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22 aprile 2020 - 14:04 > Versione online

Adolescenti in quarantena e gaming online:


tutto quello che ragazzi e genitori devono
sapere
Approfondimenti

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Tra le categorie che soffrono maggiormente il distanziamento sociale in fase di lockdown ci sono
senza dubbio gli adolescenti, alle prese con un'età in cui il rapporto con i coetanei è fondamentale.
Una lacuna che viene colmata attraverso l'utilizzo della Rete e di strumenti come i social network
e i videogiochi online, utili a sopperire mancanze affettive e di svago. Eloquenti in questo senso i
dati diffusi da Telecom sull'aumento del traffico online nelle prime due settimane di marzo, che
sarebbe da ricollegare in gran parte proprio all'utilizzo del gaming online. Ci si chiede dunque se,
in questa circostanza straordinaria dettata dall'emergenza coronavirus, è necessario che i genitori
diano ai figli alcune regole per l'utilizzo del Web o se è opportuno che i ragazzi stessi se ne diano
autonomamente, responsabilizzandosi. Abbiamo rivolto questa domanda al Dott. Stefano Blasi,
Psicologo Clinico e Docente di Psicologia delle Dipendenze all'Università di Urbino, di cui
pubblichiamo di seguito un contributo a proposito del gaming online.
"Una questione importante è distinguere l’utilizzatore patologico da quello ludico. Abbiamo visto
come una dipendenza si instauri principalmente in chi ha delle importanti difficoltà pregresse di
regolazione emotiva ed usa quel mezzo per tentare di gestire le emozioni dolorose o il senso di
vuoto. L’uso eccessivo dei social e dei videogiochi sarebbe quindi una modalità di fronteggiare e
contenere un disagio. Non dobbiamo demonizzare il mezzo o l’utilizzatore ma comprendere ed
intervenire sul suo disagio. In particolare la dipendenza da videogiochi risulta associata ad altri
disturbi (spesso pregressi al gioco) tra cui: ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, uso
di sostanze, aggressività e il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. Le caratteristiche
psicologiche dei dipendenti sarebbero: impulsività, tratti di personalità schizotipici con
introversione e tendenza al ritiro sociale e alessitimia. Fattori di rischio sono il genere maschile, la
frequenza di utilizzo e l’isolamento".

Gaming: no alla demonizzazione, ecco quando preoccuparsi


"Il gaming problematico è stato introdotto come malattia solo recentemente nel nuovo ICD-11
soprattutto per una certa diffusione del problema nel sud est asiatico. I criteri descrivono una serie
di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, che si manifestano
attraverso: un mancato controllo sul gioco; una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto
che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita; una continua
escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali,
occupazionali o in altre aree importanti. La diagnosi comunque andrebbe posta se il
comportamento patologico si manifesta per almeno 12 mesi. Molti esperti sono critici
sull’introduzione di questo disturbo nei manuali perché i criteri diagnostici sono instabili e si
rischierebbe di stigmatizzare e patologizzare sia il mezzo, sia chi ne fa uso in modo sano e ludico,
essendo la diffusione del gioco problematico in effetti piuttosto limitata, soprattutto in Europa,
dall’1,6 al 2,6% (Feng, 2017)".

Gaming online, stimolo positivo o dipendenza?

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"In una fase prolungata di confinamento domestico come questa, giocare anche per alcune ore ai
videogiochi è un fenomeno piuttosto diffuso nei bambini e nei ragazzi, perché è un modo per non
annoiarsi ma anche per mantenere alcune relazioni sociali. La dipendenza non si instaura in così
poco tempo ma se c’è già un pregresso atteggiamento problematico al gioco occorre vigilare sulla
presenza di alcuni sintomi che sono in comune anche con la dipendenza da sostanze quali:
astinenza (il giocatore è molto nervoso e irritabile se non gioca), tolleranza (aumento progressivo
del tempo di gioco e dell’intensità/complessità dei giochi), craving (desiderio incontrollabile),
impatto sulla qualità della vita (minore capacità o interesse verso il lavoro, lo studio, le relazioni
sociali) e pensiero costante sul gioco".
"Nei manuali diagnostici si parla di gaming in generale quando gli studi ci dicono che possono
indurre maggiore dipendenza soprattutto alcune categorie di giochi chiamati MMO (Massively
Multiplayer Online) che sono giochi multigiocatore di massa online (come il noto World of
Warcraft, che apparterrebbe al tipo role play) o giochi del genere battle royal come il notissimo
Fortnite. Un aspetto additivo (che favorisce la dipendenza) è la possibilità nei giochi gratuiti (free
to play) di evolvere più velocemente pagando piccole somme (microtransazioni) che poi possono
diventare consistenti. Sebbene la casistica sia rara alcune condotte di abuso possono indurre in
soggetti particolarmente vulnerabili fenomeni dissociativi preoccupanti come la trance
dissociativa da videoterminale, indurre deficit nell’attenzione e nell’autocontrollo e un isolamento
progressivo che per porta a sentire come identità principale quella adottata nel mondo virtuale
(identificazione del giocatore con gli avatar) con un calo delle capacità empatiche e relazionali".
"D’altro canto un uso intenso dei videogiochi può essere semplicemente una grande passione,
come per altri la lettura, lo sport o la musica. Ci sono tanti motivi non patologici per giocare. Si
può giocare per noia, per svago, per curiosità, per passione, per bisogno di affiliazione, per
socializzare, per sentirsi più competenti in un campo e migliorare l’autostima, per scaricare la
tensione, per distrarsi dalle tensioni familiari. I videogiochi nella maggior parte dei bambini e
degli adolescenti non fanno male. Se il minore mantiene altri interessi offline e una buona qualità
della vita i videogiochi possono essere un accettabile passatempo. Anche alcune sporadiche
reazioni intense di rabbia durante le partite non devono allarmare, sono solo segnali di
frustrazione. La questione non è la rabbia, ma come il minore gestisce quella rabbia (spaccare
oggetti, imprecare, essere distruttivi e non sapersi calmare può essere il segnale di problema
sottostante). I videogiochi rendono più aggressivi e più impulsivi solo i bambini che hanno già
alcune vulnerabilità, problemi di impulsività o aspetti psicopatologici. Ma se compaiono segnali
quali un aumento di isolamento sociale, bugie, apatia, irritabilità, distraibilità, problemi scolastici,
problemi fisici (emicrania, mal di schiena, affaticamento della vista), un rifugiarsi sempre di più
nei videogiochi allora potrebbero essere indicatori di un disagio che va accolto e compreso, anche
con l’aiuto di uno specialista".
"I videogiochi possono essere considerati anche come stimoli positivi. Possono potenziare gli
aspetti attentivi e percettivi (visuo-spaziali), cognitivi e di soluzione dei problemi, possono essere
considerati strumenti riabilitativi nei disturbi dell’apprendimento, ma anche strumenti di
aggregazione che migliorano gli aspetti emotivi e relazionali (cooperazione e tolleranza della
frustrazione)".

Il ruolo dei genitori, parola d'ordine condivisione


"Pensando ad un aiuto alle famiglie più che demonizzare i videogiochi occorre informarsi su
questo mondo. Esiste, ad esempio, una classificazione chiamata PEGI (Pan European Game
Information) che tramite dei simboli nella confezione informa rispetto all’età minima consigliata
sull’utilizzo del gioco. Informarsi rende i genitori meno spaventati e permette di educare i figli
alla tecnologia. Se ne siamo completamente estranei finiremo per demonizzarla o per
sottovalutarne la potenziale dannosità. Bisogna informare i minori dei rischi della tecnologia, del
chattare con estranei, del rivelare informazioni personali, dell’accendere la web cam o dell’inviare
materiale personale".
"Per aiutare un bambino o un adolescente un buon modo consiste nel mostrare interesse verso
questa passione, non lasciare sempre solo il minore con i videogiochi ma provare a condividere

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con lui questo mondo, avvicinarci perlomeno, non necessariamente diventare un player. Questo
accompagnamento non vale solo per i videogiochi ma per l’utilizzo di internet in generale. Dato
che i filtri di parental control per bloccare l’accesso a contenuti non adatti ai minori non è
sufficiente, occorre affiancare i bambini nelle prime navigazioni, fornire loro delle linee guida.
Stando con loro sarà anche più facile capire le loro reazioni, capire ad esempio se quella richiesta
di tempo in più per giocare è un capriccio o un’esigenza motivata magari da un record importante.
Questa condivisione aiuterà anche a verificare se l’utilizzo del videogioco sta diventando
problematico e se il minore sta usando il videogioco come rifugio per qualcos’altro che lo
spaventa o lo fa soffrire (il problema può essere anche in famiglia). Lo scopo non è il controllo,
ma la condivisione".
Il tuo browser non può riprodurre il video. Devi disattivare ad-block per riprodurre il video. Il
video non può essere riprodotto: riprova più tardi. Attendi solo un istante . . . Forse potrebbe
interessarti . . .
"E’ meglio concordare con il minore, più che imporre, delle regole chiare sul tempo di
esposizione (non superare le due ore al giorno, dicono molti esperti) ed eventuali periodi in
assenza dei videogiochi se non vengono rispettate le regole già concordate. Poi bisogna essere
coerenti. Il dialogo costante, l’attenzione e la presenza sono strumenti più efficaci delle punizioni,
che se utilizzate vanno sempre spiegate bene. Evitare in preda alla frustrazione di staccare
all’improvviso il videogioco, perché il minore potrebbe veder svanire gli sforzi di tante ore ed
essere molto frustrato. Evitare di far giocare mentre si mangia (anche al ristorante). I videogiochi
non vanno usati al posto della babysitter, come distrattore o come educatore. Controllare che il
minore non giochi dopocena, perché questo interferisce con il sonno, finendo per penalizzare il
rendimento scolastico (fenomeno del vamping, gli studenti che stanno svegli di notte come i
vampiri e poi dormono a scuola). A volte si consiglia di tenere le consolle da gioco o il computer
in una stanza comune e non nella camera del minore, per favorire una condivisione e limitarne gli
usi impropri. Molti adolescenti passano ore al cellulare di notte sul letto, è una abitudine da
disincentivare. In una fase di confinamento come questa è più facile che il minore faccia dei binge
watching, cioè delle abbuffate di televisione, serie tv, filmati su youtube e videogiochi. E’
compito del genitore vigilare su questo atteggiamento. Se diamo delle regole occorre poi anche
dare l’esempio evitando di stare noi per primi troppo al cellulare o davanti alla tv. E se mettiamo
dei limiti dobbiamo saper proporre delle attività alternative, stimolare altri interessi, che esulino
dalle tecnologie, magari riscoprendo alcune attività da fare a casa insieme come il cucinare in
modo creativo e divertente, fare altre attività ludiche insieme o condividere altri hobbies".
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