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DIRITTO_PROF.
SCHIAVELLO_SBOBINATURE
anno 2019
Filosofia Del Diritto
Università degli Studi di Palermo
260 pag.
FILOSOFIA
DEL DIRITTO
Trascrizione delle lezioni del
Prof. Aldo Schiavello
Non c’è un'unica risposta giusta, perché ci sono molti modi di fare filosofia del
diritto.
Una distinzione preliminare è la distinzione che fa uno dei più importanti filosofi del
diritto del secolo scorso:
Norberto Bobbio; egli distingue due modi di fare filosofia del diritto:
la filosofia del diritto dei filosofi – dice Bobbio - va dall’alto verso il basso: è molto
astratta
E’ una filosofia che si preoccupa di inserire il diritto – che è una pratica sociale
umana – all’interno di un sistema filosofico.
Un esempio paradigmatico molto chiaro di questo modo di fare filosofia del diritto
lo possiamo trovare il Hegel.
Hegel è stato uno dei primi autori a scrivere un libro che si intitola proprio filosofia
del diritto.
Hegel inseriva il diritto nella dialettica dello spirito oggettivo. Heghel tutto questo lo
fa senza prendere in considerazione il diritto così come effettivamente era fatto in
Germania nel periodo in cui lui scriveva.
La filosofia del diritto dei giuristi invece è una filosofia del diritto che parte dal
basso.
Quindi c’è una certa analogia tra la filosofia del diritto dei giuristi e quello che fanno
gli studiosi di materie giuridiche positive.
Chi è il giurista?
Il termine giurista ricomprende al suo interno tutti coloro che a diverso titolo si
occupano professionalmente della conoscenza giuridica.
Questa è una definizione in un certo senso ampia, perché ricomprende molto al suo
interno, ma anche ristretta, perché ho detto che giurista è colui che si occupa della
conoscenza giuridica, però nel linguaggio comune noi utilizziamo giurista anche per
indicare determinate professionalità (il giudice, l’avvocato, il notaio, ecc.).
In questa definizione che ho dato ai fini di quello che mi interessa (appunto stiamo
parlando di che cosa è la filosofia del diritto) tutto questo lo escludo dalla
definizione di giurista, perché a me interessa il problema della conoscenza giuridica,
tutto quello di cui ci stiamo occupando qua delle relazioni , dei rapporti tra la
filosofia del diritto e le altre branchie della conoscenza giuridica, le altre materie che
studiate a giurisprudenza.
Perché per svolgere la loro professione che è una professione pratica , che consiste
nell’applicare il diritto , però presuppone la conoscenza del diritto.
Che rapporto c’è tra la conoscenza del diritto e le altre branchie della scienza? Un
tema cruciale : la conoscenza giuridica.
Il giurista , così come tutti coloro che studiano scienze sociali, nel descrivere il loro
oggetto di studio in parte lo costruiscono e quindi ogni attività di costruzione del
diritto è anche un’attività di creazione del di8ritto.
Questo significa che lo studioso del diritto è un partecipante alla pratica giuridica,
non è un osservatore esterno.
Una distinzione all’interno del campo della conoscenza giuridica è quella tra :
A) Includono tutte le indagini sul diritto che non riguardano espressamente uno
specifico diritto positivo e uno specifico ordinamento giuridico, ma una pluralità
di ordinamenti.
In alcuni casi le indagini teoriche sul diritto e ancora di più quelle filosofiche sul
diritto si pongono ad un livello tale di generalità da includere tutti i sistemi
giuridici, tutti gli ordinamenti giuridici.
La filosofia del diritto si occupa del diritto positivo, che è il suo oggetto di studio,
così come lo è per le altre discipline giuridiche,ma a un livello di astrazione tale
da individuare le caratteristiche comuni che transitivamente troviamo in più
ordinamenti giuridici e in più organizzazioni giuridiche differenti, quindi potremo
dire le caratteristiche generali del diritto come fenomeno sociale, ma
caratteristiche generali che non partono dall’alto, non partono da un’idea
4
Hart ci invita a riflettere sul fatto che non è semplice rispondere alla domanda: Che
cosa è il diritto?
2) COMPITO EPISTEMOLOGICO
Il compito epistemologico rientra nella grande branca della filosofia della scienza.
3) COMPITO DEONTOLOGICO
Comunque il tema deontologico consiste nel valutare il diritto esistente nella base di
un diritto rispondere alla domanda sull’obbligo di obbedire al diritto.
Tale tema è chiamato il problema della normatività del diritto.
Il filosofo Bethom fece una distinzione tra la giurisprudenza espositoria e la
giurisprudenza censoria.
4) COMPITO FENOMENOLOGICO
Esso guarda all’impatto che il diritto ha nella società.
Esso potremo dire che è espressione più che altro di un approccio sociologico
rispetto al diritto; quindi ci sono domande di carattere generale , per esempio,
pensate anche al pensiero Marxista : quali sono i rapporti tra diritto ed economia,
chi comanda tra diritto ed economia?
E’ più importante aumentare la pena di un determinato reato oppure l’efficacia di
quella norma?
Oppure per fare esempi di analisi sociologica, che sono stati fatti negli stati uniti : la
introduzione della pena di morte riduce l’incidenza di certi reati all’interno della
società?
Perché è un compito fenomenologico?
A queste domande non si può rispondere in astratto , ma bisogna fare un’analisi di
carattere empirico per poter dare delle risposte.
Infineun compito che da marginale è diventato sempre più centrale nelle analisi
filosofiche-giuridiche è quello che riguarda l’ambito dell’interpretazione del diritto.
La filosofia del diritto risponde alla domanda : che cosa significa interpretare?
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Anche qua vi ho detto che una distinzione chiara ,netta, ma vi faccio degli esempi.
Oppure facciamo un esempio più problematico: “E’ giusto concedere alle donne il
diritto di abortire?”.
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Gli enunciati morali hanno una caratteristica, ovvero sono certamente diversi dai
giudizi di gusto, nel senso che quando io dico
“mi piace più la carne del pesce” non ho nessun interesse a convincere nessuno che
la carne sia migliore del pesce, ma esprimo semplicemente un mio giudizio e se
qualcuno mi dice:”io preferisco il pesce” io ne prendo atto e non sono interessato a
intavolate una discussione sui giudizi di gusto
I giudizi morali sono comunque diversi da questi giudizi, perché se noi abbiamo una
convinzione morale, noi discutiamo avendo la pretesa che la nostra opinione non sia
soltanto la nostra opinione, ma che la nostra opinione si migliore da quella degli
altri, quindi che la nostra opinione sia giusta e quindi sia vera; questo tutti lo
facciamo, perché se non fosse così non ci interesserebbe discutere.
Il fatto che noi lo facciamo ci dice qualcosa di come funziona il discorso morale, ma
non ci dice nulla di concreto sul tipo di discorso che è il discorso morale.
Allora la risposta alla domanda: “I giudizi morali sono veri o falsi?” dipende dalla
nostra prospettiva metaetica??????
Il collocare gli enunciati che esprimono preferenze morali nella categoria asserzioni
o nella categoria prescrizioni-valutazioni
E’ quella disciplina un po’ eterea che si occupa della natura dei nostri giudizi etici e
che si pone la domanda
“ma quando si esprime una preferenza etica che cosa sto facendo? Che tipo di
giudizio sto esprimendo?
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A) L’OGGETTIVISMO ETICO
B) IL SOGGETTIVISMO ETICO
Per dirla con Hume, uno dei più importanti sostenitori di questa concezione, i valori
non sono altro che espressioni delle passioni degli e4sseri umani. Non c’è niente di
irrazionale – Hume dice – a ritenere che sia più grave ricevere una martellata sul
proprio dito,piuttosto che venga distrutto un intero villaggio di esseri umani è una
preferenza, così come è una preferenza preferirei cioccolato rispetto al pistacchio.
I giudizi morali dove li mettiamo? La risposta è: dipende dal fatto che noi adottiamo
o meno una concezione metaetica oggettivistica e cognitivista o una concezione
metaetica soggettivistica o scettica, perché per lo scetticismo etico e non
cognitivismo etico ovviamente i giudizi morali non sono né veri né falsi ; sono diversi
dai giudizi di gusti, perché in effetti il dato empirico di fatto è che ci accaloriamo per
i giudizi morali , cosa che invece non facciamo nel caso dei giudizi di gusti, ma questo
non ci porta alla fine di tutto un lungo discorso in cui , per esempio, posso anche
fare cambiare idea alle persone sia per le mie capacità retoriche e quindi per ragioni
irrazionali e sia perché , magari all’interno di un discorso altrui posso mostrare delle
contradizioni, però tendenzialmente se uno è un soggettivista etico, dirà che nel
discorso che riguarda queste questioni, è giusto, ecc.
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Alla fine dovremmo arrivare alla conclusione” vabbè io la penso così e tu la pensi in
quest’altro modo , abbiamo discusso , ma non c’è un modo razionale per dire che io
ho torto e che tu hai ragione e quindi per i soggettivisti etici e i giudizi morali
resteranno nell’ampia categoria delle valutazioni- prescrittive?
Per gli oggettivisti etici e i cognitivisti invece i giudizi morali sono giudizi che
riguardano cose che esistono nella realtà e quindi sono veri o falsi.
La risposta alla domanda : dove mettiamo i giudizi morali? È una risposta che
presuppone delle scelte di carattere metaetica
Vietato fumare nei luoghi pubblici è una prescrizione , però anche il linguaggio
valutativo o il linguaggio prescrittivo può essere oggetto di asserzioni, quindi, per
esempio, Kelsen distingue:
A) NORME
B) PROPOSIZIONI NORMATIVE
a) LE norme si pongono l’obbiettivo di incidere nel comportamento delle
persone, di modificare il comportamento delle persone.
b) Le proposizioni normative danno invece delle informazioni sullo’esistenza di
certe norme .
Se io dico : Per il diritto italiano è vietato fumare nelle aule universitarie. Questo
enunciato è una proposizione? Si, è vero o falso? E’ una cosa che può essere
verificata
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L’Imperativismo
L’imperativismo è una concezione del positivismo giuridico che nasce in vari paesi. Vi
sono vari autori ma è sufficiente ricordarne due: Jeremy Bentham e John Austin.
Austin ha scritto un libro del 1804 molto importante che si intitola “Delimitazione
dell’ambito della giurisprudenza”.
Non basta dire che il diritto sia un insieme di comandi, di ordini perché comandi e
ordini ce ne sono di tutti i tipi.
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Il Sovrano, dice Austin, è colui al quale tutti prestano abituale obbedienza e non
presta abituale obbedienza a Nessuno.
Hart distingue almeno tre forme imperative che non sono comandi:
Ad esempio il rapinatore che punta pistola minaccia di uccidere chi non gli consegna
i soldi. Questa azione è qualcosa che una persona normale non vuole.
Alla luce di questa definizione di ordine possiamo renderci conto che nella
definizione di Austin è sufficiente dire: “Il diritto è un insieme degli ordini del
Sovrano, sostenuti da minacce”
Parte 2
Abbiamo visto due caratteristiche degli ordini per distinguerli dagli altri imperativi
ma in effetti, per essere più rigorosi, è possibile individuare 5 caratteristiche degli
ordini che sono disgiuntamente necessarie e congiuntamente sufficienti per
individuare un ordine.
Tutte queste caratteristiche devono essere presente perché si possa dire che noi ci
troviamo di fronte ad un ordine. Ovviamente questo che sto dicendo non riguarda
l’ordine del sovrano, riguarda gli ordini in generale e ovviamente si attacca anche
agli ordini del sovrano.
Le prime due caratteristiche sono stati intenzionali di cui colui che comanda nel
senso che sono sentimenti, intenzioni che si trovano nella mente di chi proferisce
l’ordine.
Per fare un esempio, quale sarà il desiderio del rapinatore, che noi consegniamo la
borsa. Questo è il desiderio.
I primi due elementi sono stati intenzionali, cose che avvengono nella testa di chi
proferisce l’ordine.
Le altre tre caratteristiche sono invece dati esterni , dati di fatto la cui esistenza
può almeno in principio essere verificata empiricamente.
L’effettiva capacità, almeno in via presuntiva, sia effettiva, che appaia effettiva.
Mettiamo invece che il rapinatore si presenti con una perfetta riproduzione di una
pistola, in questo caso, anche se non c’è un’effettiva capacità di nuocere, però la
minaccia si presenta come reale.
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In altri termini, chi comanda deve chiarire quello che vuole e questo come lo fa?
Queste caratteristiche ci aiutano a capire che cos’è che fa sì che un ordine raggiunga
il proprio obbiettivo.
Perché ciò avvenga, dice Austin, è necessario che tutti gli individui convolti in un
ordine, sia chi lo impartisce, sia chi lo riceve, siano individui razionali: l’ordine in altri
termini funziona tra individui razionali.
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Quindi se gli individui sono razionali tendenzialmente il comando può andare a buon
fine.
Ma la mia domanda è questa: in che senso può dirsi che il comportamento di chi è
sottoposto a un comando può essere considerato un comportamento necessitario?
Per rispondere alla domanda bisogna distinguere il comando da altri tipi di vincoli
sul nostro comportamento.
Direi di no, ci sono moltissimi altri modi ed è possibile distinguere ulteriori modi che
influenzano il comportamento.
E nel caso di una costrizione fisica come questa viene esclusa del tutto la facoltà di
scegliere da parte di chi è sottoposto ad un vincolo
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Che cosa si intende per manipolazione delle preferenze? Si impone il vincolo sul
comportamento di qualcuno influendo attraverso diversi mezzi (quali possono
essere droghe, pratiche ipnotiche, etc.) sui suoi desideri e sulle sue preferenze.
In entrambi i casi non c’è alcuna scelta da parte di chi è sottoposto a vincolo di
questo genere. Non si sceglie in nessun senso pregnante del verbo scegliere. Quindi
c’è un punto in comune con il vincolo di costrizione ma c’è anche una fondamentale
differenza che forse più difficile da individuare ma è molto importante:
Nel caso del vincolo fisico chi è sottoposto ad un vincolo di tal genere è consapevole
di non essere libero, mentre nel caso della manipolazione delle preferenze il vincolo
agisce dietro le nostre spalle quindi la manipolazione delle preferenze è una
costrizione di cui non ci si rende conto.
Per complicare le cose si potrebbe parlare di vincoli misti sui nostri comportamenti
sia fisici che manipolativi.
(esempio- nel signore delle mosche di Golding il comando lo detiene chi ha una
determinata conchiglia che emette un suono)
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Quindi potremmo dire anche che l’influenza simbolica è molto simile alla
manipolazione delle preferenze: anche in questo caso noi non siamo in grado di
renderci conto che il nostro comportamento non è libero.
Forse non ci rendiamo neanche conto, in alcuni casi più gravi, del nostro
comportamento proprio perché il nostro comportamento è un comportamento
meccanico, proprio come non ci rendiamo conto di respirare
A questo punto è possibile tornare alla domanda originaria: Che tipo di vincolo sul
comportamento è quello prodotto da un comando ? A quali di questi elementi
assomiglia?
Parte 1
Che tipo di vincolo è il vincolo al quale è soggetto colui che riceve un ordine?
Che tipo di costrizione è l’obbligo nei confronti degli individui?
Abbiamo visto altri tipi di costrizioni che sono diverse: impedimenti fisici,la
manipolazione delle differenze, l’influenza simbolica.
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Abbiamo visto per certi versi tutti i casi che abbiamo elencato ieri, che la risposta a
questa domanda è sì, costrizione e libertà sono antitetici; il detenuto non è libero,
nel senso pregnante del termine, colui al quale vengono manipolate le preferenze,
colui il quale è soggetto ad una influenza simbolica.
Però questa impossibilità di coesistenza tra costrizione e libertà vale anche nel caso
di un obbligo legato al trasferimento di un ordine? La risposta come spesso accade è
dipende, perché dipende da come noi consideriamo la nozione di libertà.
Pensiamo alla situazione standard del rapinatore, in un certo senso si può dire che
l’individuo che è soggetto a un ordine del rapinatore con la pistola non è libero, è
plausibile dire che chi è soggetto a un obbligo non sia libero però per altri versi colui
che è soggetto all’obbligo sostenuto da minaccia in un certo senso è libero di fare
una scelta.
Noi possiamo utilizzare due significati della nozione di libertà: la prima è una
nozione di liberta senza ulteriori limitazioni e quindi potremmo definire libertà
come assenza di qualsiasi impedimento, senza ulteriori specificazioni.
Sulla base di questa definizione di libertà tizio ha il diritto a fare A e se e solo se non
è impedito a fare A.
In questa eccezione molta ampia molto generica di libertà, può dirsi libero non
soltanto un essere umano ma anche ad esempio l’ingranaggio di una macchina se
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Ma è questa la nozione di libertà che ci interessa in questa sede? io direi che non è
soddisfacente questa definizione di libertà perché in questa eccezione di libertà può
dirsi libero anche un agente che non sia impedito a compiere una azione che
l’agente medesimo è indotto, è determinato a compiere.
Che cosa si intende per libertà? che cos’è la libertà? come dobbiamo definire la
libertà e sono partito da una definizione molto generica : tizio è libero di fare A se e
solo se non è impedito a fare A. Che cosa si evince da questa definizione? La
definizione senza ulteriori qualificazioni vale per gli esseri umani, ma può valere
anche per un ingranaggio che appunto deve muoversi in un certo modo.
Quindi vi propongo una definizione più raffinata un po’ più circoscritta di libertà e
cioè liberta come non impedimento a fare ciò che si desidera o si vuole fare e
quindi non impedimento a fare qualcosa senza ulteriori specificazioni , ma non
impedimento a fare qualcosa che si può o che si desidera o che si vuole fare.
Innanzi tutto questa definizione di libertà riguarda solo gli individui, perché c’è un
desiderio, una volontà, uno stato intenzionale
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Ora rispetto a questa definizione di libertà più ristretta e più circoscritta, qual è la
soluzione del problema dell’ordine? L’ordine è incompatibile con la libertà o no?
Abbiamo visto nel caso dell’ordine, una caratteristica dell’ordine è quello che viene
ordinato, è qualcosa che generalmente è considerata negativa.
Partiamo dal presupposto che non si desideri di fare una determinata cosa.
L’ordine è un vincolo alla nostra libertà sulla base della definizione, ma è un vincolo
uguale a quelli che abbiamo visto ieri,no perché non è uguale?
Quindi il rapinato è libero di fare quello che vuole. Direi che va precisato, se il
rapinato non vuole consegnare il portafoglio ma desidera fare altro, ma desidera
avere salva la vita.
E quindi in un certo senso l’ordine del rapinatore vincola la sua libertà ma non
esclude del tutto la sua possibilità di scelta.
In tutti questi casi in cui ci sono delle norme, le norme funzionano e agiscono lì dove
c’è la liberta In cui è sempre possibile fare altrimenti.
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Quindi non ha neanche senso fare, come fa Austin aggiungere che gli ordini sono
sostenuti dagli atti perché gli ordini per definizione ordini prevedono la presenza di
minaccia non basta però dire che il diritto è l’insieme di ordini introdotti dal
sovrano. Chi è il sovrano, colui che non pensa ad abituare all’obbedienza , anche
questa nozione di abitudine all’obbedienza meriterà un’analisi ulteriore.
Il prima il fatto che si definisca il diritto come l’ordine del sovrano ci dice qualcosa
innanzi tutto sul tipo di diritto imperativo con la nascita dello stato moderno
Quando si è diffusa la questione del diritto imperativismo con la nascita dello stato
moderno e nello stato moderno la figura del legislatore diventa centrale.
Pero l’obiezione resta ,il diritto coincide con la legge, sì perfetto, ma il diritto
consuetudinario rimane. E allora come si fa a fare rientrare il diritto consuetudinario
che è una parte del diritto sia pure marginale all’interno di questa dimensione?
Perchè questo è un problema che Austin non può non porsi.
Ma noi sappiamo che nel diritto ci sono anche le consuetudini che non sono
prodotte dal Sovrano ma si sviluppano nel tempo all’interno di un ordinamento
giuridico.
Se il diritto discende da ordini del sovrano, allora le consuetudini non sono diritto
La risposta è la seguente: Austin dice che le consuetudini sono ordini indiretti del
sovrano perchè il sovrano conoscendole qualora non le ritenesse opportune
attraverso un suo ordine potrebbe abrogarle.
Sì le consuetudini sono ordini indiretti del sovrano perche il presupposto rivela che il
sovrano è onnipotente e onnisciente. Questo è il presupposto di partenza di tutta la
cultura giuridica dell’ottocento di matrice giurisnazionalista. Che cosa dice Austin :
non ci sono problemi con il diritto ordinario rispetto alla mia definizione perché le
consuetudini sono ordini indiretti del sovrano. Nel senso che il sovrano conosce le
consuetudini e tende a tutelarle o abrogarle attraverso il suo ordine esplicito, se non
lo fa vuol dire che le adotta come ordini propri.
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con il proprio modello e piuttosto che modificare il modello, incide sulla realtà.
E quindi bisogna fare un discorso generale sulle tre versioni o quattro del
positivismo del novecentesco
Perché a parte quello che vi ho detto sulla tesi di fondo del positivismo giuridico, la
tesi della separatività, quello che accomuna tutte queste versioni, cioè la
caratteristica peculiare del positivismo giuridico novecentesco ha a che vedere con
una prospettiva epistemologica , cioè tutti i positivisti giuridici del novecento
condividono una certa idea di che cosa sia la conoscenza giuridica.
Vi ricordate che vi ho detto che è molto difficile separare il compito ontologico dal
compito epistemologico. Per rispondere alla domanda che cosa è il diritto bisogna
interrogarsi sulla questione di come si conosce il diritto, che cosa significa conoscere
il diritto.
Ora possiamo giuridico dire che tutti i positivisti del 900 partono da una prospettiva
epistemologica, più o meno elaborata, che può definirsi empirismo logico o
neopositivismo. Tutti i giuspositivisti del novecento adottano una prospettiva
epistemologica (teoria della conoscenza) che si può definire empirismo logico o
neopositivismo.
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Tutte le scienze,quindi anche la scienza giuridica deve rispondere a dei principi che è
lo stesso delle altre scienze. Questa tesi di chiama monismo metodologico;
monismo perché il metodo è unitario
L’idea è che la scienza per antonomasia ovviamente sarà rappresentato dalle scienze
naturali. Conoscere significa descrivere la realtà.
Il caso paragramtico di scienza, quella a cui tutte le altre scienze devono informarsi
sono le scienze naturali e in particolare la fisica.
Quindi i principi della scienza giuridica devono essere gli stessi utilizzati dalla scienze
naturali.
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Stabilire legge di questo genere è molto importante. Perché che cosa ci consente di
fare la scienza? Ci consente di predire il futuro, noi possiamo sapere che quando
l’acqua raggiungerà i cento gradi, allora l’acqua bollirà.
Che Socrate sia mortale è una conclusione necessaria, non potrà cambiare.
Il ragionamento induttivo come funziona? Funziona così: la prima volta che porto
l’acqua a cento gradi bolle, la seconda volta bolle, la terza bolle, probabilmente
sempre l’acqua bollirà a cento gradi.
Però è sempre una probabilità e infatti in realtà questa legge fisica può essere
falsificata , sarebbe falsificata se facessi questo esperimento in altura e mi accorgo
che l’acqua non bolle più a cento gradi (ad esempio in montagna bolle a
temperatura inferiore).
Quindi in questo caso è stata falsificata la legge che l’acqua bolle a cento gradi.
Che la nozione di adattamento delle leggi naturali è legge a mondo che significa che
l’ultima parola in ambito scientifico ce l’ha quello che è il Tribunale dell’esperienza,
è la realtà che decide.
L’idea in altri termini è che la mente umana funziona come uno specchio della
realtà, questo è il presupposto di tutti i positivisti del novecento.
Poi invece c’è la risposta del realismo giuridico in particolare del realismo giuridico
scandinavo, in particolare la risposta di Ross, che invece che adotta una prospettiva
più rigorosa e dice: o la scienza giuridica adotta esattamente lo stesso metodo e
funziona esattamente allo stesso modo da un punto di vista metodologico delle
scienze naturali o non può essere considerata in nessun modo e in nessun caso
scienza.
Le norme che oggetti sono? Questi oggetti hanno una peculiarietà rispetto agli
oggetti materiali cioè esistono poiché la loro esistenza presuppone il consenso.
Ovvero la credenza della loro esistenza. Il fatto che vengono accettati dagli altri.
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L’oggetto che noi maneggiamo è un artefatto umano della realtà: sono norme.
In che senso il metodo della scienza giuridica può essere lo stesso del metodo delle
scienze naturali. La risposta di Kelsen è che non può essere lo stesso, lo puoi imitare,
ma la scienza giuridica è scienza in senso debole.
Fatta questa ulteriore premessa vediamo di costruire la teoria del diritto di Kelsen e
vedere come questa teoria si interseca con queste osservazioni a carattere
epistemologico .
Innanzitutto l’ opera di Kelsen più importante è la “la dottrina pura del diritto” che
presenta due versioni diverse: la prima edizione più ristretta del 1934, fu tradotta in
italiano con il titolo “lineamenti di dottrina pura del diritto” . La seconda edizione fu
pubblicata nel 1960 e si intitola: “la dottrina pura del diritto”.
Parte 2
Alcuni autori hanno accusato il positivismo giuridico, di essere una delle cause della
nascita dei totalitarismi; è sintomatico che il campione del positivismo giuridico del
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Quindi è compito della dottrina giuridica individuare gli elementi del diritto, che
sono peculiari del diritto stesso.
Dice Kelsen il diritto nella realtà che conosciamo, nella realtà empirica è collegato ai
comportamenti umani, è collegato alle norme morali per certi versi, ma tutto questo
non è peculiare in lui.
Dicevo che la natura pura del diritto ha come ambizione quello di individuare le
caratteristiche peculiari specifiche del diritto e di separare queste caratteristiche da
tutto ciò che è incrostato insieme a queste caratteristiche nella vita reale,cioè il
diritto non si presenta puro nella realtà,ma è collegato necessariamente a tante
altre cose, come norme morali, comportamenti umani.
La scienza giuridica si propone di individuare gli aspetti peculiari del diritto , gli
aspetti peculiari del diritto per la scienza giuridica sono aspetti di tipo formale e
quindi per questo la teoria di Kelsen è definita una teoria formalistica del diritto,
proprio perché si concentra sulla forma che il diritto ha, piuttosto che sul contenuto
del diritto.
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Nella normodinamica, invece, risponde ad altre domande, guarda al diritto nel suo
complesso, al sistema di norme , alla produzione di nuove norme; per certi versi la
normodinamica da un punto di vista logico è un presupposto della normostatica nel
senso che per individuare la singola norma giuridica noi dobbiamo avere già
individuato il sistema giuridico.
Avendo questi in mente partirei dall’analisi delle caratteristiche formali della norma
giuridica secondo Kelsen.
La norma giuridica è l’elemento costitutivo del diritto “il diritto è norma”, per Kelsen
e per tutti i normativi, il problema è quello di capire quali sono le caratteristiche
delle norme giuridiche
Dice esattamente Kelsen il principio di causalità che uno dei principi cardine della
conoscenza scientifica può essere soltanto imitato dalla scienza giuridica, dopo di
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Sembra un pò strano dire che tutte le norme contengono una sanzione, ma qual è la
parte del diritto che più si adatta alla norma di Keslen: IL DIRITTO PENALE.
Ma se voi aprite il codice penale non tutti gli articoli contengono sanzioni, molti
articoli descrivono un reato, un comportamento, e quindi queste non sono norme
giuridiche? Kelsen dice no, non sono norme giuridiche, sono quelle che lui chiama
frammenti di norma.
L’unica vera norma per Kelsen è quella che prevede una sanzione, che collega ad
un comportamento una sanzione, ma la norma è un organismo complesso, che
parte dalla distinzione, poi ci sono dei frammenti che descrivono un certo
comportamento, fino ad arrivare ad arrivare alla vera e propria norma, che è quella
che prevede la sanzione.
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Kelsen dice che le vere e proprie Norme, anche in diritto privato, le norme in senso
stretto sono quelle che prevedono delle sanzioni.
Le vere e proprie norme nel diritto privato sono quelle norme – esecuzione
forzata,annullabilità, che prevedono delle sanzioni. Tutto il resto che cosa sono?
Frammenti di norma .
Tanto è vero che un autore che presenta una concezione del diritto simile a quella
di Kelsen, Norberto Bobbio parla, a proposito, di Austin di imperativismo ingenuo, e
a proposito di Kelsen di imperativismo critico, nel senso che l’unica differenza che
viene messa in luce tra le due concezioni del diritto da Bobbio, è il fatto che Austin
fa a meno della nozione di nozione di norma, cosa che secondo lui, non è possibile,
parla di ordini e non di non di norme.
Questa idea, questa forte assimilazione tra Austin e Kelsen è in qualche misura
avvalorata anche dallo stesso Kelsen, che in suo saggio che Kelsen dedica alla
concezione del diritto di Austin, Keslen afferma che lui è abbastanza d’accordo con i
testi di Austin sul diritto, però Austin sbaglia a parlare di obblighi, di comandi.
Dovrebbe parlare di Norme.
Per Kelsen le norme non sono altro che comandi depsicologizzati, privati del loro
contenuto psicologico.
In che senso le norme sono comandi privati del contenuto psicologico norma ?
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Abbiamo visto parlando di Austin, che il diritto è fatto da ordini, da comandi e gli
ordini hanno delle caratteristiche.
Gli stati intenzionali sono desiderio che venga posto in essere un certo
comportamento e manifestazione della volontà di nuocere qualora quel
comportamento non venga posto in essere.
Dice Kelsen: la norma giuridica è esattamente così, però dobbiamo togliere questi
due stati intenzionali
Nel senso che non è che non ci sono nel momento della produzione della norma,
però nel momento in cui la norma esce dalla casa di produzione, del Parlamento, la
norma si emancipa a differenza dell’ordine sostenuto da minacce.
Secondo me questa lettura che Bobbio da di Kelsen è una lettura distorta, non è un’
interpretazione che io condivido del pensiero di Kelsen: perché in realtà c’è una
differenza molto più radicale tra il normativismo di Kelsen e l’imperativismo di
Austin.
Per Kelsen, in realtà, la sanzione che lui considera come il tratto distensivo delle
norme giuridiche è solo il tratto distintivo delle norma giuridica. Cioè per Kelsen “la
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In molti passaggi Kelsen dice che un ordinamento giuridico non potrebbe basarsi
soltanto sulla paura.
Il più delle volte le ragioni che ci portano a conformarci al diritto sono ragioni morali,
di conformismo.
Perché sono quelli elementi che non fanno parte della scienza giuridica in senso
stretto e Kelsen si vuole occupare soltanto di ciò che è prettamente giuridico.
Per Kelsen la sanzione non è una giustificazione ,come è per l’imperativismo del
conformarsi al diritto, ma è solo un elemento costitutivo delle norme giuridiche, un
elemento che è necessariamente presente nelle norme giuridiche, ma non
l’elemento che spiega e giustifica il nostro comportamento conforme al diritto.
A differenza di ciò Kelsen sostiene le ragioni per ubbidire al diritto sono molteplici,
perché la paura della sanzione non è la ragione principale.
La sanzione ha un alto ruolo per Kelsen, è il marchio di fabbrica (il brand) della
norma giuridica e serve alla scienza giuridica per riconoscere le norme giuridiche,
per individuare la forma che le norme giuridiche hanno a prescindere dal loro
contenuto.
La forma che Kelsen attribuisce alla norma giuridiche assomiglia in qualche misura
alla forma del principio di causalità; la forma del principio di causalità non è altro
che la forma delle leggi naturali; però dice Kelsen non sono la stessa cosa, perché
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Sono due entità reali distinte. Qual è la differenza tra il mondo dell’essere e il
mondo del dover essere?
Dice Kelsen che la differenza tra la scienza giuridica e le scienze naturali è che hanno
oggetti diversi.
Oggetti diversi sono come due mondi diversi: il mondo dell’essere, che è il mondo
naturale, e il mondo, di cui si occupa la norma giuridica, il mondo del dover essere.
Le differenze tra questi due mondi sono ben esemplificate dalle differenza tra il
principio di causalità da un lato e il principio di imputazione dall’altro lato.
Che cosa succede dell’esperimento che l’acqua bolle a 100 gradi se scopro che in
qualche caso l’acqua bolle a 99 gradi? La falsifica,quindi in questo caso la direzione
di adattamento è legge a mondo.
Il principio di causalità dice che se A allora B, se per qualche ragione non si verifica B,
dobbiamo cancellare questa legge e sostituire con un'altra.
Supponiamo che io rubi una mela al supermercato e riesco farla franca esco dal
supermercato nessuno mi vede . Che cosa succede di questa norma? viene
falsificata, la dobbiamo cancellare? No, perché in questo caso nel caso del mondo
del dover essere, la direzione di adattamento è opposta, è a legge. L’obbiettivo delle
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Questo che cosa ci dice che a dispetto di quello che Kelsen vuole sostenere cioè che
ci sia una somiglianza tra le scienze naturali e le scienze giuridiche, lui ha bisogno di
dire questo, perché adotta questa prospettiva epistemologica per cui adotta un
metodo epistemologico per cui tutte le scienze devono adottare lo stesso metodo,
ma che cosa dice la scienza giuridica ha un punto debole secondario rispetto alle
scienze naturali, però è molto affine, qual è l’obiezione che viene mossa a Kelsen?
Il problema è che nel mondo del non essere ,la conseguenza non è la conseguenza
che segue, ma è una conseguenza che deve seguire, ma può anche non seguire. E’
proprio questo il punto: le regole sociali hanno come obbiettivo quello di modificare
il nostro comportamento, ci riescono talvolta, non ci riescono sempre. (ad esempio
l’uso delle cinture di sicurezza che non è sempre rispettato)
Kelsen adotta il criterio che le scienza giuridiche devono essere uguali alle scienze
naturali, ma sembrerebbe che ci siano delle grosse differenze.
Parte 1
47
Noi abbia definito la nostra libertà per fare qualcosa che desideriamo fare, quindi
noi quando siamo soggetti a un ordine o a una norma non potremo dire del tutto
non ho potuto fare altrimenti,c’è sempre un ambito di libertà che rimane per la
scelta,il nostro comportamento è qualcosa che dipende da noi.
Passiamo al Normativismo.
Il Normativismo è una delle creazioni del positivismo giuridico novecentesco, c’è
qualcosa che accomuna il positivismo giuridico novecentesco: è l’attenzione per le
questioni epistemologiche, alle questioni alla natura della scienza giuridica che
significa conoscere il diritto, come si conosce il diritto, ecc.
L’idea è conoscere, significa descrivere la realtà esterna a noi che possiamo indicare
con la R maiuscola perché l’idea resta una concezione descrittivistica della
conoscenza, l’idea è che la nostra mente funziona come uno specchio della realtà.
Questo come presupposto come discorso preliminare alla concezione del diritto di
Kelsen.
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L’idea che la nostra mente funzioni come uno specchio della realtà, che sia possibile
conoscere la realtà così com’è, è qualcosa che è stata posta in discussione con
riferimento dalla filosofia della scienza contemporanea, questo a partire da alcune
evoluzioni della conoscenza in ambito delle scienze naturali e della fisica.
Tutti sappiamo che esistono particelle che non si riescono a vedere a occhio nudo.
Ma qual è il problema? I fisici, altri filosofi della scienza che si occupano di queste
particelle è che non è possibile una descrizione neutrale – oggettiva – di queste
particelle, perché essendo particelle infinitamente piccole, il loro comportamento,
quello che i fisici riescono a studiare: il movimento, l’interazione, é influenzato
dall’attività conoscitiva, è influenzato dal fatto queste particelle sono osservate.
Noi possiamo vedere che si muovono, però tenendo conto che il loro movimento è
modificato dall’osservazione.
E’ possibile per l’essere umano conoscere la realtà? Una realtà che noi conosciamo
è sempre una realtà con la R minuscola, mai con la R maiuscola. In questo modo,
comunque le attività di conoscenza della realtà, sono sempre “costruzioni”, ma non
sono mai descrizioni pure, ma sono anche sempre ricostruzioni della realtà,
sostituiscono alla metafora che ho detto che caratterizza il descrittivismo che la
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Ci sono nella fisica generale, nelle scienze naturali altri argomenti a sostegno di
questa tesi, un’altra tesi “è stata presentata da un filosofo della scienza
contemporaneo, che ha presentato la tesi della sottodeterminazione delle teorie.
Questa tesi dice che molti scienziati riconoscono che rispetto a certi fenomeni, le
evidenze empiriche può portare a spiegazioni diverse, a teorie diverse.
Ma allora come si sceglie una teoria rispetto all’altra? Dice lo scienziato: La scelta
dipende da valutazioni personali, da preferenze personali, per esempio, una teoria
può essere preferita perché è molto complicata, se qualche scienziato ama le teorie
complicate, altre possono essere più o meno eleganti, ma tutte questa sono
valutazioni personali ,non è l’esperienza, non è la realtà , ma sono scelte.
Una delle ragioni dell’acuirsi della crisi del positivismo giuridico, di cui si parla a
partire dagli anni’70, è proprio legata alla crisi del modello epistemologico (che è il
descrittivismo) che il positivismo giuridico adotta.
Nel campo delle scienze sociali ci sono molte ragioni per pensare che la realtà che è
oggetto di studio da parte della scienza non è un oggetto inerte, che sta qui fuori
che noi possiamo osservare, l’oggetto di studio non può essere , per ovvie ragioni,
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Perché questo è importante, per capire il modo in cui il linguaggio è un filtro della
realtà, quindi qualcosa che noi possiamo capire attraverso gli studi dell’etmo-
antropologia, cioè gli antropologi che studiano il linguaggio, il modo di descrivere
civiltà, tribù, diverse dalla nostra che sono molto distanti dalla nostra.
Per esempio qualcosa che stupisce sempre in questi casi è che gli esquimesi – è
difficile tradurre il loro linguaggio – non hanno la nostra parola NEVE, ma hanno
trenta parole per distinguere cose che noi raggruppiamo con un'unica parola.
Ora questo fatto non è banale, questo ci fa capire che la realtà che vedono gli
esquimesi è diversa da quella che vediamo noi.
Per loro, per quanto strano possa sembrare la NEVE non esiste, come per noi queste
30 cose che distinguono con il termine NEVE sono NEVE.
Platone cosa pensava: la NEVE che noi conosciamo non è altro che una pallida
raffigurazione dell’idea della neve, la neve esiste in maniera ideale.
In realtà tutte queste cose che distinguiamo attraverso il linguaggio sono in parte
convenzionali.
Che cosa voglio dire con questo: che in parte il linguaggio incide sul modo con cui
rappresentiamo la realtà, quindi la rappresentazione della realtà è in parte costruita
dagli esseri umani.
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Le Norme sono un’ entità convenzionale, culturale, che esiste per il fatto che noi
crediamo nella loro esistenza e per il fatto che Noi attribuiamo loro un potere
normativo su di noi.
Questo che cosa significa? Significa che l’oggetto che noi studiamo è un oggetto
costruito in parte da pratiche sociali da comportamenti umani; le norme che noi
studiamo il diritto che noi studiamo è una pratica sociale e che cosa significa?
Essere una pratica sociale che cosa significa? Significa che è regolato da certe norme
che regolano i comportamenti umani.
Noi siamo in grado di capire che pagare i biglietti sull’autobus è una prescrizione
normativa. Quindi sappiamo muoverci all’interno di questa pratica sociale.
E chi attribuisce questa finalità alle pratiche sociali? Noi i partecipanti alla pratica.
Gli studiosi del diritto nel momento in cui studiano, hanno la pretesa di osservare il
diritto, di non essere partecipanti alla pratica giuridica, ma di essere meri
osservatori, ma questo è possibile?
E’ possibile alla luce di quello che abbiamo detto sulle pratiche sociali, è possibile
distinguere nettamente il partecipante alla pratica in quanto giudici, avvocati, dallo
studioso del diritto che ha la pretesa di osservare il diritto dall’esterno?
Immaginate un’importante economista, che scrive un saggio, in cui sostiene che per
determinate ragioni in un determinato paese nei prossimi anni ci sarà una
recessione e porta argomenti a sostegno di questa tesi.
Ora possibilmente questa analisi che cosa vuole essere, si presenta come una
descrizione di fatti, ma questa analisi influenzerà il comportamento degli investitori,
che tenderanno a disinvestire sugli altri paesi, e quindi produrranno in questo modo
il fenomeno che era stato descritto.
Ma perché vi ho fatto questo esempio perché da un certo punto di vista, quello che
si propone l’economista, lo scienziato sociale è quello di descrivere la realtà.
Però questa restituzione incide sulla realtà e quindi partecipa e costruisce l’oggetto
che vuole descrivere.
Questo a prescindere dal discorso generale sulla scienza, mette in luce due cose
collegate tra di loro, la prima è che forse scienze sociali e scienze naturali non sono
assimilabili, già la tesi caratterizzata dal descrittivismo, cioè il monismo
metodologico, a prescindere da tutto il resto, non va bene, ma per le ragioni che vi
ho detto all’inizio, sulla evoluzione della conoscenza scientifica e delle scienze
naturali, ma anche per le riflessioni generali sul linguaggio forse in tutti gli ambiti
della conoscenza quello che si può dire Intanto che il monismo metodologico per il
costruttivismo, deve essere sostituito dal pluralismo metodologico.
La tesi che prevarrà, nella migliore delle ipotesi, è quella sostenuta dagli argomenti
più forti.
L’ economista che scrive un saggio sulla moneta deve in qualche misura attribuire un
valore al denaro al quale già è stato attribuito un valore da chi lo usa, dai
partecipanti a questa pratica.
Molti scettici sono descrittivisti delusi, essi si sono resi conto che non è possibile
conoscere la realtà.
Quindi sarà vero che vero che siamo noi a distinguere le balene dai tonni, in un certo
modo, però le balene e i tonni esistono nella realtà.
Mentre lo scetticismo arriva alla conclusione che non è possibile conoscere la realtà.
Anche lo scetticismo ha i suoi problemi, lo scetticismo dice che non ci sono verità
assolute, quello che noi diciamo sulla realtà è una nostra rappresentazione della
realtà.
Kelsen dice che la scienza giuridica è una scienza in senso debole, in quanto imita le
scienze naturali, ma non può adottare lo stesso metodo delle scienze naturali
perché la scienza giuridica si occupa, di quello che Kelsen chiama “il mondo del
dover essere” mentre le scienze naturali si occupano del “mondo dell’essere”. Il
mondo dell’essere ed il mondo del dover essere stanno su due piani distinti. Il
mondo del dover essere è abitato da queste strane entità chiamate Norme.
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L’idea di Kelsen è che ciò che contraddistingue le Norme giuridiche è la forma, non
è il contenuto, perché il contenuto delle Norme giuridiche spesso è coincidente con
quello delle Norme morali. E’ la forma che distingue le Norme giuridiche da tutte le
altre.
Tutte le vere norme giuridiche hanno questa forma, che è raffigurata da quello che
Kelsen chiama principio di imputazione: ”se è A allora deve essere B”.
Questo fa sì che per Kelsen come per Austin c’è un legame molto forte tra diritto e
forza, perché la sanzione è un elemento costitutivo del diritto, non è
concettualmente possibile immaginare un diritto senza sanzione.
Vi sono due modi per ricostruire il rapporto tra diritto e proazione nel pensiero di
Kelsen: un modo è quello seguito da Norberto Bobbio è qullo di enfatizzare le
somiglianze con l’imperativismo.
Questo significa che il modello di diritto proposto da Kelsen può essere ricondotto al
modello che abbiamo definito con Austin ”modello del bandito”.
Fondamentalmente il diritto agisce su di noi allo stesso modo della pistola puntata
dal bandito; se fosse così le ragioni per conformarci al diritto sarebbero ragioni
prudenziali, cioè ragioni auto-interessate che ci inducono a seguire certi
comportamenti per evitare il male, cioè la sanzione.
Kelsen non dice che noi principalmente facciamo quello che il diritto ci dice di fare
per paura della sanzione, ma dice che le ragione sono altre, e se non fossero altre, il
diritto non potrebbe esistere o esisterebbe per pochissimo tempo.
Tutte le norme giuridiche sono caratterizzate da questa forma, però questo modo di
assimilare il principio di causalità al principio di imputazione è discutibile, perché la
somiglianza è una somiglianza apparente.
In che senso la scienza giuridica adotterebbe un metodo simile a quello delle scienze
naturali?
L’idea che la sanzione è un elemento essenziale della norma giuridica, l’idea che il
diritto impone obblighi crea qualche problema in molti ambiti del diritto.
Questo può sembrare plausibile nel diritto penale, mentre in altri ambiti del diritto
questa ricostruzione è più forzata, per esempio nel diritto privato.
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Se siamo consapevoli del fatto che le teorie del diritto ci danno chiavi di lettura della
realtà lo possiamo fare.
Qual è il vantaggio di questa lettura? E che il modello Kelsiniano, per certi versi è un
modello semplice perché ci dice che tutte le Norme giuridiche sono di un tipo e le
riconosciamo così.
Il costo che si deve pagare per ottenere questo modello semplice del diritto è un
costo molto alto: è quello di distorcere la realtà.
Parte 2
Vi ricordate che il normativismo di Kelsen si caratterizza con due tesi: La tesi che
la norma contiene la sanzione e la tesi che il diritto è un sistema di norme
ordinamento giuridico.
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Anche da questo punto di vista la concezione del diritto di Kelsen può essere
definito formalista, perché ciò che classifica una norma faccia o meno faccia parte
di un sistema giuridico sono criteri formali, procedurali , che sono stabiliti da una
norma di grado superiore.
Ma quella norma di grado superiore che cosa ci consente di dire che quella norma di
grado superiore è una norma giuridica?
Bisogna risalire la gerarchia delle fonti, se quella norma è stata prodotta da chi
aveva l’autorità per farlo e nel modo in cui bisognava produrla.
Ma quella norma di grado superiore che cosa ci dice che faccia non faccia parte del
sistema?
Il sistema normativo è come una piramide rovesciata che va viavia allargandosi ci
deve portare alla fine a quella che potremo chiamare la norma di chiusura del
sistema, cioè alla norma delle norme; e quale sarà per Kelsen la Norma di chusura
del sistema che chiama “Norma fondamentale”?
La norma di chiusura del sistema deve essere di carattere generale perché è una
norma fondamentale.
Ma c’è un problema. Noi abbiamo detto che per ritenere l’appartenenza di una
norma all’ordinamento giuridico può essere stabilito risalendo di un grado.
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Ogni volta che si pensa di essere arrivati all’apice, bisogna individuare un criterio
ulteriore.
La risposta più ovvia che sarebbe la costituzione, per Kelsen è inaccettabile, perché
in questo modo non potrebbe giustificare la normatività la giuridicità della
costituzione, perchè non c’è una norma di grado superiore.
Il contenuto della norma fondamentale, che è una creazione della scienza giuridica,
che ha come obiettivo di chiudere il sistema normativo potrebbe essere un
contenuto di questo genere: applica i criteri di individuazione del diritto che sono
quelli contenuti nella Norma fondamentale
La norma fondamentale mette in luce uno dei problemi più grossi del normativismo
Kelseniano, perché che cosa sostiene il positivismo giuridico in generale: che la
norma è posta, che la norma è creata dagli esseri umani. Tutto il diritto è diritto
positivo.
Ma tu Kelsen dici di gestire il diritto così com’è. Ma tu Kelsen che cosa fai?
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Non è che Kelsen decide che non sia la costituzione la norma fondamentale, ma
proprio per i presupposti della sua teoria non può dire che è la costituzione, ma la
costituzione perché è una norma giuridica, guardiamo subito in alto per cercare
l’altra norma e così via all’infinito.
Che cosa si inventa Kelsen per farla restare ? Una norma presupposta.
Tutte queste domande alle quali che cosa dimostrano? Che nel normativismo di
Kelsen c’è un problema e questa soluzione che lui pone “all’infinito” è una soluzione
posticcia.
Un altro punto importante del sistema normativo Kelseniano è che anche nel modo
in cui Kelsen costruisce il sistema giuridico è che attraverso la sua costruzione del
sistema giuridico Kelsen mette in luce un’ ulteriore differenza tra diritto e morale,
tra sistemi di norme giuridiche e sistemi di norme morali.
Abbiamo visto che Kelsen lo fa anche quando parla della Norma evidenziando la
differenze tra sistemi giuridici e sistemi morali.
La differenza è legata al fatto che le norme di chiusura di questi due sistemi sono
qualitativamente diverse, o meglio che il diritto funziona in modo diverso dalla
morale.
Dice Kelsen i sistemi di norme morali sono sistemi normativi statici, mentre i sistemi
giuridici di diritto è un sistema dinamico.
A che cosa è dovuta questa differenza? al fatto che le norme di chiusura , quindi la
norma fondamentale e le norme di chiusura delle norme morale sono norme diverse
e funzionano in modo diverso; perché la norma di chiusura del sistema giuridico
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Che significa che la norma di chiusura dei sistemi giuridici funziona per delegazione,
significa che la norma di chiusura che abbiamo visto è una norma presupposta per
evitare il regresso all’infinito , che cosa fa? Ha un certo contenuto sostanziale? No,
delega la produzione del diritto a certi organismi. Delegare la produzione del diritto
significa delegare il potere.
Il problema non è quale sia il contenuto del diritto ma chi ha il potere di produrlo e
chi ha il potere di produrlo dipende dalla norma fondamentale.
Questo fa sì che il diritto sia un sistema formativo dinamico, che può cambiare
molto velocemente; e da che cosa dipende il cambiamento del diritto? Da chi ha il
potere di produrlo.
Per fare un esempio, fino ad un certo giorno le unioni tra persone dello stesso sesso
possono essere vietate ed erano antigiuridiche; il giorno dopo a seguito della
attuazione di una legge da parte del Parlamento, la situazione può cambiare di
180°, può cambiare totalmente attraverso l’approvazione di una legge che rende i
legami legittimi tra le persone dello stesso sesso.
Perché la norma di chiusura dei sistemi morali è una norma diversa, rispetto alla
norma di chiusura dei sistemi giuridici. E’una norma che funziona, non per
delegazione, come funziona la norma dei sistemi giuridici, ma per deduzione.
Tutte le altre norme che fanno parte del sistema morale non sarebbero altro che
specificazioni di questa norma generale.
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Se uno trova un portafoglio per terra con i documenti e diecimila euro , la cosa
giusta qual è: restituire.
Però norme morali di questo genere fanno la differenza rispetto alla norma: fai il
bene ed evita il male?
E’ solo una specificazione ci chiarisce che cosa significa “fa il bene”,ma noi non la
possiamo applicare.
Quindi possiamo dire che la norma specifica non ha una rilevanza morale, ci aiuta a
capire che cosa è il bene e che cosa è il male.
Quindi se le cose stanno così, dice Kelsen il contenuto della morale è già contenuto
nella norma e le altre norme non ci aggiungono nulla.
E’ stata messa in dubbio, messa in discussione negli Stati contemporanei dal fatto
che le costituzioni contemporanee sono costituzioni che individuano dei valori, dei
principi che devono guidare il legislatore ma tutti coloro che devono produrre il
diritto.
Tutti coloro che devono produrre il diritto hanno dei vincoli sostanziali, devono
rispettare i valori, i principi contenuti nella Costituzione;
Ma il fatto che vengano introdotti dei valori morali all’interno della costituzione, che
vincolano il legislatore, rende anche il sistema giuridico, un sistema parzialmente
stabile.
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Però senza dubbio questa differenza è comunque una differenza importante tra
diritto e morale, perché fa vedere con una certa chiarezza che senza dubbio il diritto
cambia più velocemente della morale.
Abbiamo visto che l’ordinamento giuridico per Kelsen è una piramide rovesciata.
Come funziona? Noi partiamo dalla norma di grado più basso e risaliamo grado per
grado, fino ad arrivare al grado più alto, che è la costituzione, a quel punto
guardiamo oltre e cerchiamo un’altra norma positiva e individuiamo questa norma
presupposta.
Però come arriviamo alla norma fondamentale? Ci arriviamo dal basso, quindi, in
qualche misura per individuare la norma fondamentale, noi dobbiamo risalire i gradi
dell’ordinamento giuridico, ma, per definizione di Kelsen, la norma fondamentale è
il criterio per individuare il diritto. Questo produce circolarità
Parte 1
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Hart sostiene la concezione normativistica del diritto come Kelsen però potremmo
dire che il merito di Hart è quello di aver superato i problemi principali del
normativismo Kenseniano.
Quali sono i problemi principali del normativismo kensiniano? Il problema del
regresso all’infinito.
La soluzione che da Kelsen propone non è affatto soddisfacente, secondo alcuni è
addirittura contraria al positivismo giuridico.
Oltre a questo un altro aspetto in cui Hart da una soluzione più convincente rispetto
a Kelsen è il modo in cui ricostruisce la teoria normativistica del diritto.
Nega questa tesi di Kelsen che tutte le norme giuridiche sono di un solo tipo e che si
caratterizzano dalla presenza di una sanzione.
Tuttavia un elemento cruciale di Hart è rappresentato dalla teoria dell’
interpretazione che è una teoria profondamente innovativa rispetto alle teorie
precedenti.
Tuttavia Hart nell’elaborare la concezione del diritto, Il suo obbiettivo critico iniziale
da cui parte è John Austin.
Perchè è importante ricordare che si è occupato molto del pensiero di Austin.
Quali sono le critiche che Hart muove a Austin?
La critica fondamentale è che non si può definire il diritto in termini di ordini, perché
se noi diciamo che il diritto è un insieme di comandi e ordini del sovrano sostenuti
da minacce, non ci consentono di spiegare innanzi tutto due caratteristiche
fondamentali del diritto, due caratteristiche fondamentali di tutti gli ordinamenti
giuridici e cioè: la permanenze delle norme giuridiche e la continuità degli
ordinamenti giuridici.
Il diritto inizia dagli ordini del sovrano.
Ma se il diritto inizia dagli ordini del sovrano quello che conta è la volontà del
sovrano, ma allora come fa Austin a spiegare il fatto che una norma emanata nel
1500 che prevede il reato di stregoneria, se non viene abrogata è ancora una norma
dell’ordinamento giuridico inglese nel 1900?
La teoria di Austin non ce lo può spiegare perché quella norma è collegata al “rex N”
che è il sovrano ha emanato nel 1500, una volta che il rex muore e quindi il suo
desiderio rimane?
Questa obbiezione ci dice i limiti della teoria di Austin.
Ma Austin una risposta anche se non del tutto convincente ce l’ha.
70
Parte 2
Dice Hart che la nozione dell’abitudine all’obbedienza, non funziona perché trascura
un aspetto importante dell’esperienza giuridica, o più in generale trascura una
caratteristica sociale saliente di tutte le caratteristiche sociali, che si fondano
sull’esistenza di regole.
Hart cerca di fare capire, obbietta Austin che c’è una differenza cruciale, da un lato
Le abitudini sociali e le regole sociali dall’altro lato.
Le abitudini sociali e le regole sociali hanno qualcosa in comune, quello che Hart
chiama l’aspetto esterno, la manifestazione esterna; sia nel caso di un’abitudine
sociale, sia nel caso dell’esistenza di una regola sociale noi ci troviamo di fronte ad
una regolarità di comportamento, ad un comportamento reiterato.
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C’è un ripetersi del comportamento. Che cosa hanno in comune questi atti?
Nel caso dell’abitudine sociali – dice Hart – l’unica cosa certa è la regolarità del
comportamento.
Di solito io il venerdì vado al cinema con gli amici, se non ci vado nessuno mi
criticherà per questo.
Se io in chiesa non mi tolgo il cappello, allora violo a una regola che gli uomini in
chiesa devono togliersi il cappello. C’è una regola.
Dice Hart che i comportamenti che si fondano nel rispetto di una regola sociale
hanno oltre l’aspetto esterno, hanno in comune atteggiamenti abitudinari un
aspetto interno.
In altri termini, quando c’è una regola sociale significa che chi accetta la regola
sociale come regola di comportamento, significa che valuta il proprio
comportamento e il comportamento altrui sulla base della regola sociale ed essere
pronti a criticare , se stessi, ma anche gli altri altri che si comportano in modo
difforme alla regola sociale.
Una regola sociale esiste perché accettata da un gruppo di persone più o meno
ampio.
Questa accettazione, il fatto che noi accettiamo una regola sociale può avvenire per
moltissime ragioni; può avvenire perchè la riteniamo giusta, per rispetto, ma io
posso togliermi il cappello perché mi vergogno a comportarmi in modo diverso dagli
altri, tutto questo è qualcosa che riguarda il nostro inconscio e noi non lo possiamo
conoscere, per questo è irrilevante.
Quello che è interessante è quello che può essere verificato, quello che può essere
verificato il fatto che le persone adottano un certo comportamento come un
modello di condotta.
Pensiamo a uno sport, se io sto guardando una partita di basebool senza che
nessuno mi spiega le regole è quello che posso dire è che a un certo punto ci sono
delle persone che cominciano a correre e cercano di colpire una palla, ma questo
significa che io mi limito a dirvi questo.
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C’entra molto, perché dice Hart, non che il diritto è fatto da regole sociali, ma la
teoria delle regole sociali ci consente di spiegare l’esistenza della norma di
chiusura del sistema – il problema che Kelsen non è stato capace di risolvere –.
Attraverso la sua teoria delle regole sociali, Hart spiega l’esistenza della norma di
chiusura del sistema, quella che lui chiama “Regola di riconoscimento” la “Regola
delle Regole”.
La Norma di chiusura del sistema giuridico è una Norma diversa da tutte le altre
perché nel caso della Regola di riconoscimentonon ha senso parlare di validità ma
si deve parlare di esistenza della Regola di riconoscimento.
Rispetto a tutte le altre Norme giuridica vale quello che dice Kelsen.
Una Norma giuridica è valida se è stata prodotta rispettando quello che dice la
regola di riconoscimento.
Quindi nel caso di tutte le altre norme giuridiche una Norma può al tempo stesso
può essere valida ed inefficace (ad es. la Norma sull’uso delle cinture di sicurezza è
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Attraverso questa analisi delle regole sociali Hart supera il problema più grave del
normativismo di Kelsen che era rappresentato dal “regresso all’infinito”.
Parte 1
Formalismo moderato
E’ importante chiarire che, benchè la teoria del diritto di Kelsen sia una teoria
formalista, perché Kelsen impronta la questione sugli aspetti formali del diritto,
pensate la principio di imputazione, alle caratteristiche della Norma giuridica, etc.
Però la sua teoria della interpretazione è una teoria formalistamoderata, perché,
secondo Kelsen gli enunciati normativi, le disposizioni funzionano come una sorta di
cornice che contiene al suo interno una serie, un numero limitato di significati,
presistente di significati all’interno dei quali l’interprete può scegliere.
Una cosa importate è la distinzione che Keslen fa tra interpretazione scientifica e
interpretazione-applicazione.
L’ interpretazione scientifica è sempre necessariamente il presupposto della
interpretazione operativa.
L’ interpretazione scientifica è il compito della scienza giuridica per Kelsen, proprio
sulla base del presupposto epistemologico del positivismo giuridico novecentesco e
di Kelsen.
Proprio dello scienziato giuridico, del giurista, è quello di individuare tutti i possibili
significati efficaci che stanno dentro la cornice.
Su che basi lo studioso del diritto può individuare questi significati?
Quali sono i criteri che ci dicono, secondo Kelsen, quali significati sono ammissibili e
quali non sono ammissibili?
Le regole del dibattito: Sintattiche, Semantiche, Paragdimatiche (cioè il linguaggio di
azione) ed anche le regole interpretative di un determinato ordinamento giuridico.
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Passiamo ad HART.
Vediamo le Tesi di Hart espresse nel “concetto di diritto”
Una cosa importante che non vi ho detto la settimana scorsa è che tutto questo
libro: “IL CONCETTO DI DIRITTO” può essere letto come un tentativo ingegnoso ma
anche molto complesso di trovare uno spazio al diritto tra la forza da un lato e
l’autonomia dall’altro.
Hart vuole offrire un costruzione del diritto che garantisca al diritto una autonomia
dalla forza.
Quale concezione di diritto assimila il diritto alla forza? L’Ordine.
Nella concezione imperativistica del diritto: il diritto è forza.
Abbiamo visto che questo è discutibile , è un errore fare questa osservazione nel
caso del normativismo di Kelsen.
Quindi da un lato emancipare il diritto dalla forza, ma dall’altro lato emancipare il
diritto anche dalla morale.
Chi assimila il diritto alla morale? I giusnaturalisti.
Hart vuole percorrere questa strada stretta, che non è facile, garantire l’autonimia
del diritto sia dall’attuazione sia dalla durata.
Questo è il suo obbiettivo; obbiettivo che lui persegue.
Vi ho detto anche che l’obbiettivo critico più evidente di Hart nel concetto di diritto
non è il normativismo di Kelsen, ma l’imperativismo di Austin.
La critica che Hart muove ad Austin riguarda fondamentalmente il fatto che, da un
lato, la nozione di Ordine nella teoria di Austin sia insoddisfacente e dall’altro lato
anche l’attitudine all’obbedienza sia insoddisfacente.
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C’è anche un altro aspetto che lui chiama punto di vista interno del comportamento
regolato – che può essere empiricamente verificato e consiste in quello che Hart
chiama “atteggiamento critico riflessivo nei confronti del modello di condotta
prescritto dalla regola”.
Nel caso in cui esiste una regola sociale il gruppo, che accetta quella regola, non si
limita a comportarsi regolarmente in un certo modo ma considera quel determinato
comportamento un comportamento dovuto e le violazioni rispetto alle regole di
condotta previste dal comportamento verranno criticate utilizzando il linguaggio
normativo.
Quindi come facciamo a capire se esiste una regola sociale: semplicemente
guardando al comportamento verbale degli individui, che pongono delle critiche in
caso di comportamento difforme.
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Dice Hart: le ragioni possono essere più varie, sono ragioni che avvengono nella
testa degli individui e quindi non sono conoscibili.
Il compito dello studioso del diritto è quello di verificare l’esistenza di una regola
sociale non anche quello di stabilire se ci sono delle ragioni, per accettare quella
regola, perché queste ragioni non sono dimostrabili e avvengono nella testa degli
individui.
Che centra questa analisi di Hart con una concezione normativistica del diritto?
Hart dice che la “regola di chiusura”, “la regola delle regole” o “la regola di
riconoscimento” non è altro che una regola sociale e che noi possiamo individuare
guardando al comportamento dei funzionari, in particolare si riferisce ai giudici.
Guardando quello che fanno i giudici, individueremo la regola di riconoscimento.
Questo è un passo avanti enorme rispetto al normativismo di Kelsen.
Hart in questo modo può affermare che è “la Costituzione” la regola di chiusura
del sistema, cosa che Kelsen non era in grado di fare.
Perché la Costituzione? Perché la Costituzione è accettata da tutti i funzionari,
giudici e da tutti i cittadini
Una cosa che vi ho detto ,rispetto a questo, è la distinzione tra esistenza e
variabilità.
Per Hart la regola di riconoscimento che stabilisce i criteri di validità delle norme
giuridiche non ha senso dire che è valida. La regola di riconoscimento esiste nella
misura in cui è accettata dai giudici, dai funzionari.
L’esistenza della regola di riconoscimento presuppone che sia accettata, e che sia
realmente efficace.
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Egli, infatti, afferma che esiste un legame concettuale tra diritto e sanzione, cioè la
definizione dell’una presuppone l’altra.
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In questo modo Hart offre un argomento abbastanza forte a sostegno della tesi che
il diritto sia parzialmente autonomo rispetto alla forza.
Chi ha paura della sanzione adotta ragioni prudenziali nei confronti del diritto, ma
sostanzialmente non accetta il diritto, ma è soggetto al diritto.
Se noi limitiamo il legame concettuale tra diritto e sanzione si può dire, come dice
Hart, l’aspetto essenziale del diritto è questa situazione, empiricamente
verificabile dell’accettazione.
Kelsen non può dire che la sanzione è l’elemento essenziale del diritto ma allo stesso
tempo dice che le persone si conformano al diritto anche per altre ragioni.
82
Parte 1
Le parole vaghe sono quelle parole il cui riferimento non è che pienamente
determinato, cioè non si possono inserire ‘’ex-ante’ tutte le istanze concrete di quel
determinato termine di quella determinata nozione.
83
“ Calvo” una persona che senza capelli è calvo, ma unapersona che ha i capelli radi è
calvo o no?
Quanti capelli in testa bisogna avere per non essere definiti “calvi”?
Ora questa caratteristica dice Hart incide sulla interpretazione giuridica.
Il fatto che il linguaggio giuridico o ordinario sia indeterminato fa sì che per ogni
disposizione noi abbiamo una zona chiara dell’applicazione del diritto per la quale
valgono le regole del formalismo interpretativo – se ci troviamo nella zona chiara,
l’attività interpretativa non è altro che l’attività ricognitiva di significati preesistenti,
scopriamo il significato presistente da attribuire alle disposizioni. E questa è
un’attività che non richiede, dice Hart, alcuna discrezionalità, come sostiene il
formalismo interpretativo.
Però per ogni disposizione c’è anche una zona di penombra- così la chiama Hart, in
cui possono sorgere dei dubbi tecnici legati proprio all’indeterminatezza del
linguaggio.
In questo caso l’interprete, il giudice deve necessariamente esercitare una certa
discrezionalità. Quindi se ci troviamo nella zona di penombra allora vigono le regole
dell’antiformalismo interpretativo, perché ci sono più significati possibili.
E l’interprete deve scegliere.
E’ importante capire innanzi tutto qual è la differenza tra questa teoria e
l’antiformalismo moderato. Voi potreste pensare che sono la stessa cosa.
Che cosa sostiene l’antiformalismo moderato, sostiene sempre l’interprete esercita
discrezionalità , una discrezionalità limitata, perché deve scegliere uno dei significati
possibili da attribuire alla definizione.
Secondo Hart questo modo di interpretare l’ interpretazione giuridica è un modo
distorsivo della realtà perchè non è vero che l’interprete esercita sempre
discrezionalità. L’interpreta esercita discrezionalità soltanto nella zona di penombra.
Ora un punto cruciale della teoria dell’interpretazione di Hart è legato al fatto che
Hart sostiene non solo che questo è il modo in cui funziona l’interpretazione in
ambito giuridico, non si limita all’aspetto descrittivo della pratica interpretativa, ma
dice anche che è opportuno che l’interpretazione funzioni in questo modo in ambito
giuridico , che è bene che il diritto contenga termini determinati.
Perché secondo Hart il diritto deve funzionare deve contemplare due valori:
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Quello che questo paradosso ci mostra è che non c’è una chiara linea di
demarcazione tra casi facili e difficili.
Un esempio concreto del paradosso del sorite risale a qualche anno fa, quando vi
era in vigore una normativa per partecipare al concorso di magistratura che
prevedeva una preselezione attraverso dei quiz, prima di partecipare al vero e
proprio concorso. Lo scopo della preselezione era duplice: valutare la preparazione
di base per partecipare al concorso e ridurre il numero dei partecipanti. Non erano
stati stabiliti in anticipo delle soglie di risposte giuste al quiz per essere ammessi al
concorso, ma ci si era limitati a specificare che i partecipanti sarebbero stati
ammessi in un numero pari al triplo dei posti disponibili. La prima volta che tale
normativa ha trovato applicazione, vi è stato un ampio numero di persone che aveva
risposto correttamente a tutte le domande, molto di più del triplo dei posti
disponibili. Quindi, pur se in esubero, nessuno di coloro i quali avevano risposto
correttamente a tutte le domande poteva essere escluso dal concorso e dunque
tutti sono stati ammessi a partecipare al concorso. Allora, alcuni candidati che avavo
partecipato alle preselezioni facendo un solo errore hanno fatto ricordo al T.A.R. del
Lazio, contro la loro esclusione dal concorso e portando a sostegno della loro causa
il fatto che gli scopi del quiz di preselezione non erano comunque stati raggiunti: il
numero dei partecipanti non era stato ridotto e non era possibile affermare che
coloro i quali avessero fatto un solo errore avessero una preparazione di base
minore di coloro i quali non ne avevano fatti. Il T.A.R. del Lazio accoglie tale
argomentazione e ammette al concorso coloro i quali avevano fatto ricorso. A
questo punto, coloro i quali avevano fatto due errori, basandosi sulle stesse
argomentazioni, presentano ricorso e vengono ammessi al concorso...
Quindi per questa caratteristica dei termini vaghi non è possibile garantire la
certezza del diritto: il diritto che contiene termini vaghi è potenzialmente sempre
incerto. Questo significa che non possono esistere casi facili prima dell’attività
interpretativa, ma la distinzione tra casi facili e casi difficili è l’esito dell’attività
interpretativa: ciò crea dei problemi alla teoria di Hart che voleva coniugare certezza
e flessibilità, ma è un problema anche per l’antiformalismo moderato di Kelsen
perché allo stesso modo non vi può essere un confine netto tra i significati che
stanno dentro la cornice e quelli che stanno fuori.
Non esistono casi chiari. Tutti i casi sono potenzialmente casi difficili.
La distinzione tra casi facili e casi difficili è l’esito dell’attività interpretativa.
Lo possiamo dire solo dopo (ex-post) se un caso è facile o difficile.
Questo indebolisce la teoria mista dell’interpretazione ed il modo in cui Hart vuole
coniugare certezza e flessibilità.
Non è un caso che le teorie più recenti del diritto superano il normativismo dicendo
che il diritto è pratica sociale interpretativa.
Tutto il diritto è interpretazione.
LEZIONE DEL 4 APRILE
Parte1
88
Questa definizione oggettualistica del diritto fa si che lo spazio che queste teorie del
diritto dedicano all’interpretazione è uno spazio residuale. Nel senso che
l’interpretazione del diritto è qualcosa che viene dopo avere definito che cosa è il
diritto.
Negano che il diritto possa essere ricondotto a un oggetto che si possa ridurre il
diritto alla norma e così via e offrono una definizione di diritto forse più vaga, ma dal
punto di vista di queste teorie più rispondente alla realtà; in generale potremmo
dire che le teorie del diritto di oggi si caratterizzano per considerare il diritto una
pratica sociale.
Le ragioni che stanno dietro la concezioni del diritto di Ross sono ragioni filosofico
generali e che si legano ad aspetti di epistemologia giuridica, che sono l’esito della
domanda come si conosce il diritto e che tipo di metodo bisogna seguire per
conoscere il diritto.
Che cosa si può verificare nelle scienze sociali? I comportamenti; nel caso del diritto i
comportamenti sono quelli dei giudici, ma non basta questo per Ross, la scienza in
generale ha anche un ruolo predittivo e per tener fede al ruolo predittivo, è
necessario conoscere i comportamenti psicologi che incidono sui comportamenti dei
giudici.
Dice Ross: il comportamento dei giudici è influenzato anche dalla moralità positiva
di una determinata società e in particolare è influenzata dalla moralità di gruppo.
I giudici, rappresentano una parte ben specifica della società, e questo influisce sul
tipo di decisioni che prenderanno.
Il fisico ci deve dire che l’acqua domani bollirà a cento gradi così come oggi, allo
stesso modo il giudice ci deve dire che di fronte al caso x il giudice deciderà nel
modo y.
Per questo il diritto, per Ross, è l’insieme dei fattori psico-sociali dei giudici
Questo modo di intendere il diritto consente a Ross, che è stato allievo di Kelsen, di
recuperare parte del normativismo, perché Ross non nega che abbia senso dire:
l’espressione della norma x è valida, per un realista radicale non ha senso perché le
norme non esistono, invece per Ross è possibile recuperare un ruolo alle norme
giuridiche.
Cosa significa per Ross sostenere che una norma è valida, significa fare una
previsione, significa prevedere che quella norma verrà utilizzata dai giudici come
schema per le decisioni future, e cioè prevedere che quella determinata norma
verrà utilizzata, in futuro, dai giudici come giustificazioni di decisioni future.
91
Tanto più spesso il Giudice è stato rigoroso nell’applicazione di quella norma , tanto
più precisa sarà la previsione.
Dire che una norma è efficace, significa che noi guardiamo al fatto che in passato è
stata applicata.
Sono due nozioni validità ed efficacia, in questo caso vengono ridotte in una sola
nozione che è la nozione di efficacia.
Una norma è valida non se come dice Kelsen, appartiene al sistema normativo, ma la
norma è valida se è efficace.
Vi sono altre concezioni del diritto riduzionistiche, ma le tre nozioni che noi siamo
abituati a distinguere rispetto alle norme generali , alle norme giuridiche sono tre :
92
In sostanza anche Hart sembra sostenere una concezione del diritto non molto
diversa dal realismo di Ross.
Hart dice che l’esistenza della regola di riconoscimento dipende dal fatto che la
regola di riconoscimento sia accettata dai giudici.
L’esistenza della regola di riconoscimento dipende dal fatto che è efficace, dal fatto
che è seguita dai giudici.
Perché infatti la Costituzione è diversa da una legge che scrivo io qua,i mi nomino io
capo dello stato italiano, perché è diversa?
Ed è esattamente quello che dice Ross per tutte le Norme giuridiche. Infatti dopo la
pubblicazione del ”concetto di diritto” Ross fa una recensione di questo libro e dice
di essere d’accordo su tutto con Hart.
Infatti i confini tra normativismo e realismo giuridico non sono poi così netti.
93
Tutte le altre norme giuridiche sono valide se sono state prodotte rispettando i
criteri previsti dalla regola di riconoscimento.
Si, solo la regola di riconoscimento (ad es. la Costituzione) per esistere deve essere
valida ed efficace.
Quindi Hart direbbe che la norma che impone l’uso delle cinture di sicurezza è una
norma valida ,perché fa parte del sistema normativo, però è una norma inefficace
perché molte persone non la seguono e non vengono sanzionate.
Per Ross invece la norma sulle cinture di sicurezza non è una Norma valida, proprio
perché inefficace.
Qual è la differenza?
Hart riduce lo spazio per un collegamento stringente tra esistenza delle norme e
comportamenti e accettazione solo alla regola di riconoscimento.
Ross applica una teoria simile a quella di Hart sulle regole sociali, alla ricostruzione di
tutte le norme giuridiche.
Le altre norme giuridiche sono norme del sistema normativo e la loro esistenza
dipende semplicemente dal fatto che rispettano i criteri previsti dalla regola di
riconoscimento.
Per concludere potremmo dire che il normativismo di Hart si spinge fino ai margini
del realismo giuridico.
94
Quello che sembra da una prima lettura nettamente distinto tende poi a
complicarsi.
Perché anche Kelsen dice che i significati attribuiti alle norme non sono significati
illimitati però c’è una profonda differenza , perché Kelsen collega l’esistenza di
questi plurisignificati delle disposizioni a caratteristiche sintattiche pragmatiche al
linguaggio, ed ai canoni interpretativi.
Quindi sono le regole linguistiche che ci consentono di dire quali significati sono
ammissibili e quali inammissibili.
Per Ross i significati ammissibili sono i significati che ricorrono nel modo in cui in
particolare i giudici interpretano le norme.
I significati che stanno dentro la cornice per Ross sono quei significati che vengono
attribuiti alle disposizioni da parte dei giudici, i significati ricorrenti.
Quindi compito dello studioso del diritto è quello di registrare tutti quei significati
che vengono attribuiti
Quindi ci possono essere dei giudici bizzarri che prendono significati che stanno fuori
dalla cornice, questo significato però entrerà immediatamente nella cornice dei
significati possibili?
Mettiamo ci sono dei significati delle norme dentro la cornice, quali saranno queste
norme dentro la cornice per Ross?
95
Questo consente a Ross di dire che ci possono essere, da parte dei giudici,
interpretazioni sbagliate, se non sono interpretazioni ricorrenti.
Tuttavia la cornice può cambiare nel tempo, si evolve, la cornice è fluida, esiste in un
determinato momento storico.
Parte 2
Si può dire che questa concezione del diritto un po’ come tutte le concezioni che si
chiamano critiche si fondano su una accettazione più o meno esplicita di alcune tesi
socialiste, o direi più correttamente marxiane.
Nel realismo giuridico americano viene accolta l’idea che il diritto è una
sovrastruttura rispetto all’economia.
L’idea che le dinamiche che governano le nostre società sono dinamiche di tipo
economico, dipendono da rapporti di tipo economico e che il diritto segue queste
dinamiche e in una certa misura contribuisce a nasconderle, a renderle uguali.
L’idea che alle disposizioni gli interpreti possono attribuire qualsiasi significato, cioè
che i significati attribuiti alle disposizioni normative, a quelle che si chiamano norme
sono infiniti: il diritto non è fatto da Norme ma dipende dalla volontà
dell’interprete, dalla volontà dei giudici;
Vi ricordate qual è lo slogan di Frank: “il diritto dipende da quello che i giudici
hanno mangiato a colazione”
E’ un’affermazione forte per dire brutalmente che i giudici possono fare quello che
vogliono, non solo questo e di solito le ragioni dei loro comportamenti sono ragioni
inconfessabili, miste di simpatia o empatia ecc., anche pre-giudizi razzisti.
In realtà, quello che sostiene il realismo giuridico americano non è proprio questo,
quindi è opportuno offrirne una ricostruzione che eviti di presentare questa
concezione del diritto come una sorta di burletta perché quello che sostengono in
realtà i realisti giuridici americani non è che ad ogni disposizione è possibile
attribuire ogni significato,
ma è una tesi molto più interessante: il modo in cui funziona la pratica giuridica
l’insieme delle norme è un insieme così ricco e complesso da consentire a chi
conosce il diritto, ai giudici in particolare, di trovare all’interno del discorso giuridico,
all’interno della gerarchia delle fonti del diritto, le basi giustificative per qualsiasi
decisione si voglia prendere rispetto a un caso concreto.
Lo ripeto: (è importante) dire che per i giuristi statunitensi ad ogni norma si può
attribuire qualsiasi significato significa tradire il pensiero del realismo giuridico
americano; infatti i gius-realisti americani sostengono che l’interprete del diritto ha
a sua disposizione un sistema molto complesso: un insieme di norme
disposizioni,norme primarie, norme secondarie, tecniche interpretative, che gli
97
Il giudice, di fronte ad un caso, prende la soluzione che è giusta secondo lui, che Lui
preferisce.
Una volta che il giudice ha deciso il caso trova ex-post la giustificazione che ci
consente di sostenere questa determinata decisione.
Dicono i realisti americani: il diritto offre soluzioni per tutte le stagioni. Consente di
giustificare qualsiasi decisione vogliamo prendere.
L’idea che i giudici decidono su altre basi che non sono basi giuridiche ,il diritto serve
per coprire le decisioni dei giudici.
C’è na premessa maggiore che è la premessa normativa, una premessa minore che è
un fatto, la sentenza che cosa è: Una norma individuale.
Qual è la caratteristica dei fatti, di cui discutono i giudici nelle aule di giustizia.
Es: se io dico ci sono dei fogli sulla cattedra? È vero. Il fatto si può dimostrare
visivamente.
I fatti che devono essere provati in giudizio sono fatti avvenuti nel passato.
Come se io vi chiedessi: è vero che IERI c’erano dei fogli sulla cattedra?
Possiamo guardare sulla cattedra e dire : è vero? Noi quindi dobbiamo ricostruire
con Testimonianze, sono fatti che si devono ricostruire. I fatti che si devono provare
in Tribunale sono come una storia che deve essere ricostruita.
Secondo che sia più probabile, più coerente la storia “Tizio ha ucciso Caio” rispetto
alla storia “ Tizio non ha ucciso Caio” allora noi potremmo dire che quel fatto è stato
provato. Un fatto provato è coerente.
E il giudice ha gli strumenti , potrà ricostruire la storia che meglio gli consente di
prendere quella decisione che lui ha preso su altre basi.
Che cosa c’entra questo modo d’intendere il diritto con la premessa filosofica
politica di tipo marxista?
99
A che serve il diritto? Il diritto è un’illusione. Uno strumento nelle mani dei gruppi
privilegiati.
Perché è uno strumento nelle mani dei gruppi privilegiati? Perché attraverso il
diritto si fa credere a tutti che la società si fondi, funzioni attraverso la regola della
maggioranza.
Questa illusione, questa credenza consente di tenere buoni tutti, consente in altri
termini di mantenere chi si trovi in uno stato di subordinazione più facilmente in
questo stato; perché chi si trova in uno stato di subordinazione ha l’illusione di aver
contribuito significativamente alla creazione delle norme che poi vengono applicate.
E in qualche misura non si ribella perché sarebbe come ribellarsi contro se stesso.
In realtà però quello che sostengono i realisti giuridici americani è appunto, per le
ragioni che abbiamo visto, questa E’ un’assoluta illusione.
I giudici, che sono coloro che applicano il diritto, che fanno parte del gruppo dei
privilegiati, tenderà a mantenere questo status quo e lo farà molto facilmente
perché prenderà quelle decisioni auto interessate, cioè a sostegno dei propri
privilegi.
Non è che I giuristi americani sostengono che questo artificio è posto in essere
consapevolmente dai giudici ma questo è il modo in cui funziona il diritto, e poi
buttano fumo negli occhi dando l’impressione che loro non hanno fatto altro che
applicare il diritto.
E questo spiega perché il realismo giuridico americano prende per buona l’idea che il
diritto sia una sovrasrtruttura.
C’è anche una spiegazione anche più profonda di questo che in termini psicologici
espresse da Frank in questo libro: “Law and modern mind” “il diritto e la mentalità
moderna”
Noi che cosa pensiamo che il diritto sia chiaro e che la funzione degli avvocati di
rendere complesso ciò che è semplice: di cercare cavilli.
Che il neonato, quando nasce è legato a esigenze basilari, che gli vengono
facilmente soddisfatte, perché basta che piange, i genitori capiscono quello che ha
bisogno, allora dal trauma della nascita il neonato si riprende con un senso di
onnipotenza ,legato dal fatto che tutti i suoi desideri vengono prontamente
soddisfatti.
Anche questa fase dura molto poco, arrivati all’adolescenza l’idealizzazione della
figura dei genitori viene meno.
Dice Piaget, e con lui Frank, che gli adulti tendono a non crescere cioè a cercare
sempre i sostituti del padre che possano rafforzare il loro senso di impotenza.
Consapevolmente o inconsapevolmente.
101
Nel caso del diritto noi dobbiamo avere fiducia nel fatto che il diritto sia chiaro, che
ci indichi in modo chiaro quale direzione dobbiamo seguire ed per questo che i
problemi interpretativi che sorgono sono creati ad arte da soggetti che hanno
questo compito.
Il diritto non è affatto così come noi ce lo rappresentiamo e non può essere così
come noi ce lo rappresentiamo per tutte le ragioni che abbiamo visto. Quindi
compito della scienza giuridica moderna è quello di aiutarci a uscire
dall’infantilismo da questa visione edulcorata e rassicurante del diritto.
Il compito della scienza giuridica moderna è farci capire che non è il diritto, non
sono le norme a guidare a il nostro comportamento, ma il nostro comportamento è
guidato da soggetti che hanno i loro interessi e questi soggetti, - i giudici- che hanno
i loro interessi possono anche essere in competizione rispetto ai nostri personali
interessi.
Nel senso che le altre concezioni del diritto che abbiamo visto, quelle di Hart o di
Kelsen, si pongono dalla prospettiva dei partecipanti; prendono sul serio la
prospettiva dei partecipanti; Pensate alla teoria di Hart sull’accettazione del diritto:
Hart sta descrivendo il modo in cui il partecipante percepisce il diritto.
Tutto il realismo giuridico sia americano ma anche quello scandinavo ci dice che le
cose non sono come appaiono ci dice che il diritto agisca sul nostro
comportamento,ma agisce sul nostro comportamento dietro le nostre spalle in
modo che noi non ci rendiamo conto.
Ci sono ovviamente delle obbiezioni che possono essere mosse a questa concezione.
102
L’onere della prova spetta ai realisti giuridici americani. E quindi un’obbiezione più
seria è quella di vedere in concreto se è vero che di fronte ad ogni caso è possibile
giustificare la decisione proposta
In questa difesa della propria posizione bisogna dire che i realisti giuridici americani
non si sono mai spinti più di tanto.
Diciamo che sarebbe logico dimostrare che i giudici possono fare quello che
vogliono, ma è una prova che non hanno fornito.
Parte1
Non è un caso che il positivismo giuridico sia nato insieme allo stato moderno.
Il fatto che ilrealismo giuridico radicale si sia sviluppato negli Stati Uniti che è un
paesedi common law. in cui tradizionalmente i giudici hanno un ruolo diverso
rispetto ai paesi europei.
103
Ci sono forse delle caratteristiche generali del diritto, ci sono sempre, io credo che
sia difficile sfuggire ad una definizione funzionalistica del diritto.
Si può dire che il diritto è sempre e comunque uno strumento per incidere sui
comportamenti sociali, ma ci sono diversi modi attraverso i quali il diritto raggiunge
questo obbiettivo, che incidono anche sulleconcezioni del diritto.
Ci può essere una definizione più ristretta e più specifica di stato moderno secondo
la quale lo Stato moderno nasce quando lo Stato si presenta per la prima volta in
una forma riconducibile al principio della sovranità, quando c’è, in altri termini, per
la prima volta, una perfetta coincidenza tra esistenza di uno stato e sovranità
assoluta.
Fino allo stato assoluto, che si è sviluppato del XVIImo secolo, non c’era una
dichiarazione così chiara di sovranità.
Questa idea del collegamento stretto tra sovranità e stato è un idea che si era
sviluppata nel pensiero filosofico politico dei secoli precedenti, solo che la sua
realizzazione è avvenutasolo a partire dalla rivoluzione francese e in modo compiuto
nello stato 800entesco.
Un autore che ha sviluppato questa idea è Hobbes, che nel “Leviatano” presenta
un’idea di stato di questo genere. L’idea è che lo stato presuppone il possesso di una
sovranità assoluta.
Per essere più precisi le caratteristiche dello stato moderno possono essere
ricondotte a due.
105
Quali sino i fattori che hanno portato alla nascita dello stato moderno?
Si può dire che il passaggio tra la forma dello stato che il dirittoaveva prima del
‘700/800 almeno per quanto riguarda la porzione di mondo a noi più vicina cioè
l’Europa continentale può essere ricondotta a tre fattori diversitra di loro ma
collegati.
Per capire meglio quali sono le caratteristiche dello stato moderno è opportuno fare
un breve passo indietro e capire quali sono le caratteristiche dello stato
premoderno.
In sintesi il particolarismo giuridico è l’assenza di una più chiara gerarchia delle fonti
normative in una sfera spazio-temporale, dove Noi sulla base di un giudizio di valore
ci aspetteremo che Vi fosse una chiara gerarchia delle fonti.
In Francia, nel secolo XVII, scopriremmo, con una certa approssimazione che al Nord
della Francia vigeva, come diritto Comune, un diritto di origine germanica, mentre al
sud vigeva il diritto romano.
Quindi in Francia, a quel tempo, Vi era, con una certa approssimazione, le cose sono
sfumate.
Vi ho indicato i fattori preponderanti che hanno portato alla nascita dello stato
moderno. Ora mi concentrerò sul fenomeno della codificazione in Francia.
107
1. La prima idea è che possa esistere un legislatore universale che detti leggi
valide per tutti i tempi e tutti i luoghi.
E’ l’idea che il diritto razionale è un insieme di norme valide per tutti, a
prescindere dalle caratteristiche contingenti dei singoli stati.Questa è un idea
profondamente radicata nel pensiero illuminista.
2. La Seconda idea, che nasce per contrastare il particolarismo giuridico, è quella
di realizzare un diritto semplice e unitario.
Di queste due istanze che hanno portato alla codificazione la seconda istanza verrà
nettamente privilegiata rispetto alla prima, nel senso che, dall’inizio alla fine del
progetto di codificazione, l’ispirazione illuminista verrà totalmente abbandonata.
Questa scienza nasce nell’800 ed è una nuova scienza che ha come finalità quella di
stabilire quali sono le leggi universali e immutabili che debbono regolare la condotta
degli esseri umani.
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Questa tesi è espressa benissimo da Cesare Beccaria nel suo libro“dei delitti e delle
pene”quando presenta questa nozione di sillogismo perfetto:”In ogni delitto il
compito del giudice è quello di pone in essere un sillogismo perfetto. La premessa
maggiore deve essere una legge generale, la minore un’azione conforme o no alla
legge. La conseguenza :la libertà o la pena”.
Quando il giudice sia costretto o voglia fare, anche se ho due sillogismi, quando il
giudice si allontana da questo schema semplice, si apre la porta all’incertezza.
Parte 2
“Esiste un diritto universale e immutabile, fonte di tutte le leggi positive, non è altro
che la ragione naturale in quanto essa governa tutti gli uomini”.
Ancora però con la codificazione il passaggio dallo stato pre-moderno allo stato
moderno non si può ritenere concluso.
Il fatto che i giudici non possono dire, nel caso di oscurità, silenzio o
contraddittorietà del diritto, non possono rifiutarsi di prendere una decisione.
L’idea di coloro i quali hanno redatto il codice nel caso in cui il diritto fosse
contraddittorio o silente, allora come i giudici potevano decidere i casi? Ricorrendo a
quello che tecnicamente si chiama :”Etero integrazione”.
Questa idea confligge con l’idea fondamentale dello stato moderno: la sovranità
assoluta dello stato. L’etero integrazione è un vulnus alla sovranità assoluta dello
stato.
Quindi significa che i giudici in alcuni casi possono agire discrezionalmente e peraltro
la discrezionalità dei giudici è avvalorata dal fatto che sono loro a decidere quando
110
Questo principio non è un principio giuridico, non c’era scritto nel Codice, questa era
un’idea di coloro i quali avevano redatto il Codice.
Questa idea viene criticata e modificata dalla scuola dell’esegesi, che sancisce che i
giudici non possano mai ricorrere all’eterointegrazione.
Questa idea che il legislatore è onnipotente, che può produrre il diritto completo, è
un idea che dai giuristi successivi è stata etichettata come: feticismo della legge.
L’idea che tutto si trova nella legge è un’idea pericolosa che ha contribuito alla
nascita dei totalitarismi e alle malvagità che sono avvenute negli ordinamenti
giuridici malvagi che si sono sviluppati nel ‘900.
La completezza del diritto non è un dato della realtà, non è qualcosa che si può
dimostrare empiricamente, ma è una costruzione da parte dei giuristi, che hanno
elaborato delle teorie, delle tecniche che consentono di dire che l’ordinamento
giuridico è completo o completabile.
Una teoria che è stata sviluppata nell’ ‘800 “la teoria dello spazio giuridico vuoto”.
111
Una teoria simile, che consente di raggiungere lo stesso risultato, è la “teoria della
norma generale esclusiva”.
Che cosa sostengono alcuni giuristi? Sostengono che in ogni ordinamento giuridico
ci sia una norma di chiusura implicita che ha questo contenuto: tutto ciò che non è
espressamente proibito dal legislatore è ammesso.
Quindi anche attraverso una norma di questo genere è possibile ottenere questo
risultato: quello di considerare l’ordinamento giuridico un ordinamento completo.
Attraverso la ricostruzione di questa vicenda non vedete come sia molto difficile
separare l’oggetto dalla conoscenza dell’oggetto?
Il diritto moderno e anche il ruolo che ha avuto la codificazione del diritto moderno,
non può essere separata dalle riflessioni fatte dai giuristi sul diritto in quegli anni.
112
Questa, che è una scelta politica, è collegata alla nascita del positivismo giuridico.
Questa impostazione che nasce dal regime napoleonico che è ancora molto
presente nell’ordinamento giuridico in Francia: per esempio la Francia è uno dei
pochi paesi europei dove non ci sono insegnamenti fondamentali di filosofia del
diritto.
113
Non c’è altro fuori dal codice, tutto si trova nel codice e qui c’è tutta la completezza
del diritto, il principio d’autorità e così via.
Parte1
L’espressione positivismo giuridico è ambigua poiché viene utilizzata per unire tesi
che non sono compatibili tra loro.
1. La prima tesi: il diritto è un sistema di norme fatte valere con la forza, il cui
contenuto è la regolamentazione dell’uso della forza.
114
La versione più forte di questa prima tesi sostiene che la funzione del diritto
sia essenzialmente quella di regolamentare l’uso della forza, far sì che la forza
venga utilizzata secondo certi criteri.
Perché questa versione è più forte? Perché la funzione primaria del diritto non
sarebbe quella di incidere sui nostri comportamenti, ma sarebbe quella di
regolamentare l’uso della forza. Questo è abbastanza paradossale, però ci
dice molto del positivismo giuridico come teoria: dell’idea sovranistica del
diritto, tra diritto, autorità e forza c’è un nesso inscindibile.
C’è una sorta di identificazione tra diritto e legge. C’è uno spazio per le
consuetudini, c’è uno spazio assolutamente residuale, assolutamente marginale.
Perché c’è questa idea che la fonte primaria del diritto è la legge? Perchè la legge
è espressione del legislatore, il quale a sua volte è espressione della volontà
popolare.
Ci sono dei criteri dei sistemi per superare l’ampass creato delle lacune
apparenti.
115
Viste queste caratteristiche del positivismo giuridico come teoria, voi dovreste porvi
una domanda: che differenza c’è tra il positivismo giuridico come teoria e la storia
dell’esegesi?
Il positivismo giuridico nega l’esistenza del diritto naturale. Abbiamo visto invece
che la scuola dell’esegesi mantiene un tributo, almeno formale al gius-naturalismo
ed al diritto naturale.
Ricordate la frase “giudizio non liquet”. Si sosteneva che in quel caso si potesse
ricorrere al diritto naturale? Questo è un percorso: prima si mantiene uno spazio
marginale al diritto naturale all’interno del funzionamento del diritto, poi non ci
serve più perché è confluito nel diritto positivo e poi si arriva alla conclusione, con il
positivismo giuridico che: Tutto il diritto è espressione della volontà umana.
In altri termini ideologia è una teoria della giustizia, è una teoria della normativa di
come dobbiamo comportarci rispetto al diritto.
Ora all’interno del positivismo giuridico come ideologia è possibile distinguere due
versioni:
La versione più estrema afferma che il diritto positivo è giusto per il solo fatto di
essere stato emanato da un’autorità dominante.
Dunque il diritto è sempre giusto, bisogna sempre fare sempre quello che il diritto ci
chiede di fare.
Dunque c’è un collegamento stringente – anche se sono due cose diverse- tra
positivismo come teoria e il positivismo ideologico .
La versione moderata del positivismo ideologico non dice – ed è per questo che è
moderata – che il diritto è sempre giusto, ma dice che qualsiasi ordinamento
giuridico, qualunque sia il contenuto di un ordinamento giuridico, consente di
raggiungere alcuni obbiettivi che sono moralmente desiderati.
117
Quali sono questi obbiettivi apprezzabili dal punto di vista morale? Sono la pace e la
sicurezza.
Da questa osservazione seguirà che dobbiamo sempre obbedire al diritto? No, non
segue questo; però prima di disobbedire al diritto, ad una norma malvagia,
dobbiamo porre in essere un articolato ragionamento morale, non basta dire: la
norma X è ingiusta, quindi non la seguo.ma bisogna bilanciare da un lato la
ingiustizia di una norma specifica e dall’altro considerare che non obbedire a quella
norma indebolirà il sistema fino possibilmente alla sua implosione; quindi ogni
disobbedienza al diritto implica il rischio di una nascita di una guerra civile.
Questo fa perdere quel valore di pace e sicurezza. Quindi il giudizio morale ci deve
spingere a decidere se obbedire omeno al diritto o a una norma specifica è
complicato.
Non basta guardare al fatto se una norma è giusta o ingiusta ma bisogna fare un
giudizio più articolato di sistema che ci deve portare a rispondere a questa
domanda: vale la pena disobbedire a questa norma e mette a rischio, indebolire
tutto il sistema giuridico esistente? E questa valutazione va articolata.
A maggior ragione questo vale per i cittadini. Questa cosa non è una cosa foriera di
sviluppi positivi, anzi come abbiamo visto è foriera di sviluppi negativi.
118
I fattori che hanno portato alla nascita dello Stato moderno sono essenzialmente
tre:
1. Rivoluzione francese,
2. Dottrina illuminista
3. Codificazione.
Dire che la legge è la fonte primaria del diritto significa negare una dimensione
costituzionale generale del diritto.
Apro una parentesi: Queste cose sullo Stato moderno l’ho ritrovate sul capitolo
sullo stato di diritto.
Questo per farvi capire il possibile conflitto tra Stato moderno e rivoluzione
francese.
Ci sono due strade, questa dichiarazione era contenuta nella costituzione del 1789 ,
poi sostituita dalla costituzione del ’91 ecc; se dobbiamo considerare La
Dichiarazione un documento normativo quando viene abrogata la costituzione
dell’89, deve essere considerarsi abrogata anche La Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino e quindi se è così, allora non è vincolante
Che cosa significa questo? Non c’è alcun vincolo. Il legislatore è libero di fare quello
che vuole.
Da questo punto di vista sembrerebbe che c’è anche una contraddizione tra la
rivoluzione francese e lo satto moderno.
Noi stiamo parlando di capire che il fulcro dello Stato moderno è l’idea di sovranità
assoluta.
L’esistenza dello Stato è avvalorata dal fatto che quello Stato ha anche una
sovranità assoluta. Abbiamo anche visto che c’è un principio giuridico, un principio
viene sancito proprio in quella dichiarazione che viene letta dai giuristi dell’800 ,
nell’art.3 si dice che la sovranità appartiene alla nazione.
120
Perché bisogna capire che cosa si deve intendere, qual è il modo di intendere questa
espressione: “la sovranità appartiene alla nazione”. Come era stata intesa dalle
affermazioni nel periodo rivoluzionario? Era stata intesa come un banale
esperimento di potere dal sovrano, dal monarca al popolo. E più precisamente chi è
il popolo? Sono i cittadini maschi politicamente attivi.
Quindi la sovranità appartiene alla nazione, per i rivoluzionari deve essere intesa
come la sovranità appartiene al popolo. E’ un’ espressione che si sente anche oggi.
Perché quello che non viene colto con questa interpretazione si continua a
mantenere un concetto antico di sovranità nel senso che la sovranità viene intese
sempre insenso soggettivo bisogna individuare sempre un soggetto fisico, un
individuo che sono i detentori della la sovranità.
Nel caso del monarca la persona in carne e ossa, ma anche il popolo è persone in
carne e ossa ,più persone in carne e ossa, se si intende la sovranità in questo modo
come la intendevano i rivoluzionari che la sovranità transita dal monarca al popolo
allora si sta cambiando soggetto, non si sta credendo che la sovranità intesa in
questa eccezione non può che essere limitata e quindi i giuristi ottocenteschi hanno
sottolineato questo che deve essere intesa in senso oggettivo; e che significa per la
sovranità che deve essere intesa in senso oggettivo? Significa,che in senso
modernola sovranità feudale consiste proprio nel negare l’esistenza di un potere
assoluto originario e soggettivo che sia in grado di negare il potere delle istituzioni
politiche.
121
L’idea della sovranità in senso oggettivo che è l’idea dei giuristi e dei filosofi della
politica dell’800 è un errore l’idea di ritenere che esista un potere che sia assoluto
originario, che trascende il potere dello Stato, il potere delle istituzioni politiche è se
stesso, la sovranità dello Stato intesa in senso oggettivo, intesa in senso moderno
consiste proprio nell’escludere ogni tipo di dipendenza dall’esterno, non c’è nessuno
che legittima ,non ha bisogno di legittimazioni il potere statale.
Tutto questo che cosa significa? Significa che il potere dello stato coincide
essenzialmente con il potere del parlamento. L’organo che è il potere principale
dello stato è il potere legislativo ,il potere espresso dal parlamento.
Certo qualcosa si perde della rivoluzione francese, abbiamo già visto una
conseguenza di questa idea è la conseguenza necessaria di questa idea che la
sovranità deveessere intesa in senso oggettivo per cui spetta al parmento e non
soggettivo .E’ la negazione dell’esistenza dei diritti di libertà fondamentali.Non ci
sono diritti fondamentali in grado di limitare lo Stato.
O meglio- come dice Fioravanti c’è un unico diritto che rimane per i cittadini
delloStato moderno ed il diritto di tutti ad essere trattati conformemente alle leggi
dello Stato.
Parte 1
Abbiamo visto che le caratteristiche di fondo di uno stato di diritto sono quelle di
trasformare la nozione di sovranità da un senso soggettivo ad un senso oggettivo,
quindi una sovranità dello stato che non ha bisogno di una legittimazione esterna o
com’era in precedenza nella figura del monarca, oppure nella figura del popolo.
Facendo un discorso di tipo filosofico giuridico in generale si può dire che lo stato di
diritto è lo strumento che consente alle persone di sapere in anticipo quali saranno
le conseguenze del loro comportamento in relazione alle sanzioni giuridiche.
Dice un giurista contemporaneo (Joseph Raz): “Lo Stato di diritto è uno strumento
del funzionamento, nel senso che è in grado di incidere in modo opportuno sul
comportamento umano. Lo stato di diritto è come un coltello ben affilato, che è
meglio di un coltello non affilato, ma può servire per tagliare il pane o la carne, ma
può anche servire per tagliare le gole delle persone.”
123
Così come abbiamo visto, che la sovranità è il tratto distintivo dello stato moderno
, abbiamo visto in che senso la sovranità deve essere intesa, direi che la crisi della
sovranità è il tratto distintivo dello stato contemporaneo.
ci sono:
124
Quindi in sostanza i limiti interni alla sovranità statale dipendono dalla introduzione
di costituzioni rigide e lunghe.
La nostra è una costituzione lunga per il fatto che c’è la prima parte della
costituzione che non si occupa dei rapporti fra i poteri dello stato ,ed alla
delegazione del potere, ma si occupa anche di riconoscere alcuni diritti e valori
fondamentali .
Ma fino a che punto si può modificare la costituzione senza dover dire che è
cambiato l’ordinamento giuridico?
La tesi più accreditata tra i costituzionalisti italiani è che la prima parte della
costituzione, non solo è rigida, ma è pietrificata.
I limiti interni sono quelli legati alla costituzione, ma ci sono anche i limiti esterni .
La fine della sovranità assoluta dello Stato all’esterno è rappresentata dalla nascita
dell’ONU nel ‘45 e dalla dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo del ’48.
All’interno dei confini statali la sovranità assoluta si esplica nel fatto che lo Stato può
fare quello che vuole, che la volontà dello Stato non ha limiti, quindi i cittadini
hanno solo diritto ad essere trattati secondo l’ordinamento dello stato.
Significa che il rapporto tra tutti gli Stati mondiali poteva essere ricostruito, così
come Hobbes ricostruisce il rapporto tra gli individui nello stato di natura.
125
La sovranità statale all’esterno si esplica nello “ius adventum” nel diritto di muovere
guerra agli altri Stati. Se la sovranità dello Stato è assoluta allora non ci sono limiti
alla possibilità di fare guerra agli altri Stati.
Gli unici limiti accettabili, prima della nascita della dichiarazione della nascita delle
Nazioni Unite (ONU), sono limiti di carattere formale e procedurale e cioè uno Stato
può muovere guerra agli altri Stati per qualsiasi ragione, anche semplicemente per
ragioni di carattere espansionistiche, ma questa è una conseguenza dell’idea che lo
Stato ha sovranità assoluta, solo che si può dire che la nascita dello Stato
contemporaneo è proprio una reazione – come sempre accade nei processi storici –
a quello che è avvenuto in precedenza, quindi in sostanza potremo leggere lo stato
contemporaneo come una sorta di “enorme mai più” rispetto a quello che era
avvenuto in precedenza.
In pochissimi anni due guerre mondiali e quindi quali sono i limiti esterni alla
sovranità statale?
Viene tolto agli Stati il diritto di muovere guerra agli altri stati.
Guardate come comincia il preambolo della carta dell’ONU : ”Noi popoli della
nazioni unite decisi a salvaguardare le future generazioni dal flagello della guerra
che per due volte in queste generazioni ha portato indicibili afflizioni all’umanità, ed
ad assicurare mediante l’accettazione di principi istituzioni dei sistemi che la forza
delle armi non sarà mai usata salvo che nell’interesse comun……
(art,1 dell’ONU)
I fini delle nazioni Unite sono: “mantenere la pace e la sicurezza delle nazioni”,
questo è il primo punto e chiarissimo l’obbiettivo di questa organizzazione
internazionale: rendere la guerra illegale, rendere la guerra non utilizzabile su basi
giuridiche.
Sarebbe facile dire che dal giorno dopo non ci sono state più guerre , anche se nella
realtà questa aspirazione concretizzata con norme giuridiche e con
un’organizzazione sovranazionale non ha sortito gli effetti desiderati non significa
126
Inoltre la sovranità esterna degli stati viene limitata ancora di più che con la nascita
dell’ONU, con la dichiarazioni universale dei diritti dell’uomo (1948) , i diritti umani
vengono trasformati non più solo in limiti interni, attraverso le costituzioni rigide,
ma anche in limiti esterni alla sovranità statale.
Quale è stato il miracolo che è avvenuto – non a caso – dopo la seconda guerra
mondiale, non a caso perché c’era il desiderio di potere sperare in un cambiamento
radicale della situazione mondiale.
Il miracolo è il fatto che si sia riusciti a raggiungere un accordo tra ideologie molto
diverse perché quello che non si può certamente negare è che a differenza di quello
che avviene oggi, in cui si parla di fine della storia, fine dell’ideologia - certamente il
‘900 nella sua prima metà è il secolo dell’ideologia. C’erano ideologie molto forti:
127
Che cosa era successo? Era successo che nonostante le differenze, tra le ideologie
presenti nel mondo, si era raggiunto un accordo – la dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo - su alcuni diritti fondamentali, su alcuni diritti universali sul rifiuto
della guerra, che per certi versi erano considerati da tutte le ideologie come una
sorta di minimo etico che era condiviso quasi attraverso un consenso per
intersezione da tutte le ideologie.
Questo è proprio evidente negli scritti dei filosofi politici, morali, dei giuristi di quegli
anni.
Quale era la paura di discutere sui fondamenti? Era che qualora si fosse discusso sul
fondamento filosofico dei diritti umani, queste ideologie, che avevano trovato un
accordo sui diritti umani, avrebbero cominciato a litigare, rendendo vano
l’obbiettivo che faticosamente si era raggiunto attraverso la dichiarazione dei diritti
umani.
Dice Maritain : “da questo momento in poi dobbiamo mettere da parte il problema
del fondamento e ci dobbiamo preoccupare soltanto di una cosa, dobbiamo passare
dal piano teorico al piano pratico, dobbiamo occuparci soltanto di Individuare gli
strumenti opportuni che ci consentano di proteggere i diritti umani” e siamo negli
’40 del ‘900.
Qualche decennio dopo, Negli anni ’60 Bobbio – che è invece un autore liberale -
scrive un saggio sul fondamento dei diritti umani e dice: “il problema oggi non è più
quello di discutere sul fondamento filosofico dei diritti umani adesso il nostro
problema è quello di proteggerli”.
128
Questi esempi sono di filosofi importanti che hanno idee diverse ma che
condividono la fiducia, la fede nei diritti umani.
Vediamo più avanti che questa idea era un’idea viziata da un eccesso di ottimismo,
non soltanto perchè le cose non sono andate come dimostra la realtà per il verso
giusto, ma la realtà spesso si incarica di contrastare le visioni culturali di una
determinata epoca, ma anche perché questa idea che se fosse possibile tutelare i
diritti umani senza discuterne da un punto di vista ideologico il loro fondamento, è
un’idea sbagliata, un’idea destinata a fallire sin dall’inizio.
Mostrarvi adesso l’idea che la sovranità statale debba essere limitata, che è l’idea
cruciale dello stato contemporaneo,ha il suo fulcro nella cultura dei diritti come
scudo strumento nei confronti dello strapotere, degli effetti perversi, della
sovranità statale
Ora quello che ci interessa è il diritto e le teorie sul diritto legate ai cambiamenti
storici, anche se il diritto offre una lettura imprescindibile per valutare i
cambiamenti nella società.
Mi interessa occuparmi dei limiti interni alla sovranità statale quei limiti
rappresentati dalla introduzione di una costituzione rigida e lunga.
Questi limiti sono presentati molto bene da Bobbio che scrive: ”In un ordinamento
che abbia recepito i diritti fondamentali di libertà, la validità non può essere
soltanto formale, e pertante esiste un in esso un problema di giustizia interno delle
leggi e non soltanto esterno. Dopo che è avvenuta nella maggior parte delle
costituzioni moderne la costituzionalizzazione del diritti naturali, il tradizionale
conflitto tra diritto positivo e diritto naturale e tra gius-naturalismoe gius-
positivismo ha perduto gran parte del suo significato, con la conseguenza che il
129
Vi ricordate che cosa Geremy Bentham sosteneva? .”Uno scienziato del diritto
deve distinguere nettamente tra giurisprudenza espositoria e giurisprudenza
ascensoria”. Da un lato dobbiamo descrivere il diritto reale, poi, ma separando bene
i campi, dobbiamo dire quello che non ci piace del diritto, ma sulla base di un diritto
ideale. Un giurista può fare entrambe le cose basta che le tanga distinte.
Bobbio che cosa ci sta dicendo. Questa distinzione perde molto del suo
significato,perché questo contrasto tra diritto quale è e diritto quale dovrebbe
essere ,questo conflitto tra un interno e uno esterno viene negli stati contemporanei
internalizzato, perchè l’introduzione di un livello costituzionale fatto in questo
modo, cioè con una costituzione rigidae lunga, fa sì che i giuristi siano chiamati ad
esprimere giudizi di conformità delle leggi, a dire come dovrebbero essere le leggi,
ma non alla luce di valori morali che sono all’esterno, secondo il diritto naturale, ma
alla luce dei valori morali che sono incorporati nel diritti positivo attraverso i
principi costituzionali.
Quindi questo significa che la distinzione tra il diritto qual è e quale dovrebbe essere
perde d’importanza e anche diventa evanescente anche la tesi positivista della
separazione fra diritto e morale e questo è collegato al mutamento della nozione di
validità.
La perdita d’importanza della tesi della separazione tra diritto e morale è collegata
anche al modo in cui viene declinato in modo nuovo nello stato costituzionale la
nozione di validità delle norme.
Bobbio dice: “Quelli che sono stati positivizzati sono i diritti naturali, quindi in
qualche misura il diritto naturale è stato incorporato nel diritto positivo.
130
Questa tesi è una tesi discutibile, una tesi problematica che deve essere passata al
vaglio di un problema che può essere compendiato con una domanda: “Si può
davvero dire che c’è un accordo generalizzato, un accordo universale sui valori e
principi fondamentali che sono quei principi che sono incorporati dalle costituzioni?
C’è effettivamente questo accordo?
Alcuni valori di base sono stati condivisi da tutti e sono entrati nel diritto, a questo
punto che senso ha dire che non c’è una connessione tra diritto e morale , che una
cosa è il diritto e una cosa è la morale.
Proprio per questo alcuni autori parlano di teorie neo-costituzionaliste del diritto,
proprio per indicare delle teorie che sfuggono all’alternativa tra gius-naturalismo e
gius-positivismo. Queste teorie sfuggono a questa alternativa e a sostenere che c’è
spazio per una concezione del diritto che non sia ascrivibile né al giuspositivismo né
al giusnaturalismo .
Sono teorie molto diverse tra di loro, ma che sono accomunate da questa tesi, cioè
la tesi che l’alternativa al giusnaturalismo e al giuspositivismo è inaccettabile, è
superflua.
131
Questa cosa che noi chiamiamo validità in realtà è solo un aspetto della validità nei
sistemi giuridici contemporanei, non a caso questa cosa qui “la validità del rispetto
dei criteri formali per la promozione del diritto” Ferrarioli la chiama “vigore”.
Una norma che è stata prodotta rispettando i criteri formali è in vigore, non è
ancora valida.
Però negli stati contemporanei a questo primo aspetto della validità se ne somma
un secondo che la validità sostanziale o la validità tout-cour, tra di loro distinguono
tra vigore e validità.
E perché una norma sia valida in senso pieno è necessario non soltanto che sia stat
costituita secondo i criteri procedurali, ma è necessario che rispetti i valori ed i
principi contenuti nella costituzione.
Ora perché alcuni costituzionalisti distinguono queste due aspetti della validità?
Stabile oggi se una norma è valida non è più un giudizio “tutto o niente”, ma è un
giudizio che ammette delle risposte diverse proprio perché siamo nel regno della
discrezionalità.
Questo significa che anche per rispondere alla domanda: Qual è il diritto, bisogna
porre in essere una attività interpretativa.
Il cambiamento della nozione di validità del diritto fa sì che per stabilire se una
norma è valida bisogna porre in essere non solo un’attività interpretativa ma
bisogna ricorrere ad argomenti che non sono prettamente giuridici che non
rientrano nei tecnicismi giuridici ma bisogna porre in essere delle valutazioni di tipo
etico morale che riducono la distanza, suffragando questa tesi di Bobbio che la
distanza tra diritto morale negli stati costituzionali si è notevolmente assottigliata.
Uno degli autori principali che rientra nell’ambito dei neocostituzionalisti è Ronald
Walkin che un autore che si concentra sulla critica al pensiero di Hart, nel suo ultimo
libro che ha come titolo “giustizie felici” dice: “Negli ultimi decenni le cose più
interessanti sul diritto non sono state scritte da giuristi o da filosofi del diritto, ma
sono state scritte da filosofi politici e filosofi morali”.
133
E questo è un argomento molto forte almeno per riflettere sul fatto che in effetti
negli stati contemporanei la distanza tra diritto e morale, tra argomentazioni
giuridiche e argomentazioni morali, si è notevolmente assottigliata.
C’è una differenza qualitativa tra la validità nello stato di diritto e la validità nello
stato contemporaneo.
La nozione di validità che si attaglia agli stati contemporanei non è affatto diversa
rispetto a quella dello stato moderno.
Parte 2
In effetti alcuni autori sostengono che ci sia una differenza qualitativa tra la nozione
di validità adeguata allo stato di diritto e la nozione di validità che si usa nello stato
costituzionale questi autori sostengono che la nozione di validità è sempre la stessa
ed è sempre una nozione monista, ad una dimensione, che è sempre anche negli
stati costituzionali una nozione formale e procedurale di validità
Questi autori non sostengono non che la nozione di validità negli stati costituzionali
non sia diversa rispetto alla nozione di validità nello stato di diritto, ma sostengono
che queste differenze non incidono sulla qualità della nozione di validità.
In sostanza questi autori sostengono che l’unica differenza è che la procedura per
arrivare a stabilire se una determinata norma sia o meno valida negli stati
134
Negli stati costituzionali gli atti, le disposizioni che soddisfano alcuni requisiti
minimi di giuridicità, di legalità possono venire ammessi ad una seconda
procedura dinanzi ad un organo che ha questa finalità, che è, nel caso del’Italia,
“la Corte costituzionale”.
Quindi quando si può dire una norma valida nello stato costituzionali? Quando la
disposizione è stata prodotta rispettando l’ordine procedurale e quella stessa
disposizione non è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.
Stabilire che una norma sia valida o meno è sempre una questione procedurale, che
non chiama in causa nessuna discrezionalità. L’unica cosa che si deve verificare è che
la norma non sia stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.
L’art. 5 della legge 25/3/1983 prevedeva che nella lista dei candidati nessuno dei
due sessi potrà essere di norma rappresentato in misura superiore ai 2/3. Qual è il
senso di questa norma? Quello di tutelare il sesso più svantaggiato, cioè quello delle
donne. E’ una norma che è stata introdotta per integrare il principio costituzionale,
però la Corte costituzionale ha dichiarato questo art. illegittimo proprio per
interpretazione dell’art.3 della costituzione.
I neo-costituzionalisti dicono che questo art.3 non è valido perché in contrasto con
la Costituzione. Quindi si pongono dal punto di vista della corte costituzionale.
Questi altri autori che tendono a minimizzare le differenze tra lo stato moderno e lo
stato costituzionale per mantenere fede al principio di neutralità della scienza
giuridica, dicono in realtà non è questo il compito del giurista; il compito dello
studioso del diritto non è quello di dichiarare la norma anticostituzionale e di
discuterne; questo è qualcosa che esula dalla descrizione del diritto.
Quello che deve fare il giurista è chequell’articolo fino a quando non è dichiarato
incostituzionale è valido, è condizionato alla non dichiarazione di legittimità da parte
della Corte Costituzionale, se passa anche questo iter davanti la corte costituzionale
sarà pienamente valido, se no: no
135
Gli autori che minimizzano le differenze non dicono che il giudizio che da la corte
costituzionale è un giudizio formale procedurale, essi dicono che la validità è l’esito
di questo processo, la Corte costituzionale è uno dei partecipanti però la scelta
giuridica, vuol dire che la validità di una norma dipende sempre dal superamento di
una procedura, una norma è valida se non è stata dichiarata incostituzionale dalla
corte costituzionale , se una norma è stata dichiarata incostituzionale o meno non è
oggetto di interpretazione.
In realtà se voi guardate quello che fanno i giuristi (professori di diritto, avvocati,
giudici) di fronte una norma che è passibile di incostituzionalità è proprio quello di
riflettere e presentare argomenti pro o contro la legittimità o illegittimità
costituzionale di questa norma.
136
Per preferire la prima rispetto alla seconda, quella che stabilisce la differenza più
netta rispetto all’altra perché rende meglio giustizia – questa prima interpretazione
delle differenze – sia nei cambiamenti del rapporto tra diritto e morale che sono
indubbi tra stato moderno e stato contemporaneo, ma anche rende giustizia della
centralità del fenomeno interpretativo.
Per capire ancora meglio questo cambiamento bisogna fare riferimento alla
situazione culturale all’interno del dibattito giuridico.
1. una prima definizione, che a noi non interessa, consiste nel dire che un
ordinamento giuridico è costituzionalizzato quando, per la prima volta, viene
introdotta al suo interno una costituzione rigida. Secondo questa definizione
un ordinamento giuridico o è costituzionalizzato o non è costituzionalizzato.
E’ costituzionalizzato nella misura in cui c’è una costituzione, non sarà
costituzionalizzato se la costituzione rigida non c’è.
137
138
Il controllo a posteriori è invece un controllo che viene fatto dopo che la norma è
stata promulgata , e quindi ha cominciato a produrre effetti all’interno
dell’ordinamento giuridico.
Questo che cosa significa ? Che se noi ci affidiamo al controllo a priori c’è un rischio
opposto, cioè quello di fare entrare nell’ordinamento giuridico una norma che poi si
rivela incostituzionale sui quali non si può fare nulla se non l’abrogazione da parte
del legislatore.
L’interpretazione giuridica non può prescindere dal considerare la finalità del diritto
che è quello di incidere sui nostri comportamenti e quindi interpretare una norma
giuridica significa immaginare possibili applicazioni di quella norma giuridica
Negli Stati uniti una stessa, una norma federale, può essere applicata in casi
ordinari. Se un giudice di grado superiore prende una decisione allora quella
decisioni deve essere rispettata anche dai giudici di grado inferiore, però può
capitare che una norma potenzialmente incostituzionale venga discussa da giudici
che sono sulle stesso grado gerarchico.
Nel caso del controllo diffuso il problema è che una norma dichiarata
incostituzionale continua a produrre degli effetti almeno potenzialmente all’interno
dell’ordinamento giuridico perché appunto non vengono abrogate dall’ordinamento
giuridico, ma non producono effetti soltanto per quella causa.
Parte 1
Abbiamo parlato dello stato moderno, adesso stiamo parlando dello Stato
contemporaneo costituzionale. Alcune cose che stiamo dicendo voi li troverete nel
libro nel capitolo sullo stato di diritto e diversi modelli che vengono rappresentati di
stato di diritto.
Lo Stato modernoè uno Stato che vuole garantire la certezza del diritto, perché il
valore principale a questa forma di organizzazione dei poteri pubblici è LA LIBERTA’
proprio perché lo Stato moderno nasce dal pensiero liberale illuminista.
La corrente filosofica che sta dietro la nascita dello Stato moderno è quella del Gius-
razionalismo, che è una versione del pensiero razionalista illuminista che ha
interpretato un ruolo nella dichiarazione dei diritti civili del comportamento
applicata al diritto.
Quindi nello Stato moderno la cosa più importante è che il diritto sia certo, non
che il diritto sia giusto, perchè il contenuto del diritto è del tutto attribuito in modo
141
Quindi anche qui si sviluppa, nasce in seno allo Stato moderno il principio di
legalità.
E’ proprio il fatto che un diritto che mette al centro la legge, a prescindere dal suo
contenuto, può produrre quello che è stato chiamato dai critici: ” feticismo della
legge.”
Può produrre un atteggiamento nei cittadini di acritica sudditanza nei confronti del
diritto.
142
D’altro canto questa forma di diritto può produrre gravi iniquità, può essere
profondamente ingiusta.
E’ una forma di diritto che attribuendo tutti poteri alla volontà del parlamento
rischia di produrre una divaricazione tra diritto e morale.
Quello che è successo nella prima metà dell’800 a prescindere che siano o meno
collegabile a questa formula di organizzazione del potere, ha fatto si che si passasse
a questa formula di diritto ad una formula diversa di diritto che possiamo chiamare
Stato contemporaneo, o Stato costituzionale di diritto per segnare la distanza
rispetto allo Stato di diritto moderno.
Abbiamo visto che lo Stato moderno si fonda sul principio di sovranità assoluta e
questo – ricordate quello che vi ho detto sul positivismo giuridico – pensate alla
definizione che ne da Max Weber: “Il diritto è l’insieme di norme che ha il
monopolio legittimo nell’uso della forza”
Questa connessione necessaria tra diritto e sovranità viene sciolta nello Stato
contemporaneo, perché lo Stato contemporaneo è caratterizzato dalla crisi della
sovranità statale.
Perché vengono introdotti volutamente, esplicitamente limiti sia interni sia esterni
alla sovranità.
143
Il potere legislativo, che era l’incarnazione del potere statale nello Stato moderno.
Però oltre a questi limiti interni vengono introdotti anche limiti esterni alla
sovranità.
Limiti esterni significa limiti che regolamentano, in maniera giuridica, i rapporti tra i
diversi Stati sovrani.
Nel rapporto di uno Stato moderno può essere costituita da una sorta di stato
naturale il diritto; nello stato naturale non c’è diritto, quindi ogni Stato prima della
fine della seconda guerra mondiale aveva la possibilità di muovere guerra agli altri
stati.
La sovranità statale all’esterno si concretizzava nello jus belli nel diritto di muovere
guerra agli altri stati, tant’è vero che c’erano delle norme circa la guerra agli altri
stati , ma erano norme che riguardavano il modo in cui si doveva condurre la
guerra, si poteva dichiarare la guerra, non le ragioni per cui si poteva o non si
poteva fare la guerra. E questa era una prerogativa del potere di ciascuno stato.
144
Questo è un principio molto importante perché per la prima volta si può dire da un
punto di vista normativo, si può dire dal punto di vista normativo che la guerra è
stata dichiarata illegale, non è un mezzo giuridicamente ammissibile per risolvere le
controversie tra gli stati.
Inoltre a questo come limite esterno nel 1948 è stata promulgata “la dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo” che in qualche misura presenta un ulteriore vincolo
per gli stati e per i parlamenti statali rispetto a quello che può o non può essere
fatto.
Quindi il principio di legalità dello stato moderno può essere declinato come
subordinazione di tutti i poteri pubblici alla legge.
Il principio di legalità dello stato contemporaneo invece ci dice che tutti i poteri
pubblici sono subordinati non alla legge, ma alla costituzione e questo produce delle
differenze di tipo sostanziali rispetto al principio di legalità dello stato moderno.
Ora che cosa significa questo? Il primo modo per rappresentare queste differenze
dei limiti della legalità può essere rappresentato secondo certe interpretazioni dal
cambiamento che è intervenuto nella nozione di validità delle leggi.
Ma che cosa cambia nell’essere subordinato alla legge o essere subordinato alla
costituzione?
145
Non c’era solo il diritto positivo, negando la tesi del positivismo giuridico che tutto il
diritto è diritto positivo , che tra diritto positivo e la parola diritto non c’è alcuna
differenza , vi è una coincidenza perfetta.
Per i naturalisti non è così perché oltre il diritto positivo c’è il diritto naturale che per
grado è superiore al diritto positivo;
Tutto questo è negato dai neo-costituzionalisti i quali dicono che tutto il diritto è
diritto positivo.
Proprio perché anche le costituzioni fanno parte del diritto. Per noi questi valori
morali per una certa contingenza storica felice vengono riconosciuti da tutti e
vengono istituzionalizzati e vengono incorporati nel diritto e trasformati da valori in
principi giuridici allora si può finalmente tracciare la terza via perché si può dire –
come dicono i positivisti - che tutto il diritto è diritto positivo ma al tempo stesso
dire che c’è una connessione necessaria tra diritto e morale.
146
Quindi la validità nello stato moderno, oltre a essere dimensionale, è anche una
nozione “tutto o niente”nel senso che una norma o è valida o non è valida (tertium
non datur).
147
Ferrarioli sostiene anche che il passaggio dallo stato moderno allo stato
contemporaneo produce un ripensamento, una declinazione diversa della tesi
metodologica del positivismo giuridico.
Secondo Ferrarioli, questa distinzione netta, non può essere più mantenuta, deve
essere problematizzata nello stato contemporaneo, perché una parte del compito
del giurista che descrive il diritto consiste anche in una censura o in un aspetto
normativo nei confronti dei poteri, in particolare del potere legislativo, nella misura
in cui il potere legislativo non rispetti la costituzione.
Quindi, in altri termini, fa parte della costruzione del diritto anche un’attività con cui
si mettano in luce le lacune del diritto prodotto rispetto ai valori costituzionali o le
antinomie tra il diritto prodotto e le norme costituzionali.
Dice Ferrarioli ci sono valutazioni di due tipi: alcune sono valutazioni interne che si
preoccupano di evidenziare le difficoltà tra il diritto esistente e la costituzione. E
queste rientrano nel compito descrittivo ricostruttivo che affidato ai giuristi e
vanno queste valutazioni nettamente separate dalle valutazioni esterne e basate su
valori esterni all’ordinamento giuridico.
148
Ora questo modo di presentare la validità delle norme dello stato costituzionale è
una possibile ricostruzione, ci sono anche ricostruzioni diverse che tendono a
ridimenzionare le differenze tra stato moderno e stato costituzionale;
Non cambia nulla rispetto alla validità tra stato moderno e dello stato
contemporaneo? SI cambia qualcosa e cambia semplicemente il fatto che la
procedura per stabilire se una norma sia o meno valida è una procedura più
complessa, perché oltre a vedere se il parlamento ha prodotto rispettando la
procedura una determinata norma, bisogna valutare se per caso quella norma non
sia stata dichiarata incostituzionale dall’organo costituzionale preposto a valutare la
legittimità costituzionale delle leggi.
Ma tutto questo è qualcosa che il giurista può fare, senza, in prima persona porre in
essere attività interpretativa, ma semplicemente guardando a quello che viene fatto
da quelli che producono il diritto.
Quindi si dovrebbe dire che una norma è valida anche se è stata prodotta
rispettando la procedura prevista per la sua produzione ed non è stata dichiarata
incostituzionale dall’organo a ciò preposto.
Ovviamente questi due modi di ricostruire la validità dello stato costituzionale sono
antitetici chiaramente alternativi. C’è ne è uno che è giusto e uno che è sbagliato?
149
Ovviamente questa è una domanda che ammette la cui risposta non è univoca.
Secondo me ritengo che una norma ricostruita la validità nello stato contemporaneo
spiega meglio le caratteristiche di questo stato rispetto allo stato moderno.
Così come Il modo in cui Hart ricostruisce la norma giuridica a me sembra più
convincente rispetto a come la ricostruisce Kelsen, ma si può dire se sia giusto o
sbagliato? No.
I passaggi tra organizzazioni diverse del diritto e del potere avvengono non soltanto
attraverso i canoni istituzionali. Quali sono i canoni istituzionali più evidenti nel
diritto tra lo stato moderno e lo stato contemporaneo? Che cosa è cambiato
formalmente nel diritto? Intanto sono state introdotte Costituzioni che hanno
queste caratteristiche, sono stati creati molti organismi internazionali (ad es. l’ONU);
nella costituzione la sovranità statale, ha un ruolo fondamentale la comunità
dell’unione europea, la convenzione dei diritti dell’uomo, una serie di organismi
sovrani internazionali, ma non basta.
Lo stesso si può dire a proposito del passaggio dallo stato moderno allo stato
contemporaneo e noi stiamo parlando proprio di questo: una modificazione, un
cambiamento della cultura giuridica, cambiamento nella cultura giuridica è
incarnato da questo fenomeno che prende il nome di costituzionalizzazione degli
ordinamenti giuridici.
150
Ci sono delle condizioni, dei fattori che ci dicono dei livelli di costituzionalizzazione
del’ordinamento giuridico e questi fattori sono sette.
I primi due sono qualitativamente diversi rispetto a tutti gli altri diversi, perché sono
condizioni necessarie alla costituzionalizzazione.
Questi due fattori rientrano nelle modifiche della struttura ordinamentale, su cui
non ci possiamo dividere nel senso che ci sono o non ci sono.
1. il primo fattore è la presenza di una costituzione rigidae lunga; qua c’è per
la verità una certa discrezionalità, nel senso che la rigidità della costituzione è
anche questa graduale, ci possono essere costituzioni più o meno rigide, la
cosa che ho messo in evidenza è la rigidità della costituzione non dipende
soltanto da quello che dice la costituzione, in particolare l’art. 138 della
costituzione, ma dipende anche dal modo in cui viene interpretata la rigidità
della costituzione e dalla critica, dalla cultura giuridica; il fatto che non ci
sono nella nostra costituzione parti modificabili o immodificabili non
qualcosa che è scritto nella costituzione, ma sono delle dottrine, delle
elaborazioni da parte dei giuristi così come la competenza dell’ordinamento
giuridico proprio dello stato moderno dipendeva in parte dall’interpretazione
da parte dei giuristi.
2. La seconda condizione necessaria è il fatto che esista un organismo che
eserciti un tipo di controllo di legittimità costituzionale delle leggi.
151
• per quanto riguarda il controllo a priori il vantaggio è quello di evitare che gli
organi costituzionali producano un effetto nell’ordinamento giuridico, il
difetto è che è molto difficile stabilire in astratto se una norma sia
costituzionale o anticostituzionale, prevedere tutte le possibili istanze di
incostituzionalità di una norma. Una volta che una Norma sia dichiarata
legittima produrrà degli effetti anche se è anticostituzionale questo ci ha
portato a fare una revisione a quest’ultima interpretazione che non può
essere mai anche un’ interpretazione dottrinaria non può essere mai separata
dai casi concreti
• Il controllo a posteriore vede la norma in azione, vede come si comporta
quella norma. Il difetto che dopo un certo tempo produrrà degli effetti, prima
di essere espulsa dall’ordinamento giuridico.
Poi il controllo a posteriori può essere accertato o escluso. Anche il caso in cui il
principio è vincolante fa sì che se una norma è dichiarata incostituzionale dalla Corte
suprema degli Stati uniti – per esempio- allora quella norma non potrà più produrre
alcun effetto giuridico
2 parte
I tribunale quindi – secondo questa concezione liberale – non devono , non sono
chiamati ad applicare queste norme costituzionale fino a quando queste norme non
siano concretizzate attraverso il legislatore.
Ora perché ho detto che questa idea è un’ ideologia che si fa spazio all’interno della
cultura giuridica perché è un ideologia che non si diffonde dall’oggi al domani.
Però c’erano anche norme di principio che non erano applicabili secondo i giudici
ordinari sintanto che non fossero state concretizzate da parte del legislatore. In
sostanza pur dopo l’entrata in vigore della costituzione, i giudici – per quasi una
153
Tra l’altro tenete presente che i giudici ordinari hanno adottato a dismisura il
numero delle norme programmate e hanno ristretto notevolmente il numero delle
norme precettive ed hanno ritenuto norme programmatiche qualsiasi norma
contenuta nella costituzione che prevedesse un rinvio alla legge.
In sostanza che cosa sostenevano i giudici che le costituzioni nella misura un cui
contengono principi e norme programmatiche in generale sono dei manifesti
pubblici, non producono effetti giuridici, ma c’è di più i giudici - prima che
cominciasse a funzionare la Corte costituzionale, avevano un fortissimo
atteggiamento di auto limitazione rispetto alle dichiarazioni di illegittimità
costituzionali delle norme.
Per esempio per quanto riguarda molte Norme chiaramente anticostituzionale dello
stato fascista che cosa hanno fatto i giudici l’hanno dichiarato anticostituzionale?
No, hanno applicato Il criterio cronologico: questa norma deve essere abrogata
perché è in contrasto con una norma che è stata prodotta successivamente, proprio
perché non utilizzare questo potere attribuito dalla costituzione .
E’ un idea che un retaggio del passato- giusto o sbagliato che fosse - ma l’idea è che
il giudice, subito dopo l’entrata in vigore della costituzione, deve limitarsi ad
applicare la legge, deve limitare il più possibile l’esercizio della propria
discrezionalità.
Quando è che è cominciata a diffondersi nella cultura giuridica l’idea della forza
vincolante della Costituzione? Quando è entrata in vigore la Corte costituzionale.
Nella prima decisione n.1 del 1956, la Corte Costituzionale ha stabilito due principi
molto importanti:
1. il primo principio è che la distinzione che avevano adottato i giudici dal ’48 al
’56 tra norme precettive da un lato e norme programmatiche di principio
dall’altro lato è una distinzione priva di ogni rilievo pratico. Non incide nelle
controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi.
Significa che una legge è incostituzionale per la corte costituzionale non
soltanto quando contraddice puntualmente una norma precettiva, ma
154
I giudici ordinari che cosa facevano rispetto alle norme promulgate prima della
entrate in vigore della costituzione, anzicchè dichiararle di illegittimità
costituzionale, preferivano utilizzare - per considerarle abrogate – applicare il
criterio cronologico.
Ora questa idea che la Costituzione abbia una forza vincolante è stata sancita in
modo ufficiale dalla corte costituzionale, ma è stata supportata soprattutto dalla
cultura giuridica che si è diffusa partire dall’entrata in vigore della Costituzione.
Che cosa ha fatto la Corte Costituzionale sancendo questi principi nella sua prima
decisione?
Direi che ha espanso il più possibile i propri poteri, anche questo è una cosa da
tenere in considerazione , anche questo come principi di carattere generale che
troveremo transitativamente in tutte le condizioni di costituzionalizzazione è una
differenza di non poco momento tra la autorappresentazione dei giudici nello stato
moderno e l’auto rappresentazione dei giudici nello stato contemporaneo.
I giudici ordinari e i giudici della corte di cassazione fino al ’56 con lo sguardo rivolto
al passato avevano l’idea chei giudici non dovessero esercitare discrezionalità.
155
Guardando alla dottrina adottata dalla Corte Costituzionale vedremo che le cose
stanno cambiando.
E’ un testo che per quanto possa essere lungo è un testo finito, ci sono un certo
numero di articoli, un testo compiuto, un testo limitato.
Che cosa significa in che senso si può dire che la costituzione contenga delle lacune?
Significa che inteso in questo modo, con un testo finito, nessuna costituzione è in
grado di disciplinare la vita sociale e politica nella sua interezza.
Intesa come un testo finito, una costituzione non disciplina che una piccola parte
della vita politica e sociale.
Questo significa che se noi vediamo la costituzione in questa maniera: un testo che
presenta delle lacune, significache per quanto lunga possa essere la costituzione,
per quanti principi possa contenere la costituzione, permangono sempre degli
spazi giuridici vuoti a livello istituzionale.
156
Questo significa se noi vediamo la costituzione in questo modo che poi ancora una
volta è il modo in cui l’intendevano i giuristi moderni, la costituzione che cosa
rappresenta? Essa rappresenta un argine, un limite all’attività del legislatore, riduce
la discrezionalità del legislatore, ma comunque non la elimina, non controlla tutti gli
spazi, tutte le prerogative del Parlamento.
Non esistono più questioni di legittimità costituzionale di cui si possa dire che si
tratta di questioni inerenti alla discrezionalità del potere legislativo, non ci sono più
scelte politiche libere, perchè la costituzione informa tutta la vita sociale e politica a
condizione che sovra-interpretiamo.
Questo che modifica la nostra percezione del rapporto tra legge e costituzione.
157
Nel senso che i diritti riconosciuti dalla costituzione non sono soltanto quelli
espressamente indicati negli articoli successivi all’ art 2 della costituzione, ma anche
un numero imprecisato di diritti soggettivi che possono essere magicamente
generati a seguito dei cambiamenti sociali attraverso dottrina e giurisprudenza.
Inoltre questo termine “diritti inviolabili” è stato interpretata nel senso che questi
diritti riconosciuti dalla costituzione non possono essere modificati.
I giudici, gli interpreti di fronte alla costituzione possono avere due atteggiamenti:
uno restrittivo, letterario e uno espansivo della propria discrezionalità.
158
Ora i diritti inviolabili degli uomini riconosciuti dall’art.2 della costituzione secondo
la corte costituzionale non sono soltanto quelli della Costituzione esplicita, ma
anche tutta una serie di diritti e principi impliciti che possono essere ricavati in vario
modo, “magicamente” dalla costituzione.
Questo compito è svolto in maniera anche più pervasiva dall’art.3 che garantisce
l’eguaglianza dei cittadini senza distinzione di razza, di sesso,ecc.
Ora questo articolo come è stato interpretato dalla Corte Costituzionale? Nel senso
che il legislatore non ha soltanto l’obbligo preciso di non discriminare, ma piuttosto
ha un obbligo generale indeterminato, di non trattare in modo differenziato
situazioni che possono essere assimilate tra loro e trattare in modo differenziato
situazioni che meritano di essere distinte.
159
Mettiamo che il legislatore preveda che gli operai che lavorano su un’impalcatura
debbano avere certi strumenti, che garantiscano la sicurezza (casco, un’imbracatura
, ecc.) , la corte costituzionale può ritenere che questa norma sia irragionevole nella
misura in cui non preveda che anche il personale addetto alla pulizia dei vetri esterni
dei grattaceli non gli venga garantito con le stesse misure di sicurezza.
E’ chiaro che la corte costituzionale si è arrogato il diritto di stabilire che questi due
casi erano uguali ed è indiscutibile che questa valutazione la debba fare un giudice e
non il potere legislativo.
La costituzione non è uno documento giuridico come gli altri ,ma è un documento
fondativo di un certo ordinamento giuridico e i suoi effetti devono essere liberati
il più possibile; questa è l’idea della sovra-interpretazione della costituzione.
Quello che si dice rispetto ai principi è che sono norme particolari, e sono norme
prive di fattispecie o a fattispecie aperta, ma tra i principi in astratto non ci sono
conflitti.
Non c’è una scala gerarchica tra i principi. Non c’è un principio più importante o un
principio meno importante. Che il maggior peso di un principio rispetto a un altro va
valutato caso per caso.
Rispetto ai casi concreti che può porsi un contrasto tra i principi, e quando si
presenta un conflitto tra principi, chi può risolvere il conflitto tra principi?
Siccome il conflitto si verifica soltanto con il caso concreto, non può essere che il
giudice e il giudice deve bilanciare, pesare questi principi per stabilire quale dei due
nel caso in specie è il più pesante, così quello più leggero cederà il passo.
Quando parliamo del contemperamento tra principi, in alcuni casi, ma non sempre,
I principi possono essere contemperati tra loro, non ci deve essere necessariamente
uno che cede il passo all’altro ma – tenendo conto sempre di un bilanciamento del
loro peso - si può cercare di tutelarli entrambi in qualche modo, trovare un
accomodamento della tutela dell’uno e dell’altro, non sempre è possibile, quando
non è possibile bisogna far prevalere il principio che ha più importanza .
Bilanciare i principi non è cosa che può essere fatta in modo oggettivo.
161
Parte 1
Ora sempre per capire queste condizioni è opportuno fare delle comparazioni con le
concezioni liberali classiche cioè con le concezioni ottocentesche delle costituzioni e
in particolare la concezione liberale classica della costituzione attribuiva alle
costituzioni la funzione di limitare il potere politico, il potere dello stato.
I rapporti, i problemi , le controversie private vengono decise sulla base delle leggi; o
dal diritto civile o anche dal diritto penale che è una branchia del diritto pubblico,
162
Vedremo nella applicazione diretta della costituzione questa idea classica viene
abbandonata.
Le norme costituzionali quindi hanno una funzione diversa, volendo tentare di dare
un quadro di carattere generale, le costituzioni contemporanee acquisiscono una
funzione diversa rispetto al ruolo che la costituzione aveva nello stato moderno e
nella cultura giuridica ottocentesca.
Riesce a svolgere questo compito, che è un compito molto più pervasivo rispetto a
quello di limitare i poteri pubblici, riesce a svolgere questo compito in un solo
modo che è quello di ritenere che le norme costituzionali possono essere applicate
anche nei rapporti tra privati, almeno quando la controversia che si presenta ai
giudici non può essere decisa sulla base della legge.
Quando la controversia non può essere decisa sulla base della legge? Quando c’è
una lacuna.
Ma che cosa è una lacuna? Secondo Bobbio ci sono due definizioni di lacuna: una è
la lacuna in senso proprio, quando all’interno dell’ordinamento giuridico non c’è
una norma che disciplina la fattispecie, che si presenta davanti al giudice.
Su questo dovremmo aprire una parentesi: il fatto che ci sia o meno una lacuna in
senso stretto all’interno di un ordinamento non è qualcosa che possiamo considerare
come qualcosa alla quale si può dare una risposta a tutto tondo. Se ci sia o meno
lacuna è l’esito dell’attività interpretativa perché a seconda dell’interpretazione di
una certa disposizione, una certa fattispecie può rientrare all’interno di una Norma,
mentre se si predilige un'altra interpretazione allora no.
163
Che cosa è una lacuna assiologica? Una lacuna assiologicasi ha – dice Bobbio -
quando non è che manca una norma agli effetti dell’ordinamento giuridico che
decide in quel caso, quello che manca è una norma giusta che decida in quel caso.
Una norma giusta che significa? Una norma ritenuta giusta dagli interpreti, una
norma ritenuta giusta dal giudice.
Sovente i giudici applicano direttamente la costituzione non solo quando c’è una
lacuna giuridica in senso stretto, ma anche quando c’è dal loro punto di vista una
lacuna assiologica , ci sarebbe una norma da applicare, ma quella norma è ritenuta
ingiusta .
L’ultima cosa che vi voglio dire è che molto spesso che cosa fanno i giudici
all’interno – proprio per evitare di applicare la costituzione in presenza di una legge
– quello che fanno, sfruttando i canoni interpretativi , tendono a trasformare le
lacune assiologiche in lacune in senso stretto, in modo tale da essere maggiormente
legittimati ad applicare direttamente la costituzione.
Dicevo che il giudice ordinario applica direttamente la costituzione in tutti quei casi
in cui ricorre un’interpretazione adeguatrice come canone interpretativo.
165
La prassi, la decisione dei giudici in quelle condizioni vale per tutti i lavoratori del
settore. Perché? Perché lo dice l’art.36 , applicazione diretta della costituzione.
Altra più recente applicazione diretta della costituzione è l’ art. 32 comma 1 della
costituzione garantisce il diritto alla salute, “diritto fondamentale dell’individuo e
interesse della collettività”.
166
Vi ricordo, anche per sottolineare una differenza rispetto al passato, che per
l’interprete moderno quali erano i canoni interpretativi accettabili?
Quindi ricordatevi quello che diceva Beccaria: Più si allarga l’ambito delle decisioni
che deve prendere il giudice più si da spazio all’arbitrio.
167
Produrre la norma N1, quindi ritenere questa norma incostituzionale con tutto
quello che ne consegue, dimessione alla corte costituzionale oppure ritenerla
costituzionale e applicarla alla fattispecie N2.
Quindi se opta per questa seconda possibilità, però si dice che il giudice ricorre alla
interpretazione adeguatrice o armonizzatrice. Ricorre spesso in questo caso della
letteratura il termine armonizzazione dell’ordinamento giuridico e presuppone l’idea
di un ruolo pervasivo della costituzione e quando l’idea di cui parlavamo ieri, come
funziona il costituzionalismo contemporaneo, l’idea che la costituzione esprime una
visione della società.
Ricordate la costituzione non più come vincolo ma la legge come strumento per
realizzare la costituzione. L’effetto dell’interpretazione adeguatrice o armonizzatrice
è quello di conservare validità ad una legge che diversamente dovrebbe essere
dichiarata incostituzionale.
Questo tipo di interpretazione è utilizzata sia dalla Corte Costituzionale sia dal diritto
ordinario.
Bisogna distinguere i due casi: rispetto all’uso che ne fa la Corte Costituzionale, noi
possiamo distinguere tra due tipi diversi di interpretazione adeguatrice:
168
Nel caso delle sentenze interpretative di rigetto che cosa avviene? La corte dichiara
non fondato il dubbio di legittimità costituzionale a condizione che la disposizione in
oggetto sia interpretata nel senso di produrre la norma conforme alla costituzione.
Allora in casi di questo genere avviene che la corte costituzionale dichiara fondato il
dubbio di legittimità sollevato dal giudice ordinario e quindi dice che la disposizione
di cui si tratta è incostituzionale. Ma la corte non annulla la disposizione , il testo di
legge, ma soltanto una delle sue interpretazioni, dicendo che la disposizione è
incostituzionale in quanto la si interpreti in modo incostituzionale. Ovvero nella
parte in cui esprime la norma incostituzionale.
Le sentenza interpretativa della corte costituzionale sono tutte uguali nel senso che
quello che fa il giudice costituzionale è salvare la disposizione, e dichiarare
incostituzionale una delle due interpretazioni.
E’ una questione di tono; perché ancora una volta che un’interpretazione sia o
meno dominante non è qualcosa che noi possiamo stabilire in modo univoco; ci
sono dei casi chiari se per esempio una determinata norma N1 viene utilizzata per la
maggior parte dei giudici e poi soprattutto viene utilizzata dalla cassazione a sezioni
unite, magari ci sono pochi dubbi che quella interpretazione è dominante.
Quindi anche qua i giudici costituzionali pongono in atto un’ennesima attività di tipo
discrezionale in ogni caso sia come sia per la sentenza interpretativa di
170
Abbiamo detto all’inizio che noi possiamo distinguere tra due tipi diversi di
interpretazione adeguatrice:
(ad esempio le cinture di sicurezza previste dalla Norma per gli operai sulle
impalcature (L1) che non sono previste per i puli-vetri dei grattacieli (L2)
171
Ora questo tipo di decisioni della corte costituzionale vengono interpretate in due
modi diversi:
Quello che la corte fa, in questi casi, è aggiungere all’interno dell’ordinamento una
nuova norma, una norma che attribuisca il medesimo diritto soggettivo anche ai
soggetti L2 ed appunto per questo che si parla di sentenze additive.
Queste sentenze sono sentenze in cui la corte dichiara incostituzionale una data
disposizione nella parte in cui esprime una certa Norma, anzicchè un’altra norma
che dovrebbe esprimere per essere conforme alla costituzione.
172
Sostituisce la norma che le è stata sottoposta con una norma diversa creata dalla
corte costituzionale stessa.
Ma che cosa sono i conflitti di competenze? Sono i disaccordi politici che riguardano
i rapporti di potere tra gli organi dellostato.
173
Ora alla luce di tutto quello che abbiamo detto si potrebbe dire che
tendenzialmente i giudici degli stati costituzionali – almeno in Italia -, non è una
caratteristica peculiare dell’ Italia– non adoperano atteggiamenti di questo tipo,
perché applicano direttamente la costituzione ricorrono alla interpretazione
costituzionale orientata per tutte queste cose, anche questo spiega in che modo la
costituzione influisce sui rapporti politici.
L’ultimo aspetto riguarda il fatto, più difficile da verificare, più ambiguo come
elemento è che molto spesso le norme costituzionali possono essere utilizzate dagli
attori politici in senso stretto per giustificare le loro azioni e decisioni.
Perché questo elemento è più difficile da valutare perché ci sono delle evidenze sia
in un senso che nell’altro.
174
Però ci sono soprattutto in Italia abbiamo anche evidenze in senso opposto. Nel
dibattito politico la costituzione non è utilizzata a sostegno delle proprie posizioni,
ma è anche vissuta come un’ostacolo da eliminare ,come qualcosa di vecchio,
inutile.
Parte2
Quindi l’ideale del “Rule of law” dello stato di diritto ottocentesco è un ideale che
presuppone la coerenza, la determinatezza del sistema giuridico e lo scarso o nullo
potere discrezionale da parte dell’interprete.
C’è un altro modello dello stato di diritto che è tradizionalmente associato ai paesi
del Common Law, dove il governo delle leggi viene inteso in modo diverso, non con
l’idea di una meccanica applicazione del diritto, ma come una dialettica tra due fonti
di potere, quello che si chiama, già nel diritto medievale, la dialettica tra l’
“ubernaculum”, che è il potere degli organi politici in senso stretto, e del
parlamento, e la iurisdictio cioè il potere di produrre il diritto da parte degli organi
giurisdizionali, cioè il diritto è questa dialettica costante a far si che la libertà e i
diritti dei cittadini vengano garantiti.
Questo modello di rule of law è un modello molto diverso dall’altro , perché mentre
nell’altro, nel modello liberale, quello che conta di più è la tutela delle libertà dei
cittadini e non tanto quello del diritto, che viene visto come un coltello ben affilato
che taglia bene o male, invece nel modello Rule of law collegato agli stati
costituzionali è invece più interessato alla correttezza e giustizia del diritto, al
contenuto del rule of law, al contenuto del diritto e la giustizia e il contenuto del
diritto più facilmente garantita e ottenibile attraverso questo modello proprio
attraverso un rapporto tra poteri dello stato e in particolare tra il potere legislativo
e il potere giudiziario.
Questo indica che c’è un ampiamento del potere giudiziario ma un ampiamento del
potere giudiziario se da un lato effettivamente garantisce che l’ordinamento
giuridico vada nella direzione di essere più corretto dal punto di vista etico morale
dall’altro che cosa produce?
Una chiara certa perdita di certezza perché con le garanzie di discrezionalità il diritto
diviene meno certo.
176
Gli stati costituzionali contemporanei corrispondono a quella che lui chiama “età dei
diritti”.
L’età dei diritti dal punto di vista della filosofia e della storia è l’idea è che i diritti
umani (che sono riconosciuti universalmente a partire dal ’48) sono il segno
premonitore – il signum prognosticum – di un progresso morale dell’umanità.
Questa idea si ritrova in uno scritto di Kant del 1798 che in cui Kant individua nella
rivoluzione francese un segno premonitore del progresso morale dell’umanità.
Bobbio utilizza il pensiero di kant in cui c’è una fiducia molto forte nella ragione
umana o nei progressi della ragione o anche in campo morale e etico.
A partire da Kant, a partire da questa idea – per Bobbio – l’età dei diritti è l’ultima
fase, l’ultimo momento di quello che Bobbio definisce una vera e propria rivoluzione
copernicana.
Nel considerare, per la prima volta nel corso della storia, i rapporti tra governanti
e governati, tra chi comanda e chi è comandato, tra sovrano e suddito non dalla
prospettiva del potere, non dalla prospettiva dei governanti, ma dalla prospettiva
dei governati.
Significa sostenere una tesi molto forte, cioè che l’individuo viene prima della
società, cioè che l’individuo è in qualche misura più importante della società
Questo è il seme filosofico politico dell’età dei diritti e, a partire da questa idea,
Bobbio distingue tre fasi dell’età dei diritti. Tre passaggi diversi che hanno portato
alla realizzazione dell’età dei diritti.
3. La terza fase - secondo Bobbio – in cui ha inizio l’età dei diritti nel senso
proprio - nasce nel ’48 con la nascita dell’ONU e con la dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo perché questa è la piena realizzazione della
cultura dei diritti perchè da questo momento in poi i diritti umani sono
positivizzati ed appartengono a tutti.
1° fase
178
Che cosa sostiene la visione organica del liberalismo che è la società ad essere
il punto di partenza
Perché in Locke è centrale nel suo pensiero l’idea che gli individui sono per
natura titolari di diritti che neanche lo stato può sottrarre.
Per capire un po’ meglio la centralità di Locke è opportuno fare una breve
digressione, guardando la contrapposizione tra il contrattualismo di Locke e il
contrattualismo di Hobbes.
L’idea è che nello stato di natura non ci sono diritti; è uno stato in cui gli esseri
umani sono liberi , ma non liberi in senso giuridico, ma liberi in senso pre o a-
giuridico , quindi sono guidati esclusivamente dal loro libero arbitrio, dalla
loro natura, la natura degli esseri umani è una logica guidata dall’egoismo ,
tutti gli esseri umani sono auto interessati e dall’istinto.
179
L’idea di Locke potremmo dire che è una via di mezzo tra questa visione dello
stato di natura che è una visione pessimistica cupa e la concezione ottimistica
di Rousseau.
Qual è l’idea di Rousseau – visse più di 100 anni dopo Hobbes - e scrisse
nell’Emilio: Dio ha creato tutte le cose per bene, sono tutte buone le cose che
ha creato Dio, ma degenerano nelle mani degli uomini, degenerano quello che
per natura è buono.
Per Locke – che scrive alla fine del 1600 - lo stato di natura non è né l’inferno
– immaginato da Hobbes - , ma nemmeno il paradiso – immaginato da
Rousseau – per Locke in particolare , la caratteristica dello stato di natura è
che gli individui presenti nello stato di natura sono individui liberi ed eguali,
ma liberi ed eguali in una accezione molto diversa rispetto a quella di Hobbes
perché abbiamo visto che la libertà per Hobbes è la libertà assoluta, è arbitrio,
è qualcosa di non giuridico; per Locke invece , quando dice che tutti gli
individui sono liberi non intende dire che tutti gli individui e ciascuno
individuo ha un illimitato “ius nomina” ha un illimitato diritto di tutte le cose
che esistono nello stato di natura ,ma che la libertà di ciascun individuo si
estende nei limiti in cui non lede la libertà altrui.
180
Locke come Hobbes dice bisogna uscire dallo stato naturale, ma perché? Non
perché non c’è diritto, ma - e questo lo spiega benissimo Bobbio - perché
nello stato di natura manca un elemento essenziale e l’elemento essenziale
è rappresentato dalla presenza di un arbitro terzo, manca un giudice che
possa decidere delle controversie tra gli individui.
Per Locke la situazione normale dello stato di natura non è quella del tutti
contro tutti, la situazione è meno tragica da come ce la rappresenta Hobbes
Ma qual è il problema?
Le controversie sulle estensioni del proprio diritto di libertà tra i vari individui
possono sorgere e quando queste controversie vengono risolte non da un
arbitro imparziale ,ma dalle stesse persone implicate nella controversia è
facile che i sentimenti abbiano il sopravvento. E quando i sentimenti hanno il
sopravvento non è la giustizia a prevalere, ma è la vendetta che può
produrre come esito la guerra quindi spinge Locke a dire bisogna uscire dallo
stato di natura.
Il compito dello stato è quello di garantire i diritti individuali che non sono i
diritti sociali, ma sono fondamentalmente di libertà e in primo luogo ancora il
diritto liberale per eccellenza: il diritto di proprietà degli individui deve essere
garantito.
Questa prima fase è importante perché è una fase in cui i diritti sono
riconosciuti all’interno di una certa concezione predominante filosofica
giuridica, sono universali perché questi diritti appartengono a tutti gli individui
181
2° fase
2. La seconda fase coincide con la trasformazione dei diritti da un ideale
filosofico politico ad una realizzazione giuridica, quindi alla positivizzazione
dei diritti a seguito della rivoluzione francese e della rivoluzione americana.
In questa seconda fase i diritti acquisiscono concretezza giuridica vengono
positivizzati con tutti i limiti che abbiamo visto nella rivoluzione francese e nel
ruolo che il cittadino ha dal punto di vista giuridico, però questa maggiore
concretezza dei diritti è contro bilanciata in questa seconda fase da una
perdita dell’universalità.
I diritti umani in questa seconda fase non appartengono più all’essere umano
in quanto tale , ma appatengono all’essere umano in quanto cittadino.
A cavallo tra il ‘700 e ‘800 i diritti umani divengono prerogative dei cittadini e
vengono definiti e attuati attraverso l’ordinamento giuridico e le istituzioni
nazionali.
Quindi soltanto i cittadini, quelli che hanno determinati requisiti , sono titolari
di un complesso di diritti e anche di un complesso di doveri nei confronti dello
Stato sovrano.
3° fase
3. La terza fase - secondo Bobbio – in cui ha inizio l’età dei diritti nel senso
proprio - nasce nel ’48 con la nascita dell’ONU e con la dichiarazione
182
I diritti umani sono sia positivi (vengono incorporati nella dichiarazione dei diritti
universali) che universali, in quanto appartengono a tutti.
Da questo momento in poi cominciano i problemi dell’età dei diritti, problemi dal
mio punto di vista sono strutturali , cioè non contigenti o legati alla evenienze
storiche, ma sono collegati a dei limiti strutturali.
ARGOMENTI INTERPRETATIVI
Tipico perché l’argomento interpretativo, che viene utilizzato nel caso del diritto, ha
dei tratti particolari.
183
Significa che dopo che una disposizione è stata interpretata si danno delle
giustificazioni a questa disposizione.
Il giudice motiva per dare ragione di quelle che sono le sue scelte. Attraverso le
motivazioni si rendono espliciti il ragionamento che ha portato il giudice a prendere
quella determinata decisione.
Queste motivazioni servono,in primo luogo, per attuare un controllo da parte della
società sull’attività del giudice.
1 Argomento letterale
184
Questo primo significato può trarre in inganno (ad es. la parola pesca può avere due
significati- si riferisce al frutto o all’attività del pescare.).
Nella versione interpretativa il legislatore ha voluto dire ciò che ha detto ma non
sappiamo cosa abbia voluto rispetto a quello che non ha detto.
185
Nella versione produttiva, invece, il legislatore ha voluto ciò che ha detto, per
quanto riguarda ciò che non ha detto ha voluto l’opposto. (nel caso dell’esempio
precedente si potrebbe intendere che il risarcimento del danno morale non è
previsto, in quando non è stato specificato dal legislatore).
2. Argomenti sistematici
In relazione alla posizione che un determinato articolo assume nel codice possiamo
desumere che quel determinata disposizione normativa ha un significato piuttosto
che un altro.
Ad es. che cosa dice l’art. 1374 de Cod. Civ. che parla del contratto.
Il contratto obbliga le parti non solo a quanto dal medesimo espresso ma anche a
tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge ed in mancanza secondo gli
usi e l’equità.
Che cosa riguarda l’integrazione del contratto? Solo gli effetti del contratto o il
contenuto. Solo gli effetti del contratto perchè questo articolo si trova in una parte
che parla degli effetti del contratto.
186
Ad es. “il possesso” in diritto civile ha un significato (definito dall’art. 1140 cc),
mentre nel diritto penale ha un significato totalmente diverso.
Argomenti Teleologici
Hanno a che fare con lo scopo, con le finalità delle disposizioni normative.
(argomento della congruenza)
188
Cosa ha voluto dire il legislatore? Qual è lo scopo a cui mira questa legge?
Mentre nelle Leggi italiane occorre andare a guardare i singoli atti parlamentari.
Vi sono dei criteri che possono essere utilizzati per individuare le intenzioni del
legislatore.
Uno dei criteri è Il criterio della coincidenza tra intenzione del legislatore e scopi
condivisi della maggioranza.
Molto spesso l’argomento della ratio-legis viene utilizzata dai giudici e dai giuristi
per ottenere dei risultati estensivi o restrittivi. In questo caso si parla di:
• Argomento a fortiori
• Argomento della dissociazione o della riduzione teleologica
189
(Ad. es. E’ vietato introdurre cani all’interno del ristorante. A maggior ragione è
vietato introdurre elefanti o altri animali!)
(ad es. è consentito applicare interessi del 10% sui prestiti. A maggior ragione sarà
consentito applicare interessi di percentuali inferiori sui prestiti).
(ad es. art. 660 del codice penale, che dice che vengono punite le molestie a mezzo
del telefono. Le molestie fatte attraverso internet devono essere considerate
molestie telefoniche o no? Si decise che non potevano essere considerate molestie
telefoniche e quindi si dissocia una sottoclasse e si dice che per quella sottoclasse
non si potevano applicare le stesse sanzioni previste per le molestie telefoniche).
• Interpretazione estensiva
• Interpretazione restrittiva
• Interpretazione evolutiva
Interpretazione estensiva
Se abbiamo più interpretazioni che vengono fatte nel tempo e se una di queste
interpretazioni risulta differente rispetto ad una precedente perché il significato è
diverso e più ampio si ha un’Interpretazione estensiva
190
Interpretazione evolutiva
(ad es. a proposito del comune senso del pudore a Cefalù, negli anni ’60, c’erano dei
pretori che condannavano le turiste in topless, per atti osceni in luogo pubblico.
Oggi questo non accade più. Il comune senso del pudore ha mutato il suo contenuto
nel corso degli anni. Vi è stata un’interpretazione evolutiva della Norma).
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**
“Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessionedi esse (1), e dalla
intenzione del legislatore (2).
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione (3), si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (4); se il caso
rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento
giuridico dello Stato (5).”
Noi possiamo dare un contenuto diverso alle parole dell’art. 12 anche alla luce di
quello che abbiamo studiato.
191
1° locuzione
Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole
2° locuzione
Significa che è nell’interpretare dobbiamo tener conto della sintassi ovvero del
rapporto tra i vari enunciati che compongono la disposizione normativa.
3° locuzione
Ci possono essere due tipi di rapporti tra il significato proprio delle parole e
l’intenzione del legislatore.
Se con gli strumenti del primo comma non siamo riusciti a risolvere il caso dobbiamo
ricorrere al secondo comma
E’ il caso dell’analogia.
Nel caso in cui, dopo il primo comma, il caso rimanga dubbio dobbiamo decidere
secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
In realtà tutte queste locuzioni sono delle nozioni che vengono create ad hoc
dall’interprete e poi vengono applicate al caso specifico.
Parte 1
Quello che ho cercato di sostenere, nella lezione precedente, che i diritti sono limiti
che dipendono dalla struttura stessa del diritto negli stati costituzionali.
L’dea, l’illusione, la speranza dei giuristi, dei filosofi politici, dei politici che dopo la
seconda guerra mondiale hanno immaginato di organizzare la realtà a partire da
alcuni valori fondamentali, che non dovevano essere negletti, rifiutati da nessuno,
ha dei limiti strutturali: quest’idea presuppone che ci sia un accordo profondo su
alcuni valori e questo è quello che speravano alcuni filosofi politici che hanno difeso
la cultura dei diritti umani. Questa idea è nata per evitare che ciò che è sbagliato ciò
che chiamavano idiozia morale, bisogna rispettare alcuni valori basilari attraverso il
193
Questa idea presuppone la tesi che se c’è un accordo tra alcuni principi fondanti, su
alcuni principi che non devono essere messi in discussione, che non devono essere
criticati, allora bisogna mettere da parte le discussioni sul fondamento di questi
valori.
Trovare delle basi filosofiche, delle fondamenta di questi valori è molto rischioso ,
perché rischia di aprire il vaso di Pandora delle differenze. Se andiamo a ricercare le
ragioni per cui sono d’accordo, l’esito sarà il disaccordo finale. E questo perché è un
problema.
C’ è un articolo molto recente – del 2000 – di un filosofo del diritto che si chiama
Joseph Raz che si intitola: human rights without foundation” dove sostiene che i
diritti umani devono essere protetti ma non giustificati. C’è un accordo legato al
desiderio di dire mai più rispetto a situazioni ,a cose che hanno caratterizzato la
prima metà del ‘900.
Esempio tipico è il principio dell’uguaglianza, tutti pensiamo che gli esseri umani
devono essere trattati con eguale considerazione e rispetto, ma quando si tratta di
spiegare che cosa significa questo? Ci sono posizioni diverse, ma così diverse che
argomenti a favore dell’ eguaglianza, possono essere sfidati da contro-argomenti
che sono allora volta basati sull’eguaglianza.
194
Che tipo di eguaglianza difendo? Questo è il primo motivo per cui abbiamo visto che
bisogna occuparsi del problema del fondamento.
Altra questione è legata al fatto che dal ’48 in poi i diritti sono via via aumentati.
La proliferazione dei diritti fa sì che non soltanto ci siano possibili conflitti sul modo
di intendere ciascuno dei diritti umani, ma più sono i diritti, più è facile che i diritti
di un individuo, in concreto, possono confliggere con i diritti di un altro individuo.
Questa antinomia non può essere risolta attraverso i criteri tradizionali classici di
risoluzioni delle antinomie, perchè non si può applicare il principio di specialità, né
il principio gerarchico né il principio causale.
Per stabilire quale principio, quale valore, quale diritto debba prevalere , quale
comportamento fra i diritti possa essere fatto allora bisogna scendere un po’ più nel
dettaglio e determinare ancora una volta il contenuto di questi diritti per
giustificare queste scelte e per giustificare queste scelte bisogna ricorrere alle
antinomie.
195
Questa è l’idea, però anche se questo è parzialmente vero, c’è anche l’altro potere ,
c’èc he i diritti, anche quello che noi pensiamo che i diritti abbiano a prescindere dai
poteri pubblici, hanno bisogno di essere incrementati dai poteri pubblici.
La libertà non è esistente se non c’è libertà di movimento all’interno del territorio
nazionale, se non c’è un corpo di polizia e tutte queste hanno bisogno che ci sia uno
Stato che decida di mettere dei soldi, uno Stato, un’istituzione per garantire questi
diritti; ovviamente anche se non c’è una differenza qualitativa tra i diritti da questo
punto di vista, nel senso che non sono soltanto i diritti sociali, i diritti di seconda
oterza generazione come diritto alla salute che hanno bisogno di politiche di spesa,
questi diritti hanno bisogno di politiche di spesa, non è un caso che la crisi
economica, degli ultimi dieci anni, che cosa ha prodotto con le conseguenze della
politica dei vari Stati e di tutti i fenomeni a cui assistiamo, hanno prodotto una
riduzione dei diritti sociali, riduzione delle politiche sociali, dei diritti alla salute,
perché questi diritti hanno bisogno delle politiche di spesa.
Questo che cosa implica? Visto che il nostro mondo è caratterizzato dal fatto che le
risorse, come dicono gli economisti, sono scarse ,bisogna fare delle scelte: se
costruire una scuola o costruire un ospedale, se investire di più sui giovani o sugli
anziani e questo impone di fare delle scelte sui diritti da tutelare.
Perché come vi ho detto, i diritti umani, l’incorporazione dei diritti all’interno del
diritto ha prodotto una modifica, un cambiamento nel modo di difendere il ruolo
della costituzione.
I limiti previsti dalle costituzioni moderne, sono limiti che riguardano il come
decidere e il chi può decidere; il cosa è lasciato assolutamente nelle mani del
legislatore ed è lasciato nelle mani del legislatore per ragioni evidenti perchè il
legislatore è il rappresentante del popolo, quindi è importante questa idea che poi è
l’essenza della democrazia.
Nei nostri anni è entrato in crisi il ruolo del Parlamento. (ad es. il frequente ricorso al
voto di fiducia)
C’è una crisi del parlamentarismo, c’è anche una crisi , non a caso, sono in crisi i
partiti politici, che sono le istituzioni che danno l’input al parlamento.
197
Questo mette anche un po’ in discussione quella che è la distinzione che Kelsen
presenta come una distinzione concettuale, che c’è sempre, una distinzione
concettuale tra diritto e morale, tra i sistemi normativi giuridici e i sistemi normativi
morali.
Se vi ricordate Kelsen che cosa diceva: “il diritto è sempre un sistema normativo
dinamico, mentre la morale è un sistema normativo statico”; proprio perché diritto
e morale funzionavano in modo diverso; qual è la differenza?
Questo dipende, dice Kelsen, dalle caratteristiche della norma di chiusura dei due
sistemi; e cioè il sistema morale funzione per deduzione, nel senso che si deve
dedurre dalla norma di chiusura tutte le norme più concrete, ma le norme più
concrete non producono differenza pratica nel senso che ci dicono quello che noi
avremmo dovuto già sapere guardando una norma di chiusura, mentre in un
sistema giuridico la norma fondamentale funzione per delegazione.
Che significa che un sistema giuridico funzione per delegazione?
Nello Stato costituzionale di diritto noi potremmo dire che le differenze tra sistemi
morali e i sistemi giuridici si riducono, perché in parte la norma fondamentale di un
ordinamento giuridico non dà soltanto i limiti procedurali , non dice come si devono
fare le cose e chi le può fare, dice che cosa si può fare quali sono i valori che devono
essere implementati e realizzati attraverso Norme più specifiche.
Questo limita il potere del parlamento e questo produce una dialettica tra
democrazia e diritti umani.
Qualcuno potrebbe obbiettare: Se abbiamo detto che l’accordo sui diritti umani è un
accordo esile , allora non è vero che i diritti umani erodono il potere del parlamento,
perchè le varie parti presenti in Parlamento avranno idee diverse di come si devono
Implementare questi diritti e là abbiamo il dibattito democratico.
198
In realtà una contro obbiezione a questa obbiezione è che in realtà chi sostiene
questo vuole dire che il potere del parlamento attraverso i diritti umani è eroso,
non perché il parlamento di fatto non è libero nelle sue scelte, ma perché il potere
politico è stato tolto di una certa parte dal parlamento ed è stato acquisito dai
giudici, in primo luogo dai giudici costituzionali.
Il potere politico viene tolto in parte al Parlamento e viene preso dal potere
giudiziario.
Perché in effetti l’idea della dialettica tra due poteri (tra Gubernaculum e
Iurisdictio) che si limitano a vicenda, evitano che ci sia il potere assoluto, che non è
bene perché il potere assoluto tende a fare quello che vuole, mentre così ci sono più
garanzie di giustizia.
Le società contemporanee molto più delle società occidentali degli anni ’50 del
secolo scorso, sono caratterizzate dal pluralismo etico, dal fatto che ci sono diversi
universi valoriali, diversi modi di vedere le cose e dire ciò che è giusto, ciò che è
bene e soprattutto sono società multi culturali.
Se due culture sono diverse è difficile introdurre i valori dell’una nei termini di valori
dell’altra.
Non è soltanto un fatto che le nostre società sono pluraliste e multi culturali, ma
questa caratteristica proprio dalle nostre costituzioni è considerata un valore.
199
Che si arriva a un punto per cui noi arriviamo nelle nostre discussioni a uno strato di
roccia dove la vanga si piega; non ci sono ulteriori argomenti, che possono essere
avanzati. Non si può dire altro al nostro interlocutore: io la penso così.
Proprio perché i diritti umani sono indeterminati a un certo punto noi ci troviamo di
fronte a un conflitto che però non può essere risolto dicendo noi siamo d’accordo.
Questo è un problema degli stati costituzionali ed è anche una delle ragioni della
crisi dei diritti umani.
La cultura dei diritti umani, che nasce dopo la seconda guerra mondiale, è
caratterizzata da un aspetto che è ineliminabile di questo cambiamento giuridico e
sociale che è l’ottimismo: L’idea che i diritti umani avrebbero evitato quello che è
avvenuto in passato. Dice Bobbio sono il segno di un progresso morale per
l’umanità.
Ora tutte queste cose che vi ho detto mettono in crisi l’idea che i diritti umani ci
abbiano fatto fare un salto verso il progresso morale.
Ora ci sono il pensiero di due autori che si sono occupati del problema e sono:
200
Le nostre società sono caratterizzate da quello che lui chiama “le dottrine etiche
comprensive”. Le dottrine etiche comprensive sono un universo valoriale.
Lui distingue nettamente il bene dal giusto: Noi ci dobbiamo limitare a trovare
regole condivise della pacifica convivenza tra gli individui all’interno delle società
pluraliste e multiculturali.
Bene lui dice che per fare questo bisogna condurre il discorso pubbliconei limiti in
quello che Lui chiama la ragione pubblica. (quando fa riferimento al discorso
pubblico fa riferimento al discorso del parlamento, alle argomentazioni avanzate
dalla corte suprema, ma anche dibattito di filosofi su questioni che riguardano le
decisioni della vita pubblica)
Dice Rawls: “il liberalismo politico ritiene che l’insistenza su l’intera verità nelle
questioni politiche sia incompatibile con la cittadinanza democratica e con l’idea
di diritto legittimo”.
L’idea è questa in altri termini: Visto che le nostre società sono pluraliste ed è bene
che siano così, allora se noi pretendiamo di imporre la nostra visione del bene
stiamo pretendendo di schiacciare le posizioni diverse dalla nostra.
201
Molto semplicemente per Rawls la ragione pubblica non è altro che l’insieme dei
valori costituzionali e dei valori espressi dai diritti umani e dai diritti dei cittadini.
L’interpretazione più forte della ragione pubblica è quella nel considerarla come uno
sbarramento rispetto agli argomenti che possono o essere introdotti nel dibattito
pubblico.
E’ come una bussola che ci consente di dire questo si può affermare, questo non si
può affermare.
202
Ma cerchiamo di capire meglio che cosa implica questi modi diversi di intendere la
ragione pubblica:
Il liberalismo politico, quando dice che il discorso politico deve essere condotto
soltanto nei limiti della ragione pubblica Rawls fa un esempio: l’esempio tipico della
nostra società, in cui le condizioni diverse per individui diversi, è il caso dell’aborto.
Lui dice: i valori in gioco sono essenzialmente due i valori che possono essere
presentati al dibattito pubblico:
Dice Rawls:
203
Ma questa visione è stata molto criticata perché giustamente ha una visione un po’
semplicistica ed ottimistica della ragione pubblica: si parte dalla condizione ingenua,
secondo la quale noi siamo tutti d’accordo su qualcosa.
La critica che ha ricevuto Rawsl , è che non è affatto vero che tutti siano d’accordo,
che il peso dell’eguaglianza sia superiore rispetto al peso del valore della vita
umana.
La critica che viene mossa a Rawsl: Tu fai uscire dalla porta le dottrine etiche
comprensive, ma le fai di nascosto ri-entrare dalla finestra perché la conclusione a
cui lui perviene produce questo bilanciamento a partire da una dottrina
comprensiva liberale.
E quindi non è vero che noi possiamo fare a meno delle dottrine etiche comprensive
in quanto la ragione pubblica è indeterminata.
Rawsl ha recepito queste critiche ed ha detto che c’è nelle nostre società pluraliste
un ruolo che può essere affidato alla ragione pubblica ed è quello di tradurre gli
argomenti in un linguaggio comune e già qualcosa di importante che il dibattito di
temi profondamente divisivi della nostra società avvenga sulla base di argomenti
comunque comprensibili da tutti.
Per rimanere sul tema dell’aborto è già qualcosa se noi discutiamo e ci dividiamo a
partire dai valori dell’eguaglianza e del rispetto della vita.
Però in questo modo non è che noi abbiamo garanzie di un certo risultato. Perché si
tratta di tradurre ideologie diverse in un linguaggio comune.
Parte 2
Abbiamo visto la prima strategia per affrontare il problema dei diritti umani nelle
società pluraliste, che si tratta di una strategia che non è in grado di risolvere i
problemi in modo definitivo, che propone una soluzione di compromesso o
comunque minimale che consiste nel tradurre tutti gli argomenti nel linguaggio dei
diritti, che poi sarebbe la ragione pubblica.
I passaggi salienti, i punti importanti della proposta di Ignatieff sono direi quattro:
Scrive Ignatieff a questo proposito: “le pretese fondative di questo genere dividono e
queste divisioni non possono essere risolte nel modo in cui gli esseri umani di solito
vengono a capo delle loro dispute e cioè i commenti delle loro discussioni e del
compromesso. Quindi è molto meglio rinunciare a tutti i discorsi fondativi di questo
205
Questo primo aspetto della tesi di Ignatieff è proprio l’aspetto tipico, peculiare
dell’età dei diritti: Mettiamo da parte il problema del fondamento.
Quindi il compito dei diritti umani è di evitare queste cose; cose che sono
intollerabilmente sbagliate, e di porre un argine quello che qualche autore ha
definito “idiozia morale”.
3. Il terzo punto analizza come fanno i diritti umani ad evitare ciò che è
insopportabilmente sbagliato. Lo fanno tutelando la dignità individuale e
rendendo le nostre società più inclusive, più accoglienti rispetto a concezioni
diverse, divergenti, antitetiche della vita umana.
Lo fanno ampliando il più possibile la capacità di azione degli individui,
favorendo il perseguimento dei piani di vita di ciascuno, nei limiti in cui i piani
di vita non incidano nei piani di vita altrui.
Quindi Ignatieff ritorna al passato, dice che i diritti umani per funzionare,
devono incarnare l’individualismo morale, che è la prospettiva etica liberale,
la prospettiva etica da cui nascono i diritti umani e se vi ricordate la società
dei diritti produce una rivoluzione copernicana nei rapporti tra governanti e
governati proprio perché l’individuo è al centro, non la società.
Se noi adottiamo questa concezione dei diritti umani, stiamo con prepotenza
ponendoci in una prospettiva imperialistica e questo modo di pensare è
207
Dice Ignatief :”I diritti umani non sono tanto la dichiarazione della superiorità
della civiltà europea, quanto un monito degli europei, perché il resto del
mondo eviti di riprodurre i suoi stessi errori”.
E inoltre aggiunge: guardate che i diritti umani, non sono l’apoteosi della
civiltà occidentale, non rappresentano il culmine della civiltà occidentale, della
cultura europea, ma sono una medicina al periodo di crisi della civiltà
europea.
Questo punto è un punto nevralgico, perché uno degli effetti dell’età dei
diritti è proprio il rifiuto della guerra come mezzo per risolvere qualsiasi tipo
di controversia .
Scrive Ignatieff: “Nel caso in cui l’ordine di uno stato si sia disintegrato e la
popolazione sia precipitata in una guerra, ovvero nel caso di uno Stato che stia
portando avanti una violenza sistematica, grave e ripetuta proprio contro gli stessi
cittadini, il solo modo efficace di proteggere i diritti umani è l’intervento diretto che
può andare dalle sanzioni all’uso della forza militare”.
Ci sono vari aspetti di questa tesi che possono far sorgere delle perplessità.
Innanzi tutto chi stabilisce che il male prodotto da uno Stato nei confronti dei suoi
cittadini sia intollerabile? Chi è legittimato a fare questa valutazione?
L’ONU per esempio, oppure anche gli altri Stati. E su Ignatieff non è chiaro e
sembrerebbe che ,dal suo punto di vista, chiunque abbia la forza per farlo possa
intervenire.
Ci sono varie critiche che possono essere mosse a Ignatieff; due critiche principali
l’abbiamo viste e sono:
Quello che a noi interessa è cercare di capire, a prescindere dalle critiche che
possono essere mosse, se comunque il minimalismo dei diritti potrebbe indicare una
209
L’ultima domanda alla quale voglio rispondere è questa: il minimalismo dei diritti
può essere la soluzione alla crisi dell’età dei diritti?
Non è praticabile perchè non è in grado di render conto, in modo ad adeguato, delle
caratteristiche degli stati costituzionali contemporanei.
Questa caratteristica non può essere considerata un errore delle grandi democrazie
contemporanee. Non è uno sbaglio.
E’ necessario che i diritti umani siano molti. E’ una caratteristica ontologica degli
stati costituzionali contemporanei. E’ una caratteristica necessaria.
210
L’unico modo per garantire le diverse visioni del mondo all’interno delle tappe
costituzionali. Anche questo è un argomento che va contro la possibilità di
ridurre al minimo il numero dei diritti.
211
Parte1
Due risposte che, dal mio punto di vista, sono entrambe insoddisfacenti per ragioni
diverse:
L’altro gruppo di diritti riguarda il fatto che se noi facciamo un distillato dei
diritti, nella pretesa di individuare quei valori che sono assolutamente cruciali
per evitare ciò che è radicalmente sbagliato, allora questo può comportare –
come comporta per ignatief – l’idea che per tutelare questi valori che sono
l’essenza minima, il minimo comun denominatore di tutte le concezioni del
bene, allora si possono usare tutti i mezzi, compresa la violenza. E questo oltre
che essere pericoloso dal punto di vista pratico, (su chi è che deve usare la
forza), e c’è sempre un rischio, un uso strumentale dei diritti umani, per
potere usare la forza.
Ma c’è un fatto che questa idea è antitetica rispetto alle ragioni che ha
portato alla nascita dell’età dei diritti. La ragione principale che hanno
portato alla nascita dell’ età diritti è proprio quella di evitare la guerra, una
delle ragioni principali.
In altri termini i diritti non possono essere pochi, proprio per come è
strutturata la cultura dei diritti e per il ruolo che le costituzione (rigide e
lunghe) hanno all’interno degli stati costituzionali.
Una teoria normativa della giustizia non può prescindere dalla realtà di
riferimento, quindi deve tenere conto delle caratteristiche della realtà di
riferimento secondo me, la teoria di Ignatieff non lo fa a sufficienza.
*
213
Parte 2
L’ultimo passaggio del discorso sui problemi legati all’età dei diritti.
L’età dei diritti ha delle caratteristiche, che possono essere riassunte nel fatto che i
diritti umani sono inviolabili.
Abbiamo visto che alcune tra le principali teorie che si preoccupano di questo
problema, di questa caratteristica dei diritti non sono in grado di offrire soluzioni
convincenti.
Si può agire in due modi: o per via argomentativa o per via di negoziazione.
C’è un conflitto nel quale l’interpretazione dei diritti. Che fare? Si può seguire la
strada dell’argomentazione o la strada della negoziazione.
Argomentare quindi richiede di sostenere delle tesi per ragioni di principio perché si
ritiene che quelle tesi siano corrette.
Mettiamo che io discuta con qualcuno che sostenga che il principio fondamentale
che deve determinare il nostro comportamento sia quello di ridurre la sofferenza
214
Per esempio Umberto Eco da questa definizione di negoziazione: ”Il modello della
negoziazione è quello del bazar orientale, il venditore chiede 10, tu vorresti dare al
massimo 3 e 3 proponi; quello rilancia a 9 , tu sali a 4 e quello scende a 8, tu ti spingi
a offrire 5 e quello ribassa a 7 ; finalmente ci si mette d’accordo su 6, tu hai
l’impressione di avere vinto, perché hai aumentato solo di 3 e quello è sceso di 4; il
venditore è soddisfatto perché sapeva che la merce valeva 5”.
Alla fine però se tu eri interessato a quella merce e quello era interessato a venderla
siete abbastanza soddisfatti entrambi.
Quindi il risultato che viene da una negoziazione, per definizione, non è mai il
migliore possibile per nessuna delle parti in causa, anche se una negoziazione ben
riuscita è una negoziazione che lascia sodisfatti tutti.
Il problema è che una negoziazione è sempre incerta come risultato, c’è sempre un
rischio in una negoziazione, magari la merce è scadente, ecc. Chi si impegna nel
processo negoziale, deve accettare il rischio per certi versi.
215
Il primo esempio è degli inizi degli anni 2000, ed è il caso delle classi islamiche.
In un liceo milanese pubblico, laico con insegnanti italiani, era stata richiesto, al
preside dalla comunità egiziana di religione islamica, di prevedere una classe
riservata ai ragazzi di religione islamica. Erano 17 ragazze e 3 ragazzi.
Il preside ha accettato questa richiesta, però aveva chiesto che in questa classe non
si parlasse né l’islam né la religione cattolica, ma i programmi ministeriali fossero
esattamente gli stessi programmi ministeriali seguiti nelle altre classi. Ha detto il
preside: al massimo toglieremo il crocifisso dall’aula e consentiremo alle ragazze di
fare ginnastica di pomeriggio – non viste dai compagni – come chiedono i genitori. Il
preside ha acconsentito che si usasse il velo.
Perché il preside ha concesso queste cose? Perché secondo lui, questo è il primo
passo verso l’integrazione.
216
La scuola non può non essere laica, perché laico non significa, come tanti ignoranti
continuano a ripetere non credente, non praticante, ma significa saper distinguere
ciò che compete alla fede e ciò che compete alla ragione , ciò che riguarda la chiesa
e ciò che riguarda lo stato.
Quindi la decisione del preside in linea di principio è sbagliata. E quindi non deve
essere presa.
Che cosa dice invece Umberto Eco: la decisione della scuola milanese è il risultato di
una ragionevole negoziazione: Visto che a rispondere di no, i ragazzi andrebbero
altrove o da nessuna parte, si accetta la richiesta anche se in linea di principio non
la si condivide e si sceglie il male minore, sperando, non sapendo con certezza che si
tratta di soluzioni transitorie.
I ragazzi rimarranno in classe soli tra loro, il che è una perdita anche per loro, ma in
compenso riceveranno la stessa istruzione che ricevono i ragazzi italiani, potranno
familiarizzare meglio con la nostra lingua e con la nostra storia.
Siccome non sono degli infanti, ma dei liceali, potrebbero ragionare con la loro testa
e fare i dovuti confronti e persino cercare contemporaneamente contatti con i loro
compagni italiani.
217
Un altro esempio, agli inizi degli anni 2000 ed il caso della infibulazione dolce.
Come sapete c’è in alcune culture, soprattutto africane di religione islamica c’è
questo mito della eliminazione dei genitali femminili, che è una tragedia per molte
ragioni, ed è un’attività che viene fatta di nascosto in occidente in Italia oltre a
creare sofferenze, molto spesso portano a morte per infezioni .
Che cosa è successo che in un ospedale di Firenze, un medico somalo che lavorava
in un ospedale ha proposto una pratica di riduzione del danno e cioè aveva convinto
sia l’amministrazione sanitaria di Firenze, sia la comunità islamica di sostituire
questa pratica tribale dell’eliminazione dei genitali femminili con un rito che si
faceva in ospedale, chiamato infibulazione dolce che consisteva in una puntura di
spillo sul clitoride che non produceva nessun danno sostanziale alle bambine.
L’argomento di chi era contrario a questa negoziazione che non è corretto accettare
dei surrogati ad una ritualità incivile e che comunque è la ritualità che deve essere
rifiutata perché simbolo della subordinazione delle donne agli uomini e quindi
assolutamente non bisognava accettarla.
Chi invece è favorevole ritiene che con questa pratica si possono salvare vite è che
nel breve periodo si può sensibilizzare l’opinione pubblica di questi gruppi etnici e
culturali della inciviltà di questa pratica.
218
Parte 3
************************************************************
Nello stato moderno il principio cardine è la sovranità dello stato mentre nello stato
contemporaneo è crisi della sovranità dello stato e crisi del positivismo giuridico.
219
Quello che vi dirò su Ronald Dworkin riguarda la prima fase del suo pensiero, è la
fase più anti-positivistica, in cui muove delle critiche serrate e molto acute al
positivismo di giuridico di Hart e in particolare farò riferimento ad alcuni saggi della
metà degli anni ’70 del secolo scorso, che sono stati pubblicati in un libro che si
intitola “I diritti presi sul serio”.
1. la prima critica riguarda il modello delle regole, l’idea che il diritto sia un
sistema di Norme.
2. Il secondo argomento riguarda la teoria del modello giuridico proposta da
Hart.
Dworkin nel suo libro “il modello delle regole” critica questa idea, che è l’idea
cruciale del normativismo, critica l’idea che il diritto possa essere considerato un
sistema di norme.
Dworkin difende questa tesi attraverso un argomento che può essere diviso in
quattro passaggi:
1. Nel Primo passaggio Dworkin dice: “per Hart nel diritto vi sono soltanto
regole, ma questo è sbagliato perché gli standard giuridici o i tipi di Norme
sono diversi.
220
2. Nel Secondo passaggio della tesi, Dworkin dice che la differenza tra questi
standard, tra le regole ed i principi, è una differenza forte, è una differenza
qualitativa e non quantitativa (non di grado). E’ possibile distinguere
nettamente le regole dai principi.
3. Nel Terzo passaggio della tesi, Dworkin dice che la regola di riconoscimento
consente di individuare le regole giuridiche, ma non consente di individuare i
principi. Quindi proprio per questo il diritto non può essere un sistema di
Norme, perché non è un sistema, perché la regola di riconoscimento e questa
è la tesi di Dworkin non cattura i principi ma solo le Regole. Quindi cattura
sola una parte del diritto e non tutto il diritto.
Questa è una tesi molto forte, perché dice che c’è una connessione necessaria tra
diritti e morale, perché, per Dworkin, non c’è una differenza netta tra i principi
giuridici e i principi morali.
221
1 parte
Dworkin sostiene che Hart e il positivismo giuridico sbaglia perchè riduce il diritto a
un sistema di regole-
A questo proposito non mi sono soffermato sulla distinzione tra regole e i principi
introdotta da Dworkin ed il caso di approfondire questo punto.
Tutti questi standard differenti possono essere ricondotti a queste due categorie:
regole e principi.
La tesi importante di Dworkin è che tra regole e principi c’è una differenza di tipo
qualitativo.
222
C’è la regole del baseball che dopo 3 battute in cui la palla non viene colpita il
battitore è eliminato
Allo stesso modo la regola di non superare il 50 kmh nei centri urbani o si applica o
non si applica.
I principi invece sono strutturalmente diversi dalle regole perchè l’applicabilità dei
principi dipende dal loro peso e dalla loro importanza. I principi vanno bilanciati tra
di loro.
Ricordatevi il caso Palmer,i giudici hanno deciso questo caso sulla base del principio:
nessuno può trarre vantaggio da un caso illecito.
Però questo principio va bilanciato nel caso di specie secondo il principio della
legalità.
In questo caso non c’è una legge preesistente e quindi in questo caso bisogna pesare
i principi e scegliere il più pesante.
E che cosa hanno in comune queste due teorie d’ interpretazioni? Hanno in comune
il fatto che sono entrambe dicotoniche, duplici, che presentano criteri diversi per
situazioni diverse.
Nei casi facili -dice Hart- applichiamo una Norma in modo meccanico.
Fino a qui Dworkin segue Hart, dicendo i casi facili sono quelli nei quali si applica una
regola.
223
La differenza è che Hart sostiene questo: nei casi difficili l’interprete esercita
discrezionalità.
Che significa ?
Nei casi difficili, secondo Hart, l’interprete: crea il diritto, svolge un compito
legislativo.
Dire che abbiamo di fronte un caso difficile, per Hart, significa dire che non c’è
un'unica soluzione corretta; ci sono più soluzioni corrette e la scelta, che deve
essere giustificata, dipende dall’interprete.
Nei casi difficili, secondo Dworkin, il compito del giudice è decidere il caso sulla
base del diritto preesistente, non crea nuovo diritto, ma applica il diritto
preesistente.
L’idea di Dworkin anche in questo caso c’è un’unica soluzione interpretativa che è
quella che scaturisce dal corretto bilanciamento dei principi
Questa tesi non impedisce di sostenere che, benchè esista un'unica soluzione
interpretativa, i giudici esercitano una certa discrezionalità.
Dobbiamo capire che cosa intende Dworkin quando dice che l’interprete eserciti
discrezionalità; lui dice ci sono tre significati di discrezionalità: due accettabili
(compatibili con l’attività giuridica) ed uno non accettabile.
Esempio: mettiamo che un arbitro di calcio concede un rigore e poi si scopre che
si tratta di chiara simulazione – cioè che la persona si è gettata a terra da sola –
vuol dire che l’arbitro ha esercitato discrezionalità o ha sbagliato? L’arbitro, in
questo caso, ha sbagliato.
Il diritto non è un gioco, quindi noi possiamo valutare le decisioni ultime dei
giudici come decisioni giuste o sbagliate, ma prendere una decisione sbagliata
non significa esercitare discrezionalità nell’accezione normale del termine.
225
Perché è una discrezionalità forte? Qual è la differenza rispetto agli altri due
esempi?
Mentre, secondo Dworkin, nei casi precedenti qualcuno dei soldati poteva
avanzare il diritto di fare parte della pattuglia, in questo caso non c’è un diritto
presistente.
Dice Dworkin che Hart sbaglia, perchéla sua teoria dell’interpretazione non da una
spiegazione del modo in cui i giudici auto-rappresentano il loro lavoro, perché un
giudice quando risolve un caso, sempre si presenta come colui che applica il diritto.
Dice Dworkin che, anche nei casi più difficili, c’è una delle parti in causa che ha un
diritto preesistenze a vincere la causa, anche quando non c’è una chiara regola che
decide il caso, c’è una delle parti che ha un diritto preesistente a vincere quella
causa.
Secondo Dworkin la teoria di Hart non va bene perché Hart non ci dice che c’è
sempre una parte del diritto preesistente a vincere la causa. Hart dice che nei Casi
difficili il giudice esercita discrezionalità e quindi, in qualche misura, crea un diritto e
questo contraddice il modo in cui i giudici rappresentano il loro lavoro.
Invece dice Dworkin che la sua teoria dell’ interpretazione è migliore perché rende
giustizia di questa percezione da parte dei giudici.
226
Nessuno di noi si impegna a dimostrare che il gelato al cioccolato sia migliore del
gelato al pistacchio.
Tutti noi abbiamo delle convinzioni morali e le consideriamo non ciò che giusto per
noi, ma ciò che è giusto per tutti.
Questo da che cosa ce ne rendiamo conto che su questioni che riguardano scelte
etiche, molto spesso ci troviamo in discussioni anche molto accese e che cosa
vogliamo fare?
Convincere gli altri che noi abbiamo ragione e loro torto e questo lo fanno tutti, poi
chiaramente a mente fredda noi possiamo anche dire: si, noi ci comportiamo in
questo modo, ma effettivamente dobbiamo riconoscere che a un certo livello di
profondità le mie condizioni morali non sono altro che espressione di una
preferenza.
E questo lo possiamo dire anche se nel dibattito ordinario i discorsi che riguardano
l’etica sono molto diversi dai discorsi che riguardano il gusto personale.
E lo stesso si può dire anche cambiando l’ambito anche nel caso della teoria
dell’interpretazione.
Il giudice dirà: è quello di applicare il diritto; ma c’è una differenza tra un caso facile
e uno difficile? No, il compito è quello di applicare il diritto, infatti in qualsiasi
motivazione di sentenza vedrete che viene costruita in maniere sillogistica, il giudice
si percepisce come colui che applica il diritto.
227
Dice Dworkin: questa teoria è migliore rispetto a quella di Hart perché spiega e
giustifica il modo in cui il giudice rappresenta il proprio lavoro.
Mentre Hart dice che i giudici nei casi difficili non stanno affatto applicando il diritto
o comunque lo stanno applicando in un modo diverso, devono scegliere loro quale
norma applicare fra le tante norme possibili e questo significa creare il diritto.
Quindi nei casi difficili per Hart, nessuno ha un diritto preesistente a vincere la
causa, ma il diritto è creato dai giudici.
Ora quello ho cercato di farvi capire è che l’argomento di Dworkin (io spiego questa
pratica meglio di Hart) non è un buon argomento per dire che la teoria di
interpretazione di Dworkin sia migliore rispetto a quella di Hart perché banalmente
il modo in cui i partecipanti si rappresentano nella causa a cui partecipano questo è
anche distorto e vi facevo questo esempio che ciascuno di noi ritiene che i nostri
principi morali sono i principi morali universali, e questo è il motivo perché ci
mettiamo tanta enfasi, tanto impegno a difendere di avere ragione e gli altri torto.
Ora si può dire che la teoria della distinzione tra regole e principi sia una distinzione
qualitativa? Ovvero sarebbe più corretto dire che si tratta di una distinzione di
grado: quantitativa?
Molto speso i giuristi usano questa analogia tra le regole del diritto e le regole del
gioco.
228
Significa che non c’è una differenza qualitativa tra le regole ed i principi; c’è una
differenza graduale tra norme determinate e norme indeterminate.
Spesso i principi che consentono di giustificare Norme espresse non sono gli unici
ma vi è una scelta da parte dell’interprete se adottare il principio A o il principio B.
Questo significa che Vi è una discrezionalità del giudice sulla base dei suoi principi
morali.
229
Parte 2
Il primo punto delle critiche di Dworkin ad Hart riguarda il modello delle regole.
Facciamo un passo indietro e vediamoil modo in cui Hart ha elaborato questa teoria
dell’obbligo.
Questo è proprio il punto di partenza che porta Hart ad elaborare la sua teoria delle
regole sociali. Il punto cruciale è l’accettazione del diritto.
Lui sostiene che dietro ogni obbligo, senza ulteriori qualificazioni, senza
caratterizzarlo come obbligo giuridico o obbligo morale, c’è una regola sociale,
quindi l’obbligo si fonda sull’esistenza di una regola sociale.
230
Perché oltre all’esistenza di una regola sociale sono richieste ulteriori caratteristiche
che sono tre fondamentalmente secondo Hart.
Le caratteristiche innanzi tutto sono regole sociali che riguardano aspetti importanti
della vita sociale.
Ci deve essere una forte pressione sociale per il rispetto di quella regola e poi ultima
caratteristica l’esistenza di un obbligo presuppone sempre il potenziale sacrificio di
preferenze personali, ma allora perché esistono obblighi giuridici e obblighi morali?
Per Hart come possiamo distinguere l’obbligo del giuridico dall’obbligo morale?
Per Hart la regola sociale che sta alla base è la condizione necessaria per Hart che ci
consente di distinguere obblighi giuridici da obblighi morali, perché banalmente
dietro un obbligo giuridico ci sarà una norma giuridica e quindi la regola di
riconoscimento, dietro un obbligo morale ci sarà una regola sociale morale.
Dworkiing dice che non è vero che la regola sulla esistenza di una regola sociale,
sia una condizione necessaria per l’esistenza di un obbligo, in altri termini ci dice
che non è vero che dietro ogni obbligo c’è una regola sociale.
231
Ora che cosa ha fatto Hart quando ha cercato di replicare rispetto a questa
obbiezione; io vi posso dire che esiste un obbligo dove non esiste una regola sociale
però nei casi in cui c’è una regola sociale che regge un obbligo, allora possiamo dire
che la mia teoria sia valida.
Secondo Dworkin: No! Infatti dice Dworkin che ci sono dei casi in cui l’esistenza di
una regola sociale è meramente accidentale.
Il fatto che io fossi vegetariani e altre 10 persone fossero vegetariani, mettiamo che
domani di queste 10 persone , 9 cambino idea, io continuerei a rimanere
vegetariano, non incide la mia scelta di essere vegetariano il fatto che qualcuno
cambi idea.
Quindi ci può essere una regola sociale, ma anche in questi casi, in cui esiste una
regola sociale, si tratta di un caso accidentale che esista una regola sociale, ma
questo non incide sull’esistenza dell’obbligo (casi di moralità coincidente).
Quello che vuole dire Dworkin anche in questo caso, che ci sia un solo vegetariano o
che cene siano 10 o che cene siano 100 è irrilevante per l’esistenza dell’obbligo,
perché tendenzialmente se mi si chiede perché sono vegetariano, certamente non
232
Ci sono dei casi in cui l’esistenza di una regola sociale può essere posta a
fondamento dell’ esistenza di un obbligo? Dice Dworkin : Si !
Gli unici casi a detta dello stesso Dworkin in cui la regola sociale può essere posta
a giustificazione dell’esistenza di un obbligo e sono i casi di “moralità
convenzionale”.
I casi di moralità convenzionale sono quei casi in cui una regola risolve un problema
di coordinazione .
In questi casi – dice Dworkin – l’esistenza di una regola sociale, di una convenzione,
è una giustificazione ; in questi casi l’obbligo è giustificato da una regola sociale;
quindi la conclusione- però dal mio punto di vista è una trappola nei confronti di
Hart – la conclusione di Dworkin è quella di dire che la teoria dell’obbligo di Hart non
è una teoria generale, ma è una teoria dell’obbligo che va circoscritta ai casi moralità
convenzionale.
233
Per noi è indifferente che il diritto dimostri la parità che non consente di
discriminare i lavoratori in base al sesso; ci interessa soltanto sapere che cosa
dobbiamo fare o ci interessa che il diritto ci dia delle regole giuste?
Qual è la conclusione alla quale giunge Dworkin: che non è possibile distinguere
l’obbligo giuridico dall’obbligo morale.
Questo significa mettere in crisi la tesi di Hart, che è l’autonomia del diritto alla
norma, rispetto al problema dell’obbligo sembrerebbe, se Dworkin ha ragione, che
non c’è questa autonomia.
Hart è molto interessato a garantire questa autonomia, perché lui ritiene che il
positivismo giuridico debba separare il diritto, però – secondo me – la sua
preoccupazione è una preoccupazione esagerata e questo per una separazione di
ambiti.
Dal mio punto di vista, anche un positivista può dire, da un lato, che il diritto si
identifica attraverso dati di fatto e non attraverso la morale, però, dall’altro lato, si
può sostenere che sia anche possibile distinguere il diritto dalla morale.
Dal mio punto di vista se c’è un obbligo, questo obbligo non può che dipendere da
valutazioni morali di ciascuno di Noi.
234
30 MAGGIO
parte 1
Dal mio punto di vista non c’è uno spazio tra gius-positivismo ed al gius-
naturalismo. Sono due concezioni del diritto mutuamente esclusive,
Questo significa che, aparte le differenze che ci sono tra le diverse concezioni del
diritto, tutte le concezioni del diritto possono essere ricondotte o al gius-
naturalismo o al positivismo giuridico.
Vi ho parlato della critica del diritto di altri due autori Luigi Ferrarioli e Robert Alexy,
a proposito della sua tesi della “pretesa di correttezza del diritto”.
Una cosa interessante è che Dworkin e Alexy, presentano le loro concezioni del
diritto come espressamente ed esplicitamente come una critica al positivismo
giuridico, mentre Ferrarioli ritiene che la sua concezione del diritto sia riconducibile
al positivismo giuridico.
235
La seconda tesi di Dworkin relativa alla critica all’idea che il diritto sia
rappresentato da un modello di regole, è la distinzione netta che lui fa tra
regole e principi.
Le norme sono di diversa natura, ci sono le regole e ci sono i principi. Tra
regole e principi vi è una differenza di tipo qualitativo.
236
Rispetto a questa tesi che cosa ho detto: che è molto difficile distinguere, in
questo modo, le regole dai principi perché nel diritto sono molto poche le
regole che si applicano in modo meccanico.
Non a caso non solo Dworkin ma molti altri, utilizzano esempi di regole tratti
dai giochi e vi ho detto che è un errore assimilareil diritto alle regole dei
giochi.
Dal mio punto di vista, questa obiezione di Dworkin ad Hart non funziona
molto bene perchè tra regole e principi ci può essere una differenza di grado,
ma non una differenza qualitativa perché non vi sono regole del diritto che si
applicano in modo meccanico.
Ora perché c’è una differenza tra le regole di gioco e le regole giuridiche?
Pensate alla metafora dello stato di natura, ci sono società prima del diritto, ci
sono norme religiose, norme consuetudinarie, norme di etichetta, quindi le
237
Nei casi facili, Dworkin e Hart sono d’accordo, Dworkin dice chebisogna applicare
meccanicamente la regola; Hart dice che, nei casi facili, vi si trova davanti
all’applicazione della disposizione.
Nei casi difficili invece Dworkin dice che i giudici applicano i principi, li devono
bilanciare, e quindi esercitano la discrezionalità. Tuttavia Dworkin sostiene che c’è
un’unica soluzione interpretativa corretta anche nei casi difficili.
238
Dworkin sostiene: la teoria di Hart non va bene perché nei casi difficili, i giudici
interpretano a modo loro sia pure entro certi limiti, perchè ci sono più soluzioni.
Nel momento in cui si sceglie una fra più soluzioni possibili si sta creando diritto.
Vediamo ora se c’è la possibilità di individuare una terza via tra gius-naturalismo e
positivismo giuridico.
Esiste una soluzione interpretativa corretta, esistono dei criteri oggettivi che
l’interprete è chiamato a scoprire.
Perché per rispondere alla domanda qual è il diritto positivo bisogna affidarsi ad un
diritto naturale che è giuridicamente superiore al diritto positivo.
Il diritto non è prodotto soltanto dal Parlamento ma anche dai Giudici nel momento
in cui interpretano le Norme e quindi creano discrezionalità.
Se il diritto è indeterminato cosa succede se unisce a questa tesi l’idea che esistono
valori morali nella realtà e che questi valori morali sono conosciuti?
Significa che l’individuazione del diritto dipende dalla morale. Ciò che è diritto
dipende da criteri morali oggettivi. E questa è esattamente la tesi del
giusnaturalismo.
240
Se, da questa osservazione della realtà giuridica, si collega una concezione meta-
etica oggettivista e cognitivista molto forte, così come fa Dworkin, allora il neo-
costituzionalismo deve essere ricondotto a versioni del diritto gius-naturaliste.
30 MAGGIO
parte 2
Stiamo passando dalla domanda che cos’è il diritto alla domanda bisogna obbedire
al diritto, perché bisogna obbedire al diritto?
241
E’ collegata alla teoria di Hart delle regole sociali e quindi l’obbiettivo di Hart è il
tentativo di distinguere l’obbligo giuridico dall’obbligo morale viene conseguito
dicendo che l’obbligo giuridico si fonda sulla regola di riconoscimento,
mentrel’obbligo morale si fonda su una regola morale.
In che cosa consiste la critica di Dworkin consiste nel negare che dietro ogni obbligo
vi sia necessariamente una regola sociale.
Per Hart dietro un obbligo c’è una regola sociale, per DworkinNO.
Anche se c’è un solo vegetariano tra di noi, quindi mancherà una regola sociale,
quella persona riterrà che mangiare animali sia ingiusto e riterrà di avere l’obbligo di
non mangiare esseri viventi e questo obbligo esiste pur senza una regola sociale.
Ci sono casi di obblighi che non si fondano su regole sociali, ma sono casi moltorari,e
quindi si potrebbe farequesta concessione a Dworkin e dire che dove c’è una regola
sociale lì si può dire che la regola sociale è un criterio per poter individuare quel tipo
di obbligo.
242
Secondo Dworkin: no, perchè tra le ragioni di ciascuno di voi per essere vegetariano
non c’è il fatto che anche tutti gli altri sono vegetariani e quindi l’esistenza della
regola sociale è meramente accidentale, ci può essere o no e quindi non ha senso
poggiare quest’obbligo sulla regola sociale.
Dworkin rilascia soltanto una possibilità: ci sono dei casi per i quali in effetti
l’esistenza della regola sociale può contribuire a dare una giustificazione a
quell’obbligo e sono i casi di regole convenzionali:
Che cosa è una regola convenzionale? E’ una regola che serve a risolvere un
problema di coordinazione.
È un tipo particolare di problema che vede implicate almeno due persone, è un tipo
particolare di interazione strategica che risponde a tre principi.
1. La volontà di cooperare.
2. E’ possibile cooperare in modi diversi. Vi devono essere almeno due scelte
sullo stesso piano.
3. Una soluzione diventa preferibile nella misura in cui è preferita anche dagli
altri. (ad esempio: Passare tutti con il semaforo verde, tenere la destra, etc.)
243
L’unica strada che ha Hart è quella di dire che l’obbligo giuridico si fonda su una
regola sociale perché lì la funzione del diritto è quella di risolvere i problemi di
coordinazione.
Si può dire che la funzione del diritto è risolvere i problemi di coordinazione? Non
solo.
La risposta alla domanda see perché dobbiamo obbedire al diritto, può vedere gius-
naturalisti e gius-positivisti dare le stesse risposte.
Questa domanda è sensata posta dal lato di coloro che sono soggetti al diritto o dal
lato di chi pone il diritto?
E’ sensata dal lato di chi produce il diritto (dall’Autorità) o è sensata dal lato di chi è
soggetto al diritto? (Dai cittadini)
Perché chi pone una norma è chiaro che implicitamente presuppone la sua
obbligatorietà, perché compito delle norme è quello di modificareil comportamento.
244
Dice Antigone che si oppone a Creonte e che seppellisce Pollinice, contro il divieto
di Creonte , entro le mura della città; a Creonte che le chiede conto del suo
comportamento, Antigone risponde::”ma per me, non fu Zeus a proclamare quel
divieto e non pensavo che i tuoi editti avessero tanto forza che un mortale potesse
trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei”
Ma la domanda a cui risponde Antigone, è questa: Bisogna obbedire alle leggi più
ingiuste?
E la rispostadi Antigone è: NO, se le leggi non sono giuste allora bisogna obbedire
alle leggi non scritte e incrollabili degli dei greci (quindi al diritto naturale).
Il punto di partenza, secondo Socrate che bisogna fare sempre ciò che è giusto.
E rispetto a questa questione, Socrate convince Critone che bisogna obbedire anche
in questo caso, e Socrate immagina un dialogo con le leggi della città di Atene.
Le leggi presentano argomenti in base ai quali lui non deve fuggire e gli argomenti
che le leggi presentano a Socrate sono essenzialmentequesti Questi argomenti le
leggi li presentano a Socrate a partire dalla sua prima osservazione: Socrate dice:
“Se una norma è ingiusta, allora a questa norma non si deve obbedire”
246
Pensi poi che ci sia un diritto da pari a pari tra te e noi? E se alcuna cosa noi
tentiamo di fare contro di te abbi tu il diritto di fare altrettanto contro di noi? O
sei così sapiente da aver dimenticato che più della madre e più del padre e più di
tutti gli altri tuoi progenitori presi insieme, è da onorare la patria e che ella è più
di costoro venerabile e sacra.
2. Secondo argomento: noi abbiamo l’autorità, chi sei tu per dire che questa
legge è giusta o sbagliata?
Il cittadino deve alle leggi maggior rispetto di quello che un figlio deve ai genitori
e un servo ai padroni.
E non sta al cittadino decidere se una legge è giusta o sbagliata ,il cittadino deve
obbedire alle leggi.
Terzo argomento:
3. Le leggi sottolineano che in qualche misura, Socrate nel corso della sua vita
ha stipulato un patto con le leggi della città e si è impegnato a fare quello che
le leggi gli chiedevano di fare.
Perchè se non gli fossero piaciute le leggi della città, avrebbe potuto
tranquillamente trasferirsi in un’altra città, il fatto che per 70 anni Socrate non
fosse mai uscito da Atene, è una prova del fatto che lui avesse stipulato un
patto con la città.
247
Questi tre argomenti sono argomenti cruciali nel dibattito sull’ obbligo del diritto.
E li possiamo chiamare:
Ieri abbiamo visto che è possibile individuare tre possibili giustificazioni dell’obbligo
di obbedire al diritto
Nel Critone, Socrate cita tre possibili giustificazioni dell’obbligo di obbedire al diritto,
Le giustificazioni sono:
1. L’argomento dell’equità
2. L’argomento del consenso o del contratto sociale.
3. L’argomento dell’autorità
1. L’argomento dell’equità.
248
Se qualcuno all’interno di una società ha fatto dei sacrifici in vista del benessere
generale ha diritto a che analoghi sacrifici facciano coloro che si sono avvantaggiati
del loro comportamento.
Visto noi cittadini riceviamo dei servizi da parte dello Stato, dobbiamo contribuire in
modo equo attraverso il pagamento delle imposte.
L’autore che ha presentato questa critica è un autore liberale che si chiama Robert
Nozick, che giustifica questo argomento attraverso un esempio:
Gli stessi abitanti che hanno deciso di fondare la radio, stabiliscono un turno per
tutti gli abitanti del quartiere per lavorare alla radio.
Dice Robert Nozick che il fatto di trarre beneficio dall’esistenza di un servizio come
la radio di quartiere, qualcuno avrebbe comunque preferito non avere questo
beneficio se avesse saputo di dover contribuire al funzionamento della radio.
Chi non partecipa non deve trarre beneficio, però questo non è sempre facile perché
ci sono dei benefici rispetto ai quali non è possibile in alcun modo rifiutare.
249
Il solo fatto di ricevere un vantaggio non può essere utilizzato come giustificazione
di un obbligo.
“Non potete decidere di darmi qualcosa, per esempio un libro, e poi strapparmi di
manoil danaro per pagarlo anche se non ho nulla di meglio da comprare con quel
denaro”.
Leleggi dicono a Socrate: ti abbiamo dato nel corso di 70 anni della tua vita molte
cose, adesso tu ci devi ripagare, dice Robert Nozick nessuno vi ha chiesto niente
quindi non videvo niente.
Questa idea è l’idea del contrattualismo: l’idea che lo stato sia l’esito di un contratto
sociale tra cittadini.
250
Dice Hobbs: “lo stato è quel grande leviatano o quel Dio mortale al quale noi
dobbiamo la nostra pace e la nostra difesa; infatti per mezzo di questa autorità
datagli da ogni particolare individuo dello stato, è tanta la potenza e la forza che gli
sono state attribuite e di cui usa, che con il terrore di esse è in grado di informare
tutta la pace interna e la libera scelta contro i nemici esterni e da poter difendere i
cittadini nei confronti dei pericoli esterni”.
************************30 minuti*********************
L’idea è che fuori dallo stato non c’è diritto, non c’è solo libertà, c’è solo l’ arbitrio e
dall’arbitrio nasce soltanto insicurezza, tentativi di sopraffazione, guerra di tutti
contro tutti.
Vi ricorderete che l’idea di Stato di natura proposta da Lockè molto diversa da quella
proposta da Hobbs ed è molto diversa perché Lock non si raffigura uno stato di
natura come uno stato privo di leggi, privo di diritti, nello stato di natura c’è il diritto
naturale e il diritto naturale significa il riconoscimento dei diritti primari degli
individui e i diritti primari degli individui sono i diritti di libertà e i diritti di proprietà,
tant’è vero che nel suo trattato di un governo Lock spende molto tempo sul tema
della acquisizione originaria delle proprietà delle terre. Come si acquistano le terre
nello stato di natura?
Questo a testimonianza del fatto che non è l’assenza di diritto a distinguere lo stato
di natura dalla società civile.
Il problema per cui Lock si scrive nella tradizione del contrattualismo e presuppone
che ci vuole un accordo tra cittadini per fare nascere lo stato è che il diritto nello
stato di natura è instabile ed è soggetto alle passioni umane e le passioni degli
individui possono produrre una situazione di conflitto permanente, perché
ovviamente il fatto che esiste il diritto nello stato di natura non implica, per la
natura umana, che il diritto non possa essere violato.
E quando il diritto viene violato nello stato di natura, visto che non esistono
istituzioni, le violazioni deidiritti da chi vengono sanzionate?
Questa situazioneuna volta che si diffonde all’interno della società che produce, una
situazione di instabilità di potenziale conflitto permanente e quindi anche per Lock
bisogna cercare di uscire dallo stato di natura, ma uscire dallo stato di natura perché
nella società civile ci sono delle istituzioni, ci può essere un ambito, un giudice, che
possa disciplinare le controversie sulle violazioni del diritto.
Secondo voi, pensate alla ricostruzione del pensiero di Lock, ci sono dei limiti più
ampi per la sovranità dello Stato?
La sovranità statale ha dei limiti ed i limiti alla sovranità dello stato sono
rappresentati dai diritti Naturali degli individui presenti nello Statodi natura.
Questo significa che, per Lock, lo Stato deve essere obbedito; c’è un obbligo di
obbedire al diritto nella misura in cui il diritto non contravvenga il diritto naturale.
Il diritto è un prodotto dello Stato, per Hobbs si sacrifica l’individuo sull’altare della
società mentre per Lock l’individuo viene prima della società.
Sulla base del consenso che abbiamo dato, Noi abbiamo l’obbligo di obbedienza al
diritto nella misura in cui il diritto sia giusto,nella misura in cui anche lo stato rispetti
il suo obbligo, quello di preservare il diritto naturale.
All’interno di questo discorso ci sono aspetti diversi, cioè che comunque in entrambi
i casi, sia nel caso di Hobbs in cui l’obbligo è assoluto, sia nel caso di Lock per il
quale l’obbligo è condizionato agli effetti delle norme del diritto naturale,però da
252
Questo argomento vale soltanto per gli individui di cui si possa dire effettivamente
che abbiano prestato il loro consenso a un determinato regime.
E questo non si può dire di tutti perché la maggior parte degli individui si trovano
accidentalmente a vivere sotto un determinato regime piuttosto che scegliere
liberamente.
L’idea che lo stato nasce dal consenso è una finzione non solo inutile, ma anche
distorsiva della realtà.
E qua al contrario non si può paragonare l’adesione al circolo del tennis, alla
partecipazione ad essere cittadini dello stato sono cose radicalmente diverse.
Di chi si può dire che ha prestato consenso ad essere cittadini dello stato italiano?
Certamente i padri costituenti, quelli che hanno prodotto e approvato la
costituzione certamente si può dire che hanno prestato consenso, magare anche di
chi acquisisce una carica pubblica si può dire che ha prestato il proprio consenso, ma
tutti gli altri? Abbiamo prestato un consenso?
Però c’è una contro obbiezione a questa obbiezione che è già presente in luce nel
Critone, è la contro obbiezione del consenso tacito; il fatto che Socrate abbia speso i
suoi settanta anni di vita ad Atene è una prova del fatto che lui si è tacitamente
impegnato a rispettare le leggi, così come tutti noi , se non abbandoniamo questo
stato per andarcene in un altro Stato, tacitamente, col nostro semplice
comportamento, stiamo acconsentendo a sottometterci alle leggi dello stato
italiano. Ma anche questo è un argomento quello del consenso tacito che consente
di chiudere il discorso? Direi di No.
253
Il semplice fatto che tutti noi restIamo dove stiamo non può essere utilizzato come
un argomento che abbiamo prestato consenso, che abbiamoaccettato di
sottometterci alle leggi dello stato.
Così come qualcuno che si trova in una nave in tempesta non si può dire che abbia
accettatoa porsi sotto l’autorità del Comandante.
Nella nostra vita ci sono una serie di vincoli senza che questa implichi una adesione
espressa alle leggi dello Stato.
Hume dice che non c’è nessun Contratto sociale,questa finzione del contratto
sociale non è utile ed è anche distorsiva della realtà perché nessuno si è
esplicitamente impegnato a rispettare le leggi dello Stato di diritto.
parte 2
3. L’argomento dell’Autorità
• le Autorità teoriche
254
Le autorità teoriche sono quelle autorità alle quali noi ci affidiamo per capire come
è fatta la realtà, (perchè voi credete che la terra sia rotonda perché ce lo dicono gli
scienziati).
Innanzi tutto qualora loStato sia un’autorità in quale categoria rientra? Quella
pratica.
Esempio: voi studiate filosofia del diritto per diverse ragioni, l’autorità pratica
contribuisce a fare una differenza tra le diverse ragioni che vi inducono a studiare
filosofia piuttosto che andare al mare.
Quindi bisogna stare attenti e bisogna non confondere l’autorità con altre nozioni
che sono simili a quella dell’autorità, ma che non coincidono e tendono ad essere
confuse con la nozione di autorità.
Allora dire che cosa è giusto corrisponde a chi batte i pugni sul tavolo, allora il
diritto che è posto dal Sovrano è necessariamente giusto e deve essere obbedito.
Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è stabilito con la forza.E quindi il diritto può
essere ingiusto sulla base di questa idea della giustizia.
In questo caso - dice Bobbio -si tratterebbe di un obbligo per costrizione, perché
abbiamo paura di subire le sanzioni da parte dell’Autorità.
Il sovrano quindi per Hobbs non è altro che un arbitro, su larga scala, che ha il
potere di stabilire ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, quindi in questo caso
l’argomento giustificativo è giustificato dal fatto che noi abbiamo dato il nostro
consenso al potere dello stato.
• Abbiamo visto che riconoscere l’autorità pratica significa fare quello che
l’autorità ci ha chiesto di fare per il solo fatto che ce lo ha richiesto l’Autorità.
E’ vero che Hobbs attribuisce all’Autorità statale un potere molto ampio, ma anche
secondo Hobbs ci sono dei limiti a questo potere del Sovrano, limiti concettuali,
perchè il sovrano deve rispettare i diritti naturali: quali il diritto alla vita etc.
Il sovrano può stabilire la pena di morte? Questo è discutibile, proprio perché la sua
funzione è garantire la vita degli individui a lui sottoposti.
Ma nella misura in cui ci sono dei limiti, nel momento che noi cittadini scegliamo il
comando del sovrano, siamo autorizzati a pensare che il sovrano sta travalicando i
propri limiti.
Se noi dobbiamo fare quello che il sovrano ci dice di fare per il solo fatto che ce l’ha
detto non è ammissibile un atteggiamento critico o riflessivo nei confronti di quello
che ci chiede di fare, ma se il sovrano ha dei limiti,il sovrano ha rispettato la propria
parte del patto oppure no e quindi questa non è una giustificazione del tutto
convincente dell’argomento .
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Ora anche questa giustificazione dell’autorità dello stato è una giustificazione che
ha i suoi limiti, perchéil potere carismatico funziona in modo emotivo e
irrazionale, è unpo’ come un’influenza simbolica.
Se le cose stanno effettivamente così come dice Heghel allora che cosa sono le
Leggi dello Stato?
Le leggi dello Stato sono la manifestazione della volontà dello Stato (del
Sovrano – di chi ha il monopolio dell’uso della forza) e quindi le leggi dello Stato
per questa connessione con lo Stato, hanno sempre e comunque un valore etico
e quindi se sono la manifestazione della eticità, allora tutte le leggi devono
essere obbedite sempre e comunque, tutte le leggi sono etiche e il suddito non
deve fare altro che ubbidire.
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E questa idea è espressa molto chiaramente anche nel vangelo; c’è un passaggio
famosissimo nella lettera ai romani di Paolo in cui dice: “ciascuno stia sottomesso
alle autorità costituite poiché non c’è autorità senza non da Dio e quelle che
esistono sono stabilite da dio, quindi chi si oppone all’autorità si oppone all’ordine
stabilito da Dio”.
Ora questo ci fa capire con grandissima chiarezza quali sono i limiti dell’argomento
autoritativo e perché l’argomento dell’autorità debba essere rigettato, perché
questo argomento porta in sé il rischio della abdicazione da parte di ciascun alla
propria autonomia ed è un viatico per il totalitarismo, guardato in questo modo
porta il rischio di far sviluppare il totalitarismo.
E ancora una volta questo è spiegato molto bene dal Hanna Arendt nel suo libro: Le
origini del totalitarismo
Arendt scrive: “il regime totalitario sostiene che lungi dall’essere senza legge va alle
fonti dell’autorità da cui il diritto positivo ha ricevuto la sua legittimazione, che lungi
dall’essere arbitrario è piùossequiente a queste forze sovrumane di qualsiasi
precedenti governi che lungi dall’esercitare il potere nell’interesse di un solo uomo, è
pronto a sacrificare l’interesse di migliaia di uomini all’attuazione di quella che
considera la legge della storia o della natura”
Il regime totalitario è quello che incarnando la volontà di Dio può mettere sotto i
propri poteri le esigenze e i diritti di ciascuno degli individui che si trovano sotto il
suo potere.
Una persona morale per Kant è quella che agisce secondo Norme che possono
essere considerate regole universali.
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Conclusioni
Ritengo che questo sia l’atteggiamento migliore per essere cittadini consapevoli.
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