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Revenge

di
Eileen Ross
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copiato, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro
modo a eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’autrice, ai
termini e alle condizioni esplicitamente previste dalla legge applicabile (Legge
633/ 1941). I marchi menzionati in questo romanzo sono proprietà dei legittimi
possessori.
Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
in piedi Signori, davanti a una Donna!
William Shakespeare
Dedicato a Barbara Costantino
PROLOGO
Tirare le somme della sua vita, valutare gli errori e combattere i
fantasmi del passato aggrappata alla maniglia in metallo del
vagone di quella sferragliante metropolitana, era proprio da lei.
Ad ogni scossone, un pensiero si assestava nella sua mente che,
da troppo tempo, sfuggiva al suo controllo.
Il dolore con il tempo non si era smorzato, ma solo affievolito,
così spesso le capitava di non riuscire a gestirlo e si lasciava
travolgere come da un fiume in piena. Come in quel preciso
istante, nel quale un individuo, grosso il doppio di lei, la stava
schiacciando contro la parete in lamiera.
Aveva imparato a diventare insensibile apparentemente, aveva
smesso di protestare per le piccole e involontarie angherie
quotidiane.
Si spostò alla sua sinistra, sgusciando dalla pressione
dell’addome prominente contro il suo sedere, poggiò le mani sul
vetro impolverato e ricoperto dagli aloni di altre mani che lo
avevano sporcato.
Eppure, attraverso quella barriera lurida riusciva a distinguere il
buio, rischiarato dalle flebili luci all’interno della galleria
sotterranea. Era come guardare un po’ attraverso se stessa.
Un tempo, il vetro doveva essere stato limpido, poi il trascorrere
degli anni lo aveva insudiciato.
Anche lei si sentiva sporca, corrotta, graffiata; possedeva mille
microscopiche crepe che non avrebbero più potuto essere
ricomposte. Un mosaico intricato di dolori, ferite nell’anima e nel
corpo, colpi ricevuti dalle parole che si abbattevano su di lei,
spesso più violente dei pugni che un giorno aveva smesso di
schivare, accettandoli barcollando.
Stava barcollando anche ora, si disse, artigliando uno dei
sostegni.
Quando il cielo aveva smesso di essere blu?
Quando i baci si erano trasformati in insulti?
Quando le carezze si erano trasformate in schiaffi?
Quando un caldo abbraccio si era stretto tanto da farle mancare
il respiro, spezzandole le costole?
Non ricordava il giorno preciso nel quale la stoffa lucida del suo
bianco abito da sposa si era tinta di rosso sangue.
Lei, attimo dopo attimo, era avvizzita come i fiori del bouquet
nuziale che si era ostinata a conservare.
Si riparò gli occhi con l’avambraccio, il vagone proseguiva
all’esterno e la luce inondò d’improvviso l’abitacolo, portando alla
vista gli stralci di una Boston annoiata, stanca, proprio come lei.
Non aveva mai avuto la forza di fuggire da lui e si era frantumata
definitivamente il giorno in cui lui se ne era andato sbattendo la
porta. Quel suono secco si era ripetuto nei suoi sogni… incubi. Lei
bocconi sul pavimento, il sangue che le colava dal naso.
Aveva pregato che lui non tornasse più e Dio, finalmente, aveva
avuto pietà di lei. Lui non era più rincasato.
Due giorni dopo, il trillo insistente del campanello, l’aveva
riportata alla disperazione. Era terrorizzata, eppure, la paura non
l’aveva impietrita. Le gambe si mossero e le dita tremanti
afferrarono la maniglia. Lui era tornato…
Socchiuse la porta, pronta a sentire le sue scuse, pronta ad
accettare il mazzo di fiori che lui era solito stringere tra le mani
mentre la pregava di perdonarlo, dicendo che non l’avrebbe mai
più distrutta, e lei… lei, ancora una volta, lo avrebbe perdonato,
sperando che lui tornasse l’uomo felice che l’aveva sollevata tra le
braccia e baciata appassionatamente il giorno del loro matrimonio.
Non trovò il volto contrito di lui attraverso lo spiraglio, ma altri due
visi abbattuti, che indossavano deboli sorrisi di circostanza, due
poliziotti. Uno, quello più giovane, le chiese se potessero entrare e
lei li lasciò passare. Che qualche vicino di pianerottolo avesse
avvertito le forze dell’ordine sentendo le grida di lui e il pianto
sommesso di lei di quando lo pregava di smettere?
Nulla di tutto ciò. L’agente più anziano proferì, in tono sommesso,
parole che la colpirono come una lenta lapidazione, sasso dopo
sasso…
Lui… lui era morto.
Morto in un incidente stradale.
Non fu dolore ciò che provò, non fu la liberazione dalla sua
eterna condanna, ma un incolmabile vuoto che quotidianamente,
da allora, cominciò a scavare una lenta voragine, che nel tempo la
stava frantumando, coccio dopo coccio.
La solitudine poteva essere una benedizione o una crudele
compagna: per lei era solo inerzia.
Camminava, mangiava, puliva la casa, faceva la spesa come
ogni giorno eppure, non si rendeva nemmeno conto di esistere.
Tutto era meccanico, e i colori vividi sbiadirono, sino a scomparire
nel cupo grigio.
Sino al giorno nel quale si era resa conto di non avere più di che
vivere: le bollette non pagate, l’affitto arretrato, il frigorifero vuoto;
l’assicurazione non aveva pagato un solo centesimo per l’incidente
del marito e lei non aveva diritto ad alcun sussidio. Sarebbe stato
semplice scomparire, era quello che aveva sempre agognato
durante l’infame tempo passato accanto a lui.
Ma forse era giunto il momento della rivalsa, dopo che aveva
toccato il fondo; annaspando, doveva risalire la china, voleva
vivere, voleva respirare e decise di trovarsi un impiego. Lei che
non aveva mai lavorato, perché lui la voleva a casa, per renderla
ancora più dipendente e ricattabile.
Si era iscritta a diverse agenzie interinali, sapendo di avere ben
poche speranze, soprattutto, perché non era più giovane: già
aveva quarantadue anni e le sembrava di aver vissuto nell’oblio
per un’eternità.
In realtà lei doveva sopravvivere!
E quando ricevette la telefonata da parte di un operatore di una
delle agenzie che la informava di un colloquio lavorativo, come
segretaria in un non ben definito studio nei dintorni di Beacon Hill,
priva di illusioni ma decisa a provarci, accettò l’appuntamento
fissato per il venerdì della seconda settimana di maggio alle due
del pomeriggio. Precisamente quindici minuti e sette fermate da
casa sua.
CAPITOLO UNO
Morgana camminava lungo la strada ripida, mentre l’acciottolato
appuntito sotto le suole delle Chanel che calzava, le procurava
dolore. Erano il suo paio di scarpe buone, beh insomma quelle che
possedevano un minimo di sobria parvenza. Controllò il foglietto
sul quale aveva appuntato il numero civico dello studio. Gli edifici
erano tutti identici, costruzioni in mattoni rossi a vista. Forse, aveva
sbagliato direzione e doveva incamminarsi verso il lato opposto.
Lesse i numeri in ottone accanto ai portoni in legno solido. Ma
dove diamine era il numero trentatré?
Il pensiero di tornare indietro la snervò: poteva essere così
distratta? Perché non era in grado di raccapezzarsi? Forse, perché
non aveva mai messo il naso fuori di casa se non per fare la spesa
al supermercato nei pressi del suo appartamento.
Dai, dai Morgana, riprovaci si incitò.
Maledette scarpe e maledetti ciottoli appuntiti! pensò
Si calmò all’istante, in fondo era stata in grado di sopportare
dolori ben peggiori, ne portava i segni, sulla pelle, nelle ossa,
nell’anima.
Non pensare Morgana e concentrati si impose.
Tirò un bel respiro e si girò nella direzione opposta, con il naso
all’insù rischiando di stramazzare al suolo per una storta. Passò in
rassegna i numeri civici, trenta, trentuno, trentadue… quarantatré!
Ma insomma lì c’era qualcosa di completamente sbagliato! Ma
chi si era occupato di assegnare quei benedetti numeri civici?
Che il destino volesse inviarle un messaggio del tipo “evita di
andare a questo appuntamento tanto il lavoro col cavolo che lo
otterrai”? Va beh ogni tanto il suo pessimismo si faceva sentire. Ma
perché a lei andava sempre qualcosa storto?
Okay, okay, Morgana concentrati! Anche se si vergognava come
una ladra poteva chiedere al primo passante, magari il giovane
che si stava apprestando nella sua direzione.
Si schiarì la voce «Mi scusi?» le uscì un gracchio stirato.
Lei aveva timore di disturbare chiunque, dopotutto, il suo defunto
marito glielo aveva ben inculcato in testa che non bisognava
infastidire il prossimo. In particolar modo lui quando era seduto in
poltrona e guardava la partita di basket, ritenendo che un paio di
ceffoni ben assestati l’avrebbero fatta desistere dal passare
l’aspirapolvere nella stanza accanto.
Nel frattempo, il ragazzo con i jeans calati sotto ai fianchi e le
sneakers, da cento dollari, le sorrise, girando il berretto di lato.
«Dici a me vecchia?». Ora, che quello fosse lo slang giovanile a
lei non era dato sapere, ma chiamarla vecchia, un po’ la offese.
Ingoiò il suo disappunto e chiese «Sa per caso dove si trova il
numero civico trentatré?».
Il giovinastro, masticando rumorosamente il suo chewingum,
indicò un portone poco più avanti con l’indice tatuato e inanellato
da un pesante cerchio in acciaio. «Lì vecchia, forse è ora che tu ti
faccia un bel paio di occhiali».
Lei era contro la violenza e ne aveva tutti i motivi, ma vecchia
l’appellativo con cui lui continuava a chiamarla, le faceva venire la
voglia di tirargli uno scappellotto dietro alle due orecchie martoriate
dalla sfilza di orecchini che contornavano tutto il padiglione
auricolare.
Morgana sollevò il naso ed eccolo il famigerato trentatré! Ma
come diamine aveva fatto a passarci davanti almeno una decina di
volte e non scorgerlo; forse era troppo agitata e forse il motivo di
quello stato confusionale…
«Ti serve altro bella culona?».
Culona? Lei portava una dignitosissima trenta, ma insomma un
po’ di educazione! E invece di cantargliene quattro a quel
maleducato gli sorrise mestamente. «Grazie».
Il ragazzo sollevò le spalle «Ci si vede, vecchia».
Ma non sia mai! Villano, ma i genitori perché non inculcavano un
po’ di sana cortesia a questa generazione di svogliati stronzetti?
Eh sì, perché questo ragazzo era davvero un cafone e uno
stronzo, punto! Non disse nulla, di nuovo, e pigiò con l’indice,
laccato di bianco perlato, il campanello.
Il portone, con un suono stirato simile a uno stanco soffio, si aprì
lasciandole la visuale su un pavimento in cotto rosso e una lunga
scala in legno scuro e lucido.
E adesso che doveva fare? Salire? Perché non c’era nessuno a
riceverla?
Si sporse in avanti. «C’è… c’è nessuno?» la sua voce incerta
simile a un cinguettio. Cosa si faceva in queste situazioni? Salire?
Attendere? E come mai non arrivava qualcuno?
Decise di aspettare, osservò l’orologio da polso quadrato con il
cinturino in simil pelle di coccodrillo marrone: cinque minuti, dieci,
e dell’ombra del suo eventuale datore di lavoro nessuna traccia.
Forza Morgana deciditi a salire questi scalini o farai notte qui
impalata, ai piedi di questa scala si spronò.
Prese un lungo respiro, proprio come quando doveva gettarsi
nella piscina quando il suo defunto marito le permetteva di uscire;
poggiò la suola sul primo gradino che scricchiolò. Si aggrappò al
corrimano: «Cominciamo bene» sussurrò e salì cauta.
Giunta all’ultimo, scorse un lungo corridoio rischiarato appena da
una fioca luce intermittente proveniente da un neon appeso al
soffitto: ma era finita nella casa degli orrori? Così vecchia e buia
che le incuteva timore. Che fosse stata attirata in una trappola da
un maniaco che attraverso falsi annunci di lavoro si procurava le
sue prede? Doveva smetterla di guardare tutti quei film thriller sino
a notte fonda!
Proseguì in punta di piedi, ad ogni passo il pavimento
scricchiolava e il cuore accelerava; sapeva che avrebbe dovuto
rimanersene a casa al sicuro, nel suo appartamento, ma i soldi sul
conto erano finiti e lei aveva bisogno di un lavoro a tutti i costi. Non
sino al punto di farsi strangolare prima di raggiungere l’unica porta
in fondo al corridoio oppure, ritrovarsi a pezzi in un vecchio
frigorifero nelle anguste cantine, o…
Oddio! L’uscio di legno in noce si aprì con un sinistro sibilo e lei
represse il desiderio di fuggire a gambe levate.
«Avanti!» tuonò una imperiosa voce maschile.
Lo sapeva, lo sospettava che sarebbe stato un uomo il suo capo,
insomma ci aveva sperato che fosse stata una donna, magari un
po’ di solidarietà femminile non le sarebbe dispiaciuta. Gli uomini
le incutevano un certo terrore, e ne aveva un trilione di ragioni, non
che ne avesse conosciuti molti dopo il matrimonio con Jim, ma
molte erano le vessazioni che aveva subito da quella dolorosa
esperienza avuta con lui, l’inflessione di quella voce burbera le
fece accapponare la pelle.
Morgana, con gambe molli, varcò la soglia. «È permesso?»
chiese con un filo di voce. «Oh mio Dio…» le sfuggì in un ansito.
Dov’era una parete alla quale appoggiarsi quando serviva? Ma
era lui il suo datore di lavoro?
L’uomo le indicò la poltrona in pelle nera di fronte a sé. «La
smetta di tremare e si sieda» disse con una voce roca e baritonale.
Morgana stirò le labbra in un sorrisetto di circostanza e avanzò
con la tremarella senza staccare gli occhi da quella montagna di
muscoli vestito da motociclista, con lunghi capelli neri ondulati e
occhi scuri indagatori, scanzonati.
Il petto era talmente muscoloso sotto la t-shirt nera da far
sminuire l’ampiezza della scrivania e le spalle larghe, racchiuse nel
giubbotto in pelle, sembravano voler esplodere lacerando il
tessuto. E la barba che contornava le labbra carnose? Belle
labbra, bellissime labbra niente da dire, ma quel sorriso derisorio la
irritava.
«Vuole rispondere al colloquio in piedi, tremolando o si decide a
sedersi Miss?».
Lei si accasciò sulla poltrona afflosciandosi come un palloncino
gonfio. «Mo… Morgana, mi chiamo Morga… na» tartagliò.
Il bellissimo energumeno allungò una mano che poteva
tranquillamente circondarle il collo. «Lieto di fare la sua
conoscenza, Mo… Morgana, Morga… na» la dileggiò senza
smettere di mostrarle i denti bianchissimi.
Lei ebbe il timore che lui le spezzasse le dita mentre posava la
mano nella sua, in verità la stretta fu calda e avvolgente e uno
strano brivido le percorse la schiena. Leggero e allo stesso tempo
caldo.
«Morgana…» disse lui pensieroso, facendo una pausa senza
mollarle la mano e poi riprese, «… strano nome davvero,
comunque io sono Judah».
«Non è che il suo nome sia poi così convenzionale» le sfuggì e
poi si maledisse: da quando era diventata così sfacciata e
impertinente?
Judah stirò maggiormente le labbra. «Ha ragione Miss Morgana
e un cognome ce l’ha?».
Lei torse lievemente il polso. «Green e se volesse restituirmi la
mia mano le sarei molto riconoscente.». Accidenti, ancora non
aveva collegato il filtro cervello bocca!
Non le era mai capitato di esprimere con tanta naturalezza le sue
sensazioni, ma c’era qualcosa in quell’uomo che l’attirava e allo
stesso tempo la metteva in allerta.
E poi era così giovane, non doveva avere più di trenta anni,
impossibile che fosse lui il suo nuovo capo e anche l’abbigliamento
la faceva protendere per quella convinzione. Forse poteva essere
il figlio del proprietario di quel fantomatico studio.
«Dov’è il mio eventuale boss?» chiese strattonando la mano,
mentre lui non mollava la presa!
Judah, senza eliminare quel sorriso sornione dal suo bel volto la
lasciò libera. «Ce l’ha davanti, Miss Green» e poggiò le
mastodontiche spalle allo schienale, attendendo che lei smettesse
di iperventilare, massaggiandosi il polso.
«Ma io non ci credo, non può essere lei!?» squittì lei con voce
incerta.
Judah si sporse in avanti e lei si appiattì alla poltrona.
«Lei è?» la incitò a proseguire inchiodandola con quelle iridi
scure che brillavano nel bianco abbagliante della sclera e gli
conferivano uno sguardo ironico e dalla luce intelligentissima
facendolo assomigliare a una bellissima e pericolosa divinità
orientale.
Morgana si morse il labbro e Judah seguì interessato quel gesto.
«Troppo giovane» gracchiò lei con la gola riarsa. Oh Dio di tutti i
cieli perché la intimoriva così tanto? E allo stesso tempo l’attirava
come un enorme affascinante magnete?
Judah poggiò i gomiti sulla scrivania e a lei apparve ancora più
grosso. «Quanti anni ha Morgana?».
Lei fu attratta dal movimento del ciondolo in avorio che pendeva
dalla cordicella che cingeva il collo taurino. «Non si chiede l’età a
una signora» affermò ipnotizzata dalle vene in rilievo che
scorrevano sotto alla folta massa di capelli scuri.
Lui contrasse i pettorali e lo fece per attirare maggiormente lo
sguardo rapito di lei. «Non sia ridicola Morgana, mi interessa per
l’eventuale stipula del contratto lavorativo».
Morgana si ridestò dall’estasi contemplativa. «Oh, a beh, allora,
sì, ecco…» Abbassò lo sguardo. «Quara… quarant… ta… ta…
due…».
Judah scosse la grande mano e il luccichio dell’anello in argento
che portava all’anulare riverberò.
«Ha mai pensato di fare qualcosa per il suo evidente problema di
balbuzie? Le capita soltanto quando è sotto pressione o è un
evento ricorrente?».
Che faccia di bronzo! «Mi scusi, ma lei è forse uno psicologo?»
ribatté piccata. Se pensava che soltanto lui fosse dotato di
un’odiosa forma di ironia si sbagliava di grosso!
Judah afferrò il curriculum di lei che era poggiato sulla scrivania e
lo scrutò distrattamente.
«In un certo senso, criminologo per essere precisi…» e dopo
aver gettato la bomba prese a leggere. «… licenza superiore, le
mancano due esami per acquisire il Bachelor’s degree, perché non
ha terminato gli studi?».
Ma a lui cosa fregava dal momento che lei doveva fargli da
segretaria? E poi questo qui mica l’aveva l’aria di un criminologo
piuttosto quella di un motociclista scanzonato e attaccabrighe, i
criminologi nelle serie tv non assomigliavano nemmeno
lontanamente a lui!
«Allora, vuole rispondere alla mia domanda magari prima di
domani mattina? Io avrei, a differenza sua, un’agenda fitta di
appuntamenti».
Morgana si morse la lingua per non mandarlo a quel paese e
molto prima dell’alba del giorno dopo!
«Mi sono sposata».
Judah sollevò un sopracciglio. «E questo le ha impedito di
proseguire gli studi, era così stancante e impegnativo fare la
moglie?».
Una fitta di dolore le si accese nel petto a quelle parole. «Lei non
sa quanto…» sibilò.
Judah alzò lo sguardo e incontrò gli occhi celesti di lei, e vi lesse
un oceano di dolore, due gemme che non brillavano più. Chi era
questa donna, entrata da quella porta come un gattino impaurito?
Possedeva una dignità ammirevole, lo aveva dimostrato sfidandolo
e rispondendogli per le rime nonostante lui sapesse che le
incuteva timore.
Cosa nascondevano quegli occhi allungati, dalle lunghe ciglia
scure?
Da quando l’aveva vista avanzare tremando come una foglia, lui
aveva provato una strana sensazione, il desiderio di alzarsi e
raccoglierla tra le braccia per non farle sopportare il supplizio di
avanzare incerta.
Cos’era quel bisogno di punzecchiarla, di stimolare le sue
risposte?
Perché questa bellissima donna che indossava un’anonima
gonna grigia al ginocchio e una camicetta avorio che chiunque
avrebbe notato essere ormai datata e fuori moda, era riuscito a
irretirlo soltanto con il movimento appena accennato dei fianchi
generosi. Quella bocca grande, per certi versi oscenamente,
eroticamente grande, lo eccitava nonostante lei miagolasse come
un gattino spaurito.
C’era un non so che di perversamente eccitante nel sentirla
balbettare quando la metteva in soggezione e lui sapeva che con
la sua fisicità poteva scatenare reazioni diverse. Solitamente le
donne volevano calarsi le mutandine, ma lei, lei era paralizzata e
allo stesso tempo ne era attratta.
Lo aveva capito immediatamente da come lo studiava, lei non
era in grado di mascherare il desiderio eppure, lui era abbastanza
bravo da carpire le reazioni dell’essere umano. Dopotutto, lui si
guadagnava da vivere con quella sua innata peculiarità: saper
leggere i gesti del corpo, le espressioni dei volti, la postura, il
linguaggio silenzioso delle impercettibili movenze.
Lei era un enigma, un affascinante, intricato e bellissimo enigma.
.
Scoprire le diverse sfaccettatura di Morgana Green poteva
essere un gioco stimolante, divertente e a lui intrigava il gioco, anzi
lo amava.
Ma doveva capire se lei fosse adatta al lavoro che intendeva
proporle, poiché se avesse accettato, entrambi, avrebbero dovuto
passare la maggior parte del tempo insieme, e lui aveva bisogno di
sintonia. Questa bellissima fata, o forse strega, Morgana per
l’appunto, stava tessendo e. lentamente, lo stava avvolgendo nel
suo incantesimo, per incastrarlo in una strana alchimia che lui da
subito ha percepito.
Judah diede un’ulteriore scorsa al curriculum della bella signora
balbuziente e allungò la mano arraffando il pacchetto di sigarette;
picchiettò con il medio il fondo e ne estrasse una, la raccolse con
la bocca e l’accese con il pesante accendino zippo in metallo. Lo
scatto fece sobbalzare Morgana, ormai ipnotizzata da ogni
movimento dell’uomo che aveva di fronte, soprattutto la bocca…
Un uomo poteva possedere una bocca così… così… carnale,
erotica, sensuale?
Lei ne sorbiva ogni movenza, quando la socchiudeva, quando si
stringeva attorno alla sigaretta, il luccichio dei denti, la punta dura
e allo stesso tempo morbida della lingua…
«Miss Green?».
Morgana sobbalzò sulla seduta, sbattendo le ciglia.
«Sì?» fu un languido sospiro. Da dove le era uscito quell’ansito?
Le gote le si infiammarono immediatamente. Insomma, Morgana, ti
stai comportando come un’adolescente di fronte al suo idolo, un
po’ di contegno, potrebbe benissimo essere tuo figlio! Beh, proprio
figlio no, ma comunque era disdicevole che lei fantasticasse sulla
bocca di un ragazzo molto più giovane. Si fece mentalmente una
lunga filippica, distolse per una frazione di secondo gli occhi, ma
appena lui buttò fuori una folata di fumo azzurrognolo, si
rincollarono di nuovo alle sue labbra peccaminose.
Judah le porse il pacchetto. «Mi scusi a volte sono davvero un
orso, prego» e lo scosse sotto al suo naso.
Morgana mosse il capo e la massa di capelli color del cioccolato
fuso le sfiorarono il volto diafano; Judah inspirò il dolce effluvio che
si espanse nell’aria, qualcosa di appena percettibile, ma che lui,
stranamente, riconobbe tra l’aroma forte del tabacco che si
innalzava dal mozzicone.
«Lei non fuma Miss Green, allora forse la sto infastidendo, è per
caso un’accanita salutista?».
Morgana si agitò sulla poltroncina. «Oh no, no davvero, non mi
dà alcuna noia, anzi anch’io da giovane fumavo, sa al college e
poi…».
Judah si sporse in avanti e lei indietreggiò istintivamente,
accidenti se era grosso!
«E poi?» la invitò a continuare.
«… E poi mi sono sposata» le sfuggì prima che potesse
collegare la bocca al cervello.
Lo sguardo di lui si fece affilato. «E questo cosa c’entra?».
Morgana si spolverò la gonna. «Beh, mio marito non era
d’accordo che io fumassi, così…».
Lui spense il mozzicone nel posacenere in alabastro nero.
«Lodevole da parte sua, smettere perché lui non sopportava il
fumo».
Morgana sollevò il mento. «Oh no, no, lui fumava, ma sa com’è
una donna non dovrebbe…».
Si morse un labbro e gli occhi scuri di lui si fecero duri, oddio
perché adesso era arrabbiato, cosa gli aveva detto di sbagliato?
Ma perché lei era in grado di far adirare così tanto gli uomini? Si
appiattì allo schienale. «Mi scusi io non so, ma…».
Judah le lanciò il pacchetto che strisciò sul pianale. «Ne prenda
una, e facciamola finita, suo marito non verrà mai a saperlo, e
comunque anche se lo venisse a sapere lei dovrebbe fare quello
che le piace, donna o uomo non fa differenza».
Morgana osservò il pacchetto, una vera tentazione!
Quante volte sentendosi distrutta e angosciata, aveva avuto la
necessità di accendersi una sigaretta? O il semplice piacere di
fumarne una dopo un caffè?
Era davvero tentata, ormai Jim non poteva più prenderla a sberle
come la volta che l’aveva sorpresa a fumarsene una in bagno con
la finestra spalancata, gliela aveva spenta sulla mano che si era
fatto porgere, ne portava ancora l’ombra della cicatrice… Una
piccola stella dai contorni indefiniti… uno dei tanti marchi che lui
aveva disseminato sulla sua pelle.
Deglutì e allungò la mano che le tremava, sfiorò il pacchetto con i
polpastrelli, Judah ne seguì i movimenti, maledizione! Quella fata
tremolante lo attirava come una calamita, mani dalle dita lunghe,
affusolate, forza, bella, prendine una la incitò mentalmente.
Morgana scivolò avanti e il lieve fruscio della gonna gli riverberò
dentro, merda! Che cazzo era quella strana voglia di sollevargliela
sino alle cosce e poi …
Morgana, lentamente ritrasse la mano. «Forse è meglio di no…»
sussurrò, riappoggiando le esili spalle allo schienale.
Dannazione! E lui che sperava di vederla buttar fuori languide
folate di fumo da quella bocca sensuale, grande, allungata, che
voglia di morderla che aveva, insomma di farsi inghiottire il suo
cazzo dur… Ma dai, dai Judah, stai lavorando troppo di fantasia,
maledì se stesso e i jeans che gli stavano strangolando le palle;
che ce l’avesse duro era un bel fuori programma, interessante
davvero…
Meglio riportare la conversazione sul piano professionale, e giù
un’altra occhiata a quel curriculum che ormai era tutto sgualcito.
«Qui dice che sa usare programmi più elementari di software,
quindi per lei non dovrebbe essere un problema creare file e
cartelle dove annoterà i miei appunti giusto?».
Morgana annuì. «Oh certo, certo».
Il movimento di quelle ciocche seriche, spinsero Judah a
contrarre le dita, stritolando il dattiloscritto: che voglia di stringerla
e farle piegare all’indietro quel lungo collo niveo, e…
Riagguantò il suo autocontrollo che si dirigeva spesso verso il
cavallo dei pantaloni. «E quante ore è disposta a lavorare, Miss
Green?».
Morgana rispose risoluta: «Tutte quelle che lei riterrà necessarie,
Mister?».
Judah sollevò un sopracciglio «Mister?».
Lei accennò un debole sorriso, c’era una strana luce divertita,
impertinente negli occhi limpidi di lei. «Ce l’avrà un cognome
anche lei no?».
E brava la mia strega dalla tremarella, bella mossa
«Marshall, ma lei può chiamarmi semplicemente Judah».
«Judah» mormorò lei.
Oh Cristo, Cristo, più forte piccola strega, gridalo quel nome,
mentre ti sbatto sopra a questa scrivania della malora! Buono
bello, stai calmo, mooltooo calmo, lei potrebbe essere la tua dolce
zietta, e ne ha anche tutta l’aria, sei morboso sai brutto bastardo!
Dove cazzo li hai buttati i tuoi anni di psicologia, nel cesso? Si
rimbrottò tra sé.
Si mosse impercettibilmente, che voglia di strapparsi quei jeans
che lo stavano massacrando, non ci stava più dentro! Ragazzi, ma
era da ricovero, da quando non gli tirava così? Nemmeno la sera
prima, con le due scalmanate accalappiate al Forty Nine, che poi si
era portato nella stanza di un motel fuori mano!
Ci voleva un cicchetto, mezza bottiglia di Jack sarebbe bastata?
Naa, magari una intera e con una doccia gelata.
Roba da matti sul serio, manco fosse al cospetto di una porno
diva in abiti succinti, anche perché, quella gonna dava i brividi sul
serio, nemmeno la sua trisavola l’avrebbe indossata.
E comunque lui era un grandissimo figlio di buona donna, perché
lo aveva capito da subito che miss Green era attratta da lui, come
ogni donna del resto. Sapeva di essere un tipo che piaceva, e a lui
piaceva giocare con loro, giocare sporco, molto sporco quando si
trattava di scopare, per poi dimenticare i loro volti il giorno dopo.
Ma il gioco che lo stimolava maggiormente, ora, era quello di
vedere sino a che punto lei potesse spingersi. La trovava alquanto
inibita, una persona che lottava per controllare le sue pulsioni,
reprimere il desiderio: tutte situazioni che lo eccitavano insomma.
Come sarebbe stato scardinare il suo pudore?
«Vorrei essere molto franco con lei, Miss Green. Dovremmo
passare molto tempo insieme, potrei avere bisogno sino a notte
fonda. Crede di essere in grado di spendere tutto questo tempo?».
Morgana ci pensò un po’. Mah, tutto sommato cosa avrebbe
avuto da fare di così importante se non vegetare sul divano
davanti alla tv? E poi, rischiava che gliela avrebbero portata via se
non avesse pagato gli ultimi affitti arretrati.
«Per me va bene» rispose tutto d’un fiato.
Judah lanciò il curriculum sul pianale. «E suo marito? Potrebbe
non essere d’accordo».
Morgana scosse ancora il capo: «Lui non rappresenta più un
problema».
Judah aguzzò l’attenzione. «Separati?»
Forse ci sperava, okay! Era sicuro che prima o poi, una botta
gliela avrebbe data volentieri a questa fata turchina, ma fottere nel
senso più letterale delle parole una donna a un altro uomo non gli
era mai andato a genio. Certo si era intrattenuto con qualche
signorina fidanzata, o a un passo dall’altare, ma lei era una donna
sposata e, il matrimonio, lui lo riteneva sacro nonostante lo
scongiurasse come la peste.
«Vedova …» disse lei con un filo di voce.
«Meglio così» sparò lui prima che potesse arginare la sua
boccaccia da testa di cazzo! Di certo non brillava in fatto di tatto.
«Come scusi?» chiese lei spalancando gli occhi.
Judah scacciò l’aria con la mano. «Ma sì, un problema in meno,
non dovrà rendere conto dei suoi orari di lavoro improbabili e poi,
potrà fumarsi un intero pacchetto al giorno».
Morgana arricciò il nasino. «Certo che lei davvero è un uomo
pratico e privo di empatia!» In quel momento, avendo dato voce ai
suoi pensieri, fu sicura di dover levare le tende, per sempre.
Judah trattenne una risata e, cercando di mantenere
un’espressione incolore, si sporse in avanti minaccioso, mentre lei
indietreggiava facendosi piccola, piccola. Di piccolo non aveva
nulla però, se non il suo metro e sessanta per cinquanta
chilogrammi di peso. «Posso a… a…ndare. Pre… presumo».
Il volto di Judah divenne un ghigno pericoloso. «Oh no, no
Morgana, lei è assunta!».
CAPITOLO DUE
Il mattino seguente, Morgana, fu risucchiata fra le ante del suo
armadio a scartare, tra le grucce, gonne e camicette. Come
diamine si doveva vestire per il suo primo ufficiale giorno di lavoro?
Non ne aveva idea. E comunque era fermamente convinta che al
suo capo non fregasse molto di come si sarebbe presentata in
ufficio, sempre che quello si potesse chiamare ufficio. Un piccolo
angusto locale in una casa ottocentesca scricchiolante. Si batté
l’unghia dell’indice sul labbro superiore: un criminologo. Il suo boss
era un eccelso criminologo. Uno che doveva scovare malviventi,
che somigliava a un delinquente! Soprattutto per i suoi abiti fuori
dal comune, insomma, un teppista.
«Bellissimo teppista» sospirò. Oh signore benedetto! Cos’era
quella specie di interesse per un ragazzo molto più giovane di lei!
Di certo, il fatto di essere così sexy e selvaggio, non l’avrebbe
aiutata ad affrontare la sua prima giornata lavorativa.
Cosa si aspettava da quell’uomo burbero, spesso cinico sino
all’inverosimile! Si era rallegrato che fosse vedova, perché così
non ci sarebbe stato alcun problema per gli orari poco probabili a
cui l’avrebbe costretta e che sicuramente nessun tipo di contratto
prevedeva.
Comunque, gonna a fiori nei toni del nero e giallo o pantaloni a
sigaretta color crema? Camicetta sbracciata che la stringeva sui
fianchi, o giacca a tre quarti con i bottoni che non volevano
saperne di restare nelle asole, ma erano pronti all’esplosione, per
schizzare ovunque? Perché si era ingozzata di gelato negli ultimi
tre mesi!? Non aveva che pochi dollari sul conto e invece di usarli
per nutrirsi in modo sano e parsimonioso, li aveva spesi in
vaschette giganti di crema e cioccolato al caramello…
Che fosse carenza affettiva? O rivalsa per non averlo mai potuto
mangiare perché il suo defunto marito glielo impediva, controllando
ogni centesimo della spesa che lei faceva? Anche se per le sue
birre non aveva mai lesinato!
Al diavolo, gonna a fiori e camicetta nera e che sia finita!
Calzò il suo paio di scarpe buone, le Chanel tacco cinque
squadrato, con le suole consunte, e si diresse verso il bagno.
Restò in contemplazione mistica adocchiando il cassetto
contenente quel poco di make-up che si era procurata dopo la
dipartita di Jim.
Durante gli anni della loro convivenza lui le aveva permesso di
coprire con strati e strati di fondotinta i lividi che le lasciava sul
volto, ma niente rossetti o ombretti.
Ora ne possedeva una discreta quantità, certo non di alta
profumeria, ma un po’ di mascara e un velo di gloss non glielo
avrebbe levato nessuno. Non ne era molto avvezza al loro utilizzo,
si passò sulle palpebre un leggero strato di ombretto color tortora.
Doveva ancora perfezionare la tecnica ma, con il tempo, sarebbe
riuscita a sfumarlo alla perfezione. Osservò l’orologio, accidenti si
era attardata.
Infilò il golfino blu sulle spalle, si mise a tracolla la borsa rosa
cipria e chiuse a chiave la porta con due mandate.
Il tragitto sulla metropolitana fu un inferno, pigiata tra adolescenti
che si colpivano con gli zaini: un paio di borsate le aveva ricevute
anche lei sul didietro mentre vecchietti inviperiti sputacchiavano
rimproveri. Tentava di evitare il lancio della saliva nascondendosi
dietro alla sbarra alla quale si sorreggeva.
Fu spintonata fuori dal vagone, ritrovandosi in Becon Hill
trascinata dalla fiumana che si riversava sull’acciottolato: saltellò
con la punta delle scarpe per evitare di stramazzare giù per la
strada in discesa.
Santo cielo che impresa, finalmente davanti al portone del civico
trentatré!
Fece un bel respiro pronta a pigiare il tasto del campanello,
corroso dalla ruggine, e…
«Miss Green è in ritardo!».
Oh mamma mia che spavento! Morgana fece un piccolo balzo.
Judah la stava osservando dall’alto del suo metro e novanta con
due spalle grosse più dell’intero palazzo, e sorreggeva un
bicchierone di carta. Lei disse la prima cosa che le venne in
mente. «Caffè?» chiese con un filo di voce appena udibile.
Lui la superò e spalancò l’uscio che si aprì con un sinistro cigolio.
«No, whisky».
Mentre lui percorreva il breve atrio con lunghe falcate lei gli
trotterellò dietro. «A quest’ora?».
Lui salì gli scalini e lei temette che cedessero sotto il suo peso,
trascinandoli entrambi giù per le scale. «Miss Green, non si chieda
il perché io beva a quest’ora, piuttosto si faccia un paio di
domande su quella gonna orribile che indossa».
Morgana si osservò. «Ma scusi, che cosa ha di così orribile?».
Lui si voltò e la squadrò dalla testa ai piedi, poi diede una lunga
sorsata. «Ecco perché bevo di mattina di buon’ora, lei è uno
scempio se lo lasci dire».
Entrarono uno dietro all’altra nell’angusto ufficio. «Guardi, anche
lei non è che sia così questo emblema d’eleganza».
E poi si morse la lingua, perché non taceva?
Judah allargò le braccia scolpite, il petto si contrasse, in tutta la
sua gloriosa potenza, sotto al tessuto della t-shirt nera «Morgana,
mi dica. Ciò che sta osservando in questo momento, non le
piace?».
Lei temendo di averlo offeso si apprestò a scusarsi. «Ma no, no,
cosa dice è solo…».
Judah andò a sedersi sulla sua poltrona, afferrò il pacchetto di
sigarette e ne estrasse una accendendola per poi gettare, con un
tonfo sordo, il pesante zippo sul pianale. Un altro tonfo, ancora più
assordante, fu quello dei suoi anfibi che planarono sulla scrivania
quando li poggiò. «Ecco Morgana…» Tirò una lunga boccata e lei
seguì ogni suo movimento, irretita. Possedeva davvero delle
bellissime labbra e quei lunghi capelli ondulati sulle spalle
eburnee, sembravano così morbidi, lucidi. «Miss Green, è in
contemplazione estatica?».
La donna sbatté le palpebre. «Come scusi?».
Lui prima indicò lei e poi se stesso. «Lo vede, io le faccio questo
effetto nel mio informale abbigliamento».
Poi prese il bicchiere e mandò giù il liquido ambrato tutto d’un
fiato e tornò a puntarla. «E lei con i suoi abiti mi fa questo».
Morgana si stropicciò le mani. «Intende dire che vuole ubriacarsi
perché non le piace come vesto?».
Judah sollevò un sopracciglio. «È molto perspicace e ora si
sieda!» tuonò.
Lei si lasciò cadere sulla poltroncina. «Non crede di stare
esagerando e non intendo con il bere?».
Judah assottigliò lo sguardo. «Nemmeno un po’, Morgana, lasci
che le spieghi dove andremo quest’oggi e nei giorni a venire. Noi ci
recheremo sui luoghi di eventuali delitti, scarpineremo per intere
miglia se necessario e lei, mi creda, vestita così non potrebbe fare
che un paio di isolati, anche perché la mia vista ne risentirebbe
tantissimo, insomma mi permetta di dirle che vestita così fa
davvero… si guardi. È un completo disastro!».
«Sta esagerando, lo sa vero?» Fu la debole replica di lei.
Lui poggiò mollemente le larghe spalle allo schienale e battendo
le punte degli anfibi, ancora parcheggiati sulla scrivania, rispose.
«Forse, ma la scongiuro di non mettere mai più quella gonna in
mia presenza, è un consiglio che mi sento di darle. Non possiede
un paio di jeans, delle sneakers? Per la miseria degli abiti che non
appartengano agli anni cinquanta!».
Morgana si sedette in punta della poltrona. «Non crede che
dovrebbe essere un po’ più gentile? In fondo è il mio primo giorno
di lavoro, e sapevo di dover fare la segretaria» belò come un
agnellino.
Lui si finse pensieroso. «Forse ha ragione, comunque da domani
la voglio in jeans e canotta. Ci saranno almeno venti gradi là fuori,
e agghindata come una vecchia abat-jour offende la sua
femminilità».
«Mi scusi jeans e maglietta non sono poi così femminili e poi
cosa c’entra la femminilità con il mio lavoro?».
Judah fece schioccare le labbra, bellissime labbra…
«Guardi che un paio di jeans attillati fanno miracoli con un bel
didietro tondo e poi sono pratici, può infilarci un pacchetto di
sigarette nelle tasche posteriori e il suo smartphone».
Morgana si guardò attorno spiazzata. «Beh, io non fumo e non
possiedo uno smartphone».
Lui schiodò gli anfibi dal pianale e si raddrizzò in tutta la sua
potenza. «Come non lo possiede? Tutti ne hanno uno, come farò a
interpellarla quando avrò bisogno di lei? Non siamo più ai primi del
novecento, anche se lei si ostina a vestirsi come in quell’epoca! Se
ne compri uno oggi stesso!».
Morgana si sfregò le braccia. «Senta, ecco, io…».
Lui si piegò più avanti e lei si appiattì allo schienale. «Non mi
dica che è una di quelle donne che sono attaccate al passato,
insomma una che rifugge la tecnologia!».
Morgana balbettò qualcosa sottovoce…
Lui poggiò le mani sul pianale si erse e si chinò verso di lei. «Più
forte, la prego, non ho sentito».
Morgana biascicò l’incomprensibile, un cinguettio della malora
che lui non percepì, di nuovo!
«Alzi il tono di voce maledizione!».
«Io… io… ecco… du… dun… que».
Judah si passò una mano sul volto. «Ed ecco che ricomincia a
balbettare! Avanti coraggio non la mordo mica!».
«Non ne sarei così certa, comunque io non ho abbastanza
denaro per acquistare un paio di jeans, né uno smartphone da
infilarci nella tasca posteriore».
Spiattellò tutto di un fiato, rossa dalla vergogna e dalla
mortificazione.
Judah sollevò gli occhi al cielo. «Doveva dirlo prima, andiamo,
oggi faremo acquisti» e afferrò il giubbotto in pelle cacciandoselo
sulla spalla.
Lei rimase con il sedere inchiodato alla seduta. «Le ho già detto
che non dispongo della somma necessaria…».
«Si alzi e la pianti di blaterare. Lei no, ma io sì, la prenda da
questo verso. Jeans e canotta divisa ordinaria sul lavoro,
smartphone strumento di lavoro».
Lei si sollevò affranta. «Presumo che li detrarrà dal mio primo
stipendio?».
Judah le spalancò la porta e con un gesto le indicò di uscire.
«Non ci arriveremo mai al suo primo stipendio se continua a farmi
incazzare, ora vuole uscire da sola o devo prenderla in braccio?».
Uhm, un po’ ne era tentata. Ma cosa andava a pensare!
Lui era un ragazzaccio burbero, irrispettoso delle persone più
avanti di lui nell'età. E nemmeno rispettava le signore e
comunque…
«E allora? Sono a tanto così dal mettermela sulla spalla e
portarla giù a questi dannati scalini!».
«Andiamooo!» strillò lei e corse alla fine della scala
aggrappandosi al corrimano.
Judah la percorse molto lentamente, come gli piaceva farla
dannare! E poi non vedeva l’ora di guardare il suo bel culo tondo,
stretto in un paio di goduriosi jeans.
Morgana, attraversando la strada riprovò a manifestare la sua
legittima protesta. «Mi scusi, è proprio necessario andare a fare
shopping durante il mio primo giorno di lavoro? Non dovrebbe
invece spiegarmi che tipo di lavoro dovrei svolgere in ufficio?».
Raggiunsero il lato opposto della carreggiata. «Sì, è necessario e
non stiamo andando a fare shopping, diciamo che sto cercando di
non rovinarmi la giornata più del necessario, più la guardo e più mi
sale la carogna».
«Beh, addirittura apostrofarmi con questo spiacevole appellativo,
sa che è offensivo chiamare carogna il prossimo?».
Judah rovistò nella tasca anteriore dei jeans chiari, strappati su
un ginocchio. «Ma lei dove ha vissuto negli ultimi anni? In una
caverna? È un modo di dire. E dove cazzo ho messo quelle
stramaledettissime chiavi!?».
Morgana si guardava attorno, un tantino imbarazzata, i passanti
si attardavano a osservarli, certo che dovevano sembrare davvero
strani loro due: lui conciato come un teppista e lei, beh lei… Cosa
aveva che non andava la sua gonna?
«Scusi, non vorrei apparirle pedante, ma di primo mattino lei è
sempre così burbero?».
Judah lanciò un’altra colorita imprecazione. «Oh merda, eccole!
Okay».
Quest’uomo era incomprensibile!
«Come scusi?».
Lui indicò davanti a sé. «Monti, si sbrighi!».
Morgana sbuffò. «Ma cosa devo montare?». Che fosse più
chiaro lui e il suo strano slang!
Magari me bella fatina svampita e balbuziente? Ironizzò lui tra sé
arpionando la maniglia della portiera. «Salga, entri in macchina, si
sieda sul sedile, così è più comprensibile?».
Morgana spalancò prima gli occhi e poi socchiuse la bocca. «Oh!
Va bene, ma è sua questa macchina?» e, piegando di lato la
gonna, si lasciò cadere sulla morbida seduta in alcantara nera.
Judah prima di sbattere la portiera le rispose: «No, la sto
rubando!». Poi si accomodò al lato guidatore e, nonostante
l’abitacolo fosse ampio e accogliente, a lei mancò l’aria. Lui ne
occupava gran parte con la sua mole di muscoli e rabbia.
Pigiò un tasto e il motore della Lotus Evora nera ruggì e con una
manovra fluida e scattante si immise nel traffico.
Morgana si aggrappò al cruscotto e ansimò. «Senta è chiaro che
stava scherzando quando ha detto che la stava rubando,
comunque vada piano, questa macchina è troppo sportiva per i
miei gusti».
Judah pigiò l’acceleratore e l’auto schizzò in avanti mentre lei
artigliava con entrambe le mani il sedile.
«Siamo in città non dovrebbe andare così forte, oddio e
nemmeno sorpassare a zig zag!».
Lui frenò a due piedi dal retro di un’utilitaria incolonnata al
semaforo rosso. «A prescindere che i suoi gusti sono del tutto
discutibili, in particolar modo l’abbigliamento, ma non divaghiamo,
mi sento di darle un consiglio se vuole che andiamo d’accordo,
non critichi mai la mia guida».
«Sì, ma lei guida come uno scalmanato, non ci pensa
all’incolumità del passeggero e di chi le sta attorno?».
Lui ripartì sgommando. «È lei che non ci tiene alla sua
incolumità, le ho già detto un paio di volte quest’oggi di non farmi
incazzare e a quanto pare se ne frega!».
«Ma non sia così minaccioso, insomma avrò il diritto di esprimere
liberamente le mie opinioni, attento! Attento a quel passante sulle
strisce pedonali!».
Judah frenò e fece passare il giovanotto indaffarato che si
attardava ad attraversare con il naso pigiato contro lo schermo
dello smartphone. Attese, e attese, quell’altro se la prendeva
comoda, per Dio! Giù una manata sul clacson, Morgana strisciò un
po’ più in basso, ma che figure di cacca le stava facendo fare!
Raggiunse il tappetino con il didietro, tentando di mimetizzarsi
con la copertura del sedile, quando Judah tirò giù il finestrino e si
sporse.
«Ehi bello, facciamo notte?».
Il ragazzotto si tolse le cuffiette dalle orecchie. «Dici a me?
Cerchi rogna stronzo!?».
Morgana si raddrizzò come una molla e ansimò. «La prego, lo
lasci perdere, e poi stiamo ostacolando il traffico!».
Il volto di Judah divenne un ghigno pericoloso mentre un
sorrisetto sinistro gli si dipinse sul bel volto, lo sguardo fiero simile
a quello di un felino annoiato pronto a giocare con la sua preda
prima di farla fuori.
Morgana fiutò ciò che lui aveva intenzione di fare e,
istintivamente, lo afferrò per un braccio piantandogli le unghie nella
pelle del giubbotto nero. «Judah, senta, posso chiamarla così
vero? Se lei volesse ragionar…».
Non poté terminare la frase che lui aveva già spalancato la
portiera ergendosi in tutta la sua altezza e prestanza. Lei strisciò
sui sedili ancora aggrappata al suo braccio.
«Judah!».
Lui si chinò, le prese delicatamente il polso e la scostò con
estrema premura. «Scusa bella fatina, ma devo fare due
chiacchiere con quella testa di cazzo».
Lo lasciò andare. «La prego, solo due chiacchiere» per tutta
risposta Judah dinoccolò il collo e contrasse le larghe spalle.
Morgana gemette. «Ma cosa glielo raccomando a fare, cerchi
almeno di evitare che qualcuno chiami la polizia!».
Judah fece segno di avvicinarsi al ragazzo che dopo averlo visto
tutto intero se la stava facendo nei pantaloni, e cercava con lo
sguardo aiuto nei passanti che lo schivavano.
Morgana si coprì il volto quando Judah mosse il primo passo,
mentre dalle auto in fila dietro alla sua tutti si sporgevano per
guardare meglio.
Nel frattempo il ragazzo era pietrificato e le suole delle sneakers
incollate alle strisce bianche sull’asfalto.
Judah avanzava calmo e letale, senza fretta, contò. «Uno, due,
eeee tre!».
Il giovinastro fece uno scatto degno di un podista e fuggì senza
guardarsi indietro scansando i passanti scocciati che lo
insultavano.
Morgana osservò le dita che tremavano. «Sia ringraziato il cielo
per lo scampato pericolo».
Si rese conto che lui era risalito in macchina perché si era
abbassato l’assetto.
«Po… possiamo anda… andare adesso?» lo pregò.
Il suo capo attaccabrighe mise in moto con tutta la calma e
nessuno osò protestare. «Sono lusingato che lei si sia preoccupata
della mia incolumità, dopotutto quel ragazzo aveva davvero l’aria
minacciosa».
Morgana lasciò andare un lungo sospiro. «No, lei è minaccioso,
Judah».
Lui fece stridere le gomme e si voltò a guardarla con un
sorrisetto maligno. «Ma va? E cosa glielo fa pensare?» e imboccò
la prima traversa di destra a tutta birra.
CAPITOLO TRE
Judah si immise nel parcheggio a ore di fronte a un atelier,
Morgana, osservandone le vetrine, si rese conto che era di lusso. I
manichini dietro ai cristalli lucenti indossavano abiti decisamente
informali, ma comunque di alta sartoria. Insomma, chi avrebbe
speso settecento dollari per un paio di jeans scoloriti!? Pigiò il naso
contro al vetro temperato, eppure il cartellino ai piedi del manichino
riportava quella cifra esorbitante.
Roba da pazzi, e quella camicetta? Ma scherziamo?
Quattrocento dollari per uno straccetto striminzito?
Un’ombra, grande e minacciosa, apparve dietro di lei, Judah le
poggiò una mano sulla spalla e lei ne percepì il calore attraverso il
tessuto del golfino blu che si era drappeggiata sulle spalle.
«Entriamo o ha intenzione di restare qui, con il suo graziosissimo
nasino appiccicato alla vetrina sino a domani mattina?».
Lei istintivamente si allontanò per interrompere il contatto tra loro,
la sua vicinanza, ma soprattutto il suo tocco, le dava un leggero
capogiro, e le faceva svuotare completamente lo stomaco, mentre
il cuore faceva le capriole.
«Senta non vorrei apparirle puerile, ma ha visto i prezzi sui
cartellini?».
Judah si chinò verso la vetrina. «Veramente no, ma quei jeans
farebbero la loro porca figura su di lei, li prendiamo, è deciso,
andiamo!» e così dicendole la prese per mano trascinandola verso
le porte scorrevoli d’entrata. Per la verità con le sue lunghe falcate
lei doveva saltellare per stargli dietro, e perché mai non le lasciava
la mano, cos’era quella confidenza? Furono all’interno e lei provò a
divincolarsi
«Judah la mia mano, potrebbe?».
Lui non lasciò la presa. «Che musica di merda che c’è qui dentro,
lo dimentico sempre».
Per la verità a lei piaceva, e tanto, quel suono classico che si
spandeva in diffusione. Se non si sbagliava era musica da camera
per archi e pianoforte.
«A me non dispiace e volevo ribadirle che la mia mano…».
«Dove diavolo è una commessa quando la cerchi» borbottò lui
con la mano di lei sempre stretta tra le sue dita forti.
Si addentrarono tra l’elegante arredamento nei toni del nero e
bianco, i capi erano allineati su sostegni in acciaio e illuminati da
faretti.
«Ehi, c’è qualcuno? Anita, Eveline dove vi siete cacciate?»
richiamò con la sua voce baritonale. Oddio non proprio baritonale
per la verità, ma sexy con quello strano accento che Morgana
faticava a individuare.
«Lei non è americano vero?» le sfuggì, non riusciva a capire
perché quando era con quell’uomo il collegamento cervello/bocca
scompariva.
Lui sollevò un sopracciglio. «Miss Green, è davvero molto
perspicace, infatti mio padre è irlandese e mia madre coreana».
Lei lo osservò attentamente con il capo piagato di lato, e lui fu
rapito da quel movimento; i capelli di lei, morbide lucide onde
scure, ondeggiarono carezzandole le spalle, e gli occhi celesti, due
gemme attente con una luce curiosa e intelligente, la rendevano
stupenda, affascinante. Se solo non avesse indossato quella
ridicola gonna!
«A guardala bene lei non sembra avere sangue irlandese, forse i
tratti orientali ora che mi soffermo…».
«Anita! Dannazione!» ringhiò lui.
Una ragazza che non avrà avuto più di vent’anni fece capolino
dietro a uno stand.
«Mister Marshall, non mi ero accorta che ci fossero clienti, mi
scusi, stavo sistemando dietro …».
Lui, sempre stringendo la mano di Morgana, si diresse verso lo
scaffale dove erano impilati diversi modelli di jeans di tutte le fogge
e colori.
«Mi servono un paio di quelli per la mia assistente».
La giovane passò in rassegna Morgana dalla testa ai piedi e le
sorrise amichevolmente. «Ma certo, taglia? Preferenza di colore?
Sicuramente un modello classico.» Le voltò le spalle e ne prese un
paio di un blu cupo, dal taglio lineare e sobrio.
Judah si mise a braccia conserte, attirando l’attenzione sui suoi
bicipiti sia della commessa che di Morgana. Accidenti lui era… era
talmente scolpito che rasentava la perfezione come le statue degli
antichi Dei che lei aveva visto nei musei di storia antica.
«Non se ne parla, quei cosi sono antiquati, ma chi li
indosserebbe, sono un vero schifo» protestò lui.
A Morgana piacevano e molto, dovevano essere comodi e allo
stesso tempo avevano un tocco di classe nonostante fossero un
capo sportivo.
Insomma, li trovava adatti alla sua età.
Anita senza staccare gli occhi da Judah le si rivolse. «Non le
piacciono, signora? Beh, allora magari…».
Judah allungò il braccio libero perché l’altro ormai era fuso
attraverso le loro mani a quello di Morgana.
«Questi, provi questi, Miss Green, le faranno un didietro da
infarto!»
Morgana arrossì sino alla punta dei piedi.
«Senta, ma non può usare un linguaggio meno colorito? E poi
cosa c’entra il mio didietro con il lavoro che dovrò svolgere per lei,
non aveva detto che avevo bisogno di un abbigliamento più
comodo?».
Judah sorrise, un sorrisetto allusivo. «Il suo didietro c’entra
eccome! Uno dei requisiti fondamentali che ho dimenticato di
annotare nella mia richiesta è che l’assistente debba avere un bel
culo».
«Oh, per l’amor del cielo, ma la smetta di essere così volgare, e
lo sa che il suo discorso è alquanto scorretto? Sessista! E se io le
dicessi che ho accettato il lavoro perché lei ha un bel fondoschiena
come si sentirebbe?».
Judah, finalmente, le lasciò la mano e osservò i jeans che aveva
scelto. «Lusingato, ecco come mi sentirei, forza vada in camerino
e li provi».
Morgana scosse vigorosamente la testa. «Io non credo proprio».
Lui la scrutò dal bordo dei calzoni che teneva sollevati davanti a
sé. «Cos’è che non le piace, sono perfetti, stretti e avvolgenti,
comodi e chiari, non come quelli blu da vecchia; neppure mia zia
Gerta li indosserebbe e a maggio farà settant’anni».
Morgana si impuntò. «Le ho detto che non metterò mai e poi mai
i jeans che le piacciono tanto!».
Lui strinse la mascella. «Perché diavolo deve sempre
contraddirmi, le ho già detto che non deve farmi incazzare, li provi
almeno come fa a dire…».
Morgana divenne paonazza. «Perché sono della taglia sbagliata!
Quella è una ventisei, io porto la trenta, ecco perché!».
Judah li rigirò verso di sé, «Ah… ma poteva dirlo prima no? Anita
dai una trenta alla mia assistente!» tuonò.
Ora, che lei avesse dovuto essere umiliata così ammettendo che
non fosse proprio nel pieno della forma fisica la faceva arrabbiare,
ma che lui le ordinasse come si dovesse vestire era sul serio
troppo!
«Senta mi rendo conto che i jeans li pagherà lei, ma…».
Anita si intromise. «Sul serio? Le compra i vestiti? Oh, che cosa
romantica!» miagolò con occhi sognanti.
«Romantica un corno! Qui si sta parlando di praticità e
comunque dalle questa trenta ora prima che decida di strapparle a
morsi quella gonna orrenda!». Si girò verso Morgana con una luce
pericolosa negli occhi «Allora bella fatina? Ci va da sola in
camerino o ci andiamo insieme e quanto è vero Iddio prima la
spoglio e poi la schiaffo in questi cazzo di jeans!» e glieli fece
ballare sotto al naso.
Morgana sbuffò, era la prima volta che si permetteva di mostrare
tutto il suo dissenso con un uomo, ma per l’amor del cielo, Judah
le faceva perdere la pazienza con una velocità stratosferica!
«Dia qua e facciamola finita» e afferrò i jeans dirigendosi a
grandi passi verso i camerini, mentre lui le stava incollato dietro.
«Perché non prova anche uno di quei top là in fondo, magari
nero o rosso?».
Morgana aprì lo sportello del camerino rabbiosamente e
determinata vi gettò dentro i jeans, ma rimase ancora fuori a
discutere.
«Senta, io non indosserò un top che mi lascia scoperta la pancia
sia chiaro, si è dimenticato che ho superato la quarantina e da un
bel pezzo anche i cinquanta chili?»
Lui si poggiò a lato del camerino incrociando le braccia
nerborute, Judah sollevò un sopracciglio. «Anita piuttosto che
guardarmi come un senzatetto guarderebbe il tacchino del
ringraziamento, potresti portare un paio di quegli stramaledetti top
che la mai assistente indosserà, prima che decida di licenziarla!».
La bocca di Morgana disegnò un graziosissimo O di sconcerto.
«Vuole licenziarmi se non proverò quei top?».
Lui non si scompose. «Voglio licenziarla da quando è apparsa
stamattina con indosso quello scempio di gonna, ma sono di
animo gentile e vorrei darle un’altra chance, quindi ora lei andrà lì
dentro e proverà anche questi!» Agguantò i top che la solerte
commessa trotterellando sui tacchi gli aveva portato, tutta
ringalluzzita, e li schiaffò in mano a Morgana che, avvilita, non poté
fare altro che accettare quegli straccetti e chiudersi dentro al
camerino.
Mentre sbottonava la camicetta si prese la licenza di imprecare e
non si rese conto di farlo piuttosto ad alta voce
«Cazzo, cazzo, zuccone, zotico, prevaricatore! Rozzo animale.»
La zip dietro alla gonna si incastrò e lei strillò iraconda.
«Maledizione, bastarda anche tu, lampo della maloraccia ladra!».
Due tocchi allo sportello. «Miss Green vuole che lo zotico,
animale e chi più ne ha più ne metta l’aiuti a far scendere la
lampo?».
Morgana impallidì, oddio allora l’aveva sentita! E certo che
l’aveva sentita lei non sapeva tenere chiusa la sua bocca e
adesso?
Socchiuse quel tanto che bastava lo sportello e infilò il volto nello
spiraglio. «Guardi, non so cosa mi sia preso.» Silenzio.
Lui la osservava con gli occhi scuri che le mettevano una fifa del
diavolo.
Morgana chinò il capo. «Suppongo di dovermi ritenere licenziata,
giusto?» e fece per richiudere l’anta basculante.
Judah la bloccò con una mano, il rinculo del colpo la spinse
indietro e lei ci si aggrappò aprendola del tutto.
Judah se la ritrovò davanti in un semplice reggiseno di cotone
bianco e quello schifo di gonna calata sui fianchi. Bellissimi fianchi,
morbidi, invitanti da affondarci le dita. E…
Che tette da infarto! Belle tonde, e abbastanza grandi da
riempirgli i palmi. Ma quello che lo attirò maggiormente furono le
cicatrici che aveva sull’addome, appena sopra l’ombelico,
concentriche, a forma irregolare. Il suo cervello in prese a lavorare,
gli ingranaggi partirono, la scheda madre inviò il comando di
analisi accurata: bordi rilevati, al centro una venatura rossastra,
pressione di piccolo oggetto, cheloide tipico da ustione, le avevano
spento mozziconi di sigaretta addosso!
Chi era il figlio di puttana che le aveva fatto questo, deturpando il
suo bellissimo corpo!
Judah strinse le dita piantandosi le unghie nel palmo se solo lo
avesse avuto tra le mani…
«La smetta di guardarmi in quel modo e lasci andare questo
sportello!» sibilò Morgana, strattonando la maniglia e coprendosi il
seno con l’altra mano.
Judah scosse il capo. «Lei… lei è molto bella, Miss Green»
mormorò e lasciò la presa, con ragguardevole lentezza richiuse lo
sportello. «… e no, non è licenziata».
Morgana tirò un sospiro di sollievo, per fortuna che non lo aveva
fatto arrabbiare così tanto sino al punto di ….
Un momento cosa le aveva detto?
Poggiò la fronte contro il legno lucido. «Davvero pensa che io sia
bella, Mister Marshall?».
Lui guardò la commessa che con gli occhioni languidi aspettava
la sua risposta.
Al diavolo le cagate romantiche! Judah bofonchiò. «Sì, che lo
penso e ora si sbrighi o faremo notte in questo cavolo di store!».
Morgana si sfilò la gonna tutta allegra, lui pensava che lei fosse
bella! Nessuno mai glielo aveva detto, mai che lo avesse pensato,
insomma Jim non glielo diceva mai, anzi le gridava che era una
scrofa grassa e flaccida, e Judah era uno degli uomini più belli che
lei avesse mai visto, persino la commessa gli faceva gli occhi dolci,
e dunque doveva esserne ancora più fiera, lei bella, oh signore
benedetto, e lo diceva un ragazzo forte e stupendo, lei…
Rallenta Morgana, sei una donna adulta e non una ragazzina alla
prima cotta. E poi, non ti illudere, lui te l’avrà detto per evitarti
l’imbarazzo di… E se avesse notato le mie cicatrici? Il pensiero la
investì come una doccia fredda, raggelandola. Lei non era bella, lei
era deturpata nel corpo e nell’anima. E fantasticare su un uomo
non poteva nemmeno permetterselo. In fondo lei un uomo non lo
voleva più!
Indossò i jeans, troppo stretti per i suoi gusti, e si infilò il top nero
che naturalmente lasciava scoperta la sua indecorosa pancetta.
Ma sì, cosa le importava, se fosse servito a tenersi quel lavoro
avrebbe mostrato la sua ciccia al mondo intero, Judah compreso!
Spalancò lo sportello con un gesto di stizza. «E allora? Li
prendiamo e andiamocene da qui» concluse allo stremo.
Judah la studiò passando dalle caviglie all’attaccatura dei seni
che spuntavano dalla scollatura.
Oh, cazzo! Bella era del tutto riduttivo e chi andava a pensare
che questa fatina sgraziata in realtà fosse una bomba sexy da
paura!
Il fisico burroso fasciato nel tessuto elasticizzato glielo aveva
fatto diventare duro come il cemento a presa rapida! E quel sorriso
smarrito, incerto le dava un’aria da ragazzina che…
Oh, Cristo aveva bisogno di farsi un goccetto o chiudersi in
bagno e spararsi una sega!
E se si fosse chiuso in bagno con lei?
Naa, meglio una mezza bottiglia di scotch!
Lei era la sua assistente, lei era…
Oh, Cristo Santo! Ma sì, ormai lo sapevano anche gli
appendiabiti che prima o poi se la sarebbe messa sotto, o magari
alla pecorina.
Merda, merda, Judah, vacci piano, se ti fa questo effetto con un
paio di jeans e una canotta che cazzo farai quando l’avrai nuda nel
tuo letto? Ululerai alla luna?
Si schiarì la voce, in realtà voleva sistemarsi il cavallo dei
pantaloni che stringevano da matti e lui era sul punto di esplodere
da quanto era in tensione.
«Bene, le stanno d’incanto, li prendiamo, Anita non imbustare
quegli stracci, gettali, almeno non corro il rischio di vederli ancora
indosso a Miss Green.» Poi come un fulmine le girò le spalle e
afferrò in ordine: un chiodo in pelle nera stando attento alla taglia,
un paio di converse che per puro vezzo scelse rosse, e un cazzo
di paio di sandali in vernice nera con un tacco a spillo vertiginoso.
Morgana lo seguiva, cercando di dire qualcosa, ma era
praticamente impossibile.
«Quelle no, Judah, non so camminare sui trampoli e perché ha
fatto buttare via i miei abiti!» ansimò cercando di stargli dietro.
Raggiunsero il bancone, lui a grandi passi, lei di corsa. «La prego,
Judah, mi sta ascoltando?».
Lui estrasse la carta di credito. «Imparerà, e adesso paghiamo,
poi si va a scegliere lo smartphone».
Morgana si impuntò. «Lei non mi ascolta mai!».
Lui strisciò la carta, milleseicento dollari. «E lei deve tacere! Il
caso è chiuso.» Si posizionò la shopper extralarge sulla spalla. «E
adesso salga in macchina!».
«Ma, Judah perché è così di cattivo umore?».
«Salga su quella cazzo di macchina!» tuonò lui.
Morgana aprì la portiera trafelata. «Subito!».
Lui le lanciò le converse. «Si metta queste per Dio, e getti dal
finestrino quelle orribili scarpe tacco raso terra!» e senza lasciarle
il tempo di allacciarsi la cintura di sicurezza partì a gran velocità.
CAPITOLO QUATTRO
Morgana si ritrovò a guardare il Boston Police Department con il
naso all’insù, anche questo edificio era tutto in mattoni rossi a vista
e con un grande rosone intagliato all’ingresso. Per la verità non
osava posare lo sguardo su se stessa, non si trovava a suo agio
vestita in jeans e top, proprio no. Abbassò gli occhi, oddio
sneakers rosse, ma insomma non era più una ragazzina. Ma chi
glielo aveva fatto fare di accettare quell’impiego!
«Miss Green, non abbiamo tutto questo tempo per giocare alla
bella statuina, quindi si sbrighi, entriamo» la riproverò Judah.
Lei sospirò, ecco chi glielo aveva fatto fare… Lui! Questo
teppista, burbero e con un discutibilissimo senso dell’ironia!
Se lei non avesse avuto bisogno di uno stipendio per
sopravvivere lo avrebbe già mandato al quel paese.
Lui la superò facendole strada lungo l’ampio atrio e gli occhi di
lei, non seppe spiegarsi il perché, piombarono sul didietro di lui:
bel sedere marmoreo, fasciato nei jeans chiari, sfiorato dal bordo
del giubbotto in pelle…
Oddio, ora che ci pensava mandarlo a quel paese proprio no, oh,
santi numi! Stava ragionando proprio come lui, ma meglio che
questo lavoro me lo tenga perché Mister Marshall possiede il più
bel fondoschiena che abbia mai visto.
«Di qui» tuonò il suo boss e imboccò un corridoio.
Lei lo tallonò, ma di staccare le pupille dal sedere di lui non se ne
parlava. Strinse le mani a pugno: poteva desiderare di dargli un
pizzicotto?
Ma no Morgana, cosa ti salta in mente! Un pensiero così nei
confronti di Jim non lo aveva mai avuto!
Per la verità era il suo defunto marito che la riempiva di lividi e
non solo per maliziosi pizzichi, ma per le cinghiate che schiantava
sul sedere e la schiena quando decideva di punirla per una
qualunque inezia.
Persa nei suoi pensieri andò a sbattere con il naso contro la
schiena granitica di Judah, che si voltò e la osservò con un
sorrisetto derisorio, mentre lei si massaggiava il naso, Dio che
botta, ma di cosa era fatto? D’acciaio indistruttibile?
«Morgana, le fa male?».
Lei si guardò attorno imbarazzata, un paio di agenti si erano
soffermati a osservarli. «Eh? Ma no, no, anzi mi scusi, ero
distratta».
Le labbra di Judah si piegarono ancora di più, scoprendo la
dentatura perfetta e lei ebbe l’impressione che i canini appuntiti
riverberassero di un sinistro bagliore. «Lo credo bene, lei mi stava
guardando il culo!».
Le gote di Morgana assunsero una colorazione purpurea, da far
invidia ai pesanti tendoni appesi agli alti finestroni. «Cosa sta
dicendo? E non sia così volgare!».
Lui fece un cenno di saluto a uno degli agenti che se la rideva
sotto i baffoni e bussò alla porta di legno scuro davanti a sé.
«Volgare un cazzo, lei mi ispezionava il posteriore, questa è la
verità, non ne faccia un dramma, se le piace non c’è niente di
male».
«Non dica eresie a me il suo posteriore non piace affatto!».
«Avanti!» Una voce femminile dal piglio autoritario proveniente
da dietro l’uscio arrestò il suo misero tentativo di giustificarsi.
Judah spalancò la porta e si ritrovarono all’interno di un ufficio
arredato con un criticabile gusto, o almeno così pensava Morgana.
L’ambiente era molto spazioso ma spoglio, soltanto una lunga
scaffalatura in metallo poggiata alla parete alla sua sinistra,
ricolma di fascicoli.
Una scrivania in legno scuro massiccio, sulla quale vi era lo
schermo avveniristico di un PC di ultimissima generazione. E
seduta sulla poltrona, in velluto rosso, c’era una delle donne più
belle che lei avesse mai visto. La prima cosa che la colpì furono i
grandi occhi, leggermente infossati, di un azzurro talmente chiaro
da sembrarle due schegge di ghiaccio.
I lunghi capelli biondi portati sulle spalle esili e aggraziate si
arricciavano in morbide onde. Il naso perfetto, lievemente all’insù,
in contrasto con gli zigomi alti le dava una strana aria,
un’espressione che non sapeva definire, altera forse. Di certo era
una donna sicura di sé, e giovane, molto giovane.
Morgana sollevò lo sguardo che si posò inevitabilmente verso
quello di Judah.
Perché mai era interessata a carpire la reazione che lui aveva
nei confronti di quella ragazza? In fondo lei era molto bella, e
potevano avere la stessa età.
Cos’era quello strano fastidio che avvertiva allo stomaco? Perché
si metteva a fare il confronto tra lei e quell’affascinante donna?
Mentre nella sua testa vorticavano domande che non avrebbero
avuto risposta, la donna posò i suoi gelidi occhi, divenuti languidi e
torbidi, su Judah. Si appoggiò allo schienale e accavallò le lunghe
gambe perfette, lasciate scoperte, sino alla coscia, dalla gonna
dell’abito rosso fuoco che le aderiva alle forme spigolose e ai seni
alti e sodi.
La giovane donna non la degnò della minima attenzione, perché
concentrata sul suo boss.
«Finalmente la conosco, Judah Marshall, la sua fama la
precede,» e indicò una delle poltroncine di fronte a sé, «ma prego,
si accomodi». Lui mosse un passo e Morgana rimase indietro,
immobile. Il suo capo scostò la seduta.
«Miss Green, si sieda» e le fece un cenno verso la poltroncina
che le aveva piazzato davanti.
Lei balbettò: «Lì? De… devo… se… se… dermi i… io l… l…lì?».
Lui sollevò gli occhi al cielo. «No, sul pavimento! Certo,
maledizione! O vuole che gliela schiaffi sotto il culo e poi la porti a
farci un giretto per tutto il dipartimento!?».
Morgana accennò un sorriso, in fondo era stato galante a
porgerle la poltroncina, con maniere da troglodita, ma pur sempre
galantemente, si accomodò e lui planò su quella di lato, un tonfo
sordo, dovuto ai suoi modi sgraziati e alla notevole mole.
Judah non perse tempo, la bionda gli procurava uno strano
fastidio, doveva sapere il fatto suo, quello era appurato, ma per la
malora non gli piaceva affatto come guardava la sua assistente,
quell’aria da sufficienza non la mandava giù. E come scrutava lui?
Roba trita e ritrita, di solito faceva sempre quell’effetto alle donne,
in poche parole l’ispettore capo voleva fotterselo, o farsi fottere.
Una bella scopata sudata. La verità? A lui lei non faceva né caldo
né freddo, se non per quel fastidioso cipiglio nei riguardi di
Morgana che gli stava pesantemente sui coglioni. Istintivamente, e
senza rendersene conto, avvicinò la sua poltroncina a quella della
sua assistente che, per la miseria ladra, si stropicciava le mani a
testa china.
Meglio tagliar corto e andare al dunque. «Miss Palmer mi parli
dei due delitti avvenuti nell’ultimo mese».
L’ispettore capo distolse lo sguardo indispettito da Morgana e lo
posò sul volto imperturbabile di Judah.
«Glenn, mi chiami Glenn» lo invitò e dispiegò davanti a sé un
fascicolo, ne estrasse un paio di fotografie ingrandite e le passò
sul pianale. «Può guardare lei stesso». Judah le afferrò
ispezionandole, Morgana non si trattenne da dare una sbirciatina e
poi riabbassare gli occhi, lui fece qualcosa che la destabilizzò,
afferrò il bracciolo della poltroncina dove stava seduta e la trascinò
verso di sé tanto che le loro spalle si sfiorarono, si chinò e le
mostrò i fotogrammi. «Cosa ne pensa, Miss Green?».
Morgana si sporse e… «Oh mio Dio!» ansimò sconcertata.
Chi aveva potuto fare quello scempio!?
Le vennero i brividi, le immagini si appannarono, non… non era
possibile!
Due uomini, due uomini in abito talare! Due preti, cattolici,
entrambi in ginocchio, forse avevano le mani legate dietro alla
schiena, la gola squarciata, sembrava un grottesco sorriso cremisi.
Gli occhi sbarrati, terrore e supplica! E la bocca spalancata, c’era
qualcosa d’incastrato nelle loro bocche dalla smorfia terribile.
Come potevano essere morti in quella posizione?
«È spaventoso» mormorò lei.
Judah poggiò la fotografia sulla scrivania. «Dove e chi ha
rivenuto i corpi? Cosa c’era scritto sui fogli di carta in gola a questi
poveri disgraziati?».
Glenn sorrise. «Lei è dotato di un certo acume, come ha capito
che erano fogli scritti?».
Judah poggiò le larghe spalle allo schienale, e la pelle del
giubbotto scricchiolò. «Non ci vuole tutto questo acume, è logico
che l’assassino abbia voluto lasciare un indizio, un messaggio a
chi lo sta braccando».
L’ispettore capo si scostò una ciocca di capelli sulla spalla e un
effluvio di profumo dai sentori orientali si espanse nell’aria.
«Non siamo riusciti a decifrare nulla, il coroner nell’estrarli
durante l’autopsia ha distrutti i fogli, i fluidi corporei non hanno
facilitato il suo compito come del resto il rigor mortis».
«Chi è questo coglione incompetente? E quindi avete trovato i
cadaveri nel giro di ventiquattro ore».
Glenn afferrò una penna a sfera e la rigirò tra le dita lunghe e
affusolate. «Il professor Randal non è uno alle prime armi, anzi è
un luminare come anatomopatologo e un coroner di fama
internazionale, i cadaveri sono stati ritrovati uno dopo ventisei ore
dalla morte e uno dopo trentadue».
Judah sollevò un sopracciglio. «L’esimio professorone ha fatto
una cazzata! Il prossimo cadavere che troverete lasciatelo così
com’è sino a quando non sopraggiungerò, e non spostatelo da
dov’è chiaro?»
«Lei dovrebbe studiare il profilo psicologico dell’assassino, lasci
a noi il lavoro sporco, le prometto che Randal farà maggiore
attenzione, e cosa le fa pensare che ci sarà un altro omicidio?
Potrebbe essere un folle che ha agito d’impulso, in fondo tra un
assassinio e l’altro sono passati due giorni».
«Premeditato» rispose Judah.
Glenn annuì. «Può starci, ma non è detto che l’omicida colpisca
di nuovo».
Judah si alzò e Morgana rapita da quel discorso fu disorientata,
sarebbe rimasta lì ad ascoltarli per ore.
Era incuriosita, e provava una pena infinita per quei poveri preti
trucidati.
Judah le fece cenno di alzarsi a sua volta e lei scattò in piedi, poi
lui si rivolse a Glenn. «L’assassino colpirà ancora, si fidi, e siamo
solo all’inizio, andiamo Miss Green» e si voltò verso l’uscita.
L’ispettore capo girò attorno alla scrivania e lo raggiunse:
«Aspetti, vorrei discutere del caso con lei ancora un po’».
Judah la guardò da sopra una spalla. «Mi dispiace, ma ho molto
da fare e per quest’oggi può bastare così, ho elementi sufficienti
per cominciare a elaborare un profilo».
Glenn non si arrese, quell’uomo la intrigava per la sua
prorompente sensuale fisicità, il suo acume, la sua cruda e rude
schiettezza; si sentiva percorrere da brividi d’eccitazione. Bellezza
e intelligenza, forza e gentilezza che aveva manifestato nei
confronti di quella scialba, insignificante assistente, lo capiva, in
fondo le portava rispetto per l’età e per quella sua irritante
goffaggine!
Come poteva conciarsi come una ragazzina, alla soglia dei
quarant’anni? Perché li dimostrava tutti sia chiaro! E poi non la
sopportava quella mitezza, e… Maledizione, era bella! nonostante
le rughe appena percettibili sul volto era davvero molto attraente in
particolar modo quella bocca che poteva fare invidia, grande e
dalle labbra polpose, il fisico, se pur leggermente appesantito dalle
curve generose, era sexy. Il tipo di bambola svampita che lei
disprezzava, e che invece agli uomini piaceva da impazzire!
Una cosina da proteggere, che schifo!
«Judah, senta perché non ne discutiamo stasera a cena?» si
azzardò, facendo leva sulla sua avvenenza. Di certo lui non ne era
immune. Nessun uomo le aveva negato un incontro e lui non
avrebbe fatto eccezione.
Judah si girò e Morgana attese la risposta. Ma certo aveva inteso
a cosa alludesse Glenn, anche le pareti e lo scaffale si erano resi
conto che lei smaniava per avere un appuntamento, non
propriamente di lavoro, con il suo boss. E questo la faceva
arrabbiare, non era consapevole del motivo, ma era
sufficientemente incavolata! E sapeva già che lui le avrebbe detto
di sì.
Infatti lui allargò le labbra carnose in un sorrisetto «Miss Palmer,
ne sarei onorato…».
Morgana incassò il colpo, cosa si aspettava…
«Ma…».
«Ma?» chiesero in coro lei e Glenn. Accidenti perché si era
lasciata sfuggire quel ma! Si rimproverò mentalmente Morgana.
Judah con lo stesso sorrisetto diabolico prima guardò Glenn e
poi Morgana. «Ma… dicevo, ho già un appuntamento stasera».
«E con chi?» e non fu Glenn a chiederlo, ma Morgana che
avrebbe voluto prendersi a calci nel didietro da sola!
Il sorriso di Judah mostrò la dentatura perfetta alzando gli occhi
al cielo. «Con lei, Miss Green, la porto fuori a cena, stasera».
La doccia gelata investì entrambe le donne e per due motivi
completamente diversi, Glenn verde di rabbia, Morgana rossa
d’incredulo stupore.
«Ma… m… ma di… dice a … a… m… me?».
Judah ci diede un taglio, quella cosa che lei balbettasse quando
si trovava in difficoltà cominciava non solo a divertirlo, ma pensa te
che testa di cazzo che era, gli piaceva da matti. «No, alla pianta di
potus là in fondo, certo che a lei! E ora andiamo!».
Glenn incassò e ripartì all’attacco. «Magari domani sera?».
Judah le voltò le larghe spalle. «Naaa, credo di no, mi chiami
appena troverete la terza vittima» concluse spingendo in avanti
Morgana. «Forza bella fatina, fuori di qui». Uscirono uno dietro
l’altra lasciando Glenn sola e livida di rancore.
Ma non finiva lì, lei voleva quell’uomo e lo avrebbe avuto! Era
solo questione di tempo.
Risaliti in auto, mentre Judah tentava di immettersi nel traffico
ormai caotico, Morgana lo studiava pensierosa. E i suoi pensieri
erano tutti concentrati su un unico argomento: l’invito a cena, al
quale lei non credeva nemmeno un po’ e per ovvie ragioni. Come
poteva lui volerla davvero portare in un ristorante e per giunta di
sera? Insomma magari era soltanto un invito per poter definire le
sue mansioni lavorative ancora piuttosto fumose. Ma chi voleva
prendere in giro lo sapeva bene lei il perché lui se ne era uscito
con quell’invito!
«Che ha da guardarmi in quel modo, Miss Green?».
Morgana sussultò nel preciso istante nel quale gli occhi scuri di
Judah incontrarono quelli imbarazzati di lei.
«Eh? Io beh…».
Lui svoltò nella via laterale che portava verso il caseggiato del
loro ufficio. «Avanti sputi il rospo».
Se proprio ci teneva. Morgana prese un lungo respiro
rassegnato.
«Può anche smettere adesso con questa farsa, e dirmi che
l’invito a cena era soltanto una manovra di dissuasione nei
confronti di Miss Palmer». Ecco fatto, glielo aveva detto e il caso
era chiuso. Si sentiva sollevata, e aveva dato la parvenza di
essere una donna pratica e disincantata.
Judah, con una manovra fluida, accostò al ciglio del marciapiedi
e lei afferrò la maniglia della portiera pronta per scendere.
«Non così in fretta, Miss Green, resti dov’è».
Lei si bloccò come una statua di sale con la maniglia ancora
stretta tra le dita che le tremavano. Cosa accidenti voleva adesso?
Perché quando le parlava con quel tono duro e autoritario a lei
prendeva la tremarella. Che avesse combinato qualcosa che lui
ritenesse grave e non se ne fosse resa conto?
Judah si mosse e a lei si arrestò il respiro, lui era… era… beh,
insomma, un tantino ingombrante in quell’abitacolo, e… oddio si
era voltato verso di lei, era così vicino… Troppo vicino, la sua
bocca piegata in un sorriso enigmatico e quegli occhi scuri che la
sondavano, la fronte aggrottata, una ciocca dei lunghi capelli ribelli
gli pioveva sul volto sfiorandogli uno zigomo, era un’enorme
tentazione.
«Miss Green…» la sua voce, dal tono basso roco, la destabilizzò
ulteriormente.
«Sì…» gracchiò lei con la gola improvvisamente riarsa, le
mancava l’aria e lui sembrava risucchiarla tutta, lasciandola
annaspare con il desiderio che gliene concedesse un po’, il sorriso
di lui si aprì maggiormente, oh sì, un flebile respiro, voleva
assorbire l’aria torrida dalla sua bocca che aveva qualcosa di tanto
erotico, impudente, induceva al peccato.
Judah le mostrò la dentatura bianca, un grosso predatore che si
divertiva a giocare con il suo pasto. «Lei la deve smettere di
sparare stronzate» la raggelò, mandando in frantumi quel
momento magico.
«Come prego?» Morgana sbatté le ciglia.
Judah non si allontanò da lei, anzi si fece ancora più vicino, tanto
che lei percepì l’alito caldo di lui sulla pelle, il profumo di menta e
tabacco aromatico. «Quello che le ho appena detto, lei spara un
sacco di cazzate, anzi le pensa e poi le dice».
Morgana era tutta concentrata dal movimento di quelle labbra
carnose, certo per un attimo fuggevole si era lasciata distrarre dal
contrarsi del petto definito, sotto la t-shirt nera che avvolgevano i
muscoli, poi la sua morbosa attenzione si era incentrata
nuovamente sulla bocca di lui.
«Potrebbe usare una terminologia meno colorita e dirmi cosa ho
detto di sbagliato?» mormorò.
Lui vagò con gli occhi attenti sul volto di lei. «Mettiamola così: io
questa sera la porterò fuori a cena e non certo per togliermi dalle
palle Miss Palmer, ora le è chiaro il concetto?».
Morgana si allontanò appiattendosi contro la portiera. «Vuole sul
serio portarmi fuori questa?» ansimò tutto di un fiato.
Judah trattenne una risata, la bella fatina aveva fatto progressi,
niente balbuzie. Molto bene!
Vederla lì, tutta rannicchiata contro la portiera, gli infondeva
pensieri contrastanti, saltarle addosso e sbottonarle i jeans o
lasciarla andare così che lei la smettesse di tremare?
Istintivamente si piegò verso di lei, ci mancò poco che si
beccasse il cambio nei gioielli di famiglia, una leggera virata di
bacino, e Morgana si amalgamò letteralmente alle lamiere della
scocca.
«La smetta di starmi addosso e risponda alla domanda!» gli
sibilò, non riuscendo comunque a smettere di tremare.
«Sì o no?» le domandò lui e non arretrò neanche di un
millimetro.
Morgana lasciò andare tutta l’aria che tratteneva nei polmoni, se
solo lui si fosse allontanato un pochino non sarebbe stata confusa
dal profumo che proveniva dalla pelle di lui, troppo maschio, troppo
avvolgente, un richiamo pressante che le confondeva i sensi. «Sì
…» gemette e si vergognò immediatamente dopo.
Un attimo prima lui era attaccato a lei, l’attimo dopo stringeva il
volante e lei si sentì depredata dalla sua vicinanza.
«Perfetto, ora scenda e vada a sistemare la scrivania che le ho
fatto portare in ufficio.» Le lanciò un mazzo di chiavi che lei prese
al volo.
«Lei non viene?».
Lui mise in moto e il motore ruggì impaziente. «Naa, io vado a
pranzo, ci vediamo stasera alle nove in punto, al numero cinque al
Cester Now».
«Al Cester che?» chiese Morgana.
«Quartiere Back Bay, al civico cinque su un po’ di intraprendenza
si scarichi una mappa da Google e adesso levi le tende, quando
non mangio divento parecchio irascibile».
Morgana spalancò la portiera. «Deduco lei sia sempre affamato
allora».
Lui si sporse verso di lei. «E cosa glielo fa dedurre?» la
scimmiottò.
Lei gli rispose piccata. «Perché è sempre irascibile» e gliela
sbatté sul grugno, gli voltò le spalle tutta composta, guarda tu che
caratteraccio che aveva lui, che nel frattempo non si decideva ad
andarsene, soltanto quando lei, tutta impettita e visibilmente
irritata, inciampò sul marciapiedi e fece tre saltelli in avanti per
mantenere il precario equilibrio, Judah ridendo ripartì sgommando.
Adorava quella fatina svampita.
CAPITOLO CINQUE
Il pomeriggio dopo aver sistemato la sua microscopica scrivania,
se confrontata con quella di Judah, si era fiondata a casa e messa
alla ricerca, sul suo nuovo smartphone, del fantomatico numero
cinque in Back Bay sulla cartina di Boston on-line.
Non lo aveva trovato. D’altronde lei era una frana con il
reperimento dei numeri civici.
Poco male, avrebbe chiamato un taxi dando l’indirizzo e ci
avrebbe pensato l’autista. Avrebbe alleggerito le sue finanze, ma il
fine giustificava gli scarsi mezzi.
Che cafone!
Poteva andare a prenderla a casa, no?
Va beh, una donna emancipata non necessitava che il suo boss
la venisse a prendere sotto casa!
Dopo aver pianificato come arrivarci, aveva trascorso il resto del
pomeriggio con la testa nuovamente tra le ante del suo armadio.
Cosa diavolo doveva indossare per quell’invito a cena?
Back Bay era un quartiere di lusso che dava direttamente sulla
baia, quindi qualcosa di elegante di sicuro.
Un abito che si addiceva alla serata lo aveva.
Ma non osava toglierlo dalla custodia bianca.
Forza, Morgana, è l’unico che possiedi.
I ricordi la facevano desistere. Quello era il vestito che indossava
il giorno che Jim, per farsi perdonare l’ultimo violento pestaggio, le
aveva regalato, invitandola poi in un hotel a quattro stelle, per una
cena a lume di candela e la notte in una suite tutta per loro.
Gli aveva creduto. Come sempre si era illusa che quella fosse
stata la svolta.
In quell’hotel non ci erano mai andati, lui l’aveva riempita di botte
prima che lei fosse riuscita a infilarselo quell’abito. Si era
dimenticata di andare a ritirare alcune sue camicie in tintoria e lui
per l’occasione voleva mettere una di quelle, insomma l’aveva
accusata di averlo fatto appositamente, per rovinare tutti i sui
sforzi. Il resto furono le sue grida disperate e il rumore sordo dello
sbattere della porta prima che lei cadesse svenuta in una pozza di
sangue.
Il giorno seguente Jim era morto.
Morgana sfiorò il tessuto lucido della custodia, cosa doveva fare?
Quell’abito era un monito, eppure nemmeno sapeva come le
stava addosso. Mai messo, quindi poteva anche ritenerlo al di fuori
dei ricordi dolorosi.
Però…
Il pensiero che lei lo indossasse per il suo appuntamento con
Judah le appariva come una mancanza di rispetto, e non di certo
nei confronti di Jim al quale non doveva più niente, ma per se
stessa, per il suo boss che se avesse saputo….
Morgana sospirò. «Ma lui non sa nulla di quello che eri, di quello
che sei ancora adesso» mormorò tra sé.
Si allontanò con le braccia lungo i fianchi. «Che stupida che
sono, parlo anche da sola».
Lei era stata per troppo tempo sola, era stata intrappolata in un
matrimonio che l’aveva resa una larva. Ed era tutta colpa sua, non
era stata in grado di ribellarsi.
«E allora perché con Judah riesci a dire sempre quello che pensi,
nonostante lui abbia un carattere burbero riesci a contraddirlo?» si
chiese davanti allo specchio che rimandava la sua immagine.
Slegò la cintura dell’accappatoio e lo fece scivolare giù dal corpo,
si ritrovò nuda a osservarsi.
«Perché hai accettato il suo invito? Guardati! Guardati Morgana,
non sei più giovane i segni del tempo, e non soltanto quelli, ti
deturpano, sei così diversa da lui! È una follia!».
Un’immagine subdola si costruì nella sua mente confusa, le mani
di Judah che le percorrevano spalle, vita, stringevano i fianchi e
quella bocca sul suo collo….
«Sei pazza Morgana, sei da internare, lui è troppo giovane
persino per fantasticarci sopra!».
Che razza di donna era? Avere idee a sfondo sessuale nei
confronti del suo capo! Che poi aveva anche dodici anni meno di
lei!
«O mio Dio, o mio Dio, un ragazzo…, una generazione ci divide
e non dovrei mai oltrepassare il confine, nemmeno con il
pensiero!».
E stava ancora parlando da sola!
Lei non voleva essere più sola! Lei voleva vivere!
Era solo un invito a cena, non doveva illudersi, figuriamoci se lui
provava la stessa tensione erotica che sentiva lei nei suoi
confronti. Voleva di certo parlarle di lavoro, ecco tutto.
E comunque il vestito lo avrebbe indossato e fanculo Jim, fanculo
lei, e fanculo anche Judah che era troppo bello, troppo giovane,
troppo tutto!
Sfilò dalla custodia il famigerato abito, un tubino nero che le
arrivava al ginocchio, accollato sul davanti, ma che lasciava
scoperte le spalle e con una scollatura vertiginosa sulla schiena. Si
guardò allo specchio, le tirava un po’ sui fianchi generosi, ma tutto
sommato le stava bene, slanciandole la figura, madre natura era
stata clemente dandole l’altezza, peccato per quei cinque chili in
più tutti concentrati sul didietro, e la scollatura era un bene che
fosse sul retro poiché il suo seno prosperoso era il caso di
mimetizzarlo piuttosto che enfatizzarlo.
Abbassò lo sguardo osservandosi la punta dei piedi, le unghie
laccate di rosso fuoco per l’occasione, oddio! E le scarpe? Non ne
aveva di eleganti o adatte all’abbinamento. Non poteva di certo
calzare quelle Chanel che Judah rifuggiva come il colera!
Aspetta, aspetta! Corse in salotto e afferrò la shopper che
giaceva sul divano, ci rovistò dentro. «Eccole!».
I sandali tacco dodici in vernice nera che il suo boss aveva
acquistato nonostante lei ce l’aveva messa tutta nel protestare.
Li calzò e porca miseria camminarci era un’impresa, due passi e
le facevano già male le piante dei piedi!
Va beh, doveva sopportare poiché guardandosi allo specchio le
donavano e le piacevano in particolar modo perché le
assottigliavano le caviglie, e lei aveva un disperato bisogno che
apparissero meno gonfie, dopo una giornata di lavoro!
Si truccò seguendo un tutorial sul canale YouTube di una nota
make-up influencer, lo smokey eyes era leggermente sbavato, ma
vuoi mettere la differenza rispetto a prima? Gli occhi avevano
acquistato profondità e intensità. Un bel rossetto nude sulle labbra,
il rosso l’avrebbero fatta apparire una sgualdrina dalla bocca
siliconata, lei purtroppo l’aveva grande e turgida di natura!
La sua pochette nera di vent’anni prima, quella che usava per la
discoteca prima di incontrare Jim, ma sì un po’ di vintage fa
sempre tocco modaiolo retrò. Osservò l’orologio a muro, le otto e
trenta. Si affacciò alla finestra, giù di sotto c’era il taxi che
l’aspettava. Prese un bel respiro prima di aprire la porta. «Forza
Morgana, e cerca di contenere i danni, non sei ridicola».
Quando il driver del taxi scese e la guardò con tanto di occhi
maliziosi, lei si infilò, lesta, sui sedili posteriori mentre lui le apriva
la portiera.
Sì, Morgana, sei ridicola e come, e lo sarai ancora di più quando
il mondo lì fuori ti vedrà in compagnia di un uomo che potrebbe
essere tuo figlio! Si disse.
Oddio, figlio no, ma giovane, troppo giovane.
Si aggrappò al sedile quando il taxi, con una brusca manovra, si
immise nel traffico, «Dove la porto signora?» chiese il driver.
Lei diede l’indirizzo e lo vide sorridere attraverso lo specchietto
retrovisore. «Back Bay? Una bomba di posto, sarà una serata
esplosiva!» disse lui tutto allegro e allusivo.
Morgana sospirò. «Lei non sa quanto!» Certa che a esplodere
sarebbe stato Judah, una volta acquisita la consapevolezza di
quanto sfigurasse con una come lei al suo tavolo!
Judah camminava tra i tavoli in cerca di quello che aveva
prenotato, al suo passaggio gli uomini istintivamente si
scostavano, le donne sbattevano le ciglia o si umettavano
impercettibilmente le labbra.
Bel culo, davvero. Pensava, mentre rallentava il passo per non
andare addosso alla cameriera che gli stava facendo strada.
«Prego, signore, si accomodi, le porto qualcosa mentre
aspetta?» La giovane dalle chiome rosse gli indicò la sedia che a
lui parve piuttosto piccola e relativamente resistente.
«Sì, grazie, scotch liscio».
La giovane gli fece un sorriso a trentadue denti, i canini appuntiti,
ehm, sembrava proprio che volesse morderlo.
Buona bella, stasera niente rimorchio con scopata annessa.
Judah giurò che se la rossa gli avesse passato il suo numero di
telefono, scarabocchiato sul notes delle ordinazioni, lui se la
sarebbe data a gambe.
Si sfregò le mani. «È ancora qui? Forza signorina, mi porti il mio
drink e me lo faccia doppio».
La ragazza ridacchiò. «Lei è un uomo tutto d’un pezzo» ed ecco
il foglietto con il recapito del cellulare che planava sul tovagliolo.
Roba da pazzi, ma sempre lo stesso copione?
Judah lo scostò con un colpo di forchetta. La rossa si chinò, eh,
per la miseria! le due tette siliconate, gliele stava letteralmente
sbattendo sotto al naso, magari chiudersi i tre bottoni della
camicetta sarebbe stata una ottima idea.
Nel frattempo, la cameriera intraprendente gli sfiorò l’orecchio.
«Stasera smonto a mezzanotte ti aspetto sul retro».
Poteva aspettare per un bel pezzo, lui aveva qualcosa di molto
più importante da fare, con una sbadata, splendida fatina
balbuziente.
A proposito dov’era? Era in ritardo.
Morgana appena visto l'esterno del locale fu tentata di risalire sul
taxi e sfrecciare verso non so dove, ma il più lontano da quel…
quel…
Maledetto deficiente!
E stupida lei che si era agghindata per l’occasione!
Una tavola calda! Lui le aveva dato appuntamento per cena a
una tavola calda!
Certo era un criminologo e da quello che si diceva anche
piuttosto in gamba, ma se lo avesse fatto fuori nessuno l’avrebbe
incriminata!
Si voltò e la sua unica fonte di salvezza si stava allontanando
con i suoi cento dollari della corsa.
Si guardò attorno, sperando che nessuno potesse scorgerla, e
naturalmente si sentì osservata dai passanti, ovvio era preparata a
festa!
Va beh, ormai era in ballo e doveva ballare.
Entrò nel locale spingendo la pesante porta in vetro e legno, e
spaziò con gli occhi in cerca di quel disgraziato del suo boss.
E lo vide…
Niente batticuore a mille per l’emozione, si dimenticò di essere
l’unica in quel locale alla mano che indossasse un elegante abito
da sera scollato sino al didietro!
Strinse la borsetta tra le dita e avanzò con lo sguardo affilato.
Ogni passo la rabbia la caricava, era pronta a detonare!
Ma guardatelo! Tutto intento a farsi strusciare addosso da quella
giovane, e sottolineiamo giovane cameriera! Pensò
Morgana fu davanti al tavolo e lui nemmeno si rese conto che era
lì! Scostò la sedia e si accomodò sbattendo la borsetta sulla
tovaglia a quadri rossa e bianca, anche se avrebbe voluto usarla
per colpirlo su quella sua zucca bacata!
Il tonfo fece tintinnare le posate e Judah senza capire il perché
scattò sull’attenti, schiena ritta e spalle allineate.
«Miss Green…».
Lei gli lanciò un’occhiataccia di traverso.
Judah si chiese perché mai lei fosse così incazzata. Poi girò il
collo e quasi andò a cozzare con il davanzale prosperoso della
rossa.
Le labbra di lui si piegarono in un sorrisetto, ecco perché!
«Miss Green, lei è in ritardo» disse senza cancellarsi dalla sua
bella faccia da schiaffi il sorriso sornione.
Morgana lo puntò come un mirino di precisione. «E lei dovrebbe
essere più chiaro quando fa un invito!».
Judah si finse confuso. «Non capisco cosa intende dire!».
Ma lo sapeva, oh, la sapeva eccome! Lei aveva frainteso dove si
sarebbero dovuti vedere e si era messa in tiro.
Ragazzi che spettacolo, bella era un termine riduttivo.
Scopabile, altamente scopabile, fortemente scopabile, scopabile
subito, adesso!
Nella mente di Judah lampeggiava al neon quell’imperativo, poco
elegante, ma sicuramente esaustivo pensiero.
«Perché non mi ha detto che ci saremmo incontrati in una tavola
calda, depistandomi appositamente, attirandomi in uno dei
quartieri più esclusivi di Boston!» sibilò a denti stretti Morgana.
«Lei crede che io lo abbia fatto di proposito? Le avevo detto di
documentarsi su Google, le ho fornito non solo l’indirizzo, ma
anche il nome del locale». Dio doveva trattenersi dal non
scoppiare a ridere. Che svampita, che meravigliosa, sexy
svampita, e la bocca, cosa si sarebbe fatto fare da quella bocca
grande, polposa.
Morgana sbollì un po’ della sua rabbia e imbarazzata ammise:
«L’ho fatto».
Ora fu la volta di Judah tenerla sotto tiro con i suoi occhi scuri e
canzonatori. «E allora? Cos’è andato storto?».
Morgana farfugliò parole incomprensibili a bassa voce. Lui si
sporse in avanti sotto gli occhi interessati della cameriera che
stava assistendo a quel battibecco. «Più forte, non la sento!»
«Non ho trovato il numero civico sulla cartina, ma giuro che ci ho
provato» squittì lei, sentendosi una perfetta idiota.
Judah poggiò le spalle allo schienale. «Morgana, lei è bellissima
stasera, l’abito le dona molto» dichiarò e la spiazzò.
L’unica cosa che seppe rispondergli fu «Grazie» e chinò il capo
per poter nascondere il rossore che le imporporava le guance. Con
poche semplici parole pronunciate da lui, tutto il suo imbarazzo si
era dissolto, lasciando il posto a quella sana compiacenza che
ogni donna prova quando le fanno un complimento e lei non ne
riceva da molto tempo, troppo.
Lo osservò da sotto le ciglia scure, lui portava una camicia
bianca semplice di lino e un paio di jeans chiari, eppure le
sembrava l’uomo più bello che esistesse al mondo. E lo era. E
sedeva al tavolo con una come lei, e lui era giovane, e lei era una
quarantenne che provava un’irresponsabile attrazione nei suoi
confronti.
Mamma mia che confusione aveva in testa! Tutto maggiormente
complicato perché lui era il suo capo.
Morgana si schiarì la voce, il silenzio tra loro due, anzi tre con la
cameriera che non si era mossa, la metteva in agitazione. «Ecco io
direi che possiamo, beh, ecco magari, forse, oh, comunque anche
lei è piuttosto carino stasera».
E così dicendo si maledì entrando a pieno titolo nella categoria
imbecilli totali!
Judah prese il menù poggiato sulla tovaglia e gli diede una
scorsa. «Carino?» e sollevò un sopracciglio.
Morgana si agitò sulla sedia. «S… sì, in… inso… so…. Somma,
io… di… di…ce… vo».
Judah nascose le labbra che si piegarono in un sorriso dietro al
menù. «Ah, la faccia finita, se no faremo notte fonda, ordiniamo».
Okay, era carino, ma anche uno stronzo di proporzioni galattiche!
«Prima lei!» lo invitò lanciandogli uno sguardo truce.
Lui prese a elencare: «Due porzioni di ali di pollo fritte piccanti,
contorno di patate, doppia porzione di nachos al formaggio e
bacon, una costata maxi a cottura media, una insalata mista e una
porzione, mi raccomando abbondante, di pasta panna e peperoni,
da bere una pinta da litro di birra rossa».
E porse il menù a Morgana che spalancò occhi e bocca. «Ma
non ha ordinato per entrambi?».
Che brutto viziaccio sollevare il sopracciglio facendola sentire
inadeguata!
«Starà scherzando, Miss Green, io non ordino mai per gli altri, lo
trovo alquanto maleducato e non divido, ci tengo a precisarlo, mai
il mio pasto con nessuno! Ordini che ho appetito!».
Morgana si arrabbiò dopo che la cameriera senza rivolgersi a lei,
ma a Judah spazientita chiese: «Per la signora magari un’insalata
scondita e un bicchierone d’acqua?».
Sbattendo il menù sul tavolo le rispose: «No! Vorrei anch’io una
porzione delle vostre ali di pollo fritte e mi porti un bicchierone
calorico, molto calorico di Pepsi, mi raccomando gelata!».
Che ragazzina impertinente, ironizzare sulla sua linea, ma
nessuno le aveva insegnato come si trattano i clienti?
Bene, lei in quel locale non ci avrebbe mai messo più piede, anzi
sandalo che le faceva un male cane, maledetti tacchi e cinturini
che le stringevano le caviglie!
Judah, le diede il colpo di grazia. «Niente dolce?».
La cameriera la guardò con aria perfida, soppesandola dalla
testa ai piedi.
Cretino all’ennesima potenza, ma insomma servirle una brutta
figuraccia, la sua per giunta, su un vassoio d’argento anzi di
plastica colorata con quella uscita della malora!
Ma lei non si lasciava piegare! Sia mai che…
«Un’enorme banana split! E abbondi con il cioccolato fuso e la
panna!».
Toh, prendi e porta a casa, io sarò vecchia e grassa, ma tu sei
un’oca maleducata e smettila di fare gli occhi svenevoli al mio
capo!
Il sorriso di Judah si allargò. «Ottima scelta, Miss Green, me ne
farà assaggiare un po’?».
Morgana lo guardò dritto negli occhi. «No, io non divido, e ci
tengo a precisare, mai il mio gelato!».
Lui scoppiò in una risata. «Okay, okay colpito e affondato».
Anche Morgana rise e la cameriera se ne andò con le pigne nel
sacco e la penna sfera infilata nel taschino della divisa rossa e
bianca a quadri in tinta con la tovaglia.
CAPITOLO SEI
Morgana non si capacitava di quanto potesse mangiare
quell’uomo. La prima ordinazione che aveva fatto Judah, cioè
quasi l’intero menù si stava letteralmente volatilizzando. Oltre a
possedere un abnorme appetito lui aveva uno strano modo di
mangiare. Per nulla vorace assaporava ogni boccone e nonostante
in quel preciso istante stesse attaccando le alette di pollo,
mangiandole con le mani, non appariva sgraziato. C’era in lui
qualcosa di affascinante in ogni gesto che compiva. Quelle grandi
mani, dalle dita forti, afferravano pezzi di pollo con delicatezza,
ogni tanto si puliva con il tovagliolo che poi ripiegava
meticolosamente. Lei era attratta da quella bocca carnosa che
mordeva con forza, la mascella che si contraeva mentre
masticava, la punta della lingua passata sul labbro inferiore per
raccogliere quella goccia di condimento…
«Miss Green, non ha appetito?».
«Eh? Oh, ecco, io…» Perché non riusciva a staccagli gli occhi di
dosso, a costo di apparire una di quelle come le chiamavano i
giovani? Milf, ecco, una vecchia sporcacciona libidinosa, così si
sentiva lei!
«Provi a darci almeno un morso, coraggio» la incitò lui, infilzando
tre maccheroni succulenti e portandoseli alla bocca.
Morgana seguì ancora una volta quel movimento. «Lei non sa
quanto vorrei darle un morso».
«Come prego?» chiese lui restando con la posata a mezz’aria e
allargando le labbra in un sorrisetto allusivo.
Cosa diamine le era sfuggito dalla sua boccaccia!
Morgana divenne del colore della candela porpora al centro della
tavola, avvampando peggio della fiammella che riverberava
tremolando. E un po’ tremò anche lei, dopo quella gaffe tremenda.
Lesta prese coltello e forchetta e ce la mise tutta nell’infilzare una
stupida aletta e staccare un minuscolo pezzetto di carne con la
lama.
«Che diavolo sta facendo, il pollo si mangia con le mani!» la
riprese, Judah, divertito.
Morgana non volle dargli retta e ci riprovò. «Io non mangerò un
bel niente con le mani, sia chiaro» e giù un altro fendente calibrato,
l’aletta prese il volo e schizzò fuori dal piatto planando sulla
tovaglia e imbrattandola.
Judah si stava divertendo un mondo, la goffaggine di quella
donna lo inteneriva e allo stesso tempo lo intrigava, che fosse così
tremendamente impacciata anche nel sesso?
Ora il perché ogni cazzata facesse la fatina lo riportasse sempre
sul piano erotico, era un mistero.
Ma lei lo irretiva, era una donna oltre che bellissima anche tanto
ingenua e allo stesso tempo genuina e, cosa che lo stimolava
maggiormente, gli teneva testa; al momento giusto era in grado di
metterlo in riga con una semplice, sincera, pungente battuta.
Ma che si ostinasse a maciullare quelle povere alette con il
coltello e la forchetta, no, no non lo sopportava!
«Metta giù quegli arnesi infernali, sta riducendo la tovaglia a una
scena del crimine, ha torturato abbastanza quel povero pollo!».
Morgana protestò animosamente. «Se lei crede che io…» e via
un’altra aletta che planò accanto al piatto di lui. Gente le lanciava
come fossero missili.
Judah, ormai a un passo dal dare fuori di matto per quello
scempio, prese l’aletta che lei gli aveva fatto arrivare accanto al
piatto e la spezzò in due.
«Tenga, e posi le posate, come le ho già ripetuto sino alla
nausea il pollo si mangia con le mani».
Morgana osservò di sbieco il boccone che lui le stava porgendo.
«Io… beh, non so».
Judah le parlò con molta calma, come se dovesse rivolgersi a
una bimba che faceva i capricci. «Coraggio, si guardi attorno, la
vede quella signora al tavolo di fianco, sta mangiando pollo e lo fa
con le mani, se non lo addenta, Miss Green, si perderà tutto il
divertimento e le assicuro che il sapore sarà sublime, forza».
Morgana aveva un’ottima motivazione radicata in sé per rifiutarsi
di mangiare cibo con le mani, a Jim, che proveniva da una famiglia
rigida sia nei principi sia nell’educazione a tavola, non piaceva che
lei usasse le mani a tavola. Ci aveva provato una volta con un hot
dog che si era comprata all'uscita del supermercato a un
banchetto all’angolo della via dove risiedeva, sperando di
gustarselo prima del rientro dal lavoro del marito, ma il caso volle
che lui tornasse in anticipo e la sorprendesse a mangiare seduta
sul divano davanti al televisore. Si arrabbiò molto e la punì
crudelmente. Ogni qualvolta Judah la incitava a mangiare quelle
alette, lei sentiva il sibilo dello scudiscio che Jim era solito usare
per colpirla sui palmi delle mani aperte e se fuggiva la riempiva di
cazzotti.
Ma Jim non c’era più…
E Judah le appariva diverso, nonostante possedesse un
carattere piuttosto burbero e volitivo, non la intimoriva, anzi le dava
un certo senso di sicurezza.
Judah notò il cambiamento dell’espressione nei meravigliosi
occhi celesti di lei, vi lesse prima un’ombra di terrore e poi una
profonda tristezza.
«Miss Green, forse dovrebbe ordinare qualcosa che possa
mangiare con le posate, scelga ciò che più le piace, se non le va di
usare le mani non c’è alcun problema, ma se insiste nel voler
infilzare questo povero pollo, temo che non riuscirà a gustarsi nulla
poiché lo sta disintegrando» e così dicendole lasciò cadere la
porzione di pollo nel suo piatto.
Morgana prima osservò il volto di lui, poi l’aletta che giaceva nel
piatto ormai ripulito.
Jim non c’è più, lui non è Jim, lui non ti farà del male, si ripeté.
Morgana sussurrò. «Voglio farle una domanda, Judah».
Lui si sporse in avanti. «Spari!».
La donna si fece coraggio: «Lei… lei sarebbe in grado di fare del
male a qualcuno?».
Judah restò per una frazione di secondo a soppesare
l’interrogativo, poi rispose con sincerità: «Sì, sarei in grado, ma
soltanto per difesa, mai per attacco, se si riferisce al ragazzo sulle
strisce pedonali sapevo perfettamente che se la sarebbe data a
gambe».
Morgana tenendo sempre gli occhi sull’aletta nel piatto di lui
mormorò: «Non mi riferivo a quello, forse dovrei essere più chiara,
sarebbe in grado di fare del male a una…» e la voce le morì in
gola, lasciò andare un lungo sospiro e scosse il capo. «Non fa
niente, a volte dico cose senza senso».
Ma lui la incoraggiò: «A una? Forse intende a una donna,
Morgana, è questo quello che vuole sapere?».
Lei restò a capo chino. «Sì…» ammise in un soffio appena
udibile.
Judah fu tentato di chiederle il perché di quella domanda, ma
vedendola tanto mortificata e allo stesso tempo scossa, non lo
fece, si limitò ancora una volta a risponderle con sincerità.
«No, Morgana, mai e quando dico mai è anche nel caso io fossi
minacciato, a meno che la donna in questione non stesse
minacciando qualcuno a cui tengo tanto».
I loro sguardi si scontrarono, il silenzio cadde tra di loro.
Tutto attorno scomparve il vociare proveniente dai tavoli vicini.
Furono pervasi da una strana connessione e il mondo esterno non
doveva farne parte.
Morgana lo percepì sulla pelle, una lenta, rassicurante, invisibile
carezza.
La mano di lei si mosse lentamente e con le dita che le
tremavano afferrò l’aletta nel piatto. Judah si mosse
prudentemente e le sfiorò il dorso con l’indice, piano, leggero come
una piuma.
La pelle di Morgana si riscaldò a quel tocco, ma non si ritrasse. A
lui parve ancora più indifesa e il senso di protezione che sentiva
nei suoi confronti accrebbe, coprì la mano di lei con la sua. «Va
tutto bene, Morgana, qualsiasi cosa le sia successo con me non le
accadrà, glielo prometto, e adesso mangi tranquillamente con le
mani».
Quell’affermazione la colpì dritta al centro del cuore, era come…
come se lui sapesse leggerle dentro. In lui era un criminologo, uno
abituato a intuire cosa si celasse nel più profondo dell’animo
umano, eppure…
Annuì e senza proferire parola si portò alla bocca il boccone,
diede un morso e quel gesto per lei fu liberatorio, un pezzo di Jim
se ne stava andando e gli occhi profondi di Judah furono l’àncora
alla quale si aggrappò, assaporando estasiata il salato e il piccante
che si sprigionavano nella sua bocca.
Senza rendersene conto emise un gemito di piacere. Gli occhi di
Judah si fecero torbidi, le iridi scure s’incupirono e lei si guardò
attorno imbarazzata. «Mi scusi, ma è davvero squisito».
«Morgana lei è una fata o forse una strega».
Lei mandò giù il boccone. «Come scusi?».
Judah non si pentì di aver dato voce ai suoi pensieri, lei sapeva
tessere magie avviluppanti con i suoi gesti spontanei, lei lo attirava
nelle maglie di un incantesimo e gli faceva desiderare di
possederla; di stringerla tra le braccia; di baciare quella bocca
grande dalle labbra tumide; di affondare le dita nella carne delicata
dei fianchi; di entrarle in fondo e sentirla gemere ancora e poi
ancora gridando il suo nome mentre si aggrappava alla sua
schiena. Sì, lei era una fata e allo stesso tempo una stupenda
strega incantatrice.
«La prego, non mi guardi così mi mette a disagio» lo supplicò lei
imbarazzata.
Judah afferrò la mano che lei aveva posato accanto al piatto e lei
provò a ritrarsi, ma lui la tenne stretta intrecciandovi le dita. «Non
può scappare all’infinito dalle sue emozioni, Morgana».
Lei torse il polso. «Quali emozioni, la smetta ci stanno guardando
tutti!».
«Di cosa ha paura, Morgana? E cosa gliene importa del giudizio
degli altri?».
Lei diede un altro strattone. «Non voglio apparire ciò che non
sono! Mi lasci e basta lei è il mio capo e ci conosciamo da meno di
quarantotto ore! Smetta di giocare e di prendermi in giro! Si è
divertito abbastanza, mi lasci ho detto!».
Lui non mollò la presa. «Credi che io stia giocando con te? E
dimmi a che gioco starei giocando?».
«Mi lasci!» sibilò tra i denti. Gli occhi le si inumidirono, stupide
emozioni, stupido lui, stupida lei che si stava rendendo ridicola!
Lui incontrò il suo sguardo bellissimo, così blu da naufragarci
dentro e tanto sconvolto. «Ti prego, Judah, lasciami, è sbagliato»
sussurrò lei.
Lentamente lui slegò le dita dalle delicate di lei. «Mi dispiace, se
ti ho creato tutto questo scombussolamento, ma non puoi negare
l’attrazione che c’è tra di noi».
Morgana sollevò il mento. «Quale attrazione? Judah, ti rendi
conto che io e te abbiamo dodici anni di differenza? Ti rendi conto
che sei l’uomo che mi paga e io sono la tua assistente? Ti rendi
conto che queste sono molestie sul lavoro?».
Lui sollevò un sopracciglio. «Quale molestie, ti ho tenuto la
mano, comunque se vuoi parlare di lavoro d’accordo».
Lei sostenne il suo sguardo che adesso si era fatto gelido.
«Questa è una cena di lavoro, Judah».
Lui poggiò le spalle allo schienale. «Mettiamo le cose in chiaro,
non ti ho invitato fuori a cena per lavoro».
Morgana fu colpita dalla sua schiettezza, quell’uomo diceva
sempre quello che gli passava per la testa, praticamente non
aveva filtri. «E per quale recondito motivo allora?».
Lui le sorrise, un sorrisetto ironico. «Che importanza ha, in fondo
abbiamo dodici anni di differenza, io sono il tuo capo, colui che ti
paga per essere la sua assistente» puntualizzò.
Lei fu offesa da quella uscita. «Appunto riportiamo le cose sul
piano strettamente personale».
Judah richiamò la cameriera che li raggiunse immediatamente
dopo aver schiaffato il piatto davanti a un signore di mezza età che
la guardò irritato.
«Sì, signore, le serve altro?».
«Il conto, grazie» rispose freddo.
Morgana si intromise: «Ma il mio gelato?».
Judah con un gesto della mano la liquidò: «Domani mattina ti
voglio in ufficio per le sette in punto, dobbiamo analizzare i
fotogrammi dei due delitti e ho bisogno che tu raccolga i miei
appunti in un file sul tuo pc, quindi il gelato dovrai scordartelo».
Morgana sbuffò: «Lo stai facendo di proposito vero? Vuoi farmela
pagare».
Judah afferrò la carta di credito e la infilò nel lettore che la
cameriera reggeva, tutta impettita, mostrandogli la mercanzia «No,
Morgana, sto riportando il nostro rapporto sul mero piano
professionale e adesso andiamo, si è fatto tardi».
La cameriera con un gesto del capo gli indicò il foglietto sul
tavolo con il suo recapito telefonico.
Morgana seguì quel gesto e non le ci volle molto tempo per
intendere cosa vi fosse scritto. Anche Judah si rese conto che la
sua fata aveva inteso e lo prese. Lei si alzò un po’ troppo
bruscamente e gli voltò le spalle.
«Posso chiamare un taxi se hai da fare» lo sfidò.
«Ho detto che ti riaccompagno a casa e lo farò».
Si voltò rabbiosa pronta a cantargliene quattro, ma si arrestò,
Judah aveva preso la mano della cameriera facendole cadere il
foglietto nel palmo.
«Mi dispiace, tesoro, ma non voglio e non posso, grazie
comunque sei davvero tanto carina».
Poi si rivolse a Morgana lì impalata. «E tu cammina».
Lei fumante a grandi passi raggiunse l’uscita, gli bastarono due
falcate per esserle di fianco e aprirle la porta, l’aria frizzante la
colpì facendola rabbrividire, mentre raggiungevano il parcheggio
lei non seppe tacere: «Ti rendi conto che dicendole così le hai fatto
pensare che io e te fossimo…».
Judah la prese sotto braccio.
«Fossimo cosa? Io sono soltanto il tuo capo e lei non mi piaceva
tutto qui.» Le aprì la portiera passeggero. «Sali e smetti di dire
cazzate».
Durante il viaggio non parlarono, Morgana si malediva ogni
cinque minuti, Judah era, beh… si stava divertendo un mondo, la
sua streghetta era gelosa. E pensare che l’unica che lui voleva
sotto di sé, sui sedili ribaltabili, era proprio lei, ma era troppo
inibita. Tutta la manfrina sulla differenza di età, la stronzata del
capo e assistente, l’apoteosi della cagata sulle molestie sul lavoro,
lui voleva scoparsela, lei voleva farsi scopare, dove stava il
problema? Quante cazzo di fisime aveva?
Eppure, c’era dell’altro che lo tratteneva, i pezzi lentamente
stavano andando al loro posto, le cicatrici lasciate sul suo ventre,
la domanda riguardante se lui fosse in grado di fare del male a una
donna. Lei lo temeva, o peggio temeva gli uomini, quel figlio di
puttana del suo defunto marito le aveva… No, non ci voleva
pensare, anzi sì doveva pensarci, doveva andarci molto cauto con
lei, doveva…
Forse ha ragione lei, ha mille ragioni per tenerti lontano, e allora
lasciala in pace! Provò a convincersi.
«Qui, io abito in quel palazzo.» La voce incerta di lei lo
scaraventò fuori dalle sue elucubrazioni mentali.
Rallentò e parcheggiò davanti al caseggiato. «Carino e
scommetto che alloggi all’ultimo piano e non c’è l’ascensore».
Morgana spalancò gli occhi. «Come fai a saperlo?».
«Semplice deduzione, è l’unico appartamento con le persiane
chiuse, per l’ascensore bah, ho tirato a indovinare anche se dalla
struttura credo che il palazzo non abbia lo spazio per all’alloggiare
un ascensore. Elementare Watson».
Morgana tirò un sospiro. «Non paragonarmi al povero Watson,
Sherlock Holmes a volte lo faceva apparire un perfetto idiota».
Afferrò la maniglia e spalancò la portiera uscendo dall’abitacolo.
««Beh, io allora vado, grazie del passaggio, ci vendiamo domani
mattina».
Judah saltò giù dall’auto e la raggiunse, lei aveva raggiunto il
portone d’ingresso in tutta fretta. «È così che ti senti? Un’idiota?»
le chiese.
Morgana si voltò di scatto. «Cosa vuoi da me, Judah, perché
continui con i tuoi giochetti psicologici!». Lui avanzò di un passo e
lei si appiattì al muro. «Judah, per favore, è tardi e qui mi
conoscono tutti, non vorrei che il signor Calder rientrasse proprio
adesso dal suo giretto con il cane».
Lui poggiò una mano sull’intonaco sgretolato proprio accanto alla
sua testa. «E quindi, Morgana, cosa potrebbero vedere di così
disdicevole il signor Calder e il suo cane?».
Morgana si attaccò, per quanto possibile, ancora di più al muro, il
freddo contro la schiena nuda le diede un brivido o forse era la
vicinanza di lui. «Sei troppo vicino, Judah» sussurrò.
Lui si chinò, i loro volti a un soffio, lei percepì il suo alito caldo
sulle proprie labbra, le dischiuse istintivamente. «Judah, ti prego».
Lui vagò con gli occhi sul volto di lei.
«Sei bella da morire Morgana», la voce roca la avvolse, lei non
sentiva più freddo, ma un calore liquido le si insinuò nello stomaco,
discese fino a un punto ben preciso, un punto segreto, intimo, gli
slip le si inumidirono e lei si vergognò di quella reazione.
Lui era così bello, la sua bocca una tentazione. La voleva quella
bocca, sulla sua, sulla sua pelle, dappertutto!
Judah, la incitò nella sua mente, forza bella fatina, dai ci siamo
quasi…
Si avvicinò maggiormente e sfiorò con la bocca quella di lei.
Morgana si sporse in avanti e lui le passò la lingua sul labbro
superiore, un tacito comando a dischiudere di più la bocca così
erotica e sensuale che lo faceva impazzire.
Lei era pronta, lei non doveva, lei lo voleva, ma era tutto
sbagliato! Lei era sbagliata, lei era rotta, possedeva profonde
crepe che nessuno mai più avrebbe potuto riparare, se lo era
ripromesso, mai più con un uomo e adesso Judah era piombato
nella sua vita piatta, e nel giro di due giorni la stava sconvolgendo,
era troppo, troppo!
Sgusciò da sotto al braccio che lui teneva poggiato alla parete.
«Scusa devo andare, e … non potrebbe funzionare fattene una
ragione».
Gli voltò le spalle afferrando il maniglione del portone; poi udì la
voce di lui: «No, Morgana, sei tu che devi fartene una ragione, ciò
che senti, che provi quando ti guardo, quando ti sono vicino».
Lei non si voltò. «Se continui così darò le dimissioni stasera
stessa, Judah».
Lui sollevò le mani in segno di resa anche se lei non poté
vederlo. «D’accordo, come vuoi, ti lascerò in pace, ci vediamo
domani mattina».
Morgana spalancò il portone. «Va bene, buona notte» e fuggì su
per le scale.
Judah risalì in auto e mise in moto; sì, l’avrebbe lasciata in
pace… per quella sera di sicuro e partì.
In un altro frangente sarebbe andato a sfogare la sua
frustrazione in un pub, un paio di birre, una bella bionda da portarsi
a casa per spassarsela un paio d’ore rotolando tra le lenzuola. Ma
la verità era che non ne aveva voglia, lui voleva la sua fatina
ritrosa, gli camminava nella mente con i tacchi goduriosi e
comunque l’avrebbe avuta era solo questione di tempo.
CAPITOLO SETTE
Le sei e cinquantaquattro del mattino, Morgana diede una breve
occhiata all’orologio da polso, era in anticipo sull’orario concordato
per il suo terzo giorno di lavoro.
Mentre scostava il portone, che si aprì con il solito cigolio,
osservò la scala che portava al piano superiore, strinse le dita sul
corrimano, indecisa se salire. Con il piede poggiato sul primo
scalino, si soffermò a pensare alla serata precedente.
Era mancato davvero poco, un soffio, un battito d’ali di farfalla e,
se non fosse fuggita, Judah l’avrebbe baciata. Lei aveva
desiderato il suo bacio, ma la razionalità aveva preso il
sopravvento.
Sospirò e si convinse, o almeno ci provò, che aveva fatto la cosa
giusta nel troncare la situazione sul nascere. Una situazione
sbagliata, una situazione irrazionale, Judah era irrazionale!
Mosse il primo passo, il cuore in subbuglio, lo stomaco contratto
in una morsa fastidiosa.
Forza Morgana, dimentica e prosegui si intimò.
Capo chino, sguardo fisso sui sandali in vernice nera che non
sapeva per quale motivo avesse calzato. A chi voleva darla a bere,
certo che sapeva perché li aveva indossati, c’era una strana
morbosa motivazione: dopo un’eternità, grazie alla serata
trascorsa con Judah, lei si era sentita bella, attraente, e quindi il
vezzo di portare tacchi vertiginosi le lasciava una parte di quella
sicurezza, nella sua femminilità, che lui aveva fatto rifiorire.
Ferma sulla porta, non sapendo se bussare o aprirla con finta
naturalezza, si concesse ancora un po’ di tempo per riordinare le
idee e riprovare a convincersi che cedere alle avances del suo
capo fosse un errore che avrebbe pagato a caro prezzo. In fondo
lui la voleva per sesso e lei non era avvezza a concedersi per
un’effimera passione che sarebbe durata il tempo di un amplesso
sicuramente appagante, ma con strascichi penosi, quali: perdere la
propria dignità e il lavoro del quale aveva un disperato bisogno.
Doveva resistere al fascino magnetico di Judah e mantenere il
loro rapporto sul piano strettamente professionale.
Inspirò e si accinse a dare un colpetto con le nocche alla porta
che si spalancò facendola rimanere con il braccio sollevato, Judah
la osservò sovrastandola con tutta la sua imponente prestanza.
Maledizione lui era… era… Magnifico!
I lunghi capelli che gli sfioravano le spalle, gli occhi con la strana
luce ipnotica, le labbra carnose strette in una smorfia di
disappunto. La sua bocca lei ne era attratta da quando l’aveva
vista per la prima volta.
Dannazione!
Tre giorni, tre cavolo di giorni e lei si era presa una sbandata di
proporzioni stratosferiche per l’uomo che la osservava con
malcelata irritazione dipinta sul volto, dai tratti perfetti e che la
barba rendeva terribilmente attraente.
«Vuoi entrare o ti sposto la scrivania tra la soglia e il corridoio,
dove hai piantato radici?».
Lei annuì e, a testa bassa, lo superò andando a sedersi alla sua
postazione. Abbozzò un sorriso di circostanza, ma si sentiva in
imbarazzo, ogni qualvolta il suo sguardo incontrava quello del suo
boss. Si schiarì la voce: «Bene, qual è il mio compito? Vuoi che
incominci a catalogare i file dei tuoi appunti?».
Judah si frugò nella tasca dei jeans neri e ne estrasse un drappo
bianco che gettò sul pianale accanto al PC di lei.
«Comincia da questi».
Morgana gli scoccò uno sguardo interrogativo. «Non ho ben
inteso».
Judah le voltò le spalle e si accomodò dietro alla sua
mastodontica scrivania, che non lo faceva apparire meno
imponente nella sua fisicità. Con un cenno distratto della mano le
indicò il pezzo di stoffa: «Lì, ci sono i miei appunti, tu segretaria io
capo, tu leggi gli appunti del tuo boss e trascrivi, chiaro il
concetto?».
Morgana si offese per quel modo da stronzo che trattandola
come una sorta d’imbecille.
«Puoi anche essere un po’ più gentile, e usare un tono meno
sarcastico, anche perché è strano che gli appunti vengano
segnati…» così dicendo dispiegò il drappo e assottigliò le palpebre
fulminandolo con lo sguardo affilato, «… su un tovagliolo, hai
scritto i tuoi appunti su un tovagliolo! E da quello che vedo dalle
iniziali hai trafugato il tovagliolo da uno dei ristoranti più chic di
Boston! Quindi devo dedurre che non frequenti solo tavole calde,
ma anche locali rinomati!».
Non sapeva nemmeno lei il perché, ma si sentiva offesa
dopotutto lui l’aveva portata fuori a cena in un localino alla mano e
magari nel ristorante di lusso si era intrattenuto con un’altra donna
che riteneva migliore di lei!
Judah piegò le labbra in un sorriso luciferino, aveva inteso ciò
che stava macchinando nella sua stupenda testolina.
«Proprio così, qualcosa da obiettare?».
Morgana avvicinò la sua poltroncina e prese a battere i tasti
rabbiosamente. «Cosa ti fa pensare che io abbia qualcosa da
ridire, sono affari tuoi, trovo comunque irrispettoso e disdicevole
fregare tovaglioli al ristorante, tutto qui!».
Judah le lanciò un’occhiata di scherno. «Sai Morgana, io faccio
un sacco di cose come le chiami tu disdicevoli, alcune credimi
sono estremamente piacevoli, in particolar modo se si fanno in
due, a volte, ma raramente in tre, e di solito lo faccio assieme a
una o due donne, comprendi o devo farti un disegnino
esplicativo?».
Morgana si morse la lingua, il vaffanculo ce l’aveva proprio sulla
punta e stentava a tenerlo a freno. «Non mi interessa quanto fai su
un letto e con chi, sei un pallone gonfiato, e continuo a pensare
che sei anche irrispettoso, perché denigri le donne che hanno la
sfortuna di frequentarti!».
Judah trattenne una risata, oh sì, sì gliele aveva cantate per
bene la sua fatina, che caratterino tirava fuori quando era gelosa,
la adorava. Ce la mise tutta nel mantenere un tono serio: «Tu la
chiami sfortuna io fortuna sfacciata per coloro che hanno il
privilegio di intrattenersi con me, vedi Morgana io mi adoro entrare,
ecco entrare è il termine giusto, entrare tra le loro grazie».
Morgana cancellò per l’ennesima volta la frase che aveva
trascritto, con evidenti errori di battitura dovuti alla insostenibilità di
quella conversazione.
«Judah, tu sei il mio capo e preferirei che discutessimo di lavoro
e non della tua vita privata di cui, per inciso, non me ne importa un
accidenti».
Quando era arrabbiata, era ancora più bella, pensò.
«D’accordo, hai ragione tu, sei soltanto la mia assistente,
manteniamo le dovute distanze e definiamo i ruoli, quindi…» Si
sollevò quel tanto che bastava per frugarsi nella tasca posteriore
dei pantaloni, lei non poté fare a meno di piantare lo sguardo sugli
addominali contratti che si intravedevano sotto il tessuto della t-
shirt nera, le lanciò sulla scrivania una manciata di banconote.
«Ora fai la brava segretaria, e vai a comprarmi un caffè allo
Starbucks a due isolati da qui».
Morgana non scollò il didietro dalla poltroncina. «Scusa, non hai
una macchinetta del caffè qui? Potrei fartene uno».
Un pesante tonfo e gli anfibi numero tredici e mezzo calarono
sulla scrivania, Judah poggiò mollemente le spalle allo schienale
che si piegò all’indietro, sotto al suo ragguardevole peso,
nonostante non possedesse un filo di grasso, la guardò in tralice.
«Miss Green, lei seguita a contraddirmi e sta assumendo un
comportamento censurabile, è nelle sue specifiche mansioni
portare un caffè al suo capo».
Morgana scattò in piedi, verde di rabbia. «Ora usiamo un tono
formale?».
Judah si piegò in avanti perforandola con uno sguardo beffardo,
maligno. «Definisco i ruoli, Miss Green, mi sembra che lei stessa
me lo abbia ricordato».
Lei fece scattare in avanti il mento, raccogliendo tutto il suo
contegno. «Giusto, dov’è questo Starbucks?».
Schiodando gli anfibi dalla scrivania e, poggiando i gomiti sul
pianale, la trapassò con le sue iridi scure irriverenti. «Due isolati da
qui, faccia in fretta mi piace caldo».
Stirò le labbra serrando i denti che voglia di strozzarlo, insomma
le mancavano parecchio per poter circondare con le dita quel collo
taurino, ma ce l’avrebbe messa tutta nel fargli tirare le cuoia,
comunque mandò giù un fiotto di rabbiosa bile.
«Ma certo, Mister Marschall, farò il più in fretta possibile per
accontentarla.» E a grandi passi raggiunse la porta, la aprì con
grazia e poi uscendo la sbatté così forte che il suono secco
riverberò nel petto di Judah, che si lasciò andare a una sonora
risata.
Ragazzi che camminata e quei jeans da infarto che le fasciavano
il culo tondo in maniera perfetta. Le avrebbe dato più che volentieri
un morso sul didietro morbido e libidinoso, tanto per metterla in
riga e domare il suo caratteraccio bizzoso, calmarla a suon di baci,
invadendo con la lingua la bocca sensuale e irriverente.
Mezz’ora più tardi Morgana percorreva la via in forte pendenza
che conduceva all’ufficio, i ciottoli appuntiti sotto le suole dei
sandali la torturavano, a ogni passo una fitta insopportabile di
dolore.
Maledetto bastardo nemmeno si rendeva conto di cosa
comportasse portare i tacchi per tutto il santo giorno ed erano
soltanto le otto e trenta del mattino!
Strinse il bicchiere in carta contenente il caffè, immaginando
fosse il collo del suo boss.
Omicidio premeditato e una sfilza di attenuanti generiche! Quale
giudice non si sarebbe impietosito ascoltando le fondate ragioni
che l’avevano spinta a far fuori uno dei più famosi criminologi degli
Stati Uniti! Aveva scoperto che il suo capo era una persona nota,
quando la sera prima, non riuscendo a dormire perché agitata da
quanto successo a cena, aveva fatto delle ricerche su Google.
In lontananza vide il caseggiato in mattoni a vista.
Dio sia lodato! Un fulgido rassicurante miraggio verso l’agognata
destinazione.
A un tratto lo smartphone che teneva nella tasca posteriore dei
jeans attillati prese a squillare. Chi poteva essere? Morgana
sollevò gli occhi al cielo, l’unico che possedeva il suo recapito
telefonico era Judah! Con furia estrasse il telefonino e se lo portò
all’orecchio.
«Cosa c’è adesso!?» latrò. Dall’altro capo la voce di lui la scaldò
e allo stesso tempo la irritò.
«Miss Green, mi sono dimenticato di chiederle di portarmi una
dozzina di ciambelle, le prenda nella pasticceria che fa angolo
proprio accanto a Starbucks, le fanno deliziose, le mie preferite, le
dispiacerebbe…».
Non gli permise di terminare la frase: «Sì, mi dispiace eccome,
sono sotto al portone! Non potevi dirmelo prima? Hai una vaga
idea di cosa significhi ritornare indietro?».
«Miss Green, non usi quel tono con me e in qualità di suo datore
di lavoro le impongo di portarmi le ciambelle e darmi del lei!».
Morgana perse il briciolo di pazienza che le era rimasta.
«Falla finita! Tutta questa sceneggiata perché ieri sera ti ho dato
un due di picche! Vuoi le tue cazzo di ciambelle? D’accordo, vado,
ma quando torno faremo i conti! Sei un maledetto despota!» e
riattaccò la comunicazione.
Fece dietro front e, nonostante i piedi le facessero un male boia,
rifece la strada che naturalmente la mise a dura prova essendo in
salita. Procedeva furibonda e talmente impettita che mise un tacco
in fallo e si guadagnò una storta che le fece digrignare i denti e
vedere le stelle.
«Vaffanculo!» strillò e due uomini in giacca e cravatta la
osservarono piuttosto divertiti. Lei fece un’abile mossa da
giocoliere per mantenere il precario equilibrio e salvare il bicchiere
del caffè del grandissimo figlio di puttana.
Uno dei due le si accostò, lanciandole un sorrisetto di
apprezzamento, che diamine lei era in difficoltà e questo le faceva
gli occhi da triglia!
«Mi scusi, bella signora, serve aiuto?» si prodigò lui. Lei era al
colmo della pazienza, le mancava tanto così per dare fuori di
matto!
Raddrizzando le spalle e, cercando un contegno, gli rispose
piccata: «No grazie, è tutto a posto, se vuole scusarmi…» e lo
scartò meglio di un centrocampista.
L’uomo la seguì: «Volevo soltanto essere gentile, perché sta
scappando, aspetti…».
Guarda te, le toccava fare la maratona sui tacchi per seminare
un bell’imbusto che non aveva niente da fare se non importunare
una povera assistente tiranneggiata dalle improbabili richieste del
suo capo, ripicche per l’esattezza!
A un certo punto si voltò: «Le ho detto che non ho bisogno di
nulla, ma lei non ce l’ha un lavoro?» si informò, trafiggendolo con
un’occhiata assassina. .
L’uomo si arrese e sollevò le mani in segno di resa «Lei ha un
caratterino davvero permaloso».
Morgana strinse la mascella: «E pensi che soltanto tre giorni fa
avevo paura della mia ombra, ma lasciamo stare.» Gli girò le
spalle lasciandolo di sasso sul selciato.
Mentre entrava nella pasticceria fu avvolta dal profumo di
vaniglia e torta alle mele. Inspirò beandosi dell’aroma paradisiaco,
non c’erano molti avventori, si mise in fila dietro a una coppia di
giovani fidanzatini che si tenevano per mano. Che carini, si
prendevano in giro scegliendo buffi dolcetti di cioccolata a forma di
animaletti stilizzati l’uno per l’altra.
Attendendo il suo turno, si prese il tempo per ragionare su ciò
che aveva detto all’uomo maltrattandolo ingiustamente. lei nel giro
di soli tre giorni era cambiata radicalmente, o almeno aveva
acquisito maggiore sicurezza in se stessa, permettendosi persino
di contraddire un uomo, di tenergli testa, manifestando il suo
dissenso, e piuttosto animatamente.
La cosa strana era che con Jim non avrebbe mai potuto
nemmeno aprire bocca e dare adito ai suoi pensieri. Con Judah
era diverso, lui la provocava, la faceva arrabbiare tantissimo,
dileggiandola, eppure sapeva che se anche avesse superato la
linea di demarcazione nel manifestare il suo dissenso lui non le
avrebbe mai fatto male.
Certo la riprendeva aspramente, usando una pungente, spesso
irritante, ironia, ma lei pensava fosse insito nel carattere schietto e
burbero. Tuttavia sapeva di essere al sicuro con lui. Al sicuro dagli
altri, al sicuro quando erano soli in una stanza, e aveva perso, in
quei tre giorni, l’abitudine di cercare una via di fuga.
Poi c’era la storia assurda che lui la voleva, la desiderava… E lei
ne era attratta, era così difficile non cedergli…
«Signora, in cosa posso servirla?».
Morgana sollevò gli occhi e ne incontrò un paio neri, dal taglio
orientale. Lei vi lesse allegria e uno strano senso di empatia.
Sorrise alla donna dai tratti asiatici e dagli invidiabili lunghi capelli
neri lisci e lucidi, le piovevano sulle spalle esili racchiuse nella
camicia bianca, il fisico asciutto, avvolto nel grembiule nero legato
dietro alla vita sottilissima, sporgendosi verso la vetrinetta del
bancone le disse pensierosa: «Vorrei delle ciambelle, una
dozzina».
L’altra donna le indicò un vasto assortimento: «Quali preferisce?
Ne abbiamo alla cannella e zenzero, ripiene di cioccolato bianco,
al caramello, ah, queste sono speciali colme di una deliziosa
confettura ai mirtilli».
Ah, e adesso? Judah non le aveva specificato quale tipo di
ciambelle desiderasse. Sospettava che se avesse sbagliato la
scelta lui l’avrebbe rispedita indietro a comprare quelle che
preferiva senza se e senza ma!
Che lo avesse fatto appositamente per metterla in difficoltà?
A malincuore estrasse lo smartphone, chiamarlo le costava
peggio che una estrazione dentale senza anestesia, ma ne aveva
abbastanza di fare su e giù per isolati indossando quei maledetti
sandali.
«Mi scusi solo un momento, non sono per me» e si accinse a
pigiare il tasto di chiamata, quando la donna dietro al bancone le
sorrise complice.
«Sono per suo marito?».
Morgana spalancò la bocca in segno di protesta e sdegno: «Ma
nemmeno se fosse l’ultimo uomo rimasto sulla terra, è il mio datore
di lavoro, una vera spina nel fianco!».
L’altra rise: «Ma è davvero così terribile, forse lo conosco anche
se sono solo due mesi che ho aperto la pasticceria, mi sono
trasferita da poco, volevo cambiare aria dopo il mio divorzio».
Morgana tergiversò stendendo il braccio e stringendo tra le dita il
telefonino.
«Oh, mi dispiace per il suo divorzio, mi rendo conto che cambiare
aria a volte può essere una necessità».
La pasticciera le tese la mano allungandosi sul bancone, era
davvero una cosina carina, piccola di statura e dovevano essere
anche coetanee: «Piacere, Yuriko, e si è stato davvero necessario
fuggire da Los Angeles, non sto a raccontarti di dove e in quali
circostanze ho trovato il mio ex marito, ti basti sapere che mi ha
tradita e non con un’altra donna».
Morgana sgranò gli occhi: «No! Non ci credo lui… lui è? Ma da
quanto tempo eravate sposati?»
Yuriko rise: «Dieci anni, e non me ero mai resa conto.» Le lanciò
un’occhiata allusiva.
«Ti rendi conto che ci stiamo raccontando le nostre sventure e ci
conosciamo da solo quindici minuti.» ridacchiò Morgana.
L’altra fece spallucce: «Mi sei simpatica, hai un’aria rassicurante
e poi non conosco nessuno a Boston, devo ancora ambientarmi».
«Se è per quello io ci vivo da più di dodici anni, ma la conosco
pochissimo, non ho messo spesso il naso fuori di casa».
Yuriko le chiese: «E tu sei sposata?».
Morgana sospirò: «Vedova».
«Oh, mi dispiace!» esclamò comprensiva la sua nuova amica.
«È una lunga storia e ormai ci sto facendo l’abitudine, comunque
se ti va qualche volta possiamo uscire assieme» le disse
speranzosa, era la prima volta che si apriva con un altro essere
umano, per la precisione Yuriko era il secondo essere umano con
il quale aveva interagito, il primo era il suo boss, la canaglia.
Yuriko si schiarì la voce, con un nodo in gola di commozione: «Sì
mi farebbe piacere, ti lascio il mio recapito telefonico, e sai dove
trovarmi, resto in pasticceria sino alle otto».
Morgana osservò lo screen dello smartphone: «Sai come posso
memorizzare il tuo numero su questo aggeggio infernale?».
Yuriko rise: «Sei forte sai, dai qui» e le tese la mano.
Morgana le fece cadere sul palmo l’apparecchio e Yuriko
armeggiò tutta concentrata: «Noi giapponesi ne sappiamo una più
del diavolo quando si tratta di tecnologia».
Poi sobbalzò: «Sta suonando, credo sia il tuo capo» e glielo
restituì.
Lei se lo mise all’orecchio, le tremava la mano, ma non voleva
darlo a vedere, lui doveva essere un tantino arrabbiato, in fondo il
suo caffè ormai era una brodaglia gelida. «Sì… sì… pro… pro…
pro…».
«Falla finita con questo pro… pro… della malora, dov’è il mio
caffè e le mie ciambelle, sei andata in Danimarca con un volo di
sola andata ad acquistarle?» la investì iracondo.
Morgana si gonfiò, sbuffando lo attaccò a sua volta: «Falla finita
tu! Sto arrivando, piuttosto dimmi quale tipo di ciambelle vuoi!».
Judah rise e lei si arrabbiò maggiormente: «Tira a indovinare,
mia bella fatina».
Stingendo il cellulare sino a farsi sbiancare le nocche lo assalì:
«Tira a indovinare un corno! Sia mai che mi fai ritornare indietro se
non sono di tuo gradimento, e tanto che ci siamo il tuo caffè è
andato, ormai è più gelido dei ghiacciai della Groenlandia, e se ti
azzardi a chiedermi di tornare da Starbucks e farmi rifare la fila
giuro che non risponderò più di me! Ora dimmi quale cavolo di
ciambelle preferisci o faremo notte!».
Judah rise di nuovo e fu contagioso, anche lei piegò le labbra
trattenendo una risatina: «Quelle che piacciano a te, giuro che le
apprezzerò molto, stupiscimi» e così dicendo riattaccò.
Morgana, con occhi sognanti, ripose nella tasca posteriore dei
Jeans lo smartphone: «Stupido, prepotente, scemo» ma sospirò
peggio di un’adolescente alla sua prima cotta.
Yuriko che aveva seguito la spassosa telefonata, sollevò le
sopracciglia simultaneamente: «Ma siete sicuri di essere capo e
assistente?».
Morgana annuì: «Assolutamente sì, cosa te lo fa dubitare?».
L’altra poggiò graziosamente i gomiti sul bancone e si sorresse il
delizioso musetto: «Sembrate due innamorati».
Morgana si schernì: «Piuttosto vado a donare un rene!».
La pasticciera scoppiò a ridere. «Sei uno spasso, possibile che
lui sia così terribile come lo dipingi, descrivimelo, te l’ho detto se
conosce le mie ciambelle è passato di qui di sicuro qualche volta».
Morgana buttò lì laconica: «Alto quasi due metri, grosso come
una montagna, capelli neri lunghi sino alle spalle, un discutibile
abbigliamento da motociclista, barba e occhi neri, un carattere di
merda, ti basta come descrizione?».
Yuriko si prese una pausa facendo mente locale, poi ansimò, sì
davvero emise un gemito dalle labbra socchiuse: «Non dirmi che è
Judah Marshall, il criminologo, che ogni tanto compare alla Tv
nelle interviste e smonta casi di efferati omicidi! Oh santo cielo lui è
un gran figo!».
Morgana rispose di impulso: «Lui è solo una grandissima testa di
caz…» Si morse la lingua e riguadagnò un briciolo di contegno.
«Sì, è lui» ammise avvilita.
Yuriko elettrizzata le fece il verso: «E lo dici così? Io farei carte
false per stare buona parte del giorno in sua compagnia, come fai
ad averlo intorno e non saltargli addosso».
L’altra la riprese: «Ma ti stai ascoltando? Lui è il mio capo, è un
essere spregevole, e insomma… Hai ragione è bello da fare male
al cuore» mormorò in un ansito.
Yuriko buttò fuori anch’essa un sospirone: «Già, ma non è roba
per noi vecchie comuni mortali, avresti dovuto vedere la bionda
che teneva per la vita un paio di settimane fa quando è entrato e
ha fatto razzia di ciambelle».
Morgana provò un’insana fitta di gelosia e si fece un gran male
chiedendole: «Com’era la ragazza?».
Ebbe la risposta che temeva: «Giovane, forse non più di
vent’anni, bellissima, filiforme e armoniosa come un giunco, lunghe
gambe e gonna inguinale».
Mandando giù un fiotto di commiserazione la esortò: «Beh,
suggeriscimi quali ciambelle ha scelto».
La pasticcera scosse il capo: «E no, lui ti ha ordinato di sceglierle
tu, l’ho sentito sai?».
Morgana si arrese: «Ma tu da che parte stai? Beh, o la va o la
spacca, dammi una dozzina alla confettura di mirtilli, se non le
mangia lui, mi ingozzerò io mentre piango sulla mia misera
condizione».
Yuriko afferrò un contenitore e prese a riempirlo: «Ti ho già detto
che da quando sei entrata da quella porta sei diventata la mia
eroina vero?».
«Guarda piuttosto sono un cattivo esempio da seguire altro che
eroina, io sono una vittima». E così dicendo la salutò con un cenno
della mano dopo che, la sua nuova e unica amica, le aveva
consegnato le famigerate ciambelle, non le restò che ritornare dal
suo affascinante carnefice.
Lo odiava, e odiava quei maledetti sandali!
Dio che voglia di toglierseli e gettarli nel primo portarifiuti che
avesse incrociato durante la sua via crucis di ritorno.
CAPITOLO OTTO
Judah si stiracchiò allungando le braccia, smise di osservare le
immagini raffiguranti gli efferati delitti, agli occhi stanchi,
apparivano sbiadite sullo schermo del Pc. Diede una sbirciata al
cronografo che portava al polso, Morgana stava tardando, si era
assentata dall’ufficio da più di un’ora. Una maledetta ora per
portargli un caffè e una dozzina di ciambelle, si meritava una bella
ramanzina, non vedeva l’ora …
Per la verità gli balenò l’insana idea di punirla, e la fantasiosa
punizione ogni minuto che passava prendeva forme erotiche.
Oh, per la malora! Smetti di pensare a lei distesa sulle tue
ginocchia mentre le abbassi quei jeans goduriosi e le carezzi le
natiche prima di assestarle un sonoro sculaccione!
Lui ce la metteva tutta nel vano tentativo di imbrigliare la sua
libido che comunque se ne fregava e galoppava imbizzarrita.
Ma va in malora Judah! Imprecò tra sé, dopo che l’erezione
prese a scalpitare nei pantaloni improvvisamente divenuti troppo
stretti.
Il cigolio della porta lo mise in allerta ed ecco la sua fatina!
Morgana comparve in tutto il suo fulgore, Judah piegò le labbra in
un sorriso sornione: oh, se era incazzata nera! Bene! Molto bene!
Lei avanzò traballando sui tacchi e a lui quella andatura
scoordinata la fece apparire sexy da impazzire! Sperò che
cadesse bocconi proprio sotto alla scrivania e poi…
Morgana aveva un diavolo per capello ed era furibonda, la sua
rabbia si ingigantì quando scorse il sorriso derisorio sul volto del
suo capo!
Gli schiaffò caffè freddo e scatola di ciambelle sul piano con
malcelata veemenza. E gli gettò, con disprezzo, il resto delle
banconote che lui le aveva dato accanto alla colazione. Girò i
tacchi pronta a raggiungere la sua postazione sperando che lui
non osasse aprire la sua dannatissima bocca sexy, perché lei non
si sarebbe trattenuta dal mandarlo a quel paese!
Judah diede un sorso al suo caffè e fece una smorfia di disgusto:
«Ferma lì, lei è in ritardo, perché ci ha messo tutto questo tempo?
Il mio caffè è imbevibile!».
Morgana lo freddò con uno sguardo inviperito: «Se tu non avessi
deciso all’ultimo momento di spedirmi alla pasticceria, il tuo cavolo
di caffè lo avresti bevuto così bollente che ti saresti ustionato la tua
lingua tagliente!».
Judah si passò la lingua tagliente sul labbro superiore, e gli occhi
di lei furono catalizzati dal languido movimento: «Dici davvero?» le
chiese con voce peccaminosa.
Maledizione lo stava facendo a posta, sapeva benissimo quale
ascendente avesse su di lei e lo usava per metterla in imbarazzo e
provare a quietarla e… ci stava riuscendo.
«Morgana, si sieda» le ordinò e lei si lasciò cadere sulla
poltroncina di fronte. Si mise le mani in grembo abbassando lo
sguardo, non per sottomissione, ma per evitare di guardarlo
mentre addentava una delle ciambelle con… oddio, la sua bocca…
Judah masticò piano, godendosi il sapore acre dei mirtilli che si
fondeva con il dolce burroso della pasta della ciambella: «Ne è
valsa la pena aspettare» borbottò.
La donna lo scrutava di sottecchi, le ciambelle dovevano essere
deliziose e lei non aveva fatto colazione, aveva deciso di moderare
la sua alimentazione nella speranza di perdere qualche chilo.
Prese involontariamente a deglutire ogni qualvolta lo faceva lui.
Il profumo di zucchero si spandeva nell’aria.
Resisti, Morgana, resisti! Si impose.
E il suo stomaco borbottò sonoramente mettendola in imbarazzo!
Judah si succhiò un pollice: «Ha fatto colazione stamane?».
Nemmeno udì la domanda, Morgana era rimasta ferma al gesto
precedente di lui, la bocca che circondava il pollice, e succhiava
piano, come sarebbe stato se lui le avesse passato la lingua lungo
il suo collo, fino a raggiungerle i capezzoli che, a quella fantasia, si
inturgidirono spingendo contro l sottile tessuto in cotone della
canotta.
Lo sguardo di lui si posò proprio lì!
Morgana si trattenne dal coprirsi con le braccia. Si vergognava
come una ladra!
Judah si sporse in avanti: «A quanto pare hai davvero tanta
fame» sussurrò roco.
Sapeva bene cosa lui intendesse!
«No… non… mo… molta» riuscì a rispondergli.
Le porse una ciambella: «Io credo di sì invece, tieni».
Ah! Allora lui intendeva che lei avesse lo stomaco vuoto!
«No, grazie!» rispose irritata e delusa. E lei che aveva pensato
che alludesse al suo evidente stato di eccitazione. Maledetto
idiota! E maledetta me che mi arrabbio per la sua disattenzione!
Meglio così, però, rifletté, o almeno provò a convincersi.
«Prendila e dalle un morso per la miseria!» la investì lui,
facendola sobbalzare.
«Va bene!» squittì e la accettò.
Morgana, impacciata per la situazione, diede un leggero
morsetto al dolce, la fragranza esplose deliziando le papille
gustative e la spinse a emettere un gemito di apprezzamento.
«Così,
brava…» Judah si sporse verso di lei al languido suono, che lo
aveva attirato come il canto delle sirene.
Aveva un bisogno pressante di sentirla ansimare mentre
possedeva… E mancava poco, era pronto a saltarle letteralmente
addosso!
E il suo cazzo era d’accordo su tutta la linea.
Sapeva che la stava mettendo in imbarazzo, ma seguitava a
tenere gli occhi incollati alla bocca che mordicchiava la ciambella.
E un granello di zucchero, che si fermò sul labbro superiore di lei,
fu fatale…
«Hai un…» le disse piantando i palmi sulla scrivania e alzandosi
la sovrastò.
Morgana sollevò i bellissimi occhi intimoriti e ciò lo fece
esplodere: «Io, cosa?».
Judah si chinò e con la lingua, calda e umida raccolse il granello
dal labbro di lei «Questo …».
«Judah, non… no, ti prego…».
Fu una debole difesa e lui, affondando le dita nelle chiome
mogano di lei, la attirò a sé, invadendole la bocca con la lingua,
costringendola ad accoglierlo, divorandola, sino a toglierle il
respiro.
Prima si oppose tentando di respingerlo pressandogli le mani
contro i pettorali granitici, poi capitolò. Il suo sapore mischiato al
dolce dello zucchero, le dita che affondavano nei muscoli definiti, il
calore languido che si spandeva nel suo basso ventre mentre lui
esplorava avidamente la bocca, furono sufficienti a renderla
affamata e a spegnere la sua razionalità.
Morgana ruggiva dentro di sé ed era la prima volta che un istinto
così prepotente e primordiale la risvegliava!
Si sollevò dalla poltroncina e sollevò una gamba salendo sulla
scrivania, ora si ritrovava in ginocchio sul pianale e lui la avvicinò
arpionandola per le natiche.
Le loro bocche si mordevano, le loro lingue si fondevano
intrecciandosi, ingaggiando una lotta che li lasciava affamati.
Judah era partito spedito e col cazzo si sarebbe fermato e quindi
via la canotta che impediva alle sue mani di appropriarsi della pelle
di lei!
La sfilò dalla testa con gesti irruenti, maledizione perché portava
il reggiseno! Lei ansimò nella sua bocca e lui fece saltare con
rabbia i gancetti, poi glielo strappò di dosso e i seni generosi
svettarono, morbidi, invitanti, i capezzoli rosei una tentazione per i
suoi denti!
Si avventò su di lei abbandonando la sua bocca e stringendo le
due rotondità tra le dita; succhiò voracemente uno dei bottoncini
eretti facendola gridare disperatamente!
«Ancora!»
Il comando riverberò sulla punta del cazzo che prese a fremere a
ogni assalto, mordeva e poi leniva con la lingua affamata e lei si
contorceva mandandolo fuori di testa!
L’abbrancò per i fianchi e la stese sulla scrivania strappandole i
jeans e gli slip, una furia scatenata, una belva che ruggiva
soprattutto ora che lei giaceva con le gambe divaricate
mostrandole il suo fiore dischiuso, che lui doveva azzannare!
Ormai Morgana non capiva più niente, guidata dalla frenesia
spingeva i fianchi in avanti offrendosi a lui.
«La tua bocca, Judah, la tua bocca!» lo pregò disperatamente.
Oh porco mondo!
Le afferrò le caviglie portandosi le gambe di lei sulle spalle,
divaricandola di più e calò sul suo sesso la bocca, esplorandola
con la lingua in ogni piega, strappandole grida di piacere, affondò
nella fessura madida di lei, che gli afferrò i capelli stringendoli sino
a fargli male, e lui le spinse due dita in quel languido canale,
mentre leccava affamato il clitoride palpitante.
Morgana fu risucchiata in un vortice di piacere sublime, violento
e, allo stesso tempo, appagante. Si sfregava senza ritegno contro
di lui, la barba la solleticava e pungeva amplificando le sensazioni.
Le spinte decise e prepotenti delle dita toccavano corde per lei
sconosciute. L’orgasmo si affacciava sfacciatamente crudele,
implacabile come lo era Judah che la stava possedendo,
reclamando ogni goccia del suo piacevole tormento!
E quando udì grugnire il suo appagamento nel divorarla, lei
esplose nella bocca esigente di lui, aggrappandosi alle sue spalle
nel disperato tentativo di non perdersi alla deriva e gridò parole
sconnesse. Il respiro le bruciava nel petto, il fuoco ardeva nel suo
sesso gonfio, che lui seguitava a torturare, prolungandole il
piacere. Si divincolava e allo stesso tempo gli andava incontro, lui
la teneva ferma non era ancora sazio.
Morgana al culmine si coprì il volto con l’avambraccio. «Basta,
basta!» lo supplicò e lui non l’ascoltò, spinse, ancora, le dita dentro
di lei, piegandole e solleticandole un punto ben definito, leccando
delicatamente il clitoride, ipersensibile, la portò a un altro orgasmo
più sordo, ma che la fiaccò, lasciandola euforica e spossata.
Solo allora Judah le diede tregua, poggiò il mento sul pube
osservandola con un sorrisetto compiaciuto dal basso in alto, si
passò la lingua sulle labbra che sapevano di lei, un sapore
paradisiaco!
Morgana ripiombò nel suo corpo a una velocità inaudita.
Il cuore che le batteva forte dopo il sesso appagante, ora le si
stava gelando in petto.
Oh mio Dio, cosa aveva fatto!
Si rese conto di quanto fosse freddo il piano della scrivania
contro la pelle, lei era nuda!
Con le gambe divaricate in maniera impudica e la testa del suo
capo tra le sue cosce!
Provò a tirarsi su e spingerlo indietro, ma senza successo,
Judah, non aveva intenzione di smuoversi di un solo millimetro.
«Judah, alzati!» gli strillò in preda a una crisi isterica.
Le mancava il respiro e doveva assolutamente rivestirsi!
Fuggire!
Per tutta risposta lui, tenendola giù con la mano, grande quanto il
suo addome, prese con l’indice dell’altra a giocherellare
tracciandole il contorno dell’ombelico.
«Non ho ancora finito, mia bella fatina» la canzonò con lo
sguardo trionfante da stronzo!
«E invece, sì! Lasciami!» la voce le uscì rotta dal pianto, gli occhi
si colmarono di lacrime e di vergogna.
Merda!
Judah a malincuore stacco il palmo dalla pelle imperlata di
sudore di lei e si sollevò per liberarla.
Morgana balzò giù dalla scrivania e afferrò, con le guance in
fiamme, i suoi indumenti sparsi sul pavimento, li infilò con le mani
che le tremavano, tanto era in agitazione che indossò la canotta al
contrario.
Ma cosa le importava? Lei non lo avrebbe più rivisto, il bastardo
ci era riuscito, si era approfittato di lei!
«Non dovevi!» urlò con disperazione.
Lui non si scompose e si riaccomodò alla scrivania, con un gesto
distratto sistemò i fogli che si erano sparsi alla rinfusa sul ripiano:
«Non dovevamo, vorrai dire» precisò.
Morgana strinse i pugni, livida per la strafottente calma di lui: «Tu
lo sapevi e te ne sei approfittato!».
Judah, poggiò le spalle allo schienale: «Moderi i termini,
Morgana».
Lei avanzò e tentò di mollargli un ceffone che lui intercettò
bloccandole i polsi, Morgana gli sputò addosso la sua rabbia:
«Adesso vuoi mantenere le distanze, adesso che hai ottenuto ciò
che volevi!?».
La guardò duro: «È lei che vuole mantenere le distanze, io
volevo fotterla, mia cara signora» disse con un tono calmo che la
raggelò.
Morgana indietreggiò: «Sei un bastardo» sussurrò.
Fece un altro passo indietro: «… un grandissimo bastardo».
Gli voltò le spalle: «Mi licenzio».
E in lacrime raggiunse la porta la spalancò e fuggi giù per le
scale senza voltarsi indietro.
Judah perse la sua proverbiale calma, quella donna lo mandava
fuori dai gangheri, picchiò un pugno sulla scrivania: «Col cazzo
che mi scappi, fatina!».
Ma perché si era comportato da carogna con lei? Perché diavolo
non era in grado di capire le donne se non a letto!?
Ora urgeva un piano per recuperare la sua bella fatina, perché lui
se la doveva fottere! Ormai era un chiodo fisso!
Dio, cosa era il suo viso mentre godeva e si offriva a lui! Era
sicuro che l’immagine lo avrebbe tormentato giorno e notte.
CAPITOLO NOVE
Morgana si chiedeva il perché avesse accettato
quell’appuntamento al buio, propostole da Yuriko. Il locale era
modaiolo con una musica in filodiffusione che lei riteneva irritante e
faceva da colonna sonora alla sua commiserazione.
Non aveva toccato il drink nel quale il ghiaccio si stava
sciogliendo, seguitava a osservare il bicchiere posato sul tavolino
nero laccato. L’amica le parlava e lei non afferrava che poche
parole del discorso, la sua mente era in fermento, immagini
infuocate la tormentavano: lei distesa sulla scrivania di Judah, la
bocca di lui sulla sua pelle, le dita che la solcavano nella sua
intimità strappandole rantoli di piacere. E poi…
L’oblio.
Erano passati tre giorni da quando gli aveva fatto recapitare le
sue dimissioni e da allora lui non si era fatto sentire.
Sfiorò con l’indice la foglia di menta che adornava il suo cocktail,
in fondo era meglio così. Forse anche Judah si era convinto che
quanto accaduto era stato completamente sbagliato e adesso
aveva capito che l’unica soluzione possibile era dimenticarsi l’uno
dell’altra.
Ma il dolore sordo che sentiva ogni qualvolta pensava a lui
pareva ingigantirsi ora dopo ora, la sensazione di sentirsi estranea
a ciò che la circondava la inglobava, una barriera che la escludeva
da tutto e tutti!
Ci aveva provato a dimenticarlo, ecco spiegato il motivo per il
quale aveva deciso di imbarcarsi nell’ avventura di incontrare uno
sconosciuto e passare una serata in sua compagnia. Yuriko le
aveva assicurato che i due uomini che, da lì a breve, le avrebbero
raggiunte erano assolutamente raccomandabili e loro coetanei.
L’amica conosceva uno dei due, un suo cliente assiduo che le
aveva dimostrato un particolare interesse, e che si era deciso a
invitarla a uscire proponendo un appuntamento a quattro.
Fece tintinnare quel poco ghiaccio rimasto, che grande cazzata,
tutta quella pagliacciata era assurda, perché non era rimasta
rintanata nel suo appartamento a commiserarsi?
Forse perché Judah l’aveva risvegliata dal suo letargo?
L’aveva fatta sentire bella, attraente e lei desiderava mettersi alla
prova.
Stronzate! Lei voleva convincersi che se proprio doveva
ricominciare a frequentare un uomo, ebbene che quest’uomo fosse
suo coetaneo, con la sua stessa estrazione sociale e non il suo
datore di lavoro per giunta con una dozzina di anni meno di lei!
Già qualsiasi cosa pur di scordare il volto di Judah…
Due ombre si frapposero alla luce che pioveva dai faretti
incastonati nel soffitto, lei sollevò gli occhi e mise a fuoco le figure
che si stavano accomodando sul divanetto di fronte. Yuriko si agitò
ridacchiando civettuola e allungò l’esile mano a quello dai capelli
scuri spruzzati di grigio e lui con fare galante la baciò. Morgana si
rese conto che doveva essere il fantomatico cliente interessato
all’amica, quindi a lei toccava…
Allargò gli occhi, oddio, ma a lei allora…
L’altro uomo, sopraggiunto, le porse la mano dalle dita curate, la
pelle abbronzata spuntava dal polsino bianco della camicia
indossata sotto a una giacca di taglio classico nera. Era un
bell’uomo niente da eccepire nonostante i lineamenti marcati:
mento volitivo, naso leggermente aquilino, bocca sottile. Ma
nell’insieme rendeva il volto affascinante.
«Molto lieto, Norman» si presentò.
Morgana stirò un sorriso e gli strinse la mano. «Morgana».
«Morgana? Bellissimo nome, misterioso» disse lui.
Yuriko le piazzò una gomitata nel costato e si avvicinò tutta
compiaciuta: «Visto? Non ti è andata così male» le sussurrò.
No, decisamente no, aveva ragione, eppure se confrontava
Norman a Judah, ebbene il primo ne usciva perdente! Nessuno
era come Judah!
Scacciò il pensiero idiota e adolescenziale che non riusciva a
dimenticare la sua prima cotta, si schiarì la voce: «Bene ragazzi,
perché non ci parlate un po’ di voi?».
Allen sorrise: «Certo, ma prima vorremmo ordinare qualcosa da
bere.» Richiamò la cameriera che li raggiunse e segnò le loro
ordinazioni, una bottiglia di champagne e una di whisky scozzese.
Morgana non seppe trattenersi: «Non vi pare di aver esagerato?
Tutto quest’alcool?».
Norman sollevò un sopracciglio: «È per scaldare la serata? O sei
una di quelle ragazze tutte perfettine?».
L’uscita parve davvero maleducata e rispose piccata: «Non sono
un’alcolizzata, tutto qui».
Arrivate le ordinazioni, Norman non perse tempo, si versò una
generosa dose di scotch colmando il bicchiere e ne posò uno
altrettanto pieno di fronte alle due donne. «Salute belle signore.»
Alzò il bicchiere strizzando l’occhio a Morgana. «… e che l’alcool
riscaldi».
Lanciò un’occhiata all’amico. «Al resto penseremo noi, vero Al?».
Morgana si irritò, se questi due pensavano di portarle a letto al
primo appuntamento si sbagliavano di grosso, ma per chi le
avevano prese?
Voleva dirglielo sul muso a questi due villani!
Si trattenne, un pensiero insidioso la fece desistere.
Già, lei ci aveva messo una settimana, sette giorni esatti a farsi
stendere sulla scrivania dal suo capo e… Si alzò di scatto, rossa in
volto a quei ricordi che la umiliavano.
«Scusate, devo andare alla toilette».
Yuriko balzò in piedi al suo fianco, rendendosi conto
dell’imbarazzo dell’amica. «Vengo con te, voi ci scusate, vero?».
Norman lanciò un sorriso allusivo a Morgana. «Non metteteci
troppo o saremmo costretti a raggiungervi».
Morgana girò i tacchi, dando uno sguardo fugace all’uscita che,
scintillante, la richiamava, una via di fuga da prendere senza
indugio!
Yuriko, intuendone le intenzioni, la brandì per un polso
trascinandola verso i bagni in fondo alla sala disseminata di
tavolini, facendo la gincana tra i divanetti, giunta a destinazione
spalancò la porta e spinse all’interno dell’antibagno Morgana.
«Che diavolo hai?» le chiese.
Morgana le voltò le spalle aggrappandosi al lavabo: «Non voglio
fare sesso con Norman o come diavolo si chiama!».
L’amica si avvicinò cauta poggiandole le mani sulle spalle e
carezzandole dolcemente: «Non devi farlo se non vuoi, pensavo
che ti saresti divertita, una serata diversa dal solito, tutto qui».
Morgana si osservò allo specchio di fronte: «Se tu sei solita fare
sesso con dei perfetti sconosciuti, libera di agire, io no!».
Yuriko distolse le mani dalle spalle di lei: «Scusa, mi dispiace,
forse hai ragione, soltanto è da tanto tempo che sono sola e
pensavo…».
Morgana si voltò e le sorrise debolmente: «Non è la soluzione
giusta darsi via, Yuri» le sussurrò.
L’amica annuì e abbassò gli occhi: «E adesso come li
liquidiamo?».
Morgana le posò l’indice sotto il mento facendole sollevare il bel
volto: «Semplicemente dicendo loro che ce ne andiamo».
L’altra donna sorrise impacciata. «D’accordo».
Determinate raggiunsero i loro accompagnatori, Morgana non
perse tempo e osservandoli dall’alto in basso, mentre i due
rimanevano seduti a finirsi ciò che avevano nei bicchieri dopo che
nel frattempo si erano scolati tutta la bottiglia di champagne e
mezza di whisky, disse:
«Mi dispiace ragazzi, ma noi abbiamo deciso di andare,
proseguite pure la serata, chiameremo un taxi».
Alan si sollevò e le due donne notarono che barcollava
leggermente: «Oh, mi dispiace, abbiamo fatto qualcosa di
sbagliato?».
Yuriko scosse il capo: «No, è che non mi sento tanto bene»
mentì.
Alan avanzò sbattendo contro al tavolino: «Se vuoi ti
accompagno a casa» si propose.
Yuriko vendendolo in quelle condizioni indietreggiò rendendosi
conto che era un bene allontanarsi da quei due: «No, grazie,
preferirei di no».
«Lasciale andare queste due stronze» biascicò Norman, dopo
aver vuotato in un fiato l’intero bicchiere e sbattendolo sul tavolino.
Morgana dovette mordersi la lingua per non mandarlo a fanculo,
villano e ubriacone!
«La serata termina qui, a mai più rivederci!» sibilò prendendo per
mano Yuriko.
«Aspettate» le supplicò Alan.
Norman alzò maggiormente la voce tanto che sovrastò la musica
in filodiffusione: «Sono due verginelle represse del cazzo!» Indicò
con il bicchiere Morgana. «… soprattutto questa baldracca che si
finge una santarellina».
Morgana non seppe trattenersi: «Vaffanculo, stronzo!» gli sparò
addosso e si voltò intenzionata a non restare un attimo di più.
Fu afferrata per la vita e lei si divincolò, come osava Norman
toccarla! In mezzo a tutta quella gente che li guardava attonita!
Gli occhi di tutto il locale addosso, le mani di lui che le
strattonavano i fianchi.
«Dove credi di andare puttana!» Con un gesto brusco la rigirò e
lei percepì l’alito alcolico di lui.
Lo spinse indietro mentre lui le tirava i capelli affondandoci le
dita, tentando di avvicinare la sua sudicia bocca: «Dammi il bacio
della buonanotte, sgualdrina!» le ringhiò.
Morgana si contorceva e si guardava attorno in cerca di aiuto,
piantò le unghie nei polsi di Norman che aveva preso a
palpeggiarle il sedere.
«Voglio sfondarti questo tuo bel culo!» gridò.
Lei urlò più forte in preda al panico: «Lasciami!».
Yuriko lo colpiva ripetutamente con la pochette e Alan restava a
guardare con un sorrisetto beffardo sul volto, godendosi la scena!
Nessuno veniva in loro aiuto, nonostante lei gridasse di aiutare
l’amica.
Morgana scorse un paio di ragazzi che presero a correre dal
fondo del locale, scavalcando divanetti e spintonando chi si era
fermato a guardare, ma furono preceduti. Norman fu sollevato dal
pavimento, una grande mano gli stringeva il collo: «Toccala ancora
e sei morto, testa di cazzo!».
Morgana ansimò: «Judah!».
Il bastardo si agitava e sputava rabbia: «E tu chi sei? Il figlio di
questa troia?».
Morgana urlò e il pugno si abbatté sul volto di Norman: «No,
sono quello che ti gonfierà se la chiami ancora in quel modo!».
«Judah?» una voce femminile si intromise.
Morgana vide la giovane che si avvicinava, Judah le si rivolse
tenendo ancora Norman per il collo: «Vai a casa Jasmine».
La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi: «Ma avevi detto che noi
due stanotte…».
Morgana si resse poggiandosi al divanetto.
Judah guardò prima lei e poi la giovane: «Sì, te l’avevo detto, mi
dispiace, ma dovremo rimandare, vai a casa, Jas!».
«Vaffanculo, Judah, sono mesi che aspetto!»
Norman si intromise: «Se vuoi ti fotto io, biondina».
Si guadagnò un altro destro sul mento: «Tu non fotterai un cazzo
di nessuno, chiudi questa fogna di bocca!».
La bionda pestò una scarpa irritata: «Judah, lascia perdere,
andiamo!».
«Ti ho detto che sarà per la prossima volta, Jass».
Morgana staccò le dita dal divanetto, tutta la situazione era
orribile!
Judah, con una donna più giovane di lei, Norman, un uomo che
conosceva da nemmeno un’ora, era ubriaco e le dava della
puttana, Yuriko piangeva, Allan era svenuto sul pavimento in una
pozza di vomito. Gli occhi di tutti puntati addosso! Era troppo,
troppo!
Corse, corse inciampando nei tacchi, scostando chi si
frapponeva al suo passaggio, afferrò il maniglione del portone in
cristallo e si precipitò sul marciapiedi.
Fuggiva senza sapere dove andare nella notte umida, con i pochi
fari delle automobili che la illuminavano!
Fu brandita per un polso e strattonata, gridò e tempestò di pugni
il petto dell’uomo che l’aveva sollevata tra le braccia, le lacrime le
rigavano il volto, urlava disperata di lasciarla andare, terrorizzata,
in preda a una crisi isterica!
«Morgana, sono io! Cristo, smettila di colpirmi e datti una
calmata!».
«Non voglio che mi tocchi! Mettimi giù e lasciami in pace!»
strepitò lei.
Judah, la strinse maggiormente a sé fino a farla sbattere contro il
muro che delimitava il vicolo stretto e buio nel quale l’aveva
trascinata.
«Io non ti mollo, Morgana!» ringhiò lui.
La donna si dibatté tanto che lui la lasciò andare, ma la spinse
contro alla parete schiacciandola con il suo peso, lei lo tempestò di
pugni sui pettorali.
«Stai lontano, levati di dosso!».
Judah le afferrò i polsi sollevandoglieli sopra al capo.
«Maledizione!» Lei ansimava e il petto di lui si alzava e abbassava
freneticamente. «È tutto finito, Morgana, sei al sicuro, cazzo!».
«Io non ce la faccio più!» singhiozzò disperata.
Judah, la osservò intensamente: «Cosa Morgana? Dimmi perché
non ce la fai più?».
Lei scosse il capo mentre le lacrime le offuscavano la vista.
«Io lo so, Morgana, so quello che ti tormenta!». La voce era
decisa e roca.
Lei strattonò i polsi che lui stringeva nelle dita. «Tu non sai
niente!» strillò.
Judah, poggiò la fronte contro la sua: «Invece lo so, Morgana»
soffiò un sussurro che la quietò immobilizzandola.
«Judah, no…» fu una preghiera disperata.
«Sì, Morgana…».
«No, no, ti prego, no…» la bocca di lui calò sulla sua e l’uomo
poté assaporare la disperazione di lei mischiata al salato delle
lacrime.
La baciò imponendole il suo desiderio, dimostrandole che lui
sapeva davvero ciò che la tormentava, lei lo voleva e se lo
precludeva, e lui non era più disposto a lasciarle tregua. I tre giorni
trascorsi senza poterla vedere erano stati troppo esplicativi per lui.
Gli avevano aperto gli occhi sulla realtà.
La lingua si insinuava profondamente in lei, appropriandosi di ciò
che doveva essere suo, lei era sua ed era ora che lo capisse!
Morgana si lasciò travolgere dall’emozione che le si riversò
addosso, il cuore le batteva forte, aveva bisogno che lui la
prendesse, che lui la facesse sua!
Sua, sì, sua! Nonostante sapeva che fosse tutto sbagliato non si
oppose quando lui la brandì per le natiche e la sollevò, Morgana,
frenetica, gli cinse la vita con le gambe, stringendolo fra le cosce.
Judah le strappò il tanga che indossava gettandolo sull’asfalto
umido.
«Judah, non… non qui … oddioo!» farfugliò in preda a un
momento di lucidità.
Lui, con gesti irruenti, si slacciò la cintura dei jeans, abbassò la
lampo e le concesse pochi istanti per ammirare l’enorme erezione
che svettava tra le sue cosce.
«Judah, no, no!» gemette, ma spinse in avanti il bacino,
invitandolo e lui la trafisse con un colpo secco.
«Sì, Morgana, sì, cazzo, sì!».
Le lasciò i polsi e affondò le dita nei suoi capelli costringendola
ad avvicinare la bocca alla sua.
«È questo quello che vuoi, è questo che ti neghi cazzo!» e le
diede una prima violenta stoccata. Penetrando in lei con rabbia.
Prima di baciarla violentemente, ansimò: «… quello che devi avere
e io voglio dartelo tutto!».
Lei avrebbe dovuto respingerlo, erano in un vicolo buio, chiunque
avrebbe potuto scoprirli, eppure puntellò i talloni nelle natiche di lui
avvicinandolo maggiormente, godendo delle sue vigorose spinte.
Gridando nella sua bocca quando lui le strinse un seno
tormentandole con il pollice un capezzolo da sopra il tessuto
dell’abito rosso che indossava.
Impudica, lasciva, libera!
Infilò le mani sotto la t-shirt nera di lui, voleva toccare la sua
pelle, sentire la perfezione dei pettorali sotto le dita. La bocca di lui
sul collo, gli ansiti ringhiati e l’alito caldo nell’orecchio. Affondava
stringendole le natiche, sapeva che il mattino seguente ne avrebbe
portato i segni, ma non le importava. Voleva tutto, voleva di più!
«Judah, Judah» ripeteva il suo nome, annegando nel piacere, e
lui sfregava il punto più sensibile di lei con due dita mentre la
solcava furiosamente. L’orgasmo la aggredì e lei urlò, i loro fianchi
cozzavano impazziti.
«Grida, Morgana, sì, così, lasciati andare!».
La inchiodò sprofondando in lei: «Dimmelo, dimmi che è questo
che vuoi!».
Morgana era sul punto di venire per la seconda volta: «Judah,
io…» rantolò mentre lui la teneva sul filo del piacere restando
dentro di lei senza muoversi.
«Dimmelo!» ringhiò.
Gli piantò i tacchi nei fianchi granitici: «Judah, ti prego» supplicò
spronandolo a muoversi a fare qualcosa!
Ma lui sorrise: «Te lo darò quando mi dirai che lo vuoi».
Morgana era al culmine dell’eccitazione e dell’esasperazione:
«Sì, bastardo, dammelo, lo voglio!» sbraitò.
E lui l’accontentò, martellandola senza pietà, portandola a un
nuovo orgasmo che la sconquassò, uscì da lei digrignando i denti
e si riversò sul suo addome macchiandole l’abito, ma non gli
interessava niente, in quell’attimo era soggiogata, vederlo godere
era qualcosa di superlativo, il collo taurino che si gonfiava,
l’addome teso contratto, i fianchi cesellati tremavano spinte dal
piacere, la mano grande dalle dita lunghe che stringevano
l’erezione.
Morgana era rapita, la fissava mostrandole il meraviglioso volto
mentre godeva di lei e per lei. Intrappolandola con le iridi scure,
gettandola in una spirale di perversa concupiscenza, si sentì per la
prima volta una donna potente.
Judah, con il fiato corto, la prese per i fianchi avvicinandola,
premette l’erezione contro la pancia di lei: «Sei riassunta, miss
Green e non dire una cazzo di parola».
Morgana poggiò la guancia contro il suo petto: «Posso
obiettare?».
Lui affondò le dita nei capelli carezzandole la nuca: «No!».
La allontanò e si sistemò l’erezione, ancora vigorosa, nei jeans,
poi le abbassò il vestito che le si era arrotolato in vita durante
l’assalto di lui, la prese tra le braccia: «Ti riporto a casa, domani ti
voglio presto in ufficio».
Morgana, spossata, si lasciò trasportare per diversi isolati tra i
passanti che li osservarono, raggiunsero l’auto di lui, parcheggiata
sul lato opposto della carreggiata di fronte al locale ormai deserto,
gli permise di metterla in macchina, e poggiando il capo allo
schienale chiuse gli occhi mentre lui metteva in moto: «E la mia
lettera di dimissioni?».
Judah diede gas: «Quale lettera? Smettila di blaterare».
Morgana fece un breve sorriso e si lasciò accogliere dal sonno, si
ridestò il mattino dopo nel suo letto, lui l’aveva portata in braccio
sino al suo appartamento, spogliata e messa tra le lenzuola.
Ricordava che aveva spento la luce e in silenzio se ne era andato.
CAPITOLO DIECI
Le sei del mattino, stessa carrozza ghermita di persone
accalcate. Stava tornando da lui. Combattuta tra il senso di
profondo sollievo nel poterlo rivedere e la certezza di quanto fosse
sbagliato riprendere a lavorare per Judah, soprattutto dopo ciò che
era accaduto tra loro.
Era confusa, avvilita, e …
Maledizione era attratta sessualmente da quel bastardo che non
perdeva occasione per dimostrarle quanto fosse debole!
Ma questa volta gli avrebbe parlato chiaramente, la relazione
sessuale doveva cessare con effetto immediato!
Punto!
Basta!
Stop!
Con uno scossone la metropolitana si arrestò e lei barcollò: la
sua fermata. Dannazione tutte queste persone la pigiavano e
spintonavano, imbottigliandola tra le porte scorrevoli dell’uscita.
Una giovane donna le piantò una gomitata nella schiena e lei, al
colmo della rabbia repressa che covava dentro, si voltò
ringhiandole un sonoro vaffanculo!
L’altra non osò proferire parola e Morgana balzò giù dal vagone,
si ficcò la tracolla della borsetta sulla spalla e avanzò sbattendo
tacco e punta sul selciato.
Quel grandissimo figlio di puttana, ora l’avrebbe sentita!
L’aveva scopata in un buio, putrido vicolo! Dopo essere stata
aggredita da un ubriacone pervertito!
E lei che razza di donna era? Fuggiva da un maniaco per cadere
nelle braccia di un altro!
«Devi farti registrare il cervello Morgana! Mentecatta della
malora!» imprecò tra sé, non badando ai passanti che la
osservavano basiti.
A metà della via ciottolata in salita, il suo smartphone prese a
strillare. Se è lui io guarda… borbottò.
Sbirciò lo schermo e tirò un sospiro di sollievo, Yuriko.
Solo in quell’istante si ricordò che la notte scorsa l’aveva lasciata
sola nel locale, si vergognò, portandosi il telefonino all’orecchio
sussurrò: «Mi dispiace, Yuri».
«Stai bene?» chiese l’altra con tono preoccupato.
Morgana si attardò, sedendosi sulla panchina e un gran mal di
testa si affacciò prepotente, molesto: «Ho sopportato di peggio».
«È stato davvero un miracolo l’intervento di Judah» proseguì
l’amica.
Morgana si osservò la punta delle scarpe, per la verità fissava le
unghie dei piedi che spuntavano dagli alti sandali che la carogna la
costringeva a indossare!
«C’erano due ragazzi che stavano correndo nella mia direzione,
quindi in un modo o nell’altro sarei stata salvata».
«Perché ho l’impressione che tu ce l’abbia con il tuo capo e poi
non mi hai ancora spiegato perché ti sei licenziata».
Morgana si alzò, non aveva voglia di dare spiegazioni: «Mi ha
riassunta» tagliò corto.
Il tono di voce di Yuriko si colorò di schietta curiosità: «Davvero?
E quando ieri notte?».
Morgana mugugnò: «Uhm, uhm …».
«Allora lo ammetti che hai passato la notte con lui!».
Già, se proprio doveva farci sesso lei se l’era immaginato in un
grande letto, con una bottiglia di champagne in un cestello colmo
di ghiaccio, le candele profumate che spandevano una luce
soffusa, e lui sarebbe stato dolce, attento…
Ma questo accadeva nei suoi sogni che al mattino la lasciavano
accaldata, voluttuosa, affamata.
E invece lui l’aveva presa la prima volta sulla scrivania e la
seconda, in un momento di profonda debolezza, in un vicolo come
si fa con una puttana!
«Devo andare, Yuri, ti chiamo più tardi».
«Morgana, mi dispiace, ecco io non avrei dovuto chiedertelo».
«Lascia stare, sono in ritardo a dopo», Morgana gettò lo
smartphone nella borsetta e spinse il palmo contro al portone che
si spalancò con il solito cigolio.
Mentre saliva gli scalini la sua rabbia era sparita, sostituta da un
profondo senso di tristezza.
Aprì la porta dell’ufficio e lui era seduto dietro alla scrivania.
«Sei in ritardo» la riprese.
Non lo degnò di uno sguardo e andò alla sua postazione,
sistemò la poltroncina avvicinandola al pianale e pigiò il tasto di
avvio del suo Pc, poi …
Poi restò a fissare lo schermo con le mani raccolte in grembo.
Judah sollevò un sopracciglio, ahhh, non ci siamo proprio bella
fatina disse tra sé.
«Vedo che sei in gran forma stamattina, hai intenzione di tenermi
il muso da qui all’eternità?».
«Preferirei che mi dicessi quali sono i miei compiti stamane»
rispose senza sollevare lo sguardo.
Lui si grattò la zucca, non gli andava a genio che lei, dopo una
notte di passione, fosse più gelida delle nevi perenni dell’Himalaya!
E poi ancora la cazzo di camicetta da educanda abbottonata sin
sotto al mento! Dove diavolo era finita la canotta attillata? Per non
parlare della gonna grigia sotto al ginocchio, lo avrebbe fatto
ammosciare anche a uno che non scopava da anni!
Si chinò poggiando la mano sul pianale della scrivania e la
osservò dal basso in alto, per fortuna indossava i goduriosi sandali
dal tacco eccitante, Morgana possedeva dei piedi da infarto. Erano
graziosi e si immaginò lei che glieli passava sull’addome contratto
per poi giocare con la punta del suo cazzo…
Una bella sega con…
«Che hai da fissarmi in quel modo, svitato! Sei ridicolo!».
Oh, là là! Adesso sì che la riconosceva!
Si tirò su, poggiando le spalle allo schienale che scricchiolò sotto
al peso di tutti quei muscoli definiti: «Non dovrebbe parlare così al
suo capo, miss Green» la schernì, unendo la punta delle dita e
dipingendosi sulle labbra un sorriso da presa per i fondelli.
Morgana si scostò dalla spalla una ciocca di capelli e lui fu rapito
dal semplice movimento; un gesto innocuo che a lui fece
aumentare la voglia di saltarle addosso! Divorarla!
Ragazzi era da clinica psichiatrica, gli tirava da matti nei jeans!
«Ha ragione, mister Marshall, ora se vuole dirmi cosa diamine
devo fare!».
Il tono di lui si fece improvvisamente roco, gli occhi scuri due
pozze insondabili: «Vieni qui, Morgana».
L’ordine la eccitò e lei si maledisse: «Sto bene dove sono» provò
a difendersi, ma la voce le tremò.
«Ho detto di venire qui, come diavolo faccio a farti vedere le
fotografie scattate dal coroner, vuoi che divelga la scrivania o
preferisci che ti schiaffi il mio Pc sulla tua!».
Che carattere di merda!
«Okay, va bene!» Si morse la lingua per non mandarlo a quel
paese!
Si alzò riluttante e andò a posizionarsi dietro di lui.
Judah scostò la poltrona, sulla quale era seduto, facendole
spazio: «Un po’ più vicino non ti mangio».
Lei piantò i tacchi nel pavimento: «Qui andrà benissimo, ci vedo
ancora piuttosto bene da lontano».
Lui fece spallucce: «D’accordo» e girò verso di lei lo schermo,
«… che ne pensi?».
Morgana si piegò in avanti stando ben attenta a non sfiorare le
spalle.
«Raccapricciante» fu la risposta sincera.
Un povero prete giaceva nudo, pallido, grigio, con la bocca
spalancata in modo innaturale e il collo tagliato da un orecchio
all’altro.
«No, cosa pensi di questi delitti? Perché il serial killer sceglie
uomini di Dio per i suoi omicidi? E perché caccia loro in gola un
pezzo di carta appallottolato?».
Morgana si batté l’indice sul labbro inferiore: «Potrebbe essere
un messaggio, possibile che il coroner non sia riuscito a estrarre
neanche questo senza distruggerlo».
«Ottima deduzione, Watson».
«Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo!».
Judah sorrise: «Sei di cattivo umore stamattina, Miss Green».
Lei sollevò gli occhi al cielo: «Non ho fatto colazione!».
«Niente caffè e trigliceridi? Molto male, miss Green».
«Io non ho una segretaria costretta a percorrere due isolati sopra
dannati tacchi per farmi portare caffè e ciambelle!» sibilò.
Judah trattenne una risata, la adorava quando lo prendeva
metaforicamente a calci in culo, ingigantiva la sua voglia di
tapparle la bocca irriverente a suon di baci, e… magari ci
scappava anche un pompino!
Da cosa, nasce cosa si sapeva no?
Si mosse per dare sollievo al suo arnese costretto nella patta, e
indicò con il mento il bicchiere di carta e la scatola di ciambelle
giacenti in fondo alla scrivania: «Serviti pure, potrebbe addolcire il
tuo caratteraccio e il tuo stomaco la pianterà di borbottarmi
nell’orecchio» la dileggiò.
Morgana era tentata, ma scosse vigorosamente il capo: «No,
grazie».
«Prendi una cazzo di ciambella!» la investì facendola trasalire.
«Judah…».
«Fallo, Morgana» ancora il tono roco, la voce che le solleticava la
pelle, ruvida, calda, imperativa.
Il corpo si mosse senza che lei ci potesse fare nulla, docile al
comando, si allungò, la scatola era lontana.
Non si rese conto di strisciare con il busto sul pianale,
maledizione doveva metterle proprio là in fondo queste benedette
ciambelle!?
Judah si mosse, attirato dal fondoschiena di lei che dimenava
sotto ai suoi occhi, la afferrò per i fianchi e Morgana si arrestò:
«Cosa stai facendo?».
«Prendi le ciambelle, Morgana» un sussurro rude, un comando
sensuale.
Il cuore prese a batterle forte quando lui si alzò lentamente, e le
sollevò la gonna: «Judah, no, dobbiamo parlare…» trattenne un
gemito.
Piegandosi su di lei e sfiorandole la schiena con il petto le
bisbigliò in un orecchio: «Dopo, adesso resta dove sei».
Morgana si aggrappò al bordo della scrivania, le gambe le
tremavano, lo stomaco in subbuglio, il basso ventre in fiamme,
oddio l’alito caldo nel suo orecchio, il suo respiro affannato la
eccitava e allo stesso tempo la spaventava.
Ci siamo, si disse. No, ancora! No!
Le mani di lui scivolarono sotto di lei e si appropriarono dei seni
stringendoli.
«Odio questa cazzo di camicetta della nonna» le sibilò a denti
stretti, massaggiandole i capezzoli da sopra il tessuto di cotone
ruvido del reggiseno, amplificando le sensazioni.
«Judah, ascolta» fu un belato supplice.
Morgana piegò il collo, volendolo guardare in volto e prese a
divincolarsi debolmente, era eccitata e spaventata, un mix che la
prostrava e le riempiva di fuoco le vene: «Judah, ti prego…».
Lui le afferrò il capo, affondando le dita nei capelli, li raccolse in
una coda e li strinse riportandole il volto dritto davanti a sé.
«Stai ferma!». Strattonò facendole inarcare la schiena e le sfregò
l’erezione intrappolata nei jeans contro le natiche: «Voglio
prendere il tuo bellissimo culo e tu me lo lascerai fare, vero?».
«Judah!» le strillò, ma un fiotto bollente le sbocciò nel sesso
gonfio pronto per lui.
«Dimmelo, dimmi che lo vuoi! Dimmi che lo prenderai tutto!» e
tirò maggiormente la chioma raccolta nelle sue dita facendola
palpitare di desiderio. «Dimmelo Morgana!».
Lei piantò le unghie nel bordo del pianale.
«Io… Judah, fa male, ti prego, non… voglio, fa male, io… non
voglio più che…».
Le sue suppliche lo fecero tentennare attimo.
Oh, merda non dirmi che quel figlio di puttana del suo ex marito
lo aveva sfondato senza prepararla? Oh, Cristo! Eppure, la fame di
lei non si placava nemmeno al rabbioso pensiero dell’altro.
Le baciò il collo, piccoli baci leggeri e allentò la presa sui capelli
senza tuttavia lasciarli liberi: «Farò piano, Morgana, ma so che lo
vuoi, tu vuoi tutto di me, mi vuoi in ogni dove».
Le sfiorò con la mano libera la bocca socchiusa: «Qui».
Le carezzò la vita e poi passò le dita lungo una coscia sino a
raggiungerle il sesso: «Qui».
Lei respirava affannosamente e sì, lo voleva, lo desiderava da
impazzire!
Le passò l’indice tra le natiche: «E qui, fidati di me, Morgana, se
sarà troppo mi fermerò».
«Judah, io…».
Le diede un leggero schiaffo sulla natica che le inviò una fitta di
piacere nella parte più nascosta e intima di lei.
«Dimmelo!» esortò ancora.
Morgana boccheggiò: «Sì, sì!» strepitò arrendendosi alle violente
sensazioni che lui sapeva farle nascere dentro, il bisogno
primordiale di essere posseduta.
Oh, Cristo!
Judah le abbassò il tanga con un gesto brusco, ma invece di
sfoderare l’erezione che gli faceva male, le allargò le gambe con
un ginocchio e si chinò accarezzandole delicatamente le gambe,
inginocchiandosi pronto a sentire nella bocca il sapore dolce di lei
e…
I got a song a song with shit for the strong willed, when the word
gives you a row deal, set you off’til you scream piss off! Screw you!
La musica rabbiosa del pezzo rappato di Eminem invase la
stanza e trapassò entrambi, bloccandoli.
Judah imprecò, la suoneria del suo cellulare gli fece digrignare i
denti!
«Ma porca troia!».
Morgana ripiombò nel suo corpo e si divincolò liberando le
caviglie imprigionate dalle dita esigenti di lui: «Judah, potrebb…».
Lui si sollevò: «Merda, merda, merda!».
Si allontanò barcollando e si portò l’apparecchio all’orecchio
ruggendo: «Che cazzo c’è?».
Morgana, rossa in volto, si tirò su gli slip e si abbassò la gonna
imbarazzata, avrebbe voluto scomparire come se chi stesse
dall’altra parte della comunicazione avrebbe potuto vederla in
quelle discinte condizioni.
«Okay, sto arrivando, non toccate niente!».
Si cacciò nella tasca dei jeans lo smartphone e afferrò le chiavi
della macchina: «Prendi la borsetta, miss Green, c’è stato un altro
omicidio».
Lei annuì e gli trotterellò dietro: «Ma che diamine di musica
ascolti?» chiese tanto per non dare importanza a quello che era
appena successo tra loro.
«Cazzi miei, e ti conviene chiudere la bocca sino a
destinazione.» Le spalancò la porta rabbioso.
Morgana ansimò: «Perché sei così arrabbiato?».
Lui indicò la scrivania con il mento e poi passò lo sguardo duro
su di lei, facendola arrossire di nuovo.
«Tu che dici?» domandò iracondo e poi sbatté la porta
chiudendola con un calcio!
Senza tanti complimenti le aprì la portiera. «Sali».
Morgana indugiò: «Judah, ecco, su quanto successo pocanzi io
vorrei dire …».
«Sali cazzo! Subitoooo» e lei si gettò sul sedile, Judah sgommò,
facendo stridere le ruote sull’asfalto. C’era quasi, mancava tanto
così… sentiva il sapore di lei sulla lingua, il suo cazzo stretto nel
pertugio delizioso, spingendolo dentro lentamente per poi farla
gridare di piacere!
«Judah, senti io insisto noi non dovremmo più…».
Lui si voltò verso di lei, una ciocca di lunghi capelli scuri gli sfiorò
lo zigomo, Dio quanto era bello…
«Dovremmo eccome, il tuo culo sarà mio, il caso è chiuso!»
«Ma non puoi parlarmi in tal modo! Judah!».
Lui stirò le labbra in una smorfia: «Morgana, mi fa un male cane,
tira da matti, sono nervoso, ho voglia di sbatterti sui sedili di questa
dannata auto, ora o chiudi la bocca o ti chini e mi fai un pompino».
Morgana disegnò una O di sconcerto con la bocca: «Va… va
bene…» tartagliò.
Judah tenne gli occhi sull’asfalto davanti a sé: «Okay, tiramelo
fuori».
Lei gli sferrò una borsettata sul petto: «Intendevo che terrò la
bocca chiusa! Capito!? Quindi niente pomp…, oh, diamine
nemmeno riesco a pronunciarlo!».
Judah rise: «Fare è meglio che dire, ma se questa è la tua
decisione soffrirò anche io, in rigoroso silenzio».
Pigiò il tasto sui comandi al volante e la musica riempì a tutto
volume l’abitacolo.
Yeah, so seductive. I’ll take you to the candy shop, I’ll let you lick
like lollipop…
«Che diamine di musica scurrile ascolti!? Non dovevamo fare
silenzio?».
Le sorrise allusivo: «Noi sì, ma 50 cent no, e poi mi ricorda…».
«Taci!» lo rimbrottò.
Judah imboccò la superstrada canticchiando quella oscena
canzonaccia.
CAPITOLO UNDICI
L’automobile procedeva a bassa velocità lungo l’impervio
sentiero, la coltre lattiginosa si faceva più densa e impediva loro la
vista. Morgana detestava la nebbia, le incuteva un terribile senso
di ansia, infondendole la sgradevole sensazione che celasse
insidie pronte a ghermirla. Anche il buio le incuteva lo stesso
terrore, lei aveva bisogno di poter vedere ciò che la circondava.
Persino l’innaturale silenzio attorno a loro la angosciava.
Deprivazione di vista, udito…
Conosceva molto bene cosa significava, Jim la bendava, e le
copriva le orecchie con una cuffia speciale che la isolava da
qualsiasi suono e poi la colpiva quando meno se l’aspettava… Non
sapeva da dove sarebbe arrivato il pugno, non sentiva i suoi
passi…
Ecco spiegato il motivo della sua tremenda apprensione da tutto
ciò che occultava i sensi.
In lontananza si intravedevano le alte fronde di alberi che, con i
loro rami contorti, parevano graffiare il grigiore che li soffocava. Un
disperato bisogno di emergere nella strenua ricerca della luce.
Proprio come accadeva spesso a lei durante i perversi pestaggi
dell’ex marito.
Il respiro le mancava, ma tentava di modularlo. Nel preciso
istante nel quale l’automobile si arrestò, lei artigliò la maniglia e
represse il disperato desiderio di fuggire, la fece desistere soltanto
la foschia grigia che le impediva di prendere una qualsiasi
direzione.
«Scendi, bella statuina.» La voce di Judah fu un appiglio al quale
lei si aggrappò per non annaspare.
Annuendo spalancò la portiera e poggiò il piede sul terreno
umido, sollevandosi i tacchi affondarono nelle foglie scivolose e lei
si mantenne alla scocca della macchina sportiva.
Judah, aggirandola, raggiunse la sua bella fatina che faticava a
muovere un passo, pessima idea quella di portarla in un cazzo di
bosco senza prima farle cambiare le scarpe.
Le porse il braccio muscoloso: «Forza, sostieniti a me» la invitò
brusco.
Morgana era paralizzata.
Quel posto era simile al bosco nel quale lei fuggiva disperata nei
suoi incubi mentre Jim la inseguiva, le sembrava di udire la sua
macabra risata.
Judah intuì la sua apprensione: «Non ti succederà niente con me
al tuo fianco, te lo prometto, Morgana» le sussurrò e il cuore di lei
si acquietò. Procedette guardinga, gli occhi schizzavano in ogni
dove.
Che strano, nonostante fosse primavera inoltrata, l’umidità le
infondeva brividi di gelo.
Le mancava l’aria, era come se la coltre densa le entrasse nei
polmoni.
Cercava di assorbire il calore emanato dal contatto con il braccio
possente di Judah.
Sollevò lo sguardo su di lui.
Lui era la potenza.
La naturale sicurezza.
Protezione…
Ma non era abbastanza…
Si schiarì la voce: «Judah…» lo richiamò con un sussurro
incerto.
Lui la guardò intensamente, i suoi occhi scuri, intelligenti,
indagatori e sinceri le diedero la forza di chiedergli
sommessamente: «Potresti tenermi per mano?».
Sentiva dentro di sé la necessità del contatto della pelle contro la
sua.
Lui la osservò divertito e lei si maledisse.
Slegò il braccio dal suo e con fatica fece qualche passo
superandolo.
Che idiota che era stata!
Fu afferrata per il polso e lei provò a divincolarsi: «Lascia
perdere!» sibilò.
Ma lui le sollevò la mano e le baciò il palmo, senza dirle una
parola le mostrò le loro dita che si intrecciavano.
Lasciò cadere le loro braccia lungo il fianco, tendendosela vicina
e sincronizzò le lunghe falcate con il passo di lei, reso incerto dalle
asperità del terreno.
In silenzio camminarono vicini, era come se Judah sapesse dove
dovevano dirigersi in mezzo alla fitta nebbia. Schivava tronchi,
aggirava solchi di zolle sollevate dalle radici. La sosteneva quando
lei incespicava.
Judah era tutto quello che ogni donna avesse desiderato in un
uomo.
Bello da far male, sicuro di sé, possente, intelligente, ironico,
arguto e sapeva fare sesso selvaggiamente, divinamente…
Ogni donna sarebbe stata felice con lui come compagno di vita.
Tutte…
Tranne lei…
O forse nessuna, perché lei aveva inteso la vera natura di Judah,
era uno spirito libero, non si sarebbe mai legato a nessuna…
Passo dopo passo si convinceva che la loro relazione non
avrebbe portato da nessuna parte…
Un giorno. Judah. si sarebbe stancato, la strana attrazione
sessuale che le dimostrava sarebbe andata scemando, e cosa
sarebbe rimasto di loro?
Niente!
Morgana non sapeva cosa fare, divisa tra il suo buon senso che
le diceva di troncare, e il bisogno di come lui la faceva sentire viva
ogni volta che la prendeva con ardore.
Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate, non è amore…
Non lo sarà mai si ripeteva.
E allora perché non era in grado di stargli lontano?
Ci aveva provato, ma lui lo aveva impedito, trovandosi nel locale,
al posto giusto nel momento giusto…
E le aveva imposto di tornare a lavorare per lui…
L’aveva resa schiava con le sue mani, la sua bocca, il suo corpo
vigoroso che l’avvolgeva, imponendole il suo volere.
Aveva ceduto! Aveva sbagliato, era tutto sbagliato.
Judah si arrestò e lei andò a cozzare contro il fisico solido di lui.
Il trillo di avviso di un messaggio proveniente dal suo smartphone
perforò il silenzio, facendola trasalire.
Judah proseguì senza lasciarle la mano e prese a scrutare lo
screen. Morgana avanzò con gli occhi puntati davanti a sé, la
nebbia era sempre più fitta, ora persino i tronchi parevano sinistre
ombre deformate.
Lo strillo acuto fendette l’aria.
Judah strinse a sé Morgana, istintivamente, mentre lei si
tamponava la bocca. Era lei che aveva emesso il grido spaventato!
Un uomo comparso dal nulla la fissava con occhi spiritati. Un
sorriso ebete e maligno piegato sulle sottili labbra.
Judah la mise dietro di sé impedendo a all’invertebrato di
scrutarla: «Chi sei? Cosa ci fai qui!» gli chiese.
L’uomo magro e ingobbito nonostante dimostrasse la stessa età
di Judah rispose ridacchiando: «Jonathan, sono Jonathan».
Allungò il collo esile che spuntava dalla camicia a quadri e indicò
con l’ascia che stringeva tra le dita scheletriche Morgana,
aggrappata alla schiena di Judah, che lasciava scoperto soltanto il
volto cereo.
«Lei, lei è bella…».
Judah avanzò e l’omino fece un balzello indietro, piccolo gnomo
della malora!
«Se, se, se. Ora rispondi alla domanda, cosa ci fai qui?».
«Io l’ho visto!» rispose in tono allucinato l’omuncolo,
spolverandosi i calzoni in pesante tessuto marrone inzaccherati di
fango.
Judah fece un altro passo in avanti, spezzando un ramo che
scricchiolò sotto le suole dei pesanti anfibi: «Chi?».
Il piccoletto gli puntò l’ascia contro: «Non mi fai paura! Voi tutti
non mi fate paura!».
Judah, con gesti misurati, spostò l’ascia di lato e con calma gli
domandò: «Chi sono loro? Di chi hai paura?».
«Ti ho detto che non ho paura!» strillò il giovane.
Si guardò attorno: «Loro sono qui, io li ho visti» sussurrò.
Judah lesse il terrore in quegli occhi spalancati: «Chi sono loro?»
insisté con lo stesso tono basso, rassicurante.
L’uomo indicò dietro di sé, puntando l’ascia tra due tronchi: «È
fuggito, di là».
«Chi è fuggito, parla!».
«L’ho già detto alla donna bionda della polizia».
«Dillo anche a me, anche io sono della polizia».
Il ragazzo tremante scosse l’ascia mantenendola puntata nella
direzione indicata poco prima: «L’incappucciato, è scappato, i piedi
scalzi non toccavano terra, sono i fantasmi di questo bosco, loro
uccidono i preti! Loro uccidono tutti!»
Una risata grottesca gli sgorgò dalla gola e puntò gli occhi rapaci
su Morgana: «Prenderanno anche te!».
Morgana strinse il braccio di Judah: «Quest’uomo è pazzo» gli
sussurrò.
«Eppure, è lucido nella sua pazzia, molto interessante» rispose
Judah.
«Andiamo via» lo pregò Morgana.
«Dammela! La proteggerò io, loro non la toccheranno, io ho
l’ascia, la porterò nella mia baita, al di là della collina.» Il
decerebrato osservava affamato la sua fatina.
«Judah, ti prego, andiamo!» lo incalzò spaventata Morgana.
Lui sorrise al pazzo: «Mi dispiace, amico, ma lei è mia».
L’altro scosse il capo risoluto: «Tu non la vuoi per sempre, io la
terrei con me finché non morirà, tutti dobbiamo morire, e la
seppellirò sotto a quell’albero…».
«Quale albero?» lo spronò a proseguire Judah.
Morgana non capiva il motivo per il quale Judah continuasse a
parlare con il matto da legare.
Ma come era possibile che si permettesse a un insano di mente
di vivere ai margini di un bosco?
«Dottor Marshall, non perdere tempo con questo imbecille!» La
voce dell’ispettore capo, Glenn Palmer, fece voltare tutti nella sua
direzione.
Morgana la osservò, era bellissima come la ricordava.
Indossava un paio di pantaloni neri a sigaretta, un giubbino in
pelle nera, attillato, che lasciava intravedere le forme perfette. Ai
piedi comodi scarponcini militari. L’alta coda di biondi capelli le
donava un non so che di altero, scoprendo il volto dai lineamenti
duri e allo stesso tempo affascinanti.
Lei è tutto ciò che io non sarò mai, si disse Morgana, invidiando
l’innata sicurezza di sé che emanava quella donna.
«Da questa parte» fece strada Glenn. «… e attenta a dove mette
i piedi, Miss Green, temerario da parte sua indossare sandali tacco
dodici sulla scena del crimine» la dileggiò.
Judah le afferrò la mano sorreggendola.
«L’incappucciato ha i suoi occhi! State attenti!» gridò il pazzo
mentre si allontanavano.
«Cosa intendeva dire?» chiese Morgana a Judah.
Lui non le rispose osservando davanti a sé. Lo fece Glenn: «Lo
lasci perdere, ma non lo vede che è un povero mentecatto?».
«Lo hai interrogato vero?» chiese Judah.
Miss Palmer annuì: «Sì, dice che ha visto un uomo incappucciato
fuggire ed è lui che ha chiamato la polizia dopo che ha trovato il
cadavere».
«Ha descritto questo incappucciato?».
Glenn spostò un ramo che le impediva il passaggio: «Sì».
Judah afferrò lo stesso ramo spezzandolo cosicché Morgana
potesse avanzare: «E come diavolo era questo cazzo di
incappucciato?»
Glenn snocciolò frettolosamente: «Indossava una tunica, scura
con un cappuccio calato sul capo, esile di costituzione, un metro e
settanta circa, scalzo, dai piedi piccoli».
Si ritrovarono in una radura con pochi alberi sparsi sul manto
erboso umido di rugiada: «Il pazzo ha parlato di occhi, come erano
questi occhi?».
Glenn si voltò guardandolo dritto in faccia: «Azzurri, gelidi e
determinati, così ha detto. Io credo che siano fantasie di una
mente malata, la psiche dà forma alle nostre paure e quel povero
uomo credo sia stato fuorviato dalla sua mente, ha creato una
proiezione di ciò che teme, tutto qui».
Judah sollevò lo sguardo: «Questo lo lasci decidere a me, bel
lavoretto davvero».
Morgana seguì con gli occhi il suo movimento, e ancora una
volta si tamponò la bocca impedendosi di urlare.
Oh mio Dio! Mio Dio!
Un uomo pendeva da una corda, a testa in giù, la gola, straziata
da un fendente, l’apriva mostrando le ossa della colonna cervicale
che biancheggiavano tra la carne maciullata.
Nella bocca aperta, in modo orribilmente sinistro, in un muto
grido era conficcato un foglio appallottolato.
L’ uomo indossava un abito talare e i pantaloni erano abbassati.
Morgana si coprì gli occhi in segno di pietà e non per pudore.
Il sesso afflosciato dell’assassinato mostrato con spregio,
volendo umiliare il cadavere deturpato.
«Chi può fare tale aberrazioni?» domandò con un filo di voce.
«Lo scopriremo presto» le disse Judah. Poi ordinò ai ragazzi
della scientifica: «Tiratelo giù e portate il corpo nel laboratorio del
coroner. Ditegli di non toccarlo sino a quando non sarò presente
io».
In poco tempo il corpo fu avvolto in un sacco nero, caricato su di
una barella e trasferito nel furgone.
Glenn balzò in auto, tenendo gli sportelli aperti «Tu non vieni con
noi?» si informò con Judah.
Lui scosse il capo: «Andate, ma fate come vi ho detto, io non ho
ancora finito qui».
Glenn indicò con il mento Morgana: «E lei?».
Judah la fissò negli occhi: «Resta con me».
Miss Palmer balzò giù dal furgone: «E allora resto anch’io».
«Io credo tu debba accompagnare il corpo, ispettore capo» la
liquidò lui.
Glenn strinse la mascella: «D’accordo, poi vorrei parlarti in
privato, da soli, tu e io».
Così dicendo chiuse lo sportello con un gesto brusco e il furgone
e l’auto partirono sparendo nella nebbia.
Morgana si strinse nelle spalle, sfregandosi le braccia. «Cosa ci
facciamo ancora qui?».
Judah si tolse il giubbotto e glielo posò sulle spalle, Morgana se
lo strinse addosso, era grande di misura, e caldo, impregnato del
profumo naturale della pelle di lui.
Che strano, Judah non portava fragranze, eppure lei poteva
percepire la fra ganza che emanava il suo corpo. Una coperta
sensoriale rassicurante.
«Dobbiamo ispezionare il luogo del delitto».
Judah studiò il solido ramo da dove pendeva la corda che la
scientifica aveva imbustato: «Dimmi Morgana non noti nulla di
strano?».
Lei prese a camminare incerta sotto al grande albero: «Sì, non
c’è una sola goccia di sangue».
Judah si chinò e con un rametto scostò le foglie: «Brava,
Watson» ironizzò.
«Ti ho già detto di non apostrofarmi in quel modo!».
Non le rispose e si diresse verso il bosco: «Dove sarà il sangue
del prete?».
Morgana incespicando lo raggiunse e lui gli tese la mano, alla
quale lei si aggrappò: «L’assassino potrebbe averlo ucciso in un
altro luogo, poi averlo portato qui».
Judah si grattò la barba: «Esile, piedi scalzi, una corda per issare
il corpo facendo leva e utilizzando poca forza fisica, non credo che
il nostro assassino sia stato in grado di trascinare sino a qui il
corpo passando dal bosco».
«E allora dove lo ha ucciso?» rabbrividì Morgana spaziando con
gli occhi.
Judah si voltò di scatto e tornò indietro trascinandola con sé
«Giusto!».
Aggirò l’albero maledetto, Morgana gli zampettò dietro: «Judah e
se il pazzo stesse dicendo la verità, ripeteva “loro” e se fossero
stati più di uno gli assassini?».
«Glenn in parte ha intuito l’allucinazione del poveretto. No,
l’assassino agisce da solo.» Si chinò. «E questa ne è la prova».
Sul terreno le foglie erano scostate lasciando intravedere un
solco poco profondo nel terreno, reso umido dalla nebbia fitta: «Lo
ha trascinato.» Indicò il solco. «Qui l’incanalatura è più stretta, poi
si allarga a cadenza regolare, tronco… gambe… L’ha trascinato
per i piedi».
Morgana fu stupita dall’acume di Judah: «Non ci avevo pensato».
Lui si sollevò pulendosi i jeans dal fango: «Ecco perché tu sei
Watson».
«Oh, smettila, Judah, ti ho già detto… Oh mio Dio!».
Morgana strillò dopo essere affondata in qualcosa di viscido che
le imbrattava i sandali sino a raggiungere la pelle scoperta dei
piedi, sangue! Era finita in un’enorme pozza di sangue rappreso!
«Ed ecco dove lo ha sgozzato».
Judah utilizzò un altro legnetto rugoso per sollevare un laccio in
cuoio: «E con questo gli ha legato le braccia».
«Come fai a dirlo?» domandò lei ansimando.
«Il cadavere ne portava i segni sui polsi».
«Non me ne ero accorta» ammise lei.
Judah le porse un sacchetto trasparente estratto dai jeans:
«Tienilo aperto e attenta a non toccare il laccio» così dicendo lo
fece cadere nel sacchetto che lei teneva lontano da sé con le
braccia tese.
Frugò nell’altra tasca dei pantaloni ed estrasse lo smartphone.
«Chi chiami?».
Lui indicò con il mento una pila di sassi, uno sopra all’altro, con
piantati nel mezzo due rami legati da un altro laccio in cuoio a
formare una croce: «Scatto una foto, e non un selfie di noi due in
gita nel bosco».
Morgana nemmeno si era resa conto del simulacro: «Ma cosa
diavolo è?».
«Un rudimentale altare.» Judah scattò una sequenza di fotografie
per poi rinfilarsi lo smartphone in tasca: «Possiamo andare ho
elementi sufficienti».
Morgana speranzosa gli chiese: «Mi lasci in ufficio vero?».
Lui le cinse i fianchi: «No, mia bella fatina, c’è un corpo sopra a
un tavolo in acciaio che ci aspetta, proverai l’ebbrezza della tua
prima autopsia».
«Temevo lo avresti detto» sussurrò lei.
CAPITOLO DODICI
L’odore di disinfettante non mascherava l’olezzo rarefatto e
Morgana fu aggredita dal senso di nausea.
Lei l’effluvio malefico lo ricordava, lo aveva memorizzato il giorno
seguente la morte del marito. Puzza di morte.
Le si era impregnato nelle narici e adesso lo riconosceva.
Anche l’ambiente che la circondava le era vagamente familiare.
Stesso pavimento verde in linoleum.
Stesso scarno asettico arredo composto da enormi congelatori,
non osava pensare cosa potessero contenere.
Stessi tavoli in metallo lucente e, adagiata su di uno di questi, la
salma del prete barbaramente assassinato.
Il corpo rigido, dalla pelle grigiastra, macchiata di aloni bluastri e
violacei.
La luce impietosa della grande lampada da sala chirurgica
illuminava il corpo.
Sul carrellino un telo sterile dove luccicavano sinistramente ferri
chirurgici.
Gli abiti talari dispiegati su di un altro ampio tavolo quadrato, il
piano, in laminato bianco, faceva contrasto con il tessuto nero
degli indumenti.
Tutto questo lei lo osservava da dietro la protezione dell’ampia
vetrata che occupava la parete che divideva il laboratorio dal
corridoio in penombra.
Morgana fu sopraffatta dalla pietosa commozione per il corpo
straziato, privato del soffio di vita; come si poteva arrogarsi il diritto
di uccidere qualcuno togliendolo ai suoi cari?
Perché l’assassino si accaniva su uomini che avevano dedicato
la loro esistenza a Dio e al prossimo?
Qual era il disegno perverso dell’omicida?
Trasalì, Judah le poggio la mano dietro le scapole «Dobbiamo
entrare, bella fatina».
Lei lo osservò dal basso in alto: «Preferirei restare qui».
Ma lui le porse un camice monouso verde, calzari e una
mascherina dello stesso impersonale colore. Unica nota vivida la
cuffietta per raccogliere i capelli, che lei trovò indelicata e
irrispettosa nei confronti del cadavere. Una cuffia in carta dalle
tonalità allegre, gialla con stupidi, ridicoli orsetti rossi.
Si schiarì la gola senza mascherare la smorfia infastidita.
Il coroner, giunto dal fondo del corridoio, intuendo si scusò
abbozzando un sorriso.
«Sa, quando si fa questo lavoro si tenta sempre di aggrapparsi a
ciò che ci fa sentire vivi nonostante si debba convivere per diverse
ore con la morte».
Morgana lanciò un’occhiata severa all’uomo pingue e dai capelli
brizzolati portati corti ai lati del capo e più lunghi sulla nuca, una
misera ricerca di coprire l’incipiente calvizie.
«In questo caso…» gli mormorò e indossò la cuffietta, Judah
l’aiutò a infilarsi il camice e lei calzò i calzari che bucò con i tacchi,
ma non se ne curò.
Anche il coroner e Judah si bardarono, e lei scacciò il pensiero
ridicolo di quanto potesse essere sexy il suo capo con quella roba
addosso.
Roba da non crederci…
Entrarono dalla porta in pesante metallo e l’odore di morte si fece
pungente, nonostante vi fosse un circuito di purificazione dell’aria.
Judah e il medico legale si avvicinarono al cadavere, lei rimase in
disparte, ma allungò il collo, attratta dalle movenze sicure del suo
boss che con un gesto della mano si fece passare dal coroner una
pinza allungata.
Indossava guanti in pesante lattice con due dita premette le
guance della salma e Morgana fece un passo indietro allo
scricchiolio sommesso prodotto dalle ossa della mascella, rese
rigide dal rigor mortis.
Con estrema attenzione Judah infilò i rebbi della pinza nella
bocca del cadavere e, delicatamente, estrasse il foglietto
conficcato profondamente tra i denti.
Tirò senza forzare, concentrato, la fronte corrugata, Morgana
trattenne il respiro, pensando che il piccolo pezzo di carta si
sarebbe lacerato.
Chissà quanti cadaveri aveva ispezionato, si domandò lei.
Ecco un altro aspetto a lei sconosciuto di lui.
L’uomo scanzonato, ironico, spesso bizzoso lasciava il posto a
un professionista attento e capace, la concentrazione ferrea
nell’agire con gesti sicuri.
Morgana ne restò affascinata.
Con il mento Judah indicò un’altra pinza, più corta, al corner che
lui gli passò nell’altra mano tesa.
Aiutandosi con i due strumenti nel giro di qualche minuto
estrasse intatto il foglio imbrattato di sangue e altri umori.
«Un’arcella per favore» ordinò con tono autoritario.
Anche questa volta il coroner fu lesto e Judah lasciò cadere nel
contenitore il pezzo di carta che fu portato sotto una cappa dalla
luce azzurrina e che dai bocchettoni ai lati, spandeva getti di aria
sterile.
Judah si accomodò sullo sgabello in metallo e, con gesti misurati,
aiutandosi con altre pinze, pronte sul ripiano da lavoro, dispiegò il
foglietto e allungò la mano abbassando la telecamera che inviò su
un grosso schermo poggiato sul tavolo a lato l’immagine
ingrandita.
Morgana si avvicinò interessata: «C’è scritto qualcosa?» disse
elettrizzata.
Gli altri due uomini non le risposero, intenti a osservare la
calligrafia spigolosa, vergata con inchiostro blu.
«Non riesco a leggere bene, dispiegalo di più, Judah» bisbigliò
Morgana mossa da un’irrefrenabile eccitazione.
E lui lo fece, aiutandosi con le dita protette dai guanti in lattice,
stirò dalle pieghe il foglio.
Ora la calligrafia appariva maggiormente nitida. Nonostante vi
fossero delle macchie brunite a imbrattare alcuni caratteri, lei poté
leggere ad alta voce:

“ Giudicatevoi stessi, è conveniente che una


donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? ”
Poche righe, cosa voleva dire l’assassino?
Quale incomprensibile messaggio aveva lasciato?
Un tonfo fece voltare i tre nella direzione da dove proveniva,
Morgana sobbalzò con il cuore in gola dallo spavento.
Si quietò quando capì che era soltanto la porta che si richiudeva
dietro all’ispettore capo Palmer.
«E allora cosa avete scoperto?» si informò con voce decisa e
autoritaria.
Judah si tolse i guanti con uno schiocco e abbassò la
mascherina: «Un indizio» rispose semplicemente.
La donna si accostò all’immagine sullo schermo «Uhm… e cosa
vorrà dirci il nostro serial killer?».
Judah si rivolse al coroner: «Può procedere all’autopsia».
A Morgana cedettero le ginocchia e si dovette accostare alla
parete, lei lì dentro non ci sarebbe rimasta un attimo di più, altro
che autopsia, no grazie lei si sarebbe defilata.
«No… noi… c… ce… ne… ne… a… andiamo …. ve… vero?»
balbettò rivolgendosi al suo capo.
Lui si piegò sfiorandole l’orecchio con la bocca: «Hai lo stomaco
debole, bella fatina, ti ci dovrai abituare, stai lavorando per un
criminologo non per un fiorista».
Ma che diavolo di paragone andava a fare!
«Scusami tanto, se non è mia consuetudine assistere allo
sventramento di un cadavere!» ribatté piccata.
Lui sollevò un sopracciglio divertito: «Ci farai il callo».
Ma il callo un bel niente!
«Preferirei aspettare in corridoio» si impose Morgana.
Glenn sorrise ironica: «La tua assistente ha ragione, non vorrei
che si impressionasse, è una donna delicata, sono convinta che
sia inadatta a questo lavoro».
Judah gettò nel cesto portarifiuti in metallo i guanti e la
mascherina: «Ho detto che si abituerà, ho molta fiducia in lei».
Glenn mandò giù la rabbia che le serpeggiava a fior di pelle,
quella donnicciola delicata le provocava il voltastomaco.
«Se lo dici tu, comunque vorrei che mi seguissi nel mio ufficio,
devo parlarti a quattrocchi».
«D’accordo».
Morgana si intromise: «E io? Non mi lascerai qui spero?».
Glenn le spalancò la porta: «Lei, miss Green, aspetterà nel
corridoio, non vorrei che svenisse facendoci perdere tempo con la
sua inettitudine!».
Morgana si offese: inetta a chi? Come si permetteva quella
vipera? Perché mai ce l’aveva tanto con lei da umiliarla
pubblicamente?
Si piantò nei tacchi che avevano sbrindellato i calzari: «Io resto
qui!» E si mise a braccia conserte tanto per sottolineare la sua
determinazione, dentro di sé era tutt’altra musica, se la stava
facendo addosso, mio Dio, come avrebbe potuto resistere
guardando il coroner affettare il povero prete?
Judah, le strinse il polso calorosamente: «Brava ragazza, così si
fa».
E la lasciò li, sparendo dietro la porta assieme all’arpia.
Lei non ebbe il coraggio di voltarsi verso il tavolo sul quale
giaceva il cadavere: «Posso dare un’occhiata agli abiti del prete?»
chiese con un filo di voce al coroner che avvicinava il carrello
colmo di quegli arnesi appuntiti dell’inferno!
Lui annuì distrattamente: «Sì, ma mi raccomando non tocchi
nulla».
«Va bene» rispose di rimando lei e si avvicinò al ripiano con
profondo rispetto nei confronti degli abiti talari ed effetti personali
riposti accuratamente e catalogati con etichette numerate,
appartenuti all’uomo di chiesa.
CAPITOLO TREDICI
Glenn, si accomodò dietro alla scrivania indicando la poltroncina
di fronte a sé a Judah, invitandolo a sedersi.
«Sto bene qui dove sono» disse lui restando al centro del piccolo
ufficio. La donna accavallò le lunghe gambe snelle, ammirandolo:
magnifico nella sua fisicità, la perfezione di muscoli definiti, ne
sottolineava la potenza, e gli occhi scuri, dal taglio vagamente
orientaleggiante rendevano il volto ancor più affascinante.
Judah era per lei una superba tentazione.
Lo voleva dal primo giorno che era entrato al distretto di polizia,
certo lo conosceva attraverso la sua fama, le innumerevoli
apparizioni su testate giornalistiche e programmi televisivi dove
presenziava in qualità di esperto criminologo. Ma la morbosa
attrazione che sentiva per lui aveva preso forma quando aveva
percepito lo strano magnetismo che lui possedeva. E comunque
qualsiasi donna non poteva di certo restare immune al suo
carisma.
Si umettò le labbra immaginandosi la sua mano grande dalle dita
lunghe affondarle nelle ciocche dei capelli e strattonarle sino a
farle male, costringendola a sottostare a sordide perversità alle
quali lei non si sarebbe negata.
Non perse tempo, voleva manifestargli apertamente la ragione
per la quale lo aveva invitato al riparo di occhi indiscreti: «Sai
Judah, mi chiedo che tipo di uomo tu possa essere a letto?».
Lui incrociò le braccia sul petto possente, contraendolo, i bicipiti
guizzarono sotto al pesante giubbotto nero che indossava: «Non
siamo qui per parlare di questo» rispose con un tono duro.
«E di cosa dovremmo parlare allora?» lo provocò lei,
sciogliendosi l’alta coda di capelli biondi che le piovvero
sensualmente sulle spalle.
Judah sapeva dove l’ispettore capo voleva arrivare, ma decise di
restare impassibile, seguitando a fissarla dritta negli occhi, con
un’espressione distratta sul bel volto.
Glenn non demorse conscia del suo fascino, e cominciò ad
aprirsi la camicetta in raso bianco, lentamente, bottone dopo
bottone: «Come sei quando scopi. mister Marshall? Cose ti piace
fare alle donne? Sospetto che sai dosare violenza e dolcezza,
vero?».
Lui sorrise mostrandole la dentatura perfetta: «Dipende dalla
donna» dichiarò ironico.
«Te la sei già scopata?» domandò alzandosi e lasciando cadere
la camicetta sul pavimento.
Judah intese a chi alludesse, la sua fatina balbuziente.
«Non sono cazzi tuoi, ispettore» affermò mantenendo il sorriso
da stronzo sul volto.
Glenn gli poggiò le mani sul petto, premette affondandovi le dita,
saggiandone la potenza: «Hai ragione, non parliamo di lei,
piuttosto concentriamoci su di noi».
Lui abbassò lo sguardo osservando le dita lunghe di lei
esplorarlo, carezzandogli l’addome, quando raggiunse il bordo dei
jeans sollevò gli occhi inarcando un sopracciglio.
«Noi?» buttò lì la domanda con sarcasmo.
Glenn gli sfiorò il cavallo dei pantaloni con il palmo aperto «Sai
Judah, vorrei dirti io cosa mi piace fare con gli uomini» sussurrò
abbassandogli la lampo dei pantaloni.
Interessante, le affondò le dita nei capelli e con l’altra mano
stringendole una spalla esile la spinse giù, si era in ballo e si
ballava!
«Uno a dieci che ti piace succhiarlo.» Mantenne il sorrisetto da
magnifico bastardo, piantandole gli occhi nei suoi.
Glenn cadde in ginocchio e armeggiò con la pesante fibbia della
cintura, strattonò rabbiosa, finché riuscì a liberare l’erezione
grande e lunga, proprio come se l’era immaginata, possente e allo
stesso tempo spaventosamente minacciosa.
Si avventò sul glande liscio e invitante circondandolo con le
labbra scarlatte e, suggendolo, lo stuzzicò con la lingua.
Judah sollevò gli occhi al cielo: «Deduco che non parleremo del
caso, ispettore» e le spinse il cazzo in gola tenendola ferma per le
ciocche setose.
Bel movimento, lo prendeva tutto, ci sapeva fare la ragazza.
Glenn modulò il respiro per accoglierlo, lui spingeva con
metodica, spietata profondità per poi ritrarsi lasciandole il tempo di
riprendere fiato, quel tanto che bastava per mandare giù la copiosa
saliva che le riempiva le guance.
Brutale, privo di riguardo, la usava dandole la sensazione che lei
fosse soltanto uno strumento di piacere.
Nonostante mantenesse una poderosa erezione, il volto di lui
non lasciava trasparire alcuna manifestazione di godimento,
perpetrava il sorrisetto ironico mentre le stringeva i capelli
guidandola.
E a lei piaceva che lui la usasse, le ginocchia le dolevano
dovendo mantenere la posizione, la mascella era indolenzita
dovendo subire gli attacchi profondi. Si lasciò sfuggire un mugugno
soffocato, il sesso le sbocciava a ogni stilettata. Lui lo spinse
talmente in fondo che con il naso andò a cozzare contro il pube
dell’uomo. Provò ad allontanarsi, ma lui, brandendola per la nuca
la tenne ferma.
«E no, ispettore, si fa come dico io, è così che ti piace vero?».
Lei, con le lacrime agli occhi, annuì, e un rantolo sibilante le
nacque dalla gola martoriata, mio Dio stava avendo un orgasmo
spaventoso, mentre annaspava in cerca di un poco di tregua che
lui non le concedeva, senza decidersi a riversarsi dentro la sua
bocca, ma continuando a martellare senza pietà.
Nel frattempo Morgana, ignorando ciò che accadeva nell’ufficio in
fondo al corridoio, tentava di isolarsi dai rumori che riempivano la
sala asettica. Se soltanto avesse avuto la possibilità di tapparsi le
orecchie senza apparire ridicola, avrebbe potuto attenuare il suono
orribile della sega rotante usata dal coroner, intento ad accanirsi
sullo sterno del povero prete defunto.
Sfiorò con le dita il breviario dalla copertina consunta, come può
essere impietosa la morte, spesso togliendoti la dignità. Quante
volte l’uomo, ora nudo, trattato con indifferenza scientifica, aveva
aperto quel libricino, affidando le sue preghiere a Dio.
Un uomo di chiesa, un uomo rispettato, il pastore delle greggi. E
adesso tutto il suo autorevole prestigio era svanito, lasciando un
guscio vuoto, un corpo inanimato catalogato con una spregevole
etichetta legato alla caviglia gelida con un laccio.
Le mani che avevano lenito i dolori dei suoi fedeli, con una stretta
calorosa, una carezza amorevole alla guancia di un bambino,
adesso giacevano sul metallo freddo, abbandonate in una
posizione innaturale.
Morgana sfiorò il polsino della giacca nera talare e mormorò:
«Abbi pietà di lui, Signore, accoglilo nella tua grazia».
L’attenzione ritornò sul breviario, c’era qualcosa che catalizzava il
suo sguardo, come se il libro la richiamasse silenziosamente,
insinuando un qualcosa di indefinito nella sua memoria.
Si concentrò, cosa la costringeva a non distogliere gli occhi dalla
rilegatura in pelle brunita, ai caratteri dorati sbiaditi dall’assiduo
utilizzo?
Un flash le squarciò la mente, lei il breviario lo aveva già visto!
Evitando di volgersi verso il coroner artigliò il tavolo dove erano
depositati gli effetti personali del prete: «Avete un archivio con le
immagini dei reperti degli altri omicidi?» chiese ansimando.
Il coroner si pulì le mani protette dai guanti monouso, lorde di
viscidi umori sul camice monouso: «Il computer alla sua sinistra,
cartella zero sessantadue, troverà tutti i file.» Avanzò verso di lei
incuriosito. «Perché me lo ha chiesto, miss Green».
Morgana allungò una mano verso di lui senza tuttavia girarsi
«Shh, shh, un momento la prego».
Digitò velocemente sulla tastiera, se la memoria non le giocava
brutti scherzi…
«Eccolo, sì, lo ricordavo!» esclamò.
Il coroner le fu dietro, la donna dovette e un singulto schifato, il
puzzo di morte che emanava le attanagliava la gola.
«Il breviario» gracchiò e spostandosi di lato gli permise di dare
un’occhiata allo schermo.
Morgana indicò i fotogrammi
«Rammentavo l’immagini ed eccole qui, lo vidi quando il dottor
Marshall mi ordinò di catalogare i suoi appunti, vi erano anche le
foto del secondo delitto. Queste sono del primo vero?».
Il coroner annuì abbassandosi la mascherina sul volto. «Sì, ma
non comprendo il nesso?».
Morgana eccitata per la scoperta esclamò: «Il breviario!
Possedevano tutti lo stesso identico breviario».
Ingrandì a ripetizione le immagini in sequenza. «La scorge
l’incisione sul lato sinistro?».
Il coroner fu sorpreso dall’acume dell’assistente del criminologo:
«Non ce ne eravamo resi conto» ammise.
«Holly Cross…» mormorò Morgana.
Si voltò di scattò e il coroner preso alla sprovvista indietreggiò
mentre lei elettrizzata guardò la porta: «Le vittime appartengono
alla stessa diocesi!»,
«Dove corre, Miss Green?».
Morgana spalancò il pesante portone e uscì nel corridoio: «Devo
dirlo a Judah! Dov’è l’ufficio di miss Palmer?».
«Seconda porta in fondo al corridoio alla sua sinistra!».
«Grazie!».
Morgana corse con il fiato in gola, era un indizio importante,
l’assassino colpiva soltanto preti appartenenti alla stessa chiesa!
La centrale, sede della diocesi di Boston, il disegno stava
prendendo forma!
Senza bussare, smaniando di comunicare la determinante
scoperta afferrò la maniglia e aprì la porta, ciò che si trovò davanti
la scioccò talmente tanto che tutta la sua eccitazione si spense
lasciando posto alla rabbiosa disperazione!
Figlio di puttana! Avrebbe voluto gridare!
Invece si schiarì la voce senza abbassare lo sguardo, ma
tenendolo piantato negli occhi di Judah che erano freddi, duri
come l’acciaio temperato.
«Scusate l’interruzione, ma ho una comunicazione importante da
fornire al mio capo.» Ex capo! Avrebbe voluto sibilare, ma si morse
la lingua.
Glenn fece scivolare fuori dalla sua bocca gonfia, per le violente
sollecitazioni, l’erezione di Judah, e sfidandola sollevandosi da
terra, vi passò la lingua: «Miss Green, non sa che è buona
educazione bussare?».
Judah, dimostrandosi per nulla imbarazzato, si sistemò l’arnese
nei jeans e tirò su la lampo: «Quale comunicazione?».
Ma guardatelo, si disse Morgana, non ha un briciolo di ritegno, lo
disprezzava!
Bastardo! Come se per lui fosse naturale finire nella bocca di una
qualsiasi stronza puttana!
«Scoprilo da solo, vai dal coroner e vai a farti fottere!».
Gli voltò le spalle e con passi misurati raggiunse la soglia:
«Buona continuazione, io prendo un taxi» e chiuse la porta
accompagnandola con calma.
Judah sollevò gli occhi al cielo: «Ahhh! mi sa che dovremmo
continuare un’altra volta, ispettore capo».
«Lasciala andare, cosa te ne importa?» lo richiamò Glenn
agguantandolo per il bordo dei jeans.
Judah sollevò un sopracciglio e le circondò il polso con la mano,
la scostò: «Mi dispiace, ma miss Green è un’ottima assistente e
voglio sapere cosa ha scoperto, mi scuserai vero, ispettore?».
Glenn represse la voglia di prenderlo a ceffoni sul suo volto da
bastardo: «Ci rivedremo? Riprenderemo da dove abbiamo
interrotto?» miagolò con il broncio.
Judah spalancò la porta: «Chi lo sa? Forse sì, forse no…».
Poi strepitò: «Morgana, non osare portare fuori il tuo culo di qui
senza di me!» e sbatté la porta facendo traballare gli stipiti con un
colpo secco. La riaprì e fece capolino: «Scusa a volte non so
dosare la mia forza.» Le mostrò la maniglia divelta e la gettò sul
pavimento, e richiuse allo stesso indelicato modo l’uscio.
«Morgana, cazzo! Fermati!».
«Va’ all’inferno! Stronzo!».
Judah la raggiunse in due falcate: «Perché la fai così tragica,
avevi mantenuto un encomiabile distacco poco fa».
«Non osare parlarmi animale!».
L’abbrancò per i fianchi, guidandola verso il portone che dava sul
parcheggio esterno. «No, no, bella fatina, non ci siamo, lo sai che
non è permesso insultare il tuo capo. Sta scritto da qualche parte
nel contratto».
«Vaffanculo!» Si divincolò lei rabbiosamente.
Judah, tenendosela stretta lungo un fianco ed evitando un
manrovescio le aprì la portiera della sua auto: «Questo ti costerà
un’ammenda, hai appena commesso una grave infrazione agli
accordi sindacali».
«Sei una merda, me ne frego del contratto, degli accordi
sindacali e della tua enorme testa di cazzo!» s’impuntò mentre lui
tentava di spingerla all’interno dell’abitacolo, artigliando la scocca
del bolide, e piantando i tacchi nel cemento armato della
pavimentazione.
Judah sbuffò: «Non costringermi a usare le maniere forti, entra in
questa cazzo di macchina e dimmi ciò che hai scoperto».
Morgana si voltò di scatto: «Ma come diamine fai!?» ruggì
schiumante di rabbia.
Judah, perplesso, si grattò la barba sul mento: «In che senso?
Non ti seguo».
Lei gli rovesciò addosso tutto il suo livore: «Come diavolo fai a
essere così insensibile, ti ho appena scoperto con il pene nella
bocca di quella carogna e tu ti comporti come se fosse la cosa più
naturale dell’universo!».
«Ah, ma sei incazzata per quello?» rispose lui piegando le labbra
in un sorrisetto allusivo.
«Tu che dici? Mentecatto! Prima di essere interrotti stavi per
scopare me».
Judah fu rapido, le affondò le dita nei capelli e, stringendoli, la
costrinse a guardarlo, facendole inarcare il collo le si avvicinò.
«Stammi bene a sentire, fatina, perché non te lo ripeterò due
volte» disse con un tono duro.
Morgana sputò: «Sono tutta orecchi, bastardo!».
Le sfiorò la bocca con la sua, ma mantenne l’espressione dura,
determinata e le scandì: «Tu non hai un cazzo di diritto di
innervosirti se mi sorprendi con il cazzo in bocca ad un’altra, tu
non hai l’esclusiva, chiaro il concetto?».
Morgana cacciò indietro le lacrime che le pungevano gli occhi.
«Chiarissimo!» esclamò con la stessa caparbia durezza
nell’inflessione della voce.
Si staccò da lui e gli spostò il polso liberandosi dalle dita che le
imprigionavano i capelli: «Tutto molto chiaro».
Si accomodò sul sedile passeggero e Judah montò a bordo.
«Vedo che hai capito.» Mise in moto e il motore rombò, ingranò
la marcia, Morgana non si voltò verso di lui, ma con freddezza gli
disse: «Voglio anch’io chiarirti un concetto, toccami ancora e mi
licenzio. Adesso parti, ti spiegherò cosa ho scoperto».
Judah sorrise: «Scusa ho esagerato con i tuoi capelli, ti prometto
che la prossima volta sarò più delicato, a proposito, io e il tuo culo
abbiamo ancora un conto in sospeso».
Morgana mandò giù l’acido che le risaliva dallo stomaco fino in
gola: «Non mi piace ripeterlo due volte, toccami ancora e prima mi
licenzio e poi ti ammazzo».
Judah dovette ammettere che era stata più che chiara, trattenne
una risata: «D’accordo, come vuoi, terrò le mani e l’uccello a
posto».
«Sei una merda» sussurrò Morgana.
«Scusa, cosa hai detto?» chiese lui, ma l’aveva sentita eccome,
ragazzi che caratteraccio!
«Niente pensa a guidare.
Morgana passò poi a ragguagliarlo, anche se si sentiva morire,
era soltanto una come tante altre che lui considerava un
passatempo, una da scopare senza sentimento, una cretina che si
stava innamorando di lui!
Un grandissimo bastardo che non era interessato a niente se non
a se stesso!
Ma questa volta non gliela avrebbe data vinta, il lavoro, lo teneva
e se solo si azzardava a metterle le sue sudice mani addosso
gliele avrebbe mozzate.
«Ti odio stronzo, perché sei così bello? Perché sei un puttaniere
da strapazzo? Perché non provi lo stesso trasporto che io sento
per te!?» Avrebbe voluto gridarglielo e invece proseguì nel
raccontargli del breviario, determinata a non soccombere ancora
una volta annientandosi per colpa di un uomo.
CAPITOLO QUATTORDICI
Bisogna sempre mantenere i propri propositi, ecco quello che si
ripeteva Morgana mentre osservava il suo boss.
Che lui fosse un grandissimo stronzo ne era perfettamente
consapevole, dotato di comportamenti anomali anche questo era
risaputo, ma che fosse talmente stravagante da trascinarla in una
palestra, e che mentre sollevava un bilanciere pesante quanto lei,
le stesse dettando degli appunti, beh, Morgana non se ne
capacitava.
La distraeva, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, e
doveva concentrarsi sulla tastiera del piccolo pc portatile,
appoggiato sulle ginocchia.
Judah indossava una canotta nera, un paio di pantaloni della tuta
dello stesso colore. Niente di particolare, ma tutta la pelle lucida di
sudore e i muscoli guizzanti, le facevano un effetto devastante!
Persino il collo contratto nello sforzo di mantenere il
ragguardevole peso contro il torace per poi spingerlo con un
ruggito verso l’alto, possedevano qualcosa di eroticamente
animalesco.
«La calligrafia presente sui frammenti di fogli precedenti e
sull’unico integro, ritrovati nelle bocche delle vittime, appare la
stessa, questo fa dedurre che l’assassino agisca singolarmente. In
seconda analisi avvalorando tale deduzione, il taglio delle gole
avviene con la stessa lama, stessa identica pressione, stessa
direzione del fendente indirizzato da destra verso sinistra. Punto!
Miss Green, ha scritto?». Judah poggiò il manubrio con il quale
stava allenando il braccio sinistro, mentre si sollevava la canotta e
si asciugava un rivolo di sudore sull’addome definito, e le lanciò
uno sguardo di sbieco.
Morgana incollò gli occhi sulla porzione di pelle, ipnotizzata dalla
mano che la sfiorava. Si umettò le labbra, sollevò il mento e
rispose: «Nemmeno una parola» ammise sentendosi una perfetta
imbecille!
Judah trattenne un sorrisetto di trionfo, era stata una brillante
idea portarsi la sua fatina in palestra, permetterle di assistere a
una delle sessioni dei suoi duri allenamenti.
Sapeva benissimo che lei sarebbe andata in tilt e lui ci godeva un
mondo nel provocarla.
Cosa le aveva promesso? Ah sì che non l’avrebbe più toccata e
che avrebbe tenuto l’uccello nei pantaloni.
Tuttavia, era certo che, prima o poi, sarebbe stata proprio lei a
saltargli addosso, toccandolo dappertutto. La graziosa manina
tremante glielo avrebbe tirato fuori giocandoci un po’ e
successivamente lei, lo avrebbe supplicato di sbatterglielo nel suo
meraviglioso cul…
«Può ripetere, Mister Marschall, tutto questo clangore,
accompagnato dai suoi grugniti, rendono difficile il mio seguirla
nella dettatura» mentì lei, tentando di salvarsi miseramente.
«Cercherò di non gemere troppo» disse lui con un sorrisetto
ironico e si spostò verso il vogatore.
Prese a flettere i muscoli delle braccia e delle gambe con
movimenti fluidi. Judah rappresentava l’armonia tra la forza e la
coordinazione.
Morgana si accomodò sulla panca di fronte, dunque dove poteva
guardare non volendosi distrarre dal suo lavoro di battitura?
La parete a specchi di fronte? Quella dietro? Maledizione tutte le
benedette pareti rimandavano l’immagine di lui!
«Riprendiamo! E adesso cerchi di seguire il mio discorso e tanto
che c’è eviti di sbavare».
Sbavare? Sbavare!? Come osava!
«Falla finita! So benissimo che mi ha attirato qui per farmi cadere
in tentazione!» lo investì rabbiosamente.
Lui sollevò un sopracciglio, piegando le dannate labbra sexy in
un sorriso sornione. «E ci sto riuscendo, vero?».
Ma va’!
Morgana chiuse il pc con un gesto secco, si alzò mentre lui seguì
divertito il movimento, le sembrò un tantino incazzata, fantastico!
«Torno in ufficio, ovvero il posto dedicato alle mie mansioni!» e
facendo stridere le sneakers rosse che calzava, gli girò le spalle.
Judah flemmatico, abbandonò il vogatore e le fu dietro.
«Decido io dove e come dettare i miei appunti! Miss Green, lei
deve attenersi ai miei ordini».
Morgana si voltò e lo fulminò con occhi dardeggianti: «Altrimenti
che fai mi licenzi!?».
«Perché diavolo quando sei incazzata usi un tono confidenziale?
Non dovevamo mantenere le distanze? Un rapporto di lavoro
formale? Me lo hai ripetuto sino alla nausea ieri sera, ma a quanto
pare nemmeno tu sai cosa vuoi realmente!».
La donna avanzò facendosi vicina, gli arrivava al mento essendo
sufficientemente alta, ma lui la sovrastava, pesante il doppio di lei,
non gliene importava, era furibonda!
«Voglio che mi lasci in pace!».
Judah raccolse dal materassino, sulla sinistra, l’asciugamani e se
lo gettò su di una spalla.
«Lo sto facendo, non capisco perché tu ti stia alterando così
tanto» e le girò la schiena dirigendosi verso una porta bianca in
fondo alla palestra.
Lei, con i nervi a fior di pelle, lo tallonò «Non lo stai facendo, non
lo stai facendo per niente!» Lui spalancò la porta, lei lo seguì. «Hai
capito? Perché non dici nulla adesso». Schivò un paio di panchine
basse, aggirò una fila di armadietti, Morgana continuava a
seguirlo. «Judah, mi stai ascoltando?».
A un tratto si arrestò di colpo, spaziando con lo sguardo allibito,
pareti piastrellate di bianco, e…
Judah si sfilò la canotta gettandola sul pavimento verde. Le
pupille di lei si allargarono, provò ad articolare qualche vocabolo,
ma dalla gola non ne voleva uscire nulla, si limitava a chiudere e
aprire la bocca mentre lui si abbassava i pantaloni della tuta, con
gesti veloci, lungo le cosce, assieme ai boxer.
Morgana si coprì il volto: «Che… che… stai… facendo?»
gracchiò.
Judah indicò con il pollice dietro di sé: «La doccia?» e voltandole
le spalle fece scorrere la porta vetri.
Oddio, oddio! Certo che lui aveva un bel sedere sodo, invitante.
Morgana piegò le dita ad artiglio, che voglia irrefrenabile di
affondargli le unghie nelle natiche!
Nel frattempo, lui con naturale noncuranza si spinse sotto il getto
caldo, il vapore lo avvolse, rivoli d’acqua gli serpeggiavano lungo
la schiena, provenienti dai lunghi capelli che precedentemente si
era sciolto.
«Morgana?» la richiamò sollevando il volto verso il getto
corroborante.
«Sììì…» belò lei.
«Potresti passarmi il flacone di shampoo? È dentro il mio
borsone».
Lei indietreggiò e ci andò a inciampare, mettendoci il piede
all’interno: «Quale borsone?» ansimò.
Lui si mosse.
«No ti prego! Non ti voltare!» strillò lei.
Judah contò ad alta voce: «Uno, due eee tre!».
Lo fece, eccome, se lo fece. Si girò mostrandole tutta la sua
prorompente gloriosa nudità e un’erezione superlativa.
«Proprio dove hai infilato la tua scarpa» la schernì
spudoratamente.
Morgana era in tilt!
Oh mio Dio! Oh mio Diooo!
Lui era, era… ma nemmeno sapeva descrivere quanto fosse
sexy nudo! Bellissimo, virile, superbo!
Si chinò, rossa in viso, rovistando nella sacca: «Un momento, ma
perché non chiudi la doccia ed esci a prendertelo!».
Judah si finse sorpreso: «Non dirmi che non hai mai visto un
uomo sotto la doccia».
Lei afferrò il flacone e glielo porse mantenendo lo sguardo sul
pavimento: «Sì, ma non il mio capo!».
«Non ci arrivo, me lo potresti portare più vicino?».
«Ma nemmeno se dovesse arrivare il terremoto!» rispose
gemendo.
«Morgana non vorrai che il tuo capo rischi l’osso del collo
scivolando sul pavimento bagnato; sii buona» insisté fingendo di
pregarla.
Maledetto bastardo!
Morgana senza sollevarsi, ma con la schiena china e
procedendo all’indietro lo raggiunse: «Tieni! E chiudi!».
Judah trattenne una risata, e l’irrefrenabile voglia di abbrancarle il
didietro tondo racchiuso nei jeans, strapparglieli di dosso, la
posizione era assai allettante e propizia, tenerla ferma per i fianchi
e affondarle una bella stoccata calibrata tra le cosce contratte,
naturalmente dopo averle assestato un sonoro sculaccione!
«Grazie» si limitò a dirle, ma chiudere lo sportello della doccia,
non ci pensava minimamente.
Si insaponò il petto, passandovi lentamente le dita, fu un’impresa
non scoppiare a ridere quando vide lei che chinata allungava il
collo tra le ginocchia per poterlo guardare.
Si prese tutto il tempo per lavarsi ogni lembo di pelle e muscoli,
un’eternità la dedicò al suo arnese, sfiorandolo coperto di schiuma,
con attenzione particolare ai testicoli, soppesandoli, si chinò
raggiungendo i polpacci e incontrò il volto di Morgana anche lei
china, ma che seguitava a mostrargli il fondoschiena.
«Hai finito?» gemette lei nel preciso istante nel quale i loro
sguardi si fusero. Quello di lei affamato e imbarazzato, di lui
divertito.
«Sì» rispose con tono rilassato. «Mi passeresti il telo? Lo troverai
nella mia sacca».
«Ma vaffanculo…» sibilò lei disperatamente.
Rovistando, agguantò il grande asciugamano in morbida spugna
nera e lo porse, anche questa volta senza voltarsi, comunque era
riuscita a riguadagnare la posizione eretta.
Attese in silenzio, ascoltando il suono prodotto dal tessuto sulla
pelle di lui.
Lo sentì aprire uno degli armadietti, il fruscio degli indumenti
indossati con esasperante lentezza mentre lei seguitava a
osservare la fuga di una delle piastrelle sulla parete di fronte.
Non sapeva cosa fare, vi era stato un momento nel quale
vedendolo sotto il getto della doccia, avvolto dal vapore, con la
schiuma che gli serpeggiava sul petto, aveva dovuto combattere
strenuamente con se stessa, impedendosi di entrare sotto al getto
caldo. Se lo avesse fatto gli avrebbe consentito di strapparle di
dosso i vestiti mentre si aggrappava alle sue solide spalle, lui
l’avrebbe sollevata brandendole possessivamente le natiche ed
entrandole violentemente dentro.
Una fantasia che scacciò, nonostante si ripetesse in loop nella
sua mente.
Era eccitata, il suo sesso gonfio lo reclamava.
I capezzoli spingevano contro il tessuto in cotone leggero della t-
shirt rossa, desiderosi del calore della sua bocca.
Senza nemmeno rendersene conto sussurrò: «Perché mi fai
questo, Judah?».
Le fu dietro, non la toccò, ma ne percepì la presenza, il richiamo
del suo corpo possente, la reclamava. Strinse i denti, si fece forza
per lasciarsi andare contro al petto di lui.
«Tu mi vuoi, Morgana» le sfiorò l’orecchio.
Maledizione, sì! Sì!
«È sbagliato, Judah» mormorò.
«No, che non lo è» la voce bassa, roca, ipnotica.
Mancava così poco…
Ma poi, nei sensi onnubilati dal desiderio di Morgana, piombò la
visione crudele di lui che strattonava i capelli di Glenn spingendosi
nella sua bocca avida, dove avere più rispetto per sé dopo quanto
accaduto con l’ex-marito. Non avrebbe permesso più a nessuno di
trattarla come un oggetto, anche se il suo capo aveva qualcosa
che l’attraeva e per la quale avrebbe potuto cedere.
Si schiarì la gola, ricacciando indietro lacrime di delusione:
«Dobbiamo andare».
Mosse un passo; Judah non la trattenne, se soltanto l’avesse
afferrata per un polso e se la fosse spinta contro, accogliendola tra
le sue braccia forti lei avrebbe ceduto!
Braccia che avevano stretto altre donne prima, e lo avrebbero
fatto anche dopo.
Non hai l’esclusiva…
Le parole che le aveva detto la sera precedente la investirono
come un treno in corsa.
Lei l’esclusiva la voleva!
Due settimane, due fottute settimane e si era innamorata di lui.
Era tutto sbagliato!
Tutto!
«Andiamo, dobbiamo raggiungere il commissariato, devo
comunicare le mie intenzioni all’ispettore capo, e ho bisogno di un
mandato dal giudice preliminare».
Morgana deglutì: «A che ti serve un mandato?»
Judah, tenne aperto il portone d’uscita dalla palestra, invitandola
con un gesto del mento: «Lo scoprirai presto, perché tu verrai con
me».
CAPITOLO QUINDICI
Morgana si arrestò di fronte alla porta in pesante legno scuro,
sollevò gli occhi incontrando quelli di Judah, non proferendo parola
scosse il capo, lei nell’ufficio non ci voleva tornare. Non le
importava di manifestare tacitamente quanto fosse infastidita di
incontrare Glenn.
Non era il disprezzo per la donna che l’arrestava, ma il ricordo di
averla sorpresa mentre spudoratamente facevano sesso. Un
miscuglio letale di emozioni la pervadevano: rabbia, imbarazzo,
senso di impotenza.
Seguitava a paragonarsi a lei e ne usciva miseramente perdente.
Anche se Judah non era rimasto immune al suo di fascino, ben
poca cosa confrontato all’affascinante, sprezzante ispettore capo
che possedeva giovinezza, fisico perfetto sul quale l’inclemente
scorrere del tempo non aveva intaccato la freschezza e l’innata
sicurezza di sé che ne decretava la supremazia agli occhi di lui.
Non è una gara tra te e lei, in fondo non c’è gara, lei ne uscirà
sempre vincente.
Questo si ripeteva Morgana mentre Judah poggiandole la mano
alla base della vita la sospinse: «Entra e non fare i capricci,
piantala di masturbarti la mente con cazzate inconsistenti».
Maledetto stronzo, come osava parlarle in quel modo, come
poteva essere in grado di leggerle dentro tanto facilmente? Oppure
l’astio che provava per Glenn le si leggeva in volto?
«Credo che aspetterò fuori, non vorrei essere di troppo».
Judah, che aveva socchiuso la porta con un colpo secco, la
richiuse e le afferrò il mento tra indice e pollice costringendola a
sollevare il volto, lo sguardo duro dominò quello di lei: «Stammi
bene a sentire, fatina, fattene una ragione, mi hai sorpreso con il
cazzo nella sua bocca, il punto è che se anche non ci avessi visti
le cose non sarebbero cambiate molto, non sarà la prima che
scoperò né l’ultima e tu non ci potrai fare nulla, non me ne frega
niente delle tue fisime, quindi ora io e te entriamo dentro, chiaro?».
Il dolore sordo per le parole pesanti come macigni le si annidò
nel petto, un grumo oscuro le rimestava le viscere. Lei lo
polverizzò, sopprimendo ciò che provava, in fondo non era così
difficile, aveva imparato a sue spese durante la sua vita
matrimoniale a sorridere nonostante volesse gridare, a spegnere lo
sconforto, l’umiliazione sostituendola con la rassegnazione.
Abbozzò un lieve sorriso: «Va bene, hai ragione, scusa, non so
cosa mi sia preso, non accadrà mai più te lo prometto» ripeté
senza alcuna inclinazione nella voce, come se fosse un robot.
Judah avvicinò il volto a quello di lei, e la scrutò, poi emise un
lieve sospiro.
Maledizione, lo aveva fatto un’altra volta, l’aveva spenta!
Poggiandole i pollici sotto al mento le fece inarcare il collo, e le
depositò un lieve bacio sulla fronte, uno sfiorare di labbra, ma lei
ne percepì il calore, anche se il freddo che ormai l’aveva invasa
non era scomparso.
Con riluttanza le dita di lui si staccarono dalla pelle morbida e gli
occhi scuri riguadagnarono la solita aria strafottente, afferrò la
maniglia.
«Vedi di non saltarle alla giugulare appena l’avrai sotto tiro,
okay?».
Che stronzo!
«Apri quella dannata porta e falla finita!».
Judah piegò le labbra in una smorfia divertita: «Prego, signora,
dopo di lei» e spalancò l’uscio.
Glenn sedeva dietro la sua scrivania, bellissima, altera, i lunghi
serici capelli biondi le sfioravano le spalle racchiuse nel tessuto
leggero dell’abito acqua marina in raso che le fasciava il corpo
snello, mettendo in evidenza la curva dei seni piccoli e sodi.
Morgana sostenne lo sguardo derisorio di lei, mentre la
soppesava studiandola dalla testa ai piedi.
«Miss Green, non le sembra di essere un po’ troppo agè
indossare abiti che si adattano a una ragazzina?»
Morgana scostò la poltroncina in pelle e si accomodò con fare
rilassato: «È la mia divisa d’ordinanza, scelta dal mio datore di
lavoro».
Glenn piantò gli occhi azzurri in quelli di Judah: «A volte a tentare
di rimodernare l’antiquariato si finisce con il peggiorarlo».
Lui si sedette sulla seduta accanto a Morgana che trattenne un
sonoro brutta stronza tra i denti, ricacciandoselo in gola.
«Ispettore, non siamo qui a parlare dei miei gusti in fatto di
donne».
Lei si sollevò e girando attorno alla scrivania si piazzò davanti a
lui facendosi spazio tra le sue gambe muscolose, chinandosi gli
sfiorò le spalle, e con l’indice tracciò il contorno della bocca,
sensuale e carnosa, che spuntava dalla barba scura: «E allora di
cosa dobbiamo parlare?» chiese in un sussurro sensuale.
Morgana trattenne un conato di vomito, che schifosa! Ma dico,
flirtare con lui così apertamente in sua presenza!
Judah, con la coda dell’occhio la teneva sottotiro, non sia mai
che ci scappasse una rissa, anche se trovava alquanto arrapante
guardare due donne che si accapigliavano.
Afferrando il polso di Glenn la scostò: «Voglio che tu mi faccia
avere un mandato di perquisizione entro domani mattina».
Glenn gli lanciò uno sguardo interrogativo: «Un mandato? E per
dove? Chi vuoi interrogare?».
«Holy Cross» disse lui con determinazione.
La donna non mascherò il suo stupore: «La chiesa principale del
vescovato di Boston? E perché?».
«Perché tutte le vittime appartengono a quella diocesi».
Glenn poggiò il fondoschiena al bordo della scrivania: «E da cosa
lo hai dedotto?».
Judah indicò con il pollice la sua assistente: «Da cosa lo ha
dedotto lei, vorrai dire».
L’ispettore capo puntò gli occhi ferini su Morgana, che vi leggeva
irritata sorpresa «Lei? Non sapevo che la tua assistente sapesse
anche pensare, oltre che balbettare e arrossire».
Morgana le sorrise: «A volte da una mente mediocre nascono
sorprendenti deduzioni».
Glenn incassò il colpo, la detestava, la riteneva una donnicciola,
patetica, zuccherosa, una nullità!
«Sarà stata la fortuna del principiante».
Judah si intromise zittendola con il tono duro e baritonale della
sua voce ruvida: «Allora questo cazzo di mandato in quanto tempo
posso ottenerlo?».
Glenn allungò il braccio esile e raccolse tra indice e pollice una
ciocca di capelli di lui, strofinandola: «Dipende, prima vorrei sapere
qual è stata l’illuminante deduzione che ha portato la tua
assistente a formulare tale ipotesi».
Fu Morgana che le rispose: «I breviari posseduti dalle vittime
hanno impresso sulla copertina le sigle identificative della
parrocchia».
Lei, senza degnarla di uno sguardo, fece scorrere la punta dei
polpastrelli lungo la guancia di Judah proprio dove la barba ispida
lasciava posto alla pelle scura morbida: «Davvero illuminante».
Lui questa volta non la scostò, ma brandendola per il polso
l’avvicinò sino che i loro volti si sfiorarono: «Allora il cazzo di
mandato?».
Glenn represse un gemito, sì, le piaceva la sua rudezza «Avrai
ciò che desideri». Si piegò in avanti, il seno sfiorò il petto di lui, la
bocca gli lambì l’orecchio mentre gli mormorava allusiva e
sensuale: «Tutto quello che vuoi e molto di più».
Judah piegò indietro la testa scostandosi da lei ««Per adesso mi
basta il mandato».
La brandì per i fianchi sollevandola e mettendola di lato.
«Scusa, ma adesso dovremmo andare, si è fatto tardi e non
vorrei pagare gli straordinari alla mia brillante assistente».
Si alzò facendo un cenno con il mento a Morgana che era
rimasta impalata seduta con le mani in grembo.
«In piedi bella fatina, domani, ci aspetta una giornata pesante».
Lei, con movimenti simili a quelli di un automa si tirò su in piedi,
Glenn le lanciò uno sguardo sprezzante.
«È obbediente».
Judah con fare distratto le voltò le spalle: «È una cosa che
apprezzo di lei».
Morgana, senza dire una parola, lo seguì, Glenn con due falcate
eleganti li raggiunse sulla soglia, con un gesto brusco artigliandole
una spalla, la scostò e afferrò il bordo del giubbotto di Judah
costringendolo a voltarsi.
Lui sollevò un sopracciglio: «Sei esageratamente brusca,
ispettore».
La donna gli afferrò la maglietta avvicinandolo: «So essere
esagerata in tantissime cose, a proposito dovremmo riprendere il
discorso che ha interrotto la tua assistente».
Judah piegò le labbra in un sorrisetto bastardo: «Discorso? Mi
pare che tu avessi la bocca occupata».
La donna gli diede un lieve morso sul petto: «Appunto, voglio
riprendere la nostra conversazione da lì».
Lui si allontanò di un passo e, per la malora, perché il suo
sguardo immancabilmente cadeva in quello prostrato di Morgana?
«Ci vediamo, ispettore» disse flemmatico e aprì la porta a
Morgana e Glenn sorrise diabolica.
«Oh, sì, ci rivedremo molto presto, mister Marshall».
Morgana si lasciò cadere sul morbido sedile in pelle,
interiormente lottava contro un tumulto di emozioni, esternamente
si rese impermeabile. Occhi fissi che, oltre al cristallo trasparente
del lunotto, vedevano contorni sfocati. Il rombo ovattato del
motore, pareva provenire da molto lontano.
Già lei era in grado di isolarsi da ciò che la circondava, lo aveva
imparato durante la convivenza con Jim. Rendersi impenetrabile,
nascondere i pensieri, le sensazioni.
Invisibile…
Lo stava facendo anche adesso, nonostante si sentisse ferita,
arrabbiata, delusa.
Il silenzio nell’abitacolo la aiutava a cristallizzarsi, sperava tanto
che la giornata volgesse al termine.
Voleva rientrare a casa, chiudersi tra le quattro mura del suo
appartamento, gettarsi sul letto sperando che il sonno le regalasse
la quiete dell’oblio.
Passerà…
Il mantra che si era ripetuta in tanti anni, al quale si era
aggrappata per non soccombere.
Non voleva generalizzare, ma dalle sue esperienze ne traeva
forse una sbagliata considerazione, gli uomini erano deleteri per
lei, doveva starne alla larga.
Che stupida era stata!
Si era illusa che con Judah avrebbe potuto essere diverso, lui
l’aveva fatta sentire bella, l’aveva ascoltata quando esprimeva le
sue opinioni e le teneva in considerazione.
In un primo momento aveva avuto paura di contraddirlo, ma con
il trascorrere del tempo si era resa conto che non le avrebbe mai
fatto del male e spesso lo aveva mandato al diavolo senza temere
di prendersi un ceffone.
Judah non era di sicuro un uomo tenero, galante, riservato, anzi
tutto il contrario.
La sua ironia era tagliente come un coltello, spavaldo, sboccato.
Rude quando l’aveva posseduta, eppure lei non lo avrebbe mai
cambiato.
Sei tutto quello che voglio, sei quello che non potrò mai avere…
«Ci stai rimuginando ancora» la voce baritonale di lui la riportò
indietro dai suoi pensieri.
Senza volgere lo sguardo nella sua direzione gli rispose: «Non
so a cosa tu ti stia riferendo».
Mentire per non perire, aveva imparato a farlo durante la sua
infelice vita matrimoniale.
«Lo sai benissimo, Morgana!» la incalzò lui stringendo tra le mani
il volante.
Maledizione, perché non si lasciava andare, cosa c’era dentro
alla sua testolina, cosa le impediva di prendersi ciò che voleva, in
specifico lui!
Judah, se lo chiedeva mentre imboccava l’uscita della
superstrada e si immetteva in una strada semideserta ai margini
della città.
«Se ti riferisci al caso, sto provando a capire perché l’assassino
prenda di mira uomini di chiesa, e tutti appartenenti alla stessa
parrocchia, deve esserci un nesso, forse un avvenimento che lo ha
spinto ad accanirsi su di loro».
«Non stavi pensando al caso adesso» insisté.
Morgana strinse le dita della mano contro il bracciolo del sedile:
«Ti sbagli» gli mormorò.
«Io non sbaglio mai» disse lui con calma ineluttabile.
Nel frattempo rallentò l’andatura del bolide, e svoltando sulla
destra si immise in un tratto che si perdeva tra lunghi filari di alberi,
il terreno irregolare spesso lo costringeva a procedere lentamente,
facendo ondeggiare l’auto sportiva.
«Dove stiamo andando?» chiese lei allarmata, era una zona
isolata.
«Tu rispondi alla mia cazzo di domanda, perché ci stai ancora
pensando? Non solo non sei sincera con me, ma soprattutto non lo
sei con te stessa».
«Cosa vuoi che ti dica?» fu un sussurro appena udibile.
E lui si incazzò!
«Sei patetica, cazzo! Perché ti nascondi? Perché ti trinceri dietro
a un dannato muro di falso, inutile perbenismo! Non sei una
verginella di primo pelo! Sei una donna! Possiedi impulsi che
reprimi! Diciamocelo chiaramente tu vuoi che io ti scopi! E te lo
neghi per cosa?» Fermò l’auto e si voltò verso di lei, gli occhi neri
come la pece, brillavano di luce crudele: «Per la tua idiozia, la tua
finta moralità!».
Si indicò mentre lei lo osservava basita.
«Guardami! Sono tutto quello che vuoi! Prendimi, cazzo,
prendimi!».
Morgana chinò il capo senza fiatare.
Lui restò attimi che gli parvero un’eternità a osservarla,
dannazione, era più testarda di un mulo!
Picchiando un pugno sul volante, ripartì sgommando, facendo
inversione, deciso a riportarla in ufficio, ci aveva provato, Cristo, un
luogo appartato, l’aveva investita con la cocente verità, ma non
l’aveva smossa!
Il desiderio lo bruciava, gli scorreva sottopelle simile a un veleno
corrosivo. Ma non l’avrebbe toccata senza il suo consenso, lo
aveva promesso!
Anche adesso che la guardava con la vista periferica, silenziosa,
rassegnata, rinchiusa nella prigione delle sue inibizioni, la voleva
con tutto se stesso!
Nella mente sconnessa di Morgana le sue parole si ripetevano
come macigni, la colpivano nonostante lei volesse evitarli.
Cosa la tratteneva? Di cosa aveva paura?
Si concesse di sollevare il volto e studiarne il profilo.
Era stupendo, più lo osservava e più gli appariva un miraggio che
si allontanava, era la sua nemesi, la fiamma che ardendo ti brucia,
lasciandoti dolorose ustioni.
Il suo fisico possente era in grado di donarle sensazioni
irrepetibili. Quando la stringeva tra le braccia, distruggendo tutti i
suoi no con l’erotica irruenza e trasformandoli in sì supplicati.
Le mancava il respiro, aveva bisogno che lui la guardasse, la
sfiorasse, la toccasse!
Era un bastardo! Uno stronzo che le aveva ringhiato addosso la
verità!
Le girava la testa, percepiva il calore emanato dal corpo solido di
lui, si sentiva eccitata. Lo ricordava nudo sotto allo scroscio della
doccia bollente, si era dovuta trattenere, proprio come adesso,
mentre avrebbe voluto spogliarsi e raggiungerlo, aderendo alla sua
pelle, sentire le sue mani vagare sulla sua.
Cosa ci aveva guadagnato? Frustrazione, fame repressa, brama
frantumata!
«Ferma la macchina!» strillò con il respiro corto.
Judah, imprecando, pigiò il pesante anfibio sul freno e l’auto si
arrestò con un brusco stridio.
«Ora se vuoi andare a casa a piedi ti dico che è un’enorme
stronzata!».
Morgana, con un gesto brusco, spalancò la portiera: «Taci!».
Mentre lui la guardava girare attorno all’auto, snocciolò una sfilza
di bestemmie.
Che donna impossibile, porco schifo!
Deciso a scendere e riacciuffarla prima che si perdesse tra i
boschi non fece tempo ad aprire la sua portiera, che lei lo aveva
già fatto e lo aveva afferrato per lo scollo della t-shirt nera sotto al
pesante giubbotto in pelle.
«Esci, cazzo, esci!» gli sibilò Morgana con occhi dardeggianti.
Oh, almeno le aveva suscitato una reazione, che volesse
gonfiarlo di cazzotti, poco gli importava, l’importante era averla
gettata fuori dalla sua catalessi.
«Ti sei decisa a discuterne, è già un passo». I loro occhi si
fusero.
«Chiudi quella dannata bocca, Judah!».
Lui sollevò un sopracciglio. «Ti ascolto, sono tutto orecchi. Oh,
cazzo!».
Il movimento fu rapido, lei crollò in ginocchio di fronte a lui che,
perplesso, si guardò attorno. «Non c’è bisogno di chiedermi scusa
in questo modo».
Che enorme imbecille!
Una montagna di erotica, stupidità!
Morgana sollevò gli occhi e Judah nelle iridi chiare vi lesse
qualcosa di pericoloso, qualcosa che non era mai apparso nello
sguardo di lei da quando la conosceva.
Vacillò indietro, avendo intuito, sperando di aver intuito!
Andò a cozzare contro la scocca dell’auto, che emise uno
scricchiolio.
«Ragazza, che intenzioni hai?» chiese.
Morgana gli artigliò il cavallo dei jeans affondando
deliziosamente le unghie nel tessuto pesante.
«Sai, Judah, avevi maledettamente ragione! E adesso stai
fermo!».
E chi si muoveva!?
«D’accordo, ma dimmi cosa vuoi fare» la provocò.
Lei assottigliò le palpebre, pericolosa, sensualmente pericolosa.
Oh, sì, cazzo sì!
«Do forma alle mie fantasie!» rispose con un ringhio sommesso,
lottando rabbiosamente con la fibbia in metallo della cinta di lui.
Judah piegò le labbra in un sorrisetto: «Quanta irruenza, vuoi
aiuto?».
Morgana riuscì a sfilargli la pesante cintura e la gettò tra le foglie:
«Fermo con le mani!».
Poi sollevò lo sguardo, un pensiero peccaminoso e ostile le si
insinuò nella testa e un sorriso perverso si dipinse sulla bocca
carnosa.
«Anzi, solleva braccia e mani dietro la testa!».
Oh, Cristo, sì, sì, bella fatina, dominami!
Judah la guardò, mascherando l’eccitazione, con lentezza
sollevò le braccia muscolose e incrociò le mani dietro al capo, in
silenzio attese la sua prossima mossa.
«Sono pronto» comunicò ironico.
Morgana deglutì, alla vista dell’addome contratto di lui che
spuntava dalla t-shirt sollevata: «Non parlare più» gli ordinò.
E il sorriso di lui si allargò mostrandole la dentatura bianca
perfetta.
Dio, Dio, lui era bellissimo, erotico, sensuale ed era in suo
completo potere!
È sbagliato, tutto sbagliato!
No, che non lo è!
Morgana, soffocò l’ultima sua reticenza!
Lo voglio, è mio! Questo si ripeteva mentre faceva scorrere la
lampo dei jeans.
Judah, la incitava con il pensiero a tiraglielo fuori, ma non proferì
un solo vocabolo, pronto a sottostare al gioco che lei voleva
intraprendere.
Quando glielo circondò con le dita, dovette inspirare per non
grugnire. Il collo teso, la schiena inclinata e il capo reclinato
all’indietro.
«Guardami, Judah!» Un ordine secco che lo fece fremere, nel
palmo caldo di lei.
Appena sporse la lingua si trattenne, impedendosi di
cacciarglielo tutto in gola!
Stronza, stupenda, perversa stronza!
Con la lingua tracciava il contorno del glande, lenta, metodica, il
torace gli si gonfiava e dovette stringere i denti. Era una dannata
tortura!
E lei, oh, lei era bellissima, con i capelli che le piovevano sulle
guance, il seno che si abbassava e sollevava, i capezzoli che
premevano contro il tessuto leggero di cotone.
Arrestando in gola un rantolo, strinse le dita, imprecando
silenziosamente, il desiderio pressante di stringerle i seni, lo
faceva andare fuori di testa. La lingua calda, umida, lo seviziava,
facendolo vacillare; lottava, cazzo, lottava a denti stretti.
Sperava che la tortura finisse e nel preciso istante nel quale lei si
decise ad accoglierlo nella bocca bollente, lui slegò le dita e artigliò
il metallo freddo della portiera, gettando fuori l’aria trattenuta nei
polmoni.
Sudava freddo, lo stava facendo impazzire! Il ritmo lento, lo
faceva agonizzare, spinse i fianchi in avanti e lei lo inghiottì
costringendolo a sussultare!
«Oh, Cristo, Morgana, mi stai ammazzando!» Gli sfuggì un
ruggito disperato.
Morgana, crudele, afferrò l’asta bagnata della sua saliva e
aiutandosi con lo sfregare del palmo e le dita prese a succhiarlo
con vigore!
Il suo sapore era afrodisiaco, salato, amaro, lo spingeva in gola e
respirava a fatica, era tutto così sporco, erotico! Era eccitata dal
potere che aveva, il fiato corto, i mugolii rochi, la galvanizzavano.
Il suo sesso era un lago di piacere, un fiore affamato che
sbocciava, lo voleva dentro di sé eppure donargli piacere era di
primaria importanza in quel momento magico.
Lei non perdeva il contatto con il suo volto trasfigurato dal
piacere, era bellissimo! Il petto possente contratto, il collo teso, i
lunghi capelli che nascondevano gli occhi neri colmi di lussuria.
Le sfuggì un gemito strozzato.
«Oh, cazzo, Morgana! Non farlo di nuovo o verrò!».
Si arrestò, e lui guadagnò attimi preziosi, nel tentativo vano di
non lasciarsi andare all’orgasmo che insidioso si affacciava.
Morgana fece scorrere le labbra lungo l’asta venata,
indietreggiando poi, con una luce perversa e irriverente, si avventò
su di lui, riprendendo a succhiarglielo con foga, ed emise un altro
mugugno estasiato.
Judah digrignò i denti: «Maledizione!» Slegò le mani e affondò le
dita nei capelli di lei. «Fermati adesso!».
Lei non lo ascoltò e continuò strappandogli un rantolo rabbioso.
«Morgana!» Il respiro mozzo. «Morgana, voglio scoparti!».
Lei si fermò osservandolo perplessa e lui approfittò della tregua.
Fu rapido, si chinò brandendola tra le braccia e la sbatté sul
cofano. Morgana sputò fuori l’aria dai polmoni.
«Judah, non avevo ancora finito! Che stai facendo? Piano!».
Lottò con i jeans di lei rabbiosamente, strappandoglieli di dosso.
«Oggi rimpiango le tue cazzo di gonne della malora!» e le lacerò
anche gli slip, gettandoli accanto ai pantaloni, la stessa fine
irruenta fece la canotta e il reggiseno, Morgana si ritrovò
gloriosamente nuda, in mezzo a un sentiero isolato, sul metallo del
cofano di un’auto sportiva.
Era tutto così lascivo, osceno!
E a lei piaceva! Per la prima volta si sentiva libera! Un animale
pronto a sfogare i suoi istinti!
Una donna bella, sensuale che si prendeva ciò che voleva.
Judah poggiò le mani ai lati dei fanali, vagò sul corpo morbido di
lei con lo sguardo, era bellissima, la pelle nivea, un richiamo al
quale faticava resistere.
Morgana allargò le cosce.
«Cosa aspetti?».
Un invito che lui accettò con irruenza, senza nemmeno
abbassarsi i jeans, le afferrò le caviglie portandosele sulle spalle e
la trafisse strappandole un grido di piacere. Si impossessò della
sua bocca, mentre la penetrava con foga, soffocando le sue grida
di godimento. Le succhiò i capezzoli, facendola delirare. Si spinse
profondamente in lei, la voleva attorno a sé, il suo calore lo
mandava fuori di testa.
Lei gli sollevò la t-shirt graffiandogli il petto, Dio era magnifica! Si
prendeva tutto senza riguardo, lo incitava a sprofondare ancora di
più! Lui si fece spazio tra i loro bacini uniti e le tracciò cerchi
stuzzicando il punto più vulnerabile di lei, gettandola nell’orgasmo
a capofitto. Morgana strillava parole incomprensibili, in preda al
piacere insopportabile, era colma di lui!
Judah con due colpi di bacino assestati con rabbia si riversò in
lei, stringendo la mascella, il volto sfigurato dal piacere di un altro
orgasmo, lei lo strinse tra le cosce, mentre lui crollava appagato
sul suo seno.
Restarono in quella posizione per diverso tempo, quando
Morgana riaffiorò al presente, carezzò il capo di lui che le baciava
pigramente un capezzolo. Non aveva mai fatto sesso senza
protezioni, neanche con il marito.
Che Dio mi perdoni…
Fu l’unico pensiero che si concesse, poi lo strinse tra le braccia,
decisa a restare con lui e ad essere sua sino a quando l’avrebbe
voluta. Sapeva che era soltanto attrazione sessuale, ma si
sarebbe accontentata pur di averlo per brevi attimi, nemmeno ci
sperava che sarebbero durati per l’eternità.
CAPITOLO SEDICI
Quel venerdì mattino, un’alba insolita dai colori ingrigiti, carico di
nuvole funeste, con uno strano vento gelido per la stagione spirava
piegando le fronde del grande albero, posto al lato della maestosa
facciata della Cattedrale di Holy Cross.
Morgana si era accordata con Judah di ritrovarsi davanti al
pesante portone in legno massiccio. Lei aveva deciso di
raggiungere il santuario di buon’ora, volendo raccogliersi in
preghiera nella solitudine.
Era tanto che non parlava con Dio e aveva bisogno del suo
perdono, o meglio che le indicasse la retta via che evidentemente
aveva perso lasciandosi andare a un rapporto lascivo, immorale
con un uomo per il solo fine della mera soddisfazione sessuale.
Dentro di sé combattevano due fazioni opposte: il desiderio di
sentirsi una donna emancipata dedita alla soddisfazione delle sue
esigenze inconfessabili e la razionalità che le imponeva di mettere
fine al rapporto insano con Judah prima che la travolgesse per poi
lasciarla agonizzante quando lui si fosse stancato di lei.
La gelosia la faceva fremere di rabbia repressa, incapace di
accettare che frequentasse altre donne.
La profonda prostrazione della speranza che lui cominciasse a
provare un sentimento profondo come il suo. Inseguendo una
chimera si stava sgretolando, e nel frattempo ardeva di una nuova
fiamma impura.
Si era abbigliata modestamente com’era dovuto per poter entrare
nella casa del Signore.
Una gonna nera che le sfiorava le caviglie e una camicetta dello
stesso colore, accollata, e con le maniche strette dai polsini
abbottonati. Il soprabito beige, anonimo, nascondeva le sue
generose forme.
Calzava un paio di stivali dal tacco decoroso che le stringevano i
polpacci modellati. I capelli mogano legati in un castigato chignon,
priva di trucco sul volto pallido dove le ombre scure delle occhiaie
dimostravano che aveva passato una notte insonne, tediata dai
troppi pensieri.
Si strinse nel trench e, poggiando la mano contro il legno scuro,
socchiuse il portone, entrando con passo lieve, i passi
echeggiavano sul lustro pavimento in marmo, la cattedrale era
deserta e il senso di solitudine la mise a disagio.
L’oscurità veniva squarciata dalla luce fioca proveniente dalle
fiamme degli alti candelabri. Minacciosi le apparvero i colori vivaci
delle alte finestre. Le statue dei santi si ergevano sinistre con occhi
accusatori.
Il freddo le si insinuò sottopelle, rabbrividendo si aggirò fra le
panche lucide di cera d’api.
Girando su se stessa, una fastidiosa sensazione di minaccia le
faceva inasprire il respiro e fu tentata di fuggire all’esterno, in cerca
di un po’ di luce.
Le alte guglie a volta che biancheggiavano simili ad artigli pronte
a ghermirla.
Morgana chiuse gli occhi: «Oh, Signore Benedetto, perché mi sei
così ostile nella tua casa» bisbigliò.
Li aprì sollevando il capo, il Cristo issato sulla croce dal volto
sofferente immoto le sembrò vivido, i lunghi capelli scuri
attraversati da un fugace movimento, le palpebre socchiuse
nascondevano occhi oscuri, maligni, le labbra sottili tirate in un
ghigno sdegnato.
«Cosa vuoi dirmi mio Signore?» Morgana indietreggiò di un
passo. «Non sono ben accetta nella tua casa poiché sono una
peccatrice?» mormorava parole sconnesse, con il cuore pesante e
in tumulto.
Doveva andarsene da quel posto!
Si voltò di scatto, allungando il passo, sino a che una luce le
illuminò il volto cereo.
Morgana sollevò lo sguardo verso la provenienza, la Vergine
Maria riluceva nella sua nicchia, stringendo il bambinello, sul bel
volto aleggiava un dolce sorriso. Gli occhi colmi di tenera pietà.
Fu una consolazione, un richiamo che la quietò, Morgana si
inginocchiò su di uno degli scomodi stretti inginocchiatoi e, a mani
giunte, pregò la madre dell’umanità di donarle la pace interiore che
stava cercando.
Rivolgendole lo sguardo affranto le chiese in un sussurro:
«Dimmi cosa devo fare».
L’espressione della Beata Vergine non mutò, compassionevole,
amorevole.
«Forse almeno tu saprai perdonarmi, mia Signora, perché io non
riesco a farlo» gemette.
Chinò il capo e si raccolse in meditazione, ripetendo preghiere
accorate.
Il tempo scorreva lentamente, lei si sentiva isolata da ciò che la
circondava, immersa in un caldo liquido che la consolava, traendo
forza dalle suppliche ripetute a bassa voce.
I sensi obnubilati, la vista offuscata dalla concentrazione, così
come l’udito ovattato.
Non si rese conto della figura scura che le si avvicinava e si
soffermava alle sue spalle.
Un sussurro all’orecchio: «Prima che il gallo canti tu mi
rinnegherai tre volte».
Morgana trattenne il respiro, la pelle percorsa dai brividi, la voce
strisciata pareva provenire da un incubo!
Con lentezza volse il capo e notò la figura dai contorni scuri che
si allontanava velocemente, nonostante l’andatura spedita i passi
non producevano alcun suono, dando l’impressione che fluttuasse
sul pavimento.
Sparì dietro a una volta, i contorni del corpo esile si confusero
con il buio.
Morgana balzò in piedi e corse in quella direzione con il fiato
corto. «Chi sei!?».
La sua voce rimbombò ripetuta in un’eco, rimbalzando contro le
mura affrescate.
Artigliando una colonna si sorresse. «Cosa volevi dirmi!?».
Ma dall’oscurità non ebbe alcuna risposta.
Facendosi coraggio si immerse nella penombra dove il fantasma
si era diretto. «Aspetta!».
Tese l’orecchio, passi svelti, anche lei si mise a correre. «Chi
sei? Casa volevi dirmi!?».
Il cigolio di una porta e poi la luce proveniente dall’esterno la
investì accecandola, Morgana si coprì il volto con un gomito
proteggendosi, la figura riverberava nera nel fulgore, ne riconobbe
i contorni, era una donna che indossava un abito scuro che la
copriva sino ai piedi! E sul capo un drappo di pizzo nero
nascondeva i capelli biondi.
«Fermati!».
La donna allungò il passo, lasciando dietro di sé una spaventosa
malefica risata di scherno.
«Egli tradirà, prima che il gallo canti tre volte!».
Morgana, pietrificata, non riuscì a muovere un altro passo. Le era
accaduto davvero? Oppure era stata la sua immaginazione che le
aveva giocato uno scherzo?
Appoggiandosi al millenario muro, sollevò il volto, traendo
beneficio dalle calde carezze del sole sulle gote sbiancate.
«Sto impazzendo» ansimò.
«Che sei una squilibrata lo sanno anche i ciottoli delle vie di
questa dannata città».
Morgana assottigliò le palpebre, la luce le feriva le iridi chiare, il
fisico possente di Judah le si stagliò di fronte e si sentì al sicuro.
«L’hai vista anche tu?» si fece forza nell’impedirsi di correre a
rifugiarsi contro il suo petto.
«Chi?» domandò lui perplesso.
Morgana staccò le spalle dalla parete che l’aveva sorretta. «No,
niente. È tanto che aspetti?».
Judah allungò la mano e le scostò dalla guancia una ciocca di
capelli che le era sfuggita dallo chignon. «Che hai bella fatina?
Sembra che tu abbia incontrato un fantasma».
Le labbra di Morgana fremettero, come poteva essere così
tenero e riuscire a leggerla tanto facilmente?
Scosse il capo. «Scusa, sono solo stanca».
«Chi hai visto Morgana? Perché sei così turbata?».
Lo superò voltandogli le spalle: «Mi era parso di vedere qualcuno
di familiare, ma mi sbagliavo» mentì.
Per la verità non era una completa menzogna, c’era qualcosa
nella figura spaventosa che le ricordava davvero qualcuno, ma non
riusciva a dargli un volto, se solo avesse potuto guardarla più da
vicino.
Judah le afferrò un polso costringendola a girarsi, la scrutò con
quegli occhi scuri sensuali e indagatori. «Sei sicura di stare
bene?».
Lei annuì brevemente: «Sto bene, davvero, non ho dormito un
granché questa notte».
Con un gesto secco l’avvicinò a sé tirandola per il polso, lei andò
a cozzare contro il torace vigoroso di lui: «Morgana sei pentita?».
Divincolandosi senza successo lei ansimò: «Non ne voglio
parlare adesso».
Judah le strinse i polsi, bloccandoglieli dietro la schiena con una
mano, l’altra affondò le dita nei capelli di lei, sciogliendole lo
chignon, le strattonò le ciocche, le forcine caddero sul selciato,
sparpagliandosi alla rinfusa.
«È per questo che hai voluto venire qui da sola? Dovevi chiedere
perdono al tuo Dio?».
Lo fulminò con uno sguardo irato. «È anche il tuo Dio!».
Lui sorrise ironico: «Io non ho un Dio, ma se a te fa piacere
crederci…».
Morgana si ribellò contorcendosi: «Lasciami! Qualcuno potrebbe
vederci!».
Judah serrò maggiormente la presa sui polsi e le sfiorò un seno
con l’indice della mano libera.
«Di cosa ti vergogni? Delle tue pulsioni? La tua morale ne
risente, bella fatina? Eppure ieri sera non la pensavi così.» Le titillò
il capezzolo con il polpastrello. «Sei eccitata anche adesso,
rassegnati e smettila di farti le tue cazzo di seghe mentali».
Maledetto corpo che reagiva a tradimento alle sue sollecitazioni,
alla sua voce roca e sensuale, al profumo virile della sua pelle
calda!
«Judah, ti prego…».
Lui si chinò sfiorandole l’orecchio con la bocca. «Mi piace
quando mi preghi, ho voglia di prenderti il culo adesso».
Maledetto bastardo, perché le parlava così?
Eppure un fiotto caldo le sbocciò nel sesso che pulsava, al solo
pensiero che lui le facesse quello che le aveva annunciato.
Come sarebbe stato? Attento e premuroso? O violento e
impetuoso?
Un’altra immagine scalzò la precedente.
Lei china sul tavolo della cucina, le braccia legate dietro alla
schiena con la cinghia dei pantaloni e Jim che la sodomizzava
senza pietà strappandole grida soffocate di inesorabile,
insopportabile patimento.
Il respiro le si arrestò nel petto, non poteva muovere le mani!
«Lasciami, Judah, lasciami!» singhiozzo disperata.
Lui lesse nel suo sguardo il terrore e un mare di dolore.
Gli occhi tanto belli si colmarono di lacrime e lui slegò lentamente
le dita, liberandola, le prese il volto fra le mani: «Non sono un
animale, Morgana, solo se lo vorrai e ti prometto che penserò
unicamente al tuo piacere».
Chinando il capo per nascondere le lacrime che le scorrevano
sulle guance gli sussurrò: «Lasciami il tempo di pensarci, non è un
no, ma nemmeno un sì».
Lui si allontanò: «Come vuoi, ma non negarti ciò che vuoi
sperimentare».
Riprendendo la sua aria strafottente si indicò: «Ehi, io sono lo
strumento, usami bella fatina, farò quanto mi ordinerai».
«Per te è solo un gioco, razza di bifolco» sibilò, ma soppresse un
sorriso, le stava facendo riguadagnare il buon umore con l’aria da
sbruffone.
Le strizzò l’occhio: «Un bellissimo gioco, stimolante».
«Falla finita Judah!».
Lui le girò le ampie spalle: «Oh sì, Judah, sì, così, più forte! Mi
pare che ieri sera urlassi tipo così» la beffeggiò.
Morgana calibrò il tiro e la borsetta si schiantò contro la sua
schiena poderosa. «Taci, mentecatto della malora!».
Lui rise. «Tanto il tuo Dio non ci sente, sempre se esiste».
Morgana lo raggiunse infilandogli il braccio sotto al gomito.
«Esiste, esiste…».
Gli occhi di Judah da sfrontati si fecero duri.
«No, e comunque se dovesse esistere ha fallito».
Morgana vide per la prima volta la rabbia in quello sguardo, una
rabbia cocente.
Avrebbe voluto chiedergli cosa glielo facesse odiare tanto,
perché aveva intuito una forte avversione di Judah sino a
rinnegarlo.
Fu allora che le parole dello spettro le si insinuarono maligne
nella testa.
Prima che il gallo avrà cantato tre volte egli ti tradirà.
Che fosse un monito?
Giuda!
L’Apostolo che tradì nostro Signore!
Sollevò lo sguardo sul volto impermeabile del suo boss.
Judah…
CAPITOLO DICIASSETTE
Mentre avanzava nel cortile interno del monastero, Judah,
ripiombò nel passato, i ricordi evocati dal battibecco avuto con
Morgana lo invasero mefitici.
Un sudicio appartamento puzzolente, pavimenti lordati di grasso
e sporco, cartacce, cartoni di fast food con gli avanzi in
decomposizione, quante volte si era nutrito di merda perché la
fame non guardava in faccia a nessuno soprattutto se sei un
ragazzino magro, con lo stomaco perennemente vuoto.
Sua madre se ne era andata quando lui aveva dieci anni, era
fuggita da quella casa lager alla periferia di New York, nel pieno
merdaio del Bronx.
Suo padre, un ventottenne strafatto dalla mattina alla sera, la
picchiava un giorno sì e l’altro anche. Lei aveva ventisei anni
quando non ce l’aveva fatta più, l’aveva lasciato al bastardo
spacciatore e assassino che lo trascinava nelle sue scorribande,
capo di una band di delinquenti balordi.
Oh, il caro paparino, lo aveva instradato per bene, insegnandogli
come vivere, come fa ogni buon genitore. Furto con scasso,
minacce con coltello a serramanico per farsi dare borsette che
custodivano pochi dollari maledetti.
Aveva provato a ribellarsi e lo aveva punito, facendolo diventare
la puttana di tutta la masnada di delinquenti!
Il primo stupro lo aveva subito dal paparino davanti ai
componenti della banda con sottofondo di rap, tra le risate e la
birra versata addosso e quella cacciatagli in gola facendolo
ubriacare!
Dieci cazzo di anni.
Aveva pregato Dio, supplicato, scongiurato, ma non era mai
giunto in suo aiuto.
Per carità forse lo zampino ce l’aveva messo il suo rivale eterno,
il buon vecchio Lucifero, che si era preso la briga di far ammazzare
il paparino in uno scontro a fuoco con dei poliziotti, perché beccato
in uno store mentre faceva una strage tra i commessi, tre ne aveva
trucidati, prima di tirare le cuoia.
E a diciassette anni, lui, Judah Smith, aveva ereditato una band
di bastardi, era il capo, come in tutte le dinastie c’era stato il
passaggio di potere!
Era marcio, corrotto, un puttaniere che si scopava ragazzine
attratte dalla sua aria da rapper delinquente.
Rolex d’oro, rubato naturalmente, piantando tre dita di lama
nell’addome del povero malcapitato, pesanti anelli dello stesso
costoso materiale trafugati spezzando le dita dei rivali che lo
sfidavano, sai com’è bottino di guerra. Jeans firmati calati sulle
chiappe, era bravo a fottere denaro e avendo vissuto in povertà
ora se la godeva alla grande. Ma un giorno fu pizzicato mentre si
aggirava, casualmente, in una delle lussuose ville da ricconi in
cerca di qualche monile prezioso. Beccato con le mani nel sacco
dall’ispettore Donald Marshall.
E già oggi ne portava il rispettoso cognome, dopo avergli fatto
scontare due anni di galera, andandolo a visitare ogni fottuto
giorno, si era guadagnato la sua fiducia, tanto che lui aveva
vuotato il sacco raccontandogli della sua vita infame. Il buon
vecchio gli aveva creduto, spedendolo a ripulirsi in una comunità.
E poi aveva avviato le pratiche per la sua adozione, sei anni dallo
strizzacervelli che lo aveva rivoltato come un calzino,
strappandogli la rabbia che lo abbrancava.
Poi gli studi universitari caldamente consigliati al suo nuovo
paparino dallo stesso psichiatra, poiché lo aveva definito una
mente geniale, intuitiva, brillante.
Il buon Donny si era svenato bruciandosi la pensione per
mantenerlo all’università, sino a che, per gratitudine e amore
profondo, verso il suo vecchio, si era messo a lavorare di notte e
studiare di giorno.
Ah, la sua vecchia band di balordi ebbero la sfortuna di capitare
a rubacchiare proprio nel fast food dove lui preparava doppi
cheeseburger, beh, li massacrò tutti, poi li consegnò alla polizia
con tanto di encomio.
Con il passare degli anni si era allenato in palestra e il suo fisico
si era rinvigorito, il bambino magro emaciato, il ragazzino pelle e
ossa dal coltello facile si era trasformato in una montagna calma
che, all’occorrenza, eruttava come un vulcano.
Dal giorno dello stupro a opera di suo padre dopo aver invocato
aiuto a Dio, Judah Smith, non credeva a niente. Judah Marshall,
invece aveva un conto in sospeso con Lucifero, al quale si era
rivolto quando la sua vita aveva preso una svolta positiva grazie a
Donny. Doveva andare così, forse era soltanto il destino, trovarsi
nel posto sbagliato al momento giusto.
E adesso guardava Morgana, provava una strana connessione
con lei, perché le loro esistenze erano state grame, ma i loro
caratteri, se pur così differenti, forgiati nel dolore. Lei lottava contro
se stessa per risalire il fondo del baratro in cui le esperienze
l’avevano gettata.
Io ti voglio fatina, ma non ti farò mai del male…
Ma era consapevole che gliene stava facendo, si era reso
perfettamente conto che lei si stava innamorando, eppure non
poteva fare a meno di averla, di sentirla gridare di piacere.
Sperava tanto che come ogni volta, che si incaponiva di una
donna, lei non soffrisse molto quando si sarebbe stancato.
Perché per lui era stato sempre così con le donne, l’ebbrezza dei
primi attimi, la passione infuocata, e poi la noia che
sopraggiungeva all’improvviso. Nel tempo aveva imparato a
essere molto chiaro con loro, si trattava di sesso, non di amore.
Già, non si era mai innamorato da bastardo che era.
Nemmeno sapeva come si faceva a impegolarsi in una relazione
improntata sull’amore, non che non ci credesse, ma
sfortunatamente tutte le stronzate del batticuore non gli capitavano
mai, così si limitava a cogliere l’attimo.
Nahh, niente fiori ai compleanni, niente pargoli urlanti da
rincorrere, niente scenate da convivenza perché lasciava la
tavoletta del wc sollevata.
Perché avere una donna che ti faceva dannare, se poteva
averne a decine per qualche settimana e poi rispedirle al mittente?
Avanti la prossima, e la prossima in questo caso era la sua bella
fatina.
Lo stimolava, si divertiva un mondo nello scardinare la sua
ritrosia, nello smontare le sue false reticenze e renderla una donna
impudica che si prendeva ciò che voleva, nello specifico lui,
davanti al suo Dio!
Amen, alleluia!
Prossima missione torchiare il vescovo della arcidiocesi di
Boston, poi appropriarsi del favoloso didietro di lei!
Judah, con una luce perversa negli occhi scuri, si sfregò le mani.
«Presto, fatina, l’ufficio del vescovo è da questa parte, non
abbiamo tempo da perdere» e si pregustò la reazione della sua
streghetta.
Morgana non lo capiva, prima si era estraniato diventando
ombroso, e adesso aveva ripreso la sua tracotanza: «Sei pazzo,
Judah?».
Lui sollevò un sopracciglio. «Oh, sì, sono pazzo del tuo didietro».
Morgana lo fulminò con un’occhiataccia. «Ti ho già detto che ci
devo pensare».
Judah le tenne aperta una porta che immetteva in un lungo
corridoio. «Sì, sì, entro stasera il tuo culo sarà mio».
«Tu non…».
Un prelato in abito talare li raggiunse. «Oh, Signora, Dottor
Marshall, prego da questa parte, il vescovo la sta aspettando».
Judah riguadagnò l’espressione determinata. «Ci faccia strada,
padre».
CAPITOLO DICIOTTO
Morgana seguiva l’altro prete che li precedeva lungo il corridoio.
Le pareti dipinte di rosso porpora rendevano l’ambiente ancora più
cupo. L’accompagnava una strana sensazione claustrofobica, era
come se quel luogo emanasse un’aura maligna, l’aveva percepita
nella cattedrale e seguitava ad avvertirla anche adesso. Non era
forse un luogo di culto? Non si doveva trovare la pace interiore tra
le mura della casa di Dio? E allora perché lei non ne percepiva la
benevola presenza?
Persino l’uomo dal lungo abito talare che gli sfiorava le caviglie le
pareva ostile. Nell’istante in cui lo aveva scorto dietro la porta che
egli aveva socchiuso si era sentita a disagio, osservata da occhi
neri severi, irritati. La piega delle labbra sottili quando si erano
piegate in una specie di sorriso, in realtà le era parso un ghigno
mefitico. Il respiro le si faceva greve attimo dopo attimo.
Judah le camminava accanto, con andatura rilassata. Osservò le
loro mani che si sfioravano e desiderò stringergli le dita per trarne
conforto.
Possibile che lei percepisse delle sensazioni così forti? Forse si
sentiva spaventata per l’incontro con la losca figura nel santuario?
Chi era? Che cosa le voleva comunicare? Perché proprio a lei?
Evitò di andare a sbattere contro la schiena del prete per un
soffio, immersa nei suoi pensieri non si era resa conto che si era
soffermato di fronte ad un’altra porta chiusa in legno solido, lucido,
scuro.
Il prete diede due colpi di nocche. «Monsignore, il Dottor
Marshall è giunto».
Strano modo di esprimersi pensò Judah, ma gli uomini di chiesa
vivevano nel loro mondo dorato, antiquato, fatto di regole ferree
che loro stessi infrangevano.
«Prego, avanti, faccia entrare, padre Josef».
L’uomo afferrando la maniglia in ottone lustra girò il collo e gli
occhi, dal cipiglio duro, incontrarono quelli di Morgana. Lei non
chinò il capo, ma sostenne lo sguardo, il prete spalancò l’uscio.
«Prego, dottor Marshall».
Judah varcò la soglia per primo, e Morgana lo seguì, il prete la
trattenne afferrandole saldamente un polso e per sussurrarle a un
orecchio: «Maddalena, chiedi perdono al tuo Signore, purificati dai
tuoi peccati e sarai ben accetta nella sua casa».
«Come prego?» ansimò Morgana scioccata dalle parole
bisbigliate con astio, ma l’uomo indietreggiò, con il fruscio dell’abito
che sfiorava il pavimento in marmo antracite, le voltò le spalle e si
allontanò simile a una macchia oscura nel lungo corridoio.
Judah notato che lei indugiava le cinse la vita: «Che fai bella
fatina, non entri?».
Lei annuendo mosse un passo, e non poté farne un altro,
immobilizzata dallo sguardo del prelato che sedeva dietro alla
pesante scrivania.
Occhi grigi talmente chiari che stentava a scorgerne la pupilla
nera. Le iridi si posarono sulla mano che le stringeva i fianchi, il
volto altero non faceva trasparire alcuna emozione, eppure lei si
divincolò rendendosi conto che il contatto era sconveniente.
Judah sorrise ironico, intuendo il suo l’imbarazzo la lasciò libera,
scostandole la pesante sedia in legno massiccio dallo schienale
alto. Si accomodò con grazia sulla seduta in broccato cremisi. Lui
si lasciò cadere sull’altra di fianco, rilassando le ampie spalle.
L’arcivescovo abbozzò un sorriso sulle labbra carnose.
«Benvenuti nella casa del Signore, a cosa devo la vostra
visita?».
Judah portò una caviglia al ginocchio opposto e Morgana si
trattenne dal ficcargli un gomito nelle costole!
Un po’ di contegno, ma insomma!
«Per la verità abbiamo un mandato per poterle fare qualche
domanda, padre Isaia» rispose il suo boss.
Morgana era combattuta tra il riprendere Judah per i suoi modi
poco ortodossi, o osservare l’arcivescovo. Non lo aveva
immaginato così, pensava fosse un uomo avanti di età, con i
capelli grigi e diradati, dal volto pasciuto e gioviale.
Tuttavia, l’uomo che aveva di fronte scardinava la sua idea,
lasciando il posto alla sorpresa. Padre Isaia era un uomo di mezza
età, il volto di una bellezza innaturale, resa ancor più sconcertante
da occhi acciaio dal taglio allungato, ombreggiati da ciglia lunghe e
nere, così come i capelli, portati un po’ troppo lunghi per i canoni
ecclesiastici, che gli sfioravano il collo. Il naso, leggermente
aquilino, accentuava il cipiglio severo. Persino il fisico non era
ingobbito e sottile dei porporati, ma due spalle larghe occupavano
per intero lo schienale, dell’ampia poltrona in pelle marrone
bruciato.
Lo sguardo indagatore si era posato su di lei, intenso, emanava
un’innaturale sensualità. Morgana si vergognò di avere pensieri
lascivi nei confronti di un servitore di Dio. Chinò il capo
concentrandosi sulle mani che teneva in grembo, decidendo di
restare così per tutta la durata del colloquio, e ripensò alle parole
che le aveva sussurrato il prete. Era così evidente che fosse una
peccatrice?
«Bella, davvero!» La voce di Judah la scalzò dalle sue
elucubrazioni mentali, che diavolo stava blaterando!
Dovette eludere i suoi propositi e sollevò lo sguardo, lui indicava
con il mento il grande quadro sulla parete dietro alla seduta
dell’arcivescovo.
«Le piace?» chiese il prelato.
«Trovo strano che vi sia la rappresentazione della caduta di
Lucifero nell’ufficio di un uomo che serve il suo acerrimo rivale.
Padre Isaia si sporse in avanti sorridendo: «E perché? È la
rappresentazione del bene che vince sul male».
Morgana guardava il dipinto dalle tinte scure, crepuscolari, un
angelo dalle ali nere precipitava giù da un dirupo, la luce si
allontanava da lui e, ad aspettarlo, lingue di fuoco ardenti. Lo trovò
terribile, lugubre.
«O forse Dio, voleva sbarazzarsi di un suo degno rivale» asserì
Judah. Si chinò in avanti facendo scricchiolare il pesante
giubbotto. «Ma non perdiamoci in chiacchiere, lei sa perché siamo
qui».
Il vescovo poggiò le spalle allo schienale con fare rilassato: «Per
le tristi morti dei miei fratelli».
«Vorrei essere specifico sua eminenza, sono qui per porle un
paio di domandine facili, facili, la prima è una richiesta semplice:
l’elenco dei nominativi di tutti i preti che fanno parte di Holy
Cross».
L’uomo ebbe un guizzo meravigliato nello sguardo attento:
«Capisco…».
Judah lo incalzò: «Lei sapeva che tutte le vittime appartenevano
a Holy Cross, vero?».
L’altro afferrò il tagliacarte in oro e lo osservò pensieroso.
«Sì, certo».
«E perché non ha avvisato la polizia?» lo ammonì Judah.
Padre Isaia sfiorò la lama del tagliacarte con la punta dell’indice.
«Non pensavo fosse significativo per le indagini, credevo fosse
soltanto una sfortunata coincidenza».
«Se ci avesse avvisato, le indagini sarebbero state facilitate e
avremmo avuto maggiori elementi necessari ad arrestare questi
efferati delitti, non trova, eminenza?».
Padre Isaia posò il tagliacarte con lentezza misurata. «Sono
accusato di qualcosa?» si informò con tono ironico.
Judah gli sorrise. «Perché me lo chiede, padre?».
«È molto aggressivo, lo sa? Salta subito alle conclusioni, non me
lo aspettavo da un uomo come lei, uno dei più brillanti criminologi,
credevo fosse guidato dalla ragione».
«Analizzo da diverse angolature, padre».
«È forse un errore credere nell’operato della polizia? Pensavo
che avrebbero trovato presto l’assassino e, le ripeto, è stato una
leggerezza imperdonabile non collegare le morti agli appartenenti
a Holy Cross, sa, Judah ho un’intera diocesi della quale
occuparmi, e spesso confido nella mano di nostro Signore per la
guida delle sue greggi, ci sono molteplici disegni che egli traccia,
per noi poveri peccatori».
«E non ha trovato un attimo, eminenza, per soffermarsi sulle
morte dei suoi poveri fratelli? Era troppo occupato nelle sue
faccende di Dio?».
Padre Isaia si sollevò, «Come le ho già detto è stato un errore
imperdonabile, che non si ripeterà, sono disponibile a una
completa collaborazione, ora dovrà scusarmi, ma ho un impegno
al quale non posso disattendere».
«Eminenza? La messa sta per iniziare».
Morgana volse lo sguardo verso la voce estranea. Un uomo
comparso da una porta secondaria, stringeva una tiara porpora.
I loro sguardi si incontrarono, sincero di lui e stranito di lei.
Il prete era molto giovane, forse non arrivava alla trentina, piccolo
di statura e magro. Il volto pallido, scavato. C’era qualcosa nella
sua espressione, era come se, come se quegli occhi verdi grandi
le volessero comunicare qualcosa. Intensi e impauriti.
«Grazie, padre Raffael, arrivo».
L’arcivescovo tese la mano a Judah. «Mi scuso ancora e di
qualsiasi cosa abbia necessità si rivolga a padre Josef, le farà
avere al più presto l’elenco che ha chiesto».
Poi allungò la mano verso Morgana. «Mi scusi, ma non ci siamo
presentati».
Strinse delicatamente le mani del vescovo e baciò il pesante
anello che portava al dito anulare. «Morgana, Morgana Green».
Padre Isaia le sorrise benevolo. «Interessante nome, Miss
Green, a presto allora e che il Signore illumini il suo cammino».
«Grazie eminenza».
Morgana sollevò lo sguardo dalla mano dell’arcivescovo e
incontrò di nuovo quello del giovane prete, egli distolse gli occhi,
ma prima le bisbigliò qualcosa silenziosamente che lei non
intense.
I due uomini di Dio uscirono, lasciandoli soli.
Judah spalancò la porta principale a Morgana. «Poi mi spieghi
perché hai baciato la mano di un uomo».
Lei lo superò immettendosi nel corridoio. «Perché è un vescovo,
ecco perché! E avresti dovuto farlo anche tu invece che
stritolargliela!».
«Io non bacerò mai la mano a un uomo, sia chiaro!».
Mentre camminavano verso il cortile Morgana lo colpì con una
gomitata nelle costole, era da tutto il colloquio che voleva farlo!
«Judah, non ti sembra di essere stato scortese?».
Lui raggiunse il selciato antistante il monastero. «È un uomo,
Morgana! Un testimone, un possibile indiziato, uno che nasconde
qualcosa!».
Le socchiuse la portiera dell’auto e lei si lasciò cadere sul sedile
in morbida pelle. «Cosa intendi dire?».
L’assetto della macchina si abbassò, segno inequivocabile che
lui si era seduto a lato guidatore.
«Non ti è parso strano che non abbia avvisato la polizia riguardo
al fatto che tutti i preti, barbaramente trucidati, appartenessero a
Holy Cross?».
Morgana si allacciò la cintura di sicurezza. «Potrebbe davvero
dire la verità! Forse non ci aveva pensato».
Judah ingranò la marcia. «Morgana, se ho dieci dipendenti e nel
giro di un mese me ne fanno fuori cinque, un paio di domande me
le faccio non credi?».
Lei osservò l’asfalto che sfilava dal lunotto: «Lui non ha dieci
dipendenti, Judah, te l’ha detto, ha l’intera diocesi di Boston da
dirigere».
«Fosse anche un’intera nazione, una sola morte dovrebbe
metterti in allarme, io la penso così, bella fatina».
Morgana si morse la lingua per la verità, lui aveva
maledettamente ragione, cambiò discorso appositamente. «E
adesso dove andiamo?».
Judah pigiò il piede sull’acceleratore. «A casa mia».
Lei si voltò di scatto e ansimò: «A casa tua? E perché?».
Judah le sorrise, un sorriso che non prometteva nulla di buono.
«Perché devo pareggiare i conti con il tuo delizioso didietro».
Lei artigliò il cruscotto. «Non ti ho detto di sì!».
Seguendo fluido una curva le rispose: «E allora ti offro il pranzo e
poi si vedrà».
«Andiamo a una tavola calda allora!» tentò lei di salvarsi.
Judah scosse il capo. «Naa, ho voglia di cucinare, sono bravo
sai, ti prometto che non te ne pentirai».
«Judah, non voglio fare sesso con te!».
Lui svoltò bruscamente sulla sinistra e parcheggiò con una
sgommata a lato di una via trafficata.
«Perché ci siamo fermati, adesso!» esclamò lei.
«Slacciati la cintura di sicurezza» le ordinò lui con tono
imperioso.
«Judah, cosa vuoi fare?».
«Fallo, Morgana» ordinò secco.
Lei sbuffò: «E va bene, vorrà dire che prenderò un taxi, devi
imparare ad accettare un rifiuto!» e afferrò la maniglia.
Non fece in tempo ad aprire la portiera che lui le brandì un polso
avvicinandola a sé, lei andò a sbattere contro il suo petto, lo
spintonò con i palmi: «Sei impazzito? Non qui ci stanno guardando
tutti!».
Le affondò le dita nei capelli: «Non me ne frega un cazzo» e la
baciò, facendosi strada con la lingua tra i denti di lei.
Morgana si oppose e lui le morse un labbro delicatamente,
facendola ansimare, lui ne approfittò esplorandola spietatamente. I
sensi di Morgana si infiammarono, perché lui aveva quel dannato
potere su di lei? Nonostante si vergognasse di baciarlo in pubblico,
non seppe trattenersi e rispose con impeto all’assalto, il respiro
corto e la testa ebbra. La stava annientando con un semplice
bacio!
Le strinse la vita con un braccio e con l’altra mano scivolò
pigramente lungo la coscia di lei.
«Judah, no, no!» gridò nella sua bocca avida.
Lui non ascoltò la sua supplica e le sollevò la gonna, le dita
percorsero la pelle bollente sino a raggiungere gli slip umidi di lei.
«Sei già pronta» le sussurrò a fior di labbra e le scostò il pizzo
leggero, accarezzandole con i polpastrelli i petali dischiusi.
Morgana ebbe un fremito.
Oddio sì, sì!
Sporse il bacino in avanti invitandolo. Lui seguitò a giocherellare
con il sesso di lei e tracciò una lunga scia umida con la lingua sul
collo, sino a raggiungere l’orecchio: «Ora, o ti prendo qui davanti a
tutti i passanti o andiamo a casa mia, decidi, mia bella fatina».
Morgana serrò le cosce. «Brutto bastardo!» sibilò.
Lui rise «E allora?».
Gli afferrò il polso scostando la mano dalle sue gambe e si
sistemò la gonna, guardandosi attorno.
O cavoloooo!!! C’era un gruppetto di ragazzi che si erano fermati
attorno alla macchina e si davano gomitate ridacchiando!
«Fai partire questa maledetta macchina, andiamo a casa tua, ma
solo per il pranzo, sia chiaro!».
Judah fece rombare il motore e il gruppetto si disperse. «Ma
certo solo per il pranzo» e partì ridendo.
CAPITOLO VENTI
Un antico palazzo, sapientemente ristrutturato: mura in mattoni di
terracotta, finestroni elaborati si affacciavano sulla via in
acciottolato, ballatoi in raffinato marmo bianco intarsiato, portone in
legno massiccio in cima a un’ampia scalinata di pregiato granito.
Morgana, incredula, ammirava l’edificio che si distingueva da quelli
adiacenti.
«Tu abiti qui?» mormorò con il naso all’insù.
Judah frugò nella tasca del pesante giubbotto in pelle.
«No, io vivo in una baracca in periferia.» Estrasse un piccolo
telecomando in acciaio opaco e lo puntò verso l’ampio uscio.
«Certo che abito qui, roba da non crederci, vero?!»
Silenziosamente il portone si socchiuse e lui le cinse la vita.
«Prego, signora, benvenuta nella mia umile dimora» e la sospinse
all’interno.
Morgana si ritrovò in un ampio salone, il sole lo illuminava
provenendo dalle vetrate, le tende, in pesante broccato verde
smeraldo, raccolte in cordoncini di raso grigio perla intrecciato,
donavano suntuosità alle pareti di un tenue color sabbia, sulle
quali appesi dipinti di paesaggi lacustri, dai colori vivaci, a
stemperare l’austerità dell’ambiente.
Un camino di fattura moderna, protetto da una lastra in cristallo
fumé. Divani in pelle bianco panna che dovevano essere morbidi e
comodi. Tappeti arabescati nei toni del marrone ocra, ravvivati da
intricati disegni azzurro cielo e giallo brillante.
Morgana fece un giro su se stessa. «Stupefacente, non me
l’aspettavo così casa tua».
Judah, si tolse il giubbotto che lasciò cadere con un pesante
tonfo sul divano di fronte al caminetto, le tese la mano.
«E non hai visto il pezzo forte».
Lei, timorosa, intrecciò le esili dita a quelle forti di lui.
«Su.. su… suppongo la ca… ca… camera da letto» balbettò in
ansia.
Avvicinandola, le strinse i fianchi. «Hai paura, bella fatina?».
Morgana sollevò lo sguardo velato di apprensione.
«Una fatina nella tana dell’orco cattivo» sussurrò.
Lui sollevò la mano con lentezza, forse temeva di spaventarla più
di quanto non fosse, le scostò una ciocca dal bel volto corrucciato.
«È questo quello che pensi di me? Ti spavento così tanto?».
Morgana indietreggiò e così facendo si liberò dalla stretta di lui.
«Io, io ho paura di te, di me, di noi, Judah».
Lui si accomodò sul bracciolo del divano e la osservò
intensamente: «E quindi sei tornata alle tue solite conclusioni».
«Judah, anche tu converrai che quello che stiamo facendo è…».
Contraendo le ampie spalle non le permise di terminare la frase.
«Okay, d’accordo, so già cosa mi vuoi dire, è sbagliato, quello
che c’è tra di noi è immorale, ci dividono dodici anni, io sono il tuo
capo».
Morgana si avvicinò il suo sguardo duro la metteva in soggezione
e allo stesso tempo la prostrava, facendole desiderare che non
fosse adirato con lei.
«Judah, mi dispiace io...».
Lui si alzò e a lei apparve ancora più minaccioso in tutta la sua
imponente fisicità. «Non ti dispiacere, Morgana, d’altra parte io
sono uno strafigo e tu una nullità giusto?».
Le parole la colpirono ferendola profondamente. «Perché mi stai
dicendo questo?» ansimò prostrata.
Judah, si incamminò e la superò, con due ampie falcate
raggiunse il portone e lo spalancò con un colpo deciso: «Vattene,
Morgana, non sei abbastanza per me».
Gli occhi le si riempirono di lacrime, invasa dalla cocente
disperazione.
«Non lo merito, Judah». Stringendo i pugni lungo i fianchi gli urlò
colma di rabbia: «Tu non capisci! Tu non sai cosa si prova! Non sai
un bel niente della mia vita!».
Lo sfidò, richiuse con un gesto rabbioso il portone, il tonfo sordo
riverberò contro le pareti.
Lo guardò dritto negli occhi: «In fondo, uno come te, che ha
avuto tutto dalla vita cosa vuoi che capisca di una come me!».
Un sorriso ironico gli si dipinse sulle labbra carnose: «Oh, e
invece io ho intuito molte cose di te!».
Perché le stava deliberatamente facendo del male? Deridendola,
umiliandola?
Lo spintonò iraconda: «E cosa sai di me? Eh? Dimmi?» Lo
afferrò per la t-shirt, avvicinandolo, strinse il tessuto tra le dita
tremanti sino che le nocche sbiancarono. «Cosa!?».
Lui le prese i polsi e lei abbassò gli occhi. «Così mi fai male,
Judah» gemette.
Ma lui non lasciò la stretta e si chinò sino a far sfiorare i loro volti,
intrappolandola con le sue due pozze scure: «Tu sei stata
violentata, percossa, seviziata» affermò con tono duro.
Lo shock di affermazioni dette con tanto sprezzo la colpirono
come se lui le avesse dato uno schiaffo.
Lei si divincolò. «Sei un bastardo!» Torse i polsi. «…lasciami
animale!».
La spinse contro la parete di fronte, intrappolandola con il suo
corpo pesante: «È così che faceva? Così!?».
«Lasciami andare! Non toccarmi!».
In preda al panico lo colpì sul petto ripetutamente, il respiro le
bruciava nei polmoni, la crisi di panico si affacciava minacciosa,
quando lui sollevò una mano lei chinò le spalle pronta a ricevere il
colpo.
«No, ti prego, no! Mi comporterò bene! Farò ciò che vuoi»
singhiozzò terrorizzata.
Lui la strinse circondandole la vita con il braccio possente e la
mano minacciosa le carezzò delicatamente la gota rigata di
lacrime.
«Non siamo tutti così, Morgana» le mormorò con voce bassa. Le
sollevò il mento. «Guardami, io non sono lui».
Lei, con la vista annebbiata, non afferrava le sue parole, in preda
al panico non riusciva a calmare il battito impazzito del cuore che
le voleva sfuggire dal petto. Si guardava freneticamente attorno in
cerca di una via di fuga.
«Morgana, guarda me, guardami negli occhi, e troverai il tuo
stesso dolore, guardami cazzo!».
Ansimando gli chiese in un soffio: «Il mio stesso dolore?» erano
bastate quelle parole a deviare la sua paura e adesso il battito si
stava quietando.
Fece come gli aveva ordinato, i loro occhi si fusero e una strana
connessione ne scaturì, nelle iridi nere vi era un mare di tormento,
lo stesso che aveva vissuto lei, lo riconobbe nella profondità:
«Judah, cosa ti è successo?»
Le poggiò la fronte contro la sua: «Quanto successo a te e forse
anche di più, dalla persona che doveva amarmi più di se stesso».
Provò a parlare, ma lui le pressò un pollice sul labbro inferiore:
«Shh, va tutto bene, è passato Morgana, ma tu ci sei dentro
ancora sino al collo».
«È così difficile non soffocare, i ricordi mi tormentano, sono
ancora così vividi» confessò con voce incerta.
Judah, le guardò la bocca e ne tracciò il contorno con il
polpastrello: «Tutto ciò che ho detto sei tu che lo pensi, è così che
ti senti, Morgana».
«Cosa?» domandò lei mentre un’insana eccitazione le
serpeggiava nello stomaco.
Lui le spinse il pollice tra i denti: «Tu credi che uno come me non
sia attratto da te? Non ti credi abbastanza affascinante per farmelo
diventare duro?»,
«Judah, non…».
Le esplorò la bocca con il dito portandolo più a fondo sino a
sfiorarle la lingua morbida.
«Morgana, voglio scoparti, voglio il tuo bellissimo corpo, sono
affascinato dalla tua mente stupenda». Lei lasciò andare un lungo
ansito mentre lui giocherellava con la punta della sua lingua
tracciando cerchi concentrici con l’estremità umida del pollice.
«Dimmi di sì, Morgana, dimmi che mi meriti».
Un’emozione, calda e rassicurante, le infiammò il basso ventre, il
sesso si dischiuse, umido, gonfio. «Sì, io ti merito, Judah, adesso
ho capito» e gli succhiò avidamente il pollice, lasciandosi guidare
dagli erotici impulsi che lui stava costruendo, con gli occhi ardenti
di passione, di brama.
«È un sì, quindi!» e si ritrovò raccolta tra le sue braccia.
Si aggrappò al collo di lui. «Tu passi subito al sodo, eh? Finito il
romanticismo?».
Trasportandola su per la lunga scalinata lui rise. «Io sono per
l’azione e poi chi ti dice che non sarò romantico, comunque non
vedo l’ora di prendermi il tuo bellissimo culo».
Morgana sollevò gli occhi al cielo. «Non ti ho detto ancora di sì».
Percorse un lungo corridoio illuminato dalle calde luci provenienti
dalle applique sulle pareti. «Lo hai ansimato quel sì».
Gli sferrò un pugno sul petto. «Ahi, sei duro come l’acciaio, ti ho
detto di sì, perché volevo fare l’amore non… beh, lo sai cosa».
«Sesso anale? Guarda che fa parte di fare l’amore, mia bella
fatina» la ragguagliò fingendosi solenne e diede una spallata alla
porta di fronte spalancandola.
Mentre si avvicinava al grande letto che troneggiava sotto a un
finestrone dalle tende celesti tirate, lei gemette. «Non ho avuto una
bella esperienza con la sodomia».
Lui la depositò sul copriletto raso avorio: «Che parolona, te l’ho
già detto qui si tratta di fare l’amore, Morgana».
Lei si sedette sul bordo del materasso. «Se lo dici tu, comunque
per oggi non potremmo tralasciare questa pratica e concentrarci su
qualcosa di più convenzionale?».
Lui mise le braccia conserte e sollevò un sopracciglio. «Tu cosa
proponi?».
Lei si guardò attorno imbarazzata, accidenti perché lui doveva
essere così sexy e allo stesso tempo metterla in agitazione,
eccitazione, che confusione!
«Non lo so, improvvisa!» lo stuzzicò.
Judah si chinò andando a farsi posto con l’ampio petto tra le sue
cosce.
«Maledetta gonna della malora!» La sollevò sino ai fianchi
nell’intento di farsi spazio, e le spostò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. «Cosa vuoi che ti faccia, bella fatina, sono ai tuoi ordini,
fai di me ciò che vuoi».
Lei aveva almeno una decina di idee e tutte molto peccaminose,
ma si guardò bene dal manifestarle: «Facciamo l’amore e basta».
Le sfiorò l’orecchio con la bocca carnale.
«Non ci siamo, mia fatina. Dimmi quello che vuoi, devi imparare
a chiedere, non c’è niente di male a dare voce alle fantasie
sessuali, qualsiasi esse siano».
Rossa in volto spaziò con gli occhi in cerca di aiuto. «Ma io, ma
non…».
Le passò la lingua lungo il contorno dell’orecchio. «Non farò nulla
se non me lo ordinerai espressamente» sussurrò con voce roca e
sensuale. Le afferrò tra i denti il lobo e tirò. «Coraggio, Miss
Green, ha il comando».
Lei affondò le dita nei capelli di lui, la sua voce, la sua bocca
calda, le sue mani che le carezzavano pigramente la pelle delle
cosce scoperte, pressandole all’interno, un invito, un richiamo
peccaminoso, lui era il peccato, stupendo, superbo, immenso!
Gli strattonò le ciocche costringendolo a guardarla, un sorriso
divertito e lussurioso si piegò sulle labbra di lui.
Dio, Dio era bellissimo! E… e in suo completo potere!
Il sogno di ogni donna, le stava chiedendo di fare di lui ciò che
voleva!
Morgana pressò il pollice, come lui le aveva fatto giù nel salone,
sul labbro inferiore di lui sino a spingerlo nella sua bocca, lui lo
succhiò e poi lo strinse tra i denti, negli occhi irriverenti un
perverso invito.
«Leccami, Judah» si concesse di vergognarsi solo per la frazione
di un secondo, per le parole crude e sconce pronunciate, ma
quando la spinse giù con il petto, con un sorrisetto compiaciuto e
malandrino, distese le braccia sopra la testa e allargando le cosce
lo invitò.
Judah pressò le dita sulla pelle nivea, affondando nella carne
morbida dei fianchi, si prese un istante per riempirsi gli occhi di lei.
Aveva avuto molte donne, tutte bellissime, ma lei possedeva
qualcosa che lo attirava, irretendolo.
Forse la sua ritrosia? Il pressante bisogno di scardinare le sue
incertezze? La sua bocca dalle labbra polpose, soprattutto quando
si piegavano in sorrisi innocenti? Quelle piccole imperfezioni delle
sue curve burrose, che lei nascondeva infagottandosi sotto abiti
anonimi? La curva dei fianchi generosi, il seno rigoglioso dai
capezzoli rosei, le delicate striature che le donne chiamano
smagliature, onte del tempo che si ostinano a mimetizzare e che
gli uomini nemmeno notano.
Morgana riluceva sul copriletto avorio, gli si offriva, gli occhi velati
di pudore e desiderio lo infiammavano. La voleva, voleva tutto di
lei! Non gli era bastata una volta soltanto, e temeva non gli
sarebbe bastata per un bel pezzo.
Cosa c’era in lei che non lo stancava? Che con un battito di
ciglia, scure e folte, glielo faceva rizzare sull’attenti?
Oh, sì, la sua fatina tesseva magie sensuali che lo
imprigionavano!
«Che succede, Judah, qualcosa non va?» si informò apprensiva.
Scuotendo il capo, le sorrise. «Hai una vaga idea di quanto tu sia
bella?».
Quelle parole mormorate con sensualità mascolina, la spinsero a
coprirsi pudicamente il volto con un gomito. «Io… io non credo di
essere bella».
Ma perché cazzo si doveva sempre sminuire in quel modo!
Imprecando tra sé, Judah le spalancò maggiormente le cosce
«Ciò che sto guardando è molto più che bello, Morgana» e vagò
con sguardo colmo di passione sul sesso dischiuso di lei.
Morgana fece scivolare una mano lungo l’addome sino a
nascondere il sesso alla sua vista. «Non guardarmi in quel modo».
Lui la scostò. «E tu non comportarti come un’adolescente, sei
una donna, Morgana! Una bellissima, sensuale donna!».
«Potresti non parlarmi mentre noi… ecco…».
Le strinse il polso bruscamente. «Di cosa ti vergogni? Qual è il
problema Morgana? Lasciati andare, il sesso è libertà, non
imbrigliare le tue pulsioni!» Con i pollici le allargò il sesso. «Sei
stupenda!».
Morgana imbarazzata si divincolò, il sesso per lei non era stato
mai piacere, ma semplice tortura o punizione. «No, Judah, non
così!».
Lui la tenne ferma poggiandole una mano sull’addome contratto
e le insinuò l’indice nella fessura madida di umori. «E come
allora?».
Stringendo i denti per quell’improvvisa invasione, gli artigliò il
braccio che la immobilizzava. «Sei troppo irruento!».
Spingendosi in profondità le sorrise diabolico: «E non è così che
ti piace?» Lei represse un gemito, nonostante fosse rude una
sferzata di piacere le attraversò il corpo fremente.
«Judah, no!» fu una supplica che persino a lei apparve una
stupida menzogna!
Che cos’era che la frenava, che le impediva di accettare ciò che
le piaceva, che non le faceva ammettere che adorava essere
presa con vigore.
Lui, come nella vita di tutti i giorni, anche nel sesso era diretto,
schietto, sincero, irruente!
E lei amava essere posseduta da lui, perché ritrovava, nei suoi
modi rudi, tutta la cruda sincerità.
Judah aveva la forza di un uragano che ti travolgeva. Un
conquistatore inclemente che non faceva prigionieri.
Il suo corpo scolpito era quello di un Dio, spietato, invincibile!
Judah dominava e lei… lei voleva che la dominasse, piegandola
ai suoi oscuri concupiscenti desideri.
Aveva ragione quando le diceva che doveva liberarsi dei suoi
falsi tabù e concedersi ciò che bramava. Senza vergogna, libera
dal pudore. Ascoltando i battiti del cuore accelerati, sgombrare la
mente.
«Respira, Morgana, e guardami!» ordinò secco.
Annuendo, focalizzò lo sguardo su di lui, precipitando nei pozzi
scuri la risucchiavano.
«Tu sai perfettamente cosa vuoi, solo che te lo neghi».
La verità le si riversò addosso simile a una colata di lava
bollente.
Era vero! Lei sapeva cosa voleva e lo celava in un angolo buio
della sua anima, impedendo al suo desiderio di risplendere, lo
sopprimeva e assieme ad esso languiva.
Indossava una falsa maschera di perbenismo, trincerandosi
dietro alla becera moralità!
Basta, basta! Il bisogno primordiale di lasciar libera la sua vera
essenza aveva raggiunto il punto del non ritorno.
Morgana allungò la mano e gli carezzò il volto, la barba ispida
sotto al palmo le donò una sensazione violenta, quell’uomo era il
sesso personificato, un bellissimo demone tentatore!
«Sì…» gemette.
Le scivolò sopra, il petto muscoloso sfregò contro i capezzoli
inturgiditi, la sensazione le fece contrarre il ventre, ipnotizzata dal
viso perfetto di lui, attirata dalla bocca sensuale, vi passò l’indice
sui contorni.
«Accetto» si arrese.
Judah le sorrise, un sorriso di trionfo, si chinò sfiorandole con il
naso il collo e spinse il dito, ancora in lei, con un colpo deciso sino
a strapparle un gemito strozzato. Le sussurrò all’orecchio: «Il tuo
culo è mio».
Aggrappandosi alle sue spalle poderose pressando la bocca
contro il suo petto gli rispose eccitata: «Tutto ciò che vuoi».
Judah, con l’indice dell’altra mano, le tracciò una linea sensuale
immaginaria tra i seni sino ad arrivare dove il cuore le batteva
impazzito: «Hai paura?».
Lei scosse il capo.
Le strinse fra i denti il lobo dell’orecchio: «Il tuo cuore dice il
contrario, mia bella fatina».
Morgana inarcando la schiena spinse il bacino contro il palmo di
lui facendovi aderire il sesso, lo sfregò e il dito dentro di lei si
mosse donandole sensazioni travolgenti.
«Sei un uomo d’azione, mister Marshall, fammi vedere di cosa
sei capace e piantala di blaterare» incitò con voce arrochita dal
bisogno impellente di avere di più.
L’attesa la sfibrava, desiderosa che liberasse l’animale stupendo
che albergava dentro di sé e la facesse prepotentemente sua.
«Sei coraggiosa, mia piccola fatina» scandì con voce ipnotica.
«Sto aspettando, mio giovane guerriero» ironizzò impaziente.
Lui piegò le labbra in un sorriso e lei lo percepì sulla pelle
bollente del collo. «D’accordo».
Si sollevò e con un gesto rapido si ritrovò a pancia in giù, la
sorpresa la fece boccheggiare.
Restò in attesa che il ragazzo facesse la prossima mossa.
Le braccia allungate davanti a sé, le dita che stringevano le
lenzuola. Respira, maledizione Morgana, sei tu che lo vuoi! Si
ripeté.
Judah si alzò e con flemma si sfilò la t-shirt gettandola sul
pavimento, si liberò dei pesanti stivali da motociclista, e a piedi
scalzi, indossando soltanto i jeans, si diresse verso il cassettone in
fondo alla stanza.
Lei piegò il collo per seguire i suoi movimenti. Accidenti era
magnifico!
Il sibilo leggero quanto un soffio del cassetto tirato le si insinuò
nella testa, un campanello d’allarme pericoloso e allo stesso tempo
tentatore.
L’eccitazione le scorreva impetuosa nelle vene, il sesso, un lago
di desiderio, si dischiuse, affamato.
«Fai la tua prossima mossa, ti prego» supplicò silenziosamente.
«Ti conviene guardare dritto di fronte a te, fatina».
Lei, disobbedendo, fece la mossa sbagliata si rigirò e lui le
impartì duro: «Rimettiti a pancia in giù e fissa il maledetto muro!».
Anziché arrabbiarsi per i suoi modi rudi, perché ormai era sicura
che non l’avrebbe colpita per farle male, si eccitò maggiormente e
obbedì.
Era tesa come una corda di violino, l’incertezza di quanto
sarebbe accaduto e l’attesa la facevano smaniare.
Tentò di sfregare le cosce per donarsi un po’ di sollievo, ma un
altro ordine brusco arrivò: «Stai ferma!».
Oddio, oddio! Stava per implorarlo di prenderla brutalmente, ma
obbedì senza fiatare.
Il materasso affondò e la prese per i fianchi mettendola carponi si
fece spazio tra le sue cosce con una mano.
«Uhm, sei allagata, mi piace».
Ma vaffanculo… Morgana si morse il labbro inferiore. Perché non
chiudeva la sua dannata bocca e agiva invece di essere così lento!
Le carezzò pigramente i petali dischiusi del fiore carnale. «Lo so
che non vedi l’ora che te lo metta dentro, ma dobbiamo andarci
piano, mia bella fatina».
Le baciò una natica e lei si inarcò.
«Ahi!» Il colpo deciso le fece contrarre le natiche, lui le aveva
assestato un sonoro sculaccione!
«Ferma ho detto!».
«Bastardo…» le sfuggì tra i denti.
Judah si versò sulla punta delle dita un po’ di gel. «Cosa hai
detto?» le chiese trattenendo una risata e fingendosi incazzato.
Per la verità la adorava quando gli teneva testa.
Morgana lo sfidò, stando al gioco, provocandolo: «Bastardo»
ripeté decisa.
Judah, le massaggiò con due dita lo stretto pertugio e il respiro di
lei si bloccò nei polmoni. O Dio, ci siamo, ci siamo! Un misto di
eccitazione e timore la travolse.
«E così ti piace sfidarmi» disse flemmatico seguitando a
carezzarla pigramente tra le natiche.
«Falla finita!» sibilò lei allo stremo. «Oddio!» un ansito tirato le
sgorgò dalla gola.
Lui varcò lo stretto passaggio con la punta dell’indice.
«Morgana, cazzo, non stringere!».
Scuotendo il capo i capelli le piovvero sul volto arrossato.
«Dammi tempo!».
Judah con lentezza si spinse ancora un po’ dentro di lei.
«Respira e spingi».
«Ma io non so…» protestò con un gemito strozzato.
«Morgana, fai come ti ho detto e rilassati, lo vuoi o no il mio
cazzo?».
Lei piegò indietro il collo sino a che i loro occhi si sfidarono.
«Perché devi essere sempre così volgare, in questa delicata
situazione soprattutto!».
Lui le affondò la mano libera nei capelli, strattonandoli fino a farle
inarcare la schiena.
«Non siamo due personaggi di film melensi che piacciono tanto a
voi donne, né due burattini da romanzi rosa, se lo vuoi prendere
nel didietro incomincia ad accettare il dito!».
Lei sbuffò, e nonostante il momento particolare, le scappò da
ridere, in effetti lui tutto era fuorché un personaggio romantico.
«Ma non avevi detto che anche questo è fare l’amore?» lo
schernì.
Judah, si chinò facendo aderire la schiena al suo petto. «Vuoi
che ti sussurri qualche parolina sdolcinata?».
«Tu sei l’antitesi del romanticismo!».
«E tu spingi, cazzo! Morgana!».
«Vaffanculo!» lo investì rabbiosa.
Dio, Dio questa donna lo stava facendo dannare!
La adorava sempre di più era così diversa dalle altre, genuina,
sincera, ironica, bellissima!
Nonostante la situazione apparisse comica l’erezione di lui aveva
assunto proporzioni mostruose, gli faceva un male cane da quanto
tirava e non vedeva l’ora di schiaffarglielo.
Tant’è…
Le massaggiò l’addome. «Morgana, forza mia bella fatina,
respira e spingi» le sussurrò all’orecchio. «Per favore…».
Morgana sorrise: «Va bene, così?».
Judah sprofondò sino in fondo: «Brava, e adesso mi muovo un
po’, tu rilassati».
«Va bene… oh cazz…».
«Brava la mia ragazza… così» incitò incoraggiandola, baciandole
la schiena imperlata di sudore.
La sensazione fastidiosa di invasione presto si trasformò in fitte
di piacere che lui accentuò quando prese a stuzzicarla tra le
gambe nel punto più dolce e sensibile di lei. Le ondate di
godimento la invasero, lui la trascinò sulla soglia dell’orgasmo. «Ci
siamo, lasciati andare» e le inserì delicatamente un altro dito nel
pertugio stretto che si stava man mano rilassando.
Che strano, lei avvertiva soltanto un piacere smisurato, nessun
dolore, scaccia i ricordi, concentrati, si ripeté quando nella sua
mente si affacciò la reminiscenza delle scene violente e dolorose
di quando Jim la seviziava.
«Resta con me, Morgana, forza piccola, resta con noi, ci siamo
solo io e te adesso».
Gli occhi le si colmarono di lacrime che scacciò, come poteva lui
essere in grado di leggere i suoi pensieri?
«Non ci riesco, Judah» singhiozzò.
Lui le circondò la vita traendola a sé, senza uscire da lei,
seguitando a penetrarla teneramente, la costrinse a reggersi sulle
ginocchia e le sollevò il mento baciandole la bocca con dolcezza.
«Sì, che ci riesci.» Le tempestò il volto rigato di lacrime con baci
leggeri. «Sono io, Morgana, soltanto io, ti fidi di me?».
Lo osservò con gli occhi grandi, colmi di timore e allo stesso
tempo di tenera fiducia.
Nel petto di Judah si annidò una sensazione calda, intensa alla
quale lui non seppe dare un nome, sapeva soltanto che avrebbe
fatto qualsiasi cosa pur di renderla felice, di asciugare le sue
lacrime.
«Morgana, io non sono qui per salvarti, ma per viverti» le
sussurrò a fior di labbra.
Gli rispose in un soffio appena udibile: «Io non voglio essere
salvata, voglio vivere».
Judah, lentamente uscì e la fece voltare: «E allora vivi,
Morgana!» mormorò con voce roca.
Gli gettò le braccia al collo senza dire una parola, non ce ne fu
bisogno e quando lui si appropriò della parte più segreta e
vulnerabile di lei, la ripulì dai ricordi penosi che l’avevano
incatenata e la rese libera e consapevole di essere tornata indietro
dall’inferno più forte di prima.
CAPITOLO VENTUNO
Morgana lo contemplava, lui dormiva quieto, il bel volto disteso,
un braccio infilato sotto al cuscino, l’altro poggiato all’addome di
lei. Si impose di non compiere il benché minimo movimento
temendo di svegliarlo, non avrebbe più potuto ascoltare il suo
respiro regolare.
Un sorriso le aleggiò sulle labbra ancora tumide di baci,
desiderosa di allungare una mano e scostare una ciocca ribelle
che pioveva sul suo viso si arrestò e sollevò il capo, si stava
innamorando perdutamente e adesso non se ne rammaricava
nemmeno più.
Sia quel che sia…
Era pronta ad accettare tutto, a prendersi ciò che lui le avrebbe
concesso, e quando si fosse stancato di lei, perché sarebbe
successo prima o poi, ebbene avrebbe serbato i ricordi, cullandoli
nei momenti bui, era riuscito a ridarle la sicurezza di potercela fare.
Ma chi voleva prendere in giro?
Quando lui scomparirà dalla mia vita cosa farò? Riuscirò a
sopportare il dolore?
Assuefatta alla sua ingombrante presenza, lasciò andare un
sospiro, occupava quasi tutto lo spazio a disposizione nel letto.
Non ce la faceva più, il pensiero terrorizzante che svanisse le
mosse la mano. Un gesto lento, le dita tremavano, le passò sul
petto di lui, come era liscia e calda la pelle.
Le si colmarono gli occhi di lacrime. Lui non sarebbe mai stato
suo!
Perché mi sono innamorata di te!? Sei un idiota, sbruffone, vesti
come un teppista, una montagna di muscoli priva di tatto. Detesto
la tua aria supponente, la tua irritante ironia… ma amo come mi fai
sentire.
Risalendo con i polpastrelli lungo il collo taurino, seguendo il
contorno delle vene in rilievo, raggiunse la bocca. «Eppure, non ti
cambierei per nulla al mondo» sussurrò.
Judah si mosse e lei ritrasse la mano, le afferrò il polso, gli occhi
scuri velati di sonno la catturarono: «Ti ho sentito».
Morgana torse il braccio volendosi liberare dalla presa stretta:
«Non ho detto niente» mentì.
Emise un pesante sospiro senza lasciarla andare. «E allora
perché hai pianto?».
«Io non ho pianto, smettila!» e tirò verso di sé il polso con rabbia.
Judah le sorrise ironico: «Ah no?».
Colma di furore si dibatté con tutta la forza che aveva in corpo,
era troppo forte, il polso le faceva male: «Lasciami animale!».
Agguantandola per la vita la costrinse a stendersi sopra di sé.
«Perché, cazzo, quando ti dico la verità tu vai fuori di testa e mi
insulti?».
Gli sferrò un pugno sul pettorale granitico. «Perché ti prendi
gioco di me, ecco perché!».
Affondandole le dita nei capelli, stupendamente arruffati, avvicinò
le loro bocche fino a sfiorarsi. «Non sto giocando, Morgana».
Lei voltò di scatto il volto mentre lui si accingeva a baciarla,
impedendo alle loro labbra di collidere.
«Sì, invece! Non ti importa nulla di ciò che provo per te!» Quando
si rese conto di ciò che gli aveva confessato si pentì, e avrebbe
voluto scomparire!
Judah, le afferrò il mento tra indice e pollice riportando lo
sguardo nel suo.
«Sei innamorata di me.» Un’affermazione che la tramortì,
gettandola nel panico.
«Non è vero!» gli mentì un’altra volta.
Le raccolse il volto fra le mani: «Se credi che io ti dica che mi
dispiace, beh, ti sbagli, non è sbagliato ciò che senti.» Lei tentò di
articolare le parole, ma lui le posò l’indice sulle labbra, «Non
chiedermi cosa provo, non saprei risponderti».
Sostenendo lo sguardo cupo sussurrò: «Ti odio, in questo
momento tu non sai quanto».
Le sfiorò con la punta della lingua la bocca socchiusa. «Lo so…»
e poi la insinuò tra le labbra, strappandole un ansito mentre la
baciava con trasporto.
Maledetto bastardo! Bastardo, bastardo…
Gli affondò le unghie nelle spalle aggrappandosi mentre la
stendeva delicatamente sul materasso. Passò le dita nei suoi
capelli mentre la bocca ora le baciava il collo, scendeva giù tra i
seni, strappandole rantoli di doloroso piacere, succhiandole i
capezzoli. Impedendo senza successo alle lacrime di rotolarle
sulle guance, contrasse il ventre percorso dalla scia bollente della
lingua morbida.
Gemette un no disperato quando lui le pressò le dita nella carne
morbida delle cosce, divaricandole.
E quel no straziato, lo ripeté all’infinito mentre la bocca di lui si
impossessò del suo sesso allagato, piacere e tormento, ecco
quello che poteva donarle. Un presente vivido e palpitante, un
futuro buio e incerto.
Ma adesso, io ho bisogno di te! Di te! gridò nella mente
sconvolta, obnubilata dal godimento di quell’orgasmo rubato,
imposto!
Sapeva essere dolce e allo stesso tempo crudele, lui soltanto
lui…
Scivolandole sopra, la baciò mischiando i loro sapori. «Non lo so,
Morgana, non lo so cosa provo per te, accettalo sin che dura».
«Bastardo!» fu un grido singhiozzato, e lui la strinse talmente
forte che temette di spezzarla.
«Morgana…».
«Non dire più una cazzo di parola, stringimi e basta, stronzo!»
Sfregò il viso inondato di lacrime calde sul petto, assorbendo il suo
profumo virile, imprimendolo nella memoria, un altro ricordo che
l’avrebbe torturata per sempre! Lui era una tremenda condanna!
Tra i loro respiri affannati si insinuò un suono acuto, insistente,
accompagnato da un martellante fastidioso vibrare.
Judah tenendola contro al torace, allungò l’altro braccio e afferrò
lo smartphone sul comodino di fianco, se lo portò all’orecchio:
«Ispettore, cosa vuoi alle sette di mattina, cazzo?».
Dall’altra parte Glenn sorrise immaginandoselo nudo tra le
lenzuola, un guizzo di eccitazione la pervase, la voce si fece roca:
«Vorrei essere lì con te» sussurrò sensualmente.
Judah si tirò su a sedere trascinando con sé Morgana che si
ritrovò a cavalcioni sopra di lui. «E allora staremmo stretti, perché
saremmo in tre».
Morgana, rendendosi conto dell’allusione di quella battuta lo
guardò storto e lui le strizzò l’occhio: «Non che mi
dispiacerebbe…» buttò lì il grandissimo figlio di putt…
Lo colpì con un destro calibrato sul bicipite. «Ahi!» si lasciò
sfuggire, accidenti era duro come una roccia!
«Te la sei scopata stanotte, vero?» sibilò Glenn, oh, sapeva
benissimo chi ci fosse con lui tra le lenzuola disfatte, Morgana,
l’insignificante assistente! Cosa lui ci trovasse in quella cosuccia
tremante e balbuziente non se ne capacitava!
«In effetti ci hai interrotti, e comunque ti ho già detto che non
sono affari tuoi chi mi fotto. Ora dimmi perché hai chiamato».
Glenn mandò giù un fiotto di rabbia risalito dallo stomaco. «C’è
stato un altro omicidio, questa notte, credo alle prime luci
dell’alba».
Judah si sporse in avanti e Morgana rischiò di cadere all’indietro,
se non l’avesse prontamente bloccata per la vita. «Dove!?».
«Al Common Park, precisamente al Freedom Trail, la vittima è
stata rinvenuta da una guardia del parco stamani alle cinque e
tredici, il corpo adagiato su di una tomba monumentale».
Judah strinse l’iPhone tra le dita. «Non lo avete toccato, vero?».
Glenn gli rispose con tono sprezzante «No, dottor Marshall,
come suo espresso ordine non abbiamo rimosso la salma, e
adesso se vuole infilarsi un paio di pantaloni e trascinare con sé la
sua assistente la staremmo aspettando!» sibilò interrompendo la
comunicazione.
Morgana fu sollevata con delicatezza e si ritrovò in piedi accanto
al letto, lui si stava infilando in fretta e furia i pantaloni. «Presto,
mia bella fatina, la doccia la faremo al ritorno».
Lei si diresse verso il bagno e gli mostrò il dito medio. «Col
cavolo, per oggi tieni le tue zampacce lontano da me!» e gli sbatté
la porta sul grugno.
Sì, come no! Partiva sempre bene il suo proposito.
Judah, dopo aver indossato la t-shirt, recuperò le chiavi della
macchina e le sorresse tra i denti mentre si allacciava i pesanti
anfibi. «Morgana, faremo notte, muovi il culo!».
Lei, con molta calma, raccolse i suoi indumenti, una volta uscita
dal bagno, con altrettanta flemma li indossò mentre lui camminava
avanti e indietro come una belva in gabbia.
«Lo stai deliberatamente facendo di proposito? È così che vuoi
farmela pagare?».
Calzando le décolleté, con il tacco squadrato che lui disprezzava
rispose: «Tu che dici?».
Spalancandole la porta e mollandole un ceffone che la fece
saltellare in avanti, ringhiò: «Dico che stasera ti apro!».
Lei si voltò guardandolo in cagnesco: «Come osi parlarmi così!
Bestia!».
La superò immettendosi nel corridoio: «Oh sì, Judah, sì, sì più
forte, fammi male!».
Morgana arrossì sino alla punta dei capelli e lo colpì alle spalle
con una borsettata: «Non permetterti di imitare ciò che dico in tono
strafottente quando… beh, insomma, mentre…».
Lui la arpionò per la vita stringendosela al fianco. «Ti scopo?».
«Vaffaculo, Judah!».
Sollevando la mano e scacciando l’aria le bofonchiò divertito:
«Se, se, se, a proposito di culo…».
«Taci!».
Lasciandosi andare a una risata la guidò verso l’uscita. «Okay!
Mia affascinante, sboccata fatina».
Un’ora più tardi Judah, seguito da Morgana, varcava il cancello di
Common Park; il pallido sole avvolgeva i pochi avventori che si
aggiravano nei pressi di Frog Pound, il placido laghetto al centro
riluceva fra gli alberi secolari. Proseguendo, il tragitto era sbarrato
da una schiera di poliziotti, le transenne poste adiacenti alla
Brewen Fontain impedivano ai curiosi di avvicinarsi.
Si era già sparsa la voce che proprio nel secolare parco era stato
ritrovato un cadavere, vittima del serial killer di cui parlavano tutti i
telegiornali.
Judah fu riconosciuto dalle persone che fremevano, curiose
tentavano di strappare notizie dai poliziotti che intimavano loro di
allontanarsi.
La stampa assalì il criminologo, tempestandolo di domande.
Morgana veniva spintonata e i microfoni allungati spuntavano tra la
calca. Un fotoreporter la urtò e presa alla sprovvista perse
l’equilibrio rischiando di cadere all’interno delle acque scure della
fontana. Judah la afferrò appena in tempo e se la stinse contro.
Maledizione!
«Indietro dannazione!» ringhiò, ma il reporter, seguito dal
cameramen, non ne volle sapere, aveva bisogno di comparire sul
primo canale con un’intervista al famoso Judah Marshall, facendo
impennare gli ascolti e la sua ascesa verso il successo!
«Dottor Marshall, da questa parte, cosa ci può dire di questo
assassinio, crede che sia la stessa mano del famoso serial
killer?».
Non degnandolo di alcuna risposta, Judah proseguì verso le
transenne, proteggendo Morgana stretta al petto. Ma quanti cazzo
erano questi scocciatori!?
E perché i poliziotti non li disperdevano!
Va beh che si era sul suolo pubblico, ma adesso questa
masnada di rompiscatole stava esagerando!
Nel frattempo il reporter lo marcava stretto, con il fisico da
centrocampista scostava a manate i colleghi rivali.
Lo affiancò guadagnando terreno.
«Dottor Marshall, la prego, soltanto una breve dichiarazione per
canale Uno.» Ma non riuscì nell’intento di attrarre l’attenzione del
criminologo che a lunghe falcate trascinava con sé la donna
visibilmente infastidita da tutto quel putiferio.
Sul volto del giornalista apparve un sorrisetto, sembrava che
Judah Marshall ci tenesse parecchio alla donna.
In una la frazione di secondo, volendolo destabilizzare, il reporter
afferrò per un polso Morgana strattonandola verso di sé nella
speranza di ottenere un minimo di considerazione.
Morgana strillò presa alla sprovvista. «Mi lasci andare, subito!».
Judah si arrestò all’istante, lo sguardo duro si posò sulla mano
che stringeva l’esile polso di lei. Lo risollevò piantandolo nel
reporter. «Levale le mani di dosso!».
L’uomo non ne voleva sapere, finalmente aveva l’occasione di
interrogarlo. «Mister Marshall, cosa ci può dire…» non terminò la
frase. Judah lo afferrò per lo scollo della giacca. «Lasciala andare
o ci sarà un altro morto per il coroner!».
«Judah, lascialo!» gridò Morgana, ma non l’ascoltò, avvicinò il
reporter fino a far sfiorare i loro volti.
«Lasciale la mano, prima che ti spezzi tutte le dita».
L’altro, nonostante fosse dotato di un fisico atletico e una
ragguardevole altezza, fece come gli era stato ordinato, mollò la
presa. «Va bene, va bene» ansimò con il respiro mozzo.
Judah lo teneva ancora per il bavero, sfidandolo con occhi
minacciosi.
Morgana si intromise e gli parlò con voce calma: «Judah, sto
bene, è tutto apposto».
«Toccala ancora e ti cambio i connotati» un sibilo iracondo.
Niente, dannato testardo perché non l’ascoltava!?
Non si rendeva conto delle decine di flash che piovevano da ogni
parte e teleobiettivi che inquadravano la scena!
«Judah, guardami! Ti prego! Lo stai soffocando!».
Il volto del reporter era paonazzo, lo scollo della camicia lo stava
strangolando! Si dibatteva, ma il testone lo teneva sollevato dal
terreno come se fosse un fuscello!
«Judah! Dannato zuccone!» lo investì e gli sparò sotto al naso il
polso che il reporter le aveva brandito. «Sono libera! Lascialo!».
Con la visione periferica avvistò un paio di poliziotti che
correvano nella loro direzione, era ora!
«Judah, guardami, ti ho detto che sto bene, non mi ha fatto
male».
Parve rinsavire, lasciò andare il reporter che si afflosciò sul
terreno con un rantolo, le afferrò delicatamente il braccio. «Fa’
vedere, se soltanto ti ha lasciato un segno sulla pelle io …».
Morgana si mise in punta di piedi e gli carezzò il volto, contratto
dalla preoccupazione. «Sto bene, possiamo andare adesso».
Judah barcollò indietro, che diavolo gli era preso!? Vederla
terrorizzata da uno stronzo che le metteva le mani addosso lo
avevano fatto andare fuori di testa! Certo lui detestava gli uomini
che aggredivano le donne, ma non era stata una vera
aggressione. E allora?
Fanculo!
«Dottor Marshall, ma cosa le è preso?» chiese uno dei poliziotti
che li avevano raggiunti.
«Niente di preoccupante» rispose. Poi guardò in cagnesco il
giornalista che si stava alzando malfermo sulle gambe. «…
vero!?».
Annuì brevemente «Sì, è colpa mia, agente, chiedo scusa».
Judah prese per mano, Morgana: «Visto? Andiamo» e la trascinò
con sé.
Passarono oltre le transenne e Morgana si prese un istante per
osservare la magnifica fontana in bronzo soffermandosi sulla
statua di Nettuno seduto accanto a Galatea, pareva allungasse la
mano in cerca di quella di lei. Sorrise, era dispiaciuta per come
Judah avesse aggredito il reporter che in fondo desiderava
soltanto attirare l’attenzione. Tuttavia, si sentiva compiaciuta per la
reazione del suo criminologo. Soprattutto quando le aveva
dimostrato di essere preoccupato che l’altro non le avesse fatto
male.
Che strano, si disse, era la prima volta che un uomo si
preoccupava per lei. Il sentimento che provava per Judah
accrebbe gonfiando il cuore di Morgana. Lui era tutto ciò che
avrebbe voluto, lui…
Scacciò il pensiero, doveva farsela bastare finché sarebbe
durata, Judah era stato chiaro con lei.
Glenn apparve dietro la prima fila di lapidi ingrigite e corrose dal
tempo. «Ce ne hai messo di tempo, dottor Marshall, potresti
evitare di scatenare risse sul luogo del delitto? Te ne sarei grata,
abbiamo già abbastanza problemi nel tenere lontano i curiosi».
«Dov’è il corpo?» si informò senza badare alle sue battute.
Glenn sollevò gli occhi al cielo. «Da questa parte.» Fece strada
inoltrandosi tra le tombe. Morgana li seguiva a distanza, e li
osservava. Dovette ammettere che stavano bene assieme, oddio
che discorso da adolescente! Non fare paragoni si disse tra sé.
I pensieri che le vorticavano in testa subirono una brusca frenata
quando gli occhi si catalizzarono sul corpo inanimato adagiato, con
apparente cura, sulla lapide consunta.
Un sussurro angosciato le sfuggì dalla gola, «Oh mio Dio!».
CAPITOLO VENTIDUE
Judah si estraniò da quanto lo circondava, lo faceva ogni
qualvolta si ritrovava sulla scena di un delitto.
Calma apparente lo avvolgeva, i suoni si azzeravano, la vista si
acuiva, le sinapsi immagazzinavano dettagli.
Si chinò accanto al cadavere e fece cenno al coroner
sopraggiunto di passargli un paio di guanti in lattice.
Gli occhi vigili, guidati da un’impressionante concentrazione,
scandagliarono il corpo.
Supino, le braccia incrociate sul petto. Il capo reclinato
all’indietro, la bocca spalancata, nella quale era conficcato il
marchio dell’assassino, un foglio appallottolato.
Gli occhi riversi verso il cielo, sbarrati, muta supplica, ultimo
specchio d’orrore.
Pelle cerea, contrattura delle membra, rigor mortis…
Judah con estrema attenzione sfilò dalle mani rattrappite dal gelo
della morte il breviario, lo rigirò ed eccolo il glifo, Holy Cross…
Scostò di lato la ciocca di capelli che si insinuava nella ferita alla
gola, un macabro sorriso cremisi aperto tra l’insano biancheggiare
della cute cerea.
Avvicinò il naso alla bocca spalancata e inalò.
Oltre al lezzo della imminente putrefazione, dovuta ai gas
corporei, un aroma appena percepibile, dolciastro, chimico…
Era stato drogato, un allucinogeno: Atropa Belladonna.
«Torcia!» ordinò deciso senza perdere la concentrazione.
Il coroner, ammirando le doti intuitive del criminologo, non perse
tempo e gliela fece cadere nel palmo teso.
Judah tese una palpebra della vittima, midriasi.
Si sfilò un guanto, e dopo aver arrotolato la manica della giacca
talare della vittima passò i polpastrelli sulla pelle tesa, sotto al tatto
affinato percepì e riconobbe la secchezza del tegumento, e una
leggera patina di sudore stagnante.
Alte dosi di Belladonna, convenne.
Perché?
«Avete sottoposto gli altri cadaveri a test tossicologici?» chiese
mentre sbottonava la giacca e la camicia della salma.
Il coroner si guardò attorno imbarazzato: «Ehm, no, non lo
ritenevamo opportuno».
Judah scostò i lembi dei tessuti, scoprendo il petto del prete
barbaramente assassinato. «Fate riesumare i cadaveri e
procedete.» Non distolse lo sguardo dal petto glabro. Le mani dalle
movenze sicure raggiunsero la fibbia della cinta dei pantaloni,
Morgana in segno di pietoso rispetto volse lo sguardo.
Judah scoprì le pudenda, il pene flaccido riverso negli slip
bianchi anonimi, non lo sfiorò, ma l’attenzione si concentrò sulla
patta, all’interno, due minuscole macchie pallide, aloni appena
visibili sulla fibra grezza. Ha eiaculato prima di morire» affermò.
Glenn si accostò, chinandosi accanto a lui; Judah volse il capo e
scorse un lampo negli occhi cerulei di lei «Anche le altre vittime,
abbiamo rinvenuto tracce di sperma sugli indumenti».
Judah si sollevò. «Ricomponetelo e portatelo all’obitorio.» Si sfilò
l’altro guanto che schiaffò in mano al coroner. «…e quando cazzo
avevate intenzione di dirmelo!?».
Il medico legale gettò in un contenitore sorretto dal suo
assistente i guanti. «Non, ecco io credevo che l’ispettore capo
l’avesse messa al corrente, dottor Marshall».
Judah piantò gli occhi severi in quelli gelidi di Glenn che abbozzò
un sorriso tirato «Non pensavo fosse un dettaglio importante,
sappiamo che l’assassino è un pazzo pervertito».
Judah mosse un passo avanti e lei indietreggiò istintivamente.
«Io invece penso che state facendo un’indagine di merda!
Lacunosa, imprecisa, negligente!».
Glenn scosse il capo. «Non c’è bisogno che ti incazzi in questo
modo, d’accordo da ora in poi avrai completo accesso ai dossier».
Judah imprecò fra i denti. «Io credevo che avessi accesso ai
dossier sin dal primo delitto, che cazzo mi hai fornito sino ad
ora!?».
«I documenti che ti abbiamo fornito erano quelli di maggiore
rilevanza! E poi non farla tanto pesante, hai potuto aver accesso
alle salme! Stiamo facendo il possibile!» Si scostò una ciocca di
capelli biondi serici dalla spalla aggraziata. «Sai cosa ti rode,
dottor Marshall? Che l’assassino ti sta prendendo per il culo!
Seguita a mietere vittime indisturbato e tu, anzi noi, brancoliamo
nel buio!».
Indicò il gruppo di agenti che assisteva al loro alterco. «Sai
quanti uomini ho disseminato per questa dannata città? Ho
triplicato i turni notturni! Niente, lui mi sfugge e tu non hai tracciato
un accidenti di profilo del killer!».
Morgana diede voce ai suoi pensieri, ricordando l’evanescente
forma del fantasma che l’aveva importunata alla cattedrale. «Cosa
le fa pensare che sia un uomo ispettore?» chiese in un soffio.
Glenn le lanciò uno sguardo carico di risentimento poi si rivolse a
Judah. «Perché le permetti di parlare!? Di intromettersi!».
Judah le sorrise dileggiandola. «Perché dice cose sensate al
contrario di te!».
Morgana fu lusingata, ma temeva che il battibecco sarebbe
servito soltanto a inasprire l’animo di Glenn che non avrebbe
messo a conoscenza di altri importanti dettagli il suo boss. «Per
favore volete smetterla, abbiate un po’ di rispetto per questa
povera anima che giace ancora svestita sopra una fredda lapide».
Judah avrebbe voluto allungare una mano, carezzarle il bel volto
pallido, quanta sincera benevolenza leggeva nel suo sguardo
limpido; lei era un fiore raro, e lui …
Strinse il pugno sino a farsi sbiancare le nocche, che cazzo gli
stava succedendo? Non aveva mai provato una tale ammirazione
per una donna, un tale senso di tenerezza, si stava rammollendo,
la sua bella fatina continuava a tessere magie molte pericolose…
Sua…
Il cazzo di aggettivo possessivo gli balenava nella testa ogni
volta che la pensava!
Era da ricovero coatto!
«D’accordo, è ora di levare le tende» fece un cenno di saluto a
Glenn che non ricambiò, ma lo fissò con astio.
Morgana lo precedette lungo il viale che li portava al cancello
d’uscita. «Non credi di aver esagerato? Potresti mandare a monte
la vostra collaborazione!».
Lui spalancò la portiera della sua auto sportiva «Sali, e no, credo
che Glenn abbia tutta l’intenzione di mantenere i nostri rapporti
lavorativi».
Lei si accomodò sul morbido sedile in pelle e attese che salisse a
bordo, quando il motore ebbe terminato di rombare, gli domandò
con voce appena udibile. «E per quanto riguardo il resto?».
Judah si immise nel traffico, congestionato. «Quale resto?».
Prendendo coraggio ammise: «Il vostro rapporto non lavorativo»
e si maledisse all’istante, ma doveva sapere!
Una morbosa gelosia la dilaniava!
Judah piegò le labbra sensuali in un sorrisetto ironico. «Ho già il
mio bel da fare, tu assorbi tutte le mie energie».
Morgana ebbe un tuffo al cuore, non era un’ammissione che le
stava concedendo un po’ di esclusiva?
«Per adesso, non farti false illusioni, mia bella fatina» le riversò
addosso una doccia fredda che la raggelò!
La rabbia armò la sua lingua: «Tu sai di essere un grandissimo
sbruffone? Che ti credi di essere il centro dell’universo? Ebbene
anche tu hai una scadenza, bello mio, non farti illusioni!» Dannato
mentecatto della malora!
Judah fece spallucce. «Siamo scopa amici allora».
Scopa che? Scopa che!?
«Io non sono tua amica, buzzurro!».
Le strizzò l’occhio. «Ma mi scopi».
Morgana si arrese: «Con te è una guerra persa, se non puoi
discutere con un idiota non ti resta che concedergli la ragione».
«Resta il fatto ineluttabile, cara Watson, che noi fottiamo e alla
grande, i tuoi gemiti e gli strilli acuti ne sono la prova
schiacciante!».
«E tu grugnisci come il porco che altro non sei!» lo investì,
rabbiosa e offesa.
Judah pestò il freno, la frenata fece stridere le gomme e un paio
di clacson strombazzarono mentre lui accostava.
Morgana si appiattì contro il sedile, forse aveva esagerato.
«Cosa hai detto?» chiese minaccioso.
Sì, sì, aveva decisamente esagerato! E adesso!?
Eppure, non voleva cedere, dimostrandogli che se la stava
facendo sotto!
Sollevò il mento in segno di sfida e prese un bel respiro.
«Grugnisci come un porco!» ribadì scandendo le parole con
decisione.
Era vicina alla sua dipartita se lo sentiva…
Judah stentava a trattenere la risata che stava nascendogli nel
petto. Si finse arrabbiato, mooltoo arrabbiato.
La gelò con uno sguardo severo. «Ti farò pentire di quanto hai
detto» la voce dura le fece accapponare la pelle.
Un momento… che strano, certo, era intimorita, ma c’era
dell’altro…
Una insana eccitazione la pervase, sbocciando nello stomaco le
scaldò il ventre.
Non seppe spiegarsi il perché, ma fu un gesto impulsivo,
primordiale lo agguantò per i lembi del pesante giubbotto
avvicinandolo a sé tanto che poté percepire l’alito caldo che
sapeva di menta sul volto. «E cosa vorresti farmi animale!?».
Lui fu altrettanto rapido, e lei si ritrovò a bocconi sulle sue
ginocchia, il seno premeva contro le cosce muscolose. «Lasciami,
immediatamente!».
Le carezzò le natiche. «Non dovevi provocarmi».
«Non oserai!».
Sollevò lentamente la gonna, lei si dibatteva, la teneva ferma
poggiandole la mano sulla vita. «Prima di dare aria alla tua
stupenda bocca, dovresti pensare alle conseguenze» sussurrò con
voce roca.
Maledizione era bagnata, vigliacco!
«Smettila subito, qualcuno potrebbe vederci! E non ti azzardare a
colpirmi sul didietro perché io …».
Per tutta risposta le abbassò gli slip scoprendo le natiche tonde,
tentatrici.
«Judah, ho detto no!».
Con pigrizia le carezzò un gluteo. «Smettila di fare tutta questa
caciara o sarai tu ad attirare l’attenzione, siamo in mezzo al traffico
e nessuno può vederti».
Le carezze concentriche le donavano fitte di piacere, stuzzicando
la sua libido che galoppava, la voce di lui era un afrodisiaco, roca,
bassa, ipnotica.
«Fai piano, non esagerare» cedette e strizzò gli occhi pronta a
ricevere il colpo.
Le assestò un sonoro sculaccione a palmo aperto e lei si morse
un labbro, non le aveva fatto male, percepiva il calore e il delizioso
pizzicore sulla pelle arrossata.
Trattenendo il respiro attese il prossimo schiaffo, inspirava,
espirava, inspirava, espirava…
Il silenzio la inghiottì, la mente vacillò, no!
Una reminiscenza crudele, lei piegata sulle ginocchia di Jim, le
mani imprigionate da fascette da carpentiere le scarnificavano la
pelle dei polsi, troppo strette!
Il panico prese il posto dell’eccitazione, il respiro le si raggrumò
nel petto, non riusciva ad articolare le parole, era in trappola!
Judah si rese conto del cambiamento repentino di lei, merda!
Non era un gioco erotico, non per lei! Non ancora, ma come
poteva essere stato così stupido…
«Morgana, respira, sono io …».
Dalla gola di lei fuoriuscì un rantolo sibilato, era gelata, la pelle
imperlata di sudore freddo.
Doveva portarla indietro, doveva cancellare i ricordi di quel
bastardo!
Se fosse stato ancora vivo lo avrebbe ucciso ancora, e poi
ancora, ancora in tutti i modi più crudeli, costringendolo a
rimpiangere di essere nato di averla profanata, distrutta!
La sollevò delicatamente, si muoveva come una bambola di
pezza, gli occhi vacui lo osservavano senza vederlo.
Le prese il volto fra le mani, stringendolo delicatamente la
costrinse a fondere lo sguardo con il suo. «Respira, guardami,
Morgana, non potrei mai farti del male».
Le poggiò la fronte contro la sua, gli occhi si colmarono di
desolazione. «Mi dispiace, Morgana, ho sbagliato non è un gioco
erotico per te».
La strinse contro il petto poggiandole il mento sul capo. «Mi
dispiace, mi dispiace».
Lei mormorò «Anche lui mi diceva così ogni volta che…».
Judah la strinse di più sino a farla soffocare. «Oh cazzo, cazzo,
Morgana …».
Lei sollevò il volto, era così pallida. «Portami a casa, Judah, per
favore».
La scrutò in volto. «Sicura che non posso fare qualcosa per te?»
Le circondò il viso con le mani carezzandole con i pollici le gote
gelide. «Usami Morgana, fai di me ciò che vuoi, lo merito, lo meriti,
lascia che io…».
Lei lentamente si abbassò la gonna, con fatica e gesti meccanici
lo abbandonò ritornando sul sedile a lato, si tirò su gli slip, con una
tale triste dignità che lui si sentì davvero un animale. Aveva
ragione era un porco! Non lo meritava, doveva smettere di giocare
con lei!
«D’accordo» disse stringendo il volante. Avrebbe voluto
spaccarsi la testa contro al cruscotto, cazzo!
Vederla in quelle condizioni e per causa sua lo mandava in
bestia!
Accese il motore e si immise nel traffico, il silenzio cadde
pesante e accusatore nell’abitacolo, lei osservava un punto
indefinito davanti a sé.
Raggiunse il palazzo dove abitava, Morgana afferrò la maniglia
della portiera. «Mi dispiace, ci vediamo domani in ufficio».
«Non devi dispiacerti» rispose senza avere il coraggio di
guardarla mentre si avviava verso il portone.
Attese che scomparisse nell’atrio dell’edificio e poi partì, merda
aveva rovinato tutto, o forse era la cosa giusta, doveva lasciarla in
pace, si ripromise di non toccarla più, anche se il solo pensiero di
non poter sfiorare la pelle candida di lei, baciare le labbra piene,
soffocandole i gemiti di piacere, entrarle dentro, lo distruggevano.
Fanculo! Non era solo attrazione! E allora che diavolo era!?
CAPITOLO VENTITRE
Il sole tramontava dietro a una nuvola, il cielo si tingeva di rosso
fuoco. Morgana osservava l’imbrunire attraverso la finestra,
barriera che la proteggeva dal mondo esterno. Infagottata nella
sua vecchia felpa, stringendo tra le mani la tazza di tè bollente, il
freddo la permeava, e lei aveva un disperato bisogno di calore.
Lo aveva mandato via, lo aveva respinto. Anche adesso tentava
di scacciarlo da suoi pensieri.
Judah…
Il nome di lui ripetuto, nella sua mente travagliata.
Un vortice di pensieri la tormentavano.
A cosa serviva combattere contro se stessa?
Lottare contro i propri demoni interiori?
Perché vincere le sue paure? Contrastare un passato se non vi
era futuro con lui?
Valeva la pena soffocare il dolore che Jim le aveva inferto?
Si osservò attraverso il vetro, la sua immagine reale, una donna
che si era lasciata andare alla deriva per troppo tempo.
Un giorno, Judah era piombato nella sua esistenza e il grigio si
era tinto di colori vibranti.
Risvegliata dal torpore, ma non era abbastanza!
Lui non sarebbe mai stato suo, adesso si rendeva conto che quel
briciolo di felicità era effimero, instabile, destinato a svanire.
In fondo lui non era disposto a salvarla, a condividere l’esistenza.
Bevve un sorso di liquido ambrato, fece una smorfia, troppo
amaro…
Amara era la sua esistenza.
Poggiò la tazza sul davanzale e poggiò i palmi contro il cristallo
trasparente. «Sono stanca, tanto stanca…».
Guardò giù, asfalto nero, un cartoccio sollevato dal vento,
sarebbe stato facile, spalancare la finestra, il vuoto la richiamava,
bastava poggiare un piede sul davanzale, chiudere gli occhi,
allargare le braccia e…
Non voglio morire! Non voglio più vivere!
Non così!
Quanta angosciante tristezza, dove era finita la sua giovinezza!
«Se ti avessi incontrato prima!» singhiozzò.
Scivolando sul pavimento si aggrappò al davanzale, nemmeno si
era resa conto di aver spalancato i battenti, un refolo di aria gelida
fece irruzione impetuoso, dispettoso le scompigliò i capelli. «Che
cosa sto facendo? A cosa sta pensando!? Anche se lo avessi
incontrato prima di Jim non sarebbe cambiato nulla! Io, una
giovane donna piena di progetti e speranze, lui un bambino che
giocava con i trenini…».
Sorrise amaramente. «Non c’è nessun destino scritto per noi
due, Judah…».
Si raccolse le ginocchia nascondendovi il volto. «Mi sono
innamorata, mi sono innamorata di nuovo dell’uomo sbagliato!».
Si sollevò di scatto e strinse i pugni. «Non voglio più combattere
per una persona a cui non interesso, non voglio più essere un
giocattolo rotto per nessuno!».
Si guardò attorno spaesata. «Vorrei soltanto scomparire…»
mormorò afflitta.
Incapace di muovere un passo il respiro le si arrestò in gola.
«Cosa devo fare!?».
Il silenzio attorno a sé si rifiutava di fornirle la risposta che tanto
agognava.
«Vai via!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
Il pianto la agguantò con le sue dita crudeli. «Lasciami in pace!».
I volti di Judah e Jim danzavano con malefica alternanza nella
sua testa!
«Andate via! Via le vostre mani, via! Via! Lasciatemi in pace!».
In lontananza un trillo ovattato, Morgana tentò di aggrapparsi al
suono, ma i piedi restarono incollati alle piastrelle.
«Non voglio, fa che non sia lui! Perché non mi lascia in pace!?
Perché non accetta i miei no! Perché nessun uomo accetta i miei
no!».
Il suono si fece acuto, insistente, molesto, trasformando
l’angoscia in rabbia.
«Basta, basta!».
I piedi si schiodarono dal pavimento, le gambe mosse dal furore,
Morgana agguantò il suo iPhone, lo odiò perché glielo aveva
regalato lui! Comprato!
Comprata, usata!
Ma quando osservò lo screen non riconobbe il recapito che la
stava chiamando.
La furia si placò lasciando il posto alla curiosità, chi poteva
essere? E a quell’ora di sera, ormai erano le nove passate.
Si portò l’apparecchio all’orecchio «Sì? Pronto chi è?».
«Miss Green, sono padre Raffael, le devo parlare, scusi la tarda
ora, ma è molto importante, possiamo incontrarci?».
Morgana mormorò perplessa: «Padre Raffael?».
«Sì, si ricorda di me? Ci siamo visti la mattina, durante l’incontro
con Monsignor Isaia».
Lei fece mente locale. «Oh sì, ma mi scusi come ha fatto ad
avere il mio recapito telefonico?».
Nella voce del prete vi era una certa urgenza. «Non importa, la
prego, miss Green, la devo vedere».
Morgana si mise in allarme: «Non può parlarmene al telefono? È
tardi fuori, è già buio».
«Miss Green, non è sicuro utilizzare questo canale per le
informazioni che devo fornirle, si tratta degli omicidi e ho già detto
troppo, incontriamoci alla Saint Joseph Church è soltanto a due
isolati da casa sua, ed è un luogo sicuro, la prego l’aspetto tra
mezz’ora».
«Cosa mi deve dire, padre Raffael?».
Ma la comunicazione fu interrotta.
Morgana osservò lo screen dello smartphone.
Cosa doveva fare?
Poteva fidarsi di padre Raffael? Le era parso molto agitato,
impaziente di incontrarla.
Perché non aveva interpellato Judah?
E se fosse stata una trappola? Se fosse stato lui il fantomatico
assassino?
No, non era possibile.
Fu tentata di chiamare Judah, ma decise di recarsi
all’appuntamento. In fretta si infilò il soprabito e calzò un paio di
ballerine comode, gettò il cellulare nella borsetta, chiuse la porta e
ridiscese le scale di corsa.
Fuori dal palazzo il freddo pungente la costrinse a sollevare il
bavero del trench. Non c’era anima viva in giro, percorse a lunghi
passi il tragitto e raggiunse con il fiato corto il luogo dell’inusuale
appuntamento.
Si guardò attorno prima di spingere con i palmi i battenti in
pesante legno della chiesa. Silenziosa e in penombra la accolse,
rischiarata dai ceri votivi, le apparve meno lugubre della cattedrale
di Holy Cross. Immediatamente il cuore prese a battere con ritmo
regolare, un senso di pace la avvolse assieme a lieve profumo di
incenso.
Aggirandosi per le lucide panche, i passi rimbombavano,
sollevando gli occhi incontrò la statua del Cristo sulla croce, lo
studiò, il volto mirabilmente intagliato pareva le sorridesse bonario.
Dov’era padre Raffael?
Morgana diede una sbirciata all’orologio da polso, la mezz’ora
era passata da una manciata di secondi, si schiarì la voce,
nell’intento di segnalare la sua presenza.
Una mano le si poggiò sulla spalla e lei trattenne un grido, un
rantolo strozzato le sfuggì dalla gola.
«Miss Green, sono padre Raffael, mi spiace averla spaventata».
Morgana si quietò e si voltò, incontrando i grandi occhi sinceri di
lui, gli sorrise: «Cosa voleva dirmi di così segreto e urgente?».
Il giovane prelato le mostrò una panca accanto, invitandola a
sedere, lei lo fece e lui si accomodò, la voce un bisbiglio: «Qui
siamo al sicuro, non tema».
Morgana annuì, pronta ad ascoltare quanto aveva da dire.
Padre Raffael non perse tempo: «L’ho convocata perché devo
darle un consiglio».
«Un consiglio?» sussurrò Morgana perplessa.
L’altro annuì. «Sì, non mi perderò in chiacchiere, lei e il dottor
Marshall non dovete cercare la chiave nell’elenco dei canonici
appartenenti all’arcidiocesi, chiedete in visione l’albo degli orfani di
Holy Cross».
Morgana spalancò gli occhi. «Holy Cross gestisce un
orfanotrofio?».
Il prete abbassò maggiormente il tono di voce. «Un tempo, ora
non più, ma sino a dieci anni fa vi era una casa famiglia condotta
da alcuni prelati, il Children of Jesus, è lì che troverete ciò che
cercate».
«Cosa le fa pensare che ci sia un collegamento tra gli orfani e i
delitti?».
Padre Raffael si alzò: «Le ho già detto fin troppo, e mi
raccomando mantenga il riserbo, noi non ci siamo mai parlati, la
prego, ne va della mia incolumità». Negli occhi del giovane prete
Morgana scorse un lampo di terrore: «Me lo prometta e lo faccia
promettere anche al dottor Marshall e mi raccomando non fatene
parola con la polizia, non voglio entrare in tutta questa
raccapricciante storia, ho fatto il mio dovere di buon cristiano, che
Dio mi abbia in gloria, e che la protegga, miss Green».
Le voltò le spalle e sgusciò dalla panca.
Morgana si sollevò anch’essa: «Aspetti, padre Raffael!»
Ma lui, a passo svelto, raggiunse il portone d’uscita: «Pregherò
per lei, miss Green, si affidi a nostro Signore soltanto lui le darà le
risposte che cerca e non sto parlando soltanto dell’indagine».
«Padre…».
Lui sparì dietro ai battenti che si richiusero con un tonfo sordo.
Morgana si girò e il Cristo in croce parve fissarla con occhi
pietosi, penetranti: «Cosa vuoi dirmi? Cosa devo fare?» gli rivolse
un’accorata supplica.
Non ebbe risposta se non il sorriso dolce e immoto proveniente
dalla statua della vergine Maria nella nicchia sulla sua destra,
soave stringeva nelle dita pallide un rosario.
Lo sguardo si abbassò e Morgana fece un passo indietro, non
era sola!
La figura di una donna vestita di nero e con un velo in pizzo dello
stesso colore drappeggiato sul capo ne proteggeva la capigliatura.
Morgana ebbe un fremito, le sembrava che la donna avesse un
qualcosa di familiare.
Scosse il capo, ma no. Forse era la tensione dovuta allo strano
breve incontro con padre Raffael.
A passi lievi, non volendo disturbare le preghiere della donna
inginocchiata, uscì dalla chiesa, doveva chiamare Judah e
ragguagliarlo quanto prima.
La donna, dopo che Morgana se ne fu andata, si alzò
lentamente. Dinoccolò il collo e un sorriso maligno le si dipinse sul
volto terribile sfigurato dalla lucida pazzia.
«Prima che il gallo canterà tre volte tu mi avrai tradito.» Una
risata demoniaca echeggiò tra le colonne.
Camminando nel buio, lungo le vie deserte rischiarate dalle
pallide luci dei lampioni, Morgana affrettò il passo, ad un tratto si
voltò di scatto, le era parso di essere seguita. La strana
sensazione le incuteva ansia, percepiva la presenza di qualcuno
alle sue spalle, ma non vide nessuno. Senza arrestarsi accelerò
l’andatura che si fece spedita, rovistò nella borsetta e recuperò lo
smartphone, doveva chiamare Judah e con urgenza, non soltanto
per comunicargli quanto le aveva detto padre Raffael, ma
soprattutto perché aveva paura e sentire la sua voce l’avrebbe
rassicurata, in fondo mancava un solo isolato e poi avrebbe
raggiunto la sua abitazione.
Perplessa scrutò lo screen, due chiamate perse, entrambe
provenienti dal recapito di Yuriko.
Per quale motivo l’aveva chiamata?
C’era anche un messaggio, pigiando sull’icona lesse le poche
parole:
- Morgana, chiamami per favore è urgente. -
Che le fosse capitato qualcosa di grave?
Morgana si vergognò, da quando erano uscite assieme a quei
due uomini, non se l’era sentita di rincontrare la sua amica, sino ad
arrivare al punto di chiedere espressamente al suo boss di non
mandarla nella pasticceria.
In fondo Yuriko non poteva immaginare che l’amico del suo
conoscente fosse uno stronzo, sgarbato e violento, per fortuna che
era comparso Judah intervenendo e spaccandogli il grugno.
Sorrise fra sé, l’uomo sbagliato al momento giusto…
Giunta sulla soglia del portone di casa, mentre rovistava nella
shopper alla ricerca delle chiavi, avviò la chiamata, Yuriko rispose
al primo squillo: «Morgana, grazie al cielo hai chiamato, dove
sei?».
Poggiando la ballerina sul primo scalino le rispose: «A casa,
cosa è successo, ti sento agitata, stai bene?».
«No, Morgana, no che non sto bene! Ti prego raggiungimi alla
pasticceria, al più presto, ho fatto una stronzata!».
Preoccupata Morgana le domandò: «Yuriko, per favore non farmi
spaventare! Ma si tratta della tua salute? Il tuo ex marito è
ricomparso, ti prego non lasciarmi sulle spine!».
«Preferisco parlartene a quattrocchi, ti scongiuro, Morgana
raggiungimi, è di vitale importanza, e porta anche il tuo capo!».
Morgana si agitò maggiormente a quella richiesta: «Yuriko dimmi
che il tuo ex non ti ha fatto del male, dimmi che non è lì con te!».
«Lui non c’entra niente, ma sbrigati non ce la faccio più a tenermi
tutto dentro, altrimenti farò una sciocchezza, oddio Morgana, io
non credevo, non avrei mai pensato, cosa ho fatto, cosa, io non lo
sapevo, te lo giuro!» singhiozzò l’amica.
«Stai tranquilla e non muoverti di lì, stiamo arrivando! Non fare
niente, okay? Va tutto bene, qualsiasi cosa sia la risolveremo
assieme».
«Va bene, va bene, ti aspetto» e chiuse la comunicazione.
Morgana non ci pensò due volte e scorse la rubrica interna del
telefonino, e con decisione avviò un’altra chiamata, non era il
momento di tergiversare, di pensare a sé.
Judah rotolò sul materasso, quel cazzo di cellulare della malora
vibrava come un forsennato sul comodino, e lui lo agguantò
rabbioso, dopo mezza bottiglia di gin il suo umore non era dei
migliori, chi osava disturbarlo mentre era sulla soglia di una sonora
sbornia!
Quando si rese conto di chi lo stava chiamando bofonchiò: «Ecco
che il motivo per il quale mi sto ammazzando il fegato, ha deciso di
farsi sentire».
Si mise a sedere ficcandosi sotto la schiena un paio di cuscini e
pigiò l’icona di risposta; «Ti è passata in fretta, ti mancavo, mia
bella fatina?» ironizzò, dannazione! Con un gesto stizzito si cavò
da sotto al culo la bottiglia e la lanciò sul pavimento. Perché cazzo
era così arrabbiato con lei adesso?
«Judah, non è il momento adesso per le tue stronzate, è
importante» ansimò lei.
Sentendo il tono allarmato saltò giù dal letto: «Stai bene?».
«Sì, sì, ma devo dirti delle cose estremamente importanti, e
dobbiamo andare immediatamente da Yuriko, ti mando l’indirizzo
con un messaggio, mi sembrava molto spaventata quando mi ha
chiamato».
Girovagò come una belva inferocita per la stanza in cerca dei
boxer che giacevano da qualche parte sul pavimento.
«Ti ho fatto una domanda, tu stai bene? Rispondi!» ringhiò
infilandosi i jeans e trattenendo lo smartphone tra il mento e la
spalla muscolosa.
«Ti ho detto che…» Morgana avrebbe voluto rispondergli piccata,
ma si rese conto che era sinceramente.
«No, non sto bene» ammise in un sussurro appena udibile.
Arraffando la t-shirt le mormorò: «Ed è per colpa mia».
Ci aveva azzeccato, ma c’era anche dell’altro che la
sconvolgeva, il colloquio con padre Raffael e adesso Yuriko, cosa
stava succedendo?
«Ne parleremo in un secondo momento, adesso fai in fretta per
favore, io ti aspetto da lei».
Lui afferrò le chiavi del suo bolide dal mobile accanto alla porta
d’uscita: «Va bene, sto arrivando, sei a casa? Passo a prenderti».
«Sono già per strada» rispose con una tale ingenua naturalezza
che a lui venne voglia di spaccare tutto!
La voce fu un ringhio adirato: «Cosa cazzo ci fai in giro da sola a
quest’ora! Morgana, dannazione!».
«Non farla tanto lunga, Judah, a te cosa importa…» Stanca di
quella serata che pareva non voler volgere al termine lo liquidò
interrompendo la comunicazione.
Judah infilò una sfilza di bestemmie colorite, quella donna lo
faceva andare fuori di matto!
Fanculo!
Doveva darsi una calmata! Sì come no, era una parola! Al solo
pensiero che qualcuno le torcesse un singolo capello a lui veniva il
mal di cuore!
Stupida, incosciente donna!
Si trattenne nel prendere a calci le porte del fottuto ascensore,
diede una manata al tasto di discesa, perché diavolo ci metteva
così tanto ad arrivare al piano!?
Raggiunto il garage sotterraneo saltò sulla sua auto sportiva, e
diede gas sgommando. Lo smartphone trillò, segno che era
arrivato un messaggio, con il collegamento Bluetooth una voce
femminile metallica declamò: «Charles street, quarantadue».
«Okay fatina, vedi di arrivarci sana e salva altrimenti io…».
Si osservò allo specchietto retrovisore. «Ma guardati bastardo,
sei cotto, altroché» sibilò tra i denti.
E quella fu la prima ammissione che lui per la sua piccola fatina
provava molto di più di una semplice attrazione sessuale.
L’istinto di protezione naturale insita nell’uomo di voler
proteggere una donna non c’entrava un cazzo.
Voleva proteggere la sua donna!
Sua! Chiaro!?
Merda! C’era dentro sino al collo!
CAPITOLO VENTIQUATTRO
Le insegne della pasticceria spente, il vento freddo pungente
sulla pelle che la barba folta lasciava scoperta, sul volto di Judah
l’espressione si fece pensierosa, gli occhi scuri attenti scrutarono
l’interno rischiarato da una luce fioca. Una delle due ombre che si
muovevano gesticolando si voltò e, con decisione, si diresse verso
di lui. Mano a mano che si avvicinava lui riconobbe Morgana che
spalancò la porta vetrata.
«Entra ti stavano aspettando, non ha voluto dirmi di che cosa si
tratta sino a quando non saresti sopraggiunto anche tu. È molto
agitata, sconvolta».
Lo sguardo di lui la passò in rassegna. «E tu come ti senti?».
Morgana si scostò permettendogli di oltrepassare la soglia. «Lei
sta peggio di me».
Judah sorrise, piccola dolce fatina, sempre pronta a anteporre il
bene degli altri al suo.
Yuriko sedeva su di un alto sgabello, pallida e minuta, gli occhi
sconvolti lo focalizzarono. «Grazie di essere venuto a questa tarda
ora» sussurrò angosciata.
Lui scostò lo sgabello e lo posizionò di fronte a lei, la potenza
che traspariva dalla sua fisicità le infuse sicurezza.
Yuriko abbozzò un sorriso tirato, già, Morgana, era molto
fortunata, con un uomo come Judah Marshall al fianco una donna
non avrebbe temuto niente e nessuno.
Morgana provava esattamente quella sensazione ora che era
arrivato si sentiva sollevata, certa che Judah avrebbe aiutato
l’amica e risolto qualsiasi difficile problema la angustiava.
Istintivamente si posizionò dietro di lui e gli poggiò una mano sulla
spalla.
Il collo possente di lui si piegò e gli occhi neri si posarono sulle
dita affusolate, imbarazzata, rendendosi conto di aver compiuto un
gesto che in sé racchiudeva intimità, fece per togliere la mano, ma
lui allungò la sua e non lo permise. Il cuore di Morgana ebbe un
tuffo, quando le loro pelli si fuse, ne percepì il calore e lo stomaco
si dilatò, un’emozione potente la invase, come avrebbe fatto? Non
ci voleva pensare, doveva concentrarsi su Yuriko.
«Vuoi dirci perché sei così sconvolta? Cosa è successo?».
L’amica abbassò lo sguardo, osservandosi le mani che le
tremavano: «Credo di aver fatto una cosa terribile» bisbigliò.
I tremori si fece violenti, la pervasero in tutto il corpo. «Mio Dio
cosa ho fatto! Io non volevo, non credevo, ho sbagliato!» gridò
disperata coprendosi con le mani il volto.
Morgana impietosita dalla forte reazione si sporse verso di lei:
«Yuriko, cara, andrà tutto bene, ma dicci cosa ti è accaduto».
Il pianto disperato di Yuriko le fece stingere il cuore: «Vi prego,
aiutatemi, cosa ne sarà di me adesso?».
Judah le afferrò le mani e con voce calma, mantenendo un tono
rassicurante, basso, le scoprì il volto rigato di lacrime.
«Yuriko, ti prometto che non ti accadrà nulla, adesso guardami e
raccontaci».
Lei vagò con gli occhi stralunati dall’orrore sul volto di Judah. «È
colpa mai se il prete è morto!» Singhiozzò disperatamente.
Morgana strinse convulsamente le dita nei muscoli della spalla di
Judah. «Cosa stai dicendo, Yuri!?».
Judah le diede un buffetto sul dorso della mano nell’intento di
acquietarla, Yuriko era già sufficientemente agitata per conto suo.
Avvicinando maggiormente lo sgabello e senza lasciarle le
minute mani gelide la incitò. «Puoi spiegarti meglio?».
Morgana non si capacitava di come lui potesse mantenere la
calma dopo la rivelazione.
Che confusione devastante! Perché Yuriko seguitava a ripetere
che era sua la colpa della tragica morte del prete!
Mio Dio le sembrava un incubo allucinante!
L’amica le si rivolse con voce rotta dai singulti: «Ti prego, non
giudicarmi se puoi, mi sentivo tanto sola, e tu non mi hai più
richiamata, pensavo fosse soltanto un gioco perverso, non so
nemmeno io come ci sono finita invischiata!».
«Yuri, per l’amor del cielo, vuoi dirci cosa ti è capitato?».
Judah le raccolse il volto fra le mani. «Yuriko, raccontami tutto
dall’inizio, ho bisogno di sapere, soltanto avendo un quadro
preciso della situazione potrò aiutarti».
Tirando su con il naso rispose incerta. «Non so se vorrai ancora
aiutarmi dopo che ti racconterò cosa ho fatto».
Morgana aggirò Judah e abbracciò l’amica da dietro, Dio le
sembrava uno scricciolo indifeso, nonostante temesse qualcosa di
tremendo.
«Fidati di lui, saprà cosa è meglio fare» la rassicurò facendole
posare il capo contro il suo petto.
Yuriko piegò il collo indietro, guardò lei, e poi Judah, sì, doveva
fidarsi, e poi sia quello che sia, si disse.
Tentando di fare ordine nella sua mente confusa prese a
raccontare l’infamia della quale si era macchiata. «Conosco
l’ultima vittima del serial killer, padre Matteus, era il mio
confessore, la mia guida spirituale. Lo incontrai per la prima volta
alla cattedrale di Holy Cross, mi sentivo sola, giunta da pochi giorni
in una città estranea, un’attività da mettere in piedi, un uomo da
dimenticare, ecco cercavo conforto, così entrai nella prima chiesa
mentre gironzolavo senza una meta precisa.
Desideravo soltanto dire una preghiera, così accesi un cero alla
vergine Maria, e mi inginocchiai al suo cospetto. Ricordo il preciso
istante nel quale lui mi posò una mano sulla spalla, era calda,
gentile, mi sorrise mentre io invece piangevo il mio tormento
interiore. Non disse nulla, si inginocchiò accanto a me e
pregammo assieme in silenzio. Il giorno dopo alla stessa ora del
tardo pomeriggio, sperando di rincontrarlo, mi presentai al
santuario, lui stava sistemando un mazzo di rose bianche accanto
al piccolo altare antistante il battistero, mi sorrise riconoscendomi e
invitandomi a sedere su di una panca lasciò che io mi confidassi
con lui raccontandogli tutto di me, le mie paure, il dolore straziante
che mi attanagliava il petto, pareva lenirsi sino a scomparire
quando lui mi ascoltava attento, senza mai giudicarmi. Insomma,
per farla breve, ci frequentammo assiduamente, prima alla chiesa
e poi a pranzo, successivamente a cena, sino a che… una notte
accadde, io … io Dio mi perdoni, ho fatto l’amore con un uomo di
Dio!».
Morgana si impedì di slegarla dal suo abbraccio, ma come
poteva giudicarla proprio lei che stava intrattenendo una relazione
con un uomo più giovane, sfogando istinti prima sopiti. Peggio lei
si era innamorata di Judah e pur di non perderlo era disposta ad
assoggettarsi a un’effimera, instabile passione!
«Cosa c’entra la vostra relazione con la sua morte?» chiese
Judah con un tono basso della voce rassicurante.
Yuriko si asciugò le lacrime con i palmi delle mani. «Non volli
vederlo dopo quella notte, nonostante lui seguitasse a chiamarmi,
inviandomi messaggi nei quali mi pregava di rivederci. Resistetti
una settimana, ma lui era diventato un chiodo fisso nella mia
mente torturata dalla vergogna. Eppure, mi resi conto che quando
ero con lui mi sentivo meglio, e l’eccitazione del proibito mi
inebriava. Sono tutta sbagliata! Una donna sporca, perversa!».
«Ne eri innamorata?» chiese Morgana sottovoce.
Yuriko scosse il capo. «No, io era attratta dal peccato, mio marito
mi aveva tradita con un uomo! Io desideravo fargliela pagare,
dimostrando a lui e a me stessa che potevo essere peggiore! E
comunque l’insana relazione mi galvanizzava, elettrizzandomi!».
Il tono di Judah si fece deciso. «Questo lo abbiamo capito, ora
dimmi cosa c’entri tu con la morte di padre Matteus?».
Lei spaziò con gli occhi, trattenne il respiro e poi mormorò con
voce allucinata. «Esiste una setta segreta, fu lui a parlarmene
durante uno dei nostri giochi perversi, una setta dove si adora il
demonio, in verità vi è una lotta sconosciuta all’opinione pubblica
tra diocesi di Holy Cross e i Luciferiani, nessuno ne è a
conoscenza, io stessa rivelandovi della sua esistenza mi sto
mettendo in pericolo. Avevo promesso di mantenere il segreto, ma
è troppo importante e poi sono stanca di tutto quel pervertito
orrore. Matteus mi incitò ad avvicinarmi alla setta, fui introdotta da
una donna che lui mi fece conoscere dopo la messa, ci
incontrammo sul sagrato, non fu necessario parlare, mi porse una
busta furtiva, e poi se ne andò, dentro vi era un biglietto in filigrana
con un indirizzo e un altro dattiloscritto dove mi si ordinava come
novizia di partecipare a una messa nera e di portare l’agnello
sacrificale, un prete!».
Morgana si allontanò tamponandosi la bocca. «Cosa hai fatto,
Yuriko …» gemette.
Lei chinò le spalle e lunghi capelli neri le piovvero sul volto. «Lui
era d’accordo, diceva che dovevamo smascherare l’orrida
organizzazione, in realtà non era altro che un morboso interesse a
partecipare a uno di quegli incontri raccapriccianti; me ne sono
resa conto durante la macabra funzione, era un gioco per lui, un
gioco perverso, uno dei tanti ai quali desiderava farmi partecipare,
e così lo assecondai, ieri notte mi sono presentata all’indirizzo
vergato sull’infame invito con lui come dono alla setta, e … questa
mattina voi lo avete trovato morto! È colpa mia! Se io non avessi…
Oh mio Dio! Cosa mi accadrà adesso? Andrò in prigione?».
Judah le prese il mento costringendola a guardarlo negli occhi.
«Padre Matteus è stato ucciso durante la messa nera?».
Lei tremava convulsamente. «No! No, lo giuro, quando me ne
sono andata lui era vivo, tutti i membri della setta sono usciti dalla
chiesa sconsacrata e lui era ancora vivo sull’altare, sorrideva
soddisfatto nonostante fosse stato drogato».
«Perché non hai avvisato la polizia! Perché non ci hai detto
subito quanto accaduto all’incontro segreto! Drogare un uomo
contro la sua volontà è un reato, Yuri!» la investì Morgana.
Yuriko mormorò: «Perché lui ha accettato, non è stato drogato
contro la sua volontà i preti che partecipano a queste messe lo
fanno del tutto consenzienti, ecco perché!».
Oh Signore benedetto quanta perversione si poteva nascondere
tra i suoi pastori!
«Ma lui ti aveva detto che voleva smascherare la setta» mormorò
Morgana non volendo credere allo scempio.
«Il suo unico intento era partecipare a quel rito perverso, i
membri della setta sono tutte donne e si compiono atti osceni e
sessuali!» sibilò Yuriko, sentendosi sotto accusa. Inspirò «Il mio
unico sbaglio è aver acconsentito ai suoi voleri, ero succube di lui
e dovevo troncare immediatamente la nostra insana relazione!».
Judah sollevò un sopracciglio. «In realtà ci sei molto di aiuto nelle
nostre indagini, senza la tua confessione non saremmo giunti a
questa svolta».
Yuriko spaventata chiese di nuovo: «Confessione? Ma allora
andrò in prigione?».
Judah si alzò, la mente analitica in fermento, il piano prendeva
forma. «No, ma dovrai salire sul banco dei testimoni, e ci aiuterai a
introdurmi nella setta, sarò il tuo nuovo agnello sacrificale».
Morgana ebbe un cedimento alle ginocchia.
«Sei impazzito? No! Judah, no! Piuttosto avvisiamo l’ispettore
capo, e facciamo interrogare i membri della setta!».
Lui strinse la mascella. «Dobbiamo agire e lo faremo, non
venirmi a dire ciò che devo fare qui, le indagini le conduco io e ho
deciso!».
Maledetto stronzo incosciente!
«Saresti in pericolo di vita lo capisci! Non voglio che tu vada a
finire nel covo di bestie perverse!».
«La tua gelosia mi lusinga, miss Green, ma credo che sia l’unica
soluzione».
«Non posso introdurti» si inserì Yuriko e fu maggiormente
precisa. «… anche se lo volessi».
Judah si chinò su di lei e gli apparve minaccioso. «Perché no?».
Yuriko, si allontanò balzando giù dallo sgabello, quell’uomo
metteva davvero i brividi quando era adirato. «Perché soltanto le
novizie possono portare l’agnello sacrificale, e io non sono più
considerata una novizia avendo partecipato a una messa, me lo
disse Matteus, ecco perché lui pensava di uscirne sano e salvo. Mi
chiedo se anche le altre vittime hanno partecipato a quel rito».
«Lo scopriremo molto presto ecco il motivo per il quale voglio
essere il prossimo sacrificio al buon vecchio Lucifero».
Morgana lo fulminò con un’occhiata furente. «Tu sei matto da
legare!».
«E tu invece sarai la novizia» rispose con una tale noncuranza,
intrisa di tracotanza, come se lui dovesse ordinare e lei obbedire!
«Scordatelo!» gridò sul grugno.
Judah fece spallucce. «E allora dovrò trovarmi un’altra novizia».
Ora lei gli avrebbe sparato un calcio nel suo muscoloso ignorante
didietro!
«Vaffaculo, d’accordo, non ti permetterò di affrontare questa
idiozia da solo!».
Judah la afferrò per i fianchi e se la strinse contro. «Vedi, mia
bella fatina che ho ragione?».
Lei gli piantò un pugno ben assestato sul petto. «Tu sei un
enorme stupido mentecatto!».
Le prese il polso e la costrinse ad aprire la mano che stringeva
ancora con furore, le baciò il palmo. «E io invece ti adoro, grazie,
so che mi proteggerai se sarà necessario».
Gli occhi di Morgana si riempirono di lacrime. «Ci puoi giurare, ti
prego, Judah lascia perdere hai sentito? Verrai drogato e io come
farò…» mormorò terrorizzata e affranta.
Le poggiò la fronte contro la sua. «Fidati di me okay?».
Lei ormai sapeva che lui aveva preso la sua decisione e non
sarebbe tornato indietro. «Okay…» acconsentì con il cuore che
pulsava veloce, la paura che gli succedesse qualcosa la invadeva,
ecco perché non gli avrebbe permesso di affrontare il rito senza di
lei.
Yuriko si intromise. «Ti riconosceranno sei un personaggio
famoso, Judah».
Lui si grattò la barba. «E allora mi renderò irriconoscibile».
«E come?» chiese Morgana.
«Tagliandomi la barba e i capelli».
«E per la tua fisicità?» domandò Yuriko.
Judah poggiò distrattamente il braccio grande quanto un tronco
al bancone dei dolci. «Non sarò l’unico prete al mondo alto un
metro e novanta, no?».
Morgana perplessa mormorò. «Ma forse l’unico che pesa su e
giù 200 libre di muscoli definiti».
Judah rise. «Impossibile sgonfiarmi entro domani notte, e
credimi, padre Augusto, mia vecchia conoscenza, ne pesa 220 di
muscoli».
Già il buon vecchio cappellano del riformatorio dove era stato
schiaffato prima di raggiungere la maggiore età, e al diciottesimo
compleanno come regalo essere trasferito in carcere. Quante volte
si era confidato con quel prete che si allenava in palestra, era stato
proprio lui a trascinarlo tra panche e pesi del riformatorio, mente
sana in corpo sano, una sfilza di preghiere seguita da una sfilza di
flessioni, ottimo metodo educativo nulla da eccepire! Era anche
grazie a padre Augusto che adesso Judah era l’uomo cambiato, da
feccia delinquente a criminologo, chi mai ci avrebbe scommesso
se non suo padre adottivo e i pochi uomini che avevano creduto in
lui come padre Augusto?
«Ma se ti drogheranno come farai?» incalzò Morgana.
Judah le sorrise ironico. «Credo di avere una certa resistenza
alle droghe, credimi sulla parola».
Certo dopo anni che si era fatto di tutta la merda in circolazione,
tipo piste di coca, e crack a badilate, stai a vedere che due bacche
di belladonna lo mettessero k.o.?
Cazzate!
«Yuriko trova la donna che ti ha introdotto nella setta e dille che
c’è una novizia impaziente di recare il suo agnello sacrificale, per
l’abito talare ci penso io».
Era tempo di fare un paio di telefonate, una a padre Augusto, e
una a un suo amico nella polizia, che avrebbe mantenuto il riserbo,
il fratello di suo padre adottivo. L’ispettore capo per il momento
doveva restare all’oscuro di tutta la faccenda, temeva che con la
sua inettitudine avrebbe mandato a puttane il piano!
CAPITOLO VENTICINQUE
L’utilitaria condotta da Yuriko procedeva a bassa velocità lungo
una stretta carraia, gli alberi ai lati protendevano i rami brulli e
nodosi, simili a mani scheletriche allungate, pronti a ghermire.
Morgana, in un profondo stato di agitazione, spaziava con gli
occhi, temendo che da un momento all’altro qualcuno o qualcosa
apparisse sull’asfalto corroso. La figura terribile del fantasma che
aveva incontrato alla cattedrale danzava ghignante nella sua
mente per nulla lucida. Temeva per la sorte di Judah che appariva
tranquillo, concentrato.
Volse lo sguardo nella sua direzione, persino lei stentava a
riconoscerlo, privo di barba, appariva ancor più giovane. Le
ciocche folte che sino a ieri gli lambivano le spalle larghe ora
sfioravano il collo. Non riusciva a guardarlo, eppure, nemmeno
poteva distogliere gli occhi, vestito di un abito talare, che non gli si
addiceva. La giacca nera racchiudeva la potenza dei muscoli
scolpiti, il colletto bianco rigido dava l’impressione che lo
infastidisse, i pantaloni dal taglio lineare così diversi dai jeans
chiari che lui portava a vita bassa. Il luccichio della spilla a forma di
crocifisso appuntata sul petto le pareva un sinistro monito di
quanto fosse pericolosa e sbagliata l’impresa.
Trasalì quando la mano di lui le strinse una coscia da sopra la
stoffa pesante e scura della tunica che lei indossava sulla pelle
nuda tranne che per il perizoma che le copriva a malapena il
sesso.
Nemmeno si sentiva imbarazzata, lei era terrorizzata per la sorte
di lui!
«Ti dona sai?».
Morgana abbozzò un sorriso e invece avrebbe voluto gridare a
Yuriko di arrestare l’auto e invertire la marcia!
«Cosa?» chiese in un mesto sussurro. Dio aveva un disperato
bisogno di abbracciarlo, quante volte la sera prima di salire in
macchina lo aveva pregato di desistere, ma lui caparbio non aveva
ascoltato le sue suppliche.
Judah le sorrise, e il bianco della dentatura perfetta luccicò
nell’oscurità dell’abitacolo.
«Con questo saio, sembri sul serio una bellissima strega:
misteriosa, affascinante, sensuale, pericolosa».
«Questa impresa è pericolosa, Judah!».
Lui le scostò una ciocca che le pioveva sul volto pallido. «È
troppo importante Morgana, è il mio lavoro ti ci dovrai abituare».
Lei, con gli occhi grandi e spaventati gli sussurrò. «Perché me lo
dici?».
Judah aveva capito benissimo il senso della domanda. «Mi hai
catturato con i tuoi incantesimi, mia bellissima strega».
Allargando le braccia, per quanto potesse permettere la sua
mole, le ordinò con voce roca. «Vieni qui stai tremando».
Morgana si gettò nel suo abbraccio, sfregando la guancia contro
il petto granitico, inspirando il profumo di lui.
«Ti prego, non farlo, andiamocene c’è un altro modo molto più
semplice e meno pericoloso, avvertiamo Glenn…».
Lui le baciò la nuca. «No».
«Judah, ti scongiuro» fu un lamento straziante, persino gli occhi
di Yuriko si inumidirono.
Carezzandole la schiena, strinse Morgana maggiormente. «Shh,
andrà tutto bene, te lo prometto». Poi sollevò il capo dopo che le
aveva dato un altro bacio lieve sulla fronte. «Ci siamo. manca
poco, passami l’astuccio accanto a te».
Morgana allungò le dita sino ad afferrare l’oggetto e
porgendoglielo chiese in un soffio. «Che cosa contiene?».
Judah arrotolò la manica della giacca e della camicia grigia sino
a scoprire l’avambraccio. «Una piccola precauzione».
Lo scatto dell’astuccio la fece trasalire, attirando l’attenzione di
Yuriko che lo osservò attraverso lo specchietto retrovisore.
Una siringa! Contenente una piccola dose di liquido ambrato.
«Oddio, Judah, che cos’è?» chiese la donna stringendo il
volante.
Morgana deglutì mentre lui spingendo lo stantuffo dopo aver
esposto l’ago ne fece fuoriuscire una microscopica goccia.
«Morfina».
Morgana allungò una mano. «Sei impazzito! Vuoi drogarti prima
che lo facciano loro?».
Lui le sorrise, strizzandole l’occhio. «La morfina è un blando
antagonista della scopolamina contenuta nelle bacche di
Belladonna».
«Sarai in grado di sopportare gli effetti della morfina sul tuo stato
di vigilanza?».
Judah perforò la grossa vena iniettando lentamente la sostanza.
«Credimi sulla parola, non mi farà andare fuori di testa».
«È un dosaggio basso, allora?».
Gettando nell’astuccio la siringa vuota le rispose: «Sufficiente a
farti fare un bel viaggetto».
«E allora come puoi affermare che non avrai ripercussioni di
alcun genere?».
Yuriko li avvisò interrompendo il loro discorso. «Siamo arrivati».
L’auto fluida e silenziosa si arrestò al centro di una radura. I fari
alogeni illuminavano la chiesa. La facciata in stile gotico, con alte
guglie lugubri, illuminata dalla luce fioca dei fanali che si spensero.
La luna piena si stagliava nel cielo privo di stelle, guardiano
spaventoso della costruzione terrificante.
Uno dopo l’altro scesero dall’utilitaria, gli sportelli sbattuti nel
silenzio, tonfi che rimbombarono nel petto di Morgana.
Lei prese la mano di Judah e la strinse convulsamente. «Siamo
ancora in tempo, andiamo via te ne prego».
Il portone oscuro socchiuso, pareva l’entrata degli inferi!
Il cuore le batteva a ritmo forsennato, temeva le sfuggisse dal
petto, lei stessa voleva defilarsi e trascinarlo lontano, al sicuro!
Judah non slegò le loro dita, ma con la mano libera le sollevò
l’ampio cappuccio sul capo, che le nascondeva buona parte del
volto.
Le mostrò le loro mani unite. «Respira, mia piccola strega, e
conduci l’agnello sacrificale sull’altare del sacrificio».
Nascosta dal pesante, soffocante copricapo gli sussurrò: «Come
puoi ironizzare in questo momento?».
Judah si chinò e le bisbigliò all’orecchio. «Quando tutta questa
storia sarà finita devo assolutamente dirti qualcosa di molto
importante, promettimi che terrai duro fino ad allora».
Morgana si aggrappò a quella promessa, qualsiasi cosa lui
avesse da dirle, lei sperò con tutta se stessa che ne sarebbe
uscito sano e salvo!
Qualsiasi cosa, era pronta anche a sopportare che le dicesse
che non voleva avere più niente a che fare con lei, qualsiasi cosa,
ma lui doveva vivere!
«D’accordo» sussurrò con voce tremante.
Yuriko l’affiancò. «Non dare a vedere che sei in stato d’agitazione
o ci metterai sul serio tutti in pericolo».
Morgana annuì, tirò un lungo sospiro, doveva resistere, per lui,
per Yuriko e per sé!
Lo trascinò verso i battenti dischiusi, percependo l’asperità del
terreno sconnesso sotto le piante dei piedi scalzi. Il vento gelido
soffiando le si insinuò sotto al saio, graffiandole la pelle.
Ancora pochi passi e poi…
Sbarrò gli occhi e strinse la mano di Judah tanto che gli piantò le
unghie nelle nocche, una figura oscura, anch’essa incappucciata,
comparve dal buio, le braccia infilate nelle ampie maniche della
tunica, incrociate sul petto, si sporse in avanti e Yuriko sussurrò:
«Prima che il gallo avrà cantato tre volte, tu mi tradirai».
Morgana s’impedì di indietreggiare, com’era possibile, le stesse
orribili parole che le aveva sussurrato il fantasma alla cattedrale!
La donna incappucciata si fece da parte, e voltando loro le
spalle, li invitò a seguirla.
A passi lenti li guidò attraverso la navata, tra le colonne, sul
freddo marmo impolverato.
Risalirono tre gradini in granito lucido nero, Morgana si rese
conto che l’ultimo era sbeccato.
Dove doveva essere posto l’altare, vi era un enorme blocco di
basalto grigio, rettangolare, una pietra sacrificale!
Alti candelabri in argento situati ai quattro lati lo rischiararono.
Tutto si svolse in silenzio, la donna demoniaca, si avvicinò a
Judah e Morgana represse il desiderio pressante di scostarlo.
La coscia nivea dell’eletta, sporse dalla tunica aperta sino alla
vita, una porzione di sesso glabro, osceno, fece capolino mentre
allungava le sue sudice bianche mani dagli artigli acuminati, e
passava i polpastrelli sul volto di Judah.
Lo esaminò senza fretta, soffermandosi con l’indice sulla bocca
carnosa.
La testa di Judah era sgombra, nonostante il lieve intontimento
dovuto alla morfina, segno che stava facendo egregiamente il suo
lavoro, pompandogli nelle vene, sino alle sinapsi, avvolgendolo in
uno strano stato ovattato.
Non perdere la concentrazione maledizione, fallo per lei!
S’impose, mentre la donna che aveva di fronte gli sbottonava la
giacca e con gesti languidi la sfilava dalle spalle, cadde ai piedi di
Morgana che soppresse un singulto disperato.
Non toccarlo con le tue sudice mani!
Judah le strinse la mano che non aveva ancora lasciato, nel vano
tentativo di infonderle coraggio, il briciolo di coraggio che la stava
abbandonando!
Un bottone dopo l’altro, tutto troppo lento…
La camicia scivolò sfiorandogli il torace scoperto e con un fruscio
ovattato si depositò sul freddo pavimento.
La donna, tastò i pettorali scolpiti, ridiscese sino all’addome
cesellato, un bagliore sinistro, provenne dagli occhi di lei celati dal
copricapo. Una ciocca di folti lunghi capelli neri si arricciò
nell’incavo dei seni, che spuntavano con le loro forme generose,
dall’ampia scollatura scura che ne evidenziava il pallore innaturale.
Si chinò, elegante, sinuosa, e con dita lunghe ed esperte, forzò la
fibbia della cintura di lui, la sfilò con uno schiocco che riempì il
silenzio.
Morgana la osservò con astio, digrignando i denti, dannata
perversa, non doveva toccarlo, insudiciarlo con le sue grinfie
malefiche!
L’unico bottone si sfilò dall’asola, il graffio della cerniera dei
calzoni che si abbassava trapassò la mente avvelenata di
Morgana.
Devo portarlo via di qui prima che sia troppo tardi…
L’eletta non gli abbassò i pantaloni come lei temeva, ma con un
gesto ampio del braccio le mostrò una coppa in oro zecchino
poggiata al centro della pietra sacrificale.
Quello era un calice sacro!
Morgana non voleva crederci! Non era possibile!
Proprio lei doveva drogare, avvelenare l’uomo che amava più di
se stessa!
Dove avrebbe trovato il coraggio? Non lei! No!
Judah rinsaldò la presa sulla sua mano, spronandola a superare
l’orrore che le attanagliava la gola!
Avrebbe voluto urlare, supplicare, pregare, che tutto terminasse!
Gli occhi si fusero con quelli di Judah, e le comunicarono
silenziosamente di fidarsi, vi lesse la sua ferrea determinazione.
Morgana, si chinò e lentamente il suo braccio si protese, le dita
circondarono lo stelo pesante, percepì l’intagliatura nel metallo
prezioso sotto ai polpastrelli.
Era sull’orlo di una crisi di panico!
Ispirò, espirò.
Mille spilli appuntiti le si piantarono nel cervello.
Mille zampette le si inerpicarono lungo le gambe, le braccia!
L’aria racchiusa nei polmoni!
Tutto ciò che le stava attorno prese a vorticare, i volti ghignanti
delle statue dei santi, le colonne che apparvero ripiegarsi su se
stesse!
Non voglio! Non voglio!
Judah la carezzò con il pollice il polso che brandiva
delicatamente.
Forza mia piccola strega, non mollare proprio adesso! La incitò
mentalmente.
Si aggrappò al suo tocco, al calore della piccola porzione di pelle
che li univa.
Un legame infinitesimale eppure così potente!
Trattenne le lacrime, mentre sollevava il calice.
Ti amo, ti amo, ti amo!
La sua voce interiore lo ripeteva sino allo spasimo.
La bocca poggiata sul bordo della coppa infame.
Ti amo, ti amo, ti amo!
Lui che sorbiva la malefica pozione.
Signore, abbia pietà di me, di noi!
Morgana impedendo alla mano di tremare scostò la coppa, dalle
labbra adorate di lui.
Io, io non voglio perderlo!
Yuriko si fece da parte, chinando il capo, l’altra donna oscura
prese la mano di Morgana e con delicatezza la scostò da Judah,
lei si sentì persa, lo stava perdendo!
No!
I sensi di Judah si accentuarono, la pozione stava facendo
effetto, la pelle percorsa da un fastidioso prurito.
Ci siamo, si disse, lotta, bastardo, tieni duro altrimenti crollerà e
saremo fottuti tutti e tre!
L’aria si fece pesante, una cappa oscura, liquida lo avvolse
rendendo le membra pesanti, la testa vigile, una strana euforia, lo
inebriava, imprigionandolo nel corpo indebolito.
Un guscio fragile, conteneva l’anima che scalpitava.
L’erezione spinse sfregando contro i lembi della cerniera dei
calzoni aperta.
Imbriglia le tue pulsioni, bastardo! Si comandò, mentre l’effetto
della droga iniziava a tessere le sue dannate allucinazioni.
Le statue dei santi parvero prendere vita, mani si protesero nella
sua direzione, labbra scolpite nel gesso si arricciavano scoprendo
zanne acuminate.
Judah analizzò la situazione con il flebile lumicino che rischiarava
la sua ragione.
Non è una dose letale, chi ha misurato le proporzioni se ne
intende di farmacocinetica…
La bocca impastata, la lingua pesante, un fastidioso formicolio al
labbro superiore, merda! se lui non avesse pesato così tanto, nel
giro di un paio di ore, senza una lavanda gastrica, sarebbe andato
a far compagnia al creatore. Ringraziò le sue conoscenze
mediche, e la dose cospicua di morfina!
Morgana…
Un sussurro lo richiamava, sensuale, erotico.
Lui volse lo sguardo verso di lei.
Morgana…
Era bellissima, il respiro si fece accentuato, la brama gli
serpeggiò nelle vene assieme al veleno che gliele bruciava.
Allungò una mano verso di lei, doveva toccarla, toccare la pelle
del ginocchio che spuntava dal saio, passare le dita tra i seni gonfi,
accarezzati dalla tunica aperta sul davanti.
Il sesso di lei, un fiore roseo cangiante nel nero delle pieghe della
stoffa pesante, lo richiamavano, si passò la lingua sulle labbra
riarse.
Morgana…
Docile si assoggettò alle mani spinte contro il suo petto, lo
costrinsero a distendersi sulla pietra. Permise all’eletta di
stendergli le braccia sopra la testa, il volto girato verso la sua
strega, che riluceva tra tutta l’oscurità, minuta, preziosa.
Una nenia cantilenante lo avvolse, c’era qualcosa di sbagliato, di
terrificante nelle voci basse, ipnotiche.
Lei si allontanava sempre di più.
Morgana resta con me!
Judah sollevò il capo faticosamente, contò le figure fluttuanti che
attorniarono l’altare sul quale era disteso, dodici.
Lasciò cadere la testa all’indietro era così pesante e allo stesso
tempo svuotata.
Dodici come gli apostoli…
Le demoniache figure buie, ancestrali si fecero opalescenti, le
tuniche caddero sul suolo in simultanea malefica sincronia.
Si avvicinavano, l’aria si riempì di sospiri assetati. Mani calde lo
accarezzarono possessive.
Judah strinse i denti, artigli conficcati nella pelle del petto, ringhi
affamati.
L’agnello sacrificale, era il pasto di fiere assatanate! Bocche lo
mordevano, lingue guizzanti lambivano i capezzoli di lui, i lombi
furono percorsi da scariche eccitanti. L’erezione dura, grande e
venata fu stretta, stimolata da dita esigenti.
Oh Cristo!
Il piacere serpeggiava devastante in tutto il suo corpo poderoso.
Il petto si contraeva a ogni stimolazione, l’addome si tendeva
spingendo in avanti il sesso pulsante. Il glande accolto in oscuri
voraci antri caldi, e umidi, denti che sfregavano sulla carne
sensibile.
Judah strattonò le polsiere, e le catene pesanti alle quali erano
affrancate cigolarono.
Dov’era la sua piccola, rilucente, pura fatina?
Morgana…
«Oh cazzo!» un ringhio disperato, gutturale gli sgorgò dalla gola.
Una delle elette lo cavalcava, il volto coperto per metà da una
grottesca maschera nera.
Judah non riusciva a trattenersi, si spinse dentro di lei,
strappandole grida di piacere che si mischiò a quello infame di lui.
Morgana era sempre più lontana, a ogni stoccata indietreggiava,
fluttuando sul pavimento, la tunica svolazzava attorno al suo corpo
etereo.
Non mi lasciare Morgana!
Una girandola di corpi, che lo blandivano, cosce oscene
divaricate, sessi grondanti premuti sulla sua bocca.
Devo resistere!
Ma il desiderio insano di spingere la lingua contro le carni lisce,
bagnate lo corrompevano.
Perdonami, Morgana …
Tutto si fece confuso, l’eccitazione raggiunse vette imbrigliabili,
Judah leccò, morse, succhiò, spinse il suo cazzo dolorante in
canali stretti e avvolgenti.
Impazzito di piacere, la dannazione perversa lo possedeva
mentre lui veniva posseduto e possedeva i corpi che non avevano
volti.
Morgana era ormai una pallida figura sbiadita.
Lui scuoteva il capo, ci aveva provato! Ma…
Morgana osservava con gli occhi colmi di sgomento, lacrime che
ormai nemmeno tentava più di ricacciare indietro, l’uomo che
amava, godeva come una furia impazzita di quei corpi osceni,
lascivi!
Non è lui, è la droga che ha in corpo, non è lui!
L’angoscia strillava nella sua mente straziata.
Il tempo pareva scorrere ferocemente crudele a rallentatore.
Vi prego lasciatelo andare, basta!
Basta!
Mio Dio, quanta perversione, che scena orripilante!
Sono belve feroci, non donne!
Yuriko si avvicinò e le sussurrò. «È diverso dalla notte scorsa,
sembrano impazzite, lo stanno divorando, non erano così
assatanate con Matteus».
Morgana mandò indietro un fiotto di bile che le era risalito sino in
gola, ne sentì l’amaro sulla lingua: «Chi è la donna seduta sullo
scranno osserva senza muovere un solo muscolo?».
Yuriko scosse leggermente il capo. «Non lo so, ma anche la
notte scorsa non ha partecipato al baccanale».
Morgana mosse un passo lieve, il piede scalzo sfiorò il
pavimento gelido. «Devo farle smettere, lui non resisterà a lungo,
si sta indebolendo».
La voce di Yuriko le parve provenire da un luogo lontano. «Deve
smettere di opporsi, quando spargerà il suo seme sarà tutto finito».
Morgana si tamponò la bocca con dita che tremavano
convulsamente. «E allora perché non lo fa!?».
Yuriko sorrise mestamente. «Credo si stia trattenendo per te, sta
combattendo soltanto per te, guardalo, i suoi occhi sono sempre
rivolti nella tua direzione, ti cercano, nonostante siano lo specchio
di una perversa allucinazione».
Morgana avanzò ancora di un passo, e lentamente abbassò il
copricapo, Judah a fatica seguì il movimento, volgendo non
soltanto gli occhi annebbiati, ma anche il volto.
Lei gli sorrise, dolcemente ma determinata.
Lasciati andare amore mio, fallo!
Lui, impantanato nelle prepotenti sensazioni, si aggrappò al viso
soave di lei, come se avesse inteso il suo silenzioso assenso.
Con un ringhio disperato si lasciò affogare dall’orgasmo, la
donna che lo cavalcava selvaggiamente si sfilò da lui e un’altra le
porse la coppa che aveva contenuto la mistura allucinogena,
riempiendola del seme copioso di lui, spremendolo sino all’ultima
goccia aiutandosi con lo sfregare violento della mano sull’asta che
tremava nel suo palmo.
Judah stremato, chiuse gli occhi lasciandosi andare alla deriva,
sino a che le ondate violente si quietarono.
La donna che stringeva nelle mani il calice si inginocchiò di fronte
a quella assisa sullo scranno innalzato, le mute campane del
vetusto campanile presero a rintoccare, lugubri.
L’eletta, che doveva essere il capo della setta, si portò la coppa
alla bocca e bevve, lentamente, poi la poggiò sul pavimento. Le
altre congiunte accerchiarono Judah intonando un canto orribile,
ripetitivo, versi in latino che Morgana stentava a comprendere.
Indicò Morgana e Yuriko, e poi con un cenno del mento
inequivocabile ordinò loro di uscire dalla chiesa.
Morgana, a capo scoperto la fissò dritta negli occhi con
determinazione, e lesse la lucida pazzia.
Un luccichio fugace attirò la sua attenzione, abbassò lo sguardo,
nella mano sinistra della donna nascosta dalla manica
scampanata, spuntava la punta di una lama!
Avanzava decisa, mentre le discepole si aprivano a ventaglio!
No!
Morgana strinse il calcio della pistola che era infilata nel fodero
legato alla sottile cinta legata in vita.
La impugnò sfoderandola e puntandola contro la maledetta!
«Ferma! Fermi tutti polizia!» Dall’auricolare, che aveva nascosto
tra i capelli strillò nel microfono. «Dentro, presto!».
Vi fu una fuga generale, gli agenti irruppero rincorrendo le elette,
catturandole.
Zacaria Marshall si apprestò verso il nipote. «Non lasciatele
scappare!».
Si chinò e lo liberò dalle polsiere. «Ragazzo mio, ti hanno
conciato per le feste, fossi in te eviterei di partecipare a queste
orge, non hai resistenza!» ironizzò, ma la voce era incrinata dalla
preoccupazione, il suo ragazzo appariva intontito sul punto di
perdere i sensi.
Morgana corse verso di loro gettando la pistola, si inginocchiò
abbracciando Judah e sollevandolo, gli scostò una ciocca dalla
fronte madida di sudore.
«È tutto finito, adesso ti riportiamo a casa. Judah! Judah!».
«Merda, sto per vomitare» fu l’unica frase che lui riuscì a dirle
prima di perdere i sensi.
Zacaria strepitò rabbioso. «Quanto cazzo ci mette l’ambulanza,
forza ragazzo mio non ti azzardare a lasciarmi altrimenti ti prendo
a calci in culo!».
Judah nella semicoscienza contò le donne che erano state
catturate, ripercorrendo con la mente obnubilata la scena dagli
arresti, una, due, tre… Undici! Ne mancava una!
Aveva sonno, aveva un disperato bisogno di dormire…
«Judah, amore mio, resta con me! Resta con me!».
Morgana…
Il buio stese la sua pesante coltre su di lui e poi fu il nulla…
CAPITOLO VENTISEI
Morgana si strinse nel giubbotto che le aveva delicatamente
posato sulle spalle Zacaria. Si scaldò le mani, tentando di sorbire il
calore dal bicchiere di carta colmo di caffè che non riusciva a
mandare giù. Si lasciò cadere su una delle scomode sedie della
sala d’aspetto, osservando i due uomini che le sedevano di fronte,
uno lo conosceva anche se da meno di ventiquattro ore, Zacaria,
zio di Judah, che a capo chino attendeva che i medici uscissero
dalla sala di pronto soccorso per dare loro notizie delle condizioni
del nipote.
L’altro uomo, lo scrutò dal bordo del bicchiere, gli occhi grigi
puntati sulle porte che lo dividevano dal figlio. La gamba sinistra, in
tremolio perpetuo, un tic involontario forse per esorcizzare l’ansia.
Ogni tanto si stropicciava i corti capelli ingrigiti. La mascella
contratta. Doveva essere davvero devastato, sapere che il figlio
aveva rischiato la vita e che non era ancora fuori pericolo.
Lei capiva perfettamente lo stato d’animo di Donald Marshall,
l’angoscia la distruggeva!
Improvvisamente lui si alzò e prese a camminare nervosamente
avanti e indietro, Morgana ne seguiva i movimenti, lo sguardo
angustiato. Doveva amarlo molto.
«Perché cazzo non esce nessuno da quelle maledette porte e mi
dice come sta il mio ragazzo!». Il fratello lo raggiunse poggiandogli
una mano sulla spalla.
«Devi stare calmo, altrimenti il tuo cuore ne risentirà, vuoi avere
un altro infarto? Non ti è bastato farlo preoccupare l’anno scorso?
Quando uscirà dalla stanza avrà bisogno di te».
«Mi sono fatto duecento miglia tirando il collo del motore della
mia auto, quando mi hai chiamato, che diavolo gli è saltato in
mente! Non gli ho forse insegnato a essere prudente durante
un’indagine? Oh, ma lui, lui deve sempre fare di testa sua e
cacciarsi in un mare di guai! Se non dovesse farcela…» La voce
gli si arrestò in gola. «Io non so se ce la farei, è tutto ciò che
abbiamo io e Anna, è il nostro mondo, la ragione per la quale ci
svegliamo ogni mattino, non doveva farci questo, non ai suoi
vecchi!».
Zacaria circondò con il braccio le spalle di lui, dirigendolo verso
le sedute. «Non ti servirà a nulla andare fuori di testa; siedi, vado a
prenderti qualcosa di caldo, qui dentro fa un freddo dell’accidenti».
Si rivolse a Morgana che in silenzio se ne stava in disparte, la
stanchezza era un’inezia se confrontata all’angoscia che la
pervadeva. Anche lei attendeva che i medici comparissero da
dietro le porte verdi, avrebbe voluto spalancarle e fare irruzione,
aveva un disperato bisogno di vederlo, di sincerarsi che respirasse
ancora!
«Non ti azzardare ad andartene, mi hai fatto una promessa, hai
affermato che mi avresti detto qualcosa di molto importante! Ti
prego, non mi lasciare, non morire!». Si rese conto di aver dato
voce al suo tormento, i due uomini la osservarono, Zacaria
sopraggiunto con un bicchiere di caffè fumante, si arrestò. Donald
che si teneva la testa fra le mani, sollevò il capo, gli occhi colmi di
dolore incontrarono i disperati di Morgana.
Lei non distolse lo sguardo, tuttavia sentendosi un’estranea nei
confronti del padre di Judah mormorò. «Mi dispiace, io…» si
vergognò di indossare ancora la pesante tunica che teneva
abbottonata sino al collo. Era anche colpa sua se adesso un padre
si disperava per il figlio.
Non avrebbe dovuto assecondarlo nel folle progetto! Avrebbe
dovuto impedirgli a tutti costi di sacrificarsi per una maledetta
indagine! Era stata lei a porgergli il calice infame! Lo aveva
avvelenato!
Il respiro le si bloccò nel petto, oddio forse lo aveva ucciso!
Se fosse potuta tornare indietro!
Se tutta l’insostenibile situazione, fosse stato soltanto un terribile
incubo e al suo risveglio Judah l’avrebbe aspettata in ufficio, dietro
alla grande scrivania, il sorriso sornione e solare ad accoglierla, le
sue battute insolenti, l’avrebbe presa in giro, con le solite allusioni
facendole il verso, imitandola quando lei si lasciava andare alla
prepotente passione di loro due che facevano l’amore.
Aveva bisogno di essere stretta tra le sue forti braccia,
accoccolarsi contro il suo fisico possente, protettivo!
Si sfiorò le labbra con le dita che le tremavano, un bacio, soltanto
uno, ancora uno!
Amore mio, amore sbagliato, amore disperato, torna da me!
Il gelo l’avvolse, facendola tremare, le lacrime le rigarono le
guance pallide e si coprì il volto con le mani, si sentiva tanto sola.
Sola a sopportare il dolore sordo, crudele che non le lasciava
tregua!
Due mani calde coprirono le sue, e delicatamente le scostarono
dal volto distrutto. Donald le si chinò di fronte. «Grazie» mormorò
visibilmente emozionato.
Morgana si perse nello sguardo sincero di lui. «Perché?».
Donald le sorrise debolmente. «Perché lei deve amarlo quanto lo
amo io».
Il trillo di uno smartphone la distrasse, Donald si alzò frugandosi
nei jeans scuri e si portò l’apparecchio all’orecchio.
«Anna, tesoro, no, non so ancora niente, non abbiamo avuto
ancora notizie dai dottori. Sì, appena mi diranno qualcosa ti
chiamerò. Io? Ti mentirei se ti dicessi che sto bene. Sì, Zacaria è
qui con me, e c’è anche la compagna di Judah».
Morgana avrebbe voluto negare, ma si aggrappò a
quell’affermazione, volendo sperare di essere importante per
Judah quanto lui lo fosse per lei.
Donald piegò le labbra in un sorriso tenero. «Sì, lo zuccone ce
l’aveva nascosta, certo che lui starà bene, sì, amore mio te la
presenterà e tu potrai strigliarlo a dovere perché non ti ha detto
niente di lei».
Lasciò andare un lungo sospiro. «Ti amo anch’io tesoro, ti
chiamo appena avrò notizie, a presto e ti prego smetti di piangere,
ha la pellaccia dura il nostro ragazzo, ne ha superate tante,
supererà anche questa».
Zacaria si mosse sulla seggiola e si alzò di scatto. «Dottore, ci
dica come sta!».
L’uomo uscito dalle porte socchiuse della stanza dove avevano
ricoverato Judah, indossando la casacca azzurra macchiata sul
davanti da un alone scuro di sudore, così come la fronte, si tolse la
cuffia monouso e si avvicinò. Anche Morgana e Donald lo
raggiunsero trepidanti e allo stesso tempo terrorizzati dal possibile
esito che avrebbe loro comunicato.
Ormai si era fatta l’alba, Judah giaceva sul lettino da più di sei
ore, e loro non si erano allontanati se non per raggiungere il
distributore di caffè all’altro capo della sala d’aspetto.
Il medico sorrise. «Sta bene, gli abbiamo praticato una lavanda
gastrica, ci ha insultati tutti mentre vomitava, e questo è un buon
segno, ha ripreso conoscenza subito dopo che gli abbiamo
praticato un’altra dose di morfina, è stato davvero provvidenziale
che lui se ne fosse iniettata un prima di assumere la mistura di
belladonna. In oltre il suo fisico forte ha sopportato egregiamente
l’alta dose di veleno».
Donald picchiò una pacca sulla schiena del fratello mentre
piangeva e allo stesso tempo rideva. «Te l’avevo detto che mio
figlio è un osso duro! Gliel’ho insegnato io!».
Zacaria lo abbracciò. «Hai ragione vecchio bastardo, è tuo figlio
dopotutto!».
Il medico si apprestò verso Morgana che, poggiata alla parete nel
tentativo di sorreggersi, sussurrava. «Sia ringraziato il cielo».
«Lei deve essere Morgana.» Annuì. «Non ha smesso di chiedere
di lei, se vuole può entrare».
Morgana, felice e risollevata, si rivolse ai due uomini che le
sorridevano. «Credo dobbiate entrare prima voi, io posso
aspettare».
Donald le prese le mani, stringendole calorosamente. «Ha
bisogno di te, adesso, a me basta sapere che sta bene, avrò tutto
il tempo per prenderlo a calci in culo anche da parte di sua madre,
ci ha fatto spaventare a morte.» Le poggiò una mano contro la vita,
sospingendola delicatamente verso i pesanti battenti socchiusi.
«Va’ da lui».
Morgana commossa annuì. «Grazie» e con il cuore in tumulto
varcò la soglia.
Lui giaceva su un letto troppo piccolo per contenerne la mole. Si
aspettava di trovarselo davanti, stanco, coricato, e invece era
poggiato ai cuscini, il petto muscoloso punteggiato dagli elettrodi di
una macchina che segnalava il pulsare regolare del suo cuore.
Le sorrise, nonostante fosse pallido, e con aloni scuri sotto agli
occhi e non le era mai parso così bello, ed era vivo!
Vivo!
Judah si sporse in avanti e lei corse poggiandogli le dita che
tremavano sulle spalle lo costrinse a ritornare sui cuscini. «Stai
fermo o ti strapperai dalla vena del braccio l’ago!».
Lui con la mano libera le affondò le dita nei capelli e la costrinse
ad avvicinarsi tanto che i loro volti si sfiorarono, la scrutò con le
iridi scure che lei adorava.
«Hai pianto? Perché?».
Morgana gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte, e stava
facendolo di nuovo, stava piangendo. «E me lo chiedi? Perché sei
uno stupido incosciente!».
Judah incurante che ci fossero il dottore che aveva rischiato la
sua incolumità mentre gli infilava un tubo in gola e le due
infermiere che avevano lottato per tenerlo fermo, e poi rincuorato
incitandolo con voci calme e pazienti durante i suoi conati di
vomito devastanti, sfiorò le labbra morbide di Morgana con le sue
riarse.
«Resta con me Morgana» il tono di voce di solito duro o ironico,
fu una supplica che le straziò il cuore.
Carezzandogli il petto rispose. «Sono qui, Judah».
Lui strinse maggiormente tra le dita le ciocche seriche dei capelli
di lei; disperatamente, la trasse a sé. «Non soltanto adesso
Morgana, non andartene mai più promettimelo, questa notte tu ti
stavi allontanando, sbiadendo, non voglio mai più provare la
terribile sensazione di abbandono…» Le poggiò la fronte contro la
sua. «…non ti azzardare a piantarmi in asso un’altra volta!
D’accordo?».
Speranzosa e al colmo della felicità per la strampalata
dichiarazione gli baciò fugacemente le labbra.
«Finché dura» fu una sfida, e una richiesta disperata di
conferma.
Judah le raccolse il volto tra le grandi mani. «Finché dura è
riduttivo, miss Green, lei è assunta a tempo indeterminato».
Morgana rattristata di aver frainteso quanto lui intendesse
mormorò delusa. «Stavi parlando di lavoro allora?».
Judah, prima di baciarla le sussurrò a fior di labbra: «No, sto
parlando di noi due, io e te, Morgana, non è soltanto attrazione fine
a se stessa, è qualcosa…» Pressò la bocca contro la sua «…di
più. Credo di essermi innamorato di te, mia bellissima fatina…» e
poi la travolse con un bacio possessivo, imperioso che le tolse il
fiato, riportandola a vivere dopo anni e anni di oblio. Lui era stato
in grado di colorare di tinte vivaci il grigio che da troppo tempo la
circondava.
Due giorni dopo le dimissioni dal Massachusetts General
Hospital, Judah, recuperato velocemente un ottimale stato di
salute, si era rimesso immediatamente al lavoro. Seduto alla
scrivania studiava minuziosamente il contenuto del file al quale
aveva avuto accesso dal vescovo della diocesi: catalogava i
bambini presi in custodia dall’orfanotrofio di Holly Cross. Morgana,
in piedi dietro di lui, poggiandogli una mano sulla spalla, restava in
silenzio, non volendo deconcentrarlo.
Duecentotrentasette.
Duecentotrentasette volti, duecentotrentasette piccole anime
indifese.
Occhi grandi, sguardi limpidi, innocenti, alcuni colmi di dilagante
tristezza, altri nascondevano malamente rabbia repressa, finta
spavalderia.
Ognuno affronta il dolore a modo suo, si disse Morgana, le si
stringeva il cuore, ogni qualvolta accanto alle immagini appariva il
nome di vite spezzate, crudelmente spersonalizzate, un unico
singolo cognome per ciascuno: Holy.
Era come se… come se con un atto di indifferente crudeltà,
quando venivano accolti nell’orfanotrofio, vi era la premeditata
intenzione di renderli anonimi, spezzare il legame con la loro
famiglia precedente.
Freddi codici a barre li inventariavano, come se non fossero altro
che oggetti e non esseri fragili, bisognosi di conforto, affetto,
sostegno.
Lei aveva sempre desiderato un figlio, ed era stato un bene che il
buon Dio non avesse esaudito il suo sogno.
Che vita grama avrebbe condotto suo figlio nelle mani di Freddi?
Rabbrividì, non ci voleva nemmeno pensare.
Ma adesso che osservava i piccoli: maschietti, femminucce,
neonati, bambini, e adolescenti, ebbene lei avrebbe voluto adottarli
tutti. Donare loro l’amore che necessitavano, caldi abbracci, sorrisi.
Dividere la sua esistenza con un figlio, non importava se fosse
stato generato da lei o preso in adozione, ne avrebbe fatto la sua
ragione di vita.
Strinse le dita sulla spalla muscolosa di Judah. «Spero tanto
siano stati tutti accolti in una famiglia e che trattati con amore e
dedizione».
Judah allungò la mano, raccogliendo la sua. «A me è andata
bene».
Lei, temendo di non aver inteso ciò che le aveva pocanzi
confessato gli mormorò. «Sei stato, tu? Donald non è il tuo…».
Le circondò il polso e la trascinò sulle sue gambe muscolose, gli
cadde in grembo, e se la strinse al petto, carezzandole la schiena
le poggiò delicatamente il mento sul capo, «Sono stato adottato, e
credimi dal quel giorno sono resuscitato».
Morgana sollevò il bel volto rattristato. «E i tuoi veri genitori?».
Gli occhi scuri di Judah si fecero duri. «Donny e Anna sono i miei
genitori! Chi mi ha messo al mondo erano due persone che non
avrebbero mai dovuto incontrarsi, ho vissuto con mia madre per
dieci anni, e lei era troppo occupata a piangere e difendersi dalle
percosse di mio padre.» Lasciò andare un lungo respiro carico di
rabbia. «Se n’è andata una mattina di giugno, e non è mai più
tornata, senza salutarmi, si è chiusa la porta di casa dietro di sé,
dimenticandosi di me».
Morgana gli circondò la vita con le braccia, stringendolo forte,
nascondendo il volto contro il petto protettivo di lui, anche se
avrebbe voluto proteggerlo da tutto il dolore che aveva passato.
Judah reclinò il capo e sorrise amaramente. «Mio padre era un
grandissimo bastardo, uno scansafatiche, un delinquente della
peggior specie, capo di una banda da strada, dedito alle droghe
pesanti, al furto, aggressioni a mano armata, e aveva tracciato una
brillante carriera per il sottoscritto, appena mia madre ci lasciò fui
introdotto nel covo malfamato, membro di una gang di reietti. Fui
sottoposto al rito di iniziazione, violentato da colui che doveva
proteggermi davanti a tutti loro. All’inizio mi rifiutai di partecipare
alle loro azioni criminali, mi ha ammazzato di botte, e non sono
stato abbastanza forte per oppormi, fuggire da tutto quello schifo.
A quattordici anni mi facevo di crack e altra merda, per uccidere la
sofferenza, ho commesso decine e decine di reati, quando lui morì
io ero una belva feroce, e fui acclamato per discendenza nuovo
capo di una manica di figli di puttana».
Morgana non parlò, ma gli carezzò dolcemente il volto.
Judah le afferrò la mano portandosela alla bocca, e le baciò il
dorso, premendo le labbra sulla pelle di lei. «Stai tremando, non
devi dispiacerti per me, ho sbagliato e ho pagato i miei errori,
prima il riformatorio e poi la galera».
Le sorrise debolmente, Dio lui che era la personificazione della
solida sicurezza, adesso le appariva così indifeso. «Eri soltanto un
bambino spaventato, e poi violato, distrutto, chiunque sarebbe
impazzito…» Gli raccolse il volto nelle mani. «Judah, il tuo passato
ha fatto di te un uomo forte, determinato, un uomo meraviglioso,
pronto ad aiutare il prossimo, non hai paura di niente e di nessuno,
e credi nella giustizia».
Le strinse delicatamente un ginocchio. «In verità tutto ciò che
sono lo devo a Donny, fu lui a pizzicarmi in una villa mentre la
saccheggiavo, e a mandarmi in gatta buia, ma non ha mai
mancato un solo giorno nel venirmi a fare visita, prima in
riformatorio e poi in penitenziario, ha creduto in me e io, dopo
ostinate reticenze, mi sono fidato di lui, gli devo tutto, e sono fiero,
onorato, ogni giorno di poterlo chiamare papà».
Morgana gli passò l’indice sulla guancia. «Ti ama tantissimo, era
terrorizzato di poterti perdere».
«Già …» rispose.
La sistemò spostandola su un ginocchio e si chinò verso lo
schermo. «Torniamo al lavoro, anche se avrei voglia di scoparti, il
dovere mi chiama».
Sollevando gli occhi al cielo lei sbuffò. «Perché devi rovinare
questi momenti di profonda connessione come tuo solito!».
L’attenzione di lui fu attratta dal visetto apparso sul monitor. «Non
ci posso fare niente, me lo fai diventare duro semplicemente con
uno sguardo» ribatté distrattamente, c’era qualcosa negli occhi
celesti, grandi ed estremamente intelligenti che lo avevano
costretto a soffermarsi sulla piccola che non sorrideva, ma piegava
impercettibilmente le labbra all’insù. Era minuta, una massa di
capelli scuri le piovevano sulle spalle esili.
Più passava il tempo nell’osservarla, più la strana sensazione di
inquietudine si accentuava. La bambina non poteva avere che
dieci, undici anni al massimo, eppure gli pareva di vederle in volto
un’espressione matura, nello sguardo non vi era innocenza, ma il
fotogramma aveva catturato un lampo di lucida, sprezzante
perfidia.
Cazzo, la piccina metteva i brividi, enigmatica, sinistramente
ostile.
Morgana lesse ad alta voce. «Angelika, un bellissimo nome
originale, è davvero una bambina graziosa».
«In realtà a me incute un senso di inquietudine» ammise Judah.
Poggiandogli il capo sul petto e reclinando il collo, guardandolo
dal basso Morgana gli chiese perplessa: «E perché mai? È
soltanto una bambina, una bambina che chissà cosa avrà
sofferto».
Depositandole un lieve bacio in fronte la riprese: «Tu devi proprio
trovarci del buono in tutto vero?».
«Questa bambina non è cattiva! È soltanto un esserino indifeso
arrabbiato contro la sua misera sorte!» si impuntò lei.
Judah la catturò con le sue iridi scure. «Sai Morgana, due anni
fa, fui chiamato a indagare e tracciare il profilo di un serial killer
che rapiva e trucidava barbaramente bambini in una scuola
nell’Ontario, dopo il terzo e ultimo assassinio i genitori si rifiutarono
di mandare a scuola i loro figli, sospettando dagli insegnanti, sino
agli inservienti. Si sbagliavano, persino gli investigatori e il giudice
minorile si rifiutarono di accettare la raccapricciante verità.
L’omicida era un bambino!».
«Dimmi che non è vero» mormorò lei, scioccata.
«È vero, Morgana. L’animo umano è un tortuoso groviglio, la
psiche è debole, e spesso sono i fantasmi della pazzia che
guidano le nostre azioni».
Morgana ebbe una terribile illuminazione. «A proposito di
fantasmi, non ti ho ancora raccontato dello spaventoso incontro
che ho avuto qualche giorno fa».
CAPITOLO VENTISETTE
Morgana, seduta dietro a un dimesso tavolino in semplice ferro
battuto bianco, nel retrobottega della pasticceria, sorbiva la tazza
di tè aromatizzato alla cannella che Yuriko le aveva offerto.
«Grazie di essere passata, temevo non avresti più voluto
rivedermi dopo quanto successo l’altra notte».
Morgana sorrise all’amica. «Non ti nascondo che devo
metabolizzare l’accaduto, comunque preferirei non parlarne,
piuttosto dimmi come stai».
Yuriko allungò una mano che le tremava e afferrò il pacchetto di
Marlboro poggiato al centro del pianale, accese una sigaretta e lo
spinse verso di lei.
Morgana lo osservò, era tentata, ma ancora non aveva superato
le sue remore, scosse il capo e diede un sorso al liquido
aromatico.
L’altra lasciò andare una lunga boccata di fumo azzurrognolo.
«Credo di aver sbagliato tutto da quando mi sono trasferita in
questa città, vorrei dare la colpa dei miei insani comportamenti alla
mia solitudine, ma la realtà dei fatti è palese, sono attratta dalla
depravazione, sono sbagliata Morgana».
Allungando una mano coprendo quella di lei le mormorò. «Non
sei sbagliata, Yuri, spesso la sofferenza ci spinge ad agire
sconsideratamente, la mente si annebbia, diviene fragile, la sottile
linea di demarcazione tra ragione e proibito si assottiglia sino a
spezzarsi. E comunque tutti abbiamo fatto qualcosa di
sconsiderato, per poi pentircene per il resto della vita, ora devi
pensare a ricucire il tuo presente».
Yuriko sorrise debolmente. «Sei molto diplomatica nel dirmi che
ho fatto una grande stronzata e che adesso ne devo pagare
giustamente le conseguenze».
Poggiando la tazza sul tavolino Morgana aggrottò la fronte. «Eri
innamorata di padre Matteus?».
Spegnendo il mozzicone nel posacenere in ceramica dalla fattura
orientale, Yuriko la guardò dritta negli occhi. «Io ne ero
morbosamente attratta, l’amore non c’entrava nulla nel nostro
rapporto malato».
Si alzò e raccolse le due tazze vuote e le ripose nel grande
lavandino in acciaio accanto a uno dei due alti forni. «A proposito
d’amore, il tuo uomo come sta? Mi sento terribilmente in colpa nei
suoi confronti».
Morgana ebbe una fitta allo stomaco, sentendo che le parole il
suo uomo, amore, la mettevano in subbuglio.
Quello che c’era tra lei e Judah come poteva chiamarsi?
Una relazione sentimentale, ora che lui le aveva confessato di
essersi innamorato di lei?
E se avessero scambiato un’insana passione per un sentimento
più profondo, quale era per l’appunto l’amore?
In fondo poteva essere biasimata al pari di Yuriko, la differenza di
età tra lei e Judah era ragguardevole. Un trentenne e una
ultraquarantenne. Lui bellissimo, dal fisico perfetto, rasentava la
perfezione, lei con il volto segnato dalle prime rughe, il corpo che
portava, seppur decorosamente, i segni del tempo. La cellulite sui
fianchi e le cosce non le concedeva tregua, nonostante fosse ai
primi stadi, ma si vedeva eccome!
Perché diavolo Judah provava attrazione nei suoi confronti!?
E se fosse stata un’infatuazione del momento? A volte gli uomini
giovani provavano un particolare interesse per le donne mature.
Forse lui si era stancato di frequentare bellissime, giovani donne e
aveva ripiegato su di lei?
Santo cielo che confusione!
«Morgana, lui ti ama».
Le parole di Yuriko la colpirono in pieno petto.
«Come puoi affermarlo?» sussurrò incerta.
Yuriko si poggiò al lavandino con le braccia conserte. «Quella
notte, lui non ha smesso di guardarti nemmeno per un secondo, i
suoi occhi ti richiamavano, ti supplicavano, chiedevano perdono,
se non è questo amore io non saprei dargli altro nome».
Morgana distolse lo sguardo, schiarendosi la voce, commossa.
«Sta bene, lui ha una fibra molto forte, credo sia un uomo
instancabile, indistruttibile».
L’amica si apprestò e le diede un buffetto sulla spalla. «Ed è un
gran figo, tienitelo stretto, uomini così sono rari, e non parlo del
suo aspetto esteriore, Judah e un brav’uomo, credo preferirebbe
farsi spezzare tutte le ossa piuttosto che vederti soffrire».
«Guarda che è anche un grandissimo stronzo.» Ridacchiò
Morgana felice che la conversazione da greve e triste fosse
deviata in qualcosa di leggero, avevano bisogno entrambe di
esorcizzare le loro sofferenze.
«E a te piace anche per questo.» Le strizzò l’occhio l’amica.
Morgana liberò una fragorosa risata. «Dammi una dozzina di
ciambelle, credo che mi abbia mandato qui perché aveva intuito
che avevo bisogno di vederti, ma esitavo».
Invitandola a seguirla Yuriko rise anch’essa, «Te l’ho detto che
quell’uomo è un portento».
Le riempì la confezione in cartone scegliendo con cura le
ciambelle e gliela porse. «Offre la casa».
Le labbra di Morgana si piegarono in uno dei suoi sorrisi dolci,
stupendi che ti scaldavano l’anima. «Grazie, mi ha fatto bene
vederti».
Yuri la strinse in un abbraccio. «Grazie, anche a me, salutami il
tuo ragazzo, e digli che ho ricevuto il mandato di comparizione
come testimone, credo di non essere stata incriminata come le
altre appartenenti alla setta per la sua intercessione presso il
giudice delle indagini preliminari».
Morgana le carezzò la schiena prima di slegarsi dal suo
abbraccio. «Glielo riferirò, ti chiamo domani mattina e per qualsiasi
cosa, non esitare a interpellarmi».
Gli occhi di Yuriko si fecero lucidi di commossa gratitudine; «Vai
adesso, altrimenti ti chiamerà ringhiando come suo solito».
Salutandola con la mano le voltò le spalle e spalancò la porta a
vetri, raggiunto il marciapiedi antistante, inspirò l’aria frizzante del
mattino, e sollevò il volto offrendolo alle calde carezze del sole
brillante nel cielo azzurro terso, sarebbe stata davvero una
bellissima giornata, ed era felice perché adesso era certa che
Judah l’amava, nonostante tutti i suoi difetti, lui le aveva detto che
si era innamorato di lei.
Di buon umore si diresse su per la via in salita che conduceva
all’ufficio, non vedeva l’ora di raggiungerlo, e sarebbe stata
audace, in poche parole gli sarebbe saltata letteralmente addosso.
Non era forse lui che le aveva più volte ripetuto che voleva
scoparla, mentre lei fingeva di non sentirlo, battendo sui tasti per
catalogare gli appunti che con la sua voce roca e sexy le dettava?
E allora perché non accontentare le sue brame erotiche?
Si osservò i sandali con il tacco, aveva fatto bene a calzarli,
indossando i jeans stretti e la canotta rossa, che sarebbero finiti
presto sul pavimento. Fantasticava di togliersi lentamente gli
indumenti avanzando con passo sensuale verso di lui, e poi…
Il trillo del telefono la scalzò dalle sue fantasie. Possibile che non
possedesse un minimo di pazienza e andasse in fibrillazione se
ritardava a rientrare?
Frugò nell’ampia shopper in pelle nera e brandì lo smartphone
pronta a cantargliene quattro sulla sua apprensione, dovevano fare
un bel discorsetto!
Perplessa in un primo frangente non riconobbe il recapito, poi
osservando la ripetizione delle cifre si rese conto di chi la stava
chiamando, padre Raffael, cosa mai voleva da lei?
Gli rispose mentre attraversava sulle strisce pedonali,
affrettandosi, temendo di essere investita, quel giorno il traffico era
fastidiosamente caotico più del solito.
«Pronto?».
«Miss Green, grazie al cielo mi ha risposto, è sola?».
Ma che strana domanda era quella?
«Sì, sto rientrando in ufficio, perché me lo chiede?».
«Meglio così, senta devo parlarle, è di vitale importanza, la prego
non le ruberò che pochi minuti, dove si trova esattamente
adesso?».
«Padre cos’è tutta questa urgenza, devo tornare al lavoro non
possiamo incontrarci dopo le cinque del pomeriggio?».
«La prego, Morgana, potrei non avere a disposizione tutto il
tempo che mi chiede di aspettare!» Abbassò il tono di voce, con
fare allarmato. «Sono in pericolo di vita, e anche lei e il dottor
Marshall, ma non posso dire altro al telefono, credo che il mio sia
sotto controllo, potrebbero intercettare la nostra comunicazione!».
Morgana raggiunto il marciapiedi sul lato opposto si fermò sotto a
uno dei tanti alberi posizionati ai bordi della carreggiata. «Chi
potrebbe ascoltarci padre?».
«La scongiuro, non ponga ulteriori domande e mi dica dove si
trova adesso, potrei raggiungerla».
Morgana, nonostante fosse in allarme, volle dare credito al
giovane prelato, le sembrava terrorizzato. «D’accordo, sono
all’imbocco di Becon Hill».
«Perfetto, c’è una chiesa da quelle parti, è una piccola cappella a
un solo isolato da lei, è molto antica, dopo il battistero troverà una
rampa di scale in discesa che porta alle cripte, io l’attenderò lì».
In una cripta?
Il campanello d’allarme che le gridava in testa si fece
maggiormente insidioso. «Padre non potremmo incontrarci sul
sagrato? O sotto la navata?»
«No Morgana, lì sotto nessuno potrà sentirci e nessuno deve
sapere che ci siamo incontrati, faccia presto!».
Morgana diede una frettolosa scorta all’orologio da polso. «Va
bene, le concedo mezz’ora».
«Grazie, grazie, e che Dio la abbia in gloria».
Lei prese a correre, lungo il marciapiedi schivando i passanti, la
scatola di ciambelle sballottata nella borsa portata a tracolla.
Cosa doveva dirle padre Raffael, perché temeva per la sua
incolumità? Che lui sapesse l’identità dell’assassino?
Oddio, e se invece era proprio lui il killer?
No, no impossibile!
Raggiunto il luogo convenuto, prima di varcare il portone della
vetusta chiesa, fu tentata di inviare un messaggio a Judah
fornendogli la sua posizione, poi desistette, aveva promesso a
padre Raffael di non far parola con nessuno del loro incontro, così
lanciò il cellulare in borsetta, controllò le lancette del cronografo al
polso era passata più di mezz’ora, padre Raffael doveva essere
già arrivato, prese un bel respiro e spingendo i palmi contro il
legno scuro, socchiuse i battenti del portone.
La chiesa era deserta. Immediatamente un senso di angoscia la
mise in allerta, ma decise di non ascoltare i sui timori. I passi
rimbombavano sul pavimento in marmo bianco che si
contrapponeva agli affreschi alle pareti dai toni scuri.
Era in cerca di risposte e presto le avrebbe avute.
Spaziando con gli occhi, girando su se stessa, le parve che i
personaggi biblici dei dipinti prendessero vita, allungavano le
braccia verso di lei, indicando un punto ben preciso, Morgana
volse lo sguardo nell’ipotetica direzione, eccolo il battistero in
basalto nero, e sul lato sinistro una ringhiera in ferro battuto con un
cancelletto che delimitava la discesa di scale nel sottosuolo.
Morgana lo scostò, senza opporre resistenza l’inferriata
accompagnata da un sinistro cigolio le permise di accedere agli
scalini. C’era molto buio mentre scendeva a tentoni intanto che gli
occhi si abituavano alla penombra, lei procedeva lentamente,
poggiando la mano destra alla parete che dalle asperità sotto al
palmo indovinava fosse intagliata nella nuda roccia, che un tempo
quella fosse stata un’antica grotta? Una catacomba? Alla fine
dell’impervia scalinata una luce soffusa l’accolse, vi erano antiche
tombe intagliate nel marmo, sarcofaghi con statue di mirabile
fattura decorate sui coperchi pesanti.
Avanzò di un passo, c’era uno strano odore, metallico,
pungente…
«Padre Raffael?» con voce incrinata dalla crescente inquietudine
lo richiamò, ma non ebbe risposta.
Forse lui era in ritardo…
Meglio aspettarlo di sopra…
Voltò le spalle e…
Una risata raccapricciante le fece accapponare la pelle, si girò di
scatto. «Chi c’è!?» strillò.
«Morgana…». Un sussurro malefico che pareva provenire
dall’inferno.
«Chi sei? Padre Raffael è lei? La prego mi risponda!».
Doveva andarsene, fuggire al più presto, ma una figura oscura si
stagliò in fondo alla grande stanza.
Statica, sbiadita, contornata da un alone malefico, era come se
assorbisse la poca luce proveniente dai faretti alogeni incastonati
sulla volta del soffitto.
«Morgana…» il suo nome pronunciato simile a un lugubre
richiamo.
L’ombra indietreggiava!
«Fermati, chi sei? Cosa vuoi da me?!»
Con movimenti a scatti, veloci e innaturali, la figura le voltò le
spalle, e prese a fuggire imboccando un angusto corridoio.
Morgana seppur terrorizzata fu spinta a inseguirla. «Aspetta,
fermati!».
La luce proveniente da un altro vano la investì, lei si coprì gli
occhi con un gomito, dove era?
Sollevò gli occhi che si abituavano al riverbero. Un’altra cripta,
ma questa volta illuminata da un grande faro che puntava
direttamente su di un enorme sepolcro in marmo nero…
Il grido acuto si diffuse, ripetuto da mille echi.
Era lei che stava urlando!
Oh mio Dio che orrore!
«Padre Raffael! No, no!».
Corse, corse a perdifiato, lui… lui giaceva supino sul coperchio
del sarcofago, gli occhi rivoltati mostravano la sclera bianca, la
bocca spalancata in un ultimo disperato terrorizzato grido! La gola
orribilmente squarciata!
Morgana lo afferrò per le spalle sollevandolo e scuotendolo,
«Padre, padre Raffael!» Il capo dell’uomo reclinò indietro in
maniera innaturale!
Oddio, oddio era morto!
Si tamponò la bocca, rendendosi conto dal sapore metallico sulla
punta della lingua che la sua mano era lordata di sangue, ecco
cos’era l’odore ripugnante!
Mio Dio, mio Dio! Con gesti frenetici frugò nella borsetta, doveva
chiamare Judah e doveva fuggire da lì, subito!
Si voltò verso il corridoio!
Un dolore lancinante la tramortì, la testa le cadde in avanti,
pesante. Qualcuno l’aveva colpita. Gli occhi si annebbiarono.
«Aiutami, Judah …».
Le forze la stavano abbandonando. «Non voglio morire,
Judah…».
Allungò la mano, artigliando la stoffa di una giacca nera, tentò di
tenere gli occhi aperti, ma si appannavano sempre di più, un
istante prima di perdere conoscenza riconobbe un volto con un
ghigno perverso che le sorrise.
«Padre…» gemette e poi fu risucchiata dall’oscurità.
Judah per l’ennesima volta osservò il cronografo al polso. Quella
donna aveva il potere di mandarlo su tutte le furie! Certo poteva
capire che si fosse attardata nello scambiare quattro chiacchiere
con Yuriko, ma erano passate più di tre cazzo di ore!
Che diavolo dovevano raccontarsi tutta la storia della loro vita
partendo dell’infanzia? E le sue ciambelle dove caspita erano
andate a finire!? E il suo caffè?
Per un giorno, almeno per un misero, fottuto giorno lui aveva il
sacrosanto diritto di mandarlo giù perlomeno tiepido! E non la
solita brodaglia ghiacciata che lei gli portava!
Non volendo apparire pedante, inopportuno, e quindi evitando di
disturbarla mentre ciarlava con la sua amica si era trattenuto
dall’irrefrenabile voglia di brandire il dannato smartphone e
chiamarla per poi domandarle molto educatamente sia chiaro:
dove porco diavolo lei fosse, e se avesse intenzione di tornare in
ufficio prima del giorno della festa del Ringraziamento! Per la verità
iniziava a preoccuparsi seriamente. Che le fosse accaduto un
imprevisto? La sua fatina svampita aveva la capacità di cacciarsi
nei guai con una tale ingenua maestria.
Un ampio scenario di catastrofi gli balenò in testa: poteva essere
stata investita mentre attraversava le strisce pedonali senza
accertarsi che non fosse sopraggiunto un veicolo! Oppure qualche
malintenzionato l’aveva molestata. In quel caso, gli avrebbe dato la
caccia rischiando di ritornare in gattabuia per omicidio
preterintenzionale! E fanculo le attenuanti generiche!
Allungò la mano, era stufo marcio di aspettare, la sua pazienza
era giunta al limite, superando abbondantemente la soglia
dell’angoscia!
Era sul punto di pigiare con rabbia e inquietudine l’avvio di
chiamata quando il suono ovattato di ticchettio di tacchi, che
proveniva dal corridoio, gli fece lasciare andare un sospiro di
sollievo ed elevare di una tacca la sua incazzatura, ora avrebbero
fatto i conti!
Si sollevò in tutta la sua ragguardevole altezza e in due lunghe
falcate poderose raggiunse l’uscio che spalancò pronto a darle
battaglia. Prima le avrebbe fatto una ramanzina con i fiocchi e poi
l’avrebbe stretta a sé, sincerandosi che stesse bene.
Afferrò il pomolo in ottone lustro e spalancò la porta stringendo la
mascella.
«Cosa diavolo ti è saltato in mente di condurre le indagini senza
coinvolgermi, fallo un’altra volta e sei fuori dottor Marshall!».
Oh merda! Ci mancava lei.
Glenn Palmer entrò nell’ufficio come una furia, gli occhi chiari
dardeggianti di rabbia.
Judah si scostò permettendole di raggiungere la scrivania, dove
si appoggiò con le chiappe incrociando le braccia sul petto, lo
fulminò con un’occhiata stizzosa. «Rispondi! Hai rischiato di
mandare a monte due mesi di indagini!».
Lui l’aggirò e si accomodò pigramente sulla sua poltrona,
poggiando gli anfibi sul pianale. «Buongiorno anche a te, ispettore
capo» disse ironico.
Glenn piantò i palmi sulla scrivania e si sporse in avanti.
«Buongiorno un cazzo! La procura di Boston non ti paga per
agire per tuo conto! Tu devi concordare le tue idee con la polizia,
nello specifico con me!».
Judah sollevò un sopracciglio, per nulla turbato dalla collera di
lei.
«Per la verità le indagini erano impantanate e grazie alla mia
idea, come la chiami tu, abbiamo scoperto un collegamento tra la
setta e gli omicidi, abbiamo dodici affiliate da mettere sotto torchio,
questo è il tuo lavoro ispettore, ora mi chiedo perché tu stia qui a
perdere tempo piuttosto che avviare gli interrogatori».
Lei si accomodò sulla poltroncina di fronte, la seta dell’abito
rosso porpora, che le fasciava le curve perfette, si sollevò sino alle
cosce con un sensuale fruscio.
Non fece nulla per sistemarlo, sperando di attirare la sua
attenzione, accavallando le lunghe gambe, e facendo dondolare
sensualmente una caviglia sottile.
Judah nemmeno se ne accorse che praticamente gli stava
mostrando tutto quel ben di Dio.
Dove cazzo si era cacciata Morgana!
Era il suo unico pensiero!
Indispettita Glenn si guardò attorno. «Dov’è quella tonta della tua
assistente?».
Judah digrignò i denti. «Me lo sto chiedendo anche io! E non ti
azzardare a chiamarla in quel modo! È anche grazie a lei che le
indagini stanno avendo una svolta positiva!».
Glenn sollevò gli occhi al cielo «Hai perduto la tua sempliciotta?
Potrebbe benissimo essere caduta in un tombino per quanto ne
sappiamo, sai, è di una idiozia ridicola!».
Judah la perforò con uno sguardo truce, ma l’ispettore capo
rincarò la dose. «Oppure sta perdendo tempo in qualche store in
cerca di una panciera, alla sua età la pancia diviene flaccida, e mi
pare che sia anche in sovrappeso».
Judah si alzò flettendo i muscoli dell’addome quel tanto che
bastava per raggiungere il pacchetto di sigarette nella tasca
posteriore dei jeans, merda lo aveva spiaccicato! Estrasse una
sigaretta malconcia e l’accese con il pesante zippo in acciaio
cromato, lasciando andare una folata di fumo bianco.
«Tu da bambina dovevi essere una di quelle bullette che davano
il tormento alle amichette sfigate, vero?».
Così dicendo diede una occhiata allo smartphone, perché
dannazione Morgana non lo avvisava del suo ritardo!
E perché lui stava perdendo tempo con questa stronza
arrogante!
Doveva liquidarla al più presto e rintracciare la sua fatina!
E siccome era un uomo semplice che non girava troppo attorno
alle cose, andò a spalancarle la porta, mentre lei osservava i
movimenti di lui restando con il culo ben piantato sulla seduta!
«Ispettore, mi rammarica, ma devo chiederti gentilmente di
toglierti dalle palle, ho una montagna di lavoro da sbrigare».
Glenn parve possedere un briciolo di coscienza. «Da quanto
tempo non si fa sentire?».
Oh, ma allora lei aveva un minimo di empatia, si disse lui «Tre
ore, per la precisione, tre ore e ventotto minuti! Ora se non ti
dispiace…».
E le indico con il mento il corridoio.
Glenn si alzò, tuttavia non mosse un solo passo. «Hai provato a
chiamarla?».
Judah strinse i denti e sibilò. «Lo avrei già fatto se tu non avessi
fatto irruzione nel mio ufficio, starnazzando!».
«Ti hanno mai detto che sei un grandissimo cafone!?».
«Tutti i giorni, ora vuoi levare le tende per cortesia?».
Glenn incrociò le braccia sul petto. «Chiamala e falla finita sei
patetico!».
Per la malora!
«D’accordo, poi smammi, okay?».
Glenn, con un sorrisetto di compatimento piegato sulle belle
labbra, annuì.
Judah tornò sui suoi passi, e afferrò lo smartphone che vegetava
muto, sulla sua mastodontica scrivania. Avviò la chiamata, uno,
due, al terzo squillò sudò freddo, al quarto snocciolò una sfilza di
imprecazioni colorite, al quinto dovette poggiare il culo contro la
parete di fianco lui, forse le gambe non lo reggevano bene, al
sesto il cuore prese a martellargli nel petto con un ritmo
angosciato, al settimo aveva già afferrato il giubbotto, e le chiavi
del suo bolide, quando cadde la comunicazione si trattenne dal
lanciare contro il muro il telefonino.
Dove cazzo sei Morgana! Non farmi sbroccare perché io
guarda…
La sua non era semplice preoccupazione, nooo, lui era incazzato
e allo stesso tempo terrorizzato!
Glenn lo tallonò mentre lui svelto raggiunse il corridoio. «Judah,
mantieni la calma, cosa pensi le sia capitato? Non essere ridicolo,
è pur vero che è un’idiota matricolata, ma è anche una donna
adulta, si sarà attardata in qualche boutique per taglie forti!».
Lui filò giù per le scale facendo gli scalini due a due. «Chiudi la
tua bocca meschina, e dirama un suo identikit alle volanti che
pattugliano questa merda di città!».
Glenn, incespicando nei tacchi delle vertiginose Chanel in
vernice nera, si aggrappò al corrimano a metà della ridiscesa,
cercando di stargli dietro. «Judah, devono passare quarantotto ore
prima di …».
«Fallo e basta, non me ne frega un accidente del protocollo!» Si
ritrovò sul marciapiedi, si guardò attorno sperando di intravedere
all’orizzonte la figura della sua fatina che si apprestava, niente!
Glenn, con il fiato corto per la rocambolesca discesa dalle scale,
lo afferrò per un polso costringendolo a voltarsi. «Judah, prima vai
a cercarla facendo a ritroso il percorso che lei fa di solito, sai dove
è andata giusto?».
Annuì.
Gli sorrise stentatamente. «Okay, chiamami appena la ritroverai,
se così non dovesse essere, ti prometto che setacceremo ogni
angolo di Boston».
Lui con una lieve torsione del polso si liberò dalle grinfie di lei.
«Fanculo Glenn, va bene, ma se non la rintraccerò entro
l’imbrunire chiamerò il procuratore capo, e credimi che dovrai
essere tu stessa a ispezionare ogni buco di questa cavolo di città!
Chiaro?».
Glenn capitolò: «Chiaro…».
Non perse tempo in convenevoli, nemmeno la salutò, saltò sulla
sua auto sportiva e mise in moto, sgommando si immise nel
traffico.
Glenn osservò l’auto che scompariva dietro una curva. «Buona
fortuna, dottor Marshall».
Poi frugò nella sua borsa e chiamò l’unità operativa. «Sono
l’ispettore Palmer, diramate la descrizione di questa donna a tutte
le pattuglie presenti sul territorio di Boston…».
Dopo che ebbe dettagliato la descrizione di Morgana, si portò lo
smartphone di nuovo all’orecchio, doveva fare un’altra
importantissima telefonata.
CAPITOLO VENTOTTO
Judah arrestò l’auto in una piazzola poca distante al palazzo.
Sollevò lo sguardo, l’aveva cercata nel suo appartamento, bussato
alla porta disperatamente, l’aveva sfondata con una spallata,
cercata in ogni stanza, lei non c’era.
Picchiò un pugno sul volante, aveva percorso il tragitto dall’ufficio
alla pasticceria, non l’aveva scorta, le sue speranze che non le
fosse capitato qualcosa di terribile si erano spente quando
interrogando Yuriko, gli aveva confermato che era uscita dalla
pasticceria riferendole che sarebbe rientrata in ufficio.
L’aveva chiamata al telefono innumerevoli volte, ma lo
smartphone squillava a vuoto, nessuna risposta, aveva controllato
lo screen ogni dieci secondi, nessun messaggio, e il sole stava
tramontando!
Si lasciò andare contro lo schienale, piegando la testa all’indietro.
«Dove sei Morgana, io… io sono… se ti dovesse succedere
qualcosa, io…».
L’angoscia lo distruggeva, si incolpava, non avrebbe mai dovuto
coinvolgerla in quella maledetta indagine!
Morgana era una donna arguta e il killer lo stava sfidando, era
convinto che chiunque fosse, sapeva che tenesse molto a lei.
Il cerchio si restringeva, se l’omicida era a conoscenza di loro
due doveva essere qualcuno che li conosceva, o che loro avevano
incontrato: l’assassino aveva intuito l’ovvio, se voleva colpirlo
doveva accanirsi sulla donna per la quale provava dei sentimenti.
Sorrise amaramente, la bestia aveva inteso prima di lui, il
trasporto che lo legava a lei.
Morgana…
«Io ti amo e non sono riuscito nemmeno a dirtelo, te l’avevo
promesso, devo trovarti, voglio guardarti nei tuoi stupendi, limpidi
occhi e confessarti che non potrei mai più vivere senza di te».
Il respiro si arrestò nel petto. «Chiunque ti abbia rapita deve
rimettere l’anima al suo Dio, perché se soltanto ti sfiorerà con un
dito io lo farò a pezzi!».
Le immagini agghiaccianti di lei rinchiusa in un luogo oscuro, il
volto bellissimo, il corpo candido che lui venerava, coperto di lividi.
Maledizione!
Dove sei!?
Ma vi era un’altra figura che si insinuava nella sua mente: il viso
inquietante della bambina.
Il suo intuito gli diceva che padre Raffael aveva suggerito la
supervisione del registro degli orfani poiché sapeva che era lì, tra
quei volti, che si nascondeva il serial killer.
Holy Cross, gli orfani, la ragazzina dagli occhi di ghiaccio…
C’era qualcosa di importante, cruciale che gli sfuggiva, ma cosa?
Cosa!?
«Pensa bastardo, pensa, e in fretta, Morgana non ha tutto questo
tempo!» Si maledisse.
Pigiò il tasto di accensione della potente automobile, il motore
ruggì, era tempo di fare una visita all’arcivescovo.
Un’ora dopo, Judah, si trovava in udienza con l’alto prelato, per
la verità lo stava mettendo sottotorchio.
Padre Isaia si asciugò la fronte imperlata di sudore, passandovi
un fazzoletto immacolato. «Dottor Marshall, le ho già detto che
sono disposto a collaborare, ma non posso rivelarle informazioni
reperite durante una santa confessione».
Judah, seduto di fronte a lui si chinò in avanti, poggiando i gomiti
sulle ginocchia. «E io le ripeto la domanda, chi è la ragazzina di
questa foto! Mi ha già confermato che è lei l’assassina!».
Padre Isaia passò l’indice sulla fotografia tracciando con
tenerezza i contorni del visetto. «Adesso è una bellissima donna,
se solo fossi stato in grado di evitare ciò che le è accaduto in
passato io…».
Judah allo stremo si alzò sovrastandolo con la sua minacciosa
imponenza. «Deve dirmi tutto, sono morti cinque preti affiliati alla
sua diocesi, lei sapeva e non è intervenuto, anche le sue mani
sono sporche del loro sangue!».
Isaia spalancò gli occhi che si colmarono di dolore. «Mi… mi
dispiace, ma io… non potevo, non posso, la confessione è un
vincolo sacro, e poi io non l’ho più rivista dopo che mi confessò del
primo omicidio».
Rabbioso Judah ruggì: «Là fuori c’è la donna che amo, nelle
mani di una pazza!» Lo abbrancò per il bavero della toga e lo
scosse. «Lei deve dirmi chi è!».
Il vescovo balbettò con voce strozzata. «Se glielo dicessi, non
soltanto verrei meno al patto sacro del segreto della confessione,
ma su questa diocesi pioverebbe uno scandalo, la chiesa sta
attraversando momenti buio, io…».
Judah lo avvicinò fino a far sfiorare i loro volti. «È della setta,
vero? Teme che l’opinione pubblica venga a sapere dei preti di
Holly Cross che partecipavano volontariamente ai riti!? Non me ne
fotte un cazzo della perversione che serpeggia tra le schiere degli
eletti di Dio! Io devo trovare Morgana!».
Padre Isaia lesse negli occhi di Judah non soltanto la rabbia, ma
il terrore che stava provando nel sapere prigioniera la donna che
amava e lo capiva!
Intendeva benissimo cosa significasse temere per chi si ama più
di se stessi!
«La ragazzina…» ansimò.
«Cosa!?» Judah lo scrollò.
«È stata… ha subìto pesanti molestie sessuali da un prete che si
occupava dell’orfanotrofio!».
Judah lo lasciò andare. «Cosa ha detto!?».
«Non posso e non voglio entrare nei dettagli è troppo penoso,
disgustoso, doloroso!».
Judah picchiò i palmi sul pianale della pesante scrivania in
rovere. «E invece lei mi racconterà tutto, altrimenti la farò
incriminare per concorso in omicidio, e coinvolgimento in violenza
carnale a una minore!».
Il vescovo si lasciò cadere sulla poltrona tenendosi la testa con le
«Ho sbagliato mani, Dio mi è testimone che l’ho fatto per attenermi
ai sacri dettami e salvare questa chiesa che sta diventando giorno
dopo giorno sempre più corrotta!».
Judah lo puntò con uno sguardo duro. «Non me ne frega un
cazzo della sua chiesa, ora parli!».
Padre Isaia volse lo sguardo dietro di sé, osservando il quadro, la
caduta di Lucifero, ma il maligno aveva insinuato i suoi putridi
artigli sino nella santa casa del Signore.
«Non le rivelerò l’identità della ragazzina di allora, lei fu costretta
a… fu fatta inginocchiare di fronte al prete e lui la costrinse…».
Si fece il segno della croce. «Dio abbia pietà di lei, di lui, di me!».
«Fellatio» affermò Judah e la rabbia che gli serpeggiava in corpo
lo investì. «E lei non ha fatto niente!».
Padre Isaia riprese. «No, no, io la feci adottare due settimane
dopo, sperando che fosse stato il primo e unico, fu accolta da una
famiglia facoltosa, li conoscevo bene, desideravano una bambina,
ma tergiversavano sapendo che la differenza di età, loro erano, già
molto avanti con gli anni, avrebbe potuto influire negativamente
sull’accettazione dell’adozione, io intervenni con le autorità,
facendo da garante, li conoscevo il padre adottivo era un buon
uomo, attivo filantropo, marito devoto, cristiano di alti valori
morali».
Judah, si grattò la barba incolta che stava ricrescendo sul suo
volto corrucciato. «E questa è stata la prima confessione, lei ha
rivisto la ragazza dopo che è cresciuta, giusto?».
Padre Isaia annuì. «Tre mesi fa, dopo il primo omicidio, ho
provato a dissuaderla, Dio mi è testimone, ma lei era come
impazzita, diceva che doveva farmela pagare!» gridò disperato
coprendosi il volto.
Judah ebbe un orribile presentimento dopo quelle parole. «No,
non mi dica che è lei il prete che le ha usato violenza!».
Il vescovo spalancò gli occhi e la bocca. «No, non sono stato
io!».
Judah si sporse in avanti e lui si appiattì allo schienale. «E allora
perché le ha detto che doveva fargliela pagare!?».
L’altro si guardò attorno come se cercasse aiuto nel confessare.
«Perché, nella sua mente allucinata mi ha confessato il suo amore,
e… e io l’ho respinta, io sono un uomo di Dio!».
Judah non ci stava capendo niente!
«Mi spieghi, una bambina s’innamora di lei, viene violentata, lei
la fa adottare, torna le confessa il suo amore e comincia a uccidere
preti perché lei l’ha respinta? C’è qualcosa che stona!».
«Non si è innamorata di me da bambina, si è invaghita di me
dopo, appena compiuti diciotto anni venne a cercarmi per
esprimermi la sua gratitudine, da quel giorno mi chiese di essere la
sua guida spirituale, ci vedevamo spesso, e pregavamo assieme,
lei si attardava in udienza raccontandomi dei sui brillanti progressi
negli studi, è una donna molto intelligente, volitiva, se solo non si
fosse macchiata di questi orrendi crimini, avrebbe potuto vivere
una vita colma di soddisfazioni».
«Quindi la ragazza si è innamorata di lei, lei la respinge, e dopo
alcuni anni ritorna e inizia a commettere efferati omicidi, c’è ancora
qualcosa che non comprendo».
«Credevo avesse accettato il mio rifiuto, dal giorno che le dissi
che tra noi non ci poteva essere nulla se non un rapporto tra una
cristiana e il suo pastore, lei se ne andò».
«E poi tre mesi fa si è ripresentata, dicendole che doveva
fargliela pagare, ci sono voluti anni per meditare la sua vendetta»
disse Judah ironico.
«Quella donna è lucidamente pazza, io penso che come dice lei,
dottor Marshall, ha passato dodici anni della sua vita a
programmare un piano diabolico, altro non posso dirle».
«Chi è la donna, padre Isaia!?» lo incalzò rabbioso.
«Non posso, non posso.» Singhiozzò il vescovo.
Poi volse lo sguardo colmo di tristezza alla fotografia poggiata sul
piano della scrivania. «Guardi i suoi occhi, Judah, e troverà il suo
nome…» mormorò devastato dalla desolazione.
Judah gettò un’occhiata attenta all’immagine. «Anche lei padre si
era innamorato di quella donna.» affermò.
Non ebbe risposta, segno che ci aveva preso con la sua
intuizione, ecco spiegato l’ostinato riserbo, voleva proteggere la
donna che non poteva amare!
E neppure condannare…
Fissò attentamente il volto…
Una sequenza di informazioni gli invase la mente a una velocità
impressionante, gli occhi, la mimica facciale tipica che connotava
ogni diversa persona, il neo sul labbro superiore!
Oh cazzo! Cazzo!
Il telefono prese a squillare e lui ebbe un terribile tuffo al cuore,
rispose stringendo lo smartphone. «Morgana!».
Dall’altra parte una risata, la voce era maschile. «La tua
bellissima signora è qui con me, mi piace sai, i suoi capelli sono
così profumati, la sua pelle candida, le forme voluttuose inducono
al peccato» sibilò il bastardo.
«Dimmi dov’è, toccala e io verrò a cercarti sino all’inferno!» ruggì
Judah.
La risata si fece ancora più insidiosa. «Sei già all’inferno, dottor
Marshall, hai tempo ventiquattrore e prima la farò mia poi la
ucciderò».
La comunicazione fu interrotta e Judah indietreggiò barcollando,
si appoggiò alla parete. «Morgana …».
Il vescovo si alzò e gli andò incontro, gli poggiò una mano sulla
spalla stringendo le dita convulsamente.
«La trovi, ascolti il suo cuore se io avessi ascoltato il mio adesso
non saremmo arrivati a tanto, dottor Marshall, lei sa chi è
l’assassina!».
Judah gli afferrò il polso e lo scostò, lo guardò dritto negli occhi.
«Se succederà qualcosa a Morgana, io verrò a prenderti e ti
spedirò all’inferno poiché il tuo Dio ti ha già rinnegato!».
Così dicendo uscì sbattendo la porta.
Il vescovo cadde in ginocchio e si coprì il volto rigato di lacrime.
«Signore perdonami e salva la tua povera creatura, prendi me,
farei qualsiasi cosa, ho sbagliato non voglio che muoia un’altra
innocente!».
La testa pesante, il dolore le trafiggeva le tempie ogni qualvolta si
arrischiava a socchiudere le palpebre.
Un flebile lamento le sgorgò dalla gola riarsa, dove era?
Morgana si rese conto di non poter muovere le mani, le avevano
legato i polsi dietro la schiena!
Seduta scompostamente e poggiata alla fredda ruvida parete.
Riprovò a dischiudere le palpebre, ma sebbene la luce fosse
fioca, le ferì comunque gli occhi. Si sforzò di aguzzare la vista, da
velata, offuscata, si fece mano a mano nitida, così riuscì a
osservare l’ambiente circostante.
Vi erano sparpagliate alla rifusa, sul pavimento in cotto lercio,
diverse casse in legno malridotte. Oggetti in cattivo stato di ogni
genere accatastati agli angoli dell’ampio locale, nell’aria aleggiava
il lezzo rancido, proveniva dai muri incrostati e ricoperti di muffa
verdastra.
Non vi erano finestre e questo la fece temere che fosse tenuta
prigioniera nel sottosuolo, un vecchio putrido scantinato!
Nonostante il panico le accelerasse i battiti cardiaci, si costrinse
a regolare il respiro, doveva ragionare, tenere la mente sgombra e
individuare una possibile via di fuga.
Volse il collo e una stilettata di dolore al capo le fece digrignare i
denti, maledizione! sapeva di aver ricevuto un colpo molto violento,
forse le aveva provocato una commozione cerebrale, ma
l’importante era che lei riuscisse a riflettere.
Dov’era la porta d’ingresso?
Con fatica spaziò con gli occhi, eccola là, proprio di fronte a sé.
Con uno sforzo tremendo si appiattì alla parete e con un ringhio
rabbioso spinse sulle gambe malferme usandola come punto di
appoggio. Lentamente, riuscì a raggiungere, traballante, la
posizione eretta.
Dio mio! Le girava la testa e la nausea la aggredì.
Sforzandosi di inspirare e respirare, inglobando quanta più aria
possibile, tentò di contrastare il malessere che le torturava lo
stomaco, non doveva assolutamente vomitare!
L’istinto di sopravvivenza la spinse a muovere un passo nella
direzione della porta. Bene, nonostante le percepisse pesanti, le
gambe la reggevano.
«Devo uscire di qui» ansimò.
Vi erano pochi passi che la dividevano dalla salvezza, ma le
parve una distanza infinita!
Non voglio morire…
Ancora un passo…
Sto male, le forze mi abbandonano…
Un altro passo, strisciando le suole sul pavimento…
Judah, dove sei?
Le ginocchia le cedettero, ma con uno sforzo disumano,
sibilando tra i denti stretti, riuscì a restare in piedi.
Mancava poco, la porta era proprio di fronte a lei!
Con la fronte imperlata di sudore, si arrestò, dannazione come
poteva girare il pomolo in ferro arrugginito!
Ragiona, Morgana, pensa, pensa!
Forse se saltellava su se stessa, voltando le spalle all’uscio e si
chinava sarebbe riuscita a raggiungere il pomolo con la punta delle
dita.
Si accinse a farlo…
La porta si spalancò all’improvviso e dalla sorpresa, barcollò in
avanti, due braccia fermarono la sua caduta.
Il ghigno perverso dell’uomo le sfiorò il volto. Se la strinse contro
mentre si dibatteva, urlando in preda al terrore. Lui le affondò una
mano nei capelli, strattonandoli, e immerse il naso adunco nelle
ciocche seriche, nonostante fossero incrostate del sangue
rappreso di lei, il prete perverso inspirò rumorosamente. «Hai un
buonissimo profumo, di bellezza, e di morte!» disse con la voce
che assomigliava al sibilo orribile di una viscida serpe!
«Mi lasci andare, non mi tocchi! Perché mi tiene prigioniera!?».
Il padre la brandì per i fianchi e prese a roteare canticchiando un
valzer terrificante e stonato. «Maddalena, dovrai espiare i tuoi
peccati e il traditore non potrà salvarti.» Rise isterico, con gli occhi
allucinati di folle pazzia!
Morgana, durante quella danza macabra, più volte incespicò, e
l’acido che le risaliva dallo stomaco le corrodeva la gola, ne
sentiva il sapore acre in bocca. «La smetta, e mi lasci andare! Lei!
È stato lei ad assassinare tutti quei poveri innocenti!».
Le sfiorò l’orecchio con la bocca ripugnante. «Judah, il traditore,
prima che il gallo canterà tre volte ti avrà rinnegato.» Ridacchiò.
Poi abbassò il tono di voce, che si fece ironico. «Loro, tanto
innocenti non erano, depravati, seviziatori, violentatori, immorali,
meritavano di morire, peccatori!».
La fece volteggiare scandendo il tempo con un mugolo divertito.
«Povera anima infangata, anche tu dovrai espiare i tuoi peccati».
Morgana deglutì cacciando un poderoso conato e ansimò:
«Padre Raffael era un bravo uomo, non posso credere alle sue
parole deliranti!».
Con uno scossone la fece cozzare contro il suo petto, infilandole
subdolamente un ginocchio tra le cosce.
«Lui doveva morire» cantilenò. «Era una spia! Troppo pericoloso,
un soldato di Dio! Un nemico di nostro padre! Seth, Lucifero,
Belzebù… Quanti nomi può avere il signore degli inferi, l’unico
vero padrone dell’umanità.» Prese a piagnucolare sinistramente.
«E noi suoi figli adorati lo abbiamo tradito, rinnegandolo sulla
croce, poiché Dio, suo rivale, aveva mentito, mentito a tutti noi!
Gesù, Jesus, non era altri che il figlio ribelle, il figlio caduto, dato in
pasto a questo genere umano crudele».
Declamò con voce vaneggiante: «Elì, Elì, lamà sabactàni?».
Morgana sussurrò impietrita, la traduzione di quelle parole: «Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Si dibatté
furiosamente. «Mi lasci, lei è pazzo! Come ha potuto! Lei è lucido
nella sua follia! Un alienato! Ed è riuscito a nascondere la sua
terribile essenza! Lei è un servitore di Dio!».
Lui la spinse violentemente contro la parete e la schiacciò con il
suo corpo spigoloso, rise sguaiatamente. «No, mia Maddalena, io
sono il servitore del Diavolo!» Le passò il naso lungo il collo. «E tu
diventerai una delle sue puttane, prima lui godrà di te attraverso di
me e poi gli donerò la tua vita.» Rise, una risata stridula che le
fece accapponare la pelle. «Ha sete del tuo sangue, Maddalena
che un tempo fosti sua sposa».
Le infilò la mano nei jeans e lei strepitò provando a colpirlo con le
ginocchia, ma lui le assestò un manrovescio, colpendola sul volto.
Il dolore fu come uno sparo nella sua mente terrorizzata. Dal
labbro spaccato colava sangue, ne sentiva il sapore metallico in
bocca.
L’essere abominevole sporse la lingua leccando la striscia
cremisi che le serpeggiava sul mento, facendo schioccare le
labbra le sorrise malefico.
«Ora sarai mia! Grida il nome del tuo uomo, lui non potrà sentirti.
O forse sì…».
Estrasse il cellulare di lei dalla tasca a lato dei calzoni neri
«Possiamo sempre fargli una telefonata, ah la tecnologia, potente
arma del signore dell’oblio».
Ma fu lo squillo di un altro smartphone che lo fece smettere di
sghignazzare, si portò l’apparecchio all’orecchio e il tono si fece
mellifluo: «Angelika, oh sì, sì abbiamo la piccola ficcanaso».
La voce subì un nuovo cambiamento, piagnucolosa. «No, per
favore lascia che io goda del suo corpo, maturo e voluttuoso…».
Immediatamente sfilò la mano dai jeans. «Va bene, va bene, mia
signora, non la toccherò, d’accordo aspetterò la tua venuta, ma
promettimi che potrò prendermi tutto di lei».
Si allontanò da Morgana e riprese ossequioso la telefonata:
«Certo, certo, aspetteremo le ventiquattrore convenute, lo so, lo
so, ti piace sfidare la sorte e vincere, mia diletta».
Senza proferire parola, scelse una delle sedie impagliate poco
distanti e vi si accomodò, le sorrise e poggiò una caviglia al
ginocchio opposto, in una posizione rilassata, la osservò con una
luce perversa negli occhi assottigliati.
«Bene, io so aspettare, sono dotato di una pazienza infinita,
quando lei verrà, noi godremo di te assieme, me lo ha promesso».
Morgana aveva inteso che la sfida era stata lanciata a Judah, lui
aveva ventiquattrore per scoprire il covo di questo debosciato e
della sua complice.
Una folgorazione la lasciò senza respiro, come l’aveva chiamata
al telefono?
Oddio, oddio, non poteva essere!
Angelika, il nome di quella bambina!
CAPITOLO VENTOTTO
Judah si ritrovò al centro del sagrato dell’imponente cattedrale.
Sollevò il capo osservando la maestosa facciata, le guglie si
stagliavano nel cielo plumbeo. Il silenzio innaturale lo isolava da
ciò che aveva intorno. Nuvole grigie minacciose, un tuono
rimbombò, il lampo illuminò l’oscurità che si faceva densa.
«Dove sei Morgana?» A pugni stretti offrì il volto alla pioggia
gelida, il vento gli scompigliava i capelli neri.
«So chi è la donna, la bambina!».
Si volse verso l’automobile parcheggiata a lato della carreggiata,
si avviò verso la sua direzione, i passanti sul marciapiedi opposto
apparivano ombre indefinite.
Un formicolio dietro al collo, un sussurro forse immaginario alle
sue spalle, lasciò andare la maniglia della portiera e ruotò su se
stesso, dal portone una sagoma, indefinita, prendeva forma,
vestita di scuro, si muoveva velocemente, pareva fluttuare come
se i piedi non toccassero il selciato.
«Sei tu il fantasma apparso a Morgana» sussurrò, mischiandosi
con la folla che lo spintonava durante il passaggio.
La figura era a pochi metri da lui, sollevò il velo nero trasparente
dal capo, mostrando il volto, gli occhi guizzarono nervosamente
guardandosi attorno, poi sgusciò verso una via laterale.
«Sei tu! Ti ho trovata, Angelika».
Judah attese che la donna sparisse dietro l’angolo, poi la seguì a
distanza, quando si voltava indietro, lui si celava in qualche atrio
dei palazzi circostanti e rallentava il passo senza perderla di vista.
Per una frazione di secondo temette di averla persa, poi la scorse
girare attorno a un edificio in mattoni rossi. Il buio fu rischiarato da
una falce di luce fioca, una porta socchiusa e lo spettro scivolò
all’interno, un’ombra fluida, strisciante.
Judah attese, e prima di seguirla si portò lo smartphone
all’orecchio, dopo la comunicazione breve, coincisa lo infilò nella
tasca dei jeans.
Sulla soglia inspirò, espirò, dentro, fuori, il petto poderoso si
contrasse, dentro, fuori, la mente si sgombrò.
I sensi si affinarono.
Vista: gli occhi si abituarono presto al buio varcando il passaggio.
Un atrio fatiscente lo accolse.
Udito: In fondo, il lento, flebile cigolio di un uscio che si apriva. Si
avviò verso quella direzione.
Olfatto: l’odore pungente di muffa, proveniva dal fine della lunga
scalinata. Si prodigò a scendere gli scalini immersi nell’oscurità.
Tatto: le pareti umide, viscide sotto le dita mentre si sosteneva a
tentoni.
Si arrestò poggiando il pesante anfibio sul pavimento lercio, le
pupille scure si allargarono, tre porte di fronte a sé.
Tutte serrate.
Quale scegliere?
In legno corroso, tetri antri, incastonati nelle pareti scostate.
Lo sguardo attento vagliò le maniglie opache: due ricurve dagli
intagli anneriti. Quella sulla sinistra un pomolo in ottone
arrugginito.
Gusto: raccolse con l’indice la piccola goccia cremisi che
spiccava vivace, lucida, adagiata sullo smorzato metallo.
Si portò il polpastrello alla bocca e lo succhiò, sangue, sangue
fresco.
Morgana!
Dietro alla porta ve ne era un’altra, che conduceva a un’impervia
tortuosa scalinata in granito sbeccato.
E poi…
Un’altra porta ancora, sembrava la discesa nelle viscere
dell’Inferno…
Mentre Judah procedeva lento e guardingo, dietro all’ultima
porta, un demone, dalle stupende, tenebrose sembianze
femminee, studiava con occhi diabolici la sua vittima: Morgana!
Il Padre la tratteneva contro di sé, lei voltata verso la porta
pregava che lui non entrasse.
La bocca tappata dalla mano del reverendo perverso, si
disperava in grida soffocate, le lacrime copiose le rigavano le
guance, il petto in fiamme.
Non entrare, ti supplico, Judah ti scongiuro!
Il pomolo ruotò e lei si dibatté furiosamente, il ghigno sul viso
mefitico di Angelika si aprì in un sorriso di allucinata follia!
La lama le entrò nella pelle candida del collo, il taglio leggero la
deturpò e il sangue colò sulla mano del prete crudele.
Il dolore non era così forte, se paragonato a quello che stava
rischiando Judah!
La porta si spalancò andando a sbattere contro la parete di lato e
lui apparve, superbo, maestoso nella sua imponente prestanza
fisica.
Morgana lanciò un grido disperato, ma dalla gola ne uscì un
rantolo strozzato.
Gli occhi di lei lo pregavano di andare via!
Angelika si voltò verso di lui, fu tutto a rallentatore.
Indossava il lungo saio nero, il cappuccio tirato sul capo celava
l’ombrosa oscurità del volto. Le mani pallide afferrarono i bordi e
molto lentamente lo abbassarono.
Il vortice alla visione del volto roteò nella mente di Judah.
Tutti i tasselli andarono al loro posto!
Gli indizi danzavano nel suo subconscio, venendo a galla, uno
dopo l’altro.
Rivisse ogni scena: il boscaiolo che aveva asserito di aver
veduto gli incappucciati nel bosco, la setta…
Gli occhi che lui descriveva come gelidi e perfidi in questo
momento lo osservavano sfidandolo.
Il corpo strisciato sul terreno nel bosco, un depistaggio mal
congeniato, lei aveva un complice il prete bastardo che tratteneva
la sua donna, puntandole un pugnale alla gola.
Quel giorno nella nebbia, Judah aveva inteso che fosse stato un
individuo dotato di scarsa forza fisica a trascinare il corpo, una
donna… Quindi il prete… padre Josef l’aveva aiutata nel compiere
l’efferato omicidio e poi aveva, deliberatamente, lasciato a lei il
compito di trascinare il corpo.
Angelika, la bambina violata…
Ecco spiegato la morbosa propensione a non accettare e cercare
un rapporto sessuale completo, fellatio…
Lei che si inginocchiava di fronte a lui… Capelli biondi, lisci come
seta, li aveva sentiti sotto le dita mentre li stringeva…
Occhi velati di rabbia, e voluttuosa frenesia, cerulei, dalle lunghe
ciglia…
«Prima che il gallo avrà cantato tre volte lui ti tradirà…».
La donna puntò la pistola nella sua direzione, la impugnava con
destrezza…
Judah avanzò sino a far affondare la canna grigia nel proprio
pettorale. «Ispettore Palmer…» la fissò dritta negli occhi
sfidandola.
Lei spinse maggiormente il calcio così che la rivoltella entrasse
maggiormente nei muscoli di lui. «Siamo giunti alla resa dei conti,
duemila anni, ho atteso secoli, per rincontrarti, Judah, il mio
discepolo diletto che mi tradì consegnandomi nelle mani di questa
umanità abbietta».
Morgana scosse vigorosamente il capo, era una pazza, pazza!
Judah afferrò la canna della pistola. «Tu non sei l’incarnazione di
Lucifero e nemmeno del Cristo, sei soltanto una donna che ha
sofferto, e che si è persa, attirata in una setta che ti ha plagiato».
Glenn non indietreggiò, ma fissò le dita di lui strette sul freddo
metallo. «Noi combattiamo la chiesa di Dio, la nostra lotta si perde
nella notte dei tempi, schiere di angeli oscuri, dispieghino ali di
luce».
La voce di lui assunse un tono calmo, conciliante. «Glenn, eri
soltanto una bambina, mi dispiace per quanto ti hanno fatto, ma
non puoi uccidere degli innocenti, accecata dalla tua sete di
vendetta».
Lei scosse il capo. «Oh no, no, egli ha liberato la mia vera
essenza…».
«Chi è lui?» chiese.
Glenn piegò il collo verso padre Josef. «Lui…» sussurrò.
Morgana ebbe un moto di rabbia, maledetto bastardo! Padre
Josef, l’aveva molestata quando era soltanto una bambina
innocente, e l’aveva trasformata in un essere perverso,
plagiandone la mente debole!
Quale orrore!
Si contorse furiosa, se solo fosse riuscita a liberarsi dalle sue
viscide, sporche mani!
«Glenn, abbassa l’arma e consegnamela, è tutto finito, non avrà
più potere su di te».
Judah le parlava pacatamente, e le sfiorò le dita con le sue.
Glenn percepì il calore della pelle che si irradiava nella sua. Era
sempre stata toccata da mani fredde, viscide, esigenti, invece la
sua era così delicata…
Non c’è brama lasciva in questo tocco, soltanto compassione…
«Glenn…» la sua voce, calma rilassata, un richiamo soffice,
caldo, avvolgente, protettivo.
La donna si voltò verso il prete, che le lesse negli occhi un
barlume di incertezza.
«Angelika! Non ascoltarlo, vuole portati via da me! Io sono l’unico
che ti ama! Ti ho sempre amato!».
Sollevando la lama affilata contro il collo di Morgana rise isterico.
«Guarda, la sgualdrina di Dio! È nostra, come lo sono state tante
altre! Ce la spartiremo, qui dentro, le loro anime gridano, il nome
del nostro Signore risorto in te!».
Con tono delirante la donna mormorò. «Lui vive in me… Io sono
finalmente qualcuno…».
Padre Josef annuì. «Sì, sì, tu sei l’eletta tra le elette!» Con un
gesto brusco afferrò da sopra il tessuto pesante dei jeans il sesso
di Morgana stringendolo, vi affondò le dita adunche. «È nostra!
Vieni da me, bambina mia… vieni e consumeremo il pasto
sacrificale, poi lei andrà a far compagnia alle altre che giacciono
qui dentro».
Un terribile presentimento si fece largo nella testa di Morgana, gli
occhi spaziarono febbrilmente ecco cos’era il lezzo pungente,
morte, putrefazione.
Un conato di vomito la aggredì, ma lo ricacciò in gola, con fatica
poiché la mano del prete le premeva la bocca.
Le donne dovevano essere sepolte in quel luogo maledetto!
«Glenn, quanto ancora vuoi sottometterti a questo abominio?
Guardami, Glenn, lui non è la tua redenzione, lui non è il tuo
riscatto».
Le dita di Judah, lentamente, risalirono lungo il polso della
donna, con estrema prudente lentezza. «Glenn, è finita, guardami
negli occhi…».
Lei concentrò lo sguardo nel suo, passarono attimi che parvero
interminabili, poi la donna singhiozzò. «Non voglio morire, non
voglio nemmeno più vivere, sono stanca, tanto stanca…».
Judah allungò anche l’altra mano e le carezzò il volto, poi con
movimenti pacati le slacciò le dita sbiancate dal calcio della pistola.
«Non permetterò più a nessuno di plagiarti, fidati di me. Glenn…».
Lei posò lo sguardo sulle loro mani che si toccavano. «Me lo
prometti?».
Judah le sorrise. «Te lo prometto…».
Poi fu tutto repentino, Glenn risaldò la presa sull’impugnatura
della pistola, lo sparo rimbombò tra le pareti!
Il grido acuto di Morgana, sangue, sangue che scorreva copioso!
Un tonfo mentre Glenn cadde in ginocchio, padre Josef lasciò
andare la presa contro la bocca di Morgana.
Indietreggiando riuscì a mormorare. «No…» un gorgoglio
raccapricciante e cadde al suolo, un foro aperto sulla sua fronte.
Vi furono passi concitati che scendevano dalle scale, gli agenti
guidati da Zacaria fecero irruzione, due poliziotti si avventarono su
Glenn, ma Judah li allontanò, afferrandola con estrema delicatezza
la aiutò a risollevarsi, lei con sguardo sconfitto gli sorrise
stentatamente.
«È davvero finita, complimenti, Dottor Marshall hai risolto
brillantemente un altro caso.» Poi porse i polsi a Zacaria.
«Portatemi alla centrale».
L’uomo scosse il capo. «Credo che non ce ne sarà bisogno miss
Palmer».
Tuttavia, lei lo fissò con un’occhiata dura, determinata: «Faccia il
suo lavoro, agente! Ha di fronte un pericoloso criminale!».
Lo scattò secco delle manette mise fine alla discussione, Zacaria
sostenendo Glenn per la vita la accompagnò su per la ripida
scalinata.
Gli altri agenti uscirono alla spicciolata, tranne un paio che
restarono sul luogo, uno di loro era intento ad avvertire il coroner;
Judah lo richiamò: «Chiedi alla scientifica di mandare una squadra
cinofila, sotto questo pavimento o nelle pareti vi sono celati dei
corpi».
L’altro annuì con lo sguardo colmo di raccapriccio.
«Sissignore!».
Judah sollevò gli occhi, lei si impediva di tremare.
Fu come se lui non avesse potuto stringerla tra le braccia per
un’eternità, le andò incontro e piano sollevò una mano,
passandole lievemente i polpastrelli sulle gote umide di lacrime
sfiorò con il pollice il labbro inferiore gonfio, la voce spesso ruvida,
fu spezzata dalla commozione.
«Tu non sai quanto abbia temuto di perderti, sono impazzito al
solo pensiero».
Vagò con gli occhi scuri sul viso di lei, sporco, imbrattato di
polvere e sangue rappreso eppure gli parve così bello.
Le dita di lui scosse dai timori, la carezzarono con infinita
dolcezza.
«Tu non sai quanto ti amo».
Morgana represse un singhiozzo. «Anche io ti amo».
Si gettò tra le sue braccia e lui la strinse contro al petto,
liberandole le mani.
«Ti amo, ti amo, ti amo» gli ripeteva scossa dal pianto. Sfregò la
guancia contro il suo petto. «Ti amo Judah Marshall, per tutto
quello che sei, un rozzo, idiota, ma anche un uomo meraviglioso,
non ti cambierei con nessuno».
Le poggiò il mento sulla nuca, ispirando il profumo soave dei suoi
capelli e si rese conto dello squarcio che ancora sanguinava sotto
la massa di capelli mogano.
«E tu sei una stupida incosciente, ti sei messa in pericolo!».
Morgana tirò su con il naso. «Non incominciare, a proposito, mi
avevi promesso di rivelarmi qualcosa di molto importante».
La allontanò da sé quel tanto che bastava alle loro bocche di
sfiorarsi. «Lo vedi che sei priva di intuito, Watson?».
Lei pressò le labbra contro le sue. «Cosa?».
Judah affondò le dita nelle ciocche di lei avvicinandola
maggiormente e le mormorò a fior di labbra.
«Ti amo, ecco quello che dovevo confessarti».
Con la punta della lingua le passò il contorno del labbro
superiore.
«Ma evidentemente non sei dura di comprendonio».
Fu lei a immergere la sua nella bocca di lui che rispose al bacio
disperatamente violento con tutto se stesso.
Lui che mai avrebbe pensato di innamorarsi adesso sapeva che
non avrebbe mai potuto fare a meno di lei.
Sua, sua per l’eternità, oltre le paure, le false contraddizioni
contro le quali lei aveva combattuto e perso!
Sua…
Morgana si staccò con il respiro corto, il labbro spaccato le
faceva male ma non le importava, lo sfidò con un’occhiata
civettuola. «Finché dura…».
Lui la sollevò tra le braccia e lei lanciò un gridolino, era colma di
felicità!
Judah risalendo gli scalini ci tenne a ribadire il concetto, tanto per
mettere in chiaro le cose una volta per tutte.
«Non credere di liberarti di me così facilmente, Miss Green,
finché dura un cazzo! Per sempre lo trovo maggiormente
appropriato e adesso lascia che io mi prenda cura di te, hai
passato una giornata d’inferno…».
Morgana si accoccolò sul suo petto. «No, tu mi hai strappato dal
mio Inferno…».
Judah la strinse sino a farle mancare il respiro. «Con me sarai
sempre al sicuro, non c’è bisogno che te lo prometta perché già lo
sai».
Morgana sollevò gli occhi al cielo. «Certo che come fai tu le
dichiarazioni d’amore…».
La adagiò sul sedile lato passeggero. «Non farla tanto lunga,
andiamo ti porto a casa, la nostra casa, domani stesso molli quella
topaia e vieni a stare da me».
Lei arpionò il sedile in pelle e affondandovi le unghie si tirò su.
«Non ti azzardare a dettare legge perché… guarda io!».
Judah represse una risata, la sua stupenda, meravigliosa
bizzosa fatina.
«Puoi mandarmi a fanculo dopo che ti avrò messo sotto una
doccia calda, controllato il tuo taglio, avrai mangiato qualcosa di
sostanzioso, schiacciato un pisolino e soltanto allora potrai
riprende a farmi le tue ramanzine, okay?».
Lei gli poggiò la testa sulla spalla «Okay, hai ragione sono
sfinita».
Le baciò la fronte. «Ti adoro lo sai?».
Prima di scivolare nel sonno gli rispose «Anche io, zuccone».
EPILOGO
La lieve brezza le carezzava il volto, dall’ampia veranda poggiata
al parapetto, Morgana ammirava Piazza del Campo, si chiese
com’era possibile che in quella città, Siena, di una bellezza antica
e sontuosa, potessero accadere omicidi efferati. Erano passati due
mesi da quando Judah aveva consegnato alla giustizia Glenn
Palmer.
Adesso si rendeva conto di quanto la vita del suo uomo fosse
dinamica, il lavoro lo assorbiva per la maggior parte del tempo. Si
riteneva fortunata nel poterlo seguire nei suoi viaggi, le permetteva
di ammirare posti nuovi, viaggiare come sempre aveva sognato, si
sentiva realizzata.
Judah aveva creduto nelle sue capacità, e da semplice
impiegata, ora era passata a essere la sua preziosa
corresponsabile. Le indagini le conducevano assieme, la loro
sintonia era perfetta, uno complementare all’altra.
Si osservò le mani, poggiate sull’antico granito della balconata,
sorrise: unghie laccate di rosso porpora, eleganti, sensuali.
Com’era cambiata nel giro di poco tempo, o forse lei aveva sopito
la sua vera essenza, annientata da un marito che aveva spento la
sua gioia di vivere, il suo essere donna, nella crudele
segregazione, umiliata dalle violenze sia nel corpo che nell’anima.
Era come se lei avesse ripreso a vivere nel preciso istante in cui
aveva incontrato Judah.
Sino dal primo giorno…
Lui non l’aveva cambiata, lui l’aveva accettata in tutta la sua
essenza.
Passò le mani lungo i fianchi fasciati nell’abito nero in seta
preziosa, sbirciò le décolleté con il tacco vertiginoso a stiletto, io
sono questa donna, una stupenda farfalla nata da una crisalide
dormiente che ora dispiegava le mirabili ali.
Si volse verso l’interno della suite del lussuoso hotel, Judah
seduto alla scrivania controllava sul PC portatile i fascicoli forniti
dalla polizia italiana.
Quattro morti, vittime particolari, tutti famosi fantini dell’altrettanto
famoso Palio che si disputava ogni anno proprio nella piazza
sottostante.
Le indagini svolte dagli inquirenti italiani non avevano prodotto
alcun progresso, così avevano chiesto l’intervento di uno dei
criminologi più affermati.
Morgana lanciò uno sguardo colmo d’ammirazione verso Judah:
lui…
Dannazione, vederlo tanto concentrato, le muoveva dentro una
sensazione di brama erotica.
Non aveva nessuna intenzione di disturbarlo, era talmente
assorto.
Deglutì, il languore lussurioso le scaldò il basso ventre.
Quelle spalle larghe, leggermente incurvate, la schiena definita di
muscoli.
Strinse le mani a pugno, aveva un disperato bisogno di toccarlo,
passare le dita nelle ciocche scure che gli sfioravano il collo.
Le sue mani grandi, dalle dita lunghe che battevano sui tasti,
voleva sentirsele addosso.
Il cuore prese a galoppare, non devo si ripeté.
Oh mio Dio! Persino le sue gambe atletiche fasciate nei jeans
chiari la attiravano, come un superbo magnete.
Lui possedeva un fascino magnetico, animalesco, risvegliava in
lei istinti dissoluti.
Forse doveva lasciare la suite, allontanarsi da lui, provare a
distrarsi andando a zonzo per la città.
Magari una doccia gelata avrebbe spento i suoi bollori.
Oh, no, no non muoverti, lo pregò mentalmente.
Lui sollevò il capo dallo schermo, distrattamente si piegò
all’indietro stirando le braccia poderose sulla testa.
Il petto si contrasse.
Signore ti prego dammi la forza…
La t-shirt nera si sollevò quel tanto che bastava a mostrarle
l’addome cesellato.
Io non so quanto ancora potrò resistere…
Lui reclinò il capo all’indietro lasciando andare un sospiro
gutturale, la sensualità del suono le riverberò nel sesso, che si
dischiuse.
Voglio morire…
Il volto di lui si voltò nella sua direzione, era dannatamente bello!
Le sorrise, e poi fingendosi perplesso sollevò un sopracciglio.
Fanculo! Non resisto più…
Judah aprì maggiormente il sorrisetto ironico mostrandole la
dentatura bianca perfetta.
Il bastardo sapeva benissimo quanto stava mettendo a dura
prova la sua libido che scalpitava.
«Che hai da ridere?» lo investì.
Lui s’indicò teatralmente. «Io? Tu piuttosto sembri sul punto di
esplodere» la dileggiò.
Lei rientrò nella stanza. «Io non sto esplodendo per niente!».
Se credeva che fosse caduta ai suoi piedi supplicandolo di
prenderla si sbagliava di grosso, brutto pallone gonfiato!
Asino palestrato!
Lo superò tenendosi a debita distanza temendo che lui
percepisse il calore della pelle di lei, che andava letteralmente a
fuoco!
Judah ne seguì i movimenti senza cancellarsi dalla sua bella
faccia da schiaffi il sorrisetto trionfante. «Dove vai?».
Morgana arraffò il soprabito nero appoggiato all’antica poltrona in
velluto ocra. «A farmi una passeggiata!».
Lui si sollevò dalla seduta in tutta la sua prestanza. «Bene, allora
io ne approfitterò per farmi una doccia» e afferrò il bordo della t-
shirt sollevandola.
Morgana annaspò, a un tratto le mancava l’aria, e le cedevano
un tantino le gambe. «Cosa stai facendo» ansimò.
La maglietta volò sul pavimento e lei incollò gli occhi ai pettorali
di lui. «Sei sleale, lo sai» gemette.
Judah si chinò e slacciò le stringhe dei pesanti anfibi, scrutandola
dal basso verso l’alto le rispose. «Mai quanto te».
Con una manica infilata nel trench lei gemette. «Cosa intendi
dire?».
Sollevandosi scalciò gli stivali. «Ce l’ho duro, praticamente da
tutto il giorno, tu non sai cosa significhi per me vederti zampettare
tra le vie del centro con quei tacchi libidinosi, il tuo didietro che si
dimena, le tue curve incastrate in un abito che vorrei strapparti di
dosso con i denti!».
Morgana gli sorrise maliziosa. «Potevi dirlo subito» e sfilò il
braccio dalla manica gettando il soprabito sulla poltrona.
Lui lasciò andare le braccia lungo i fianchi. «Non potevo scoparti
di certo sulla scrivania del procuratore, non con lui presente!».
Lei allungò le mani dietro di sé raggiungendo la cerniera
dell’abito. «Hai passato due ore qui dentro incollato al
computer…».
Cazzo, adesso mancava l’aria a lui…
«Avevo bisogno di tenere le mani occupate, mi avevi detto che
volevi riposare».
Il graffio della lampo gli si piantò nel cervello e l’erezione scalpitò
per essere liberata.
Morgana distrattamente si sfilò prima da una spalla e poi
dall’altra il vestito spingendolo sino ai fianchi. «Ci sono delle
priorità che non possono aspettare».
E l’indumento cadde ai suoi piedi con un fruscio sensuale.
Guardò lui con un’espressione erotica sul volto e con un calcetto
spinse di lato il vestito.
«Porca putt…» Judah, represse un ringhio.
Lei era stupenda, la pelle nivea in contrasto con il pizzo nero
della lingerie una tentazione irrefrenabile.
La indicò. «Ti avverto, se ti muovi non risponderò più di me»
sussurrò con la voce ruvida arrochita dal desiderio.
Ancheggiando sui tacchi disobbedì, dirigendosi verso di lui con
passi lenti e provocanti. «Mi piace sfidarti».
«Attenta donna…» la avvertì.
Morgana non si era mai sentita così potente come in quel
momento, allungò le mani carezzandogli il petto.
Judah s’inarcò stringendo i denti. «Ho detto attenta…».
Gli passò l’indice sul contorno del labbro superiore. «Io dico che
dovresti baciarmi».
Le afferrò il dito fra i denti. «Credo sia una buona idea…».
Morgana con il polpastrello giocò con la punta della lingua di lui.
«Cosa aspetti, mi piace la tua bocca, sa fare cose meravigliose».
Lui sorrise, un sorriso molto pericoloso, una luce deliziosamente
perversa gli illuminò le iridi scure. «Questo non dovevi dirlo…».
Aspettò che finalmente la baciasse, ma lui la sollevò tra le
braccia, indispettita e sorpresa lo rimproverò. «Che stai facendo,
voglio il mio bacio!».
«Dopo!» ringhiò e la gettò sul copriletto immacolato.
Morgana si puntellò sui gomiti guardandolo storto mentre lui si
inginocchiava di fronte al letto. «Vorrei un briciolo di
romanticismo!».
Le afferrò le caviglie facendola strisciare verso di sé. «Dopo!».
Stando alla finta scaramuccia gli piantò tacco e punta, della
Chanel, sul petto, spinse fingendo di volerlo allontanare. «Sei
troppo irruento, mister Marshall».
Judah le strinse la caviglia, le carezzò la gamba dal polpaccio
fino sotto al ginocchio. «E tu parli troppo, miss Green.» Scostando
la scarpa di lei si allungò infilando i pollici nel pizzo del tanga e lo
fece scivolare lungo le cosce, per poi sfilarlo.
Lo roteò sull’indice. «Togliti quel dannato reggiseno».
Lo sfidò con un sorriso malandrino. «Prima voglio il mio bacio».
Lui sollevò il sopracciglio. «Ho detto dopo».
«Io non credo che tu possa dettar leg… Oh Dio!».
La bocca di Judah calò sul sesso grondante di lei sfregando sulle
carni palpitanti.
«Hai un profumo delizioso.» Le allargò i petali allagati con i pollici
e vi passò lentamente la lingua, strappandole un gemito strozzato.
«Judah che cosa!?»
Succhiandole lentamente il piccolo fremente fulcro del piacere
mormorò: «L’hai detto tu che con la bocca so fare cose
meravigliose» e la torturò con lente erotiche passate.
Morgana si lasciò andare sul materasso, gli occhi annebbiati dal
piacere, oh sì lui sapeva fare davvero cose.
Lanciò un grido artigliandogli le spalle, l’orgasmo la travolse
senza che potesse opporvisi, onde violente la facevano
sobbalzare. Possibile che sapesse accenderla in così poco
tempo? I suoni gutturali che sgorgavano dalla gola di lui
amplificavano il godimento, le sue mani strette sui fianchi mentre la
guidava in un tunnel di sensazioni stupendamente devastanti!
Si lasciò portare alla deriva, la testa sgombra, ogni fibra del suo
corpo vibrava, e lui sapeva toccare punti segreti che stimolati la
gettavano nel delirio!
Ansimante, con la pelle imperlata di sudore, quietata la tempesta
tentò di riportare il respiro regolare. «Adesso voglio il mio bacio»
mormorò tra un’inspirazione e l’altra.
Judah scivolò su di lei e le scostò una ciocca dalla fronte. «Sei
bellissima, lo sai?».
Morgana affondò le dita nei capelli di lui. «Anche tu».
Le sfiorò le labbra con le sue. «Ti amo».
Lei commossa gli carezzò il volto adorato. «Anche io, tu non sai
quanto».
Le loro bocche si fusero, in un bacio dolce, appassionato.
Morgana infilò le mani tra i loro addomi e senza smettere di
rispondere al suo bacio gli slacciò con fatica la pesante fibbia della
cintura e armeggiò con la lampo.
Judah si staccò dalla sua bocca. «Voglio un po’ di romanticismo»
la prese in giro.
Lei gli calò i calzoni con uno strattone. «Dopo!» e afferrando
l’erezione dura, liscia spinse con il bacino in avanti facendo sì che
la trafiggesse.
Judah strinse i denti. «Oh Cristo!» e diede una spinta andando
sino in fondo, lei gemette piantandogli i tacchi nei glutei incitandolo
a muoversi.
Affondando le dita nelle natiche lui sprofondò riempiendola di sé,
e prese a muoversi prima lentamente e poi, guidato dalla passione
irrefrenabile, le stoccate si fecero sempre più profonde, veloci,
esigenti.
Libera e selvaggia, gli andava incontro senza riserve, i loro gemiti
si mischiavano con il profumo inebriante del sesso che si
spandeva per la stanza. Pelle calda e sudata aderiva a ogni colpo,
mani affamate che stringevano, possessive, bocche assetate,
lingue intrecciate nella sublime danza dell’amore.
Lui era attorno a lei, dentro di lei, lo amava come non aveva mai
amato nessuno! Sapeva che non avrebbe più potuto nemmeno
respirare senza di lui.
L’orgasmo li avviluppò, lei si contrasse, lui si riversò nella sua
profondità con un ringhio liberatorio, il volto trasfigurato dal
piacere, bellissimo e virile, Morgana si perse a quella vista. «Non
lasciarmi mai» singhiozzò.
Con il respiro mozzo le rispose. «Mai, mai, amore mio» e poi
crollò, puntellandosi sui gomiti le sfiorò con i capelli i seni ancora
racchiusi nel reggiseno.
Judah osservò il pizzo. «Questa è l’ultima volta che ti scopo con
quel coso addosso».
Morgana rise carezzandogli il petto. «E allora tu che hai i jeans
calati sino alle ginocchia?».
Lui la guardò dall’alto. «Ci siamo lasciati trasportare dall’impeto».
Morgana fu attratta dal luccichio che proveniva dalla catena che
lui portava attorno al collo, allungò una mano afferrando il
ciondolo, un anello in acciaio e ci giocherellò distrattamente.
«La prossima volta lo faremo completamente nudi e tu, prima di
qualsiasi altra cosa, mi darai un bacio, promesso?».
Judah le prese la mano allontanandola dall’anello «Promesso».
Lei non capì quel gesto. «È importante questo anello? Lo porti
sempre al collo.» Sgusciò da sotto di lui e tirandosi su a sedere
poggiò le spalle sui cuscini scomposti.
Judah si sdraiò accanto a lei, gli occhi rivolti al soffitto. «Ce l’ho
da quando Donny e Anna mi hanno adottato, per la precisione me
lo donò lei Anna, mia madre, quella che considero la mia vera
unica madre. Il giorno del mio ventesimo compleanno ironia della
sorte fui scarcerato, lei e Donny mi attendevano fuori nel
parlatorio, raccolsi la mia sacca e li raggiunsi scortato da due
guardie, Donny mi venne incontro abbracciandomi, non lo
dimenticherò mai, finalmente saremo insieme, nella nostra casa, la
tua casa mi disse. Mi avevano adottato quando io ero ancora in
riformatorio, non passò giorno che uno di loro o assieme mi
venissero a fare visita, seguirono i processi sostenendomi,
incitandomi a cambiare vita. E io poco a poco mi fidai di loro.»
Judah si schiarì la voce «Comunque questo anello, come ti dicevo,
me l’ha regalato mia madre il mio primo giorno di libertà».
Judah si sedette e sfilò la corta catenella, facendola scorrere, poi
liberò l’anello, lo rigirò tra indice e pollice. «Ci ho fatto incidere
qualcosa» mormorò.
Morgana non osò guardarlo in volto, tanto era profonda
commozione per la rivelazione, era felice che lui avesse trovato
una vera famiglia che lo amava.
«Cosa?» chiese a voce bassa.
«Revenge, rivincita» disse lui cupo.
Il silenzio cadde tra di loro, passarono istanti che parvero infiniti.
Morgana seguitava a scrutarlo, mentre lui teneva lo sguardo fisso
sull’anello.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole non ne volevano
sapere di uscirle dalla gola.
Una lacrima le scivolò lungo la gota, aveva un disperato bisogno
di abbracciarlo, stringerlo forte, dirgli che la sua sofferenza era
finita, che i ricordi della sua vita distrutta non potevano più fargli
male.
Quando lui parlò, trattenne il respiro.
«Ho sempre pensato che nonostante io avessi raggiunto la
tranquillità della mia nuova vita, mancasse qualcosa, alla mia
completa rivincita».
Morgana si morse un labbro, Dio, Dio lo avrebbe protetto a costo
della sua vita, avrebbe fatto di tutto per cancellare i ricordi della
sua miserabile esistenza passata.
Judah baciò l’anello. «Mancavi tu…» disse con un sussurro.
Lei singhiozzò. «Judah io…».
Le prese la mano e le infilò l’anello all’anulare. «È un po’ largo,
ma presto lo sostituirò con un diamante, vuoi sposarmi, Miss
Green?».
Morgana osservò l’anello con gli occhi colmi di lacrime.
«Non ti azzardare a cambiarlo, io voglio questo anello!» Gli gettò
le braccia al collo. «E sì, sì, voglio sposarti!».
La strinse a sé nascondendo il volto visibilmente commosso nei
capelli di lei. «Per la verità manca ancora qualcosa».
Carezzandogli la schiena chiese «Cosa?».
«Un figlio».
Morgana raggelò «Ma… ma… io… io… non so, Judah, ho
quarantadue anni!».
Lei percepì il sorriso di lui sulla pelle del collo. «Davvero? Non
me ne ero reso conto».
Morgana si slegò da lui guardandolo dritto in faccia. «Non
scherzare, non mi sembra il caso!».
Le baciò la punta del naso arrossato. «Non sto scherzando, sei
una donna stupenda e sei fertile Morgana, fattene una ragione,
tante donne alla tua età hanno un figlio».
Una dolce speranza le si annidò nel petto, anche lei aveva
sempre desiderato essere madre e adesso sapeva che Judah
sarebbe stato il padre perfetto, amorevole. Voleva un bambino,
suo…
Suo e di lui…
Una vera famiglia, la vera rivincita…
«D’accordo» sussurrò con voce carica di gioiosa commozione.
Lui l’afferrò per le natiche mettendosela in grembo, prese ad
armeggiare furiosamente con i gancetti del reggiseno.
«Che diavolo stai facendo Judah Marshall!?» lo rimbrottò.
Imprecando le rispose. «Ahhh, dannazione questo reggiseno del
cazzo! Non perdiamo tempo, dobbiamo darci dentro, ne voglio un
paio di marmocchi!».
Gli sorrise. «Tu sei pazzo, lo sai?».
Judah con delicatezza la sollevò, sorreggendola per le natiche e
si immerse in lei, le sfiorò la fronte con un bacio leggero.
«Sì, sono pazzo di te…».

FINE
Ringraziamenti
Questo romanzo, è stato un bellissimo viaggio, un’avventura
fantastica, alla ricerca dell’essenza dei due protagonisti principali.
Come per ogni mio romanzo, vorrei che, anche questo, lasciasse
un messaggio positivo e, se possibile, un ricordo indelebile nel
cuore dei lettori.
Ringrazio tutte le mie lettrici: chi mi segue nella mia follia, chi mi
legge, chi mi manda un messaggio che riscalda il cuore. Ringrazio
voi tutte perché, senza di voi, Eileen non esisterebbe.
Ringrazio proprio te che stai leggendo queste mie parole.
Ringrazio la mia famiglia e tutto il mio staff che, ogni giorno,
impiega ore e ore per mandare avanti il nostro pazzo gruppo
senza abbandonarmi mai:
VALENTINA SARRINI
BARBARA COSTANTINO
MONICA E ANNALISA ALBANO
NICOLETTA BOMBINO
EMANUELA TROMBETTA

Vi amo di bene ragazze, non scordatelo mai! Grazie al supporto


che date a questa “pazza donna”. Non mi stancherò mai di
ringraziarvi: siete amiche, sorelle… famiglia.
Un grandissimo grazie alla mia editor ANNA RUSSO, una
conoscenza che è diventata una bella amicizia, ringraziandola per
la professionalità e l’amore che mette nella correzione dei romanzi.
Sommario
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRE
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTOTTO
EPILOGO
Ringraziamenti

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