Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
di
Eileen Ross
Questo libro contiene materiale protetto da copyright e non può essere
copiato, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro
modo a eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’autrice, ai
termini e alle condizioni esplicitamente previste dalla legge applicabile (Legge
633/ 1941). I marchi menzionati in questo romanzo sono proprietà dei legittimi
possessori.
Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
in piedi Signori, davanti a una Donna!
William Shakespeare
Dedicato a Barbara Costantino
PROLOGO
Tirare le somme della sua vita, valutare gli errori e combattere i
fantasmi del passato aggrappata alla maniglia in metallo del
vagone di quella sferragliante metropolitana, era proprio da lei.
Ad ogni scossone, un pensiero si assestava nella sua mente che,
da troppo tempo, sfuggiva al suo controllo.
Il dolore con il tempo non si era smorzato, ma solo affievolito,
così spesso le capitava di non riuscire a gestirlo e si lasciava
travolgere come da un fiume in piena. Come in quel preciso
istante, nel quale un individuo, grosso il doppio di lei, la stava
schiacciando contro la parete in lamiera.
Aveva imparato a diventare insensibile apparentemente, aveva
smesso di protestare per le piccole e involontarie angherie
quotidiane.
Si spostò alla sua sinistra, sgusciando dalla pressione
dell’addome prominente contro il suo sedere, poggiò le mani sul
vetro impolverato e ricoperto dagli aloni di altre mani che lo
avevano sporcato.
Eppure, attraverso quella barriera lurida riusciva a distinguere il
buio, rischiarato dalle flebili luci all’interno della galleria
sotterranea. Era come guardare un po’ attraverso se stessa.
Un tempo, il vetro doveva essere stato limpido, poi il trascorrere
degli anni lo aveva insudiciato.
Anche lei si sentiva sporca, corrotta, graffiata; possedeva mille
microscopiche crepe che non avrebbero più potuto essere
ricomposte. Un mosaico intricato di dolori, ferite nell’anima e nel
corpo, colpi ricevuti dalle parole che si abbattevano su di lei,
spesso più violente dei pugni che un giorno aveva smesso di
schivare, accettandoli barcollando.
Stava barcollando anche ora, si disse, artigliando uno dei
sostegni.
Quando il cielo aveva smesso di essere blu?
Quando i baci si erano trasformati in insulti?
Quando le carezze si erano trasformate in schiaffi?
Quando un caldo abbraccio si era stretto tanto da farle mancare
il respiro, spezzandole le costole?
Non ricordava il giorno preciso nel quale la stoffa lucida del suo
bianco abito da sposa si era tinta di rosso sangue.
Lei, attimo dopo attimo, era avvizzita come i fiori del bouquet
nuziale che si era ostinata a conservare.
Si riparò gli occhi con l’avambraccio, il vagone proseguiva
all’esterno e la luce inondò d’improvviso l’abitacolo, portando alla
vista gli stralci di una Boston annoiata, stanca, proprio come lei.
Non aveva mai avuto la forza di fuggire da lui e si era frantumata
definitivamente il giorno in cui lui se ne era andato sbattendo la
porta. Quel suono secco si era ripetuto nei suoi sogni… incubi. Lei
bocconi sul pavimento, il sangue che le colava dal naso.
Aveva pregato che lui non tornasse più e Dio, finalmente, aveva
avuto pietà di lei. Lui non era più rincasato.
Due giorni dopo, il trillo insistente del campanello, l’aveva
riportata alla disperazione. Era terrorizzata, eppure, la paura non
l’aveva impietrita. Le gambe si mossero e le dita tremanti
afferrarono la maniglia. Lui era tornato…
Socchiuse la porta, pronta a sentire le sue scuse, pronta ad
accettare il mazzo di fiori che lui era solito stringere tra le mani
mentre la pregava di perdonarlo, dicendo che non l’avrebbe mai
più distrutta, e lei… lei, ancora una volta, lo avrebbe perdonato,
sperando che lui tornasse l’uomo felice che l’aveva sollevata tra le
braccia e baciata appassionatamente il giorno del loro matrimonio.
Non trovò il volto contrito di lui attraverso lo spiraglio, ma altri due
visi abbattuti, che indossavano deboli sorrisi di circostanza, due
poliziotti. Uno, quello più giovane, le chiese se potessero entrare e
lei li lasciò passare. Che qualche vicino di pianerottolo avesse
avvertito le forze dell’ordine sentendo le grida di lui e il pianto
sommesso di lei di quando lo pregava di smettere?
Nulla di tutto ciò. L’agente più anziano proferì, in tono sommesso,
parole che la colpirono come una lenta lapidazione, sasso dopo
sasso…
Lui… lui era morto.
Morto in un incidente stradale.
Non fu dolore ciò che provò, non fu la liberazione dalla sua
eterna condanna, ma un incolmabile vuoto che quotidianamente,
da allora, cominciò a scavare una lenta voragine, che nel tempo la
stava frantumando, coccio dopo coccio.
La solitudine poteva essere una benedizione o una crudele
compagna: per lei era solo inerzia.
Camminava, mangiava, puliva la casa, faceva la spesa come
ogni giorno eppure, non si rendeva nemmeno conto di esistere.
Tutto era meccanico, e i colori vividi sbiadirono, sino a scomparire
nel cupo grigio.
Sino al giorno nel quale si era resa conto di non avere più di che
vivere: le bollette non pagate, l’affitto arretrato, il frigorifero vuoto;
l’assicurazione non aveva pagato un solo centesimo per l’incidente
del marito e lei non aveva diritto ad alcun sussidio. Sarebbe stato
semplice scomparire, era quello che aveva sempre agognato
durante l’infame tempo passato accanto a lui.
Ma forse era giunto il momento della rivalsa, dopo che aveva
toccato il fondo; annaspando, doveva risalire la china, voleva
vivere, voleva respirare e decise di trovarsi un impiego. Lei che
non aveva mai lavorato, perché lui la voleva a casa, per renderla
ancora più dipendente e ricattabile.
Si era iscritta a diverse agenzie interinali, sapendo di avere ben
poche speranze, soprattutto, perché non era più giovane: già
aveva quarantadue anni e le sembrava di aver vissuto nell’oblio
per un’eternità.
In realtà lei doveva sopravvivere!
E quando ricevette la telefonata da parte di un operatore di una
delle agenzie che la informava di un colloquio lavorativo, come
segretaria in un non ben definito studio nei dintorni di Beacon Hill,
priva di illusioni ma decisa a provarci, accettò l’appuntamento
fissato per il venerdì della seconda settimana di maggio alle due
del pomeriggio. Precisamente quindici minuti e sette fermate da
casa sua.
CAPITOLO UNO
Morgana camminava lungo la strada ripida, mentre l’acciottolato
appuntito sotto le suole delle Chanel che calzava, le procurava
dolore. Erano il suo paio di scarpe buone, beh insomma quelle che
possedevano un minimo di sobria parvenza. Controllò il foglietto
sul quale aveva appuntato il numero civico dello studio. Gli edifici
erano tutti identici, costruzioni in mattoni rossi a vista. Forse, aveva
sbagliato direzione e doveva incamminarsi verso il lato opposto.
Lesse i numeri in ottone accanto ai portoni in legno solido. Ma
dove diamine era il numero trentatré?
Il pensiero di tornare indietro la snervò: poteva essere così
distratta? Perché non era in grado di raccapezzarsi? Forse, perché
non aveva mai messo il naso fuori di casa se non per fare la spesa
al supermercato nei pressi del suo appartamento.
Dai, dai Morgana, riprovaci si incitò.
Maledette scarpe e maledetti ciottoli appuntiti! pensò
Si calmò all’istante, in fondo era stata in grado di sopportare
dolori ben peggiori, ne portava i segni, sulla pelle, nelle ossa,
nell’anima.
Non pensare Morgana e concentrati si impose.
Tirò un bel respiro e si girò nella direzione opposta, con il naso
all’insù rischiando di stramazzare al suolo per una storta. Passò in
rassegna i numeri civici, trenta, trentuno, trentadue… quarantatré!
Ma insomma lì c’era qualcosa di completamente sbagliato! Ma
chi si era occupato di assegnare quei benedetti numeri civici?
Che il destino volesse inviarle un messaggio del tipo “evita di
andare a questo appuntamento tanto il lavoro col cavolo che lo
otterrai”? Va beh ogni tanto il suo pessimismo si faceva sentire. Ma
perché a lei andava sempre qualcosa storto?
Okay, okay, Morgana concentrati! Anche se si vergognava come
una ladra poteva chiedere al primo passante, magari il giovane
che si stava apprestando nella sua direzione.
Si schiarì la voce «Mi scusi?» le uscì un gracchio stirato.
Lei aveva timore di disturbare chiunque, dopotutto, il suo defunto
marito glielo aveva ben inculcato in testa che non bisognava
infastidire il prossimo. In particolar modo lui quando era seduto in
poltrona e guardava la partita di basket, ritenendo che un paio di
ceffoni ben assestati l’avrebbero fatta desistere dal passare
l’aspirapolvere nella stanza accanto.
Nel frattempo, il ragazzo con i jeans calati sotto ai fianchi e le
sneakers, da cento dollari, le sorrise, girando il berretto di lato.
«Dici a me vecchia?». Ora, che quello fosse lo slang giovanile a
lei non era dato sapere, ma chiamarla vecchia, un po’ la offese.
Ingoiò il suo disappunto e chiese «Sa per caso dove si trova il
numero civico trentatré?».
Il giovinastro, masticando rumorosamente il suo chewingum,
indicò un portone poco più avanti con l’indice tatuato e inanellato
da un pesante cerchio in acciaio. «Lì vecchia, forse è ora che tu ti
faccia un bel paio di occhiali».
Lei era contro la violenza e ne aveva tutti i motivi, ma vecchia
l’appellativo con cui lui continuava a chiamarla, le faceva venire la
voglia di tirargli uno scappellotto dietro alle due orecchie martoriate
dalla sfilza di orecchini che contornavano tutto il padiglione
auricolare.
Morgana sollevò il naso ed eccolo il famigerato trentatré! Ma
come diamine aveva fatto a passarci davanti almeno una decina di
volte e non scorgerlo; forse era troppo agitata e forse il motivo di
quello stato confusionale…
«Ti serve altro bella culona?».
Culona? Lei portava una dignitosissima trenta, ma insomma un
po’ di educazione! E invece di cantargliene quattro a quel
maleducato gli sorrise mestamente. «Grazie».
Il ragazzo sollevò le spalle «Ci si vede, vecchia».
Ma non sia mai! Villano, ma i genitori perché non inculcavano un
po’ di sana cortesia a questa generazione di svogliati stronzetti?
Eh sì, perché questo ragazzo era davvero un cafone e uno
stronzo, punto! Non disse nulla, di nuovo, e pigiò con l’indice,
laccato di bianco perlato, il campanello.
Il portone, con un suono stirato simile a uno stanco soffio, si aprì
lasciandole la visuale su un pavimento in cotto rosso e una lunga
scala in legno scuro e lucido.
E adesso che doveva fare? Salire? Perché non c’era nessuno a
riceverla?
Si sporse in avanti. «C’è… c’è nessuno?» la sua voce incerta
simile a un cinguettio. Cosa si faceva in queste situazioni? Salire?
Attendere? E come mai non arrivava qualcuno?
Decise di aspettare, osservò l’orologio da polso quadrato con il
cinturino in simil pelle di coccodrillo marrone: cinque minuti, dieci,
e dell’ombra del suo eventuale datore di lavoro nessuna traccia.
Forza Morgana deciditi a salire questi scalini o farai notte qui
impalata, ai piedi di questa scala si spronò.
Prese un lungo respiro, proprio come quando doveva gettarsi
nella piscina quando il suo defunto marito le permetteva di uscire;
poggiò la suola sul primo gradino che scricchiolò. Si aggrappò al
corrimano: «Cominciamo bene» sussurrò e salì cauta.
Giunta all’ultimo, scorse un lungo corridoio rischiarato appena da
una fioca luce intermittente proveniente da un neon appeso al
soffitto: ma era finita nella casa degli orrori? Così vecchia e buia
che le incuteva timore. Che fosse stata attirata in una trappola da
un maniaco che attraverso falsi annunci di lavoro si procurava le
sue prede? Doveva smetterla di guardare tutti quei film thriller sino
a notte fonda!
Proseguì in punta di piedi, ad ogni passo il pavimento
scricchiolava e il cuore accelerava; sapeva che avrebbe dovuto
rimanersene a casa al sicuro, nel suo appartamento, ma i soldi sul
conto erano finiti e lei aveva bisogno di un lavoro a tutti i costi. Non
sino al punto di farsi strangolare prima di raggiungere l’unica porta
in fondo al corridoio oppure, ritrovarsi a pezzi in un vecchio
frigorifero nelle anguste cantine, o…
Oddio! L’uscio di legno in noce si aprì con un sinistro sibilo e lei
represse il desiderio di fuggire a gambe levate.
«Avanti!» tuonò una imperiosa voce maschile.
Lo sapeva, lo sospettava che sarebbe stato un uomo il suo capo,
insomma ci aveva sperato che fosse stata una donna, magari un
po’ di solidarietà femminile non le sarebbe dispiaciuta. Gli uomini
le incutevano un certo terrore, e ne aveva un trilione di ragioni, non
che ne avesse conosciuti molti dopo il matrimonio con Jim, ma
molte erano le vessazioni che aveva subito da quella dolorosa
esperienza avuta con lui, l’inflessione di quella voce burbera le
fece accapponare la pelle.
Morgana, con gambe molli, varcò la soglia. «È permesso?»
chiese con un filo di voce. «Oh mio Dio…» le sfuggì in un ansito.
Dov’era una parete alla quale appoggiarsi quando serviva? Ma
era lui il suo datore di lavoro?
L’uomo le indicò la poltrona in pelle nera di fronte a sé. «La
smetta di tremare e si sieda» disse con una voce roca e baritonale.
Morgana stirò le labbra in un sorrisetto di circostanza e avanzò
con la tremarella senza staccare gli occhi da quella montagna di
muscoli vestito da motociclista, con lunghi capelli neri ondulati e
occhi scuri indagatori, scanzonati.
Il petto era talmente muscoloso sotto la t-shirt nera da far
sminuire l’ampiezza della scrivania e le spalle larghe, racchiuse nel
giubbotto in pelle, sembravano voler esplodere lacerando il
tessuto. E la barba che contornava le labbra carnose? Belle
labbra, bellissime labbra niente da dire, ma quel sorriso derisorio la
irritava.
«Vuole rispondere al colloquio in piedi, tremolando o si decide a
sedersi Miss?».
Lei si accasciò sulla poltrona afflosciandosi come un palloncino
gonfio. «Mo… Morgana, mi chiamo Morga… na» tartagliò.
Il bellissimo energumeno allungò una mano che poteva
tranquillamente circondarle il collo. «Lieto di fare la sua
conoscenza, Mo… Morgana, Morga… na» la dileggiò senza
smettere di mostrarle i denti bianchissimi.
Lei ebbe il timore che lui le spezzasse le dita mentre posava la
mano nella sua, in verità la stretta fu calda e avvolgente e uno
strano brivido le percorse la schiena. Leggero e allo stesso tempo
caldo.
«Morgana…» disse lui pensieroso, facendo una pausa senza
mollarle la mano e poi riprese, «… strano nome davvero,
comunque io sono Judah».
«Non è che il suo nome sia poi così convenzionale» le sfuggì e
poi si maledisse: da quando era diventata così sfacciata e
impertinente?
Judah stirò maggiormente le labbra. «Ha ragione Miss Morgana
e un cognome ce l’ha?».
Lei torse lievemente il polso. «Green e se volesse restituirmi la
mia mano le sarei molto riconoscente.». Accidenti, ancora non
aveva collegato il filtro cervello bocca!
Non le era mai capitato di esprimere con tanta naturalezza le sue
sensazioni, ma c’era qualcosa in quell’uomo che l’attirava e allo
stesso tempo la metteva in allerta.
E poi era così giovane, non doveva avere più di trenta anni,
impossibile che fosse lui il suo nuovo capo e anche l’abbigliamento
la faceva protendere per quella convinzione. Forse poteva essere
il figlio del proprietario di quel fantomatico studio.
«Dov’è il mio eventuale boss?» chiese strattonando la mano,
mentre lui non mollava la presa!
Judah, senza eliminare quel sorriso sornione dal suo bel volto la
lasciò libera. «Ce l’ha davanti, Miss Green» e poggiò le
mastodontiche spalle allo schienale, attendendo che lei smettesse
di iperventilare, massaggiandosi il polso.
«Ma io non ci credo, non può essere lei!?» squittì lei con voce
incerta.
Judah si sporse in avanti e lei si appiattì alla poltrona.
«Lei è?» la incitò a proseguire inchiodandola con quelle iridi
scure che brillavano nel bianco abbagliante della sclera e gli
conferivano uno sguardo ironico e dalla luce intelligentissima
facendolo assomigliare a una bellissima e pericolosa divinità
orientale.
Morgana si morse il labbro e Judah seguì interessato quel gesto.
«Troppo giovane» gracchiò lei con la gola riarsa. Oh Dio di tutti i
cieli perché la intimoriva così tanto? E allo stesso tempo l’attirava
come un enorme affascinante magnete?
Judah poggiò i gomiti sulla scrivania e a lei apparve ancora più
grosso. «Quanti anni ha Morgana?».
Lei fu attratta dal movimento del ciondolo in avorio che pendeva
dalla cordicella che cingeva il collo taurino. «Non si chiede l’età a
una signora» affermò ipnotizzata dalle vene in rilievo che
scorrevano sotto alla folta massa di capelli scuri.
Lui contrasse i pettorali e lo fece per attirare maggiormente lo
sguardo rapito di lei. «Non sia ridicola Morgana, mi interessa per
l’eventuale stipula del contratto lavorativo».
Morgana si ridestò dall’estasi contemplativa. «Oh, a beh, allora,
sì, ecco…» Abbassò lo sguardo. «Quara… quarant… ta… ta…
due…».
Judah scosse la grande mano e il luccichio dell’anello in argento
che portava all’anulare riverberò.
«Ha mai pensato di fare qualcosa per il suo evidente problema di
balbuzie? Le capita soltanto quando è sotto pressione o è un
evento ricorrente?».
Che faccia di bronzo! «Mi scusi, ma lei è forse uno psicologo?»
ribatté piccata. Se pensava che soltanto lui fosse dotato di
un’odiosa forma di ironia si sbagliava di grosso!
Judah afferrò il curriculum di lei che era poggiato sulla scrivania e
lo scrutò distrattamente.
«In un certo senso, criminologo per essere precisi…» e dopo
aver gettato la bomba prese a leggere. «… licenza superiore, le
mancano due esami per acquisire il Bachelor’s degree, perché non
ha terminato gli studi?».
Ma a lui cosa fregava dal momento che lei doveva fargli da
segretaria? E poi questo qui mica l’aveva l’aria di un criminologo
piuttosto quella di un motociclista scanzonato e attaccabrighe, i
criminologi nelle serie tv non assomigliavano nemmeno
lontanamente a lui!
«Allora, vuole rispondere alla mia domanda magari prima di
domani mattina? Io avrei, a differenza sua, un’agenda fitta di
appuntamenti».
Morgana si morse la lingua per non mandarlo a quel paese e
molto prima dell’alba del giorno dopo!
«Mi sono sposata».
Judah sollevò un sopracciglio. «E questo le ha impedito di
proseguire gli studi, era così stancante e impegnativo fare la
moglie?».
Una fitta di dolore le si accese nel petto a quelle parole. «Lei non
sa quanto…» sibilò.
Judah alzò lo sguardo e incontrò gli occhi celesti di lei, e vi lesse
un oceano di dolore, due gemme che non brillavano più. Chi era
questa donna, entrata da quella porta come un gattino impaurito?
Possedeva una dignità ammirevole, lo aveva dimostrato sfidandolo
e rispondendogli per le rime nonostante lui sapesse che le
incuteva timore.
Cosa nascondevano quegli occhi allungati, dalle lunghe ciglia
scure?
Da quando l’aveva vista avanzare tremando come una foglia, lui
aveva provato una strana sensazione, il desiderio di alzarsi e
raccoglierla tra le braccia per non farle sopportare il supplizio di
avanzare incerta.
Cos’era quel bisogno di punzecchiarla, di stimolare le sue
risposte?
Perché questa bellissima donna che indossava un’anonima
gonna grigia al ginocchio e una camicetta avorio che chiunque
avrebbe notato essere ormai datata e fuori moda, era riuscito a
irretirlo soltanto con il movimento appena accennato dei fianchi
generosi. Quella bocca grande, per certi versi oscenamente,
eroticamente grande, lo eccitava nonostante lei miagolasse come
un gattino spaurito.
C’era un non so che di perversamente eccitante nel sentirla
balbettare quando la metteva in soggezione e lui sapeva che con
la sua fisicità poteva scatenare reazioni diverse. Solitamente le
donne volevano calarsi le mutandine, ma lei, lei era paralizzata e
allo stesso tempo ne era attratta.
Lo aveva capito immediatamente da come lo studiava, lei non
era in grado di mascherare il desiderio eppure, lui era abbastanza
bravo da carpire le reazioni dell’essere umano. Dopotutto, lui si
guadagnava da vivere con quella sua innata peculiarità: saper
leggere i gesti del corpo, le espressioni dei volti, la postura, il
linguaggio silenzioso delle impercettibili movenze.
Lei era un enigma, un affascinante, intricato e bellissimo enigma.
.
Scoprire le diverse sfaccettatura di Morgana Green poteva
essere un gioco stimolante, divertente e a lui intrigava il gioco, anzi
lo amava.
Ma doveva capire se lei fosse adatta al lavoro che intendeva
proporle, poiché se avesse accettato, entrambi, avrebbero dovuto
passare la maggior parte del tempo insieme, e lui aveva bisogno di
sintonia. Questa bellissima fata, o forse strega, Morgana per
l’appunto, stava tessendo e. lentamente, lo stava avvolgendo nel
suo incantesimo, per incastrarlo in una strana alchimia che lui da
subito ha percepito.
Judah diede un’ulteriore scorsa al curriculum della bella signora
balbuziente e allungò la mano arraffando il pacchetto di sigarette;
picchiettò con il medio il fondo e ne estrasse una, la raccolse con
la bocca e l’accese con il pesante accendino zippo in metallo. Lo
scatto fece sobbalzare Morgana, ormai ipnotizzata da ogni
movimento dell’uomo che aveva di fronte, soprattutto la bocca…
Un uomo poteva possedere una bocca così… così… carnale,
erotica, sensuale?
Lei ne sorbiva ogni movenza, quando la socchiudeva, quando si
stringeva attorno alla sigaretta, il luccichio dei denti, la punta dura
e allo stesso tempo morbida della lingua…
«Miss Green?».
Morgana sobbalzò sulla seduta, sbattendo le ciglia.
«Sì?» fu un languido sospiro. Da dove le era uscito quell’ansito?
Le gote le si infiammarono immediatamente. Insomma, Morgana, ti
stai comportando come un’adolescente di fronte al suo idolo, un
po’ di contegno, potrebbe benissimo essere tuo figlio! Beh, proprio
figlio no, ma comunque era disdicevole che lei fantasticasse sulla
bocca di un ragazzo molto più giovane. Si fece mentalmente una
lunga filippica, distolse per una frazione di secondo gli occhi, ma
appena lui buttò fuori una folata di fumo azzurrognolo, si
rincollarono di nuovo alle sue labbra peccaminose.
Judah le porse il pacchetto. «Mi scusi a volte sono davvero un
orso, prego» e lo scosse sotto al suo naso.
Morgana mosse il capo e la massa di capelli color del cioccolato
fuso le sfiorarono il volto diafano; Judah inspirò il dolce effluvio che
si espanse nell’aria, qualcosa di appena percettibile, ma che lui,
stranamente, riconobbe tra l’aroma forte del tabacco che si
innalzava dal mozzicone.
«Lei non fuma Miss Green, allora forse la sto infastidendo, è per
caso un’accanita salutista?».
Morgana si agitò sulla poltroncina. «Oh no, no davvero, non mi
dà alcuna noia, anzi anch’io da giovane fumavo, sa al college e
poi…».
Judah si sporse in avanti e lei indietreggiò istintivamente,
accidenti se era grosso!
«E poi?» la invitò a continuare.
«… E poi mi sono sposata» le sfuggì prima che potesse
collegare la bocca al cervello.
Lo sguardo di lui si fece affilato. «E questo cosa c’entra?».
Morgana si spolverò la gonna. «Beh, mio marito non era
d’accordo che io fumassi, così…».
Lui spense il mozzicone nel posacenere in alabastro nero.
«Lodevole da parte sua, smettere perché lui non sopportava il
fumo».
Morgana sollevò il mento. «Oh no, no, lui fumava, ma sa com’è
una donna non dovrebbe…».
Si morse un labbro e gli occhi scuri di lui si fecero duri, oddio
perché adesso era arrabbiato, cosa gli aveva detto di sbagliato?
Ma perché lei era in grado di far adirare così tanto gli uomini? Si
appiattì allo schienale. «Mi scusi io non so, ma…».
Judah le lanciò il pacchetto che strisciò sul pianale. «Ne prenda
una, e facciamola finita, suo marito non verrà mai a saperlo, e
comunque anche se lo venisse a sapere lei dovrebbe fare quello
che le piace, donna o uomo non fa differenza».
Morgana osservò il pacchetto, una vera tentazione!
Quante volte sentendosi distrutta e angosciata, aveva avuto la
necessità di accendersi una sigaretta? O il semplice piacere di
fumarne una dopo un caffè?
Era davvero tentata, ormai Jim non poteva più prenderla a sberle
come la volta che l’aveva sorpresa a fumarsene una in bagno con
la finestra spalancata, gliela aveva spenta sulla mano che si era
fatto porgere, ne portava ancora l’ombra della cicatrice… Una
piccola stella dai contorni indefiniti… uno dei tanti marchi che lui
aveva disseminato sulla sua pelle.
Deglutì e allungò la mano che le tremava, sfiorò il pacchetto con i
polpastrelli, Judah ne seguì i movimenti, maledizione! Quella fata
tremolante lo attirava come una calamita, mani dalle dita lunghe,
affusolate, forza, bella, prendine una la incitò mentalmente.
Morgana scivolò avanti e il lieve fruscio della gonna gli riverberò
dentro, merda! Che cazzo era quella strana voglia di sollevargliela
sino alle cosce e poi …
Morgana, lentamente ritrasse la mano. «Forse è meglio di no…»
sussurrò, riappoggiando le esili spalle allo schienale.
Dannazione! E lui che sperava di vederla buttar fuori languide
folate di fumo da quella bocca sensuale, grande, allungata, che
voglia di morderla che aveva, insomma di farsi inghiottire il suo
cazzo dur… Ma dai, dai Judah, stai lavorando troppo di fantasia,
maledì se stesso e i jeans che gli stavano strangolando le palle;
che ce l’avesse duro era un bel fuori programma, interessante
davvero…
Meglio riportare la conversazione sul piano professionale, e giù
un’altra occhiata a quel curriculum che ormai era tutto sgualcito.
«Qui dice che sa usare programmi più elementari di software,
quindi per lei non dovrebbe essere un problema creare file e
cartelle dove annoterà i miei appunti giusto?».
Morgana annuì. «Oh certo, certo».
Il movimento di quelle ciocche seriche, spinsero Judah a
contrarre le dita, stritolando il dattiloscritto: che voglia di stringerla
e farle piegare all’indietro quel lungo collo niveo, e…
Riagguantò il suo autocontrollo che si dirigeva spesso verso il
cavallo dei pantaloni. «E quante ore è disposta a lavorare, Miss
Green?».
Morgana rispose risoluta: «Tutte quelle che lei riterrà necessarie,
Mister?».
Judah sollevò un sopracciglio «Mister?».
Lei accennò un debole sorriso, c’era una strana luce divertita,
impertinente negli occhi limpidi di lei. «Ce l’avrà un cognome
anche lei no?».
E brava la mia strega dalla tremarella, bella mossa
«Marshall, ma lei può chiamarmi semplicemente Judah».
«Judah» mormorò lei.
Oh Cristo, Cristo, più forte piccola strega, gridalo quel nome,
mentre ti sbatto sopra a questa scrivania della malora! Buono
bello, stai calmo, mooltooo calmo, lei potrebbe essere la tua dolce
zietta, e ne ha anche tutta l’aria, sei morboso sai brutto bastardo!
Dove cazzo li hai buttati i tuoi anni di psicologia, nel cesso? Si
rimbrottò tra sé.
Si mosse impercettibilmente, che voglia di strapparsi quei jeans
che lo stavano massacrando, non ci stava più dentro! Ragazzi, ma
era da ricovero, da quando non gli tirava così? Nemmeno la sera
prima, con le due scalmanate accalappiate al Forty Nine, che poi si
era portato nella stanza di un motel fuori mano!
Ci voleva un cicchetto, mezza bottiglia di Jack sarebbe bastata?
Naa, magari una intera e con una doccia gelata.
Roba da matti sul serio, manco fosse al cospetto di una porno
diva in abiti succinti, anche perché, quella gonna dava i brividi sul
serio, nemmeno la sua trisavola l’avrebbe indossata.
E comunque lui era un grandissimo figlio di buona donna, perché
lo aveva capito da subito che miss Green era attratta da lui, come
ogni donna del resto. Sapeva di essere un tipo che piaceva, e a lui
piaceva giocare con loro, giocare sporco, molto sporco quando si
trattava di scopare, per poi dimenticare i loro volti il giorno dopo.
Ma il gioco che lo stimolava maggiormente, ora, era quello di
vedere sino a che punto lei potesse spingersi. La trovava alquanto
inibita, una persona che lottava per controllare le sue pulsioni,
reprimere il desiderio: tutte situazioni che lo eccitavano insomma.
Come sarebbe stato scardinare il suo pudore?
«Vorrei essere molto franco con lei, Miss Green. Dovremmo
passare molto tempo insieme, potrei avere bisogno sino a notte
fonda. Crede di essere in grado di spendere tutto questo tempo?».
Morgana ci pensò un po’. Mah, tutto sommato cosa avrebbe
avuto da fare di così importante se non vegetare sul divano
davanti alla tv? E poi, rischiava che gliela avrebbero portata via se
non avesse pagato gli ultimi affitti arretrati.
«Per me va bene» rispose tutto d’un fiato.
Judah lanciò il curriculum sul pianale. «E suo marito? Potrebbe
non essere d’accordo».
Morgana scosse ancora il capo: «Lui non rappresenta più un
problema».
Judah aguzzò l’attenzione. «Separati?»
Forse ci sperava, okay! Era sicuro che prima o poi, una botta
gliela avrebbe data volentieri a questa fata turchina, ma fottere nel
senso più letterale delle parole una donna a un altro uomo non gli
era mai andato a genio. Certo si era intrattenuto con qualche
signorina fidanzata, o a un passo dall’altare, ma lei era una donna
sposata e, il matrimonio, lui lo riteneva sacro nonostante lo
scongiurasse come la peste.
«Vedova …» disse lei con un filo di voce.
«Meglio così» sparò lui prima che potesse arginare la sua
boccaccia da testa di cazzo! Di certo non brillava in fatto di tatto.
«Come scusi?» chiese lei spalancando gli occhi.
Judah scacciò l’aria con la mano. «Ma sì, un problema in meno,
non dovrà rendere conto dei suoi orari di lavoro improbabili e poi,
potrà fumarsi un intero pacchetto al giorno».
Morgana arricciò il nasino. «Certo che lei davvero è un uomo
pratico e privo di empatia!» In quel momento, avendo dato voce ai
suoi pensieri, fu sicura di dover levare le tende, per sempre.
Judah trattenne una risata e, cercando di mantenere
un’espressione incolore, si sporse in avanti minaccioso, mentre lei
indietreggiava facendosi piccola, piccola. Di piccolo non aveva
nulla però, se non il suo metro e sessanta per cinquanta
chilogrammi di peso. «Posso a… a…ndare. Pre… presumo».
Il volto di Judah divenne un ghigno pericoloso. «Oh no, no
Morgana, lei è assunta!».
CAPITOLO DUE
Il mattino seguente, Morgana, fu risucchiata fra le ante del suo
armadio a scartare, tra le grucce, gonne e camicette. Come
diamine si doveva vestire per il suo primo ufficiale giorno di lavoro?
Non ne aveva idea. E comunque era fermamente convinta che al
suo capo non fregasse molto di come si sarebbe presentata in
ufficio, sempre che quello si potesse chiamare ufficio. Un piccolo
angusto locale in una casa ottocentesca scricchiolante. Si batté
l’unghia dell’indice sul labbro superiore: un criminologo. Il suo boss
era un eccelso criminologo. Uno che doveva scovare malviventi,
che somigliava a un delinquente! Soprattutto per i suoi abiti fuori
dal comune, insomma, un teppista.
«Bellissimo teppista» sospirò. Oh signore benedetto! Cos’era
quella specie di interesse per un ragazzo molto più giovane di lei!
Di certo, il fatto di essere così sexy e selvaggio, non l’avrebbe
aiutata ad affrontare la sua prima giornata lavorativa.
Cosa si aspettava da quell’uomo burbero, spesso cinico sino
all’inverosimile! Si era rallegrato che fosse vedova, perché così
non ci sarebbe stato alcun problema per gli orari poco probabili a
cui l’avrebbe costretta e che sicuramente nessun tipo di contratto
prevedeva.
Comunque, gonna a fiori nei toni del nero e giallo o pantaloni a
sigaretta color crema? Camicetta sbracciata che la stringeva sui
fianchi, o giacca a tre quarti con i bottoni che non volevano
saperne di restare nelle asole, ma erano pronti all’esplosione, per
schizzare ovunque? Perché si era ingozzata di gelato negli ultimi
tre mesi!? Non aveva che pochi dollari sul conto e invece di usarli
per nutrirsi in modo sano e parsimonioso, li aveva spesi in
vaschette giganti di crema e cioccolato al caramello…
Che fosse carenza affettiva? O rivalsa per non averlo mai potuto
mangiare perché il suo defunto marito glielo impediva, controllando
ogni centesimo della spesa che lei faceva? Anche se per le sue
birre non aveva mai lesinato!
Al diavolo, gonna a fiori e camicetta nera e che sia finita!
Calzò il suo paio di scarpe buone, le Chanel tacco cinque
squadrato, con le suole consunte, e si diresse verso il bagno.
Restò in contemplazione mistica adocchiando il cassetto
contenente quel poco di make-up che si era procurata dopo la
dipartita di Jim.
Durante gli anni della loro convivenza lui le aveva permesso di
coprire con strati e strati di fondotinta i lividi che le lasciava sul
volto, ma niente rossetti o ombretti.
Ora ne possedeva una discreta quantità, certo non di alta
profumeria, ma un po’ di mascara e un velo di gloss non glielo
avrebbe levato nessuno. Non ne era molto avvezza al loro utilizzo,
si passò sulle palpebre un leggero strato di ombretto color tortora.
Doveva ancora perfezionare la tecnica ma, con il tempo, sarebbe
riuscita a sfumarlo alla perfezione. Osservò l’orologio, accidenti si
era attardata.
Infilò il golfino blu sulle spalle, si mise a tracolla la borsa rosa
cipria e chiuse a chiave la porta con due mandate.
Il tragitto sulla metropolitana fu un inferno, pigiata tra adolescenti
che si colpivano con gli zaini: un paio di borsate le aveva ricevute
anche lei sul didietro mentre vecchietti inviperiti sputacchiavano
rimproveri. Tentava di evitare il lancio della saliva nascondendosi
dietro alla sbarra alla quale si sorreggeva.
Fu spintonata fuori dal vagone, ritrovandosi in Becon Hill
trascinata dalla fiumana che si riversava sull’acciottolato: saltellò
con la punta delle scarpe per evitare di stramazzare giù per la
strada in discesa.
Santo cielo che impresa, finalmente davanti al portone del civico
trentatré!
Fece un bel respiro pronta a pigiare il tasto del campanello,
corroso dalla ruggine, e…
«Miss Green è in ritardo!».
Oh mamma mia che spavento! Morgana fece un piccolo balzo.
Judah la stava osservando dall’alto del suo metro e novanta con
due spalle grosse più dell’intero palazzo, e sorreggeva un
bicchierone di carta. Lei disse la prima cosa che le venne in
mente. «Caffè?» chiese con un filo di voce appena udibile.
Lui la superò e spalancò l’uscio che si aprì con un sinistro cigolio.
«No, whisky».
Mentre lui percorreva il breve atrio con lunghe falcate lei gli
trotterellò dietro. «A quest’ora?».
Lui salì gli scalini e lei temette che cedessero sotto il suo peso,
trascinandoli entrambi giù per le scale. «Miss Green, non si chieda
il perché io beva a quest’ora, piuttosto si faccia un paio di
domande su quella gonna orribile che indossa».
Morgana si osservò. «Ma scusi, che cosa ha di così orribile?».
Lui si voltò e la squadrò dalla testa ai piedi, poi diede una lunga
sorsata. «Ecco perché bevo di mattina di buon’ora, lei è uno
scempio se lo lasci dire».
Entrarono uno dietro all’altra nell’angusto ufficio. «Guardi, anche
lei non è che sia così questo emblema d’eleganza».
E poi si morse la lingua, perché non taceva?
Judah allargò le braccia scolpite, il petto si contrasse, in tutta la
sua gloriosa potenza, sotto al tessuto della t-shirt nera «Morgana,
mi dica. Ciò che sta osservando in questo momento, non le
piace?».
Lei temendo di averlo offeso si apprestò a scusarsi. «Ma no, no,
cosa dice è solo…».
Judah andò a sedersi sulla sua poltrona, afferrò il pacchetto di
sigarette e ne estrasse una accendendola per poi gettare, con un
tonfo sordo, il pesante zippo sul pianale. Un altro tonfo, ancora più
assordante, fu quello dei suoi anfibi che planarono sulla scrivania
quando li poggiò. «Ecco Morgana…» Tirò una lunga boccata e lei
seguì ogni suo movimento, irretita. Possedeva davvero delle
bellissime labbra e quei lunghi capelli ondulati sulle spalle
eburnee, sembravano così morbidi, lucidi. «Miss Green, è in
contemplazione estatica?».
La donna sbatté le palpebre. «Come scusi?».
Lui prima indicò lei e poi se stesso. «Lo vede, io le faccio questo
effetto nel mio informale abbigliamento».
Poi prese il bicchiere e mandò giù il liquido ambrato tutto d’un
fiato e tornò a puntarla. «E lei con i suoi abiti mi fa questo».
Morgana si stropicciò le mani. «Intende dire che vuole ubriacarsi
perché non le piace come vesto?».
Judah sollevò un sopracciglio. «È molto perspicace e ora si
sieda!» tuonò.
Lei si lasciò cadere sulla poltroncina. «Non crede di stare
esagerando e non intendo con il bere?».
Judah assottigliò lo sguardo. «Nemmeno un po’, Morgana, lasci
che le spieghi dove andremo quest’oggi e nei giorni a venire. Noi ci
recheremo sui luoghi di eventuali delitti, scarpineremo per intere
miglia se necessario e lei, mi creda, vestita così non potrebbe fare
che un paio di isolati, anche perché la mia vista ne risentirebbe
tantissimo, insomma mi permetta di dirle che vestita così fa
davvero… si guardi. È un completo disastro!».
«Sta esagerando, lo sa vero?» Fu la debole replica di lei.
Lui poggiò mollemente le larghe spalle allo schienale e battendo
le punte degli anfibi, ancora parcheggiati sulla scrivania, rispose.
«Forse, ma la scongiuro di non mettere mai più quella gonna in
mia presenza, è un consiglio che mi sento di darle. Non possiede
un paio di jeans, delle sneakers? Per la miseria degli abiti che non
appartengano agli anni cinquanta!».
Morgana si sedette in punta della poltrona. «Non crede che
dovrebbe essere un po’ più gentile? In fondo è il mio primo giorno
di lavoro, e sapevo di dover fare la segretaria» belò come un
agnellino.
Lui si finse pensieroso. «Forse ha ragione, comunque da domani
la voglio in jeans e canotta. Ci saranno almeno venti gradi là fuori,
e agghindata come una vecchia abat-jour offende la sua
femminilità».
«Mi scusi jeans e maglietta non sono poi così femminili e poi
cosa c’entra la femminilità con il mio lavoro?».
Judah fece schioccare le labbra, bellissime labbra…
«Guardi che un paio di jeans attillati fanno miracoli con un bel
didietro tondo e poi sono pratici, può infilarci un pacchetto di
sigarette nelle tasche posteriori e il suo smartphone».
Morgana si guardò attorno spiazzata. «Beh, io non fumo e non
possiedo uno smartphone».
Lui schiodò gli anfibi dal pianale e si raddrizzò in tutta la sua
potenza. «Come non lo possiede? Tutti ne hanno uno, come farò a
interpellarla quando avrò bisogno di lei? Non siamo più ai primi del
novecento, anche se lei si ostina a vestirsi come in quell’epoca! Se
ne compri uno oggi stesso!».
Morgana si sfregò le braccia. «Senta, ecco, io…».
Lui si piegò più avanti e lei si appiattì allo schienale. «Non mi
dica che è una di quelle donne che sono attaccate al passato,
insomma una che rifugge la tecnologia!».
Morgana balbettò qualcosa sottovoce…
Lui poggiò le mani sul pianale si erse e si chinò verso di lei. «Più
forte, la prego, non ho sentito».
Morgana biascicò l’incomprensibile, un cinguettio della malora
che lui non percepì, di nuovo!
«Alzi il tono di voce maledizione!».
«Io… io… ecco… du… dun… que».
Judah si passò una mano sul volto. «Ed ecco che ricomincia a
balbettare! Avanti coraggio non la mordo mica!».
«Non ne sarei così certa, comunque io non ho abbastanza
denaro per acquistare un paio di jeans, né uno smartphone da
infilarci nella tasca posteriore».
Spiattellò tutto di un fiato, rossa dalla vergogna e dalla
mortificazione.
Judah sollevò gli occhi al cielo. «Doveva dirlo prima, andiamo,
oggi faremo acquisti» e afferrò il giubbotto in pelle cacciandoselo
sulla spalla.
Lei rimase con il sedere inchiodato alla seduta. «Le ho già detto
che non dispongo della somma necessaria…».
«Si alzi e la pianti di blaterare. Lei no, ma io sì, la prenda da
questo verso. Jeans e canotta divisa ordinaria sul lavoro,
smartphone strumento di lavoro».
Lei si sollevò affranta. «Presumo che li detrarrà dal mio primo
stipendio?».
Judah le spalancò la porta e con un gesto le indicò di uscire.
«Non ci arriveremo mai al suo primo stipendio se continua a farmi
incazzare, ora vuole uscire da sola o devo prenderla in braccio?».
Uhm, un po’ ne era tentata. Ma cosa andava a pensare!
Lui era un ragazzaccio burbero, irrispettoso delle persone più
avanti di lui nell'età. E nemmeno rispettava le signore e
comunque…
«E allora? Sono a tanto così dal mettermela sulla spalla e
portarla giù a questi dannati scalini!».
«Andiamooo!» strillò lei e corse alla fine della scala
aggrappandosi al corrimano.
Judah la percorse molto lentamente, come gli piaceva farla
dannare! E poi non vedeva l’ora di guardare il suo bel culo tondo,
stretto in un paio di goduriosi jeans.
Morgana, attraversando la strada riprovò a manifestare la sua
legittima protesta. «Mi scusi, è proprio necessario andare a fare
shopping durante il mio primo giorno di lavoro? Non dovrebbe
invece spiegarmi che tipo di lavoro dovrei svolgere in ufficio?».
Raggiunsero il lato opposto della carreggiata. «Sì, è necessario e
non stiamo andando a fare shopping, diciamo che sto cercando di
non rovinarmi la giornata più del necessario, più la guardo e più mi
sale la carogna».
«Beh, addirittura apostrofarmi con questo spiacevole appellativo,
sa che è offensivo chiamare carogna il prossimo?».
Judah rovistò nella tasca anteriore dei jeans chiari, strappati su
un ginocchio. «Ma lei dove ha vissuto negli ultimi anni? In una
caverna? È un modo di dire. E dove cazzo ho messo quelle
stramaledettissime chiavi!?».
Morgana si guardava attorno, un tantino imbarazzata, i passanti
si attardavano a osservarli, certo che dovevano sembrare davvero
strani loro due: lui conciato come un teppista e lei, beh lei… Cosa
aveva che non andava la sua gonna?
«Scusi, non vorrei apparirle pedante, ma di primo mattino lei è
sempre così burbero?».
Judah lanciò un’altra colorita imprecazione. «Oh merda, eccole!
Okay».
Quest’uomo era incomprensibile!
«Come scusi?».
Lui indicò davanti a sé. «Monti, si sbrighi!».
Morgana sbuffò. «Ma cosa devo montare?». Che fosse più
chiaro lui e il suo strano slang!
Magari me bella fatina svampita e balbuziente? Ironizzò lui tra sé
arpionando la maniglia della portiera. «Salga, entri in macchina, si
sieda sul sedile, così è più comprensibile?».
Morgana spalancò prima gli occhi e poi socchiuse la bocca. «Oh!
Va bene, ma è sua questa macchina?» e, piegando di lato la
gonna, si lasciò cadere sulla morbida seduta in alcantara nera.
Judah prima di sbattere la portiera le rispose: «No, la sto
rubando!». Poi si accomodò al lato guidatore e, nonostante
l’abitacolo fosse ampio e accogliente, a lei mancò l’aria. Lui ne
occupava gran parte con la sua mole di muscoli e rabbia.
Pigiò un tasto e il motore della Lotus Evora nera ruggì e con una
manovra fluida e scattante si immise nel traffico.
Morgana si aggrappò al cruscotto e ansimò. «Senta è chiaro che
stava scherzando quando ha detto che la stava rubando,
comunque vada piano, questa macchina è troppo sportiva per i
miei gusti».
Judah pigiò l’acceleratore e l’auto schizzò in avanti mentre lei
artigliava con entrambe le mani il sedile.
«Siamo in città non dovrebbe andare così forte, oddio e
nemmeno sorpassare a zig zag!».
Lui frenò a due piedi dal retro di un’utilitaria incolonnata al
semaforo rosso. «A prescindere che i suoi gusti sono del tutto
discutibili, in particolar modo l’abbigliamento, ma non divaghiamo,
mi sento di darle un consiglio se vuole che andiamo d’accordo,
non critichi mai la mia guida».
«Sì, ma lei guida come uno scalmanato, non ci pensa
all’incolumità del passeggero e di chi le sta attorno?».
Lui ripartì sgommando. «È lei che non ci tiene alla sua
incolumità, le ho già detto un paio di volte quest’oggi di non farmi
incazzare e a quanto pare se ne frega!».
«Ma non sia così minaccioso, insomma avrò il diritto di esprimere
liberamente le mie opinioni, attento! Attento a quel passante sulle
strisce pedonali!».
Judah frenò e fece passare il giovanotto indaffarato che si
attardava ad attraversare con il naso pigiato contro lo schermo
dello smartphone. Attese, e attese, quell’altro se la prendeva
comoda, per Dio! Giù una manata sul clacson, Morgana strisciò un
po’ più in basso, ma che figure di cacca le stava facendo fare!
Raggiunse il tappetino con il didietro, tentando di mimetizzarsi
con la copertura del sedile, quando Judah tirò giù il finestrino e si
sporse.
«Ehi bello, facciamo notte?».
Il ragazzotto si tolse le cuffiette dalle orecchie. «Dici a me?
Cerchi rogna stronzo!?».
Morgana si raddrizzò come una molla e ansimò. «La prego, lo
lasci perdere, e poi stiamo ostacolando il traffico!».
Il volto di Judah divenne un ghigno pericoloso mentre un
sorrisetto sinistro gli si dipinse sul bel volto, lo sguardo fiero simile
a quello di un felino annoiato pronto a giocare con la sua preda
prima di farla fuori.
Morgana fiutò ciò che lui aveva intenzione di fare e,
istintivamente, lo afferrò per un braccio piantandogli le unghie nella
pelle del giubbotto nero. «Judah, senta, posso chiamarla così
vero? Se lei volesse ragionar…».
Non poté terminare la frase che lui aveva già spalancato la
portiera ergendosi in tutta la sua altezza e prestanza. Lei strisciò
sui sedili ancora aggrappata al suo braccio.
«Judah!».
Lui si chinò, le prese delicatamente il polso e la scostò con
estrema premura. «Scusa bella fatina, ma devo fare due
chiacchiere con quella testa di cazzo».
Lo lasciò andare. «La prego, solo due chiacchiere» per tutta
risposta Judah dinoccolò il collo e contrasse le larghe spalle.
Morgana gemette. «Ma cosa glielo raccomando a fare, cerchi
almeno di evitare che qualcuno chiami la polizia!».
Judah fece segno di avvicinarsi al ragazzo che dopo averlo visto
tutto intero se la stava facendo nei pantaloni, e cercava con lo
sguardo aiuto nei passanti che lo schivavano.
Morgana si coprì il volto quando Judah mosse il primo passo,
mentre dalle auto in fila dietro alla sua tutti si sporgevano per
guardare meglio.
Nel frattempo il ragazzo era pietrificato e le suole delle sneakers
incollate alle strisce bianche sull’asfalto.
Judah avanzava calmo e letale, senza fretta, contò. «Uno, due,
eeee tre!».
Il giovinastro fece uno scatto degno di un podista e fuggì senza
guardarsi indietro scansando i passanti scocciati che lo
insultavano.
Morgana osservò le dita che tremavano. «Sia ringraziato il cielo
per lo scampato pericolo».
Si rese conto che lui era risalito in macchina perché si era
abbassato l’assetto.
«Po… possiamo anda… andare adesso?» lo pregò.
Il suo capo attaccabrighe mise in moto con tutta la calma e
nessuno osò protestare. «Sono lusingato che lei si sia preoccupata
della mia incolumità, dopotutto quel ragazzo aveva davvero l’aria
minacciosa».
Morgana lasciò andare un lungo sospiro. «No, lei è minaccioso,
Judah».
Lui fece stridere le gomme e si voltò a guardarla con un
sorrisetto maligno. «Ma va? E cosa glielo fa pensare?» e imboccò
la prima traversa di destra a tutta birra.
CAPITOLO TRE
Judah si immise nel parcheggio a ore di fronte a un atelier,
Morgana, osservandone le vetrine, si rese conto che era di lusso. I
manichini dietro ai cristalli lucenti indossavano abiti decisamente
informali, ma comunque di alta sartoria. Insomma, chi avrebbe
speso settecento dollari per un paio di jeans scoloriti!? Pigiò il naso
contro al vetro temperato, eppure il cartellino ai piedi del manichino
riportava quella cifra esorbitante.
Roba da pazzi, e quella camicetta? Ma scherziamo?
Quattrocento dollari per uno straccetto striminzito?
Un’ombra, grande e minacciosa, apparve dietro di lei, Judah le
poggiò una mano sulla spalla e lei ne percepì il calore attraverso il
tessuto del golfino blu che si era drappeggiata sulle spalle.
«Entriamo o ha intenzione di restare qui, con il suo graziosissimo
nasino appiccicato alla vetrina sino a domani mattina?».
Lei istintivamente si allontanò per interrompere il contatto tra loro,
la sua vicinanza, ma soprattutto il suo tocco, le dava un leggero
capogiro, e le faceva svuotare completamente lo stomaco, mentre
il cuore faceva le capriole.
«Senta non vorrei apparirle puerile, ma ha visto i prezzi sui
cartellini?».
Judah si chinò verso la vetrina. «Veramente no, ma quei jeans
farebbero la loro porca figura su di lei, li prendiamo, è deciso,
andiamo!» e così dicendole la prese per mano trascinandola verso
le porte scorrevoli d’entrata. Per la verità con le sue lunghe falcate
lei doveva saltellare per stargli dietro, e perché mai non le lasciava
la mano, cos’era quella confidenza? Furono all’interno e lei provò a
divincolarsi
«Judah la mia mano, potrebbe?».
Lui non lasciò la presa. «Che musica di merda che c’è qui dentro,
lo dimentico sempre».
Per la verità a lei piaceva, e tanto, quel suono classico che si
spandeva in diffusione. Se non si sbagliava era musica da camera
per archi e pianoforte.
«A me non dispiace e volevo ribadirle che la mia mano…».
«Dove diavolo è una commessa quando la cerchi» borbottò lui
con la mano di lei sempre stretta tra le sue dita forti.
Si addentrarono tra l’elegante arredamento nei toni del nero e
bianco, i capi erano allineati su sostegni in acciaio e illuminati da
faretti.
«Ehi, c’è qualcuno? Anita, Eveline dove vi siete cacciate?»
richiamò con la sua voce baritonale. Oddio non proprio baritonale
per la verità, ma sexy con quello strano accento che Morgana
faticava a individuare.
«Lei non è americano vero?» le sfuggì, non riusciva a capire
perché quando era con quell’uomo il collegamento cervello/bocca
scompariva.
Lui sollevò un sopracciglio. «Miss Green, è davvero molto
perspicace, infatti mio padre è irlandese e mia madre coreana».
Lei lo osservò attentamente con il capo piagato di lato, e lui fu
rapito da quel movimento; i capelli di lei, morbide lucide onde
scure, ondeggiarono carezzandole le spalle, e gli occhi celesti, due
gemme attente con una luce curiosa e intelligente, la rendevano
stupenda, affascinante. Se solo non avesse indossato quella
ridicola gonna!
«A guardala bene lei non sembra avere sangue irlandese, forse i
tratti orientali ora che mi soffermo…».
«Anita! Dannazione!» ringhiò lui.
Una ragazza che non avrà avuto più di vent’anni fece capolino
dietro a uno stand.
«Mister Marshall, non mi ero accorta che ci fossero clienti, mi
scusi, stavo sistemando dietro …».
Lui, sempre stringendo la mano di Morgana, si diresse verso lo
scaffale dove erano impilati diversi modelli di jeans di tutte le fogge
e colori.
«Mi servono un paio di quelli per la mia assistente».
La giovane passò in rassegna Morgana dalla testa ai piedi e le
sorrise amichevolmente. «Ma certo, taglia? Preferenza di colore?
Sicuramente un modello classico.» Le voltò le spalle e ne prese un
paio di un blu cupo, dal taglio lineare e sobrio.
Judah si mise a braccia conserte, attirando l’attenzione sui suoi
bicipiti sia della commessa che di Morgana. Accidenti lui era… era
talmente scolpito che rasentava la perfezione come le statue degli
antichi Dei che lei aveva visto nei musei di storia antica.
«Non se ne parla, quei cosi sono antiquati, ma chi li
indosserebbe, sono un vero schifo» protestò lui.
A Morgana piacevano e molto, dovevano essere comodi e allo
stesso tempo avevano un tocco di classe nonostante fossero un
capo sportivo.
Insomma, li trovava adatti alla sua età.
Anita senza staccare gli occhi da Judah le si rivolse. «Non le
piacciono, signora? Beh, allora magari…».
Judah allungò il braccio libero perché l’altro ormai era fuso
attraverso le loro mani a quello di Morgana.
«Questi, provi questi, Miss Green, le faranno un didietro da
infarto!»
Morgana arrossì sino alla punta dei piedi.
«Senta, ma non può usare un linguaggio meno colorito? E poi
cosa c’entra il mio didietro con il lavoro che dovrò svolgere per lei,
non aveva detto che avevo bisogno di un abbigliamento più
comodo?».
Judah sorrise, un sorrisetto allusivo. «Il suo didietro c’entra
eccome! Uno dei requisiti fondamentali che ho dimenticato di
annotare nella mia richiesta è che l’assistente debba avere un bel
culo».
«Oh, per l’amor del cielo, ma la smetta di essere così volgare, e
lo sa che il suo discorso è alquanto scorretto? Sessista! E se io le
dicessi che ho accettato il lavoro perché lei ha un bel fondoschiena
come si sentirebbe?».
Judah, finalmente, le lasciò la mano e osservò i jeans che aveva
scelto. «Lusingato, ecco come mi sentirei, forza vada in camerino
e li provi».
Morgana scosse vigorosamente la testa. «Io non credo proprio».
Lui la scrutò dal bordo dei calzoni che teneva sollevati davanti a
sé. «Cos’è che non le piace, sono perfetti, stretti e avvolgenti,
comodi e chiari, non come quelli blu da vecchia; neppure mia zia
Gerta li indosserebbe e a maggio farà settant’anni».
Morgana si impuntò. «Le ho detto che non metterò mai e poi mai
i jeans che le piacciono tanto!».
Lui strinse la mascella. «Perché diavolo deve sempre
contraddirmi, le ho già detto che non deve farmi incazzare, li provi
almeno come fa a dire…».
Morgana divenne paonazza. «Perché sono della taglia sbagliata!
Quella è una ventisei, io porto la trenta, ecco perché!».
Judah li rigirò verso di sé, «Ah… ma poteva dirlo prima no? Anita
dai una trenta alla mia assistente!» tuonò.
Ora, che lei avesse dovuto essere umiliata così ammettendo che
non fosse proprio nel pieno della forma fisica la faceva arrabbiare,
ma che lui le ordinasse come si dovesse vestire era sul serio
troppo!
«Senta mi rendo conto che i jeans li pagherà lei, ma…».
Anita si intromise. «Sul serio? Le compra i vestiti? Oh, che cosa
romantica!» miagolò con occhi sognanti.
«Romantica un corno! Qui si sta parlando di praticità e
comunque dalle questa trenta ora prima che decida di strapparle a
morsi quella gonna orrenda!». Si girò verso Morgana con una luce
pericolosa negli occhi «Allora bella fatina? Ci va da sola in
camerino o ci andiamo insieme e quanto è vero Iddio prima la
spoglio e poi la schiaffo in questi cazzo di jeans!» e glieli fece
ballare sotto al naso.
Morgana sbuffò, era la prima volta che si permetteva di mostrare
tutto il suo dissenso con un uomo, ma per l’amor del cielo, Judah
le faceva perdere la pazienza con una velocità stratosferica!
«Dia qua e facciamola finita» e afferrò i jeans dirigendosi a
grandi passi verso i camerini, mentre lui le stava incollato dietro.
«Perché non prova anche uno di quei top là in fondo, magari
nero o rosso?».
Morgana aprì lo sportello del camerino rabbiosamente e
determinata vi gettò dentro i jeans, ma rimase ancora fuori a
discutere.
«Senta, io non indosserò un top che mi lascia scoperta la pancia
sia chiaro, si è dimenticato che ho superato la quarantina e da un
bel pezzo anche i cinquanta chili?»
Lui si poggiò a lato del camerino incrociando le braccia
nerborute, Judah sollevò un sopracciglio. «Anita piuttosto che
guardarmi come un senzatetto guarderebbe il tacchino del
ringraziamento, potresti portare un paio di quegli stramaledetti top
che la mai assistente indosserà, prima che decida di licenziarla!».
La bocca di Morgana disegnò un graziosissimo O di sconcerto.
«Vuole licenziarmi se non proverò quei top?».
Lui non si scompose. «Voglio licenziarla da quando è apparsa
stamattina con indosso quello scempio di gonna, ma sono di
animo gentile e vorrei darle un’altra chance, quindi ora lei andrà lì
dentro e proverà anche questi!» Agguantò i top che la solerte
commessa trotterellando sui tacchi gli aveva portato, tutta
ringalluzzita, e li schiaffò in mano a Morgana che, avvilita, non poté
fare altro che accettare quegli straccetti e chiudersi dentro al
camerino.
Mentre sbottonava la camicetta si prese la licenza di imprecare e
non si rese conto di farlo piuttosto ad alta voce
«Cazzo, cazzo, zuccone, zotico, prevaricatore! Rozzo animale.»
La zip dietro alla gonna si incastrò e lei strillò iraconda.
«Maledizione, bastarda anche tu, lampo della maloraccia ladra!».
Due tocchi allo sportello. «Miss Green vuole che lo zotico,
animale e chi più ne ha più ne metta l’aiuti a far scendere la
lampo?».
Morgana impallidì, oddio allora l’aveva sentita! E certo che
l’aveva sentita lei non sapeva tenere chiusa la sua bocca e
adesso?
Socchiuse quel tanto che bastava lo sportello e infilò il volto nello
spiraglio. «Guardi, non so cosa mi sia preso.» Silenzio.
Lui la osservava con gli occhi scuri che le mettevano una fifa del
diavolo.
Morgana chinò il capo. «Suppongo di dovermi ritenere licenziata,
giusto?» e fece per richiudere l’anta basculante.
Judah la bloccò con una mano, il rinculo del colpo la spinse
indietro e lei ci si aggrappò aprendola del tutto.
Judah se la ritrovò davanti in un semplice reggiseno di cotone
bianco e quello schifo di gonna calata sui fianchi. Bellissimi fianchi,
morbidi, invitanti da affondarci le dita. E…
Che tette da infarto! Belle tonde, e abbastanza grandi da
riempirgli i palmi. Ma quello che lo attirò maggiormente furono le
cicatrici che aveva sull’addome, appena sopra l’ombelico,
concentriche, a forma irregolare. Il suo cervello in prese a lavorare,
gli ingranaggi partirono, la scheda madre inviò il comando di
analisi accurata: bordi rilevati, al centro una venatura rossastra,
pressione di piccolo oggetto, cheloide tipico da ustione, le avevano
spento mozziconi di sigaretta addosso!
Chi era il figlio di puttana che le aveva fatto questo, deturpando il
suo bellissimo corpo!
Judah strinse le dita piantandosi le unghie nel palmo se solo lo
avesse avuto tra le mani…
«La smetta di guardarmi in quel modo e lasci andare questo
sportello!» sibilò Morgana, strattonando la maniglia e coprendosi il
seno con l’altra mano.
Judah scosse il capo. «Lei… lei è molto bella, Miss Green»
mormorò e lasciò la presa, con ragguardevole lentezza richiuse lo
sportello. «… e no, non è licenziata».
Morgana tirò un sospiro di sollievo, per fortuna che non lo aveva
fatto arrabbiare così tanto sino al punto di ….
Un momento cosa le aveva detto?
Poggiò la fronte contro il legno lucido. «Davvero pensa che io sia
bella, Mister Marshall?».
Lui guardò la commessa che con gli occhioni languidi aspettava
la sua risposta.
Al diavolo le cagate romantiche! Judah bofonchiò. «Sì, che lo
penso e ora si sbrighi o faremo notte in questo cavolo di store!».
Morgana si sfilò la gonna tutta allegra, lui pensava che lei fosse
bella! Nessuno mai glielo aveva detto, mai che lo avesse pensato,
insomma Jim non glielo diceva mai, anzi le gridava che era una
scrofa grassa e flaccida, e Judah era uno degli uomini più belli che
lei avesse mai visto, persino la commessa gli faceva gli occhi dolci,
e dunque doveva esserne ancora più fiera, lei bella, oh signore
benedetto, e lo diceva un ragazzo forte e stupendo, lei…
Rallenta Morgana, sei una donna adulta e non una ragazzina alla
prima cotta. E poi, non ti illudere, lui te l’avrà detto per evitarti
l’imbarazzo di… E se avesse notato le mie cicatrici? Il pensiero la
investì come una doccia fredda, raggelandola. Lei non era bella, lei
era deturpata nel corpo e nell’anima. E fantasticare su un uomo
non poteva nemmeno permetterselo. In fondo lei un uomo non lo
voleva più!
Indossò i jeans, troppo stretti per i suoi gusti, e si infilò il top nero
che naturalmente lasciava scoperta la sua indecorosa pancetta.
Ma sì, cosa le importava, se fosse servito a tenersi quel lavoro
avrebbe mostrato la sua ciccia al mondo intero, Judah compreso!
Spalancò lo sportello con un gesto di stizza. «E allora? Li
prendiamo e andiamocene da qui» concluse allo stremo.
Judah la studiò passando dalle caviglie all’attaccatura dei seni
che spuntavano dalla scollatura.
Oh, cazzo! Bella era del tutto riduttivo e chi andava a pensare
che questa fatina sgraziata in realtà fosse una bomba sexy da
paura!
Il fisico burroso fasciato nel tessuto elasticizzato glielo aveva
fatto diventare duro come il cemento a presa rapida! E quel sorriso
smarrito, incerto le dava un’aria da ragazzina che…
Oh, Cristo aveva bisogno di farsi un goccetto o chiudersi in
bagno e spararsi una sega!
E se si fosse chiuso in bagno con lei?
Naa, meglio una mezza bottiglia di scotch!
Lei era la sua assistente, lei era…
Oh, Cristo Santo! Ma sì, ormai lo sapevano anche gli
appendiabiti che prima o poi se la sarebbe messa sotto, o magari
alla pecorina.
Merda, merda, Judah, vacci piano, se ti fa questo effetto con un
paio di jeans e una canotta che cazzo farai quando l’avrai nuda nel
tuo letto? Ululerai alla luna?
Si schiarì la voce, in realtà voleva sistemarsi il cavallo dei
pantaloni che stringevano da matti e lui era sul punto di esplodere
da quanto era in tensione.
«Bene, le stanno d’incanto, li prendiamo, Anita non imbustare
quegli stracci, gettali, almeno non corro il rischio di vederli ancora
indosso a Miss Green.» Poi come un fulmine le girò le spalle e
afferrò in ordine: un chiodo in pelle nera stando attento alla taglia,
un paio di converse che per puro vezzo scelse rosse, e un cazzo
di paio di sandali in vernice nera con un tacco a spillo vertiginoso.
Morgana lo seguiva, cercando di dire qualcosa, ma era
praticamente impossibile.
«Quelle no, Judah, non so camminare sui trampoli e perché ha
fatto buttare via i miei abiti!» ansimò cercando di stargli dietro.
Raggiunsero il bancone, lui a grandi passi, lei di corsa. «La prego,
Judah, mi sta ascoltando?».
Lui estrasse la carta di credito. «Imparerà, e adesso paghiamo,
poi si va a scegliere lo smartphone».
Morgana si impuntò. «Lei non mi ascolta mai!».
Lui strisciò la carta, milleseicento dollari. «E lei deve tacere! Il
caso è chiuso.» Si posizionò la shopper extralarge sulla spalla. «E
adesso salga in macchina!».
«Ma, Judah perché è così di cattivo umore?».
«Salga su quella cazzo di macchina!» tuonò lui.
Morgana aprì la portiera trafelata. «Subito!».
Lui le lanciò le converse. «Si metta queste per Dio, e getti dal
finestrino quelle orribili scarpe tacco raso terra!» e senza lasciarle
il tempo di allacciarsi la cintura di sicurezza partì a gran velocità.
CAPITOLO QUATTRO
Morgana si ritrovò a guardare il Boston Police Department con il
naso all’insù, anche questo edificio era tutto in mattoni rossi a vista
e con un grande rosone intagliato all’ingresso. Per la verità non
osava posare lo sguardo su se stessa, non si trovava a suo agio
vestita in jeans e top, proprio no. Abbassò gli occhi, oddio
sneakers rosse, ma insomma non era più una ragazzina. Ma chi
glielo aveva fatto fare di accettare quell’impiego!
«Miss Green, non abbiamo tutto questo tempo per giocare alla
bella statuina, quindi si sbrighi, entriamo» la riproverò Judah.
Lei sospirò, ecco chi glielo aveva fatto fare… Lui! Questo
teppista, burbero e con un discutibilissimo senso dell’ironia!
Se lei non avesse avuto bisogno di uno stipendio per
sopravvivere lo avrebbe già mandato al quel paese.
Lui la superò facendole strada lungo l’ampio atrio e gli occhi di
lei, non seppe spiegarsi il perché, piombarono sul didietro di lui:
bel sedere marmoreo, fasciato nei jeans chiari, sfiorato dal bordo
del giubbotto in pelle…
Oddio, ora che ci pensava mandarlo a quel paese proprio no, oh,
santi numi! Stava ragionando proprio come lui, ma meglio che
questo lavoro me lo tenga perché Mister Marshall possiede il più
bel fondoschiena che abbia mai visto.
«Di qui» tuonò il suo boss e imboccò un corridoio.
Lei lo tallonò, ma di staccare le pupille dal sedere di lui non se ne
parlava. Strinse le mani a pugno: poteva desiderare di dargli un
pizzicotto?
Ma no Morgana, cosa ti salta in mente! Un pensiero così nei
confronti di Jim non lo aveva mai avuto!
Per la verità era il suo defunto marito che la riempiva di lividi e
non solo per maliziosi pizzichi, ma per le cinghiate che schiantava
sul sedere e la schiena quando decideva di punirla per una
qualunque inezia.
Persa nei suoi pensieri andò a sbattere con il naso contro la
schiena granitica di Judah, che si voltò e la osservò con un
sorrisetto derisorio, mentre lei si massaggiava il naso, Dio che
botta, ma di cosa era fatto? D’acciaio indistruttibile?
«Morgana, le fa male?».
Lei si guardò attorno imbarazzata, un paio di agenti si erano
soffermati a osservarli. «Eh? Ma no, no, anzi mi scusi, ero
distratta».
Le labbra di Judah si piegarono ancora di più, scoprendo la
dentatura perfetta e lei ebbe l’impressione che i canini appuntiti
riverberassero di un sinistro bagliore. «Lo credo bene, lei mi stava
guardando il culo!».
Le gote di Morgana assunsero una colorazione purpurea, da far
invidia ai pesanti tendoni appesi agli alti finestroni. «Cosa sta
dicendo? E non sia così volgare!».
Lui fece un cenno di saluto a uno degli agenti che se la rideva
sotto i baffoni e bussò alla porta di legno scuro davanti a sé.
«Volgare un cazzo, lei mi ispezionava il posteriore, questa è la
verità, non ne faccia un dramma, se le piace non c’è niente di
male».
«Non dica eresie a me il suo posteriore non piace affatto!».
«Avanti!» Una voce femminile dal piglio autoritario proveniente
da dietro l’uscio arrestò il suo misero tentativo di giustificarsi.
Judah spalancò la porta e si ritrovarono all’interno di un ufficio
arredato con un criticabile gusto, o almeno così pensava Morgana.
L’ambiente era molto spazioso ma spoglio, soltanto una lunga
scaffalatura in metallo poggiata alla parete alla sua sinistra,
ricolma di fascicoli.
Una scrivania in legno scuro massiccio, sulla quale vi era lo
schermo avveniristico di un PC di ultimissima generazione. E
seduta sulla poltrona, in velluto rosso, c’era una delle donne più
belle che lei avesse mai visto. La prima cosa che la colpì furono i
grandi occhi, leggermente infossati, di un azzurro talmente chiaro
da sembrarle due schegge di ghiaccio.
I lunghi capelli biondi portati sulle spalle esili e aggraziate si
arricciavano in morbide onde. Il naso perfetto, lievemente all’insù,
in contrasto con gli zigomi alti le dava una strana aria,
un’espressione che non sapeva definire, altera forse. Di certo era
una donna sicura di sé, e giovane, molto giovane.
Morgana sollevò lo sguardo che si posò inevitabilmente verso
quello di Judah.
Perché mai era interessata a carpire la reazione che lui aveva
nei confronti di quella ragazza? In fondo lei era molto bella, e
potevano avere la stessa età.
Cos’era quello strano fastidio che avvertiva allo stomaco? Perché
si metteva a fare il confronto tra lei e quell’affascinante donna?
Mentre nella sua testa vorticavano domande che non avrebbero
avuto risposta, la donna posò i suoi gelidi occhi, divenuti languidi e
torbidi, su Judah. Si appoggiò allo schienale e accavallò le lunghe
gambe perfette, lasciate scoperte, sino alla coscia, dalla gonna
dell’abito rosso fuoco che le aderiva alle forme spigolose e ai seni
alti e sodi.
La giovane donna non la degnò della minima attenzione, perché
concentrata sul suo boss.
«Finalmente la conosco, Judah Marshall, la sua fama la
precede,» e indicò una delle poltroncine di fronte a sé, «ma prego,
si accomodi». Lui mosse un passo e Morgana rimase indietro,
immobile. Il suo capo scostò la seduta.
«Miss Green, si sieda» e le fece un cenno verso la poltroncina
che le aveva piazzato davanti.
Lei balbettò: «Lì? De… devo… se… se… dermi i… io l… l…lì?».
Lui sollevò gli occhi al cielo. «No, sul pavimento! Certo,
maledizione! O vuole che gliela schiaffi sotto il culo e poi la porti a
farci un giretto per tutto il dipartimento!?».
Morgana accennò un sorriso, in fondo era stato galante a
porgerle la poltroncina, con maniere da troglodita, ma pur sempre
galantemente, si accomodò e lui planò su quella di lato, un tonfo
sordo, dovuto ai suoi modi sgraziati e alla notevole mole.
Judah non perse tempo, la bionda gli procurava uno strano
fastidio, doveva sapere il fatto suo, quello era appurato, ma per la
malora non gli piaceva affatto come guardava la sua assistente,
quell’aria da sufficienza non la mandava giù. E come scrutava lui?
Roba trita e ritrita, di solito faceva sempre quell’effetto alle donne,
in poche parole l’ispettore capo voleva fotterselo, o farsi fottere.
Una bella scopata sudata. La verità? A lui lei non faceva né caldo
né freddo, se non per quel fastidioso cipiglio nei riguardi di
Morgana che gli stava pesantemente sui coglioni. Istintivamente, e
senza rendersene conto, avvicinò la sua poltroncina a quella della
sua assistente che, per la miseria ladra, si stropicciava le mani a
testa china.
Meglio tagliar corto e andare al dunque. «Miss Palmer mi parli
dei due delitti avvenuti nell’ultimo mese».
L’ispettore capo distolse lo sguardo indispettito da Morgana e lo
posò sul volto imperturbabile di Judah.
«Glenn, mi chiami Glenn» lo invitò e dispiegò davanti a sé un
fascicolo, ne estrasse un paio di fotografie ingrandite e le passò
sul pianale. «Può guardare lei stesso». Judah le afferrò
ispezionandole, Morgana non si trattenne da dare una sbirciatina e
poi riabbassare gli occhi, lui fece qualcosa che la destabilizzò,
afferrò il bracciolo della poltroncina dove stava seduta e la trascinò
verso di sé tanto che le loro spalle si sfiorarono, si chinò e le
mostrò i fotogrammi. «Cosa ne pensa, Miss Green?».
Morgana si sporse e… «Oh mio Dio!» ansimò sconcertata.
Chi aveva potuto fare quello scempio!?
Le vennero i brividi, le immagini si appannarono, non… non era
possibile!
Due uomini, due uomini in abito talare! Due preti, cattolici,
entrambi in ginocchio, forse avevano le mani legate dietro alla
schiena, la gola squarciata, sembrava un grottesco sorriso cremisi.
Gli occhi sbarrati, terrore e supplica! E la bocca spalancata, c’era
qualcosa d’incastrato nelle loro bocche dalla smorfia terribile.
Come potevano essere morti in quella posizione?
«È spaventoso» mormorò lei.
Judah poggiò la fotografia sulla scrivania. «Dove e chi ha
rivenuto i corpi? Cosa c’era scritto sui fogli di carta in gola a questi
poveri disgraziati?».
Glenn sorrise. «Lei è dotato di un certo acume, come ha capito
che erano fogli scritti?».
Judah poggiò le larghe spalle allo schienale, e la pelle del
giubbotto scricchiolò. «Non ci vuole tutto questo acume, è logico
che l’assassino abbia voluto lasciare un indizio, un messaggio a
chi lo sta braccando».
L’ispettore capo si scostò una ciocca di capelli sulla spalla e un
effluvio di profumo dai sentori orientali si espanse nell’aria.
«Non siamo riusciti a decifrare nulla, il coroner nell’estrarli
durante l’autopsia ha distrutti i fogli, i fluidi corporei non hanno
facilitato il suo compito come del resto il rigor mortis».
«Chi è questo coglione incompetente? E quindi avete trovato i
cadaveri nel giro di ventiquattro ore».
Glenn afferrò una penna a sfera e la rigirò tra le dita lunghe e
affusolate. «Il professor Randal non è uno alle prime armi, anzi è
un luminare come anatomopatologo e un coroner di fama
internazionale, i cadaveri sono stati ritrovati uno dopo ventisei ore
dalla morte e uno dopo trentadue».
Judah sollevò un sopracciglio. «L’esimio professorone ha fatto
una cazzata! Il prossimo cadavere che troverete lasciatelo così
com’è sino a quando non sopraggiungerò, e non spostatelo da
dov’è chiaro?»
«Lei dovrebbe studiare il profilo psicologico dell’assassino, lasci
a noi il lavoro sporco, le prometto che Randal farà maggiore
attenzione, e cosa le fa pensare che ci sarà un altro omicidio?
Potrebbe essere un folle che ha agito d’impulso, in fondo tra un
assassinio e l’altro sono passati due giorni».
«Premeditato» rispose Judah.
Glenn annuì. «Può starci, ma non è detto che l’omicida colpisca
di nuovo».
Judah si alzò e Morgana rapita da quel discorso fu disorientata,
sarebbe rimasta lì ad ascoltarli per ore.
Era incuriosita, e provava una pena infinita per quei poveri preti
trucidati.
Judah le fece cenno di alzarsi a sua volta e lei scattò in piedi, poi
lui si rivolse a Glenn. «L’assassino colpirà ancora, si fidi, e siamo
solo all’inizio, andiamo Miss Green» e si voltò verso l’uscita.
L’ispettore capo girò attorno alla scrivania e lo raggiunse:
«Aspetti, vorrei discutere del caso con lei ancora un po’».
Judah la guardò da sopra una spalla. «Mi dispiace, ma ho molto
da fare e per quest’oggi può bastare così, ho elementi sufficienti
per cominciare a elaborare un profilo».
Glenn non si arrese, quell’uomo la intrigava per la sua
prorompente sensuale fisicità, il suo acume, la sua cruda e rude
schiettezza; si sentiva percorrere da brividi d’eccitazione. Bellezza
e intelligenza, forza e gentilezza che aveva manifestato nei
confronti di quella scialba, insignificante assistente, lo capiva, in
fondo le portava rispetto per l’età e per quella sua irritante
goffaggine!
Come poteva conciarsi come una ragazzina, alla soglia dei
quarant’anni? Perché li dimostrava tutti sia chiaro! E poi non la
sopportava quella mitezza, e… Maledizione, era bella! nonostante
le rughe appena percettibili sul volto era davvero molto attraente in
particolar modo quella bocca che poteva fare invidia, grande e
dalle labbra polpose, il fisico, se pur leggermente appesantito dalle
curve generose, era sexy. Il tipo di bambola svampita che lei
disprezzava, e che invece agli uomini piaceva da impazzire!
Una cosina da proteggere, che schifo!
«Judah, senta perché non ne discutiamo stasera a cena?» si
azzardò, facendo leva sulla sua avvenenza. Di certo lui non ne era
immune. Nessun uomo le aveva negato un incontro e lui non
avrebbe fatto eccezione.
Judah si girò e Morgana attese la risposta. Ma certo aveva inteso
a cosa alludesse Glenn, anche le pareti e lo scaffale si erano resi
conto che lei smaniava per avere un appuntamento, non
propriamente di lavoro, con il suo boss. E questo la faceva
arrabbiare, non era consapevole del motivo, ma era
sufficientemente incavolata! E sapeva già che lui le avrebbe detto
di sì.
Infatti lui allargò le labbra carnose in un sorrisetto «Miss Palmer,
ne sarei onorato…».
Morgana incassò il colpo, cosa si aspettava…
«Ma…».
«Ma?» chiesero in coro lei e Glenn. Accidenti perché si era
lasciata sfuggire quel ma! Si rimproverò mentalmente Morgana.
Judah con lo stesso sorrisetto diabolico prima guardò Glenn e
poi Morgana. «Ma… dicevo, ho già un appuntamento stasera».
«E con chi?» e non fu Glenn a chiederlo, ma Morgana che
avrebbe voluto prendersi a calci nel didietro da sola!
Il sorriso di Judah mostrò la dentatura perfetta alzando gli occhi
al cielo. «Con lei, Miss Green, la porto fuori a cena, stasera».
La doccia gelata investì entrambe le donne e per due motivi
completamente diversi, Glenn verde di rabbia, Morgana rossa
d’incredulo stupore.
«Ma… m… ma di… dice a … a… m… me?».
Judah ci diede un taglio, quella cosa che lei balbettasse quando
si trovava in difficoltà cominciava non solo a divertirlo, ma pensa te
che testa di cazzo che era, gli piaceva da matti. «No, alla pianta di
potus là in fondo, certo che a lei! E ora andiamo!».
Glenn incassò e ripartì all’attacco. «Magari domani sera?».
Judah le voltò le larghe spalle. «Naaa, credo di no, mi chiami
appena troverete la terza vittima» concluse spingendo in avanti
Morgana. «Forza bella fatina, fuori di qui». Uscirono uno dietro
l’altra lasciando Glenn sola e livida di rancore.
Ma non finiva lì, lei voleva quell’uomo e lo avrebbe avuto! Era
solo questione di tempo.
Risaliti in auto, mentre Judah tentava di immettersi nel traffico
ormai caotico, Morgana lo studiava pensierosa. E i suoi pensieri
erano tutti concentrati su un unico argomento: l’invito a cena, al
quale lei non credeva nemmeno un po’ e per ovvie ragioni. Come
poteva lui volerla davvero portare in un ristorante e per giunta di
sera? Insomma magari era soltanto un invito per poter definire le
sue mansioni lavorative ancora piuttosto fumose. Ma chi voleva
prendere in giro lo sapeva bene lei il perché lui se ne era uscito
con quell’invito!
«Che ha da guardarmi in quel modo, Miss Green?».
Morgana sussultò nel preciso istante nel quale gli occhi scuri di
Judah incontrarono quelli imbarazzati di lei.
«Eh? Io beh…».
Lui svoltò nella via laterale che portava verso il caseggiato del
loro ufficio. «Avanti sputi il rospo».
Se proprio ci teneva. Morgana prese un lungo respiro
rassegnato.
«Può anche smettere adesso con questa farsa, e dirmi che
l’invito a cena era soltanto una manovra di dissuasione nei
confronti di Miss Palmer». Ecco fatto, glielo aveva detto e il caso
era chiuso. Si sentiva sollevata, e aveva dato la parvenza di
essere una donna pratica e disincantata.
Judah, con una manovra fluida, accostò al ciglio del marciapiedi
e lei afferrò la maniglia della portiera pronta per scendere.
«Non così in fretta, Miss Green, resti dov’è».
Lei si bloccò come una statua di sale con la maniglia ancora
stretta tra le dita che le tremavano. Cosa accidenti voleva adesso?
Perché quando le parlava con quel tono duro e autoritario a lei
prendeva la tremarella. Che avesse combinato qualcosa che lui
ritenesse grave e non se ne fosse resa conto?
Judah si mosse e a lei si arrestò il respiro, lui era… era… beh,
insomma, un tantino ingombrante in quell’abitacolo, e… oddio si
era voltato verso di lei, era così vicino… Troppo vicino, la sua
bocca piegata in un sorriso enigmatico e quegli occhi scuri che la
sondavano, la fronte aggrottata, una ciocca dei lunghi capelli ribelli
gli pioveva sul volto sfiorandogli uno zigomo, era un’enorme
tentazione.
«Miss Green…» la sua voce, dal tono basso roco, la destabilizzò
ulteriormente.
«Sì…» gracchiò lei con la gola improvvisamente riarsa, le
mancava l’aria e lui sembrava risucchiarla tutta, lasciandola
annaspare con il desiderio che gliene concedesse un po’, il sorriso
di lui si aprì maggiormente, oh sì, un flebile respiro, voleva
assorbire l’aria torrida dalla sua bocca che aveva qualcosa di tanto
erotico, impudente, induceva al peccato.
Judah le mostrò la dentatura bianca, un grosso predatore che si
divertiva a giocare con il suo pasto. «Lei la deve smettere di
sparare stronzate» la raggelò, mandando in frantumi quel
momento magico.
«Come prego?» Morgana sbatté le ciglia.
Judah non si allontanò da lei, anzi si fece ancora più vicino, tanto
che lei percepì l’alito caldo di lui sulla pelle, il profumo di menta e
tabacco aromatico. «Quello che le ho appena detto, lei spara un
sacco di cazzate, anzi le pensa e poi le dice».
Morgana era tutta concentrata dal movimento di quelle labbra
carnose, certo per un attimo fuggevole si era lasciata distrarre dal
contrarsi del petto definito, sotto la t-shirt nera che avvolgevano i
muscoli, poi la sua morbosa attenzione si era incentrata
nuovamente sulla bocca di lui.
«Potrebbe usare una terminologia meno colorita e dirmi cosa ho
detto di sbagliato?» mormorò.
Lui vagò con gli occhi attenti sul volto di lei. «Mettiamola così: io
questa sera la porterò fuori a cena e non certo per togliermi dalle
palle Miss Palmer, ora le è chiaro il concetto?».
Morgana si allontanò appiattendosi contro la portiera. «Vuole sul
serio portarmi fuori questa?» ansimò tutto di un fiato.
Judah trattenne una risata, la bella fatina aveva fatto progressi,
niente balbuzie. Molto bene!
Vederla lì, tutta rannicchiata contro la portiera, gli infondeva
pensieri contrastanti, saltarle addosso e sbottonarle i jeans o
lasciarla andare così che lei la smettesse di tremare?
Istintivamente si piegò verso di lei, ci mancò poco che si
beccasse il cambio nei gioielli di famiglia, una leggera virata di
bacino, e Morgana si amalgamò letteralmente alle lamiere della
scocca.
«La smetta di starmi addosso e risponda alla domanda!» gli
sibilò, non riuscendo comunque a smettere di tremare.
«Sì o no?» le domandò lui e non arretrò neanche di un
millimetro.
Morgana lasciò andare tutta l’aria che tratteneva nei polmoni, se
solo lui si fosse allontanato un pochino non sarebbe stata confusa
dal profumo che proveniva dalla pelle di lui, troppo maschio, troppo
avvolgente, un richiamo pressante che le confondeva i sensi. «Sì
…» gemette e si vergognò immediatamente dopo.
Un attimo prima lui era attaccato a lei, l’attimo dopo stringeva il
volante e lei si sentì depredata dalla sua vicinanza.
«Perfetto, ora scenda e vada a sistemare la scrivania che le ho
fatto portare in ufficio.» Le lanciò un mazzo di chiavi che lei prese
al volo.
«Lei non viene?».
Lui mise in moto e il motore ruggì impaziente. «Naa, io vado a
pranzo, ci vediamo stasera alle nove in punto, al numero cinque al
Cester Now».
«Al Cester che?» chiese Morgana.
«Quartiere Back Bay, al civico cinque su un po’ di intraprendenza
si scarichi una mappa da Google e adesso levi le tende, quando
non mangio divento parecchio irascibile».
Morgana spalancò la portiera. «Deduco lei sia sempre affamato
allora».
Lui si sporse verso di lei. «E cosa glielo fa dedurre?» la
scimmiottò.
Lei gli rispose piccata. «Perché è sempre irascibile» e gliela
sbatté sul grugno, gli voltò le spalle tutta composta, guarda tu che
caratteraccio che aveva lui, che nel frattempo non si decideva ad
andarsene, soltanto quando lei, tutta impettita e visibilmente
irritata, inciampò sul marciapiedi e fece tre saltelli in avanti per
mantenere il precario equilibrio, Judah ridendo ripartì sgommando.
Adorava quella fatina svampita.
CAPITOLO CINQUE
Il pomeriggio dopo aver sistemato la sua microscopica scrivania,
se confrontata con quella di Judah, si era fiondata a casa e messa
alla ricerca, sul suo nuovo smartphone, del fantomatico numero
cinque in Back Bay sulla cartina di Boston on-line.
Non lo aveva trovato. D’altronde lei era una frana con il
reperimento dei numeri civici.
Poco male, avrebbe chiamato un taxi dando l’indirizzo e ci
avrebbe pensato l’autista. Avrebbe alleggerito le sue finanze, ma il
fine giustificava gli scarsi mezzi.
Che cafone!
Poteva andare a prenderla a casa, no?
Va beh, una donna emancipata non necessitava che il suo boss
la venisse a prendere sotto casa!
Dopo aver pianificato come arrivarci, aveva trascorso il resto del
pomeriggio con la testa nuovamente tra le ante del suo armadio.
Cosa diavolo doveva indossare per quell’invito a cena?
Back Bay era un quartiere di lusso che dava direttamente sulla
baia, quindi qualcosa di elegante di sicuro.
Un abito che si addiceva alla serata lo aveva.
Ma non osava toglierlo dalla custodia bianca.
Forza, Morgana, è l’unico che possiedi.
I ricordi la facevano desistere. Quello era il vestito che indossava
il giorno che Jim, per farsi perdonare l’ultimo violento pestaggio, le
aveva regalato, invitandola poi in un hotel a quattro stelle, per una
cena a lume di candela e la notte in una suite tutta per loro.
Gli aveva creduto. Come sempre si era illusa che quella fosse
stata la svolta.
In quell’hotel non ci erano mai andati, lui l’aveva riempita di botte
prima che lei fosse riuscita a infilarselo quell’abito. Si era
dimenticata di andare a ritirare alcune sue camicie in tintoria e lui
per l’occasione voleva mettere una di quelle, insomma l’aveva
accusata di averlo fatto appositamente, per rovinare tutti i sui
sforzi. Il resto furono le sue grida disperate e il rumore sordo dello
sbattere della porta prima che lei cadesse svenuta in una pozza di
sangue.
Il giorno seguente Jim era morto.
Morgana sfiorò il tessuto lucido della custodia, cosa doveva fare?
Quell’abito era un monito, eppure nemmeno sapeva come le
stava addosso. Mai messo, quindi poteva anche ritenerlo al di fuori
dei ricordi dolorosi.
Però…
Il pensiero che lei lo indossasse per il suo appuntamento con
Judah le appariva come una mancanza di rispetto, e non di certo
nei confronti di Jim al quale non doveva più niente, ma per se
stessa, per il suo boss che se avesse saputo….
Morgana sospirò. «Ma lui non sa nulla di quello che eri, di quello
che sei ancora adesso» mormorò tra sé.
Si allontanò con le braccia lungo i fianchi. «Che stupida che
sono, parlo anche da sola».
Lei era stata per troppo tempo sola, era stata intrappolata in un
matrimonio che l’aveva resa una larva. Ed era tutta colpa sua, non
era stata in grado di ribellarsi.
«E allora perché con Judah riesci a dire sempre quello che pensi,
nonostante lui abbia un carattere burbero riesci a contraddirlo?» si
chiese davanti allo specchio che rimandava la sua immagine.
Slegò la cintura dell’accappatoio e lo fece scivolare giù dal corpo,
si ritrovò nuda a osservarsi.
«Perché hai accettato il suo invito? Guardati! Guardati Morgana,
non sei più giovane i segni del tempo, e non soltanto quelli, ti
deturpano, sei così diversa da lui! È una follia!».
Un’immagine subdola si costruì nella sua mente confusa, le mani
di Judah che le percorrevano spalle, vita, stringevano i fianchi e
quella bocca sul suo collo….
«Sei pazza Morgana, sei da internare, lui è troppo giovane
persino per fantasticarci sopra!».
Che razza di donna era? Avere idee a sfondo sessuale nei
confronti del suo capo! Che poi aveva anche dodici anni meno di
lei!
«O mio Dio, o mio Dio, un ragazzo…, una generazione ci divide
e non dovrei mai oltrepassare il confine, nemmeno con il
pensiero!».
E stava ancora parlando da sola!
Lei non voleva essere più sola! Lei voleva vivere!
Era solo un invito a cena, non doveva illudersi, figuriamoci se lui
provava la stessa tensione erotica che sentiva lei nei suoi
confronti. Voleva di certo parlarle di lavoro, ecco tutto.
E comunque il vestito lo avrebbe indossato e fanculo Jim, fanculo
lei, e fanculo anche Judah che era troppo bello, troppo giovane,
troppo tutto!
Sfilò dalla custodia il famigerato abito, un tubino nero che le
arrivava al ginocchio, accollato sul davanti, ma che lasciava
scoperte le spalle e con una scollatura vertiginosa sulla schiena. Si
guardò allo specchio, le tirava un po’ sui fianchi generosi, ma tutto
sommato le stava bene, slanciandole la figura, madre natura era
stata clemente dandole l’altezza, peccato per quei cinque chili in
più tutti concentrati sul didietro, e la scollatura era un bene che
fosse sul retro poiché il suo seno prosperoso era il caso di
mimetizzarlo piuttosto che enfatizzarlo.
Abbassò lo sguardo osservandosi la punta dei piedi, le unghie
laccate di rosso fuoco per l’occasione, oddio! E le scarpe? Non ne
aveva di eleganti o adatte all’abbinamento. Non poteva di certo
calzare quelle Chanel che Judah rifuggiva come il colera!
Aspetta, aspetta! Corse in salotto e afferrò la shopper che
giaceva sul divano, ci rovistò dentro. «Eccole!».
I sandali tacco dodici in vernice nera che il suo boss aveva
acquistato nonostante lei ce l’aveva messa tutta nel protestare.
Li calzò e porca miseria camminarci era un’impresa, due passi e
le facevano già male le piante dei piedi!
Va beh, doveva sopportare poiché guardandosi allo specchio le
donavano e le piacevano in particolar modo perché le
assottigliavano le caviglie, e lei aveva un disperato bisogno che
apparissero meno gonfie, dopo una giornata di lavoro!
Si truccò seguendo un tutorial sul canale YouTube di una nota
make-up influencer, lo smokey eyes era leggermente sbavato, ma
vuoi mettere la differenza rispetto a prima? Gli occhi avevano
acquistato profondità e intensità. Un bel rossetto nude sulle labbra,
il rosso l’avrebbero fatta apparire una sgualdrina dalla bocca
siliconata, lei purtroppo l’aveva grande e turgida di natura!
La sua pochette nera di vent’anni prima, quella che usava per la
discoteca prima di incontrare Jim, ma sì un po’ di vintage fa
sempre tocco modaiolo retrò. Osservò l’orologio a muro, le otto e
trenta. Si affacciò alla finestra, giù di sotto c’era il taxi che
l’aspettava. Prese un bel respiro prima di aprire la porta. «Forza
Morgana, e cerca di contenere i danni, non sei ridicola».
Quando il driver del taxi scese e la guardò con tanto di occhi
maliziosi, lei si infilò, lesta, sui sedili posteriori mentre lui le apriva
la portiera.
Sì, Morgana, sei ridicola e come, e lo sarai ancora di più quando
il mondo lì fuori ti vedrà in compagnia di un uomo che potrebbe
essere tuo figlio! Si disse.
Oddio, figlio no, ma giovane, troppo giovane.
Si aggrappò al sedile quando il taxi, con una brusca manovra, si
immise nel traffico, «Dove la porto signora?» chiese il driver.
Lei diede l’indirizzo e lo vide sorridere attraverso lo specchietto
retrovisore. «Back Bay? Una bomba di posto, sarà una serata
esplosiva!» disse lui tutto allegro e allusivo.
Morgana sospirò. «Lei non sa quanto!» Certa che a esplodere
sarebbe stato Judah, una volta acquisita la consapevolezza di
quanto sfigurasse con una come lei al suo tavolo!
Judah camminava tra i tavoli in cerca di quello che aveva
prenotato, al suo passaggio gli uomini istintivamente si
scostavano, le donne sbattevano le ciglia o si umettavano
impercettibilmente le labbra.
Bel culo, davvero. Pensava, mentre rallentava il passo per non
andare addosso alla cameriera che gli stava facendo strada.
«Prego, signore, si accomodi, le porto qualcosa mentre
aspetta?» La giovane dalle chiome rosse gli indicò la sedia che a
lui parve piuttosto piccola e relativamente resistente.
«Sì, grazie, scotch liscio».
La giovane gli fece un sorriso a trentadue denti, i canini appuntiti,
ehm, sembrava proprio che volesse morderlo.
Buona bella, stasera niente rimorchio con scopata annessa.
Judah giurò che se la rossa gli avesse passato il suo numero di
telefono, scarabocchiato sul notes delle ordinazioni, lui se la
sarebbe data a gambe.
Si sfregò le mani. «È ancora qui? Forza signorina, mi porti il mio
drink e me lo faccia doppio».
La ragazza ridacchiò. «Lei è un uomo tutto d’un pezzo» ed ecco
il foglietto con il recapito del cellulare che planava sul tovagliolo.
Roba da pazzi, ma sempre lo stesso copione?
Judah lo scostò con un colpo di forchetta. La rossa si chinò, eh,
per la miseria! le due tette siliconate, gliele stava letteralmente
sbattendo sotto al naso, magari chiudersi i tre bottoni della
camicetta sarebbe stata una ottima idea.
Nel frattempo, la cameriera intraprendente gli sfiorò l’orecchio.
«Stasera smonto a mezzanotte ti aspetto sul retro».
Poteva aspettare per un bel pezzo, lui aveva qualcosa di molto
più importante da fare, con una sbadata, splendida fatina
balbuziente.
A proposito dov’era? Era in ritardo.
Morgana appena visto l'esterno del locale fu tentata di risalire sul
taxi e sfrecciare verso non so dove, ma il più lontano da quel…
quel…
Maledetto deficiente!
E stupida lei che si era agghindata per l’occasione!
Una tavola calda! Lui le aveva dato appuntamento per cena a
una tavola calda!
Certo era un criminologo e da quello che si diceva anche
piuttosto in gamba, ma se lo avesse fatto fuori nessuno l’avrebbe
incriminata!
Si voltò e la sua unica fonte di salvezza si stava allontanando
con i suoi cento dollari della corsa.
Si guardò attorno, sperando che nessuno potesse scorgerla, e
naturalmente si sentì osservata dai passanti, ovvio era preparata a
festa!
Va beh, ormai era in ballo e doveva ballare.
Entrò nel locale spingendo la pesante porta in vetro e legno, e
spaziò con gli occhi in cerca di quel disgraziato del suo boss.
E lo vide…
Niente batticuore a mille per l’emozione, si dimenticò di essere
l’unica in quel locale alla mano che indossasse un elegante abito
da sera scollato sino al didietro!
Strinse la borsetta tra le dita e avanzò con lo sguardo affilato.
Ogni passo la rabbia la caricava, era pronta a detonare!
Ma guardatelo! Tutto intento a farsi strusciare addosso da quella
giovane, e sottolineiamo giovane cameriera! Pensò
Morgana fu davanti al tavolo e lui nemmeno si rese conto che era
lì! Scostò la sedia e si accomodò sbattendo la borsetta sulla
tovaglia a quadri rossa e bianca, anche se avrebbe voluto usarla
per colpirlo su quella sua zucca bacata!
Il tonfo fece tintinnare le posate e Judah senza capire il perché
scattò sull’attenti, schiena ritta e spalle allineate.
«Miss Green…».
Lei gli lanciò un’occhiataccia di traverso.
Judah si chiese perché mai lei fosse così incazzata. Poi girò il
collo e quasi andò a cozzare con il davanzale prosperoso della
rossa.
Le labbra di lui si piegarono in un sorrisetto, ecco perché!
«Miss Green, lei è in ritardo» disse senza cancellarsi dalla sua
bella faccia da schiaffi il sorriso sornione.
Morgana lo puntò come un mirino di precisione. «E lei dovrebbe
essere più chiaro quando fa un invito!».
Judah si finse confuso. «Non capisco cosa intende dire!».
Ma lo sapeva, oh, la sapeva eccome! Lei aveva frainteso dove si
sarebbero dovuti vedere e si era messa in tiro.
Ragazzi che spettacolo, bella era un termine riduttivo.
Scopabile, altamente scopabile, fortemente scopabile, scopabile
subito, adesso!
Nella mente di Judah lampeggiava al neon quell’imperativo, poco
elegante, ma sicuramente esaustivo pensiero.
«Perché non mi ha detto che ci saremmo incontrati in una tavola
calda, depistandomi appositamente, attirandomi in uno dei
quartieri più esclusivi di Boston!» sibilò a denti stretti Morgana.
«Lei crede che io lo abbia fatto di proposito? Le avevo detto di
documentarsi su Google, le ho fornito non solo l’indirizzo, ma
anche il nome del locale». Dio doveva trattenersi dal non
scoppiare a ridere. Che svampita, che meravigliosa, sexy
svampita, e la bocca, cosa si sarebbe fatto fare da quella bocca
grande, polposa.
Morgana sbollì un po’ della sua rabbia e imbarazzata ammise:
«L’ho fatto».
Ora fu la volta di Judah tenerla sotto tiro con i suoi occhi scuri e
canzonatori. «E allora? Cos’è andato storto?».
Morgana farfugliò parole incomprensibili a bassa voce. Lui si
sporse in avanti sotto gli occhi interessati della cameriera che
stava assistendo a quel battibecco. «Più forte, non la sento!»
«Non ho trovato il numero civico sulla cartina, ma giuro che ci ho
provato» squittì lei, sentendosi una perfetta idiota.
Judah poggiò le spalle allo schienale. «Morgana, lei è bellissima
stasera, l’abito le dona molto» dichiarò e la spiazzò.
L’unica cosa che seppe rispondergli fu «Grazie» e chinò il capo
per poter nascondere il rossore che le imporporava le guance. Con
poche semplici parole pronunciate da lui, tutto il suo imbarazzo si
era dissolto, lasciando il posto a quella sana compiacenza che
ogni donna prova quando le fanno un complimento e lei non ne
riceva da molto tempo, troppo.
Lo osservò da sotto le ciglia scure, lui portava una camicia
bianca semplice di lino e un paio di jeans chiari, eppure le
sembrava l’uomo più bello che esistesse al mondo. E lo era. E
sedeva al tavolo con una come lei, e lui era giovane, e lei era una
quarantenne che provava un’irresponsabile attrazione nei suoi
confronti.
Mamma mia che confusione aveva in testa! Tutto maggiormente
complicato perché lui era il suo capo.
Morgana si schiarì la voce, il silenzio tra loro due, anzi tre con la
cameriera che non si era mossa, la metteva in agitazione. «Ecco io
direi che possiamo, beh, ecco magari, forse, oh, comunque anche
lei è piuttosto carino stasera».
E così dicendo si maledì entrando a pieno titolo nella categoria
imbecilli totali!
Judah prese il menù poggiato sulla tovaglia e gli diede una
scorsa. «Carino?» e sollevò un sopracciglio.
Morgana si agitò sulla sedia. «S… sì, in… inso… so…. Somma,
io… di… di…ce… vo».
Judah nascose le labbra che si piegarono in un sorriso dietro al
menù. «Ah, la faccia finita, se no faremo notte fonda, ordiniamo».
Okay, era carino, ma anche uno stronzo di proporzioni galattiche!
«Prima lei!» lo invitò lanciandogli uno sguardo truce.
Lui prese a elencare: «Due porzioni di ali di pollo fritte piccanti,
contorno di patate, doppia porzione di nachos al formaggio e
bacon, una costata maxi a cottura media, una insalata mista e una
porzione, mi raccomando abbondante, di pasta panna e peperoni,
da bere una pinta da litro di birra rossa».
E porse il menù a Morgana che spalancò occhi e bocca. «Ma
non ha ordinato per entrambi?».
Che brutto viziaccio sollevare il sopracciglio facendola sentire
inadeguata!
«Starà scherzando, Miss Green, io non ordino mai per gli altri, lo
trovo alquanto maleducato e non divido, ci tengo a precisarlo, mai
il mio pasto con nessuno! Ordini che ho appetito!».
Morgana si arrabbiò dopo che la cameriera senza rivolgersi a lei,
ma a Judah spazientita chiese: «Per la signora magari un’insalata
scondita e un bicchierone d’acqua?».
Sbattendo il menù sul tavolo le rispose: «No! Vorrei anch’io una
porzione delle vostre ali di pollo fritte e mi porti un bicchierone
calorico, molto calorico di Pepsi, mi raccomando gelata!».
Che ragazzina impertinente, ironizzare sulla sua linea, ma
nessuno le aveva insegnato come si trattano i clienti?
Bene, lei in quel locale non ci avrebbe mai messo più piede, anzi
sandalo che le faceva un male cane, maledetti tacchi e cinturini
che le stringevano le caviglie!
Judah, le diede il colpo di grazia. «Niente dolce?».
La cameriera la guardò con aria perfida, soppesandola dalla
testa ai piedi.
Cretino all’ennesima potenza, ma insomma servirle una brutta
figuraccia, la sua per giunta, su un vassoio d’argento anzi di
plastica colorata con quella uscita della malora!
Ma lei non si lasciava piegare! Sia mai che…
«Un’enorme banana split! E abbondi con il cioccolato fuso e la
panna!».
Toh, prendi e porta a casa, io sarò vecchia e grassa, ma tu sei
un’oca maleducata e smettila di fare gli occhi svenevoli al mio
capo!
Il sorriso di Judah si allargò. «Ottima scelta, Miss Green, me ne
farà assaggiare un po’?».
Morgana lo guardò dritto negli occhi. «No, io non divido, e ci
tengo a precisare, mai il mio gelato!».
Lui scoppiò in una risata. «Okay, okay colpito e affondato».
Anche Morgana rise e la cameriera se ne andò con le pigne nel
sacco e la penna sfera infilata nel taschino della divisa rossa e
bianca a quadri in tinta con la tovaglia.
CAPITOLO SEI
Morgana non si capacitava di quanto potesse mangiare
quell’uomo. La prima ordinazione che aveva fatto Judah, cioè
quasi l’intero menù si stava letteralmente volatilizzando. Oltre a
possedere un abnorme appetito lui aveva uno strano modo di
mangiare. Per nulla vorace assaporava ogni boccone e nonostante
in quel preciso istante stesse attaccando le alette di pollo,
mangiandole con le mani, non appariva sgraziato. C’era in lui
qualcosa di affascinante in ogni gesto che compiva. Quelle grandi
mani, dalle dita forti, afferravano pezzi di pollo con delicatezza,
ogni tanto si puliva con il tovagliolo che poi ripiegava
meticolosamente. Lei era attratta da quella bocca carnosa che
mordeva con forza, la mascella che si contraeva mentre
masticava, la punta della lingua passata sul labbro inferiore per
raccogliere quella goccia di condimento…
«Miss Green, non ha appetito?».
«Eh? Oh, ecco, io…» Perché non riusciva a staccagli gli occhi di
dosso, a costo di apparire una di quelle come le chiamavano i
giovani? Milf, ecco, una vecchia sporcacciona libidinosa, così si
sentiva lei!
«Provi a darci almeno un morso, coraggio» la incitò lui, infilzando
tre maccheroni succulenti e portandoseli alla bocca.
Morgana seguì ancora una volta quel movimento. «Lei non sa
quanto vorrei darle un morso».
«Come prego?» chiese lui restando con la posata a mezz’aria e
allargando le labbra in un sorrisetto allusivo.
Cosa diamine le era sfuggito dalla sua boccaccia!
Morgana divenne del colore della candela porpora al centro della
tavola, avvampando peggio della fiammella che riverberava
tremolando. E un po’ tremò anche lei, dopo quella gaffe tremenda.
Lesta prese coltello e forchetta e ce la mise tutta nell’infilzare una
stupida aletta e staccare un minuscolo pezzetto di carne con la
lama.
«Che diavolo sta facendo, il pollo si mangia con le mani!» la
riprese, Judah, divertito.
Morgana non volle dargli retta e ci riprovò. «Io non mangerò un
bel niente con le mani, sia chiaro» e giù un altro fendente calibrato,
l’aletta prese il volo e schizzò fuori dal piatto planando sulla
tovaglia e imbrattandola.
Judah si stava divertendo un mondo, la goffaggine di quella
donna lo inteneriva e allo stesso tempo lo intrigava, che fosse così
tremendamente impacciata anche nel sesso?
Ora il perché ogni cazzata facesse la fatina lo riportasse sempre
sul piano erotico, era un mistero.
Ma lei lo irretiva, era una donna oltre che bellissima anche tanto
ingenua e allo stesso tempo genuina e, cosa che lo stimolava
maggiormente, gli teneva testa; al momento giusto era in grado di
metterlo in riga con una semplice, sincera, pungente battuta.
Ma che si ostinasse a maciullare quelle povere alette con il
coltello e la forchetta, no, no non lo sopportava!
«Metta giù quegli arnesi infernali, sta riducendo la tovaglia a una
scena del crimine, ha torturato abbastanza quel povero pollo!».
Morgana protestò animosamente. «Se lei crede che io…» e via
un’altra aletta che planò accanto al piatto di lui. Gente le lanciava
come fossero missili.
Judah, ormai a un passo dal dare fuori di matto per quello
scempio, prese l’aletta che lei gli aveva fatto arrivare accanto al
piatto e la spezzò in due.
«Tenga, e posi le posate, come le ho già ripetuto sino alla
nausea il pollo si mangia con le mani».
Morgana osservò di sbieco il boccone che lui le stava porgendo.
«Io… beh, non so».
Judah le parlò con molta calma, come se dovesse rivolgersi a
una bimba che faceva i capricci. «Coraggio, si guardi attorno, la
vede quella signora al tavolo di fianco, sta mangiando pollo e lo fa
con le mani, se non lo addenta, Miss Green, si perderà tutto il
divertimento e le assicuro che il sapore sarà sublime, forza».
Morgana aveva un’ottima motivazione radicata in sé per rifiutarsi
di mangiare cibo con le mani, a Jim, che proveniva da una famiglia
rigida sia nei principi sia nell’educazione a tavola, non piaceva che
lei usasse le mani a tavola. Ci aveva provato una volta con un hot
dog che si era comprata all'uscita del supermercato a un
banchetto all’angolo della via dove risiedeva, sperando di
gustarselo prima del rientro dal lavoro del marito, ma il caso volle
che lui tornasse in anticipo e la sorprendesse a mangiare seduta
sul divano davanti al televisore. Si arrabbiò molto e la punì
crudelmente. Ogni qualvolta Judah la incitava a mangiare quelle
alette, lei sentiva il sibilo dello scudiscio che Jim era solito usare
per colpirla sui palmi delle mani aperte e se fuggiva la riempiva di
cazzotti.
Ma Jim non c’era più…
E Judah le appariva diverso, nonostante possedesse un
carattere piuttosto burbero e volitivo, non la intimoriva, anzi le dava
un certo senso di sicurezza.
Judah notò il cambiamento dell’espressione nei meravigliosi
occhi celesti di lei, vi lesse prima un’ombra di terrore e poi una
profonda tristezza.
«Miss Green, forse dovrebbe ordinare qualcosa che possa
mangiare con le posate, scelga ciò che più le piace, se non le va di
usare le mani non c’è alcun problema, ma se insiste nel voler
infilzare questo povero pollo, temo che non riuscirà a gustarsi nulla
poiché lo sta disintegrando» e così dicendole lasciò cadere la
porzione di pollo nel suo piatto.
Morgana prima osservò il volto di lui, poi l’aletta che giaceva nel
piatto ormai ripulito.
Jim non c’è più, lui non è Jim, lui non ti farà del male, si ripeté.
Morgana sussurrò. «Voglio farle una domanda, Judah».
Lui si sporse in avanti. «Spari!».
La donna si fece coraggio: «Lei… lei sarebbe in grado di fare del
male a qualcuno?».
Judah restò per una frazione di secondo a soppesare
l’interrogativo, poi rispose con sincerità: «Sì, sarei in grado, ma
soltanto per difesa, mai per attacco, se si riferisce al ragazzo sulle
strisce pedonali sapevo perfettamente che se la sarebbe data a
gambe».
Morgana tenendo sempre gli occhi sull’aletta nel piatto di lui
mormorò: «Non mi riferivo a quello, forse dovrei essere più chiara,
sarebbe in grado di fare del male a una…» e la voce le morì in
gola, lasciò andare un lungo sospiro e scosse il capo. «Non fa
niente, a volte dico cose senza senso».
Ma lui la incoraggiò: «A una? Forse intende a una donna,
Morgana, è questo quello che vuole sapere?».
Lei restò a capo chino. «Sì…» ammise in un soffio appena
udibile.
Judah fu tentato di chiederle il perché di quella domanda, ma
vedendola tanto mortificata e allo stesso tempo scossa, non lo
fece, si limitò ancora una volta a risponderle con sincerità.
«No, Morgana, mai e quando dico mai è anche nel caso io fossi
minacciato, a meno che la donna in questione non stesse
minacciando qualcuno a cui tengo tanto».
I loro sguardi si scontrarono, il silenzio cadde tra di loro.
Tutto attorno scomparve il vociare proveniente dai tavoli vicini.
Furono pervasi da una strana connessione e il mondo esterno non
doveva farne parte.
Morgana lo percepì sulla pelle, una lenta, rassicurante, invisibile
carezza.
La mano di lei si mosse lentamente e con le dita che le
tremavano afferrò l’aletta nel piatto. Judah si mosse
prudentemente e le sfiorò il dorso con l’indice, piano, leggero come
una piuma.
La pelle di Morgana si riscaldò a quel tocco, ma non si ritrasse. A
lui parve ancora più indifesa e il senso di protezione che sentiva
nei suoi confronti accrebbe, coprì la mano di lei con la sua. «Va
tutto bene, Morgana, qualsiasi cosa le sia successo con me non le
accadrà, glielo prometto, e adesso mangi tranquillamente con le
mani».
Quell’affermazione la colpì dritta al centro del cuore, era come…
come se lui sapesse leggerle dentro. In lui era un criminologo, uno
abituato a intuire cosa si celasse nel più profondo dell’animo
umano, eppure…
Annuì e senza proferire parola si portò alla bocca il boccone,
diede un morso e quel gesto per lei fu liberatorio, un pezzo di Jim
se ne stava andando e gli occhi profondi di Judah furono l’àncora
alla quale si aggrappò, assaporando estasiata il salato e il piccante
che si sprigionavano nella sua bocca.
Senza rendersene conto emise un gemito di piacere. Gli occhi di
Judah si fecero torbidi, le iridi scure s’incupirono e lei si guardò
attorno imbarazzata. «Mi scusi, ma è davvero squisito».
«Morgana lei è una fata o forse una strega».
Lei mandò giù il boccone. «Come scusi?».
Judah non si pentì di aver dato voce ai suoi pensieri, lei sapeva
tessere magie avviluppanti con i suoi gesti spontanei, lei lo attirava
nelle maglie di un incantesimo e gli faceva desiderare di
possederla; di stringerla tra le braccia; di baciare quella bocca
grande dalle labbra tumide; di affondare le dita nella carne delicata
dei fianchi; di entrarle in fondo e sentirla gemere ancora e poi
ancora gridando il suo nome mentre si aggrappava alla sua
schiena. Sì, lei era una fata e allo stesso tempo una stupenda
strega incantatrice.
«La prego, non mi guardi così mi mette a disagio» lo supplicò lei
imbarazzata.
Judah afferrò la mano che lei aveva posato accanto al piatto e lei
provò a ritrarsi, ma lui la tenne stretta intrecciandovi le dita. «Non
può scappare all’infinito dalle sue emozioni, Morgana».
Lei torse il polso. «Quali emozioni, la smetta ci stanno guardando
tutti!».
«Di cosa ha paura, Morgana? E cosa gliene importa del giudizio
degli altri?».
Lei diede un altro strattone. «Non voglio apparire ciò che non
sono! Mi lasci e basta lei è il mio capo e ci conosciamo da meno di
quarantotto ore! Smetta di giocare e di prendermi in giro! Si è
divertito abbastanza, mi lasci ho detto!».
Lui non mollò la presa. «Credi che io stia giocando con te? E
dimmi a che gioco starei giocando?».
«Mi lasci!» sibilò tra i denti. Gli occhi le si inumidirono, stupide
emozioni, stupido lui, stupida lei che si stava rendendo ridicola!
Lui incontrò il suo sguardo bellissimo, così blu da naufragarci
dentro e tanto sconvolto. «Ti prego, Judah, lasciami, è sbagliato»
sussurrò lei.
Lentamente lui slegò le dita dalle delicate di lei. «Mi dispiace, se
ti ho creato tutto questo scombussolamento, ma non puoi negare
l’attrazione che c’è tra di noi».
Morgana sollevò il mento. «Quale attrazione? Judah, ti rendi
conto che io e te abbiamo dodici anni di differenza? Ti rendi conto
che sei l’uomo che mi paga e io sono la tua assistente? Ti rendi
conto che queste sono molestie sul lavoro?».
Lui sollevò un sopracciglio. «Quale molestie, ti ho tenuto la
mano, comunque se vuoi parlare di lavoro d’accordo».
Lei sostenne il suo sguardo che adesso si era fatto gelido.
«Questa è una cena di lavoro, Judah».
Lui poggiò le spalle allo schienale. «Mettiamo le cose in chiaro,
non ti ho invitato fuori a cena per lavoro».
Morgana fu colpita dalla sua schiettezza, quell’uomo diceva
sempre quello che gli passava per la testa, praticamente non
aveva filtri. «E per quale recondito motivo allora?».
Lui le sorrise, un sorrisetto ironico. «Che importanza ha, in fondo
abbiamo dodici anni di differenza, io sono il tuo capo, colui che ti
paga per essere la sua assistente» puntualizzò.
Lei fu offesa da quella uscita. «Appunto riportiamo le cose sul
piano strettamente personale».
Judah richiamò la cameriera che li raggiunse immediatamente
dopo aver schiaffato il piatto davanti a un signore di mezza età che
la guardò irritato.
«Sì, signore, le serve altro?».
«Il conto, grazie» rispose freddo.
Morgana si intromise: «Ma il mio gelato?».
Judah con un gesto della mano la liquidò: «Domani mattina ti
voglio in ufficio per le sette in punto, dobbiamo analizzare i
fotogrammi dei due delitti e ho bisogno che tu raccolga i miei
appunti in un file sul tuo pc, quindi il gelato dovrai scordartelo».
Morgana sbuffò: «Lo stai facendo di proposito vero? Vuoi farmela
pagare».
Judah afferrò la carta di credito e la infilò nel lettore che la
cameriera reggeva, tutta impettita, mostrandogli la mercanzia «No,
Morgana, sto riportando il nostro rapporto sul mero piano
professionale e adesso andiamo, si è fatto tardi».
La cameriera con un gesto del capo gli indicò il foglietto sul
tavolo con il suo recapito telefonico.
Morgana seguì quel gesto e non le ci volle molto tempo per
intendere cosa vi fosse scritto. Anche Judah si rese conto che la
sua fata aveva inteso e lo prese. Lei si alzò un po’ troppo
bruscamente e gli voltò le spalle.
«Posso chiamare un taxi se hai da fare» lo sfidò.
«Ho detto che ti riaccompagno a casa e lo farò».
Si voltò rabbiosa pronta a cantargliene quattro, ma si arrestò,
Judah aveva preso la mano della cameriera facendole cadere il
foglietto nel palmo.
«Mi dispiace, tesoro, ma non voglio e non posso, grazie
comunque sei davvero tanto carina».
Poi si rivolse a Morgana lì impalata. «E tu cammina».
Lei fumante a grandi passi raggiunse l’uscita, gli bastarono due
falcate per esserle di fianco e aprirle la porta, l’aria frizzante la
colpì facendola rabbrividire, mentre raggiungevano il parcheggio
lei non seppe tacere: «Ti rendi conto che dicendole così le hai fatto
pensare che io e te fossimo…».
Judah la prese sotto braccio.
«Fossimo cosa? Io sono soltanto il tuo capo e lei non mi piaceva
tutto qui.» Le aprì la portiera passeggero. «Sali e smetti di dire
cazzate».
Durante il viaggio non parlarono, Morgana si malediva ogni
cinque minuti, Judah era, beh… si stava divertendo un mondo, la
sua streghetta era gelosa. E pensare che l’unica che lui voleva
sotto di sé, sui sedili ribaltabili, era proprio lei, ma era troppo
inibita. Tutta la manfrina sulla differenza di età, la stronzata del
capo e assistente, l’apoteosi della cagata sulle molestie sul lavoro,
lui voleva scoparsela, lei voleva farsi scopare, dove stava il
problema? Quante cazzo di fisime aveva?
Eppure, c’era dell’altro che lo tratteneva, i pezzi lentamente
stavano andando al loro posto, le cicatrici lasciate sul suo ventre,
la domanda riguardante se lui fosse in grado di fare del male a una
donna. Lei lo temeva, o peggio temeva gli uomini, quel figlio di
puttana del suo defunto marito le aveva… No, non ci voleva
pensare, anzi sì doveva pensarci, doveva andarci molto cauto con
lei, doveva…
Forse ha ragione lei, ha mille ragioni per tenerti lontano, e allora
lasciala in pace! Provò a convincersi.
«Qui, io abito in quel palazzo.» La voce incerta di lei lo
scaraventò fuori dalle sue elucubrazioni mentali.
Rallentò e parcheggiò davanti al caseggiato. «Carino e
scommetto che alloggi all’ultimo piano e non c’è l’ascensore».
Morgana spalancò gli occhi. «Come fai a saperlo?».
«Semplice deduzione, è l’unico appartamento con le persiane
chiuse, per l’ascensore bah, ho tirato a indovinare anche se dalla
struttura credo che il palazzo non abbia lo spazio per all’alloggiare
un ascensore. Elementare Watson».
Morgana tirò un sospiro. «Non paragonarmi al povero Watson,
Sherlock Holmes a volte lo faceva apparire un perfetto idiota».
Afferrò la maniglia e spalancò la portiera uscendo dall’abitacolo.
««Beh, io allora vado, grazie del passaggio, ci vendiamo domani
mattina».
Judah saltò giù dall’auto e la raggiunse, lei aveva raggiunto il
portone d’ingresso in tutta fretta. «È così che ti senti? Un’idiota?»
le chiese.
Morgana si voltò di scatto. «Cosa vuoi da me, Judah, perché
continui con i tuoi giochetti psicologici!». Lui avanzò di un passo e
lei si appiattì al muro. «Judah, per favore, è tardi e qui mi
conoscono tutti, non vorrei che il signor Calder rientrasse proprio
adesso dal suo giretto con il cane».
Lui poggiò una mano sull’intonaco sgretolato proprio accanto alla
sua testa. «E quindi, Morgana, cosa potrebbero vedere di così
disdicevole il signor Calder e il suo cane?».
Morgana si attaccò, per quanto possibile, ancora di più al muro, il
freddo contro la schiena nuda le diede un brivido o forse era la
vicinanza di lui. «Sei troppo vicino, Judah» sussurrò.
Lui si chinò, i loro volti a un soffio, lei percepì il suo alito caldo
sulle proprie labbra, le dischiuse istintivamente. «Judah, ti prego».
Lui vagò con gli occhi sul volto di lei.
«Sei bella da morire Morgana», la voce roca la avvolse, lei non
sentiva più freddo, ma un calore liquido le si insinuò nello stomaco,
discese fino a un punto ben preciso, un punto segreto, intimo, gli
slip le si inumidirono e lei si vergognò di quella reazione.
Lui era così bello, la sua bocca una tentazione. La voleva quella
bocca, sulla sua, sulla sua pelle, dappertutto!
Judah, la incitò nella sua mente, forza bella fatina, dai ci siamo
quasi…
Si avvicinò maggiormente e sfiorò con la bocca quella di lei.
Morgana si sporse in avanti e lui le passò la lingua sul labbro
superiore, un tacito comando a dischiudere di più la bocca così
erotica e sensuale che lo faceva impazzire.
Lei era pronta, lei non doveva, lei lo voleva, ma era tutto
sbagliato! Lei era sbagliata, lei era rotta, possedeva profonde
crepe che nessuno mai più avrebbe potuto riparare, se lo era
ripromesso, mai più con un uomo e adesso Judah era piombato
nella sua vita piatta, e nel giro di due giorni la stava sconvolgendo,
era troppo, troppo!
Sgusciò da sotto al braccio che lui teneva poggiato alla parete.
«Scusa devo andare, e … non potrebbe funzionare fattene una
ragione».
Gli voltò le spalle afferrando il maniglione del portone; poi udì la
voce di lui: «No, Morgana, sei tu che devi fartene una ragione, ciò
che senti, che provi quando ti guardo, quando ti sono vicino».
Lei non si voltò. «Se continui così darò le dimissioni stasera
stessa, Judah».
Lui sollevò le mani in segno di resa anche se lei non poté
vederlo. «D’accordo, come vuoi, ti lascerò in pace, ci vediamo
domani mattina».
Morgana spalancò il portone. «Va bene, buona notte» e fuggì su
per le scale.
Judah risalì in auto e mise in moto; sì, l’avrebbe lasciata in
pace… per quella sera di sicuro e partì.
In un altro frangente sarebbe andato a sfogare la sua
frustrazione in un pub, un paio di birre, una bella bionda da portarsi
a casa per spassarsela un paio d’ore rotolando tra le lenzuola. Ma
la verità era che non ne aveva voglia, lui voleva la sua fatina
ritrosa, gli camminava nella mente con i tacchi goduriosi e
comunque l’avrebbe avuta era solo questione di tempo.
CAPITOLO SETTE
Le sei e cinquantaquattro del mattino, Morgana diede una breve
occhiata all’orologio da polso, era in anticipo sull’orario concordato
per il suo terzo giorno di lavoro.
Mentre scostava il portone, che si aprì con il solito cigolio,
osservò la scala che portava al piano superiore, strinse le dita sul
corrimano, indecisa se salire. Con il piede poggiato sul primo
scalino, si soffermò a pensare alla serata precedente.
Era mancato davvero poco, un soffio, un battito d’ali di farfalla e,
se non fosse fuggita, Judah l’avrebbe baciata. Lei aveva
desiderato il suo bacio, ma la razionalità aveva preso il
sopravvento.
Sospirò e si convinse, o almeno ci provò, che aveva fatto la cosa
giusta nel troncare la situazione sul nascere. Una situazione
sbagliata, una situazione irrazionale, Judah era irrazionale!
Mosse il primo passo, il cuore in subbuglio, lo stomaco contratto
in una morsa fastidiosa.
Forza Morgana, dimentica e prosegui si intimò.
Capo chino, sguardo fisso sui sandali in vernice nera che non
sapeva per quale motivo avesse calzato. A chi voleva darla a bere,
certo che sapeva perché li aveva indossati, c’era una strana
morbosa motivazione: dopo un’eternità, grazie alla serata
trascorsa con Judah, lei si era sentita bella, attraente, e quindi il
vezzo di portare tacchi vertiginosi le lasciava una parte di quella
sicurezza, nella sua femminilità, che lui aveva fatto rifiorire.
Ferma sulla porta, non sapendo se bussare o aprirla con finta
naturalezza, si concesse ancora un po’ di tempo per riordinare le
idee e riprovare a convincersi che cedere alle avances del suo
capo fosse un errore che avrebbe pagato a caro prezzo. In fondo
lui la voleva per sesso e lei non era avvezza a concedersi per
un’effimera passione che sarebbe durata il tempo di un amplesso
sicuramente appagante, ma con strascichi penosi, quali: perdere la
propria dignità e il lavoro del quale aveva un disperato bisogno.
Doveva resistere al fascino magnetico di Judah e mantenere il
loro rapporto sul piano strettamente professionale.
Inspirò e si accinse a dare un colpetto con le nocche alla porta
che si spalancò facendola rimanere con il braccio sollevato, Judah
la osservò sovrastandola con tutta la sua imponente prestanza.
Maledizione lui era… era… Magnifico!
I lunghi capelli che gli sfioravano le spalle, gli occhi con la strana
luce ipnotica, le labbra carnose strette in una smorfia di
disappunto. La sua bocca lei ne era attratta da quando l’aveva
vista per la prima volta.
Dannazione!
Tre giorni, tre cavolo di giorni e lei si era presa una sbandata di
proporzioni stratosferiche per l’uomo che la osservava con
malcelata irritazione dipinta sul volto, dai tratti perfetti e che la
barba rendeva terribilmente attraente.
«Vuoi entrare o ti sposto la scrivania tra la soglia e il corridoio,
dove hai piantato radici?».
Lei annuì e, a testa bassa, lo superò andando a sedersi alla sua
postazione. Abbozzò un sorriso di circostanza, ma si sentiva in
imbarazzo, ogni qualvolta il suo sguardo incontrava quello del suo
boss. Si schiarì la voce: «Bene, qual è il mio compito? Vuoi che
incominci a catalogare i file dei tuoi appunti?».
Judah si frugò nella tasca dei jeans neri e ne estrasse un drappo
bianco che gettò sul pianale accanto al PC di lei.
«Comincia da questi».
Morgana gli scoccò uno sguardo interrogativo. «Non ho ben
inteso».
Judah le voltò le spalle e si accomodò dietro alla sua
mastodontica scrivania, che non lo faceva apparire meno
imponente nella sua fisicità. Con un cenno distratto della mano le
indicò il pezzo di stoffa: «Lì, ci sono i miei appunti, tu segretaria io
capo, tu leggi gli appunti del tuo boss e trascrivi, chiaro il
concetto?».
Morgana si offese per quel modo da stronzo che trattandola
come una sorta d’imbecille.
«Puoi anche essere un po’ più gentile, e usare un tono meno
sarcastico, anche perché è strano che gli appunti vengano
segnati…» così dicendo dispiegò il drappo e assottigliò le palpebre
fulminandolo con lo sguardo affilato, «… su un tovagliolo, hai
scritto i tuoi appunti su un tovagliolo! E da quello che vedo dalle
iniziali hai trafugato il tovagliolo da uno dei ristoranti più chic di
Boston! Quindi devo dedurre che non frequenti solo tavole calde,
ma anche locali rinomati!».
Non sapeva nemmeno lei il perché, ma si sentiva offesa
dopotutto lui l’aveva portata fuori a cena in un localino alla mano e
magari nel ristorante di lusso si era intrattenuto con un’altra donna
che riteneva migliore di lei!
Judah piegò le labbra in un sorriso luciferino, aveva inteso ciò
che stava macchinando nella sua stupenda testolina.
«Proprio così, qualcosa da obiettare?».
Morgana avvicinò la sua poltroncina e prese a battere i tasti
rabbiosamente. «Cosa ti fa pensare che io abbia qualcosa da
ridire, sono affari tuoi, trovo comunque irrispettoso e disdicevole
fregare tovaglioli al ristorante, tutto qui!».
Judah le lanciò un’occhiata di scherno. «Sai Morgana, io faccio
un sacco di cose come le chiami tu disdicevoli, alcune credimi
sono estremamente piacevoli, in particolar modo se si fanno in
due, a volte, ma raramente in tre, e di solito lo faccio assieme a
una o due donne, comprendi o devo farti un disegnino
esplicativo?».
Morgana si morse la lingua, il vaffanculo ce l’aveva proprio sulla
punta e stentava a tenerlo a freno. «Non mi interessa quanto fai su
un letto e con chi, sei un pallone gonfiato, e continuo a pensare
che sei anche irrispettoso, perché denigri le donne che hanno la
sfortuna di frequentarti!».
Judah trattenne una risata, oh sì, sì gliele aveva cantate per
bene la sua fatina, che caratterino tirava fuori quando era gelosa,
la adorava. Ce la mise tutta nel mantenere un tono serio: «Tu la
chiami sfortuna io fortuna sfacciata per coloro che hanno il
privilegio di intrattenersi con me, vedi Morgana io mi adoro entrare,
ecco entrare è il termine giusto, entrare tra le loro grazie».
Morgana cancellò per l’ennesima volta la frase che aveva
trascritto, con evidenti errori di battitura dovuti alla insostenibilità di
quella conversazione.
«Judah, tu sei il mio capo e preferirei che discutessimo di lavoro
e non della tua vita privata di cui, per inciso, non me ne importa un
accidenti».
Quando era arrabbiata, era ancora più bella, pensò.
«D’accordo, hai ragione tu, sei soltanto la mia assistente,
manteniamo le dovute distanze e definiamo i ruoli, quindi…» Si
sollevò quel tanto che bastava per frugarsi nella tasca posteriore
dei pantaloni, lei non poté fare a meno di piantare lo sguardo sugli
addominali contratti che si intravedevano sotto il tessuto della t-
shirt nera, le lanciò sulla scrivania una manciata di banconote.
«Ora fai la brava segretaria, e vai a comprarmi un caffè allo
Starbucks a due isolati da qui».
Morgana non scollò il didietro dalla poltroncina. «Scusa, non hai
una macchinetta del caffè qui? Potrei fartene uno».
Un pesante tonfo e gli anfibi numero tredici e mezzo calarono
sulla scrivania, Judah poggiò mollemente le spalle allo schienale
che si piegò all’indietro, sotto al suo ragguardevole peso,
nonostante non possedesse un filo di grasso, la guardò in tralice.
«Miss Green, lei seguita a contraddirmi e sta assumendo un
comportamento censurabile, è nelle sue specifiche mansioni
portare un caffè al suo capo».
Morgana scattò in piedi, verde di rabbia. «Ora usiamo un tono
formale?».
Judah si piegò in avanti perforandola con uno sguardo beffardo,
maligno. «Definisco i ruoli, Miss Green, mi sembra che lei stessa
me lo abbia ricordato».
Lei fece scattare in avanti il mento, raccogliendo tutto il suo
contegno. «Giusto, dov’è questo Starbucks?».
Schiodando gli anfibi dalla scrivania e, poggiando i gomiti sul
pianale, la trapassò con le sue iridi scure irriverenti. «Due isolati da
qui, faccia in fretta mi piace caldo».
Stirò le labbra serrando i denti che voglia di strozzarlo, insomma
le mancavano parecchio per poter circondare con le dita quel collo
taurino, ma ce l’avrebbe messa tutta nel fargli tirare le cuoia,
comunque mandò giù un fiotto di rabbiosa bile.
«Ma certo, Mister Marschall, farò il più in fretta possibile per
accontentarla.» E a grandi passi raggiunse la porta, la aprì con
grazia e poi uscendo la sbatté così forte che il suono secco
riverberò nel petto di Judah, che si lasciò andare a una sonora
risata.
Ragazzi che camminata e quei jeans da infarto che le fasciavano
il culo tondo in maniera perfetta. Le avrebbe dato più che volentieri
un morso sul didietro morbido e libidinoso, tanto per metterla in
riga e domare il suo caratteraccio bizzoso, calmarla a suon di baci,
invadendo con la lingua la bocca sensuale e irriverente.
Mezz’ora più tardi Morgana percorreva la via in forte pendenza
che conduceva all’ufficio, i ciottoli appuntiti sotto le suole dei
sandali la torturavano, a ogni passo una fitta insopportabile di
dolore.
Maledetto bastardo nemmeno si rendeva conto di cosa
comportasse portare i tacchi per tutto il santo giorno ed erano
soltanto le otto e trenta del mattino!
Strinse il bicchiere in carta contenente il caffè, immaginando
fosse il collo del suo boss.
Omicidio premeditato e una sfilza di attenuanti generiche! Quale
giudice non si sarebbe impietosito ascoltando le fondate ragioni
che l’avevano spinta a far fuori uno dei più famosi criminologi degli
Stati Uniti! Aveva scoperto che il suo capo era una persona nota,
quando la sera prima, non riuscendo a dormire perché agitata da
quanto successo a cena, aveva fatto delle ricerche su Google.
In lontananza vide il caseggiato in mattoni a vista.
Dio sia lodato! Un fulgido rassicurante miraggio verso l’agognata
destinazione.
A un tratto lo smartphone che teneva nella tasca posteriore dei
jeans attillati prese a squillare. Chi poteva essere? Morgana
sollevò gli occhi al cielo, l’unico che possedeva il suo recapito
telefonico era Judah! Con furia estrasse il telefonino e se lo portò
all’orecchio.
«Cosa c’è adesso!?» latrò. Dall’altro capo la voce di lui la scaldò
e allo stesso tempo la irritò.
«Miss Green, mi sono dimenticato di chiederle di portarmi una
dozzina di ciambelle, le prenda nella pasticceria che fa angolo
proprio accanto a Starbucks, le fanno deliziose, le mie preferite, le
dispiacerebbe…».
Non gli permise di terminare la frase: «Sì, mi dispiace eccome,
sono sotto al portone! Non potevi dirmelo prima? Hai una vaga
idea di cosa significhi ritornare indietro?».
«Miss Green, non usi quel tono con me e in qualità di suo datore
di lavoro le impongo di portarmi le ciambelle e darmi del lei!».
Morgana perse il briciolo di pazienza che le era rimasta.
«Falla finita! Tutta questa sceneggiata perché ieri sera ti ho dato
un due di picche! Vuoi le tue cazzo di ciambelle? D’accordo, vado,
ma quando torno faremo i conti! Sei un maledetto despota!» e
riattaccò la comunicazione.
Fece dietro front e, nonostante i piedi le facessero un male boia,
rifece la strada che naturalmente la mise a dura prova essendo in
salita. Procedeva furibonda e talmente impettita che mise un tacco
in fallo e si guadagnò una storta che le fece digrignare i denti e
vedere le stelle.
«Vaffanculo!» strillò e due uomini in giacca e cravatta la
osservarono piuttosto divertiti. Lei fece un’abile mossa da
giocoliere per mantenere il precario equilibrio e salvare il bicchiere
del caffè del grandissimo figlio di puttana.
Uno dei due le si accostò, lanciandole un sorrisetto di
apprezzamento, che diamine lei era in difficoltà e questo le faceva
gli occhi da triglia!
«Mi scusi, bella signora, serve aiuto?» si prodigò lui. Lei era al
colmo della pazienza, le mancava tanto così per dare fuori di
matto!
Raddrizzando le spalle e, cercando un contegno, gli rispose
piccata: «No grazie, è tutto a posto, se vuole scusarmi…» e lo
scartò meglio di un centrocampista.
L’uomo la seguì: «Volevo soltanto essere gentile, perché sta
scappando, aspetti…».
Guarda te, le toccava fare la maratona sui tacchi per seminare
un bell’imbusto che non aveva niente da fare se non importunare
una povera assistente tiranneggiata dalle improbabili richieste del
suo capo, ripicche per l’esattezza!
A un certo punto si voltò: «Le ho detto che non ho bisogno di
nulla, ma lei non ce l’ha un lavoro?» si informò, trafiggendolo con
un’occhiata assassina. .
L’uomo si arrese e sollevò le mani in segno di resa «Lei ha un
caratterino davvero permaloso».
Morgana strinse la mascella: «E pensi che soltanto tre giorni fa
avevo paura della mia ombra, ma lasciamo stare.» Gli girò le
spalle lasciandolo di sasso sul selciato.
Mentre entrava nella pasticceria fu avvolta dal profumo di
vaniglia e torta alle mele. Inspirò beandosi dell’aroma paradisiaco,
non c’erano molti avventori, si mise in fila dietro a una coppia di
giovani fidanzatini che si tenevano per mano. Che carini, si
prendevano in giro scegliendo buffi dolcetti di cioccolata a forma di
animaletti stilizzati l’uno per l’altra.
Attendendo il suo turno, si prese il tempo per ragionare su ciò
che aveva detto all’uomo maltrattandolo ingiustamente. lei nel giro
di soli tre giorni era cambiata radicalmente, o almeno aveva
acquisito maggiore sicurezza in se stessa, permettendosi persino
di contraddire un uomo, di tenergli testa, manifestando il suo
dissenso, e piuttosto animatamente.
La cosa strana era che con Jim non avrebbe mai potuto
nemmeno aprire bocca e dare adito ai suoi pensieri. Con Judah
era diverso, lui la provocava, la faceva arrabbiare tantissimo,
dileggiandola, eppure sapeva che se anche avesse superato la
linea di demarcazione nel manifestare il suo dissenso lui non le
avrebbe mai fatto male.
Certo la riprendeva aspramente, usando una pungente, spesso
irritante, ironia, ma lei pensava fosse insito nel carattere schietto e
burbero. Tuttavia sapeva di essere al sicuro con lui. Al sicuro dagli
altri, al sicuro quando erano soli in una stanza, e aveva perso, in
quei tre giorni, l’abitudine di cercare una via di fuga.
Poi c’era la storia assurda che lui la voleva, la desiderava… E lei
ne era attratta, era così difficile non cedergli…
«Signora, in cosa posso servirla?».
Morgana sollevò gli occhi e ne incontrò un paio neri, dal taglio
orientale. Lei vi lesse allegria e uno strano senso di empatia.
Sorrise alla donna dai tratti asiatici e dagli invidiabili lunghi capelli
neri lisci e lucidi, le piovevano sulle spalle esili racchiuse nella
camicia bianca, il fisico asciutto, avvolto nel grembiule nero legato
dietro alla vita sottilissima, sporgendosi verso la vetrinetta del
bancone le disse pensierosa: «Vorrei delle ciambelle, una
dozzina».
L’altra donna le indicò un vasto assortimento: «Quali preferisce?
Ne abbiamo alla cannella e zenzero, ripiene di cioccolato bianco,
al caramello, ah, queste sono speciali colme di una deliziosa
confettura ai mirtilli».
Ah, e adesso? Judah non le aveva specificato quale tipo di
ciambelle desiderasse. Sospettava che se avesse sbagliato la
scelta lui l’avrebbe rispedita indietro a comprare quelle che
preferiva senza se e senza ma!
Che lo avesse fatto appositamente per metterla in difficoltà?
A malincuore estrasse lo smartphone, chiamarlo le costava
peggio che una estrazione dentale senza anestesia, ma ne aveva
abbastanza di fare su e giù per isolati indossando quei maledetti
sandali.
«Mi scusi solo un momento, non sono per me» e si accinse a
pigiare il tasto di chiamata, quando la donna dietro al bancone le
sorrise complice.
«Sono per suo marito?».
Morgana spalancò la bocca in segno di protesta e sdegno: «Ma
nemmeno se fosse l’ultimo uomo rimasto sulla terra, è il mio datore
di lavoro, una vera spina nel fianco!».
L’altra rise: «Ma è davvero così terribile, forse lo conosco anche
se sono solo due mesi che ho aperto la pasticceria, mi sono
trasferita da poco, volevo cambiare aria dopo il mio divorzio».
Morgana tergiversò stendendo il braccio e stringendo tra le dita il
telefonino.
«Oh, mi dispiace per il suo divorzio, mi rendo conto che cambiare
aria a volte può essere una necessità».
La pasticciera le tese la mano allungandosi sul bancone, era
davvero una cosina carina, piccola di statura e dovevano essere
anche coetanee: «Piacere, Yuriko, e si è stato davvero necessario
fuggire da Los Angeles, non sto a raccontarti di dove e in quali
circostanze ho trovato il mio ex marito, ti basti sapere che mi ha
tradita e non con un’altra donna».
Morgana sgranò gli occhi: «No! Non ci credo lui… lui è? Ma da
quanto tempo eravate sposati?»
Yuriko rise: «Dieci anni, e non me ero mai resa conto.» Le lanciò
un’occhiata allusiva.
«Ti rendi conto che ci stiamo raccontando le nostre sventure e ci
conosciamo da solo quindici minuti.» ridacchiò Morgana.
L’altra fece spallucce: «Mi sei simpatica, hai un’aria rassicurante
e poi non conosco nessuno a Boston, devo ancora ambientarmi».
«Se è per quello io ci vivo da più di dodici anni, ma la conosco
pochissimo, non ho messo spesso il naso fuori di casa».
Yuriko le chiese: «E tu sei sposata?».
Morgana sospirò: «Vedova».
«Oh, mi dispiace!» esclamò comprensiva la sua nuova amica.
«È una lunga storia e ormai ci sto facendo l’abitudine, comunque
se ti va qualche volta possiamo uscire assieme» le disse
speranzosa, era la prima volta che si apriva con un altro essere
umano, per la precisione Yuriko era il secondo essere umano con
il quale aveva interagito, il primo era il suo boss, la canaglia.
Yuriko si schiarì la voce, con un nodo in gola di commozione: «Sì
mi farebbe piacere, ti lascio il mio recapito telefonico, e sai dove
trovarmi, resto in pasticceria sino alle otto».
Morgana osservò lo screen dello smartphone: «Sai come posso
memorizzare il tuo numero su questo aggeggio infernale?».
Yuriko rise: «Sei forte sai, dai qui» e le tese la mano.
Morgana le fece cadere sul palmo l’apparecchio e Yuriko
armeggiò tutta concentrata: «Noi giapponesi ne sappiamo una più
del diavolo quando si tratta di tecnologia».
Poi sobbalzò: «Sta suonando, credo sia il tuo capo» e glielo
restituì.
Lei se lo mise all’orecchio, le tremava la mano, ma non voleva
darlo a vedere, lui doveva essere un tantino arrabbiato, in fondo il
suo caffè ormai era una brodaglia gelida. «Sì… sì… pro… pro…
pro…».
«Falla finita con questo pro… pro… della malora, dov’è il mio
caffè e le mie ciambelle, sei andata in Danimarca con un volo di
sola andata ad acquistarle?» la investì iracondo.
Morgana si gonfiò, sbuffando lo attaccò a sua volta: «Falla finita
tu! Sto arrivando, piuttosto dimmi quale tipo di ciambelle vuoi!».
Judah rise e lei si arrabbiò maggiormente: «Tira a indovinare,
mia bella fatina».
Stingendo il cellulare sino a farsi sbiancare le nocche lo assalì:
«Tira a indovinare un corno! Sia mai che mi fai ritornare indietro se
non sono di tuo gradimento, e tanto che ci siamo il tuo caffè è
andato, ormai è più gelido dei ghiacciai della Groenlandia, e se ti
azzardi a chiedermi di tornare da Starbucks e farmi rifare la fila
giuro che non risponderò più di me! Ora dimmi quale cavolo di
ciambelle preferisci o faremo notte!».
Judah rise di nuovo e fu contagioso, anche lei piegò le labbra
trattenendo una risatina: «Quelle che piacciano a te, giuro che le
apprezzerò molto, stupiscimi» e così dicendo riattaccò.
Morgana, con occhi sognanti, ripose nella tasca posteriore dei
Jeans lo smartphone: «Stupido, prepotente, scemo» ma sospirò
peggio di un’adolescente alla sua prima cotta.
Yuriko che aveva seguito la spassosa telefonata, sollevò le
sopracciglia simultaneamente: «Ma siete sicuri di essere capo e
assistente?».
Morgana annuì: «Assolutamente sì, cosa te lo fa dubitare?».
L’altra poggiò graziosamente i gomiti sul bancone e si sorresse il
delizioso musetto: «Sembrate due innamorati».
Morgana si schernì: «Piuttosto vado a donare un rene!».
La pasticciera scoppiò a ridere. «Sei uno spasso, possibile che
lui sia così terribile come lo dipingi, descrivimelo, te l’ho detto se
conosce le mie ciambelle è passato di qui di sicuro qualche volta».
Morgana buttò lì laconica: «Alto quasi due metri, grosso come
una montagna, capelli neri lunghi sino alle spalle, un discutibile
abbigliamento da motociclista, barba e occhi neri, un carattere di
merda, ti basta come descrizione?».
Yuriko si prese una pausa facendo mente locale, poi ansimò, sì
davvero emise un gemito dalle labbra socchiuse: «Non dirmi che è
Judah Marshall, il criminologo, che ogni tanto compare alla Tv
nelle interviste e smonta casi di efferati omicidi! Oh santo cielo lui è
un gran figo!».
Morgana rispose di impulso: «Lui è solo una grandissima testa di
caz…» Si morse la lingua e riguadagnò un briciolo di contegno.
«Sì, è lui» ammise avvilita.
Yuriko elettrizzata le fece il verso: «E lo dici così? Io farei carte
false per stare buona parte del giorno in sua compagnia, come fai
ad averlo intorno e non saltargli addosso».
L’altra la riprese: «Ma ti stai ascoltando? Lui è il mio capo, è un
essere spregevole, e insomma… Hai ragione è bello da fare male
al cuore» mormorò in un ansito.
Yuriko buttò fuori anch’essa un sospirone: «Già, ma non è roba
per noi vecchie comuni mortali, avresti dovuto vedere la bionda
che teneva per la vita un paio di settimane fa quando è entrato e
ha fatto razzia di ciambelle».
Morgana provò un’insana fitta di gelosia e si fece un gran male
chiedendole: «Com’era la ragazza?».
Ebbe la risposta che temeva: «Giovane, forse non più di
vent’anni, bellissima, filiforme e armoniosa come un giunco, lunghe
gambe e gonna inguinale».
Mandando giù un fiotto di commiserazione la esortò: «Beh,
suggeriscimi quali ciambelle ha scelto».
La pasticcera scosse il capo: «E no, lui ti ha ordinato di sceglierle
tu, l’ho sentito sai?».
Morgana si arrese: «Ma tu da che parte stai? Beh, o la va o la
spacca, dammi una dozzina alla confettura di mirtilli, se non le
mangia lui, mi ingozzerò io mentre piango sulla mia misera
condizione».
Yuriko afferrò un contenitore e prese a riempirlo: «Ti ho già detto
che da quando sei entrata da quella porta sei diventata la mia
eroina vero?».
«Guarda piuttosto sono un cattivo esempio da seguire altro che
eroina, io sono una vittima». E così dicendo la salutò con un cenno
della mano dopo che, la sua nuova e unica amica, le aveva
consegnato le famigerate ciambelle, non le restò che ritornare dal
suo affascinante carnefice.
Lo odiava, e odiava quei maledetti sandali!
Dio che voglia di toglierseli e gettarli nel primo portarifiuti che
avesse incrociato durante la sua via crucis di ritorno.
CAPITOLO OTTO
Judah si stiracchiò allungando le braccia, smise di osservare le
immagini raffiguranti gli efferati delitti, agli occhi stanchi,
apparivano sbiadite sullo schermo del Pc. Diede una sbirciata al
cronografo che portava al polso, Morgana stava tardando, si era
assentata dall’ufficio da più di un’ora. Una maledetta ora per
portargli un caffè e una dozzina di ciambelle, si meritava una bella
ramanzina, non vedeva l’ora …
Per la verità gli balenò l’insana idea di punirla, e la fantasiosa
punizione ogni minuto che passava prendeva forme erotiche.
Oh, per la malora! Smetti di pensare a lei distesa sulle tue
ginocchia mentre le abbassi quei jeans goduriosi e le carezzi le
natiche prima di assestarle un sonoro sculaccione!
Lui ce la metteva tutta nel vano tentativo di imbrigliare la sua
libido che comunque se ne fregava e galoppava imbizzarrita.
Ma va in malora Judah! Imprecò tra sé, dopo che l’erezione
prese a scalpitare nei pantaloni improvvisamente divenuti troppo
stretti.
Il cigolio della porta lo mise in allerta ed ecco la sua fatina!
Morgana comparve in tutto il suo fulgore, Judah piegò le labbra in
un sorriso sornione: oh, se era incazzata nera! Bene! Molto bene!
Lei avanzò traballando sui tacchi e a lui quella andatura
scoordinata la fece apparire sexy da impazzire! Sperò che
cadesse bocconi proprio sotto alla scrivania e poi…
Morgana aveva un diavolo per capello ed era furibonda, la sua
rabbia si ingigantì quando scorse il sorriso derisorio sul volto del
suo capo!
Gli schiaffò caffè freddo e scatola di ciambelle sul piano con
malcelata veemenza. E gli gettò, con disprezzo, il resto delle
banconote che lui le aveva dato accanto alla colazione. Girò i
tacchi pronta a raggiungere la sua postazione sperando che lui
non osasse aprire la sua dannatissima bocca sexy, perché lei non
si sarebbe trattenuta dal mandarlo a quel paese!
Judah diede un sorso al suo caffè e fece una smorfia di disgusto:
«Ferma lì, lei è in ritardo, perché ci ha messo tutto questo tempo?
Il mio caffè è imbevibile!».
Morgana lo freddò con uno sguardo inviperito: «Se tu non avessi
deciso all’ultimo momento di spedirmi alla pasticceria, il tuo cavolo
di caffè lo avresti bevuto così bollente che ti saresti ustionato la tua
lingua tagliente!».
Judah si passò la lingua tagliente sul labbro superiore, e gli occhi
di lei furono catalizzati dal languido movimento: «Dici davvero?» le
chiese con voce peccaminosa.
Maledizione lo stava facendo a posta, sapeva benissimo quale
ascendente avesse su di lei e lo usava per metterla in imbarazzo e
provare a quietarla e… ci stava riuscendo.
«Morgana, si sieda» le ordinò e lei si lasciò cadere sulla
poltroncina di fronte. Si mise le mani in grembo abbassando lo
sguardo, non per sottomissione, ma per evitare di guardarlo
mentre addentava una delle ciambelle con… oddio, la sua bocca…
Judah masticò piano, godendosi il sapore acre dei mirtilli che si
fondeva con il dolce burroso della pasta della ciambella: «Ne è
valsa la pena aspettare» borbottò.
La donna lo scrutava di sottecchi, le ciambelle dovevano essere
deliziose e lei non aveva fatto colazione, aveva deciso di moderare
la sua alimentazione nella speranza di perdere qualche chilo.
Prese involontariamente a deglutire ogni qualvolta lo faceva lui.
Il profumo di zucchero si spandeva nell’aria.
Resisti, Morgana, resisti! Si impose.
E il suo stomaco borbottò sonoramente mettendola in imbarazzo!
Judah si succhiò un pollice: «Ha fatto colazione stamane?».
Nemmeno udì la domanda, Morgana era rimasta ferma al gesto
precedente di lui, la bocca che circondava il pollice, e succhiava
piano, come sarebbe stato se lui le avesse passato la lingua lungo
il suo collo, fino a raggiungerle i capezzoli che, a quella fantasia, si
inturgidirono spingendo contro l sottile tessuto in cotone della
canotta.
Lo sguardo di lui si posò proprio lì!
Morgana si trattenne dal coprirsi con le braccia. Si vergognava
come una ladra!
Judah si sporse in avanti: «A quanto pare hai davvero tanta
fame» sussurrò roco.
Sapeva bene cosa lui intendesse!
«No… non… mo… molta» riuscì a rispondergli.
Le porse una ciambella: «Io credo di sì invece, tieni».
Ah! Allora lui intendeva che lei avesse lo stomaco vuoto!
«No, grazie!» rispose irritata e delusa. E lei che aveva pensato
che alludesse al suo evidente stato di eccitazione. Maledetto
idiota! E maledetta me che mi arrabbio per la sua disattenzione!
Meglio così, però, rifletté, o almeno provò a convincersi.
«Prendila e dalle un morso per la miseria!» la investì lui,
facendola sobbalzare.
«Va bene!» squittì e la accettò.
Morgana, impacciata per la situazione, diede un leggero
morsetto al dolce, la fragranza esplose deliziando le papille
gustative e la spinse a emettere un gemito di apprezzamento.
«Così,
brava…» Judah si sporse verso di lei al languido suono, che lo
aveva attirato come il canto delle sirene.
Aveva un bisogno pressante di sentirla ansimare mentre
possedeva… E mancava poco, era pronto a saltarle letteralmente
addosso!
E il suo cazzo era d’accordo su tutta la linea.
Sapeva che la stava mettendo in imbarazzo, ma seguitava a
tenere gli occhi incollati alla bocca che mordicchiava la ciambella.
E un granello di zucchero, che si fermò sul labbro superiore di lei,
fu fatale…
«Hai un…» le disse piantando i palmi sulla scrivania e alzandosi
la sovrastò.
Morgana sollevò i bellissimi occhi intimoriti e ciò lo fece
esplodere: «Io, cosa?».
Judah si chinò e con la lingua, calda e umida raccolse il granello
dal labbro di lei «Questo …».
«Judah, non… no, ti prego…».
Fu una debole difesa e lui, affondando le dita nelle chiome
mogano di lei, la attirò a sé, invadendole la bocca con la lingua,
costringendola ad accoglierlo, divorandola, sino a toglierle il
respiro.
Prima si oppose tentando di respingerlo pressandogli le mani
contro i pettorali granitici, poi capitolò. Il suo sapore mischiato al
dolce dello zucchero, le dita che affondavano nei muscoli definiti, il
calore languido che si spandeva nel suo basso ventre mentre lui
esplorava avidamente la bocca, furono sufficienti a renderla
affamata e a spegnere la sua razionalità.
Morgana ruggiva dentro di sé ed era la prima volta che un istinto
così prepotente e primordiale la risvegliava!
Si sollevò dalla poltroncina e sollevò una gamba salendo sulla
scrivania, ora si ritrovava in ginocchio sul pianale e lui la avvicinò
arpionandola per le natiche.
Le loro bocche si mordevano, le loro lingue si fondevano
intrecciandosi, ingaggiando una lotta che li lasciava affamati.
Judah era partito spedito e col cazzo si sarebbe fermato e quindi
via la canotta che impediva alle sue mani di appropriarsi della pelle
di lei!
La sfilò dalla testa con gesti irruenti, maledizione perché portava
il reggiseno! Lei ansimò nella sua bocca e lui fece saltare con
rabbia i gancetti, poi glielo strappò di dosso e i seni generosi
svettarono, morbidi, invitanti, i capezzoli rosei una tentazione per i
suoi denti!
Si avventò su di lei abbandonando la sua bocca e stringendo le
due rotondità tra le dita; succhiò voracemente uno dei bottoncini
eretti facendola gridare disperatamente!
«Ancora!»
Il comando riverberò sulla punta del cazzo che prese a fremere a
ogni assalto, mordeva e poi leniva con la lingua affamata e lei si
contorceva mandandolo fuori di testa!
L’abbrancò per i fianchi e la stese sulla scrivania strappandole i
jeans e gli slip, una furia scatenata, una belva che ruggiva
soprattutto ora che lei giaceva con le gambe divaricate
mostrandole il suo fiore dischiuso, che lui doveva azzannare!
Ormai Morgana non capiva più niente, guidata dalla frenesia
spingeva i fianchi in avanti offrendosi a lui.
«La tua bocca, Judah, la tua bocca!» lo pregò disperatamente.
Oh porco mondo!
Le afferrò le caviglie portandosi le gambe di lei sulle spalle,
divaricandola di più e calò sul suo sesso la bocca, esplorandola
con la lingua in ogni piega, strappandole grida di piacere, affondò
nella fessura madida di lei, che gli afferrò i capelli stringendoli sino
a fargli male, e lui le spinse due dita in quel languido canale,
mentre leccava affamato il clitoride palpitante.
Morgana fu risucchiata in un vortice di piacere sublime, violento
e, allo stesso tempo, appagante. Si sfregava senza ritegno contro
di lui, la barba la solleticava e pungeva amplificando le sensazioni.
Le spinte decise e prepotenti delle dita toccavano corde per lei
sconosciute. L’orgasmo si affacciava sfacciatamente crudele,
implacabile come lo era Judah che la stava possedendo,
reclamando ogni goccia del suo piacevole tormento!
E quando udì grugnire il suo appagamento nel divorarla, lei
esplose nella bocca esigente di lui, aggrappandosi alle sue spalle
nel disperato tentativo di non perdersi alla deriva e gridò parole
sconnesse. Il respiro le bruciava nel petto, il fuoco ardeva nel suo
sesso gonfio, che lui seguitava a torturare, prolungandole il
piacere. Si divincolava e allo stesso tempo gli andava incontro, lui
la teneva ferma non era ancora sazio.
Morgana al culmine si coprì il volto con l’avambraccio. «Basta,
basta!» lo supplicò e lui non l’ascoltò, spinse, ancora, le dita dentro
di lei, piegandole e solleticandole un punto ben definito, leccando
delicatamente il clitoride, ipersensibile, la portò a un altro orgasmo
più sordo, ma che la fiaccò, lasciandola euforica e spossata.
Solo allora Judah le diede tregua, poggiò il mento sul pube
osservandola con un sorrisetto compiaciuto dal basso in alto, si
passò la lingua sulle labbra che sapevano di lei, un sapore
paradisiaco!
Morgana ripiombò nel suo corpo a una velocità inaudita.
Il cuore che le batteva forte dopo il sesso appagante, ora le si
stava gelando in petto.
Oh mio Dio, cosa aveva fatto!
Si rese conto di quanto fosse freddo il piano della scrivania
contro la pelle, lei era nuda!
Con le gambe divaricate in maniera impudica e la testa del suo
capo tra le sue cosce!
Provò a tirarsi su e spingerlo indietro, ma senza successo,
Judah, non aveva intenzione di smuoversi di un solo millimetro.
«Judah, alzati!» gli strillò in preda a una crisi isterica.
Le mancava il respiro e doveva assolutamente rivestirsi!
Fuggire!
Per tutta risposta lui, tenendola giù con la mano, grande quanto il
suo addome, prese con l’indice dell’altra a giocherellare
tracciandole il contorno dell’ombelico.
«Non ho ancora finito, mia bella fatina» la canzonò con lo
sguardo trionfante da stronzo!
«E invece, sì! Lasciami!» la voce le uscì rotta dal pianto, gli occhi
si colmarono di lacrime e di vergogna.
Merda!
Judah a malincuore stacco il palmo dalla pelle imperlata di
sudore di lei e si sollevò per liberarla.
Morgana balzò giù dalla scrivania e afferrò, con le guance in
fiamme, i suoi indumenti sparsi sul pavimento, li infilò con le mani
che le tremavano, tanto era in agitazione che indossò la canotta al
contrario.
Ma cosa le importava? Lei non lo avrebbe più rivisto, il bastardo
ci era riuscito, si era approfittato di lei!
«Non dovevi!» urlò con disperazione.
Lui non si scompose e si riaccomodò alla scrivania, con un gesto
distratto sistemò i fogli che si erano sparsi alla rinfusa sul ripiano:
«Non dovevamo, vorrai dire» precisò.
Morgana strinse i pugni, livida per la strafottente calma di lui: «Tu
lo sapevi e te ne sei approfittato!».
Judah, poggiò le spalle allo schienale: «Moderi i termini,
Morgana».
Lei avanzò e tentò di mollargli un ceffone che lui intercettò
bloccandole i polsi, Morgana gli sputò addosso la sua rabbia:
«Adesso vuoi mantenere le distanze, adesso che hai ottenuto ciò
che volevi!?».
La guardò duro: «È lei che vuole mantenere le distanze, io
volevo fotterla, mia cara signora» disse con un tono calmo che la
raggelò.
Morgana indietreggiò: «Sei un bastardo» sussurrò.
Fece un altro passo indietro: «… un grandissimo bastardo».
Gli voltò le spalle: «Mi licenzio».
E in lacrime raggiunse la porta la spalancò e fuggi giù per le
scale senza voltarsi indietro.
Judah perse la sua proverbiale calma, quella donna lo mandava
fuori dai gangheri, picchiò un pugno sulla scrivania: «Col cazzo
che mi scappi, fatina!».
Ma perché si era comportato da carogna con lei? Perché diavolo
non era in grado di capire le donne se non a letto!?
Ora urgeva un piano per recuperare la sua bella fatina, perché lui
se la doveva fottere! Ormai era un chiodo fisso!
Dio, cosa era il suo viso mentre godeva e si offriva a lui! Era
sicuro che l’immagine lo avrebbe tormentato giorno e notte.
CAPITOLO NOVE
Morgana si chiedeva il perché avesse accettato
quell’appuntamento al buio, propostole da Yuriko. Il locale era
modaiolo con una musica in filodiffusione che lei riteneva irritante e
faceva da colonna sonora alla sua commiserazione.
Non aveva toccato il drink nel quale il ghiaccio si stava
sciogliendo, seguitava a osservare il bicchiere posato sul tavolino
nero laccato. L’amica le parlava e lei non afferrava che poche
parole del discorso, la sua mente era in fermento, immagini
infuocate la tormentavano: lei distesa sulla scrivania di Judah, la
bocca di lui sulla sua pelle, le dita che la solcavano nella sua
intimità strappandole rantoli di piacere. E poi…
L’oblio.
Erano passati tre giorni da quando gli aveva fatto recapitare le
sue dimissioni e da allora lui non si era fatto sentire.
Sfiorò con l’indice la foglia di menta che adornava il suo cocktail,
in fondo era meglio così. Forse anche Judah si era convinto che
quanto accaduto era stato completamente sbagliato e adesso
aveva capito che l’unica soluzione possibile era dimenticarsi l’uno
dell’altra.
Ma il dolore sordo che sentiva ogni qualvolta pensava a lui
pareva ingigantirsi ora dopo ora, la sensazione di sentirsi estranea
a ciò che la circondava la inglobava, una barriera che la escludeva
da tutto e tutti!
Ci aveva provato a dimenticarlo, ecco spiegato il motivo per il
quale aveva deciso di imbarcarsi nell’ avventura di incontrare uno
sconosciuto e passare una serata in sua compagnia. Yuriko le
aveva assicurato che i due uomini che, da lì a breve, le avrebbero
raggiunte erano assolutamente raccomandabili e loro coetanei.
L’amica conosceva uno dei due, un suo cliente assiduo che le
aveva dimostrato un particolare interesse, e che si era deciso a
invitarla a uscire proponendo un appuntamento a quattro.
Fece tintinnare quel poco ghiaccio rimasto, che grande cazzata,
tutta quella pagliacciata era assurda, perché non era rimasta
rintanata nel suo appartamento a commiserarsi?
Forse perché Judah l’aveva risvegliata dal suo letargo?
L’aveva fatta sentire bella, attraente e lei desiderava mettersi alla
prova.
Stronzate! Lei voleva convincersi che se proprio doveva
ricominciare a frequentare un uomo, ebbene che quest’uomo fosse
suo coetaneo, con la sua stessa estrazione sociale e non il suo
datore di lavoro per giunta con una dozzina di anni meno di lei!
Già qualsiasi cosa pur di scordare il volto di Judah…
Due ombre si frapposero alla luce che pioveva dai faretti
incastonati nel soffitto, lei sollevò gli occhi e mise a fuoco le figure
che si stavano accomodando sul divanetto di fronte. Yuriko si agitò
ridacchiando civettuola e allungò l’esile mano a quello dai capelli
scuri spruzzati di grigio e lui con fare galante la baciò. Morgana si
rese conto che doveva essere il fantomatico cliente interessato
all’amica, quindi a lei toccava…
Allargò gli occhi, oddio, ma a lei allora…
L’altro uomo, sopraggiunto, le porse la mano dalle dita curate, la
pelle abbronzata spuntava dal polsino bianco della camicia
indossata sotto a una giacca di taglio classico nera. Era un
bell’uomo niente da eccepire nonostante i lineamenti marcati:
mento volitivo, naso leggermente aquilino, bocca sottile. Ma
nell’insieme rendeva il volto affascinante.
«Molto lieto, Norman» si presentò.
Morgana stirò un sorriso e gli strinse la mano. «Morgana».
«Morgana? Bellissimo nome, misterioso» disse lui.
Yuriko le piazzò una gomitata nel costato e si avvicinò tutta
compiaciuta: «Visto? Non ti è andata così male» le sussurrò.
No, decisamente no, aveva ragione, eppure se confrontava
Norman a Judah, ebbene il primo ne usciva perdente! Nessuno
era come Judah!
Scacciò il pensiero idiota e adolescenziale che non riusciva a
dimenticare la sua prima cotta, si schiarì la voce: «Bene ragazzi,
perché non ci parlate un po’ di voi?».
Allen sorrise: «Certo, ma prima vorremmo ordinare qualcosa da
bere.» Richiamò la cameriera che li raggiunse e segnò le loro
ordinazioni, una bottiglia di champagne e una di whisky scozzese.
Morgana non seppe trattenersi: «Non vi pare di aver esagerato?
Tutto quest’alcool?».
Norman sollevò un sopracciglio: «È per scaldare la serata? O sei
una di quelle ragazze tutte perfettine?».
L’uscita parve davvero maleducata e rispose piccata: «Non sono
un’alcolizzata, tutto qui».
Arrivate le ordinazioni, Norman non perse tempo, si versò una
generosa dose di scotch colmando il bicchiere e ne posò uno
altrettanto pieno di fronte alle due donne. «Salute belle signore.»
Alzò il bicchiere strizzando l’occhio a Morgana. «… e che l’alcool
riscaldi».
Lanciò un’occhiata all’amico. «Al resto penseremo noi, vero Al?».
Morgana si irritò, se questi due pensavano di portarle a letto al
primo appuntamento si sbagliavano di grosso, ma per chi le
avevano prese?
Voleva dirglielo sul muso a questi due villani!
Si trattenne, un pensiero insidioso la fece desistere.
Già, lei ci aveva messo una settimana, sette giorni esatti a farsi
stendere sulla scrivania dal suo capo e… Si alzò di scatto, rossa in
volto a quei ricordi che la umiliavano.
«Scusate, devo andare alla toilette».
Yuriko balzò in piedi al suo fianco, rendendosi conto
dell’imbarazzo dell’amica. «Vengo con te, voi ci scusate, vero?».
Norman lanciò un sorriso allusivo a Morgana. «Non metteteci
troppo o saremmo costretti a raggiungervi».
Morgana girò i tacchi, dando uno sguardo fugace all’uscita che,
scintillante, la richiamava, una via di fuga da prendere senza
indugio!
Yuriko, intuendone le intenzioni, la brandì per un polso
trascinandola verso i bagni in fondo alla sala disseminata di
tavolini, facendo la gincana tra i divanetti, giunta a destinazione
spalancò la porta e spinse all’interno dell’antibagno Morgana.
«Che diavolo hai?» le chiese.
Morgana le voltò le spalle aggrappandosi al lavabo: «Non voglio
fare sesso con Norman o come diavolo si chiama!».
L’amica si avvicinò cauta poggiandole le mani sulle spalle e
carezzandole dolcemente: «Non devi farlo se non vuoi, pensavo
che ti saresti divertita, una serata diversa dal solito, tutto qui».
Morgana si osservò allo specchio di fronte: «Se tu sei solita fare
sesso con dei perfetti sconosciuti, libera di agire, io no!».
Yuriko distolse le mani dalle spalle di lei: «Scusa, mi dispiace,
forse hai ragione, soltanto è da tanto tempo che sono sola e
pensavo…».
Morgana si voltò e le sorrise debolmente: «Non è la soluzione
giusta darsi via, Yuri» le sussurrò.
L’amica annuì e abbassò gli occhi: «E adesso come li
liquidiamo?».
Morgana le posò l’indice sotto il mento facendole sollevare il bel
volto: «Semplicemente dicendo loro che ce ne andiamo».
L’altra donna sorrise impacciata. «D’accordo».
Determinate raggiunsero i loro accompagnatori, Morgana non
perse tempo e osservandoli dall’alto in basso, mentre i due
rimanevano seduti a finirsi ciò che avevano nei bicchieri dopo che
nel frattempo si erano scolati tutta la bottiglia di champagne e
mezza di whisky, disse:
«Mi dispiace ragazzi, ma noi abbiamo deciso di andare,
proseguite pure la serata, chiameremo un taxi».
Alan si sollevò e le due donne notarono che barcollava
leggermente: «Oh, mi dispiace, abbiamo fatto qualcosa di
sbagliato?».
Yuriko scosse il capo: «No, è che non mi sento tanto bene»
mentì.
Alan avanzò sbattendo contro al tavolino: «Se vuoi ti
accompagno a casa» si propose.
Yuriko vendendolo in quelle condizioni indietreggiò rendendosi
conto che era un bene allontanarsi da quei due: «No, grazie,
preferirei di no».
«Lasciale andare queste due stronze» biascicò Norman, dopo
aver vuotato in un fiato l’intero bicchiere e sbattendolo sul tavolino.
Morgana dovette mordersi la lingua per non mandarlo a fanculo,
villano e ubriacone!
«La serata termina qui, a mai più rivederci!» sibilò prendendo per
mano Yuriko.
«Aspettate» le supplicò Alan.
Norman alzò maggiormente la voce tanto che sovrastò la musica
in filodiffusione: «Sono due verginelle represse del cazzo!» Indicò
con il bicchiere Morgana. «… soprattutto questa baldracca che si
finge una santarellina».
Morgana non seppe trattenersi: «Vaffanculo, stronzo!» gli sparò
addosso e si voltò intenzionata a non restare un attimo di più.
Fu afferrata per la vita e lei si divincolò, come osava Norman
toccarla! In mezzo a tutta quella gente che li guardava attonita!
Gli occhi di tutto il locale addosso, le mani di lui che le
strattonavano i fianchi.
«Dove credi di andare puttana!» Con un gesto brusco la rigirò e
lei percepì l’alito alcolico di lui.
Lo spinse indietro mentre lui le tirava i capelli affondandoci le
dita, tentando di avvicinare la sua sudicia bocca: «Dammi il bacio
della buonanotte, sgualdrina!» le ringhiò.
Morgana si contorceva e si guardava attorno in cerca di aiuto,
piantò le unghie nei polsi di Norman che aveva preso a
palpeggiarle il sedere.
«Voglio sfondarti questo tuo bel culo!» gridò.
Lei urlò più forte in preda al panico: «Lasciami!».
Yuriko lo colpiva ripetutamente con la pochette e Alan restava a
guardare con un sorrisetto beffardo sul volto, godendosi la scena!
Nessuno veniva in loro aiuto, nonostante lei gridasse di aiutare
l’amica.
Morgana scorse un paio di ragazzi che presero a correre dal
fondo del locale, scavalcando divanetti e spintonando chi si era
fermato a guardare, ma furono preceduti. Norman fu sollevato dal
pavimento, una grande mano gli stringeva il collo: «Toccala ancora
e sei morto, testa di cazzo!».
Morgana ansimò: «Judah!».
Il bastardo si agitava e sputava rabbia: «E tu chi sei? Il figlio di
questa troia?».
Morgana urlò e il pugno si abbatté sul volto di Norman: «No,
sono quello che ti gonfierà se la chiami ancora in quel modo!».
«Judah?» una voce femminile si intromise.
Morgana vide la giovane che si avvicinava, Judah le si rivolse
tenendo ancora Norman per il collo: «Vai a casa Jasmine».
La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi: «Ma avevi detto che noi
due stanotte…».
Morgana si resse poggiandosi al divanetto.
Judah guardò prima lei e poi la giovane: «Sì, te l’avevo detto, mi
dispiace, ma dovremo rimandare, vai a casa, Jas!».
«Vaffanculo, Judah, sono mesi che aspetto!»
Norman si intromise: «Se vuoi ti fotto io, biondina».
Si guadagnò un altro destro sul mento: «Tu non fotterai un cazzo
di nessuno, chiudi questa fogna di bocca!».
La bionda pestò una scarpa irritata: «Judah, lascia perdere,
andiamo!».
«Ti ho detto che sarà per la prossima volta, Jass».
Morgana staccò le dita dal divanetto, tutta la situazione era
orribile!
Judah, con una donna più giovane di lei, Norman, un uomo che
conosceva da nemmeno un’ora, era ubriaco e le dava della
puttana, Yuriko piangeva, Allan era svenuto sul pavimento in una
pozza di vomito. Gli occhi di tutti puntati addosso! Era troppo,
troppo!
Corse, corse inciampando nei tacchi, scostando chi si
frapponeva al suo passaggio, afferrò il maniglione del portone in
cristallo e si precipitò sul marciapiedi.
Fuggiva senza sapere dove andare nella notte umida, con i pochi
fari delle automobili che la illuminavano!
Fu brandita per un polso e strattonata, gridò e tempestò di pugni
il petto dell’uomo che l’aveva sollevata tra le braccia, le lacrime le
rigavano il volto, urlava disperata di lasciarla andare, terrorizzata,
in preda a una crisi isterica!
«Morgana, sono io! Cristo, smettila di colpirmi e datti una
calmata!».
«Non voglio che mi tocchi! Mettimi giù e lasciami in pace!»
strepitò lei.
Judah, la strinse maggiormente a sé fino a farla sbattere contro il
muro che delimitava il vicolo stretto e buio nel quale l’aveva
trascinata.
«Io non ti mollo, Morgana!» ringhiò lui.
La donna si dibatté tanto che lui la lasciò andare, ma la spinse
contro alla parete schiacciandola con il suo peso, lei lo tempestò di
pugni sui pettorali.
«Stai lontano, levati di dosso!».
Judah le afferrò i polsi sollevandoglieli sopra al capo.
«Maledizione!» Lei ansimava e il petto di lui si alzava e abbassava
freneticamente. «È tutto finito, Morgana, sei al sicuro, cazzo!».
«Io non ce la faccio più!» singhiozzò disperata.
Judah, la osservò intensamente: «Cosa Morgana? Dimmi perché
non ce la fai più?».
Lei scosse il capo mentre le lacrime le offuscavano la vista.
«Io lo so, Morgana, so quello che ti tormenta!». La voce era
decisa e roca.
Lei strattonò i polsi che lui stringeva nelle dita. «Tu non sai
niente!» strillò.
Judah, poggiò la fronte contro la sua: «Invece lo so, Morgana»
soffiò un sussurro che la quietò immobilizzandola.
«Judah, no…» fu una preghiera disperata.
«Sì, Morgana…».
«No, no, ti prego, no…» la bocca di lui calò sulla sua e l’uomo
poté assaporare la disperazione di lei mischiata al salato delle
lacrime.
La baciò imponendole il suo desiderio, dimostrandole che lui
sapeva davvero ciò che la tormentava, lei lo voleva e se lo
precludeva, e lui non era più disposto a lasciarle tregua. I tre giorni
trascorsi senza poterla vedere erano stati troppo esplicativi per lui.
Gli avevano aperto gli occhi sulla realtà.
La lingua si insinuava profondamente in lei, appropriandosi di ciò
che doveva essere suo, lei era sua ed era ora che lo capisse!
Morgana si lasciò travolgere dall’emozione che le si riversò
addosso, il cuore le batteva forte, aveva bisogno che lui la
prendesse, che lui la facesse sua!
Sua, sì, sua! Nonostante sapeva che fosse tutto sbagliato non si
oppose quando lui la brandì per le natiche e la sollevò, Morgana,
frenetica, gli cinse la vita con le gambe, stringendolo fra le cosce.
Judah le strappò il tanga che indossava gettandolo sull’asfalto
umido.
«Judah, non… non qui … oddioo!» farfugliò in preda a un
momento di lucidità.
Lui, con gesti irruenti, si slacciò la cintura dei jeans, abbassò la
lampo e le concesse pochi istanti per ammirare l’enorme erezione
che svettava tra le sue cosce.
«Judah, no, no!» gemette, ma spinse in avanti il bacino,
invitandolo e lui la trafisse con un colpo secco.
«Sì, Morgana, sì, cazzo, sì!».
Le lasciò i polsi e affondò le dita nei suoi capelli costringendola
ad avvicinare la bocca alla sua.
«È questo quello che vuoi, è questo che ti neghi cazzo!» e le
diede una prima violenta stoccata. Penetrando in lei con rabbia.
Prima di baciarla violentemente, ansimò: «… quello che devi avere
e io voglio dartelo tutto!».
Lei avrebbe dovuto respingerlo, erano in un vicolo buio, chiunque
avrebbe potuto scoprirli, eppure puntellò i talloni nelle natiche di lui
avvicinandolo maggiormente, godendo delle sue vigorose spinte.
Gridando nella sua bocca quando lui le strinse un seno
tormentandole con il pollice un capezzolo da sopra il tessuto
dell’abito rosso che indossava.
Impudica, lasciva, libera!
Infilò le mani sotto la t-shirt nera di lui, voleva toccare la sua
pelle, sentire la perfezione dei pettorali sotto le dita. La bocca di lui
sul collo, gli ansiti ringhiati e l’alito caldo nell’orecchio. Affondava
stringendole le natiche, sapeva che il mattino seguente ne avrebbe
portato i segni, ma non le importava. Voleva tutto, voleva di più!
«Judah, Judah» ripeteva il suo nome, annegando nel piacere, e
lui sfregava il punto più sensibile di lei con due dita mentre la
solcava furiosamente. L’orgasmo la aggredì e lei urlò, i loro fianchi
cozzavano impazziti.
«Grida, Morgana, sì, così, lasciati andare!».
La inchiodò sprofondando in lei: «Dimmelo, dimmi che è questo
che vuoi!».
Morgana era sul punto di venire per la seconda volta: «Judah,
io…» rantolò mentre lui la teneva sul filo del piacere restando
dentro di lei senza muoversi.
«Dimmelo!» ringhiò.
Gli piantò i tacchi nei fianchi granitici: «Judah, ti prego» supplicò
spronandolo a muoversi a fare qualcosa!
Ma lui sorrise: «Te lo darò quando mi dirai che lo vuoi».
Morgana era al culmine dell’eccitazione e dell’esasperazione:
«Sì, bastardo, dammelo, lo voglio!» sbraitò.
E lui l’accontentò, martellandola senza pietà, portandola a un
nuovo orgasmo che la sconquassò, uscì da lei digrignando i denti
e si riversò sul suo addome macchiandole l’abito, ma non gli
interessava niente, in quell’attimo era soggiogata, vederlo godere
era qualcosa di superlativo, il collo taurino che si gonfiava,
l’addome teso contratto, i fianchi cesellati tremavano spinte dal
piacere, la mano grande dalle dita lunghe che stringevano
l’erezione.
Morgana era rapita, la fissava mostrandole il meraviglioso volto
mentre godeva di lei e per lei. Intrappolandola con le iridi scure,
gettandola in una spirale di perversa concupiscenza, si sentì per la
prima volta una donna potente.
Judah, con il fiato corto, la prese per i fianchi avvicinandola,
premette l’erezione contro la pancia di lei: «Sei riassunta, miss
Green e non dire una cazzo di parola».
Morgana poggiò la guancia contro il suo petto: «Posso
obiettare?».
Lui affondò le dita nei capelli carezzandole la nuca: «No!».
La allontanò e si sistemò l’erezione, ancora vigorosa, nei jeans,
poi le abbassò il vestito che le si era arrotolato in vita durante
l’assalto di lui, la prese tra le braccia: «Ti riporto a casa, domani ti
voglio presto in ufficio».
Morgana, spossata, si lasciò trasportare per diversi isolati tra i
passanti che li osservarono, raggiunsero l’auto di lui, parcheggiata
sul lato opposto della carreggiata di fronte al locale ormai deserto,
gli permise di metterla in macchina, e poggiando il capo allo
schienale chiuse gli occhi mentre lui metteva in moto: «E la mia
lettera di dimissioni?».
Judah diede gas: «Quale lettera? Smettila di blaterare».
Morgana fece un breve sorriso e si lasciò accogliere dal sonno, si
ridestò il mattino dopo nel suo letto, lui l’aveva portata in braccio
sino al suo appartamento, spogliata e messa tra le lenzuola.
Ricordava che aveva spento la luce e in silenzio se ne era andato.
CAPITOLO DIECI
Le sei del mattino, stessa carrozza ghermita di persone
accalcate. Stava tornando da lui. Combattuta tra il senso di
profondo sollievo nel poterlo rivedere e la certezza di quanto fosse
sbagliato riprendere a lavorare per Judah, soprattutto dopo ciò che
era accaduto tra loro.
Era confusa, avvilita, e …
Maledizione era attratta sessualmente da quel bastardo che non
perdeva occasione per dimostrarle quanto fosse debole!
Ma questa volta gli avrebbe parlato chiaramente, la relazione
sessuale doveva cessare con effetto immediato!
Punto!
Basta!
Stop!
Con uno scossone la metropolitana si arrestò e lei barcollò: la
sua fermata. Dannazione tutte queste persone la pigiavano e
spintonavano, imbottigliandola tra le porte scorrevoli dell’uscita.
Una giovane donna le piantò una gomitata nella schiena e lei, al
colmo della rabbia repressa che covava dentro, si voltò
ringhiandole un sonoro vaffanculo!
L’altra non osò proferire parola e Morgana balzò giù dal vagone,
si ficcò la tracolla della borsetta sulla spalla e avanzò sbattendo
tacco e punta sul selciato.
Quel grandissimo figlio di puttana, ora l’avrebbe sentita!
L’aveva scopata in un buio, putrido vicolo! Dopo essere stata
aggredita da un ubriacone pervertito!
E lei che razza di donna era? Fuggiva da un maniaco per cadere
nelle braccia di un altro!
«Devi farti registrare il cervello Morgana! Mentecatta della
malora!» imprecò tra sé, non badando ai passanti che la
osservavano basiti.
A metà della via ciottolata in salita, il suo smartphone prese a
strillare. Se è lui io guarda… borbottò.
Sbirciò lo schermo e tirò un sospiro di sollievo, Yuriko.
Solo in quell’istante si ricordò che la notte scorsa l’aveva lasciata
sola nel locale, si vergognò, portandosi il telefonino all’orecchio
sussurrò: «Mi dispiace, Yuri».
«Stai bene?» chiese l’altra con tono preoccupato.
Morgana si attardò, sedendosi sulla panchina e un gran mal di
testa si affacciò prepotente, molesto: «Ho sopportato di peggio».
«È stato davvero un miracolo l’intervento di Judah» proseguì
l’amica.
Morgana si osservò la punta delle scarpe, per la verità fissava le
unghie dei piedi che spuntavano dagli alti sandali che la carogna la
costringeva a indossare!
«C’erano due ragazzi che stavano correndo nella mia direzione,
quindi in un modo o nell’altro sarei stata salvata».
«Perché ho l’impressione che tu ce l’abbia con il tuo capo e poi
non mi hai ancora spiegato perché ti sei licenziata».
Morgana si alzò, non aveva voglia di dare spiegazioni: «Mi ha
riassunta» tagliò corto.
Il tono di voce di Yuriko si colorò di schietta curiosità: «Davvero?
E quando ieri notte?».
Morgana mugugnò: «Uhm, uhm …».
«Allora lo ammetti che hai passato la notte con lui!».
Già, se proprio doveva farci sesso lei se l’era immaginato in un
grande letto, con una bottiglia di champagne in un cestello colmo
di ghiaccio, le candele profumate che spandevano una luce
soffusa, e lui sarebbe stato dolce, attento…
Ma questo accadeva nei suoi sogni che al mattino la lasciavano
accaldata, voluttuosa, affamata.
E invece lui l’aveva presa la prima volta sulla scrivania e la
seconda, in un momento di profonda debolezza, in un vicolo come
si fa con una puttana!
«Devo andare, Yuri, ti chiamo più tardi».
«Morgana, mi dispiace, ecco io non avrei dovuto chiedertelo».
«Lascia stare, sono in ritardo a dopo», Morgana gettò lo
smartphone nella borsetta e spinse il palmo contro al portone che
si spalancò con il solito cigolio.
Mentre saliva gli scalini la sua rabbia era sparita, sostituta da un
profondo senso di tristezza.
Aprì la porta dell’ufficio e lui era seduto dietro alla scrivania.
«Sei in ritardo» la riprese.
Non lo degnò di uno sguardo e andò alla sua postazione,
sistemò la poltroncina avvicinandola al pianale e pigiò il tasto di
avvio del suo Pc, poi …
Poi restò a fissare lo schermo con le mani raccolte in grembo.
Judah sollevò un sopracciglio, ahhh, non ci siamo proprio bella
fatina disse tra sé.
«Vedo che sei in gran forma stamattina, hai intenzione di tenermi
il muso da qui all’eternità?».
«Preferirei che mi dicessi quali sono i miei compiti stamane»
rispose senza sollevare lo sguardo.
Lui si grattò la zucca, non gli andava a genio che lei, dopo una
notte di passione, fosse più gelida delle nevi perenni dell’Himalaya!
E poi ancora la cazzo di camicetta da educanda abbottonata sin
sotto al mento! Dove diavolo era finita la canotta attillata? Per non
parlare della gonna grigia sotto al ginocchio, lo avrebbe fatto
ammosciare anche a uno che non scopava da anni!
Si chinò poggiando la mano sul pianale della scrivania e la
osservò dal basso in alto, per fortuna indossava i goduriosi sandali
dal tacco eccitante, Morgana possedeva dei piedi da infarto. Erano
graziosi e si immaginò lei che glieli passava sull’addome contratto
per poi giocare con la punta del suo cazzo…
Una bella sega con…
«Che hai da fissarmi in quel modo, svitato! Sei ridicolo!».
Oh, là là! Adesso sì che la riconosceva!
Si tirò su, poggiando le spalle allo schienale che scricchiolò sotto
al peso di tutti quei muscoli definiti: «Non dovrebbe parlare così al
suo capo, miss Green» la schernì, unendo la punta delle dita e
dipingendosi sulle labbra un sorriso da presa per i fondelli.
Morgana si scostò dalla spalla una ciocca di capelli e lui fu rapito
dal semplice movimento; un gesto innocuo che a lui fece
aumentare la voglia di saltarle addosso! Divorarla!
Ragazzi era da clinica psichiatrica, gli tirava da matti nei jeans!
«Ha ragione, mister Marshall, ora se vuole dirmi cosa diamine
devo fare!».
Il tono di lui si fece improvvisamente roco, gli occhi scuri due
pozze insondabili: «Vieni qui, Morgana».
L’ordine la eccitò e lei si maledisse: «Sto bene dove sono» provò
a difendersi, ma la voce le tremò.
«Ho detto di venire qui, come diavolo faccio a farti vedere le
fotografie scattate dal coroner, vuoi che divelga la scrivania o
preferisci che ti schiaffi il mio Pc sulla tua!».
Che carattere di merda!
«Okay, va bene!» Si morse la lingua per non mandarlo a quel
paese!
Si alzò riluttante e andò a posizionarsi dietro di lui.
Judah scostò la poltrona, sulla quale era seduto, facendole
spazio: «Un po’ più vicino non ti mangio».
Lei piantò i tacchi nel pavimento: «Qui andrà benissimo, ci vedo
ancora piuttosto bene da lontano».
Lui fece spallucce: «D’accordo» e girò verso di lei lo schermo,
«… che ne pensi?».
Morgana si piegò in avanti stando ben attenta a non sfiorare le
spalle.
«Raccapricciante» fu la risposta sincera.
Un povero prete giaceva nudo, pallido, grigio, con la bocca
spalancata in modo innaturale e il collo tagliato da un orecchio
all’altro.
«No, cosa pensi di questi delitti? Perché il serial killer sceglie
uomini di Dio per i suoi omicidi? E perché caccia loro in gola un
pezzo di carta appallottolato?».
Morgana si batté l’indice sul labbro inferiore: «Potrebbe essere
un messaggio, possibile che il coroner non sia riuscito a estrarre
neanche questo senza distruggerlo».
«Ottima deduzione, Watson».
«Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo!».
Judah sorrise: «Sei di cattivo umore stamattina, Miss Green».
Lei sollevò gli occhi al cielo: «Non ho fatto colazione!».
«Niente caffè e trigliceridi? Molto male, miss Green».
«Io non ho una segretaria costretta a percorrere due isolati sopra
dannati tacchi per farmi portare caffè e ciambelle!» sibilò.
Judah trattenne una risata, la adorava quando lo prendeva
metaforicamente a calci in culo, ingigantiva la sua voglia di
tapparle la bocca irriverente a suon di baci, e… magari ci
scappava anche un pompino!
Da cosa, nasce cosa si sapeva no?
Si mosse per dare sollievo al suo arnese costretto nella patta, e
indicò con il mento il bicchiere di carta e la scatola di ciambelle
giacenti in fondo alla scrivania: «Serviti pure, potrebbe addolcire il
tuo caratteraccio e il tuo stomaco la pianterà di borbottarmi
nell’orecchio» la dileggiò.
Morgana era tentata, ma scosse vigorosamente il capo: «No,
grazie».
«Prendi una cazzo di ciambella!» la investì facendola trasalire.
«Judah…».
«Fallo, Morgana» ancora il tono roco, la voce che le solleticava la
pelle, ruvida, calda, imperativa.
Il corpo si mosse senza che lei ci potesse fare nulla, docile al
comando, si allungò, la scatola era lontana.
Non si rese conto di strisciare con il busto sul pianale,
maledizione doveva metterle proprio là in fondo queste benedette
ciambelle!?
Judah si mosse, attirato dal fondoschiena di lei che dimenava
sotto ai suoi occhi, la afferrò per i fianchi e Morgana si arrestò:
«Cosa stai facendo?».
«Prendi le ciambelle, Morgana» un sussurro rude, un comando
sensuale.
Il cuore prese a batterle forte quando lui si alzò lentamente, e le
sollevò la gonna: «Judah, no, dobbiamo parlare…» trattenne un
gemito.
Piegandosi su di lei e sfiorandole la schiena con il petto le
bisbigliò in un orecchio: «Dopo, adesso resta dove sei».
Morgana si aggrappò al bordo della scrivania, le gambe le
tremavano, lo stomaco in subbuglio, il basso ventre in fiamme,
oddio l’alito caldo nel suo orecchio, il suo respiro affannato la
eccitava e allo stesso tempo la spaventava.
Ci siamo, si disse. No, ancora! No!
Le mani di lui scivolarono sotto di lei e si appropriarono dei seni
stringendoli.
«Odio questa cazzo di camicetta della nonna» le sibilò a denti
stretti, massaggiandole i capezzoli da sopra il tessuto di cotone
ruvido del reggiseno, amplificando le sensazioni.
«Judah, ascolta» fu un belato supplice.
Morgana piegò il collo, volendolo guardare in volto e prese a
divincolarsi debolmente, era eccitata e spaventata, un mix che la
prostrava e le riempiva di fuoco le vene: «Judah, ti prego…».
Lui le afferrò il capo, affondando le dita nei capelli, li raccolse in
una coda e li strinse riportandole il volto dritto davanti a sé.
«Stai ferma!». Strattonò facendole inarcare la schiena e le sfregò
l’erezione intrappolata nei jeans contro le natiche: «Voglio
prendere il tuo bellissimo culo e tu me lo lascerai fare, vero?».
«Judah!» le strillò, ma un fiotto bollente le sbocciò nel sesso
gonfio pronto per lui.
«Dimmelo, dimmi che lo vuoi! Dimmi che lo prenderai tutto!» e
tirò maggiormente la chioma raccolta nelle sue dita facendola
palpitare di desiderio. «Dimmelo Morgana!».
Lei piantò le unghie nel bordo del pianale.
«Io… Judah, fa male, ti prego, non… voglio, fa male, io… non
voglio più che…».
Le sue suppliche lo fecero tentennare attimo.
Oh, merda non dirmi che quel figlio di puttana del suo ex marito
lo aveva sfondato senza prepararla? Oh, Cristo! Eppure, la fame di
lei non si placava nemmeno al rabbioso pensiero dell’altro.
Le baciò il collo, piccoli baci leggeri e allentò la presa sui capelli
senza tuttavia lasciarli liberi: «Farò piano, Morgana, ma so che lo
vuoi, tu vuoi tutto di me, mi vuoi in ogni dove».
Le sfiorò con la mano libera la bocca socchiusa: «Qui».
Le carezzò la vita e poi passò le dita lungo una coscia sino a
raggiungerle il sesso: «Qui».
Lei respirava affannosamente e sì, lo voleva, lo desiderava da
impazzire!
Le passò l’indice tra le natiche: «E qui, fidati di me, Morgana, se
sarà troppo mi fermerò».
«Judah, io…».
Le diede un leggero schiaffo sulla natica che le inviò una fitta di
piacere nella parte più nascosta e intima di lei.
«Dimmelo!» esortò ancora.
Morgana boccheggiò: «Sì, sì!» strepitò arrendendosi alle violente
sensazioni che lui sapeva farle nascere dentro, il bisogno
primordiale di essere posseduta.
Oh, Cristo!
Judah le abbassò il tanga con un gesto brusco, ma invece di
sfoderare l’erezione che gli faceva male, le allargò le gambe con
un ginocchio e si chinò accarezzandole delicatamente le gambe,
inginocchiandosi pronto a sentire nella bocca il sapore dolce di lei
e…
I got a song a song with shit for the strong willed, when the word
gives you a row deal, set you off’til you scream piss off! Screw you!
La musica rabbiosa del pezzo rappato di Eminem invase la
stanza e trapassò entrambi, bloccandoli.
Judah imprecò, la suoneria del suo cellulare gli fece digrignare i
denti!
«Ma porca troia!».
Morgana ripiombò nel suo corpo e si divincolò liberando le
caviglie imprigionate dalle dita esigenti di lui: «Judah, potrebb…».
Lui si sollevò: «Merda, merda, merda!».
Si allontanò barcollando e si portò l’apparecchio all’orecchio
ruggendo: «Che cazzo c’è?».
Morgana, rossa in volto, si tirò su gli slip e si abbassò la gonna
imbarazzata, avrebbe voluto scomparire come se chi stesse
dall’altra parte della comunicazione avrebbe potuto vederla in
quelle discinte condizioni.
«Okay, sto arrivando, non toccate niente!».
Si cacciò nella tasca dei jeans lo smartphone e afferrò le chiavi
della macchina: «Prendi la borsetta, miss Green, c’è stato un altro
omicidio».
Lei annuì e gli trotterellò dietro: «Ma che diamine di musica
ascolti?» chiese tanto per non dare importanza a quello che era
appena successo tra loro.
«Cazzi miei, e ti conviene chiudere la bocca sino a
destinazione.» Le spalancò la porta rabbioso.
Morgana ansimò: «Perché sei così arrabbiato?».
Lui indicò la scrivania con il mento e poi passò lo sguardo duro
su di lei, facendola arrossire di nuovo.
«Tu che dici?» domandò iracondo e poi sbatté la porta
chiudendola con un calcio!
Senza tanti complimenti le aprì la portiera. «Sali».
Morgana indugiò: «Judah, ecco, su quanto successo pocanzi io
vorrei dire …».
«Sali cazzo! Subitoooo» e lei si gettò sul sedile, Judah sgommò,
facendo stridere le ruote sull’asfalto. C’era quasi, mancava tanto
così… sentiva il sapore di lei sulla lingua, il suo cazzo stretto nel
pertugio delizioso, spingendolo dentro lentamente per poi farla
gridare di piacere!
«Judah, senti io insisto noi non dovremmo più…».
Lui si voltò verso di lei, una ciocca di lunghi capelli scuri gli sfiorò
lo zigomo, Dio quanto era bello…
«Dovremmo eccome, il tuo culo sarà mio, il caso è chiuso!»
«Ma non puoi parlarmi in tal modo! Judah!».
Lui stirò le labbra in una smorfia: «Morgana, mi fa un male cane,
tira da matti, sono nervoso, ho voglia di sbatterti sui sedili di questa
dannata auto, ora o chiudi la bocca o ti chini e mi fai un pompino».
Morgana disegnò una O di sconcerto con la bocca: «Va… va
bene…» tartagliò.
Judah tenne gli occhi sull’asfalto davanti a sé: «Okay, tiramelo
fuori».
Lei gli sferrò una borsettata sul petto: «Intendevo che terrò la
bocca chiusa! Capito!? Quindi niente pomp…, oh, diamine
nemmeno riesco a pronunciarlo!».
Judah rise: «Fare è meglio che dire, ma se questa è la tua
decisione soffrirò anche io, in rigoroso silenzio».
Pigiò il tasto sui comandi al volante e la musica riempì a tutto
volume l’abitacolo.
Yeah, so seductive. I’ll take you to the candy shop, I’ll let you lick
like lollipop…
«Che diamine di musica scurrile ascolti!? Non dovevamo fare
silenzio?».
Le sorrise allusivo: «Noi sì, ma 50 cent no, e poi mi ricorda…».
«Taci!» lo rimbrottò.
Judah imboccò la superstrada canticchiando quella oscena
canzonaccia.
CAPITOLO UNDICI
L’automobile procedeva a bassa velocità lungo l’impervio
sentiero, la coltre lattiginosa si faceva più densa e impediva loro la
vista. Morgana detestava la nebbia, le incuteva un terribile senso
di ansia, infondendole la sgradevole sensazione che celasse
insidie pronte a ghermirla. Anche il buio le incuteva lo stesso
terrore, lei aveva bisogno di poter vedere ciò che la circondava.
Persino l’innaturale silenzio attorno a loro la angosciava.
Deprivazione di vista, udito…
Conosceva molto bene cosa significava, Jim la bendava, e le
copriva le orecchie con una cuffia speciale che la isolava da
qualsiasi suono e poi la colpiva quando meno se l’aspettava… Non
sapeva da dove sarebbe arrivato il pugno, non sentiva i suoi
passi…
Ecco spiegato il motivo della sua tremenda apprensione da tutto
ciò che occultava i sensi.
In lontananza si intravedevano le alte fronde di alberi che, con i
loro rami contorti, parevano graffiare il grigiore che li soffocava. Un
disperato bisogno di emergere nella strenua ricerca della luce.
Proprio come accadeva spesso a lei durante i perversi pestaggi
dell’ex marito.
Il respiro le mancava, ma tentava di modularlo. Nel preciso
istante nel quale l’automobile si arrestò, lei artigliò la maniglia e
represse il disperato desiderio di fuggire, la fece desistere soltanto
la foschia grigia che le impediva di prendere una qualsiasi
direzione.
«Scendi, bella statuina.» La voce di Judah fu un appiglio al quale
lei si aggrappò per non annaspare.
Annuendo spalancò la portiera e poggiò il piede sul terreno
umido, sollevandosi i tacchi affondarono nelle foglie scivolose e lei
si mantenne alla scocca della macchina sportiva.
Judah, aggirandola, raggiunse la sua bella fatina che faticava a
muovere un passo, pessima idea quella di portarla in un cazzo di
bosco senza prima farle cambiare le scarpe.
Le porse il braccio muscoloso: «Forza, sostieniti a me» la invitò
brusco.
Morgana era paralizzata.
Quel posto era simile al bosco nel quale lei fuggiva disperata nei
suoi incubi mentre Jim la inseguiva, le sembrava di udire la sua
macabra risata.
Judah intuì la sua apprensione: «Non ti succederà niente con me
al tuo fianco, te lo prometto, Morgana» le sussurrò e il cuore di lei
si acquietò. Procedette guardinga, gli occhi schizzavano in ogni
dove.
Che strano, nonostante fosse primavera inoltrata, l’umidità le
infondeva brividi di gelo.
Le mancava l’aria, era come se la coltre densa le entrasse nei
polmoni.
Cercava di assorbire il calore emanato dal contatto con il braccio
possente di Judah.
Sollevò lo sguardo su di lui.
Lui era la potenza.
La naturale sicurezza.
Protezione…
Ma non era abbastanza…
Si schiarì la voce: «Judah…» lo richiamò con un sussurro
incerto.
Lui la guardò intensamente, i suoi occhi scuri, intelligenti,
indagatori e sinceri le diedero la forza di chiedergli
sommessamente: «Potresti tenermi per mano?».
Sentiva dentro di sé la necessità del contatto della pelle contro la
sua.
Lui la osservò divertito e lei si maledisse.
Slegò il braccio dal suo e con fatica fece qualche passo
superandolo.
Che idiota che era stata!
Fu afferrata per il polso e lei provò a divincolarsi: «Lascia
perdere!» sibilò.
Ma lui le sollevò la mano e le baciò il palmo, senza dirle una
parola le mostrò le loro dita che si intrecciavano.
Lasciò cadere le loro braccia lungo il fianco, tendendosela vicina
e sincronizzò le lunghe falcate con il passo di lei, reso incerto dalle
asperità del terreno.
In silenzio camminarono vicini, era come se Judah sapesse dove
dovevano dirigersi in mezzo alla fitta nebbia. Schivava tronchi,
aggirava solchi di zolle sollevate dalle radici. La sosteneva quando
lei incespicava.
Judah era tutto quello che ogni donna avesse desiderato in un
uomo.
Bello da far male, sicuro di sé, possente, intelligente, ironico,
arguto e sapeva fare sesso selvaggiamente, divinamente…
Ogni donna sarebbe stata felice con lui come compagno di vita.
Tutte…
Tranne lei…
O forse nessuna, perché lei aveva inteso la vera natura di Judah,
era uno spirito libero, non si sarebbe mai legato a nessuna…
Passo dopo passo si convinceva che la loro relazione non
avrebbe portato da nessuna parte…
Un giorno. Judah. si sarebbe stancato, la strana attrazione
sessuale che le dimostrava sarebbe andata scemando, e cosa
sarebbe rimasto di loro?
Niente!
Morgana non sapeva cosa fare, divisa tra il suo buon senso che
le diceva di troncare, e il bisogno di come lui la faceva sentire viva
ogni volta che la prendeva con ardore.
Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate, non è amore…
Non lo sarà mai si ripeteva.
E allora perché non era in grado di stargli lontano?
Ci aveva provato, ma lui lo aveva impedito, trovandosi nel locale,
al posto giusto nel momento giusto…
E le aveva imposto di tornare a lavorare per lui…
L’aveva resa schiava con le sue mani, la sua bocca, il suo corpo
vigoroso che l’avvolgeva, imponendole il suo volere.
Aveva ceduto! Aveva sbagliato, era tutto sbagliato.
Judah si arrestò e lei andò a cozzare contro il fisico solido di lui.
Il trillo di avviso di un messaggio proveniente dal suo smartphone
perforò il silenzio, facendola trasalire.
Judah proseguì senza lasciarle la mano e prese a scrutare lo
screen. Morgana avanzò con gli occhi puntati davanti a sé, la
nebbia era sempre più fitta, ora persino i tronchi parevano sinistre
ombre deformate.
Lo strillo acuto fendette l’aria.
Judah strinse a sé Morgana, istintivamente, mentre lei si
tamponava la bocca. Era lei che aveva emesso il grido spaventato!
Un uomo comparso dal nulla la fissava con occhi spiritati. Un
sorriso ebete e maligno piegato sulle sottili labbra.
Judah la mise dietro di sé impedendo a all’invertebrato di
scrutarla: «Chi sei? Cosa ci fai qui!» gli chiese.
L’uomo magro e ingobbito nonostante dimostrasse la stessa età
di Judah rispose ridacchiando: «Jonathan, sono Jonathan».
Allungò il collo esile che spuntava dalla camicia a quadri e indicò
con l’ascia che stringeva tra le dita scheletriche Morgana,
aggrappata alla schiena di Judah, che lasciava scoperto soltanto il
volto cereo.
«Lei, lei è bella…».
Judah avanzò e l’omino fece un balzello indietro, piccolo gnomo
della malora!
«Se, se, se. Ora rispondi alla domanda, cosa ci fai qui?».
«Io l’ho visto!» rispose in tono allucinato l’omuncolo,
spolverandosi i calzoni in pesante tessuto marrone inzaccherati di
fango.
Judah fece un altro passo in avanti, spezzando un ramo che
scricchiolò sotto le suole dei pesanti anfibi: «Chi?».
Il piccoletto gli puntò l’ascia contro: «Non mi fai paura! Voi tutti
non mi fate paura!».
Judah, con gesti misurati, spostò l’ascia di lato e con calma gli
domandò: «Chi sono loro? Di chi hai paura?».
«Ti ho detto che non ho paura!» strillò il giovane.
Si guardò attorno: «Loro sono qui, io li ho visti» sussurrò.
Judah lesse il terrore in quegli occhi spalancati: «Chi sono loro?»
insisté con lo stesso tono basso, rassicurante.
L’uomo indicò dietro di sé, puntando l’ascia tra due tronchi: «È
fuggito, di là».
«Chi è fuggito, parla!».
«L’ho già detto alla donna bionda della polizia».
«Dillo anche a me, anche io sono della polizia».
Il ragazzo tremante scosse l’ascia mantenendola puntata nella
direzione indicata poco prima: «L’incappucciato, è scappato, i piedi
scalzi non toccavano terra, sono i fantasmi di questo bosco, loro
uccidono i preti! Loro uccidono tutti!»
Una risata grottesca gli sgorgò dalla gola e puntò gli occhi rapaci
su Morgana: «Prenderanno anche te!».
Morgana strinse il braccio di Judah: «Quest’uomo è pazzo» gli
sussurrò.
«Eppure, è lucido nella sua pazzia, molto interessante» rispose
Judah.
«Andiamo via» lo pregò Morgana.
«Dammela! La proteggerò io, loro non la toccheranno, io ho
l’ascia, la porterò nella mia baita, al di là della collina.» Il
decerebrato osservava affamato la sua fatina.
«Judah, ti prego, andiamo!» lo incalzò spaventata Morgana.
Lui sorrise al pazzo: «Mi dispiace, amico, ma lei è mia».
L’altro scosse il capo risoluto: «Tu non la vuoi per sempre, io la
terrei con me finché non morirà, tutti dobbiamo morire, e la
seppellirò sotto a quell’albero…».
«Quale albero?» lo spronò a proseguire Judah.
Morgana non capiva il motivo per il quale Judah continuasse a
parlare con il matto da legare.
Ma come era possibile che si permettesse a un insano di mente
di vivere ai margini di un bosco?
«Dottor Marshall, non perdere tempo con questo imbecille!» La
voce dell’ispettore capo, Glenn Palmer, fece voltare tutti nella sua
direzione.
Morgana la osservò, era bellissima come la ricordava.
Indossava un paio di pantaloni neri a sigaretta, un giubbino in
pelle nera, attillato, che lasciava intravedere le forme perfette. Ai
piedi comodi scarponcini militari. L’alta coda di biondi capelli le
donava un non so che di altero, scoprendo il volto dai lineamenti
duri e allo stesso tempo affascinanti.
Lei è tutto ciò che io non sarò mai, si disse Morgana, invidiando
l’innata sicurezza di sé che emanava quella donna.
«Da questa parte» fece strada Glenn. «… e attenta a dove mette
i piedi, Miss Green, temerario da parte sua indossare sandali tacco
dodici sulla scena del crimine» la dileggiò.
Judah le afferrò la mano sorreggendola.
«L’incappucciato ha i suoi occhi! State attenti!» gridò il pazzo
mentre si allontanavano.
«Cosa intendeva dire?» chiese Morgana a Judah.
Lui non le rispose osservando davanti a sé. Lo fece Glenn: «Lo
lasci perdere, ma non lo vede che è un povero mentecatto?».
«Lo hai interrogato vero?» chiese Judah.
Miss Palmer annuì: «Sì, dice che ha visto un uomo incappucciato
fuggire ed è lui che ha chiamato la polizia dopo che ha trovato il
cadavere».
«Ha descritto questo incappucciato?».
Glenn spostò un ramo che le impediva il passaggio: «Sì».
Judah afferrò lo stesso ramo spezzandolo cosicché Morgana
potesse avanzare: «E come diavolo era questo cazzo di
incappucciato?»
Glenn snocciolò frettolosamente: «Indossava una tunica, scura
con un cappuccio calato sul capo, esile di costituzione, un metro e
settanta circa, scalzo, dai piedi piccoli».
Si ritrovarono in una radura con pochi alberi sparsi sul manto
erboso umido di rugiada: «Il pazzo ha parlato di occhi, come erano
questi occhi?».
Glenn si voltò guardandolo dritto in faccia: «Azzurri, gelidi e
determinati, così ha detto. Io credo che siano fantasie di una
mente malata, la psiche dà forma alle nostre paure e quel povero
uomo credo sia stato fuorviato dalla sua mente, ha creato una
proiezione di ciò che teme, tutto qui».
Judah sollevò lo sguardo: «Questo lo lasci decidere a me, bel
lavoretto davvero».
Morgana seguì con gli occhi il suo movimento, e ancora una
volta si tamponò la bocca impedendosi di urlare.
Oh mio Dio! Mio Dio!
Un uomo pendeva da una corda, a testa in giù, la gola, straziata
da un fendente, l’apriva mostrando le ossa della colonna cervicale
che biancheggiavano tra la carne maciullata.
Nella bocca aperta, in modo orribilmente sinistro, in un muto
grido era conficcato un foglio appallottolato.
L’ uomo indossava un abito talare e i pantaloni erano abbassati.
Morgana si coprì gli occhi in segno di pietà e non per pudore.
Il sesso afflosciato dell’assassinato mostrato con spregio,
volendo umiliare il cadavere deturpato.
«Chi può fare tale aberrazioni?» domandò con un filo di voce.
«Lo scopriremo presto» le disse Judah. Poi ordinò ai ragazzi
della scientifica: «Tiratelo giù e portate il corpo nel laboratorio del
coroner. Ditegli di non toccarlo sino a quando non sarò presente
io».
In poco tempo il corpo fu avvolto in un sacco nero, caricato su di
una barella e trasferito nel furgone.
Glenn balzò in auto, tenendo gli sportelli aperti «Tu non vieni con
noi?» si informò con Judah.
Lui scosse il capo: «Andate, ma fate come vi ho detto, io non ho
ancora finito qui».
Glenn indicò con il mento Morgana: «E lei?».
Judah la fissò negli occhi: «Resta con me».
Miss Palmer balzò giù dal furgone: «E allora resto anch’io».
«Io credo tu debba accompagnare il corpo, ispettore capo» la
liquidò lui.
Glenn strinse la mascella: «D’accordo, poi vorrei parlarti in
privato, da soli, tu e io».
Così dicendo chiuse lo sportello con un gesto brusco e il furgone
e l’auto partirono sparendo nella nebbia.
Morgana si strinse nelle spalle, sfregandosi le braccia. «Cosa ci
facciamo ancora qui?».
Judah si tolse il giubbotto e glielo posò sulle spalle, Morgana se
lo strinse addosso, era grande di misura, e caldo, impregnato del
profumo naturale della pelle di lui.
Che strano, Judah non portava fragranze, eppure lei poteva
percepire la fra ganza che emanava il suo corpo. Una coperta
sensoriale rassicurante.
«Dobbiamo ispezionare il luogo del delitto».
Judah studiò il solido ramo da dove pendeva la corda che la
scientifica aveva imbustato: «Dimmi Morgana non noti nulla di
strano?».
Lei prese a camminare incerta sotto al grande albero: «Sì, non
c’è una sola goccia di sangue».
Judah si chinò e con un rametto scostò le foglie: «Brava,
Watson» ironizzò.
«Ti ho già detto di non apostrofarmi in quel modo!».
Non le rispose e si diresse verso il bosco: «Dove sarà il sangue
del prete?».
Morgana incespicando lo raggiunse e lui gli tese la mano, alla
quale lei si aggrappò: «L’assassino potrebbe averlo ucciso in un
altro luogo, poi averlo portato qui».
Judah si grattò la barba: «Esile, piedi scalzi, una corda per issare
il corpo facendo leva e utilizzando poca forza fisica, non credo che
il nostro assassino sia stato in grado di trascinare sino a qui il
corpo passando dal bosco».
«E allora dove lo ha ucciso?» rabbrividì Morgana spaziando con
gli occhi.
Judah si voltò di scatto e tornò indietro trascinandola con sé
«Giusto!».
Aggirò l’albero maledetto, Morgana gli zampettò dietro: «Judah e
se il pazzo stesse dicendo la verità, ripeteva “loro” e se fossero
stati più di uno gli assassini?».
«Glenn in parte ha intuito l’allucinazione del poveretto. No,
l’assassino agisce da solo.» Si chinò. «E questa ne è la prova».
Sul terreno le foglie erano scostate lasciando intravedere un
solco poco profondo nel terreno, reso umido dalla nebbia fitta: «Lo
ha trascinato.» Indicò il solco. «Qui l’incanalatura è più stretta, poi
si allarga a cadenza regolare, tronco… gambe… L’ha trascinato
per i piedi».
Morgana fu stupita dall’acume di Judah: «Non ci avevo pensato».
Lui si sollevò pulendosi i jeans dal fango: «Ecco perché tu sei
Watson».
«Oh, smettila, Judah, ti ho già detto… Oh mio Dio!».
Morgana strillò dopo essere affondata in qualcosa di viscido che
le imbrattava i sandali sino a raggiungere la pelle scoperta dei
piedi, sangue! Era finita in un’enorme pozza di sangue rappreso!
«Ed ecco dove lo ha sgozzato».
Judah utilizzò un altro legnetto rugoso per sollevare un laccio in
cuoio: «E con questo gli ha legato le braccia».
«Come fai a dirlo?» domandò lei ansimando.
«Il cadavere ne portava i segni sui polsi».
«Non me ne ero accorta» ammise lei.
Judah le porse un sacchetto trasparente estratto dai jeans:
«Tienilo aperto e attenta a non toccare il laccio» così dicendo lo
fece cadere nel sacchetto che lei teneva lontano da sé con le
braccia tese.
Frugò nell’altra tasca dei pantaloni ed estrasse lo smartphone.
«Chi chiami?».
Lui indicò con il mento una pila di sassi, uno sopra all’altro, con
piantati nel mezzo due rami legati da un altro laccio in cuoio a
formare una croce: «Scatto una foto, e non un selfie di noi due in
gita nel bosco».
Morgana nemmeno si era resa conto del simulacro: «Ma cosa
diavolo è?».
«Un rudimentale altare.» Judah scattò una sequenza di fotografie
per poi rinfilarsi lo smartphone in tasca: «Possiamo andare ho
elementi sufficienti».
Morgana speranzosa gli chiese: «Mi lasci in ufficio vero?».
Lui le cinse i fianchi: «No, mia bella fatina, c’è un corpo sopra a
un tavolo in acciaio che ci aspetta, proverai l’ebbrezza della tua
prima autopsia».
«Temevo lo avresti detto» sussurrò lei.
CAPITOLO DODICI
L’odore di disinfettante non mascherava l’olezzo rarefatto e
Morgana fu aggredita dal senso di nausea.
Lei l’effluvio malefico lo ricordava, lo aveva memorizzato il giorno
seguente la morte del marito. Puzza di morte.
Le si era impregnato nelle narici e adesso lo riconosceva.
Anche l’ambiente che la circondava le era vagamente familiare.
Stesso pavimento verde in linoleum.
Stesso scarno asettico arredo composto da enormi congelatori,
non osava pensare cosa potessero contenere.
Stessi tavoli in metallo lucente e, adagiata su di uno di questi, la
salma del prete barbaramente assassinato.
Il corpo rigido, dalla pelle grigiastra, macchiata di aloni bluastri e
violacei.
La luce impietosa della grande lampada da sala chirurgica
illuminava il corpo.
Sul carrellino un telo sterile dove luccicavano sinistramente ferri
chirurgici.
Gli abiti talari dispiegati su di un altro ampio tavolo quadrato, il
piano, in laminato bianco, faceva contrasto con il tessuto nero
degli indumenti.
Tutto questo lei lo osservava da dietro la protezione dell’ampia
vetrata che occupava la parete che divideva il laboratorio dal
corridoio in penombra.
Morgana fu sopraffatta dalla pietosa commozione per il corpo
straziato, privato del soffio di vita; come si poteva arrogarsi il diritto
di uccidere qualcuno togliendolo ai suoi cari?
Perché l’assassino si accaniva su uomini che avevano dedicato
la loro esistenza a Dio e al prossimo?
Qual era il disegno perverso dell’omicida?
Trasalì, Judah le poggio la mano dietro le scapole «Dobbiamo
entrare, bella fatina».
Lei lo osservò dal basso in alto: «Preferirei restare qui».
Ma lui le porse un camice monouso verde, calzari e una
mascherina dello stesso impersonale colore. Unica nota vivida la
cuffietta per raccogliere i capelli, che lei trovò indelicata e
irrispettosa nei confronti del cadavere. Una cuffia in carta dalle
tonalità allegre, gialla con stupidi, ridicoli orsetti rossi.
Si schiarì la gola senza mascherare la smorfia infastidita.
Il coroner, giunto dal fondo del corridoio, intuendo si scusò
abbozzando un sorriso.
«Sa, quando si fa questo lavoro si tenta sempre di aggrapparsi a
ciò che ci fa sentire vivi nonostante si debba convivere per diverse
ore con la morte».
Morgana lanciò un’occhiata severa all’uomo pingue e dai capelli
brizzolati portati corti ai lati del capo e più lunghi sulla nuca, una
misera ricerca di coprire l’incipiente calvizie.
«In questo caso…» gli mormorò e indossò la cuffietta, Judah
l’aiutò a infilarsi il camice e lei calzò i calzari che bucò con i tacchi,
ma non se ne curò.
Anche il coroner e Judah si bardarono, e lei scacciò il pensiero
ridicolo di quanto potesse essere sexy il suo capo con quella roba
addosso.
Roba da non crederci…
Entrarono dalla porta in pesante metallo e l’odore di morte si fece
pungente, nonostante vi fosse un circuito di purificazione dell’aria.
Judah e il medico legale si avvicinarono al cadavere, lei rimase in
disparte, ma allungò il collo, attratta dalle movenze sicure del suo
boss che con un gesto della mano si fece passare dal coroner una
pinza allungata.
Indossava guanti in pesante lattice con due dita premette le
guance della salma e Morgana fece un passo indietro allo
scricchiolio sommesso prodotto dalle ossa della mascella, rese
rigide dal rigor mortis.
Con estrema attenzione Judah infilò i rebbi della pinza nella
bocca del cadavere e, delicatamente, estrasse il foglietto
conficcato profondamente tra i denti.
Tirò senza forzare, concentrato, la fronte corrugata, Morgana
trattenne il respiro, pensando che il piccolo pezzo di carta si
sarebbe lacerato.
Chissà quanti cadaveri aveva ispezionato, si domandò lei.
Ecco un altro aspetto a lei sconosciuto di lui.
L’uomo scanzonato, ironico, spesso bizzoso lasciava il posto a
un professionista attento e capace, la concentrazione ferrea
nell’agire con gesti sicuri.
Morgana ne restò affascinata.
Con il mento Judah indicò un’altra pinza, più corta, al corner che
lui gli passò nell’altra mano tesa.
Aiutandosi con i due strumenti nel giro di qualche minuto
estrasse intatto il foglio imbrattato di sangue e altri umori.
«Un’arcella per favore» ordinò con tono autoritario.
Anche questa volta il coroner fu lesto e Judah lasciò cadere nel
contenitore il pezzo di carta che fu portato sotto una cappa dalla
luce azzurrina e che dai bocchettoni ai lati, spandeva getti di aria
sterile.
Judah si accomodò sullo sgabello in metallo e, con gesti misurati,
aiutandosi con altre pinze, pronte sul ripiano da lavoro, dispiegò il
foglietto e allungò la mano abbassando la telecamera che inviò su
un grosso schermo poggiato sul tavolo a lato l’immagine
ingrandita.
Morgana si avvicinò interessata: «C’è scritto qualcosa?» disse
elettrizzata.
Gli altri due uomini non le risposero, intenti a osservare la
calligrafia spigolosa, vergata con inchiostro blu.
«Non riesco a leggere bene, dispiegalo di più, Judah» bisbigliò
Morgana mossa da un’irrefrenabile eccitazione.
E lui lo fece, aiutandosi con le dita protette dai guanti in lattice,
stirò dalle pieghe il foglio.
Ora la calligrafia appariva maggiormente nitida. Nonostante vi
fossero delle macchie brunite a imbrattare alcuni caratteri, lei poté
leggere ad alta voce:
FINE
Ringraziamenti
Questo romanzo, è stato un bellissimo viaggio, un’avventura
fantastica, alla ricerca dell’essenza dei due protagonisti principali.
Come per ogni mio romanzo, vorrei che, anche questo, lasciasse
un messaggio positivo e, se possibile, un ricordo indelebile nel
cuore dei lettori.
Ringrazio tutte le mie lettrici: chi mi segue nella mia follia, chi mi
legge, chi mi manda un messaggio che riscalda il cuore. Ringrazio
voi tutte perché, senza di voi, Eileen non esisterebbe.
Ringrazio proprio te che stai leggendo queste mie parole.
Ringrazio la mia famiglia e tutto il mio staff che, ogni giorno,
impiega ore e ore per mandare avanti il nostro pazzo gruppo
senza abbandonarmi mai:
VALENTINA SARRINI
BARBARA COSTANTINO
MONICA E ANNALISA ALBANO
NICOLETTA BOMBINO
EMANUELA TROMBETTA