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CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI

Patrocinio
CITTÀ DI GALATINA

2011
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
Il calendario del Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini è giunto alla 10°
e ultima edizione.
Il Centro propone il calendario arricchito da ricerche basate sia su fonti orali
che scritte, mirate a rispolverare usi, costumi, tradizioni e valori dei nostri an-
tenati.
In tutti questi anni la nostra Associazione ha voluto fare un viaggio nei luo-
ghi della memoria per far ricordare quanto il nostro presente sia indissolubil-
mente legato al passato e come esso affondi le sue radici nel lavoro svolto, in
ogni campo, dalle precedenti generazioni. Un mondo antico ricco di valori, che
ciascuno di noi deve non solo conservare dentro di sè come un prezioso tesoro,
ma anche cercare di trasmettere alle generazioni future.
Nella lettura del calendario, ognuno ha ritrovato e ritroverà tanti piccoli
puzzles di quei ricordi che aveva smarrito e, nel ricomporli, riuscirà a riportare
alla memoria vecchi odori e sapori ormai caduti nell’oblìo. E così nel leggere
una ricetta o una curiosità, ritorneranno in mente immagini che il tempo aveva
sbiadito, come ad esempio, i cibi nelle pignate poste accanto alla brace del ca-
mino, sì da farli impregnare di un sapore speciale.
Particolare attenzione è stata rivolta alle nostre chiese, testimonianza del-
l’estrosa inventiva dei bravi “mesci” salentini che, favoriti dalla pietra leccese
giallo-dorata, hanno sbrigliato la loro ricca esuberanza, e al cui interno si cu-
stodisce un rilevante patrimonio pittorico.
Il nostro lavoro di ricerca, supportato da vecchie foto, ha trovato lo spunto
per parlare del matrimonio di un tempo, quando la celebrazione e i festeggia-
menti erano più festosi, semplici e spontanei, si pensi al banchetto nuziale fatto
di soli “complimenti”: dolcetti fatti in casa, rosolio, spumoni; o alla scuola nei
tempi in cui il corredo scolastico di ogni ragazzo era costituito da una cartella
di cartone contenente: due quaderni, un libro, una matita, una penna con il
pennino e una gomma.
Il Centro sul Tarantismo in questi dieci anni, in ogni sua pagina ha cercato
di incastonare i pezzi più significativi del nostro illustre passato storico-lettera-
rio con tasselli piccoli, ma altrettanto importanti, del nostro patrimonio popolare
folkloristico fatto di indovinelli maliziosi, filastrocche, canzoni, poesie e una in-
finita di detti e proverbi popolari.
Si ringraziano tutti coloro che con il proprio contributo permettono alla
Casa-Museo del Tarantismo di continuare a svolgere le proprie attività.
IL DIRETTIVO

Bibliografia
ACQUAVIVA COSIMO, Taranto...tarantina, Taranto, S. Mazzolino Editore, 1931;
ANTONACI ANTONIO, La Chiesa dell’Addolorata in Galatina, Galatina, Edritice Salentina, 1967;
BELLO SALVATORE, Di giorno in giorno, Galatina, Edritice Salentina, 1997;
BIANCO LUIGI, Le tradizioni di Aradeo e dei paesi vicini, Aradeo, Arti grafiche Sudest, 1978;
CAGGIA CARLO, Cronache galatinesi anni 20-40, Galatina, Congedo Editore, 1996;
CHIRIATTI LUIGI, Morso d’amore, Lecce, Editore Capone, 1995;
CONGEDO RAFFAELE, Salento scrigno d’acqua, Manduria (Ta), Laicata Editore, 1964;
COSTANTINI ANTONIO, L’edilizia domestica a Galatina, Regione Puglia C.R.S.E.C. Distrettuale LE/42- Galatina, Grafiche Panico 2005;
DE CARLO COSIMO, Proverbi dialettali del Leccese, Stabilimento Tipografico F. Scorrano S. C., Lecce anno VI;
DE PORTALUCE CINO, A tiempu persu (versi nel dialetto di Galatina), Galatina tipografia Marra e Lanzi, 1927;
ELIA LUIGI, Salento Addio (trilogia della vita), Lecce, Libreria Pensa Editrice, 1999;
GIURGOLA RIZZELLI, ANNA MARIA, Galatina: il folklore e la vita, Galatina Congedo Editore, 1938;
Le tradizioni gastronomiche di Galatina, ricette, usanze, personaggi, Centro sul Tarantismo e costumi Salentini, Galatina, 2003;
Le cento città d’Italia illustrate, fascicolo 98, Casa Editrice SONZOGNO-Milano;
LO BUE GIORGIO, Lo spettacolo a Galatina, Aradeo, Arti grafiche Guido, 1994
MONTINARI MICHELE, Storia di Galatina a cura di Antonio Antonaci, Galatina, Editrice Salentina, 1972;
MONTINARI MICHELE, La basilica cateriniana di Galatina, Editrice Salentina, 1978;
Nuovo Annuario di Terra d’Otranto, Vol. II, a cura di Ribelli Roberti, Galatina, Pajano Editore, 1957;
Ovvero le tradizioni in cattedra a cura della prof.ssa Mariateresa Merico, volume unico, RPS Casarano;
PRESTA P. TEODORO, Santa Caterina in Galatina, Avegno (Genova), Stringa Editore, 1984;
Prontuario salentino dei proverbi, a cura di N. G. De Donno, Galatina, Congedo Editore, 1991;
QUARANTA ALFREDO, Marittima un paese del Salento, Galatina, Congedo Editore, 1994;
ROHLFS GERHARD, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Galatina, Congedo Editore, 1976;
SADA LUIGI, L’elemento storico-topografico nella genesi delle leggende del Salento, Toritto (Bari), Tipografia di F. Pecoraro, 1949;
Salento di sapori, Camera di Commercio di Lecce, Galatina, Editrice Salentina, 2007;
SEVERINO DOMENICA, Copertino, Galatina Editrice Salentina, 1989;
VACCA NICOLA, Rinascenza Salentina, rivista bimestrale di Arti Lettere Scienze, Lecce F. D. Pinto Editore, 1934;
516 proverbi salent(r)ini , a cura N. G. De Donna, Galatina, Congedo Editore, 1994.

Le incisioni che illustrano il calendario sono tratte da:


D. Aguglia - Desmouceaux, Costumes de Naples, Naples, Chiurazzi s.d (collezione privata).
I disegni delle tarantole sono tratti da incisioni del ‘700 e ‘800.
In copertina: Uccio Aloisi (1/10/1928 - 21/10/2010), foto di Luigi Cesari.
Le foto dei mesi di febbraio, giugno, luglio e novembre sono tratte da S. Bello, Chiesa San Biagio;
L. Mazzacane, Miseria e follia; A. Costantini, L’edilizia domestica a Galatina; M. Montinari, La Basilica
Cateriniana di Galatina.
La presente pubblicazione è stata realizzata dal Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini.
Redazione: Alessandro Mangia, Gaetano Gaballo, Enza Luceri, Luisa Mangia, Ilaria Serafini, Marco Sam-
bati, Giampiero Palumbo.
Un particolare ringraziamento a Maurizio Albanese e al Covo della Taranta per il sostegno all’iniziativa.

Si ringraziano il Comune di Galatina, in particolare il Sindaco Dott. Giancarlo Coluccia e l’Assessore al


Turismo Dott. Augusto Calabrese
Si ringraziano: Luigi Caiuli, Fernando Villani, Maria Rosaria Romano, Donato Tundo, Virgilio Contaldo,
Biagina Carignani, Angela Chirenti, Tonino Baldari, Pippi Apollonio, Paolo De Pascalis, Paolo Guido,
Natalino De Paolis, Giampiero Donno, Antonio Melegari, Merilù Aloisi, Angelo Tornese, Biagio Panico,
Pantaleo Fiore, Salvatore e Rita Congedo le famiglie Aloisi, Mangia, Tartarini, Stasi-Capani, Palumbo, Cu-
dazzo, Marra-Tedesco, Baldari, Renna, galatina2000.com, il Corpo di Polizia Municipale di Galatina, il
gruppo di musica popolare “Scazzacatarante”.
Collanina del Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini “I Calen dar i da Collezion e, n . 1 0”.
La presente pubblicazione ha fini esclusivamente culturali, mirati a valorizzare e promuovere il patri-
monio della nostra cultura popolare.

Il presente calendario è scaricabile on-line dal sito: www.galatina2000.com


Facebook: Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini
2010 Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini - C.so Porta Luce, 2 - Galatina - Tel. 380.5310814
e-mail: tarantate@supereva.it
Il Centro rimane aperto ai visitatori dal martedì al sabato (ore 10-12 / 17-19) e domenica (ore 10-12).
Stampato in numero 1000 copie
Edizione fuori commercio - Riproduzione vietata
Stampa: Editrice Salentina - Galatina (LE)
Dedicato a Uccio Aloisi

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
LEGGENDA SACRA SALENTINA
A Galatina, mostrando in Duomo una pietra rude con alcuni incavi, si
narra: Quando San Pietro passò per la città, si trovò ad essere molto
stanco, perchè dal porto di Otranto aveva fatto a piedi una lunga strada. Gennaio 2011
S 1 Maria Ss.ma Madre di Dio
Su questa pietra egli si sedette, in mezzo a un bosco, e la pietra come si
vede ancora, porta i segni del suo corpo, perchè Dio volle che si avesse
una memoria visibile di questo santo passaggio. I cittadini non permisero
che la pietra sacra restasse abbandonata, ma la trasportarono entro la loro

D 2 Ss.mo Nome di Gesù


chiesa madre, a venerazione dei posteri. Così si vuol avere una prova di
più delle soste dell’Apostolo, in aggiunta alle tradizioni pietrine di Alezio,
di Santa Maria di Leuca, d’Ugento, d’Otranto, di Gallipoli, di Nardò e d’al-

L 3 S. Genoveffa
tri luoghi salentini.
L. SADA, L’elemento storico-topografico
nella genesi delle leggende del Salento

La tela di Stefano Pendinelli


nella Chiesa Madre di Galatina M 4 B. Angela da Foligno 쐞

Una tela di interesse più che altro storico è quella raffigurante Stefano
M 5 B. Diego da Cadice, cappuccino
G 6 Epifania
Pendinelli de Agerculis, che subì il martirio nella cattedrale di Otranto, di
cui era arcivescovo, durante l’invasione turca del 1480. L’opera è di Lavi-
nio Zoppo, pittore galatinese.
La storia dell’illustre e glorioso martire, che era di Galatina, imparentato

V 7 S. Luciano
con le famiglie Capani, Robertini e Filangeri, sebbene la sua casata fosse
Oriunda di Nardò, è descritta bellamente nel cartiglio che il pittore ha vo-
luto fissare nel campo alto della tela: mentre distribuiva l’Eucaristia ai fe-

S 8 S. Severino - S. Massimo - S. Erardo


deli fu ucciso dai Turchi.
Teofilo Capani fece ritoccare (1702) l’antico ritratto, di cui una copia è
nel Sacello dei Martiri della metropoli otrantina. Un tempo la tela galati-

D 9 Battesimo del Signore


nese si trovava nella cappella dell’Assunta, nella chiesa di S. Pietro, di giu-
spatronato delle famiglie Robertini e Capani.
M. MONTINARI, Storia di Galatina a cura di Antonio Antonaci

L 10 S. Agatone
PERSONAGGI GALATINESI
Galatina. La Chiesa parrocchiale Lu ciucciu de lu Pizzallì

M 11 S. Igino
dedicata a San Pietro E’ rimasto proverbiale nel linguaggio popolare “lu ciucciu de lu
Pizzallì”, di cui molti oggi conoscono solo il nome. Si trat-
La Parrocchiale, dedicata a San Pietro patrono della città, è del XVII

M 12 S. Bernardo da Corleone, cappuccino


tava di un asino forte con gli arti sempre pieni di
secolo. Ha un prospetto grandioso di un barocco piuttosto corretto escoriazioni che era preposto al servizio di carico
semplice ed armonioso nella distribuzione delle masse. La costruzione e scarico di tutte le merci in partenza e in arrivo
fu iniziata nel 1633 compiuta solo nel 1770. L’interno è a tre ampie na- alla stazione ferroviaria di Galatina e da lì le tra- 쐡

G 13 S. Ilario
vate e le vòlte, sorrette da due ordini di colonne composte a fasci e da sportava ai depositi di destinazione. Non solo,
grossi pilastri addossati ai muri perimetrali, sono state mezzo secolo fa ma provvedeva anche a smistare i vagoni sui vari
affrescate dal pittore napoletano V. Paliotti in uno stile che, per quanto binari.

V 14 B. Odorico da Pordenone
sia di esecuzione perfetta, non si può dire confacente al carattere del- Era un vero personaggio, che faceva parte della
l’edificio. vita quotidiana dei ragazzini del rione che, sulla
Nei vari riquadri, divisi da fasce e da ornati che sono però di molta villa di Piazza Stazione, andavano a giocare con
eleganza, figurano: “San Pietro liberato dall’angelo”, “San Pietro che le palle di pezza. Spesso, fra un tiro e l’altro, lo

S 15 S. Mauro - S. Efiso - S. Bonito


guarisce il paralitico”, “Gesù Cristo che affida le chiavi del Cielo San schernivano e “lu ciucciu” reagiva scalciando vio-
Pietro”, “La gloria di San Pietro in Paradiso”. lentemente. Nei momenti di riposo, veniva legato
I vari altari che adornano questa parrocchiale, elevata a collegiata con una lunga corda ad

D 16 Santi Berardo e compagni


nel 1664, sono moderni come le pitture della vòlta e tutti in marmo di uno dei robusti pini della villa della Stazione.
vario colore. “Lu ciucciu de lu Pizzallì” aveva un debole per “la ciuc-
Nel retrospetto della facciata si ammira un buon quadro “La lavanda cia de lu Cici de Muru”, della “Massara Nina” che era cu-
stodita in una stalla vicina ed era preposta ai lavori di

L 17 S. Antonio abate
dei piedi prima della cena”, che è una delle più ampie, vigorose e ge-
niali, composizioni di Serafino Elmo, pittore leccese vissuto nel secolo trasporto per acquedotto e fognatura. Così, quando “lu
XVIII. ciucciu” era legato all’albero e il proprietario si allonta-
nava, i ragazzi si divertivano a fargliela sfilare davanti. Al-
In questa basilica si custodisce una pietra sulla quale è tradizione si

M 18 S. Prisca - S. Beatrice
lora l’asino, visibilmente attratto dalle sue grazie, si agitava
sia riposato l’apostolo San Pietro mentre traversava la Penisola Salen- ragliando e scalpitando e suscitava l’ilarità generale.
tina per recarsi a Roma nel primo secolo dell’Era Volgare. In sacrestia Ancora oggi, ai ragazzini con le ginocchia piene di
poi un altro cimelio attira la curiosità del visitatore: è il ritratto dell’ar- escoriazioni in seguito a una caduta, si suole dire: “pari lu

M 19 S. Mario - S. Pia
civescovo di Otranto Stefano Pendinelli trucidato dai Turchi nel 1480 ciucciu de lu Pizzallì”.
durante l’invasione di quella stessa città. Le tradizioni gastronomiche di Galatina,
Le cento città d’Italia illustrate, Gallipoli, Nardò, Galatina ricette, usanze, personaggi,

G 20 S. Sebastiano
Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini

Lu dialettu
Detti popolari RECITA UN ANTICO PROVERBIO:

V 21 S. Agnese
“Furia francese
Na fiata ne u ‘mparaune a ‘ntre fasce e...ritirata spagnola”
cu ‘le prime filastrocche e cantilene; Lu ciucciu se canusce alle ricche, Evidentemente qui si allude alla furiosa in-

S 22 S. Vincenzo
moi ‘nvece nu vagnone, ‘npena nasce, lu fessa alle chiacchere. vasione fatta nelle Puglie -e quindi anche in
già chiance in italianu all’aspre pene! Taranto- dai Francesi, ai tempi di Carlo VIII,
Ci mpresta lu culu nu ttene cchìui
Cusì, a picca tiempu, stu dialettu, cu sse ssetta. cioè l’anno 1495; invasione che determinò
ovunque scompiglio e sbandamento nelle

D 23 S. Emerenziana
siccomu no ‘lu cunta chiui ciuvieddi, Na, na, na, comu lu piji lu mundu và: truppe Spagnuole al servizio degli Aragonesi.
s’ha ‘malazzatu a morte... e g’era crettu, lu piji a ffuttipupe (a gioco) Il detto però si usa, in genere, per indicare
se non era pe’ quattru vecchiareddi. e a ffuttipupe se ne và. che uno non porta a compimento qualche

L 24 S. Francesco di Sales - S. Babila


E propriu a stu mumentu de riflussu A vinti vagnone, a quaranta vecchiona, cosa che pure aveva iniziato con tutta buona
ca su de moda ‘e cose de u passatu, a cinquanta vecchia befana. volontà.
ca tutte ‘e cose vecchie su de lussu C. ACQUARICA, Taranto...tarantina.

M 25 Conversione di S. Paolo
sta lingua ‘ntica more? E’ nu piccatu!
Non c’è bisognu e libbri e de quaderni:
sta lingua no sse scrive, ma è vivente.
PITTA CU LLE SCARCIOPPULE

M 26 Ss. Timoteo e Tito - S. Paola


Non c’è scrittori e no’ poeti eterni;
e se oi la mpari cunta culla gente.
Ingredienti per la pizza: 500 gr. di farina, 1 cubetto di lievito di birra, acqua q. b, sale, 1 cucchiaino
A scola è senza banchi, a ‘menzu a via; di zucchero. 쐟

G 27 S. Angela Merici
ogni ristianu è nu voccabbulariu; Ingredienti per il ripieno: 8-10 carciofi, 200 gr. di carne di vitello macinato, 150 gr. di formaggio
ogni cummare face de antologgia morbido o mozzarella, sale, olio, prezzemolo, burro.
e poi ogni furese è calendariu.
Impastare gli ingredienti della pizza e ricavarne due dischi dello spessore di ½ cm. Foderare con

V 28 S. Tommaso D’Aquino
E’ bellu ‘sai cuntare l’italianu; uno di essi una teglia da forno dopo averla unta e infarinata.
te poi ‘mparare lu grecu e lu francese: Soffriggere in un tegame i carciofi mondati e tagliati a spicchi con olio e prezzemolo, farli stufare
ste lingue ‘ e cunti quannu stai luntanu. aggiungendo l’acqua calda necessaria.

S 29 S. Costanzo - S. Aquilino
Ma quai cunta u dialettu de u paese! Soffriggere in un altro tegame la carne macinata con olio e burro, spruzzarla di vino bianco e cuo-
cere per dieci minuti. Togliere la padella dal fuoco e unire la carne ai carciofi, aggiungendo il for-
VIATALE BOCCADAMO maggio o la mozzarella a pezzetti. Distribuire il ripieno sulla sfoglia, coprire con
la seconda sfoglia e spalmare la superficie con dell’olio. Mettere la teglia in un

D 30 S. Giacinta de’ Mariscotti


luogo tiepido e lasciare lievitare per 1 ora e mezza. Infornare a 180°.
Nduvinieddhru Curiosità
Il nome “pitta” che le nostre nonne davano alle varie focacce, realiz-

L 31 S. Giovanni Bosco - S. Geminiano


Ci la porta curta e rizza
si la stira, la ncarizza zate con la farina o con le patate, pare derivi dal latino picta, cioè di-
si la lluscia rreputata (apposta) pinta.
cu lla lunghisca ncannulata. In origine, infatti, alcune focacce venivano decorate e poi offerte
(barba) alle divinità femminili.

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
IL CARNEVALE A GALATINA
NELL’OTTOCENTO
Galatina, sin dai tempi remoti, ha sempre fe-
steggiato il Carnevale, dando vita attraverso il Febbraio 2011
M 1 S. Leonio
tempo, a forme spettacolari, il cui scopo era es-
senzialmente quello di divertirsi.
Le prime testimonianze le troviamo in una
pagina della “Galatina” di D. Tommaso Vanna, 쐞

M 2 Presentazione del Signore


scritta intorno al 1845. Egli, ci fa notare che,
durante il giorno, la gente si dedicava al lavoro,
mentre solo la sera passava al divertimento.

G 3 S. Biagio
Le donne portavano il viso coperto da un
doppio velo, invece gli uomini, mascherati, fa-
cevano baldoria per le strade, cercando alla

V 4 S. Gilberto
fine luoghi dove ballare.
Il Vanna aggiunge: “Giunte queste comitive
nelle case in cui si danno le feste, colui che di-
rige incomincia dal fare alcuni giri intorno alla

S 5 S. Agata
sala, saltellando in varie guise come se volesse
provare l’elasticità delle gambe; poscia invita
uno del suo crocchio a ballare insiem con lui;

D 6 S. Paolo Miki
e così si continua a due a due senza invitare
coloro che trovavansi in casa. La tarantella na-
politana e la pizzica-pizzica sono i due balli più
in uso; non mancano però le danze figurative,

L 7 S. Riccardo
valzer diversi e polche presso le persone civili”.
G.LO BUE, Lo spettacolo a Galatina

Chiesa di S. Caterina Novella detta S. Biagio Il Carnevale dei Ragazzi M 8 S. Girolamo E.


M 9 S. Apollonia
Magnifica costruzione iniziata verso il 1507 a cura dei Padri Olivetani allorchè addivennero al Il Carnevale continuò a vivere nei cuori dei ga-
concordato con i frati Francescani, cedendo a questi ultimi il convento e la chiesa di S. Caterina latinesi e nel 1982 ci fu una grossa novità: viene
e mantenendo l’amministrazione dell’ospedale omonimo.

G 10 S. Arnaldo
organizzato Il Carnevale dei Ragazzi per iniziativa
Detta chiesa fu da essi denominata Santa Caterina Novella, data la rinomanza del tempio di S. delle maestre dei tre circoli didattici, insieme ai
Caterina, e non fu ultimata in tutte le sue parti, specie nel prospetto e nel campanile. Dal popolo genitori e all’Amministrazione Comunale.
tuttora è chiamata dei Bianchini, dal colore del saio degli Olivetani. La prima edizione, anziché svolgersi per le stra-

V 11 N.S. di Lourdes
L’Ordine fu espulso nel 1866, e tanto il parco quanto il convento furono acquistati dai privati. de di Galatina, a causa della pioggia, si concluse
La costruzione all’interno è, nelle linee generali, di stile rinascimento e, per la sua vastità, non- nel Cavallino Bianco. Vi fu un super affollamen-
chè per il materiale impiegato, davvero grandiosa. to a tal punto che alcuni genitori abbandonarono

S 12 S. Eulalia
Le vistose rendite dei beni dell’ospedale di S. Caterina dai frati per molti anni furono impie- la sala, temendo il peggio.
gate per la costruzione della chiesa, che non ebbero modo neanche di ultimare. Fu qualcosa di veramente spettacolare, a causa
Sorge fuori le antiche mura a circa mezzo chilometro dalla porta di S. Pietro, denominata soprattutto dell’entusiasmo e del trasporto da
“Nuova”, quasi all’estremo di un sollevamento del terreno. Anche in questa chiesa, come nelle parte dei genitori che ammiravano l’esibizione dei

D 13 S. Benigno
altre più importanti di Galatina, non mancarono i benefizi ecclesiastici e le cappellanie locali, fon- propri figli. Lo spettacolo era essenzialmente co-
date durante tutto il medioevo molto frequentemente e con ricchezza di legati. Infatti ogni altare stituito dalle maschere coloratissime dei bambini
aveva il proprio beneficio o legato pio, di patronato di varie famiglie della città. che “facevano scena” ma si sentiva l’assenza del

L 14 S. Valentino
Non pochi di detti benefici servivano per procurare ai giovani di povere famiglie il patrimo- vero divertimento, semplice e spontaneo che
nio necessario per ascendere al sacerdozio. aveva caratterizzato il Carnevale degli anni cin-
M. MONTINARI, Storia di Galatina a cura di A. Antonaci quanta e sessanta.

M 15 S. Faustino
In quel periodo era sufficiente indossare un ve-
stito vecchio della sorella o i pantaloni del padre,
I carri allegorici del Rione Italia oppure portare una gobba finta o un paniere vec-
RECITA UN ANTICO PROVERBIO: chio e rotto per fare baldoria e divertirsi un

M 16 S. Eriberto
I carri principali, in quella domenica, 13 feb-
braio 1983, comprendevano: una “lenta tartaruga” mondo. In sostanza, allora, non vi era nè compe-
che rappresentava la lentezza burocratica del-
“Sparagna de lu musu, tizione, nè selezione ma veramente ragazzi felici
l’Amministrazione Comunale; il “caos ospeda- cu ti menti susu” perchè erano loro i veri protagonisti e non i ge-

G 17 S. Donato M.
liero”; la “crisi petrolifera” e, infine, chiudevano la nitori.
sfilata tantissimi altri carri allegorici. Un tempo di risparmi sul mangiare la Nella seconda edizione del “Carnevale dei Ra-
Oggi, a Galatina, continua la tradizionale sfilata gente ne faceva molti, talvolta volontari, ma gazzi”, febbraio 1983, il primo premio fu asse-
dei carri allegorici, mentre il Carnevale dei ragazzi molto spesso forzati. Anche chi in pubblico gnato al grande complesso di maschere “Marco

V 18 S. Simeone
terminò dopo pochissimi anni, senza lasciare eco, dava l’impressione con il suo abbiglia- Polo”, ma sicuramente non furono di meno:
proprio perchè veniva meno lo spirito culturale e mento di essere una persona stranamente “Biancaneve e i sette nani”; “Cenerentola”; “i tre
tradizionale del Carnevale: divertirsi tutti. facoltosa per le sue condizioni sociali, pro- porcellini”; “il verde”; “i cibi sani”; “lo sport”; “ gli

S 19 S. Corrado
G. LO BUE, Lo spettacolo a Galatina prio quello si sottoponeva ad enormi sacri- spettacoli”; “i pastelli”; “le matite”; “i soldatini in
fici, soprattutto alimentari, se è vero il marcia”; “charleston anni trenta”; “la primavera”
Antiche usanze proverbio: “sparagna te lu musu, cu te
menti susu” (risparmia dal mangiare, per
e tanti altri gruppi mascherati che hanno parteci-
pato con un iniziale entiusiasmo, troncato poi,

D 20 Sant’Eleuterio
La cupa-cupa: è uno strumento rudimentale un metterti vestiti buoni addosso). dalla mancata buona classificazione.
tempo usato a Marittima in particolare durante il Il principio base di questo comporta- Nel 1986 il Carnevale dei Ragazzi, svoltosi nella
periodo carnevalesco, una pignatta di terra cotta, mento anche oggi molto diffuso, consiste grande struttura della Mostra Mercato di Galatina,

L 21 S. Pier Damiani
(o un recipiente cilindrico in rame e legno), sul- nel sacrificarsi nella vita privata rinun- si svolse sempre nello stesso modo: rappresenta-
la cui imboccatura è distesa fortemente della pel- ciando alla buona tavola, ai divertimenti zione allegorica dei mali della società (inquina-
le di animale, attraversata da un bastone al cen- ecc. per poter poi effondere su se stessi mento, violenza, mafia, droga e immoralità) con

M 22 Cattedra di s. Pietro
tro. Il suonatore comincia prima col sputarsi due quello che si è risparmiato, e nei rapporti grande spreco di denaro per i fastosi costumi.
o tre volte nelle mani, e poi prendere ad alzare ed sociali della propria vita pubblica. I con- Anche questa volta il divertimento era solo assi-
abbassare questo bastone nella pignatta con tut- tatti con gli altri sono fattori importantis- curato agli spettatori, mentre i protagonisti, (un
ta la sua forza, producendo un rumore assordan- simi in quanto da essi dipende il prestigio, migliaio di ragazzi), portavano a spasso un perso-

M 23 S. Policarpo
te e strano”. naggio, subendone il ruolo, senza sentirlo e senza
Nel passato, la sera dell’ultimo giorno di carne- la credibilità, il rispetto dell’individuo visto
sempre nella comunità di paese. divertirsi; sui loro visi si leggeva solo voglia di
vale, si usava spesso organizzare a Marittima un porre termine al più presto a quella manifesta-
corteo funebre di maschere, che, afflitte e compun-

G 24 S. Fortunato
L. BIANCO, Le tradizioni popolari zione che entusiasmava solo gli adulti.
te, attraversavano le vie del paese, portando a spal- di Aradeo e dei paesi vicini
la la bara di un simbolico carnevale morto. Al lume G. LO BUE, Lo spettacolo a Galatina
di alcune torce, di tanto in tanto, esse intonava-

V 25 S. Costanza
no coralmente particolari litanìe col lugubre accom-
pagnamento della cupa-cupa. In altre circostanze,
questa veniva utilmente usata per scandire il rit-
CUPÈTA
mo di alcune canzonette eseguite con mandolini 쐟

S 26 S. Nestore
e chitarre. Attualmente, nell’ambiente, non resta-
no tracce dell’antico strumento. Ingredienti: ½ Kg di mandorle sbucciate, ½ Kg di zucchero.
A. QUARANTA, Marittima un paese del Salento Ungere con un pennello un piano di marmo di olio oliva. Tostare le mandorle nel forno. A parte, in

D 27 S. Onorina
una pentola a fondo spesso, sciogliere lo zucchero girando continuamente per evitare di farlo attac-

Detti popolari
care. Quando lo zucchero è sciolto, aggiungere le mandorle intere e appena il composto ha raggiunto
il caratteristico colore caramellato, versarlo velocemente sul piano di marmo e aiutandosi con il batti-

L 28 S. Romano abate
carne cercare di stenderlo. Prima che si raffreddi dividerlo in piccoli pezzi con un coltello molto ta-
gliente.
Ogni pulice tene la tosse, Curiosità
lu cchiù picciccu Anticamente questo croccante veniva tagliato dando forme diverse: il cavallino per regalarlo ad un
la tene cchiù crossa. giovane prossimo alla partenza militare; nel frattempo, avrebbe ricordato il profumo di caramellato che
si spargeva per la casa; il pulcino e la “pupetta” (bambolina) per i bambini; il cuore per gli “ziti” (in-
Intrhu a nu corpu stortu, namorati). La “cupèta” veniva incartata con la foto della “zita” in una bella carta co-
l’anima nu pote lorata e chiusa con un nastro di colore vivace. Era un messaggio d’amore autentico,
stare deritta. che non aveva bisogno di parole. Questi cuori di “cupèta” con al centro il ritratto
di una ragazza, per anni sono stati venduti nelle fiere delle feste patronali.
A ci se stuscia cu ll’ortica Ancora oggi il profumo della “cupèta” è sinonimo di allegria, di frastuono
lu culu li uschia. di bande e di luminarie accese. Il termine “cupèta” deriva da “cupeddia”
un nome dato dagli antichi Romani ad una pasta cotta con zucchero
De la beddhra e mandorle. Anche la parola Araba “qubbaita” indica un dolce molto
ài na feddhra, simile alla “cupèta”.
de la brutta l’ài tutta.

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
Marzo 2011
Sport e scazzottate
La guerra d’Africa del 1935 fu uno sfogo alla
disoccupazione (l’emigrazione “in divisa”). Anche
molti che fascisti non erano, dovettero prendere

M 1 S. Albino
la tessera del partito (“la tessera del pane”), in-
dossare la camicia nera e andare oltremare per
sfamare se stessi e la propria famiglia.

M 2 s. Basileo martire
Le squadre di calcio disputavano i loro incontri
nell’attuale Piazza Cersari (prima ancora “su San Se-
bastiano”). Il regime fascista curava molto lo sport e
molte furono in quel tempo le squadre di calcio di

G 3 S. Cunegola
cui si ricordano in particolare -oltre la “Pro Italia” e
la “Galatina”- la “Fascista”, la “Fiume”, la “Starace” e
la “Rondinella”.

V 4 S. Casimiro
A proposito della “Fiume”, un nome che può
sembrare strano, questa era ispirata dai Legionari
Fiumani (quelli di D’Annunzio) che a Galatina
avevano avuto una loro presenza e che avevano 쐞

S 5 S. Foca
mantenuto una certa autonomia rispetto ai fasci-
sti. La squadra, infatti, fu creata in opposizione
alla “Fascista”. Memorabili furono i derby tra la

D 6 S. Marziano
“Fascista” e la “Fiume” che spesso si conclude-
vano con gigantesche scazzottate.
La “Fascista” indossava una maglia gialla; la

L 7 S. Perpetua
“Starace”, bianco-rossa orizzontale; la “Fiume” az-
zurra; la “Rondinella”, celeste.
C. CAGGIA, Cronache galatinesi

GARIBALDI E I VOLONTARI GALATINESI


Militari galatinesi, anni ‘60
M 8 S. Giovanni di Dio / Festa della donna
M 9 Le Ceneri
Cartelli tricolori inneggianti
La morte di Ferdinando II, avvenuta in Caserta il 22 maggio 1859, mentre determinava l’ascesa a Garibaldi
al trono dell’incapace Francesco II, l’effettivo controllo della Stato trasferiva nelle mani dei Mini-

G 10 S. Emiliano
stri, segnatamente del nostro Liborio Romano e, favorendo il ritorno degli esuli e dei confinati Le indagini poliziesche per l’identificazione
politici, preludeva all’imminente riscatto del Mezzogiorno dalla schiavitù borbonica. dei responsabili procedevano ancora nel buio
Garibaldi, preceduto dal Crispi che gli forniva un motivo d’intervento attraverso la riuscita sol- quando il mattino del 15 luglio successivo ap-
parvero nuovi cartelli tricolori con le scritte:

V 11 S. Costantino
levazione dei propri corregionali, raccolte le sue mille camicie rosse, si avviava a compiere l’im-
presa leggendaria. Le notizie della sua rapida e vittoriosa campagna siciliana suscitano entusiasmo Viva l’indipendenza italiana, Viva Garibaldi,
e richiamano nuovi volontari: tra essi i galatini Gioacchino Toma, pittore, Pietro Andriani, sacer- Viva la Sicilia che provocarono nuove inchieste
dote, e Antonio Contaldo, pellettiere. La penna del primo, come già il pennello, condenserà nelle e prove calligrafiche ma non lasciarono affio-

S 12 S. Massimiliano
pagine garibaldine del suo impareggiabile Ricordi di un orfano, gli aneliti di libertà della nostra rare il benché minimo indizio.
gente e l’ardore dei protagonisti, noti ed oscuri, di quella epopea. Imbaldanziti per queste prime affermazioni
La trionfale marcia di Garibaldi riempiva di esultanza i patrioti e, particolarmente gli studenti gli studenti, in attesa di una grande dimostra-

D 13 Iª di Quaresima
che in gran numero confluivano in Galatina fin dal 1854, da quando, cioè gli Scolopi vi avevano zione patriottica, si dettero a fabbricare bandie-
impiantato tutti i corsi ginnasiali ed il convitto. Pertanto,nella notte tra il 9 e il 10 giugno 1860, rine, nastri e coccarde tricolori, mentre in casa
svolgendosi la fiera del Corpus Domini, sulla porta del magazzino di D. Pietro Tundo, posto al del futuro publicista Fedele Albanese, si confe-
Largo S. Domenico, mano ignota affisse un cartello riproducente il proclama di Garibaldi: “Po- zionava un grande stendardo. L’occasione 쐡

L 14 S. Matilde
poli Napoletani, finalmente dopo 18 ore di fuoco vivo, sono entrato nella capitale della Sicilia giunse il 10 settembre con la notizia ufficiale
mercé i gloriosi sforzi dei prodi volontari i quali combattono per i vostri altari, per i vostri figli, per dell’entrata di Garibaldi in Napoli, ma quando
le vostre spose, per le vostre dimore, per la vostra gloria, per la vostra nazionale Indipendenza. Fi- l’Albanese, da una improvvisata tribuna si ac-
date in Dio, siate concordi, bandite le ire cittadine, ed il sangue dei vostri tiranni laverà l’infa-

M 15 S. Cesare
cingeva a parlare ai compagni, convenuti al
mia che vi ha coverti sino al presente”. Largo dei Bianchini, intervenne il reazionario
M, MONTINARI, Storia di Galatina a cura di A. Antonaci scolopio Padre Serrao che con l’aiuto dei decu-
rioni sciolse l’assemblea.

M 16 S. Eriberto V.
Le filastrocche RECITA UN ANTICO PROVERBIO:
Quello che non era riuscito agli studenti fu
però attuato il giorno dopo dal frate cappuc-
del Martedì grasso “Signore pruvvedi li pruvveduti, cino P. Giacomo Galignano. Quell’11 settem-

G 17 S. Patrizio
ca li spruvveduti su mparati” bre, difatti, assolti i propri doveri monastici, P.
1 Cusì more Carnevale (Signore provvedi i provveduti, Giacomo, cinto di sciabola e di sciarpa trico-
e ne fannu u funerale perché gli sprovveduti sono abituati) lore, si pose alla testa della cittadinanza, la con-
ta prule era natu dusse per le vie cittadine fino al Largo dei

V 18 S. Cirillo di Ger.
e intra a prule è tturnatu. La società contadina cioè, più che chiedere Cappuccini e qui la arringò patriotticamente,
a Dio maggiore giustizia sociale: che i ricchi con grave scandalo dei suoi superiori.
2 Carnevali meu chinu te mbroje, (i provveduti) dessero ai poveri, chiedeva in-
osce mmaccarruni M, MONTINARI, Storia di Galatina

S 19 S. Giuseppe
e craj mancu foje. vece che li provvedesse e li arricchisse an- a cura di A. Antonaci
cora di più, portando come motivo che i
3 Carnevale miu percè si mmortu ricchi, appunto perchè tali, non saprebbero
Nduvinieddhru 쐠

D 20 IIª di Quaresima
pane e vinu nu te mancava vivere ed adattarsi ad una vita da poveri. Essi
insalata tenivi all’ortu infatti non avendo mai avuto ristrettezze eco-
Carnevale miu percè si mmortu. Pindìnguli Pindànguli ppendìa
nomiche e fame non saprebbero sopportare
i sacrifici che una improvvisa povertà arre- a mmienzu a ll’anche de lu nanni mia

L 21 S. Benedetta
Afflitti e sconsolati i cittadini partecipavano iu scìa nni lu tuccàva
al funerale del Carnevale e manifestavano il cherebbe loro. I ricchi non conoscevano la
loro dolore recitando queste filastrocche, mortificazione, e difatti esisteva addirittura la iddhru nun bulìa
mentre la Quaresima, che seguiva il feretro, possibilità legale di esimersi anche dal dovere pindìnguli pindànguli ppendìa.

M 22 S. Benvenuto
era già pronta a prendere il posto del Car- del digiuno Quaresimale. All’inizio della Qua- (corona del rosario)
nevale. resima infatti, molti ricchi si recavano dal Par-

Detti popolari
C’era una volta... roco, e dopo aver dato una grossa offerta in
Ovvero le tradizioni in cattedra

M 23 S. Turibio
danaro alla Chiesa, il prete li esentava dal-
a cura della Prof.ssa Mariateresa Merico l’obbligo del digiuno e talvolta anche dal-
l’astinenza. Ciò sottolinea la veridicità di quel
proverbio e la norma che tutto è possibile per Vane alla zzia e vidi se tene “nu ntartieni”.
LA PENTOLACCIA
G 24 S. Fortunato
chi ha soldi. Infatti si dice anche: Se nu n’ede pane ede minescia.
La domenica che segue il mercoledì delle Ceneri “ci ave, ete (chi ha, è)”, Ci fiaccu sente, fiaccu respunde.
è chiamata la domenica della mollica fritta, che sosti- “ci ave, face na nave” (chi ha, fa una nave) Cu ti cascia na sajetta e mai sia se te canna.

V 25 Annunciazione M.V.
tuiva il formaggio come condimento della pasta in Ti fazzu lu culu a friseddhra.
periodo Quaresimale. Infatti quando la pasta (natu- L. BIANCO, Le tradizioni di Aradeo
e paesi vicini Ce c’entra lu culu cu lle quatthru tempure.
ralmente fatta a casa) si mangiava solo una volta la
domenica, oggi era la prima volta che la si condiva

S 26 S. Eginardo
con la mollica fritta.
Ma al di là della gastronomia, questa domenica è
comunemente denominata “la pignata” (la pentolac-

BUCATINI, PAMPASCIUNI E SARDIZZA


D 27 IIIª di Quaresima
cia). In questo giorno cioè, nonostante le “cu-
remme” appese, le prediche Quaresimali, i tabù
alimentari, la “cennareddhra” del mercoledì ecc., vi
è come un rigurgito del carnevale morto. Prima che Ingredienti: ½ kg di bucatini, 300 gr. di pampasciuni, 300 gr. di salsiccia fresca (fatta con

L 28 S. Sisto III Papa


da circa dieci anni, i veglioni, le discoteche ed i dan- carne mista di vitello e maiale e aromatizzata con buccia di limone, sale e pepe), ½ cipolla,
cing monopolizzassero quasi tutti i divertimenti di formaggio pecorino grattugiato, prezzemolo tritato, vino rosso, peperoncino.
carnevale, in questa domenica la gente organizzava Pulire i “pampasciunu”, lessarli in abbondante acqua salata e poi schiacciarli con i rebbi
festini con musiche e balli, e nel culmine di queste della forchetta. Far rosolare in un largo tegame, mezza cipolla tritata e il peperoncino in ab-

M 29 S. Secondo
festicciuole serali si rompeva la pignata tra la gioia bondante olio, aggiungere la salsiccia spellata e sbriciolata e i pampasciuni schiacciati. Spruz-
di piccoli e grandi. Anche al riempimento della pi- zare del vino rosso e cuocere per un quarto d’ora. Lessare i bucatini, scolarli e
gnata con dolciumi, uva passa, fuchi secchi, ecc. mescolarli all’intingolo preparato. Spolverare con il formaggio e il prezze-

M 30 S. Guido
partecipava tutto il vicinato nel quale si teneva il fe- molo tritato, impiattare e servire ben caldo.
stino, e spesso questo si chiudeva con una bevuta
generale di vino offerto da tutti i vicini. Durante que- Curiosità
st’ultimo festino poi sotto l’occhio vigile ed attento

G 31 S. Beniamino
Le nostre nonne, quando preparavano le cipolline salvatiche dette
di mamme silenziose, nascevano nuovi amori e cor- “pampasciuni”, ne mettevano alcune da parte per arricchire, al-
teggiamenti tra i giovani che spesso si concludevano
con il fidanzamento. l’indomani, una frittata che, grazie a questo particolare ingre-
diente, assumeva un gusto davvero speciale.
L. BIANCO, Le tradizioni popolari di Aradeo
e dei paesi vicini

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CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
Aprile 2011
La Chiesa dell’Addolorata in Galatina: l’interno
Il canonico Moro osservò nella sua descrizione che la chiesa dell’Addolorta ha la forma di un “paralle-
logrammo”, e ne dà anche le misure. “Questa (chiesa) ha la lunghezza di cinquantacinque palmi napole-
tani, sessanta circa formano la sua altezza e trenta la sua larghezza”. Questi dati si riferiscono alla struttura
originaria della fabbrica.

V 1 S. Ugo
La volta a tetto fu ricoperta nel 1756 da un cielo appeso in stucco. I posteriori abbellimenti del 1780 pro-
curarono l’indoramento degli stucchi e sei medaglioni di forma ovale, tre per ciascuna delle due pareti la-
terali, dove, in epoca successiva, si collocarono le sei tele della “Via Matris”. Il cielo appeso fu di nuovo

S 2 S. Francesco di P.
restaurato nel 1932 dal prof. Pietro Della Gatta.
Dalla relazione del can. Moro si apprende inoltre che esistevano “ventidue specchi situati ai fianchi” dei
sei medaglioni.
Di particolare interesse sono le sei tele della “Via Matris”, che già esistevano alla fine del Settecento. Esse

D 3 IVª di Quaresima
raccontano alcuni episodi tratti dal Vangelo; e precisamente: la Circoncisione, la fuga in Egitto, la disputa
di Gesù con i dottori nel Tempio, il viaggio al Calvario, la crocifissione e la sepoltura del Signore.
La Chiesa dell’Addolorata è ricca di tele. Si può dire anzi una delle poche chiese di Galatina che pos-

L 4 S. Isidoro
sieda un rilevante patrimonio pittorico. S’intende che si sarebbe desiderato, come osserva la stessa cronaca
del sacerdote galatinese, “un altro pennello più diligente e finito”. Certamente, però, i quadri della “Via Ma-
tris” sono molto più curati delle quattordici tele della “Via Crucis”. Vi è, ad esempio, la crocifissione della

M 5 S. Vincenzo F.
serie della “Via Matris”, che è davvero bella per lo studio anatomico e l’espressione dei volti. Le sei tele della
“Via Matris” e le quattordici tele della “Via Crucis” furono personalmente e gratuitamente restaurate, alcuni
anni or sono (1957), dalla contessa Maria Caracciolo Mongiò, con competenza e gusto degni d’attenzione.
Su ciascuna delle due pareti laterali è stato recentemente ricavato lo spazio per la costruzione di due al-

M 6 S. Diogene
tari dedicati a due santi devoti dei Dolori di Maria: S. Gabriele dell’Addolorata e S. Gemma Galgani (attuati
e donati dal prof. Carmelo Faraone).
Il palco dell’organo

G 7 S. Giovanni Battista de La Salle


Prima di lasciare la zona del presbiterio, volgendo le spalle all’altare maggiore, si può osservare, addos-
sato al retrospetto della chiesa, il palco dell’organo.
La chiesa ne fu dotata fin dalle origini, come annota la relazione del can. Moro. L’organo e la cantoria

V 8 S. Alberto
(od orchestra, come veniva chiamata) furono rinnovati nel 1850, per la munificenza del cassiere del Soda-
lizio, Pietro Baldari, il quale offrì un organo di sua proprietà (ed è quello ora esistente, di grande valore) e
rifece a sue spese tutto l’ambiente della cantoria, che poggia su colonne in pietra leccese, riccamente scol-
pite e decorate, che s’innalzano dal piano terreno della chiesa e sostengono tutto il palco che riempie l’in-

S 9 S. Maria Cleofe
Gruppo familiare galatinese, 1935
tero retrospetto della navata. Infine, è da rilevare il valore artistico delle tre sedie per i celebranti, situate
“in cornu epistolae”. Il disegno di queste sedie (come di quattro specchi che adornano le pareti della na-
vata) si attribuisce a Pietro Cavoti. Passata è la Curemma

D 10 Vª di Quaresima
La navata laterale Nc’è quiddhu ci desidera lu pane
e spetta lu suffraggiu de la gente
Non si può chiamare navata minore in senso vero e proprio, perchè si tratta di un adattamento della zona a n’angulu de strata, comu cane:

L 11 S. Stanislao
dell’antica sacrestia. Il lavoro di restauro e di ampliamento di quest’ala sinistra della fabbrica fu fatto in di- Ma la Superba passa ndifferente.
verse riprese e completato dal 1958 in poi, sotto l’amministrazione dei confratelli Pietro Ancora, Luigi Bel-
lone e Marino Carrozzo, con l’apporto di una rilevante e decorosa trasformazione di tutto l’ambiente, Quiddhu de la pietà stende le mane,

M 12 S. Zenone
arredato con sedie-inginocchiatoi di lusso. Progettista e direttore dei lavori è stato l’ing. prof. Piero Piscopo. le ricche tene quista ma nu ssente.
Si è venuta a creare così una tipografia della chiesa del tutto particolare. Sònanu intantu tutte le campane
L’ingresso, che si è aperto dalla Piazza Aligheri, con un ampio portone (dono della contessa Maria Ca- la menzadìa de Pasca, allecramente.
racciolo Mongiò) ricalcato sullo stile delle antiche porte del frontespizio, dà possibilità di entrare in chiesa

M 13 S. Martino I, papa
da questa nuova ala e di seguire con comodo tutte le funzioni che si svolgono nella zona del presbiterio. Passata è la Curemma e le cucine
In questo ambiente è stato costruito anche un altare, per devozione della famiglia di Pietro Siciliani, de- già fùmanu de rrusti e de fritture.
dicato a Cristo Morto. Al di sopra della mensa, incastrata nel muro, è una nicchia in cui è custodita la sta- Ma lu ddesciùnu maru e senza fine

G 14 S. Lamberto
tua (in cartapesta) di Cristo Morto, visibile attraverso la custodia in vetro. Anche questa statua è molto
venerata dai fedeli, specialmente nel periodo di Passione, ed è portata in processione dai Confratelli del- pe vui nu cessa, o dèbuli criature
l’Addolorata, la mattina del Sabato Santo. Accanto a questo altare è la lapide con cui gli antichi confratelli de la via...Cusì la vita: Spine
dell’Addolorata vollero tramandare ai posteri la data del riconoscimento giuridico del loro Sodalizio da parte senza speranza e sazzità sicure!

V 15 S. Annibale
di Ferdinando IV di Napoli...
A. ANTONACI, La Chiesa dell’Addolorata in Galatina C. DE PORTALUCE “A tiempu persu”, 1927

RECITA UN ANTICO PROVERBIO:


“Inthru la ventre de la vacca” Detti popolari Antiche usanze pasquali
La grande festività è sempre preceduta dalle
pulizie pasquali, che in ogni famiglia si fanno
S 16 S. Bernardetta
D 17 Le Palme
Nuotare nell’abbondanza.
Lu ciucciu d’oru camina an carrozza. in ansiosa attesa della visita del sacerdote che,
E’ noto che gli animali di razza bovina dopo Pasqua, secondo consuetudine, passa a
hanno un complicato e ricco apparato di- Fanne comu ti fannu, ca nu nn’ede peccatu.
benedire le case con l’acqua santa. Sono riti di
gerente; possiedono cioè quattro stomachi Perdunare è dde cristiani, rescurdare

L 18 S. Galdino
purificazione che sopravvivono per antica tra-
denominati. òmaso, abòmaso, reticolo e è de picaruni (imbecilli). dizione. Con l’approssimarsi della Santa Pa-
quaglio. Vucca china nu pote dire none. squa, la gente, quasi al completo, cerca di

L’ORIGINE DELLA CUDDHRURA


C. ACQUAVIVA, Taranto...tarantina riconciliarsi con Dio, accostandosi ai sacra- 쐠

M 19 S. Espedito
Se cade l’arciprete ede discrazzia,
se cade lu sacristanu scìa mbriacu. menti della Confessione e della Comunione,
secondo il precetto della Chiesa.
Per scoprire l’origine di questa tradizione bi- In tempi non molto lontani, durante

M 20 S. Sulpizio
sogna quasi certamente risalire ai primi tempi la Settimana Santa, quando di solito le
del cristianesimo quando per la Comunione campane tacciono in segno di lutto,
non si usavano ostie, ma pane benedetto, a I piatti di grano erano i bambini ad annunciare per le

G 21 S. Anselmo d’A.
frantumi. I pani che restavano venivano poi di- germogliato strade del paese l’inizio delle funzioni
stribuiti come supplemento agli stessi fedeli o religiose con le gracchianti raganelle
a coloro che, per varie cause, non si erano co- Molte tradizioni pasquali sono (trènule) ed i rumorosi tric-trac (assi di
municati. avanzi di riti e solennità greche e legno rettangolari muniti di battenti di

V 22 S. Leonida
L’uso del dono si estese sempre più ed a romane sopravvissute al tempo. ferro). Quei rumori rompevano il re-
poco a poco perdette il carattere sacro, si tra- Così i piatti di grano germogliato ligioso silenzio, spandendo, nell’aria
sformò nello uso profano delle cuddhrure o di portati in chiesa per ornare il sepolcro, e nel cuore, un’atmosfera di mestizia.

S 23 S. Giorgio
altri dolciumi popolari tipici di questo periodo. richiamano alla memoria l’usanza delle Q. QUARANTA,
Alla cuddhrura è dedicata quella filastrocca giovinette romane di portare le primizie Marittima un paese del Salento
galatinese che suona: del grano novello in onore di Cesare.
Sabatu Santu currendu currendu

D 24 Pasqua di Resurrezione
le caruse vanu chiangendu
vanu chiangendu cu tuttu lu core
Sabatu Santu cuddhrure cu l’ove.

COSTOLETTE DE CAPRETTU A FRICASSÈ L 25 Lunedì dell’Angelo, S. Marco evang.


Nduvinieddhru

M 26 S. Cleto
Tegnu na cosa buttuni buttuni
la calu a lla cazzalora Ingredienti: ½ kg di costolette di capretto, 6 carciofi, due uova, prezzemolo tri-
e cacciu li mmaccarruni.
(scolapasta) tato, aglio, pecorino grattugiato q. b., olio, sale, limone, vino bianco.

M 27 S. Zita
Rosolare in una padella le costolette con olio e 2-3 spicchi d’aglio, sfumare con il
vino bianco evaporato, unire i carciofi, precedentemente puliti tagliati a spicchi e sbol-
Le cuddhrure lentatati in acqua, sale e limone. Aggiungere prezzemolo tritato, acqua calda q. b. e

G 28 S. Pietro Chanel
rustiche e duci cuocere per un quarto d’ora. Infine sbattere le uova, unire del pecorino grattugiato
e aggiungere il tutto alle costolette e far rapprendere a fuoco basso.
Nel Salento sulla tavola della “pascareddhra” non
può mancare sia la cuddhrura rustica che quella L’agnello pasquale

V 29 S. Caterina da Siena
dolce decorata con uova sode che rappresentano il Nel Salento il pranzo festoso pasquale è interamente a base di
simbolo della fecondità. La “cuddhrura” rustica rea-
lizzata o a canestro o a paniere è impastata con fa- agnello (al sugo, al forno, in umido). A fine pranzo viene servito
rina, sale, lievito, olio e cipolla tritata. La “cuddhrura anche “Lu pecurieddhru duce”. L’agnellino dolce realizzato con

S 30 S. Pio V, papa
duce” è di pasta frolla impastata con farina, strutto, pasta di mandorla viene fatto spesso in casa con le formelle di
lievito, zucchero, uova, e ha diverse forme: la pupa gesso e con la ricetta tramandata dalla nonna. La pasta di
(bambola), lu panarieddhru (cestino), lu caddhruzzu
(gallo), lu core (il cuore). A colazione gli anziani in- mandorla viene messa nello stampo, farcita con faldac-
zuppavano la cuddhrura rustica nel vino. Quella chiera, perata, pan di spagna imbevuto di un liquore a
dolce, a forma di cuore, veniva regalata dalle ra- piacere e poi ancora ricoperto di pasta di mandorla
gazze ai propri fidanzati. Le nostre nonne abbelli-
vano le “cuddhrure duci” con pezzetti di stoffa e prima di essere capovolto su un piatto di portata.
nastri colorati prima di infornarle.

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
IL BALLO NUZIALE
Dopo il banchetto era d’uso ballare e dama fissa
di tutti gli invitati era la sposa. La musica che accom-
pagnava era quasi sempre quella del tamburello e
della fisarmonica, si ballava la tarantella o la pizzica-
Maggio 2011
D 1 S. Giuseppe / Festa del Lavoro
pizzica e, in tempi più vicini a noi, la mazurca, il fo-
strò, la quadriglia.
La sposa veniva nuovamente posta al centro della

L 2 S. Atanasio
sala, tutta ornata, e accanto a lei lo sposo, il compare
e la paralinfia.
Per ogni ballo il cavaliere era obbligato a mettere
tra le pieghe del corpetto della sposa un regalo in

M 3 Ss. Filippo e Giacomo


denaro che, all’inizio di questo secolo, variava dalle
due alle cinque lire. Agli intervenuti si offrivano “i
complimenti”: dolci, rosolio, caffè, dolcetti fatti in
casa, spumoni, cupeta, ciambelle zuccherate e con- 쐞

M 4 S. Silvano
fetti colorati o bianchi, che dagli sposi venivano di-
stribuiti con un cucchiaio dorato.
Ci si intratteneva anche per guardare i regali ap-

G 5 S. Teodoro
positamente esposti in una stanza e, quando le
danze avevano stremato tutti, sposi e invitati si rin-
novavano gli auguri e si licenziavano.
La mattina del giorno successivo la madre o la

V 6 S. Giuditta
suocera portava agli sposi una focaccia o una frit-
tata che deponeva tra i guanciali del letto degli
sposi. Questa usanza, che non era però generaliz-

S 7 S. Augusto
zata, non ha certo bisogno di spiegazioni, anche se
Matrimonio salentino, 1939 affonda le sue radici nella cultura romana: una delle
forme per celebrare le nozze, presso i Romani, era
Il letto nuziale quella solenne della “confarreatio”, e durante questo

D 8 S. Vittore
Era formato da trespoli di ferro, chiamati cestieddri, su cui poggiavano tavole di legno. Su rito vigeva l’uso che gli sposi rompessero e mangias-
queste veniva steso un grande materasso (lu saccune) di pannocchie secche sul quale venivano sero una focaccia consacrata: farreus cibus. Comun-
posti materassi di lana o de crinu. Lasciamo indovinare la vertiginosa altezza del talamo, che ri- que è evidente la differenza tra le due usanze:

L 9 S. Luminosa
sultava così alto che spesso gli sposi dovevano ricorrere all’aiuto di uno scannetto per potervisi presso i Romani assumeva un carattere augurale-re-
coricare, A conti fatti l’altezza totale dell’assieme poteva aggirarsi sul metro e mezzo... ligioso, presso i nostri antenati aveva solo un carat-
E così, sotto il letto, si riponeva un curioso lettuccio, la carriola, fornito di rotelle, che veniva tere alimentare.
tirato fuori la sera per coricarvi i piccoli e rimesso a posto l’indomani mattina... Il viaggio di nozze era praticamente sconosciuto.

M 10 S. Alfio
Ma anche se non vi fosse la carriola, si riponevano il vaso da notte, lo scannetto per salire, le L. ELIA, Salento Addio
varie capase contenenti frise o fichi secchi o olive, le damigiane di vino, utensili vari e cassette.
Tutto era poi nascosto ad arte, dalle abbondanti coperte che scendevano da ambedue i lati del-
Nduvinieddhru 쐡

M 11 S. Francesco di Ger.
l’affollato letto...
Il letto nuziale doveva essere scaramanticamente allestito e apparecchiato dai parenti della Vi lu dicu, beddhre strie (ragazze)
sposa ed era frequente lo scherzo di mettere qualche spina tra le lenzuola. La sposa accorta do- la prima mi dozze puru a mmie,
veva, prima di coricarsi, frugare tra le lenzuola per togliere questi corpi estranei altrimenti sareb- dopu ca m’aggiu mmaritata

G 12 S. Pancrazio
bero state punture e...dolori... m’aggiu bella bbituata.
L. ELIA, Salento Addio (anello nuziale)
Il regalo della suocera

V 13 S. Emma
Al pranzo intervenivano oltre agli sposi e ai genitori, i parenti e gli
amici più intimi. In attesa che si prendesse posto al tavolo, gli invitati

S 14 S. Mattia ap.
si ristoravano con il rosolio o con il vino, contemplando la sposa che
si era accomodata nella stanza e se ne stava lì, seduta “tutta parata”, con
atteggiamento composto, senza preoccuparsi del gran da fare delle
donne affaccendate per il pranzo.

D 15 S. Torquato
“La sposa parata nu lava e nu scupa la casa
nu conza lu liettu o “ccogghe roba spasa”.
Prima di prendere posto a tavola, la suocera era solita appendere

L 16 S. Ubaldo
alle orecchie della fanciulla dei lunghi pendenti, detti “alla pompeiana”,
e le legava lu “lazzu”, una collana d’oro molta lunga con pendaglio.
L. ELIA, Salento Addio

M 17 S. Pasquale B.
RECITA UN ANTICO PROVERBIO:

M 18 S. Giovanni I Papa
“Rimase comu la zzita parata”
Narrano le antiche...cronache che a Pulsano, villaggio a circa 15
km. da Taranto, durante un corteo nuziale, la sposa, nel varcare la
soglia della chiesa, dove si recava per la celebrazione del rito, ri- Matrimonio salentino, 1952

G 19 S. Ivo
manesse seriamente impedita di entrare ritta e pettoruta -come la
esigenza del momento le imponeva- perchè la porta d’ingresso I brindisi agli sposi durante il pranzo nuziale
non glielo consentiva, essendo troppo bassa. Il corteo subisce una Non potevano mancare i “brindisi” che venivano recitati negli intervalli tra i
sosta, persone, più o meno interessate, intervengono dando con- primi e i secondi piatti. Non mancava mai l’improvvisatore o il poeta vivace,

V 20 S. Bernardina
sigli e facendo proposte per ovviare all’inconveniente; onde si è sul che, un po' per l’effetto delle bevande, un po' per la sua naturale disposizione
punto di seguire il consiglio prevalente- che è quello di eliminare a rimare e poetare, declamava i brindisi, tra l’allegria dei convitati. Al saluto, col
l’impendimento con pochi colpi di piccone, quando qualcuno si fa brindisi di un commensale, rispondeva l’altro con un secondo brindisi, e così
largo tra la folla si avvicina alla sposa e...con un lampo di genio, via fino a creare delle vere e proprie spiritose gare poetiche fra i presenti. Molti

S 21 S. Valente
la prega acchè voglia compiacersi di...piegare alquanto il dei brindisi cantavano le qualità degli sposi: la bellezza della sposa e la sua gen-
capo. Il capo viene infatti piegato, la sposa entra in tilezza, la forza e l’onestà dello sposo ecc. Sebbene talvolta queste tenzoni epi-
chiesa e...il motto restare com’a zite de Puzane, cioè in- talamiche scendessero in qualche volgarità, in generale erano dettate da sincero
ceppata per un improvviso, effimero impedimento, ri-

D 22 S. Rita da Cascia
affetto e da autentico brio, per cui alla fine nessuno si offendeva.
mane affidato alla...storiella! Nel Salento il proverbio Alcuni brindisi erano brevi e semplici, ma ve ne erano anche di fine-
dice “Rimase comu la zzita parata” mente elaborati, forse composti da persone di una certa cultura, (che
C. ACQUAVIVA, Taranto..tarantina non mancavano mai in tali occasioni), dati i frequenti riferimenti a

L 23 S. Desiderio
Bacco, Noè, Napoleone, non certo noti al popolino. Proprio per la pre-
senza di persone di un certo rango (erano presenti quasi sempre il
“Ntunietta bella Ntunietta” maestro del paese, il farmacista o il parroco), è possibile rinvenire nei
testi dei brindisi parole ibride di dialetto e italiano, queste ultime in-

M 24 Maria Ss. Ausiliatrice


serite proprio per dare un tono più nobile al contenuto. Ne ripor-
Ntunietta, bella Ntunietta tiamo alcuni tra i più noti e anche meno noti, la cui esistenza è
dove vai, mia bella Ntunietta? testimoniata anche nei secoli passati:

M 25 S. Erminio
Quistu è vinu de marvasia/ fazzu nu brindisi alla cumpagnia;
Io vado all’acqua alla fontanella Quistu vinu è santa cosa/ fazzu nu brindisi alla sposa;
dove la mamma mi manderà. O vinu, vinu,/ falli ausare bueni crammatinu;
E tie ca moi si sposu/ prestu capisci ca l’amore è custosu.

G 26 S. Filippo Neri
Senti senti, mia bella Ntunietta L. ELIA, Salento Addio
dammi da bere per carità!
Nu tegnu acqua e nemmenu bicchiere

V 27 S. Oliviero
pe’ dare da bere a te, o cavalier.

Senti, senti, mia bella Ntunietta,


FIURI DE “CUCUZZA” CHINI
non voglio acqua e nemmeno bicchiere;

S 28 S. Emilio
solo un bacio io voglio da te!
Ingredienti: 15 fiori di zucchine, 300 gr. di ricotta fresca di pecora, 1 spicchio d’aglio tritato,
Senti, senti, mio bel cavalier, 2 uova e 1 tuorlo, 30 gr. di parmigiano grattugiato, prezzemolo e menta tritati, noce moscata,
pane grattugiato q. b., olio di oliva.

D 29 S. Ademaro
vado a dirlo alla mia mammà, Lavare i fiori di zucchine e privarli del pistillo. Mettere in una ciotola la ricotta, il trito d’aglio,
se la mammà mi dice di si, il prezzemolo e la menta, un tuorlo d’uovo, il parmigiano, la noce moscata e
presto, presto ritorno qui, amalgamare bene. Riempire con l’impasto ottenuto i fiori di zucchina, ri-
se la mammà mi dice di no,

L 30 S. Giovanna D’Arco
girarli nelle uova sbattute, poi nel pangrattato e friggerli in abbondante
io qui non tornerò! olio di oliva.
Senti, senti, mio bel cavalier, Curiosità

M 31 Visitazione B.V.M.
cosa ha detto la mia mammà: Esistono due tipi di fiori di zucca, uno maschile e uno femminile.
Và a preparare lenzuola di seta I primi, i più buoni da utilizzare, sono legati al frutto da un
per presto presto andare a sposar lungo peduncolo, mentre quelli femminili sono attaccati diret-
e poi il bacio ti darà! tamente al frutto.

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
LE FASI DEL RITO
TERAPEUTICO-ESORCISTICO
DURANTE LA CRISI
Il rito terapeutico esorcistico passa attraverso
Giugno 2011
M 1 S. Giustino
le seguenti fasi:
a) un’esplorazione musicale per identificare

G 2 S. Marcellino / Festa della Repubblica


la qualità della taranta che ha morso (se cioè si
tratta di taranta libertina, tempestosa, triste),
tale esplorazione tende ad identificare il ritmo
e la melodia che fanno al caso, che cioè mo-

V 3 S. Clotilde
strano di essere congeniali al tarantato, indu-
cendolo a sollevarsi dalla crisi e ad entrare
nella vicenda del rito;

S 4 S. Quirino di T.
b) un’esplorazione cromatica che ha lo scopo
di identificare il colore della taranta avvelena-
trice e che viene eseguita mediante un pavese

D 5 Ascensione del Signore


di nastri o di fazzoletti colorati: dal quale il ta-
rantato toglie il nastro o fazzoletto che gli è con-
geniale;
c) l’esecuzione, da parte del tarantato, di un

L 6 S. Norberto
ciclo coreutico tripartito, al suolo e in piedi, mi-
mante al suolo la identificazione con la taranta
Tarantate davanti alla Cappella di San Paolo avvelenatrice, e celebrante in piedi un mo-

M 7 S. Roberto vesc.
mento decisamente orgiastico di liberazione, in
La festa del Santo Patrono quanto il piede che danza insegue o schiaccia
la taranta;
Le feste religiose celebrate a Galatina, attraverso i secoli, sono state numerosissime: Cristo Ri-

M 8 S. Vittorino
d) la guarigione reintegratice, che può aver
sorto, l’Immacolata, la Madonna della Luce, San Biagio, Sant’Anna, Sant’Antonio e tante altre, ma luogo dopo più giornate di danza e che risolve
su tutte domina la festa del Santo Patrono: SS. Pietro e Paolo festeggiati, rispettivamente, il 29 e la crisi almeno sino alla prossima estate,
il 30 giugno. Questa festa, anticamente, fu chiamata così, in onore di San Pietro, considerato se-
quando il ragno “può” rimordere.

G 9 S. Primo
condo la tradizione, portatore del Cristianesimo a Galatina (in occasione del suo passaggio da
Otranto a Taranto) e di San Paolo, guaritore delle “tarantolate”. Questa festa in Italia e all’estero
è conosciuta perché collegata al tarantismo, complesso fenomeno storico-religioso e costante og- L. CHIRIATTI, Morso d’amore
getto di studio da parte di medici, etnologi, psicanalisti, sociologi di cui Ernesto De Martino ne

V 10 S. Diana
parla in “La terra del rimorso”. Questo fenomeno, soprattutto per il popolo, ha dato per tantis-
simi secoli spettacolo. Lo spettacolo, durante la festa del Santo Patrono, oltre alle tarantate, era
costituito da: luminarie (prima ad olio, poi a carburo e attualmente elettrico), dai fuochi pirotec- Tata, Tata...
nici, dalla processione, dall’allestimento della Chiesa, dalle bancarelle, dalla Mostra Mercato (fiera, La taranta m’ha pizzicata!

S 11 S. Barnaba
che nel ‘93 ha raggiunto la 44esima edizione), dal pubblico e soprattutto dalla musica classica o
da quella leggera. Rosina aveva 26 anni quando venne pizzicata
Nei secoli XVI e XVII, durante la festa patronale, vi erano le rappresentazioni sacre, come dalla taranta e 56 quando mi ha raccontato la

D 12 Pentecoste
quella dell’Officio di San Giovanni Battista, dell’Adultera e dell’Officio del glorioso apostolo San sua storia:
Paulo. “La taranta mi ha pizzicata mentre infilavo ta-
Nel ‘700 e ‘800 un elemento spettacolare-religioso della festa era ed è la processione. Infatti, bacco.
ai primi del secolo XIX, D. T. Vanna racconta che le statue dei SS. Pietro e Paolo venivano tra- Stavo seduta e...zac! ...mi son sentita pizzi-

L 13 S. Antonio di Padova
scinate per la città su di “un carro sopraccarico di ornamenti, con chiasso e rumori tali, che ben care.
più per tripudio baccanale, anzichè per devota espressione al Santo protettore poteva interpre- -Tata, tata, la taranta m’ha pizzicata! (Papà,
tarsi”. Al chiasso spettacolare della scena del carro si aggiunge l”esultanza popolare” rallegrata papà, la tarantola mi ha morso!)
-Pija na spiga d’aju e ungite. Forse ca te

M 14 S. Eliseo
“da concerti di bande musicali, da fuochi pirotecnici, da luminarie e altro”. Durante la festa del
Protettore, i galatinesi, per realizzare uno spettacolo più interessante e competitivo, organizza- passa. (Prendi uno spicchio d’aglio e spalma-
vano le gare per le luminarie, per i fuochi, per le bande e per tutto ciò che era inerente alla telo. Forse ti passerà)”.
festa. Infatti, in tutto il ‘900, per le luminarie non vi è stata festa che non conti i suoi quattro o Così mi disse di fare pure una vicina, ma

M 15 S. Vito
cinque fuochi, i quali per misura di prudenza venivano accesi fuori dell’abitato. ormai il veleno era entrato nel mio sangue. Mi
Essi rappresentavano un vero spettacolo d’arte, in cui l’artefice si sbizzarriva nelle più strane sentivo lo stomaco girare, e un dolore che mi
e capricciose combinazioni di luci e di colori. Il premio della gara, assegnato da una apposita faceva piangere e gridare! Piangere e gridare
alla spezzata, senza fine.
commissione, veniva dato sulla base della durata dei tempi di esplosione, sui colori, sulla cadenza, 쐠

G 16 S. Aureliano
sugli arabeschi tessuti nel cielo e sulla regolarità dei disegni. Mia madre non volle chiamare il dottore.
“Queste non sono cose di dottore!”, disse.
Ma la gara più importante e più attesa era la “guerra delle bande”. Esse si impegnavano al mas- E così fu.
simo per poter avere il supremo successo, acquistando così prestigio, collegato anche a maggior “Vuoi diventare la caricatura del paese?”, ag-

V 17 S. Ranieri
guadagno economico. Il primo posto lo conquistava chi aveva ricevuto più applausi, più fiori e giunse.
a volte anche getti di confetti... Rimasi tre giorni piangendo e gridando, poi,
G. LO BUE, Lo spettacolo a Galatina poco alla volta, mi sono ripresa e l’anno succes-

S 18 S. Marina
sivo andai a Galatina da San Paolo.
BALLO PER SIMPATIA La mia taranta era di quelle che ti fanno pian-
gere e gridare; perché, sai, le tarante assumono
Vincenza ballava non perchè fosse stata pizzicata da una taranta o da qualche altro animale, ma per “simpatia”. i caratteri di donne morte che in esse si reincar-

D 19 SS. Trinità
“Mia madre suonava alle tarantate, alle donne pizzicate da quei ragni grandi e grossi. Quando ti pizzicavano ti comin- nano e trasmettono i loro caratteri alle donne
ciava a gonfiare e farti male lo stomaco; poi ghiacciavi, vomitavi; allora davanti a questi sintomi la mamma mia diceva: che pizzicano. Per questo ci sono le tarante che
“Questa tarantata è!”. “E come lo sai Celestina?”, chiedevano i parenti. ballano, che cantano, che gridano, che pian-
“Tarantata è!” rispondeva mia madre. “Adesso che facciamo? Mia figlia non vuole ballare”. “Aspetta -diceva la mamma gono”.

L 20 S. Ettore
mia- io mi metto nella casa di fronte e suono, se balla, taranta è!”. Allora si metteva a suonare e se era taranta ballava. Si Da San Paolo Rosina è andata una sola volta,
rotolavano a terra, vomitavano, poi, dopo tre o quattro giorni di suoni e balli, passava tutto, fino all’anno nuovo. poi però quando arriva il periodo del primo
Molti non credevano e fra questi i dottori. C’era una volta un giovane che faceva il muratore e stava in campagna. morso (13 giugno) sta male e piange e grida.
Mentre lavorava così diceva all’amico: “Nah, ca la taranta,

M 21 S. Luigi Gonzaga
Così Rosina giustifica la scomparsa del feno-
quiddhu è fuecu ca portane le fimmene!” (Nah, la taranta, meno:
quello è fuoco che hanno le donne!). Lavorava senza “Adesso non solo non si vedono più le ta-
scarpe. Alla sera quando andò a infilarsi le scarpe si sentì rante, anche la vita dei contadini è cambiata; un

M 22 S. Paolino di Nola
pizzicare, ma forte, ma forte...sotto la pianta del piede. E’ tempo si lavorava e si faceva tutto con le mani,
rimasto due o tre giorni a letto, aveva perso l’appetito, si adesso ci sono un sacco di attrezzi; prima non
sentiva dolore allo stomaco. Allora è venuta da noi sua c’era tempo per respirare; eravamo ciucci de fa-
madre e ha detto: “Celestina, tengo mio figlio così e così”. tica (asini da lavoro)! Per un quintale di piselli

G 23 S. Lanfranco
“E che vuoi? Chiama il dottore”, rispose mia madre. “L’ho bisognava stare un mese a lavorare sull’aia!
chiamato e ha detto che non è niente”. Ha detto mia Quando la taranta ti pizzicava ti sentivi un po'
madre:“Ghiaccia? vomita giallo?”. “Si”, ha risposto la po- imbarazzata, poi ti passava, ce n’erano tante

V 24 Natività di S. Giovanni Battista


vera donna. come te. Ogni tanto udivi:
Insomma per farla breve era tarantato. Mia madre “Ohi mamma, quella l’ha pizzicata la taranta!”
suonò per cinque giorni e mentre quello ballava diceva: “E L. CHIRIATTI, Morso d’amore
pè la madonna, ma hannu ragione le fimmane moi!” (Per

S 25 S. Prospero
la madonna ora, hanno allora ragione le donne).
Io, a mia volta, ho ballato ma non ero stata pizzicata,
mia sorella e mio fratello hanno ballato pure loro per 17

TUBETTINI CU LLE SEPPIE


anni. Mia sorella si fece tarantata dopo che era stata la-

D 26 Corpus Domini
sciata da un giovane di Novoli con il quale era fidanzata.
Io ero piccola e quando mia madre andava a suonare an- Ingredienti: 500 gr. di seppioline, 200 gr. pomodori pelati, 1 cipolla, olio, vino bianco,
davo con lei. Mi mettevo a fianco e ballavo aggrappata alla aglio, prezzemolo tritato, 1 cucchiaio di “strattu”, sale, peperoncino, acqua calda q. b.

L 27 S. Ladislao
sua veste. Far soffrigere nell’olio la cipolla grattugiata, 2-3 spicchi d’aglio e il peperoncino, unire le
Ora però tutto questo è finito sia perché ci sono le pe- seppie tagliate a pezzettini e farle dorare. Sfumare poi con il vino bianco, lasciare evaporare,
nicelline, sia perché dopo la guerra le campagne sono regolare di sale, aggiungere i pelati, l’estratto di pomodoro, cuocere per alcuni minuti e poi
piene di veleni e di medicine”.

M 28 Vigilia - Processione
aggiungere acqua calda q. b. per cuocere le seppioline. Lessare i tubettini, scolarli al dente,
L. CHIRIATTI, Morso d’amore metterli nel tegame del sughetto preparato, far dare qualche bollore e servire con il prezze-
molo tritato.
Festa Patronale

Curiosità

M 29 Ss. Patroni Pietro e Paolo


Il sughetto di seppioline viene utilizzato per condire anche vermicelli e linguine e risulta
più saporito se si sostituisce l’acqua calda con un fumetto di pesce.

G 30 S. Paolo
Fumetto di pesce
Fare stufare nell’olio per qualche minuto un misto di verdure tagliate a
pezzi e aromi (cipolla, sedano, carote, porri, alloro, prezzemolo,
timo, e pepe in grani). Unire i ritagli di pesce (scorfano, sogliola,
gamberi, rombo), bagnare con un bicchiere di vino bianco, la-
sciarlo evaporare e coprire con un litro di acqua calda. Lasciare
restringere a fuoco lento fino alla metà, poi filtrare. La notte del 28 le tarantate si recavano in pellegrinag-
gio alla Cappella di S. Paolo.
I Galatinesi festeggiano S. Paolo nella giornata del 30

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CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
Luglio 2011
Le primissime abitazioni
Le primissime abitazioni avevano una stuttura molto semplice, erano composte di un solo ed
ampio locale, dove si svolgeva la vita quotidiana di un’intera famiglia, a volte numerosa. Erano
costruite con pietre dure, rinsaldate e irrobustite da un impasto di calce e bolo; la copertura era

V 1 Sacro Cuore di Gesù


fatta di canne che, strettamente legate insieme, poggiavano su robusti assi di legno, protette da
tegole (imbrici) ben disposte sulle falde inclinate del tetto (case a cannizzu). Il pavimento di so-
lito veniva realizzato con un miscuglio omogeneo di detriti di terracotta e calce (astricu) o con
lastre di pietra leccese (chianche), sistemate alla meglio. 쐞

S 2 Cuore Immacolato di Maria


In seguito le case vennero costruite con conci di pietra tufacea che si estraevano dalle cave pre-
senti in alcune zone vicine al paese. Quelle dei benestanti erano molto solide e sicure, dispone-
vano di più locali e si distinguevano dalle altre per qualche motivo architettonico decorativo

D 3 S. Tommaso ap.
posto sulla facciata. Tutte le case avevano la copertura con volta rustica a cupola, munita di la-
strico solare realizzato con il solito impasto di calce e detriti di terracotta (“cuperchi” polverizzati,
comunemente detti “triula”). Il terrazzo, detto volgarmente “làmia” (o “liama”) era adibito a molti
usi: per raccogliere l’acqua piovana che veniva incalanata nella cisterna; per essiccare d’estate la

L 4 S. Elisabetta
frutta sui graticci o la conserva dei pomodori in ampi piatti di terracotta; ed infine per stendere
i panni al sole. Vi si accedeva quasi sempre dal-
l’esterno con una scala a pioli, o con una gradi-

M 5 S. Antonio M.Z.
nata di tufi molto ripida, costruita nel cortile,
all’ingresso della casa (“casa cu lu curtiju”). Sotto
l’arco, su cui poggiava la scala, di solito, veniva
sistemata una pila, in pietra leccese, che serviva

M 6 S. Maria Goretti
per lavare i panni; nel rimanente spazio del cor-
tile, spesso si poteva disporre per conservare la
legna o per custodire di notte la pecora o per al-

G 7 S. Pompeo
levare galline e conigli.
A. QUARANTA, Marittima un paese del Salento

LE CASE A CORTE
Galatina, centro storico

V 8 S. Adriano
Le abitazioni, quasi tutte con orticello attiguo o retrostante, sorgevano abitualmente una accanto
all’altra, per quel principio di solidarietà che ha sempre contraddistinto la gente del Sud, ma 쐡

S 9 S. Fabrizio
anche per ragioni di particolare convenienza che, nel campo dell’edilizia, si concretizzava nella
completa utilizzazione degli spazi disponibili. Quelle che erano poste all’interno di una corte
(“case a corte”), disponevano, nello spazio comune, della cisterna, della pila e di un piccolo ga-

D 10 S. Felicita
binetto rudimentale; gli abitanti vivevano in buona armonia e, spesso, aiutandosi a vicenda, svol-
gevano all’aperto piccole attività artigianali (riparazioni di attrezzi di lavoro, filatura della lana,
lavori d’intreccio di panieri e canestri) ed alcune straordinarie faccende domestiche (il bucato o
la preparazione della conserva dei pomodori, del formaggio e della ricotta).

L 11 S. Benedetto ab.
Le case dei meno abbienti erano modestissime, umide e buie: spiragli di luce giungevano nel-
l’unica stanza da un finestrino posto ad una certa altezza, provvisto di grata di ferro. La porta d’in-
gresso, stretta e bassa, veniva sbarrata dall’interno con chiavistello di legno o di ferro incastrato
in una apposita incavatura predisposta nella parete; a volte era a due ante e ciascuna di esse, nella

M 12 S. Goffredo
parte superiore, aveva un portello che di tanto in tanto si apriva per dare alla casa un po' di luce La “scanzia”, la “banchiceddhra”,
o per ricambiare l’aria. Di sera, in tempi remoti, l’ambiente era rischiarato dalla fioca fiammmella la “casciabbanca”:
di una lucerna ad olio, sistemata su una mensola o in una nicchia scavata nel muro spesso (mu- i mobili di una volta...

M 13 S. Enrico
raja), ed in tempi più recenti, dal lume a petrolio; d’inverno, quasi sempre dalla luce focolare.
Le famiglie abitualmente conservavano le loro pic-
A. QUARANTA, Marittima un paese del Salento cole provviste in grossi recipienti di creta (le capàse),
sistemati sulla “scanzia”, una sorta di lunga mensola

G 14 S. Camillo de L.
Regna una diserta pace RECITA UN ANTICO PROVERBIO:
tufacea, che sporgeva ad una certa altezza lungo una
parete, raggiungibile mediante una scala a pioli. Il
“Vole paja pè centu cavaddhri” nucleo familiare, a causa dello spazio così limitato,
viveva in promiscuità, con poca riservatezza e scar-

V 15 S. Bonaventura
Sulla via polvere e pietre Volere paglia per cento cavalli. In ge- sissime comodità materiali.
“color locale” il lattaio e le sue capre, nere, denota eccessiva pretesa nell’esigere A volte il monolocale era provvisto di un’alcova,
i pappagallini della fortuna, il gelataio soddisfazione in determinate contingenze. dove dormivano i soli genitori, ma in certi casi,
al carrettino e l’arrotino, l’ultimo Pare che questo modo di dire si possa quando la famiglia cresceva, si provvedeva a dimi- 쐠

S 16 B.V. del Carmine


all’imbocco dell’”infra moenia” di ponente connettere col ricordo delle requisizioni nuirne i disagi, costruendo sul terrazzo una stanzetta
via Cavazza -”’rretu ‘l’Uccerìe”- operate qui dai Francesi all’epoca dell’oc- (cammarinu), che fungeva da dormitorio ed anche
nell’incavo d’un portone cupazione da parte di essi -1809- quando da dispensa.

D 17 S. Alessio
al riparo dal libeccio e dagli scrosci, gli ufficiali addetti a tali operazioni, per i Le poche cose possedute dall’umile gente veni-
“u mula-fòrbici!” urlo bandito un tempo vari bisogni di vettovagliamento degli equi- vano conservate nella cassapanca (casciabbanca),
per le strade ed entro i vichi, paggi, si facevano ad esigere su due piedi, mobile ripostiglio usato anche come sedile, diverso
con impeto e prepotenza, anche dai più dalla madia, mentre i modestissimi capi di vestiaro
e le donne sobbalzavano su “chianche”

L 18 S. Federico
modesti e umili contadini, paglia -cioè fo- o i vari panni da corredo delle ragazze da marito ve-
- c’era sempre qualcosa da molare-, nivano riposti con cura nella cassa (cascia), o nel
accarezzavano con gli occhi raggio- in quantità sufficiente per alimen-
tare il bestiame. cassone (casciùne) che era molto più capiente... In-
la magica pietra che arrotava cassato in uno dei muri, in tutte le case, c‘era il

M 19 S. Arsenio
forbici, o coltelli da cucina C. ACQUAVIVA, Taranto...tarantina grande camino, dinanzi al quale, d’inverno, l’intera
rinvenuti affilati quasi nuovi famiglia era solita riunirsi attorno ad una panca,
ad affettare il filone in parti eguali Le corti a Galatina dalle piccole dimensioni (banchi-
cedda) per consumare il pasto fru-

M 20 S. Vera
per figli, tanti, da sfamare. La parte del Centro Storico compresa tra Via
E all’11 dell’arco della Luce gale (l’unico della giornata), scodel-
Ottavio Scalfo, Via Giuseppe Lillo, Via Pietro lato dalla mamma in grande piatto
il braciaio d’una richiesta panettiera, Siciliani e le mura confinanti con il Corso Federico comune.
figlia, e pronipote, d’arte “bianca”; Mezio, racchiude espressioni di edilizia domestica

G 21 S. Lorenzo da Brindisi
di spalla in un larghetto la “Tribuna” che trovano nella tipologia della casa a corte un A. QUARANTA, Marittima un
la vecchia venditrice di pan caldo ampio ventaglio di soluzioni. paese del Salento
pesato avaramente ma in omaggio Corti unifamiliari e corti comuni si dispongono
sui lati delle strade, che si dilatano e si restringono,

V 22 S. Maria Maddalena
notizie fresche di giornata;
si diramano in tortuosi vicoli, si caratterizzano

Detti popolari
a sinistra la Corte dei Gabbiai, per la presenza di edifici di pregio, ma spesso
maneggiavano i vimini ed i ferri si concludono su spazi degradati e con misere
a far gabbiole agli uccellini

S 23 S. Brigida
abitazioni che accentuano quei contrasti sociali
e gabbioni ai polli ed ai conigli e quelle “contraddizioni” che la città non ha
pel giovedì in piazza o pei giardini; mai superato. Qui, però, emergono tutti i caratteri
fuori l’Arco, lunga distesa, portava dell’urbanistica medievale, fatta di una serie di spon- Nu tti fare li cazzi cchiù larghi de lu culu.

D 24 S. Cristina
e porta al mare, la via degli “zucàri” taneismi che manifestano l’urgenza di sistemarsi al- Se le corna cijavanu lu mundu era na furesta.
fra diti nodosi rattorcevano le corde l’interno della città murata per sfuggire ai pericoli A Ddiu dduma na candela, allu diavvulu doi.
sciogliendosi al sole dai sudori della campagna. An principiu a tavula tutti muti, an mmienzu
dagli stornelli dei fiori e degli amori. A. COSTANTINI, L’edilizia domestica a Galatina

L 25 S. Giacomo ap.
rusciu de dente, an fine chiassu de ggente.
In corte Gabbiai e dintorni
regna una diserta pace,
al crepuscolo, sotto Porta Luce,

M 26 Ss. Gioacchino e Anna


la Nata e la Cia, le anziane
COZZE ALLA TARANTINA
figlie della Iaia panettiera,
sedute a rammendare.
Ingredienti: 1Kg di cozze, 2-3 uova, 150 gr. di pangrattato, prezzemolo, origano, 100 gr di

M 27 S. Celestino
S. BELLO, Di giorno in giorno formaggio parmigiano grattugiato, olio, sale, pepe.
Mondare accuratamente le cozze e aprirle a mano tenendo da parte l’acqua. Disporre in una
pirofila da forno uno strato di cozze con il loro guscio, bagnarle con poche cucchiaiate della

G 28 S. Celso
loro acqua. Preparare, a parte, un miscuglio di pangratatto, prezzemolo, origano e pepe con
il quale spolventare i molluschi. Formare un secondo strato di cozze, distribuire il pane aro-
matizzato, condire con abbondante olio e infornare a 180° per dieci minuti. Sbattere le uova,
aggiungere il parmigiano grattugiato, sale e pepe e versare il composto sui frutti di mare,

V 29 S. Marta
Nduvinieddhru avendo cura di ricoprirli interamente.
Rimettere in forno a gratinare fino a quando la superficie diventerà di un bel colore dorato.
Inthru nu sciardinu
truvài nu milurdinu

S 30 S. Pietro Crisologo
Curiosità
li aprii la petaccia Taranto è la città jonica conosciuta fin dai tempi più antichi come centro
mmesurài quiddhru ca caccia. di produzione dei pregiati mitili che, insieme alle ostriche, ed altri frutti
(il baccello) di mare, ne hanno fatto il vanto e contribuito alla fama della “molle 쐞

D 31 S. Ignazio di L.
tarentum” come la battezzarono gli antichi romani.
Ancora oggi le cozze nere sono dette di Taranto e va ai tarantini
il merito di aver elaborato nel prepararle alcune ricette che por-
tano il loro nome.

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
Agosto 2011
Le sorgenti di “Portoselvaggio” nel comune di Nardò
Chi si affaccia ad uno dei belvederi posti sulla sommità di “Portoselvaggio” si sentirà come proiet-
tato nella vastità dello Jonio, visto da lassù, più che mai maestoso, sconfinato.
Il Barone Angelo Antonio Fumarola di Portoselvaggio, attuale proprietario della tenuta, con la sua

L 1 S. Alfonso
sensibilità di uomo raffinato e colto, ha compreso l’importanza della zona e, con spirito di pioniere e
volontà tenace, ha fatto di “Portoselvaggio” un esempio di valorizzazione turistica, di azienda agraria
a rapida evoluzione, a carattere agro-silvo-pastorale. Il complesso è da additarsi ad imprenditori ed enti,
perchè meglio intendano cosa si possa ottenere da queste rocce, da terre che sembrano ingrate, sol

M 2 S. Eusebio
che non manchino la buona volontà e l’acqua.
Ridiscendendo la collina del versante Ovest, sarà facile riconoscere, per il suo particolare aspetto,
la sottostante insenatura di “Portoselvaggio”, che dà il nome a tutta la località: una piccola baia ridente,
riparata dai venti di scirocco, di tramontana e di levante, limitata a Nord e a Sud da scogliere, ad Est

M 3 S. Lidia
da una piccola spiaggia dal candido arenile.
In vicinanza di questa spiaggetta, le acque basse lasciano scorgere sul fondo marino le alghe verdi,
tipiche della flora che caratterizza il trapasso dell’acqua salata a quella dolce...

G 4 S. Giovanni M.V.
Al di sotto di piccole grotte a struttura calcareo-scistosa, alcune scaturigini, leggermente sopraele-
vate sul livello del mare, si disperdono in rigagnoletti attraverso le alghe verdognole. E’ la sorgente di
“Portoselvaggio” con i suoi 100 lt./sec.
Vi si distinguono scaturigini che, poi, confluiscono; una di esse è leggermente spostata a Nord del

V 5 Madonna della Neve


porticciuolo, una è in posizione centrale e l’altra più a Sud. La sorgiva più consistente è quella che
sgorga a Nord.
Il Barone Fumarola, con ammirevole entusiasmo, si è adoperato (per altro senza successo sino ad

S 6 Trasfigurazione del Signore


ora) per captare le polle sorgive mediante l’escavazione di due pozzi. E’ da ritenere che ulteriori scavi
darebbero esito positivo, qualora fossero effettuati in corrispondenza dell’impulvio della collina.
Le acque di “Portoselvaggio” si prestano all’utilizzazione a scopo industriale, potabile, irriguo. Ri-
portate in quota sulla collina, con condotta forzata, cancellerebbero per sempre i segni dell’aridità da

D 7 S. Gaetano
quelle rocce che, pur meravigliose nel loro aspetto, invocano sempre l’acqua. E’ questa la zona più
siccitosa dell’intero Salento, con una piovosità annua che supera raramente i 450 mm.
Santa Maria al Bagno, bagnanti R. CONGEDO, Salento scrigno d’acqua

LE ANTICHE USANZE

L 8 S. Domenico
DI SANT’ORONZO A LECCE Lu lupu e l’agnellu
Sempre furbu de custume.

M 9 S. Fermo
...E’ tramontata l’usanza di suonare tutte le nanni Lupu mariuncellu
campane delle chiese cittadine la sera al segno se scuntrava cu ll’Agnellu
dato dalla Cattedrale. Sciamava il suono fon- a nna ripa de lu fiume.
dendosi in ondate armoniose e il cuore si ral- Nanni Lupu stava artinu

M 10 S. Lorenzo m.
legrava e Lecce diveniva una immensa e l’Agnellu a llu pendinu.
famiglia, apprestantesi a solennizzare nel modo
più splendido il proprio Padre. Quel Padre la Nanni Lupu, vucca rizza.
scazzacàu lu cannavozzu:

G 11 S. Chiara vergine
cui voce sembrava si trasfondesse nelle anime stese mutu pe nu stozzu
e nelle cose, per l’aria ancora calda della sera ma po’ fice ca se stizza:
agostale, attraverso il suono rombante e del - Porcu,-disse- scrianzatu,
dolcissimo del campanone.

V 12 S. Euplio
l’acqua limpia m’a’ spurcatu
Non è tramontata però la tradizione che
vuole alla vigilia la minestra in brodo e la par- ci vivia. -Timijusu
migiana di melanzane. Tagliate a fette sottili, li respuse quattu quattu

S 13 Ss. Ponziano e Ipp.


spremute del succo amarognolo sotto la pres- l’agnelluzzu: -Comu mbrattu,
sione di tagliere pesanti, immerse nell’uovo, se tu vivi e stai de susu?-
fritte nell’olio, si stendono a strati - patu patu Li ntrunau a lu nanni Lupu
dicono le donne - nel tegame ampio e fra la risposta de lu pupu,

D 14 S. Alfredo
strato e strato polpettine di carne, mozzarelle e zziccau: -Nu tante scuse!
affettate, uova sode, prosciutto, parmigiano Core miu, se’ misi a rretu
grattugiato, -infarcitura succulenta e appetitosa- à’ sparlatu a mie de retu
e il tutto irrorato di fresca salsa di pomodoro.

L 15 Assunzione di M.V.
e m’à dittu mazze e fuse.-
Giù, nel forno caldissimo e poi a tavola fra- E l’Agnellu mpavuratu:
grante e ricca la parmigiana e il piacere di man- - Signornò, nunn’era natu!-
giarla piano, solennemente e il piacere dopo il

M 16 S. Rocco
pasto: tranquilli, sonnecchianti, beati. -Ma foe sìrata, mbrujone!-
Il giorno successivo, culmine della festa, non disse subitu lu Lupu.
c’è desco per quanto povero e tapino su cui E cusine, cupu cupu,
non compaia il galletto a ragù. La gente del po- Nduvinieddhru lu nghiuttìu cu nu vuccone.

M 17 S. Settimio
polo acquista per tempo un pollastro e se lo La murale de lu cuntu:
cresce, se lo ingrassa, se lo coccola per il dì de- Vitti na donna susu n’arvulieddhru doppu vìrgola nc’è puntu.
signato. Per vari mesi nell’aria dal primo albeg- cu ttante soricedde a cumpagnia
de sotta li parìa a llu tundu-tundu La ragione è de la sorte...

G 18 S. Elena
giare è un levarsi, un susseguirsi, un incrociarsi spissu vince lu cchiù forte!
di strilli, di acuti, di note gravi, di altre limpide la bbarba de remita (eremita) ca tenìa.
e roche, un corale di chicchirichì e di cuccu- (melagrana) C. DE PORTALUCE, “A tempu persu”, 1927
rucù a salutare il nuovo giorno. Ma la sera della

V 19 S. Giovanni Eudes
vigilia è un silenzio placido, un mortorio gio- Leggenda di Sant’Oronzo, protettore della città di Lecce
condo, l’aria cita cita. I galletti pendono là
spennati e sventrati e domani saranno sacrifi- “Non poche volte il terremoto fece strage del Salento e a Lecce scosse dalle fondamenta case e torri e uccise
cati sulle mense adorne su cui appariranno uomini e animali. Un anno non bastò il terremoto, chè vi si aggiunse la peste. Erano pianti in tutte le famiglie. I

S 20 S. Bernardo di C.
morti erano gettati nella calce: tanti erano che non bastavano le tavole per apprestar le bare. Senza fine si levavano
anche le rituali angurie tenute nel ghiaccio per- le preghiere, ma le chiese erano deserte, perchè tutti stavano rintanati in casa per timore d’incontrare la morte
chè siano freschissime. per istrada o in chiesa stessa. Ma Dio ebbe misericordia di Lecce e volle che un suo Santo ne fosse interprete,
Tenacia della gastronomia? Forse. Ma è e precisamente Sant’Oronzo, che apparve ai Leccesi, in piazza, come se stesse su una eccelsa colonna. Da

D 21 S. Pio X, papa
certo che alle tradizioni della culinaria il là pronunciò parole di conforto e di incoraggiamento. -Io sono con voi- disse -non temete, e con voi sarò
leccese è più attaccato che alle altre. Seb- sempre finchè sarete fedeli alla legge di Dio. - Da quel giorno la peste cessò. Quelli ch’eran morti, pove-
bene la festa di S. Oronzo non sarebbe retti, ebbero la pace eterna: quelli ch’eran ancora malati, si risanarono. Fu allora che il consiglio di città
completa se mancasse il lancio dei palloni votò che una statua fosse eretta nella piazza maggiore della città, e in alto, com’era stato visto da tutti il 쐟

L 22 B.V. Maria Regina


artistici o buffoneschi che dal centro della Santo salvatore. E così fu fatto. E’ la statua di Sant’Oronzo, in legno rivestito di bronzo, che fu ordinata
piazza maggiore, durante le tre sere, salgono a Venezia e si alza sopra la colonna romana, che Lecce ottenne a prestito (e ormai in dono) da Brin-
dondolanti a punteggiare di tenui fiammelle disi. La parola del Santo fu mantenuta. Infatti, quando, chi dice per gli eccessi dei liberali, chi dice
per gli eccessi dei borbonici, Lecce venne dilaniata dai partiti cittadini, dall’alto della colonna di San-

M 23 S. Rosa da Lima
il cielo estivo per annunziare ai lontani paesi t’Oronzo fu udito come un brontolio di disapprovazione. Quelli che sanno di Santi e di paradiso
la composta baldoria del Capoluogo. spiegarono che il Santo, adirato con i leccesi, voleva andarsene, lasciando vuota la colonna.
R. ROBERTI, La provincia di Lecce E allora i leccesi fecero la guardia alla colonna, pronti a fermare il Santo, anche con la violenza,

M 24 S. Bartolomeo
perchè lo amavano e lo amano. Ma il Santo è restato a Lecce, ed essa continua a guardarlo là in
alto, come lo vide ai tempi della peste e dei terremoti”.
Qui la leggenda s’intreccia con la storia. Fu nel 1739 che Lecce ottenne da Brindisi i rocchi di
una delle due colonne romane terminali dell’Appia.
I 68 pozzi di San Pantaleo

G 25 S. Lodovico
L. SADA, L’elemento storico-topografico nella genesi delle leggende del Salento.
in Martignano Salentino
Una leggenda, ricorrente nella tradizione po-

V 26 S. Oronzo
polare, vuole che San Pantaleo, protettore del

“MARANGIANATA DE SANTU RONZU”


paese, perseguitato dai nemici, si nascondesse nei
pozzi, per uscirne dai diversi boccali. Nella peri-
feria del comune di Martignano (lato sud-ovest)
Ingredienti: 1 Kg di melanzane, 1 litro di salsa di pomodoro, 100 gr pecorino grattugiato, 5

S 27 S. Monica
su uno spazio di circa 1000 mq sono scavati ben
68 pozzi, profondi circa 3 metri. Originariamente uova, farina, 3 uova sode affettate, 2 mozzarelle, 200 gr di mortadella.
i pozzi erano un centinaio: parte di essi sono stati Preparare la salsa di pomodoro profumata con foglie di basilico, tagliare le melanzane a fette,
distrutti in seguito all’apertura di una strada che cospargerle di sale e lasciarle per un’ ora in uno scolapasta per far perdere il sapore amarognolo.

D 28 S. Agostino
porta alla località. La fantasia popolare ritiene che Asciugarle e, dopo averle infarinate e passate nelle uova sbattute in una ciotola, friggerle in ab-
i pozzi non siano misurabili e che la loro conta bondante olio di oliva. Versare sul fondo di una teglia da forno un mestolo di salsa e disporre a
dia inevitabilmente risultati discordi. strati melanzane fritte, su ogni strato distribuire il pecorino, le uova sode, la mozzarella e la mor-
tadella tagliate a pezzetti. Condire ogni strato con abbondante salsa di pomodoro e formaggio

L 29 Martirio di Giovanni Battista


La modalità costruttiva dei pozzi è singolare:
posti a distanza ravvicinatissima, hanno forma ad grattuggiato e cuocere un forno a 180° (l’ideale sarebbe il vecchio “furnu de campagna” costituito
imbuto capovolto, completamente foderati di pie- da una lamiera zincata sulla quale distribuire la brace rovente) finchè non si forma sulla superfi-
trame informe calcareo permeabile, cementato cie una bella crosta.

M 30 S. Faustina
con terra bolosa, attraverso il quale filtrano le ab- Curiosità
bondanti acque freatiche, largamente attinte dalla Le nostre nonne preparavano la parmigiana condendola con una semplice
popolazione per la solubrità, purezza, bontà. salsa di pomodoro fresco pecorino grattugiato e capperi sott’aceto. Il
Salento è considerato, da diversi ricercatori, la patria elettiva della par-

M 31 S. Abbondio
Nella località si svolge annualmente un rito re-
ligioso durante la festa del protettore. L’insolito migiana. Ogni paese ha una sua versione di condimento ed alcune
paesaggio, unico nel suo genere, suscita grande rassomigliano alla moussaka greca da cui la probabile origine elle-
interesse ed attrattiva. nica. Questa versione de “Santu Oronzu” costituisce ancora oggi il
piatto unico ideale per le scampagnate all’aperto dei Salentini.
R. CONGEDO, Salento scrigno d’acqua

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I VINI DEL CAPO DI LEUCA
Da un copia lettere del 1778 risulta che il Prin-
cipe di Tricase Giuseppe Gerardo Gallone spedì
da Napoli le seguenti lettere, dal contenuto delle
quali si ricava come in quell’epoca erano molto
Settembre 2011
G 1 S. Egidio
apprezzati i vini del Capo di Leuca.
6-9-1 788 A D. An ton io Gar gasole - Gaglian o

V 2 S. Elpidio
Con la presente occasione devo partecipare un
fatto accadutomi mattine addietro: ritrovandomi
a pranzare con varie Dame e Cavalieri con i quali
venuto a discorso de’ vini del Regno, lodai all’ec-

S 3 S. Gregorio M.
cesso il vino da lei fattomi assaggiare nella mia
dimora nello Stato, ed essendomi un po' troppo
avvanzato a lodarlo, con esser giunto a dire che
era superiore a qualunque vino forestiero, fui

D 4 S. Rosalia
preso in parola da una Dama e obbligato a pro-
mettere di farglielo assaggiare. Da questo impe-
gno lei solo può farmene uscire con onore e

L 5 S. Giordano
perciò l’avanzo le premure di rimettermene qual-
che poco, ma del più eccelente e superiore che si
ritrova avere, facendosi carico delle circostanze
in cui mi trovo.

M 6 S. Imperia
6-1 2-1 788 Sig. Agostin o For esio - Tr icase
Mi scrive D. Antonio Gargasole di aver conse-

M 7 S. Regina
gnato ad uno dei miei guardiani li promessimi
quattro bambolotti di vino ben cautelati e sugel-
Azienda Vinicola Folonari, primi ‘800 lati e me ne descrive la qualità. Vi prego di spe-
dirli a Gallipoli e farli imbarcare per Napoli.
Le vendemmie nel Salento

G 8 Natività di Maria V.
Per quanto concerne la vendemmia diremo che essa assume in questi siti una vera e propria 6-1 2-1 788 A D. An ton io Gar gasole - Gaglian o
forma di festa campestre. A settembre ormai il sole nelle cento e più marce di fuoco ha infiltrato Passo a renderli li dovuti ringraziamenti nella
certezza di dovermene fare onore alla dama la

V 9 S. Sergio
i suoi raggi attraverso i più folti grovigli di verde, ha finito col ritrovare anche i grappoli più na-
scosti, nulla gli è potuto sfuggire. Ed a piè di ogni vite tutto è divenuto nero di velluto, tutto è quale sarà costretta a confessare che nel Regno
maturo, deliziosamente profumato. Ed ecco convenire verso le frastagliate distese di pampini e abbiamo vini capaci di star a fronte dei migliori
tralci una gaia folla di campagnuoli, varia per sesso, per colore di vesti, per età; ma uniforme- forestieri.

S 10 S. Nicola da T.
mente svelta. Essa è provvista di panieri e di roncole. Subito che il sole comincia a far capolino (Archivio del Castello di Tricase)
sull’orizzonte, polverizzando in oro i suoi tiepidi raggi, quella frotta multicolore si è già sperduta ALFREDO RAELI
tra la verzura. Solo le vivaci tinte dei corpetti delle donne e le chiare giacche dei maschi rivelano N. VACCA, Rinascenza Salentina
la presenza degli allegri vendemmiatori. Festa di luci, d’armonie, di ricchezza, in mezzo al verde

D 11 Ss. Proto e Giacinto


La can tin a de lu Muscia
morbido quasi vaporoso, il quale gareggia col tersissimo cielo di cobalto. Così comincia in que-
sto estremo lembo d’Italia la vendemmia, la tanto tipica raccolta del frutto caro a Bacco!
A mezzodì, chè il sole per quanto la stagione si sia un po' mitigata punge ancora, la laboriosa
Era un’osteria situata nei pressi di Piazza S.

L 12 Ss. Nome di Maria


compagnia prende una piccola sosta; ed abbandonati panieri e canestri corre a raggiungere il ca-
solare, che concederà a tutti un po' di refrigerio. Ed al riparo di esso, tra gli scherzi, le risa e la Pietro, frequantata da contadini e disoccupati,
cavalleria dei maschi, si consuma un modesto desinare composto per lo più di legumi freddi, di Qui, si giocava sino a tarda sera a “Passatella”,
pan nero e naturalmente anche d’uva. Poi dopo un paio d’ore la vendemmia ricomincia; e si pro- utilizzando le carte napoletane e si scommette-

M 13 S. Giov. Crisostomo
trae fino al tramonto per continuare col sorgere del nuovo sole. vano molti bicchieri di vino o di birra tra i vari
partecipanti. I più fortunati riuscivano a bere in-
Le cento città d’Italia illustrate, anni ‘20 torno ai 15-20 bicchieri, tanto da ri-
sultare, a fine di serata, pratica-

M 14 Esaltazione s. Croce
LE PUTIE
Un tempo, alla fine di una giornata di lavoro, Nduvinieddhru mente ubriachi; molti altri, in-
vece, potevano anche non
operai e contadini erano soliti trascorrere la serata Anchiperta de natura bere una sola goccia di

G 15 B.V. Addolorata
fuori di casa. Si ritrovavano in piazza S. Pietro, li lu trasu...e nnu sse ne cura. vino o di birrra o di gasso-
dove spesso parlavano d’affari e contrattavano la (carretto e cavallo) sa e, quindi, “scìanu ‘ll’ur-
giornata di lavoro per l’indomani (“la sciurnata mu”. Quest’ultimo termine
pe lu crai”), oppure si incontravano nelle “putìe”. è, in effetti, una sincope del-

V 16 Ss. Cornelio e Cipr.


Le “putìe” erano le storiche bettole, trattorie
popolari frequentate da tutti, che erano situate nel La putèa ti la nonna la parola “ùrtimu”. Se, infat-
ti, si prova a togliere dal ter-
centro storico. Si passava il tempo bevendo, man- Ma cce arsenale, mprecazzioni, ca mine la parte centrale “ti”, ri-
mane “urmu”, che significa

S 17 S. Roberto Bellarmino
giando e giocando “a tressette”, “a scupa”, “a bri- cce ffonte ti sapere, si ni scianu
scula” con le carte napoletane e, scommettendo tutti li illani ti bbicchieri a bbicchieri “ultimo”. E generalmente gli
bicchieri di vino, si giocava “ a patrone”. scìanu a sciucare e alla fine ceddri ultimi trovavano sempre “i
A fine serata, alcuni se ne tornavano a casa e ogni uài si rricurdà bicchieri vuoti”, in contraddi-

D 18 S. Giuseppe da Cop.
ubriachi fradici (“mbriachi e ‘ccisi”), mentre gli si ulìanu ti ieri. zione con quanto predica-
altri, i perdenti, rimanevano “all’urmu”, cioè senza scirrare. to da Gesù quando af-
“Cumpà, no futtire,
aver fatto neanche una bevuta. Li jastime jò so’llu patrunu! fermava”...beati gli ul-
Chi aveva alzato troppo il gomito spesso im- Armenu cu lli carte timi che saranno i pri-

L 19 S. Gennaro
fiuccanu
piegava anche delle ore per tornare a casa, e una comu née. pozzu cumannare”. mi”...altro che!
volta arrivato, allegro e su di giri, faceva baldoria, Eranu nnocenti D. SEVERINO, Copertino R. DUMA,
anche perché “tandu televisione nun avia” (a quei La taranta

M 20 S. Candida
tempi non c’era la televisione).
Nelle putìe l’aria era spesso irrespirabile per il
fumo delle sigarette, che di solito erano fatte ar-
tigianalmente, usando cartine contenenti tabacco 쐟

M 21 S. Matteo
CARNE DE CAVADDHRU ALLA PIGNATA
tagliuzzato non lavorato.
Le putìe più frequentate erano “u Rasceddhra”
dietro piazza S. Stefano (accanto “allu Paulu

G 22 S. Maurizio
Panta” che vendeva petrolio), “l’Ossu”, “u Cintu Ingredienti: 2 Kg di carne (muscolo) di cavallo, 2 cipolle, 5 spicchi d’aglio, pezzetti di pe-
De Pirru” in piazzetta S. Rocco, “u Muscia” e “u corino, sedano, prezzemolo, 10-15 pomodorini di penda, alloro, pepe in grani, 1 bicchere
Musticchia” nei pressi della basilica di S. Caterina, di estratto di pomodoro (“strattu”), peperoncino, sale.
dove si recava la massa contadina; “u Ucciu Rog- Mettere la carne in una pentola coperta d’acqua e farla cuocere per un’ora eliminando tutta

V 23 S. Lino papa
gia” in via Diaz, che alcuni ricordano come una la schiuma che si forma in superficie. Poi metterla nella “pignata” con tutti gli
delle prime putìe; “l’Aurelia” in via Mory e più odori e farla cuocere un paio di ore.
avanti, “u Paulone”.
Il menu delle putìe comprendeva i più gustosi “Li cuai de la Pignata li sape la cucchiara ca li vota”

S 24 S. Gerardo
e tradizionali piatti della cucina salentina fatti cuo- I guai di una “casa” li conosce solo chi ci abita (Le tradizioni gastrono-
cere nelle pentole di coccio, sul fuoco. Si prepa- miche di Galatina)
ravano “pezzetti de cavaddhru alla pignata,
“Sinti comu la pignata se la nvicini spetterra se la lluntani

D 25 S. Aurelia
sardizza, pampasciuni, custate ‘rrustute, cozze
moniceddhre, pupiddhri fritti, trippa, purpette ferve”
fritte, chiumbarieddhri, cozze de mare perte alla (Esempio popolare per criticare una persona indecisa).
vampa, ‘ntrame (interiora) de vitella e de cavad-

L 26 Ss. Cosma e Damiano


dhru allu sucu, ricotta forte, sarde e alici, ove
lesse e peperoncini (spizzicaturi)”. La “pignata”
Il tutto accompagnato da fette di pane caserec-
La “pignata” era una pentola di creta, nella quale si cuocevano i legumi nel camino (“focalire”)

M 27 S. Vincenzo de’ Paoli


cio e vino a volontà. Il profumo di queste pie-
tanze si diffondeva per la strade ed era così a “focu lentu”, “seguiti” e “curati” di solito, durante la cottura, dalle persone anziane, costrette,
intenso e invitante che i passanti spesso commen- per gli acciacchi, a rimanere in casa. Nel linguaggio comune, la “pignata” -in senso metaforico-
tavano “la ‘ndore te mena a nterra” (l’odore ti fa più che il contenitore era il contenuto, cioè i legumi che tradizionalmente venivano cotti in quel

M 28 S. Vinceslao
svenire). Vicino alle putìe sostavano i venditori di recipiente.
“passatiempi e de cornule, nuceddhre e lupini” Di consumo più generale erano le fave secche che, sgusciate (fave bianche), davano un buon
(carrube, nocciole e lupini), perché spesso i fre- purè, che di solito si consumava unito con le cicorie selvatiche, cotte e condite con olio d’oliva.
quentatori delle putìe ne compravano “na fran- In assenza di verdura, si usava preparare una pietanza di fave secche “cu lu cocciulu” (non sgu-

G 29 Ss. Michele Gabriele Raffaele Arcangeli


cata” (una manciata) prima di entrare, per poter sciate), sbucciate solo alla sommità, fatte cuocere nella solita “pignata” di creta, dopo essere state
accompagnare “u bicchieri de vinu o cazzosa”, nell’acqua per una notte. Era un piatto semplice e buono, più nutriente del purè di fave bianche,
prima di cena. perchè più ricco di vitamine, che saziava e che nello stesso tempo risultava di facile digeribilità.
E poi i piselli spesso si consumavano con spicchi di cipolla e col condimento di peperoncini

V 30 S. Gerolamo
Nelle putìe si ritrovavano le varie maestranze:
“u cconzaturu, u stagninu, l’ucciere, u scalpellinu, fritti, insaporiti da una spruzzatina di sale grosso. I fagioli erano i legumi “più nobili”, che offri-
u scarparu, u cconzalimbi, u furnaru, u fabbrica- vano spesso una buona alternativa alla dieta consueta, uniti alla pasta; la “pasta e pasuli” era un
tore, u ferrau, u trappitaru, u cconzambrelli, u cibo appetitoso, meno agreste dei precedenti.
mmulaforbici, u cchiappacani...” Molto popolare ed assai diffuso era invece l’uso dei ceci, i quali, cotti in “pignata”, produce-
Erano soliti chiamarsi per nome, preceduto da vano un liquido gelatinoso, ricco di vitamine, che, spesso, veniva consumato dalle puerpere, le
“mesciu” o “cumpare”. quali, per un’antica credenza, erano convinte di “fare più latte”, e dai bambini che, per il suo gra-
Le tradizioni gastronomiche di Galatina, devole sapore, vi inzuppavano delle fettine di pane tostato.
Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini. A. QUARANTA, Marittima un paese del Salento

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IL SAGGIO GINNICO
A GALATINA
I bambini e i giovani erano organizzati nelle
formazioni paramilitari della G.I.L. (Gioventù Ottobre 2011
S 1 S. Teresa del B. G.
Italiana del Littorio): Figli della Lupa, Balilla,
Balilla Moschettieri, Avanguardisti, i ragazzi;
Piccole Italiane e Giovani Italiane, le ragazze.
Gli universitari facevano parte del G.U.F. (Gio-

D 2 Ss. Angeli Custodi


vani Universitari Fascisti).
Nel mese di giugno, a conclusione dell’anno
scolastico, si svolgeva il “saggio ginnico”, alla

L 3 S. Esichio
presenza del Segretario Federale, del Segretario
Politico, con tutti i gerarchetti locali in orbace,
con pennacchi, pugnali e cianfrusaglie varie, il
tutto condito da squilli di tromba e musica di

M 4 S. Francesco d’Assisi
fanfare.
Malgrado la particolare attenzione che il Re-
gime riservava ai giovani; malgrado l’esistenza

M 5 S. Placido
del nuovo edificio scolastico di Piazza Cesari e
del fatiscente plesso di Santa Chiara -oltre che
del Liceo Ginnasio “Pietro Colonna” e di altre
scuole ad indirizzo professionale -l’analfabeti-

G 6 S. Bruno
Studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale di Galatina in gita a Taranto, 1961 smo, soprattutto quello di ritorno, era molto
alto.
La Giovane Italia in Galatina I ragazzi senza famiglia o di famiglie pove-
rissime costituivano i cosiddetti “rastrellati”, in-

V 7 B. V. del Rosario
Fondata il 1831 la Giovane Italia, se ne istituì una curia anche in Galatina, per merito di Inno- quadrati militarmente e con i capelli rapati a
cenzio Calofilippi che ne divenne Venerabile, e di Pietro Cavoti. In casa Calofilippi, aperta ai più zero.
begli spiriti di Galatina, si commentavano i proclami mazziniani e le disposizioni del Comitato li- Di grande prestigiuo era invece il “Convitto

S 8 S. Pelagia
berale provinciale, segretamente inviati dal segretario Cavoti, e, inoltre, si leggevano le opere del Colonna”, frequentato dai figli dei benestanti
Manzoni, la Protesta del popolo delle due Sicilie del Settembrini, il Poliorama Pittoresco, Il Gior- di Galatina e dei paesi del capo di Leuca. Le
nale delle due Sicilie, il Salvator Rosa, il Proscenio, il Sibilo, che, dati i tempi, pervenivano clan- “passeggiate” dei convittori, nelle loro caratte-
destinamente. ristiche divise, finirono con il far parte del pa-

D 9 S. Dionigi
Le riunioni letterarie costituirono un opportuno motivo d’incontro e un ingegnoso espediente norama cittadino.
per discutere di libertà, sicché il Calofilippi organizzò nel Pubblico Sedile non pochi tratteni-
menti culturali invitandovi, a leggere ed a improvvisare, i più noti poeti estemporanei di quegli C. CAGGIA, Cronache galatinesi
anni: Rosa Taddei, Cesare Malpica, Giuseppe Regaldi e Salvatore Brunetti.

L 10 S. Daniele
Brillava in quegli anni la stella del musicista galatino Giuseppe Lillo, intelligente interprete dei
sentimenti patriottici attraverso le sue opere: -Francesca da Rimini, Rosamunda, Caterina Ho-
ward, Gioiello, Moglie per ventiquattr’ore, Conte di Chalais, rappresentate con successo al lec-

M 11 S. Firminio
cese Teatro Mancarella.
M. MONTINARI, Storia di Galatina a cura di A. Antonaci

M 12 S. Serafino 쐠

G 13 S. Edoardo
V 14 S. Callisto
L’inizio dell’anno scolastico
Una volta la scuola iniziava il 1° Ottobre,

S 15 S. Teresa d’Avila
ogni bambino aveva il suo corredo scolastico:
la cartella di cartone, con dentro due quaderni,
a righi e a quadretti, una matita e una penna
col pennino, la carta assorbente, una scatolina

D 16 S. Edvige
con la cenere per far asciugare l’inchiostro,
l’osso di seppia per pulire il pennino, il libro,
che si doveva acquistare, la gomma, la cassa-

L 17 S. Ignazio d’Ant.
macchia, che si usava con attenzione, per non
far buchi sulla pagina”.
Tutti i bambini vestivano il grembiule nero
con colletto bianco e fiocco, ma inilziamente

M 18 S. Luca ev.
pochi potevano permetterselo. Questa divisa
accentuava il ruolo severo e autoritario della
scuola e la rendeva un luogo dove la regola
era al primo posto.

La vita scolastica
M 19 Ss. Isacco e C. m.
G 20 S. Artemio
Un tempo si doveva massimo rispetto all’insegnante, che era molto rigido e pretendeva dagli alunni ordine, disciplina e profitto. Le classi molto
numerose, erano maschili e femminili. Gli alunni bravi avevano nell’aula i posti d’onore, sedevano nelle prime file, mentre nelle ultime “li ciucci”
che, quando si meritavano una punizione, erano invitati a stare in piedi dietro la lavagna o a inginocchiarsi sui sassolini, a ricevere sulle mani dure
sferzate con la riga, a girare per le aule con un cartello appeso al collo, con su scritto “asino”. Se un alunno poi era impreparato, il maestro gli 쐟

V 21 S. Orsola
metteva uno zero spaccato, le orecchie d’asino e, dopo averlo ridicolizzato davanti ai compagni, lo mandava a sedere, tra lacrime e rossori di ver-
gogna, al posto degli asinelli. Talvolta, per spingere il bambino a studiare di più e per educarlo lo si cacciava dall’aula, lo si schiaffeggiava, si piz-
zicava sulle braccia o gli si dava una tiratina d’oreccchi.

S 22 S. Salomé
Era anche un onore, durante il periodo fascista, partecipare alle parate e ai giochi ginnici, spesso di sabato, assieme alle maestre, tutti in divisa.
Le femmine, “piccole italiane”, indossavano gonna a pieghe blu scuro, una camicia bianca e fazzoletto al collo; i maschi, “giovani balilla” vesti-
vano con pantaloni alla zuava, camicia nera, fazzoletto triangolare azzurro al collo e basco con fiocco. La spesa per l’acquisto delle divise era a
carico delle famiglie.

D 23 S. Giovanni da Capestrano
Nduvinieddhru

L 24 S. Antonio M. Cl.
Alla via de la Bbadìa
cchiài la Nenna mia
CULEI ALLU TIANU
iddhra rise, iu risi
azzau l’anca e nni la misi.

M 25 S. Crispino
(calza) Ingredienti: 4-5 sgombri, origano, 1 cucchiaio di capperi, aglio, prezzemolo, 10-12 pomo-
dorini, rametti di origano, olio, sale, pepe, una manciata di olive nere.
Ticinu li agnuni ti li scole Lavare gli sgombri, aprirli sul dorso, pulirli accuratamente e privarli della spina centrale,
lasciando attaccata testa e coda. Adagiare i pesci in un tegame da forno avendo cura di di-

M 26 S. Evaristo
(dicono i ragazzi delle scuole) sporre la pelle sul fondo, condirli con olio, sale, pepe, origano, prezzemolo, e pomodorini
schiacciati. Mettere “lu tianu” in forno a 180° per 10 minuti, aggiungere le olive nere e cuo-
Mmaletette scole, Llu bitellu cere per altri 5 minuti. Servire i pesci con il loro sughetto e decorare con rametti di origano
cce so’ bbrutte... 쐞

G 27 S. Fiorenzo
ca ni face fresco.
Li mesci l’occhiulinu, Curiosità
sempre ncazzati. si bbusca Gli sgombri appartengono alla categoria dei pesci azzurri, poveri ma buoni. Nella sta-
nnu rimproveru. gione estiva risultano più buoni perchè più grassi e la polpa diventa più saporita se cuocen-

V 28 Ss. Simone e G. ap.


Li mesce Meschinu! doli si aggiunge l’origano.
sempre stizzate Un tempo le nostre nonne avevano l’abitudine di appendere nelle loro cucine fasci enormi
Lu tirettore D. SEVERINO, di origano di modo che le loro case si riempissero di questo odore intenso e speciale.

S 29 S. Ermelinda
ni mpaura. Copertino Quando i rami erano divenuti secchi, li sfregavano tra le mani, conserva-
vano i fiori in barattoli buttando via gli steli.

Detti popolari Gli aromi magici del Salento

D 30 S. Germano
La terra del Salento adagiata all’ombra degli ulivi, gode di un clima mite
che favorisce la crescita di piante aromatiche come rosmarino, sal-
Niputi lu meju ede cu lli puti, e sse torna via, maggiorana, menta, timo, aglio, capperi, origano, peperon-
la menata (germoglio) pùtali n’addhra fiata. cino, che diffondono nell’aria i loro aromi. 쐡

L 31 S. Quintino
Ci vole cu pija lu pesce, Ed è per questo che la terra del Salento viene chiamata ma-
tocca ssi mmoddhra lu culu. gica perchè impregnata di tutti questi profumi che poi ritro-
Ogni ciucciu se prescia quandu raja. viamo nella cucina e nei piatti tipici di gusto contadino e di
La legge ede uguale pè tutti, sapori antichi.
se tieni sordi te ne futti.

Se esposto al pubblico regolarizzare effetti imposta Comunale Pubblicità e Diritti Pubbliche affissioni (D.P.R. n. 639 del 26/10/72)
CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
ANIMALI DELLA DECORAZIONE
ARCHITETTONICA
NELLA BASILICA CATERINIANA
DI GALATINA Novembre 2011
M 1 Tutti i Santi
Nei luoghi che dovevano essere posti al sicuro
dagli spiriti maligni (per esempio gli ingressi delle
chiese, dei chiostri, intorno ai troni dei vescovi, ai
pulpiti, alle tombe ecc.) nella decorazione archi-

M 2 Commemorazione Defunti
tettonica medioevale si collocavano, quali senti-
nelle protettrici, spaventevoli o mostruose
immagini di leoni, sfingi, grifoni, chimere, tutti
quegli esseri infine che si supponevano dotati di 쐡

G 3 S. Silvia
uno speciale influsso per tenere lontani i nemici
invisibili e togliere di mezzo la loro malevolenza.
Talora si rappresentavano intenti a vincere qual-

V 4 S. Carlo Borromeo
che altro animale e credevasi che i pilastri alzati
sul loro dorso fossero più robusti che se fossero
addirittura su solide fondamenta. Per tali motivi
nel portale di centro, nei monumenti, nelle deco-

S 5 S. Magno
razioni e nei capitelli, che in una infinita varietà
ornano la chiesa di S. Caterina, sono riprodotti
animali della fauna naturale o favolosi. Caratteri-

D 6 S. Leonardo
stiche le figurazioni simboliche accennate tra gli
artigli dei quattro leoni che sostengono le co-
lonne di base del monumento di Raimondello:
Galatina, Basilica di Santa Caterina, acquerello di P. Cavoti nella serpe e nel bambino l’artista avrà forse sim-

L 7 S. Ernesto
boleggiato il demonio che minaccia l’uomo, di-
La splendida “Allegoria della Chiesa” feso dal leone, cioè dalla Chiesa.
nella basilica cateriniana di Galatina M. MONTINARI, La basilica cateriniana

M 8 S. Goffredo
di Galatina
L’artefice galatinese, prima di raffigurare i Sacramenti nella volta della seconda campata, ci
mostra nella vela frontale la splendida “Allegoria della Chiesa”. Una figura in abiti pontificali,
sorretta da Cristo e con Lui inquadrata nell’unica immensa iride ovale, consegna le chiavi a Pie- RECITA UN ANTICO PROVERBIO:

M 9 Dedicazione Basilica Lat.


tro e la legge a Paolo. In alto, due angeli sostengono l’ombrellone di seta bianca e rossa, che si “Pè ste parole sante e beneditte.”
presenta in forma di baldacchino, ha il bastone d’oro ed è l’antica insegna delle basiliche, pre-
rogativa onorifica di alti personaggi, distintivo della potenza divina e umana di Cristo e della sua In occasione della morte di un tale, con-
istituzione, la Chiesa (l’ombrellone bianco si portava nelle processioni col Santissimo, quello vennero in casa del defunto -per la visita di

G 10 S. Leone Magno
rosso si usava per i papi: qui i due colori sono riuniti insieme come a significare l’intima unione prammatica- amici e parenti. Si stava lì se-
esistente fra il papa, la Chiesa e Cristo). Alle spalle di Pietro si notano, in primo piano, un prin- duti intorno al cadavere e, bisbigliando, si
cipe ed una principessa con paludamenti in azzurro fregiati di gigli angioini; anche dietro a Paolo, commentava la disgrazia, rimpiangendo il

V 11 S. Martino
insieme con cardinali, vescovi, dignitari e semplici fedeli, spiccano due figure vestite con manto defunto e compiangendo la vedova ancora
dorato e trapunto di aquile nere (aquile sveve o sicule?). Probabilmente i gigli alludono a Maria giovane. Ma -una parola tira l’altra, e di
d’Enghien e al consorte Ladislao Durazzo; le aquile potrebbero indicare l’imperatore svevo e re palo in frasca- il discorso, sottovoce, tra
di Sicilia Federico II con la moglie Iolanda di Brienne, antenata di Maria d’Enghien, o ancora una due comari, scivolò sulla opportunità e

S 12 S. Giosafat
volta i sovrani Ladislao e Maria, titolari del regno di Sicilia. convenienza che la vedova si rimaritasse.
L’Allegoria galatinese, eseguita in un periodo tempestoso di lotte fra i papi e antipapi, tra concili e In breve la cosa passò di bocca in bocca e,
conciliaboli, tra teologi e giuristi e, infine, tra Chiesa e Stato per la questione del potere temporale, naturalmente, vi fu chi si spinse fino ad ad-

D 13 S. Diego
ammoniva il popolo cristiano -Gerarchia e Laicato- che l’unità poteva ritrovarsi nella sottomissione e ditare uno dei presenti quale possibile suc-
nella fedeltà al Papa, ma nello stesso tempo essa poneva l’accento sul carattere spirituale della mis- cessore del defunto.
sione della Chiesa e avvertiva il Pontefice che egli avrebbe svolto efficacemente il suo ufficio di pa- E, voce ‘nnanzi voce, l’accenno giunse
store universale, solo se fosse rimasto unito e fedele a Cristo, risplendendo della sua luce. anche alle orecchie della vedova, la quale,

L 14 S. Veneranda
T. PRESTA, La Basilica Orsiniana Santa Caterina in Galatina senza scomporsi, ebbe a rispondere, con
tutta franchezza, precisamente così: “Pé ste
parole sante e beneditte -cummari mie- ca
Il lutto stu pensieri mi passava pe lla capu...”

M 15 S. Alberto M.
Nduvinieddhru Appena moriva una persona di qualche famiglia ragguardevole, C. ACQUARICA, Taranto...tarantina
Nc’è nna cosa cadda e tunda
ca la femmena la sira (sera) tutta la famiglia, i parenti, gli amici, si raccoglievano nella casa del

M 16 s. Giuseppe Moscati
morto: le donne stavano in piedi lacrimando ove giaceva il morto,
mmienzu a ll’anche se la tira.
(braciere)
vestito degli abiti più belli che era solito indossare in vita, e ai quat- La “cruciceddhra”
tro angoli nei quali ardevano altrettanti ceri; gli uomini passeggia- La morte di bambini che appartenevano a fami-
vano e piangevano nella camera vicina. All’ora convenuta glie molto povere e numerose, dove era un pro-

G 17 S. Elisabetta d’U.
SANTU MARTINU irrompevano le prefiche, scarmigliate e atteggiate a grandissimo blema la stessa sopravvivenza quotidiana era accolta
La festa di San Martino è nata nel mondo con- dolore, e dimenandosi e agitando un fazzoletto che tenevano per quasi come una vera e propria grazia del Cielo. Esi-
tadino come festa non religiosa ma agricola. un capo nell’una e per un altro nell’altra mano, percuotendosi ste un antico detto paesano che dice: “Menu male ca
spesso il petto e le ginocchia e strappandosi i capelli, invitavano a

V 18 Ded. Bas. Ss. Pietro e Paolo


Era considerata il Capodanno l’ha jutati la Cruciceddhra” (Meno male che li ha aiu-
ideale del nuovo ciclo annuale piangere la “padrona del pianto”, ossia la donna che al defunto era tati la piccola Croce). E’ un detto denso quanto mai
agricolo. Si cominciava a bere il più vicina parente e al cui pianto via via in ordine di parentela o di significato sociale, che prende lo spunto dal Ri-
vino nuovo organizzan- di amicizia rispondevano tutti i presenti e, con voce lamentosa in- tuale dell’accompagnamento funebre dei bambini

S 19 S. Ponziano
do straordinarie man- terrotta da incessanti singhiozzi, improvvisavano... fino a sette anni. A questi funerali infatti, davanti al
giate con amici e paren- Era comune l’uso di porre sull’uscio della casa colpita dalla feretro, al posto della croce grande, il Chierichetto
ti nel magazzino dove morte un grande drappo nero che in alcuni paesi restava per porta la croce senza asta, appunto la “crociceddhra”
molti mesi, anche quando l’acqua e il sole lo avevano sbia- (piccola croce); per cui questa era simbolo di una

D 20 S. Ottavio
c’erano le botti di vino.
I piatti preparati erano dito. A causa di gravi lutti non si preparavano vivande di lusso morte infantile.
molto gustosi e piccan- o dolci per un anno. Al cordoglio per la morte, partecipava L’aiuto della crociceddhra di conseguenza, per
ti perciò venivano ac- tutto il vicinato, che per un po' di giorni metteva da parte ogni molte famiglie, era l’aiuto Divino e, non potendo

L 21 Cristo Re
compagnati da un strumento musicale, ritenendo oltraggioso alla memoria del chiunque desiderare apertamente la morte di un
buon vino novello. Il defunto il suonare chitarre, flauti e fisarmoniche. Per uno o bambino, ci si rivolgeva alla “cruciceddhra”; e a se-
momento conviviale due Natali non si friggevano le leccornie di rito, e i parenti o conda dei casi, o la si bestemmiava, o molto spesso
più importante era amici provvedevano a mandare alla famiglia in lutto un piatto la si ringraziava per il suo insostituibile aiuto. In que-

M 22 S. Cecilia
quando il proprietario di cartellate o di purceddruzzi (dolci fritti, col miele). sti casi infatti, la famiglia preferiva avere una bocca
delle botti tirava “u spi- In molti paesi il vedovo, in segno di lutto, non si radeva in meno da sfamare oggi, anzicché la speranza di
nieddru” (tappo di sar- la barba per più mesi e indossava per molto tempo una cappa due braccia in più che avrebbero lavorato domani.
nera lunga sino ai piedi.

M 23 S. Clemente papa
menta) e, servendosi L. BIANCO, Le tradizioni popolari di Aradeo
dei boccali cominciava L. ELIA, Salento Addio
e dei paesi vicini
a offrire il vino novel-
lo ai presenti. Tutti erano obbligati a bere, anche

G 24 S. Crisogono
gli astemi, altrimenti subivano insulti o offese. Si
brindava dicendo “Santu Martinu” e il proprieta-
rio rispondeva “Ben vegna”. Era l’augurio per l’ini-
ROTULU CU LLA “CIPUDDHRATA”

V 25 S. Caterina d’Alessandria
zio dei nuovi lavori agricoli.
“LA CENA DE SANTU MARTINU” Ingredienti per la pasta: 100 gr. di farina di grano duro, 200 gr. di farina 00, 1 cubetto di
Pittule lievito di birra, ½ bicchiere di olio, 1 bicchiere di latte, 1 cucchiaino di zucchero, sale q. b.

S 26 S. Liberale
Maccheroncini cu llu sucu de carne Ingredienti per il ripieno: 1 kg di cipolla, ½ kg di pomodorini di penda, olive nere snoc-
Purpette fritte ciolate, capperi, sale, peperoncino, pezzetti di formaggio ricotta, olio q. b.
Pezzetti de carne de cavaddhru Impastare i due tipi di farina con i vari ingredienti dopo aver sciolto il lievito nel latte tie-
Cuniju rracanatu

D 27 Iª D’Avvento
Caddhruzzu allu tianu pido. Lavorare a lungo e aggiungere se necessario del latte tiepido fino ad ottenere una
Sardizza pasta morbida che, coperta, si lascia riposare. Preparare il ripieno tagliando la cipolla a fette
Sangunazzu de porcu sottili mettendole in un casseruola dove si è precedentemente fatto riscaldare l’olio, coprire
con un poco di acqua e lasciare stufare. Aggiungere i pomodorini a pezzetti, il sale, il pe-

L 28 S. Livia
Furmaggi
Subbratavula peroncino e cuocere. Alla fine mettere i capperi e lasciare raffreddare. Stendere con la pasta
una “lacana” (sfoglia) dello spessore di ½ cm, disporre la cipollata fredda, aggiungere le
Le tradizioni gastronomiche di Galatina olive nere snocciolate, i pezzettini di formaggio ricotta e arrotolarla comprimendo bene i
Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini

M 29 S. Saturnino
bordi. Infornare a 180° e servirla tagliata a fette.

Detti popolari
Curiosità
Le nostre nonne per la preparazione della cipollata nel periodo inver-

M 30 s. Andrea ap.
nale avevano a loro disposizione i pomodorini di penda. Questi pomodo-
rini vengono raccolti a completa maturazione recidendoli a
Allu carcere, allu spitale, grappolini e poi appesi a fili di ferro che, conservati in luoghi
allu campusantu tutti tenimu na chianca. arieggiati, si conservano in perfetto stato sino all’estate succes-
Allu mundu o te adatti o te cangi o te spari. siva. I pomodorini di penda sono inoltre utilizzati per condire
le particolari bruschette salentine, nelle zuppe di legumi ed
Ci tene culu trova la pultrona. ortaggi e sono un ingrediente tipico dei nostri pani conditi,
Prèvati an terra, prèvati an celu, come i “pizzi”.
pocu prèvati allu vangelu.

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CENTRO SUL TARANTISMO E COSTUMI SALENTINI
Dicembre 2011
Il volto di Gesù Bambino
Per tutto il periodo della gestazione le madri cercavano di proteggere i loro figli dall’invidia e
dalle maledizioni di persone (anche parenti) nemiche che, con stregonerie e sortilegi misteriosi
e diabolici, potevano trasferirvi “la iettatura” e procurare il cosiddetto “fascinu”, che avrebbe
avuto un notevole peso sul futuro del ragazzo e sul suo stesso equilibrio psichico. Inoltre esse

G 1 S. Eligio
evitavano di guardare soggetti malati e deformi, animali immondi, scimmie, serpi, immagini brutte,
per paura che la creatura portata in grembo potesse assomigliare a questi. Viceversa, preferivano
guardare immagini di bimbi paffuti e belli o addirittura facevano dipingere il volto di Gesù Bam-

V 2 S. Bibiana
bino, circondato da rubicondi angioletti, sulle spalliere di metallo del loro letto, convinte che il
guardarli fissi avrebbe conferito fatezze simili alla loro creatura. Stavano bene attente a non rife-
rire a qualcuno la parte del corpo in cui uno era ammalato, toccandosi, altrimenti quella malat-
tia poteva essere trasmessa al nascituro. La donna gravida doveva evitare di tenere forcine tra i 쐡

S 3 S. Francesco Sav.
capelli e di tenere le gambe incrociate o di tenere infilati anelli o bracciali, perché si riteneva che
al piccolo, durante il parto, potesse attorcigliarsi il cordone ombelicale col pericolo di asfissia e
di morte. Doveva poi stare molto attenta a non bere nella bottiglia, a non mangiare anguille, a

D 4 IIª di Avvento
non soffiare a lungo sul fuoco, a non restare per molto tempo piegata (il figlio sarebbe potuto
nascere col naso schiacciato), a non esporsi al vento (il bimbo rischiava di rimanere per tutta la
vita con la bocca aperta...).
La gestante, in uno stato avanzato di gestazione,

L 5 S. Dalmazio
doveva evitare di andare a fare visita a una donna con
le doglie o ad assistere ad un parto.
Protettrice delle donne gravide e delle parto-
rienti era Sant’Anna, a cui accendevano lampade

M 6 S. Nicola da Bari
votive già appena si accorgevano di essere in-
cinta. Appendevano sul capezzale le immagi-
nette della Santa, ne portavano con sè gli abiti

M 7 S. Ambrogio
benedetti o delle medagliette sempre benedette,
raffiguranti il volto di lei, che si procuravano in
chiesa o si facevano prestare dalle vicine che
avevano avuto precedentemente dei figli.

G 8 Immacolata Concezione
Bambini L. ELIA, Salento Addio

LA “MAMMANA”

V 9 S. Siro
Quando il bambino veniva alla luce, dopo essere stato pulito, veniva affidato alle cure della
“mammana”, una specie di infermiera tuttofare dell’epoca, che lo avvolgeva nei panni e lo fasciava
strettamente. Molta attenzione veniva prestata al piccolo moncone del cordone ombelicale reciso

S 10 Madonna di Loreto
superstite, che veniva fasciato e disinfettato con cura, per poi cadere spontaneamente dopo qual-
che giorno o al massimo qualche settimana.
I primi giorni di vita erano quelli più delicati e precari per il neonato, che perciò veniva su-
bito battezzato, perché morisse, se doveva morire, almeno marchiato col primo dei sacramenti 쐠

D 11 IIIª di Avvento
cristiani. In effetti non pochi infanti decedevano nei primi giorni di vita, quando non durante o
immediatamente dopo il parto.
Non si contavano le bare bianche (simbolo di innocenza) di neonati (che accompagnate da

L 12 S. Giovanna
muti cortei sfilavano nelle vie dei nostri paesi), morti per cause diverse e banali, come una feb-
bre o una diarrea o una pertosse, manifestazioni morbose che oggi possono essere facilmente
curate e fugate.
L. ELIA, Salento Addio

M 13 S. Lucia
Nduvinieddhru “Mamma Peppa” e “Mamma Cosimina” Detti popolari
M 14 S. Giovanni D. Cr.
Quando la madre, per motivi vari (come una forte paura o una accidentale caduta), per- Ci se vanta de sapere
deva il latte e non riusciva ad alimentare il proprio bambino, si ricorreva alla compiacente ave spicciatu de mparare.
Susu ‘nu capucieddhru condiscendenza di esuberanti mamme che si prestavano ad allattare (senza, talvolta con
(cappuccio) compenso) un bambino di una mamma sfortunata che aveva perduto o finito (come La vucca ca se vanta, càcala.

G 15 S. Massimino
ste’ nu vecchiarieddhru si diceva) il latte. Per questo motivo il piccolo, cresciuto con il latte di un’altra, era Quandu arde lu vicinu,
strittu de cintura solito chiamarla, per molto tempo, una volta giunto a parlare, “Mamma Peppa”, porta l’acqua a ccasa toa.
largu de cappieddhru. “Mamma Cosimina” ..., e “fratelli di latte” venivano chiamati quelli che avevano al-
(fungo) Alla vigna de lu fessa

V 16 S. Umberto
lattato al seno della stessa donna. se vendemmia tre
Un po' perchè si credeva (come si crede ed è scientificamente provato) che il fiate l’annu.
latte della madre è il migliore degli alimenti, ricco di proteine, immunizzante ecc.,
un po' perchè questo tipo di alimentazione non gravava sulle finanze familiari, si Ogni petra

S 17 S. Lazzaro
cercava di protrarre l’allattamento al seno materno, per quanto più tempo possi- azza parete...e sse
bile: non era raro il caso di qualche madre che allattava il figlio fino a un anno, è crossa cunta pè
a un anno e mezzo e anche più! Sostitutiva o integrativa del latte materno era la ddoi.
“pappina” o “crema di riso”, una specie di minestra bianca di riso soffiato, che Cane crossu,

D 18 IVª di Avvento
riempiva il piatto che doveva poi essere consumato dall’affamato puttino il quale, piscia e ppassa.
rubicondo e ilare, muoveva in modo convulso le braccine, poiché non poteva Lu cchiù fessa
muovere molto altro del suo corpicino, arrotolato e bloccato da bende: le fasce. ceddhru si mangia

L 19 S. Dario
L. ELIA, Salento Addio

La vigilia dell’Im m acolata


la meju fica.

RECITA UN ANTICO PROVERBIO:

M 20 S. Ursicino
La prima volta dopo l’estate che ogni famiglia generalmente faceva la “cotta te paniceddhru”, era prima
“Lu cuadagnu de Maria Prena” della vigilia dell’Immacolata. Il motivo di questa antica usanza, è da ricercare nella tradizione ancora molto viva,
E’ un modo di dire antichissimo, e sta a in- se non in incremento, di dover mangiare “pucce” la vigilia dell’Immacolata.
In questo giorno di vigilia, secondo certo insegnamento dei predicatori divenuto orami norma di vita, il senso

M 21 s. Pietro Canisio
dicare chi, agendo in un determinato modo e
dedicandosi a una determinata faccenda, ritie- di penitenza preparatorio alla festa, deve essere sottolineato dal digiuno e dall’astinenza dalle carni. L’unico
ne di fare il proprio vantaggio, mentre si pro- pasto consentito deve essere anche particolare rispetto ai cibi comuni di ogni giorno. Le “pucce” obbediscono
cura, involontariamente, un danno. Com’è a questa particolarità rituale sia per la concezione, sia anche per gli ingredienti.

G 22 S. Demetrio
noto, con questo detto si vuole alludere alla Ad ogni “cotta” di pane, ogni famiglia, insieme con i panetti e le friselle, fa le “pucce”. Queste sono fatte
triste sorte che ebbe la povera Regina Maria con le stesso impasto del pane, però molto più diluito con acqua e con l’aggiunta di olive nere. E’ il largo uso
di Brienne -figlia di Giovanni D’Enghien- quan- di olive nere, che a dicembre sono ancora molto aspre, che conferisce alle “pucce” della vigilia dell’Immaco-
lata, il carattere di pasto particolare e penitenziale. A questo si accompagna anche il detto molto significativo:

V 23 S. Vittoria
do, vedova del Barone Raimondello Del Bal-
zo-Orsini -Principe di Taranto- il 23 aprile 1408 “vane prima le pucce te li panetti” (vanno prima le “pucce”, che i panetti). Cioè come nel forno entrano prima
andò sposa in seconde nozze al Re di Napo- le “pucce” e poi i panetti che sono molto più grossi, così nella vita non ci si deve illudere che sol perché si è
li Ladislao, figlio di Carlo D’Angiò. Giacchè il giovani, cioè “pucce”, si debba necessariamente morire dopo i più vecchi cioè i panetti.

S 24 S. Adele
fastigio regale della povera Maria di Brienne L. BIANCO, Le tradizioni popolari di Aradeo e dei paesi vicini
durò appena un mese; infatti, subito dopo il
matrimonio Re Ladislao -conseguito l’intento
che si era prefisso di raggiungere col matrimo- 쐞

D 25 Natale di N. Signore
nio stesso- quello cioè di impossessarsi del

I CUSCINI DI GESÙ BAMBINO


Principato di Taranto -la ebbe in odio e se ne
disfece, tenendola prigioniera a Napoli. Onde

L 26 S. Stefano - Sacra Famiglia


ben presto si constatò quale fosse stato il gua- Ingredienti: 500 gr. di farina, ½ bicchiere di olio fritto con profumi (bucce di mandarino,
dagno fatto dalla povera Maria con quel ma- arance e limoni), la buccia grattugiata di arance e mandarini, 1 cucchiaino di lievito in pol-
trimonio -guadagno che rimase tristemente pro- vere, una tazzina di anice, un pugno di zucchero, profumo di cannella in polvere, vino
verbiale a Taranto e a Napoli.

Poesia natalizia M 27 S. Giovanni ev.


bianco q. b.
C. ACQUAVIVA, Taranto...tarantina Per il ripieno: pasta di mandorla.
Impastare i vari ingredienti e lavorare a lungo finchè la pasta diventa liscia e vellutata. Sten-
dere una sfoglia sottile e ricavare con l’aiuto di un bicchiere, dei cerchietti. Al centro di cia-

M 28 SS. Innocenti M.
scun cerchio porre un poco di pasta di mandorla e richiudere i dischi; premere bene i bordi
Era ‘na notte ‘nu tiempu chiaru e friggere in abbondante olio. Nella fantasia popolare questi dolci vengono chiamati i “cu-
‘na steddha parse quantu ‘nu taru scini” di Gesù Bambino.

G 29 S. Tommaso B.
la scia de dhu passava,
comu cuzzeddha nci la lassava. Curiosità
Questi “cuscini”, preparati per Natale, possono essere serviti cosparsi di zucchero a velo o
Unu cchiù vecchiu cridandu scìa immersi nel miele caldo come per tutti i dolci salentini tipicamente nata-
eccu carusi, quista è la via.

V 30 S. Eugenio
lizi. Le nostre nonne, per servire i dolci natalizi, preparavano dei liquori
lu tata Beppu tuttu presciatu particolari come quello di “menta”
musciava a tutti lu fiju natu.
Liquore di menta
Bambinu miu ‘na crazia vulimu

S 31 S. Silvestro
Macerare 30 foglie di menta con alcuni semi di anice in 500 gr. di
cu stamu boni finu ‘nvecchimu, alcool per 10 giorni, scuotendo il barattolo ermeticamente chiuso
lu paniceddhu cu nu’ ni manca, almeno 1 volta al giorno. Sciogliere in una pentola 500 gr. di
mentru nu’ sciamu sotta la chianca. zucchero in 700 dl di acqua, raffreddare e aggiungere questo
A. MARIA GIURGOLA RIZZELLI, sciroppo all’alcool aromatizzato. Filtrare e imbottigliare.
Galatina il folklore e la vita

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