
• È possibile sfruttare al massimo le possibilità offerte dall’impianto a ciclo combinato in termine di
integrazione di vapore aggiuntivo.
• L’efficienza elettrica di conversione dell’energia termica solare raggiunge il valore massimo.
• La soluzione di prelievo dell’ acqua dal GVR a vale dell’ ECO2 AP garantisce che la potenza
termica scambiabile nel GVS sia di 32,2 MW, senza che nel GVR si superino i limiti di
pressione di esercizio. In definitiva le limitazioni della potenza aggiuntiva solare generabile sono
dovute:
• Al dimensionamento del generatore di vapore che con i suoi 70 MW potrebbe contribuire ad una
generazione elettrica di poco oltre 30 MW.
• Al raggiungimento dei limiti di prestazione dei due attuali cicli combinati che, ove non si volesse
ridurre la portata di metano ai turbogas, potranno contribuire per circa 28 MW aggiuntivi.
In Figura 124 è riportato l’andamento previsto della potenza elettrica totale di origine solare e del
relativo rendimento netto di conversione, in funzione del carico termico del GVS.
La situazione reale, ai bassi carichi, potrà essere qualitativamente migliore di quanto presentato,
nell’ipotesi per esempio che tutta l’integrazione di vapore (purché inferiore a 12,7 kg/s) sia inviata ad un
solo gruppo a ciclo combinato, innalzandone così il rendimento di conversione.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 199

Integrazione potenza termica solare su due cicli combinati


50 0,500

45 0,450

40 0,400

R endim ento netto


35 0,350

M W e totali
30 0,300

25 0,250

20 0,200

15 0,150

10 0,100

5 0,050

0 0,000
0 10 20 30 40 50 60 70 80

Potenza ingresso sali fusi al GVS (MWt)

Potenza el. Solare netta (MW) Rendimento netto fra sali ed en.el.

Figura 123: Integrazione potenza termica e solare su due cicli combinati (fonte Enel)

Figura 124: Possibilità di integrazione (fonte Enel)

8.12 DIMENSIONAMENTO DEL GVS


Come detto, la potenza termica presa a riferimento nella progettazione del GVS è stata fissata
pari a 70 MW (per via del dimensionamento del campo specchi, dell’accumulo termico, del
funzionamento della centrale), superiore dunque alla potenza di 64,40 MW (32,20 x 2) che corrisponde
al raggiungimento delle pressioni massime ammissibili per il GVR. Supponendo ora, preliminarmente,
una dispersione di calore nel GVS pari all’1%, causa imperfetta adiabaticità coibentazioni scambiatore e
tubazioni, la potenza termica disponibile per la produzione di vapore risulta essere:
Qd = 0,99 *Qp = 0,99 * 70 = 69,3 MW
Nelle nuove condizioni di progetto:
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 200

Caratteristiche dell’acqua in Caratteristiche del vapore in Portata di acqua Calore assorbito


ingresso ingresso alla turbina AP del ciclo spillata dall’acqua
al GVS combinato Potenza
Elettrica
UM °C bar °C Bar kg/s MW MW
Spillamento a 13,67*2 34,63*2 14,86*2
valle ECO2 213,3 122,67 535 111,18 =27,34 =69,26 =29,72
AP
Tabella 17: Spillamento di vapore
Dalla potenza nominale di progetto 70MW si ottiene la portata di sali fusi Msale che è necessario
far fluire in condizioni nominali di carico termico:
Msale = Qp/q = 70*10³/393,96 = 177,6 kg/s
Il rapporto tra la massima potenza scambiabile, 70 MW, ed il salto entalpico tra il vapore
surriscaldato a 535° alla pressione di 112,3 bar, e l’acqua prelevata dall’ ECO AP2 a 213,3° e a una
pressione di 122,67 bar da la portata di vapore all’uscita del GVS: 27,34 kg/s, che deve essere
ugualmente ripartita all’ingresso di ciascuna delle due turbine di alta pressione.
• Nell’ EVA evaporatore la potenza scambiata è di 34,3 MW.
• Nel SH surriscaldatore è 20,3.
• Nell’ ECO economizzatore 14 MW.
Vedere grafico relativo allo scambio termico (Figura 125).

Figura 125: Profilo di scambio termico in condizioni nominali di esercizio del GVS (calcolo preliminare).
Il dimensionamento dei tre scambiatori costituenti il GVS (economizzatore, evaporatore e
surriscaldatore) richiede preliminarmente le seguenti scelte progettuali:
• configurazione geometrica del fascio tubiero e del mantello;
• orientamento dei tubi e del mantello rispetto al piano orizzontale;
• tipologia di circolazione all’interno dell’evaporatore: naturale, assistita o del tipo a “piscina”
(evaporatore kettle).
A seguito di studi effettuati sulle varie possibilità, si sono scelti gli elementi così costituiti:
• L’economizzatore è costituito da uno scambiatore con tubi ad U e mantello rettilineo con due
passaggi sia lato tubi che lato mantello e fluido scaldante lato mantello.
• L’evaporatore è uno scambiatore di tipo kettle con sale fuso all’interno di un fascio di tubi ad U e
acqua lato mantello.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 201

Figura 126: Evaporatore Kettle


• Il surriscaldatore è uno scambiatore con tubi (fluido scaldante lato tubi) e mantello ad U ed unico
passaggio sia lato tubi che lato mantello.

8.12.1 SCAMBIATORE DI TIPO KETTLE.


L’evaporatore kettle, estremamente frequente nelle colonne di distillazione, è utilizzato per la
vaporizzazione del fluido posto nel lato mantello.
Comunemente il fascio tubiero, di tipo orizzontale, è ad U con un’unica piastra tubiera,
eliminando così i problemi legati alle dilatazioni differenziali tra tubi e mantello. Possiede generalmente
un minore coefficiente globale di scambio rispetto alle altre configurazioni, poiché la circolazione del
fluido freddo tra i canali del fascio tubiero è alquanto limitata (Coulson e Richardson, 1996). A parità di
condizioni di esercizio, dunque, sono necessarie maggiori dimensioni e quindi anche un costo maggiore.
Al di sopra del pelo libero dell’acqua è necessario inoltre prevedere un apposito spazio per consentire la
separazione delle gocce di acqua trascinate dal vapore. La presenza del fluido a più alta pressione nel
lato mantello richiede che quest’ultimo sia dimensionato opportunamente come un recipiente ad alta
pressione (ad esempio, come un corpo cilindrico di una comune caldaia).
Poiché il funzionamento dell’evaporatore kettle dipende limitatamente da fattori idrodinamici, il
suo esercizio ai vari carichi è estremamente semplice e non sussistono problemi di stabilità (Hewitt et
al., 1994). Qualora sia richiesto che il fluido freddo venga evaporato completamente, la portata di
liquido in uscita si annulla ed è, quindi, possibile fare a meno della pompa di circolazione ed eliminare
lo stramazzo. L’adozione di un evaporatore di tipo kettle comporta il grande vantaggio di fare a meno
del corpo cilindrico, la cui funzione è svolta proprio dallo scambiatore stesso. Infine in tali tipi di
evaporatori può accadere che si formino sul fondo accumuli di sostanze estranee, a meno che non
venga adottato un apposito spurgo.
Nella Figura 127è riportato un disegno 3D dell’appena esaminato GVS.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 202

Figura 127: Configurazione esterna del GVS in prospettiva 3D (fonte Enel)

8.13 ANALISI DEL SISTEMA DI REGOLAZIONE E CONTROLLO

8.13.1 IL CONTROLLO SULLA MASSIMA TEMPERATURA RAGGIUNGIBILE


Il collettore solare è suddiviso in due rami posti simmetricamente ai lati di un unico sistema di
movimentazione (dotato di un proprio motore) situato al centro del collettore stesso e in grado di far
ruotare simultaneamente i due rami.
Ogni ramo è composto da 4 elementi fra loro uguali collegati meccanicamente in serie. Il sistema
collettore è concepito come un apparato indipendente in grado di realizzare la funzione di puntamento
del disco solare con la dovuta precisione. Il collettore è connesso in serie con altre 5 unità simili in
modo da formare moduli collegati in parallelo e costituenti nel loro insieme il campo solare.
Il sistema collettore deve essere collegato ad una rete di alimentazione elettrica per il funzionamento
dei suoi organi attivi e ad un sistema di gestione centrale dell’impianto che ne definisce costantemente lo
stato operativo e ne imposta i parametri di funzionamento. Il sistema di gestione centrale e controllo
dell’impianto è dunque il cuore dell’impianto stesso, comandando contemporaneamente tutti i sistemi
meccanici e idraulici di regolazione e controllo.
Come è ormai noto la temperatura del fluido termovettore in uscita dai diversi moduli deve
essere non inferiori a 550° e non superiore a 570° (rispettivamente per non raffreddare l’accumulo
caldo e per non deteriorare il rivestimento di CERMET). È dunque necessario realizzare un controllo
severo della temperatura del fluido in uscita dai moduli.
Le modalità di controllo possibili individuate sono tre:
• Controllo tramite modulazione portata complessiva prodotta dalle pompe di circolazione. Si
utilizza un algoritmo feed-forward che in funzione della radiazione solare media calcolerà quel
valore di portata che minimizza lo scarto tra il set-point di temperatura e la temperatura di uscita.
• Controllo tramite modulazione portata nelle singole stringhe, per mezzo di valvole motorizzate
con algoritmo di retroazione di temperatura sulla stringa.
• Controllo – limitazione della temperatura tramite messa fuori fuoco parziale o totale dei
paraboloidi introducendo un errore di puntamento intenzionale. Algoritmo a retroazione di
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 203

temperatura sulla stringa ed eventualmente basato su rilevazione locale di irraggiamento con


fotocellule.
Naturalmente la messa fuori fuoco dei paraboloidi è il metodo più efficiente ed efficace per la
regolazione immediata della temperatura del fluido termovettore e verrà adoperata allorquando sarà
necessario evitare il dannoso deterioramento del rivestimento di cermet a seguito di bruschi
innalzamenti di temperatura.
8.14 LA CENTRALE SOLARE IN PRODUZIONE NORMALE PN
Tramite una delle due pompe ad asse verticale presenti nel serbatoio freddo del sistema di
accumulo viene prelevata la miscela di sali fusi alla temperatura di 290°C. La pompa dota il fluido della
prevalenza necessaria alla circolazione all’interno della rete idraulica presente tra le stringhe di collettori.
In uscita dal campo specchi il fluido termovettore raggiunge poi il serbatoio caldo che costituisce
l’accumulo ad alta temperatura del sistema solare.
Naturalmente la portata dei sali attraverso i condotti viene regolata in funzione della radiazione
solare; tale regolazione si effettua agendo direttamente sulla velocità di rotazione della pompa. Al solo
fine di dare un’idea dell’entità di tale portata, essa è pari a 6,5 kg/s in condizioni di massimo
irraggiamento solare per stringa: con un calcolo esteso all’intero campo specchi il valore della portata di
Sali a 344,5 kg/s, cui corrisponde una potenza termica di picco del campo solare di circa 136 MWh.
E’ bene tener presente che il calcolo è stato effettuato considerando il flusso solare pari a 1000
W/mq e un’efficienza di picco della stringa di collettori del 76%.

Figura 128: Ciclo diurno con alta insolazione

8.15 CENTRALE SOLARE IN PRODUZIONE RIDOTTA SR


In questa modalità operativa il fluido termovettore viene prelevato dal serbatoio a 290° e fatto
circolare attraverso le stringhe di specchi. Si ammette tale stato lavorativo nel caso in cui il fluido non
riesca a scaldarsi oltre i 530°C. il sale in uscita dal campo solare viene reimmesso nel serbatoio freddo.
La modalità di funzionamento descritta in tale paragrafo viene adottata in due casi; nel caso in cui
vi sia la presenza di nuvole passeggere in giornate soleggiate, tali nuvole potrebbero lasciare presto il
cielo soprastante l’impianto e condurre dunque ad un repentino e potenzialmente dannoso aumento di
temperatura in uscita.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 204

E’ proprio allo scopo di evitare tale eventualità che si preferisce mantenere costante il valore della
portata di prima della comparsa delle nubi. Il secondo caso è quello in cui vi sia una leggera velatura del
cielo o una bassa insolazione, prime ore del mattino, o ore preservali.

Figura 129: Ciclo diurno con bassa insolazione o notturno

8.16 CAMPO SOLARE IN CIRCOLAZIONE A BASSA PORTATA CN


Quando non vi è possibilità alcuna di captare energia solare, ovvero durante le ore notturne, il
sistema è descritto ancora una volta dalla Figura 129. In questa configurazione di funzionamento il
fluido termovettore viene prelevato dal serbatoio freddo alla temperatura media di 290°C e viene fatto
circolare attraverso le stringhe allo scopo di mantenere in tutti i punti della rete idraulica del campo
solare una temperatura adeguatamente maggiore di 238°C. i tubi e i serbatoi sono riscaldati
opportunamente da serpentine predisposte al mantenimento delle temperature previste da progetto. Il
fluido termovettore in uscita dal campo specchi si riversa nel serbatoio freddo a una temperatura di
275°C. per ogni modulo la portata di Sali viene mantenuta ad un valore di 3,2 kg/s, complessivamente
170 kg/s.
8.17 CAMPO SOLARE IN PRODUZIONE NORMALE CON DEFOCALIZZAZIONE DN
Tale modalità si attiva se, nel corso della modalità operativa di produzione normale SN, la
temperatura in uscita dal campo specchi dovesse superare il valore di 560°C. In tale eventualità il
sistema centrale di controllo interviene inviando al sistema di puntamento dei collettori un angolo di
puntamento errato appositamente, allo scopo di non far salire ulteriormente la temperatura della
miscela. Naturalmente la portata dei Sali viene in questo caso mantenuta al suo valore massimo di 344
kg/s.
8.18 IL FLUIDO TERMOVETTORE

8.18.1 RAFFRONTO FRA LE ALTERNATIVE POSSIBILI: MISCELA SALI FUSI – OLIO


DIATERMICO
Il fluido termovettore costituito da Sali fusi rappresenta una delle innovazioni di questa tipologia
di impianto solare ad alta temperatura e al tempo stesso uno dei punti di forza di questa nuova
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 205

tecnologia. Prima dell’adozione della miscela di sali fusi, gli impianti solari termici a specchi parabolici
erano ad olio diatermico (miscela di ossido di Difenile e Bifenile) e seguivano lo schema di Figura 130.

Figura 130: Centrale ad olio diatermico


Come abbiamo visto la presenza dei serbatoi di Sali fusi garantisce la continuità di
funzionamento. Al più, la miscela di Sali fusi è stata utilizzata precedentemente esclusivamente per
l’accumulo di energia termica; in uno scambiatore di calore l’olio diatermico proveniente dal campo
specchi cede parte della sua entalpia alla miscela di sali che, proveniente da un serbatoio freddo, si
accumula, una volta avvenuto il processo di scambio termico, in un serbatoio caldo. Il processo è
descritto in Figura 131.

Figura 131: Combinazione olio diatermico – miscela sali fusi


Effettuando un paragone tra i sali fusi e l’olio diatermico osserviamo che l’olio ha un costo di
circa dieci volte maggiore rispetto a quello dei sali, alle temperature di utilizzo possiede elevata
infiammabilità ( si avrebbero costi di realizzazione del sistema di accumulo e di tutto il ridondante
sistema antincendio decisamente maggiori).
Inoltre la tensione di vapore dell’ olio diatermico alla sua massima temperatura di processo è pari
a 10,6 bar e ciò comporta la necessità di mantenere pressurizzate le varie parti impianto. Ancora, l’olio è
una sostanza tossica, mentre i nitrati di sodio e potassio sono attualmente utilizzati come fertilizzanti.
Appare ora chiaro perché non siano mai stati realizzati sistemi di accumulo utilizzanti olio.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 206

8.19 LA MISCELA DI SALI FUSI: NITRATO DI SODIO – NITRATO DI POTASSIO


Nell’ultimo trentennio l’interesse per la miscela di sali fusi, nitrato di sodio - nitrato di potassio, è
cresciuto sempre più proprio per via delle applicazioni sul campo del solare termodinamico. Proprio
per questo è stato possibile recuperare una innumerevole quantità di articoli riguardanti lo studio delle
proprietà termofisiche della miscela di nostro interesse, pubblicati su riviste scientifiche dalla Sandia
National Laboratories e da numerose università di tutto il mondo. E’ interessante notare come la
maggior parte degli articoli abbiano in comune il metodo di analisi “DSC” differential scanning calorimetry
utilizzato per la stesura del diagramma di fase.
La scelta della composizione di utilizzo è dettata dalla necessità di avere un fluido con minore
temperatura di fusione possibile; tale considerazione porterebbe dunque ad utilizzare una miscela con
composizione eutettica e quindi, in base al diagramma di stato, equimolare.

Figura 132: Diagramma di Stato miscela sali fusi


Una breve analisi dei costi ( il costo del nitrato di potassio è due volte il costo del nitrato di sodio)
ha spinto ad adottare una composizione nominale di progetto pari al 64% in moli di nitrato di sodio
(60% in massa). Il punto di inizio cristallizzazione per tale composizione della miscela è di 511 K
(238°C).Si riporta sotto una tabella con le proprietà della miscela e le curve caratterizzanti densità,
calore specifico, viscosità assoluta e conducibilità termica in funzione della temperatura.
Proprietà della miscela in fase liquida
Densità kg/m3 δ=2090 - 0.636 * T (temp. espressa in °C)
Calore J/kg ° Cp=1443 + 0.172 * T (temp. espressa in °C)
specifico
Viscosità mPa s µ=22.714 - 0.120 * T + 2.281 * 10-4 * T2 - 1.474 x 10-7 * T3
assoluta (temp. espressa in °C)
Conducibilità W/m °C k = 0.443 + 1.9 * 10-4 * T (temp. espressa in °C)
termica
Tabella 18: Caratteristiche miscela
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 207

Variazione della densità al variare della temperatura

2000
1950

Densità [kg/m 3]
1900
1850
1800
1750
1700
1650
1600
1550
210
235
260
285
310
335
360
385
410
435
460
485
510
535
560
585
610
Temperatura [°C]

Variazione della densità al variare della temperatura

Figura 133sali fusi: densità in funzione della temperatura

Variazione del Calore Specifico in funzione della temperatura

1560
1540
Calore Specifico

1520
1500
1480
1460
1440
238
260
282
304
326
348
370
392
414
436
458
480
502
524
546
568
590

Temperatura [°C]

Variazione del Calore Specifico in funzione della temperatura

Figura 134: Sali fusi: calore specifico in funzione della temperatura

Variazione della viscosità assoluta in funzione della temperatura

35
30
Viscosità assoluta

25
20
15
10
5
0
238
259
280
301
322
343
364
385
406
427
448
469
490
511
532
553
574
595

Temperatura [°C]

Variazione della viscosità assoluta in funzione della temperatura

Figura 135: Sali fusi: viscosità assoluta in funzione della temperatura


RINGRAZIAMENTI E DEDICA 208

Variazione della conducibilità temica al variare della temperatura

0,58

Conducibilità termica
0,56
0,54
0,52
0,5
0,48
0,46
0,44
238
259
280
301
322
343
364
385
406
427
448
469
490
511
532
553
574
595
Temperatura [°C]

Variazione della conducibilità temica al variare della tem peratura

Figura 136: Sali fusi: conducibilità termica in funzione della temperatura

8.20 CONCLUSIONI SUL SOLARE TERMODINAMICO


L’integrazione dell’impianto solare termodinamico con sistemi per la generazione di potenza in
assetto combinato è fortemente consigliata in quei siti dove vi è una significativa irradiazione solare (in
Europa ad esempio nelle aree mediterranee).
Peraltro è necessario sottolineare come impianti solari a specchi parabolici abbiano bisogno di
terreni molto ampi per contenere la necessaria estensione del campo specchi.
Riguardo l’impatto socio-economico della zona, è importante evidenziare un prevedibile effetto
positivo sull'occupazione, limitato per l'occupazione diretta, ma più ampio per l'indotto e le attività
ricettive.
I rischi specifici dell'impianto solare sono legati ai riflessi dei collettori e alle caratteristiche dei
nitrati. Tuttavia in entrambi i casi si tratta di rischi di limitata entità e per i quali sono possibili semplici
precauzioni per contenerne le conseguenze.
Da quanto sopra detto si è può osservare come gli Impianti Solari Termodinamici sono
integrabili in modo relativamente semplice a impianti di potenza ad assetto combinato. Naturalmente
occorrono accurati studi che vanno dallo studio dell’irradiazione solare e l’esame del territorio all’analisi
del GVR e dei possibili punti di spillamento del vapore.
A tal proposito si vuole sottolineare che nell’ ambito della ormai consolidata collaborazione
scientifica tra l’Enel ed il DIIM dell’Università degli Studi di Catania è stato sviluppato con successo il
modello matematico complessivo dell’impianto di generazione Archimede.
È dunque auspicabile che tale tecnologia possa essere realizzata in un sempre maggior numero di
impianti, allo scopo di ridurre le quantità di emissioni nocive nell’atmosfera e l’anidride carbonica
inevitabile nei processi di ossidazione di combustibile di natura fossile.
Certamente i costi per la produzione di un siffatto impianto sono attualmente molto elevati, e
probabilmente poco competitivi secondo quanto esitato dai recenti studi di fattibilità.
Tuttavia se la produzione fosse estesa a più impianti sul territorio e si avviasse una produzione in
serie dei componenti dell’impianto, a seguito dell’economia di scala si avrebbe un netto abbattimento
dei costi ed il tutto a favore di un domani più pulito, più vivibile, più “naturale”, in una parola …
sostenibile. L’energia sta alla base di tutto.
La produzione di energia da fonti rinnovabili deve essere l’obiettivo comune di tutte le aziende
del settore per un armonico sviluppo delle società del terzo millennio.
RINGRAZIAMENTI E DEDICA 209

U.M.
Orientamento collettori NS
Radiazione diretta normale kWh/(m2 a) 1.748
Radiazione media annua sui collettori 39 kWh/(m2 a) 1.415
Numero di collettori 318
Superficie collettori 104 m2 17,91
40
Potenza di picco del campo solare MWt 136,1
Temperatura serbatoio caldo °C 550
Temperatura serbatoio freddo °C 290
Portata sali fusi nel campo solare alla potenza di kg/s
345,6
picco
Energia solare massima (DNI) GWht/a 313,1
Energia solare sul piano dei collettori GWht/a 253,4
Energia solare trasferita al fluido GWht/a 156.5
Rendimento medio annuo di raccolta 41 % 61,8
Energia solare massima accumulabile GWht/a 151.3
Capacità accumulo MWh 500
Potenza termica massima del GV MWt 64,4
Energia termica accumulata GWht/a 149.9
Energia termica utilizzata GWht/a 130,6
Frazione rispetto alla accumulata % 87,2
Frazione rispetto a quella sul piano dei collettori % 51,6
Potenza elettrica nominale MWe 28,08
Efficienza alla potenza nominale % 43,6
42
Energia elettrica lorda prodotta GWhe/a 55,9
Ore annue di funzionamento previste h/a 5.110
Ore effettive di funzionamento h/a 2.774
43
Fattore di utilizzazione dell’impianto % 38,9
Rendimento medio annuo elettrico netto sul DNI % 17,3
44
Risparmio di energia primaria TEP 11.835
Emissione CO2 evitata 44 103kg 36.306
Tabella 19: Parametri riassuntivi dell’applicazione all’impianto di Priolo Gargallo

39 Tiene conto dell’orientamento dei collettori e dell’effetto delle loro ombre.


40 Con un flusso solare di 1.000 Watt/m2 e un’efficienza di picco dei collettori del 76%.
41 Calcolato sull’energia solare sul piano dei collettori
42 Per ottenere la produzione netta occorre detrarre l’assorbimento degli ausiliari relativi alla parte solare, stimati al 3% dell’energia

prodotta.
43 Rapporto tra l’energia prodotta e quella producibile se l’impianto lavorasse alla potenza nominale per tutte le ore di
funzionamento previste.
44 Si è considerato un consumo specifico termico medio di 2.184 kcal/kWh e un’emissione specifica di 670 g CO2/kWh, dati

medi ENEL 2003 per produzione termoelettrica.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 210

9 IMPIANTI SOLARI FOTOVOLTAICI

Un altro interessante sistema di produzione di energia elettrica direttamente dall’energia solare è


dato dai sistemi fotovoltaici. Questi hanno avuto un grande interesse di ricerca con l’industria
aerospaziale, fin dagli anni ’50, e in particolare per fornire energia elettrica ai satelliti.
9.1 FISICA DI BASE DELLE CELLE FOTOVOLTAICHE
La Fisica di base per il funzionamento di questi dispositivi è molto interessante e si basa anche su
considerazioni quantistiche. In Figura 137 si ha la legge di emissione radiativa di Planck relativa ad un
corpo ideale detto corpo nero e in Figura 138 si ha la rappresentazione grafica della stessa legge.

Figura 137: Legge di Planck per l’emissione radiativa del corpo nero

Figura 138: Distribuzione radiativa del corpo nero


L’intervallo di lunghezze d’onda fra 380 e 780 nm riveste grande importanza per l’Uomo perché
esso si riferisce a radiazioni capaci di impressionare la retina degli occhi e quindi produrre la visione.
Noi chiamiamo luce la radiazione elettromagnetica compresa in questo intervallo: dalla Figura
138 e dalla Figura 139 si può osservare come la luce visibile rappresenti circa il 30% della radiazione
solare fra 0 e 2500 nm (radiazioni di bassa lunghezza d’onda).
Nella Figura 139 si ha, sovrapposta alla distribuzione radiativa di un corpo nero a 5879 K, la
distribuzione della radiazione solare a livello del mare: si osservino i picchi di assorbimento dovuti ai
gas presenti nell’atmosfera.
Nella stessa figura è rappresentato l’intervallo di lunghezza d’onda della luce visibile, come sopra
indicato, e si può osservare come, a causa dei picchi di assorbimento suddetti, la percentuale di queste
radiazioni visibili è di circa 40-45% (a seconda dell’altitudine e della trasparenza atmosferica).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 211

Tutti i corpi a temperatura T > 0 K emettono radiazioni elettromagnetiche che in genere non
vediamo perché al di fuori dell’intervallo di visibilità. Alcuni corpi, ad esempio i filamenti delle lampade,
a temperatura elevata (in genere al di sopra 1000 K) emettono radiazioni visibili, come si può osservare in
Figura 140 ove si riporta anche la radiazione solare per confronto. In base alla teoria quantistica ad ogni
radiazione è associata una energia data dalla relazione:
h
E = hν =
λ
Con h costante di Planck, ν la frequenza e λ la lunghezza d’onda della radiazione considerata.

Figura 139: Distribuzione reale della radiazione solare


Se consideriamo giunzioni di particolari semiconduttori, caratterizzati da avere una matrice silicea
con l’aggiunta di elementi droganti di tipo p se rendono libere cariche positive e di tipo n se rendono
cariche negative, si fare in modo (selezionando opportunamente la tipologia e i materiali costitutivi) che la
radiazione solare di particolare lunghezza d’onda (e quindi particolare energia) liberi una carica elettrica che
può essere sottoposta ad un campo elettrico esterno e quindi dare una corrente elettrica.

Figura 140: Distribuzione dello spettro di alcune sorgenti luminose


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 212

Figura 141: Curve isoradiative per l’Italia

Tabella 20: Radiazione mensile media in alcune località


In Figura 142 sia ha una sezione di una cella fotovoltaica con l’indicazione degli strati di
semiconduttori: un fotone di energia hν opportuna può rompere il legame che lega la carica elettrica alla
struttura cristallina del semiconduttore rendendola libera e quindi disponibile per il circuito di
polarizzazione esterno, come schematizzato in Figura 143.
La corrente che una cella fotovoltaica può rendere disponibile all’utilizzatore (cioè al carico esterno)
dipende dalla tensione di alimentazione ed è riportata in curve dette caratteristiche delle celle, come
rappresentato in Figura 144.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 213

Si tratta comunque di corrente continua che deve poi essere convertita in corrente alternata
mediante particolari dispositivi detti inverter prima di essere inviata ad una utenza domestica.

Figura 142: La cella fotovoltaica

Figura 143: Schema di funzionamento della cella fotovoltaica

Figura 144: Curva caratteristica tensione – corrente per una cella solare
Il rendimento massimo teorico della trasformazione di energia solare in energia elettrica è del
32%. Le celle fotovoltaiche attualmente disponibili hanno un rendimento dal 10% al 28 % circa, ma
sono allo studio celle avanzate con rendimenti molto maggiori. Ad esempio il rendimento delle celle
fotovoltaiche ad arseniuro di gallio-antimoniuro di gallio raggiunge una efficienza del 35%, con un
costo di produzione dell’energia elettrica cinque volte maggiore di quello con celle tradizionali.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 214

In Figura 146 si ha uno schema elettrico semplificato per un utilizzo domestico dei sistemi
fotovoltaici.

Figura 145: Esempio di curve caratteristiche per una cella fotovoltaica


Si osservi che la produzione di energia elettrica è sincrona con la disponibilità della radiazione
solare e pertanto solo durante le ore diurne possiamo produrre energia elettrica. Se vogliamo utilizzare
nelle ore serali l’energia elettrica prodotta di giorno dalle celle fotovoltaiche dobbiamo accumularla in
accumulatori elettrici in modo da avere un uso asincrono dalla radiazione solare. Questo ulteriore
dispositivo di accumulo rende critico l’intero processo di produzione di energia elettrica mediante le
celle fotovoltaiche perché si tratta di un dispositivo costoso e di durata limitata.

Figura 146: Configurazione di rete in sistemi residenziali


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 215

In definitiva perché si possa avere un sistema fotovoltaico occorre avere almeno tre componenti: il
generatore fotovoltaico, il sistema di accumulo e il sistema meccanico di supporto delle celle
fotovoltaiche (vedi Figura 147).

Figura 147: Componenti fondamentali di un sistema fotovoltaico

Figura 148: Data Sheet di una cella fotovoltaica


Le celle fotovoltaiche sono di solito raggruppate in matrici in modo da ottenere una tensione ed
una corrente nominale meglio utilizzabile nelle applicazioni domestiche o industriali.
I moduli, di solito composti da 36 celle, sono assemblati come indicato in Figura 150 e in Figura
152 e in Figura 151 ove sono visibili le connessioni elettriche interne delle celle.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 216

In pratiche i moduli fotovoltaici sono dei pannelli di dimensioni di 30-40 cm x 60 – 80 cm (con


potenza di circa 40- 50 W di picco) che debbono essere posizionati in modo opportuno in modo da
raccogliere la maggiore quantità di energia solare.

Figura 149: Caratteristiche tecniche e costruttive di un pannello fotovoltaico


Per fare questo si utilizzano dei sistemi di supporto che possono essere fissi o mobili (per inseguire
il sole nel suo cammino apparente), come illustrati in Figura 153. In ogni caso la posa in opera dei pannelli
solari fotovoltaici pone gli stessi problemi dei sistemi a collettori piani di tipo termico visti nel paragrafo
precedente.
Si deve sempre risolvere un problema di tipo architettonico che pone anche, in sub ordine, problemi
di impatto visivo non indifferenti.
Nelle figure seguenti si hanno esempi di installazione di pannelli solari in edifici sfruttando le
superfici orizzontali (tetti), verticali (pareti) o inclinate.
Si osserva che l’impatto visivo è uno dei maggiori ostacoli all’utilizzo dei sistemi solari aventi
superfici di captazione di dimensioni non trascurabili.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 217

Figura 150: Modulo di celle fotovoltaiche

Figura 151: Connessione circuitale dei moduli fotovoltaici

Figura 152: Particolare dell’array di celle fotovoltaiche


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 218

Figura 153: Tipologia di posa : a inseguimento, a cavalletto, su pali

Figura 154: Tetto fotovoltaico - Esempio di installazione

Figura 155: Problemi di installazione sui tetti


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 219

Figura 156: Particolari di installazione sui tetti


Dal punto di vista dell’incidenza dei sistemi fotovoltaici sul totale dei consumi elettrici in Italia si
deve osservare che siamo ancora lontani dall’avere apporti significativi. Il costo dei sistemi fotovoltaici è
ancora elevato a causa, fra l’altro, del ridotto mercato presente.

Figura 157: Installazione su facciate verticali


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 220

Figura 158: Installazione su facciate inclinate


Lo Stato, in relazione all’attuazione degli accordi di Kyoto per la riduzione di circa il 6.6% dei gas
serra, fornisce contributi significativi ai privati per l’installazione dei soffitti solari – fotovoltaici e in più
consente di avere un contratto di allacciamento con la rete elettrica nazionale tale da evitare
l’installazione, se si vuole, degli accumulatori elettrici. In pratica durante il giorno l’energia prodotta
viene venduta al Gestore della Rete e di sera viene riacquistata: la rete elettrica nazionale fa da
accumulatore elettrico.
Il vantaggio che si ha è immediato: durante le ore di maggiore insolazione si ha anche il maggior
carico elettrico e pertanto la cessione in rete di energia elettrica riduce l’esigenza di importazione di
energia dall’estero.
Tuttavia si osserva che quando si è data applicazione alla L. 9/91 (Piano Energetico Nazionale)
favorendo la produzione privata di energia elettrica si è incentivata la vendita dell’energia prodotta con
un provvedimento, noto come CIP 6, che vedeva il prezzo del kWh venduto all’ENEL pari a circa 200
L di allora.
Successivamente, esaurita la fase iniziale di incentivazione, si è posto fine al CIP 6 e in più
l’ENEL (ora Gestore Nazionale Rete Elettrica) non accetta più la vendita di energia elettrica autoprodotta
se non con potenze e certe garanzie che solo grandi produttori possono fornire.
Questa politica si è rivelata disastrosa sia per l’esistenza dei piccoli produttori di energia elettrica
sia per lo sviluppo dei sistemi di cogenerazione (dei quali si parlerà più avanti) limitando, di fatto,
l’interazione con la rete elettrica (serbatoio elettrico).
Si ha un fondato sospetto che si percorrerà la stessa strada anche per la vendita in rete di energia
elettrica autoprodotta con sistemi fotovoltaici non appena si esaurirà la spinta incentivante iniziale. Del
resto tutte le misure di incentivazione hanno durata limitata !
Si vedrà negli anni prossimi se anche per l’energia fotovoltaica si avrà un insuccesso come quello
avuto con l’energia solare termica. si ricorda ancora la campagna dell’ENEL per gli scalda acqua solari
che non ha innescato la nascita di un mercato autosufficiente dei pannelli solari.
I sistemi fotovoltaici si prestano bene anche per la costruzione di piccole centrali di potenza
come quella di Vulcano da 80 kWep (vedi Figura 159) e di Serre (vedi Figura 160) da 3.3 MWep.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 221

Figura 159: Installazione di pannelli nell’isola di Vulcano – Potenza 80 kWep

Figura 160: Impianti da 3.3 MWep di Campo Serre (Salerno)


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 222

Figura 161: Installazioni particolari di pannelli fotovoltaici


Probabilmente i costi di installazione iniziali sono ancora elevati e i tempi di pay back non proprio
esaltanti, tuttavia le centrali fotovoltaiche offrono numerosi vantaggi che spesso non hanno un
riscontro economico. Esse sono ecologiche, sono compatibili con lo sviluppo sostenibile e possono
essere installate in luoghi che presentano problemi di logistica notevoli, come per la centrale di Vulcano
o in genere là dove si ha una scarsa accessibilità ai luoghi, come illustrato in Figura 161.
Anche le applicazioni domestiche degli impianti fotovoltaici sono economicamente poco
convenienti, vedi Figura 162. Il Ministero dell’Ambiente ha avviato un Programma biennale di incentivi
per la realizzazione di impianti fotovoltaici, il primo incentivo è apparso nel Bando pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale 29 marzo 2001 n. 74 riservato però esclusivamente ai soggetti della Pubblica
Amministrazione, entro settembre 2001 è atteso un secondo Bando che si rivolgerà a tutti i cittadini.
L’apporto economico sarà del 75% escluso l’IVA, e verrà dato dal Ministero dell’Ambiente a chi
realizzerà gli impianti solari fotovoltaici.
Da dati pubblicati dal CESI i costi di realizzazione degli impianti fotovoltaici sono così descritti:
⋅ • 1 kW di pannelli fotovoltaici = circa 10 mq. di superficie esposta tra sud – est e sud –
ovest senza ombreggiamento a circa 14 – 15 milioni di cui il 75% finanziato dal Ministero
esclusa l’IVA.
⋅ • Taglia degli impianti ammessi = Compresa tra 1 e 20 chilowatt • Produzione conseguibile
con un Impianto da 1 kW = circa 250.000 – 300.000 Lit/anno alle tariffe attuali dell’energia
elettrica
⋅ • Altri costi = Il richiedente deve essere l’intestatario di contratto di utenza elettrica; il
nuovo impianto solare di produzione deve essere collegato alla rete elettrica con un secondo
contatore, che costa 60.000 Lit/anno (nolo contatore + lettura + verifica annuale
dell’impianto a cura della società elettrica.)
⋅ • Conteggio rapporto produzione/ consumi. La produzione di energia dell’impianto
fotovoltaico viene sottratta al consumo dell’utente, con conguaglio annuale tra le letture dei
due contatori: se la produzione dovesse superare i consumi, l’eccedenza verrà conteggiata a
credito nell’anno successivo, ma mai compensata in denaro, in quanto questo costituirebbe
un reddito con implicazioni fiscali.
Per la realizzazione degli impianti di potenza compresa tra 1 e 5 kWp, il costo massimo
dell’investimento riconosciuto del Programma, è fissato in 8.000 Euro circa (Lire 15.500.000) per kWp
installato; mentre per gli impianti di potenza superiore e comunque fino a 20 kWp, il tetto è quello
ottenibile con la seguente formula:
C = 13,5 + 10/P
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 223

⋅ dove, C è il costo massimo identificato dal Programma, in milioni di lire/kW, P è la


potenza nominale dell’impianto in kW.

Figura 162: Prezzi dei tetti solari fotovoltaici


L’impianto può essere installato sul tetto di abitazioni e di strutture edilizie o dovunque ci sia
disponibilità di spazio purché i moduli siano orientati a sud per ottenere la massima energia prodotta. In
Figura 163 si ha uno schema riassuntivo del programma Tetti Fotovoltaici del Ministero dell’Ambiente
per gli enti pubblici.

Figura 163: Il programma tetti fotovoltaici del Ministero dell’Ambiente


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 224

Figura 164: Esempio di variabilità del carico elettrico giornaliero

Tabella 21: Esempio di costo di un impianto fotovoltaico


9.2 DIMESIONAMENTO DELL’IMPIANTO FOTOVOLTAICO
Per dimensionare gli impianti fotovoltaici si utilizzano gli stessi dati già visti in precedenza per la
disponibilità dell’energia solare. Si rimanda al $6.2 per ulteriori dettagli.
9.3 CRITERI DI DIMENSIONAMENTO DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI
I sistemi fotovoltaici possono vantaggiosamente essere utilizzati per:
⋅ Sistemi autonomi (stand alone)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 225

⋅ Sistemi connessi alla rete (grid connected)


⋅ Centrali fotovoltaiche
⋅ Sistemi integrati negli edifici
Nel caso dei sistemi autonomi si hanno utenze difficilmente collegabili alla rete perché ubicati in
aree poco accessibili. In genere le utenze con bassi consumi di energia non rendono conveniente il
costo dell’allacciamento (esempio tipico delle utenze nelle isole).
Per le utenze connesse alla rete si utilizza come sistema di accumulo la rete principale. In questo
caso si utilizzano contatori bidirezionali. Senza lo scambio con la rete si dovrebbero utilizzare gli
accumulatori di energia con conseguenti alti costi.
Controllo di potenza
Per regolare la tensione in uscita dalle celle fotovoltaiche occorre un sistema di controllo (BOS
Balance Of System) che ne mantenga costanti i valori. Le funzioni svolte sono:
⋅ Regolatore di cariche delle batterie preservando gli accumulatori da un eccesso di carica o scarica;
⋅ Dispositivo di inseguimento del punto di massima potenza;
⋅ Convertitore CC/CA o inverter nel caso si richieda la CA per l’utenza o questa sia connessa in
rete;
⋅ Dispositivo di controllo per adattare la tensione alla rete (filtraggio delle armoniche e
rifasamento).
Potenzialità del fotovoltaico
La quantità di energia elettrica prodotta dipende:
⋅ Dalla superficie dell’impianto
⋅ Dalla posizione dei moduli (angolo rispetto all’orizzontale ed angolo di orientamento rispetto al
Sud)
⋅ Radiazione solare incidente sul sito
⋅ Efficienza dei moduli
⋅ Efficienza del sistema di regolazione (BOS)
⋅ Temperatura di funzionamento.
Se si ipotizza che il modulo fotovoltaico presenti un’efficienza linearmente dipendente dalla
temperatura si ha la relazione:
η = η R 1 − β (Tc − TR ) 

Ove ηR è il prodotto dell’efficienza di riferimento della cella per il fattore di riempimento del
modulo mentre TR è la temperatura di riferimento per l’efficienza precedente. β è il coefficiente di
efficienza di temperatura della cella.
Un bilancio energetico del modulo fotovoltaico fornisce la potenza elettrica utile prodotta:
E = AI βτη = AI βτα − AU L (Tc − Ta )
Ove Iβ è l’intensità dell’energia solare incidente sul piano del modulo;
UL è il coefficiente di dispersione termica del modulo;
τ la trasmissività solare della copertura protettiva;
α il fattore di assorbimento della cella
Tenendo conto che UL è almeno un ordine di grandezza maggiore del gruppo si ottiene
la seguente espressione approssimata per il rendimento (sottostimata al 5%):
 βτα I β 
η = η R − β ( Ta − TR ) − 
 UL 
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 226

La media mensile dell’energia elettrica giornaliera prodotta dalla cella si ottiene integrando sul
mese il valore istantaneo e dividendo per il numero N di giorni del mese:
1
E = ∫ Edt = ∫ AI βταη dt = Aτ H bη
N mese mese

Dove è la media mensile della radiazione solare giornaliera incidente sul piano del modulo, τ è
il valore medio mensile della trasmissività.
Il valore medio mensile dell’efficienza del modulo è dato da:
∫ η I β dt ηR  β 
I β dt − b ∫ (Ta − TR ) I β dt −
2
η= τα I β dt 
NH β  ∫mese ∫
mese
= 
∫ mese
I β dt mese UL mese

Il primo integrale è la radiazione solare mensile sulla superficie del modulo, il secondo integrale è
la differenza fra la temperatura ambiente media mensile pesata con l’intensità della radiazione T’a e la
temperatura di riferimento mentre il terzo integrale va valutato in termini del prodotto medio mensile
trasmissività - assorbimento ed una variabile adimensionale V definita come:
n∫ I β 2 dt
V= mese

NH 2 β
Con n numero di ore o di secondi nel giorno.
La variabile di riferimento viene espressa nella forma:
V = aX 2 + bX + c
Con i seguenti valori:
R
Rn
X=
(ω '
s (
1,548K h ) + (1 − 1,548K h ) ωs )
Ove si hanno:
a = 12,16 K h 2 − 9,88K h + 0,80
b = −1,90 K h 2 − 9, 79 K h + 10,15
c = 2, 04 K h 2 + 1, 23 − 0,58

Con K h indice di trasparenza atmosferica e con il simbolismo già visto per il calcolo della
radiazione solare.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 227

10 ENERGIA EOLICA

Una fonte di energia certamente rinnovabile e assolutamente eco-compatibile è quella eolica.


L'energia eolica, a stretto rigore, altro non è che una forma indiretta di energia solare, poiché il
movimento delle masse d'aria è innescato dalle disuniformità nel riscaldamento terrestre (diverso
riscaldamento dell'equatore rispetto ai poli nord e sud; della terra ferma rispetto al mare; ecc.)
Mulini a vento ad asse verticale
Le prime macchine (mulini a vento persiani) erano macchine ad asse verticale, realizzati con vele
inizialmente in tela e poi in legno collegate a grandi ruote orizzontali, messe in rotazione dalla pressione
generata dal vento sulle vele. Simili macchine furono in uso anche in Cina (13° secolo AC) e, più tardi,
si diffusero in Europa.

Figura 165: La prima turbina eolica - F. Brush (1849-1929)


Fra le macchine ad asse verticale ricordiamo quella basata sul rotore Savonious (1924) e quella di
Darrieus (1920)
Nei tempi antichi l'energia cinetica del vento venne inizialmente impiegata per scopi propulsivi; la
produzione di energia meccanica dal vento è più recente: pare che i primi mulini a vento risalgano a
non più di qualche migliaio d'anni fa.
Per quanto riguarda la generazione di energia elettrica, le macchine ad asse verticale non
richiedono dispositivi per l'orientazione del rotore; moltiplicatore e generatore sono al suolo, il che
semplifica le operazioni di manutenzione; per contro non traggono pieno vantaggio della maggior
velocità del vento e della minor tubolenza alle maggiori altezze dal suolo.
Mulini a vento ad asse orizzontale
Si svilupparono quando i mulini a vento si diffusero in Europa (nel Medioevo, ai tempi delle
crociate): una ruota verticale mette in rotazione un albero (verticale) mediante opportuni sistemi ad
ingranaggio. Le prime macchine di questo tipo comparvero in Francia ed in Inghilterra;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 228

successivamente si diffusero anche in America e trovarono svariati impieghi (tipicamente come


aeropompe); nei Paesi Bassi essi trovarono largo impiego.

Figura 166: Gedser Wind Turbine (1956-57)


Generazione di energia elettrica
Il primo mulino a vento accoppiato ad un generatore elettrico ("aerogeneratore" o "aeromotore")
venne realizzato verso la fine del 19° secolo (in Danimarca). Solo dopo la prima guerra mondiale si
costruirono le prime vele con profili aerodinamici per mulini a vento e le nuove macchine assunsero in
seguito la denominazione di "turbine eoliche".

Figura 167: Mulini ad assi verticali e primo impianto con turbine da 630 kW
Nel 1940 negli Stati Uniti fu costruita una macchina da 1250 kW bipala (installata a 610 m di
altitudine, sul Grandpa's Knob, in Vermont), con una torre di 34 m; un rotore di 55 m di diametro, a 28
giri/min nominali.
Il rotore si ruppe nel 1945 per fatica ed in seguito il progetto venne abbandonato in quanto allora
l'energia eolica non poteva economicamente competere con la produzione di energia elettrica da
centrali a combustibile fossile e idroelettriche.
Indirettamente l’energia eolica è figlia dell’energia solare poiché si tratta di spostamenti di massa
d’aria innescati da surriscaldamenti locali dovuti alla radiazione solare. Tutta la meteorologia è figlia
della distribuzione dell’energia solare sulla Terra.
Questi impianti sono concettualmente semplici: l’energia dinamica dell’aria in movimento mette
in azione un mulino a pale opportunamente sagomate che a sua volta aziona un generatore elettrico per
la produzione di energia elettrica.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 229

Oggi sono disponibili pale che possono entrare in azione con velocità di 2-4 m/s. La fattibilità
economica di questi impianti è assicurata in zone particolarmente ventose durante tutto l’anno.

Figura 168: Azione del vento

Figura 169: Utilizzo dell’energia eolica

Figura 170: Campo di generatori eolici su terraferma


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 230

Figura 171: Campo di generatori eolici in mare

Figura 172: Generatori eolici in mare – torre da 133 m e diametro di 122 m


La scelta dei siti di installazione delle pale a vento è effettuata, oltre che in base all’indice di
ventosità, anche in funzione dell’inquinamento acustico prodotto da questi generatori. Pertanto sono
favoriti i siti lontani dai centri abitati o addirittura in mare.
In Sicilia è già attiva una Legge Regionale che incentiva l’installazione di questi sistemi di
conversione. Si conta di avere una potenza elettrica installata di almeno 500 MWe. L’energia prodotta è
direttamente immessa nella rete del GRNT. Il costo medio è di circa 1.000.000 €/MWe a seconda della
taglia dell’impianto. Sono in corso diverse iniziative nazionali e regionali per l’installazioni di campi di
generatori eolici e l’incidenza di potenza elettrica così prodotta potrà arrivare al 5% della potenza totale
prodotta in Italia.
10.1 LE RISORSE EOLICHE IN ITALIA
L'Italia, situata al centro di un bacino chiuso come quello del Mediterraneo, non è interessata dai
venti di forte intensità e di andamento regolare che spirano in altre parti della terra.
Per l'Italia settentrionale risulta trascurabile l'apporto dell'intera pianura padana, mentre buone
velocità medie del vento si riscontrano in località alpine e appenniniche al di sopra degli 800-1000 m di
quota.
Le zone costiere dell'Italia centro-settentrionale presentano velocità medie più elevate sul versante
tirrenico che su quello adriatico, mentre le località interne del centro offrono situazioni alquanto varie.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 231

L'Italia meridionale e le isole sono caratterizzate in genere da buone velocità del vento, che
pongono queste regioni tra le più interessanti dal punto di vista dello sfruttamento dell'energia eolica
nel nostro paese.
Per quanto riguarda l'andamento stagionale si ha una certa prevalenza del periodo inverno-
primavera al sud e nelle isole, nonché alle alte quote alpine e appenniniche e nelle regioni costiere. Le
zone interne del nord e del centro (alle basse quote) presentano invece una ventosità maggiore nel
periodo primavera-estate.
Studi sulle prospettive eoliche in Europa attribuiscono alla fonte eolica la possibilità di coprire
l'1% del fabbisogno energetico italiano.
10.2 PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLE MACCHINE EOLICHE
Potenza totale disponibile
La potenza totale disponibile in una corrente di vento è pari al flusso di energia cinetica KEi,
ovvero
• •
V2
Ptot = m KEi = m i
2
Nella quale,
Ptot = potenza totale, W

m = portata in massa, kg/s
Vi = velocità del flusso incidente, m/s
La portata in massa è data dalla equazione di continuità

m = ρ AVi
Nella quale,
ρ = densità dell'aria, kg/m3
A = sezione normale alla corrente, m2
Dunque,
1
Ptot = ρ AVi 3
2
Risulta quindi che la potenza totale disponibile nella corrente è proporzionale al cubo della sua
velocità, all'area intercettata e alla densità dell'aria incidente.
10.3 LA RISORSA EOLICA
Per la progettazione di una Wind Farm è necessario conoscere la disponibilità della risorsa eolica.
L’informazione sul potenziale eolico deve essere riferita a periodi significativi (anno, stagione, anni), e
non semplicemente a dati puntuali.
La scelta del tipo di generatore, e della disposizione dei generatori all’interno del parco dipende
fortemente da questa analisi. Lo studio è di tipo prettamente statistico: esso dipende dalla probabilità di
occorrenza di una certa intensità di vento nell’arco di un tempo definito.
Anche la probabilità di occorrenza di eventi straordinari dovrebbe essere presa in considerazione

10.3.1 DISTRIBUZIONE DI WEIBULL


Si definisce la funzione densità di probabilità p(u):
β −1
β u   u β 
f (u ) =   exp  −   
η η   η  
 
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 232

La funzione cumulativa è definita da:


  u β 
F ( u ) = 1 − exp  −   
 η  
 
⋅ u = velocità del vento
⋅ η = parametro di scala (anche “c” od “A”):
⋅ si riferisce alla media, e quindi indica “quanto” un sito è ventoso
⋅ β = parametro di forma, adimensionale (anche “k”): indica quanto le velocità tendono ad
essere concentrate attorno ad un valore (peaked distribution)

Figura 173: Tipica distribuzione di Weibull


⋅ β = 2  Distribuzione di Rayleigh
⋅ β = 1  Distribuzione esponenziale
⋅ (il fatto che la distribuzione non sia simmetrica è detto “Skeweness”)
Noti η e β (c e k) si calcola la u più probabile:
1
 β −1 β
uMP =η   (m/s)
 β 
La u che trasporta la max energia in (m/s)
1
 β +2 β
uMaxE =η 
 β 
Densità di potenza in (W/m2)

P 1  β + 3
= ∫ P ( u ) f ( u ) du = ρη 3Γ  
A 0 2  β 
Densità di energia del vento per un dato periodo T :
E 1 3  β + 3
= ρη Γ  T
A 2  β 
dove la funzione Γ è :

Γ ( x ) = ∫ t x −1e − t dt
0
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 233

10.3.2 TURBINA IDEALE


In questa ipotesi ’energia disponibile nel vento è completamente estratta e si ha che:
⋅ P aumenta tra ucut-in (uI) e urated (uR), e quindi resta costante fino a ucut-out (u0);
⋅ la P a velocità nominale (Rated wind speed) è:
1
PR = ρ AVR3
2
L’energia prodotta in tutto l’intervallo è :
∞  uR uO

ETW = T ∫ P ( u ) f ( u ) du = T  ∫ P ( u ) f ( u ) du + ∫ PR f ( u )du 
u 
0  I uR 
e sostituendo le espressioni per P(u) = (1/2) ρ A u3 e PR si ottiene:
β
 uR β  u  β −1
ρ   u β  uO
β u
β −1
  u  
ETW = TA  ∫ u   exp  −    du + uR ∫   exp  −    du 
3 3

2  uI η  η   η  
  η η   η  
 uR 
Questo è riferito al caso ideale. L’integrale deve essere risolto con metodi numerici.

10.3.3 TURBINA REALE


Non è possibile estrarre tutta l’energia dal vento (il flusso dovrebbe arrestarsi completamente sul
rotore). La potenza effettiva PT prodotta dalla turbina :

L’energia effettivamente estraibile dal vento è dunque:


β −1
uO uR
β u   u β 
ETA = T ∫ PT ( u ) f ( u ) du = TPR ∫ ( a1u + a2u + a3u + a4 )  
3 2
exp  −    du +
u I u I
η η   η  
 
Rendimento della macchina (Wind Turbine Efficiency)
Rapporto tra Ereale (ETA) e Eideale (ETW): (in accordo con la teoria di Betz (vedi più avanti), non
può superare 0.59)
E
η = TA
ETW
Capacity Factor CF
Rapporto tra l’energia reale estratta in un dato periodo e quella che si avrebbe facendo lavorare la
turbina alla potenza nominale per lo stesso arco di tempo (con ETR= TPR)
β −1
u
β u   u β  uO
β u
β −1
  u β 
CF = TA = ∫ ( a1u 3 + a2u 2 + a3u + a4 )
R
E
η  exp  −   du + ∫ η  exp  −   du
ETR uI η    η  
  uR
η    η  
 
Availability Factor AF
Misura della percentuale di tempo in cui la turbina è operativa :
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 234

β −1
uO
β u   u β 
AF = P ( uI ≤ u < uO ) = ∫ η  exp  −   du
uI
η    η  
 
AF aumenta al diminuire della velocità di Cut-in e al crescere di quella di Cut-out e di quella media.
Considerare separatamente rendimento η e coefficienti CF ed AF porterebbe a considerazioni erronee:
è possibile avere un elevato AF ma con basso rendimento elettrico della macchina e viceversa.
Il giusto approccio consiste quindi nel valutare nel loro complesso i parametri, così da ottimizzare
il più possibile lo sfruttamento delle risorse con il minor costo.
La maggiore energia nel vento si trova a velocità superiori a quella media, vedi Figura 174 per la
quale si hanno i valori:
⋅ Media (7 m/s)
⋅ Mediana (linea nera, 6.6 m/s)
⋅ Moda (5.5 m/s)

Figura 174: Utilizzo dell’energia eolica

Figura 175: Distribuzione di Weibull e utilizzo dell’energia eolica


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 235

Figura 176: Distribuzione del vento a Taiwan

Tabella 22: Esempio di dati di distribuzione dell’energia eolica


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 236

10.4 POTENZA MASSIMA UTILIZZABILE (TEORIA DI BETZ)


Consideriamo una macchina ad asse orizzontale con girante tipo elica (la turbina eolica
attualmente del tipo più comune).

Figura 177: Frontespizio della pubblicazione di Betz


Assumiamo che la girante della turbina abbia uno spessore a-,b che la pressione e la velocità del
vento incidente, sufficientemente lontano dalla turbina, siano Pi e Vi, e che all'uscita la pressione e la
velocità del vento, di nuovo sufficientemente lontano dalla macchina, siano, rispettivamente, Pe e Ve.
La velocità Ve risulterà inferiore a Vi poiché energia cinetica è stata estratta dalla turbina dalla corrente.

Figura 178: Ipotesi di Betz


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 237

Si assume un modello mono-dimensionale di un rotore ideale. Il rotore è un disco permeabile;


Ideale (nessun attrito, nessuna componente rotazionale).
Il rotore rallenta il flusso da V0 (upstream) ad u (nel piano del rotore) e quindi u1 (downstream). Le
linee di flusso divergono.
Considerando l'aria incidente compresa fra i ed a come un sistema termodinamico, ed assumendo
costante la sua densità (una approssimazione valida poiché pressione e temperatura variano poco
rispetto ai valori iniziali, dell'ambiente), nell'ipotesi che non vi siano variazioni nell'energia potenziale e
che non vi sia cessione o estrazione di lavoro e calore (fra i ed a) l'equazione della conservazione della
energia si può scrivere come
V2 V2
Pi + ρ i = Pa + ρ a
2 2
Analogamente, per la regione di uscita b-e:
V2 V2
Pe + ρ e = Pb + ρ b
2 2
La velocità del vento attraverso la turbina diminuisce da a a b, poiché parte della sua energia
cinetica è convertita in lavoro. La velocità del vento non decresce bruscamente, ma gradualmente,
passando dal valore Vi di avvicinamento al valore Va e poi raggiungendo il valore Ve. Dunque Vi > Va
e Vb >Ve , conseguentemente Pa > Pi e Pb < Pe; cioè la pressione del vento cresce quando esso si
avvicina alla macchina e cresce quando si allontana da essa.
Combinando le equazioni precedenti si ottiene
V 2 − Va2 V 2 − Vb2
Pa − Pb = ( Pi + ρ i ) − ( Pe + ρ e )
2 2
E' ragionevole assumere che lontano dalla girante, in e, la pressione del vento ritorni uguale alla
pressione ambiente, ovvero
Pe = Pi
e che la velocità all'interno della girante, Vt, possa essere ritenuta in prima approssimazione
costante (l'ampiezza della pala a-b è piccola rispetto alla distanza totale considerata), cosi che
Vt ≈ Va ≈ Vb
La combinazione delle equazioni delle precedenti tre equazioni fornisce
V 2 − Ve2
Pa − Pb = ρ ( i )
2
La forza assiale Fx, nella direzione della corrente, sulla ruota, di sezione A perpendicolare al
flusso, è data dalla
V 2 − Ve2
Fx = ( Pa − Pb ) A = ρ A( i )
2
Questa forza è anche uguale alla variazione della quantità di moto della corrente

∆ (mV )

m = ρ AVt
Fx = ρ AVt (Vi − Ve )
Dalle precedenti equazioni si ottiene:
1
Vt = (Vi + Ve )
2
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 238

Si consideri ora il sistema globale delimitato dalle sezioni i ed e. Le variazioni di energia potenziale
sono, come prima, nulle, così come le variazioni di energia interna (Ti = Te) e l'energia di pulsione
(Pi/ρ = Pe/ρ); non c'è calore aggiunto od estratto dal sistema. La conservazione della energia fornisce
allora il lavoro W
Vi 2 − Ve2
W = KEi − KEe =
2
La potenza P si calcola poi come flusso di lavoro
• V 2 −V 2 1
P=m i e
= ρ AVt (Vi 2 − Ve2 )
2 2
Dalla equazione della Vt si ottiene:
1
P= ρ A(Vi + Ve )(Vi 2 − Ve2 )
4
1
L'equazione precedente si semplifica nella equazione Ptot = ρ AVi 3 per P = Ptot, quando Vt =
2
Vi e Ve sono eguali a 0; cioè quando il vento si arresta completamente a valle della turbina. Ciò,
ovviamente, è impossibile poiché il vento non si può accumulare all'uscita dalla turbina. Esiste un
valore ottimale della velocità di uscita Ve,opt in corrispondenza della quale si ha una massima potenza
Pmax, ottenibile differenziando P nella equazione precedente rispetto a Ve per un dato Vi ed
eguagliando a zero la derivata.
3Ve2 + 2VV
i e − Vi = 0
2

La radice positiva Ve che risolve la precedente equazione da Ve,opt


1
Ve,opt = Vi
3
1
Dall'equazione P = ρ A(Vi + Ve )(Vi 2 − Ve2 ) si ottiene poi Pmax
4
8
Pmax = ρ AVi 3
27
Il rendimento (o coefficiente di potenza) ideale, massimo, teorico ηmax di una turbina eolica si può
valutare come rapporto fra la potenza massima ottenibile e quella disponibile:
P 8 16
η = max = × 2 = = 0.5926
Ptot 27 27
In altre parole, una turbina eolica e' in grado, al massimo, di convertire non più di circa il 60%
della potenza totale disponibile nella corrente.
La Potenza è adimensionalizzata rispetto a Pavail e si definisce il “Power Coefficient CP”:
Cp = P / [ (1/2) r V03 A]

In modo analogo, si definisce il “Thrust Coefficient CT”:


CT = T / [ (1/2) ρ V02 A]
Inserendo le equazioni P, T = f(a, ρ, V0, A) precedentemente individuate nelle espressioni
definite per CP e CT:
CP = 4a (1 – a)2
CT = 4a (1 – a)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 239

Differenziando CP rispetto ad a si ricava:


(dCP / da) = 4 (1-a) (1-3a)
Cpmax = 16/27 per a = 1/3

Si è dunque ricavato il massimo teorico CP=16/27


⋅ per a=1/3 (detto Limite di Betz), valido
⋅ per una turbina ideale ad asse orizzontale
⋅ per a < 0.4
⋅ per a > 0.4 il salto (V0 - u1) è grande a sufficienza da formare vortici che trasportano QdM
dal flusso esterno nella scia (turbulent wake state), e quindi la teoria semplice della QdM non è
più valida

Figura 179: Distribuzione dei coefficienti CT e CP


10.5 POTENZA REALE
Lungo le pale di una turbina eolica la velocità periferica varia sensibilmente dalla base all'apice
così che le pale sono spesso svergolate.
Il coefficiente massimo di potenza 0,5926 assume condizioni uniformi lungo tutta la pala.
Un calcolo più rigoroso della potenza estratta dalla turbina mostra che il coefficiente di portata
ideale dipende dal rapporto velocità periferica (all'apice della pala)/velocità del vento e raggiunge il
valore di 0.6 solo quando la velocità periferica è circa 6-7 volte la velocità del vento.
Come detto, il massimo teorico CP=16/27 per a=1/3 (detto Limite di Betz) è valido:
- per una turbina ideale ad asse orizzontale per a < 0.4
- per a > 0.4 il salto (V0 - u1) è grande a sufficienza da formare vortici che trasportano QdM dal
flusso esterno nella scia (turbulent wake state), e quindi la teoria semplice della QdM non è più valida
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 240

Figura 180: Distribuzione dei filetti nel mulino reale

Figura 181: Distribuzione dei regimi di funzionamento di una turbina reale


10.6 CONVERSIONE DELLA ENERGIA DEL VENTO E CARATTERISTICA
POTENZA-RESA VELOCITÀ DEL VENTO PER UNA TURBINA EOLICA
La velocità del vento oltre che variare da luogo a luogo subisce anche notevoli variazioni locali
nel tempo. L'analisi della possibile conversione della energia cinetica del vento in energia elettrica (kWh
utili) deve iniziare dunque da una analisi statistica delle velocità locali del vento (tenendo anche conto
della variazione della velocità media con l'altezza, così da avere la velocità al mozzo della turbina); dalla
integrazione delle potenze su successivi intervalli di tempo e dal fattore di carico della macchina.
Ad esempio, una macchina da 100 kW nominali nell'anno potrebbe produrre 8.76 × 105 kWh, e
si tenga presente che questi 100 kW massimi di progetto sono solo una frazione della energia cinetica
del vento (tipicamente il 40%, tenendo conto del limite di Betz e del rendimento della macchina).
A seconda delle caratteristiche del luogo considerato poi una turbina eolica può funzionare
mediamente alla potenza massima solo per una ben determinata frazione del tempo (tipicamente per il
30%), con una disponibilità del 90-95%: il fattore di carico sarà dunque pari a 0.3 × 0.95 = 28.5% e
l'energia effettivamente prodotta 2.5 × 105 kWh.
Le prestazioni di un aeromotore vengono sintetizzate mediante una curva che rappresenta
l'andamento della potenza resa (in ordinata) in funzione della velocità del vento (in ascissa).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 241

Per l'aerogeneratore viene considerata la potenza elettrica resa ai morsetti. Si definisce come
velocità del vento di "avviamento" ("iniziale", o di "start-up") la minima velocità alla quale la macchina
inizia a ruotare (valore tipico: 5 m/s).
Si definisce invece velocità del vento di "inserimento" o di generazione ("cut-in") la minima
velocità per cui l'aerogeneratore inizia ad erogare energia elettrica. Corrisponde di solito all'inserzione
della macchina in rete.
La velocità del vento "nominale" ("rated") è in genere la minima velocità del vento che da la
potenza resa corrispondente al massimo rendimento aerodinamico del rotore (potenza nominale)
(valore tipico: 9-12 m/s).
La velocità del vento di "fuori servizio" (o di "stacco" o di "cut-out") è la velocità alla quale la
macchina viene staccata dalla rete, provocando l'intervento delle protezioni contro le sovra-velocità
Infine la velocità del vento al limite della resistenza è la massima velocità che una macchina può
sopportare senza danno.
Per un aerogeneratore ideale la curva potenza-velocità del vento mostra una potenza che cresce
dalla velocità di "cut-in" a quella nominale e poi si mantiene costante fino alla velocità di "cut-out".
Quest'ultimo fatto è dovuto alla necessità di evitare che la macchina elettrica venga sovraccaricata
oppure che si scelga un generatore sovradimensionato, le cui possibilità verrebbero poi sfruttate per un
tempo assai ridotto.
Nelle macchine reali questa curva è realizzata mediante la regolazione continua (meccanica) del
passo ("pitch regulation"), che consente, una volta raggiunta la potenza massima, di 'sfiorare' la potenza in
eccesso fornita dal vento. Quando la velocità del vento raggiunge il valore di "stacco" le pale entrano in
stallo.
10.7 CARATTERISTICHE DEL VENTO
La potenza del vento è proporzionale al cubo della sua velocità ed è quindi essenziale conoscerne
con precisione le caratteristiche se si vuole realisticamente prevedere le prestazioni di un aeromotore.
Le più elevate velocità del vento si incontrano sulle creste montuose, sulle coste e nel mare aperto (o in
vicinanza dei grandi laghi). I parametri del vento che servono per un corretto dimensionamento di una
turbina eolica sono: le velocità medie, le variazioni istantanee (raffiche), giornaliere ed annuali, la
variazione con l'altitudine e le direzioni prevalenti: caratteristiche strettamente dipendenti dal sito che si
considera e che possono venire raccolte solo dopo anni di indagini statistiche e misure.

Di solito la velocità locale manifesta notevoli fluttuazioni nel tempo (v. per esempio la Figure 1.2)
e la velocità istantanea V può essere descritta sommando ad un valore medio Vm una componete
fluttuante nel tempo v:
V = Vm + v
La velocità media Vm tipicamente viene determinata su prefissati intervalli temporali (10 minuti,
per esempio).
2
1 1 2 
T
v2
Vm Vm  T ∫0
Tu = =  v dt 

La fluttuazione del flusso viene solitamente espressa con riferimento alla radice quadrata della
media del quadrato delle componenti turbolente della velocità istantanea:
Per terreni ad elevata rugosità (con alberi ed edifici) l'intensità della turbolenza solitamente varia
fra 0.15-0.2; per terreni lisci tipicamente 0.1.
La velocità del vento sulla superficie del terreno è nulla (a causa dell'attrito fra aria e terreno);
cresce poi rapidamente con l'altezza, tipicamente sino a circa 2 km, dopo di che il gradiente verticale di
velocità praticamente si annulla.
La variazione verticale della velocità del vento viene di solito descritta con funzioni esponenziali
del tipo
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 242

α
 z
V ( z ) = Vr  
 zr 
Nella quale z rappresenta l'altezza dal suolo, Vr la velocità del vento alla quota di riferimento zr,
V(z) la velocità media alla quota z. Il parametro α dipende dalla rugosità locale (un valore tipico può
essere 0.1). Si veda in proposito la Tabella seguente.
Tipo del terreno Classe di Esponent
rugosità eα
Grandi superfici acquatiche 0 0.01
Terreni aperti con pochi ostacoli 1 0.12
Terreni agricoli con edifici e barriere (di protezione, siepi, ecc.) 2 0.16
Aree agricole con molti alberi, boschi e paesi 3 0.28
Figura 182: Parametro α
L'istogramma da la probabilità (calcolata sulle rilevazioni in diversi anni) che si presenti una
determinata velocità compresa fra V e V+∆V (nel caso di Figura ∆V=1 m/s). Ad esempio, la
probabilità che il vento abbia velocità compresa fra 4.5 e 5.5 m/s è 0.104 ovvero (0.104 × 8760)=910
ore/anno.
Diagrammi simili (della "distribuzione di frequenza") sono disponibili a livello annuale, stagionale
o mensile e presentano tutti una caratteristica forma a campana con asimmetria a sinistra (tipica
distribuzione di Weibull e Rayleigh).
La "distribuzione cumulata della frequenza", detta anche "curva di durata", viene poi ottenuta dalla
precedente distribuzione in modo da poter valutare (ad esempio in termini di ore/anno) il numero delle
ore nelle quali una determinata velocità viene ecceduta.
10.8 AERODINAMICA DEL PROFILO
Si definiscono due coefficienti
⋅ Lift Coeff. CL: CL = L / [ 0.5 ρ V∞2 c]
⋅ Drag Coeff. CD: CD = D / [ 0.5 ρ V∞2 c]
c è la corda del profilo, ρ la densità.

Figura 183: Definizione del Lift e del Drag


In un profilo per uso aeronautico, L/D deve essere massimizzato.
⋅ L è la forza che si oppone alla gravità (maggiore L, maggiore il carico (payload) trasportabile)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 243

⋅ D è bilanciato dalla spinta del propulsore


E’ inoltre definito un terzo coefficiente
⋅ Moment Coeff. CM: CM = M / [ 0.5 ρ V∞2 c]
M agisce circa ad ¼ della corda dal leading edge. Il momento è positivo se il profilo ruota in senso
orario (nose up).

Figura 184: Forze agenti sulle pale


Spiegazione del Lift:
La forma del profilo forza il flusso a curvare attorno alla geometria. Un gradiente di pressione è
necessario per curvare le linee di flusso. Nella parte superiore del profilo si ha una p < patm, mentre in
quella inferiore p > patm.

Figura 185: Il Lift


Profilo allineato al flusso SL (Strato Limite) non separato. La resistenza è principalmente
causata dall’attrito con l’aria.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 244

Figura 186: Rappresentazione vettoriale delle forze agenti sulla pala


In generale, CL, CD e CM = f(α, Re, Ma) con:
⋅ α = ang.di attacco (tra corda e V∞)
⋅ Re = c V∞ /ν (Re basato su corda e V∞)
⋅ Ma = V∞ / a (a = velocità del suono)
Per turbine eoliche si hanno CL, CD e CM = f(α, Re)
Drag
Risulta:
P = D vr

dove vr = (vw – v). Dalla definizione del coeff. CD si ha:


D = CD (ρ/2) (vw – v)2 A,

da cui risulta una Potenza pari a:


P = CD (ρ/2) (vw – v)2 A vr

Esprimendo la P in rapporto a quella contenuta nella corrente d’aria


CP = P / P0 = [CD (ρ/2) (vw – v)2 A vr] / [(ρ/2) vw3 A ]

In modo analogo a quanto fatto in precedenza, si trova CPmax per v/vw = 1/3
CPmax = (4/27) CD

Dato che CD difficilmente supera il valore di 1.3, si ha


CPmax ≈ 0.2

Quindi, si raggiunge circa solo un terzo del valore 0.593.


CL aumenta linearmente con α, con pendenza pari a circa 2π/rad, fino ad un max, dove il profilo
“stalla” e CL diminuisce rapidamente. Per piccoli angoli di attacco, CD è circa costante, ma poi
aumenta rapidamente.
La dipendenza da Re diventa sempre meno significativa oltre un certo valore. Questa dipendenza
è correlata al punto in cui avviene la transizione SL laminare – SL turbolento.
Il comportamento allo stallo dipende dalla geometria. Profili molto fini, con leading edge molto
stretto, tendono ad andare in stallo in modo più improvviso di quelli con grosso spessore.
Questo dipende da come lo SL si separa sul lato superiore del profilo: se la separazione avviene in
modo morbido dal trailing edge all’aumentare dell’angolo di attacco soft stall.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 245

Se la separazione avviene sul leading edge, l’intero SL può separarsi istantaneamente con perdita
immediata di portanza.

Figura 187: La forza Drag

Figura 188: Distribuzione di CT e CD


Perdite
Si hanno le seguenti perdite:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 246

⋅ Free tip vortices


⋅ induced drag
⋅ Blade tip losses
Dalla differenza di pressione al tip tra le due facce si hanno le Hub losses (scia dietro all’Hub).
Si usano modelli (complex vortex model) e si definiscono i coefficienti:
Power coefficient: CP = P / [0.5 ρ vw3 A]
Torque coefficient: CQ = M / [0.5 ρ vw2 A R]
CP = λ CQ
(A = Area del rotore)
Blade tip-speed ratio: λ = u /vw = R ω / vw dove
u = velocità tangenziale della pala al tip
vw = velocità del vento
La dipendenza di CP da λ è una caratteristica del rotore
La Teoria di Betz fornisce un CP costante ed ideale (0.593), indipendente da λ. Quando si
considerano i vortici nella scia  CP = f(λ). Solo quando λ è infinitamente elevato si ha che CP
approssima il valore ideale indicato da Betz. CP ha un ottimo per un dato valore di λ. Per ogni rotore
caratterizzato da un numero “n” di pale, esiste un λ tale da massimizzare CP .

Figura 189: Distribuzione delle perdite


10.9 CARATTERISTICHE DEI ROTORI

I mulini a vento raggiungevano CP ≈ 0.3 ed erano basati essenzialmente sul concetto di Drag.
I moderni generatori raggiungono CP ≈ 0.5. Si assiste alla superiorità del concetto di Lift rispetto
a quello di Drag.
Relativamente a CP, i rotori a più alto tip-speed ratio sono preferibili. Rispetto a CQ, i rotori lenti
multi-pala hanno la coppia più alta.
Possibili problemi di avvio si possono avere per rotori mono e bi-pala. Il Rotore tripala
rappresenta il miglior compromesso. Si hanno i seguenti coefficienti:
Power coefficient: CP = P / [0.5 ρ vw3 A]
Torque coefficient: CQ = M / [0.5 ρ vw2 A R]
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 247

Figura 190: Evoluzione dei moderni rotori


Non interessa una turbina con elevato rendimento (poiché il combustibile è a costo zero) quanto
la produzione di energia al più basso costo possibile.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 248

11 LA PROBLEMATICA DELLE FUEL CELLS

Gli attuali motori endotermici sembrano aver quasi raggiunto i loro limiti tecnologici e pertanto il
rapporto fra il ciclo reale e quello ideale, ηR/ηI, tende al valore massimo consentito dai materiali
utilizzati. Si ricorda, infatti, che il limite tecnologico è imposto oggi quasi esclusivamente dalla
temperatura massima raggiungibile in condizioni stazionarie nel ciclo termodinamico: per i motori a
scoppio questa è data dalla fase di scoppio seguita da altre fasi di raffreddamento mentre per i motori a
gas (turbine a gas con ciclo Joule) la temperatura massima si ha in uscita dalla camera di combustione e in
ingresso al distributore del primo anello della turbina ed infine per i cicli a vapore la temperatura
massima si ha all’uscita dal generatore di vapore.
In tutti i precedenti casi i limiti tecnologici sembrano ormai raggiunti e sono stabili da decenni e
non si vedono altri miglioramenti a meno di cambiare i materiali utilizzati. In ogni caso il miglioramento
sul rendimento termodinamico è ormai marginale.

Figura 191: Confronto fra i rendimenti dei cicli oggi disponibili

Figura 192: Confronto dei sistemi di conversione dell’energia


La tecnologia delle celle a combustibile che qui si vuole presentare supera entrambi i limiti sopra
detti (limite termodinamico di 2° principio e tecnologici per i materiali) potendosi anche ipotizzare un rendimento
di trasformazione unitario nell’ipotesi (ovviamente ideale) di trasformazioni perfettamente reversibili.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 249

Le celle a combustibile sono generatori elettrochimici dove l’energia chimica dei combustibili è
trasformata direttamente in energia elettrica senza combustione45.
11.1 FUNZIONAMENTO BASILARE DELLE CELLE A COMBUSTIBILE
L’idea di utilizzare processi elettrolitici per produrre energia elettrica non è nuova e risale già alla
seconda metà dell’ottocento. Tuttavia gli sviluppi più importanti si sono avuti a partire dalla seconda
metà del novecento sia con l’esigenza, prima, di avere generatori compatti per applicazioni spaziali e,
poi, di sostituire le tecnologie basate sugli idrocarburi nei normali cicli a combustione con altre di tipo
alternativo meno inquinanti e maggiormente performanti46, come indicato in un confronto con gli
attuali cicli in Figura 191.
Celle a combustibile con elettrolita acido
Il meccanismo di base del funzionamento di una cella a combustibile è indicato in Figura 193 e
può essere descritto nelle seguenti fasi:
⋅ Nelle celle con elettrolita di tipo acido, vedi Figura 193, si invia combustibile (H2) che a
contatto con il catalizzatore si dissocia in protoni ed elettroni secondo la reazione:
H2 → 2H+ + 2e- E0= 0.000 V
⋅ In corrispondenza dell’anodo si invia il comburente (O2) che riceve gli elettroni liberati
dall’idrogeno e provenienti esternamente attraverso il circuito esterno e si dissocia in
ione ossigeno che combinandosi con gli ioni idrogeno proveniente attraverso l’elettrolita
forma acqua secondo la relazione:
O2 + 4 H+ + 4 e- → 2H2O- E0= 1.229 V

Figura 193: Schema base delle celle a combustibile con elettrolita acido

45 Si ricorderà dal Corso di Fisica Tecnica che il processo di combustione è responsabile di una perdita di exergia di
circa il 30% (vedi Diagramma di Sunkey delle centrali a ciclo Rankine) a causa delle perdite insite nel processo chimico-fisico
della combustione e del generatore termico. Nelle celle a combustibile si ha un processo di ossido-riduzione non termico ma
elettrochimico che evita le perdite termodinamiche suddette.
46 In realtà si sta assistendo ad uno sviluppo accelerato nell’ultimo decennio per motivi anche geo-politici legati al

costo e alla disponibilità del petrolio oltre che ad una accettata necessità di ridurre le emissioni inquinanti per ridurre l’effetto
serra (Protocollo di Kyoto).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 250

In definitiva si forniscono alla cella da un lato idrogeno e dall’altro lato ossigeno ottenendo
formazione di acqua e di energia elettrica secondo la reazione (non più di combustione):
2H2 + O2 → H2O E0= 1.229 V
Il prodotto finale è assolutamente non inquinante e la cella fornisce direttamente energia elettrica
senza passare attraverso il rendimento di Carnot. Si osservi che la trasformazione inversa consente di
separare dall’acqua idrogeno ed ossigeno ricostituendo i componenti fondamentali di ingresso della
cella. In questo senso si avrebbe, qualora si raggiungesse l’effettiva reversibilità, un ciclo ideale
reversibile con rendimento di trasformazione unitario.
Celle a combustibile con elettrolita basico
Si possono avere celle a combustibile con elettrolita basico il cui funzionamento è schematizzato
nella seguente sequenza di reazioni per l’anodo e per il catodo:
H2 + 2 OH-- - → 2H2O + 2e-- E0=- 0.828 V
O2 + 2 H2O + 4 e- → 4 OH-- E0= 0.401 V
In definitiva ancora una volta si ha la reazione complessiva:
2H2 + O2 → H2O E0= 1.229 V

11.2 TIPOLOGIE DI CELLE A COMBUSTIBILE


In base a quanto sopra visto la tipologia dell’elettrolita stabilisce anche il tipo di celle a
combustibile. Possiamo riassumere le varie tipologie nella seguente Tabella 23.
Le celle AFC (di tipo alcalino) sono le più conosciute e studiate ma sono anche le più ingombranti e
vanno bene per impianti fissi (di terra) e funzionano con ossigeno puro.
Le celle PAFC (ad acido fosforico) sono utilizzate per le missioni spaziali. Le celle SOFC hanno
buon rendimento ma bassa densità di potenza. Le cella MCFC hanno bisogno di un impianto di
ricircolo della CO2.
Le celle PEMFC (con membrana a scambio protonico) sono quelle più interessanti per un uso
automobilistico poiché risultano compatte e leggere oltre a funzionare a bassa temperatura e quindi
avviabili senza un preriscaldamento esterno. Queste ultime celle possono essere utilizzate in
abbinamento con un reformer per la produzione di idrogeno da metanolo.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 251

Figura 194: Cella a combustibile disassemblata


In Figura 194 si ha una vista di insieme di una cella disassemblata nella quale sono visibili gli
elettrodi esterni e lo strato elettrolitico interno.

Tabella 23: Tipologie di celle a combustibile

Figura 195; Schema di funzionamento dei vari tipi di celle a combustibile


11.3 TERMODINAMICA DELLE CELLE A COMBUSTIBILE
Il lavoro reversibile prodotto da una cella a combustibile può essere calcolato mediante la
relazione:
Lrev = n F Erev = - ∆G
Ove si hanno i seguenti simboli:
⋅ n numero di elettroni liberati;
⋅ Erev è la tensione nominale della cella;
⋅ F la costante di Faraday47
⋅ ∆G l’energia libera di Gibbs.
L’energia libera di Gibbs rappresenta quindi l’energia convertibile in lavoro.
Il rendimento è calcolato rispetto al massimo calore estraibile da una normale reazione di
ossidazione (combustione) e corrispondente al potere calorifico inferiore (∆H) del combustibile usato.
Si ricorda, dalla Termodinamica, che per il potenziale di Gibbs si ha la seguente relazione:

47 La costante di Faraday è la quantità di carica elettrica (detta anche faraday, simbolo F) che libera agli elettrodi di

una cella elettrolitica un equivalente chimico di sostanza; è uguale a 96.487 Coulomb, valore che viene generalmente
arrotondato a 96.500 Coulomb. Per evitare confusioni con il farad è stato proposto di chiamare tale costante Davy, dal nome
del chimico H. Davy.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 252

∆G = ∆H - T∆S
con ∆S variazione di entropia all’interno della cella e con T∆S calore prodotto (o assorbito) dalla
cella. Possiamo esprimere il rendimento della cella mediante il rapporto:
∆G T ∆S
η= = 1−
∆H ∆H
Questa relazione ci dice che il rendimento di trasformazione della cella è minore di uno48 per celle
a bassa temperatura. Per celle ad alta temperatura la variazione di entropia per la formazione dell’acqua
è positiva e pertanto, essendo ∆H negativa, si ha un rendimento maggiore di uno49.
Un’altra osservazione da fare è la variazione dell’efficienza di una cella a combustibile con la
temperatura. In genere l’aumento della temperatura porta ad un decremento delle prestazioni: ad
esempio un tipo di celle passa da rendimento 83% a 25 °C a rendimento 78 % a 100 °C. In definitiva
rispetto a cicli termodinamici tradizionali si ha un andamento opposto, come illustrato nella Figura 196.

Figura 196: Confronto dei rendimenti al variare della temperatura


L’osservazione del grafico indica che ad elevate temperature (nel caso in esame oltre 1100 °C) è
più conveniente usare un ciclo di Carnot anziché una cella a combustibile. Il confronto non si può fare
con riferimento ai cicli reali sia per il rendimento inferiore a quello di Carnot che per il limite
tecnologico citato nell’introduzione.
11.4 POTENZIALE DI UNA CELLA A COMBUSTIBILE
Assumiamo come riferimento una generica reazione del tipo:
aA+bB→cC+dD
nella quale A e B sono i reagenti e C e D sono i prodotti mentre a,b,c,d sono i coefficienti
stechiometrici. Il lavoro estraibile da una cella è dato, come si ricorderà dall’elettrochimica, dalla
relazione:
[C ] [ D ]
c d

∆G = ∆G 0
+ RT ln
[ A] [ B ]
a b

ove in parentesi quadra si hanno le attività delle specie chimiche coinvolte nella reazione tipo
sopra indicata. Tale attività coincidono, nel caso di miscele di gas ideali, con le pressioni parziali.

48 Si dimostra che ∆H è negativo e che anche ∆S è negativo per la formazione di acqua con T< 100 °C.
49 Questa apparente contraddizione si giustifica con il fatto che si è preso come riferimento il ptere calorifico
inferiore anziché quello superiore. In effetti qualcosa di analogo succede per il rendimento delle caldaie a condensazione
nelle quali si recupera anche il calore latente di condensazione del vapore liberato nella reazione di combustione.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 253

Esprimendo ∆G in funzione di Erev e sostituendo nella precedente relazione si ottiene la relazione


di Nerst:
RT [ A] [ B ]
a B

Erev =E +
0
ln
nF [C ]c [ D ]d

con E0 potenziale della reazione in condizioni standard. Per una miscela di gas ideali,
generalizzando la relazione, si ottiene:
m

RT ∐p i
vi

Erev = E0 + ln i =1
p
nF vj
∐p
j =1
j

con m numero dei reagenti nella reazione e con p numero dei prodotti, e con pi e pj pressione
parziali dei reagenti e dei prodotti e con vi e vj i coefficienti stechiometrici.
Per una cella funzionante con idrogeno ed ossigeno si ha:
RT pH 2 ⋅ pO2
Erev = E 0 + ln
nF pH 2 O
Quest’ultima relazione dice che un aumento delle pressione porta ad un aumento del potenziale
di cella e quindi anche ad aumento di rendimento. Si ha anche un aumento della densità di energia e
quindi un minor peso e ingombro (oltre che minor costo) della cella a combustibile.
Quanto detto vale per condizioni di reversibilità dei processi esaminati e cioè quando la cella
funziona a vuoto, cioè non si ha carico elettrico. In presenza di un carico elettrico vale la legge di Ohm
per cui i potenziali elettrici misurabili differiscono da quelli ideali. La quota di energia libera di Gibbs,
pari a T∆S, viene trasformata in calore e quindi si ha irreversibilità termica. Si hanno altre cause di
irreversibilità dette polarizzazioni.
11.4.1 POLARIZZAZIONE OHMICA
Le perdite ohmiche si hanno nelle resistenze agli elettrodi per gli elettroni e alle resistenze degli
ioni nell’elettrolita, oltre alle perdite di contatto agli elettrodo e ai separatori. La caduta di tensione è
pari, com’è noto dalla legge di Ohm, da:
∆V = R i
In base a quanto sopra detto, per ridurre queste perdite occorre diminuire la distanza fra gli
elettrodi, lo spessore di elettrolita attraversato dagli ioni, aumentare la superficie di contatto tra
elettrolita ed elettrodi e migliorare la conducibilità di entrambi (ionica ed elettronica).
11.4.2 POLARIZZAZIONE PER CONCENTRAZIONE
La rapidità del consumo dei reagenti porta ad avere un gradiente di concentrazione che
contribuisce ad una lenta diffusione gassosa nei pori degli elettrodi e dei reagenti attraverso l’elettrolita
fino alla zona in cui avvengono le reazioni chimiche. Si ha, pertanto, un effetto di diminuzione della
tensione della cella inversamente proporzionale alla concentrazione dei reagenti. La velocità di trasporto
della massa alla superficie di un elettrodo è esprimibile con la legge della diffusione di Fick:
nFD ( Cb − Cs )
i=
δ
ove si hanno i simboli:
⋅ D coefficienti di diffusione dei reagenti;
⋅ Cb la concentrazione media;
⋅ Cs la concentrazione superficiale;
⋅ δ spessore dello strato di diffusione;
⋅ F costante di Faraday.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 254

La concentrazione dei reagenti non può scendere al di sotto di certi limiti per evitare forti perdite
per polarizzazione per concentrazione.
11.4.3 POLARIZZAZIONE PER ATTIVAZIONE
Le reazioni elettrochimiche avvengono solamente quando si supera la barriera di attivazione
(analogamente a quanto avviene per le reazioni chimiche). Ne consegue una diminuzione del potenziale
di cella valutabile con la legge di Tafel:
RT i
∆Vatt = ln
α n F i0
ove si ha:
⋅ α coefficiente di trasporto;
⋅ i0 densità di corrente di scambio.
Di solito si usa la forma semplificata:
∆V = a + b log i
ove a è una costante e b la pendenza di Tafel.
Le perdite per attivazione inducono a ricercare elettrocatalizzatori che portino ad una riduzione
del coefficiente b.
11.5 DIFFERENZA DI POTENZIALE REALE DELLA CELLA
Possiamo ora riassumere le perdite di tensione in un unico termine dato dalla relazione:
∆V pot = ∆VOhm + ∆Vconc + ∆Vatt
Ne consegue che la riduzione complessiva del potenziale della cella sotto carico è data da:
E = Erev − ∆V pot
L’andamento della tensione effettiva della cella in funzione della densità di corrente è data in
Figura 197 ove sono anche evidenziate le singole perdite di tensione sopra descritte. Si osservi che al
crescere della corrente decresce la tensione di cella e quindi le celle a combustibile funzionano meglio a
carico ridotto.

Figura 197: Potenziale effettivo della cella in funzione della corrente


Per quanto detto in precedenza possiamo dire che per ridurre globalmente le perdite di tensione
occorre:
⋅ Aumentare la pressione dei reagenti in modo da accrescere il potenziale di cella;
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 255


Aumentare la temperatura di cella: quest’azione da un lato fa diminuire il rendimento
elettrochimico della cella e dall’altro fa diminuire le polarizzazioni elettroniche ed
aumenta la conducibilità dell’elettrolita.
Si osservi che entrambi gli interventi portano ad avere condizioni di esercizio più severi dei
componenti della cella e di conseguenza anche una vita media inferiore.
Altri interventi utili alla riduzione delle perdite sono:
⋅ lo sviluppo di elettrocatalizzatori migliori;
⋅ scelta di migliori materiali per gli elettrodi, gli elettroliti e le connessioni tra i vari
elementi;
⋅ utilizzo di gas con minori impurezze.
11.6 ELETTRODI A DIFFUSIONE DI GAS
Sia il combustibile che il comburente sono gassosi e le reazioni di ossidoriduzione avvengono in
corrispondenza degli elettrodi. Ne segue che questi ultimi debbono essere di tipo poroso a diffusione di
gas che hanno la caratteristica di presentare una grande superficie di reazione50 e di consentire sia il
passaggio dei reagenti che la raccolta dei prodotti finali.
Definiamo superficie geometrica quella microscopicamente misurabile sull’elettrodo mentre
definiamo superficie di reazione o anche superficie elettrochimica la superficie interessata effettivamente dalle
reazioni elettrochimiche.
Nel caso si elettrodi porosi (polveri metalliche sinterizzate) si hanno superfici di reazione molto
maggiori delle superfici geometriche raggiungendo valore dell’ordine di 100 m²/g di polveri metalliche e
dell’ordine di 1000 m²/g per elettrodi di grafite.
La tipologia degli elettrodi dipende dal metodo di fabbricazione.

11.6.1 ELETTRODI IDROFOBICI


Sono costituiti da polvere di carbonio fissata in una matrice plastica, generalmente Teflon, come
indicato in Figura 198. Le polveri di grafite sono leggere ed hanno una grande superficie. Esse
consentono di depositare vari tipi di catalizzatori. Gli elettrodi con matrice di PTFE sono facili da
lavorare e da costruire su larga scala. In genere si possono distinguere due parti distinte nella sezione di
questi elettrodi: una parte altamente idrofobica ed una sottile superficie bagnabile. Le reazioni
avvengono nell’interfaccia fra le due parti e pertanto deve essere presente anche il catalizzatore.

Figura 198: Elettrodi idrofobici: a) gas, b) grafite, c) agente impermeabile, d) elettrolita liquido
L’idrofobicità dell’elettrodo impedisce all’elettrolita liquido di penetrare a fondo nell’elettrodo
stesso lasciando i pori liberi per la diffusione dei gas di reazione.

50 Si consideri, ad esempio, che un elettrodo di platino con superficie liscia consente di generare densità di correnti
dell’ordine di µA/cm² mentre con superficie porosa si hanno densità di corrente dell’ordine di A/cm².
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 256

11.6.2 ELETTRODI IDROFILICI


Si tratta di elettrodi formati da polveri metalliche sinterizzate. Superficialmente si hanno fori di
maggiori dimensioni (strato di diffusione) rispetto allo strato in cui avvengono le reazioni. Le forze
capillari fanno in modo che l’elettrolita rimanga nei pori più piccoli quando viene applicata una
sovrapressione dei gas di reazione (vedi Figura 199).

Figura 199: Elettrodi idrofilici: a) gas, b) particelle metalliche, c) elettrolita, θ angolo di contatto
Gli elettrodi idrofilici sono pesanti rispetto agli elettrodi idrofobici ma hanno il vantaggio di una
grande conducibilità elettrica. Uno dei sistemi costruttivi più utilizzati è il sistema51 Raney® che evitano
l’utilizzo del platino come catalizzatore.
11.7 CELLE A COMBUSTIBILE AD ELETTROLITA POLIMERICO (PEMFC)
Si tratta di una tipologia di fuel cella con elettrolita polimerico e si presentano molto promettenti
per l’utilizzo nella trazione su veicoli elettrici grazie anche alla possibilità di produzione di idrogeno a
bordo mediante un sistema che utilizza metanolo.

Figura 200: Celle a combustibile ad elettrolita polimerica (PEMFC)

51 Si tratta di un sistema di catalizzatore al NiSn utilizzato per la produzione di idrogeno per fuel cells mediante
reforming di idrocarburi derivati da biomasse.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 257

L’elettrolita è un foglio di materiale polimerico conduttore di protoni. Si tratta di una base


fluoropolimerica (simile al Teflon®) alla quale sono attaccati gruppi sul fonici acidi (SO3-H+). Le
molecole acide sono fissate al polimero mentre i protoni dei gruppi acidi sono liberi di migrare
attraverso la membrana come accade per la conduzione elettronica nei metalli, vedi Figura 200.
Principali vantaggi delle PEMFC
Si possono qui elencare i principali vantaggi delle fuel cells a matrice polimetrica:
⋅ Assenza di sostanze corrosive nelle celle (a differenza delle AFC);
⋅ Facilità di costruzione delle celle;
⋅ Possibilità di lavorare a diverse pressioni senza difficoltà;
⋅ Possibilità di utilizzare aria come comburente al posto dell’ossigeno;
⋅ Lunga vita di esercizio;
⋅ Bassa temperatura di funzionamento;
⋅ Partenze anche a temperatura ambiente.
Principali svantaggi delle PEMFC
Fra gli svantaggi delle PEMFC si possono ricordare:
⋅ Elevato costo attuale delle membrane elettrolitiche e quindi anche delle fuel cells;
⋅ Difficile gestione dell’acqua nella membrana (caratteristica determinante);
⋅ Bassa tolleranza al CO;
⋅ Difficoltà di integrazione interna di un reformer.
Funzionamento delle celle PEMFC
Le reazioni che avvengono sono le stesse descritte per le celle ad elettrolita acido. L’acqua
prodotta si dissolve nel gas comburente e viene espulsa con quest’ultimo (inviato in eccesso proprio per
questa funzione).
L’acqua di reazione provoca anche l’umidificazione della membrana elettrolitica che, in definitiva,
prolunga la vita della cella poiché evita i problemi di essiccazione del polimetro che, a sua volta, riduce
la conducibilità protonica della membrana elettrolitica.
Un metodo per avere raggiungere questo beneficio consiste nell’umidificazione dei gas reagenti in
camere separate e nel mantenere pressioni diverse tra la camera anodica e quella catodica. La pressione
in quest’ultima è maggiore della prima in modo da evitare l’asporto di acqua sotto forma di vapore con
il comburente.
Il grado di umidificazione deve essere accuratamente tenuto sotto controllo perché un eccesso
porterebbe ad un allagamento della membrana con conseguente calo di conducibilità.
I principali elettroliti disponibili sono: Nafion® (prodotto dalla DuPont®), Dow (della Dow Chemical
Company), Aciplex®-S (della Asahi Chemical Industry Company).
Sistema di impilamento delle PEMFC
Le PEMFC hanno una bassa tensione in uscita e pertanto si è soliti utilizzarle impilate per
formare degli stack sia in costruzione monopolare (vedi Figura 201) che bipolare (vedi Figura 202)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 258

Figura 201: Celle PEMFC impilate in stack monopolare

Figura 202: Celle PEMFC impilate in stack bipolare


Avvelenamento da CO delle PEMFC
Si è già detto che le PEMFC soffrono della presenza di CO nei reagenti. Quest’ultimo, infatti,
provoca una specie di avvelenamento del catalizzatore con drastica riduzione delle prestazioni, come
illustrato in Figura 203.
Questo problema si presenta allorquando le celle PEMFC sono utilizzate con un impianto di
reforming di metanolo per la produzione on board dell’idrogeno.
Oggi si costruiscono sistemi con una maggiore tolleranza ma l’avvelenamento provoca anche una
riduzione della vita della cella a combustibile.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 259

Figura 203: Effetto della CO sulle celle PEMFC


Perdite di polarizzazione nelle PEMFC
Un altro problema che si ha nelle PEMFC sono le perdite di polarizzazione ohmica dovuto ad un
contatto non esteso fra elettrodi ed elettrolita.
Per ridurre questo effetto si interpone tra elettrodo ed elettrolita uno strato di materiale
elettrolitico solubilizzato.
Effetti della pressione e della temperatura sulla tensione delle PEMFC
Gli effetti della pressione sul potenziale delle celle PEMFC è dato in Figura 204.

Figura 204: Effetto della pressione sul potenziale delle PEMFC


Gli effetti della temperatura sul potenziale delle celle PEMFC sono riportati in Figura 205.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 260

Figura 205: Effetto della temperatura sul potenziale delle PEMFC


In genere l’aumento della pressione provoca effetti benefici sul potenziale mentre l’incremento
della temperatura provoca una diminuzione del potenziale della cella. Tuttavia l’aumento della
temperatura comporta anche una riduzione della resistenza interna della cella ed una conseguente
diminuzione delle predite ohmiche tale da compensare l’effetto negativo sul potenziale. Si può
concludere che un incremento controllato della temperatura comporta un miglioramento complessivo
delle prestazioni della cella PEMFC.
11.8 COSTRUZIONE DI UNA PEMFC
Ancora oggi, dopo una fase iniziale di sperimentazione ed utilizzo della NASA, si hanno
pochissime informazione tecniche sulla progettazione e costruzione delle celle a matrice polimerica
anche per l’interesse commerciale esclusivo di poche industrie statunitensi.
Fra le difficoltà di realizzazione e sperimentazione di questo tipo di celle si ha la pericolosità
dell’ossigeno che ha un punto di infiammabilità molto ampio (dal 4 al 74,2 %) che comporta la
necessità di un volume di controllo a tenuta.

11.8.1 ELEMENTI COSTRUTTIVI DI UNA PEMFC


In Figura 206 è riassunto il funzionamento di una fuel cells: i gas reagenti (idrogeno ed ossigeno)
sono incanalati e distribuiti agli elettrodi nel modo più omogeneo possibile. I due elettrodi sono divisi
tra loro da una membrana polimetrica del tipo Nafion®.
Possiamo dire che gli elementi costruttivi di una cella a combustibile sono tre: elettrodi,
membrana e distribuzione dei reagenti.
Gli elettrodi possono essere caricati con almeno 1 mg/cm² di platino in una matrice metallica.
Elementi importanti delle celle PEMFC sono gli umidificatori nei quali far gorgogliare i gas
reagenti per mantenere umide le membrane. Detti umidificatori debbono essere sempre tenuti sotto
controllo per evitare l’allagamento degli elettrodi.
La pressione di esercizio e dell’ordine di 2.3 bar e pertanto tutti i componenti debbono essere
dimensionati per resistere a questa pressione.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 261

Figura 206: Funzionamento di una fuel cells


11.9 CELLE A COMBUSTIBILE DI TIPO ALCALINE (AFC)
In questo tipo di celle, fra l’altro le più antiche52 e più utilizzate. Esse usano un elettrolita
composto da una soluzione acquosa di KOH che viene trattenuto da una matrice di amianto.
Funzionano a bassa temperatura ( 25-90 °C), hanno performance elevate e funzionano senza la
necessità di utilizzare catalizzatori costosi.
Presentano l’inconveniente grave dell’avvelenamento da CO2 che obbliga ad usare reagenti di
elevata purezza. Le piastre di interconnessione sono generalmente in nichel o in acciaio inossidabile o
anche in plastica. Le connessioni elettriche sono effettuate all’esterno delle piastre.
Come catalizzatori si possono utilizzare:
⋅ Anodo: Platino o Nichel di Raney o Borro di Nichel;
⋅ Catodo: lega di Pt-Au o Ag.
L’elettrolita, come già detto, è una soluzione acquosa di idrossido di metallo alcalino e pertanto si
può usare NaOH o KOH: quest’ultimo è preferito da quasi tutti i costruttori di questo tipo di celle e la
concentrazione varia dal 30 al 45% (da 8 a 12 moli per litro).
L’elettrolita può essere sia statico (come nelle applicazioni spaziali) che dinamico (posto in
circolazione): in quest’ultimo caso l’elettrolita svolge anche la funzione di refrigeratore e di trasportatore
dell’acqua di reazione anche se le probabilità di fuga è più elevata.
Con concentrazioni medie di potassa (30-45%) e pressione prossima a quella ambiente, la
temperatura di funzionamento raggiunge gli 80-90 °C. Con concentrazioni più elevate si hanno
temperature più elevate (260 °C per le pile spaziali) o per pressioni più elevate (le pile spaziali
funzionano a 3-4 bar).
Per pressione quasi atmosferica e temperatura di 70 °C la tensione nominale di questa cella è pari
a VN = 0.78 V e la densità di corrente è IN = 100 mA/cm².
La durata di queste pile può essere elevata (circa 15000 ore per le celle costruite negli USA).

52La NASA le ha scelte ed utilizzate fin dalla metà del novecento nelle applicazioni spaziali. Questo tipo di celle sono
attualmente le più conosciute.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 262

11.9.1 ESEMPI DI REALIZZAZIONI


Le celle della Pratt e Whitney utilizzate per le missioni Apollo sono raffigurate in Figura 207

Figura 207: Celle Pratt e Whitney usate per il programma Apollo


Le caratteristiche principali erano:
⋅ Diametro di 57 cm, lunghezza 112 cm, peso 110 kg;
⋅ Caratteristiche elettriche: V =0,85 V, I = 150 mA/cm²;
⋅ Potenza nominale unitaria: 1,42 kW a 27-31 V;
⋅ Reagenti: idrogeno ed ossigeno puri;
⋅ Elettrolita: KOH all’85%;
⋅ Pressione di funzionamento: 4.1 bar ass.
⋅ Temperatura di funzionamento: 260 °C.
Per lo Space Shuttle è stata sviluppata una cella a combustibile, vedi Figura 208, con le seguenti
caratteristiche:
⋅ Altezza 35 cm, larghezza 38 cm, lunghezza 101 cm, peso 91 kg;
⋅ Caratteristiche elettriche: V =0,86 V, I = 470 mA/cm²;
⋅ Potenza nominale unitaria: 12 kW a 27,5 V;
⋅ Reagenti: idrogeno ed ossigeno puri;
⋅ Pressione di funzionamento: 4.1 bar ass.
⋅ Temperatura di funzionamento: 80-90 °C.
⋅ Anodo: catalizzatore 10 mg di Pt + PTFE depositato si uno strato di nichel argentato;
⋅ Catodo: 20 mg di oro sullo stesso strato.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 263

Figura 208: Modulo utilizzato nello Space Shuttle

11.9.2 ASPETTI ECONOMICI DELLE AFC


Tenuto conto dei materiali utilizzati, queste celle a combustibile sono a tutt’oggi le meno costose
anche se i prezzi divulgati sono solo quelli prototipali e non commerciali.
11.10 CELLE A COMBUSTIBILE AD ACIDO FOSFORICO (PAFC)
In queste celle si ha un elettrolita costituito da una soluzione concentrata di acido fosforico in una
matrice di carburi di silicio.
Si tratta di una tecnologia matura per impieghi stazionari ad esempio per la cogenerazione nei
settori residenziali e nel terziario. Le taglie di potenza vanno da 200 kW ad 1 MW.

Figura 209: Esempio di cella ad acido fosforico (PAFC)


11.11 CELLA A COMBUSTIBILE A CARBONATI FUSI (MCFC)
L’elettrolita è composto da una miscela di carbonati alcalini (Li, Na, K) trattenuta da una matrice
ceramica di LiAlO2. Questo tipo di celle presenta il vantaggio di poter avere il reforming del metano
all’interno della cella e la possibilità di integrazione con cicli a gas o a vapore.
La temperatura massima di utilizzo è di 600-650 °C.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 264

Figura 210: celle a carbonati Fusi (MCFC)


Alcuni moduli di celle di questo tipo sono in corso di installazione in Umbria da parte
dell’Ansaldo per una potenza complessiva di 5 MW.
11.12 CELLE A COMBUSTIBILE AD OSSIDI SOLIDI (SOFC)
L’elettrolita è composto da un solido metallici non poroso, in genere ossido di zirconio drogato
con ossido di ittrio. In queste celle è possibile operare il reforming del metano.
Presentano problemi di materiali ed hanno una temperatura massima di 800-1000 °C. L’alta
temperatura è necessaria per assicurare una conducibilità sufficiente dell’elettrolita

Figura 211: celle ad ossidi solidi (SOFC)


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 265

11.13 CELLE A METANOLO DIRETTO (DMFC)


Operano a temperature fra 70 e 120 °C ed utilizzano come elettrolita una membrana polimerica.
Sono ancora allo stadio iniziale di studio ma presentano interessantissime caratteristiche che le rendono
appetibili per applicazioni automobilistiche.
11.14 CONFRONTO LA DIVERSE TIPOLOGIE DI CELLE A COMBUSTIBILE
Il confronto fra le diverse tipologie di celle a combustibile è sintetizzato nella Tabella 24 e nella
Tabella 25.

Figura 212: Applicazioni delle celle a combustibile

Tabella 24: Confronto fra le diverse tipologie di celle a combustibile (Fonte ENEA)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 266

Tabella 25: Confronto analitico fra le tipologie di celle a combustibile


Nella Tabella 25 si ha una sintesi delle possibili applicazioni delle celle a combustibile.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 267

11.15 PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA CON CELLE A COMBUSTIBILE


Gli impianti con celle a combustibile sono costituiti da 3 sezioni principali (vedi Figura 213):
⋅ una sezione di trattamento del combustibile (gas naturale, metanolo, metano, olio
combustibile, carbone), che converte lo stesso in un gas di sintesi contenente idrogeno,
purificato secondo le necessità imposte dal tipo di cella. La produzione di idrogeno può
essere ottenuta con sistemi che utilizzano processi di steam reforming53, ossidazione
parziale, ecc.. Il processo normalmente impiegato quando si parte da idrocarburi leggeri
è quello di reforming catalitico con vapore, seguito da conversione dell’ossido di
carbonio, abbiamo:
CnHm+ nH2O  nCO + (m/2 + n) H2
nCO + nH2O  nCO2 + n H2
Nel processo occorre adottare condizioni di reazione che prevengano la formazione di
composti indesiderati (es. formazione di carbone) che comprometterebbero l’efficienza
del processo stesso. Questa sezione non è presente se si utilizza idrogeno o se si
impiegano celle ad alta temperatura (MCFC e SOFC) in cui la riforma del combustibile
avviene all’interno della cella stessa.
⋅ una sezione elettrochimica, costituita dalle celle che producono energia elettrica per via
elettrochimica attraverso una reazione tra idrogeno alimentato all’anodo e l’ossigeno
alimentato al catodo; la reazione elettrochimica è accompagnata da produzione di
calore.
⋅ un sistema di condizionamento della potenza elettrica, che trasforma l’energia, prodotta
sotto forma di corrente elettrica continua, in corrente alternata di opportune
caratteristiche.
Completano l’impianto un sistema di regolazione e di recupero del calore, che può essere
utilizzato sia all’interno dell’impianto (ad es. per il reattore di conversione del combustibile), che per
utenze esterne di cogenerazione e un sistema di controllo che assicura il coordinamento delle diverse
sezioni dell’impianto.

Figura 213: Schema a blocchi di un impianto con celle a combustibile

53 I metodi di produzione dell’idrogeno saranno meglio trattati nel prosieguo.


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 268

11.16 BENEFICI INGEGNERISTICI DELL’USO DELLE CELLE A COMBUSTIBILE


Oltre ai benefici ambientali sopra discussi, l’uso delle fuel cells presenta notevoli vantaggi
ingegneristici che qui si riassumono.
⋅ Flessibilità: Una fuel cell può lavorare con idrogeno proveniente da qualunque
combustibile fossile oggi disponibile;
⋅ Potenza generata: la potenza generata da una FC di un assegnato volume è espressa in
kWh/L. La ricerca sta sempre più incrementando questa potenza;
⋅ Condizioni operative: la temperatura di lavoro varia da 80 a 1000 °C, a secondo del
tipo di cella, e quindi nettamente inferiore alla temperatura raggiunta nei motori a
combustione (circa 2200 °C);
⋅ flessibilità del sito: una FC può essere collocata in qualunque area, anche residenziale,
in quanto non provoca alcun inquinamento acustico, ambientale e non richiede
permessi governativi;
⋅ Capacità di cogenerazione: il calore esotermico della reazione elettrochimica può
essere utilizzato per riscaldare l’acqua o per soddisfare il fabbisogno di riscaldamento o
di raffreddamento (con macchine ad assorbimento). Questo riutilizzo del calore
incrementa il rendimento di una FC fino al 90%;
⋅ Risposta rapida a variazioni di carico: per soddisfare le richieste di potenza
energetica e rispondere rapidamente alle variazioni di carico basta alimentare una FC
con una maggiore quantità di combustibile. Vale il principio more fuel more power;
⋅ Semplicità ingegneristica: il funzionamento di una FC non prevede alcun organo di
movimento e ciò determina un progetto più semplice, una maggiore affidabilità e
silenziosità;
⋅ Sicurezza integrata: l’idrogeno può essere autoprodotto mediante reforming del gas
naturale o altro processo tecnologico che utilizzi sia combustibili fossili o biomasse. Ciò
contribuisce a ridurre la dipendenza dal petrolio e a temere meno le future crisi
energetiche.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 269

12 PRODUZIONE DELL’IDROGENO

Prima di parlare delle produzione dell’idrogeno occorre fare alcune precisazioni anche concettuali
anche per prevenire certe deformazioni mentali causate dalla diffusione di notizie di scarso valore
scientifico. L’idrogeno, insieme all’energia elettrica, è un vettore di energia in grado di garantire la
minimizzazione delle emissioni. L’idrogeno, inoltre, permette lo stoccaggio (ancora meglio dell’energia
elettrica) ed offre una maggiore flessibilità nella gestione della domanda energetica. Infine va ancora
sottolineato il fatto che l’idrogeno è molto flessibile negli utilizzi in una vasta gamma di applicazioni (ad
esempio stazionarie, trasporti, portatili).
Il sistema energetico italiano è caratterizzato da una efficienza non elevata ed è fondato
sull’utilizzo di risorse non rinnovabili, soprattutto fossili.

Figura 214: Sistema energetico italiano nel decennio 1999-2000

Figura 215: Sistema energetico e fonti rinnovabili


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 270

In Figura 215 si ha una quadro sinottico del sistema di conversione energetico sia per le fonti
rinnovabili che per le fonti non rinnovabili (o anche esauribili).
In Figura 216 si ha l’andamento della tendenza all’utilizzo delle varie fonti di energia ed è
possibile osservare immediatamente come le uniche fonti in prevedibile crescita sono quelle derivanti
dall’energia nucleare, dalla fusione nucleare, dall’energia solare e, soprattutto, dall’idrogeno. Le fonti
petrolifero sono date in decrescita nella seconda parte del 2000.

Figura 216: Tendenza nell’uso delle fonti energetiche


Osservazioni sul settore dei trasporti
Il settore dei trasporti corrisponde meno agli indirizzi di sostenibilità e necessita quindi di
strategie fortemente innovative. L’aumento dei consumi registrato negli ultimi anni è stato rilevante sia
in termini assoluti sia come incidenza sul totale dei consumi nazionali.
Si osserva, inoltre, che l’impatto locale dei trasporti, dovuto soprattutto al volume crescente di
traffico su strada, desta notevole preoccupazione.
Da dati recenti emerge che i soli trasporti stradali hanno contribuito per il 72% alle emissioni
complessive di monossido di carbonio in Italia, per il 52% a quelle di ossido di azoto e per il 46% a
quelle di composti organici. Il settore dei trasporti, inoltre, contribuisce alle emissioni di CO2 per una
quota percentuale del 22%.
L’uso dell’idrogeno prospetta nuovi scenari possibili. Esso può essere prodotto da combustibili
fossili (previa conversione degli stessi e separazione della CO2) e quindi può essere considerato come il
modo più pulito di utilizzo di questi combustibili. L’idrogeno può essere prodotto anche da altre fonti
(rinnovabili, nucleare) senza emissione di CO2.
Infine il suo utilizzo non genera gas serra (CO2) né altri inquinanti sia per applicazioni nei
trasporti che per produzione di energia elettrica. Grazie a queste caratteristiche uno scenario energetico
basato nel breve termine sull’uso dell’idrogeno consentirebbe di contenere l’effetto serra senza
rinunciare54 ai combustibili fossili e lasciando tempo per sviluppare nuove fonti energetiche (fusione
nucleare).

54 Una riduzione drastica dell’utilizzo delle fonti energetiche tradizionali basate si combustibili fossili potrebbe avere
contraccolpi politici ed economici notevoli. Ciò consiglia una certa prudenza nel prevederne l’eliminazione. Va inoltre
considerato che una qualunque forma di energia si volesse sostituire a quella derivata dal petrolio dovrebbe avere una catena
di distribuzione capillare che risulterebbe costosa e difficile da creare. Per questo motivo un utilizzo razionale e congruente
delle fonti petrolifere mediante produzione e distribuzione di idrogeno sembra la via più adeguata per risolvere i problemi
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 271

Figura 217: Possibile schema di utilizzo dell’idrogeno


L’idrogeno per il trasporto
Per quanto riguarda le applicazioni relative al trasporto, l’idrogeno può essere usato sia in celle a
combustibile che in motori a combustione interna. Con le celle a combustibile utilizzanti idrogeno puro
si avrebbero veicoli veramente ad emissione zero producendo solo acqua (come visto in precedenza).
Inoltre il rendimento delle celle a combustibile è due - tre volte superiore a quello dei veicoli
tradizionali, a pari prestazioni in termini di autonomia, velocità ed accelerazione.
Molti costruttori hanno sviluppato autovetture con celle a combustibile, settore oggi di
grandissimo interesse e sviluppo.

geo-politico-economici sopra indicati. Un sistema di conversione da prodotti petroliferi ad idrogeno consentirebbe di


mantenere le catene di distribuzione capillari oggi esistenti e quindi di non sconvolgere il mercato.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 272

Figura 218: Vetture con celle a combustibile


La Fiat sta attivamente ricercando la configurazione ottimale dell’auto alimentata con fuel cells.
Nel prosieguo si hanno esempi e confronti della Fiat 600 elettrica e dello stesso modello
alimentato con FC.

Figura 219: Fiat 600 elettrica e a cella a combustibile


Le caratteristiche della Fiat 600 FC sono indicate nella seguente figura. Si osservi il notevole
ingombro e il peso del sistema FC - Motore elettrico e la ridotta capacità del serbatoio. Si tratta
comunque di un prototipo sul quale fare esperienza e non è ancora commercializzato.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 273

Anche per trasporto collettivo si hanno studi di bus alimentati con fuel cells. Nella figura
seguente si hanno le caratteristiche di un bus . Si osservi il numero di serbatoi per l’idrogeno, ben 9 a
250 bar. Le prestazioni sono del tutto confrontabili con quelli tradizionali. Gli ingombri dei propulsori
sono in questo caso meno penalizzanti.

Figura 220: Prototipo di CityClass a celle a combustibile


Figura 221: Il prototipo della Fiat 600 FC
L’idrogeno può essere usato anche nei motori a combustione interna alimentati ad idrogeno (o
miscele ricche di idrogeno). Attività dimostrative in questo campo sono condotte da BMW e Ford
Motor Co.

Figura 222: Autovetture con motori a combustione interna ad idrogeno


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 274

Figura 223: Bus con motore alimentato ad idrogeno


Uso dell’idrogeno nei cicli termici
L’idrogeno può essere utilizzato anche nei tradizionali cicli termici a gas con benefici effetti sui
rendimenti e forti riduzioni dell’inquinamento atmosferico.

Figura 224: Ciclo Joule con combustione di idrogeno


Oggi sono in corso notevoli investimenti industriali per il perfezionamento di tecnologie
all’idrogeno per produzione di energia elettrica con rendimenti fino al 60% ed oltre ed emissioni
bassissime di NO entro il 2020.
Oggi questi sistemi sono ancora costosi se paragonati ai sistemi tradizionali ma va tenuto in conto
la riduzione drastica dei danni provocati all’ambiente (esternalità).
Sicurezza nell’uso dell’idrogeno
Studi nei quali sono paragonati idrogeno, metano e benzina indicano che nessun combustibile è
intrinsecamente più sicuro di un altro ma che in ogni caso tutti i combustibili possono essere utilizzati
in modo sicuro.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 275

Tabella 26: Caratteristiche di pericolo di alcuni combustibili


Gas ricchi di idrogeno sono stati impiegati per usi residenziali (power gas) per oltre un secolo prima
che si rendesse disponibile il gas naturale.
Il gas di città distribuito in precedenza infatti costituito da circa il 50% di idrogeno e 50% di CO.

Figura 225: Propagazione della fiamma per idrogeno e benzina

12.1.1 PRODUZIONE DELL’IDROGENO


L’idrogeno può essere prodotto in vari modi. Una delle vie principali è la produzione da
combustibili fossili.
Oggi si tende a stabilizzare le tecnologie produttive e a ridurre la produzione di gas serra
stoccando la CO2 in pozzi esausti ed acquiferi profondi. A questo scopo si stanno sviluppando
tecnologie di iniezione della CO2 e di monitoraggio dei pozzi.
Una seconda e promettente via di produzione dell’idrogeno è quella di utilizzare fonti rinnovabili,
ad esempio mediante gassificazione e pirolisi da biomasse o mediante produzione biologica e
fotoelettrochimica.
Si vedranno più in dettaglio nel prosieguo i principali sistemi di produzione dell’idrogeno.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 276

Figura 226: Ciclo produttivo dell’idrogeno

12.1.2 DISTRIBUZIONE DELL’IDROGENO


La distribuzione dell’idrogeno non è semplice e richiede cure ed attenzioni particolari. Si stanno
studiando le varie problematiche e si stanno realizzando le prime mini reti (vedasi, ad esempio, il
progetto Bicocca).

Figura 227: realizzazione del progetto Bicocca per la distribuzione dell’idrogeno


Questo progetto avanza di pari passo con lo sviluppo di motori a combustione interna alimentati
ad idrogeno (vedasi progetto BMW). Associato al problema della distribuzione vi è anche il problema
dell’accumulo dell’idrogeno. Oltre alle metodologie classiche (serbatoi gas in pressione e serbatoi per
idrogeno liquido) si stanno studiando nuove tecnologie che fanno uso di gas in pressione (oltre i 250
bar con materiali compositi), di idruri (solidi con materiali avanzati con concentrazione di H2 oltre il
2% in peso e con alta ciclabilità o anche liquidi quali il Sodio Boroidrato). Molto interessanti sono
anche le nanostrutture di carbonio (sia nanotubi che nanofibre).
La distribuzione e l’accumulo dell’idrogeno influenza anche la sperimentazione di sistemi a celle a
combustibile per la produzione distribuita dell’energia elettrica sia per usi residenziali (taglia da 3 a 30
kW) che per il terziario (taglia da 50 a 100 kW) e per sistemi portatili ed applicazioni speciali (taglie
piccole inferiori a 1.5 kW).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 277

La distribuzione dell’idrogeno caratterizza anche lo sviluppo di nuovi veicoli da trasporto ad


idrogeno. Si stanno, infatti, studiando prototipi di veicoli ad idrogeno (autobus, vetture da città, scooter
per i quali sono interessate la Fiat e la Aprilia). Per quest’ultimo sviluppo si rende necessario avere una
normativa per l’utilizzo dell’idrogeno. Oggi questa è praticamente assente e questo fatto può vere effetti
negativi per il successivo sviluppo delle applicazioni.
Nel prosieguo si vedranno più in dettaglio le principale tecniche di stoccaggio e distribuzione.
12.2 CARATTERISTICHE DELL’IDROGENO
Le principali caratteristiche dell’idrogeno (dal greco hydor e geno, generatore d’acqua, nome dato da
Lavoisier) sono:
⋅ È allo stato gassoso alle condizioni ambientali;
⋅ È inodoro, insaporo e incoloro;
⋅ È infiammabile;
⋅ Non è tossico;
⋅ È un asfissiante semplice;
⋅ Nello stato liquido è trasparente, senza odore e non corrosivo;
⋅ È l’elemento più abbondante e leggero in natura;
⋅ Il suo punto di ebollizione è -252,8 °C;
⋅ Quando l’idrogeno è allo stato liquido tutti gli altri gas (escluso l’elio) sono solidi;
⋅ 1 volume di idrogeno liquido è pari a circa 840 volumi di idrogeno gassoso, nelle
condizioni ambientali;
⋅ l’idrogeno liquido è 93 volte più leggero dell’acqua;
⋅ l’idrogeno gassoso è circa 14 volte più leggero dell’aria;
⋅ ha un coefficiente di conducibilità termica circa 7 volte maggiore di quello dell’aria;
⋅ diffonde almeno 5 volte più velocemente dell’azoto;
⋅ ad alta pressione e con particolare condizioni di temperatura può provocare
infragilimento di alcuni materiali;
⋅ esiste in due forme: orto idrogeno (spin opposto) e para idrogeno (spin parallelo);
⋅ Le due forme hanno identiche caratteristiche chimiche ma differenti proprietà fisiche;
⋅ Allo stata liquido e quasi completamente nella forma para;
⋅ Allo stato gassoso è composto del 75% della forma para e 25% della forma orto;
⋅ È quasi invisibile alla luce del giorno;
⋅ Temperatura di combustione di circa 2.045 °C;
⋅ Il calore rilasciato dalla fiamma è 10 volte inferiore a quello di altri combustibili a causa
dell’assenza di fuliggine;
⋅ È individuabile osservando trasversalmente le onde termiche sviluppate.

Figura 228: Dati chimico fisici dell’idrogeno


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 278

Figura 229: Diagramma (T,p) per idrogeno, elio, azoto


I dati termofisici più rilevanti dell’idrogeno sono riportati nella Figura 228. In Figura 229 si ha il
diagramma (T,p) per l’idrogeno, l’elio e l’azoto.
12.3 PROCESSI DI PRODUZIONE DELL’IDROGENO
L’idrogeno, pur essendo l’elemento più diffuso dell’universo, non si trova direttamente
disponibile per le applicazioni. Esso deve essere preparato mediante processi industriali complessi e
costosi che rendono spesso l’economia dell’idrogeno ancora non competitiva, almeno da un punto di
vista energetico, con quella delle altre fonti energetiche.
Vedremo nel prosieguo una breve carrellata dei processi industriali più utilizzati e si farà qualche
cenno sulle tecnologie future oggi considerate più promettenti.

12.3.1 TRASFORMAZIONE DEGLI IDROCARBURI (STEAM REFORMING)


Uno dei processi utilizzati è lo steam reformer del metano. Si tratta di un processo ben sviluppato ed
altamente commercializzato che produce oltre il 48% dell’idrogeno mondiale. Questo processo si può
applicare anche all’etano e alla nafta. Gli idrocarburi più pesanti non sono utilizzati perché potrebbero
avere percentuali di impurità elevate: per questi si usano processi diversi quali l’ossidazione parziale.
Il processo di steam reforming (SMR) implica la reazione di metano e vapore in presenza di
catalizzatori alla temperatura di circa 800 °C ed una pressione di 2.5 MPa (25 bar). In una prima fase si
decompone il metano in idrogeno e monossido di carbonio. Nella seconda fase (detta shift reaction) il
monossido di carbonio e l’acqua si trasformano in biossido di carbonio e idrogeno.
Le reazioni implicate nel processo sono, nel reformer:
CH4 + H2O  CO + 3H2 (endotermica)
All’uscita dal reformer il monossido di carbonio reagisce con vapore secondo la reazione:
CO + H2O  CO2 + H2 (esotermica)
In definitiva il processo ha una reazione complessiva:
CH4 + 2H2O  CO2 + 4H2
con un rendimento complessivo del 50-70%.
Nel processo di steam reforming si utilizzano gli idrocarburi sia come reagenti che per produzione di
energia termica (circa il 45%).
Questo processo porta ad avere idrogeno ad un costo superiore del metano di partenza e quindi
da un punto di vista dell’utilizzo quale combustibile risulta più conveniente usare direttamente il
metano. Tuttavia la produzione dell’idrogeno con questo processo risulta più conveniente rispetto ai
procedimenti per elettrolisi o con altre tecnologie. Inoltre lo steam reforming rispetta l’ambiente avendo
un ridottissimo impatto ambientale.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 279

Questa tecnologia appare conveniente se adottata in congiunzione con celle a combustibile per
autotrazione o per applicazioni a scala ridotta.
Oggi si tende a modificare il processo SMR con un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced
Reforming (SER) che porta a produrre idrogeno a bassa temperatura ed elimina la CO2 prodotta durante
il reforming. In definitiva con la tecnologia SER si ottengono due flussi separati ed altamente puri: uno di
idrogeno e l’altro di biossido di carbonio. Quest’ultima possibilità può essere utile sia per avere
idrogeno puro che per convogliare il biossido di carbonio in pozzi di assorbimento per ridurre l’effetto
serra. I costi di produzione sono notevolmente ridotti rispetto al tradizionale SMR e molto competitivi
con gli altri processi.

12.3.2 GASSIFICAZIONE DEL CARBONE E DEI COMBUSTIBILI FOSSILI


Questo processo consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di carbone per produrre un
combustibile gassoso formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri
(ad esempio metano).
Con la gassificazione del carbone si ottiene un gas usato come combustibile (i vecchi gasometri
urbani si fondavano su questo processo) o per altri processi chimici (ad esempio per la produzione di
fertilizzanti).
La produzione dell’idrogeno con la gassificazione ha costi elevati e risulta conveniente solo nei
paesi dove si ha poco gas naturale.
Le reazioni implicate nel processo sono le seguenti:
C + H2O  CO + H2
Aggiungendo ancora vapore a 500 °C con catalizzatore a base di ossidi di ferro si ha:
CO + H2O  CO2 + H2
La reazione complessiva risulta allora:
C + 2H2O  CO2 + 2H2
La gassificazione del carbone presenta costi interessanti nei paesi ove si ha abbondanza di
carbone a basso prezzo.

12.3.3 IDROLISI DELL’ACQUA


Si hanno vari metodi per la produzione dell’idrogeno dall’acqua. Si citano qui alcuni dei principali.
Elettrolisi
L’elettrolisi viene effettuata su vapore ad alta temperatura (circa 1000 °C) sia per accelerare le
reazioni che per ridurre le perdite di polarizzazione degli elettrodi. In questo modo il consumo di
energia elettrica si riduce di circa il 35% rispetto ai normali elettrolizzatori.
Il processo dell’elettrolisi fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’ anno 1839.
Questo processo richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l’acqua. La corrente entra
nella cella elettrolitica tramite un elettrodo caricato negativamente, il catodo, attraversa l’acqua e va via
attraverso un elettrodo caricato positivamente, l’anodo.
L’idrogeno e l’ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e verso l’anodo.
H2O  H2 + O
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 280

Figura 230: Bilancio energetico dell’elettrolisi dell’acqua


L’elettrolisi è il metodo più comune per la produzione di idrogeno anche se incontra notevoli
ostacoli per la quantità limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati, dovuti
all’impiego di energia elettrica.
Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi. Per
risolvere questi problemi, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta temperatura (900-
1000 °C).
Decomposizione mediante cicli termochimica
E’ possibile ottenere la dissociazione dell’acqua per mezzo di cicli chiusi di reazioni chimiche ti
tipo endotermico. Queste tecnologie sono interessanti per le possibili applicazioni con fonti energetiche
ad alta temperatura (solare o nucleare) e con un rendimento globale elevato e anche superiore al
processo per elettrolisi.

Figura 231: Elettrolisi dell’acqua

12.3.4 ALTRI PROCESSI DI PRODUZIONE


L’obiettivo della ricerca nel settore della produzione dell’idrogeno è di abbattere i costi e ridurre
la quantità di materiali utilizzati aumentando, al contempo, l’efficienza di produzione.
Un altro obiettivo che si cerca di raggiungere è la riduzione dell’impatto ambientale nei processi
che usano idrocarburi. Inoltre si cerca di sostituire l’uso dell’energia elettrica con l’energia solare
utilizzando un catalizzatore per la scissione dell’acqua.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 281

Tecnologie fotobiologiche
Queste tecnologie tendono a produrre idrogeno da sistemi biologici utilizzando generalmente
luce solare. Ad esempio alcune alghe o batteri sono in grado di produrre idrogeno sotto specifiche
condizioni: i pigmenti delle alghe assorbono energia solare e gli enzimi nella cellula agiscono da
catalizzatori per scindere l’acqua nei suoi componenti di idrogeno ed ossigeno.
Si tratta di sistemi ancora in fase iniziale di studio e con efficienze produttive ancora basse (circa il
5%). Sono stati identificati circa 400 batteri che possono produrre idrogeno combinando monossido di
carbonio ed acqua.
Tecnologie fotoelettrochimiche
I sistemi fotoelettrochimica usano degli elettrodi semiconduttori in una cella fotoelettrochimica
per convertire energia ottica in energia chimica. Si hanno due tipologie di questi sistemi: una utilizza
semiconduttori e l’altro usa metalli complessi dissolti.
Nel primo caso un materiale semiconduttore è usato sia per assorbire l’energia solare sia per agire
da elettrodo per la scissione dell’acqua. Il secondo tipo di sistemi fotoelettrochimica utilizza materiali
complessi dissolti come catalizzatori. Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una
separazione tramite carica elettrica che conduce alla reazione di scissione dell’acqua.
12.4 STOCCAGGIO DELL’IDROGENO
L’idrogeno è un gas leggerissimo ed ha una bassissima energia di attivazione in presenza di
comburente. Pertanto esso ha una elevata probabilità di rischio qualora non si attuino tutte le procedure
necessarie per la sicurezza. L’idrogeno già a contatto con l’aria forma miscele esplosive che possono
facilmente scoppiare. Tuttavia grazie alla sua leggerezza l’idrogeno si disperde facilmente diminuendo il
rischio della concentrazione critica.
Abbiamo diversi sistemi di stoccaggio dell’idrogeno che qui si discuteranno più in dettaglio.

12.4.1 COMPRESSIONE DELL’IDROGENO


L’idrogeno in forma gassosa può essere immagazzinato in appositi contenitori a pressioni molto
alte (circa 20-25 MPa) mediante opportuni compressori. A causa delle ridottissime dimensioni delle
molecole dell’idrogeno si usano recipienti in pressione di grafite/fibra di carbonio ad alta pressione che
presentano un grande volume malgrado la loro leggerezza.

12.4.2 LIQUEFAZIONE DELL’IDROGENO


I processi di liquefazione usano una combinazione di compressori, scambiatori di calore e valvole
a farfalla per ottenere il raffreddamento desiderato. Il processo di liquefazione usate è il Linde che fa
uso dell’effetto Joule - Thompson (si vedano i riferimenti in Fisica Tecnica). In pratica si comprime il
gas e lo si raffredda per portarlo a sinistra della curva di inversione (vedi diagramma T,p) ove lo si può
ulteriormente raffreddare per semplice espansione in una valvola (effetto J-T). Il processo è ciclico: ad
ogni passaggio nella valvola di espansione si forma del liquido ( a -253 °C) che viene separato dal gas
che viene di nuovo inviato a monte della valvola di espansione.
La liquefazione dell’idrogeno risulta utile sia per la produzione stazionaria di energia che per il
rifornimento di veicoli (la BMW utilizza questo metodo per accumulare l’idrogeno). In genere il mantenimento
della bassa temperatura di stoccaggio dell’idrogeno liquido (-253 °C) richiede un utilizzo dello stesso
idrogeno che viene fatto espandere dalla bombola verso l’esterno producendo un raffreddamento per
effetto J-T del liquido all’interno della stessa bombola. In pratica si ha un consumo di circa il 30%
dell’idrogeno per il suo accumulo liquido. Si osserva, inoltre, che l’idrogeno liquido tende a sfuggire
facilmente dai serbatoi e ciò comporta una notevole cura nella scelta dei materiali dei serbatoi.
Tutto il calore che attraversa le pareti del recipiente (per conduzione, convezione e irraggiamento ma anche
per conversione da stato orto a stato para) di contenimento dell’idrogeno liquido lo riscalda al di sopra del
punto di ebollizione e quindi si ha la sua evaporazione. Per ridurre la trasmissione di calore si usano
recipienti criogenici isolati costruiti con doppia parete riflettente con intercapedine vuota.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 282

In genere i contenitori per idrogeno liquido hanno forma sferica perché questa ha il rapporto di
forma (S/V55) migliore rispetto a qualsiasi altra geometria e garantisce le minori trasmissioni termiche
attraverso la superficie esterna. Tuttavia i contenitori cilindrici sono più semplici da costruire e quindi
più economici. L’idrogeno evaporato viene mantenuto in parte all’interno del recipiente per aumentare
la pressione interna, parte viene espulso per raffreddare il recipiente e parte viene espulso in aria
attraverso opportune valvole.
Per quanto riguarda il rifornimento dei veicoli l’utilizzo dell’idrogeno liquefatto è una soluzione
possibile ed oggi utilizzata. Tuttavia permangono notevoli problemi di sicurezza legati alle fughe di gas
soprattutto in ambienti chiusi e/o a bordo dei veicoli.
In questo caso si usano serbatoi a più strati cilindrici congiunti con un reticolato rinforzato
all’interno. In questo modo si realizza un contenitore multi-cella il cui numero è ottimizzato in funzione
del volume di liquido fa immagazzinare.

12.4.3 ACCUMULO IN IDRURI DI METALLO E IDRURI CHIMICI


Gli idruri di metalli trattengono l’idrogeno nello spazio interatomico. Il loro uso risale al 1866
quando Graham osservò l’assorbimento di consistenti quantità di idrogeno da parte del palladio.
Malgrado questo comportamento fosse noto da tempo l’interesse per questi accumulatori naturali
si manifestato solo di recente quando si sono conosciuti i comportamenti degli idruri formati con leghe
di metalli. Gli idruri si formano ed agiscono attraverso due fasi: l’assorbimento ed il rilascio
dell’idrogeno.
L’assorbimento dell’idrogeno nello spazio interatomico (idrogenazione) è un processo esotermico
che richiede raffreddamento mentre la sottrazione di idrogeno (deidrogenazione) è un processo
endotermico e quindi richiede energia termica.
Quando inizialmente la pressione dell’idrogeno viene aumentata questo si dissolve nel metallo e
comincia a legarsi con esso: la pressione operativa rimane costante fino al raggiungimento del 90% della
capacità di immagazzinamento. Al di sopra di questo limite è necessario operare con pressioni elevate
per potere raggiungere il 100% della capacità di immagazzinamento.
La dispersione di calore durante la formazione dell’idruro deve essere continuamente rimossa
onde evitare che l’idruro si infiammi.
Se l’idrogeno viene estratto da un altro gas una parte di esso può essere liberata in modo che
porti via gli elementi estranei che non si legano al metallo.
Con la deidrogenazione si effettua l’operazione inversa: si spezzano i legami formatisi fra metalli
ed idrogeno e la pressione operativa aumenta all’aumentare della temperatura. Inizialmente si opera a
pressione elevata e viene rilasciato idrogeno puro.
Successivamente, a seguito della rottura del legame con il metallo, la pressione si stabilizza fino a
ridursi drasticamente quando nell’idruro rimane circa il 10% dell’idrogeno immagazzinato. Quest’ultima
parte di gas è difficile da estrarre essendo molto legata al metallo e pertanto spesso non la si recupera
nel normale ciclo di carico e scarico.
La temperatura e la pressione di queste reazioni dipendono dalla composizione specifica
dell’idruro. Il calore di reazione può variare da 9300 fino a 23250 kJ/kg di idrogeno e la pressione può
anche superare i 10 MPa. La temperatura di deidrogenazione può a sua volta superare i 500 °C.
In considerazione del vasto range di variazione sia della pressione che della temperatura, la
progettazione delle unità di accumulo di questo tipo risulta molto complessa.
Ogni tipo di lega ha diverse caratteristiche quali il ciclo di vita e la temperatura di reazione.

55 Si ricorderà dalla Trasmissione del Calore che, supponendo che la resistenza interna sia trascurabile, il transitorio di

θ = θ 0 1 − e
(
− hS )
ρ cV τ 
riscaldamento è dato dalla relazione  . Per avere un raffreddamento il più lento possibile occorre
 
avere, a parità di h, ρ e di c, un rapporto S/V grande. La sfera è la forma geometrica che il massimo volume e la minima
superficie esterna e pertanto questa garantisce, ceteris paribus, il riscaldamento più lento.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 283

Il contenitore dell’idruro deve essere pressurizzato e contenere un’area sufficientemente grande


per lo scambio del calore al fine di garantire la rapidità delle fasi di carico e scarico dell’idruro per le
quali è richiesta, inoltre, stabilità termica e strutturale della lega utilizzata.
Anche se per la deidrogenazione è necessario calore, l’eventualità che si verifichino perdite di
idrogeno non riveste particolare importanza ed è questo il motivo per cui queste tecnologie sono
ritenute sicure.
I costi elevati, gli ingombri e i pesi notevoli non consentono ancora un uso diffuso su larga scala
di questo tipo di immagazzinamento. I costi operativi comprendono anche quelli di riscaldamento per
l’idrogenazione e il raffreddamento per la deidrogenazione il cui ammontare dipende dal tipo di lega
usato e dal tipo di applicazione considerata.
Se si usa l’accumulo ad idruri con una cella a combustibile allora si può recuperare il calore
estratto per il raffreddamento della cella per riscaldare l’idruro e quindi questo costo diviene
trascurabile. Ad esempio, gli idruri a bassa temperatura si integrano bene con le celle a membrana
polimerica (PEM) che operano a 80 °C mentre gli idruri ad alta temperatura operano bene con celle a
combustibile del tipo ad ossido solido (SOFC) che operano a 1000 °C e a carbonati fusi (MCFC) che
operano a 650 °C.
Gli altri sistemi di immagazzinamento non hanno la possibilità di integrarsi con questa tecnologia.
Il costo di questi accumulatori di idrogeno dipende dal costo degli idruri e dall’assenza di
economie di scala essendo le leghe utilizzate prodotte in piccola quantità. Un incremento di mercato
potrebbe anche far lievitare il costo per l’indisponibilità delle materie prime.
Idruri chimici
Gli idruri chimici costituiscono un altro metodo di immagazzinamento dell’idrogeno,
specialmente per accumuli stagionali. Sono state proposte diverse sostanze chimiche contenenti
l’idrogeno tra cui l’ammoniaca e il metanolo la cui elevata tossicità pone numerosi problemi.
L’uso dei sistemi chimici è vantaggioso perché le infrastrutture di trasporto e di
immagazzinamento sono già esistenti, la tecnologia sfruttabile commercialmente e l’idrogeno liquido è
facilmente maneggiabile.

12.4.4 SISTEMI DI ACCUMULO BASATI SUL CARBONIO


A temperature criogeniche (70-113 K) e pressioni moderate (42-54 bar) il carbonio reso
radioattivo può assorbire, in modo reversibile, 0.043-0.072 kg di H2 per kg di carbonio.
Altri metodi si affacciano oggi nel mondo scientifico e quindi domani nel mercato.

12.4.5 I NANOTUBI IN CARBONIO


I nanotubi in carbonio sono stati scoperti in maniera fortuita nel 1991 dal ricercatore giapponese
Sumio Iijima, che ne ha osservato la presenza di tra i prodotti secondari della produzione di fullereni .
E' estremamente difficile dare una definizione precisa dei nanotubi di carbonio, soprattutto a
causa dell'enorme varietà di taglie e conformazioni che essi possono avere. In generale è possibile
dividere i nanotubi in due grandi famiglie: i nanotubi a parete singola (single-walled nanotubes, o SWNT) e i
nanotubi a parete multipla (multi-walled nanotubes, o MWNT).
I SWNT possono essere considerati, per conformazione e struttura, come degli appartenenti alla
famiglia dei fullereni, mentre i MWNT sono più prossimi alla famiglia dei nanofilamenti, di cui
rappresentano un caso particolare.
Per meglio comprendere la natura e le caratteristiche dei nanotubi è quindi necessario chiarire
cosa si intenda per "fullereni" e "nanofilamenti".
I fullereni
Fino al 1985 erano note solamente due forme di carbonio cristallino: quella tridimensionale del
diamante (sp³) e quella planare della grafite (sp²). Gli studi dello scienziato americano Richard E. Smalley
hanno portato alla scoperta (grazie alla quale egli ha ottenuto il premio Nobel) di una terza forma di
arrangiamento regolare degli atomi di carbonio : quella dei fullereni. I fullereni sono delle "gabbie"
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 284

approssimativamente sferiche formate da un arrangiamento ordinato di strutture esagonali e


pentagonali di atomi di carbonio.

Figura 232: Struttura del fullerene C60 e della cupola geodetica di R. Buckminster-Fuller
La quantità di poligoni presenti e la loro relativa proporzione determinano la forma e le
dimensioni del fullerene. Il primo fullerene scoperto è il C60 che ha la stessa forma di un pallone da
calcio, ed è per questo conosciuto anche col nome di "buckyball".
Questa famiglia di composti ha preso il nome di "fullereni" in onore dell'architetto Richard
Buckminster-Fuller, le cui creazioni chiamate "cupole geodesiche" ricordano la struttura dei fullereni.
I fullereni vengono prodotti artificialmente con un sistema di vaporizzazione del carbonio ad alta
temperatura ma sono stati ritrovati in minime percentuali anche in nella miniera di carbone di
Yinpinglang, in Cina.
Nanofibre
Le nanofibre, o nanofilamenti, sono delle strutture fibrose il cui diametro è compreso tra qualche
decina e qualche centinaio di nanometri. Queste fibre possono avere strutture molto differenti,
spaziando dai "graphite wiskers", costituiti da uno strato di grafite arrotolato più volte su se stesso, fino
alle fibre "platelet", costituite da strati di grafite perpendicolari all'asse della fibra.
In generale è possibile dividere i nanofilamenti in tre grandi famiglie, a seconda dell'angolo
esistente tra l'asse del filamento e il piano degli strati di grafite.
Si possono quindi distinguere le fibre "platelet" (angolo = 0°, grafite perpendicolare all'asse),
"herringbone", o a "spina di pesce" ( 0° <angolo <90° ) oppure tubolari (angolo = 90°)

Figura 233: Fibre in carbone di tipo tubolare, a spin di pesce e platelet


Bisogna comunque segnalare il fatto che non esiste una denominazione "standard" dei
nanofilamenti, e che i termini e le definizioni utilizzate nelle pubblicazioni dipendono esclusivamente
dalle scelte personali degli autori.
Nanotubi a parete singola - SWNT
I primi SWNT sono stati prodotti nel 1993 per mezzo di un sistema ad arco elettrico con
elettrodi composti da una miscela carbone-cobalto. Un SWNT ideale può essere descritto come un
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 285

tubo in carbonio formato da uno strato di grafite arrotolato su se stesso a formare un cilindro, chiuso
alle due estremità da due calotte emisferiche. Il corpo del nanotubo è formato da soli esagoni, mentre le
strutture di chiusura (le sue semisfere) sono formate da esagoni e pentagoni, come i normali fullereni.
Per questa ragione i SWNT possono essere considerati come una sorta di "fullereni giganti", e sono per
questo motivo chiamati anche "buckytubes".
Nella realtà i nanotubi presentano spesso dei difetti strutturali o delle imperfezioni nella struttura
geometrica (ad esempio la presenza di strutture pentagonali o ettagonali nel corpo del tubo) che
deformano il cilindro. Il diametro di un SWNT è compreso tra un minimo di 0,7 nm (corrispondente al
doppio della distanza interplanare della grafite) e un massimo di 10 nm, ma nella stragrande
maggioranza dei casi il diametro è inferiore ai 2 nm. L’area superficiale dei nanotubi arriva fino a 1000
m²/g. L'elevatissimo rapporto (104 – 105) tra lunghezza e diametro dei SWNT consente di considerarli
come delle nanostrutture virtualmente monodimensionali, e conferisce a queste molecole delle
proprietà peculiari, che vedremo in seguito.
Ogni SWNT è caratterizzato dal suo diametro e dal suo "vettore chirale" (n,n) o "elicità", cioè dalla
direzione di arrotolamento della grafite in rapporto all'asse del tubo. I SWNT (10,10) e (9,0) prendono i
nomi di "armchair" e "zig-zag".

Figura 234: SWNT ideale chiuso alle due estremità da due fullereni

Figura 235: Strato di grafite con le possibili direzioni di arrotolamento (n.n)

Figura 236: Nanotubo (10,10) armchair e nanotubo (9,0) zig-zag


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 286

Figura 237: Struttura di alcuni nanotubi

Figura 238: Elicità dei nanotubi


Nanotubi a parete multipla - MWNT
I MWNT sono nanotubi formati da più SWNT concentrici, e vengono perciò chiamati nanotubi
"a parete multipla".
Possono essere presenti dei legami tra le varie pareti (lip-lip interactions) che pare stabilizzino la
crescita di questi nanotubi. Il diametro dei MWNT è di norma maggiore di quello dei SWNT, e cresce
con il numero di pareti, potendo arrivare fino a qualche decina di nanometri.
Il confine tra i nanotubi a pareti multiple e i nanofilamenti non e' molto ben definito, e un
MWNT di grandi dimensioni può essere considerato come un caso particolare di fibra tubolare.
L'eventuale presenza di un grande numero di difetti strutturali o di interazioni tra pareti
all'interno del tubo rende ancora più labile questa separazione.
I MWNT hanno spesso un grande numero di imperfezioni nella loro struttura, e mostrano
un'estrema varietà di forme nella loro zona terminale.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 287

Figura 239: Immagini virtuali di DWNT (Double Wall Nano Tube) con e senza interazioni tra le pareti

Figura 240: Diversi tipi di difetti nei nanotubi


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 288

Figura 241: Nanotubi a parete multipla

12.4.6 PROPRIETÀ DEI NANOTUBI E NANOFIBRE


A partire dalla scoperta dei nanotubi da parte di Iijima, numerosi studi sono stati effettuati per
determinare le loro proprietà fisiche e chimiche, sia per sperimentazione diretta sui campioni, sia
utilizzando delle simulazioni al computer. Allo stesso tempo i ricercatori stanno sviluppando dei sistemi
efficaci per poter sfruttare queste proprietà in vista di un'applicazione pratica.
Resistenza meccanica
La resistenza meccanica di un manufatto dipende da numerosi fattori, tra i quali i più importanti
sono la forza dei legami atomo - atomo del materiale costruttivo e l'assenza di difetti strutturali nel
reticolo cristallino. La presenza di difetti gioca un ruolo fondamentale nei processi di rottura per
trazione, dato che per rompere un provino completamente privo di difetti sarebbe necessario vincere
nello stesso istante le forze di coesione di tutta la superficie perpendicolare alla direzione di trazione.
Nella realtà la presenza di difetti diminuisce enormemente la forza necessaria a rompere il
provino. Per portare a rottura un nanotubo privo di difetti occorre quindi spezzare tutti i legami
covalenti carbonio - carbonio che lo compongono. Dato che questi legami sono i più forti conosciuti in
natura, ne consegue che i nanotubi dovrebbero avere una resistenza meccanica elevatissima.
Una fibra costituita da nanotubi di carbonio sarebbe quindi non solamente la più resistente mai
fatta, ma addirittura la più resistente che sia possibile fare.
E' stato calcolato che il modulo di Young teorico di un nanotubo possa arrivare sino a 4 TPa, e la
sua resistenza a trazione (tensile strenght) dovrebbe essere di circa 220 GPa (100 volte più grande di quella
dell'acciaio, ma a fronte di un peso 6 volte minore).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 289

In questo tipo di misurazione vi sono due principali difficoltà: la prima è quella di isolare un
nanotubo per poterlo sottoporre ai test, la seconda è l'enorme difficoltà di manipolare degli oggetti di
taglia nanometrica. Per questa ragione è spesso necessario ricorrere a delle simulazioni a computer, che
però risentono fortemente delle approssimazioni e dai modelli teorici utilizzati nella simulazione.
I nanotubi non sono solo estremamente resistenti alla rottura per trazione, ma anche molto
flessibili, e possono essere piegati ripetutamente fino a circa 90° senza rompersi o danneggiarsi.
L'estrema resistenza dei nanotubi, unita alla loro flessibilità, li renderebbe ideali per l'uso come
fibre di rinforzo nei materiali compositi ad alte prestazioni, in sostituzione delle normali fibre in
carbonio, del kevlar o delle fibre di vetro. A queste enormi potenzialità fa però da contraltare il
problema tecnologico della costruzione di tali fibre, dato che al momento non e' possibile costruire
delle fibre macroscopiche costituite da nanotubi.

Figura 242: Il nanotubo telescopico creato a Berkeley


Grazie alle loro piccole dimensioni e alle loro proprietà di resistenza meccanica i nanotubi
possono essere utilizzati anche per applicazioni speciali di alto livello, come per esempio quella di sonda
per i microscopi a effetto tunnel (Scanning tunnelling). Un'applicazione che per il momento potrebbe
apparire fantascientifica è l'uso dei nanotubi per la costruzione di nanomacchine.
Un gruppo di fisici dell'università di Berkeley è riuscito ad utilizzare un MWNT come se fosse un
tubo telescopico, facendo uscire e rientrare più volte le pareti più interne in quelle esterne. Un nanotubo
di questo tipo potrebbe essere usato come "nano-molla" o "nanoammortizzatore"in una macchina di
dimensioni nanometriche.
Sensibilità ai campi elettrici
I nanotubi possono essere trattati in maniera da diventare estremamente sensibili alla presenza di
campi elettrici ad alto voltaggio. Essi reagiscono a tali campi piegandosi fino a 90°, per riprendere la
forma originale non appena il campo elettrico viene interrotto. Sottoponendoli ad un campo elettrico
oscillante, i nanotubi vibrano e, controllando attentamente la frequenza di oscillazione, è possibile
portarli a risonanza come se fossero le corde di una "nano-chitarra". Le sperimentazioni in tal senso
hanno dimostrato che ogni nanotubo ha una sua precisa frequenza di risonanza, dipendente dalla
lunghezza, dal diametro e dalla morfologia. Tale interessante proprietà potrebbe essere sfruttata in
numerose applicazioni di nanotecnologia, che vanno dalla creazione di "nanobilance" (nelle quali il
nanotubo vibrante avrebbe la funzione di molla) fino alla costruzione di nano-attuatori elettromeccanici.

Figura 243: Immagine di nanobilancia con particella all’estremità di 22 femtogrammi


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 290

Conduttività
La struttura elettronica dei nanotubi è molto simile a quella della grafite, dotata di buone capacità
di conduzione in direzione planare, e sarebbe quindi lecito aspettarsi un comportamento simile da parte
dei nanotubi. I nanotubi hanno invece mostrato delle sorprendenti proprietà di conduttività che
cambiano secondo la loro geometria: i SWNT "armchair" mostrano un comportamento metallico, gli
altri un comportamento da metallo o da semiconduttore a seconda dei casi.

Figura 244: Immagine virtuale di nanotubo formato da atomi di azoto e boro


E' stato anche notato che, in determinate condizioni, gli elettroni possono passare all'interno di
un nanotubo senza scaldarlo (fenomeno chiamato "conduzione balistica"). Queste proprietà rendono i
nanotubi molto interessanti per lo sviluppo di "nanocavi" o "cavi quantici", che potrebbero sostituire il
silicio nel campo dei materiali per l'elettronica, e consentire il passaggio dalla microelettronica alla
nanoelettronica.
Per fare ciò occorrerebbe però sviluppare una tecnica di produzione di nanotubi di forme e
dimensioni diverse e strettamente controllabile, cosa che al momento è ancora impossibile. Le proprietà
di conduzione dei nanotubi può essere variata "drogandoli", ovverosia inserendo nella loro struttura degli
atomi di azoto e di boro.
Tra i risultati più interessanti in questo campo c'è un nanodiodo formato da due nanotubi (di cui
un conduttore e un semiconduttore) fusi tra loro, che agisce come un normale diodo, facendo passare
la corrente in un senso e non nell'altro. Un'altra possibile applicazione della proprietà di conduzione dei
nanotubi è il loro uso come cannoni elettronici per la produzione di schermi al plasma ad altissima
definizione.
Adsorbimento di gas e capillarità
A causa della loro forma tubolare, i nanotubi mostrano delle forti proprietà di capillarità e il loro
grande rapporto superficie/peso li rende teoricamente ideali per l'adsorbimento dei gas. In entrambi i
casi è necessario aprire le estremità dei tubi per permettere al liquido o al gas di entrare.
Questa apertura può essere effettuata mediante ossidazione con ossigeno, CO oppure acidi
ossidanti come HNO3 o H2SO4 .
Le proprietà di adsorbimento dei nanotubi in carbonio sono state studiate soprattutto nel caso
dell'adsorbimento dell'idrogeno, in particolare in vista di un suo possibile uso nelle "celle a combustibile",
dato che tutti i sistemi fino ad oggi utilizzati per lo stoccaggio dell'idrogeno (bombole, idruri, carboni
attivi) richiedono di lavorare ad alta pressione e bassa temperatura per poter immagazzinare una
sufficiente quantità di idrogeno. Gli studi sulla capacità di adsorbimento di idrogeno da parte di
nanotubi e nanofibre hanno dato risultati diversi e talvolta addirittura contraddittori: anche le
simulazioni al computer danno risultati differenti a seconda dei modelli e delle approssimazioni usate.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 291

Figura 245: Assorbimento dell’idrogeno all’interno dei nanotubi


Grande interesse hanno suscitato invece alcuni esperimento di adsorbimento di idrogeno su
nanotubi "drogati" con litio o potassio.
L’idrogeno può essere assorbito sulla parte anteriore della parete (stabile) o sulla parte esteriore
della parete (non stabile). L’idrogeno può anche essere contenuto all’interno del nanotubo.
Nei nanotubi a singola parete non puro si raggiunge il 5% di accumulo di idrogeno mentre sui
nanotubi puri si raggiungono 8-12 %.

Figura 246: Sistemi di stoccaggio dell’idrogeno a confronto


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 292

Figura 247: Confronto fra le capacità di stoccaggio dell’idrogeno nelle varie tecnologie
Per i sistemi di costruzione dei nanotubi si rinvia alle pubblicazioni specializzate.

12.4.7 ACCUMULO DI IDROGENO IN MICROSFERE DI CRISTALLO


La ricerca sta oggi proponendo anche l’accumulo di idrogeno in microsfere di cristallo. Queste
sono costituite da piccole sfere di cristallo, vuote, aventi un diametro variabile da 25 a 500 micron ed
uno spessore di un solo micron.
Le microsfere vengono trattate e trasportate commercialmente sotto forma di polvere fluida e
possono esser utilizzate su grossi basamenti per accumulare idrogeno ad alta pressione.
L’incapsulamento dell’idrogeno è realizzato tramite il riscaldamento di un letto di microsfere vuote in
ambiente denso di idrogeno. Quest’ultimo si introduce nelle sfere attraverso il sottile strato esterno reso
permeabile dalle alte temperature alle quali il processo avviene (da 200 a 400 °C) e fino a quando la
pressione interna alle sfere raggiunge la pressione esterna. Alla fine il letto viene raffreddato e l’idrogeno
non incapsulato viene espulso o trattenuto per altre applicazioni. L’efficienza del processo di accumulo
dipende da diversi fattori quali, la pressione dell’idrogeno, la temperatura e il volume del letto, le
dimensioni e composizione chimica delle microsfere.
Le sfere così riempite di idrogeno vengono raffreddate, ricoperte ed immagazzinate in recipienti a
bassa pressione e trasportate sotto forma di una sottile polvere. L’estrazione dell’idrogeno avviene
mediante riscaldamento delle sfere che vengono poi nuovamente ricoperte e riciclate per altri
incapsulamenti. Il calore necessario può essere fornito tramite una cella a idrogeno o da una batteria che
possono essere ricaricate da un generatore meccanico. Questo metodo di immagazzinamento pare
idoneo per applicazioni su veicoli. Esso risulta più conveniente del metodo con idruri di metallo e non
presenta problemi in caso di esposizione all’aria.
Esso ha anche buone prospettive di successo sugli altri metodi.
12.5 TRASPORTO DELL’IDROGENO
Come gas compresso l’idrogeno può essere trasportato in cilindri ad alta pressione, autocisterne e
gasdotti. I cilindri ad alta pressione (40MPa) sono molto pericolosi da maneggiare e trasportare mentre
le autocisterne sono composte da diversi cilindri di acciaio montati su una intelaiatura protettiva e
possono contenere da 63 a 460 kg di idrogeno compresso ad una pressione di 20 MPa.
L’idrogeno liquido immagazzinato in contenitori isolati viene trasportato mediante autocarri ed
altri automezzi in quantità elevate e con modeste perdite per evaporazione (0.3-0.6 % al giorno). Il
trasporto navale viene effettuato quasi esclusivamente con idrogeno liquido.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 293

Una tecnica innovativa per il trasporto dell’idrogeno liquido consiste in un gasdotto contenente
un materiale superconduttore: l’idrogeno liquido agirebbe da refrigerante per il superconduttore e
consentirebbe il trasporto dell’elettricità attraverso lunghe distanze senza le grosse perdite di corrente
delle linee convenzionali. Naturalmente questo sistema richiederebbe l’uso di materiali isolanti
particolari ed il raffreddamento continuo dell’idrogeno durante il trasporto.

12.5.1 TRASPORTO IN GASDOTTI


Essendo l’idrogeno allo stato gassoso si può pensare di gestirlo come avviene per il gas naturale,
seppur con le dovute precauzioni fra le quali si ricordano:
⋅ il contatto dell’idrogeno con acciai speciali provoca il loro infragilimento;
⋅ essendo inodoro e insaporo, occorre studiare sistemi adeguati per individuare le perdite;
⋅ occorre evitare i rischi di combustione facendo uso di materiali e sistemi antideflagranti.
Per evitare l’infragilimento degli acciaio si devono usare materiali particolari che fanno aumentare
il costo di questi sistemi di distribuzione. Le reti per l’idrogeno sono poco estese (la maggiore è di 740
km negli USA e circa 600 km nel nord Europa) e servono solo per alimentare intere aree industriali.
Reti di minori dimensioni sono usate all’interno degli stabilimenti per operazioni di reformer.
La capacità di trasportare energia in un dato impianto è sempre minore nel caso di trasporto di
idrogeno rispetto al caso di gas naturale. Ad una determinata pressione il flusso di idrogeno è tre volte
più veloce ma l’entalpia trasportata è tre volte minore a causa delle notevoli dispersioni che avvengono
durante il trasporto.
Poiché i compressori volumetrici agiscono solo sol volume del gas e non sul contenuto entalpico
un sistema di trasporto di idrogeno deve essere ottimizzato per tenere conto delle considerazioni sopra
svolte.

12.5.2 SCELTA DEI SISTEMI DI TRASPORTO


I parametri principali che influenzano la scelta del sistema di trasporto dell’idrogeno sono la
quantità e la distanza. Per grossi quantitativi di idrogeno è preferibile usare i gasdotti che, pur avendo
costi iniziali di investimento elevati, hanno costi operativi bassi.
Il trasporto di idrogeno liquido risulta conveniente per lunghe distanze (transoceaniche).
Per brevi o brevissime distanze i gasdotti non sono competitivi mentre l’idrogeno compresso può
rappresentare una alternativa valida rispetto all’idrogeno liquido che ha costi operativi elevati.
12.6 L’IDROGENO PER L’AUTOTRAZIONE
La domanda di contenimento, se non di riduzione, dei livelli di inquinanti nell’aria dei grandi
centri metropolitani ha raggiunto in Italia livelli di tale criticità da configurare, anche da parte degli
amministratori più cauti, misure semi permanenti di severa limitazione al traffico individuale,
commerciale e privato.
Al di là di ogni convincente analisi sulle connessioni dirette e puntuali tra qualità dell’aria e
intensità del traffico veicolare, il settore mobilità è sotto il tiro dei provvedimenti restrittivi, in quanto
bersaglio di misure di più immediata e percepibile attuazione, anche se, alla fine, si spera sempre nel
“wash out” atmosferico per il ripristino dei parametri di normalità. A fronte di questa situazione, si
moltiplicano da più parti le ipotesi e le proposte di schemi innovativi di mobilità che dovrebbero dare
soluzione al problema.
In genere, sul fronte dei nuovi veicoli, si prospettano (nell’arco dei prossimi 5-15 anni) soluzioni
tecnologiche basate su innovazioni radicali del sistema veicolo-propulsore-fuel, quali quelle legate alla
trazione elettrica di tipo BEV ( Battery Elecric Vehicle) o FCV ( fuel Cells Vehicle).
La diffusione di tali tecnologie si ipotizza possa offrire il duplice vantaggio di azzerare le
emissioni urbane e ridurre l'impatto acustico, in quanto basate su comuni motori elettrici e addirittura
su propulsori senza componenti in movimento.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 294

Ma, come sempre, ogni veicolo pone il problema del proprio combustibile e, tra le opzioni BEV
e FCV, sembra ormai consolidata l'idea che le FCV avranno maggiori chances, così come viene
riportato anche nel recente Piano Generale dei Trasporti.
In pratica, il problema di quale motore equipaggerà il veicolo a zero emissioni si sta
progressivamente focalizzando su un punto un po' diverso, anche se strettamente correlato: la
produzione e la logistica di un nuovo e adeguato combustibile in grado di alimentare tale veicolo.
Non a caso, della intera catena relativa allo sviluppo commerciale di veicoli FCV, un anello critico
è rappresentato dalle infrastrutture per la produzione e il rifornimento del fuel specifico, cioè
l’idrogeno, sia in termini di investimento sia di prezzo al consumo.
Di fatto, uno degli elementi portanti per il successo di una nuova mobilità pienamente accettabile
per l'ambiente potrebbe risiedere proprio in una realistica e praticabile logistica dell'idrogeno su scala
diffusa.
In Figura 248, è riportato l'albero tecnologico delle opzioni in sviluppo in grado di dare una
risposta al problema del veicolo a emissioni nulle e si può osservare come - a partire da diverse
tecnologie di propulsori - un importante elemento chiave sia la disponibilità di idrogeno.
Ma rispetto al dove e come produrlo, come distribuirlo e come stoccarlo si presentano svariate
soluzioni tecnologiche variamente interdipendenti. In questo quadro, in Italia, quale opzione di
produzione idrogeno potrà offrire i maggiori vantaggi economici e rappresentare delle nuove
opportunità di business?
Per cominciare a rispondere a questa domanda sono state condotte valutazioni economiche sul
costo finale dell’idrogeno "alla pompa" nell'ipotesi di soluzioni che ne prevedano uno stoccaggio a
bordo, mettendo a confronto alcune possibili opzioni di produzione.

Figura 248:Albero tecnologico delle opzioni in sviluppo

12.6.1 LOGISTICA DELL’IDROGENO PER AUTOTRAZIONE


L’analisi tecnico-economica sulla produzione dell’idrogeno per il rifornimento di auto e/o bus è
stata eseguita mettendo a confronto una produzione centralizzata (off site), da un impianto di grande
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 295

capacità (tipico di una raffineria) e la relativa distribuzione alle stazioni di servizio di un'area, con la
produzione localizzata nella stazione di servizio stessa (on site).
Quali tecnologie di produzione sono state considerate lo steam reforming del metano (SMR) per
la produzione centralizzata e on site, e il processo di elettrolisi dell’acqua per la produzione on site.
La valutazione è stata effettuata sulla base delle seguenti ulteriori assunzioni:
⋅ tecnologia veicolare di riferimento: FCV;
⋅ auto FCV caratterizzata da un consumo di H2 pari a 0.01 kg H2 /km e da un serbatoio
che contiene 3 kg H2 (rifornimento settimanale). Bus FCV caratterizzato da un consumo
di 0.056 kg H2/km con un serbatoio di circa 17 kg di capacità (rifornimento giornaliero
per una percorrenza di 300 km/giorno);
⋅ impianto di produzione con capacità pari a 900 kg H2 /giorno (rifornimento di circa 300
auto o 45 bus al giorno). Tale dimensione è compatibile sia con la politica di accentrare i
siti di rifornimento, sia considerando il rifornimento di una flotta di autobus presso un
deposito. E’ stato anche studiato il caso di una stazione con capacità pari a 180 kg H2
/giorno per meglio valutare le opportunità che possono sorgere nel periodo iniziale
dello sviluppo commerciale;
⋅ tipologia di rifornimento: idrogeno in forma di gas compresso. Questa soluzione è
attualmente adottata per il rifornimento degli autobus. L’H2 in forma gassosa resta
comunque la modalità più diffusa per eseguire lo stoccaggio on board mediante idruri,
bombole e, possibilmente nel futuro, anche tramite nanostrutture di carbonio;
⋅ nel caso di produzione centralizzata, è previsto il trasporto dell’idrogeno in forma
liquida dal sito di produzione alla stazione di servizio;
⋅ per il prezzo dell’energia elettrica e del gas naturale, sono stati presi, come riferimento e
a titolo conservativo, quelli pubblicati nel report annuale dell’Autorità per l’Energia, che
rappresentano il prezzo (comprensivo delle fiscalità) che potrebbe pagare, in assenza di
contratti particolari, un operatore, esterno al business elettrico e/o del gas, che volesse
investire nella produzione di idrogeno.

12.6.2 LE TECNOLOGIE DI PRODUZIONE IDROGENO


Le tecnologie di produzione on site dell’idrogeno di piccola taglia non sono ancora in una fase di
sviluppo commerciale. Sulla base di questa considerazione, alla stima del costo di investimento iniziale,
è stato applicato un fattore di riduzione pari al 15% per ogni raddoppio delle unità. vendute.
Tale fattore, denominato “learning factor”, è correlato all’aumento di produttività iniziale, alla
ottimizzazione di processo e di gestione della produzione e alla competizione che nasce per un nuovo
prodotto. Tale effetto è stato considerato fino al raggiungimento di 10.000 unità vendute (oltre tale
valore entrano in gioco le tradizionali economie di scala) che, per un mercato di dimensioni globali,
rappresenta proprio le prime fasi di commercializzazione di un nuovo prodotto.
Opzione elettrolisi
Per una stazione di rifornimento da 900 kg H2 /giorno, il costo dell’idrogeno alla pompa è
risultato pari a 6.5 $/kg (7.5 $/kg per una stazione di capacità pari a 180 kg H2 /giorno). La principale
voce di costo è rappresentata dal consumo di energia elettrica che incide per il 75% sul costo finale di
produzione.
Opzione Steam Reforming (SMR) on site
Per una stazione di rifornimento da 900 kg H2 /giorno, il costo dell’idrogeno alla pompa è
risultato pari a 2.6 $/kg (3.1 $/kg per una stazione di capacità pari a 180 kg H2 /giorno). La voce di
costo che concorre maggiormente al costo finale dell’idrogeno, oltre il 30%, si riferisce al consumo del
gas naturale. Lo stoccaggio on site e relativa distribuzione alla pompa dell’idrogeno sono equivalenti al
caso della opzione elettrolisi.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 296

Opzione SMR centralizzata


L’ipotesi alla base della valutazione consiste nel considerare un impianto centralizzato (off site) di
produzione di idrogeno da gas naturale (SMR) di capacità pari a 237 t H2 /giorno. In questo caso il
prezzo del gas naturale e dell’energia elettrica sono inferiori ai casi on site, in ragione al maggiore
consumo. L’idrogeno gassoso prodotto viene poi liquefatto da un impianto che è caratterizzato da
elevati costi di investimento e consumo di energia elettrica. é stato stimato il costo di liquefazione per
impianti di capacità nell'intervallo 6-237 t H2 /giorno, pensando, per esempio, che non tutto l’idrogeno
prodotto possa essere indirizzato al settore veicolare.
A valle della liquefazione è stato stimato il costo di trasporto dell’idrogeno liquido. Come
riferimento è stata considerata una distanza di 80 Km dal sito di produzione. Per quanto concerne la
stazione di rifornimento, l’idrogeno viene stoccato in forma liquida, mentre il rifornimento
dell’idrogeno avviene in forma gassosa compressa (in analogia alle altre opzioni e facendo riferimento
alla stazione di rifornimento realizzata dalla Air Products a Chicago). Nelle opzioni precedenti, il
“learning factor” è stato applicato all’intera catena tecnologica, mentre, in questo caso, l’applicazione è
stata limitata ai soli impianti della sola stazione di servizio.
Prendendo come riferimento una capacità di distribuzione giornaliera pari a 13 stazioni di
rifornimento da 900 kg H2 /giorno, il costo finale alla pompa dell’idrogeno è stato stimato pari a 4.3
$/kg. Nella Figura 249 sono rappresentati: il costo alla pompa dell’idrogeno e i costi di investimento,
dopo gli effetti della “learning curve”, degli impianti di produzione e stoccaggio.

Figura 249: Parametri economici rappresentativi della catena di produzione dell’idrogeno

12.6.3 IL MERCATO DELLE FCV A IDROGENO


Il mercato dell’idrogeno per autotrazione si rivolge a due segmenti, quello pubblico
(principalmente autobus) e privato (auto), che presentano, per., delle sostanziali differenze. Il settore
"bus" è attualmente più maturo, rispetto a quello privato, in quanto molti esemplari da tempo sono in
esercizio e l’elevato costo di investimento della vettura è assorbito più rapidamente dalla intensa vita
operativa.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 297

Inoltre, nel caso di bus, i depositi centralizzati di rifornimento assicurano un consumo costante
ed elevato di carburante. Tali condizioni potrebbero avvantaggiare, soprattutto nella fase iniziale,
l’utilizzo dell’idrogeno per l’autotrazione pubblica rispetto a quella privata.

12.6.4 SCENARIO PRELIMINARE PER LA PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE


DELL'IDROGENO
Sulla base dei risultati economici e delle caratteristiche tecnologiche delle opzioni considerate, si
può tracciare il seguente scenario (Figura 250) per il breve, medio e lungo termine:
⋅ breve termine: l’elettrolisi rappresenta un’interessante opzione sulla base della elevata
flessibilità di esercizio, anche se penalizzata dall’elevato costo dell’energia elettrica.
L’elevata flessibilità potrebbe rappresentare un plus significativo nella fase iniziale della
penetrazione commerciale dei veicoli alimentati a idrogeno, cioè per una domanda
molto limitata e discontinua. Inoltre, altri motivi per investire in questa tecnologia
potrebbero essere stimolati dalla liberalizzazione del mercato elettrico, pensando a
tariffe particolarmente vantaggiose e, inoltre, al coinvolgimento di autoproduttori di
energia elettrica che potrebbero trovare, nella produzione di idrogeno, un interessante
business. Nella fase iniziale, anche l’opzione centralizzata potrebbe avere delle chances
in ragione alla flessibilità di seguire la domanda e ai minori costi rispetto alla produzione
tramite elettrolisi on site. Per tale modalità di produzione risultano avvantaggiate le
aziende che gi. dispongono di sistemi di liquefazione e di produzione di H2 che
potrebbero indirizzare una quota della produzione al settore automotive (per esempio per
le aziende che producono “gas tecnici”);
⋅ medio termine: con la crescita della domanda di idrogeno anche nel settore privato,
l’opzione steam reforming on site del gas naturale potrebbe dominare il mercato in
quanto, lo svantaggio della tecnologia, in termini di minore flessibilità di esercizio
rispetto all’elettrolisi, non rappresenterebbe più una criticità. Inoltre, è l’opzione
sensibilmente più vantaggiosa economicamente rispetto alle altre e può rappresentare
un’attraente diversificazione per il business del gas naturale;
⋅ lungo termine: nell'ipotesi che nessuna altra nuova tecnologia, rispetto a quelle
considerate, entri in gioco, l'opzione SMR on site sarà ancora quella vincente.
In ogni caso, sembra plausibile che nel futuro la competizione tra le diverse opzioni tecnologiche
si giocherà, per la specifica applicazione, sulla base soprattutto delle politiche ambientali ed energetiche
ossia sul ricorso, da parte del legislatore, a strumenti di incentivazione per l'utilizzo di gas naturale e di
energia elettrica.

Figura 250: Rating dei sistemi di produzione di idrogeno


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 298

La produzione dell’idrogeno tramite impianti di steam reforming del metano, installati presso la
stazione di rifornimento, è l’opzione tecnologica economicamente vincente rispetto alla produzione
centralizzata o tramite elettrolisi on site.
Il vantaggio competitivo è elevato per le stazioni di rifornimento caratterizzate da una domanda
costante ed elevata (depositi di FC-autobus nella fase iniziale e, una volta raggiunta una domanda
costante, anche per le stazioni di rifornimento delle auto private).
Le altre opzioni considerate, produzione centralizzata tramite SMR ed elettrolisi, potrebbero
diventare forti competitors se l’idrogeno fosse prodotto da aziende coinvolte nel business elettrico o del
gas, per le quali i costi delle “materie prime” sono sensibilmente minori dei valori utilizzati
nell’elaborazione economica.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 299

13 TERMOVALORIZZAZIONE DEI RIFIUTI SOLIDI

Una categoria di generatori termici che si sta affermando in questi ultimi anni è quella degli
inceneritori detti anche termovalorizzatori dei rifiuti solidi. Questa tecnologia, fino a pochissimi anni fa
relegata in una fase da laboratorio e implementata solo in paesi più sensibili al rispetto dell’ambiente,
oggi trova applicazione anche in Italia a seguito di alcune direttive europee e del noto Decreto Ronchi,
pur con notevole ritardo rispetto ad altre nazioni europee. Si fa strada, quindi, la cultura della
valorizzazione termica dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU) e in genere di tutte le tipologie di rifiuti che le leggi
vigenti propongono.
Alla base di questa filosofia vi è il concetto di recupero energetico oltre che materiale di alcune
frazioni riciclabili quale la plastica, i materiali ferrosi, la carta .... I RSU o loro assimilabili sono, infatti,
prodotti organici capace di fornire energia se opportunamente combusti con un potere calorifico
inferiore (pci) che varia da 1800 ÷ 4500 kcal/kg a seconda della tipologia di prodotto.
Considerando una produzione realistica di RSU di 1.5 kg/p/g (kg di RSU per persona al giorno)
e la popolazione residente nel nostro paese ci si rende conto della enorme quantità di RSU disponibili
giornalmente, senza considerare le altre produzioni quali quelle industriali e ospedaliere.
Per dare un valore concreto nella sola provincia di Catania si hanno circa 1.200 t/g di RSU tal
quale che potrebbe fornire (supponendo un valor medio del pci=2000 kcal/kg) circa 2.790.000 kWh e cioè
una quantità di energia corrispondente al consumo energetico familiare medio di circa 30.000 famiglie.
Negli ultimi due decenni si sono affermate alcune tecnologie per la termovalorizzazione e in
particolare si ricorda: la combustione a griglia, la combustione a letto fluido, la pirolisi a bassa
temperatura e, di recente, la pirolisi ad alta temperatura mediante reattori al plasma. Si tratta di
tecnologie, vecchie e nuove, che presentano una serie di problematiche sia impiantistiche che operative.
Gli impianti di termovalorizzazione con forni a griglia sono probabilmente quelli più conosciuti e
in Italia se ne hanno alcune realizzazioni (anche recenti, come a Brescia e Ferrara) perfettamente
funzionanti. Gli impianti a letto fluido possono considerarsi una evoluzione dei precedenti poiché
utilizzano per la combustione il metodo delle caldaie circolanti a pressione atmosferica (ACFB) con
sensibile riduzione della temperatura di combustione e maggior controllo delle emissioni atmosferiche.
Entrambe le tipologie sopra indicate utilizzano quale prodotto di combustione il CDR
(Combustibile Da Rifiuto) ottenuto dai RSU mediante pretrattamento di essiccazione per eliminare
l’umidità e le frazioni riciclabili. Gli impianti a pirolisi a bassa temperatura, sia endotermica che
esotermica, si basano su conoscenze ormai secolari della scissione pirolitica dei legami molecolari delle
sostanze organiche. Nei forni rotanti pirolitici si raggiungono temperature dell’ordine di 500÷600 °C e,
in atmosfera ridotta di ossigeno, avviene la scissione pirolitica dei rifiuti formando, in genere, gas
pirolitico con residuo di coke detto di pirolisi.
Il gas così prodotto ha un pci di circa 4000÷5000 kcal/kg e può essere utilizzato, previo
trattamenti di depolverizzazione, lavaggio e desulfurazione (in alcuni casi anche in relazione al tipo di
rifiuto utilizzato) per far marciare una turbina a vapore ovvero anche, per gli impianti di piccola taglia
(di solito al di sotto di 100.000 t/anno), motori endotermici con produzione diretta di energia elettrica.
Il coke di pirolisi può essere utilizzato per alimentare forni, come carbonella o per alimentare un
impianto di craking per produrre altro gas di sintesi. In quest’ultimo caso si producono residui vetrosi
non lisciviabili che possono facilmente essere portati a discarica.
Gli impianti a pirolisi ad alta temperatura sono i più recenti e rappresentano un salto tecnologico
nella termovalorizzazione dei RSU. Essi possono trattare praticamente tutte le tipologie di rifiuti (solidi
o liquidi) e producono syngas e residui solidi basaltici.
La pirolisi è attivata ad alta temperatura (3000÷4000 °C in atmosfera povera di ossigeno)
mediante plasma prodotto da elementi ad arco con scarica in aria.
Questa tecnologia di derivazione aerospaziale (dove viene utilizzata per produrre materiali ad
altissime temperature) è stata proficuamente utilizzata principalmente per lo smaltimento di residui
industriali tossici o per terreni con residui radioattivi. Oggi se ne prevede anche l’utilizzo come sistema
principale di gassificazione in impianti di produzione sia di energia elettrica che di prodotti di
trasformazione del syngas (metanolo, ...).
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 300

Oltre a potere trattare qualunque tipologia di rifiuti, questi impianti presentano interessanti
caratteristiche quali il ridotto volume dei prodotti di scarico sotto forma di basalto (circa il 12%) che
può essere riciclato come pietrame da costruzione (pietrisco o anche ballast) o per formare mattonelle
basaltiche per pavimentazione stradale. In pratica dal rifiuto utilizzato all’ingresso del reattore si
ottengono prodotti tutti riutilizzabili: gas e basalto.
Anche la qualità dei prodotti di scarico è eccellente poiché, per effetto della elevata temperatura
nel reattore, le reazioni stabili sono quelle che portano alla produzione di H2, CO e CO2 che, mediante
craking attivato con getti di vapore d’acqua, viene ridotto a CO per aumentare il pci del syngas e pertanto
i prodotti pericolosi (diossine, furani,....) non sono praticamente presenti. L’attivazione della pirolisi ad
alta temperatura avviene mediante arco elettrico e quindi con apporto di energia esterna.
Ne segue che questo sistema può funzionare sia con prodotti organici (che producono gas
riutilizzabile) che inorganici per i quali non si ha formazione di gas ma solo di slag fuso alla base del
reattore. Questo sistema, infatti, è stato prevalentemente utilizzato per fondere materiali metallici
(alluminio, ferro, ....) da oltre 25 anni con funzionamento continuo.
Proprio per questa caratteristica gli impianti al plasma sono anche utilizzati a valle degli impianti
tradizionali per vetrificare le ceneri provenienti dai forni a griglia. Impianti di questo genere sono presenti
già in Europa (a Cenon in Francia si ha un impianto al plasma per vetrificare 70.000 t/anno di ceneri di
un impianto a griglia da 350.000 t/anno) e in Italia si stanno studiando applicazioni simili per gli
impianti a griglia esistenti. Impianti di termovalorizzazione al plasma sono sia in fase di progettazione
avanzata che di inizio costruzione in Europa e in Giappone.
La relazione sviluppa le succitate tematiche fornendo un quadro di riferimento ed un confronto
critico delle tecnologie oggi utilizzate. Vediamo nel prosieguo brevemente le peculiarità delle tipologie
di impianti sopra elencate, anche alla luce del citato Decreto Ronchi. In particolare si descriveranno con
maggior dettaglio i cicli termodinamici, le implicazioni impiantistiche e termotecniche, le caratteristiche
di funzionamento, le tipologie di scarichi ambientali al fine della Valutazione di Impatto Ambientale.
Data la natura e la limitatezza del corso si forniranno solamente gli accenni tecnici necessari alla
caratterizzazioni tecniche delle diverse tipologie impiantistiche lasciando i necessari approfondimenti ai
manuali tecnici e alla Letteratura tecnica disponibile.
13.1 SISTEMI A PIROLISI A BASSA TEMPERATURA
La pirolisi è un processo chimico di scissione dei legami delle molecole organiche in atmosfera priva (o
scarsamente presente) di ossigeno in modo da ottenere gas (detto gas di sintesi o syngas) e prodotti
residuali solidi.
La pirolisi e la gassificazione conseguente ottengono principalmente i seguenti risultati:
⋅ -Riduzione dei problemi di deposito degli RSU in discarica attraverso la riduzione dei volumi in
gioco e la scomposizione termica definitiva di prodotti potenzialmente pericolosi
⋅ -Trattamento specifico dei materiali (RSU) in entrata.
⋅ -trattamento decentralizzato degli RSU con minori contaminazioni ambientali.
⋅ -Conversione di materiali - per i quali non sarebbe possibile alcun riutilizzo - in materiali
utilizzabili (residui carboniosi, metalli) ed energia.
⋅ -Un notevole contributo alla riduzione di emissioni di anidride carbonica in quanto tale processo
è sostitutivo della abituale della abituale produzione di energia mediante combustibili fossili.
⋅ -Un composto carbonioso residuo della pirolisi. Nei processi industriali esistenti i metalli, ferrosi
e non, in esso ancora presenti vengono estratti e lo stesso può, in seguito, essere utilizzato come
carbone attivo negli impianti di filtrazione, come sostanza porosa per la produzione di mattoni o
come combustibile nelle centrali termoelettriche. Lo si può inoltre sottoporre al processo di
gassificazione.
⋅ -Attraverso la gassificazione il residuo carbonioso della pirolisi viene convertito in granuli vetrosi
completamente inerti dal punto di vista chimico-fisico che possono essere offerti quali prodotti
per l’industria edile o inviati in discarica senza restrizioni ambientali di sorta.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 301

⋅ Grazie alla sua stabilità chimica intrinseca tale materiale può essere immagazzinato dovunque per
periodi illimitati senza che si renda necessaria alcuna precauzione.

13.1.1 PROCESSO DI UTILIZZAZIONE DEI RSU


Al fine di predisporre la frazione di RSU al trattamento termico si procede alla compressione e
formazione di cubi privi il più possibile di aria mediante apposita macchina (pressa). Il modulo di
pirolisi al plasma a bassa temperatura (600÷900 °C mediante reattori rotanti) tratta una portata di
materiale variabile con la taglia del reattore (di solito 2-5 t/h) e produce gas composto essenzialmente
da idrogeno, monossido di carbonio, ossido di carbonio e prodotti vari in percentuali che dipendono
dalla natura chimica dei rifiuti utilizzati. In pratica il processo pirolitico scinde i legami chimici dei
composti organici producendo syngas. Tutto ciò che non è scisso chimicamente si ritrova in basso al
reattore pirolitico sotto forma di coke di pirolisi cioè di carbonella che può anche essere utilizzata per
alimentare forni industriali, per produrre altro gas (processo di craking) o essere portato a discarica.
Poiché il coke non è del tutto non lisciviabile il suo smaltimento richiede, in Italia, un pre-trattamento
prima di essere portato a discarica.
Dopo un successivo trattamento volto a separare le polveri ed estrarre ulteriori particelle
metalliche il syngas viene raffreddato istantaneamente (quenching) e lavato (Scrabber) in modo da produrre
gas purissimo per la successiva fase di produzione del metanolo. Parte del syngas è utilizzato per la
produzione dell’energia elettrica necessaria all’autosufficienza dell’impianto mediante motori alimentati
a gas per produrre elettricità. Il funzionamento del reattore è di almeno 8.000 ore/anno con fermate
funzionali di circa due mesi per anno.

Figura 251: Layout di processo per impianti a pirolisi

13.1.2 FASI PRINCIPALI DEL PROCESSO


Le fasi principali del pirolitici sono:
⋅ Pretrattamento dei RSU mediante frantumazione e preparazione dei cubetti compressi per
l’alimentazione del reattore per la pirolisi;
⋅ Post trattamento del gas di sintesi mediante raffreddamento, lavaggio, depolverizzazione e
desulfurazione (eventuale);
⋅ Processi termici: frantumazione e preparazione dei cubi compressi per l’alimentazione del
reattore per la pirolisi.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 302

Nella Figura 251 si ha lo schema impiantistico di un moderno impianto a pirolisi a bassa


temperatura con forno rotante del tipo endotermico.

13.1.3 ESSICCAZIONE DEI RIFIUTI


I RSU vengono prima trattati per l’eliminazione delle frazioni ferrose e metalliche, dei materiali
plastici e vetrosi. Alla fine del processo vengono essiccati, in camere riscaldate a vapore, fino ad
un’umidità residua del 10% circa, al fine di ottimizzare il successivo processo di gassificazione.
L’essiccamento viene effettuato in tamburi rotanti riscaldati indirettamente con vapore che può
essere prodotto dallo stesso impianto a pirolisi. Il processo di essiccamento sfrutta il calore di
essiccazione del vapore e quindi la massima temperatura di contatto per il materiale, all’interno del
tamburo di essiccamento, è di circa 190 °C.
Il vapore esausto proveniente dall’essiccazione dei rifiuti viene condensato in un’apposita torre di
lavaggio con addizione di soda al fine di eliminare ogni odore residuo. Dopo l’essiccazione il materiale
viene indicato come fluff.

13.1.4 PIROLISI E GASSIFICAZIONE


Il tamburo pirolizzatore è dotato di un particolare sistema di alimentazione in grado di garantire
un minimo ingresso di aria e di fluff e realizzare, quindi, una buona compattazione del fluff stesso.
L’entrata totale di aria imbibita con la massa di fluff è inferiore al 5%. A causa della rotazione e
dell’inclinazione del tamburo il materiale si muove lentamente attraverso il tamburo in direzione
dell’estremità posteriore. Durante questo tempo (circa 50 minuti) il materiale distilla in atmosfera priva
di ossigeno: alla fine si producono il gas di pirolisi e residui solidi essenzialmente rappresentati da
grafite e solidi inerti (scorie carboniose). I residui soliti vengono espulsi mediante una coclea orizzontale e
quindi raffreddati.
L’atmosfera inerte fa sì che persino all’avviamento non vi sia alcun pericolo di incendio o di
esplosione. Il coke di pirolisi raffreddato viene convogliato in atmosfera inerte in un silo. Mentre effettua
questo processo un separatore magnetico provvede a rimuovere i residui di materiali ferrosi contenuti
nel coke (da unire a quelli grossolani separati durante la fase di pretrattamento dei rifiuti).
La rimozione dei metalli non ferrosi viene effettuata mediante un flusso turbolento per quanto
riguarda i pezzi più grossi e mediante vagliatura per quanto riguarda i fini. Il tamburo pirolizzatore
viene riscaldato indirettamente, fatta eccezione per la messa in marcia, il bruciatore viene fatto
funzionare mediante l’utilizzo dello stesso gas di pirolisi previamente depurato.
Lo sfruttamento energetico del gas di pirolisi e la qualità della combustione (bassa concentrazione
di NOx) vengono positivamente influenzati dalla particolare configurazione della camera di
combustione. Gli scarichi della combustione passano attraverso uno scambiatore di calore nel quale
viene preriscaldata l’aria per la crakezzazione del gas.

13.1.5 TORCIA DI SICUREZZA


La torcia di sicurezza provvede a bruciare il gas quando esiste un disservizio del normale
funzionamento dell’impianto. Questa torcia è collegata al tamburo pirolizzatore, al sistema di lavaggio
del gas e al sistema di stoccaggio del gas. Nel caso in cui il sistema di crakezzazione del gas dovesse avere
dei problemi è possibile bloccare il relativo condotto di adduzione del gas mentre viene aperto quello di
adduzione alla torcia.
Anche in caso di aumento di temperatura del sistema di lavaggio gas o nell’eventualità in cui la
pressione del sistema di stoccaggio gas dovesse essere troppo elevata, un sistema di valvole del
medesimo tipo provvede ad inviare gas alla torcia di sicurezza. Durante il funzionamento normale la
torcia è alimentata (per essere mantenuta alla temperatura ottimale e nelle condizioni operative
necessarie) con gas di pirolisi così da potere entrare in azione in qualsiasi momento ad una temperatura
di combustione ottimale.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 303

13.1.6 CRAKING DEI GAS PIROLITICI


Il gas di pirolisi è essenzialmente costituito da una miscela di idrocarburi evaporati, di vapore
acqueo, polveri di grafite, idrogeno, biossido di carbonio, monossido di carbonio e azoto. Il gas di
pirolisi viene condotto in un ciclone a gas caldissimo per essere depolverizzato e quindi entra nell’unità
di craking. La polvere viene rimossa dal ciclone ed è così evacuata e trasportata verso il successivo
sistema di gassificazione.
Il gas viene fatto scorrere in condotte riscaldate al fine di evitarne il raffreddamento e la
conseguente condensazione. Il gas di pirolisi così depolverato presenta una temperatura di circa 500 °C
ed arriva all’unità di craking passando attraverso un letto di coke caldissimo. In conseguenza di ciò la sua
temperatura aumenta sino ad 1100 °C.
n seguito alle varie reazioni chimiche endotermiche che consumano parte dell’energia, la
temperatura del gas all’uscita dell’unità di craking è di circa 900 °C. In quel momento, ovvero dopo
circa 3÷5 secondi, il gas di pirolisi viene trasformato in un gas stabile ed in particolar modo gli
idrocarburi sotto forma di vapore vengono scissi in idrogeno, metano e monossido di carbonio.
In aggiunta a quanto sopra detto il vapore acqueo presente nel gas di pirolisi viene trasformato,
dal carbonio presente nel coke, in monossido di carbonio e idrogeno in base alla ben nota reazione
eterogenea acqua-gas

13.1.7 MINERALIZZAZIONE DEL COKE DI PIROLISI


Come già detto, esistono numerose possibilità di utilizzo per il coke di pirolisi (scorie carboniose),
pertanto è ipotizzabile che parte del coke di pirolisi a lungo andare possa essere variamente impiegato
ad esempio per la produzione di cemento o laterizi. Tuttavia, attualmente, si ritiene che tutto il coke di
pirolisi debba possibilmente essere mineralizzato. Ciò include anche l’utilizzo intermedio del coke di
pirolisi quale materiale filtrante.
Si deve tener presente che la gassificazione permette di ricavare la maggior parte dell’energia del
materiale in entrata sotto forma di gas combustibile il cui utilizzo contribuisce in modo favorevole al
bilancio energetico dell’impianto in quanto, una volta depolverizzato e lavato, questo gas può essere
immediatamente utilizzato. Il coke dopo il processo di gassificazione lascia alcuni granuli inerti non
lisciviabili e vetrificati che possono essere ancora utilizzati nell’industria del cemento o quale inerte per
costruzioni civili.

13.1.8 LAVAGGIO DEI GAS DI PIROLISI E GASSIFICAZIONE


Il gas grezzo ottenuto viene lavato e raffreddato. Innanzi tutto il gas passa attraverso una fase di
quench (raffreddamento) con acqua che lo raffredda da 1500 a 900 °C, quindi in una successiva fase di
raffreddamento, sempre con acqua, che riduce la temperatura del gas da 900 a 70°C. Durante la fase di
raffreddamento dal ricircolo liquidi utilizzato viene estratto uno spurgo ricco di metalli pesanti che
vengono separati ed arricchiti mediante sedimentazione e filtro-pressatura.
In una seconda fase di lavaggio il tenore di HCl presente nel gas viene ulteriormente ridotto. In
questa sezione del sistema viene a prodursi una debole soluzione di HCl che viene neutralizzata con
soda. In questo modo il pH oscilla fra 7÷8. Il materiale in entrata contiene un certo quantitativo di Cl
che viene mobilizzato dal processo termico e dilavato dal gas in questa unità. Dopo la neutralizzazione
il Cl assume l’aspetto di sale disciolto nell’acqua di lavaggio. Successivamente questo sale viene
recuperato, tramite evaporazione, sotto forma di granuli secchi.
In relazione alla sostanza utilizzata per la neutralizzazione (idrossido di calcio e idrossido di
sodio) il sale recuperato può essere il cloruro di sodio o il cloruro di calcio. La scelta fra queste due
possibilità viene fatta al fine di conseguire un riciclaggio ottimale del sale quale prodotto da riutilizzare.
Il gas viene invece avviato ad una ulteriore filtrazione. Per evitare la condensazione del gas umido
nel filtro, la sua temperatura viene innalzata sino a circa 5 °C oltre il punto di rugiada.
Il cosiddetto filtro sul sulphurex viene utilizzato per rimuovere completamente la presenza di
idrogeno solforato. Il filtro sulphurex opera ad assorbimento secco in una speciale forma di ossido di
ferro-idrossido.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 304

Questo materiale è in grado di trasportare un elevato carico di zolfo e al raggiungimento della sua
saturazione lo zolfo elementare può essere estratto ed avviato alla rigenerazione presso la casa
fornitrice.
La sequenza del filtraggio è completata da un filtro a carboni attivi per ridurre al minimo i
composti di carbonio organico a molecole complesse. Detto filtro ha comunque una funzione di
sicurezza in modo da garantire una buona qualità dei gas anche nel caso in cui le altri parti del sistema
di lavaggio gas non dovessero funzionare in modo ottimale.

13.1.9 TRATTAMENTO DELLE ACQUE DI LAVAGGIO GAS


L’acqua utilizzata per la depurazione del gas viene fatta raffreddare a circa 25÷30 °C per garantire
la massima efficienza di lavaggio.
Il raffreddamento viene realizzato un circuito secondario dell’acqua raffreddato ad aria in appositi
air cooler. L’acqua di lavaggio arriva ad una vasca di sedimentazione che costituisce anche il ricettore
delle acque reflue provenienti dai vari circuiti dell’impianto. La polvere separata dal gas nella fase di
lavaggio sedimenta, quindi, nella vasca di sedimentazione. Gli inquinanti inorganici contenuta nell’acqua
sedimentata vengono inglobati nei grani di vetro. Il filtrato liquido presenta un tenore di sale
(principalmente cloruri) di circa il 10%. Il refluo si fa passare attraverso un procedimento di
ozonizzazione al fine di eliminare la presenza di NaCN.

13.1.10 PRODUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA


Il syngas ottenuto dal processo di pirolisi, lavato e depolverizzato, può essere utilizzato, in virtù del
suo potere calorifico di circa 4000 kcal/kg o 16000 kJ/kg, per far marciare un impianti di produzione di
energia elettrica. Negli impianti di taglia superiore ai 150.000 t/anno si ha una buona produzione di gas
e la taglia degli impianti giustifica un ciclo a vapore del tipo Hirn, raggiungendo rendimenti
termodinamici superiori al 30%. Per impianti di piccola taglia (potenza complessivamente prodotta <
10 MWe) si possono usare motori endotermici che, utilizzando il syngas come combustibile, producono
energia elettrica mediante accoppiamento diretto con un alternatore.
Naturalmente questa tipologia di impianti ha rendimenti del 20÷24 % e quindi molto inferiori
rispetto ai cicli a vapore, pur con una sensibile economia di acquisto. Inoltre questi impianti sono
compatti e richiedono una manutenzione ridotta soprattutto per la mancanza della turbina a vapore che
richiede un’attenzione continua ed una manutenzione programmata.

13.1.11 RISPETTO DELL’AMBIENTE E CONFORMITÀ ALLE LEGGI


La tecnologia a pirolisi a bassa temperatura soddisfa tutti i requisiti di legge e le normative
europee relativamente agli impianti di trattamento e discarica per i rifiuti solidi urbani e in particolare la
Circolare Ministero Industria Commercio e Artigianato (MICA) 23/4/97 n. 380/3 (G.U. 30/4/97 n. 99 nota
come Decreto Ronchi). In Particolare sono perfettamente rispettati gli artt. 4 (Recupero dei Rifiuti) e 5
(Smaltimento dei Rifiuti) essendo la tecnologia proposta all’avanguardia nel recupero energetico.
Utilizzando un processo originale ed i più moderni sistemi di trattamento delle emissioni la tecnologia
pirolisi ottiene il rispetto di tutti i valori limite imposti dalla legge mantenendo peraltro un ampio
margine di sicurezza.
13.2 IMPIANTI A GRIGLIA
Questi impianti usano la tecnologia standard e consolidata della combustione ad alta temperatura
(griglia) e media temperatura (letto fluido, vedi nel prosieguo). Hanno bisogno di una sezione filtrante ad
alto costo per l’eliminazione delle diossine ed hanno scarichi di prodotti di combustione in atmosfera.
Inoltre producono generalmente energia mediante cicli a vapore (cicli Hirn semplici o combinati).
Il materiale bruciato in caldaia deve essere precedentemente essiccato (CDR) in modo da ridurre
l’umidità presente negli RSU originari. Ciò richiede forni di essiccamento o superfici per la preparazione
del compostaggio. Il generatore di vapore è di tipo a griglia e l’impianto produce direttamente energia
elettrica, mediante ciclo Hirn, con turbina a vapore a ciclo combinato ad alto rendimento.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 305

13.2.1 PREPARAZIONE DEL CDR (PRETRATTAMENTO DEI RSU)


La fase di pretrattamento dei RSU è indispensabile in questa tipologia di impianto. Lo scopo è di
produrre un Combustibile da Rifiuto (CDR) che abbia un pci di 3500÷4500 kcal/kg.
I RSU vengono triturati e le varie frazioni (umida e secca) vengono vagliate e separate.
La frazione umida viene inviata alla preparazione del compost mentre la frazione secca viene
vagliata per la separazione di materiali ferrosi e metallici in genere (ad esempio l’alluminio utilizzato
nelle lattine delle bevande), della plastica (ove possibile) e del vetro.
La rimanente parte, opportunamente ridotta di dimensioni mediante un mulino a martelli,
compone il CDR (o RDF in versione inglese). La percentuale di CDR che si prepara varia in funzione
della composizione iniziale dei rifiuti trattati e pertanto il pci che si ottiene è anch’esso variabile.

13.2.2 LA GRIGLIA DI COMBUSTIONE


L’elemento fondamentale dei forni a griglia è la griglia di combustione. Data la natura composita
del combustile usato (CDR) e della variabilità del suo pci occorre avere una griglia che consenta la
combustione più completa possibile variando la quantità d’aria di combustione in funzione anche della
qualità (termica e dimensionale) del pezzame. In Figura 252 si ha lo schema funzionale di una delle più
usate griglie di combustione per CDR, la griglia Martin.
In essa sono visibili i seguenti componenti:
⋅ (4), Tramoggia di alimentazione,
⋅ (6), Sistema idraulico di alimentazione,
⋅ (7), Ventilatore d’aria di combustione,
⋅ (8), Zone dell’aria primaria situate sotto la griglia,
⋅ (9), Focolaio,
⋅ (10), Ugelli di aria secondaria,
⋅ (11). Caldaia.
Il sistema prevede prima l’insufflamento di aria primaria al di sotto delle griglie di alimentazione e
poi di aria secondaria per la completa combustione dei gas caldi che si sono formati sulla griglia stessa.
Le pareti del focolaio e le pareti di separazione della caldaia stessa sono realizzate mediante tubi ad
alette longitudinali saldate.

13.2.3 CALDAIA PER IMPIANTI A GRIGLIA


La caldaia di questa tipologia di impianti è, di solito, a più passaggi e contiene una sezione
convettiva che raffredda i fumi in modo da ridurne la temperatura dei gas e delle ceneri all’ingresso
dell’ultimo passaggio. Questo è costituito da un surriscaldatore con tubi orizzontali seguito da un
economizzatore che costituisce un vero e proprio passaggio di scambio finale.
A valle dell’economizzatore è posto un ciclone ed un reattore a secco, come indicato in Figura
253 per l’impianto di Lisbona da 2000 t/g (attualmente il maggiore d’Europa), dove viene iniettata calce
spenta per la separazione e l’eliminazione dei componenti acidi presenti nei fumi.
La calce che ha reagito viene raccolta in filtro a maniche insieme alle ceneri che sono poi
descorificate e poi portate a discarica.

13.2.4 PRODUZIONE DI POTENZA ELETTRICA


Le centrali di termovalorizzazione con forni a griglia sono le più numerose nel mondo e sono
solitamente accoppiate con cicli a vapore e/o con cicli cogenerativi per la produzione contemporanea
di vapore per riscaldamento urbano, come ad esempio per la centrale ASM di Brescia.
I rendimenti termodinamici sono superiori al 35% e in cicli combinati si hanno valori ancora
maggiori.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 306

13.2.5 PROBLEMATICHE DI ESERCIZIO DELLE CENTRALI A GRIGLIA


Le centrale a griglia sono certamente quelle di tecnologia più consolidata e diffusa. Esse
assommano conoscenze derivate dai vari campi dell’impiantistica termica e chimica e non presentano
sorprese di sorta. Malgrado la loro apparente semplicità esse sono costose (forse le più costose in
assoluto) per il notevole costo della sezione di filtraggio, trattamento dei fumi ed abbattimento delle
diossine.
E' importante sottolineare che i limiti di emissione imposti per l'utilizzo dei RSU come fonte di
energia sono estremamente restrittivi, a tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente. L'utilizzo di CDR
in generatori di vapore a griglia, unitamente alla sezione di trattamento dei fumi, raggiunge il rispetto di
tali ai limiti.
Il sistema di controllo in continuo delle emissioni permette la rilevazione e la registrazione della
temperatura dei fumi della concentrazione di 02, di polveri, di S02, di HCl, di CO, di NOx e di sostanze
organiche volatili. Viene inoltre controllata in continuo la temperatura nella camera di combustione il
cui valore minimo, prescritto dalla normativa vigente, è 850°C.

Figura 252. Schema di funzionamento di una griglia Martin®

13.2.6 REAZIONE COMUNITARIA ALLE CENTRALI A GRIGLIA


Le centrali di termovalorizzazione con forni a griglia presentano notevole difficoltà di
accettazione da parte delle popolazioni vicine al sito dell’impianto per il timore di fughe di diossine e
furani nel caso di malfunzionamento delle apparecchiature di controllo. La Valutazione di Impatto
Ambientale presenta, pertanto, difficoltà non facili da superare per gli aspetti sociali.
In alcune regioni d’Italia si sono avuti rifiuti decisi delle autorità locali e delle popolazioni
interessate per la costruzione di nuove centrali di termovalorizzazione a griglia.
Il loro inserimento risulta più agevole in zone industriali o comunque lontane dai centri abitati.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 307

Figura 253: Schema di caldaia a griglia e di ciclone


13.3 CENTRALI CON CALDAIE A LETTO FLUIDO
Queste rappresentano un’evoluzione delle centrali con forni a griglia viste in precedenza ed
utilizzano la combustione detta a letto fluido che si ottiene insufflando aria dal basso in quantità (e quindi
portata) tale da far assumere alla massa di materiale la caratteristica di un fluido. Le particelle non sono
più coese come di solito sono in assenza del galleggiamento provocato dal flusso di aria.

Figura 254: Schema di funzionamento di un combustore a letto fluido


Si osserva, infatti, che all’aumentare della velocità dell’aria insufflata, si ha una andamento
crescente delle perdite di carico fino a quando le particelle (di piccolo diametro, di solito dell’ordine di
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 308

qualche millimetro) iniziano una specie di galleggiamento che fa assumere alla massa un
comportamento tipico dei fluidi.
Se allora si utilizza una volume di controllo nel quale si manda aria dal basso e particelle di
materiale (coke di carbone o di CDR) immesse lateralmente si ha, per opportune portate dell’aria, la
formazione del letto fluido. In queste condizioni.
In Figura 254 si ha lo schema di funzionamento di un combustore a letto fluido del tipo circolante In
un cilindro (riser) si insuffla aria dal basso e si alimenta (con CDR ridotto in piccole particelle mediante
apposito frantumatore) lateralmente. L’aria di insufflaggio è in quantità sufficiente alla combustione e
pertanto si ha, all’interno del combustore, una combustione continua ad una temperatura che va dai 900
°C a 850°C.
Nei sistemi a letto fluido circolante il trasporto del materiale di combustione è sensibile e tale da
innescare una circolazione che viene controllata da un condotto discendente (downcomer) che riporta le
particelle elutriate all’ingresso del combustore principale. La combustione a letto fluido presenta notevoli
vantaggi rispetto alla combustione normale a griglia.
La temperatura di combustione è in genere più bassa (circa 900 °C rispetto a circa 1200 °C dei
forni a griglia tradizionale) e questo consente di avere una minore quantità di diossina prodotta. Inoltre
alla base del reattore principale si possono aggiungere additivi chimici (di solito CaCO3 o solfati) che
abbattono gli ossidi COx ed NOx nei fumi.
Si ha anche una minore dimensione (circa il 40% in meno) della caldaia e quindi un minor costo
dei materiali (acciai) necessari per costruire questi impianti. Per contro si ha un maggior dispendio di
energia per l’insufflamento dell’aria e il mantenimento delle condizioni di innesco del letto fluido circolante.
Anche il controllo di questi impianti è notevole dovendo assicurare sempre le condizioni sia
termodinamiche di combustione che fluidodinamiche di circolazione a letto fluido.
Oggi si possono avere caldaia a letto fluido (FB) sia di tipo atmosferico (ACFB) che in pressione
(PCFB). Quest’ultima tipologia di impianto (di derivazione svedese) presenta dimensioni ancora più
ridotte e sembra essere la naturale evoluzione degli impianti a pressione atmosferica che, però, sono
oggi più diffusi e conosciuti.
Le centrali a letto fluido necessitano di un pretrattamento dei RSU così come visto per quelle a
griglia. Da questa sezione di preparazione viene prodotto il CDR (Combustibile da Rifiuti) che viene poi
ridotto in minutissime particelle mediante un mulino.
Rispetto alle centrali a griglia sono più ridotte le sezioni di filtraggio dei fumi per la minore
pericolosità dei prodotti di combustione proveniente dalla combustione controllata a letto fluido. Anche
la produzione di ceneri appare più ridotta rispetto alle caldaie a griglia (10% rispetto al 30%) e quindi i
costi di gestione e di trasporto a discarica sono sensibilmente minori.

13.3.1 CENNI SUI LETTI FLUIDI


Se si fa attraversare uno strato di materiale solido da un fluido (liquido o gas) e si fa variare la
velocità di questo si ha un andamento delle cadute di pressione dato in Figura 255.
La caduta di pressione cresce con l’aumentare della velocità per effetto delle perdite per attrito
nella massa del solido finemente suddiviso. A partire da un valore della velocità del fluido, detta umf, la
caduta di pressione ha un sussulto e poi si stabilizza ad un valore costante. E’ proprio da questo
momento in poi che il letto di materiale solido si è fluidizzato cioè non è più solido e separato dal fluido
ma forma con questo una matrice continua nella quale le particelle solide sono disperse.
Nel momento in cui inizia la fluidizzazione si hanno vari tipi di regimi che sono illustrati in Figura
256.
Inizialmente si forma il moto a bolle, tipi c) in figura (la velocità iniziale corrispondente è indicata
umb) nel quale si ha una sorta di aggregazione di masse solide e di zone di fluido che assumono la forma
caratteristica di una bolla circolare con la base leggermente schiacciata.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 309

Dp

B Letto fluido

Letto fisso

umf u

Figura 255: Formazione del letto fluido


La velocità umb può essere calcolata con la relazione:
−0.1
µ 
umb = 33d s  F  [96]
 ρF 
avendo indicato con d s il diametro medio delle particelle solide, µF e ρF la viscosità dinamica e la
densità del fluido utilizzato per la fluidizzazione.

Figura 256: tipologia di letti fluidi


Al crescere della velocità del fluido, a partire da ums, si forma il moto a tappi con formazione di
grossi brandelli di particelle solide disperse nella matrice gassosa (tipo d in figura). A questo segue, a
partire dalla velocità utr, il regime turbolento (indicato con e in figura).
Al crescere della velocità si ha il regime di trasporto nel quale le particelle sono trasportate
massivamente dalla matrice fluida.
Questo regime viene utilizzato per il trasporto dei solidi mediante aria ad alta velocità.
Le particelle di solido debbono avere dimensioni opportune perché si abbia la fluidizzazione. In
particolare le dimensioni sono state catalogate da Geldart (1973) secondo la seguente Tabella 27.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 310

Caratteristica Gruppo C Gruppo A Gruppo B Gruppo D


Definizione descrittiva Coesivo Aeriforme Pronto per le bolle Grossolano
Dimensioni < 20 µm 20 < ds < 90 µm 90 < ds < 650 µ > 650 µm
Tabella 27: Tabella di Geldart per le dimensioni delle particelle solide
Se le dimensioni delle particelle sono inferiori a 20 µm si hanno polveri impalpabili, tipo talco,
che rimangono sospese nel fluido o formano aggregazioni anomale e non controllabili. Per dimensioni
oltre i 650 µm si hanno particelle troppo pesanti per la fluidizzazione. Normalmente le applicazioni a
letto fluido usano i gruppi A e B, ad esempio con il polverino di carbone o con la triturazione fine dei
rifiuti urbani essiccati (CDR). Lo studio dei letti fluidi risulta particolarmente complesso da un punto di
vista fluidodinamico poiché si hanno, in genere, almeno due fasi con contorni fortemente variabili e
casuali.

13.3.2 APPLICAZIONI DEI LETTI FLUIDI


I letti fluidi trovano numerose applicazioni nel campo della Termotecnica, nell’impiantistica chimica
ed industriale (scambiatori a letto fluido e reattori a letto fluido), nel campo della componentistica degli
impianti termotecnici con la combustione a letto fluido. Nel caso degli impianti di termovalorizzazione si
utilizza proprio quest’ultima applicazione. In particolare si hanno varie forme di combustione a letto
fluido e principalmente si possono così catalogare.
Caldaia a letto fluido atmosferica (APFB)
Si tratta del tipo più antico e ancora il più utilizzato di combustione a letto fluido. Si utilizza il
regime a bolle con combustione a pressione atmosferica. Il fluido di lavoro è l’aria che serve anche
come comburente per la combustione. La caldaia è costituita da un grosso cilindro nel quale si ha in
basso una griglia che distribuisce il flusso d’aria in modo uniforme, evitando la formazione di canali
d’aria preferenziali. Al di sopra della griglia si pongono strati di calcare e altri materiali inerti che hanno
lo scopo di reagire con i composti del tipo COx ed NOx per trasformarli in composti non gassosi e
quindi non inquinanti per l’atmosfera.
La temperatura di combustione è limitata a 800 ÷ 900 °C (anche per effetto del forte eccesso
d’aria necessaria per la fluidizzazione) e ciò comporta notevoli benefici alla combustione poiché si evita
la formazione delle diossine. Nelle applicazioni impiantistiche la caldaia a letto fluido atmosferico
(APFB) sostituisce la caldaia tradizionale a tutti gli effetti, producendo vapore a 550÷580 °C e pressioni
di circa 30 ÷40 bar. Questa caratteristica rende le caldaie APFB molto utili nel refurbishment di impianti a
vapore obsoleti che vengono trasformati in impianti a polverino di carbone.
Caldaia a letto fluido circolante atmosferica (APCFB)
In questo caso si utilizza il regime detto turbolento per cui la caldaia a letto fluido è costituita da un
grosso cilindro con griglia inferiore ma con un secondo cilindro laterale (detto downcomer) nel quale si
raccoglie il particolato che viene trasportato fuori dal primo cilindro per elutriazione.
Queste caldaie sono più recenti rispetto a quelle con moto a bolle ed hanno dimensioni più
ridotte per effetto del miglior regime di combustione (anche per effetto della turbolenza propria del
regime di moto) che si ottiene. In ogni caso si hanno dimensioni di caldaia di circa 40% inferiori
rispetto a quelle con moto a bolle con un risparmio di una analoga quantità in peso di acciaio.
Caldaia circolante pressurizzata (PCFB)
Sono le caldaie più innovative e lavorano in regime turbolento con fluido circolante con il doppio
cilindro. La pressione in caldaia è maggiore di quella atmosferica (qualche bar) e ciò comporta, oltre ad
una migliore efficienza di combustione, una riduzione di oltre il 50% delle dimensioni e del peso di
acciaio impegnato.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 311

13.3.3 CALDAIA A LETTO FLUIDO


Con riferimento alla centrale di Lomellina si ha lo schema di impianto di Figura 257 che riporta la
sezione caldaia a letto fluido e di trattamento dei fumi. La centrale di Lomellina tratta 146.000 t/a di
RSU e RSUA e produce una potenza netta di energia elettrica pari a 17 MWe. Come si può osservare
dalla figura, si tratta di caldaia del tipo circolante a pressione atmosferica con immissione del polverino
di RDF dal basso. La preparazione del polverino di RDF richiede un impianto di polverizzazione
preliminare che occupa, nel layout complessivo dell’impianto, uno spazio non indifferente.
A valle di questa sezione di combustione si ha un normale impianto a vapore per la produzione di
potenza elettrica del tutto simile a quella vista per le centrali a griglia. Il ciclo utilizzato è di tipo Hirn
con produzione cogenerativa variabile. Poiché la combustione a letto fluido è più pulita rispetto a quella
a griglia tradizionale, gli impianti di depurazione dei fumi sono notevolmente più ridotti e certamente
meno impegnativi, avendosi minori quantità di NOx, COx , SOx ed altri inquinanti. In Figura 258 si ha
una vista assonometrica dell’insieme della caldaia a letto fluido e del generatore di vapore a recupero
termico.
13.4 TRATTAMENTO DELLE CENERI DEGLI IMPIANTI A GRIGLIA E A LETTO
FLUIDO
Le ceneri attualmente prodotte in tutti gli impianti di termovalorizzazione tradizionali con forni a
griglia e a letto fluido contengono numerosi metalli e composti chimici vari.
Queste ceneri possono anche essere umide per la fase di lavaggio finale a valle di filtri
elettrostatici e sono in percentuale variabile da poco più del 12% nelle caldaie a letto fluido a quasi il
35% per quelle a griglia tradizionali.
Una bella quantità di prodotti di scarto che oggi viene trasportata nelle discariche pubbliche.
Le ceneri purtroppo sono lisciviabili è cioè possono essere dilavata dalle acque e inquinare il
sistema delle falde sotterranee e quindi, in attuazione delle nuove direttive europee, non potranno
essere smaltite tal quali ma dovranno subire un processo di inertizzazione.

CFB
Steam generator Stack

Venturi reactor
RDF
Cyclone
Ciclone

Bag filter
Furnacee
r
Water

Intrex

Steam
Prim. air Slag Sec. air Fly ash

Figura 257: Schema della sezione caldaia a letto fluido e trattamento fumi di Lomellina
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 312

Figura 258: Vista assonometrica di una caldaia a letto fluido e del generatore a recupero
Un sistema oggi proposto ed utilizzato in alcune grandi centrali di termovalorizzazione europee
(vedi Cenon in Francia ove si ha una centrale da 400.000 t/anno di RSU con produzione di 120.000
t/anno di ceneri) è quello di vetrificarle mediante trattamento al plasma ad altissima temperatura.
Mediante le torce al plasma (vedi nel prosieguo) si raggiungono temperatura variabili fra 4000 e
7000 °C e quindi tali da fondere le ceneri in uno slag (una specie di lava basaltica) che viene poi
raffreddato per formare mattonelle, portacenere e prodotti vari da riutilizzare.
In Francia è addirittura nato il consorzio VIVALDI che ha lo scopo di trovare sistemi di
sfruttamento dello slag prodotto dalle torce per fini commerciali. Lo slag è un materiale vetroso e non
lisciviabile e pertanto, oltre all’uso come materiale da costruzione o di abbellimento, può essere portato a
discarica tranquillamente con grande vantaggio anche per la notevole riduzione di peso e volume (da
330 kg iniziali per tonnellata di RSU bruciata a 20 kg di slag prodotta dalla torcia). La problematica
dell’utilizzo dello slag è comune agli impianti di termovalorizzazione al plasma che sono trattati nel
successivo capitolo.
13.5 IMPIANTI AL PLASMA
Le prime torce al plasma sono state sviluppate ed utilizzate nell’industria metallurgica e chimica e in
particolare per:
⋅ fusione dei rottami
⋅ recupero dell’alluminio, nell’industria chimica
⋅ produzione di Acetilene dal gas naturale
⋅ produzione di materiali speciali
L’idea di base degli impianti al plasma è di utilizzare le torce al plasma per gassificare (cioè
produrre syngas mediante pirolisi ad alta temperatura) i RSU secondo la metafora di Figura 259.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 313

L’elemento innovativo di questa tecnologia è la torcia al plasma che, come si vedrà fra poco, è
capace di produrre del plasma a temperature elevatissime (le maggiori raggiunte in processi industriali
controllati) e tali da provocare una dissociazione termochimica di tutto ciò che viene investito. Se il
materiale dissociato è di tipo organico allora si produrrà gas di sintesi e quindi energia altrimenti si
provocherà solamente la fusione del materiale metallico o di qualunque altra natura.

Figura 259: Metafora per gli impianti al plasma


Quest’ultimo procedimento viene oggi utilizzato per fondere materiali metallici alluminosi (lattine
usate) per avere nuovamente materia prima per nuovi utilizzi.

13.5.1 LA TORCIA AL PLASMA


Esistono torce alimentate in Corrente Continua (DC) e torce alimentate in Alternata (AC). Per le
applicazioni ai RSU è conveniente utilizzare torce DC: esse necessitano di un convertitore AC–DC, ma
sono più perfezionate rispetto alle torce AC.
Modalità di Funzionamento della torcia al plasma
Per quando riguarda le modalità di funzionamento, le torce al plasma si possono classificare in
due gruppi (vedi Figura 260):
⋅ arco trasferito;
⋅ arco non trasferito.

Figura 260: Sistemi ad arco trasferito e non trasferito


Nel tipo ad arco trasferito l’elettrodo nel corpo della torcia funge da anodo o da catodo (a seconda
del modello di torcia) mentre il materiale che deve essere trattato funge da altro elettrodo.
Polarità della torcia della torcia al plasma
La modalità di lavoro della torcia ad arco trasferito con anodo sulla torcia e catodo nel materiale
da trattare è conosciuta come “polarità inversa”. La pratica opposta è nota come “polarità diretta”, vedi
Figura 261. Nel caso della torcia ad arco non trasferito entrambe gli elettrodi sono inseriti nella torcia.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 314

Similmente a quanto detto per le torce trasferite, quelle non trasferite operano in polarità inversa
quando l’elettrodo posteriore funge da anodo e quello anteriore da catodo, viceversa quando il catodo è
costituito dall’elettrodo anteriore e l’anodo da quello posteriore esse funzionano in polarità diretta.
Ci sono delle notevoli differenze di comportamento tra le torce ad arco trasferito e non trasferito
riguardo al trattamento dei rifiuti. Poiché le torce ad arco trasferito lasciano passare corrente attraverso
il materiale fuso che deve essere trattato, si può determinare una considerabile componente di
riscaldamento per effetto joule nell’energia che viene trasferita al rifiuto.

SCHEMA DELLA TORCIA AL PLASMA


T.A. P. a polarità diretta T.A. P. a polarità inversa

Elettrodo
posteriore
- Elettrodo
posteriore +
Plasma
Aria
Aria Plasma
Aria
Aria
Elettrodo
Elettrodo anteriore
Fiamma anteriore

+ Fiamma -

Figura 261: Schemi principali di torce al plasma


Questo crea temperature più alte che genera correnti convettive nel bacino di fusione
contribuendo alla omogeneizzazione della fusione. Quindi un sistema con torcia ad arco trasferito è in
grado di trattare una portata maggiore di materiale, inoltre esso utilizza generalmente un flusso
volumetrico di gas di un ordine di grandezza inferiore rispetto alle torce ad arco non trasferito; una
portata di gas più piccola può essere importante per il trattamento dei rifiuti in quanto si riduce in
questo modo la quantità di particolato trasportato nel sistema di pulizia del gas di sintesi, il volume del
gas combustibile è inoltre minore e quindi si riducono le dimensioni del sistema di pulizia dei gas.
Lo svantaggio principale della torcia ad arco trasferito è che il materiale deve essere conduttivo,
mentre la maggior parte del materiale inorganico presente generalmente nel rifiuto risulta conduttivo
solo allo stato fuso, questo potrebbe rendere l’avvio della torcia estremamente difficoltoso dopo arresti
improvvisi, causando serie difficoltà di gestione operativa.
13.000 13.000
Polarità inversa
12.000 12.000
T(C°)

11.000 11.000

10.000 Polarità diretta 10.000

9.000 9.000

3.000 3.000

0 5 10 15 20 25 30
Z(mm)
Figura 262: temperature massime raggiungibili con le torce al plasma
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 315

Tutte queste esigenze possono essere ampiamente soddisfatte attraverso l’utilizzo della torcia ad
arco non trasferito a polarità diretta il cui schema è mostrato nella seguente figura.
In funzione della polarizzazione si possono raggiungere le temperature indicate nella Figura 262
ove in ascisse si ha la distanza fra gli elettrodi.

Figura 263: Schema del funzionamento del reattore al plasma


Gas attivi utilizzati
Per il funzionamento delle torce occorre utilizzare un gas di attivazione che può essere, di solito,
uno dei seguenti:
⋅ Argon (richiede sistema di accumulo)
⋅ Elio (richiede sistema di accumulo)
⋅ Azoto (richiede sistema di accumulo)
⋅ Aria (non richiede sistema di accumulo)
⋅ Vapore d’acqua (richiede sistema di preparazione.

13.5.2 UTILIZZO DELLA TORCIA PER RSU


La torcia al plasma trova impiego anche nella termo-valorizzazione dei RSU. Essa, infatti:
⋅ consente elevate temperature tali portare a fusione e pirolisi il RSU.
⋅ l’elevata temperatura nel bagno fuso consente la conversione in gas (reforming) del carbonio
presente.
Termocinetica e chimica di base
Le reazioni principali che interessano l’applicazione delle torce al plasma sono indicate in Figura
264 ove è data anche la composizione del gas di sintesi.
Dall’esame di questa si può dedurre che il gas prodotto è sufficientemente pulito, non presente
impurezze inquinanti (diossine,…) ed è sufficientemente pulito per le applicazioni civili ed industriali
che si possono fare.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 316

REAZIONI DI EQUILIBRIO DIAGR. DI EQUILIBRIO


sistema C-H-O
0.7
CO CO
C + H2O + E CO + H2
0.6

Frazione Mole, X l
CO+ H2O + E CO2 + H2 H2O
0.5

C + CO2 + E 2CO 0.4


CO2 H2
0.3
CH4 + E C + 2H2 H2O
H2
0.2

CO2
0.1

600 800 1000 1200 1400 1600


Temperatura, °K

Figura 264: Termocinetica e digrammi di equilibrio nelle torce al plasma per RSU

13.5.3 IL BILANCIO ENERGETICO


Il bilancio energetico effettuato nel reattore al plasma dipende, ovviamente, dalla composizione
dei RSU e quindi dalla percentuale di composti organici presenti, dall’umidità, ..

Figura 265: Bilancio energetico nel reattore al plasma


Mediamente per RSU avente pci di 2400 kcal/kg si ha il bilancio indicato in Figura 265 per
tonnellata di RSU introdotta nel reattore.
La composizione del syngas è data in Figura 266 e in Figura 267 si quella dello slag per RSU.
Questa composizione varia al variare della tipologia di rifiuti utilizzati. In pratica i componenti di
maggior peso sono idrogeni (H2), azoto (N2) e monossido di carbonio (CO).
La composizione dello slag, anch’essa variabile con la tipologia di rifiuti utilizzati, presenta forti
percentuali di Si, Al, Na e Ca con tracce di altri componenti.

13.5.4 SEZIONE DEL REATTORE AL PLASMA


Il reattore al plasma per RSU ha una particolare geometria studiata sia per consentire la cinetica
delle reazioni sopra indicate sia per il reforming del carbone prodotto dalle stesse reazioni.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 317

Figura 266: Composizione del syngas


A questo scopo si utilizza un getto di vapore d’acqua indirizzato verso la sezione contenente i
prodotti fusi (alla base).

Figura 267: Composizione dello slag


La sezione schematica di un reattore al plasma con torce a polarità diretta con gas aria è riportata
in Figura 268. Le dimensioni sono piuttosto contenute: il diametro è di circa tre metri e l’altezza di circa
cinque metri.

13.5.5 IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI


Processo di pirolisi e vetrificazione può essere applicato a:
⋅ Rifiuti Solidi Urbani ed Assimilati
⋅ Rifiuti Ospedalieri e Farmaceutici
⋅ Rifiuti Agricoli e scarti di produzione (morchia olearia, raspi, etc.)
⋅ Rifiuti Tossici e Nocivi
⋅ Rifiuti Debolmente Radioattivi
⋅ Recupero “in situ” di terreni inquinati:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 318

⋅ Discariche Abbandonate e/o Abusive


⋅ Rifiuti Sepolti
⋅ Olii da combustione
⋅ Residui da industria chimica
⋅ Rifiuti navali
Le torce al plasma sono particolarmente convenienti per l’eliminazione di rifiuti industriali, terre
radioattive, fanghi industriali, rifiuti ospedalieri e quant’altro richieda attenzione particolare nello
smaltimento.
Una delle applicazioni principali, infatti, è la vetrificazione di rifiuti pericolosi grazie all’elevata
temperatura raggiungibile.

Figura 268: Sezione tipica del reattore al plasma per RSU

13.5.6 LAY-OUT DI UN IMPIANTO AL PLASMA


Lo schema generalizzato a blocchi di un tipico impianto al plasma è indicato in Figura 269. La
sezione di produzione dell’energia può essere sia con macchine termiche o mediante ciclo combinato
Joule-Hirn.
In quest’ultimo caso si hanno rendimenti di trasformazione molto elevati e la produzione netta di
energia risulta superiore al 50% di quella propria dei RSU.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 319

ENERGIA

Re agenti
Caric. &
Rifiuti
Compatt. Sistema di Recupero Energia Residua
Rifiuti Vapore

Aria Reattore Raffred. Compr.


Energia al Gas di Scrubber Desolfor. dei Turbina
Plasma Pirolisi Gas
Acqua
Acqua
FUSO Zolfo
Separaz. Trattam.
Frazione delle
Idrocarburi
Liquida Acque
Fanghi

ENERGIA

Figura 269: Schema impiantistico

13.5.7 TRASFORMAZIONI DEL PROCESSO AL PLASMA


In sintesi le trasformazioni principali che sono effettuate in un impianto al plasma sono:
⋅ Trasformazione dei componenti organici in gas di pirolisi altamente energetico (nel quale si ha, circa,
H2= 53%, CO=35%)
⋅ Trasformazione dei componenti inorganici in massa lavica, lo slag, (tipo basalto) totalmente inerte e
non tossica, non lisciviabile, contenente all’interno i metalli pesanti, utilizzabile come materiale da
costruzione.
In Figura 270 si ha una tipica fuoriuscita di slag da un reattore al plasma per RSU. In Figura 271 si
hanno varie tipologie di materiali ottenuti dalla slag mediante diversa velocità di raffreddamento e/o con
l’aggiunta di inerti (terre) per ottenere colorazioni particolari.
Si ricordi che anche se non si volesse utilizzare lo slag per trasformazioni particolari esso può
essere vantaggiosamente portato a discarica poiché totalmente inerte e non lisciviabile.
Il materiale fuso può essere utilizzato anche per la fabbricazione di fibre di lana di roccia,
mattonelle per pavimentazione stradale, pietrame per uso ferroviario (ballast),…

13.5.8 CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL PROCESSO AL PLASMA


Nella seguente tabella si ha la sintesi delle caratteristiche principali degli impianti al plasma in
relazione a quelle tipiche di un inceneritore.
Dal confronto risultano evidenti i vantaggi presentati dalla tecnologia al plasma sia in termini
operativi (minori richieste impiantistiche) che di flessibilità.
Anche dal punto di vista ambientale il confronto, indicato nella successiva tabella, risulta più
favorevole agli impianti al plasma per tutti gli aspetti considerati.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 320

Figura 270: Materiale fuso in uscita dal reattore al plasma

Figura 271: Varie tipologie di slag raffreddato


REQUISITI IMPIANTO PLASMA INCENERITORI
Preselezione Non Necessaria Necessaria
Essiccamento Non Necessario Necessario
Umidità Ammissibile 65 - 75 % 20 - 35 %

PUÒ TRATTARE
Ceneri SI NO
Rif. Osped. SI SI, se specifico
Rif. Industr. SI SI, se specifico
Tossici & Nocivi SI SI, solo in qualche caso

Tabella 28: Confronto di alcune tipologie di impianto


COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 321

RES. ULTIMO IMPIANTO PLASMA INCENERITORI


Ceneri Volanti NO SI

Discariche Speciali NO SI

Ceneri di fondo NO SI

Materia Prima Ultima SI NO

Tabella 29: Confronto fra le tipologie di residui


In definitiva i vantaggi offerti possono così riassumersi:
⋅ è ecologico (non è una combustione!);
⋅ non emette fumi e sostanze tossiche quali Diossine e Furani;
⋅ non produce ceneri;
⋅ non produce scorie di fondo;
⋅ è economico e redditizio;
⋅ ha dimensioni ridotte - fino a 30% di risparmio sull’investimento (rispetto a inceneritore
convenzionale;
⋅ produce energia in eccesso rispetto a quella necessaria al suo funzionamento;
⋅ è flessibile in quanto può trattare insiemi di rifiuti quali RSU-RSA anche umidi (fino al 70% u.r.),
metalli, plastiche e vetro, copertoni e rifiuti ospedalieri, ceneri agricole e da allevamenti, etc.;
⋅ è modulare: da 150 a oltre 5.000 ton/giorno (RSU/RSA);
⋅ possibilità di aggiungere moduli anche in tempi successivi;
⋅ la torcia può funzionare dal 30 al 110% della sua potenza nominale e ciò garantisce una maggiore
operazionalità di questi impianti rispetto ad altre tipologie;
⋅ dimensioni ridotte dell’impianto con superfici coperte da un minimo 1.500 m² a un massimo di
10.000 m² (superficie totale da 1 a 5 ettari) con un’altezza 10-15 m;
⋅ Assenza di fumi;
⋅ Acque integralmente riciclate per uso interno;
⋅ Può essere costruito anche in cava dismessa e da recuperare;
⋅ Un impianto medio (250÷300 ton/giorno) può essere alimentato giornalmente da 14-20
autocompattatori.
Inoltre La costruzione e il funzionamento nel territorio di un impianto al plasma ad alta
tecnologia favorisce:
⋅ il lavoro indotto per la aziende locali, per la costruzione ed operazione dell’impianto;
⋅ lo sviluppo di nuovi posti di lavoro per la conduzione dell’impianto;
⋅ l’innalzamento del livello tecnologico e della competitività delle aziende esistenti del territorio;
⋅ la costituzione e lo sviluppo di un polo industriale ad alta tecnologia da parte di aziende attratte
dalla disponibilità di energia e di manodopera di alta qualificazione;
⋅ sviluppo del livello occupazionale nel territorio;
⋅ riduzione del carico fiscale specifico sulla popolazione;
⋅ inertizzazione totale di sostanze tossiche in tempi compatibili con le raccomandazioni europee;
⋅ recupero delle aree inquinate da rifiuti tossici.
13.6 SMALTIMENTO DI RIFIUTI SPECIALI
I rifiuti speciali (ospedalieri, industriali e nocivi) richiedono una procedura di smaltimento
controllata. Di solito gli impianti a pirolisi a bassa temperatura, griglia e a letto fluido possono smaltire i
rifiuti ospedalieri e industriali purché vengano dotati di particolare griglie di alimentazione separate da
quelle per i RSU e assimilabili.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 322

I fanghi di scarico industriali e da espurgo di pozzi possono ancora essere smaltiti da queste
tipologie di impianto e vengono utilizzate diverse tecniche per alimentare i forni. Ad esempio si
possono mescolare i fanghi in percentuale con i RSU in modo da formare un impasto non
eccessivamente molle. Nei forni rotanti a pirolisi si può avere una bocca di alimentazione separata che
alimenta, a cicli alterni, i forni stessi.
Per i rifiuti tossici e radioattivi (terre contaminate, prodotti di scarto dell’industria nucleare, …) i
mezzi di smaltimento non sono molti. Per decenni si è utilizzata la torcia al plasma per vetrificarli e
renderli quindi non lisciviabili. Pertanto gli impianti al plasma per RSU possono, con una alimentazione
separata e controllata, smaltire qualsivoglia tipologia di prodotti.
13.7 SMALTIMENTO DELLE FRAZIONI DIFFERENZIATE
Il Decreto Ronchi prevede la raccolta differenziata obbligatoria dei RSU. Attualmente esiste un
notevole divario fra le regioni del nord e quelle del sud. Nelle prime si sono raggiunte percentuali di
differenziazione che hanno raggiunto il 36% a Brescia e percentuali di poco inferiori in altre grandi
città. Nel Sud d’Italia la raccolta differenziata è ancora da inventare e in alcuni casi si raggiungono
percentuali dell’ordine del 5%, ancora basse.
Le frazioni differenziate dovrebbero essere conferite ai consorzi predisposti per legge al riuso di
questi materiali ma spesso le frazioni differenziate vengono egualmente smaltite in discarica. In pratica
si ha una sorta di soddisfacimento della legge per la raccolta differenziata ma non per il riuso. In pratica
è come trasportare a discarica la frazione umida mediante autocompattatrici e con altri camion le
frazioni differenziate.
Gli impianti di termovalorizzazione possono certamente utilizzare con profitto alcune frazioni
differenziate, escluse quelle vetrose e metalliche. La carta e la plastica, infatti, elevano il potere calorifico
dei rifiuti e migliorano il CDR prodotto dal pretrattamento. Un discorso diverso si potrebbe fare sulla
convenienza energetica del riuso delle frazioni differenziate rispetto all’utilizzo negli impianti di
termovalorizzazione. Il riuso richiede, infatti, una ulteriore quantità di energia di lavorazione che risulta
essere maggiore di quella che se ne potrebbe ottenere negli impianti di termovalorizzazione.
Questo tipo di analisi viene detta Life Cicle Analysis e si avvale di considerazioni di tipo
termodinamico ed exergonomico oggi molto importanti.
Probabilmente l’impostazione delle leggi attualmente in vigore risulta già vecchia rispetto alle
nuove concezioni exergonomiche attuali. Il riutilizzo dei materiali aveva certamente un significato
(anche morale) se confrontato con il consumismo e con la discarica dei RSU tal quali.
Oggi con gli impianti di termovalorizzazione possiamo ottenere di più, in senso termodinamico e
sinergico, mediante trasformazione dei rifiuti in energia primaria che mediante il riuso delle frazioni
differenziate energetiche. La raccolta differenziata dei materiali metallici (ferrosi e alluminosi in
particolare) può consentire un riuso proficuo degli stessi perché possono essere riportati in fonderia e
quindi utilizzati quale materia prima. Anche il vetro può essere riciclato nelle vetrerie anche se non con
la stessa efficacia dei materiali metallici.
La carta può essere riciclata per ottenere carta di minore pregio ma che, in ogni caso, riduce il
consumo di nuova cellulosa.
La plastica può essere riciclata per ottenere prodotti definiti utili (sistemi di imballaggio, utensili
per giardinaggio, ….) ma che spesso stentano a trovare una collocazione di mercato.
La domanda di fondo è allora questa: se per riciclare questi prodotti debbo consumare energia
primaria in quantità maggiore di quella che gli stessi materiali produrrebbero negli impianti di
termovalorizzazione è ancora conveniente riciclare?
L’energia primaria è ottenuta mediante fonti prevalentemente non rinnovabili e quindi si ha sia un
impoverimento energetico che un maggiore inquinamento dovuto all’emissione di gas serra in atmosfera.
Un bilancio sull’emissione di CO2 mediante termovalorizzazione con forni a griglia porta ai
seguenti risultati (fonte ASM di Brescia):
⋅ contributo netto di CO2 per conferimento di RSU a discarica: 690 kg/tRSU
⋅ contributo netto di CO2 per conferimento a termovalorizzatore -550 kg/tRSU
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 323

Pertanto per ogni tonnellata di RSU conferita al termovalorizzatore si ha una differenza di 1240
kg di CO2 scaricata in atmosfera.
Se confrontiamo questo dato con la maggiore produzione di CO2 per la maggiore quantità di
energia necessaria al riciclo si intuisce come tutta l’attuale legislazione debba essere rivista.
Gli accordi di Kyoto impongono agli stati europei una riduzione non indifferente della
produzione di CO2 e per l’Italia si dovrebbe avere una riduzione del 6.5% rispetto al 1990.
Se non si rivede in senso anche energetico la legislazione italiana ed europea questo obiettivo
diviene difficile da realizzare.
Un calcolo effettuato dalla ASM di Brescia mostra come con 40 impianti aventi la potenziali
equivalente del termovalorizzatore di Brescia (240.000 t/anno di CDR) si potrebbe avere una riduzione
di 20.000 di tonnellate di CO2 entro 2012, rispettando pienamente gli impegni di Kyoto.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 324

14 LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Nella decisione e progettazione di un’opera vengono coinvolti diversi e molteplici aspetti, alcuni
dei quali sono in rapporto conflittuale tra loro. La stessa decisione di realizzare opere di ingegneria
comporta intrinsecamente la possibilità di alterare equilibri esistenti. L’opera realizzata determinerà un
impatto complessivo sull’ambiente la cui qualità ed entità sarà in funzione dei criteri adottati in fase di
progettazione e gestione.
Negli ultimi anni si è quindi affermata in modo sempre più netto l’esigenza di una valutazione
sistematica preventiva degli effetti che possono derivare da opere, di rilevante portata, sull’ambiente. Il
concetto di ambiente in questo contesto comprende il complesso di fattori, sociali, culturali ed estetici che
riguardano gli individui e le comunità e che, in definitiva, ne determinano, il carattere, le relazioni e lo sviluppo.
Con il termine Impatto Ambientale si definisce l’insieme delle alterazioni dei fattori e sistemi ambientali
prodotto dall’attività collegata alla realizzazione di un’opera data.
Lo studio di impatto ambientale risponde ai contenuti richiesti dal D.M. n. 559 del 28 dicembre
1987 in relazione alle analisi della compatibilità ambientale degli impianti di interesse ambientale, per
quello che riguarda, in particolare, la valutazione degli impatti fisici sia positivi che negativi sulle
componenti ambientali potenzialmente soggette a subire gli effetti del progetto.
Per la valutazione dei sopraccitati impatti si utilizzate le metodologie già elaborate e consolidate
sul contesto della problematica attinente la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) così come
definite dalle direttive CEE del 27/6/1985, a cui fa riferimento, per la definizione delle procedure di
valutazione, la recente normativa emanata dal Ministero Ambiente (DPCM 377/88 e DPCM del
27/12/88).
L’elaborato finale dello Studio di Impatto Ambientale (SIA) si propone di affrontare il problema
ambientale evidenziando e misurando solamente gli impatti fisici, sia positivi che negativi.
14.1 DEFINIZIONE DI VALUTAZIONE DI MPATTO AMBIENTALE
La V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale) rappresenta una procedura di analisi predisposta per
individuare preventivamente tutte le ripercussioni che la realizzazione di una nuova opera può avere sull’ecosistema;
valutandone gli effetti già in fase di programmazione dell’intervento.
In base a tali indicazioni è possibile:
⋅ - formulare un giudizio motivato sulla “compatibilità ambientale dell’opera progettata”;
⋅ - disporre gli adeguamenti infrastrutturali eventualmente ritenuti necessari o, nei casi estremi,
non autorizzarne la realizzazione.
La V.I.A. costituisce una procedura tecnico-amministrativa volta alla formulazione di un giudizio
di ammissibilità sugli effetti che una determinata azione avrà sull’ambiente. Si tratta cioè di pervenire
alle più corrette valutazioni sulla pubblica accettazione dei futuri cambiamenti ambientali, dovuti ad una
azione proposta, e del probabile effetto sulla futura qualità della vita delle popolazioni.
Si intende cioè assicurare la prevenzione dell’ambiente da inquinamenti e da altre perturbazioni
già nella fase della progettazione, individuando i rischi associati e valutandone l’entità, intervenendo per
ridurli e/o eliminarli in fase progettuale anziché intervenire successivamente all’accadimento
dell’alterazione ecosistema. Si configura, quindi, come uno studio per procedere e, per quanto possibile,
quantificare gli effetti provocati sui sistemi ambientali dalle costruzioni e dall’esercizio di determinate
opere ed attività.
La V.I.A. costituisce, quindi, l’elemento di raccordo fra la fase di programmazione e quella
tecnico-esecutiva dell’opera in progetto, ed è costituita da due componenti differenti ed essenziali:
⋅ 1) una procedura d’impatto ambientale costituita dal complesso degli atti amministrativi che
permettono di arrivare (o non) ad una decisione di accettabilità ambientale dell’opera;
⋅ 2) uno studio di impatto ambientale (S.I.A.) realizzato dal proponente l’opera, mediante il
quale, tramite tecniche, il più possibile oggettive, si determinano i futuri assetti
sull’ambiente in relazione all’opera o alla attività proposta.
In termini estremamente semplificati lo Studio di Impatto Ambientale (S.I.A.) si articola in tre
momenti metodologicamente interconnessi:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 325

⋅ - segmentazione delle componenti ambientali sulle quali è ipotizzabile l’impatto;


⋅ - definizione di tutte le attività collegate alla fase di realizzazione e di esercizio dell’opera, che
possono produrre modificazioni dell’ecosistema preesistente;
⋅ - valutazione ed analisi degli impatti e delle interrelazioni quali-quantitative tra le due classi
preesistenti.
14.2 SIGNIFICATO DELLA V.I.A. IN RAPPORTO AGLI ASPETTI ECONOMICI DI UN
INTERVENTO
Il termine “Valutazione di Impatto Ambientale” traduce differenti nomenclature derivate
dalle attuali normative esistenti in materia negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia. Nel seguito del
presente lavoro si intenderà la V.I.A. come definita nella “Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del
27/6/1985 concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati”
(1985/337/CE).
Cioè come l’insieme di studi, rilevazioni, documenti, istanze partecipative, atti amministrativi finalizzati ad
effettuare previsioni (suffragate da metodologie attendibili) riguardo al verificarsi di conseguenze (impatti) positive o
negative, dirette od indirette, sull’ambiente dovute alla realizzazione di un progetto e di valutare la portata delle stesse in
termini di entità, estensione temporale e spaziale, nonché la distribuzione delle componenti ambientali e dei gruppi sociali
coinvolti.
L’accezione di ambiente che si assume considera lo stesso come sistema di interscambio tra
attività umana e risorse, tenendo conto sia delle componenti fisiche, chimiche e biologiche, che degli
aspetti sociali, economici e culturali. In pratica la suddetta procedura dovrebbe consentire di rendere
trasparenti i conflitti in atto sull’uso delle risorse, l’effettiva allocazione dei benefici e dei costi previsti, i
criteri seguiti per l’assunzione delle decisioni, al fine di assumere le decisioni per la ottimale utilizzazione
delle risorse, e cioè definire la migliore allocazione dell’opera da realizzare con il minimo impatto
sull’ambiente ed a costi ragionevoli.
Un’altro aspetto della problematica decisionale connessa con la V.I.A. è quello del rapporto tra la
procedura della V.I.A. e l’analisi costi-benefici; cioè se la V.I.A. deve esprimere un giudizio finale sul
prevalere dei costi sui benefici o limitarsi alla valutazione consultiva per il solo aspetto ambientale,
nell’ambito di un meccanismo decisionale comprendente le altre valutazioni (economiche, sociali,
politiche). L’ottimo sarebbe di poter misurare con unico metro tutti i costi e tutti i benefici compresi
quelli ambientali; ma poiché la valutazione dei fattori ambientali è difficilmente monetizzabile si ricorre,
per quanto riguarda l’ambiente, alle valutazioni in termini fisici, necessariamente eterogenee.
La decisione di investimento, tuttavia, non può fondarsi soltanto sugli aspetti ambientali, ma
anche su quelli di natura economica. Si tratta, dunque, di vedere se, e nel caso positivo come, integrare i
due aspetti valutandoli separatamente. Inoltre, anche la citata direttiva CEE è chiaramente improntata
ad escludere qualsiasi tipo di valutazione costi-benefici, tenendo ad interpretare la V.I.A. come
valutazione comparata tra più progetti per individuare quello che comporta i minori effetti fisici
sull’ambiente. L’impostazione ricorrente è quella di porre in evidenza nell’ambito della problematica
progettuale il citato “vincolo ecologico”. In tal senso si imposta la progettazione, per cui le opere proposte,
le attività e i modi di realizzazione sono stati individuati, tra quelli possibili ed idonei a risolvere le
problematiche tecniche dell’intervento, tenendo conto del suddetto vincolo, nell’ambito delle decisioni
già assunte, quali la localizzazione dell’intervento e la sua potenzialità complessiva.
Lo studio di impatto ambientale ha lo scopo, di norma, di evidenziare e misurare solamente gli
impatti fisici sia positivi che negativi. Si ritiene, infatti, che gli aspetti socio-economici connessi con la
realizzazione del progetto, debbano essere analizzati separatamente, come già indicato in precedenza
per l’analisi economica di un SET.
Inoltre, anche la citata direttiva CEE è chiaramente improntata ad escludere qualsiasi tipo di
valutazione costo-benefici, tenendo ad interpretare la V.I.A. come valutazione comparata tra più progetti, per
individuare quello che comporta i minori effetti fisici sull’ambiente.
In pratica la VIA può essere utilizzata anche come complemento di una analisi multicriteriale
complessa (ambientale ed anche economica) per la scelta progettuale migliore sia dal punto di vista
ambientale che economico.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 326

Questa possibilità di scelta è di fondamentale importanza già in fase di progettazione di massima


per individuare la soluzione tecnica migliore ancora prima della progettazione definitiva ed esecutiva (ai
sensi della L 109/91 Legge Merloni).
14.3 LO STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE (SIA)
L’elaborato relativo allo Studio di Impatto Ambientale correda la proposta progettuale ed è,
pertanto, da considerarsi un allegato tecnico fondamentale.
I possibili obiettivi che si possono porre nel momento in cui ci si appresta ad uno S.I.A. possono
essere così sintetizzati:
⋅ a) scegliere l’opera d’impatto minimo tra più di un progetto e più di un sito;
⋅ b) scegliere l’opera d’impatto minimo tra più di un progetto per un solo sito;
⋅ c) scegliere tra un solo progetto e più di un sito;
⋅ d) giudicare l’ammissibilità ambientale di un solo progetto per un solo sito;
⋅ e) giudicare l’entità dell’accettabilità ambientale di un’opera già allocata.
Il lavoro sarà articolato secondo le seguenti fasi:
⋅ - identificazione delle componenti ambientali coinvolte dall’infrastruttura;
⋅ - determinazione delle caratteristiche più rappresentative del sito e dell’impianto;
⋅ - individuazione di una scala di valori con cui stimare le diverse situazioni di ciascun fattore;
⋅ - definizione del contributo ponderale del singolo fattore su ciascuna componente ambientale;
⋅ - raccolte di dati peculiari sul sito e loro quantificazione;
⋅ - valutazione degli impatti elementari con l’ausilio di modelli (matrici-grafici, networks, liste di controllo,
etc.). Su questo aspetto si svilupperà nel prosieguo un metodo di rating matriciale basato
sull’applicazione della fuzzy logic. Esso consente di ottenere non solo il rating (giudizio)
assoluto ma anche la sua variabilità (sensitività) in modo indiretto ma efficace.
Punto di partenza per l’impostazione del citato studio è quello di definire il concetto di “ambiente”.
Per ambiente deve intendersi quel complesso involucro fisico entro il quale si sviluppano tutte le relazioni
“orizzontali”, che legano fra di loro le diverse attività e i diversi soggetti variamente dislocati nello spazio e “verticali”, che
legano, invece, ciascuna attività e ciascun soggetto alle condizioni e alle risorse naturali.
Il raggiungimento di un equilibrio stabile di tali rapporti o il suo mantenimento è divenuto ormai
il problema centrale nel campo della pianificazione territoriale ed ambientale che deve ricercare quella
interazione equilibrata fra sistemi di attività, esigenze dello sviluppo e sistemi ambientali.
Lo studio dell’inserimento di nuove opere nell’ambiente dovrà, pertanto, definire da un lato i
soggetti ed i sistemi ambientali che saranno integrati da modifiche e dall’altro valutare l’entità degli
impatti che le nuove opere avranno sui primi.
14.4 PROCEDURE DA SEGUIRE PER LA STESURA DI UNO STUDIO DI IMPATTO
AMBIENTALE
Lo Studio di Impatto Ambientale si suddivide nelle seguenti fasi fondamentali:
⋅ Quadro di Riferimento Programmatico: in questa fase occorre indicare tutti i riferimenti
normativi (quadro Normativo di Riferimento) e legislativi (Quadro Legislativo di Riferimento) previsti per
l’opera in progetto. Ogni componente del progetto deve trovare una giustificazione legislativa
ben precisa. In questa sezione, in pratica, si giustifica la legittimità dell’opera in progetto e
pertanto deve essere posta molta attenzione nel predisporla.
⋅ Quadro di Riferimento Progettuale: Comprende l’analisi degli ambiti territoriali,
l’inquadramento territoriale, l’inquadramento progettuale dell’opera (descrizione dettagliata delle
sue finalità tecniche e dei suoi componenti), indicazione ed analisi delle scelte tecniche e della loro
compatibilità ambientale, ricerca dei fattori di impatto. Si tratta di una sezione tecnica nella quale
occorre descrivere il progetto avendo come chiave di lettura l’impatto che l’opera genera
nell’ambiente.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 327

⋅ Quadro di Riferimento Ambientale: E’ questa la sezione portante dello Studio di Impatto


Ambientale. In essa si delineano i componenti di impatto e si analizzano le azioni e gli effetti di
tutte le componenti. Ciò viene effettuato con l’ausilio di studi specialistici (ad esempio
inquinamento prodotto nell’aria, nel suolo e nelle acque, inquinamento acustico, azioni sulla flora
e sulla fauna, azioni sociali, ….) che vengono sintetizzati in opportune scale di valutazioni i cui
valori sono inseriti in una matrice azione-effetti detta anche matrice di impatto. Si possono
avere diversi modi di predisporre queste matrici (matrici di Leopold, Matrici coassiali, …). Nel
prosieguo si indicherà una procedura detta delle matrici azioni-effetti e si analizzerà una
procedura di giudizio (rating) cioè un modo di pervenire, da un insieme di dati raccolti in modo
sistematico in forma matriciale, ad un valore che costituisca un riferimento certo per il Giudizio
di Impatto.
Per l’individuazione dei fattori di impatto ci si avvale, di solito, di studi analoghi effettuati per la
stessa tipologia di opere o di guide predisposte da vari enti (CNR, Ministeri vari, associazioni culturali,
…) che suggeriscono gli insiemi più efficaci di fattori di impatto.
Per ciascun fattore di impatto occorre valutare le azioni e gli effetti mediante studi di settore. Ad
esempio per in Impianto di Termovalorizzazione dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU) con produzione di
energia e calore per teleriscaldamento occorre esaminare le seguenti categorie di impatto individuate
nella matrice sotto la voce “potenziali alterazioni ambientali”:
a) Per la fase di costruzione dell’impianto:
1) occupazione di aree;
2) impatti connessi alla fase di realizzazione delle opere;
b) Per la fase di gestione dell’impianto:
3) inquinamento acustico;
4) perdita inodorosità dell’aria;
5) inquinamento atmosferico;
6) effetti sulla vegetazione;
7) utilizzo sottoprodotti;
8) prelievi ed inquinamento idrico;
9) bilancio energetico;
10) incremento occupazionale;
11) alterazioni paesaggistiche;
12) modificazioni condizioni del traffico.
Tale elenco di potenziali impatti è determinato partendo dall’analisi delle componenti ambientali
direttamente coinvolte nella rete dei flussi in entrata ed in uscita dall’impianto di termovalorizzazione ed
ipotizzando, di conseguenza, le modificazioni indotte sull’ambiente in base ai flussi di apporto o di
prelievo.
Rispetto alle indicate categorie di potenziali impatti verranno fornite le caratteristiche generali
del fenomeno desumibili da dati di letteratura e standard normativi e le analisi del caso specifico, cioè:
⋅ fattori causali che determinano il potenziale impatto,
⋅ misure tecnologiche e organizzative attuate nell’impianto per impedirne il manifestarsi o limitarne
gli effetti in caso di fattori accidentali.
Quanto appena enunciato in modo generale troverà applicazione nel prosieguo nella procedura di
rating della matrice di impatto con logica fuzzy.
14.5 CENNI DI LOGICA FUZZY
Prima di affrontare le problematiche della matrix rating proprie di una procedura di valutazione di
impatto ambientale occorre qui introdurre alcuni concetti basilari di una nuova (circa vent’anni)
procedura di calcolo e di analisi basata sulla fuzzy logic.
L'avvento dei computer ha stimolato un rapido sviluppo dell'interesse verso tecniche di tipo
quantitativo per l'analisi di processi economici, sociali, biologici ed in generale per tutta la classe dei
processi nei quali interagisce l'uomo.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 328

Storicamente si è preferito ricorrere per la descrizione di tali processi a metodi di analisi che in
realtà erano stati sviluppati per processi il cui comportamento segue le leggi della meccanica,
dell'elettromagnetismo e della termodinamica; il successo dell'applicazione di tali metodi di analisi nei
campi originali ha suggerito, infatti, l'idea che essi fossero di validità generale.
Le difficoltà incontrate nell'applicare tale strategia nei campi sopra indicati hanno invece suggerito
il dubbio che le tecniche di analisi quantitative siano inadatte allo studio dei processi in cui sia coinvolta
la componente umana o comunque dei sistemi di notevole complessità.
Tale incapacità può essere espressa informalmente introducendo un principio di incompatibilità;
questo principio può essere formulato asserendo che la nostra capacità di esprimere delle asserzioni precise e
significative sulle caratteristiche di un sistema diminuisce all'aumentare della complessità di questo.
Partendo da tale spunto Zadeh introdusse nel 1965 una nuova logica, detta fuzzy; tale approccio
all'analisi della realtà si basa sulla premessa che gli elementi chiave nell'attività del pensare umano non
sono numeri ma, piuttosto, identificatori di insiemi sfocati. Ovvero indicatori di classi di oggetti in cui la
proprietà di appartenenza è data da una funzione continua anziché da una funzione booleana del tipo si o
no; cade quindi il principio di non contraddizione: uno stesso elemento può contemporaneamente
appartenere e non appartenere a un insieme.
In realtà la presenza costante di concetti imprecisi nel pensiero suggerisce, secondo Zadeh, l'idea che
il ragionamento umano sia impostato su una logica imprecisa, che utilizza degli insiemi, dei connettivi e
delle implicazioni fuzzy, piuttosto che sulla logica di tipo binaria. Sembra anzi che sia proprio questa
logica fuzzy a giocare un ruolo importante in una delle caratteristiche principali del pensiero umano: la
capacità di sintetizzare le informazioni per estrarre dall'insieme di dati che sollecitano i nostri sensi solo
quei sottoinsiemi che sono di una qualche utilità nel determinare la reazione corretta alle sollecitazioni
esterne.
In questo capitolo si intende descrivere alcune applicazioni della logica fuzzy a dei problemi di
elaborazione di segnali. Infatti tale strategia unisce alla potenza, tipica dei metodi di calcolo non lineari,
la possibilità di rappresentare la realtà utilizzando un linguaggio simile a quello umano. Essa si presenta
come una teoria stimolante per la rappresentazione di fenomeni più o meno complessi utilizzando un
certo numero di fuzzy set (insiemi del tipo fuzzy) elaborati attraverso degli opportuni connettivi e
descrivendo i legami causa-effetto che regolano il processo mediante delle implicazioni fuzzy.
14.6 IL CONCETTO DI FUZZY SET
Pur non volendo fornire nel seguito una trattazione completa della logica fuzzy si introdurranno
nel seguito alcuni concetti di tale logica, pur nell'ottica particolare utilizzata per l'elaborazione dei
segnali. L'introduzione della logica fuzzy permette di manipolare in maniera appropriata informazioni di
tipo qualitativo ed impreciso; l'elemento fondamentale di tale approccio è costituito dal fuzzy set che, come
suggerisce il nome stesso, rappresenta una generalizzazione del concetto classico di insieme. In maniera
formale si può affermare che:
Un insieme fuzzy A è una collezione di oggetti dell'universo del discorso U che hanno una qualche proprietà in
comune. L'insieme è caratterizzato da una funzione di appartenenza µ A : U → [0,1] che associa ad ogni elemento
y di U un numero reale µA(y) appartenente all'intervallo [0,1]; esso rappresenta il grado di appartenenza di y
all'insieme A.
In generale più grande è il valore della funzione di appartenenza dell'elemento y al fuzzy set A
maggiore è l'evidenza che l'oggetto y appartenga alla categoria descritta dall'insieme A.
L'insieme dei punti di U per cui la funzione di appartenenza ad un dato fuzzy set A è positiva
viene detto sostegno di A. Si definisce singleton un fuzzy set il cui sostegno è un solo punto di U.
Si supponga, ad esempio, di specificare in maniera linguistica una misura di temperatura che cada
nell'intervallo [100, 200] °C e identificata come temperatura di circa 150°C . Tale concetto può essere
espresso, utilizzando la logica tradizionale mediante una funzione di appartenenza binaria, ovvero che
possa assumere solo i valori 0 o 1: se µ(T)=0 la temperatura non appartiene all'insieme specificato,
altrimenti, se µ(T)=1 la misura rappresenta un elemento dell'insieme. Ciò può essere descritto
utilizzando una funzione rettangolare come riportato in Figura 272.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 329

D'altra parte un fuzzy set che rappresenta lo stesso concetto può utilizzare valori della funzione di
appartenenza che variano nell'intervallo [0,1]; ad esempio può essere specificato come riportato in
Figura 273.

µ(T)

100 135 165 200


T

Figura 272: Rappresentazione dell'insieme temperatura pari a circa 150 °C ottenuta utilizzando i concetti
dell'insiemistica classica.
Un fuzzy set, d'altro canto, permette di rappresentare l'imprecisione di un dato concetto attraverso
la gradualità della funzione di appartenenza.56)

µ(T)

100 135 165 200


T

Figura 273: Rappresentazione dell'insieme temperatura pari a circa 150 °C"


ottenuta utilizzando i concetti della fuzzy logic
Un insieme ordinario è quindi preciso nel suo significato, presentando una definita transizione
dall'appartenenza alla non-appartenenza. Un'interessante interpretazione della funzione di appartenenza
può essere ottenuta nel campo dei circuiti elettrici (Pedricz, 1989).
Si consideri un circuito elettrico costituito da una sorgente di forza elettromotrice, con resistenza
interna r, collegata ad un resistore di valore R. E' noto che, se si sceglie R = r si ottiene il massimo
trasferimento di potenza sul carico. Viceversa valori di R più grandi comportano una diminuzione della
quantità di potenza trasferita sulla R. Se si traccia il valore della potenza ottenuta in uscita, in funzione
del valore della resistenza R, si ottiene, dopo un'opportuna normalizzazione, la curva riportata in
Figura 274
Essa può essere utilizzata come funzione di appartenenza del valore della resistenza R al fuzzy set
che descrive la capacità della R stessa ad assorbire potenza dal generatore in esame.

56)
Si veda la nota di Tong - A control engineering review of fuzzy systems - Automatica, 13-1977
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 330

In altri casi la scelta della funzione di appartenenza può risultare più problematica e si preferisce
fare affidamento alle indicazioni di qualche esperto del settore che si sta considerando.

0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

R/r

Figura 274: Esempio di funzione di appartenenza di un fuzzy set che descrive la facoltà della resistenza R
14.7 LE OPERAZIONI SUGLI INSIEMI FUZZY
Per introdurre le operazioni sugli insiemi fuzzy si può ricorrere alla relazione esistente tra la
funzione caratteristica (per insiemi tradizionali) e la funzione di appartenenza (per insiemi fuzzy).
Se si considerano le operazioni di unione, intersezione e negazione, nel caso degli insiemi ordinari
si ha, con ovvio significato dei simboli:
A ∪ B = {u ∈ U u ∈ Aor u ∈ B}
A ∩ B = {u ∈ U u ∈ Aand u ∈ B}
A = {u ∈ U u ∉ A }

Considerando la funzione caratteristica, le operazioni sopra indicate comportano le seguenti


relazioni:
χ A∪ B (u ) = max ( χ A ( u ) , χ B ( u ) ) = χ A ( u ) ∨ χ B ( u )
χ A∩ B (u ) = min ( χ A ( u ) , χ B ( u ) ) = χ A ( u ) ∧ χ B ( u )
χ A (u ) = 1 − χ A (u )
Sostituendo la funzione caratteristica con la funzione di appartenenza, si ottengono le definizioni
delle operazioni di unione, intersezione negazione per gli insiemi fuzzy:
( A ∪ B )( u ) = max ( A ( u ) , B ( u ) )
( A ∩ B )( u ) = min ( A ( u ) , B ( u ) )
A (u) = 1 − A(u)
E' possibile dimostrare che con le definizioni adottate continuano a valere formalmente le leggi di
De Morena e le proprietà di assorbimento e di idempotenza; tuttavia nel caso dei fuzzy set si ha:
A∪ A ≠U
A∩ A ≠ 0
Ciò era del resto prevedibile dato che la teoria fuzzy non prevede la dicotomia, caratteristica della
teoria degli insiemi. Si supponga che nell'universo del discorso di una grandezza x siano definiti i due
fuzzy set, x is media e x is grande, riportati in Figura 275.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 331

µ (x)
x_media x_grande

Figura 275: Funzione di appartenenza dei due fuzzy set x is media AND x is grande
In Figura 276 é riportata la funzione di appartenenza dell'insieme x is media or x is grande:

µ(x)
x_media or x_grande

Figura 276: Funzione di appartenenza del fuzzy set, x is media OR x is grande

In Figura 277 é riportata la funzione di appartenenza per il set x is media and x is grande.

µ (x)

x_media and x_grande

Figura 277: Funzione di appartenenza del fuzzy set, x is media and x is grande
In Figura 278 viene riportata, infine, la funzione di appartenenza per l'insieme x is not grande.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 332

µ (x)
x_is_not_grande

Figura 278: Funzione di appartenenza del fuzzy set x is not grande


14.8 L'IMPLICAZIONE E L'ALGORITMO FUZZY
Si è precedentemente affermato che la logica fuzzy viene spesso utilizzata per descrivere il
comportamento di un sistema. Tale descrizione avviene utilizzando una serie di implicazioni fuzzy
associate in modo da costituire un algoritmo fuzzy. Nel seguito viene data una definizione di entrambi i
termini utile per le applicazioni descritte nel presente lavoro.
Una implicazione fuzzy può essere espressa dal costrutto:
if x is A then y is B
ove sia A che B sono dei fuzzy set. In tale espressione si riconoscono due parti distinte; il
termine:
if x is A
viene detto antecedente, mentre la parte:
then y is B
si chiama conseguente della regola.
Nella logica classica il risultato di un'implicazione è governato dalla regola del Modus Ponens: la
verità dell'implicazione dipende dalla verità della premessa.
Sebbene nella logica introdotta da Zadeh si mantenga fede a tale postulato, bisogna tenere conto
del fatto che l'antecedente dell'implicazione è in generale caratterizzato da un grado di verità compreso
nell'intervallo [0,1]. Estendendo il principio del modus ponens, si ammette che una regola, e quindi il suo
conseguente, non può essere più vera di quanto lo sia l'antecedente.

µ (X)
µ (Y)
x_is_media y_is_grande

if X is then Y is
Y
X

Figura 279: Rappresentazione grafica della regola fuzzy if x is media then y is grande
Supposto noto un vettore reale contenente le misure delle variabili fuzzy, si definisca l'algoritmo
fuzzy in modo tale che per ciascuna implicazione il valore calcolato sia dato da:
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 333

yi = gi ( x10 , x20 , x30 ,..., xk0 )

Il valore di verità di questo risultato può essere ottenuto mediante una generalizzazione del criterio
del Modus Ponens e cioè:
v la conseguenza di una regola fuzzy é tanto vera quanto é vera la sua antecedente
ovvero anche:
v la conseguenza di una regola fuzzy é non può essere più vera della sua antecedente
In questo caso ciascuna regola ha un valore di verità dato da:
(
y = yi = min A1i ( x10 ) , A2i ( x20 ) ,..., Aki ( xk0 ) )
ove |*| significa valore di verità della proposizione *.
Il risultato finale é calcolato mediante la relazione (vedi maggiori dettagli nel prosieguo):

y=
∑ y = yi yi
∑ y = yi
ove la somma é estesa a tutte le regole che costituiscono l'algoritmo fuzzy.
Si consideri a titolo d'esempio la Figura 279. In essa viene riportata le regola:
if x is media then y is grande.
Nasce il problema di determinare l'uscita di tale regola quando si misura un certo valore della
grandezza x che compare nell'antecedente. E' necessario, a tal fine, riportare sull'asse delle x il valore
numerico assunto da tale variabile.
Il valore assunto dalla funzione di appartenza in corrispondenza del punto che individua il valore di
x rappresenterà il grado di appartenza della grandezza misurata al fuzzy set indicato come x is media. Tale
operazione assume il nome di fuzzyficazione di un valore numerico.
Si è inoltre detto che l'uscita di un'implicazione non può avere, per il principio del modus ponens, un
grado di verità maggiore rispetto al proprio antecedente.
Ciò può essere ottenuto con vari metodi. Generalmente si adottano i metodi del troncamento e del
prodotto. Nel primo caso si tronca il valore della funzione di appartenenza dell'uscita al corrispondente
valore calcolato per l'antecedente, nel secondo si moltiplica la funzione di appartenenza del
conseguente per il grado di attivazione dell'antecedente.
Quanto detto è riportato con un esempio in Figura 280. In tale figura viene riportato il fuzzy set
associato all'implicazione precedente in corrispondenza di un valore numerico della grandezza x. Tale
fuzzy set è rappresentato utilizzando delle spezzate a tratto spesso.
Le definizioni introdotte possono essere estese al caso, molto comune nella pratica e in
particolare nell'elaborazione dei segnali, in cui il segnale scelto per rappresentare l'uscita di un
fenomeno dipenda da più variabili; si può pensare, infatti, che in tale caso il verificarsi del conseguente
dipenda da tutte le condizioni espresse dall'antecedente e che quindi queste siano connesse tra loro da
un'operazione di and fuzzy. L'implicazione assume, nella sua forma più generale, la seguente struttura:
if x is A and y is B ... and n is N then k is B
dove A, B,...,N e C sono dei fuzzy set, definiti in opportuni universi del discorso. Il termine:
if x is A and y is B ... and n is N
in analogia con quanto precedentemente definito, viene ancora detto antecedente, mentre il
costrutto:
then k is B
costituisce il conseguente dell'implicazione.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 334

Metodo del troncamento

µ (X)
µ (Y)
x_is_media y_is_grande

if X is then Y is
x Y
X

Figura 280: Esempi di calcolo del conseguente di una regola utilizzando il metodo del troncamento

Metodo del prodotto

µ (X)
µ (Y)
x_is_media y_is_grande

if X is then Y is
x Y
X

Figura 281: Esempi di calcolo del conseguente di una regola utilizzando il metodo del prodotto
Ricordando quanto detto a proposito del principio del modus ponens si deduce che se
nell'antecedente della regola si hanno più condizioni, ognuna attiva parzialmente, l'intero antecedente, e
quindi anche il conseguente, deve presentare un grado di attivazione uguale al fuzzy and di tutti gli
antecedenti.
Si consideri, ad esempio, la seguente regola:
if x is media and y is grande then k is grande
riportata graficamente in Figura 282.
In Figura 283 viene riportata l'uscita di tale regola, in corrispondenza di due valori numerici delle
grandezze x ed y e supponendo di utilizzare il metodo del troncamento.
Anche in questo caso il fuzzy set determinato viene rappresentato utilizzando una spezzata a
tratto spesso.
Quando si descrive un fenomeno complesso in termini linguistici, spesso è necessario utilizzare
più inferenze, ciascuna per descrivere un particolare aspetto dell'intero processo in esame.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 335

µ (X)
µ (Y)
x_is_media y_is_grande k_is_grande

if X is and Y is then K is
Y K
X

Figura 282- Rappresentazione grafica della regola: if x is media and y is grande then k is grande
Risulta, pertanto, evidente la necessità di combinare varie implicazioni fuzzy al fine di ottenere una
struttura più flessibile (l'algoritmo fuzzy) in grado di rappresentare fenomeni complessi.

µ (X)
µ (Y)
x_is_media y_is_grande k_is_grande

if X is and Y is then K is
x y Y K
X

Figura 283: Esempio del calcolo dell'uscita di un'implicazione fuzzy contenente due fuzzy set nell'antecedente
Formalmente si può definire un algoritmo fuzzy come una collezione di regole espresse nella forma
precedentemente indicata. Un algoritmo con m regole definite su n variabili assume allora la seguente
forma generale:
R1: if x1 is A11 and ... and xn is A1n then y is B1
R2 : if x1 is A21 and ... and xn is A2 n then y is B2
..........
..........
Rm: if x1 is Am1 and ... and xn is Amn then y is Bm

con ovvio significato dei simboli. Nasce così il problema di definire come vada calcolata l'uscita
di un tale algoritmo. Si osservi che le varie regole forniscono, sotto forma di fuzzy set, e ciascuna
indipendentemente dalle altre, un valore per l'uscita. Inoltre, ogni regola contribuisce a cumulare
certezza sul valore assunto dalla variabile di uscita. Quindi appare logico stabilire che l'uscita di un
algoritmo fuzzy vada determinata calcolando l'or fuzzy delle uscite associate alle singole regole. Si
consideri, ad esempio il seguente algoritmo costituito da due regole:
R1: if x is media and y is grande then k is grande
R2: if x is grande and y is grande then k is molto_grande
rappresentato in forma grafica in Figura 284. Supponendo di aver misurato due valori per le
grandezze X ed Y e di utilizzare il metodo d'inferenza del troncamento, si ottiene per l'uscita di tale
algoritmo un fuzzy set, come riportato graficamente in Figura 285, dove l'uscita dell'intero algoritmo è
rappresentata dalla spezzata a tratto spesso riportata in basso a destra.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 336

µ (X)
µ (Y)
x_is_media y_is_grande k_is_grande

if X is and Y is then K is
Y K
X

µ (X)
µ (Y)
x_is_grande y_is_grande k_is_molto_grande

if X is and Y is then K is
Y K
X

Figura 284: Esempio di algoritmo fuzzy, costituito da due regole


Da quanto finora espresso risulta evidente che l'uscita di un algoritmo fuzzy è costituita da un
fuzzy set.
µ (X) µ (Y) µ (K)
x_is_media y_is_grande k_is_grande

if X is and Y is then K is
X Y K

µ (X) µ (Y) µ (K)


x_is_grande y_is_grande k_is_molto_grande

if X is and Y is then K is

X Y K

µ (K)

Figura 285: Determinazione dell'uscita di un algoritmo fuzzy con il metodo del troncamento
Poiché nei problemi pratici, e in particolar modo nell'analisi dei segnali, si è interessati a
descrivere una grandezza utilizzando un numero reale, è necessario introdurre un ulteriore operatore,
che associ a un fuzzy set un numero reale adatto a rappresentare, secondo un qualche criterio, il
contenuto informativo del fuzzy set stesso.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 337

Tale operazione è detta di defuzzyficazione e costituisce il legame tra il mondo fuzzy


dell'algoritmo e il modo dei numeri reali, con cui siamo abituati a descrivere il mondo che ci circonda.
Per tale operazione sono state proposte in letteratura varie definizioni. In particolare, in quanto
segue verrà utilizzato il metodo di defuzzyficazione detto del centroide: il fuzzy set viene rappresentato,
secondo tale metodo, dal baricentro della figura che rappresenta la funzione di appartenenza
dell'insieme stesso. Si ha, quindi:

kc =
∑ ubigµcubigh
∑ µcubigh
la sommatoria essendo estesa agli elementi del fuzzy set che hanno funzione di appartenenza non
nulla. Un altro metodo, detto delle altezze (usato quando si vuole defuzzyficare un insieme che proviene
dall'unione di più fuzzy set), fornisce un valore che é la media pesata dei valori corrispondenti ai centroidi
delle funzioni di appartenenza delle uscite associate alle varie regole.
I pesi corrispondono al grado di verità degli antecedenti delle varie regole. Si ha, quindi:

kc =
∑ u ( A ( i ) ) µ ( u ( Ai ) )
∑ µ ( u ( Ai ) )
14.9 L'ALGORITMO FUZZY CON CONSEGUENTE LINEARE
Nelle applicazioni descritte nel presente lavoro si è preferito ricorrere a una struttura delle
implicazioni fuzzy leggermente diversa rispetto a quanto suggerito da Zadeh. In particolare le regole
fuzzy considerate assumono la seguente forma, secondo quanto proposto da Sugeno57) in un lavoro
ritenuto fondamentale nel campo della logica fuzzy:

if x1i is A1i and x2i is A2i and ... and xni is Ani
d
then y i = g i x1i , x2i , ..., xni i
Il modello introdotto presenta una struttura che può essere considerata come un caso particolare
del modello generale, introdotto da Zadeh e in particolare esso presenta le peculiarità:
v le funzioni di appartenenza per i fuzzy set degli antecedenti sono tutte funzioni lineari a tratti, non
crescenti o non decrescenti;
v il conseguente è espresso da un numero reale; questo può essere considerato un particolare
fuzzy set avente funzione di appartenenza unitaria in un solo punto dell'universo del discorso,
ovvero un singleton.
Si assume, inoltre, che il conseguente sia ottenuto come funzione dei valori assunti da alcune,
eventualmente tutte, delle variabili che entrano in gioco nell'antecedente. Nella struttura proposta in
Sugeno (1985) si assume in particolare che la funzione gi() sia lineare.
Pertanto la i-ma implicazione assume la forma riportata graficamente in Figura 286. Se
l'algoritmo fuzzy contiene m regole, della forma precedentemente introdotta, applicando il metodo
defuzzyficazione del centroide si ricava che l'uscita y deve essere calcolata come media pesata, secondo
il grado di attivazione delle singole regole, delle rispettive uscite yi:

57)
Si veda S. Sugeno - Fuzzy Identification of Systems and its Applications to Modelling and Control - IEEE Trans. on
Systems, Man and Cybernetics, Vol. SMC-15, No. 1, 1985.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 338

∑ µb y g y
m

i i
kc = i =1
m

∑µ i
i =1

A1 A2 An
1 1 1

x1 is x2 is xn is
if 0 and 0 and, ... ,and 0

x11 x12 x21 x22 xn1 xn2

then y= p0+p1*x1+p2*x2+...+pn*xn

Figura 286: Esempio di implicazione proposta in Sugeno, 1985


14.10 OPERAZIONI ARITMETICHE E ANALISI DEGLI INTERVALLI
Un tipo di grandezza fuzzy é quella definita ad intervallo cioè da un valore centrale a e da un
intervallo di variazione (a-α, a, a+α) con α semiampiezza dell'intervallo detta varianza. La
rappresentazione grafica é del tipo indicato in Figura 287.

a- α a+ α b- β b b+ β
a
Figura 287- Grandezze fuzzy ad intervallo
La combinazione delle varianze nella fuzzy set theory tiene conto dell'effetto contemporaneo degli
estremi positivi e negativi producendo un allargamento della varianza. Tale effetto non può essere ottenuto
mediante la sola combinazione di effetti estremi (positivi e negativi) come si fa nell'analisi di sensitività
usualmente condotta sulle matrici di giudizio di tipo deterministico.
La regola fuzzy per la combinazione di proprietà di un insieme fuzzy é data dalle seguente
relazione:
a f
w u
c x* y = Sup(u,v) Inf c x , c y
v
e a f a fj
ove é: w = u*v

e χx e χy sono le funzioni di appartenenza fuzzy (membership function). In particolare, nel nostro caso,
tali funzioni dipendono dagli intervalli (cioè dalle varianze) presi in considerazione. Pertanto le varianze
entrano in gioco direttamente nella determinazione del valore centrale.
Le tre regole di combinazione per l'analisi degli intervalli (forma esplicita derivata dalla regola
generale precedente):
Somma : (a,α) + (b,β) = (a+b, α+β)
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 339

Differenza: (a,α) - (b,β) = (a-b, α+β)


Prodotto : (a,α) * (b,β) = (ab+αβ, aβ+bα)
ove a e b sono i valori centrali di giudizio e α e β sono le varianze e pertanto gli intervalli fuzzy
sono definiti dalle relazioni (a-α,a,a+α) e (b-β,b,b+β), come indicato in figura 17.
Si può così osservare che le differenze di valori centrali di eguale valore assoluto forniscono
valore centrale nullo ma varianza pari alla somma delle varianze.
Lo stesso allargamento (spread) si ha per la somma di variabili fuzzy. Per il prodotto fuzzy si ha un
valore centrale che é la somma del prodotto dei due valori centrali e delle due varianze mentre lo spread
si allarga con la combinazione lineare delle varianze e dei valori centrali.
E’ anche possibile affrontare il problema della scelta tra varie alternative, ciascuna delle quali
rappresentata da un vettore con componenti intervalli.
A tale scopo conviene utilizzare due ordinamenti parziali tra intervalli recentemente introdotto
da Ishibuchi e Tanaka.
DEF1. Dati due intervalli A = [a1.a2] e B = [b1,b2] diremo che
A [<=] B se a1<=b1 e a2<=b2.
Tale ordinamento rappresenta la preferenza per l'alternativa con i valori minimo e massimo
maggiori. Rappresentiamo ora gli intervalli A e B con il centro e l'oscillazione relativa, cioè:
A ={a,δa}, B = {b,δb}}
dove :
a = (a1 + a2)/ 2 , δa = (a2 - a1)/ 2
etc. Allora possiamo definire un altro ordinamento:
DEF2. A {<=} B se a<=b e δa>=δb .
Tale ordinamento parziale rappresenta la preferenza per l'alternativa con valore centrale più alto e
oscillazione minore. Dal punto di vista matematico i due ordinamenti sono compatibili.
Per le problematiche di valutazione ambientale ci sembra da preferire il secondo ordinamento in
quanto é più opportuno scegliere l'alternativa con valore centrale più alto ma con minore incertezza.
A questo punto é possibile costruire la matrice di dominanza d[i,j] e quindi applicare il criterio
sopradescritto
14.11 LA FUZZY LOGIC PER IL RATING DELLE MATRICI DI IMPATTO
Le metodologie oggi utilizzate per la Valutazione d'Impatto Ambientale sono essenzialmente così
classificabili:
v uso di carte tematiche
v analisi multicriteriali
v matrici azioni-effetti.
L'uso di tematismi appare maggiormente indicato quando la problematica della realizzazione
dell'opera in progetto é articolata in effetti specificatamente morfologici e ambientali.
La metodologia basata sull'analisi multicriteriale (AMC) appare conveniente quando la
problematica in oggetto può essere studiata sulla base di una massimizzazione o minimizzazione di
funzioni costi o effetti e quando si hanno più alternative progettuali. Tale metodologia può però essere
utilizzata anche in congiunzione con altre per una migliore scelta di soluzioni alternative.
Il metodo matriciale azioni-effetti può spesso rappresentare una alternativa che meglio descrive
le problematiche progettuali, specie se di non facile enumerazione matematica, in quanto correla in una
opportuna matrice di relazione gli effetti provocati dalle azioni conseguenti all'opera allo studio. Esso
appare un metodo di applicazione assai generale e di uso non esclusivo delle altre metodologie.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 340

14.12 METODI DI ANALISI MULTICRITERIALI PER LA V.I.A.


Non rientra nello scopo della presente relazione descrivere la metodologia dell'analisi
multicriteriale (AMC) ma si vuole egualmente fornirne la traccia operativa in modo da renderne
possibile il confronto con il metodo fuzzy descritto in altra relazione. Obiettivo dell'AMC é di
massimizzare una funzione detta di valore o di utilità della forma:
U =U (g1 ,g2 ,g3 ,..., gn)
che ingloba i differenti giudizi gi sulle azioni possibili. La metodologia usata può variare a seconda
dei casi : quelle maggiormente utilizzate sono:
v metodi del surclassamento;
v metodi interattivi;
v metodi dell'utilità multiattributo.
Nel caso del metodo del surclassamento si possono utilizzare anche gli indici di concordanza (o anche
di discordanza) variabili fra 0 e 1. In questo modo il metodo utilizza anche definizioni fuzzy degli attributi
(procedura ELECTRE III).
I criteri di analisi debbono essere di volta in volta scelti in funzione della tipologia dell'opera e dei
giudizi espressi.
14.13 APPLICAZIONE DELLA FUZZY LOGIC ALL’ANALISI MULTICRITERIA
Alle metodologie sopra esposte si può aggiungere una variante del surclassamento detta analisi di
dominanza. Le azioni possibili delle alternative progettuali possono essere qualificate secondo criteri
quantitativi o anche con criteri non quantitativi.
Ciascun criterio può anche presentare fattori non deterministici (e quindi di tipo fuzzy) che
possono essere incorporati nell'analisi multicriteriale.
Al fine di determinare i vettori di impatto di riferimento occorre per ciascuna alternativa
progettuale preparare le matrici di azione-effetti sulla base di opportune liste di controllo, ad esempio
quelle indicate dalla Società Italiana di Ecologia elaborate per l'opera in esame.
Ad esempio per la costruzione di una strada si possono ipotizzare le seguenti azioni :
v Uso della strada
v Fattori Fisici
v Aree interessate
v Azioni correttive
Gli effetti possono essere, sempre nell'esemplificazione assunta, i seguenti :
v Impatto economico e sociale
v Impatto sul traffico degli abitati
v Impatto sul traffico della strada
v Impatto sulla flora e sulla fauna
v Impatto Geofisico
E' pertanto possibile costruire, per ciascuna alternativa progettuale, una matrice azioni-effetti
avente nelle righe le azioni e nelle colonne gli effetti sopra considerati.
Nella compilazione delle matrici si può adottare una simbologia che evidenzi l'esistenza di un
impatto positivo, negativo o neutro. Per la gerarchizzazione degli impatti si possono considerare i
seguenti aspetti:
IMPATTO DEL PROGETTO
+ positivo
- negativo
N Neutro (parte positivo e parte negativo, indeterminato o incerto).
IMPORTANZA DELL'IMPATTO
S Scarsa
M Media
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 341

G Grande
PROBABILITÀ DELL'IMPATTO
C Certa
P Probabile
I Improbabile
S Indeterminata
DURATA DELL'IMPATTO
T Temporanea
P permanente
La descrizione di ciascun impatto risulta pienamente completata nelle tabelle derivate dalla
matrice di relazione. Il numero e le tipologie di giudizio possono essere diverse da quelle sopra indicate
che sono qui riportate solo quale riferimento esemplificativo.
E' anche opportuno osservare che l'uso di connotazioni linguistiche può facilitare la
formulazione del giudizio. La scala dei giudizi può essere anche più estesa di quella sopra indicata per i
diversi aspetti degli impatti ma l'esperienza dimostra che al crescere del numero dei valori si ha un
disperdimento del giudizio. Per la formulazione di ciascun giudizio occorre avere un gruppo di lavoro
polivalente, composto da diversi esperti (da tre a cinque) dei rispettivi settori interessati, che esprimano
i loro giudizi indipendentemente l'uno dall'altro e che ciascun giudizio sia determinato sulla base di un
criterio unico per tutte le alternative di progetto (prevalenza, surclassamento, media,..).
La verifica degli impatti é anche possibile sulla base di approcci culturali e metodologici diversi; in
questa sede si vuole privilegiare l'aspetto tecnico-analitico delle azioni e degli effetti e pertanto i giudizi
di impatto possono (là dove possibile) essere conseguenti a studi specifici.
Ad esempio per l'impatto geofisico il giudizio può derivare da studi mirati sul terreno di
intervento; così per la diffusione di inquinanti il giudizio può derivare dall'analisi dei risultati di un
opportuno modello matematico di simulazione, ...
Dall'esame della matrice di relazione deriverà un giudizio sull'impatto globale dell'opera per
ciascuna alternativa esaminata. Tale giudizio appare, però, influenzabile dai pesi attribuiti agli impatti
non deterministici e quindi soggettivi e pertanto nasce il problema di oggettivizzare il giudizio di impatto il
più possibile mediante analisi di tipo quantitativo, quando ciò é possibile.
La matrice di relazione finale ottenuta dal giudizio del gruppo di esperti prende il nome di
matrice di riferimento e si suppone che rappresenti il massimo nell'oggettivazione ed
omogeneizzazione dei giudizi e dei pesi.
L'analisi delle matrici di riferimento per ciascuna delle ipotesi di lavoro alternative può essere
effettuata, ad esempio, con una delle seguenti metodologie:
v analisi crisp
v analisi fuzzy con varianza fissa
v analisi fuzzy con varianza proporzionale
14.14 ANALISI CRISP : METODOLOGIA OPERATIVA
Le sottomatrici deterministiche (crisp) sono state ottenute assegnando ai giudizi presenti nelle
matrici di riferimento i seguenti valori :
IMPORTANZA PROBABILITÀ DURATA
G=1 C=1 P=1
M=0,5 P=0,6 T=0,1
S=0,1 I=0,2

Il rapporto fra il giudizio di permanenza e di temporaneità é stato fissato pari a quello della durata
presunta dell'opera e quella presunta del cantiere.
Il valore 0,1 per la temporaneità deve, quindi, intendersi in senso matematico come probabilità di
durata. Si vedrà nel prosieguo come la varianza di questo giudizio influenza le sottomatrici risultante.
COMPLEMENTI DI IMPIANTI TERMOTECNICI 342

Con l'analisi deterministica (crisp) i giudizi sono numericamente espressi da valori unici e la
valutazione delle matrici di riferimento porta a valori univoci delle sottomatrici e del vettore finale di
impatto. Viene valutata per ogni sottomatrice della matrice di azioni-effetti effettuando una
sommatoria dei prodotti dei valori di importanza per la probabilità per la durata ciascuno con il
segno dato dal tipo di impatto.
Per gli impatti indeterminati si effettua un calcolo separato per ciascuna sottomatrice. Ad esempio
per il progetto di una strada con tre alternative in esame si possono ottenere i risultati indicati nella
seguente tabella per gli impatti positivi e negativi:
RATING MATRIX PER LE TRE ALTERNATIVE
ALTERNATIVA IMPATTO IMPATTO SUL IMPATTO SUL IMPATTO SULLA IMPATTO
ECONOMICO E TRAFFICO NEL TRAFFICO FLORA E SULLA GEOFISICO
SOCIALE BACINO DI UTENZA NELLA STRADA FAUNA
A 7,63 8,63 -0,37 -3