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La trasformazione dei conflitti.

Disciplina accademica sui generis e sapere della vita quotidiana.

di Marianella P B Sclavi
facilitatrice di processi partecipativi, esperta di arte di ascoltare

Sommario
L’articolo illustra con ricchezza di aneddoti la nascita e affermazione dell' azione -ricerca come
campo di studi sui rapporti fra gestione creativa dei conflitti e democrazia. Distingue due fasi:
“L’età degli eretici”, dagli anni ‘30 fino alla fine degli anni ’70 e “L’età della divulgazione e
istituzionalizzazione” imperniata sugli sviluppi dell'Alternative Dispute Resolution (ADR) e sue
applicazioni specialmente nel campo delle dispute pubbliche, cioè della vita politica.

Parole chiave.
Azione-ricerca, gestione creativa dei conflitti, dinamiche di gruppo, Alternative Dispute
Resolution (ADR), Strategia dell'azione indiretta, l'età degli eretici, l'età della divulgazione e
istituzionalizzazione, Confronto Creativo.

Summary
This paper is a anecdotic narration of the birth and growth of action-research as a field focused
upon the relationships between creative conflict management and democracy. It traces two
important "ages" in this story: the "Age of Heretics" and "The age of Popularization and
Institutionalization". The last centered particularly on the applications of ADR in the field of
Public Disputes , that is in the Political Life.

Keywords.
Action-Research, Creative Conflict Management, Group Dynamics, ADR, Breakthrough
Strategy, The Age of Heretics, The Age of Popularization and institutionalization, Consensus
Building Approach.

Presentazione.
Le domande di fondo. L’esigenza di un ripensamento radicale nel modo in cui i conflitti
venivano abitualmente percepiti, descritti e gestiti si afferma nel secondo dopoguerra in stretto
collegamento con un arco di preoccupazioni teoriche e pratiche efficacemente espresse in testi
come La società aperta e i suoi nemici (1947) di Karl Popper e Le origini del totalitarismo
(1951) di Hannah Arendt. Come questi autori, i pionieri degli studi sulla gestione creativa dei
conflitti nelle scienze sociali s’interrogano sul perchè le democrazie occidentali non sono state in
grado di prevenire e combattere l’emergere di regimi totalitari, quali difese sono mancate a livello
dei diritti umani elementari, dei processi decisionali, della pedagogia e psicologia sociale; e per
converso: quali saperi, dinamiche sociali, diritti e forme di autorità dovrebbero accompagnare un
ampliamento della democrazia dal terreno puramente politico a quello sociale, favorire il suo
ingresso e radicamento anche nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni educative, nella vita
quotidiana.
La visione dominante, “realista”, si basava sul principio del bastone e della carota. Si dava per
scontato che coloro che ricoprono posizioni di potere a qualsiasi livello, dalla famiglia, alla
impresa economica, ai rapporti fra stati, sanno qual è la situazione, quali sono i loro interessi e
come si fa a farli valere. La negoziazione, in questo approccio, è vista come braccio di ferro e
come arena dell’arte dell’argomentazione, dove le parti imparano molto poco l’una dall’altra e
assumono come unici risultati possibili o una vittoria schiacciante o dei compromessi più o meno
equilibrati a seconda dei rapporti di forza. In contrasto con questa impostazione i fautori degli
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approcci alternativi vedevano la negoziazione e ancor prima le fasi di pre-negoziazione come


momenti topici di apprendimento reciproco (=il conflitto come risorsa, come occasione per
acquisire nuove conoscenze), in cui una terza parte, che gode la fiducia di tutti i partecipanti, ha il
compito di creare un contesto di “comunicazione controllata” (John Burton, citato in Fisher
Ronald,1997) che rende possibile il distacco necessario per elaborare congiuntamente una analisi
multi-dimensionale del conflitto e delle sue possibili soluzioni. Un processo dunque che, essendo
basato sulla capacità di tutte le parti di vedere ogni singolo problema da una molteplicità di punti
di vista, corrisponde a un paradigma di tipo “pluralista” e a una nuova idea di “comunicazione”
che faceva riferimento alle emergenti teorie sui “sistemi aperti”(von Bertalanffy,1950 e Ashby,
1964).

Il paradigma dell’azione–ricerca. L’indagine sulle dinamiche della gestione creativa dei


conflitti ha le sue radici negli studi pionieristici dello psicologo sociale Kurt Lewin il quale, ebreo
fuggito dalla Germania nazista prima in Inghilterra e poi negli Usa, inizia nella seconda metà
degli anni ’30 ad elaborare un approccio radicalmente nuovo nelle scienze sociali che chiama
“azione–ricerca.” Si tratta di un vero e proprio nuovo paradigma che differisce da quello
positivista dominante sia nei principi ai quali la ricerca si ispira, sia per i luoghi in cui la stessa si
svolge, che per le modalità e dinamiche di osservazione/ascolto. Due parole su ognuno di questi
punti.
I principi. L’approccio della “azione –ricerca” diverge dalla ricerca accademica tradizionale
almeno in tre direzioni: a. una realtà sociale non può esser compresa senza la descrizione di come
è vista dalle persone che la vivono; b. un approccio narrativo etnografico, che richiede una
specifica capacità di ascoltare e osservare, è un complemento indispensabile alle rilevazioni in
termini quantitativi; c. le ipotesi sulla realtà sociale si verificano provando a cambiarla. (Da una
intervista a un ex-allievo di Lewin, di nome Chris Argyris, sul Organizational Development
Journal, n. 2, estate 2003) “Niente è più pratico di una buona teoria” è lo slogan più famoso di
Lewin, divenuto il marchio dell’azione-ricerca.
I luoghi. Tipicamente questi studiosi sviluppano i loro esperimenti direttamente sui luoghi di
lavoro e di vita, coinvolgendo dirigenti, operatori, abitanti. Alla base di questa impostazione vi è
l'idea che in un sistema sociale complesso e turbolento, la prevedibilità e l'ordine sono
raggiungibili solo se i soggetti che ne fanno parte si trasformano in una "comunità indagante",
cosa a sua volta possibile solo garantendo:
1. una situazione di agio reciproco, dove é assente la minaccia di "perdere la faccia”,
2. dove le persone possono elaborare un quadro di valori condivisi abbastanza ampio da rendere
inoffensive le aree di disaccordo, che verranno poi affrontate, ma in un clima di collaborazione e
fiducia reciproca
3. dove ciascuno possa intervenire ed essere notato dagli altri come protagonista individuale.
Sono condizioni che molto raramente si trovano “spontaneamente” nelle istituzioni tipiche delle
società moderne e che i pionieri dell'azione ricerca – come vedremo fra poco - creavano
sperimentalmente all’interno degli uffici e delle fabbriche, nelle scuole e nella pianificazione del
territorio, in collaborazione con i leader più illuminati delle grandi aziende, delle istituzioni
pubbliche e dei governi locali e nazionali.
Modalità e dinamiche di osservazione/ascolto. L’azione- ricerca è ricerca partecipativa, basata
sull’ascolto pro-attivo. Per l’azione ricerca non esiste partecipazione senza ascolto pro-attivo (che
in questo testo chiamiamo semplicemente "ascolto attivo”) e viceversa, l’ascolto attivo è
intrinsecamente inclusivo, partecipativo. L'osservazione etnografica, guidata dall’ascolto attivo,
comporta che prima di chiedersi se un certo comportamento di un qualsiasi interlocutore è giusto
o sbagliato, vero o falso, ci si chieda come mai a lui sembra giusto e vero. In che cosa differisce il
suo modo di vedere e interpretare la situazione dal nostro perché a lui una cosa che a noi sembra
sbagliata, sembri invece corretta. L’ascolto attivo, nella vita quotidiana tanto quanto nella ricerca
scientifica, è la premessa necessaria alla gestione creativa dei conflitti.
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Una disciplina accademica sui generis. Molte persone, quando sentono parlare di “gestione
creativa dei conflitti”, pensano che si tratti di una scoperta recente, di uno dei molti ricettari dalle
fragili basi teoriche, nati dalla contingenza e dalla moda del momento. Al contrario si tratta
probabilmente del campo nelle scienze sociali in cui si è verificato il massimo di continuità di
ricerca e di cumulatività dei risultati dal secondo dopoguerra in poi. Può sembrare paradossale
che queste due caratteristiche – continuità e cumulatività dei risultati – agognate da ogni
disciplina mainstream, si riscontrino invece in un campo di ricerca ancor oggi considerato con
diffidenza e quasi sempre trascurato nei principali manuali e corsi di laurea di sociologia. La
spiegazione è che l'azione ricerca, nonostante le difficoltà di dialogo con il resto delle scienze
sociali, è stata fin dall’inizio - come vedremo- accolta e coltivata in nicchie di ricerca collocate in
alcune delle istituzioni più prestigiose del mondo, come Cornell, Harvard, MIT, George Mason
University, Pennsylvania University, Tavistock Institute di Londra e così via. Quindi se di
isolamento si vuol parlare, bisogna aggiungere un aggettivo tipo "splendido" o per lo meno
"dorato."
E’ vero però che l‘espressione “gestione creativa dei conflitti" è entrata in uso solo di recente,
anche perchè fino a pochi anni fa bastava usare il termine “creativo” perché un determinato
approccio venisse ritenuto automaticamente “non scientifico.” In questa sede la uso come
cappello generale e filo conduttore di una serie di scoperte, svolte, interessi, esperienze, che dagli
anni ’40 all’inizio anni ’80 erano chiamate “Group Dynamics” e che in seguito spesso vengono
etichettate “Alternative Dispute Resolution” (ADR). La prima fase è dominata da centri e istituti
di ricerca fondati ad hoc per lo studio delle “Dinamiche di Gruppo” e la formazione di facilitatori
del cambiamento sociale (“change agents”) in vari campi: internazionale, relazioni industriali,
governance, organizzazioni educative e comunicazione interetnica. Quelli più importanti sono il
Tavistock Institute of Human Relations di Londra che vede fra i suoi esponenti Wilfred Bion,
Eric Trist e Fred Emery, i National Training Laboratories (NTL) fondati da Kurt Lewin, Ron
Lippitt e altri negli Usa con sede a Bethel, una cittadina del Maine, e il Research Center for
Group Dynamics del MIT. Quest’ultimo, dove con Lewin lavoravano alcuni suoi ex allievi come
Leon Festinger, John R P French e Ronald Lippitt, nel 1948, a causa della prematura morte di
Lewin e conseguente carenza di finanziamenti, fu trasferito nello stato del Michigan, noto per i
generosi finanziamenti alle scienze sociali. Questi tre istituti, fondati tutti a metà degli anni ‘40,
per la ricchezza e originalità delle elaborazioni teoriche e per il ruolo di poli di attrazione
intellettuale, segnano una intera epoca, che è stata denominata “l’età degli eretici” (Kleiner, 1996)
, la quale arriva a conclusione alla fine degli anni ’70, quando si apre una nuova fase che coincide
con la creazione del Harvard Negotiation Center all’ultimo piano della Harvard Law School e con
l’uscita del manuale “Getting to Yes” di Roger Fisher e William Ury (1981). E' questa l'età della
divulgazione della gestione creativa dei conflitti e della diffusione di questo approccio nelle
istituzioni universitarie in tutto il mondo tramite la creazione di nuovi insegnamenti e interi corsi
di laurea; dagli anni '90 in poi inizia l'ingresso non più episodico, ma stabile di questi approcci
nelle istituzioni pubbliche e private. In questo articolo sostengo che il fatto che la fase della
divulgazione ed istituzionalizzazione sia stata preceduta da quella degli eretici, è fondamentale. Il
radicamento attualmente in atto di questi saperi ed esperienze nella scuola, nella società e nelle
istituzioni governative, avrà tanto più fiato e possibilità di successo quanto più saprà valorizzare
lo spessore teorico e respiro ideale delle sue radici alle quali hanno contribuito, oltre agli autori
già citati, anche le opere di autori come J. Dewey e G. Bateson (rispettivamente i concetti di
learning by doing e di deutero-apprendimento) e l’interessamento personale e vivace di ricercatori
come Carl Rogers, Abraham Maslow, Jacob Moreno, Erik Erikson.
La scaletta da qui in poi è la seguente:
A. L' Età degli Eretici: 1. Folgoranti esperimenti sotto la guida di Kurt Lewin negli anni ’40 ; 2.
I "T groups", i National Training Laboratories (NTL) e Warren Bennis; 3. Forme dell’autorità e
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gestione dei conflitti: Wilfred Bion, Chris Argyris, Donald Schon; 4. Strutture di potere e
governance: le fabbriche e il territorio Eric Trist e Frederick Emery.
B. L’Età della Divulgazione e Istituzionalizzazione: 1. I principi della Gestione Alternativa dei
Conflitti (ADR): Getting to Yes; 2. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR):
Getting Past NO; 3. Il Confronto Creativo: la politica ridefinita sull'onda di un circolo virtuoso
Società Civile- PA-Università.

A. L'Età degli Eretici.


1. Folgoranti esperimenti sotto la guida di Kurt Lewin negli anni ’40.
Kurt Lewin era un professore di psicologia sociale ebreo-tedesco rifugiatosi negli Usa nel 1933,
inizialmente all’università dell’Iowa dove un gruppo di suoi allievi diventarono i suoi primi
collaboratori. A metà degli anni ’40 venne chiamato al MIT di Boston dove fondò e diresse il
Research Center for Group Dynamics e dove morì improvvisamente nel 1947 di attacco cardiaco
a soli 57 anni.
Lewin e i suoi collaboratori hanno dedicato una grande quantità di tempo allo studio del
cambiamento di abitudini profondamente radicate (da quelle alimentari a quelle relative alle
dinamiche di potere) mettendo a confronto situazioni di fallimento nel raggiungere cambiamenti
desiderati con altre in cui invece tale cambiamento si era risolto felicemente. Man mano che
elaboravano delle ipotesi, cercavano metterle alla prova in contesti della vita quotidiana.
Persuadere degli interlocutori a far entrar “a casa loro” degli estranei per condurre questo tipo
poco ortodosso di ricerca, era tutt’altro che facile per chiunque, tranne che per Kurt Lewin, il cui
leggendario carisma personale rendeva affascinante persino il pesante accento tedesco.
E’ così che uno degli studenti di Lewin, un certo Alfred Marrow, proprietario di una fabbrica di
pigiami in North Carolina, decise di rivoluzionare l’intero ciclo produttivo dello stabilimento,
assegnando le decisioni relative ai tempi e metodi di lavoro direttamente ai lavoratori dei reparti,
divisi in piccoli gruppi funzionali. Con grande stupore di tutti i benpensanti, ne risultò un
notevole miglioramento sia dei livelli di produzione che del morale dei lavoratori. Questa
esperienza (e questo da solo basterebbe a spiegare le antipatie nell'accademia) venne non solo
ripresa e descritta in numerosi articoli sia accademici che giornalistici, ma ispirò anche un
racconto che divenne un best seller (di Richard Bisell, intitolato Seven and a Half Cents), e poi un
musical di Broadway intitolato Pijama Game, che dal 1948 in poi tenne il cartellone per parecchi
anni e infine nel 1957 divenne un film di Hollywood, con la coreografia di Bob Fosse, starring
Doris Day e John Raitt, regia di George Abbott.
Contemporaneamente, sempre inizio anni ’40, un altro ex-allievo, Ron Lippitt, ha organizzato un
ancor più noto esperimento sui rapporti fra stili di leadership e dinamiche di gruppo. Questa
ricerca ha coinvolto un gruppo di ragazzini della scuola media, di circa 11 anni, invitati a
diventare membri di un “Club per teen-agers” che funzionava in base a sezioni di cinque membri
l’una. Queste sezioni avevano come supervisori degli studenti di college addestrati ad
impersonare diversi tipi di leader: autocratico, laissez-faire e democratico. Ad ognuno di questi
stili corrispondevano precise istruzioni alle quali attenersi: se i ragazzi dovevano costruire dei
modelli di aeroplani, il leader autoritario dava istruzioni precise e pretendeva in modo pignolo
che fossero rispettate, il laissez faire non offriva né istruzioni né commenti, e quello democratico
aiutava i membri del gruppo a sviluppare un proprio progetto e a darsi una propria
organizzazione, nel modo meno coercitivo possibile. Il fatto che Kurt Lewin filmasse tutto non
sembrò turbare i ragazzi ai quali venne detto che era un professore che voleva “documentare
come procede il club.” I membri dei gruppi con leader laissez-faire dopo un po’ mostravano
chiari segni di frustrazione e di disimpegno. Quelli con capi autoritari assumevano
comportamenti o molto obbedienti o aggressivi e propensi al vandalismo. Quelli dei gruppi
democratici tendevano a comportarsi in modo più tollerante e responsabile, e pur mettendoci più
tempo alla fine erano orgogliosi del lavoro svolto collettivamente. Ma il risultato più interessante
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emerse quando, dopo che uno stile di leadership si era consolidato, veniva improvvisamente
cambiato per osservare i conseguenti cambiamenti negli atteggiamenti e interazioni del gruppo. In
particolare si notò che mentre il passaggio dallo stile democratico a quello autoritario avveniva
seppure con episodi di sconcerto e resistenza, in tempi relativamente rapidi, quello in senso
contrario, da autoritario a democratico, incontrava molte più difficoltà, blocchi e incomprensioni.
Questi risultati erano ancora freschi quando gli Usa entrarono in guerra. Durante gli anni della
guerra a Lewin e Lippitt si aggiunsero in pianta stabile altri due giovani ricercatori: Ken Benne ex
allievo di Dewey e Lee Bradford un abile organizzatore. Un quadriumvirato che sarà il fondatore
alla fine del 1946 dei National Training Laboratories (NTL). Questa decisione fu preceduta e
stimolata da un’ulteriore esperienza sul campo, conosciuta come il “Connecticut Workshop.”
Nel luglio del 1946 su richiesta di un dipartimento dello Stato del Connecticut e con la
sponsorizzazione della National Conference of Christians and Jews, Lewin organizzò un
laboratorio di due settimane su come migliorare le relazioni interetniche e in particolare quelle fra
neri ed ebrei. Vi parteciparono una cinquantina di persone, insegnanti, operatori sociali, leader di
comunità provenienti dai ghetti urbani, leader sindacali e piccoli imprenditori e negozianti. Il
laboratorio era centrato sulla narrazione di episodi conflittuali e loro discussione in piccoli gruppi,
che precedevano e seguivano dei giochi di ruolo che inscenavano come la conflittualità
interetnica entrava nell’esperienza lavorativa e di vita dei partecipanti. Le riflessioni di gruppo
misero in luce in particolare due modalità comportamentali diffuse e ricorrenti: primo,
tipicamente gli adulti di fronte a incidenti di incomprensione interetnica, reagivano al disagio
proprio e altrui, sforzandosi di ritornare immediatamente in controllo tramite la elaborazione di
regole di comportamento “razionali”da imporre all’interlocutore; in secondo luogo evitavano di
parlare delle reciproche emozioni in termini soggettivi ( "io mi sento attaccato", "provo rancore" ,
ecc.) trattandole invece come giudizi da difendere oppure da ignorare e persino nascondere, in
quanto distorsioni della conoscenza o sentimenti di cui vergognarsi. Il punto di svolta della
conferenza si verificò in una tarda sera della seconda settimana quando un gruppetto di
partecipanti di ritorno da una passeggiata, chiesero di entrare ad ascoltare nella stanza dove i
facilitatori erano riuniti a commentare la sessione della giornata. A un certo punto, poiché uno
dei facilitatori stava parlando di una persona presente, si rivolse direttamente a lei chiedendole di
aggiungere le proprie osservazioni. Ne seguì una discussione che tutti i presenti giudicarono
molto più interessante e fruttuosa di quelle svolte fino ad allora sia di giorno che di sera. La
partecipante rivelò di essere divenuta più consapevole delle dinamiche in atto nella
comunicazione interetnica e che era rimasta molto frustrata quando il facilitatore aveva interrotto
un gioco di ruolo in cui era impegnata, senza tener conto che lei non aveva ancora finito di
portarlo a conclusione. Una risata generale accolse questo commento e Kurt Lewin, padre
fondatore della “psicologia partecipativa”, era raggiante: “ Sta emergendo un principio con vaste
implicazioni per il nostro lavoro.” (Kleiner 1996, pag 35) Dal giorno dopo tutti i partecipanti al
laboratorio che lo desideravano furono invitati anche alle discussioni serali sulle sessioni
giornaliere. Le barriere fra operatori e partecipanti si dissolsero e tutti si considerarono membri di
una stessa comunità vernacolare con facoltà di correzione reciproca: i partecipanti verso gli
scienziati sociali e questi verso i partecipanti.
2. I “T group”, i National Training Laboratories (NTL) e Warren Bennis
Il “Connecticut Workshop” aveva inventato un prodigioso nuovo tipo di ricerca e di feedback che
ha come oggetto il flusso della conversazione e come strumento l’auto-consapevolezza
emozionale, ovvero la scelta di anteporre a qualsiasi giudizio, la comprensione di tutti i punti di
vista e tutti i sentimenti. Questa ricerca congiunta che assegna ai soggetti studiati il ruolo di
protagonisti venne chiamata “T group”, dove T sta per training. L’approccio “T group” rimane
anche oggi la radice di ogni formazione al team-building.
Nei mesi successivi piovvero le richieste di ripetere questo tipo di laboratorio nelle situazioni più
varie: dai corsi della associazione nazionale degli educatori a quelli per gli ufficiali della Marina.
Fu per far fronte a queste richieste che vennero fondati i NTL. Purtroppo subito dopo Lewin morì
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e l’impresa rimase affidata all'iniziativa e ingegno dei suoi collaboratori. I membri del NTL si
concepivano come ricercatori (“fellows”) di una istituzione accademica sui generis, che opera nel
nuovo campo delle “relazioni umane” per formare “change agents”, ovvero dei leader di
comunità capaci di promuovere organizzazioni egualitarie, democratiche e partecipatorie in tutto
il paese. Per cambiare in modo permanente atteggiamenti e comportamenti automatici, dati per
scontati, sosteneva Lewin, è necessario che i soggetti e gruppi passino attraverso tre stadi:
Scongelamento, Cambiamento, Ricongelamento (Unfreezing, Change, Refreezing). L’errore della
ricerca scientifica positivista è di sottovalutare e saltare il primo stadio; il tallone di Achille dei
NTL risultò invece localizzato nel terzo stadio: mentre nel primo stadio erano un portento e nel
secondo se la cavavano bene, rimase sempre sfuggente e insoddisfacente la stabilizzazione dei
risultati nelle avversità della vita quotidiana.
Una normale sessione T Group a Bethel durava tre settimane, con arrivo la domenica sera. L’
apprendimento avveniva attraverso la riflessione dal vivo sulle reciproche relazioni e sulle
resistenze e difficoltà a condurle in termini non difensivi-offensivi, ma esplorativi e creativi. Per
prima cosa tutti i partecipanti si allenavano per diventare dei buoni ascoltatori. Poi, grazie alla
nuova capacità di ascolto, si esercitavano a riconoscere e praticare i vari stili di leadership, e
infine partecipavano tutti assieme a un grande gioco di ruolo chiamato “Regional City” in cui, nei
panni dei principali protagonisti di una comunità, erano impegnati a definire e affrontare i
problemi comuni. Erano previste anche delle lezioni frontali, fondamentalmente sulle teorie ed
esperienze prodotte dai ricercatori dei NTL e del Tavistock di Londra. Nozioni e racconti come
quelli che mi accingo a delineare in questo e nei prossimi due paragrafi.
L’intera esperienza dei NTL fu accompagnata dalla costante protezione e simpatia di Douglas
McGregor autore di The Human Side of Enterprise (1960) e fondatore del Dipartimento di Studi
Organizzativi alla Sloan School del MIT, che la raccomandava a tutti i manager e dirigenti che
incontrava, i quali divenivano a loro volta dei promotori, riuscendo a volte a portare queste
esperienze direttamente nei loro contesti lavorativi. Fra gli interventi di consulenza più importanti
va ricordato quello bilaterale che nel 1958 ha coinvolto contemporaneamente sia i dirigenti
aziendali che quelli sindacali della più grande raffineria del New Jersey, la Beway. I due prof. che
se ne occuparono, Robert Blake e Jane Srygley Mouton, finirono con il sentirsi così coinvolti in
questa esperienza, umanamente intensa e ricca di invenzioni teoriche e metodologiche, che alla
sua conclusione lasciarono l’università per dedicarsi totalmente al lavoro di consulenza. Veniva
così al pettine uno dei nodi centrali nei rapporti fra scienze sociali "impegnate" e scienze
puramente descrittive: a chi è impegnato nel cambiamento le ricerche pre-ordinate e considerate
rigorose in ambito accademico appaiono non di rado “una perdita di tempo” e d’altra parte
l’accademia considera “prive di rigore scientifico” le riflessioni in stile "T group." Messi di fronte
a questo spartiacque, Blake e Mouton fecero la loro scelta. In seguito, in particolare le ricerche di
Chris Argyris e le riflessioni di Donald Schon sul “professionista riflessivo” intesero dare un
importante contributo a colmare questo gap.
Nel 1968 i NTL vanno in crisi per l’impossibilità di corrispondere alle aspettative suscitate e per
contestazione interna, quando gruppi di leader neri e di femministe trasformano le sessioni a
Bethel in occasioni di denuncia del potere dei bianchi e del ruolo marginale ricoperto fino ad
allora dalle donne. Una profonda revisione dell’intera impostazione era necessaria.
Nel 1968 la presidenza dei NTL fu offerta a un brillante studioso e consulente di 44 anni, Warren
Bennis, autore, fra le altre cose, di un articolo intitolato “Democracy is inevitabile” (scritto col
sociologo Philip Slater sulla Harvard Business Review, nel 1964) nel quale veniva prevista
l’implosione del regime sovietico “anche se gli Stati Uniti non avessero mosso un dito per
combatterlo” e una profonda evoluzione delle forme della democrazia dalla semplice
rappresentanza politica a “una società di persone capaci di impegnarsi in comunicazioni piene e
libere indipendentemente dalle posizioni gerarchiche e di potere.” Bennis prefigurava una società
in grado di affrontare i conflitti con il metodo del consenso invece che con schieramenti e voti di
maggioranza e di far tesoro dell'input cognitivo delle emozioni. Questi cambiamenti - sosteneva
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l'articolo - erano inevitabili perché corrispondevano a mutamenti sistemici in atto a livello


mondiale, ma per lo stesso motivo anche le forze impegnate a combatterli si sarebbero mobilitate
e questo sarebbe stato il vero fronte di lotta del secolo futuro (Kleiner, 1996, pag 237). Di
conseguenza il progetto di Bennis è di trasformare i NTL in una “Università per il cambiamento
sociale”, con sede nelle vicinanze di Washington DC perché fosse chiaro che il suo target
principale erano i dirigenti degli apparati governativi a tutti i livelli. Un progetto ambizioso ed
articolato, che prevedeva un centro di formazione per manager di impresa, dirigenti sindacali e
organizzatori di comunità, un centro per pianificatori urbani e giornalisti, dove i primi avrebbero
potuto mettere a confronto le loro metodologie ed esperienze e i secondi allenarsi a riconoscere e
descrivere le dinamiche di gruppo che sottendono le notizie quotidiane. Era ovviamente previsto
anche un “Centro per la soluzione dei conflitti” in grado di inviare squadre di esperti nei luoghi di
maggior conflitto nelle varie parti della terra per svolgere lavoro di prevenzione e di de-escalation
e aiutare i processi di peace building. Una Università, infine, in prima linea nel porre fine alla
guerra nel Vietnam grazie alla “preparazione di corpi di pace” armati di competenze
comunicative complesse, empatia, team building, gestione alternativa dei conflitti. (Le stesse armi
che Gandhi e gli altri leader della nonviolenza avevano usato così efficacemente.) Questo
progetto avrebbe richiesto – si calcolava - da 5 a 15 milioni di dollari e si stabilì che avrebbe
potuto iniziare se il primo milione di dollari fosse stato raccolto tramite donazioni entro un anno.
Dopo un anno la quota raggiunta era di appena 250 mila dollari e per queste ed altre ragioni il
sogno di questa università, che avrebbe dovuto chiamarsi University for Man and for Applied
Behavioral Sciences, venne lasciato cadere. Rimane a Warren Bennis il merito di aver “pensato in
grande” in linea con un'esigenza da sempre presente nel movimento delle Group Dynamics:
quella di non rinunciare a cimentarsi con situazioni in cui si è chiamati a ridisegnare le strutture di
potere ripensandole da cima a fondo, quando si valuta che i cambiamenti in corso nel più ampio
contesto lo richiedono.
Nel 1971 Bennis accettò l’incarico di presidente dell'Università di Cincinnati dove negli anni
seguenti realizzò una parte delle idee che aveva in mente in particolare quelle relative alle
relazioni umane all'interno degli Istituti e un centro di co-progettazione creativa imperniato su
urbanisti, giornalisti e popolazione dei quartieri in crisi.
3. Forme della autorità e gestione dei conflitti: Wilfred Bion, Chris Argyris, Donald Schon.
Quello che gli esperti di Group Dynamics (GD) e Organizational Development (OD) chiamano
"Modello Tavistock" è una strumentazione euristica (di ricerca) per identificare e comprendere
quali processi consci e subconsci avvengono nei gruppi e fra i gruppi di persone. E’ un modello
basato su una epistemologia dei sistemi aperti e la sua originalità teorica e pratica consiste nel far
emergere la consapevolezza dei processi emozionali contrari e/o favorevoli all'apprendimento di
gruppo. Il testo più importante, per molti versi fondativo, è Experiences in Groups (1961), che
raccoglie le esperienze svolte dall’autore, Wilfred R. Bion, e dai suoi colleghi, nei primi anni ’40
nell’ospedale militare di Northfield per ufficiali rimandati in patria dal fronte per il manifestarsi
di problemi psichici. Si trattava di un numero tale di “pazienti” che era impossibile pensare di
curarli individualmente e quindi la domanda che emerse fu: è possibile fare in modo che si curino
fra loro invece di dipendere da psicologi e psichiatri? Il primo passo decisivo fu notare che i
pazienti se lasciati a se stessi mettevano in atto dinamiche di gruppo che punivano i
comportamenti di miglioramento, il secondo fu individuare quali condizioni si dovevano creare
per far in modo che il gruppo agisse come una "comunità terapeutica." Il metodo messo a punto
diede risultati straordinari e il Tavistock Institute for Human Relations venne fondato nel 1946
allo scopo di approfondire questo tipo di studi e renderli disponibili per tutti i campi della vita
sociale. Nel testo sopra citato Bion sostiene che ogni gruppo funziona a un doppio livello, quello
operativo ed esplicito che chiama “assunti di lavoro" e quello delle premesse implicite o “assunti
di base”, che rimane inconscio. Questo secondo livello è decisivo per capire le dinamiche
relazionali e lo si può vedere all’opera osservando le reazioni alle reazioni fra i membri del
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gruppo e interpretandole in termini di “as if”: il gruppo si comporta “come se” certe premesse
implicite fossero date per scontate da tutti i suoi membri .
Bion distingue tre tipi di “assunti di base” che scattano automaticamente nei rapporti di gruppo: il
modo dipendenza e il modo fight/flight (combatti/fuggi) contrari all’apprendimento di gruppo e il
modo accoppiamento (“pairing”) che prepara la strada al sorgere di un nuovo leader carismatico.
Per capire di cosa si tratta, è utile pensare a una normale classe scolastica, con i banchi disposti in
file parallele e l’insegnante in cattedra che fa una lezione frontale. In un ambiente di questo tipo
gli allievi agiscono come se tutto dipendesse dal fare attenzione alle parole del docente e avere
fede nella sua competenza e non hanno alcun motivo e/o desiderio di apprendere l'uno dall'altro
(dipendenza) ; la frustrazione si sfoga o con atti di “fuga” (si pensa ad altro, non si sta attenti, si
bigia la scuola) oppure con atti di protagonismo (prendere la parola) che però sono letti come
segni di presunzione e di sfida alla autorità (combatti). Il gruppo che invece opera in base
all’assunto dell’accoppiamento si comporta come se i suoi incontri fossero finalizzati
all’emergere di un Salvatore o Messia. In questi gruppi di solito un paio di partecipanti
(indipendentemente dal sesso) si assumono il compito di preparare le condizioni per l’emergere di
un nuovo leader (o mettere al mondo una nuova idea) che risolverà tutti i problemi. Nessuna di
queste dinamiche contempla l’apprendimento e insegnamento reciproco, previsto invece
dall'approccio di Bion, che in modo estremamente radicale ed esplicito (Bridger, 1990) pone
come obbiettivo prioritario non la "soluzione dei problemi", ma la riflessione dal vivo da parte di
piccoli gruppi sulle proprie tensioni interne, con l'intento di evidenziare i segni del
comportamento nevrotico col loro bagaglio di frustrazioni, sprechi di energia, e di infelicità. Ed è
proprio l’assoluta priorità del capire e della riflessione fenomenologica rispetto all’urgenza di
trovare delle soluzioni, che sta alla base del successo dell'esperienza, misurato nella percentuale
di ufficiali che decidono di non ritirarsi a vita privata,ma di ritornare al fronte.
Le implicazioni di questo approccio alle difficoltà di comunicazione e di decisione anche in
ambienti lavorativi e della vita quotidiana , sono subito molto chiare fra i membri del Tavistock
e dei NTL e l’entourage di intellettuali loro amici. Per esempio Chris Argyris, in un libro del
1957 intitolato Personality and Organization, documenta l’utilità della distinzione fra assunti di
lavoro e assunti di base per la comprensione delle tensioni interne al management delle grandi
organizzazioni. Argyris, che in gioventù è stato uno dei principali collaboratori dei NTL, nel libro
in questione mostra con una pletora di esempi che le grandi corporations trasformano
inevitabilmente i propri manager in persone dai comportamenti infantili. In questi ambienti,
infatti, da un lato si è tutti convinti che i manager devono essere dotati di grande fiducia in se
stessi e grande iniziativa personale, dall’altro la presenza di persone mature, dal pensiero
indipendente, viene vissuta come una minaccia. Come già indicato da Bion relativamente ai
gruppi di ufficiali in crisi, anche i manager vivono una condizione di doppio legame: se dicono
quello che pensano vengono considerati inadatti al lavoro di gruppo, se accettano un ruolo più
inoffensivo suscitano dubbi sulle loro capacità di leadership. Di qui il valore dei T groups che
mettono gli individui nella condizione di riflettere sui vincoli e automatismi impliciti nelle
proprie interazioni e di riconoscere quando stanno mettendo in atto modi di pensare e di
relazionarsi distruttivi. Al tempo stesso bisognava ammettere che tutti i progetti più ambiziosi
attivati dai NTL, dopo le prime fasi esaltanti, fallivano miseramente.
Uno dei più importanti ha riguardato nel 1963 -1964 un intervento formativo rivolto ai funzionari
del Dipartimento di Stato Americano, famosi per i loro litigi nonostante fosse loro compito
gestire ambasciate, consolati e i rapporti diplomatici in giro per il mondo. Nel 1963, ancora sotto
l’impulso innovatore della presidenza Kennedy, un gruppo di esperti dei NTL venne incaricato di
fornire a questi funzionari competenze di team building e di gestione creativa dei conflitti. La
reazione dei partecipanti fu entusiasta: il laboratorio portò a galla una quantità di incomprensioni
e malintesi ricorrenti fra diplomatici e fra diplomatici e amministrativi e insegnò loro come
trasformare questi dissensi in modo creativo e costruttivo. I commenti erano del tipo “Pensate se
si riuscisse a fare un T group con i russi e gli israeliani !!” Ma non appena si arrivò al terzo
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stadio (ricongelare) ovvero al tentativo di far funzionare normalmente intere sezioni secondo
questi principi, la struttura di potere dominante si mise in moto come uno schiacciasassi e i saperi
e relazioni costruiti nei T group si mostrarono privi di difese. Visti con le lenti delle gerarchie
tradizionali i dirigenti che “rinunciano al controllo” sono degli incapaci. William Crockett, il
sottosegretario che aveva favorito questo progetto, fu emarginato e nel 1967 diede le dimissioni.
Il rapporto scritto da Argyris sull’intera vicenda venne considerato oltraggioso e si fece di tutto
per impedirgli di circolare.
Tutto il lavoro degli anni seguenti di Argyris può essere letto come un impegno ad andare a
fondo sulle ragioni di questi fallimenti: come evitare che i dirigenti che avevano imparato a essere
co-protagonisti e a mettere al primo posto il futuro aziendale, alla prime situazioni di tensione
ridiventino dei burocrati preoccupati solo della loro carriera? Nel 1971 Argyris si trasferisce ad
Harvard dove in una ricerca della Fondazione Ford sulla leadership nelle scuole, di nuovo pone al
centro i suoi interrogativi impertinenti: come mai anche quando le loro conoscenze si dimostrano
palesemente inadeguate, questi professionisti vi rimangono attaccati? Come mai non esplorano
altre possibili impostazioni, in primis quelle avanzate dai loro rivali ? (Kleiner, 1996, pag 252)
Sono queste le basi per la feconda e durevole collaborazione con il filosofo del MIT, Donald
Schon, il quale nel libro intitolato Il Professionista Riflessivo, descrive cosa fanno invece i
professionisti quando non rimangono vittime di questa strana mancanza di curiosità per altri
mondi possibili e illustra come si trasforma l’idea stessa di competenza professionale, quando il
professionista opera in base a una epistemologia per la quale i risultati sono il prodotto di una
molteplicità di interazioni contestuali e non frutto di catene causali-lineari. La collaborazione fra
Argyris e Schon ha prodotto una “teoria dell’azione-scienza ”(che sostanzialmente rilancia una
concezione della ricerca scientifica imperniata sui principi Lewiniani) divenuta un riferimento
obbligatorio per chi si occupa di apprendimento nelle e delle organizzazioni. Alla base di questa
teoria ci sono due nozioni: la distinzione fra teorie dichiarate e teorie in uso e il concetto di
double loop learning. La distinzione fra teorie dichiarate e in uso (che ricorda quella di Bion fra
assunti di lavoro e assunti di base) è la seguente. Le prime coincidono con i principi e
atteggiamenti sul mondo che scegliamo e che siamo convinti di seguire, le seconde si ricavano
dai modi effettivi in cui ci comportiamo in situazioni di tensione e di crisi. I funzionari uscivano
dai seminari T group per davvero convinti che il metodo del bastone e della carota non fosse più
adatto alla complessità delle loro organizzazioni e che si dovevano adottare approcci più
partecipativi e dialogici. Ma quando, tornati sul lavoro, emergevano delle difficoltà, si
accorgevano che gli unici principi di cui si fidavano e che sapevano far funzionare erano ancora
quelli del bastone e della carota. Il cambiamento delle teorie in uso è più complesso di quello
delle teorie dichiarate. Per metterlo in atto bisogna continuare a far emergere le teorie in uso in
situazioni sempre nuove (praticando l’osservazione circolare, delle reazioni alle reazioni) e creare
spazi e predisporre dei modi operandi che consentono di vivere come se le teorie in uso fossero
già cambiate. Il ricorso a facilitatori può servire a questo, nella misura in cui gli stessi sono i
garanti erga omnes di nuovi giochi, di nuove regole e di spazi di sperimentazione delle stesse. La
formula “simulare per innovare” (Schrage, 2000) ha le sue radici in queste considerazioni
teoriche di Argyris e Schon.
Il concetto di double loop si ispira a quello di “deutero-apprendimento” di Gregory Bateson e
riguarda la distinzione fra cambiamenti che avvengono all’interno di un contesto di cui siamo
parte e cambiamenti di quei contesti, e quindi fra cambiamenti che richiedono la messa in
discussione di assunti dati per scontati (double loop learning) e cambiamenti che avvengono nel
quadro di quegli stessi assunti (single loop learning). Cambiare le teorie in uso richiede una serie
di double loop learning, non basta, come nei T group, essere aperti a informazioni sui
meccanismi di difesa e sui paraocchi mentali incorporati nelle dinamiche della propria identità,
del proprio ruolo professionale e della vita organizzativa. L’azione-scienza, secondo questi due
autori, aiuta l’azione- ricerca a porsi queste distinzioni e apre la strada alla implementazione di
decisioni che richiedono il cambiamento di abitudini radicate.
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4. Strutture di potere e governance: le fabbriche e il territorio, Eric Trist e Frederick Emery.


L’approccio del Tavistock di Londra si intreccia e in parte sovrappone a quello dei NTL anche
con “scoperte parallele”, ma, pur essendo non meno visionario e radicale, è espressione di un
ambiente teoricamente più sofisticato e sperimentalmente meno ingenuo. In particolare qui mi
riferisco ai lavori di due esponenti dell’ala “non psichiatrica” del Tavistock, Eric Trist ed Fred
Emery che hanno lavorato e insegnato entrambi in molti paesi di quasi tutti i continenti. La teoria
inbase alla quale operano e che hanno contribuito a sviluppare è quella dei sistemi aperti, per la
quale hanno un rilievo decisivo le caratteristiche dei contesti, in particolare se l’ambiente in cui
opera è statico, in lento cambiamento o rapida evoluzione. Le burocrazie moderne, per esempio,
efficaci in ambienti in lento cambiamento, sono totalmente inadeguate in ambienti complessi e
“turbolenti”, dove è necessaria un’organizzazione a rete (che chiamano “democrazia
organizzativa”). Eric Trist e Federick Emery definiscono “turbolenti” i contesti caratterizzati da:
fragmentazione e differenziazione sociale, interdipendenza e diffusa conflittualità. Una prima
straordinaria occasione di mettere alla prova le teorie dei sistemi aperti in un tale contesto si
presentò nel 1960 quando venne loro chiesto di realizzare un corso di “leadership” per i manager
di due grandi industrie produttrici di motori aerei, la Armstrong-Siddeley e la Bristol Aero-
Engines, che si stavano fondendo per reggere la concorrenza della Rolls Royce, ma i cui stili di
lavoro e filosofie imprenditoriali non potevano essere più diversi (Weisborg, 1992). Al posto del
corso richiesto venne organizzata una settimana di clausura durante la quale i manager dei due
gruppi sperimentarono una modalità di indagine e di soluzione dei problemi, dalla quale uscirono
con un nuovo senso di comune appartenenza basato sulla elaborazione di una visione condivisa
del futuro aziendale e perfino col progetto di un airbus, un aereo di piccole dimensioni per
collegamenti lungo linee territoriali oberate dal traffico automobilistico. Era nata la “Search
Conference” (Weisborg,1992 pp 24-30) che negli anni seguenti fu praticata nei cinque continenti,
su problemi di progettazione aziendale, sviluppo di comunità, progettazione urbana, risoluzione
di conflitti internazionali (Weisbord 1992, M Emery e R.Purser, 1996, R. J. Fisher,1997). Poi,
negli anni ’80 vi è stato un periodo di calo, in cui i trend di tipo economico e tecnocratico in atto
nel mondo sono stati assunti o come positivi e intoccabili, e infine negli anni ’90 la Search
Conference è stata riscoperta come progenitrice di una fioritura di approcci analoghi che vanno
sotto il nome di “Large Group Interaction Methods” (Bryson e Anderson, 2000) e Consensus
Building Approach (CBA), di cui mi occuperò più avanti.
Un altro parallelo e fertile filone di intervento ebbe origine nel 1947, quando un allievo di post –
dottorato al Tavistock invitò Trist a visitare una miniera di carbone a Haighmoor che aveva
questa peculiarità: a causa della sua conformazione non era stato possibile riorganizzare il lavoro
secondo i principi della rivoluzione industriale e tuttavia i suoi livelli di produzione erano più alti
di quelli nelle miniere concorrenti. Trist e il suo allievo si fermarono a studiare il caso e
scoprirono che i minatori avevano inventato una struttura organizzativa che era un ibrido di
tradizioni antiche di lavoro e tecnologie post belliche. Lavoravano in gruppi nei quali ognuno di
loro era in grado di effettuare una mezza dozzina di mansioni e i cui membri decidevano
autonomamente sia la quantità e qualità del lavoro da svolgere che la vendita del carbone ricavato
e si facevano carico di provvedere al mantenimento delle rispettive famiglie in casi di incidenti o
decessi. I vari gruppi collaboravano nel fissare i principi organizzativi generali, ma erano anche in
competizione fra loro arrivando a volte a vere e proprie risse. Nel complesso, la miniera di
Haighmoor era molto più sicura e produttiva di quelle industrializzate perché i lavoratori
sentendosi padroni del proprio lavoro vi apportavano continue modifiche che aumentavano
assieme la loro sicurezza e la produttività. Trist ne ricavò una idea guida dei suoi lavori futuri:
che aspetti vernacolari e industriali potevano diventare complementari invece che rivali. Il
termine coniato per questa idea fu: “sistema socio-tecnico”. Ma quando egli, in stile Kurt Lewin,
chiese di sperimentare questo tipo di organizzazione in altre miniere, si trovò di fronte un muro di
allarme e di rifiuto. Il sistema socio-tecnico approdò invece nel 1962 in Norvegia dove
l’università di Oslo chiese a Trist ed Emery di far parte di un team di lavoro sulla “democrazia
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industriale” e dove numerosi manager delle imprese di stato norvegesi riconobbero nei principi
del decentramento decisionale socio-tecnico una modalità organizzativa molto simile a quella che
da giovani avevano praticato per combattere l’invasione nazista. Questi studi ed esperienze
ispirarono in seguito il design (“da capo a piedi”) di interi stabilimenti industriali negli Stati Uniti
(Kleiner, 1996, pag 71 e sgg) e poi in India, Canada, Australia e sono ancora oggi riferimenti
fondamentali per chi si occupa di studi organizzativi, democrazia deliberativa e progettazione
territoriale partecipata. Detto questo, si tratta pur sempre di esperienze veramente “eretiche” il
cui successo è l’altra faccia del loro isolamento e della dichiarata condizione di “eccezionalità.”

B. L’Età della Divulgazione e Istituzionalizzazione.


1. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR): Getting to Yes.
Nel 1981 esce negli Stati Uniti Getting to Yes. Negotiating Agreement Without Giving in, di
Roger Fisher e William Ury, che diventa rapidamente "il testo" della Alternative Dispute
Resolution(ADR). E' un libro veramente "americano", sia come titolo che come stile espositivo,
un libro di know how apparentemente spicciolo, del tipo "basta sapere come si fa e il problema è
risolto." Niente teoria, niente citazioni, solo una serie di esempi, frutto di una casistica molto
ampia che va dal conflitto sull'entità dell'affitto col padrone di casa, all'accordo di Camp David
del 1979 (al quale effettivamente i due autori hanno contribuito in veste di consulenti del
Presidente Carter). Diventa subito un bestseller strepitoso, che vende milioni di copie, ma, per
quanto riguarda il nostro discorso, i nessi con gli interrogativi e raffinatezze epistemologiche
dell'azione-ricerca, non sono evidenti. Eppure, anche grazie ad arricchimenti e adattamenti
successivi che cercherò di illustrare in questa sezione, l'ADR è divenuto il perno di una rilettura e
rilancio di tutti i motivi ed esperimenti sui quali l'azione-ricerca si era misurata nei cinquant' anni
precedenti. In altri termini: l'impostazione dell'ADR, anche se a prima vista può apparire
semplicistica, di fatto aiuta a comprendere meglio certi aspetti e dinamiche dell'ascolto pro-
attivo, rendendolo per davvero più facilmente praticabile da chiunque sia interessato a farlo.
Vediamo di che si tratta.
Quando siamo parte in causa di una dinamica conflittuale o impegnati in un negoziato difficile -
ci fa notare Getting to Yes - il repertorio di comportamenti al quale facciamo riferimento è
descrivibile in termini di due ideal-tipi: il negoziatore "mite" e quello "duro." Quasi tutti noi
oscilliamo, chi più chi meno, fra l'uno e l'altro, oppure (sempre più spesso) se possiamo
"divorziamo", rompiamo il rapporto. Se scorrete le prime due colonne della tabella qui sotto,
vedrete che il negoziatore o negoziatrice mite tratta gli interlocutori come "amici", ha come scopo
trovare un accordo e a questo fine è disposta a fare concessioni, è mite con l'interlocutore e
disponibile sul merito del problema, ha un atteggiamento fiducioso, è flessibile, fa continuamente
nuove proposte ed è anche disposta se necessario a sacrifici unilaterali. Il negoziatore duro,
intransigente, al contrario, vede l'interlocutore come un avversario, ha come scopo la vittoria,
minaccia ritorsioni, è duro sia con l'interlocutore che sul merito del problema, è convinto che non
ci si deve mai fidare, non si smuove dalle proprie posizioni di partenza e gli sembra ovvio che gli
vengano concessi vantaggi unilaterali.
E' chiaro a tutti noi che se un negoziatore/negoziatrice mite ha a che fare con un interlocutore
duro, è spacciata. Anche un negoziatore duro che ha a che fare con un altro duro, non ha una vita
molto facile. Ma che altro si può fare?
Provate da soli a riempire la terza colonna, che dovrebbe descrivere i comportamenti del
negoziatore alternativo/creativo, il quale non è né mite né duro, esce dalle strettoie dei due ideal
tipi. Se i protagonisti di una disputa, di un conflitto, di un negoziato con posizioni molto
divergenti, non sono né amici né avversari, cosa altro possono essere? Se lo scopo non è né un
accordo né la vittoria, che altro sarà ?
Le risposte dell'ADR le riportiamo qui sotto, ma prima di leggerle prendete una matita e provate a
rispondere da soli. E' un esercizio molto utile che, proiettato su uno schermo, ha fatto toccare con
mano a intere scolaresche e platee (oltre che a milioni di lettori), uno dei limiti principali della
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nostra educazione e cultura: la nostra ignoranza in gestione creativa dei conflitti e saperi correlati.
Nelle società contemporanee è sempre più vitale saper trasformare i conflitti in occasioni di
crescita e apprendimento sia individuale che collettivo e invece, in assenza di questi saperi di
base, è come se l’umanità si trovasse a dover correre con una gamba sola.
Adesso, leggendo i contenuti della terza colonna (sotto la tabella) vediamo assieme quali sono i
comportamenti e le dinamiche che "cambiano il gioco."

Gestione Creativa dei Conflitti: Schema Generale


NEGOZIATORE POSIZIONALE: NEGOZIATORE ALTERNATIVO:
Mite Duro Creativo
I PARTECIPANTI SONO
Amici Avversari Che altro ?
LO SCOPO É
L'accordo La vittoria ?
CONCESSIONI
Fatte Pretese ?
Mite con la gente Duro con la gente ?
e sul problema e sul problema

FIDUCIA
Fiducia Sfiducia ?

CAMBIARE LA POSIZIONE
Cambia Bloccato ?

LE OPZIONI
Fa proposte Fa minacce ?
Si sacrifica Esige vantaggi
unilateralmente unilaterali

Terza colonna. I partecipanti non si considerano né amici, né avversari, ma "solutori di


problemi." Questo implica un passaggio dal "io - tu" al "noi." Da:"Spendi troppo!" "No, sei tu
che hai le mani bucate!" a: "Come facciamo ad arrivare a fine mese senza il conto in rosso?"
Scopo: un esito equo, efficace, duraturo, saggio. E specialmente diverso da quelli che ognuno
aveva in mente in partenza, in quanto rifletterà ciò che si riuscirà ad imparare grazie alle
divergenze. Gli interlocutori concentrano l'attenzione non sul difendere/spiegare le proprie
ragioni, ma sul capire bene le ragioni dell'altro, senza per questo rinunciare alle proprie. Sono:
miti con l'interlocutore e duri sul problema. Questa formuletta, divertente perché risponde ad un
o/o (o mite o duro) con un e/e (sia mite, con la persona, che duro sul merito del problema), non è
però molto chiara. Sembra quasi un suggerimento ad essere ipocrita.
Nel gioco del mite o duro, essere gentili con la persona implica una disponibilità anche nei
contenuti, oppure un tentativo di circuirla. E quindi, che suggerimento è mai questo? Per capire di
cosa si tratta bisogna scendere lungo la colonna (saltando per il momento la questione della
fiducia) a "cambiare la posizione." Il mite la cambia spesso, è "flessibile", come si dice oggi; il
duro non molla. Il creativo fa la mossa del cavallo: passa dalle posizioni agli interessi. Usa cioè
le posizioni di partenza per risalire agli interessi e preoccupazioni più generali che le giustificano.
In Getting to Yes questo passaggio è molto ben illustrato da una serie di esempi. Ne riporto due.
Quello più semplice e più famoso, è il seguente:
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Primo Esempio: La finestra della biblioteca.


Due persone in una biblioteca pubblica litigano perché una vuole tenere la finestra spalancata e
l'altra la vuole chiusa. Il primo si offre di lasciarla socchiusa, all'altro non va bene, ecc.. La
bibliotecaria interviene e chiede al primo perché vuole la finestra aperta. Risposta: "Ho bisogno di
aria fresca" Chiede al secondo perché la vuole chiusa: "Per evitare la corrente che mi fa venire i
reumatismi."
La bibliotecaria ci pensa un po’ e poi va a spalancare la finestra della stanza accanto: cosí nella
stanza ci sarà aria fresca senza corrente.
La posizione é ciò che le parti chiedono (finestra aperta/ chiusa),
Gli interessi sono ciò che le ha portate a prendere quella posizione (bisogno di aria/ evitare
correnti) .
Per il negoziatore creativo il problema è trovare delle risposte non alle posizioni, ma agli interessi.
E' importante sottolineare che in questo caso la bibliotecaria non fa emergere alcun elemento
nuovo di conoscenza. Che l'uno avesse bisogno di più aria e l'altro volesse evitare le correnti, i
due nel corso del litigio se l'erano ovviamente già detto. La differenza sta nel modo e qualità
dell'ascolto. Nel diverbio fra i due litiganti la finestra rimane sempre in primo piano: "più aria" =
"finestra aperta", "no alla corrente" = "finestra chiusa." Chi adotta l'ascolto attivo lascia sullo
sfondo la finestra e si chiede: "Come si fa a garantire all'uno di respirare meglio e all'altro di
evitare le correnti?" E' il mettere in primo piano gli interessi al posto della specifica
rivendicazione che consente la moltiplicazione delle opzioni: se c'è una stanza adiacente, si
userà quella, se non c'è si può proporre ad uno dei due di spostarsi in un'altra sala o portarsi i libri
a casa o al bar , o fotocopiare quel articolo o quel capitolo e così via. E' il senso di essere ascoltati
("mi faccio carico dei tuoi problemi e m'impegno in tutti i modi a cercare di risolverli") che crea
le condizioni della fiducia.
Dunque: è il passaggio dalle posizioni agli interessi la mossa cruciale, caratteristica dell'ascolto
pro-attivo, che apre la porta alla ricerca di altre opzioni e alla individuazione di soluzioni
alternative inedite ( Sclavi e Susskid, settembre 2011) .
Secondo Esempio: L’accordo di Pace di Camp David del 1979.
Israele aveva occupato i territori del Sinai dal 1967 (guerra dei sei giorni). Nel 1978 per iniziativa
di Jimmy Carter, iniziano gli incontri nella residenza Presidenziale di Camp David, nel Maryland,
fra i rappresentanti di Israele (Pres. Begin) e dell’Egitto (Pres. Sadat).
Posizioni: Israele: Disposti a restituire solo parte del territorio occupato. Egitto: Restituzione
dell'intero territorio nazionale. Discussione sulle posizioni: vari tracciati di nuovi confini, tutti
rifiutati.
Interessi: Israele: Sicurezza. Egitto: Sovranità.
Accordo: L’intera parte occupata del Sinai restituita all’Egitto, ma dichiarata zona
smilitarizzata. Ovunque bandiere egiziane, nessun fucile o carro armato.
Le domande generali per identificare gli interessi sono:
a ) Quali sono i bisogni, le speranze, i timori, i desideri che quella posizione soddisfa?
b) Come percepiscono le posizioni e rivendicazioni dell'altra parte? Come mai le rifiutano; cosa
impedisce loro di accettarle?
c) In che modo sono coinvolti gli interessi umani basilari e cioè:
sicurezza - benessere economico - senso di appartenenza - riconoscimento sociale - controllo
sulla propria vita?
Risalire dalle posizioni agli interessi conviene perché: A. per ogni interesse generale ci sono di
solito una quantità di opzioni possibili. (Spesso la meno ovvia é quella più efficace); B. le
domande e risposte per mettere a fuoco una definizione condivisa degli interessi sono già dialogo,
la ricerca congiunta di altre opzioni è già collaborazione e C. dentro un paniere più ampio di
opzioni si possono trovare più facilmente delle soluzioni di mutuo gradimento e reciproco
vantaggio.
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Tendiamo ad assumere che poiché le posizioni sono opposte, anche gli interessi dai quali
derivano siano opposti. Non è così. Passare dalle posizione agli interessi sovrastanti permette di
far emergere interessi condivisi e compatibili, oltre che quelli opposti.
In sintesi: ogni volta che la negoziazione si presenta come complessa (cioè non arriva ad una
soluzione soddisfacente per le parti) quello posizionale non è un buon metodo di negoziazione in
quanto lascia sullo sfondo le preoccupazioni e gli interessi più generali e produce accordi meno
soddisfacenti e creativi di quanto sarebbe possibile; di solito accordi che sono una via di mezzo
fra le due posizioni iniziali.
2. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR). Getting Past NO.
Fisher e Ury nel loro testo avevano individuato quattro principali ostacoli all’invenzione di nuove
opzioni nel corso delle negoziazioni:
1. Giudizio prematuro
2. Ricerca della risposta giusta (the one best way )
3. Assumere che la torta è data, non si può espandere (gioco a somma zero)
4.Considerare “i loro problemi”, “cosa loro”
Dieci anni dopo, nel 1991, escono contemporaneamente, la seconda edizione di Getting to Yes e
un libretto di William Ury intitolato Getting Past No. Negotiating Your Way From a
Confrontation to Cooperation. Getting to Yes 1991 vede l'aggiunta di un nuovo autore, Bruce
Patton, e di una appendice con le domande e critiche suscitate dal libro, molte delle quali
riguardano una difficoltà sottovalutata dagli autori: cosa fare quando una parte non ha alcun
desiderio di arrivare a un accordo. Il libro di Ury è interamente dedicato a queste situazioni, in
cui l’interlocutore è reticente, vede lo stesso instaurarsi di un negoziato come un cedimento. Si
tratta di una integrazione fondamentale e per molti versi innovativa, che sviluppa quella che
l’autore chiama una “strategia di azione indiretta.” Vediamo di che si tratta.
L’interlocutore: difensivo, ostile, sospettoso, chiuso in se stesso, non desideroso di accordo che
interpreta come un fallimento.
Strategia dell’approccio indiretto: aggira gli ostacoli, usa la loro forza, la loro resistenza per
giungere alla meta. Metafora: come quando si va a vela e per arrivare in porto, di fronte alla
resistenza dei venti e delle maree, si procede a zig zag sfruttando la loro forza.
Azione indiretta: richiede che si adotti un comportamento opposto a quello che ci verrebbe
spontaneo e naturale in situazioni di tensione e ostili.
Obiettivo: Abbattere le barriere non è tuo compito. Solo loro possono abbattere le barriere,
sfondare i muri della loro resistenza. A te spetta aiutarli creando le condizioni più favorevoli per
farlo.
Altra metafora: judo, aikido: non offrire con la tua resistenza ai loro attacchi dei punti di
appoggio sui quali possono continuare a far leva. Accogli quello che dicono o fanno come un
contributo alla soluzione del problema. "Adesso capisco meglio.” “ Siamo qui proprio per trovare
una soluzione a queste tue preoccupazioni" " Aiutami a capire meglio perchè vuoi questo”..ecc. "
Scopo: gli interlocutori devono riuscire a vedere se stessi non faccia a faccia, non gli uni contro
gli altri, ma impegnati fianco a fianco su un problema comune, che si cerca di inquadrare da una
serie di angolazioni inedite. Cercare un accordo non è in questa fase lo scopo prioritario.

Tavola sinottica della Strategia di Azione Indiretta.

Scopo: Ostacolo: Strategia:


Soluzione Barriere Approccio
cooperativa alla coop. indiretto

Dalla stessa Le tue reazioni Va sul balcone


parte del tavolo Le loro emozioni Schierati al loro fianco

Affrontare Le loro Metti a fuoco gli interessi


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il problema posizioni non le posizioni

Raggiungere O duri Inventa nuove opzioni


un accordo o perdenti che accolgono gli interessi
mutualmente di entrambe le parti
soddisfacente

Nota Bene: Il rispetto della sequenza strategica è fondamentale: senza “andare sul balcone” non si
può schierarsi al loro fianco, senza queste premesse non si possono mettere a fuoco gli interessi,
senza aver messo a fuoco gli interessi non si possono esplorare nuove opzioni e ampliare le scelte
possibili. Ogni passo successivo trae forza e legittimazione da quelli precedenti, i quali tuttavia
vanno continuamente riverificati e ribaditi. Quindi: non si può saltare in avanti, ma si può e si
deve tornare indietro quando risulti necessario.
Le reazioni più naturali di fronte a una persona che reagisce in modo difensivo-aggressivo, sono (
Watzlawick et al, 1971) :
a.Simmetrica: lui attacca, io contrattacco, lui urla, io urlo ancor più forte.
b. Complementare: subisci, ti adegui.
c. Rompere il rapporto. (Divorzio)
In tutti e tre questi casi non si esce dalle cornici iniziali. Nel primo ci opponiamo dal punto di
vista delle nostre azioni, ma collaboriamo sul piano relazionale: ci ha proposto di confliggere e
noi lo facciamo. Nel secondo di nuovo accettiamo la relazione, questa volta subendola. Nel terzo
abbandoniamo la nave, rinunciando a cambiarla col rischio che la prossima volta che ci
imbarchiamo ci troveremo nelle stesse condizioni. La ricetta dell’azione indiretta al contrario, in
modo molto simile alle ricette della pragmatica della comunicazione umana, che però non è
conosciuta dagli autori di Harvard, è basata sul ridefinire e cambiare la relazione: va sul balcone,
schierati al loro fianco, prendi tempo, agisci in modo indiretto.

3. Il Confronto Creativo: la politica ridefinita sull'onda di un circolo virtuoso Società Civile-


PA-Università.
Alcuni scorci di storia. Nel 1983 una decina di pionieri di "Soluzione Alternativa delle Dispute
Pubbliche" si riunì a Florissant, in Colorado, per discutere come sviluppare una terminologia
condivisa e trovare i fondi per sopravvivere. Dieci anni dopo gli stessi professionisti più una
cinquantina di nuovi adepti si trovarono a Charlottesville, in Virginia, in una atmosfera
completamente diversa: ai mediatori di dispute ambientali (per lo più esperti in casi “not in my
backyard”) si affiancavano mediatori e facilitatori di (così si era deciso nel frattempo di chiamarlo
) Consensus Building Approach (CBA), i quali collaboravano su un vasto arco di problemi con
numerosi settori delle pubbliche amministrazioni a tutti i livelli, da locale a federale. Erano
presenti anche una decina d'imprese di consulenza nel campo delle dispute pubbliche, con bilanci
annui di tutto rispetto. Il problema principale non era più come trovare i fondi per campare, ma
come far fronte alle crescenti richieste in termini di formazione del personale e di strumentazione
teorica e pratica efficace e condivisa. Ancora dieci anni dopo, oltre che nel campo dei conflitti
ambientali e di comunità, il Confronto Creativo era presente sia sul terreno della progettazione
partecipata a livello urbanistico che su temi di riforma istituzionale ed era divenuto un metodo
ufficialmente adottato nella legislazione federale e di vari stati per la stesura dei regolamenti
legislativi più controversi (“negotiated rule-making” o “reg-neg”).
Il libro che per primo ha proposto in modo sistematico il Consensus Building come metodo per
risolvere le dispute pubbliche è Breaking the Impasse. Consensual Approaches To Resolving
Public Disputes (1987) di Lawrence E. Susskind e Jeffrey Cruikshank. Questo libro illustra
attorno a una serie di “casi” una quantità di processi decisionali pubblici partecipati messi in atto
negli anni ’80. Dal punto di vista della storia che qui stiamo delineando è un testo molto
interessante perché l’orizzonte in cui si muove è la crisi della democrazia e i suoi rimedi in
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termini di più democrazia (come per gli “eretici” di cui abbiamo parlato), realizzata fondendo
assieme l’impostazione e il linguaggio della ADR con le solide radici teoriche ed epistemologiche
della tradizione delle Group Dynamics e dell'azione-ricerca. Il Consensus Building, che da qui in
poi in italiano (cercando una traduzione fedele al senso e non alla lettera) chiamerò “Confronto
Creativo”(CC), si presenta come un metodo di discussione multi-attoriale altamente specializzato
che richiede una svolta altrettanto radicale, specifica e rigorosa, di quella che ha fondato il
metodo della discussione parlamentare agli inizi della democrazia. Il messaggio generale è che i
negoziatori e facilitatori alternativi riusciranno ad affermarsi solo se la cultura dell'ADR e del CC
diventerà luogo comune per i comitati di cittadini, operatori sociali, imprenditori, sindacalisti e se
l'adozione di queste metodologie verrà promossa dai leader politici e dai manager e funzionari
della PA.
Così come l'ascolto attivo rimanda alla gestione creativa dei conflitti e viceversa, entrambi questi
know-how confluiscono nel Confronto Creativo, che ne è lo sviluppo sul piano delle decisioni
collettive. Mentre la ADR nasce dallo studio di situazioni di contrattazione e negoziazione fra
posizioni divergenti, il CC nasce sul terreno della progettazione. Il CC non ha bisogno dell'
esistenza di uno o più conflitti per mettersi in moto, prende le mosse dalla necessità di sviluppare
decisioni su temi complessi in ambienti complessi e di trasformare le divergenze di interessi, di
soggettività, di livelli di lettura, in ricchezza progettuale. Nei suoi termini generali il mutamento
prefigurato segue una direzione più che conosciuta e assodata, ovvero che la soluzione efficace di
problemi gestionali e decisionali complessi solo raramente può avvenire sezionandoli e
affrontando ogni parte come un tutto a sé, lasciando il coordinamento a un vertice. All'opposto, la
gran parte dei problemi risultano irrisolvibili o mal risolvibili a causa dell'eccesso di
semplificazione delle questioni in gioco. Quindi si tratta di sfruttare la diversità sociale, la
molteplicità dei punti di vista, per ridare corpo alla complessità (che non è complicazione) e
saperla usare per la soluzione creativa dei relativi problemi.
Per poter connotare un processo decisionale come “Confronto Creativo” sono necessarie una serie
di condizioni, così riassumibili (Sclavi e Susskind, settembre 2011) :
1. inclusione di una cerchia più ampia e completa possibile di tutti i portatori di interessi, di
preoccupazioni e di punti di vista relativi al tema in discussione;
2. un tema che sia significativo per i partecipanti e che abbia un impatto duraturo nel tempo;
3. i partecipanti costruiscono delle regole ad hoc relative ai propri comportamenti e al
processo decisionale che vogliono adottare;
4. un processo che parta dalla comprensione dei reciproci interessi e non dalla negoziazione
delle posizioni;
5. un dialogo in cui la comprensione degli interessi, preoccupazioni, desideri sottostanti
alle posizioni porti alla invenzione congiunta di nuove proposte giudicate “migliori” dal
numero più vasto possibile di partecipanti;
6. la ricerca di un esito riconosciuto da tutti come risultato di un lavoro creativo condiviso,
nel quale non vi sono vincitori e perdenti e giudicato “accettabile” anche dai partecipanti
meno entusiasti.
7. la comprensione del fatto che il “consenso” è raggiunto solo quando tutti gli interessi in
campo sono stati esplorati e tutti gli sforzi sono stati fatti per soddisfare quanto li
concerne.
In sintesi, l’approccio del Confronto Creativo espande enormemente le dimensioni dell’ascolto e
della esplorazione congiunta di nuove idee e nuove possibilità, che nel processo democratico
classico vengono sacrificate dall’enfasi sul contraddittorio ( e quindi sulle posizioni di partenza) e
sulla decisione a maggioranza.
17

E' del 1999 l'altro libro che, grazie alla narrazione minuziosa e presentazione critica di venti
esperienze di CC in campi estremamente diversi, si propone di dimostrare che il Confronto
Creativo è un metodo con una struttura ben definita e al tempo stesso, come tutti gli approcci
adatti a situazioni complesse, dotato di una cassetta degli attrezzi ampia e in continua evoluzione,
fatta apposta perché ogni caso, ogni contesto possa essere valutato e valorizzato anche per le sue
caratteristiche singolari e oggetto di un percorso flessibile ad hoc. Il libro, intitolato The
Consensus Building Handbook (a cura di L. Susskind et al) nelle sue abbondanti 1500 pagine non
noiose porta ampia evidenza che questo risultato è stato possibile grazie all'instaurarsi, in alcune
località del mondo occidentale, di un circuito virtuoso fra: 1. Esigenze di trasparenza,
partecipazione e progettazione creativa nella società civile. 2. Centri universitari e di ricerca che
offrono una formazione sia di cultura generale che professionale centrata su queste nuove
competenze. 3. Una pubblica amministrazione che avverte l'utilità di questi nuovi strumenti ed è
disposta a favorirne la sperimentazione.
Per dare in questa sede una idea di come può cambiare la politica grazie a questo nuovo approccio
e anche per ribadire la tesi qui sostenuta e cioè che il CC è discendente diretto (forse nipote) della
azione ricerca, chiudo questo paragrafo con un elenco di domande che sono state la base di
altrettanti interventi, nelle due "età", quella degli eretici e quella dei divulgatori. Le prime ci
ricordano cose già dette in precedenza in questo articolo, le seconde sono tratte dal libro sopra
nominato e da un altro che uscirà in Italia a settembre 2011, di Sclavi e Susskind, intitolato
Confronto Creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati. Ecco l'elenco, sotto forma
di altrettante domande.
Alcune pietre miliari dell'età degli eretici:
1. 1942, Ospedale Militare di Northfield, Birmingham. Come trasformare un ospedale
psichiatrico che deve rimettere in sesto centinaia di giovani ufficiali traumatizzati dalla guerra in
un contesto in cui siano i pazienti stessi a curarsi vicendevolmente? (Wilfred Bion, nascita del
concetto e della esperienza di "comunità terapeutica")
2. 1946, Connecticut Workshop. Come trasformare una situazione di escalation dei conflitti
interetnici in occasione per riflettere sistematicamente sulle dinamiche dei conflitti nella vita
quotidiana e i loro rapporti con l'auto-consapevolezza emozionale? (Kurt Lewin, invenzione
dell'approccio "T group")
3. 1960, Londra, Tavistock Institute. Come creare un contesto in cui i manager di due grandi
industrie produttrici di motori aerei che si stavano fondendo, ma i cui stili di lavoro e filosofie
imprenditoriali non potevano essere più diversi, fossero in grado di usare le loro diversità per il
rilancio su nuove basi della nuova azienda e per costruire un nuovo senso di comune
appartenenza? (Eric Trist e Fred Emery, prima esperienza di "Search Conference")
Alcuni casi sui quali il CC si è fatto le ossa dal 1993 al 2008.
1. 1994, Colorado. Come utilizzare nel modo più efficace i fondi federali per la prevenzione
dell’AIDS-HIV ?
2. 1995, Massachusetts. Città di Chelsea, commissariata. Come far partecipare gli abitanti
alla stesura di un nuovo statuto capace di ristabilire la democrazia ed evitare che le cosche
criminali rimettano le mani sulla città ?
3. 1996, Washington DC. Vertenza fra il governo Federale Usa e 500 governi Tribali Indiani.
Come scrivere i regolamenti attuativi di una legge sul decentramento in modo da renderne facile
ed efficace l’implementazione ?
4. 1998, Sud Africa. Le relazioni sindacali nel dopo Apartheid. E’ possibile strutturare le
dinamiche negoziali sulla base del confronto creativo invece che della contrattazione ottocentesca
tradizionale ?
5. 2007-08, Italia. Modena e Livorno. Come far partecipare tutti i cittadini interessati alla
decisione sul che fare di un prezioso fabbricato di proprietà del Comune da ristrutturare ?
18

Sono tutti casi che i partecipanti hanno giudicato alla fine "risolti positivamente" e il cui accordo
finale è stato sottoscritto all'unanimità o quasi. Sempre l'esito più importante sono i nuovi rapporti
di collaborazione e capacità di iniziativa e leadership diffusa fra le parti in gioco.

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19

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Capitolo 2
Il circolo virtuoso società civile - pubblica amministrazione. (I casi sui quali il
Confronto Creativo si è fatto le ossa)

Il Confronto Creativo è oggi un metodo decisamente maturo, con una struttura ben definita e al
tempo stesso, come tutti gli approcci adatti a situazioni complesse, dotato di una cassetta degli
attrezzi ampia e in continua evoluzione, fatta apposta perché ogni caso, ogni contesto possa
essere valutato e valorizzato anche per le sue caratteristiche singolari e oggetto di un percorso
flessibile ad hoc. Questo risultato è stato possibile grazie all'instaurarsi, in alcune località del
mondo occidentale, di un circuito virtuoso fra: 1. Esigenze di trasparenza, partecipazione e
progettazione creativa nella società civile. 2. Centri universitari e di ricerca che offrono una
formazione sia di cultura generale che professionale centrata su queste nuove competenze. 3.
Una pubblica amministrazione che avverte l'utilità di questi nuovi strumenti ed è disposta a
favorirne la sperimentazione.
L'uscita di questo volume in Italia, sarà accompagnata da una serie di seminari1 sui requisiti
necessari a dei corsi di formazione che vogliano offrire queste competenze a una nuova classe
dirigente capace di promuoverle e su come sfruttare a questo fine un circuito internazionale già
operante.
Mentre i capitoli seguenti si occupano di illustrare il congegno del confronto creativo nelle sue
dinamiche specifiche e risvolti pratici, questo capitolo intende dare una idea, per quanto un po'
sommaria, di come può cambiare la politica grazie a questo nuovo approccio. Nei suoi termini
generali il mutamento prefigurato segue una direzione ormai più che conosciuta e assodata,
ovvero che la soluzione efficace di problemi gestionali e decisionali complessi solo raramente
può avvenire sezionandoli e affrontando ogni parte come un tutto a sé, lasciando il
coordinamento a un vertice. All'opposto, la gran parte dei problemi risultano irrisolvibili o mal
risolvibili a causa dell'eccesso di semplificazione delle questioni in gioco. Quindi si tratta di
sfruttare la diversità sociale, la molteplicità dei punti di vista, per ridare corpo alla complessità
(che non è complicazione) e saperla usare per la soluzione creativa dei relativi problemi.
Qui di seguito, dopo una premessa relativa ai rapporti fra diversità e competenza, sintetizziamo
alcune esperienze cardine, pionieristiche, grazie alle quali il CC si è fatto le ossa. In ognuna
l'interazione fra le tre facce del circolo virtuoso sopra nominato, cioè fra nuove esigenze della
società civile, formazione, e PA, è fondamentale. Quando si parla a questo proposito di
"rivoluzione culturale", bisogna aver chiaro che non ha senso oggi una rivoluzione culturale
dalla quale in particolare la PA sia esclusa2.
I criteri in base ai quali queste esperienze sono state scelte da un archivio ormai molto vasto
sono i seguenti: 1. casi che fanno venire in mente annose situazioni italiane (es: una cittadina
travolta dalla corruzione e relazioni industriali bloccate da ideologie ottocentesche del
comandare e della lotta di classe); 2. casi che illustrano come le caratteristiche dell’inclusività e
della trasparenza influiscono sulla qualità dell'esito (es: evitare la distribuzione a pioggia dei
fondi pubblici, garantendo invece la partecipazione di tutti i soggetti interessati alla definizione
delle linee guida sul loro uso); 3. leadership facilitativa e i concetti di "pluri-empatia" e di
“equi-vicinanza”; 4. gli anticorpi alle derive autoritarie, al ricorso alla violenza e ancor prima
alla sciatteria nella gestione della cosa pubblica. Infine (5) i casi sono presi fra quelli ben
documentati nella letteratura, per cui chi voglia approfondirli ulteriormente (visto che in questa
sede dobbiamo limitarci alle grandi pennellate) potrà farlo.
Sono tutte situazioni estremamente intricate che solo dopo aver dato spazio, con una dinamica
che ricorda le teorie del caos, alla propria specifica e contingente complessità, man mano si
dipanano per lasciar emergere soluzioni riconosciute unanimemente come sorprendenti e valide.
Ma come questo avviene si vedrà meglio nei capitoli seguenti.

1
Ai quali sono invitati tutti coloro che già si muovono su questi terreni, per cui per favore, se non vi avremo
contattato, fatelo voi. Oggi sul Web trovate facilmente le mail degli autori e/ o dell'editore.
2
Vedi Sclavi M.: “Quando la costruzione di common ground è un problema di ordinaria amministrazione”.
Territorio, Politecnico di Milano, vol. 29-30, Franco Angeli, 2004 (Anche scaricabile dal Web, reperibile digitando
il titolo dell’articolo )

16
Premessa: la diversità e i suoi rapporti con la competenza.
Nel 1995 un giovane professore di economia che lavorava a Cal Tech (California Institute of
Technology a Pasadena, Los Angeles) di nome Scott Page ha costruito col computer un modello
matematico per studiare l’ottimizzazione delle condizioni e strategie nella soluzione dei
problemi. Il modello, che metteva a confronto gli esiti di gruppi composti dai migliori esperti
con quelli di gruppi scelti in maniera casuale, diede un risultato inaspettato e contro intuitivo:
quasi sempre "la diversità dava scacco alla competenza."3 Trasportato nel sociale questo
modello può essere così ridefinito: se presentiamo uno stesso problema a due gruppi, uno dei
quali composto esclusivamente di esperti e l’altro “differenziato”, in cui cioè sono presenti tutte
le posizioni di tutte le persone che hanno a cuore quel problema, il secondo gruppo arriva
sistematicamente a soluzioni migliori. A ben pensarci, la differenza è che del secondo fanno
parte anche gli esperti, mentre del primo solo gli esperti. Ovvero: l’inclusività è vincente.
Piuttosto che di scacco, sarebbe dunque più giusto parlare di un principio della maggiore
efficacia delle decisioni inclusive.
Le pratiche del CC sono una sistematica applicazione e dimostrazione di questo principio. Un
esempio. La definizione del piano strategico quinquennale per lo sviluppo dell’Estuario di
Casco Bay nel Maine (un’area vasta e complessa piena di fiumi, boschi, insediamenti abitativi,
isole e con forti problemi d'inquinamento) facilitata nel 1992 con l’approccio del CC4, ha
coinvolto oltre a gruppi di scienziati ed esperti anche le seguenti categorie: agricoltori,
amministratori locali, operatori delle coste fluviali e marine, proprietari di casa, pescatori,
imprenditori e commercianti, forestali, gruppi di ambientalisti, operatori dei servizi sociali e
della salute. Tutte queste categorie sono state coinvolte non solo per indicare le loro rispettive
preoccupazioni e priorità, ma anche per riflettere e discutere sull’insieme delle conoscenze così
raccolte e contribuire a definire sia la mission, cioè i valori e ideali ai quali il piano deve
ispirarsi, che gli interventi specifici. In Italia per contrasto viene immediatamente in mente il
caso dei Treni ad Alta Velocità (TAV) in Val di Susa, dove l'esclusione degli abitanti dal
progetto ha provocato la loro rivolta e il blocco dei lavori. Varrebbe la pena confrontare il
piano-TAV del 2005, presentato come indiscutibile perché elaborato “da tecnici ed esperti
secondo direttive elaborate a livello europeo" con il progetto della fine del 2009, risultato di un
vasto anche se tardivo processo di consultazione e coinvolgimento della popolazione. Noi
abbiamo pochi dubbi che il secondo, molto più complesso e articolato, se sottoposto a
referendum, sarebbe giudicato migliore sia dai cittadini locali che dalla generalità dei cittadini
europei.
Viviamo nell'epoca di Internet e di Wikipedia. Wikipedia è certamente presentabile come uno
"scacco della diversità alla competenza" nella misura in cui mette in campo una gamma di
competenze, di saperi e d'informazioni che vanno molto al di la di quelli in uso nella redazione
di una classica enciclopedia. Perché un sistema, basato su centinaia di milioni d'informazioni
provenienti da fonti diverse, funzioni, deve soddisfare certe condizioni: 1. le conoscenze devono
essere possedute in modo dispersivo, 2. la gente non deve temere svantaggi nel rendere
pubbliche le proprie informazioni, 3. una percentuale significativa di tali informazioni deve
rivelarsi utile e 4. gli errori e giudizi sbilanciati devono essere identificabili e correggibili.
Wikipedia è diventato uno strumento indispensabile nelle vite di molti di noi perché soddisfa
tutti questi requisiti; contribuirvi è relativamente facile e ognuno lo fa unicamente su base
volontaria e sugli argomenti e temi che conosce, la maggior parte delle informazioni sono utili e
accurate e gli errori possono essere identificati sia dagli utenti che dagli editori, i quali possono
correggerli5.
Coloro che nel XXImo secolo si occupano di Confronto Creativo hanno, rispetto ai loro
predecessori, due grandi vantaggi: che l'esperienza della diversità che diviene ricchezza
collettiva è oggi (almeno sullo schermo del computer) un "luogo comune" e che la
globalizzazione rende un tale approccio al tempo stesso possibile e obbligatorio.
Condizioni per trasformare la diversità in capitale sociale.

3
Page Scott: The Difference, Princeton University Pres, 2007 L'espressione usata dall'autore è: "In my model
diversity trumped ability".
4
Facilitatrice Susan Podziba, per più informazioni su questo specifico intervento, vedi : www.podziba.com
5
Page Scott, op cit, pag. xvi

17
Come abbiamo accennato nella Introduzione, il CC ha le sue radici negli studi pionieristici di
Kurt Lewin ed altri negli anni ’40 e seguenti. I due principali centri di ricerca, entrambi fondati
nel 1946, erano il Tavistock Institute of Human Relations di Londra e il Group Dynamics
Laboratory del MIT di Boston. Non è questa la sede per tracciare la storia di questa fase
decisiva e pionieristica6, ma è importante sottolineare che tipicamente si tratta di ricerche che si
sviluppano direttamente sui luoghi di lavoro e di vita, coinvolgendo dirigenti, operatori, abitanti.
Si tratta di un approccio multi professionale, prima ancora che multi disciplinare. Alla base di
tutti questi esperimenti e invenzioni vi è l'idea (ancor oggi valida) che in un sistema sociale
complesso e turbolento, la prevedibilità e l'ordine sono raggiungibili solo se i soggetti che ne
fanno parte si trasformano in una "comunità indagante", cosa a sua volta possibile solo
garantendo:
1. una situazione di agio reciproco, dove é assente la minaccia di "perdere la faccia”,
2. dove le persone possono elaborare un quadro di valori condivisi abbastanza ampio da rendere
inoffensive le aree di disaccordo, che verranno poi affrontate, ma in un clima di collaborazione
e fiducia reciproca
3. dove ciascuno possa intervenire ed essere notato dagli altri come protagonista individuale.
Sono condizioni che molto raramente si trovano “spontaneamente” nelle istituzioni tipiche delle
società moderne e che i pionieri dell'azione ricerca e gestione creativa dei conflitti
sperimentavano all’interno degli uffici e delle fabbriche, nelle scuole e nella pianificazione del
territorio, in collaborazione con i leader più illuminati delle grandi aziende, delle istituzioni
pubbliche e dei governi locali e nazionali. L’ostacolo principale, ne erano ben consapevoli e lo
constatavano quotidianamente, era che cambiare le forme di governo e di organizzazione
implica, come gia affermava Aristotele, cambiare le forme di autorità date per scontate, mettere
in discussione abitudini profondamente radicate relative al senso del sé e degli altri.
Solo per dare un'idea, elenchiamo sotto forma di domande tre casi classici di questa fase.
1. Come trasformare un ospedale psichiatrico che deve rimettere in sesto centinaia di giovani
ufficiali traumatizzati dalla guerra in un contesto in cui siano i pazienti stessi a curarsi
vicendevolmente? (Wilfred Bion, nascita del concetto e della esperienza di "comunità
terapeutica", Ospedale Militare di Northfield, Birmingham, 1942)
2. Come trasformare una situazione di escalation dei conflitti interetnici in occasione per
riflettere sistematicamente sulle dinamiche dei conflitti nella vita quotidiana e i loro rapporti con
l'auto-consapevolezza emozionale? (Kurt Lewin, invenzione dell'approccio "T group",
Connecticut Workshop, 19467)
3. Come creare un contesto in cui i manager di due grandi industrie produttrici di motori aerei
che si stavano fondendo, ma i cui stili di lavoro e filosofie imprenditoriali non potevano essere
più diversi 8, fossero in grado di usare le loro diversità per il rilancio su nuove basi della nuova
azienda e per costruire un nuovo senso di comune appartenenza? (Eric Trist e Fred Emery,
prima esperienza di "Search Conference", Londra, 1960)
I casi che adesso prenderemo in considerazione sono i pronipoti di quelli qui sopra accennati.
Coprono un arco temporale dal 1993 al 2008 e spaziano dagli Usa, al Sud Africa, all'Italia. Li
sintetizzeremo per mezzo di rapide schede, seguendo un ordine cronologico. Eccone i titoli, di
nuovo sotto forma di domande.

1. 1994, Colorado. Come utilizzare nel modo più efficace i fondi federali per la prevenzione
dell’AIDS-HIV ?

6
Per maggiori informazioni, Cfr M Sclavi: "Nascita e affermazione della gestione creativa dei conflitti come
disciplina accademica sui generis e come sapere della vita quotidiana" in Riflessioni Sistemiche, semestrale on line
dell'AIEMS, N. 4, 2011
7
Nel luglio del 1946 su richiesta di una agenzia statale del Connecticut e con la sponsorizzazione della National
Conference of Christians and Jews, Lewin organizzò un laboratorio di due settimane su come migliorare le relazioni
interetniche in generale e in particolare quelle fra neri ed ebrei. Vi parteciparono cinquanta persone fra insegnanti,
operatori sociali, leader di comunità cresciuti nei ghetti urbani, leader sindacali e piccoli imprenditori. "T Group" è
l'abbreviazione di "Training Group."
8
La Armstrong-Siddeley e la Bristol Aero-Engines che si stavano fondendo per reggere la concorrenza della Rolls
Royce. Con una battuta di F. Emery: “ Era come voler mettere insieme il gesso col formaggio”

18
2. 1995, Massachusetts. Città di Chelsea, commissariata. Come far partecipare gli abitanti alla
stesura di un nuovo statuto capace di ristabilire la democrazia ed evitare che le cosche
criminali rimettano le mani sulla città ?
3. 1996, Washington DC. Vertenza fra il governo Federale Usa e 500 governi Tribali Indiani.
Come scrivere i regolamenti attuativi di una legge sul decentramento in modo da renderne
facile ed efficace l’implementazione ?
4. 1998, Sud Africa. Le relazioni sindacali nel dopo Apartheid. E’ possibile strutturare le
dinamiche negoziali sulla base del confronto creativo invece che della contrattazione
ottocentesca tradizionale ?
5. 2007-08, Italia. Modena e Livorno. Come far partecipare tutti i cittadini interessati alla
decisione sul che fare di un prezioso fabbricato di proprietà del Comune da ristrutturare ?
Sono tutti casi che i partecipanti hanno giudicato alla fine "risolti positivamente" e il cui
accordo finale è stato sottoscritto all'unanimità o quasi. In ogni caso l'esito più importante sono i
nuovi rapporti di collaborazione e capacità di iniziativa e leadership diffusa fra le parti in gioco.

Scheda. 1. 1994, Colorado. Come utilizzare nel modo più efficace i fondi federali per la
prevenzione dell’AIDS-HIV ?
Il problema. Il Dipartimento alla Sanità del Colorado ha deciso che l’approccio più efficace per
la prevenzione del HIV-Aids, consiste nel coinvolgere le popolazioni locali nelle decisioni su
come impiegare i fondi stanziati dal governo federale a questo fine. Ha costituito un comitato ad
hoc con l’incarico di costituire un gruppo deliberativo composto da tutte le tendenze ed esigenze
presenti sul territorio.
Facilitatori. Il compito di assistere questo gruppo (che risulterà di 110 persone) è stato assegnato
a una equipe di due mediatori, con l’incarico di facilitare la elaborazione di linee guida
condivise su questo tema. L'approccio adottato dai mediatori è il “confronto creativo”, che in
questo caso doveva fare i conti con la presenza fra i partecipanti di credenze e valori di fondo
fra loro incompatibili e con una intensità emozionale fuori dal comune.
I partecipanti. Sono stati selezionati in modo da garantire una presenza di gay, bisex, ed etero,
abitanti locali e immigrati di varie etnie, le associazioni che hanno promosso un referendum
contro i diritti civili di gay e lesbiche e quelle per i diritti civili delle coppie gay, quartieri bene e
ghetti; evangelici ultra conservatori ed esponenti di gruppi ultra radicali. Raramente si era visto
prima di allora nella stessa stanza una così grande varietà di profili sociali in conflitto fra loro
riuniti per lavorare gomito a gomito. Erano presenti malati di vario grado, parenti di malati e
operatori della sanità, esponenti delle varie associazioni e istituzioni impegnate in questo
campo. Totale: 110 persone, con un numero variabile di presenze, mai comunque al sotto della
metà.
Regole. Nel corso della prima riunione i due mediatori hanno spiegato in cosa consiste
l'approccio del CC. Ognuno dei presenti ha il diritto di veto, per cui basta uno contrario per
bloccare qualsiasi decisione, ma questo li obbliga alla creatività, a risalire dalle reciproche
proposte e rivendicazioni alle preoccupazioni e motivazioni di fondo che le sottendono e ad
inventare soluzioni diverse da tutte quelle di partenza. "Questo metodo ha due gambe: ascolto e
creatività. Una sola non basta." E se entro una certa scadenza (nel caso specifico sei mesi) non si
trova una soluzioni che va bene a tutti, la decisione torna alle Istituzioni preposte.
Comportamenti e dinamiche. All'inizio erano tutti rigidi e diffidenti. Gli stessi mediatori, anche
se non lo davano a vedere, con metà del loro cervello pensavano: "E' impossibile, sono troppo
diversi." Invece il bilancio della prima giornata è stato molto positivo. Uno dei primi obiettivi
era fare conoscenza e creare un senso di agio reciproco, per cui si sono riuniti a parlare in
piccoli gruppi designando poi uno di loro a presentare i membri del gruppetto alla assemblea
plenaria. Sebbene fosse stato chiarito che non era necessario scendere in particolari di storie
personali spesso delicate e dolorose, ogni gruppetto ha deciso autonomamente che, quando si ha
a che fare con il dolore, la morte, la malattia, non si ha tempo né voglia di perifrasi. E infatti la
maggior parte delle presentazioni sono state nello stile: “Noi siamo Giovanni, Debora,
Giuseppe. Giovanni è HIV positivo, Debora faceva la prostituta ed ha l’Aids, Giuseppe è
infermiere al tale istituto.” E così via. Questo atteggiamento d’impaziente rifiuto di formule di
presentazione generiche e ipocrite, che i mediatori non si aspettavano, ha prodotto almeno
provvisoriamente un clima di commossa e quasi solenne solidarietà al di là di ogni divisione

19
religiosa, etnica e politica. Il secondo passo è consistito nell'individuare e scrivere, fermandosi a
discutere parola per parola, i valori comuni sui quali orientare il lavoro successivo. Nel
documento sottoscritto da tutti, dal titolo: “In Questo Crediamo” ci si impegna a considerare
ogni singolo partecipante una risorsa per il processo decisionale, a dare ad ognuno ugual spazio,
e tener presenti tutti i punti di vista all’interno di ogni decisione in un clima di rispetto
reciproco. Inoltre i partecipanti dichiaravano di voler lasciare da parte la rivalità per i fondi
pubblici e far sì che ogni parte si sentisse garante di un progetto comune più ampio e organico,
entro il quale inscrivere le proprie attività e iniziative specifiche. Bisognava evitare che il
successo degli incontri fosse valutato in base alla quantità di “bottino” (sia in termini di soldi
che di "io vinco tu perdi") da portare a casa.
Giochi linguistici. Fin dall’inizio si è data molta attenzione alla ricerca di un vocabolario
accettabile da tutti e alla creazione di un linguaggio comune. Nei dissensi, al posto di “Come
faccio a fargli cambiare idea?” i mediatori proponevano di chiedersi “Quali parole possiamo
trovare che ci accomunano?” Questo slittamento dalla disputa alla collaborazione è poi stato
rafforzato da una batteria di giochi, tecniche e congegni comunicativi. Uno dei giochi è stato il
disegno a coppie. Due persone senza poter parlare fra loro e impugnando contemporaneamente
una stessa matita, devono tracciare un disegno su un foglio bianco. Questo le costringe ad
alternarsi nella guida del disegno e a fare molta attenzione alle reciproche leggere pressioni
delle mani. I disegni prodotti sono stati tutti bene auguranti ed esilaranti; hanno suscitato risate e
aperto i cuori. Infine, sempre nella prima riunione, si è stabilito l’ordine del giorno delle riunioni
seguenti e il “sistema segnaletico del consenso” per ogni decisione. Quest'ultimo consisteva
nella richiesta, che ognuno può rivolgere agli altri in qualsiasi momento, di esprimere il proprio
parere col sistema dei pollici: verso l’alto per il consenso, orizzontali per la necessità di ulteriori
discussioni e verso il basso per il dissenso. Solo quando tutti i pollici sono coralmente verso
l’alto si può procedere al punto seguente.
Training in ascolto attivo. Infine vi è stata un’ora di training su come trattare i conflitti in modo
produttivo. Quando qualcuno è irritato su qualcosa o quando ritiene di non essere ascoltato e
considerato, cosa può fare? I mediatori hanno proposto dieci idee chiave su come trattare i
conflitti in modo da far valere le proprie ragioni senza offendere e senza escalation. Sono state
discusse e scritte su grandi fogli appesi ai muri. Eccole:
1. Ogni volta che devi affrontare un tema controverso, prima di tutto prenditi cura di te stesso.
Rilassati, respira profondamente e trovati una sistemazione comoda prima di iniziare.
2. Dai importanza alla tempistica. Qual’è il momento migliore per sollevare quella questione?
3. Chiarisci bene a te stesso quali sono le tue priorità e preoccupazioni centrali.
4. Esprimiti in prima persona, usa “io”. Evita di colpevolizzare e di accusare.
5. Concentrati sul futuro e sul positivo. Comunica come vorresti che le cose funzionassero
piuttosto che cosa- non -ti -piace di come funzionano.
6. Metti in luce i tuoi sentimenti piuttosto che le tue rivendicazioni: “Questo è importante per
me”, piuttosto che " Questo è ciò che voglio."
7. Assumi che sono sempre possibili anche altri punti di vista, oltre al tuo.
8. Non aver fretta di comunicare la tua soluzione preferita.
9. Non imprimere un'escalation al conflitto insistendo sulle tue ragioni.
10. Ognuno ha diritto ai propri sentimenti ed emozioni. Sforzati di accogliere benevolmente le
emozioni forti, sia quelle degli altri che le tue.
Al termine della prima giornata, ha visto tutti i pollici verso il basso la proposta di rivedersi al
prossimo appuntamento con gli stessi orari. Dalle 8 di mattina alle 5 del pomeriggio per una
persona sieropositiva, e forse anche per una che non lo è, è troppo.
Sviluppi. Nel corso del secondo incontro, dedicato al profilo epidemiologico, praticamente tutti
i dati ufficiali presentati sono stati contestati e la fiducia è stata restaurata solo dopo aver fissato
modi e criteri per un autonomo ampliamento delle informazioni. Nel terzo incontro è stata
contestata la disposizione delle sedie "a teatro" e sostituita con le sedie in cerchi concentrici
attorno a un tavolino con quattro sedie. Chi voleva proporre un tema alla discussione andava a
sedersi al tavolo e incominciava a parlare. Coloro che volevano interloquire, senza bisogno di
alzare la mano o chiedere la parola, andavano a sedersi al tavolo. Esaurito un intervento, la sedia
tornava vuota, a disposizione di qualcun altro. C’era anche una quinta sedia, di colore rosa,

20
quasi sempre vuota, per i mediatori, se ritenevano di dover intervenire. Questo sistema9 è
piaciuto moltissimo ed ha consentito di far venire allo scoperto il dissenso profondo fra coloro
che vedevano il lavoro di prevenzione fondamentalmente come un discorso morale e coloro che
lo vedevano sotto il profilo sanitario. Dal confronto emotivamente molto potente, ma civile fra
le diverse posizioni si è giunti infine ad un accordo sottoscritto da tutti che riconosce la
necessità di usare, nella campagna di prevenzione, linguaggi diversi nelle diverse comunità di
intervento.
Insegnamento principale. L'importanza di un atteggiamento e comportamenti che uno studioso
che ha seguito e commentato questo caso ed altri analoghi, ha definito “non lasciare il dolore
fuori della porta10”. Il CC, quando sono in gioco divergenze in valori fondamentali, richiede che
sia chiaro fin dall’inizio che l’obiettivo non è un compromesso fra questi valori. L’ascolto pro-
attivo creando un contesto di riconoscimento e rispetto reciproco, fa emergere altri valori e altri
piani di collaborazione, che diventano l’oggetto dell’accordo.

Scheda 2. 1995, Massachusetts. Città di Chelsea, commissariata. Come far partecipare gli
abitanti alla stesura di un nuovo statuto capace di ristabilire la democrazia ed evitare che le
cosche criminali rimettano le mani sulla città ?
Premessa. Una più ampia e dettagliata narrazione di questo caso la trovate nel volume di Susan
Podziba: Chelsea Story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia. Milano,
Bruno Mondadori, 2006. Introduzione di Vittorio Foa e Marianella Sclavi.
Il problema. La città di Chelsea (30 mila abitanti), alla periferia di Boston, nel 1991 era stata
commissariata perchè travolta dalla corruzione e dal malgoverno. Il commissario dello Stato del
Massachusetts, dopo aver favorito in vari modi, in tandem con la magistratura, il ricambio quasi
totale dei dirigenti della PA, della Polizia e dei principali Servizi, ha deciso di chiedere la
collaborazione di tutti gli abitanti alla stesura di un nuovo statuto della città, tale da garantire
che la stessa non ricada nelle mani delle cosche criminali. Si trattava di coinvolgere migliaia di
cittadini inizialmente totalmente scettici nella discussione sugli ideali di buon governo e nelle
decisioni sulle forme di governo (composizione del consiglio comunale, periodicità del voto,
disegno delle circoscrizioni elettorali, poteri del sindaco e del city manager, criteri di
eleggibilità e tutto il resto) più adatte a perseguire questi ideali.
Facilitatori. L'incarico di dirigere questo processo partecipativo viene assegnato a due giovani
facilitatrici la prima, Susan Podziba, esperta in confronto creativo e la seconda, Roberta Miller
specialista in costruzione di comunità. La prima regola della costruzione di comunità prevede
che gli organizzatori non convochino riunioni, ma chiedano di essere invitati alle riunioni dei
gruppi e associazioni già presenti sul territorio. E' Maometto che va alla montagna e che,
bussando alla porta, comunica "sono qui per ascoltare", "raccontami cosa è importante per te."
Primo passo del processo partecipativo: una cinquantina di lunghe chiacchierate di Susan con i
leader locali, per sentire quali sono le loro idee e proposte e farsi indicare dei nominativi di
cittadini che dovrebbero comporre il Comitato per la stesura materiale del nuovo statuto.
Secondo passo: una lettera aperta del commissario a tutte le famiglie con la illustrazione della
proposta e l'invito a partecipare. Terzo: un corso di formazione per "facilitatori locali volontari",
ovvero cittadini che si rendono disponibili ad organizzare gruppi di discussione su questi temi in
tutta la città e a sintetizzarne gli esiti su un'apposita scheda.
I partecipanti e la mappa del percorso partecipativo. La mappa che vedete qui sotto è stata essa
stessa uno strumento fondamentale di questo coinvolgimento, in quanto stampata in migliaia di
copie ha consentito a facilitatori locali e abitanti di identificare ad ogni momento a che punto si
era delle varie fasi del processo partecipativo (durato nove mesi) ed essere informati dei diversi
modi e gradi di possibile partecipazione: leggere il notiziario e assistere ai dibattiti alla

9
Che corrisponde al metodo del “Circolo di Samoa”, descritto in modo molto efficace assieme ad altri come il
“Conflict Spectrum”, in ( scaricabile dal Web), Ron Kraybill : “Facilitation Skills for Interpersonal Transformation”,
Berghof Handbook for Conflict Transformation. Vedi anche in Luigi Bobbio (a cura di) A più voci, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2005 (scaricabile dal sito : “cantieripa.it” , cliccando sulla voce “manuali”)
10
Cfr. John Forester: “Deliberazione politica, pragmatismo critico e storie traumatiche: ovvero non lasciare il dolore
fuori della porta”, CRU n° 4, secondo semestre, 1995 e “Dealing with deep value differences.” in L. Susskind, S.
McKearnan, and J. Thomas-Larmer. (a cura di) The consensus building handbook, London: Sage, 1999

21
televisione locale, ricorrere alla “linea rossa” per informazioni, partecipare a vari forum o
invitare i facilitatori locali alle riunioni della propria associazione, assistere alle riunioni del
Comitato che deve redigere il nuovo Statuto col metodo del Confronto Creativo (l’ovale al
centro della mappa), commentare e criticare la prima bozza di statuto pubblicata dai giornali
locali e inviata in tutte le case, andare a votare nel referendum finale sul testo definitivo. Tutte
queste scelte e la loro sequenza o contemporaneità, senza una buona mappa sarebbero molto
difficili da trasmettere; la comunicazione visiva e spaziale in processi così complessi è
assolutamente fondamentale.

Comportamenti e dinamiche. L'esperta di CC insieme ai suoi aiutanti ha sintetizzato in un


documento tutti gli spunti, per quanto contradditori, emersi dalla discussione preliminare fra la
popolazione. Adesso si trattava di consegnarlo al "Comitato dei saggi", al massimo una ventina
di persone. Ma i nominativi raccolti erano più di sessanta e nel clima di diffidenza tipico delle
città abituate ad essere dominate dalla malavita, qualsiasi scelta era esposta all’accusa di
"favorire i propri amici". I nemici del processo partecipativo fin dall’inizio denunciavano ai
quattro venti che era tutta una farsa, che le decisioni importanti erano in realtà già state prese.
Una soluzione brillante a questo dilemma (una delle molte soluzioni creative che sono state
necessarie) è venuta da un anziano insegnante della Podziba: "E' vero - ha detto - che scegliere
venti persone su sessanta si presta ad accuse di favoritismo, ma sceglierne solo tre, le tre
assolutamente al di sopra di ogni sospetto, no. " E così la scelta dei venti saggi è stata totalmente
messa nelle mani di quei tre fra i sessanta che avevano ricevuto gli attestati di più alta
considerazione in assoluto.
Sviluppi. E' affascinante il processo con il quale queste persone, precisamente diciotto, più un
esperto in stesura di statuti e due rappresentanti del potere politico (uno del commissario e l'altro
dello stato del Massachusetts), in disaccordo fra loro quasi su tutto, sono riuscite ad arrivare a
un accordo creativo e per certi aspetti saggio. Il risultato è una forma di governo, ratificata dal
referendum, che, pur nel rispetto delle leggi federali e statali, è tagliata su misura per Chelsea,
come si può intuire, fra l'altro, dal fatto che il nuovo statuto prevede l'esclusione a vita dalle
cariche pubbliche di tutti coloro che in precedenza in questa veste siano stati incriminati e
trovati colpevoli di concussione e corruzione.
Training in Ascolto Attivo. La facilitazione dei lavori del Comitato dei saggi, con l'approccio
del confronto creativo, è stata essa stessa, per i partecipanti e per gli osservatori, un corso molto
efficace ed accelerato di gestione creativa dei conflitti. Primo motivo di conflitto, del tutto
inaspettato: se nominare o no il nome di Dio nel preambolo11.
Insegnamenti principali. Questa storia di un'intera città che passa dal consenso alle cosche al
consenso alla democrazia, ha dei punti in comune (pur nelle differenze) con la storia della
Commissione per la Verità e Riconciliazione nel passaggio dall'Apartheid alla Democrazia in

11
Vittorio Foa, nella introduzione al libro di Susan Podziba citato all’inizio di questa scheda, ricorda come si è presentato
e come è stato risolto lo stesso problema, nominare o no Dio nel preambolo, nella stesura della Costituzione Italiana.

22
Sud Africa. In entrambi i casi c'è una commissione o comitato di saggi ed in entrambi i casi
l'intera popolazione viene coinvolta in un processo che ha il suo perno nel diritto di essere
ascoltati. In entrambi i casi il passaggio avviene attraverso un intervento congiunto e
convergente di riforma istituzionale, magistratura e partecipazione dei cittadini.

Scheda 3. 1996, Washington DC. Vertenza fra il governo Federale Usa e 500 governi Tribali
Indiani. Come scrivere i regolamenti attuativi di una legge sul decentramento in modo da
renderne facile ed efficace l’implementazione ?
Premessa: Il Negotiated Rulemaking Act del 1990, poi potenziato nel 1996, è una legge del
Governo Federale Statunitense che prevede il ricorso al metodo del Confronto Creativo nella
stesura dei regolamenti attuativi di leggi particolarmente controverse e complesse.
Il problema. Nel 1975 il Congresso aveva approvato una legge (L’Indian Self-Determination
and Education Assistance Act) che riconosceva ai governi delle tribù indiane presenti sul
territorio statunitense, la facoltà di gestire direttamente e autonomamente i principali servizi
educativi e sociali. Questa legge, spostando i poteri decisionali a livello locale intendeva
aumentare l’efficacia dei servizi e delle politiche. Ma un po’ come nel caso della nostra legge
sull’autonomia della scuola, invece di un effettivo ed efficace decentramento, ciò che venne
prodotto fu una giungla di direttive contraddittorie e il proliferare di controlli paralizzanti. Nel
1988 il Congresso ha preso atto di tale situazione e dato ai due Dipartimenti di pertinenza,
quello dell’Interno e quello della Salute e Servizi Sociali, dieci mesi di tempo per arrivare a
una nuova formulazione di tali regole, questa volta con la attiva partecipazione delle tribù e
delle loro organizzazioni. Dal 1988 al 1990 i funzionari dei due Dipartimenti si rivolsero ai
membri delle diverse tribù chiedendo di avanzare proposte ed effettuarono vari incontri anche a
livello locale. Nel 1990 ritenendo completata la fase di consultazione, si chiusero nelle loro
stanze a scrivere la nuova versione (secondo loro "partecipata") dei regolamenti attuativi: 80
cartelle in puro gergo burocratico, di nuovo duramente contestate dai destinatari.
Ricorso al CC. Nel 1994 il Congresso passa degli emendamenti migliorativi della legge sulla
Autodeterminazione nei territori indiani e, questa volta, sulla base del Negotiated Rulemaking
Act del 1990, prescrive il ricorso al metodo del Confronto Creativo per i relativi regolamenti
attuativi. Tempo massimo 18 mesi, pena la perdita da parte dei dipartimenti interessati della loro
autorità regolatoria.Una posizione molto dura, che traeva delle implicazioni drastiche dal
bilancio sul funzionamento della PA nei vent’anni precedenti. Di conseguenza si stabilì che
l’intero documento, dalle prime stesure a quella finale, sarebbe stato frutto del lavoro di un
Comitato di Consulenza formato da 48 rappresentanti delle varie tribù, 6 funzionari del
Dipartimento della Sanità e Servizi Sociali e 9 funzionari del Dipartimento degli Interni, per un
totale di 63 persone.
Facilitatori. Quattro facilitatori di grande esperienza si dichiararono disponibili: due uomini, uno
dei quali Americano-Coreano di terza generazione e due donne di cui una Americana –
Messicana di seconda generazione. I rappresentanti indiani si riservarono di approvare questi
facilitatori dopo averli visti al lavoro nella prima riunione e così fu. Da parte loro i facilitatori
accettarono l’incarico solo dopo aver avuto assicurazioni su: lo spettro decisionale del Comitato,
la disponibilità dei Ministri (= Secretaries of the Departments) a ratificare le decisioni prese
all’unanimità dal Comitato (di cui i loro funzionari erano parte) e la copertura finanziaria
dell’intera operazione.
Regole, linguaggi e giochi linguistici. I facilitatori dopo aver consultato vari libri ed esperti sulle
tradizioni di soluzione dei conflitti e approcci decisionali nelle culture indiane e averne discusso
informalmente con i membri del Comitato, hanno proposto le seguenti linee guida, accolte da
tutti:
1. Iniziare ogni giornata di lavoro con una preghiera e chiudere in modo analogo ogni
sessione di lavoro, di solito della durata di due o tre giorni. Questa pratica era intesa a
sottolineare che ci si incontrava e lasciava ogni volta in uno spirito di conciliazione e di fiducia
nel processo in corso.
2. Creare spazi di negoziazione sia formali che informali fra i quali tutti i membri del
Comitato possano muoversi liberamente.

23
3. Riconoscere come parte intrinseca del dialogo anche il prolungato silenzio e procedere con
i lavori solo quando ognuno dichiari di sentirsi a proprio agio su quello svolto e di aver chiari i
motivi del passo successivo.
4. La soluzione dei problemi nelle culture indiane avviene abitualmente in modo più olistico e
circolare che non nella cultura anglosassone; l’ambiguità viene non solo tollerata, ma apprezzata
mentre la puntigliosità nelle definizioni viene vista con sospetto. Accettare quindi che mentre si
discute una questione, qualcuno ne sollevi un’altra e poi si ritorni alla prima per portare
entrambe a soluzione simultaneamente.
5. Un amichevole senso dell’humor è molto apprezzato e uno speciale rispetto per i più
anziani è di rigore. Dare spazio e importanza ai momenti di socialità (intervalli, ricevimenti
serali, cene comuni in ristoranti, celebrazioni di compleanni o altri anniversari).
Comportamenti e dinamiche. La prima riunione, l’11 aprile del 1995 in un Holiday Inn a
Arlington, in Virginia, venne aperta da una preghiera di un anziano rappresentante indiano e
poche parole di benvenuto di un funzionario federale, per proseguire con l’auto presentazione
dei 63 membri. Un avvocato indiano ha poi ricostruito la storia della legge del 1994 sull’auto-
governo dei territori indiani; dopo pranzo il capo del team dei facilitatori e un rappresentante
dell’ACUS (Administrative Conference of the United States) hanno illustrato il Negotiated
Rulemaking Act e i principi del Confronto Creativo. In particolare l’indicazione di non discutere
le singole posizioni in quanto tali, ma riportarle agli interessi e preoccupazioni più generali è
piaciuta molto ai rappresentanti indiani, per i quali l’intercalare: “Questa è la posizione, adesso
vediamo quali sono gli interessi che la sostengono” divenne il marchio del nuovo stile di
negoziazione sia con le controparti federali che fra di loro.
Il secondo giorno venne distribuito un elenco di regole sui comportamenti individuali e di
gruppo12 formulate dai partecipanti in altre sessioni di Confronto Creativo. Su questa base, i 63
membri del Comitato, discutendo in piccoli gruppi e in plenaria, stabilirono e approvarono alla
unanimità le proprie regole. Poi un avvocato indiano propose di organizzare i lavori per sei aree
tematiche e altrettanti gruppi di lavoro, lasciando ognuno libero di iscriversi anche a più di un
gruppo. Questa proposta fu approvata all’unanimità dopo essere stata esaminata e discussa sia
per gruppi separati degli indiani e dei funzionari federali che in plenaria. Infine si decise di
sperimentare come criterio generale che i dissensi emersi all’interno di ogni gruppo di lavoro
(misto o no) dovessero trovare una soluzione creativa a questo livello prima di presentare i
risultati in plenaria. I facilitatori, ai quali veniva riconosciuta libera circolazione e presenza in
tutte le riunioni sia di gruppo che plenarie, si assunsero il compito di redigere dei sintetici
verbali da distribuire quotidianamente per tenere tutti informati sul procedere di tutti i lavori.
Veniva raccomandato di evitare ogni linguaggio gergale in favore di una comunicazione
comprensibile a tutti.
Sviluppi. Ultimo e importantissimo punto: il carattere aperto e pubblico dell’intero processo.
Durante l’intero arco dei lavori i risultati man mano raggiunti e i punti di dissenso sono stati resi
pubblici, e i suggerimenti e commenti pervenuti venivano discussi all’inizio di ogni incontro
seguente. Lo sforzo di arrivare ad un accordo più ampio possibile era incentivato dall’impegno
dei Ministri di ratificare il testo senza modifiche qualora fosse sottoscritto da tutti. In realtà la
stesura finale, di 34 pagine in inglese corrente, conteneva anche un allegato con quattro
tematiche sulle quali l’accordo unanime non era stato raggiunto. Ciononostante il testo
definitivo venne ufficialmente sancito con rapidità e accolto con piena soddisfazione sia dai
membri del Comitato che dai loro referenti sociali ed elettori.
Insegnamenti principali. Esperienze come questa illustrano la possibilità e l’utilità che le parti
vengano non solo consultate, ma divengano partner in contesti di apprendimento reciproco e di
co-progettazione entro i quali l’autorità pubblica è al tempo stesso garante dell’intero processo e
una delle parti in causa. Lo stesso testo del Negotiated Rulemaking Act definisce “adversarial
rulemaking” i metodi tradizionali e li contrappone al “negotiated rulemaking”, come segue:
“L’adversarial rulemaking priva le parti interessate e il pubblico dei benefici della negoziazione
faccia a faccia e della cooperazione nella attività di sviluppo e creazione di una regola. Li priva

12
Analoghe a quelle contenute nella Appendice A di questo volume.

24
anche dei benefici di condividere le informazioni, conoscenze, pareri di esperti ed esperienze e
abilità tecniche possedute dalla parti interessate13”

Scheda 4. 1998, Sud Africa. Le relazioni sindacali nel dopo Apartheid. E’ possibile strutturare
le dinamiche negoziali sulla base del confronto creativo invece che della contrattazione
ottocentesca tradizionale?
Il problema. Come gestire l’arduo passaggio delle relazioni sindacali in Sud Africa da una realtà
“muro contro muro”, con un alto livello di politicizzazione, metafore belliche, scioperi,
boicottaggi, violenze e bracci di ferro, a una stagione sempre difficile, ma nella quale i diritti
sindacali sono stati legalmente riconosciuti così come l’obbligo di assicurare condizioni di
lavoro e di vita “umane” e il diritto di negoziarle. In sintonia con il concetto di "ubuntu"14 sul
quale s'impernia l'esperienza della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, anche nel
sindacato è in atto un intenso ripensamento su altri modi di impostare i rapporti di potere e
negoziare.
Facilitatori. Un gruppo di sindacalisti ed esperti di diritto del lavoro sperimentano in alcune
vertenze modalità di negoziazione direttamente ispirate all'approccio dell’Alternative Dispute
Resolution (ADR) e Confronto Creativo (CC), da loro conosciuti negli anni precedenti in una
serie di seminari e incontri con professionisti e studiosi di varie parti del mondo15.
I partecipanti. Una delle prime esperienze ha coinvolto i lavoratori dei trasporti su strada, dove
le controparti sono molto differenziate e sparpagliate e dove un approccio alternativo nella
negoziazione ha consentito di entrare nel merito di tutta una serie di aspetti (per es: orari
giornalieri massimi, lotta all’Aids, cure mediche in generale, pause di riposo, ecc.) che la
negoziazione frontale eliminava come temi troppo complessi, attestandosi sui soli livelli
salariali.16
Le regole. Ecco in un prospetto il confronto fra il vecchio protocollo e quello nuovo17.
Trattative vecchio modo:
Il sindacato apre con una serie di rivendicazioni molto superiori all’esito finale previsto. Esige
una risposta immediata dalla controparte. Controparte: risponde con un’offerta molto più bassa
dell’esito finale da lei previsto.
Sindacato. Manifesta rabbia e indignazione. Entrambe le parti svalutano sia le rivendicazioni che
le contro-offerte della controparte e celano e distorcono le rispettive informazioni.
Entrambe le parti alternano il ricorso ai rapporti di forza e il fare “concessioni”, esagerano il
valore delle proprie e svalutano quello delle altrui.
Le parti alla fine raggiungono un compromesso e nonostante lo presentino come una vittoria,
rimangono fondamentalmente insoddisfatte sia della negoziazione che del suo esito.
Trattative col Confronto Creativo.
Il sindacato apre illustrando i problemi dal punto di vista dei lavoratori dipendenti e fornendo
una varietà di informazioni.Controparte: risponde chiedendo ulteriori chiarimenti e informazioni.

13
§ 561.2 del Negotiated Rulemaking Act, del 1996 , traduzione di M Sclavi
14
Il concetto di ubuntu è centrale nella risoluzione dei conflitti in diverse tradizioni tribali africane e comporta due
aspetti: prima di tutto che l’odio, il continuo lacerante risentimento, è una catena che tiene la vittima prigioniera del
suo persecutore; in secondo luogo che una violenza inferta non è mai una questione che interessa unicamente la
vittima e l’agente della stessa, ma è uno strappo nel tessuto sociale che tutti devono contribuire a ricucire. Le riunioni
alla presenza dei “saggi” del villaggio in cui ognuno narra come ha vissuto l’episodio sono considerate catartiche, nel
senso che la solidarietà sociale che si sviluppa ripaga la vittima liberandola dalla necessità del risentimento. In questo
contesto anche la “punizione” del colpevole si configura come il suo peculiare contributo all’opera collettiva di
ritessitura del rispetto e riconoscimento reciproco.
15
Per una documentazione sulla diffusione dei modelli di negoziazione alternativi, basati sulla ADR e sulla frmazione
congiunta delle parti in causa in vari Paesi del mondo, vedi gli Working Papers dell’ILO (International Labor Office) di
Ginevra. In particolare, Cfr di Clive Thompson: Dispute prevention and resolution in public services labour relations:
Good Policy and practice, WP 277, ILO, 2010. E di Ratnam, V e Tomoda, S: Practical guide for strengthening social
dialogue in public service reform ( ILO, 2005)
16
Cfr John Brand: “The National Bargaining council for the road Freight Industry. A South African Case Study”,
paper presentato al PON di Harvard, nel maggio 2006
17
Cfr in particolare gli articoli di John Brand e Felicity Steadman in: Labour Dispute Resolution, di J Brand, C
Lotter, F. Steadman, T Ngcukaitobi, Juta & Co, Cape Town, 2a ed. 2008

25
Sindacato: illustra in modo ancor più preciso e particolareggiato le cause di disagio, bisogni e
desideri della sua base ( per es: illustra le difficoltà nei trasporti casa-lavoro, con esempi e casi
precisi) Controparte: identifica le proprie precise necessità e vincoli (es: di solvibilità
finanziaria)
Le parti: A. prendono sul serio i reciproci interessi e bisogni e dimostrano la volontà di essere
creative e flessibili nella ricerca di una soluzione. B. generano un ventaglio più ampio possibile
di soluzioni. C. valutano queste soluzioni potenziali sulla base del criterio del reciproco
vantaggio e mutuo gradimento.
La negoziazione è concepita come momento di reciproco apprendimento e i suoi esiti come il
frutto di un’esperienza di co- progettazione creativa. Le parti alla fine individuano una
combinazione di soluzioni che offrono risposte ai rispettivi interessi e bisogni.
Comportamenti e dinamiche. Il passaggio da una modalità antagonistica a una di confronto
creativo si è rivelata difficile da gestire perché sia i negoziatori che specialmente i loro referenti
sociali sono abituati a ragionare in termini di rivendicazioni - risposte e rapporti di forza.
L’esperienza sindacale in Sud Africa, ha evidenziato che il CC quando s’innesta in precedenti
relazioni profondamente antagonistiche, viene vissuto in modo contraddittorio: da un lato si
riconosce che gli esiti sono incomparabilmente migliori per entrambe le parti e dall’altro
entrambe le parti soffrono di un profondo senso di insoddisfazione per la mancanza del
confronto muscolare, hanno la sensazione di rimanere “orfani” del diritto al conflitto sanguigno
e di essere vittime di qualche manipolazione. Invece la trattativa tradizionale, basata su una
concezione del potere a somma zero ( se vinci, io perdo, se vinco tu perdi) nonostante gli esiti di
gran lunga inferiori (sia in termini monetari che specialmente su orari, diritti acquisiti e
condizioni del lavoro), viene vissuta come una esperienza dignitosa e “vera.” Questa
contraddizione assume il profilo di un vero e proprio paradosso della negoziazione creativa18.
Training e sviluppi. Questo paradosso- è stato sostenuto - va dichiarato apertamente e discusso
con tutti i referenti, perchè le difficoltà relazionali ed emozionali diventano preminenti quando il
confronto si basa sull' invenzione e implementazione di soluzioni creative. A questo fine si sono
dimostrati molto utili degli incontri di training congiunto prima delle trattative vere e proprie.
Inoltre, riflettendo su come è facile tornare ai vecchi moduli, anche a causa del frequente
ricambio di personale, là dove è stato possibile si è sperimentato con successo un periodico
training congiunto, nel corso del quale i partecipanti anche su come coinvolgere la base sociale
in questo complesso processo di indagine creativa e su come far divenire questo tipo di
esperienze senso comune.
Giochi linguistici. Si tratta di passare da modi di esprimersi centrati sul rivendicare a modi
centrati sulla esplorazione congiunta di una realtà complessa. E quindi da: “Noi chiediamo”
“Noi insistiamo” “Ci devono dare quanto chiediamo” “Noi abbiamo diritto a..” (ovvero da
giochi linguistici basati sull’io ho ragione tu hai torto) ad altri del tipo: “Ciò che realmente ci
preoccupa è..” “Noi temiamo che..” “Siamo disposti a cercare altri modi per soddisfare questi
bisogni.” “ Noi preferiamo” “ Lasciateci spiegare i nostri sentimenti al riguardo”, ecc. ( Ovvero
giochi linguistici tipici degli esploratori e costruttori di mondi possibili.)
Insegnamenti principali. L’adozione del CC nelle relazioni sindacali ha come requisito il pieno
riconoscimento dei diritti sindacali e della persona sul luogo di lavoro e una chiara valutazione
comparativa degli esiti ottenibili con i due approcci, quello tradizionale e quello basato sul CC.
L’esperienza sudafricana differisce da tutte quelle europee per due aspetti. Da un lato la relativa
rapidità e drammaticità del passaggio da una concezione della lotta di classe come gioco a
somma zero a una concezione della trasformazione sociale ed economica come gioco a somma
positiva, dall’altro l’esperienza della Commissione per la Verità e Conciliazione e l'ampia
riflessione sulle dinamiche trasformative dei conflitti di tipo nonviolento.

Scheda 5. 2007-08, Italia. Modena e Livorno. Come far partecipare tutti i cittadini interessati
alla decisione sul che fare di un prezioso fabbricato di proprietà dl Comune da ristrutturare ?

18
Ibidem

26
Premessa. Questa scheda è divisa in due parti, dedicate rispettivamente alla esperienza di
Modena e di Livorno. Poiché per molti versi le due esperienze sono simili, nel tratteggiare la
seconda ci si limiterà a sottolineare alcuni tratti distintivi e la rubrica “insegnamenti” si riferirà
ad entrambe le esperienze.
M odena
Problema. Nella città di Modena (180.000 abitanti) da un paio d'anni era in corso un dibattito
molto acceso su cosa fare di uno stabilimento industriale abbandonato, di circa 22.000 metri
quadrati su un'area di circa 44.000: le ex Fonderie Riunite. L'Amministrazione Comunale,
proprietaria dell'intera area, aveva avanzato varie proposte, ultima delle quali, abbattere il
vecchio edificio, vendere parte del terreno e costruire nella parte restante degli uffici comunali,
che si stimava avrebbero fatto risparmiare al Comune circa un milione e trecento mila euro di
affitti annui. Questo aveva suscitato proteste molto vivaci da parte di esponenti della cultura e
del mondo sindacale. Infatti questo stabilimento industriale, oltre ad essere uno dei pochi
sopravvissuti nel panorama architettonico e urbanistico cittadino a ricordare la grande storia
industriale della città, è stato anche teatro di una tragedia che ha impresso una ferita profonda
nella vita cittadina, quando, nel 1950 (precisamente il 9 gennaio) la polizia ha sparato su un
gruppo di dimostranti, uccidendo sei giovanissimi operai.
Facilitatori. Alla fine del 2006 il sindaco e l'assessore all'urbanistica, su proposta di un giovane
assessore al Bilancio e Partecipazione che stava seguendo un corso sulla progettazione
partecipata alla università19, stabiliscono di coinvolgere ufficialmente e formalmente gli abitanti
della città nella discussione e decisione sulla futura destinazione di questo edificio. In un pranzo
di lavoro la prof Marianella Sclavi del Politecnico di Milano (l'autrice del libro letto dal giovane
assessore) scrive sul retro di una busta le due parole chiave che avrebbero contraddistinto il
processo partecipativo: Confronto Creativo e Open Space Technology20. Marianella Sclavi
dirigerà il processo con la collaborazione di due ex allievi, Sara Seravalle e Matthias Reuter, e (
per la parte Open Space Technology) di Gerardo De Luzenberger di Genius Loci e con la
generosa assistenza dell'intera staff dell'assessorato al Bilancio e Partecipazione.
Partecipanti e training. Uno dei modelli più chiari che Sclavi aveva in mente era quello di
Chelsea (Vedi Caso 2 qui sopra) e infatti anche a Modena il processo partecipativo inizia:1. con
un elenco di una cinquantina di leader locali negli ambiti politico, economico e sociale da
intervistare per conoscere le loro idee e per invitarli a dare il loro contributo al processo
partecipativo 2. con un corso per “facilitatori locali volontari”, cioè abitanti disposti a dar una
mano nel coinvolgimento dei loro concittadini. Questo corso, divenuto poi standard nei processi
partecipativi successivi condotti dalla stessa facilitatrice, è composto di quattro incontri di
quattro ore l'uno(di solito dalle 18 alle 22, cioè in orario di dopo-lavoro). I temi trattati sono:
Ascolto Attivo, Gestione creativa dei conflitti, Open Space Technology e Confronto Creativo.
Inoltre viene presentata e discussa una mappa del percorso partecipativo che, come nel caso di
Chelsea, servirà ad illustrare le varie tappe del processo partecipativo a tutti gli interlocutori, a
tutti i livelli.
Comportamenti e dinamiche: la mappa. Riportiamo qui sotto la mappa che illustra il percorso del
progetto partecipativo “Ex Fonderie” di Modena, con dei brevi commenti.

19
Precisamente, il sindaco GiorgioPighi, l’ssessore all’urbanistica Daniele Sitta e l’assessore al Bilancio e
Partecipazione: Francesco Raphael Frieri.
20
Owen, H. (2009), Open Space Technology, istruzioni per l’uso, Geniusloci, Milano, a cura di Gerardo de
Luzenberger

27
La mappa illustra cinque fasi. La prima, "I primi passi", prevede le interviste, il corso e gli
incontri con vari gruppi di cittadini, di cui abbiamo già parlato. Seconda Fase: "La città
esplora", prevede di: a. visitare di persona i siti e le aree interessate alla progettazione
partecipata, b. svolgere delle indagini sulle migliori pratiche di riconversione di edifici
industriali dismessi a livello nazionale e internazionale, c. organizzare una mostra per esporre e
discutere i risultati di queste esperienze e indagini. Terza Fase: "La città propone", ruota attorno
ad una giornata di lavoro aperta a tutti coloro che sono interessati alla tematica in questione ed
organizzata secondo le modalità di un Open Space Technology (OST), che consente a chiunque
lo desideri di avanzare delle proposte e di discuterle con chi fra i presenti le trova per un motivo
o per l’altro interessanti21. Quarta fase: "La città sceglie": i portavoce delle proposte discusse
nell’OST, le elaborano, con l’aiuto di una facilitatrice, secondo i principi e le regole del
Confronto Creativo allo scopo di arrivare a un progetto unico giudicato da tutti migliore di ogni
singola proposta originaria. Quinta fase: "La città decide e realizza", dove il potere politico
presenta alla cittadinanza i risultati del processo, illustra le proprie decisioni e stabilisce i tempi e
modi della loro realizzazione, anch’essi secondo modalità trasparenti e partecipate22.
Proposte, Mission e Regole. Le proposte avanzate e discusse nella giornata di Open Space
Technology e sintetizzate nel Report Istantaneo sono state venti e spaziavano da quella del
Rettore della Università di Modena e Reggio Emilia, che ha proposto una Nuova Facoltà di
Design Industriale, ad esponenti di gruppi e associazioni culturali che parlavano di un Centro
Multiculturale e Multietnico23. I portavoce di queste proposte, alla prima riunione del Tavolo del
Confronto Creativo, hanno discusso e sottoscritto la seguente "Dichiarazione Comune":

21
Sull’Open Space Tecnology e i suoi rapporti con il Confrono Creativo vedi la scheda nella Appendice B di questo
volume
22
Vedi “ex-fonderie” sul sito del Comune di Modena.
23
Le altre proposte: un gruppo di giovani artisti e attori hanno proposto "La fonderia delle Arti", cioè un Centro di
arti performative ad alto livello, due gruppi di docenti universitari degli spazi espositivi interattivi per le giovani
generazioni, rispettivamente sull'ideazione e lavorazione dei prototipi nella industria metal meccanica modenese
("Officina Emilia") e un Centro della Scienza su modello di iniziative analoghe a Firenze e Trieste. Altre proposte

28
Noi sottoscritti partecipanti al Tavolo del CC per il progetto partecipativo Exfonderie Riunite di Modena,
ci impegniamo a mettere concretamente a fuoco tutte le proposte emerse dall'Open Space, non per
contrapporle l'una all'altra, ma come punto di partenza per l'individuazione e invenzione di nuove
proposte complesse e composite che sappiano contemporaneamente:1. rispondere al più vasto possibile
arco di esigenze; 2. attingere al passato per avventurarsi nel futuro con i valori della solidarietà,
convivialità, creatività; 3. risultare in un progetto di grande vitalità sociale e intellettuale, di cui la città
sia fiera; 4. un progetto importante e bello anche esteticamente nel rispetto dell' identità storica del luogo
e dell'edificio.
Poi, in gruppetti di tre o quattro, i membri del Tavolo, sulla base degli esempi che trovate nella
Appendice A di questo volume, hanno proposto, discusso e approvato le Regole per guidare i
loro comportamenti e procedure decisionali in quanto membri del Tavolo. Ci limitiamo a
riportarne due. Sui comportamenti: "Ogni persona concentrerà l'attenzione sugli aspetti positivi di ciò
che viene detto, sforzandosi in piena buona fede di comprendere le preoccupazioni altrui. Le domande
tese a capire meglio sono le benvenute, quelle retoriche vanno evitate ed i giudizi negativi vanno
motivati." Sulle decisioni: "La convergenza è raggiunta quanto il pacchetto di proposte elaborato
risulta come minimo "accettabile" a tutti i partecipanti. Alcuni possono non essere completamente
d'accordo con ogni aspetto, ma le loro riserve non sono così forti da indurli ad opporsi all'intera
proposta."
Creatività e giochi linguistici.
Fin dall’inizio gli aspetti metaforici del progetto da elaborare sono stati fortemente sottolineati e
ogni proposta è stata esaminata da quattro punti di vista: gli interessi in gioco, le emozioni, i
valori e l’ identità storica e culturale della città. Le dinamiche principali che hanno favorito la
co-progettazione sono state tre: 1.Una particolare enfasi sulle “parole chiave” che emergevano
dalla discussione, come “officina” e “prototipo”, che fanno entrambe riferimento all’alta
professionalità dell’industria modenese (in particolare quella metalmeccanica, ma non solo) con
la sua capacità di produrre pezzi unici e attenzione agli aspetti di design. 2.Il ricorso alle
“bisociazioni multiple”, ovvero chiedersi come può trasformasi un progetto alla luce di un altro.
Per es: come cambia la Facoltà di Design Industriale se sono presenti anche dei corsi di Arti
Performative? E Viceversa, dei corsi di Arti performative come possono essere arricchiti dalle
competenze e attrezzature di una Facoltà di Design? 3. “L’andare nei luoghi assieme”: la visita
ad una fonderia ancora in funzione o al laboratorio di un operaio prototipista e le “visite
reciproche” come nella sede di Officine Emilia con la loro collezione di torni, trasformata in un
laboratorio interattivo, o nella sede dell’Istituto Storico della Resistenza. E così via. Dopo
ognuna di queste visite i partecipanti sono invitati a chiedersi se questa esperienza è servita in
qualche modo a mettere meglio a fuoco il progetto comune. In ogni caso l’ospitarsi
reciprocamente, il trovarsi ad offrire e accettare un passaggio in auto e le occasioni di scambi di
vedute “personali”, contribuiscono a consolidare la conoscenza e fiducia reciproca.
Vincoli. L’incarico, su esplicita richiesta della facilitatrice, era soggetto a tre vincoli: uno
temporale, ovvero il 31 maggio 2007 come data massima entro la quale presentare il progetto
finale e condiviso alla Amministrazione (il che corrispondeva a 5 mesi di lavoro); e due relativi
agli aspetti finanziari dell’operazione. Il gruppo di lavoro si impegnava sia a suggerire come
raccogliere fondi per sostenere economicamente il progetto finale, sia a fare in modo che le
attività e iniziative da svolgersi nell’edificio ristrutturato non gravassero sul pubblico erario.

erano: una discoteca protetta, un museo sulle tecnologie dei motori automobilistici ("Expotecnica"), un centro di
pratiche del benessere e qualità della vita. Ancora: trasformare il cortile della fabbrica in una piazza coperta e adottare
un approccio gestionale innovativo, anch'esso partecipato e non condominiale, di questi spazi. I nomi dei membri del
Tavolo sulle ex Fonderie Riunite sono: Zoella Benincasa, Mauro Bompani, Giacomo Caliri, Gianpieto Cavezza,
Corinto Corsi, Angelo Fanfara, Alessandra Ferraris, Guido Guidotti, Nadia Luppi, Luciana Magnanini, Simona
Mari, Gian Carlo Pellicani, Ivano Pioppi, Federica Rocchi, Margherita Russo, Claudio Silingardi, Stefano Trippi,
Giuliano Vecchi, Alessandr Villa, Fanny Zangelmi.

29
Questi vincoli ai quali nessuno dei partecipanti ha obbiettato, hanno aiutato a tenere assieme, nei
lavori del Tavolo, le dimensioni della creatività e del dialogo col senso di responsabilità
organizzativa e gestionale. E questo nonostante le divisioni che pure ovviamente erano presenti e
anche persistenti. Il tre vincoli sono stati onorati con la sottoscrizione del progetto finale la notte
del 31 maggio, con il suggerimento di vendere una specifica parte del terreno e di costruire in
un’altra parte i famosi uffici comunali che avrebbero fatto risparmiare più di un milione di euro
annui d’affitto e infine con il suggerimento di istituire una Fondazione Partecipata per gestire la
parte progettuale nata dal Confronto Creativo come un tutto unico con impegno a equilibrare i
costi di gestione in modo da non pesare sulla PA , a parte un contributo iniziale di avvio.
Il progetto finale. Il progetto finale, battezzato con l’acronimo “DAST” (Design, Arti, Scienza e
Tecnica, delle Ex-fonderie di Modena) è nato quando la parola “Design”, gira e rigira, ha
incominciato ad essere vista come una continuazione post-moderna della tradizione artigiana e
industriale locale: “ i modenesi sono sempre stati dei designers !!” E questo non solo grazie ai
rapporti fra industria di piccole e medie dimensioni e scuole professionali locali di alto
livello,ma anche nella governance del territorio. Infatti, il Comune di Modena è famoso in tutto
il mondo ( il “modello modenese di sviluppo”) perché nell’immediato dopoguerra per far fronte
alla diffusa disoccupazione, ha inventato i “Villaggi artigiani”, dove il territorio acquistato dal
Comune, suddiviso in lotti, veniva assegnato praticamente a costo zero a chi ne faceva richiesta
per usi produttivi. Con ciò innestando un circolo virtuoso (governance-esigenze della società
civile-conoscenze tecnologiche) antenato di quello che il Tavolo del CC intendeva rivitalizzare e
riportare al centro dell’identità e memoria della città all’inizio del XXI secolo. Il progetto
DAST, per complessivi 7500 metri quadrati del futuro centro culturale e residenziale, è
concepito come luogo della Memoria storica della città e Centro di studi, ricerca e
sperimentazione dei linguaggi e delle pratiche della co-progettazione creativa in tutti gli ambiti
della vita sociale, culturale, formativa ed economica. Un luogo molto energetico dove i giovani
possono entrare in contatto, grazie a congegni interattivi in 2D e 3 e 4D e all’espressività
artistica in tutte le sue forme, con le tradizioni d’imprenditorialità locale e possono appassionarsi
alla ricerca e sperimentazione tecnologica e scientifica.
Sviluppi. Dal 31 maggio 2007 in poi i membri del Tavolo proseguono il dialogo con
l’Amministrazione e attuano successive precisazioni e riadattamenti del progetto senza bisogno
di altri interventi della facilitatrice24. Nel marzo del 2008 il Consiglio Comunale di Modena ha
approvato la proposta DAST, impegnando 5 milioni di euro provenienti prevalentemente dalla
valorizzazione dell’area ex-Fonderie. Nel luglio del 2008 viene bandito un concorso
internazionale di idee volto a dare un disegno architettonico alla proposta DAST in senso lato
(cioè la configurazione dell’intera area e non solo gli spazi che le attività DAST occuperanno).
Vengono presentati 60 progetti e nel gennaio 2009 la giuria, di cui fanno parte due membri del
Tavolo, decreta il vincitore25.

Livorno
Premessa. Il percorso di democrazia partecipata a Livorno conosciuto come Cisternino2020 è
nato dal successo di una serie televisiva “Livorno400” gestita dalla prof Susan George,
presidente e direttrice di un corso di laurea in Comunicazione Pubblica, Sociale e d'Impresa

24
Il presidente dell’Ordine degli Architetti di Modena, Claudio Gibertoni, che fin dall’inizio ha partecipato ai lavori del
TCC in qualità di traduttore delle varie idee nelle loro dimensioni spaziali, ha invece proseguito in questo suo ruolo di
facilitatore.
25
Un quadro più attuale della situazione, con anche la descrizione dei vari mutamenti operati per far fronte alle
mutate condizioni connesse alla crisi economica. è reperibile nel documento intitolato “EXFO ovvero il DAST 4”
del dicembre 2010, scritto da Margherita Russo e Giulia Piscitelli di Officina Emilia, nella cui attuale sede (in attesa
di spostarsi nello spazio DAST) è conservata tutta la documentazione prodotta dal TCC.

30
dell'Università di Pisa e da ottanta suoi allievi. Il progetto di training “hands on” sulle tecniche
della comunicazione pubblica, si è concretizzato da ottobre 2005 a marzo 2006, in 16
trasmissioni di 40 minuti ciascuna sul passato e presente di Livorno, con interviste, servizi
speciali e domande-quiz su “ciò che della città ognuno dovrebbe sapere” da rivolgere ai giovani
e formulate dai Livornesi più anziani. Durante l'ultima trasmissione, svolta nella sala del
consiglio comunale alla presenza del sindaco e di un certo numero di consiglieri, era emersa la
proposta di organizzare un Laboratorio per il Futuro di Livorno in grado di coinvolgere la
cittadinanza nella riflessione su “dove sta andando” e “dove vogliamo che vada” la città nel XXI
secolo. Nel luglio 2006 una parte delle persone impegnate in questo progetto partecipano a un
workshop sulla gestione creativa del conflitto gestito da Marianella Sclavi in collaborazione con
il Teatro Verdi di Pisa e col corso di laurea di Susan George26. L’idea che prende corpo in questo
incontro e quelli successivi è che la natura irriverente e il piacere del confronto brusco tipici
della vita sociale e culturale livornesi, il gusto della sfida e l’orgoglio di essere “riserva indiana”,
potrebbero in realtà predisporre la città ad avventurarsi in una esperienza radicalmente
innovativa.
Il problema e il processo. La riunione nell’ufficio del sindaco di Livorno, menzionata
nell’introduzione di questo libro27, da un’idea di com’è nata la decisione di fare del Cisternino di
città una sede di iniziativa culturale per i giovani, gestita dai giovani della città. Il processo
partecipativo denominato Cisternino 202028 ha ufficialmente preso il via il giorno 14 gennaio
2008 su incarico del Comune di Livorno il quale, sulla base di una proposta del Laboratorio per
il Futuro di Livorno e nello spirito della nuova legge regionale n° 69 del dicembre 2007 dal
titolo “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali
e locali”, ha deciso di sperimentare una metodologia innovativa rispetto ai tradizionali criteri di
consultazione. In particolare fino al 23 maggio il percorso partecipativo, aperto a tutti gli
interessati, ha seguito quattro fasi: La città ascolta, La città esplora, La città propone, La città
decide. Dal 24 maggio in poi si è aperta un’ulteriore fase denominata “Tavolo del Confronto
Creativo”, che ha avuto come obiettivo quello di vedere se le trentasette proposte avanzate e
discusse nel corso della giornata di OST potevano fecondarsi a vicenda e divenire un progetto
unitario.
Età e tema. A Livorno (più che a Modena) è stata data fin dall’inizio grande enfasi al doppio
scopo di un processo partecipativo: oltre al stabilire il “che fare ?”, imparare “come fare”. Nei
volantini e interventi vari viene posto in risalto che “un processo partecipativo è una opportunità
straordinaria per praticare e apprendere, non in una aula scolastica, ma direttamente nel vivo di
un vero processo decisionale, la gestione dialogica delle divergenze e la soluzione creativa e
congiunta dei problemi29” E’ quindi particolarmente significativo che al corso per facilitatori
locali si siano iscritte ben novantanove persone, la gran parte sotto i 40 anni30. All’OST, tenutosi
il 22 maggio hanno partecipato 200 persone che hanno presentato e discusso 37 proposte.
I facilitatori. Direzione generale di Marianella Sclavi, Politecnico di Milano, con la
collaborazione di Susan George dell’Università di Pisa, di Luca Biagiotti del Teatro Verdi di
Pisa, del mediatore e abitante di Livorno Yoga Patti, e dei dirigenti amministrativi del Comune
di Livorno. La formazione sull’Open Space Technology e il relativo evento sono stati affidati a
Gerardo de Luzenberger di Genius Loci.

26
Luca Biagiotti del Teatro Verdi aveva appena tradotto dall’inglese una serie di stupende simulazioni sui conflitti
internazionali ideate dal Consensus Building Institute di Boston, che stavano per essere pubblicate. Cfr: Consensus
Building Institute (a cura di ) Costruire una Pace. Bruno Mondadori, 2006, introdotto da una conversazione fra
Marianella Sclavi e l’ambasciatore Sergio Romano.
27
Cfr pag iii. Un ruolo fondamentale , accanto al sindaco Alesandro Cosimi, l’hanno avuto gli assessori “ai Giovani
e Partecipazione” Emiliano Chirchietti, l’assessore alla Scuola Carla Roncaglia , l’assessore alle Politiche Culturali
Massimo Guantini e quello alle Politiche Sociali Alfio Baldi.
28
Il numero “2020” sta ad indicare “fra 20 anni”, ovvero “progettare guardando al futuro.” Il progetto ha infatti preso
il via con la redazione di un documento intitolato “I have a dream”, su come desideriamo che sia Livorno nel 2028,
firmato da sedici illustri abitanti di Livorno : Elena Battazzi , Daniela Bertelli, Renato Butta, Rosangela Carvalho
Amorim, Paolo Castignoli, Simona Cerrai, Paolo Dario, Stefano Ranieri, Fiorenza Dini,Maurizio Giacobbe, Lamberto
Giannini, Mauro Grossi, Valentina Lucchini, Darya Majidi, Andrea Pellegrini, Paolo Ruffini.
29
Cfr : Che fare ? del Cisternino di città. Il Progetto Cisternino 2020. Proposta finale sottoscritta da tutti I partecipanti
al Tavolo delConfronto Creativo, il 20-11- 2008
30
A Modena i partecipanti a titolo volontario erano stati trentasei.

31
Dalle 37 proposte al Tavolo. Il “giorno dopo l’Ost”, tutti i partecipanti erano invitati ad un
incontro pomeridiano per un’analisi dei risultati e per decidere, assieme alle autorità politiche
preposte, come proseguire. In questa riunione, di nuovo molto affollata (più di cento persone) la
trasformazione dalle proposte originarie a quelle invitate al Tavolo del CC è avvenuta in due
tappe. A. Individuazione di una serie di parole chiave comuni, sottostanti tutte le proposte.
Ovvero : 1. Progettazione permanente partecipata e sostenibile, 2. Gestione creativa e costruttiva
dei conflitti e diversità, 3. Cisternino 2020 come nodo di una rete, 4. Autofinanziamento e
individuazione di modalità trasparenti e partecipate di gestione. B. Raggruppamento delle 37
proposte in cinque aree più una trasversale, relativa agli aspetti “Cisternino luogo accogliente” e
“Cisternino luogo autofinanziato”. Le altre cinque, sono: Area 1. Multi-funzionale: lettere,
dibattiti, formazione, laboratori, atelier. Area 2. Produzione: registrazione video e musicale, sede
radio locale. Area 3. Incubatore di progetti partecipativi. Spazi e organizzazione di capacità
progettali, teoriche e professionali, attorno a temi e problemi dell’urbanistica partecipata, altra
economia, sostenibilità ambientale, design nautico, sicurezza, traffico. Area 4. Sportelli e
Servizi. Informazioni su mercato del lavoro e impieghi, volontariato, turismo sostenibili e
proposte analoghe. Area 5. Eventi e mostre. Esposizioni di pittura, scultura, foto, eventi musicali
e teatrali, ecc.. (Con possibilità di prevedere degli spazi di foresteria per ospiti della struttura
provenienti da altre città)
Il mese di giugno vede incontri e lavori molto intensi per ogni Area, che poi designa dei
portavoce disposti a impegnarsi nei lavori del Tavolo del CC.
Dichiarazione di intenti. Il 24 giugno viene presentata ufficialmente alle autorità e alla stampa
un primo corposo documento che ruota attorno a una Dichiarazione di Intenti approvata da tutti i
partecipanti che indica come obiettivo comune un progetto che risponda a tre criteri generali.
Eccoli: 1.Vitalità e convivialità: il Cisternino di Città dovrà essere un luogo ospitale e
accogliente, dove i giovani ( e meno giovani ) si sentano a casa loro , con ampi orari di apertura,
spazio per l’Information Technology, la musica, il cinema, il teatro, le arti visive e con un bar
e/o un punto di ristoro. 2. Co-protagonismo e pratica delle dinamiche del dialogo e della
gestione creativa dei conflitti: dovrà rappresentare un punto di interscambio provocatorio per
freschezza e creatività sia con la città che con il resto del mondo. 3. Servizio alla città: attraverso
iniziative e sportelli rivolti a specifiche tipologie di utenti, dai bambini ai giovani in cerca di
prima occupazione, imprenditorialità giovanile, scambi culturali, viaggi, ecc.
Progetto finale. Il progetto culturale unitario elaborato dai membri del TCC, è stato chiamato
“Laboratorio per l'Arte, la Partecipazione, l'Innovazione e la Sostenibilità” (LAPIS ).
Il LAPIS nel Cisternino di città intende essere un centro culturale che ha come missione quella
di promuovere l'ampliamento delle opportunità e scelte di vita individuali e collettive nel rispetto
di quattro dimensioni centrali: persona, creatività, cura, accoglienza della diversità. Le
specifiche proposte culturali del LAPIS verranno decise annualmente tramite un Open Space
Technology aperto a tutti coloro che sono interessati a livello cittadino. E’ un progetto che,
anche a confronto con esperienze analoghe a livello europeo, si presenta come genuinamente
innovativo sia sotto il profilo dei contenuti culturali che per le modalità di gestione dello
spazio31.
Sviluppi. Siamo nel 2011, la ristrutturazione dell’edificio Cisternino di Città è ultimata (anche
seguendo le indicazioni spaziali contenute nel documento del TCC) e si è ancora in attesa che
l’Amministrazione Comunale promuova una qualche forma di concorso32 per assegnarne la
gestione a una associazione o gruppo che risponda alle caratteristiche indicate nel documento
finale del Tavolo. Nel frattempo un sottogruppo di partecipanti ha fondato l’associazione Lab-

31
Il progetto, consultabile e scaricabile sul sito del Comune di Livorno, si articola in quattro parti più allegati.: 1.
UN LAPIS per disegnare il FUTURO di Livorno: presentazione per parole chiave; 2. UN LAPIS nel Cisternino di
città: presentazione spaziale; 3. Stile di gestione e stili decisionali; 4. Stile di gestione finanziaria; 5: Allegati.
Partecipanti al Tavolo e firmatari: Paolo Bruciati, Lauro Lubrano, Carlo Ruberti, Giovanna Di Lieto, Giuseppina Lo
Re, Patrizia Romano, Valeria Giuliani, Cristina Olivieri, Jessica Manzella, Jacopo Fiampiani, Claudia Casini, Mario
Francini, M Grazia Petreschi, Federico Aliberti, Maria Frangioni, Giovanni Gimelli, Federico Nenci, Maurizio
Giacobbe, Marco Bennici.
32
La Amministrazione ha chiarito già nel 2009 che intende ricorrere a un avviso pubblico con richiesta di
manifestazione d’interesse a prendere in gestione la struttura.

32
Lab ( Laboratorio Labronico) che si occupa di promuovere esperienze di cittadinanza attiva e di
progettazione partecipata.
Insegnamenti (Modena e Livorno).
In entrambe le esperienze, Modena e Livorno, si è rivelato molto utile l’accoppiamento di Ost
come momento centrale del percorso partecipativo e CC come momento di elaborazione multi-
attoriale del progetto. Questo uso dell’Open Space organico a processi partecipativi non ci
risulta per ora presente in altri Paesi33 e infatti non lo troverete previsto nei capitoli seguenti che
descrivono le varie fasi del Confronto Creativo nella loro versione più comune e classica.
In entrambe le città un piccolo nucleo di partecipanti sia della società civile che della PA hanno
continuato ad interessarsi a queste metodologie e a promuovere esperienze di questo tipo, anche
se gli orientamenti di fondo della politica locale proseguono secondo i canoni precedenti. Ma il
fatto che non si lascino demoralizzare e non demordano, può significare che avvertono che
l’interesse verso questo tipo di cambiamenti radicali, è vivo e crescente.
In entrambe le esperienze è rimasta scoperta e carente la parte finale del processo partecipativo
secondo i canoni del CC, e cioè quella che in questo libro chiamiamo e descriviamo come “auto-
implementazione.” Le ragioni sono molte, ma se avessimo avuto a disposizione questo libro,
avremmo certamente fatto meglio. Infine, in entrambi i casi, il periodo di tempo fra la consegna
del progetto finale del Tavolo e la sua implementazione ha subito continui slittamenti. Ci pare
un segno della vitalità dell’approccio che dopo tre o quattro anni vi siano ancora nuclei di
protagonisti combattivi, che non hanno rinunciato a vedere la realizzazione del loro progetto.
Ma questi slittamenti, se in parte sono addebitabili alla crisi economica e alla crisi delle finanze
pubbliche, in parte maggiore sono connessi alla marginalità che, per ora, viene assegnata a
queste esperienze dall’insieme della classe politica in particolare e più in generale all’inerzia
delle vecchie abitudini e modalità di operare e decidere. I training congiunti sudafricani e il
concetto di “paradosso della negoziazione creativa” meriterebbero una seria riflessione e
potrebbero ispirare iniziative analoghe che coinvolgano rappresentanti della società civile,
amministratori pubblici e giovani che si stanno impegnando nella vita politica.
***

Le esperienze sopra tratteggiate sembrano molto diverse fra loro, e per molti versi lo sono. Ma al
tempo stesso, come già acennato nel primo capitolo, esiste una struttura che le connette fra loro. I
rimanenti capitoli di questo libro descrivono in modo particolareggiato questa struttura, composta
di cinque fasi o tappe. La prima è la convocazione, nella quale si redige una mappa delle
posizioni divergenti e ci si assicura che siano presenti al tavolo e che coloro che hanno l'autorità
formale sostengano tale approccio. La seconda riguarda l'assegnazione dei ruoli e
responsabilità, la definizione della mission e delle regole di base. Nel CC ci deve essere
qualcuno che facilita, un altro che prende appunti, ecc ecc. La terza tappa del CC è la soluzione
alternativa dei problemi del gruppo, attraverso l’ascolto pro-attivo, il brainstorming e la
moltiplicazione delle opzioni. La quarta tappa, il raggiungimento di un accordo, comporta il
verificare che ognuno sia stato per davvero ascoltato e che le sue preoccupazioni di fondo
abbiano trovato una risposta. La tappa conclusiva consiste nello stabilire dei meccanismi di
controllo sull’andamento dell’implementazione e nel far in modo che tutte le parti coinvolte (e
i gruppi che rappresentano) onorino gli impegni assunti.

Concetti chiave del Capitolo 2.

Circolo virtuoso Società Civile- PA- Università


“La diversità da scacco alla competenza”
Principio di maggiore efficacia delle decisioni inclusive
Mission
Le condizioni di efficacia di Wikipedia

33
Cfr Garramone V. e M. Aicardi (a cura di) Paradise l’OST ?, Milano, Franco Angeli, 2010

33
Trasformare la diversità in capitale sociale
Comunità indagante
Gli antenati ( secondo dopoguerra): nascita delle comunità terapeutiche,
nascita del “T group”,
nascita della Search Conference.
“Questo metodo ha due gambe: ascolto e creatività. Una sola non basta”
Quali parole possiamo trovare che ci accomunano ?
Quali regole ci diamo su come trattare le divergenze e i conflitti ?
Quali procedure per arrivare a una decisione condivisa?
Giochi linguistici
Un amichevole senso dell’humor
Ubuntu
ADR ( Alternative Dispute Resolution )
Trattative col CC
Negoziazione come apprendimento reciproco
“Insoddisfazione per mancanza di confronto muscolare”
Paradosso della negoziazione creativa
Training congiunto
Open Space Technology

34
Merrelyn and Fred Emery :

"Searching: for new directions, in new ways.. for new times "

in Sutherland John (a cura di) Management Handbook for Public


Administrators, New York 1978 pp 257- 300

Outline dalle lezioni di Marianella Pirzio Biroli Sclavi

Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura


Merrelyn and Fred Emery : Search Conference.

pag 267

SEARCH CONFERENCE. Scopo: mettere in atto e sostenere dei modi di


relazionarsi che favoriscono processi di apprendimento reciproco e la
progettazione adattiva

pag; 276-277
" Modello Tavistock " = una strumentazione euristica (di ricerca )
per identificare e comprendere quali processi consci e inconsci
avvengono nei gruppi e fra i gruppi di persone.

Basato su una epistemologia dei sistemi aperti.

Testo centrale :

Wilfred R. BION : " EXPERIENCES IN GROUPS " ( 1961)


trad. it: Armando Armando

= essere consapevoli e controllare i processi


emozionali contrari all'apprendimento di gruppo,
favorire quelli che lo consentono
Modi di relazionarsi 1.fight-flight (aggredire- sfuggire)
contrari
ad apprendimenti di gruppo: 2. dipendenza

Il modo fight-flight:
le persone non hanno alcun desiderio di apprendere l'una dall'altra.

Invece tendono a : - sottrarsi al soggetto trattato

- o a vincere/ perdere

Il modo dipendenza:
persone non lavorano per la crescita reciproca
Invece protese a: imparare solo dal

= agiscono come se tutto dipendesse dal fare attenzione alle parole del
docente e avere fede nella sua competenza.
Figura 5 Progettazione della comunità di Gungahlin ( M.Emery & F. Emery )

1. Ambiente generale esterno


2. Futuri desiderabili
3. Futuri desiderabili per la città, Città desiderabili

4. Ostacoli: misurarsi con la realtà


e con giudizi di valore iniziali ( fase 1 )

5.scopo

comunità indagante continua

(Per identificare gli scopi ideali più rilevanti per il processo di


progettazione, i partecipanti devono aver prima costruito un ritratto
condiviso su da dove viene il sistema di cui sono parte e dove va:
i suoi possibili futuri )
Fase 1. L'ambiente generale o i futuri in atto.
Compito: indagare tutti i possibili trend in atto nella società attraverso un
elenco di eventi recenti sintomatici: tecnici, ambientali, sociali, attitudinali, demografici ecc..
Fase 2. Futuri desiderabili. ( Valori - ideali )
Avendo deciso che il compito precedente é completato, il gruppo sulla
base di questo elenco ricava un elenco di valori condivisi espliciti o impliciti che stanno alla
base di futuri desiderabili
Fase 3. Città desiderabili.
I valori condivisi elencati nella fase precedente vengono tradotti in ritratti di città desiderabili.
Fase 4. Ostacoli.
Elenco delle difficoltà e ostacoli che si incontreranno per realizzare le
città desiderabili. Implica una nuova presa in considerazione degli elenchi delle Fasi 1
( tendenze in atto ) e 2 ( valori desiderabili ) . Alcune delle osservazioni di queste due fasi
precedenti possono essere modificate in questa fase.

( Lasciare gli ostacoli per ultimi affinché i valori desiderati rimangano espliciti e in evidenza e
non siano oscurati come succede quando i ragionamenti si basano prevalentemente su
considerazioni economiche e tecnologiche. )
Fase 5. Scopo .
Il presente. Come implementare i city design "fattibili"
Placidi-Reattivi Turbolenti

La natura delle situazioni.

Problem-solving Puzzle -solving

gli esperti pensano di conoscere ogni situazione é talmente


il problema / complessa e imprevedibile
cercano entro le conoscenze esistenti che bisogna muoversi con
un ventaglio di soluzioni probabili cautela.
da comparare fra loro ogni passo ci fa capire
per scegliere la migliore qualcosa di quella situazione
unica e particolare
e quali altri passi sono possibili

La relazione fra le parti é una


Le decisioni

Processo razionale Processo basato sul valore

( valori estrinseci; mezzi-fini ) intrinseco di un certo corso di


Efficienza probabile azione per i soggetti
dei diversi percorsi Probabilità che i soggetti
indipendentemente dai soggetti si mobilitino per realizzarlo
Conoscenze cruciali

verifica dei fatti verifica dei valori


motivazioni della gente: quando il percorso da A a B
come convincerla che può essere deciso solo
la soluzione degli esperti mentre si procede
é la migliore possibile i soggetti devono poter
valutare i tragitti possibili
alla luce dei valori-ideali condivisi
Per creare una identità di gruppo che consenta
l'apprendimento di gruppo é necessario:

1. creare una situazione in cui é assente la minaccia


di "perdere la faccia", di agio reciproco,

2. dove i membri possono elaborare un quadro di valori


condivisi abbastanza ampio da rendere inoffensive le
aree di probabile disaccordo,

3. e contemporaneamente consenta a ciascuno di


intervenire ed essere notato dagli altri come persona
individuale

Il ruolo degli organizzatori della Search Conference é


quello di creare e mantenere nel tempo questo clima.
Conoscenze generali necessarie per i leader di co-progettazione:

1) mettere in moto un processo di indagine entro il quale i soggetti interessati possano


chiaramente identificare gli ideali che devono guidare il cambiamento

2) mettere in moto un processo di cambiamento che favorisca l'apprendimento reciproco e


collettivo a ritmi appropriati rispetto le esigenze

3) sostenere un modo di rapportarsi e di partecipazione che consenta di valutare e scegliere i


percorsi in base al loro valore intrinseco per coloro che ne sono protagonisti e/o coinvolti
Conoscenze specifiche per co-progettazione:

a) sapere riconoscere e gestire le dinamiche di contesti aperti


all'apprendimento reciproco e collettivo

b) sapere come tenere sotto controllo le forze emozionali di gruppo


e in particolare l'ansia e tensioni connesse al muoversi con spirito
esplorativo, senza certezze, in una situazione orientata a dei
risultati
La soluzione Search-Conference: il ricorso a "isole sociali"

riunirsi in un luogo appartato e riposante, dove i


partecipanti possono
formare una comunità isolata per tutto il tempo che
ritengono necessario
fuori dall'urgenza di giungere in tempi stretti a decisioni esplicite e
senza la possibilità di trovare delle scuse per sottrarsi al compito
( lavoro-famiglia )
Principali temi delle search conferences organizzate negli anni:
progettazione aziendale,
sviluppo di comunità,
progettazione urbana,
risoluzione di conflitti internazionali

principio unificatore, pur nelle differenze: mettere gli individui in


condizioni favorevoli per accedere a un livello di responsabilità
condivisa.

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