Sei sulla pagina 1di 7

Tel Quel e il Surrealismo.

Trasgressione, scrittura, esperienza-


limite
Jacqueline Risset

Metafora militare con un’ulteriore origine teologica (legge ecclesiastica che interessa la
fede e la disciplina religiosa), il termine “canone”, originario della Grecia classica e
indicante le regole per determinare le proporzioni ideali, perde completamente di senso
quando si parla di avanguardia. Più precisamente, l’avanguardia può definirsi come un anti-
canone. Se parliamo di avanguardia seconda (Tel Quel dopo il surrealismo), si tratta forse
di un anti-canone nella misura in cui questo movimento può essere definito come spazio di
un’esperienza che si vuole fondamentalmente altra.

Gli inizi di Tel Quel, il movimento fondato intorno all’omonima rivista (1960-1982),
non sembrano strettamente avanguardisti. Al contrario, stando alla stampa e alla critica
dell’epoca, le denominazioni canoniche proliferano: Tel Quel come “nouveau
romanstisme”, “nuovo Nouveau Roman” e persino “nuovo Parnasse” o ancora “nuova
Nouvelle Revue Française”. Si tratta, ad ogni modo, di affermare un’appartenenza alla
letteratura – appartenenza rinnegata dai surrealisti e invece rivendicata dai telqueliani per i
quali si tratta in effetti di “ridare un senso alla letteratura” – affermazione che suonava
allora ancora come una sfida. Il surrealismo rifiutava la tradizione letteraria; Tel Quel
voleva una letteratura libera, contro le parole d’ordine dell’engagement sartriano. Fondata
da sei giovani romanzieri, Philippe Sollers, Boisrouvray, Jacques Coudol. Jean-Edern
Hallier, René Huguenin, Renaud Matignon, la rivista si presentava come espressione
dell’esigenza di una certa qualità letteraria intrinseca e di una vera coscienza critica.
Più che alle riviste surrealiste, Tel Quel faceva pensare a quella pubblicata a Roma tra il
1948 e il 1960 (il cui ultimo numero coincide con l’uscita del primo numero di Tel Quel),
Botteghe Oscure, diretta da Marguerite Caetani (la quale aveva già fondato nel 1924 a
Parigi la rivista Commerce con il sostegno di Paul Valéry, di Léon-Paul Fargue e di Valery
Larbaud).
Quando, nel 1965 entrai in contatto con Tel Quel, ebbi l’occasione di sentire Sollers e
gli altri giovani scrittori del comitato di redazione esprimere ammirazione e nostalgia per
quella grande rivista romana, la cui pubblicazione era terminata proprio nello stesso
momento in cui nasceva Tel Quel; ammirazione e nostalgia anche nei confronti
dell’incomparabile Marguerite Caetani. Le lettere che i collaboratori di Botteghe Oscure
inviavano a Marguerite Caetani, in particolare quelle dei francesi, mostrano la stessa
ammirazione. Marguerite Caetani preferiva la poesia rispetto alla prosa e il suo consigliere
per la Francia era René Char ma pubblicava già dei testi che si collocavano al di là dei
generi letterari (come quelli di Bataille, di Blanchot, di Michaux, di Ponge) in un’ottica che
potremmo definire pre-telqueliana.1

1
J. Risset, “Un’internazionale di spiriti liberi” in Botteghe Oscure. La corrispondenza con gli scrittori
francesi (1942-1960), dir. di J. Risset, L’Erma di Bretschenider, Roma, 2007.
Il primo numero di Tel Quel, che si apre con un testo di Ponge, La Figue sèche, e termina
con il suo Proème, contiene un’esplicita dichiarazione dei giovani romanzieri che formano
la redazione. Ciò che vogliono è sottrarre agli ideologi la riflessione sulla letteratura
riportando questa riflessione sull’atto stesso della scrittura, senza tenere conto delle
riflessioni sviluppate altrove. Non abolizione, ma autonomia della letteratura, coscienza
critica e creazione poetica indivisibili. Philippe Sollers scriverà qualche anno dopo:

Forse il sintomo più impressionante della letteratura moderna è la comparsa


sempre più viva per nostri occhi di una modalità di scrittura diversa, unitaria,
globale, in cui le distinzioni di genere, radicalmente abbandonate, lasciano il
posto a ciò che occorre semplicemente chiamare libri – ma dei libri per i quali,
si potrebbe dire, nessun metodo di lettura è ancora praticamente definito2.

Sollers prosegue affermando che questo metodo è in realtà proposto in filigrana


all’interno dei libri stessi. “Metodo latente e fondamentale rispetto al quale questi
libri si elaborano”. E Marcelin Pleynet, che nel 1960 non fa ancora parte del comitato
della rivista (ma che ha pubblicato un testo nell’ultimo numero di Botteghe Oscure)
definirà in Théorie d’ensemble, che è il primo volume dedicato alla poesia
telqueliana, la sua concezione della poesia: “la nuova poesia non può essere altro che
critica. Questo tipo di canto è la critica stessa”.

Nel 1960, fatta eccezione per la recente apparizione del Nouveau Roman e la
presenza di alcuni scrittori che proseguivano silenziosamente il loro cammino
solitario (Blanchot, Bataille, Beckett e qualcun altro), si poteva percepire nella cultura
francese una sorta di aridità generale intorno alla nozione di engagement sartriano.
Sartre, esemplare per il coraggio civile di fronte al regime di Charles de Gaulle e per
l’autenticità della sua operazione intellettuale, possedeva tuttavia un ruolo
semplificatore nel dibattito culturale e letterario.
Quando un gruppo di giovanissimi scrittori decise, fondando Tel Quel, di
riprendere in mano la riflessione sull’atto della scrittura, sembrò a molti lettori che il
dibattito sulla letteratura potesse emanciparsi. Era l’epoca della guerra d’Algeria; gli
intellettuali francesi firmavano ogni giorno varie petizioni contro la politica del
governo. A Tel Quel, sebbene fosse nota l’appartenenza alla sinistra di alcuni membri
del comitato, nessuna preoccupazione politica sembrava trasparire dai testi che
venivano pubblicati: fatto sorprendente, a tratti inquietante. La radicalità dell’impresa
venne precisandosi poco a poco. L’atto della scrittura doveva essere scrutato in tutte
le sue implicazioni filosofiche, linguistiche, psicanalitiche.
Nel 1965, quando iniziai a collaborare con la rivista, il piccolo studio della rue
Jacob era un focolaio straordinariamente vivo di esperienze e di confronti. Diverse
opere erano state appena pubblicate, Drame di Sollers, Comme di Pleynet, un numero
speciale su Artaud, un altro su Dante ancora in preparazione. Nello studio arrivavano
in continuazione dei manoscritti di giovani intellettuali, scrittori, filosofi che
leggevamo con passione, colpiti da quella vicinanza “in progress”: il primo saggio di
Derrida sulla grammatologia, i testi di Deleuze, di Foucault; Barthes, presente sin dai

2
Ph. Sollers, “Critique de la poésie”, in Logiques, Seuil, Paris, 1968, p. 206.
primi numeri della rivista e Lacan, il quale non aveva ancora pubblicato gli Écrits, ci
veniva spesso a trovare in veste amichevole. Ogni giorno i rapporti si intensificavano,
si rinforzavano. Per quanto mi riguarda non ho mai trovato altrove una tale atmosfera
di effervescenza intellettuale. Sollers ne era il centro.
Défi, il primo racconto di questo scrittore di appena vent’anni, era stato pubblicato
due anni prima nella rivista Écrire diretta da Jean Cayrol per la casa editrice Seuil;
Sollers descriveva la ribellione di un adolescente nei confronti della famiglia e della
società. In epigrafe c’era una frase di Breton: “è in una potenza estrema della sfida
che alcuni esseri, molto rari, si riconosceranno sempre”3. L’affinità profonda così
segnalata in questa prima attività di scrittore non sarà mai completamente smentita e
ciò malgrado i periodi di allontanamento e di critica. La pubblicazione del primo
romanzo, Une curieuse solitude, suscitò l’entusiasmo di Aragon e Mauriac come si
trattasse della nascita di un giovane confratello il quale, però, rifiutò questa doppia
paternità citando coloro che erano per lui i veri padri fondatori: Bataille e Ponge.
In seguito, sfida e ribellione saranno sempre il motore della scrittura di Sollers.
Sfida agli altri e a se stesso, come la decisione di lottare contro il sonno, contro
l’inerzia sempre all’erta – l’identità scelta diventa quella dello spirito che sveglia
(sollers, in latino, è lo spirito di Ulisse, di Ulisse dai mille inganni, dell’Ulisse-
nessuno). L’altro motore – che è certamente più vicino a Rimbaud e Dante che a
Breton – è il paradiso, titolo dei due volumi Paradis I e Paradis II (1981 e 1986), i
quali formano un lungo racconto senza punteggiatura (“qui si punteggia
diversamente, con la voce, con il respiro, con l’orecchio”), scandito dal ritmo del
decasillabo. E l’intero percorso di Sollers scrittore può essere interpretato come sfida
e paradiso, come un incessante viaggio tra questi due poli4.
Quando, nel 1960, insieme ad altri giovani scrittori, fonda la rivista Tel Quel che
diventa rapidamente il luogo e l’emblema della neoavanguardia francese, Sollers ne
è in maniera del tutto naturale il leader. Possiede l’autorità naturale di Breton, la sua
tagliente intransigenza nella polemica, l’imprevedibilità e la molteplicità degli
obiettivi. Anche se Breton, estremamente attivo, mostra nei confronti del giovane un
atteggiamento amichevole e attento, Sollers prende le distanze dal surrealismo.
Rimprovera a Breton si essersi lasciato catturare dalle Sirene dell’occulto e dello
spiritualismo invece di privilegiare l’energia della ribellione iniziale. Gli anni ’60
sono quelli dello sviluppo del neo-surrealismo nei confronti del quale gli scrittori di
Tel Quel esprimeranno più che una semplice distanza: una vera e propria
esecrazione5.
Nel numero 17, che contiene gli interventi al convegno di Cerisy Une littérature
nouvelle? Michel Foucault dedica un lungo saggio ai testi prodotti dagli scrittori della
rivista. “Perché leggo Tel Quel?”, si chiede Foucault e in risposta evoca “le
esperienze spirituali” (“ma il termine non è adeguato”, aggiunge) che vi si trovano
descritte: “sogno, follia, irragionevolezza”. E continua: “tali esperienze formano una
costellazione, la si trova pressoché delineata già tra i surrealisti. Non è un caso che
Sollers faccia riferimento a Breton”.

3
Cfr. Ph. Sollers, “Le Défi”, in Écrire, 3, Seuil, Paris, 1957.
4
Cfr. J. Risset, “Sfida e Paradiso. Elogio dell’infinito, Sollers”, in Il silenzio delle sirene, Donzelli, Roma,
2006, p. 183-188.
5
Tel Quel 46, été 1971, p. 35-40.
In effetti, in Logique de la fiction, Sollers afferma: “Uno dei contributi essenziali
del surrealismo è di aver promosso al rango di attenzione poetica le dimensioni
logiche particolari”. E spiega, in una lunga nota:

è noto come Breton abbia insistito sull’importanza della “rappresentazione


mentale pura” e sulla conciliazione dialettica di questi due termini
violentemente contraddittori per l’adulto: percezione e rappresentazione. Per
altri versi, egli ha preconizzato (nel secondo manifesto) “un romanzo in cui la
verosimiglianza del decoro cessi, per la prima volta, di privarci della strana vita
che gli oggetti, anche quelli meglio definiti e più comuni, hanno solo durante i
sogni.

Infine, rispetto alla posizione di decifrazione:

Il mondo, a partire da qui, si offre a lui come un crittogramma che resta


indecifrabile fino a quando non ci si piega alla ginnastica acrobatica che
permette di passare a nostro gradimento da uno spazio all’altro.

D’altronde, nello stesso testo del numero 17, Foucault definisce la differenza
fondamentale tra la prospettiva surrealista e quella telqueliana:

I surrealisti esplorano uno spazio psicologico: nelle loro esperienze essi


scoprono un altro mondo, quel “al di là” o “al di qua” del mondo che per loro
costituiva la base di ogni ragione. Per Tel Quel, al contrario, si tratta dello spazio
del pensiero: livello di esperienza difficile da formulare: occorre pensare un
certo numero di prove-limite, completamente enigmatiche.

“Ma mi sembra”, scrive ancora Foucault, “che ci sia un secondo punto”:

In fondo, per i surrealisti, il linguaggio non era altro che strumento d’accesso
oppure superficie di riflessione per altre esperienze. Il gioco di parole o lo
spessore delle parole erano semplicemente una porta socchiusa verso un fondo
psicologico e cosmico… Ho l’impressione che per Sollers il linguaggio sia al
contrario l’ampio spazio all’interno del quale si fanno queste esperienze; da qui,
l’importanza per lui di qualcuno come Ponge. E il doppio patrocinio di Ponge e
Bataille trova pienamente senso: il problema è pensare e parlare – è quanto
Sollers definisce l’intermédiaire” 6.

Ed è in quest’ottica che Foucault parlerà successivamente, in Théorie d’ensemble,


di uno spazio di réseau (rete), dove esperienze differenti, contemporanee, trovano il
proprio posto e la loro azione le une rispetto alle altre:

un rapporto visibile e identificabile in tutti i suoi elementi che non sono né


dell’ordine della somiglianza né dell’ordine della sostituzione e che definiscono,
senza privilegio né coronamento, l’ampiezza di una rete7.

6
M. Foucault, “Débat sur le roman », in Tel Quel 17, printemps 1964, p. 12-13.
7
M. Foucault, “Distance, aspect, origine”, in Théorie d’ensemble, Seuil, Paris, 1968, p. 18.
L’anno 1965 è, per Tel Quel, quello della pubblicazione di tre libri importanti,
Drame di Sollers, Comme di Pleynet, Les Idées centésimales de Miss Elanize di Denis
Roche. E, al di fuori di Tel Quel, ma ad esso molto vicini, la pubblicazione di De la
grammatologie di Jacques Derrida e della prima parte di Les Mots sous les mots di
Jean Starobinski a proposito degli anagrammi di Saussure. Nel 1966 vennero
pubblicati con Seuil gli Écrits di Lacan, anch’essi molto vicini a Tel Quel nel loro
essere un “ritorno a Freud” contro gli occultismi e gli psicologismi che proliferavano
intorno ai discepoli di Jung. “L’inconscio è strutturato come un linguaggio”
affermava Lacan, appoggiato dagli interventi di Roman Jakobson nel già allora
famoso seminario del mercoledì. Todorov aveva già pubblicato i formalisti russi nella
collezione “Tel Quel” e Julia Kristeva era appena arrivata dalla Bulgaria per seguire
i corsi di Barthes al Collège de France e creare, proprio a partire dalla semiotica
barthesiana, la nuova semanalisi.
Nel 1966 moriva André Breton: Aragon si appropriò immediatamente del suo
pensiero e lo deformò insieme ai neosurrealisti. Molto più in là, nel numero 46, quasi
interamente dedicato al surrealismo con un dossier che comprendeva in particolare
due saggi di Jean-Louis Houdebine, Position politique et idéologique du néo-
surréalisme e Méconnaissance de la psychanalyse dans le discours surréaliste; saggi
dai quali emerge che la valorizzazione del “subliminale” operata dai neosurrealisti
finisce per oscurare la scoperta dell’inconscio. Nello stesso dossier, Sollers indica la
percezione fantasmatica di Lautréamont da parte dei surrealisti, una “sopra-
valorizzazione” (Lautréamont come idolo poetico-religioso) che è sintomo dei loro
limiti idealisti.
Senza dubbio, però, ancora più del periodo estremamente politicizzato del 1971 (è
l’epoca della tentazione maoista e dei daezibao sui muri del piccolo studio), è nel
maggio del 1968 che appare in maniera più evidente la natura della distanza di Tel
Quel rispetto al surrealismo e a Breton e ciò attraverso la pubblicazione di un testo di
Bataille del 1931 e allora ancora inedito: La “vieille taupe” et le préfixe sur dans les
mots surhomme et surréaliste”. Questo testo denunciava in maniera arguta la
posizione idealista di Breton attraverso il suo identificarsi con la figura dell’aquila,
figura a cui Bataille opponeva quella della “vecchia talpa di Marx”, la sola che fosse
in grado, attraverso il lavoro di scavo sotterraneo, di scuotere le fondamenta della
società capitalista. Bisogna notare che la fedeltà, o meglio, la vicinanza al pensiero
di Bataille è uno dei tratti caratteristici di Tel Quel e che i rapporti della rivista con
Bataille rivelano in particolare la storia del controverso legame di quest’ultimo con
il surrealismo. Il testo sulla vecchia talpa risale all’epoca di Documents, una rivista
che può essere considerata un’impresa anti-surrealista e antidealista di Bataille,
conseguenza della violenta rottura generata dal secondo Manifesto. In seguito, vi fu
un avvicinamento politico significativo tra Bataille e Breton di cui il movimento
antifascista “Contre Attaque”, fondato dai due nel 1935, è un’importante
manifestazione. All’indomani della guerra, malgrado la distanza e il contrasto tra Les
Temps Modernes e Critique, Bataille e Sartre cominciarono ad avvicinarsi. Questo
fino al momento in cui Bataille, al quale Merleau-Ponty aveva chiesto un articolo per
Les Temps Modernes, rifiutò contro ogni previsione di partecipare la numero della
rivista a causa della pubblicazione di un nuovo articolo di Sartre contro il surrealismo
che Bataille riteneva ingiusto e superficiale; infine, pochi mesi prima della sua
scomparsa, durante l’ultima intervista con Madeleine Chapsal, Bataille definì il
movimento surrealista come una vera ribellione, “una specie di rabbia” 8.
Il percorso di Tel Quel non è tuttavia calcato su quello di Bataille. Esso ha origine
da una storia diversa, ma la prossimità resta evidente. Al convegno di Cluny del 1970
l’opinione di Sollers si trova chiaramente espressa (essa comporta allora anche un
punto di vista negativo sulla letteratura, molto distante dalle posizioni iniziali della
rivista e anche dalla nuova considerazione della letteratura e della poesia che avrebbe
avuto luogo negli anni successivi, dopo il periodo che potremmo definire “sovra
politicizzato):

Il movimento surrealista ha al tempo stesso posto e in seguito disconosciuto tutti


i problemi con i quali si trova necessariamente a doversi confrontare
un’avanguardia occidentale la cui attività “letteraria” non è altro che un nome
preso in prestito allo spazio di un sapere ormai morto9.

E ancora: “André Breton a definito l’oggetto della nostra ricerca e lo ha coperto


con un velo di interpretazioni di senso contrario”.
In quest’ottica, il convegno di Cerisy del 1972, il quale comprendeva i due versanti
di Artaud e Bataille, assumerà esplicitamente, secondo gli organizzatori, il senso di
una “leva per rovesciare la storia comunemente accettata del surrealismo”.

A partire dal 1973 sembra sia giunta l’ora, per tutto il gruppo, di “riconciliare la
rivoluzione poetica e la rivoluzione politica” nell’ambito dei vari lavori in corso. È
anche l’epoca del “soggetto in processo” secondo Lacan. Al di là del maoismo rinasce
l’ispirazione “cinese” del primo Tel Quel (legato alle opere di Joseph Needham e
Marcel Granet).
Nel 1977, a Beaubourg, Sollers interviene con un testo dal titolo Crise de l’avant-
garde? e ripensa alla storia dell’arte moderna come a una successione di crisi:
l’avanguardia contemporanea non può evitare (come invece fece in gran parte il
surrealismo) il confronto tra marxismo e psicanalisi. Si tratta di rifiutare un “ritorno
al di qua” e di tentare quanto egli definisce “un superamento di questo nodo”. È allora
che Sollers introduce a Tel Quel una sfera del pensiero completamente inaspettata:
ciò che egli chiama “cattolicesimo paradossale”, ricco di una “modernità filosofica”
perché in grado di trattare “l’illusione religiosa” (di cui Breton sembrava a volte la
vittima) non più negandola come illusione ma considerandola come illusione
“inestirpabile”. Il cattolicesimo sarebbe allora da considerarsi come un “sistema
vertiginoso e contro natura” dove il sacro “si esilia nella presenza paradossale di un
verbo”, autorizzando una vita non sottomessa agli idoli, sfociando così in quanto può
essere considerato oggi “il solo ateismo rigoroso”. Vicino alle teorie di René Girard,
Sollers rilegge la Bibbia come ripresa di un modello sacrificale e la sua denuncia, in
definitiva, come una possibilità di rottura con il sacro10.

8
G. Bataille, in M. Chapsal, Les écrivains en personne, Paris, Juillard, 1973, p. 27.
9
Ph. Sollers, “Littérature et idéologie”, in La Nouvelle Critique, 1970.
10
Ph. Sollers, “Crise de l’avant-garde ? » in Art Press, mars 1978. Su questo periodo cfr. J. Risset, Les vingt
ans de Tel Quel, in Tel Quel, Quaderni del Novecento francese 6, a cura di J. Risset, Rome-Paris, Bulzoni-
Nizet, 1980; e Ph. Forest, Histoire de Tel Quel 1960-1982, Seuil, Paris, 1995.
Dal 1979 al 1983 (fine di Tel Quel e nascita di L’Infini presso Gallimard, con la
stessa presentazione grafica e la stessa periodicità – quattro numeri per anno,
corrispondenti alle quattro stagioni), i tre nomi che dominano e scandiscono le pagine
della rivista sono quelli di Bataille, Joyce e Céline in quanto autori delle tre più grandi
imprese di scrittura del ventesimo secolo. “Le grandi irregolarità del linguaggio” di
Georges Bataille, il quale introdusse una messa in discussione radicale dei valori che
sostenevano ciò che egli chiamava ironicamente in Documents “la figura umana”;
passaggio costante delle frontiere, fine delle lingue “nazionali”, messa in discussione
di ogni comunità per Joyce, reinvenzione dell’uno e del molteplice in quell’ “oratorio
per la fine dei tempi” che è Finnegans Wake. In Céline, invenzione di una lingua
inedita, coro sincopato, ritmica imprevedibile e segno profondo dell’errore moderno.
Il surrealismo sembra a questo punto molto lontano.

Tuttavia, in un recente numero dell’Infini (104, automne 2008), con il titolo di


“Magique Breton”, Sollers rende un fervente omaggio al fondatore della prima
avanguardia: omaggio che è prima di tutto politico e legato alla lotta che Breton ha
da sempre condotto contro il linguaggio destituito della sua potenza nativa: negli
stereotipi che imprigionano l’adulto contemporaneo (Primo Manifesto), nei giornali
sovietici nel momento in cui l’Unione Sovietica costituiva per gli intellettuali europei
l’illusione di un mondo nuovo (come si vede nel discorso del Congrès des Écrivains
nel 1935, quando quella di Breton fu l’unica voce contraria, scettica nei confronti del
paradiso socialista). “Attraverso le lotte storiche, niente, in definitiva, è più politico
dell’attaccare senza sosta la ‘tirannia di un linguaggio avvilito’”, scrive Sollers nel
2008, affermando al tempo stesso la propria vicinanza e l’ammirazione per le cause
e la coerenza del fondatore del surrealismo: “André Breton non è mai venuto a patti
con le tre cause che aveva sposato sin dall’inizio, la poesia, l’amore, la libertà”.
L’articolo del 2008 si conclude così: “Quella magnifica dichiarazione secondo cui
la nostra misera epoca di cinema pubblicitario si vede infine per ciò che è”. Il
surrealismo sembra allora ritrovare oggi l’attualità della propria rivolta.

Potrebbero piacerti anche