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Prima edizione, dicembre 2014

© Matteo Poropat per Obscura Genesi e Cronache dell’Avvento Oscuro


Il figlio del Toro

di Alberto Orsini
Sostanzialmente, a me
Cronologia di un mondo futuro

Questa è la narrazione degli eventi principali che coinvolgono il


sistema solare e il nostro pianeta, la Terra, così come è stata
raccolta nelle Cronache dell’Avvento Oscuro, che narrano di come
un mondo sia stato prosciugato dagli uomini e come la piaga degli
Insettoidi sia scesa per punire una civiltà intera.

2050
La Terra è ormai sull’orlo del collasso ambientale ed energetico. Le
risorse si sono andate esaurendo più velocemente del previsto e i
tentativi di utilizzare tecnologie alternative non sono stati in grado
di migliorare una situazione ormai tragica.

2065
Viene iniziata la realizzazione del primo Assimilatore a Interferenza
Quantica, basato sui risultati degli studi decennali del dottor Peter
Venkman, dal quale prenderà il nome divenendo semplicemente
l’Assimilatore di Venkman. Questo immenso dispositivo dovrebbe
servire ad assorbire energia dall’Intercapedine (una zona d’energia
scoperta dallo stesso studioso, situata tra i piani dimensionali che
formano l’universo) per fornirla a una Terra ormai prosciugata.

2067
Senza alcun preavviso gli Insettoidi, provenienti da Plutone,
invadono la Terra. Nel marzo del 2067 le prime navi alveare
vengono avvistate nei cieli di quasi tutto il pianeta e da esse
sciamano esseri orribili che iniziano l’opera di devastazione delle
città e cattura degli esseri umani. Alcuni vengono uccisi, altri
vengono assegnati come cavie a indescrivibili esperimenti genetici,
destinati probabilmente allo studio della specie umana e al suo
possibile utilizzo nella catena alimentare aliena.

2069
Il 30% della Terra è ridotto a cumuli di macerie e cadaveri. Iniziano
a diffondersi epidemie di malattie sconosciute, che decimano
ulteriormente la popolazione sopravvissuta. Non tutta la
popolazione viene annientata da questi fenomeni, una parte, non la
più fortunata, sopravvive generando mutazioni di ogni genere che
conducono in breve alla nascita di una nuova specie che prenderà
coscienza di sé solo pochi anni più tardi. Gli Insettoidi, rimasti
impassibili allo spiegarsi della presunta potenza militare terrestre,
costruiscono in tutto il globo misteriosi agglomerati di metallo e
vetro e sfruttano gli esseri umani per lavori al loro interno.

2072
Nonostante la guerra continui, in larga parte del pianeta ci sono
ancora zone rimaste escluse dalla furia distruttiva degli alieni. In
una di queste viene completata la costruzione del primo
Assimilatore di Venkman. Utilizzando l’energia fornita dal
dispositivo per alimentare uno speciale cannone ai neutrini si riesce
a ottenere un’arma in grado di oltrepassare gli scudi delle navi
alveare, unico legame tra gli Insettoidi e il loro pianeta di origine.
Le forze terrestri, stremate dalla guerra, trovano nuovo impeto ma,
mentre l’esito del conflitto sembra indeciso, il crollo sulla superficie
delle gigantesche navi aliene causa terrificanti esplosioni
termonucleari, che portano alla contaminazione di vaste aree della
Terra.

2073
Per fronteggiare la minaccia aliena e gli attacchi dei mutanti in
costante aumento, viene creata la C.H.A.O.S. (Customized Heavy
Assault Orbital Squad), una forza militare addestrata per il
combattimento con la specie aliena, specializzata nel risolvere
situazioni estreme.

2074
L’inizio del conflitto e la comparsa della genia mutante ha portato a
una situazione sociale particolare. Nonostante il nemico sia
rappresentato dalla feccia aliena, l’umanità si separa negli anni in
due schieramenti. I terrestri ancora in salute, che non hanno subito
mutazioni, si barricano in roccaforti chiamate Cittadelle Purificate,
in genere sotto il controllo di un governo locale, che risponde a una
forma di Controllo Centrale, diverso però da zona a zona. A questa
forma di governo si oppongono gruppi sempre più numerosi di
persone mutate dalle radiazioni aliene, che si fanno chiamare
T’karg (dalla forma fonetica dell’urlo di guerra degli insetti, con i
quali condividono l’odio verso la razza umana). Dopo essersi visti
rifiutare ogni genere di aiuto o semplice considerazione da parte dei
governi locali, sono disposti ad alimentare su un nuovo fronte una
guerra che sembrava conclusa.
2080
Sulla Terra i pochi Insettoidi sopravvissuti si barricano nell’ultima
delle loro fortezze tecnologiche mentre altrove sono studiati e
analizzati in ogni modo.
Nel frattempo l’Assimilatore viene utilizzato per i primi tentativi di
movimento nella fascia sub spaziale, attraverso navi che sfruttano i
motori a inviluppo quantico per riuscire a superare la velocità della
luce.
L’obbiettivo di questi esperimenti è raggiungere e distruggere gli
alieni rimasti su Plutone, estirpando alla radice la razza degli
Insettoidi.

2083
Il primo balzo Luna-Plutone porta sul pianeta degli alieni
un’enorme forza militare, che conduce una campagna con il solo
scopo di distruggere e conquistare.

2085
Nonostante molte difficoltà sul piano militare e mostruosi incidenti
nei primi tentativi di balzi sub spaziali, che portano alla morte di
centinaia di persone, la rabbia della razza umana funge da
inesauribile fonte di energia per il conflitto che continua sul pianeta
Plutone. Dopo alcuni anni di incessante guerriglia vengono poste le
basi per la costruzione di un nuovo Assimilatore che permetta di
fornire energia direttamente sul luogo dove serve, lì dove si
combatte.
2088
L’Assimilatore di Venkman nell’Avamposto Gamma di Plutone è
completo e operativo. L’inesauribile fonte di energia viene utilizzata
per accelerare l’avanzata delle truppe terrestri sul terreno alieno,
frenate ancora dalla devastante superiorità numerica degli
Insettoidi. (di Matteo Poropat)
Comunicato stampa

Agli organi di informazione


Loro sedi

PLUTONE, 25 LUGLIO 2092 - Nel primo pomeriggio di due giorni


fa, mentre si tenevano gli interrogatori del capo di una delle fazioni
ribelli dei mutanti, conosciuto come Ky’rith, arrestato di recente in
una delle basi di attracco navale dell'Avamposto Gamma di Plutone,
è iniziata una sequenza di esplosioni che ha devastato intere aree
del complesso.

Tra queste ha subìto notevoli danni strutturali la zona del presidio


militare dove avvenivano gli interrogatori, presidiata da una parte
del contingente C.H.A.O.S. di stanza all’Avamposto.

Da quanto si è appreso, la serie di deflagrazioni ha raso al suolo la


struttura rendendo impossibile uscire per mettersi in salvo al
personale all’interno.

A oggi questo ufficio non ha notizia di sopravvissuti. L’ultimo


contatto in ordine cronologico è stato stabilito con il tenente John
O’Malley che, scampato alle prime esplosioni, ha cercato di farsi
largo nella base ma è caduto eroicamente combattendo con alcune
creature aliene che si sono infiltrate all’interno approfittando del
temporaneo disfunzionamento dei sistemi di sicurezza.
Il comandante della III Legione, il maggiore Jostein Kronecher, ha
fatto le condoglianze alla famiglia a nome di tutto il corpo della
C.H.A.O.S..

Ufficio di gabinetto del Comandante della III Legione


Capitano Nikola Kanic
Prologo

Riverso a terra e tenuto sotto tiro dai puntatori laser dei legionari,
l’Eroe all’improvviso alzò l’arma e sparò contro il cranio deformato
della Bestia, dando il colpo di grazia a quel terrificante abominio. I
soldati aprirono il fuoco, l’Eroe prese in pieno una raffica di colpi
che distrussero quel che restava della sua armatura e poi cominciò
a spegnersi, piano. Non era triste. Non gli dispiaceva finire così.
Non contava più nulla, ormai. La sua missione era compiuta.
Mentre tutto svaniva, dentro di sé sapeva di aver vinto.
(prima parte)
1.

Jojo si svegliò di soprassalto. Era notte fonda, per quanto


potesse essere possibile distinguere tra giorno e notte in un
avamposto militare sulla Luna. Aveva avuto un altro dei suoi confusi
incubi, pieni di tenebre, squarci di luce, immagini che non avevano
nulla di umano e suoni che erano terrore puro. Non capitava spesso,
veramente non capitava da un po’.
Si guardò attorno. Qualche ora prima si era accoccolato nella
sua stamberga, in un anfratto di un vicoletto di una zona nascosta del
peggior quartiere malfamato di Base Luna, casa sua. Aveva cercato di
dormire, ma ci aveva messo parecchio a prendere sonno, e quando ci
era riuscito aveva sognato una strana scena: quel mostro deforme e
un uomo a terra, che non riusciva a vedere in faccia. Scacciò gli ultimi
refoli delle sue folli visioni oniriche e si alzò. Una rapida sciacquata di
faccia, un’occhiata allo specchio, una sistemata agli abiti logori e fu
pronto per uscire.
Aveva dormito fin troppo, e male, e conosceva un unico
modo per tirarsi su di morale: andare alla taverna della Luna
Calante, adocchiare un paio di polli, un soldato sbronzo o un
commerciante distratto, e fare qualche buon colpo. Con il ricavato
avrebbe potuto comprarsi un po’ di droga sintetica da inalare, l’unica
cosa capace di alleviargli il peso di non avere uno scopo, una storia,
un nome che fosse più di due lettere ripetute due volte.
Camminò circospetto per una viuzza, facendo un salto per
uno strano rumore che poi scoprì essere causato da un gatto in cerca
di cibo tra i rifiuti. Giocò un po’ con l’animale e poi prese la via che lo
avrebbe portato nella piazza principale di Base Luna, lo spazioporto
commerciale sorto a pochi chilometri dalla mastodontica area
militare cui aveva sottratto anche il nome. Un ricettacolo di gente di
dubbia fama e bassifondi poco raccomandabili. L’unico posto che
avesse mai visto, e di gran lunga il suo preferito.
In quattro balzi fu nella piazza. Scartò agilmente il solito
viavai di commercianti orientali, facendosi largo tra i venditori quasi
accatastati l’uno sopra l’altro, che offrivano mercanzia d’ogni genere
a qualsiasi ora del giorno e della notte. Raggiunse la taverna e si
infilò di soppiatto all’interno. Urtò un cliente che usciva: doveva
essere una specie di avvocato o forse un ricco mercante, capitato in
quel postaccio per chissà quale motivo, perché indossava vestiti
pregiati e sembrava schifato da quel che vedeva attorno a sé.
“Fai attenzione, maledetto ragazzo!”, disse, fulminandolo con
lo sguardo.
“Chiedo scusa, signore!”, replicò Jojo con un lieve inchino.
Recitava una parte che aveva ripetuto mille volte.
L’uomo gli rivolse un cenno di disprezzo e si allontanò. Il
ragazzo invece si addentrò nella taverna e il suo volto si aprì in un
ampio sorriso, mentre coccolava il borsello che aveva sottratto con
scaltrezza al malcapitato. Diede un’occhiata veloce e restò sorpreso:
all’interno c’era davvero un bel po’ di grana. Guardandosi attorno
mise via circospetto il bottino, che avrebbe ricontrollato con più
calma una volta fuori dal quel covo di furfanti e malandrini, i suoi
migliori amici. La serata era nata storta, ma stava cambiando
rapidamente. Con spirito rinfrancato e sincera beatitudine Jojo si
diresse al bancone, ordinando una birra e girandosi poi subito verso
la figlia del taverniere che trafficava con i boccali, rivolgendole lo
sguardo più affascinante che fosse in grado di fare.
2.

Morto. Il tenente Mick Carpenter era pietrificato da troppi


minuti davanti allo specchio, e quella parola continuava a
rimbalzargli nella testa. Morto. Madbull, il Toro, quel bastardo di
John O’Malley, se n’era andato, e stavolta per sempre. Certo, lo aveva
fatto alla sua maniera, con un’arma pesante in mano e il sigaro in
bocca. Però era troppo strano pensare che per una volta la prima
pistola a smettere di sparare fosse stata la sua, il primo a cadere fosse
stato il suo esoscheletro, con lui dentro. Eppure era così. Il suo
miglior amico era morto.
Non era ancora chiaro che accidenti fosse accaduto là
all’Avamposto Gamma di Plutone. Il dispaccio ufficiale che Mick
aveva intercettato dalla sala comunicazioni del suo rifugio nascosto
diceva poco e niente. Volutamente, aveva pensato con una punta di
sospetto. Tutto quello che avevano fatto sapere da lassù era che una
violenta esplosione dalle cause ancora ignote aveva devastato una
larga parte del complesso militare. John stava assistendo
all’interrogatorio di un ribelle catturato quando l’ala dove si trovava
era stata investita dal disastro. Sopravvissuto alla deflagrazione,
Madbull si era fatto strada nella base devastata in cerca di salvezza,
ma era caduto eroicamente nello scontro con alcune creature aliene.
Mick scosse ancora il capo. Cazzate, pensò. C’era qualcosa
che non andava. Nella sua esperienza di ufficiale della C.H.A.O.S. ne
aveva viste tante, troppe, e sapeva riconoscere i contorni della verità
dalle sfumature della menzogna. Avrebbe voluto saperne di più.
Sarebbe voluto partire direttamente e subito per Plutone, da solo e in
incognito. Ma non poteva. Prima, e lo aveva avuto chiaro in testa
appena ricevuta la triste notizia, doveva portare a termine un
compito. Lo doveva a Madbull, il Toro.
Si guardò ancora una volta allo specchio. I lunghi capelli
castani gli incorniciavano il volto affilato, sporcato da un velo di
barba incolta. Già così avrebbe fatto una discreta impressione a
chiunque, ma a rendere più marziale il suo aspetto ci pensava la
benda che aveva all’occhio sinistro, “ricordino” dell’incontro
ravvicinato con un insettoide che aveva pensato di decorarsi l’artiglio
con il suo occhio azzurro. Gli era rimasto il destro, ed era stato più
che sufficiente per sterminare quell’alieno bastardo e una lunga serie
di suoi simili dopo di lui.
“Tenente Mick Carpenter!”.
A quelle parole si scosse e si girò con un sorriso sardonico
verso la donna che era entrata nella sala, parlando ad alta voce e
interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “Debra! - esclamò - Quante
volte ti devo dire che non devi più chiamarmi con il mio grado? Sono
fuori dalla C.H.A.O.S., mi hanno destituito. Il tenente Carpenter non
esiste più...”.
“Sciocchezze. Tenente è il rango che ti sei conquistato sul
campo, e se non fosse stato per quei cialtroni della C.H.A.O.S.
sarebbe stato anche più alto. Non è di questo che voglio discutere.
Volevo solo avvisarti che la Polissena è pronta. Possiamo partire
quando vuoi”. Ciò detto la donna uscì, rapida com’era entrata.
Mick rimase un istante a guardarla. Debra Reds era uno dei
soldati migliori che avesse mai comandato. L’aveva conosciuta
casualmente in prima linea, durante la guerra contro gli Insettoidi, e
da allora l’aveva sempre voluta nella sua squadra. Il fatto che fosse
anche una bella donna, alta, mora, slanciata e scattante, non
guastava, ma nella decisione c’entrava poco o nulla. In battaglia
contavano la ferocia e la determinazione, il coraggio e l’intuizione, e
Debra ne aveva quanto e più di molti colleghi uomini.
Raccolse alcune carte che aveva sparso sulla scrivania e le
mise ordinatamente in una cartella, e questa dentro il suo borsone.
Dopodiché si avviò verso la rampa di lancio.
3.

“Ecco il mio campione! Proprio te aspettavo! Ho della roba


nuova di zecca superlativa, ti farà uscire completamente di testa, te lo
garantisco!”.
Oltre che un pessimo venditore, Bazakar era anche un
pessimo bugiardo. Jojo lo guardò in tralice. L’omaccione lo
sovrastava in altezza, ma non gli faceva alcuna paura. “Non è nuova -
rispose - e non è neanche superlativa. Vengo da te solo perché hai i
prezzi più bassi di tutta Base Luna. Dammene un paio”, disse
maligno il ragazzo.
“Mi ritengo offeso. Un paio? Accidenti, è la sera delle spese
pazze!” gli replicò lo spacciatore guardandolo di sottecchi. Jojo annuì
distrattamente, perché nel frattempo si era accorto di un problema. Il
costo di una dose della droga che di solito prendeva era di una piastra
d’argento, che pagava con l’equivalente di dieci piastre di bronzo,
faticosamente racimolate. Questa volta, a causa del suo scippo
baciato dalla sorte, aveva invece una somma dieci volte superiore a
quanto richiesto da Bazakar: una piastra d’oro. Anzi, nel borsello che
aveva rubato ce n’erano ben tre: una somma spropositata, che
raramente aveva visto tutta assieme. Maledisse la sua vittima. Non
poteva portare anche qualche spicciolo con sé?
Lo sguardo indagatore di Bazakar lo fece distogliere dai suoi
pensieri. Doveva improvvisare. “Sì - cominciò a recitare in tono
altezzoso - stasera mi voglio togliere uno sfizio. Non prendo solo la
tua roba friggicervelli. Hai qualcuno dei tuoi pezzi rari provenienti
dalla Terra? Sai a che cosa mi riferisco”. Oltre a essere il suo
spacciatore personale, Bazakar lo riforniva ogni tanto, quelle poche
volte che aveva il denaro necessario, di parti di armi, armature, scudi,
componenti di veicoli e altri oggetti militari, la grande e segreta
passione del giovane.
“Dipende da quanto puoi pagare”, rispose mellifluo l’uomo.
Riconobbe immediatamente il metallo prezioso quando Jojo,
tenendosi ben lontano, gli fece vedere quanto poteva pagare. Il
mercante rimase di sale. “Dove l’hai presa quella?”, chiese stupito.
“Non è affar tuo sapere l’origine dei miei investimenti”
continuò altero il ragazzo, sempre più calato nella parte.
“Già, non è affar mio e nemmeno di chi sta rimpiangendo i
proventi, di quegli investimenti”. Jojo sogghignò assieme al
commerciante: era evidente che era molto meno allocco di quanto
volesse far credere. Bazakar fece spallucce e poi cambiò espressione,
guardandosi intorno con un gesto teatrale. Non c’era anima viva in
quella parte della base, così sparì nel suo carrozzone e ne riemerse
con una scatola metallica. Il cuore di Jojo cominciò a battere forte
quando lesse la scritta C.H.A.O.S. stampigliata sul coperchio.
“Per quella piastra d’oro posso darti questa” disse il
commerciante, aprendola con uno sguardo invitante. Jojo rimase
senza parole. Dentro c’era quella che sembrava essere, e in effetti era,
una pistola al plasma. Ci fu una breve discussione sul prezzo, il
venditore voleva anche le due piastre d’argento delle dosi, il giovane
compratore però alla fine riuscì ad averle in omaggio con l’acquisto di
pregio dell’arma. Bazakar fece sparire soddisfatto la piastra d’oro
nella sua bisaccia e chiuse bottega anzitempo: con quell’incasso
poteva decisamente permetterselo. Sarebbe passato da un ricettatore
che gli faceva da cambiasoldi prima, e all’osteria subito dopo.
Quanto a Jojo, corse fino a casa e chiuse la porta con il
chiavistello, dedicando l’ora successiva a studiare il suo acquisto. Con
disappunto si rese conto che l’arma era al momento inutilizzabile,
essendo scarica. Per un attimo pensò di tornare da Bazakar a
protestare o a comprare un nucleo di plasma, ammesso che ne avesse
uno, ma poi considerò che l’informazione che su Base Luna c’era
un’arma della C.H.A.O.S. carica e funzionante in mano a un
ragazzino poteva essere lucrosa per quell’uomo e pericolosa per lui;
decise di non rischiare ulteriormente. Alle munizioni avrebbe
pensato in seguito.
In pochi minuti fu in grado di smontare e rimontare la
pistola. Aveva una specie di dono naturale: riusciva a capire i
meccanismi in poco tempo e si impadroniva facilmente delle
procedure di funzionamento. Il mondo dei militari lo attirava da
tempo, non si ricordava neanche più da quanto. Dopo circa un’ora di
minuzioso esame, fece scivolare un pannello nascosto sotto il
pavimento polveroso, e scese nella sua stanza segreta, dove custodiva
altre cianfrusaglie, comprate da Bazakar e altri ricettatori o rubate ai
soldati ubriachi nelle taverne di Base Luna. Ripose la scatola con
l’arma in un cantuccio, diede un ultimo sguardo felice ai suoi tesori,
poi tornò di sopra. Con gesto esperto prese una capsula di droga, ne
mise un’estremità alla bocca e schiacciò il pulsante che c’era,
aspirando il contenuto. La sua mente si perse. Per un tempo
indefinito gli sembrò come se il suo spirito vagasse nello spazio. Gli
apparvero altri mondi, altri universi, poi mostri giganteschi e
orripilanti, creature abominevoli. Urlò. Poi perse i sensi e si accasciò
in un sonno senza sogni.
4.

“Slacciate le cinture gente, eccoci a Base Luna! Cristo santo,


ogni volta che vengo in questo postaccio lo trovo notevolmente
peggiorato. Non potevamo infilarci direttamente in quell’inferno di
Plutone? Comincio a sentirne la mancanza! Dio ti ringrazio per esser
stato destituito!”.
Il sorriso di Mick si allargò. Anni prima i monologhi furiosi
di Jacob Steiner, il terzo membro della sua squadra, erano stati
famosi negli ambienti C.H.A.O.S. tanto quanto la sua capacità di
guidare ogni veicolo, utilizzare ogni arma e plasmare a suo
piacimento qualsiasi sistema informatico. Ex soldato modello,
quando era stato cacciato per aver frugato nei conti bancari
addirittura di un vice del maggiore Kronecher, potente ufficiale del
corpo e suo superiore, Mick non ci aveva pensato un attimo a
prenderlo tra i suoi. La parlantina e le continue lamentele erano un
prezzo che era disposto a pagare per poter avere le sue qualità al suo
servizio.
Dal canto suo, Steiner conosceva Carpenter di fama come
ottimo soldato, e aveva trovato una buona opportunità la possibilità
di entrare in clandestinità e partecipare alle fruttuose imprese di
guerriglia che Mick gli offriva. Inoltre si era innamorato
immediatamente di Debra, e anche se alcuni ostacoli temporanei si
frapponevano al loro idillio (con un paio di sberle la donna aveva
presto chiarito la sua posizione), era certo che prima o poi sarebbe
stata sua.
“Gli agenti destituiti - disse lei, caustica - hanno sempre
un’alternativa, finire in gattabuia oppure a decorare le cancellate
dell’Alto Comando della C.H.A.O.S. con le loro teste. Allora, dove ci
hai fatto scendere questa volta, in una discarica?”. In quanto
fuorilegge, era loro tassativamente vietato l’accesso a Base Luna e
dovevano cambiare ogni volta luogo di attracco. La Polissena era
schermata a qualsiasi tipo di radar, ma non c’era da fidarsi troppo.
“Spiritosa! Ci troviamo nel settore Nord-Nord-Ovest, a poche
centinaia di metri dalla sede della Gilda dei Sapienti. Ti ho portato
direttamente in centro, baby!” disse Jacob, che aggiunse: “Insomma,
Mick, vuoi deciderti a dirci chi o cosa cerchiamo? Alieni da fare a
fettine? Reperti preziosi da predare? Informatori che sanno troppo
da far tacere o da spremere? Non ti ho mai visto così misterioso!”.
Per una volta anche Debra era d’accordo.
Mick aveva preso un borsone e lo stava riempiendo con
alcune armi. Tre pistole al plasma con copiose ricariche e altrettanti
fucili ionici rappresentavano una dotazione standard per qualsiasi
loro missione non particolarmente impegnativa. Quando il
comandante prese un altro borsone e ci mise dentro un Annihilator,
arma notevolmente più potente, Debra alzò un sopracciglio e Jacob si
fece sfuggire un fischio.
Mick li guardò. “Cerchiamo un ragazzo, avrà 16-17 anni. Ma
per trovare lui dobbiamo prima andare da un’altra parte. Non so
bene se ci aspetta qualche pericolo particolare, probabilmente no, ma
sapete come la penso. Un Annihilator in mano ti salva la vita, uno
contro te la toglie. Il resto ve lo spiegherò strada facendo”. Gli altri
due annuirono senza aggiungere altro, imbracciarono un borsone
ciascuno e si prepararono a scendere.
Quando misero piede a terra e si guardarono intorno, Mick
annuì soddisfatto. Jacob aveva ragione. Si trovavano in una zona
periferica, appartata quanto bastava, ma da cui avrebbero potuto
raggiungere il centro di Base Luna in pochi minuti e senza dare
troppo nell’occhio. E così andò, non ci furono intoppi. Jacob
procedeva sicuro, conoscendo a menadito l’area. Arrivato in piazza,
tuttavia, si fermò, voltandosi verso il suo comandante con uno
sguardo interrogativo.
Mick indicò una via. “Per di là”. Era parecchio tempo che non
ci passava, ma ricordava ogni dettaglio del tragitto che dovevano
fare. Lo aveva percorso mille volte. Si addentrarono in vie sempre più
piccole e contorte, finché non furono davanti a una porta. Sembrava
tutto silenzioso e buio all’interno, e strati di sporcizia ricoprivano
quell’ingresso.
“Qualcosa non quadra, qui non dovrebbe essere così”,
mormorò Mick, e immediatamente i due compagni misero mani alle
armi, guardandosi attorno furtivamente. Si aspettavano un agguato,
un’irruzione, uno sparo, un ordine gridato di lì a un secondo, e invece
il loro comandante li sorprese entrambi, facendo qualcosa di molto
poco militare. Toc toc. Aveva bussato.
5.

La porta, marcia, si sganciò dai cardini, cadde in avanti e si


schiantò al suolo con un tonfo che sorprese i tre. Debra pensò che
avrebbe svegliato tutta Base Luna. Mick le sembrava rilassato, ma
quel vicoletto e quella casetta non le piacevano proprio, puzzavano di
guai. Così entrò con la pistola spianata, pronta a distruggere qualsiasi
minaccia. Il braccio teso, però, si accasciò di colpo e l’arma quasi le
cadde di mano quando vide in che razza di stanza erano entrati.
Sembrava lo scenario di una vecchia fiaba del ventesimo
secolo. Una specie di casa delle bambole a grandezza naturale. Lei
non ne aveva mai avuta una, figuriamoci. Cresciuta in un istituto
rieducativo per orfani all’interno della Cittadella Purificata nata dalle
ceneri di Newcastle, nell’antica Inghilterra, era stata da subito
forgiata alle durezze e alla disciplina della vita militare e non aveva
mai avuto il tempo per simili giochi di bimba. In ogni caso sapeva
com’era fatta una casa delle bambole e quella stanza sembrava
proprio esserlo.
C’erano mobili probabilmente molto antichi, di uno stile
dimenticato. Pochi, in realtà. Un tavolo, una grande libreria, un
mobile basso e un divano. Tutti decorati con finiture stranissime e
meravigliose, con intarsi di materiali apparentemente irriconoscibili
e dai colori splendenti, nonostante, proprio come la porta caduta, lo
spesso strato di polvere denunciasse che quella casa non era abitata
da anni.
Mentre Mick era fermo al centro della stanza e si guardava
intorno con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso, gli altri due
si fecero strada silenziosi all’interno di quell’abitazione, sempre
temendo qualche pericolo, e cominciarono a esplorare un corridoio
seguendo schemi di infiltrazione conosciuti talmente a fondo che
ormai era diventato quasi involontario metterli in pratica.
Jacob si ritrovò dentro un bagno, anche questo tanto
splendido quanto inutilizzato, e da moltissimo tempo. C’era una
grande vasca triangolare, sormontata da una serie di mensole che
contenevano decine di ampolle piene di chissà quali sostanze. La
polvere dominava ogni cosa. Si sedette sul bordo della vasca e stappò
uno di quei recipienti. Aveva un odore molto invitante e il soldato
capì che erano sali da bagno, e che dovevano essere anche abbastanza
pregiati. Si alzò e fece per raggiungere gli altri, ma diede un ultimo
sguardo al posto prima di aprirsi in un sorriso: quello sarebbe stato
un ottimo posto per trascorrere qualche piacevole mezz’ora con
Debra.
Quest’ultima si era addentrata all’interno dell’appartamento
ed era arrivata in una camera, altrettanto polverosa e altrettanto
intrigante. Davanti aveva un grande letto a baldacchino, con lenzuola
dorate e una coperta che pareva di seta. Una specchiera si trovava sul
lato destro e un armadio sul lato sinistro. Quando aprendolo trovò
una serie di vestiti da donna di fogge stranissime e tessuti mai visti,
non si stupì troppo. Girandosi, vide che sopra la porta da cui era
entrata troneggiava un grande ritratto dipinto. Debra si avvicinò.
Non so chi sei, ma hai proprio una bella casa, pensò.
Tornò in salotto mentre Jacob diceva a Mick “..e comunque è
evidente che la padrona di casa non abita più qui, e da molti anni”.
Assorto nello sfogliare quello che sembrava un album di foto, il
comandante annuì distrattamente. Restò fermo su una pagina, poi
chiuse di colpo il volume e si riscosse, alzandosi in piedi.
“Ragazzi - parlò ai suoi - abbiamo cominciato con un buco
nell’acqua, ma la ricerca deve continuare. Vi ho detto che dobbiamo
trovare un ragazzino, giusto? Bene, il nostro obiettivo è il figlio della
donna che abita, abitava direi, in questa casa. Del pargolo non so
nulla, mentre lei si chiama Lena, ed è la donna più bella della
galassia”. Jacob restò sorpreso ascoltando quelle parole, mentre
Debra alzò il solito sopracciglio. Erano abituati a non sentire mai il
loro comandante parlare di donne, né da quando vivevano e
lavoravano assieme lo avevano mai visto frequentarne una. Erano
certi che non ci fosse nulla di poco virile in lui, pensavano
semplicemente che non fosse interessato alla compagnia femminile.
Debra era un compagno d’armi, non una donna, e lei aveva
apprezzato la parità di considerazione di cui godeva rispetto a Jacob
e non aveva mai scoperto il suo comandante riservarle uno sguardo
indiscreto o interessato. Proprio tutto il contrario del suo petulante
corteggiatore.
La curiosità dei due soldati a quel punto era stata
ampiamente solleticata da quell’avvio di missione pieno di misteri,
ma Mick sembrava molto cauto nel rivelare loro informazioni e se si
comportava in quel modo doveva esserci per forza un motivo, così si
guardarono bene dal chiedergli lumi sulla donna di cui parlava.
Quando con un cenno fece capire che quel sopralluogo era
concluso, lo seguirono senza batter ciglio. E richiusero la porta.
6.

I tre stavano facendo il percorso a ritroso, e nessuno parlava.


Mick era sorpreso da quanto visto e decisamente spiazzato. Lena
stava a casa sua o da nessun’altra parte. Possibile che avesse lasciato
Base Luna? Assolutamente no. Invece era successo, oppure... Oppure
era successo qualcos’altro. Ma no, non poteva essere.
Erano tornati nella piazza principale. Accanto a uno spaccio,
un artista di strada cantava a squarciagola una canzone vecchia di
secoli, accompagnandosi con una chitarra. Mick sorrise, conosceva
quel pezzo, un successone nelle bettole di Base Luna, e conosceva
quel pazzo, un terrestre purosangue, ex soldato pure lui, cantante
sopraffino, sopravvissuto alla guerra e all’alcol, incontrato durante i
suoi anni giovanili trascorsi alla base. Ne avevano fatte di bevute, lui,
Madbull e quello lì. Si fermò ad ascoltarlo.

“Gli americani che espatriano


si ritrovano tutti quaggiù...
Alle spalle una storia improbabile,
un amore che non vale più...
E poi verso sera li vedi,
tutti a caccia, una donna e via!
E attraversano la notte a piedi
per truffare la malinconia...
E spendono più di una lacrima
Su un bicchiere di vino e di rum...
E piangendo gli viene da ridere,
ballo anch’io se balli tu! Eh!”

La piccola folla che si era radunata ad ascoltare il vecchio


cominciò ad applaudire già durante l’assolo di chitarra che concluse
l’esibizione, e poi si disperse. Mick rimase a guardarlo mentre
riponeva il suo strumento e raccoglieva il denaro che il suo
improvvisato pubblico gli aveva dato. Il comandante si fece avanti,
offrendo una piastra di ferro con un sorriso. Il menestrello lo
riconobbe e lo abbracciò con energia. Quando si scollarono, lo guardò
intensamente.
“Te ne do una di bronzo io in cambio dei tuoi pensieri,
tenente!”, esclamò. Mick sorrise e lo prese sotto braccio. “Tienila da
parte, la tua piastra di bronzo, perché servirà alla taverna! Debra,
Jacob - si rivolse ai suoi - Questo è Jack il Fortunato, dice di
chiamarsi così perché un tempo era capitano di navicella, ma non gli
crede nessuno. Quello che è vero è che quest’uomo è la voce migliore
di Base Luna da molti anni a questa parte. Loro due sono i miei
compagni di squadra, commilitoni e amici. Venite, andiamo a bere
qualcosa, continueremo il nostro giro più tardi. Jack, è il cielo che ti
manda. Ho bisogno di te”.
Mick si avviò verso la Luna Calante, ma l’uomo lo fermò. “Se
hai bisogno di me è meglio non parlare là dentro. Anche i muri hanno
le orecchie in quel postaccio, o te ne sei dimenticato? Andiamo a casa
mia, saremo più sicuri”. Mick annuì e si avviò con lui, chiacchierando
del più e del meno. Gli altri due seguivano a un passo di distanza,
non potendo fare a meno di guardarsi intorno sospettosi, nel caso in
cui qualche sconosciuta minaccia intervenisse a interrompere quella
rimpatriata.
7.

Asarah. Fu la prima immagine che vide Jojo quando si


svegliò. L’effetto della droga era svanito e per quella notte non aveva
alcuna intenzione di riprovarlo. Si tirò su, perplesso, cercando di
capire come mai avesse avuto quel pensiero subito dopo il risveglio.
Improvvisamente si rese conto. Asarah era la figlia del padrone della
taverna. Le aveva parlato solo qualche ora prima, ma poi lei era
scomparsa sul retro e lui si era ricordato dell’appuntamento con
Bazakar ed era volato via. Sorrise. Adesso sarebbe andato a
riprendere quella conversazione.
Per la seconda volta in quella notte il ragazzo si sciacquò il
volto e si diede una sistemata. Asarah era il suo pallino. Erano
cresciuti giocando assieme, tra i pochi ragazzini di quel postaccio, e
Jojo era il massimo per lei, fino a quando crebbero ancora, e lei
diventò il massimo per lui. La corteggiava spudoratamente, spesso
provocando le risate sguaiate degli ubriaconi avventori che
frequentavano la locanda. Lei sembrava interessata alla sua
compagnia, ma sul più bello si dileguava sempre, come una gazza. Di
una bellezza delicata, ma non appariscente, Asarah sembrava
completamente fuori posto in quella bettola e forse lo era, ma Jojo
sapeva bene che dietro i modi affabili si nascondeva un’indole forte
come il granito su cui era edificata la prigione di Base Luna.
Il tira e molla tra Jojo e Asarah ormai durava da troppo
tempo. Era giunto il momento di conquistarla, pensò il ragazzo. Che
all’improvviso ebbe un’idea che gli sembrò a dir poco geniale.
Cresciuta a un passo da una base militare, proprio come lui la
ragazza aveva una passione sfrenata per i soldati, meglio ancora se
della C.H.A.O.S.. Ogni volta che Jojo aveva promesso che sarebbe
diventato uno di loro la ragazza lo aveva sempre canzonato, adesso
chissà che faccia avrebbe fatto vedendo che già poteva permettersi
un’arma delle legioni! Il fatto che la sua pistola fosse scarica a Jojo
pareva un dettaglio secondario, anzi da omettere.
Scese di nuovo nel rifugio sotterraneo, tolse l’arma dal fodero
e la mise alla cintura, coprendola con la blusa che indossava in modo
che non si vedesse. Richiuse tutto accuratamente e in tre balzi fu alla
taverna. Trovò la sua fiamma in un angolo, mentre puliva il
pavimento.
“Ah, eccoti qua”, disse lei con aria imbronciata. “Dove sei
finito prima? Sei scappato senza salutare! Che cafone che sei, Jo’!”,
borbottò continuando a pulire. “Jo’” era il diminutivo del
soprannome. Solo lei lo chiamava così. Come se quattro lettere
fossero troppe da pronunciare, si lamentava da sempre il ragazzo.
Jojo farfugliò una scusa. “Ehm, mi dispiace, ma avevo un
appuntamento importante con uno dei miei fornitori! E proprio da
lui ho avuto una cosa molto molto interessante, devi vederla
assolutamente!”. Il ragazzo sorrideva, mentre Asarah si mostrò
incuriosita.
“Di che si tratta? Sarà un’altra delle tue sparate”, rispose,
tentando di mostrare un’espressione scettica che però non era sicura
le fosse riuscita.
Per tutta risposta, Jojo le indicò la porta sul retro. “Vieni con
me, non posso mostrartela certo qui”. Si avviarono all’esterno, a quel
punto la giovane era divorata dalla curiosità.
Quando vide la pistola al plasma, Asarah rimase senza
parole. Poi chiese il permesso di esaminarla e una volta ottenuto
cominciò a rigirarla tra le mani. Aveva visto e sentito spesso Jojo
parlare di tecniche militari: dopo aver avuto l’assicurazione che fosse
sua gliela restituì con lo sguardo pieno d’ammirazione e poi cominciò
a fare domande su domande. Era sempre curiosissima di sentire
spiegazioni e aneddotti soldateschi da Jojo, e quella sera lo trovava
più interessante del solito. Lui, dal canto suo, sfiorava il cielo con un
dito.
8.

“Lena è morta, Mick. Mi dispiace tu non lo abbia saputo. È


stato molti anni fa”. Jack il Fortunato era bravo con le parole, ma
stavolta non aveva saputo trovare niente di meglio che la cruda
verità, e forse non c’era modo migliore per comunicare quella triste
notizia. Stavano sorseggiando un buon whisky, di quello terrestre,
che Jack chissà come aveva sempre a disposizione. Mick rimase di
stucco, ed era la terza volta in quella notte, decisamente troppo
sorprendente.
“Come... Com’è successo?” riuscì a malapena a mormorare.
Jack vuotò il bicchiere e rispose. “È stato improvviso. E
orribile. Una malattia, credo. Un contagio che, però,
inspiegabilmente ha preso solo lei. Non era più la stessa Mick. Il
virus l’aveva cambiata. Cominciò a... A mutare. Finché sparì, e la
ritrovarono morta nel settore Sud. Nessuno ha più avuto quello che
ha avuto lei, e speriamo nessuno lo abbia mai”. L’uomo si versò di
nuovo da bere, poi si accese la sigaretta che aveva preparato poco
prima.
Quello che aveva raccontato era molto vago e ci sarebbero
state da fare molte domande, ma Mick non era sicuro di volerne
sapere di più. Quello che gli importava davvero è che in una sola
notte aveva perso le due persone più importanti della sua vita. Scese
il silenzio. Davvero c’era poco da dire.
Fu Debra a romperlo. “Mick - disse - Chi è questa Lena? Non
te ne abbiamo mai sentito parlare eppure ci conosciamo da molti
anni. Stasera ci hai portato qui a cercare un ragazzo, poi è venuta
fuori una donna, adesso scopriamo che è morta... Dicci che diavolo
sta succedendo!”. Per tutta risposta Mick si alzò, avviandosi verso
l’uscita della casa. “Vado a fumare una sigaretta. Spiegale, Jack”,
disse mentre usciva.
Il menestrello prese a parlare pacato mentre Debra e Jacob
ascoltavano. “Lena era una prostituta. Non c’era niente di sconcio o
volgare in lei, semplicemente quello pensava fosse il suo lavoro e
quello aveva fatto da sempre. Naturalmente era una donna
bellissima, qui a Base Luna si diceva fosse la più bella della galassia.
Rimasta orfana fin da piccola, aveva dovuto cavarsela da sola e
crescendo aveva capito che grazie alla sua bellezza poteva sfamarsi
molto di più che mendicando o lavorando come una sguattera”.
L’uomo ingollò un altro sorso di whisky. Jacob gli fece cenno
di continuare. “Aveva cominciato come un’umile donna di strada -
continuò Jack - ma con il passare del tempo riuscì ad accumulare
denaro e avere una casa tutta per sé. Non rinnegò mai il suo lavoro,
ma arrivò al punto di potersi permettere di vendere il suo corpo a chi
voleva, e alle sue condizioni. Finché quel brutto male non se l’è
portata via”.
Debra era attentissima. “E questo cosa c’entra con Mick? È
stato uno dei suoi clienti?”, borbottò confusa.
Jack la guardò. “Cliente? Mai. Mick ne era innamorato, tutto
qua. È stata l’unica donna che abbia mai amato, almeno da quando lo
conosco io, cioè da sempre. Sfortunatamente, pur apprezzandolo
moltissimo come uomo, lei non lo era di lui”.
“Fa differenza? Da quando le puttane si innamorano?”,
sbuffò Debra. Già detestava quella donna.
“Non essere caustica, ragazza. Mick non volle mai pagare per
stare con lei, mentre lei non volle mai stare con lui senza essere
pagata. È questo il paradosso della vicenda, ancor più beffardo se
pensi che Lena era effettivamente innamorata di qualcuno, e per
colmo di sorte questo qualcuno era John O’Malley, il miglior amico
di Mick! O’Malley, un grand’uomo, e un gran soldato. È morto anche
lui pochi giorni fa. Puah, è proprio vero che sono sempre i migliori
quelli che se ne vanno”.
La storia era finita e i due soldati si alzarono per raggiungere
il loro comandante. Mancava un ultimo pezzo al puzzle e Jacob si
rivolse ancora al menestrello. “E il ragazzo? Che c’entra con
O’Malley?”. Ma lo sguardo di Jack il Fortunato mostrò chiaramente
la sorpresa.
“Quale ragazzo?” farfugliò.
“Il figlio”. La voce di Mick sorprese tutti e tre. Il comandante
era rientrato senza che se ne accorgessero. “È lui che stiamo
cercando. Il figlio di John e, come vi ho detto, di Lena. Prima che
partisse per Plutone, John mi fece promettere che mi sarei preso cura
del ragazzo se gli fosse successo qualcosa in quel pianeta infame. Là
per là non la presi seriamente perché sapevo che sarebbe tornato
presto, ma ora devo mantenere quella promessa. Dobbiamo trovarlo.
Addio Jack. Almeno tu, resta vivo”.
9.

“Davvero vuoi diventare un soldato della C.H.A.O.S., Jo’?


Beh... Stavolta forse non è una delle tue solite sparate...”. Così aveva
detto Asarah, sorprendendolo. E poi si era avvicinata. E poi...
“Eccolo! Forza, prendetelo! Ehi tu, fermo!”. Le urla fecero
riscuotere Jojo dal sogno a occhi aperti che stava facendo,
ripensando a quanto successo solo pochi minuti prima. Si guardò
attorno e gli si gelò il sangue nelle vene. A parlare, e a scattare contro
di lui, era stato un gruppetto di soldati. Li riconobbe al volo come
membri della C.H.A.O.S., ma stavolta non c’era tempo per ammirarli:
in un lampo il giovane si rese conto che quei soldati volevano
prenderlo, e non poteva esserci niente di buono in questo. Doveva
fuggire.
Cominciò a correre lungo la strada che dalla piazza principale
portava verso la sua topaia, ma poi cambiò idea. Se proprio doveva
fuggire inseguito da quei figuri era certo meglio non portarli fino a
casa! Voltò a sinistra, verso una zona della baraccopoli sorta vicino
allo spazioporto, che conosceva a menadito e che era famosa per le
sue vie strette e tortuose e per i suoi incroci tutti uguali, tanto che più
d’uno sprovveduto era finito per perdersi all’interno, incappando in
qualche tagliagole.
I soldati erano più forti e più veloci di lui e correndo in linea
retta lo avrebbero raggiunto in un batter d’occhio. Jojo fu ancora più
spaventato quando da lontano cominciò a sentire passi metallici e
pesanti, che si avvicinavano sempre più rapidi. Correva senza
voltarsi, ma immaginò che si trattasse di un esoscheletro di quelli in
dotazione alla C.H.A.O.S., magari indossato dal soldato che gli aveva
urlato contro e sembrava essere il comandante del gruppetto.
Un esoscheletro! Un guscio che proteggeva e potenziava il
corpo del suo occupante, rendendolo ancora più forte e ancora più
veloce. Una cosa era certa, se avesse continuato a correre sarebbe
stato spacciato. Doveva improvvisare.
Crash! Dopo una curva strettissima, con un salto si lanciò
immediatamente sulla destra, e proteggendosi il volto con la mano
sfondò una finestra che si trovava all’altezza della strada. Avrebbe
potuto farsi molto male ma fu fortunato, non si tagliò e piombò
direttamente su un letto, occupato da due vecchietti che si
svegliarono di soprassalto, urlando. Il giovane ignorò la coppia di
anziani che gli sbraitava contro e si fiondò all’interno della stamberga
seminterrata, cercandone l’uscita. Finalmente raggiunse l’ingresso,
aprì la porta e si ritrovò nella “città vecchia” di Base Luna, proprio
nel punto in cui intendeva seminare i suoi inseguitori. Sorrise.
A proposito di inseguitori, Jojo non li aveva sentiti
precipitarsi nella camera dietro di sé, quindi ipotizzò, per meglio dire
sperò, che non avessero notato la sua manovra. Continuò a correre
per un po’, districandosi per un dedalo di stradine fino ad arrivare in
una zona che ricordava a malapena, che forse anzi non aveva mai
esplorato. Tutto sembrava deserto e tutto era senz’altro silente.
Stremato, si appoggiò allo stipite di una vecchia palazzina a due piani
che non aveva mai visto. Degli inseguitori nessuna traccia. Non
voleva illudersi, ma magari con un po’ di fortun... Zap! Una scarica al
plasma colpì il punto dov’era Jojo, distruggendo l’entrata, ma Jojo si
era gettato a terra d’istinto, salvando la pelle.
“Non è possibile!”, gridò disperato mentre si rialzava. Tre
soldati erano davanti a lui, un quarto, quello con l’esoscheletro, stava
sopraggiungendo di gran carriera. Come diavolo avevano fatto a
trovarlo? Era come se avessero saputo dove si sarebbe diretto, ma
fino a pochi minuti prima non lo immaginava neanche lui...
“Arrenditi!” gridò il comandante. Jojo se ne guardò bene.
Prima ancora che i legionari facessero un passo si fiondò dentro una
casa e si chiuse con violenza alle spalle la porta di legno pesante. Fece
capolino dalla finestra, pronto a schizzare via. I quattro però
sembravano non voler fare irruzione. Poi il comandante parlò ancora.
Giocherellava con qualcosa, a Jojo pareva una specie di pallone da
football, un vecchio sport di cui aveva sentito parlare.
“Mi sono stancato di correre, dannato ragazzo. Non ho
intenzione di fare un altro passo. Arrenditi immediatamente o per
tutte le legioni farò saltare in aria quella baracca con te dentro!”. Non
sembrava affatto scherzare. Jojo non pensò nemmeno per un
momento a obbedire all’ordine. Contò dieci battiti, poi il comandante
gridò ancora.
“Bene, come vuoi tu! Addio!”, disse, e lanciò il pallone da
football. Quasi troppo tardi il ragazzo si rese conto che non era un
pallone. Era una granata! Si tuffò lontano dal muro esterno della casa
e atterrò pesantemente su una spalla, ferendosi, quindi ci fu la
deflagrazione. L’intera catapecchia fu scossa da un boato, poi
cominciò ad accartocciarsi su se stessa e crollò, prendendo
immediatamente fuoco. Jojo era vivo per miracolo: un pilastro
dell’edificio gli era franato addosso, bloccandosi però a una ventina
di centimetri dal suo viso e, anzi, proteggendolo dal resto delle travi
che crollavano. La fortuna però finiva lì. Era prigioniero e non poteva
muoversi in nessuna direzione. Sarebbe morto tra le fiamme in pochi
minuti.
Boom! Una seconda esplosione rovesciò di nuovo la
situazione. Non sapeva come, ma Jojo ora vide uno spiraglio dietro di
sé, che prima non c’era. Una mano uscì da quel pertugio, qualcuno
gridò ad alta voce. “Per di qua!”. Jojo si aggrappò con tutte le sue
forze e fu trascinato via proprio mentre il pilastro si spezzava
definitivamente, sfracellandosi là dove il giovane era rimasto
bloccato fino a un istante prima. Pensò di esser stato portato via
dall’inferno, poi perse i sensi.
10.

Una specie di talento innato per i guai. Una sorta di capacità


naturale di ritrovarsi sempre in mezzo alle situazioni più
ingarbugliate e al tempo stesso un’attrazione altrettanto naturale a
immischiarsi in esse, e naturalmente a risolverle. Mick da tempo
aveva imparato a fidarsi del “dono” che aveva (per Jacob era
discutibile chiamarlo così) e non dubitava più delle sue decisioni
istintive. Dopo aver setacciato l’anagrafe di Base Luna, entrando nel
database grazie a un trucco di Jacob, senza trovare alcun O’Malley,
aveva esaminato liste di iscritti a scuole, di pazienti di ospedali e già
che c’era anche di detenuti, senza risultati: al momento non avevano
lo straccio di una pista. Mick voleva andare a cercare qualcuno dei
suoi amici mercanti per provare a chiedere un’indicazione, un
indizio, un piccolo appiglio per riprendere la ricerca. Ma mentre i tre
si dirigevano verso la zona degli ambulanti, avevano visto un ragazzo
inseguito a spron battuto da tre beccamorti suoi ex colleghi della
C.H.A.O.S.: il suo “dono” si era manifestato, e il tenente non ci aveva
pensato un attimo a decidere di dare una mano. Al ragazzo,
naturalmente.
Seguìto da Debra e Jacob lo aveva tenuto d’occhio, riuscendo
a non perderlo di vista anche dopo la mossa (che valutò astuta) di
gettarsi dentro una casa e uscire dall’altro lato. I tre avevano fatto in
modo di non farsi vedere dagli inseguitori, ma i soldati che cercavano
il ragazzo erano già lì, il che fece pensare a Mick che il malcapitato
avesse un chip sottopelle, di quelli che per decisione dell’Alto
Comando venivano impiantati a tutti i neonati di Base Luna da un bel
po’ di anni a questa parte.
Si stava riprendendo. Mick pensò che avrebbe cercato di
fuggire spaventato, ma d’altronde se l’era vista decisamente brutta e
per tornare a saltare come un grillo gli sarebbe servito ancora
qualche minuto. Si piegò sulle ginocchia, mentre la sua nuova
conoscenza provava a tirarsi su, appoggiandosi con un gomito.
“Ciao, mi chiamo Mick. Loro - indicò i commilitoni - sono
Debra e Jacob, siamo i tuoi salvatori. Se ti stai chiedendo come
facciano quei soldati a trovarti ovunque vai, sappi che hai un
congegno dentro di te che segnala la tua presenza a un sacco di gente,
tra cui il loro comandante. Lo devi rimuovere, altrimenti presto te li
ritroverai di nuovo sulla porta di casa. Beh, ammesso che tu ne abbia
una. Posso farlo io, ma qui all’aperto ti farà un po’ male, e farà anche
un po’ schifo. Va bene?”.
Ancora sotto shock, il ragazzo annuì tremante e i tre si
misero all’opera. Jacob gli aprì la blusa, poi tirò fuori un arnese che
sembrava un trapano, ma al posto della punta aveva una specie di
incavo con tre estremità che apparivano quasi come quelle di un
artiglio. Lo strumento cominciò a ruotare velocissimo ma senza
produrre alcun rumore se non un piccolo bip, cosa che stupì Jojo.
“Non voglio bucarti, sta’ tranquillo, ti farò solo un taglietto!”, riprese
Jacob. “Questo mi aiuterà a trovare il chip e produrrà un campo
magnetico che lo manderà in corto, spegnendolo. Poi lo estrarremo”.
Cominciò a muovere il rilevatore a pochi centimetri dalla pancia
scoperta del giovane finché il suono non aumentò d’intensità.
Quando il cicalio divenne continuo i due si scambiarono un’occhiata
d’intesa. Jacob schiacciò un tasto e ci fu una luce improvvisa e un
suono sordo, poi il trapano si spense. Con un gesto naturale e
fulmineo, Mick, che aveva nel frattempo arroventato il suo coltello,
fece una rapida incisione sulla pancia di Jojo, che sussultò, sorpreso:
poi con un semplice movimento del dito il tenente tirò fuori un
piccolo circuito insanguinato e fumante, che mostrò al ragazzo
qualche istante, prima di gettarlo via. “Adesso dovremmo stare
tranquilli, perciò possiamo parlare”, disse mentre disinfettava il
taglio con uno spray che Debra gli aveva passato, per poi tamponarlo
con un po’ di cerotto adesivo militare.
“Come hai detto che ti chiami?” chiese il giovane con la bocca
ancora impastata, riuscendo a fatica ad alzarsi.
“Sono Mick. E tu sei nei guai”, fu la risposta. “Chi sei,
ragazzo? E che hai fatto di male per suscitare le ire di un drappello
della C.H.A.O.S.? Li hai forse derubati?”.
“Mi chiamo Jojo”, borbottò. “Davvero siete stati voi a tirarmi
fuori da lì? Beh, grazie. Se volete dei soldi sappiate che non ne ho.
Quanto all’altra domanda, a quei maledetti non avevo rubato nulla.
Non ancora, almeno. Ma perché mi avete tolto quello schifo dalla
pancia?”.
“Per due ragioni”, rispose Mick. “La prima è perché nessuno
dovrebbe essere controllato: quando facevamo la guerra su Plutone e
sul nostro pianeta avevamo anche noi quei marchingegni e non era
bello sapere che il tuo comandante poteva controllarti in alta
definizione anche mentre andavi in bagno! Imparammo subito a
rimuoverli in poco tempo, perfino in un vicolo lercio e buio come
questo, rimediando punizioni su punizioni, e così ancora oggi noi
cattivi ragazzi ogni volta che possiamo cerchiamo di liberare quante
più persone possibili. La seconda ragione è perché mi sei simpatico”.
Il ragazzo accettò la risposta e si aprì in un timido sorriso, il primo, di
ringraziamento.
“Che razza di nome è Jojo?”, disse Jacob con voce acidula.
“Non è il mio vero nome - ammise il ragazzo - Non lo so
neanche quale sia, il mio nome. Jojo mi chiamava da piccolo quella
stupida di mia madre e Jojo mi chiamo ora! Soddisfatto?”.
“Calma, calma!”, disse Mick, mentre Jacob rideva. Debra lo
fulminò con lo sguardo. “Ora dimmi un’altra cosa. Se non avevi
‘ancora’ rubato nulla a quei tordi - continuò - come mai hanno
cercato di farti la pelle? Ti sei intrufolato nella base e hai visto il
comandante generale in reggicalze? Ti ho salvato la vita, ragazzo, non
credi che abbia diritto a una spiegazione?”.
“Che vuoi che ne sappia!”, fu la risposta. “Avevo appena
finito di mostrare ad Asarah la pistola quando hanno cominciato a...
Ehi! Dov’è la mia pistola?”.
Mick si rialzò e si sgranchì le gambe. Estrasse dalla tasca
l’arma e cominciò a giocherellarci. “La ‘tua’ pistola è sana e salva,
come vedi. Non che potesse esserti molto utile, visto che era scarica.
Comunque, se non l’hai rubata a loro, e non fatico a crederlo visto
che è un modello non più in dotazione, sarei curioso di sapere dove
un monellaccio come te ha potuto trovare questo ferrovecchio...
Scommetto che dietro c’è una storia interessante. Ma è la tua serata
fortunata, non ho tempo di indagare, tra poche ore sarà mattina e io
ho una missione da compiere. Questa, però, viene con me. Non posso
lasciare un giocattolino pericoloso in mano a un ragazzo”.
“Ehi, come sarebbe... !”, protestò Jojo. Stava per aggiungere
qualche improperio imparato nelle bettole di Base Luna, ma Jacob lo
interruppe.
“Mick! Non potrebbe essere lui il ragazzo che stiamo
cercando? Quanti anni ha detto che ha?”.
“Non l’ha detto”, rispose Mick, guardando il compagno con
un sorriso ironico. “Caro Jacob, credi non ci abbia pensato? E
secondo te noi saremmo così fortunati da incontrare per puro caso e
ritrovarci servito su un piatto d’argento l’obiettivo che inseguiamo
ormai da ore e ore?”.
“Perché no”, disse Debra, aprendo bocca dopo molto tempo.
“In fondo aveva una pistola... Ragazzo, è O’Malley il tuo cognome?
Chi sono i tuoi genitori?”.
“Non ne ho idea - fu la risposta a denti stretti - Di mio padre
non so assolutamente nulla. Di mia madre posso solo dirvi che era
una stupida. Mi ha abbandonato. Di più non so. Comunque sappiate
che io a Base Luna conosco tutti e tutto. Sono sicuro che non c’è
nessun O’Malley qui, ma se volete posso aiutarvi a cercarlo. Se mi
ridai la pistola, naturalmente”.
11.

Mezz’ora dopo Jojo aveva riavuto la pistola, sempre scarica, e


mentre avevano raggiunto il riparo del giovane Mick era stato messo
al corrente di tutti gli accadimenti capitati su Base Luna negli ultimi
due anni, in particolare quelli di argomento militare, con un grado di
dettaglio che lo sorprese. Il ragazzo ammirava l’esercito e la sua stima
verso quei tre aumentò notevolmente quando seppe che avevano
marciato sotto le insegne della C.H.A.O.S. e avevano combattuto su
Plutone contro gli Insettoidi. Il fatto che fossero stati destituiti passò
subito in secondo piano.
“E così vorresti far parte della C.H.A.O.S.!”, esclamò Jacob
sarcasticamente. “Beh, tanto per cominciare non dovresti
frequentare agenti destituiti! E poi, anche se hai una pistola, peraltro
scarica, non puoi certo presentarti al reclutamento senza un
esoscheletro!”. Lo canzonava.
“Col cavolo!”, rispose Jojo con voce dispettosa. “A parte che
te lo danno quando ti arruoli, vero? In ogni caso, anche fosse ho già
tutto l’occorrente necessario!”. I tre lo guardarono con aria
interrogativa: il ragazzo si rese conto di aver parlato troppo. Ma si era
fidato da subito di questi tre ex soldati che lo avevano salvato da una
morte orribile. D’altronde, tolta Asarah, era la prima volta da molti
anni a questa parte che qualcuno gli dava una mano, invece di
cercare di maltrattarlo. Aveva preso una decisione. Fece scivolare il
pannello nascosto e invitò i tre a a entrare nella sua stanza segreta.
Perfino Debra fece un fischio quando vide la quantità di materiale
militare che il ragazzo aveva accumulato.
“Non c’è che dire, sei meglio equipaggiato tu di un novellino
del centro d’addestramento!”, disse Mick maneggiando un mentalkit.
“Ma come lo hai messo assieme questo arsenale? Comunque sia, farò
come mi hai consigliato. Passeremo la notte accampati nella città
vecchia e domattina andrò da Morris l’armaiolo e chiederò a lui. Sai -
aggiunse rivolto a Debra - sto cominciando a pensare che il ragazzo
che cerchiamo abbia lasciato Base Lun...”.
Si bloccò. Gli parve di aver visto qualcosa, anche se non
sapeva bene cosa. Tornò verso la catasta di materiale bellico e
cominciò a frugare. Era tutto vecchiume trovato chissà dove, ma un
particolare aveva attirato la sua attenzione.
“Ehi, così dovrò rimettere tutto in ordine!”, protestò Jojo.
Vide che Mick aveva preso in mano uno dei suoi giocattoli.
“Dove lo hai trovato questo?”, disse il tenente. Era il pettorale
di un’armatura, ed era diverso da tutto il resto. Aveva il marchio della
C.H.A.O.S. stampigliato all’altezza del cuore.
Jojo scrollò le spalle. “Ah, quello è stato il primo pezzo della
collezione. Ce l’ho praticamente da quando ho memoria. È stato il
mio unico giocattolo, da piccolo ci dormivo perfino dentro. Tra l’altro
non si impolvera mai, non credo sia di metallo normale”.
Mick annuì. “Infatti, è di lega di titanio e cadmio. È il
pettorale di un esoscheletro di classe Standard, di quelli
normalmente in dotazione alla C.H.A.O.S.. Mi sorprende che tu
l’abbia qui, non vorrei offenderti, ma eccetto quella pistola il resto
che hai è ferraglia. Questo invece è una parte di un’armatura vera,
appartenuta a qualcuno. Vediamo un po’ qui...”. Infilò le dita nel
retro del pezzo e ne fece scivolare un settore, scoprendo un piccolo
bottone. Lo schiacciò e subito si aprì uno scomparto segreto,
all’altezza del cuore e in corrispondenza dello stemma. Sorrise
notando lo stupore di Jojo. “Scommetto che non te n’eri mai accorto
vero? Pivellino! Vediamo un po’ cosa c’è dentro... Cristo! Questi sono
sigari Dorchester! E qui?”. Tirò fuori un foglio di carta pergamenata,
ripiegato accuratamente.
Mick lo lesse tutto d’un fiato e sorrise leggermente. Poi lo
posò su un cassone e si avviò fuori dalla stanza segreta.
“Che dice? Che dice! Ma perché se ne va sempre?”, disse
Jacob, fuori di sé per la curiosità.
Debra fu più lesta di Jojo a ghermire il documento. Lo aprì e
lesse ad alta voce.
“Con questo documento, in pieno possesso delle mie facoltà,
dichiaro che il ragazzo che possiede il pettorale del mio esoscheletro
è mio figlio ed erede di tutti i miei beni. Il suo nome è Jonathan
O’Malley. Se è bravo almeno la metà di me prima o poi scoprirà lo
scomparto segreto e questo messaggio. Gli auguro di vivere in un
mondo migliore di questo. Firmato, John O’Malley detto Madbull,
tenente della III Legione della C.H.A.O.S.”.
13.

“Non volerle male, Jonathan. Fatico a credere che ti abbia


abbandonato. Ma se lo ha fatto, deve aver avuto un ottimo motivo.
Forse eri in pericolo. Forse era in pericolo lei. Oppure non voleva
farti crescere con il fardello di quello che faceva. Non ne ho idea, in
realtà. Ma non volerle male”.
Erano davanti alla tomba di Lena. La madre di Jojo, la donna
di Madbull, l’amore di Mick. Jack il fortunato gli aveva spiegato come
raggiungerla nel fatiscente cimitero di Base Luna. Il tenente guardò
la foto. Doveva essere recente, perché appariva più matura di quando
l’aveva conosciuta. Naturalmente era stupenda. Scosso per gli
avvenimenti della serata, il ragazzo piangeva di rabbia, senza riuscire
a dire una parola. Aveva ritrovato il padre e la madre in un colpo
solo, per scoprire che entrambi erano morti. Aveva trovato anche un
amico, forse. Questa pure sarebbe stata una grande novità. Si era
fidato da subito di Mick, e decise di accettare la sua proposta.
“Va bene, Mick. Verrò sulla Terra con te. Ma non resterò più
di un anno. Voglio ripartire al più presto. Devo scoprire cosa è
successo a mio padre, devo capire bene chi è mia madre, e
maledizione, devo entrare nella C.H.A.O.S.”.
“Non preoccuparti”, fu la risposta. “Resterai giusto il tempo
di addestrarti a diventare un uomo e un soldato. Io ti insegnerò
quello che so e così faranno Debra e Jacob. E intanto proveremo a
cercare informazioni su quanto accaduto su Plutone. Tra un anno
sarai pronto e potrai andare dove vorrai. E il mio debito con il Toro
sarà pagato. Andiamo adesso. Sta albeggiando e dobbiamo volare via
da qui”.
Si avviarono verso la Polissena, Mick cinse con un braccio il
collo del giovane. Gli parve di scorgere un mezzo sorriso.
14.

Jojo rimase molto tempo immobile a guardare la Luna che si


allontanava. Com’era bella da lassù.
Asarah si svegliò presto come al solito, per andare a ripulire
la taverna dal sudiciume di una notte di bagordi. Sulla coperta trovò
una lettera, che lesse tutta d’un fiato. Quando finì sorrideva, con gli
occhi gonfi di lacrime.
Altrove, in un lussuoso salotto in stile antico, un alto ufficiale
imprecò davanti a un gigantesco caminetto acceso. Accartocciò un
rapporto e lo gettò tra le fiamme. La cosa va affrontata in modo
diverso. Devo occuparmene personalmente, pensò.
(seconda parte)
1.

“Quando muovi sii rapido come il vento, maestoso come la


foresta, avido come il fuoco, incrollabile come la montagna”. Con lo
sguardo attento, impugnando a due mani una spada da allenamento,
mentre fronteggiava Mick nella sala sotterranea adibita a palestra,
Jojo ripeteva tra sé e sé questa frase, presa da uno dei tanti libri che il
suo mentore gli aveva imposto di studiare come parte fondamentale
del suo addestramento.
Durante i suoi anni a Base Luna si era preoccupato solo
d’imparare a correre e rubare, ma con il passare del tempo e grazie ai
suoi nuovi maestri stava scoprendo che esistevano più cose da sapere
di quanto avrebbe potuto immaginare. La sua formazione veniva
seguita personalmente da Mick, che per quel periodo aveva lasciato
perdere le missioni mercenarie e si stava occupando solo di lui. Era il
suo maestro d’armi, da fuoco e da taglio, e in più gli stava insegnando
anche la storia antica e recente. La protesta di Jojo, “Devo diventare
un soldato, non un professore”, era stata rapidamente zittita con un
colpo sul fianco con il piatto della spada.
Debra gli insegnava strategia e tattica militare e nozioni di
geografia e scienza, che avrebbero potuto far comodo in qualsiasi
situazione. Jacob, infine, spiegava a Jojo i segreti dei computer e
delle reti di comunicazione, e in più era il suo istruttore di guida. Il
ragazzo era partito praticamente da zero in tutto, ma aveva stoffa: su
questo i tre improvvisati docenti erano tutti d’accordo. In pochi mesi
aveva fatto più progressi di qualsiasi pivello selezionato per il Centro
d’addestramento della C.H.A.O.S. e presto la sua formazione sarebbe
stata completa.
Mick finse un affondo e poi cercò di colpire Jojo di lato, sulla
destra. Il ragazzo però intuì il trucco, schivò con un salto la minaccia
e ricadendo calò un colpo terribile e diretto contro il suo maestro.
Mick ebbe la prontezza di difendersi con la spada e parò l’attacco.
L’impatto fu tale che i due caddero entrambi a terra. Il veterano si
rialzò per primo, seguito dal giovane. Subito dopo, però, Mick sorrise
e come a dare seguito a un pensiero improvviso buttò via la spada e si
mise in guardia, imitato dopo un istante di esitazione anche da Jojo.
“Ora possiamo combattere da veri guerrieri”, disse. “Corpo a
corpo, la base del combattimento. Solo un folle affida la sua vita a
un’arma”. Jojo si chiese cosa intendesse dire con quella frase un
soldato che non usciva mai di casa senza un fucile al plasma, ma
questo pensiero gli causò una distrazione fatale. Mick gli si lanciò
contro e lo placcò, mandandola a terra e immobilizzandolo. Jojo
stava per protestare o cercare di liberarsi quando si spalancò la porta
ed entrò Debra. Li guardò entrambi, alzando un sopracciglio. “Datevi
una sistemata e salite su, è pronta la cena!”, disse con un mezzo
sorriso, prima di girare i tacchi.
Un’oretta più tardi, i quattro stavano seduti in salotto. Il
rifugio sotterraneo di Mick era stato ricavato da una vecchia villa
nobiliare, finita sepolta dalle macerie durante la guerra con gli
Insettoidi. Sui detriti era poi cresciuta pian piano una montagna, e
ora la costruzione era invisibile a occhio nudo. Dopo averla trovata
per caso, durante una missione, il gruppo di agenti destituiti aveva
lavorato duramente per schermare la nuova base, renderla sicura e
attrezzarla nel miglior modo possibile. Il salotto era stato
volutamente ricostruito a imitazione di uno dei secoli passati.
Completamente circondato da librerie alte quanto le pareti, con
alcuni divani e un bel caminetto che non sarebbe stato mai più
acceso.
Nessuno parlava. Jojo guardava il camino, immaginando che
ci fosse un gran fuoco. “Com’è?”, chiese all’improvviso. “Cosa si
prova a uccidere qualcuno?”. Debra guardò Mick, che per tutta
risposta fece una smorfia. Jacob era assorto nei suoi pensieri. “Gli
levi tutto quello che ha”, rispose alla fine il tenente. “E tutto quello
che sperava di avere. Non è un mio pensiero: l’ho sentito dire una
volta, e credo sia proprio così”. Il ragazzo non replicò e Mick non
volle aggiungere altro. Se davvero Jojo voleva andare su Plutone,
come aveva detto più di una volta, avrebbe dovuto fare i conti presto
con quello che si provava dopo aver ucciso qualcuno, umano o
insettoide che fosse.
2.

Un paio di settimane più tardi, Mick sbuffò davanti ai


monitor della sua sala di comunicazione. Gli capitava spesso di
passare la notte in bianco alla vana ricerca di un indizio, un segnale,
un brandello d’informazione che potesse metterlo sulla strada buona
per capire che cosa diavolo fosse successo su Plutone al suo amico
John. Aveva cercato di decrittare messaggi in codice, violare reti
segrete e infiltrarsi nelle comunicazioni più riservate; niente,
neanche con l’aiuto di Jacob aveva trovato spunti interessanti.
Fece per spegnere il computer quando improvvisamente
cominciò a lampeggiare l’icona che indicava l’arrivo di un messaggio.
Mick aggrottò le sopracciglia, era quasi mattina e non aspettava
comunicazioni. Aprì il messaggio e i suoi dubbi aumentarono ancor
più a leggere il nome del mittente.
Il Fariseo.
Chiunque fosse, Mick era sicuro di non conoscerlo. Anzi, non
aveva mai sentito parlare di quel nome che gli suonava appartenente
a un’epoca lontana. Indugiò un po’. Quando lesse l’oggetto della
comunicazione il suo cuore mancò un battito: INFORMAZIONI
RISERVATE MADBULL. Stavolta febbrilmente aprì il messaggio e
cominciò a leggere.
Carpenter, incontriamoci.
So che cerchi un uomo che ti dica cosa è successo davvero a
John O’Malley. Io sono quell’uomo. Se la merce t’interessa,
presentati con dieci piastre d’oro domani sera alle nove al
vecchio campo da basket della città grande di Zona1.
A presto, il Fariseo.
E poi, la cosa più strana, un’intestazione.
Servizio Segreto C.H.A.O.S..
3.

Servizio Segreto C.H.A.O.S.. Quella firma continuava a


tormentare Mick. I suoi amici non sapevano che pesci prendere,
proprio come lui. “Che divisione è? Io non ne ho mai sentito parlare”.
Questa frase era stato il commento unanime di una serie di altri ex
agenti, rintracciati rapidamente sulla linea protetta che utilizzavano i
reietti per parlare tra loro. Né aveva portato frutti una ricerca nel
mainframe centrale, cui il gruppo aveva accesso ormai da un po’
grazie a un trucco d’alta scuola di Jacob. Mick aveva pensato a uno
scherzo, una trappola, un depistaggio, finché all’ennesimo “Non
conosco nessun servizio segreto della C.H.A.O.S.” qualcuno gli disse:
“Beh, proprio per questo fossi in te crederei alla sua esistenza”.
Seguendo l’istinto aveva già deciso di accettare la misteriosa
proposta, ma quella ingenua osservazione lo convinse
definitivamente. Anche perché era l’unico straccio di pista che aveva.
Diede disposizioni al resto della truppa affinché preparassero la
Polissena e andò a prelevare dalla stanza segreta del covo, quella più
inaccessibile, l’ammontare del prezzo, per la verità salato, delle
informazioni che avrebbe ricevuto.
Restava un problema: Jojo. Era già capitato altre volte che
restasse da solo nella base, dopotutto non era più un bambino, ma
stavolta la posta in gioco era molto alta e riguardava anche lui. Mick
prese una decisione. “Ragazzo, fatti dare qualcosa da Debra”, disse
facendo quasi irruzione nella stanza che gli avevano destinato.
“Andiamo a scoprire che cosa è successo a tuo padre”. Il giovane fece
per parlare, ma il suo mentore era già sparito.
La città grande di Zona1 si trovava in quelli che una volta
erano gli Stati Uniti d’America, nel vecchio stato dell’Illinois. Fino a
qualche secolo prima tutti l’avrebbero indicata come Chicago, ma
quel nome ormai apparteneva al passato. Il vecchio campo da basket
come luogo dell’incontro non era un’indicazione qualunque ma un
riferimento molto preciso, e Mick si sorprese a pensare per
l’ennesima volta che, chiunque fosse, questo Fariseo sapeva un sacco
di cose, anzi, ne sapeva troppe.
Di campi da basket Chicago ne aveva migliaia, ma solo uno
era noto a tutti i soldati della C.H.A.O.S.: quello che ospitava,
perfettamente mimetizzata nel sottosuolo, una delle sale operative
meglio attrezzate del corpo, un bunker gigantesco utilizzato come
postazione avanzata durante gli anni della guerra contro gli
Insettoidi. Con il passare del tempo e con lo spostarsi del fronte caldo
della guerra dalla Terra a Plutone, la base era stata ridotta nella sua
dotazione di uomini e di mezzi e, a un certo punto, abbandonata.
Oggi veniva tenuta su ufficialmente come “struttura di riserva”, ma in
realtà era deserta e del tutto inutilizzata.
Un punto di riferimento comunque importante e ben noto al
gruppo, tanto che Jacob non inserì le coordinate per la guida
automatica, ma si divertì a pilotare a mano la nave, e anzi, nella parte
iniziale del viaggio lasciò anche il timone a Jojo, spiegandogli di volta
in volta dove andare. Il ragazzo aveva il piede pesante, ma stava
imparando a controllarsi.
La conversazione tacque di colpo quando Jacob annunciò in
tono pacato: “Ci siamo, gente. Siamo arrivati”. Con una mano Mick
prese il borsone scuro in cui aveva messo ben nascoste le piastre
d’oro, e con l’altra quello identico che conteneva un molto meno
invitante Annihilator. Poi si apprestò a scendere per primo dalla
Polissena, seguito a ruota dagli altri. Il portellone si richiuse alle loro
spalle.
Mick si guardò intorno e sorrise. Non erano tanti i posti sulla
terraferma in cui c’era ancora una rete elettrica funzionante, ma la
città grande di Zona1, (neanche a lui veniva più da dire Chicago) era
uno di quelli. Il campo da basket era sicuramente consumato dal
tempo, ma non decrepito. I grattacieli che lo circondavano erano
scuri e abbandonati, ma non troppo distanti da come dovevano
essere nei secoli precedenti. Con un po’ d’immaginazione, sarebbe
bastato il passaggio di qualcuno dei vecchi veicoli a idrocarburi che
venivano usati come mezzi di trasporto per pensare di ritrovarsi nei
primi anni del 2000.
“Mick Carpenter. Benvenuto. Ti stavo aspettando”. La voce
zuccherosa che parlò dal buio prese di sorpresa il gruppo. Videro la
sagoma di una persona che stava ferma, in piedi, nell’angolo opposto
a quello da dove erano entrati nel campetto. Debra imprecò tra i
denti: quel posto non le era mai piaciuto, neanche quando ci veniva
assieme a un drappello C.H.A.O.S. per raggiungere la base, e la serata
particolarmente scura le sembrava perfetta per un’imboscata. Strinse
il fucile al plasma e si fece ancora più guardinga.
“Venite avanti, non temete”, disse la voce misteriosa con un
tono ironico quanto poteva esserlo quello di qualcuno che chiede di
non avere paura a quattro persone, tre delle quali con le armi
spiegate. “Tenente, la tua fama non viene smentita: vedo che con gli
sputaplasma non ci vai leggero”, continuò l’individuo. “Ma hai
portato anche un po’ di metallo pregiato per me?”.
Pur nella penombra, ormai Mick distingueva bene i contorni
dell’uomo che gli aveva rivolto la parola, e non avrebbe fatto altri
passi in avanti finché l’informatore non avesse deciso di uscire dalle
tenebre. “Può darsi”, rispose, stando sul vago e lasciando cadere i
borsoni. “E tu hai portato le informazioni che mi servono? Intanto
perché non cominci a farci vedere il tuo volto?”.
Per tutta risposta l’uomo fece qualche passo avanti e uscì allo
scoperto, illuminato dalla fioca luce di vecchissimi riflettori che
rischiaravano la zona. Ma la sua riconoscibilità non aumentò poi di
molto: aveva un lungo impermeabile nero lucido con un cappuccio
che gli copriva buona parte della testa, e nonostante fosse notte
inoltrata indossava degli occhiali scuri che rendevano il suo sguardo
impenetrabile. “Sei soddisfatto? Ora procediamo. Mostrami le
piastre”.
Debra non ne poteva più e sbottò. “Dacci prima le
informazioni e poi avrai i tuoi fottuti soldi!”. Mick però alzò una
mano di scatto e la donna si placò all’istante. Prese con entrambe le
mani il borsone con dentro il denaro e lo lanciò verso l’uomo, che ora
si trovava a circa tre metri di distanza.
Il Fariseo si chinò a controllare il borsone, lo aprì e fece un
fischio. Poi lo richiuse e con il tacco del suo stivale nero lo fece
scivolare alle sue spalle. “Bene”, disse. “Sei stato di parola e avrai
quello che meriti. I tuoi sospetti su quanto accaduto su Plutone sono
fondati, Carpenter. Stiamo parlando di una brutta storia, bruttissima,
e O’Malley c’era dentro fino al collo. È tutto quello che ho da dirti”.
Fece per andarsene e afferrò il borsone.
Ma non riuscì a fare un passo che Jojo gli era già saltato
addosso buttandolo a terra e puntandogli un affilato coltello alla gola.
“Come sarebbe è tutto? Adesso sputa fuori quello che sai e non fare il
furbo con me, altrimenti la tua nottata finirà qui”.
L’uomo per tutta risposta tossì e scoppiò in un’aspra risata.
“Carpenter, tieni a freno il tuo cucciolo, altrimenti diventa rosso dalla
rabbia! Stavo scherzando, volevo solo godermi le vostre facce nel
vedere volar via i vostri soldi in cambio di un pugno di mosche. Mi
sei tra i piedi, ragazzo, lascia che mi rialzi e vi dirò il resto”. Jojo
lasciò la presa, disorientato. “Guarda qua, dovrei farti sganciare altre
due piastre d’argento, mi hai rovinato tutto il cappotto”.
Quando finì di ricomporsi, con studiata lentezza l’uomo tirò
fuori un laser disc da una tasca interna del soprabito. “Ecco”, disse.
“Qui ci sono le informazioni che cercavate sul disastro di Avamposto
Gamma e sulle gesta di Madbull. Tenete”. Lo lanciò a Mick, che lo
afferrò al volo, controllando subito se il disco fosse vuoto. No, c’era
una traccia incisa, anche se non molto estesa.
“Fermati, Fariseo”, gridò il comandante all’uomo che gli
aveva nuovamente voltato le spalle. “Prima di lasciarti andare voglio
controllare che dati ci sono su questo supporto. Visto che non hai
avuto neanche la cortesia di mostrarmi la tua faccia, non vorrei
dovermi infuriare per quello che troverò qui dentro e non sapere poi
dove cercarti. Non credi che sarebbe imperdonabile?”.
L’altro continuò ad allontanarsi e gli urlò di rimando “Beh,
tenente, ti sei fidato fin qua, vuoi farti prendere dai rimorsi proprio
ora?”.
Mick si fece passare al volo il fucile da Jacob e lo caricò
facendo scattare rumorosamente l’arma. Quel pagliaccio voleva
scherzare con il fuoco. “Fermati ho detto, Fariseo. E rispondi anche a
questa domanda, già che ci sei. Visto che ora abbiamo le informazioni
e anche le armi, mi spieghi chi potrebbe impedirmi di massaggiarti la
schiena con il plasma e riprendermi i miei quattrini?”.
Questa volta il Fariseo si fermò e poggiò la borsa. Si tolse gli
occhiali, mostrando da lontano uno sguardo di ghiaccio. “Chi
potrebbe impedirtelo?”, domandò senza chiedere. “Beh, non saprei
tenente. Forse il tuo leggendario senso dell’onore. E poi - sogghignò -
se tu hai le armi, pensi che io non abbia preso le mie precauzioni?”.
4.

Un fascio di luce accecante balenò all’improvviso sul volto di


Mick, costringendolo a ripararsi con la mano. “Lasciate le armi e
arrendetevi, siete circondati!”, tuonò una voce stentorea da un
altoparlante, mentre il familiare rumore della corsa degli esoscheletri
da combattimento esplose tutto intorno al campetto. Un’intera
squadra di soldati C.H.A.O.S. armati fino ai denti aveva fatto
irruzione all’interno. Cinquanta uomini. Debra sospirò: erano troppi,
anche per loro. “Fregati come novellini”, riuscì soltanto a sibilare
mentre i quattro si stringevano in cerchio, dandosi le spalle,
coprendosi la schiena a vicenda e cercando di escogitare qualcosa che
potesse cavarli d’impaccio, anche se sembrava impossibile.
Il drappello si dispose a quadrato attorno a loro, e grande fu
lo sgomento quando un’ala si aprì per far entrare in tutta la sua fiera
magnificenza quel bastardo del maggiore Jostein Kronecher.
Colonnello, fu costretto a correggersi mentalmente Mick guardando i
gradi sull’esoscheletro. L’hanno promosso, l’erba cattiva non muore
mai, pensò Jacob.
Il graduato ghignò. “Carpenter, Reds, Steiner. Che
meraviglia! La crème de la crème del glorioso corpo della C.H.A.O.S.!
Gli eroi di Minsk! Sono onorato. Volete un sigaro?”. Aprì lo
scomparto e cominciò a fumare allegramente. Mick era fuori di sé.
Anni e anni di missioni fuorilegge e non erano quasi mai stati
neanche avvistati dai soldati, a meno che non lo volessero loro, e ora
invece li avevano beffati in quel modo. E il Fariseo? Se ne stava
tranquillo in un angolo, con il borsone della grana sempre ben
stretto, in attesa degli eventi. Era lui il traditore, fin troppo chiaro,
ma chi diavolo era per averlo fregato con quella facilità?
“Tenente”, riprese Kronecher, “sappi che all’Alto Comando
sono sbalorditi dalla varietà e complessità di informazioni che sei
riuscito a trovare, dalle reti che hai violato, dai segreti che hai
decrittato, dalle infrazioni che hai compiuto, pur di arrivare a
scoprire qualcosa sulla fine del tuo amico. Ne avessi avuti una decina
come te, come miei luogotenenti, non sarebbe stato necessario
arrivare a tanto per concludere la guerra...”. Lo sguardo del
colonnello si perse nel vuoto, ma poi Kronecher si riebbe e cominciò
ad avvicinarsi. “Lo so. Lo so che quella domanda continua a frullare
in quella testolina. Cosa è successo a Madbull? Un semplice
incidente? O c’è qualcosa sotto? Mi dispiace, la tua curiosità dovrà
restare tale”.
“Brutto bastardo!”. Era stato Jojo ad abbaiare contro il
colonnello. Mick sussultò. Kronecher in passato aveva ucciso
d’istinto per molto meno. Questa volta, però, si girò verso colui che
aveva osato sfidarlo e sogghignò nuovamente. “Eccolo qua, il
rampollo della famiglia O’Malley. Sei tutto tuo padre, ragazzo. Sai,
Mick”, aggiunse, tornando a dedicare la sua attenzione al tenente, “in
fondo sei stato sfortunato. Se quella notte di qualche mese fa
avessimo trovato prima noi questo moccioso, la vicenda non ti
avrebbe neanche sfiorato. Invece, arriveremo inevitabilmente a
quello che mi ha portato questa notte qui, in questa fogna, mentre
potevo restare a leggere un classico davanti al mio caminetto”.
Kronecher gettò il sigaro e richiuse la calotta del suo
esoscheletro, continuando a parlare dall’altoparlante. “Voi tre finirete
in prigione. Avete compiuto ogni genere di crimine informatico e di
guerra e per questo passerete il resto della vostra vita all’interno di
un campo magnetico molto poco piacevole. Il ragazzo viene con me,
lo sistemerò di persona, visto che quegli imbecilli dei miei sottoposti
si sono dimostrati inadatti a farlo. Mi dispiace, Jonathan, non posso
certo rischiare che tu possa diventare un soldato grande, grosso e ben
addestrato che va in giro per la galassia a cercare di capire che è
successo su Plutone. Quanto a te, Fariseo...”. Kronecher si bloccò,
stupefatto. Il Fariseo non era più nello stesso posto di prima.
Mick! Con uno slancio aveva agguantato il traditore,
trascinandolo a terra, e ora gli puntava l’arma alla testa. I soldati
della C.H.A.O.S. avevano caricato le armi, pronti a sparare, ma lui era
stato un millesimo di secondo più svelto e per ora, se non ribaltata, la
situazione era quanto meno di pareggio. Per ora. I soldati non
avevano sparato subito perché avrebbero colpito anche il Fariseo, ma
bastava un ordine di Kronecher per fare piazza pulita. Mick pregò che
la vita dell’ostaggio valesse ancora qualcosa per il colonnello.
“Maledetto Carpenter, non ti smentisci mai”, gridò fuori di
senno, riaprendo la visiera e avvicinandosi ai due con aria bellicosa.
“Ah, ah, non un passo di più colonnello, altrimenti il tuo
informatore lo porto all’Inferno con me”, ringhiò Mick.
Kronecher si fermò e si guardò intorno, furioso. “Cinquanta.
Cinquanta soldati C.H.A.O.S. e non siete stati in grado di fermare un
ex combattente? Non appena sarà finita questa storia sarete trasferiti
tutti al reparto manutenzione fognature della cittadella militare al
polo Nord. E ora torniamo a noi. Mio caro Mick, credi di aver
cambiato le carte in tavola? Ti sbagli. Fariseo, stavo giusto per dirti
che avevi fatto bene il tuo lavoro e potevi tenere il malloppo come
pattuito, peccato tu abbia steccato nel finale. La ricompensa che
meriti per questa inattesa seccatura che mi hai causato è una visita
da messer Satanasso. Ci ho ripensato, con serpi come voi nessuna
prigione è abbastanza sicura. Sottospecie di soldati - si rivolse al
drappello - fateli fuori immediatamente. Tutti”.
“Cosa? Bastardo d’un Kronecher, ho fatto bene a non fidarmi
di te!”. La sfuriata del Fariseo sorprese tutti, perfino Mick, che rimase
di sasso quando con uno strattone il misterioso traditore si liberò
della sua stretta e tirò fuori dalla tasca un assurdo gadget elettronico.
“Ascoltami bene, aborto di colonnello”, gracchiò. “Conosco
abbastanza bene la feccia della C.H.A.O.S. per sapere che non si
possono fare affari con voi senza rimetterci le penne, perciò ho
pensato di premunirmi. Sappi che ho minato l’intera area del campo
da basket e basterà che io schiacci questo tasto per saltare tutti per
aria: io, te, questi quattro e i tuoi soldatini. Che ne dici, ti piace
l’idea?”.
I soldati cominciarono a rumoreggiare, impauriti, e a
guardarsi intorno. Kronecher si fermò, interdetto. Probabilmente
stava decidendo se si trattasse dell’ennesimo bluff del Fariseo o se
invece fosse più saggio prendere in considerazione quella minaccia.
Alla fine tirò fuori un altro sigaro, lo accese con tutta la calma che
riusciva a ostentare e poi guardò verso il suo nuovo nemico con un
ghigno. “Bene, Fariseo”, esclamò. “Sei tu a dare gli ordini adesso. Ma
il tuo stratagemma può solo congelare la situazione: non ti lascerò
uscire da questo quadrato se prima non mi lancerai quell’arnese, e
dopo che lo avrai fatto stai sicuro che ti ammazzerò come un cane.
Ora parla tu, cosa mi proponi?”.
L’altro sembrava molto sicuro di sé. Guardò Debra e le diede
un ordine secco. “Prendi quel fucile, vai lì e puntaglielo alla testa.
Colonnello, scendi da quell’esoscheletro. Sarai tu il nostro
lasciapassare. Bada a non fare scherzi, altrimenti moriremo tutti
comunque. A me non importa di vivere, per questo non m’importa
nemmeno di morire”.
Kronecher sospirò allargando il suo sorriso sarcastico e
cominciò a digitare la sequenza di spegnimento dell’esoscheletro.
“Stai giocando un gioco pericoloso, Fariseo”, disse poi scuotendo il
capo con aria canzonatoria mentre cominciava a discendere dalla sua
armatura. “Scommettiamo che tra pochi minuti sarò io a tenerti per
le palle? Ehi bellezza - soggiunse poi rivolgendosi a Debra che lo
guardava torva - se con quel cannone centri in fronte il nostro amico
saremo tutti più tranquilli e potremmo andarcene a folleggiare a casa
mia, che ne dici?”. Per tutta risposta ricevette un pugno sullo
stomaco che lo fece piegare in due dal dolore. Un battito di ciglia e la
canna del fucile era sulla sua tempia.
I soldati scattarono in avanti ma il Fariseo urlò di nuovo
alzando minacciosamente il telecomando. “Fermi tutti ho detto! Ora
ce ne andiamo, io, il vostro capo, la donna e questi altri. E nessuno ci
farà nulla. Resterete dentro il campo da basket finché la nave non si
alzerà in volo. E questo è tutto”. Dopo uno scambio di sguardi
impauriti tra soldati, un lato del quadrato si aprì piano piano. E i sei
uscirono indisturbati, dirigendosi verso la Polissena.
5.

“Aaah!”. Con un tonfo sordo Kronecher si accasciò a terra


dopo essere volato dalla nave che si stava alzando in decollo. Decisi a
sfruttare l’ostaggio fino all’ultimo istante utile prima di restituirlo ai
suoi soldati, lo avevano portato dentro la Polissena ma mentre si
avviavano, e i motori e il mezzo cominciava a sollevarsi in aria, senza
alcun rispetto per i gradi Debra aveva spintonato il colonnello
facendolo precipitare per almeno quattro metri giù dal velivolo.
La caduta del loro capo fu come un segnale per i soldati che si
riebbero e cominciarono a correre per raggiungere le loro navicelle,
che evidentemente dovevano essere occultate nella zona, per mettersi
all’inseguimento. “Fai saltare tutto!”, gridò Mick ma per tutta
risposta il Fariseo gettò via il telecomando che aveva consentito a
tutti loro di uscire vivi da quella situazione. “Non ci posso credere, un
altro inganno!”, sbottò Jacob mentre sfrecciava attraverso i
grattacieli spettacolosi della vecchia Chicago. Il loro ospite replicò
con una smorfia e lanciò un’occhiata al fucile di Debra che ora non
aveva occhi che per lui.
Jacob stava pilotando la Polissena al limite. Sapeva che la
C.H.A.O.S. li avrebbe inseguiti fin dentro l’inferno se necessario e
sarebbe stato molto meglio per loro seminare al più presto quei
pivelli. I mezzi di quella squadra li conosceva molto bene, erano più
pesanti del loro ma anche più potenti e non era sicuro di poterli
tenere a distanza se non si fosse inventato qualcosa. Mick aveva gli
stessi pensieri e rivolse un ultimo sguardo sdegnato al Fariseo. “Con
te faremo i conti dopo, ci hai preferito a Kronecher ma non è detto
che sia una buona scelta per te”, disse minaccioso prima di andarsi a
sedere giusto accanto al suo pilota.
“Jack”, propose, “saranno almeno cinque o sei navi, ci
troveranno prima o poi. Ti ricordi quella volta al Polo Nord? Che ne
pensi di riprovarci con il Chicago River?”.
Ci fu silenzio per qualche secondo, poi il pilota ebbe un
lampo negli occhi. “Perché no”, fu la replica, quindi Jacob sterzò
bruscamente, rischiando di far cadere Jojo. “Reggiti, pivello,
andiamo a fare un bagno”, gli disse senza guardarlo. All’improvviso
un boato polverizzò una parte dell’edificio alla loro destra. “Eccoli,
hanno fatto presto”, soggiunse Jacob. Jojo guardò alle loro spalle e
contò sette navi in formazione da guerra che si stavano avvicinando
sensibilmente.
“Destra!” gridò Mick e il compagno svoltò in un baleno di 90
gradi esatti infilandosi a tutta velocità in uno stretto pertugio tra due
grattacieli: una manovra spericolata, tanto che con l’estremità della
nave toccò un palazzo e tutti sobbalzarono violentemente. Ma ce
l’avevano fatta e i loro inseguitori erano piloti di abilità molto
inferiore. Si sentì un tremendo frastuono di metallo che si contorceva
e quando le navi uscirono dalla stessa curva erano solo cinque.
“Ottimo. Ma le altre non molleranno! Ecco il fiume!”. Si
trovarono davanti a un maestoso corso d’acqua che scorreva placido
in mezzo ai palazzoni abbandonati. Mick e Jacob si guardarono
d’intesa, Debra sapeva che cosa sarebbe successo e aprendo uno
sportellone in fretta e furia prese e distribuì a tutti i presenti una
specie di armatura semirigida, con un cavo che fuoriusciva da quello
che sembrava essere un serbatoio da caricarsi dietro le spalle. La
soldatessa cominciò a indossarla come fosse un giubbotto e gli altri la
imitarono, con qualche impaccio Jojo e il Fariseo. Alla fine fu il turno
di Jacob, che lasciò il timone a Mick. “Sta’ a vedere ragazzo”, disse il
comandante, “questo non lo troverai scritto in nessun manuale della
C.H.A.O.S.!”.
Puntò in alto come per darsi lo slancio e poi planò in
picchiata dentro il fiume, entrando sotto il livello dell’acqua con tutta
la nave e sollevando un’ondata gigantesca che si richiuse sopra la
Polissena, inabissandola completamente.
6.

Quella volta tra i ghiacci del Polo Nord erano davvero messi
male. Con una sola navicella parzialmente fuori uso, per di più a
corto di carburante, inseguiti da quasi tutto il personale della
Cittadella C.H.A.O.S. che non vedeva l’ora di mettere le mani sui tre
ribelli più pericolosi, sulle cui teste pendevano taglie sostanziose.
L’idea era stata di Jacob. “La navicella è progettata per viaggiare
nello spazio, ha una tenuta garantita e la pressione non la
danneggerà. Lanciamoci in mare e vediamo chi di quei damerini è
così pazzo da seguirci! Una volta sott’acqua, faremo allagare la nave,
poi apriremo il portellone e usciremo con i minischeletri subacquei
per riemergere al largo solo quando... le acque si saranno calmate”.
Una follia assoluta, secondo il giudizio di tutti, ma in quella
situazione, con la resa a un passo e le scariche di proiettili e laser che
fischiavano sempre più vicine, tanto valeva provare. La scamparono.
7.

Fu Debra la prima a riemergere sulle sponde del Chicago


River, molto, molto distante da dove si erano inabissati, in una zona
da cui si poteva vedere in lontananza la skyline ancora mozzafiato
della “Windy City”.
Non era stata proprio una passeggiata uscire da una navicella
spaziale incuneata in profondità dentro le acque di un fiume, anche
perché solo i tre veterani si erano già trovati in una situazione del
genere: sia Jojo che il Fariseo erano terrorizzati ed erano stati
mandati a gambe all’aria dall’impatto. Debra si era presa cura del
ragazzo, Mick e Jacob avevano dato una mano al loro subdolo ospite.
L’acqua aveva cominciato a invadere la cabina da un pannello
incrinato, e i cinque avevano messo subito i minischeletri in modalità
subacquea. Quando l’abitacolo si era riempito del tutto, i soldati
avevano aperto il portellone, lanciandosi all’esterno e cominciando a
nuotare cercando di allontanarsi dalla città mentre ancora piovevano
in acqua le raffiche dei cannoni delle navicelle C.H.A.O.S.: volevano
sincerarsi che fossero tutti morti in quella spericolata manovra.
Mick e Jacob avevano guidato il gruppo fuori dalla zona dei
grattacieli, in uscita dalla città. C’era voluta circa un’ora per
allontanarsi dalla zona centrale e guadagnare l’anonima campagna
circostante, portando le riserve di ossigeno dei minischeletri
praticamente vicine all’esaurimento: tuttavia ce l’avevano fatta e uno
dopo l’altro risbucarono in superficie, esausti. Mentre si massaggiava
i muscoli delle gambe doloranti, il tenente ripensò disorientato agli
avvenimenti di quella notte.
Erano stati adescati in un’imboscata da questo misterioso
personaggio che gli boccheggiava davanti, mezzo morto per l’immane
sforzo. Il Fariseo gli aveva consegnato un laser disc contenente chissà
quali dati, poi c’era stato il tradimento e l’imboscata. Ma quando
Kronecher aveva deciso di sacrificare la sua esca, il Fariseo era
passato dalla loro parte. E poi quella fuga spericolata: senza il
trucchetto del telecomando e del falso campo minato non sarebbero
usciti vivi da lì. “Devo riconoscerlo, Fariseo”, disse Mick, “sei stato
bravo a tirarci fuori da quel casino. D’altronde prima ci avevi venduto
a un uomo che hai constatato quanto ti considerasse importante,
perciò non mi sento di doverti ringraziare. Ma ora le nostre strade si
separano. E dato che non ho la possibilità di verificare cosa c’è scritto
qui - tirò fuori il disco inzuppato - dovrai raccontarmi di persona
com’è andata su Plutone, o giuro che ti ucciderò con le mie mani”.
L’altro lo guardò per qualche secondo negli occhi e non ci
vide nemmeno una traccia di esitazione. Così dopo aver preso ancora
aria, si mise a sedere e parlò. “Butta via quel disco. Non è molto
prudente farsi una chiacchierata mentre uno squadrone della
C.H.A.O.S. è ancora sulle nostre tracce, ma vedo che ormai sei
disposto a tutto. Va bene, ora saprete la verità. Il tuo amico, tuo
padre - si girò verso il ragazzo - non è stato ucciso in battaglia dagli
alieni né dai mutanti. È stato assassinato. Dai tuoi e dai suoi ex
colleghi, per ordine proprio di Kronecher. Ti starai chiedendo perché.
Ti dirò quel poco che so, perché non so tutto. Dall’ultimo ruolino
registrato nel mainframe risulta che Madbull fosse di guardia nel
presidio militare dell’Avamposto Gamma durante gli interrogatori di
un certo Ky’rith, uno dei principali capi dei ribelli, catturato poco
prima. Non si sa bene cosa l’abbia provocata, ma proprio all’inizio del
suo turno di guardia una gigantesca esplosione ha semidistrutto una
parte della base, danneggiandone pesantemente la struttura.
O’Malley non si è perso d’animo. Armi alla mano ha deciso di cercare
di arrivare al nucleo dell’edificio, per riavviare i sistemi di sicurezza e
mettersi in contatto con eventuali altri sopravvissuti. Ma nel nucleo
ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. E questo gli è
costato la vita”.
“Cosa... Cosa ha visto?” disse Jojo con un filo di voce.
“Mi dispiace ragazzo, posso dirti come si chiama, ma non
posso dirti chi o cosa è. Madbull è morto per aver visto quello che
chiamano l’Avatar”. Quella parola portò il silenzio tra il gruppo per
alcuni interminabili secondi.
“Una nuova arma, un veicolo corazzato?”, balbettò Debra.
Ma il Fariseo si limitò a scuotere il capo, confermando la sua
ignoranza.
“Tu come fai a sapere tutto questo?”, chiese Mick in tono
tranquillo.
“Il Fariseo è un nome che ho preso in prestito da un libro
molto antico. Ma prima di diventare quello che sono, un
commerciante di informazioni, sono stato un soldato anch’io. C’ero
anch’io su Plutone, quando Kronecher ha ordinato l’esecuzione di
Madbull. Ma mi hanno lasciato fuori dal nucleo, solo una squadra
selezionata è stata fatta entrare. Tutti commilitoni che poi non ho più
visto. Quando tutto è finito dalla struttura è uscito solo il maggiore
assieme al professor Venkmann, certo sapete chi è. Mentre li
scortavamo verso l’uscita dalla base c’è stata un’altra esplosione, ed è
lì che mi sono procurato questo”. Ciò detto si scoprì una manica del
lungo giaccone e i quattro si accorsero che aveva un arto artificiale.
“Un grazioso ricordino che mi è valso il congedo immediato. A quel
punto ho deciso di mettermi in proprio e ricominciare daccapo,
entrando in clandestinità. Quando ho intercettato la tua richiesta di
informazioni ho pensato a come lucrarci sopra. Kronecher mi offriva
dieci piastre d’oro per la testa di ognuno di voi, quaranta in totale. Un
anno di stipendio alla C.H.A.O.S., non ci ho pensato su due volte.
Nulla di personale, sono affari, spero capirete”.
Cercò di fare una specie di sorriso verso Jojo. Gli uscì una
smorfia, ma il ragazzo comunque non lo stava guardando. Guardava
verso il cielo. “L’Avatar”, mormorò.
8.

“Una navicella di linea! Voglio morire”. Irriconoscibile dietro


un paio di grandi baffi finti, occhiali scuri e un copricapo non troppo
vistoso, Jacob non la finiva più di imprecare.
Dopo le rivelazioni del Fariseo, il pensiero del gruppo era
stato unanime. Andare su Plutone e infilarsi dritti in quell’inferno di
proporzioni gigantesche che il subdolo informatore aveva descritto.
Non si fidavano di lui. Anzi, Debra promise a se stessa di piantargli
un po’ di plasma caldo in fronte non appena fosse stato possibile. Ma
lo Stato maggiore C.H.A.O.S. aveva lanciato una vasta battuta di
ricerca dei fuggitivi praticamente su tutto il pianeta, e un serpente
come il Fariseo avrebbe potuto far comodo, vista anche l’astuzia con
cui aveva condotto tutti fuori dai guai.
Persa la Polissena, inabissata nel Chicago River, Jojo e gli
altri si spostarono per lungo tempo a piedi, prima di poter mettere le
mani su un vecchio relitto di nave, rimesso in sesto da Jacob non
senza difficoltà. Non c’era tempo di tornare al covo, né Mick aveva
voglia di svelare un altro segreto a un venditore di informazioni.
L’obiettivo era Plutone, e per andare su Plutone senza impiegare anni
si poteva passare da un solo punto. Dall’Assimilatore di Venkmann,
quell’apparato tecnologico malefico capace di assorbire energia
dall’Intercapedine, la zona grigia tra i piani dell’esistenza di cui poco
si sapeva, per poterla utilizzare in ambiti civili e militari. Come, per
esempio, il viaggio a una velocità ben superiore a quella della luce.
Per quanto ne sapeva Mick, di Assimilatori ce n’erano tre in
tutto l’universo conosciuto. Uno su Plutone, quello di più recente
costruzione, che sarebbe stato il loro punto di arrivo. Un altro, quello
più antico, nella Cittadella Purificata già conosciuta con il nome di
Washington D.C., che aveva però la sgradevole caratteristica di
trovarsi nel cuore della principale installazione C.H.A.O.S. del
pianeta, la Base Terra, con un milione di soldati stipati all’interno. Il
terzo dispositivo ufficialmente non esisteva, ma tutti sapevano che si
trovava nei piani sotterranei della sede della Gilda dei Commercianti,
la potente corporazione che maneggiava una tale quantità di
ricchezze da potersi permettere di avere a libro paga migliaia di
uomini all’interno delle strutture militari e governative, da cui erano
arrivati preziosi progetti, tra cui quello dell’Assimilatore. E la Gilda
aveva la sua sede là dove tutto era cominciato. Su Base Luna.
Non sarebbe stato facile ottenere un passaggio fino a
Plutone, ma Mick aveva già trattato in precedenza con quegli avidi
trafficanti e sapeva che tutto aveva un prezzo per loro. Ma sulle
piastre bisognava cominciare a risparmiare da subito, e oltretutto
non avevano una nave degna di questo nome, così non ci fu che un
modo, non troppo adeguato a soldati di ventura come loro in verità,
di viaggiare dalla Terra a Base Luna. Su una navicella di linea, come
comuni passeggeri. Nel posto in cui a nessun soldato sarebbe mai
venuto in mente di cercarli. “Da questo spazioporto passano 300
mila passeggeri al giorno - sussurrò Mick - Stai tranquillo, Jacob.
Sarà un viaggio di tutto riposo”.
9.

Mick aveva avuto ragione. Il viaggio si era svolto senza


inconvenienti e Jojo era riuscito perfino a dormire un po’, nonostante
lo choc per i grandi sconvolgimenti degli ultimi giorni. Il tenente
continuava a ripassare mentalmente i dettagli del piano, e a
studiarne uno di riserva, e un terzo per i casi disperati, e forse anche
un quarto e un quinto. Debra e Jacob si concentrarono su alcuni
videolibri offerti gentilmente dalla compagnia. Il Fariseo era l’unico
altro che riusciva a dormire.
Al momento dell’arrivo agirono come avevano stabilito,
cercando di uscire l’uno più distante possibile dall’altro, muovendosi
verso direzioni differenti, insomma tentando di evitare di dare l’idea
a eventuali sorveglianti di essere un gruppo unico. E la sorveglianza
c’era eccome, a Base Luna.
Ad attenderli trovarono tre drappelli della C.H.A.O.S. in
assetto da battaglia, armati fino ai denti e che si guardavano intorno
con aria sospettosa. Tuttavia i soldati dovevano essere dello stesso
corso di quelli dell’imboscata a Chicago perché tutti e cinque i
componenti della banda riuscirono a superare lo sbarramento e i
controlli. Anzi, a essere fermato e perquisito abbastanza rudemente
fu un malcapitato mercante che tutto sembrava fuorché un
pericoloso fuggitivo.
Usciti dallo scalo, mescolandosi in mezzo a un massiccio
numero di persone si diressero a piedi verso la zona del mercato, là
dove, infilandosi tra i mille colori delle mercanzie, il vociare dei
venditori e il caos provocato dall’andirivieni della gente sarebbe stato
un giochetto da ragazzi raggiungere indisturbati la sede della Gilda.
“Fermi!”. Cominciando istintivamente a correre, imitato
dagli altri, Mick imprecò. Il suo innato ottimismo l’aveva tradito
ancora una volta. I minuti successivi furono caratterizzati da una
corsa disperata che mise il mercato di Base Luna sottosopra: banchi
rovesciati, ceste di alimenti e stoffe volate in aria, commercianti
spintonati e gettati a terra, gente che malediva e urlava contro i
cinque fuggiaschi e i loro venti inseguitori.
Alla fine il gruppetto sbucò in un vicolo cieco, una piazzetta
circondata su tre lati da abitazioni. I soldati arrestarono la corsa,
vedendo i fuggiaschi ormai in trappola, e cominciarono ad avvicinarsi
piano, facendo quadrato, pronti ad acciuffare le loro prede. “Gettate
le armi e non opponete resistenza: nessuno si farà male!”, disse in
tono marziale uno che doveva essere il capo, quello che a Mick
sembrò una controfigura di tenente, soprattutto per il modo
impacciato in cui teneva il suo mitra al plasma.
“Come no!”, rispose, “e per Natale ci regalate uno zaino di
pelle d’insettoide!”. La sua mente galoppava valutando decine di
possibili mosse e soluzioni ma stavolta, ancor più che pochi giorni
prima, doveva ammettere a se stesso che non c’era niente da fare. Si
rilassò e si rialzò, lasciando cadere a terra il suo fucile. Sorpresi,
Debra e Jacob lo imitarono.
Jojo, dal canto suo, aveva altri progetti. Sulla Terra aveva
scarsa esperienza e si muoveva ancora secondo i rigidi schemi del suo
addestramento, ma ora era a Base Luna, era a casa, e quella era una
zona che conosceva come le sue tasche. Potevano andarsene da lì,
piuttosto che arrendersi e finire al fresco, ne era sicuro.
Debra lo copriva un po’. Ne approfittò per estrarre in un
lampo una granata e attivarla, poi cominciò a contare. Aveva cinque
secondi. Il tenente aveva sentito il “bip” dell’innesco, ma ci mise tre
secondi di troppo a capire di cosa si trattasse. Quando vide arrivare
verso il suo viso un proiettile roteante, riuscì solo a urlare e alzare la
sua inutile e colossale arma, poi la granata esplose, mandando tutti
all’aria.
Ancora una volta, c’erano pochi attimi mentre il fumo
dell’esplosione si diradava e i soldati cercavano di rialzare i loro
pesanti esoscheletri. Jojo era l’unico a non essere sorpreso e a sapere
dove andare. Sfondò la porta di una casa abbandonata e fece un gesto
agli altri. “Andiamo, conosco la strada!”.
Il Fariseo non se lo fece ripetere due volte e si infilò prima di
lui.
Mick disse semplicemente “Fai strada, ti seguiamo!”, e
strizzò l’occhio a Jojo. Ma quando il ragazzo si lanciò nel pertugio,
invece di stargli dietro raccolse la porta e la risistemò. Debra e Jacob
rimasero di sale. Mick li guardò. “Non si fermeranno finché non ci
prenderanno, e ci prenderanno di certo prima di arrivare su Plutone.
Invece è essenziale che il ragazzo arrivi sano e salvo fin lì: saprà cosa
fare per scoprire la verità su suo padre e sull’Avatar. Questo è il mio
ultimo insegnamento per lui: non sempre le cose vanno a finire bene
per tutti”.
“Mick, sei impazzito?”, tuonò Debra guardandosi intorno
freneticamente, “Vuoi lasciare il tuo pupillo in balìa di quella viscida
serpe? Ammesso che non lo venda a Kronecher nei prossimi minuti,
mi spieghi cosa faranno una volta su Plutone? Tu sei stato lì e hai
combattuto la guerra contro gli Insettoidi, lui l’ha vista solo sui libri.
È bravo, ha talento, ma è ancora senza esperienza, e tu lo hai appena
condannato a morte! Ci prenderanno? Non ci avrebbero mai preso,
siamo usciti da situazioni peggiori. Ora sì che ci hanno preso. Hai
tradito te stesso, e hai tradito noi. E hai tradito lui”. Mick era
stupefatto. Debra non gli aveva mai parlato con tanta rabbia. Un
soldato che gli torceva i polsi e lo scatto delle manette magnetiche lo
distolsero dal flusso dei suoi pensieri confusi.
Se non altro Jojo aveva avuto il tempo per fuggire e questi
idioti di soldati sembravano non farci caso. No, non si era sbagliato.
10.

Mentre correva come un fulmine lungo i vicoli stretti di Base


Luna, a stento seguito dal Fariseo, Jojo piangeva di rabbia. Che
diavolo era saltato in mente a Mick di immolarsi in quel modo? Come
pensava di aiutarlo così? Ora era nei guai.
Quando i due arrivarono in un’altra piazzetta buia nel cuore
della città vecchia, un posto dove si era rifugiato mille volte da
bambino per sfuggire alle guardie, si fermò a prendere fiato e guardò
dritto negli occhi il suo interlocutore. “Fariseo, io devo andare su
Plutone, e tu non potrai fermarmi. Potresti vendermi, certo, ma
stavolta siamo nella mia città, la conosco palmo a palmo, e stai certo
che ti troverei e te ne farei pentire. In questa zona sei al sicuro,
andando verso di là - indicò un viottolo - tornerai in direzione dello
spazioporto. Il resto sono affari tuoi. Addio”. Cominciò a
indietreggiare senza dare le spalle a quell’uomo misterioso finché
non fu a qualche metro di distanza, poi fece per girarsi.
“Calma, ragazzo”, lo sorprese la voce del Fariseo, “ti ho già
spiegato che io faccio affari, non ho nulla di personale contro di te.
Tu eri la mia vittima sacrificale fino a qualche giorno fa, poi sei
diventato compagno di fuga, ora potresti perfino diventare mio
amico - vide la smorfia di disgusto anche da lontano - Beh, se non
vuoi usare amico, va bene anche compagno di fuga. Credi sia uno
scherzo raggiungere Plutone? Devi trovare la Gilda dei
Commercianti, e poi contrattare un prezzo per il tragitto con
l’Assimilatore e, a differenza del tuo mentore, quello che ti ha
abbandonato, tu non hai piastre né altra moneta di scambio. Io ho
molti crediti da riscuotere tra quei galantuomini. E poi, ammesso che
tu riesca ad arrivare da solo su Plutone, credi sia uno scherzo
intrufolarsi nell’Avamposto Gamma, o in quel che ne rimane? Ci
sono migliaia di soldati C.H.A.O.S. a presidiare la zona, che è stata
dichiarata off limits. L’atmosfera è radioattiva, l’aria è irrespirabile
senza attrezzature. Io ho lavorato lì, conosco la pianta, conosco i
dintorni, so come ci si deve muovere su quel fottuto pianeta. Ti sto
offrendo conoscenza, ragazzo. Ti sto offrendo un aiuto prezioso.
Adesso fatti due conti e chiediti se puoi farne a meno”.
Jojo tornò indietro e cominciò ad applaudire lentamente, in
modo sarcastico. “Bravo, Fariseo, bravo. La tua parlantina ti rende
onore, è davvero convincente. In effetti non posso fare a meno del
tuo aiuto, non posso farcela senza. Ma io ho imparato a conoscerti
per il viscido affarista bastardo che sei. Del resto lo hai detto tu
stesso, per cui ti chiedo: qual è il prezzo di quest’aiuto?”.
L’altro sghignazzò. “Hai avuto bravi maestri, in fondo. Mi
chiedi qual è il prezzo. Non voglio piastre da te, perché non ne hai. E
non voglio più venderti a Kronecher, se è questo che ti preoccupa,
perché si è dimostrato più cinico e infido perfino di me. Facciamo
così. Tu vai su Plutone a cercare l’assassino di tuo padre. Io vado a
cercare l’Avatar. Mi hanno tenuto fuori da quella maledetta stanza,
ora voglio entrarci, voglio sapere che cos’è questa cosa che non si può
vedere e di cui non si può parlare, e con quest’informazione voglio
fare tanti di quei soldi da ritirarmi per sempre dal mercato e
sistemarmi comodamente in una zona purificata sulla Terra.
Facciamo la stessa strada e vogliamo arrivare dalla stessa parte. Che
aspettiamo a partire?”.
11.

Mick si svegliò e si chiese da quanto tempo stesse


sonnecchiando su quella dura branda del carcere interno alla
cittadella militare di Base Luna. Non sapeva dove fossero Debra e
Jacob, a un metro o a un chilometro da lui, e cominciava a porsi una
serie di domande. Come mai non li avevano ancora interrogati o
torturati? Come mai l’odioso puzzo del sigaro di Kronecher non era
ancora entrato nelle sue narici? La caccia all’uomo si era fermata
dopo che si era fatto catturare? Erano loro, i mercenari, l’obiettivo? O
in fondo la C.H.A.O.S. voleva che Jojo arrivasse su Plutone? O
piuttosto, stava cominciando a delirare?
Aveva il tempo per cercare di trovare una risposta a queste
domande. Mick fece per stiracchiarsi e si accorse di avere qualcosa
sul petto. Scattò in piedi, allarmato, ma constatò che si trattava solo
un rotolino di carta lunare. Si grattò la testa. Era un metodo di
comunicazione ormai desueto, e poi chi aveva portato quell’oggetto
nella sua cella in un carcere di massima sicurezza senza che nessuno
se ne accorgesse? Lo srotolò e quando riconobbe la calligrafia
inclinata a destra di Jojo (gli aveva detto mille volte di correggere
quel difetto) scattò in piedi per la sorpresa.
“Non chiederti come ho fatto”, diceva il messaggio, “su Base
Luna niente è impossibile per me. Purtroppo sto per ritrovarmi in
una situazione meno facile: non so bene quando, ma se il Fariseo farà
bene il suo lavoro presto partiremo per Plutone, un posto di cui non
saprei nulla, se non fosse per gli insegnamenti di Debra. Ringraziala
da parte mia e saluta Jacob, se li vedi. Sì, andrò su Plutone con
l’uomo che ci ha tradito e poi aiutato. Dovrei diffidare di lui, lo so, ma
conosce tanto di quel pianeta e potrebbe condurmi dritto dagli
assassini di papà. Ci starò attento e dormirò con un occhio aperto, te
lo prometto. Risolvo questa faccenda e torno a prendervi! Jojo”.
C’era anche un post scriptum: “Ps. Ti ho odiato quando mi
hai lasciato solo, ma poi ho capito che avevi fatto ancora una volta la
mossa giusta, anche se pagando un prezzo altissimo. La prendo come
la tua ultima lezione. Grazie”.
Mick sorrise. Far arrivare nella sua cella una comunicazione
di quel tipo non sarebbe stato facile neanche per lui, il ragazzo aveva
davvero la stoffa di Madbull, doveva ammetterlo. Ma nonostante
l’allenamento serrato degli ultimi mesi, Jojo difettava ancora di
esperienza: quella solo il tempo gliel’avrebbe data. “Credi che abbia
fatto una mossa disperata solo per darti tempo di scappare e metterti
in salvo, ma non hai capito che il mio obiettivo era anche un altro”,
pensò il tenente rivolgendosi idealmente al suo discepolo. “Da anni
aspettavo questo momento. Finalmente sono rientrato a Base Luna e
questa volta uscirò di qui solo alla testa della mia legione!”.
12.

Jojo e il Fariseo si guardavano intorno con ammirazione.


Quella nave “a inviluppo quantico”, come aveva pomposamente
spiegato il funzionario della Gilda che li aveva condotti all’imbarco,
era una realizzazione straordinaria, un ammasso di cromature,
strutture fantascientifiche, materiali dall’aspetto e dalla consistenza
mai visti. La loro guida spiegò che avrebbe sfruttato l’energia
dell’Assimilatore di Venkmann per portarli su Plutone in pochi
minuti. La seconda parte della frase era esattamente quello che Jojo
voleva sentire.
Si allacciarono le cinture e indossarono gli occhialini
protettivi. “Sei pronto ragazzo?”, disse il Fariseo con un sorriso, ma
ancora una volta gli uscì fuori solo un brutto ghigno.
Jojo non rispose e si appoggiò allo schienale. Con un lampo
terribile la nave partì.
13.

“Sì, signore. Sì, signore. Siamo arrivati da circa quattro ore,


signore. Siamo accampati, signore. Sta dormendo, signore, come un
angioletto. No, signore. Non può minimamente sapere chi sono. Sì.
Certo, signore. Procediamo secondo il piano, signore. Ci vediamo lì”.
14.

Come al solito, sei infallibile, vecchio mio. Tu non perdi mai.


Tu vinci anche quando perdi. Comandante Generale C.H.A.O.S...
Basta solo togliere di mezzo quest’ultima minaccia, e poi l’Avatar ti
consegnerà al tuo giusto destino.
Mentre ascoltava la relazione, Kronecher continuava a
rimirarsi e autocompiacersi nella sua uniforme di gala, che il sarto gli
aveva appena fatto recapitare. Con uno scatto si girò verso il suo
attendente, il capitano Kanic. “Può sentirmi?”, chiese, indicando
l’interfono. L’ufficiale annuì.
“Molto bene. Il suo piano si è dimostrato perfetto al cento per
cento. Saprò ricompensarla come merita, stia certo. Buona
passeggiata sull’Avamposto, allora... Ci vediamo presto, DOTTOR
VENKMANN!”.
Citazioni

Scriviamo quello leggiamo, vediamo e giochiamo. Ne sono convinto


ed ecco perché non ho fatto nulla per non infarcire il testo di citazioni
di libri, film e videogame del mio vissuto, anzi mi sono incoraggiato a
usarle.

In un libro molto carino, Ti vengo a cercare di Guillaume Musso, ho


visto per la prima volta l’autore svelare le citazioni a fine racconto, e
l’idea mi è piaciuta così ho voluto elencarle.

Su come ho immaginato io il mondo di Obscura Genesi, inventato da


un altro, l’amico Matteo Poropat, c’è poco da dettagliare: ho voluto
fondere atmosfere molto diverse, da Waterworld a Blade Runner, da
Pirati dei Caraibi a Dune, da Sinbad a Doom ad Alone in the Dark.

Ci tengo infine a sottolineare che il nomignolo Jojo l’ho coniato anni


e anni fa quando ho incominciato a scrivere l’opera, ben prima che
venisse assegnato al calciatore Stevan Jovetic!

Queste, infine, sono le mie citazioni più importanti.

Pagina 16: la figlia del taverniere è un omaggio all’autore inglese Joe


Dever e al suo librogame che più adoro, Traversata infernale.
Pagina 17: nella traduzione italiana di Madbull ho voluto omaggiare il
soprannome, il Toro, che Valerio Massimo Manfredi ha coniato per il
giovane Filippo di Macedonia nella sua trilogia Alexandros.

Pagina 18: gli agenti destituiti li ho mutuati dal primo,


indimenticabile Mission Impossible.

Pagina 22: per le capsule di droga invece sono ispirato a quelle di


Minority Report.

Pagina 30: nonostante l’ambientazione, o forse proprio per quella,


quella strofa di Banana Republic di Francesco De Gregori ci stava
magnificamente.

Pagina 31: Jack il Fortunato è Russel Crowe in Master and


Commander, tutt’altro personaggio, ma mi sembrava perfetto per il
mio menestrello.

Pagina 33: l’espressione ‘lui era il massimo per lei poi crescendo lei
divenne il massimo per lui’ è una perla dal film The Fast and the
Furious.

Pagina 38: ‘grand’uomo e gran soldato’ lo dice il Profeta al Monco, il


personaggio di Clint Eastwood in Per qualche dollaro in più,
parlando del colonnello Mortimer, ossia Lee Van Cleef.

Pagina 55: Mick ha passato a Jojo l’Arte della guerra di Sun Tzu.
Pagina 56: ‘Solo un folle affida la sua vita a un’arma’ e le parole
precedenti sono un dialogo del Ninja del videogame Metal Gear
Solid.

Pagina 57: la risposta a cosa si prova a uccidere qualcuno è di Will


Munny/Clint Eastwood da Gli spietati.

Pagina 69: con l’espressione ‘messer Satanasso’ anche Tex Willer ha


il suo giusto tributo.

Pagina 91: la rivelazione che arriva solo nelle ultime due parole
dell’opera della vera identità del Fariseo è un trucchetto ripreso pure
da Metal Gear Solid.

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