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LLLE ANEMIE

L’anemia è una diminuzione dei livelli di emoglobina, non necessariamente del numero di globuli rossi; ci
sono infatti anemie in cui l’emoglobina è ridotta e i globuli rossi sono normali o anche un po’ superiori alla
norma.

I GLOBULI ROSSI
Molto rapidamente vediamo cosa fanno i globuli rossi.

Globuli rossi
 Strutture cellulari biconcave contenenti Emoglobina
 Trasportano Ossigeno ai tessuti
 Vita media 120 giorni
 4.4-5.9 x 1012 GR/L (m) ; 3.8-5.2 x 1012 GR/L (f)

È molto importante considerare le dimensioni del globulo rosso. Vi ricordate perché


i globuli rossi hanno questa forma e queste dimensioni?
Studente: Perché possono passare attraverso i capillari!
Prof: E capillari più piccoli del nostro organismo dove sono?
Studente: Nei polmoni!
Prof: E infatti i globuli rossi sono appunto costruiti in modo tale che nei capillari
polmonari si impilano. Infatti proprio per la loro struttura “a doppia orecchietta” hanno la massima
superficie rispetto al volume. Questo è molto importante dato che la loro superficie è la superficie di
scambio. Quindi se sono fatti così e hanno queste dimensioni è perché:
 devono passare attraverso i capillari più piccoli del nostro organismo impilandosi e
 devono aumentare il più possibile la superficie di scambio per fare il proprio lavoro, che è quello di
scambiare ossigeno.

Altra cosa che ci interessa è la vita media. Un globulo rosso ha una vita media di 120 giorni. Quindi da
quando viene rilasciato dal midollo in forma non completamente matura a quando viene distrutto in media
occorrono 120 giorni. È quindi una cellula (chiamiamola così) che ha una vita segnata. Perché questo?
Studente: Perché i globuli rossi non hanno nucleo e quindi lo stress ossidativo altera le strutture di
membrana e queste alterazioni espongono degli epitopi e nella milza…
Prof: Sì. I globuli rossi infatti fanno un lavoro “sporco” che è quello di trasportare ossigeno. L’ossigeno come
sapete ci serve ma è anche molto tossico, provoca infatti uno stress ossidativo. I globuli rossi hanno delle
strutture, gli enzimi antiossidanti, che sono limitati nel tempo perché, non avendo nucleo, non hanno la
possibilità di reintegrarli. Gli enzimi antiossidanti vengono quindi consumati man mano i globuli rossi
trasportano ossigeno  questo è un dato che ci interessa nelle anemie perché ci sono anemie particolari in
cui i globuli rossi hanno un’emivita ancora più limitata perché questi enzimi sono in quantità notevolmente
ridotta.

Normale turn-over cellulare


• Sopravvivenza media ~ 120 giorni
• I macrofagi del sistema reticolo-endoteliale (RE) rimuovono i GR “invecchiati”
– Non è chiaro quale sia il “marcatore” dell’invecchiamento eritrocitario
– La milza è la sede principale della clearance eritrocitaria
• Il sistema RE è extravascolare
– 90% della distruzione dei GR si verifica senza rilascio di Hb in circolo.
Sapete che i globuli rossi vengono distrutti soprattutto dal sistema reticolo endoteliale. Le alterazioni
ossidative provocano delle alterazioni di membrana che li rendono progressivamente riconoscibili dai
globuli bianchi che li eliminano dal circolo. La milza è la sede principale della clearence eritrocitaria.

La maggior parte del sistema reticolo endoteliale è extravascolare  il 90% della distruzione dei globuli
rossi si verifica senza rilascio di emoglobina in circolo. Quindi questo vuol dire che basta che ci sia un po’ di
più di liberazione di emoglobina in circolo che questa determinerà effetti o segni e sintomi evidenti.

L’ ESAME EMOCROMOCITOMETRICO

Esame emocromocitometrico
PARAMETRI ERITROCITARI:
Emoglobina (Hb) : Concentrazione emoglobina nel sangue g/dL
Globuli rossi (GR): numero/mm3
Ematocrito (Ht): esprime il volume di sangue occupato dai GR (%)
Reticolociti (Ret): globuli rossi “giovani” (appena rilasciati nel sangue, contengono ancora nel citoplasma
corpuscoli evidenziabili con colorazioni particolari)
COSTANTI CORPUSCOLARI:
Volume globulare medio (MCV) : 85-95 fl
Emoglobina corpuscolare media (MCH): 26-30 pg
Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC): g/dL
Distribuzione eritrocitaria (RDW): (% ) Coefficiente di Variazione
della distribuzione dimensionale dei Globuli Rossi.

Quando leggiamo un emocromo ci sono alcuni parametri su cui dobbiamo soffermarci.

Innanzitutto dobbiamo guardare l’emoglobina, che è la concentrazione di emoglobina nel sangue (quindi
gr/dl), il numero di globuli rossi e l’ematocrito, che è il volume che spetta ai globuli rossi rispetto al volume
del sangue, e i cui i valori sono un po’ diversi nell’uomo e nella donna e nei ciclisti.

I reticolociti sono i globuli rossi giovani, ed è un dato importante sapere quanti reticolociti ci sono in circolo:
vedremo infatti che ci sono anemie in cui i reticolociti sono pochi (e questo vuol dire che il midollo in
qualche modo non compensa o non produce) oppure anemie in cui i reticolociti sono tanti. Il dato dei
reticolociti quindi può essere importante nella diagnostica differenziale delle anemie. Mentre i valori di
emoglobina ed ematocrito sono importanti soprattutto per la diagnosi di anemia, il dato dei reticolociti può
aiutarci a fare diagnosi del tipo di anemia.

Molto importanti sono il volume globulare medio, come vedremo, e la distribuzione eritrocitaria (spesso
indicata con RDW). Il volume globulare medio è il valore medio del volume del globulo rosso. La
distribuzione eritrocitaria cos’è?
Studente: È la distribuzione delle dimensioni degli eritrociti rispetto a un valore medio.
Prof: Sì. Quindi avremo un valore normale più o meno qualche deviazione standard. Quando questo valore
medio è aumentato (cioè quando ci sono grandi deviazioni standard) ci sono globuli rossi con dimensioni
molto diverse. Questo dato è molto importante sia per la diagnosi che per la prognosi sia per il tipo di
risposta iniziale a qualche terapia in corso di anemia.

ERITROPOIESI

Eritropoiesi
La cellula staminale pluripotente è stimolata dall’ormone eritropoietina (rene) a proseguire verso la
differenziazione in cellula ematopoietica eritroblastoide.
• I proeritroblasti si dividono un certo numero di volte modificandosi (maturando) ad ogni generazione
successiva.
– Il contenuto in Hb aumenta progressivamente
– Il materiale nucleare e gli organelli citoplasmatici si riducono progressivamente.
• I reticolociti terminano la loro maturazione a eritrociti durante i primi giorni all’interno del circolo
ematico. Costituiscono circa l’1% della massa eritrocitaria

Per fare un globulo rosso…


Sostanze Necessarie per una Normale Eritropoiesi
• Aminoacidi (e Lipidi) — sintesi Hb, struttura delle membrane eritrocitarie
• Ferro — componente Hb (Eme)
• Rame - mobilizzazione del Fe dai tessuti
• Acido Folico e Vitamina B12 — sintesi di timidina trifosfato (DNA)
• Piridossina (Vit. B6) — Sintesi dell ‘Eme
• Riboflavina (Vit. B2) — coinvolta in reazioni ossidative e nel met. del Fe
• Vitamin E — protegge le membrane dei GR dal danno ossidativo
• Acido Ascorbico (Vit. C) — mantiene il Fe in forma ferrosa (Fe 2+ )

Ecco una cosa importante: per fare un globulo rosso ci vogliono tante cose:
• Ci vogliono amminoacidi e lipidi, perché il globulo rosso deve sintetizzare il suo contenuto
principale che è l’emoglobina, ma anche le strutture di membrana, gli enzimi necessari per la
sopravvivenza del globulo rosso sia dal punto di vista antiossidante che metabolico, e ci vogliono
comunque i lipidi perché la membrana dei globuli rossi è una membrana plasmatica come tutte le
altre e anzi con caratteristiche un po’ diverse.
• Poi ci vuole il ferro, che serve per fare l’emoglobina (EME),
• ci vuole il rame e
• ci vogliono le vitamine, come vitamina B12 e acido folico che servono per la sintesi del DNA, ci
vuole la vitamina B6, fondamentale per la sintesi dell’EME, la riboflavina che ha a che fare con il
metabolismo del ferro ed è coinvolta nelle reazioni di ossidoriduzione, la vitamina E che è un
antiossidante di membrana e protegge in qualche modo i globuli rossi dall’ossidazione, e la
vitamina C che è un antiossidante e serve per mantenere il ferro nella forma bivalente che è la
forma che poi si trova dentro l’EME.
Quindi ci vogliono tutte queste cose per fare un globulo rosso; se qualcuna di queste cose viene a mancare
può darsi che la produzione di globuli rossi, e quindi dell’emoglobina, venga in qualche modo influenzata,
ed ecco che potremo avere un’anemia genericamente carenziale. A seconda del tipo di carenza, il tipo di
anemia che avremo potrà essere un po’ diversa.

LE ANEMIE

La trattazione che faremo oggi sarà abbastanza approfondita ma tiene conto delle anemie “per scomparti”.
Nella realtà della gestione clinica del paziente è vero che possiamo avere dei pazienti che hanno delle
anemie pure caratterizzate da un problema solo, ma più spesso, soprattutto andando avanti con l’età, è più
facile trovare situazioni miste, che possono determinare problemi di diagnostica differenziale.

L’esempio più classico, molto semplice da capire, è quello che potrebbe succedere se il paziente avesse
contemporaneamente una carenza di ferro e una carenza di vitamina B12 e di acido folico. Infatti la carenza
di ferro provoca un’anemia di tipo microcitico e la carenza di B12 e folati provoca un’anemia di tipo
macrocitico  quindi una tira da una parte, l’altra tira dall’altra e ci potremmo trovare di fronte alla
situazione paradossale di avere un’anemia di tipo normocitico. Quello che allora ci aiuterà a fare diagnosi
differenziale potrà essere la distribuzione eritrocitaria. Se noi avessimo di fronte un’anemia microcitica pura
di tipo sideropenico l’RDW sarebbe piccolo (tutti i globuli rossi sono piccoli, sono uguali); viceversa se
avessimo di fronte un’anemia macrocitica. Se quindi trovo un’anemia normocitica con un RDW largo posso
pensare che c’è una situazione di tipo misto. E così tutte le volte in cui si sovrappongono le varie situazioni
che sono purtroppo situazioni reali e spesso non sono così facili da sbrogliare.

DEFINIZIONE

Condizioni patologiche caratterizzate dalla diminuzione del patrimonio emoglobinico dell’organismo


– <11.5 g/dL in donne adulte
– <13.5 g/dL in maschi adulti
• Compromissione degli scambi gassosi fra sangue e tessuti.
• Il numero di GR e/o il contenuto eritrocitario di Hb possono essere ridotti

Sostanzialmente si parla di anemia con valori di emoglobina sotto gli 11,5 gr/dl per le donne e sotto i 13, 5
gr/dl per gli uomini, anche se noi spesso parliamo di anemia per valori un pochino più bassi: sotto gli 11
gr/dl nelle donne e sotto i 12 gr/dl nell’uomo.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Anemie: clinica
• Sintomi

(da scarsa ossigenazione tissutale e ridotta disponibilità di energia) :

– affaticabilità
– palpitazioni
– a volte dolore agli arti (anche per lattacidemia)
– fenomeni irritativi a carico della lingua
– alterazioni del gusto e del tatto
– cefalea
– nei casi più gravi, angina
• Segni
- Pallore cute e mucose
- Ipotermia
Cui si aggiungono segni e sintomi legati alla causa dell’anemia e alle sue conseguenze su altri organi e
apparati (es. Ittero nelle anemie emolitiche; manifestazioni neurologiche nei deficit di vitamina B12 etc..)

Le anemie si manifestano con tutte le conseguenze legate alla carenza del trasporto di ossigeno, quindi il
soggetto è:
• facilmente affaticabile, è stanco,
• può presentare dolori agli arti non meglio definiti,
• spesso sono presenti fenomeni irritativi a carico della lingua,
• ci sono alterazioni del gusto e del tatto,
• spesso cefalea (segno molto frequente negli anemici),
• angina, soprattutto se il soggetto ha contemporaneamente problemi di tipo arteriosclerotico a livello
vascolare  è chiaro infatti che se il poco sangue che arriva è poco ossigenato la situazione non
può che peggiorare.

Tipicamente il soggetto anemico è pallido a livello di cute e mucose e può essere anche un po’ freddo.

Ovviamente a questi segni e sintomi dell’anemia che sono totalmente aspecifici si aggiungono i segni e i
sintomi legati alla causa dell’anemia. Per esempio se abbiamo un’anemia causata da carenza di B12 che il
paziente non assorbe perché ha il morbo di Crohn, è chiaro che ci saranno i segni e i sintomi del morbo di
Crohn. Se il paziente ha un’anemia perché ha un’ulcera che sanguina, e quindi ha un’anemia sideropenica
da carenza cronica, avrà i sintomi dell’ulcera che sanguina in maniera acuta o cronica.
In genere quindi la diagnosi di anemia si fa su una serie di parametri ma spesso è bioumorale.

INDAGINI BIOUMORALI E STRUMENTALI

• Emocromo con formula


• Parametri Marziali (Sideremia, transferrina, ferritina, saturazione della transferrina)
• Dosaggio vit. B12 e Folati; dosaggio Rame, Ceruloplasmina e Vit. B6
• Ricerca di sangue occulto fecale o di microematuria
• Indici di emolisi ( Bilirubina tot e diretta; LDH, CPK, SGOT, Aptoglobina)
• Dosaggi attività enzimatiche specifiche (G6PD, ala sintetasi, etc.)
• Funzionalità renale ed EGA; Funzionalità Epatica
• Valutazione Indici Nutrizionali
• Morfologia eritrocitaria (striscio periferico)
• ELF Hb
• Biopsia osteomidollare (con colorazioni specifiche)
• Esami radiologici (ossea)
• US e TC (milza, linfonodi e fegato)

Che indagini faremo per fare diagnosi di anemia? Faremo emocromo e assetto del ferro, quindi andremo a
vedere sideremia, ferritina e transferrina. Il ferro è la quantità di ferro presente circolante. La transferrina è
la proteina di trasporto del ferro. La ferritina è il ferro di deposito. La saturazione della transferrina è
quanto la transferrina è piena o relativamente vuota di ferro indipendentemente dalla sua quantità.
Mettiamo che un paziente venga da noi pallido e con 10 gr/dl di emoglobina, cosa facciamo? L’emocromo ci
consentirà di classificare l’anemia. Dovremo guardare la distribuzione eritrocitaria, poi l’assetto del ferro e
le vitamine: faremo dosaggio di vitamina B12 e folati, e se volessimo essere precisi doseremo anche la
vitamina B6, si può dosare anche il rame, qualche laboratorio dosa anche la vitamina C e anche la vitamina
E.
Perché ci può interessare anche la bilirubina? Se ci sono dei sintomi compatibili con una patologia emolitica
potremmo aspettarci un aumento della bilirubina. Un’altra parente stretta che potremmo aspettarci
nell’emolisi qual è? Studente: L’LDH. Prof: Sì, ma è ancora meglio guardare l’aptoglobina. L’aptoglobina è
una proteina che lega l’emoglobina che viene rilasciata in circolo, quindi si crea questo composto
aptoglobina-emoglobina che viene eliminato e di conseguenza l’aptoglobina in circolo cala.
L’elettroforesi dell’emoglobina potrebbe essere un altro esame importante perché ci consente di fare
diagnosi di talassemia, ma più genericamente di emoglobinopatie.
Un altro esame importante è il test di Coombs che serve per fare diagnosi di anemie autoimmuni e che si
distingue in diretto e indiretto. La differenza tra i due è che andiamo a vedere se gli anticorpi sono presenti
sopra i globuli rossi o in circolo.
Poi si possono fare le resistenze osmotiche. Cosa sono? Diciamo che il globulo rosso è una cellula: se lo
mettiamo in un ambiente ipertonico o ipotonico si restringe o si rigonfia. C’è una resistenza fisiologica a
questa attività osmotica, e ci sono situazioni in cui questa resistenza osmotica è ridotta e il globulo rosso
tende a distruggersi più facilmente, come nella sferocitosi.
Lo striscio di sangue periferico ci serve per fare diagnosi di sferocitosi, di anemia falciforme, poi ci può
servire nelle anemie da distruzione, ad esempio nella porpora trombotica trombocitopenica, nella
talassemia.
Altri esami sono la conta dei reticolociti e volendo la biopsia osteomidollare che ci può servire in certe
situazioni e gli esami di funzionalità epatica.
La glucosio 6 fosfato deidrogenasi e l’ala sintetasi possono servire per studiare ad esempio il favismo e
l’alterazione delle porfirie (il che vuol dire deficit di sintesi dell’eme).
Possono essere utili esami radiologici per vedere le ossa ed esami più approfonditi ad esempio per vedere
linfoadenopatie.
Si può cercare sangue occulto fecale. Altro dato fondamentale è la presenza di macro e microematuria.

CLASSIFICAZIONE

Per le anemie abbiamo una classificazione fisiopatologica e una morfologica. Direte che sono un fanatico
delle classificazioni, ma se le avrete in mente vi aiuteranno un sacco a fare la diagnosi. La classificazione
fisiopatologica è riferita al meccanismo con cui si determina l’anemia, quella morfologica è riferita
all’aspetto dei globuli rossi. Se le incrociamo insieme riusciamo a fare diagnosi di anemia.

Classificazione fisiopatologica

A. Da ridotta produzione di emoglobina:


• Da distruzione o alterazione funzionale delle cellule staminali, da cui insufficiente
produzione di GR
• Da distruzione dei precursori nel midollo con eritropoiesi inefficace
• Da difettosa sintesi della globina o dell’eme
B. Da riduzione del tempo di sopravvivenza dei globuli rossi:
• Da perdita secondaria a emorragie acute o croniche
• Da distruzione dei GR (emolisi)

Classificazione fisiopatologica significa che l’anemia può essere dovuta:


A. all’emoglobina che non viene prodotta,
B. oppure abbiamo una ridotta sopravvivenza dei globuli rossi,
quindi in un qualche modo l’emoglobina viene persa.

A. Quando ci possono essere situazioni da ridotta produzione di emoglobina?


• Tutte le volte che il midollo non produce globuli rossi,
• oppure perché i precursori vengono distrutti nel midollo,
• oppure perché in un qualche modo certi componenti dell’emoglobina, globina ed EME, sono
sintetizzati in quantità minore.
B. L’altra evenienza è che i globuli rossi siano prodotti normalmente ma vengano distrutti in eccesso
• perché c’è perdita, come in caso di emorragia acuta o cronica, in cui c’è perdita di globuli rossi ed
emoglobina,
• oppure perché i globuli rossi vengono distrutti in maniera eccessiva e il midollo non riesce a
rimpiazzarli pur funzionando normalmente.

Classificazione morfologica

La dimensione media del globulo rosso (volume corpuscolare medio) è un parametro essenziale nella
diagnosi differenziale dell'anemia.
In base a questo parametro si distinguono tre tipi di anemie:
microcitica (A),
normocitica (B)
macrocitica (C).

La classificazione morfologica distingue le anemie in 3 classi: micro, macro e normocitica in base alle
dimensioni del volume globulare medio. Questa è la classificazione più importante, è la prima che ci deve
venire in mente. Se noi guardiamo l’emocromo, l’occhio ci dovrà cadere prima sull’emoglobina e poi sul
volume globulare medio per capire che tipo di anemia è.

A. Microcitiche Ipocromiche (MCV< 80 fl ; MCH < 27 pg; GR ipocolorati):


• Anemia sideropenica
• Anemia sideroblastica
• Talassemia (e altre emoglobinopatie)
• Da carenza di rame e vitamina B6 (rare)
B. Normocitiche Normocromiche (MCV da 80 a 95 fl; MCH 27-32 pg):
• Anemie Emolitiche Acquisite (immunomediate e da trauma)
• Sferocitosi Ereditaria
• EPN, alcune emoglobinopatie
• Anemia aplastica
• Anemia da mielosostituzione
• Anemia delle Malattie Croniche
• Anemie da Perdita Acuta
C. Macrocitiche (MCV > 95 fl; MCH > 32 pg):
• Anemia da carenza di Vitamina B12 e acido folico (anemie Megaloblastiche)
• Altre anemie Macrocitiche (non Megaloblastiche)

Le anemie microcitiche sono 4:


• anemia sideropenica
• talassemia,
• anemia da carenza di rame e vitamina B6,
• anemia sideroblastica che spesso può andare insieme alla carenza di vitamina B6.
• Poi abbiamo anche l’ anemia da malattie croniche che può essere una possibile causa di anemie
ipocromiche.

Le anemie normocitiche sono le anemie in cui i globuli rossi sono normali.


• Si tratta quasi sempre di patologie che colpiscono il midollo che non produce in quantità sufficiente
(ma non perché gli manchi qualcosa),
• oppure abbiamo anemie da altri tipi di problemi come ad esempio la perdita acuta  è chiaro che
se il soggetto perde globuli rossi, i globuli rossi che sono in circolo sono comunque normali.
• Abbiamo poi le anemie emolitiche. Nelle anemie emolitiche, soprattutto in quelle autoimmuni, i
globuli rossi vengono distrutti, ma quelli che sono in circolo sono comunque normali.
• Anche nella sferocitosi ereditardia il volume globulare medio è normale in genere, è solo diversa la
forma del globulo rosso.
• L’anemia delle malattie croniche normalmente andrebbe messa nelle normocitiche, ma ricordatevi
che il 25% delle anemie delle malattie croniche è microcitica.

Poi ci sono le anemie macrocitiche, che si distinguono in megaloblastiche e non megaloblastiche. Le


anemie megaloblastiche sono quelle da carenza di vitamina B12 ed acido folico, le anemie non
megaloblastiche sono altri tipi di anemie macrocitiche che non sono da carenza di B12 e folati.

ANEMIE MICROCITICHE

Abbiamo detto che per fare diagnosi di anemia la prima cosa che dobbiamo guardare è l’emoglobina e poi
dobbiamo guardare il volume globulare medio. Cominciamo a guardare la diagnostica differenziale.

Supponiamo di avere a che fare con un’anemia microcitica: il volume globulare del nostro paziente è
piccolo. La diagnostica differenziale delle anemie microcitiche si basa sui parametri ematici del ferro. Se
abbiamo un’anemia microcitica dobbiamo pensare a un’anemia sideropenica, sideroblastica, a una
talassemia o alla cosiddetta anemia delle malattie croniche (microcitica nel 25% dei casi). La diagnostica
differenziale si basa sui parametri che vedete in tabella.

*Numero dei GR sempre spropositamente alto rispetto ai livelli di Hb **a volte (25%) microcitica

In un’anemia i globuli rossi sono quasi sempre ridotti. Nella talassemia i globuli rossi, soprattutto se non è
una talassemia major ma è intermedia (nel trait talassemico), i globuli rossi possono essere normali o
addirittura aumentati  questo è il caso che fa dire che le anemie non sono date da una semplice riduzione
dei globuli rossi. Quindi vedendo un volume globulare piccolo e tanti globuli rossi si può pensare che il
paziente sia portatore di un’emoglobinopatia.

Se un paziente ha un’ANEMIA SIDEROPENICA come avrà i parametri marziali? Sarà un’anemia con questo
quadro tipico:
 poca emoglobina,
 pochi globuli rossi,
 la sideremia sarà bassa,
 la transferrina sarà alta perché l’organismo cerca di compensare alla carenza di ferro producendo
grandi quantità di trasportatori del ferro e
 la ferritina sarà bassa.
 Ovviamente se noi andiamo a fare una biopsia midollare e facciamo una colorazione per il ferro a
livello del midollo non ci sarà ferro. Secondo voi è necessario fare una biopsia midollare a un
paziente con un’anemia sideropenica? No! La cosa più importante sarà l’anamnesi. Voi pensate
sempre agli esami più invasivi!

Se il paziente ha una TALASSEMIA:


 i globuli rossi possono essere normali oppure alti,
 la sideremia non è bassa perché c’è un aumento dell’eritropoiesi inefficace, abbiamo quindi
un’aumentata distruzione dei globuli rossi e quindi il ferro c’è, addirittura si accumula, tant è vero
che più la talassemia è grave più diventa una causa di emocromatosi secondaria. Per cui in una
talassemia avremo i globuli rossi alti e la sideremia alta o normale-alta,
 la transferrina se c’è tanto ferro l’organismo non la produce perché non gli serve e quindi sarà
normale o normale-bassa,
 la ferritina viceversa sarà molto alta perché avremo molto ferro di deposito.
 Il ferro midollare sarà ovviamente aumentato.

Se abbiamo un’ANEMIA SIDEROBLASTICA


 i globuli rossi sono ridotti,
 la sideremia è un po’aumentata.
L’anemia sideroblastica è una particolare forma di anemia in cui il ferro c’è ma non viene utilizzato perché
mancano dei passaggi nell’utilizzo del ferro. Per esempio manca la sintesi dell’eme, quindi il ferro tende un
po’ ad accumularsi  quindi il quadro è abbastanza sovrapponibile a quello della talassemia. Come
distinguiamo l’anemia sideroblastica dalla talassemia? Innanzitutto i globuli rossi nell’anemia sideroblastica
sono ridotti mentre nella talassemia sono normali/normali-alti, e poi possiamo usare altre metodiche come
l’elettroforesi dell’emoglobina che sarà positiva nella talassemia e negativa nell’anemia sideroblastica,
oppure possiamo andare a cercare i sideroblasti  quindi più che lo striscio può essere importante il
midollo.

Nell’ANEMIA DELLE MALATTIE CRONICHE il ferro c’è ma a causa della malattia cronica sono prodotte
citochine e a causa di queste il ferro non viene utilizzato e non va nel midollo ma viene utilizzato per altri
scopi e di conseguenza:
 i globuli rossi sono ridotti,
 la sideremia è ridotta,
 la transferrina sarà normale o bassa, perché comunque se c’è una malattia cronica la sintesi delle
proteine potrà essere un po’ compromessa,
 la ferritina sarà aumentata,
 il ferro midollare sarà normale o aumentato.
Nell’anemia da malattie croniche sarà fondamentale il dato anamnestico. Per malattia cronica ci riferiamo a
malattie del connettivo quindi ad esempio ad artrite reumatoide, a malattie infiammatorie intestinali.
Quando vi faccio la lezione sulle malattie infiammatorie intestinali vi dico sempre che è una situazione
allucinante per le anemie. Un morbo di Crohn può dare qualunque tipo di anemia: infatti colpisce l’ileo
terminale e così non si assorbe la vitamina B12 e quindi abbiamo anemia macrocitica, dà lesioni di tipo
ulcerativo con perdita di sangue e quindi dà un’anemia sideropenica, ed infine dato che è anche una
malattia infiammatoria cronica dà un’anemia normocitica.
ANEMIA SIDEROPENICA

Sideropenia: cause più frequenti


 Inadeguata assunzione (nutrizionale)
 Malassorbimento
 Perdite ematiche (croniche) (nei maschi e nelle donne in età postmenopausale soprattutto
dall’apparato gastro-enterico)
 Aumentato fabbisogno (donne) (gravidanza, mestruazioni, allattamento)
 Accrescimento (neonati e bambini)

La causa più importante di anemia sideropenica è la perdita cronica di ferro. Ma sono importanti anche
l’assunzione inadeguata e l’inadeguato assorbimento.
Chi colpisce spesso l’anemia sideropenica? Le donne di età compresa fra 12 e 40 anni, che non mangiano
carne o ne mangiano poca, hanno mestruazioni più o meno abbondanti, e quindi sono in una situazione a
rischio.
A rischio sono le donne in gravidanza che dovrebbero mangiare ferro per due ma spesso arrivano alla
gravidanza che già loro sono sideropeniche.
Sono a rischio tutte quelle condizioni patologiche che provocano più che un’emorragia acuta un’emorragia
cronica. Quindi sono a rischio coloro che sono affetti da patologie banali come ragadi anali, emorroidi e
gastriti erosive, ma anche da patologie più gravi come malattia infiammatoria cronica, rettocolite ulcerosa.
Quindi sono soprattutto patologie del tratto gastroenterico che provocano una perdita cronica bisogna
sempre pensarci.
Un’altra condizione importante è il malassorbimento, che è un capitolo molto grande. A che tipo di
malassorbimento potreste pensare in un’anemia sideropenica? Se vi si presenta un paziente con perdite
ematiche e anemia sideropenica potreste pensare a un morbo celiaco. Questa è un’altra cosa che dovete
pensare.

Trattamento delle condizioni sideropeniche: condizioni generali


 E’ importante considerare la capacità del paziente di tollerare e assorbire i preparati a base di ferro
 La tolleranza gastrointestinale a un carico orale di ferro è limitata
 Assorbimento avviene prevalentemente nella parte superiore dell’intestino (preparati a lento
rilascio ?)
 Il Ferro-Eme (mioglobina) è assorbito meglio di quello Non-Eme (maggior parte del ferro assunto
con la dieta)
 Il Fe++ è assorbito meglio del Fe+++ (che deve essere ridotto a Fe++ per poter essere assorbito

Fatta la diagnosi dovremo curare l’anemia sideropenica. Come la cureremo? Secondo i principi generali
secondo cui se ti manca qualcosa te la do. Ovviamente bisogna definire la causa: se la causa è un’ulcera
andrà bene dare il ferro, ma bisognerà curare anche l’ulcera! Ci sono comunque alcuni aspetti fondamentali
da tenere in considerazione:
 Il primo è che per dare il ferro a una persona il modo più semplice è darglielo per bocca. Bisogna
dare il ferro per bocca, ma il ferro per bocca non è molto tollerato. Ci sono molte preparazioni in
campo farmacologico ma non è molto tollerato.
 E poi non è assorbito in grandissima quantità.
 Bisogna anche considerare che il ferro eme è assorbito meglio del ferro non eme, ecco perché la
carne è un’ottima fonte di ferro, perché la carne contiene la mioglobina che contiene eme.
 E poi il ferro 2+ è assorbito meglio del ferro 3+. Molti composti a base di ferro hanno il ferro ferrico
e non ferroso, e quindi bisogna che sia ridotto a ferro ferroso  quindi è necessaria la vitamina C o
una serie di altri composti o comunque passaggi metabolici che fanno questa trasformazione.
Trattamento delle condizioni sideropeniche
 Solfato ferroso –poco costoso – terapia di scelta
 I Sali Ferrosi (solfato, fumarato, gluconato, succinato) sono asorbiti meglio di quelli Ferrici
 La Vitamina C aumenta l’assorbimento – Acido Ascorbico (200 mg o più) aumenta l’assorbimento
del 30%
 Ferro-Carbonile: microsfere di ferro puro – tossicità GI minore dei Sali di ferro
(FEOSOL® capsule – 50 mg due volte/die)

Esistono diversi preparati, poi ve li guardate. Il ferro carbonile sembra il migliore di tutti ma in Italia non è
ancora in commercio…o forse lo è da poco. La vitamina C insieme al ferro aumenta l’assorbimento di circa il
20%, un’idea sarebbe somministrare il ferro con un po’ di vitamina C.

Trattamento delle condizioni sideropeniche: terapia per os

 Dose media – 200 mg di Fe/die – (3 dosi di 65 mg)


 Bambini (15 - 30 kg) – metà della dose di un adulto
 Bambini piccoli e neonati possono tollerare dosi relativemente maggiori – e.g. 5 mg/kg.
 Nella Prevezione (gravidanza) – dosi di 15 -30 mg/die sono adeguate a soddisfare la richiesta pari a
3-6 mg / die degli ultimi 2 trimestri
 Per trattare l’anemia sideropenica, in modo progressivo, può essere utilizzata una quota totale di
100 mg di Fe elemento (35 mg tre volte al dì)

Trattamento delle condizioni sideropeniche: terapia parenterale

• Una alternativa efficace in caso di fallimento della terapia per os ( Fe-saccarato e Fe-gluconato sono
preferibili al ferro destrano )
• Dosi: Secondo la tollerabilità e la convenienza: da 40 mg/die a 400 mg/die (in soluzione fisiologica
diluita 1mg/ml) (es. Ferlixit – Gluconato Fe+++ 62,5 mg Fe / 5 ml)
 Indicazioni: malassorbimento, grave intolleranza orale, come supplemento alla terapia parenterale
totale e in pazienti con nefropatia grave sottoposti a terapia con EPO
 Ipersensibilità acuta , comprese reazioni anafilattiche (0.2% - 3% dei pazienti) - E’ utile una dose
test
 EV è preferibile a IM – risposta migliore
 IM– più frquenti effetti collaterali locali (discromie cutanee, dolori a lungo termine, discussa >
prevalenza neoplasia sede di iniezione

Queste sono le dosi. Normalmente come la trattiamo un’anemia sideropenica? Io comincerei sempre per
bocca, e comunque dipende dalla gravità. Se è molto grave sicuramente conviene usare la terapia
endovenosa, sennò si può provare la terapia per os e chiaramente poi faremo dei controlli.

In caso di anemia sideropenica pura, eliminata la causa della perdita, regolato il ciclo mestruale, trattata la
malattia infiammatoria intestinale, trattata l’ulcera o qualunque altra patologia alla base, nel paziente che
risponde alla terapia avremo una crisi reticolocitaria (vi ricordo che i reticolociti in un paziente con anemia
sideropenica sono pochi). Quindi il paziente comincerà ad aumentare i reticolociti e poi il volume globulare
piano piano comincerà ad aumentare. All’inizio la distribuzione eritrocitaria sarà omogenea sul piccolo, poi
diventerà eterogenea e poi diventerà omogena sul normale. La distribuzione eritrocitaria ci serve anche per
seguire la risposta. Pian pianino poi l’emoglobina tornerà ai valori normali.

Il Ferlixit si può dare anche intramuscolo ma ricordate che dà effetti locali importanti, datelo endovena.

ANEMIA SIDEROBLASTICA
Gruppo Eterogeneo di Disordini della Produzione Eritrocitaria caratterizzato da :
 Eritropoiesi Inefficace
 Anomalie morfologiche caratteristiche degli eritroblasti midollari (sideroblasti ad anello).
 Utilizzo deficitario di ferro da parte delle cellule eritroidi.

L’anemia sideroblastica mi interessa spiegarvela perché è un po’ più sconosciuta. Non è un tipo di anemia
ma sono tanti tipi, tanti sottogruppi diversi.

Sono sostanzialmente dei disordini della produzione di globuli rossi caratterizzati da un’alterazione
dell’eritropoiesi: l’eritropoiesi non è completamente efficace, non arriva completamente a maturazione.

Ci sono delle anomalie morfologiche degli eritroblasti  abbiamo i cosiddetti sideroblasti ad anello.

Dal punto di vista fisiopatologico queste anemie sono caratterizzate da un utilizzo deficitario del ferro da
parte delle cellule eritroidi.

Nell’immagine vedete i sideroblasti ad anello, che


sono delle cellule particolari che si vedono con la
colorazione di Pearls, che serve per valutare dove è
localizzato il ferro, dentro a un tessuto o dentro alle
cellule. Il ferro vedete che è tutto intorno ai nuclei,
quindi abbiamo i sideroblasti ad anello.

Sideroblasti
1. Sideroblasti normali
– 20-60% dei normoblasti presenti in un midollo normale.
– Da 1 a 4 granuli citoplasmatici positivi al Blu di Prussia variamente distribuiti (aggregati di
ferritina).
2. Sideroblasti Anormali
3-5 granuli, grossi e di forma irregolare
3. Sideroblasti ad Anello
– numerosi grossi granuli siderotici aggregati intorno al nucleo dell’eritroblasto
– Consistono di ferro depositato sottoforma di micelle ferruginose tra le creste mitocondriali
4. Siderociti
– GR che trattengono accumuli di ferro
– Corpi di Pappenheimer (granuli, ribosomi, mitocondri)

Se voi fate una biopsia osteomidollare i sideroblasti ad anello sono presenti normalmente dentro al
midollo.
Si parla di sideroblastosi quando i sideroblasti superano una certa quantità e hanno caratteristiche un po’
alterate  la sideroblastosi si distingue quindi per il numero e per le caratteristiche dei sideroblasti: devono
avere cioè dei granuli più grossi, di forma irregolare. I granuli Pearls positivi sono accumuli di ferro che non
riesce a entrare nel nucleo e non riesce ad essere utilizzato perché manca un qualcosa che fa utilizzare il
ferro. Siamo quindi in una situazione paradossale in cui il ferro c’è, ci sarebbe tutto per fare l’emoglobina,
ma quello che c’è non riesce ad essere utilizzato nel modo giusto.

Diagnosi
diagnosi se > 5% degli eritroblasti midollari sono sideroblasti ad anello

Si parla di anemia sideroblastica se più del 5% degli eritroblasti midollari sono eritroblasti ad anello.

Anemia sideroblastica: classificazione


Ereditaria
– X-linked
• Piridossina sensibile
• Piridossina resistente
– Autosomica o indeterminata
– Alterazioni del DNA mitocondriale
Acquisita
– Primaria (idiopatica)
– Secondaria
• Alcol
• Cloramfenicolo, cicloserina
• Pb, Zn, flogosi
– Deficit di Rame

Esistono diversi tipi di anemia sideroblastica. Alcuni sono piridossina sensibile, alcuni sono piridossina
resistenti. Una delle cause principali è che l’enzima ALA sintetasi, enzima B6 dipendente, che serve per
sintetizzare l’EME, è meno sensibile alla B6 e quindi ha bisogno di più B6 per funzionare. Se l’ALA sintetasi è
un po’ pigro si sintetizza poco EME e se si sintetizza poco EME il ferro non viene usato.
Poi ci sono soggetti che non hanno l’ala sintetasi pigro ma che proprio non ne vuole sapere della vitamina
B6 e allora chiaramente non funziona.
Poi ci sono tutta una serie di altre alterazioni legate all’alterazione dei meccanismi di trasporto specifico del
ferro nei mitocondri.

Poi ci sono altre forme che compaiono in soggetti particolarmente predisposti per l’assunzione di tossici
come alcool, piombo, zinco. Non è strano che il piombo blocca l’ALA sintetasi tralatro, sono cose legate tra
di loro.

Infine ci sono alcune forme associate a malattie di tipo ematologico. Delle volte l’anemia sideroblastica è
chiamata smouldering (?) leukemia. Queste forme a volte si trasformano in leucemie, soprattutto quelle
legate al cromosoma x.

Diagnosi
• Morfologia Eritrocitaria (VGM e RDW)

Anemia Sideroblastica Ereditaria


Anemia Microcitica, Ipocromica

Anemia Sideroblastica Acquisita


GR Dimorfici: microciti e macrociti
MCV può essere normale, aumentato o ridotto

• BOM o AM colorato con Pearls


(esaminare dopo immersione in olio per identificare i sideroblasti ad anello)

• Studi Genetici (Cariotipo e Cromosomi)


Anomalie cromosomiche si osservano nel ~ 60% dei casi idiopatici
- Monosomia 7;
- Trisomia 8,
- Delezioni 5, 7, 11 or 20

Per fare diagnosi di anemia sideroblastica bisogna valutare la morfologia eritrocitaria, soprattutto a livello
del midollo. Bisogna quindi osservare la presenza dei sideroblasti ad anello. Tutte le volte che siamo di
fronte a un’anemia microcitica
 con un’anamnesi negativa per perdita di ferro,
 in cui i parametri marziali non sono indicativi di carenza di ferro, ma semmai di accumulo di ferro,
 in cui i globuli rossi sono pochi e piccoli e quindi escludiamo una situazione di talassemia,
 e non ci sono segni di malattia cronica,
bisogna pensare a questo tipo di anemia e studiarla facendo una biopsia osteomidollare. Si possono
presentare segni di accumulo di ferro come nella talassemia, ma non ci sono le caratteristiche della
talassemia.

Fisopatologia
Eritropoiesi inefficace e utilizzo difettivo del ferro
• Midollo Osseo
– Iperplasia Eritroide; può esserci displasia
– Valutazione delle Riserve di Ferro
• Lab tests
- LDH Bilirubina Indiretta; aptoglobin; reticolociti non aumentati.
- Fe, Tf Sat, Ferritina
• Eritropoiesi Inefficace
- assorbimento di Fe & Sovraccarico di ferro sistemico.

• Biopsia Epatica
Può essere necessaria per valutare il livello di accumulo epatico di ferro (iniziare terapia con chelanti)

Anemia sideroblastica: difetti biochimici noti


1. Gene Eritroide ALA-sintetasi (ALA-s) : crom. X
- Mutazioni puntiformi nella regione catalitica causano la maggior parte delle anemie sideroblastiche X-
linked
1° tappa nella sintesi delle Eme:
succinyl-CoA+glycina à acido d-aminolevulinico
catalizzata da:
- ALA-sintetasi mitocondriale
- Piridossal -5’ fosfato (vit. B6) come coenzima
2. Gene ABC7 : crom. X
-Superfamiglia dei trasportatori “ATP-binding cassette” (MRP)
-Svolge un ruolo centrale nella maturazione citosolica delle “iron-sulfur (Fe/S) cluster-containing proteins”
-Una sua mutazione missenso è causa di una forma familiare di anemia sideroblastica X-linked con atassia

Terapia

1. Trasfusioni Ematiche quando necessario


2. Piridossina HCl
100-200 mg/d po, 3-6 mesi
3. Valutazione del sovraccarico di Fe
salasso (quando possibile);
Chelanti del ferro (DFO).
La ferro-deplezione può migliorare l’anemia
4. Splenectomia è Controindicata
potenziali complicanze trombotiche
5. Trapianto di Midollo Allogenico
efficace nelle forme ereditarie
6. Terapia sperimentale
EPO, G-CSF

La terapia si basa sul tentativo di somministrare la vitamina B6.

Quando va bene la situazione si sblocca, sennò bisogna trasfondere il paziente, e siccome questa anemia
può di per sé provocare accumuli di ferro, bisogna tenere attentamente sotto controllo i parametri marziali.
Delle volte questi pazienti possono fare paradossalmente dei farmaci per ridurre il ferro. È chiaro che non
avrebbe molto senso fare un salasso in un soggetto con anemia, per cui per togliere il ferro bisogna usare
dei chelanti. Voi sapete oggi che ci sono diversi tipi di chelanti e in particolare ce n’è uno che si può dare
per bocca e sembra funzionare abbastanza bene ed è di ridotta tossicità. Quindi questi pazienti sono
candidati, soprattutto quelli che non rispondono alla vitamina B6, ad usare il chelante.
Fra le altre cose i pazienti di questo tipo vanno tenuti attentamente sotto controllo per il rischio di
sviluppare una forma di tipo leucemico.

Anemie Macrocitiche :
Anemie Megaloblastiche

Le alterazioni megaloblastiche sono dovute ad alterazioni della sintesi del DNA.


La sintesi dell'RNA continua, dando luogo a un aumento della massa e della maturazione del citoplasma
(Asincronia Nucleo-Citoplasmatica).

GR macro-ovalocitici entrano in circolo e tutte le linee cellulari presentano dispoiesi, con citoplasma più
maturo del nucleo, dando origine al megaloblasto (midollo)

La dispoiesi determina un aumento della morte cellulare intramidollare (eritropoiesi inefficace) da cui
deriva un incremento della bilirubina indiretta e dell'uricemia.

Poiché la dispoiesi coinvolge tutte le linee cellulari, oltre all'anemia si ha leucopenia e trombocitopenia,
(nelle fasi tardive della malattia).
Tra gli altri segni distintivi dello stato megaloblastico c'è anche una reticolocitopenia, conseguente
alla ridotta eritropoiesi.

La ipersegmentazione dei granulociti polimorfonucleati (6 o più lobi; fino al 5% dei PMN hanno 5 o più lobi,
la maggior parte 4 o più) è un reperto tipico degli stati megaloblastici; il suo meccanismo patogenetico è
sconosciuto.

Ora supponiamo dunque che il nostro pz abbia un volume globulare grande.


Innanzi tutto ricordiamo che le anemie macrocitiche si suddividono in megaloblastiche e non
megaloblastiche; le prime sono caratterizzate dalla presenza di megaloblastosi, un’alterazione patologica
nel rapporto nucleo – citoplasma. In pratica c’è una anomalia nello sviluppo dei GR che genera cellule
patologiche, più immature, con più nucleo e meno citoplasma. Inoltre si tenga presente che non vengono
colpiti solo i GR ma anche tutte le altre cellule che vanno incontro a frequenti processi di suddivisione; di
conseguenza non è strano che la megaloblastosi riguardi anche le piastrine, i globuli bianchi – soprattutto i
granulociti neutrofili che diventano ipersegmentati - le cellule della cute e dell’intestino proprio per il loro
continuo turn-over.
Anemie Macrocitiche Non Megaloblastiche

Alcool La forma non megaloblastica dell'anemia macrocitica


Epatopatie (MCV > 95 fl) è eterogenea : le modificazioni macrocitiche periferiche non sono associate
alle caratteristiche di laboratorio, biochimiche e cliniche tipiche della megaloblastosi.
croniche
Ipotiroidismo L'anemia macrocitica non megaloblastica si verifica in vari stati clinici, non tutti chiariti. La
macrocitosi con eccesso di membrana eritrocitaria si verifica nei pazienti con malattia
Ipossia cronica del fegato nella quale l'esterificazione del colesterolo è deficitaria.
Mielodisplasia L'uso cronico di alcol è stato anche associato a indici eritrocitari macrocitici (generalmente
MCV di 95-105 fL/ cellula); queste modificazioni non sono causate da carenza di acido
Anemia Aplastica folico o da altro identificabile meccanismo metabolico.
 Conta Reticol. Una modesta macrocitosi si verifica anche nell'anemia aplastica), specialmente nella fase
di ripresa.
Paraproteinemie
Farmaci Citotossici In ognuno di questi casi, l'anemia è correlata a meccanismi differenti dalla macrocitosi e il
midollo non è megaloblastico. Un ulteriore indizio che sostiene la macrocitosi è
Emocromatosi rappresentato dall'assenza di tipici macro-ovalociti negli strisci periferici e dall'incremento
dell'RDW, tipico della classica anemia megaloblastica.
Gravidanza
Modificazioni macrocitiche sono comuni nella mielodisplasia, nella quale l'eterogeneità cellulare è
enfatizzata dall'aumento dell'RDW e dalla marcata anisocitosi. Il midollo osseo contiene precursori
eritrocitari megaloblastoidi (comuni anche nelle fasi avanzate di epatopatia), con pattern nucleare di
cromatina densa che differisce dalle modificazioni dell'anemia megaloblastica tipica.

Le anemie non megaloblastiche danno ovviamente GR grandi ma privi di megaloblastosi; è una situazione,
stavolta, che colpisce in maniera pressoché esclusiva la serie rossa. È evidente che alla base ci sono
meccanismi diversi, e come si vede dalla diapo le cause possibili sono veramente tante. La prima e più
importante è l’alcool, che in effetti è in grado di provocare anemia macrocitica sia di tipo megaloblastico
che non megaloblastico:
 Quella megaloblastica perché l’alcool “brucia” lo stomaco, che produce il fattore intrinseco,
fondamentale per l’assorbimento della vitamina B12 che dunque manca nell’etilista portando a
questa situazione.
 Quella non megaloblastica è dovuta all’effetto tossico diretto dell’alcool e di alcuni metaboliti sul
processo di maturazione dei GR.

Proseguendo nella rassegna delle cause possiamo trovare l’ipotiroidismo, dove è possibile una forma
mielodisplastica che con il tempo si trasforma in un’anemia macrocitica (eventualità da tenere sempre
presente in anemie senza carenza di folati e vit B12), l’uso di farmaci citotossici, la gravidanza..

Anemie Megaloblastiche : Eziologia

I meccanismi che causano lo stato Megaloblastico comprendono :


- Carenza o Difettosa Utilizzazione della vitamina B12 e/o dell'acido folico;

- Farmaci citotossici (in genere farmaci antitumorali o immunosoppressori) che interferiscono con la
sintesi del DNA
- Sindrome di Di Guglielmo (rara forma di mielodisplasia che muta in una forma di leucemia mieloide
acuta).
- Il chiarimento dell'eziologia e della fisiopatologia è di importanza cruciale nell'anemia
megaloblastica

Ad ogni modo la causa più frequente è la carenza di vit B12 e folati, che si ritrova in diverse situazioni;
quella più comune in assoluto è la gravidanza! Sono entrambe sostanze fondamentali per la sintesi del DNA
e la crescita dei tessuti, ed in quel periodo se la dieta non viene supplementata la donna può andare in
anemia, così come la mancanza di B12 potrebbe causare alterazioni dello sviluppo fetale.
Ci potrebbero anche essere farmaci citotossici che agiscono specificamente bloccando l’utilizzazione dei
folati, es il metotrexate, un vero e proprio anti-folati. Questo spiega come l’anemia megaloblastica spesso
la veda – oltre il ginecologo, il geriatra e altri - anche l’ematologo, che in un certo senso tramite questi
farmaci la provoca, tant’è che esiste la terapia di salvataggio con levofolinato nei pz che devono usare il
metotrexate.
Esiste infine la sindrome di Gugliemo in cui i folati non vengono utilizzati; questa situazione potrebbe
evolvere col tempo in leucemia.
Ricordiamo inoltre che la vit B12 e l’acido folico sono fondamentali nel metabolismo dell’omocisteina e
degli aminoacidi solforati: la metionina viene trasformata in omocisteina e poi in cisteina, anche se è
possibile il passaggio inverso da omocisteina a metionina; proprio per la rimetilazione di questo ultimo
passaggio servono le due sostanze di cui parliamo, se così non è ci sarà anche un aumento dei livelli di
omocisteina, non più trasformata in metionina.
Ergo, come conclusione pratica, un aumento di omocisteina potrebbe essere un segno metabolico di
carenza di B12 e folati! La cosa importante è che avviene prima della comparsa di anemia (naturalmente il
solo aumento di per sé non specifica se manchino i folati o la B12) ed è importante proprio come marcatore
precoce.
Siccome poi l’omocisteina è un fattore di rischio per il tromboembolismo venoso avremo anche questa
situazione da tenere presente e affrontare.

Esami di Laboratorio

• Emocromo
– ¯ Hb, PLT, neutrofili; MCV, RDW
• Eritropoiesi Inefficace
– LDH, bilirubina indiretta
– ¯ Aptoglobina, Reticolociti
– Reticol. Non aumentati
• Parametri Marziali
– ferritina, sideremia, Tf satur.

Per fare diagnosi di anemia macrocitica di tipo megaloblastico la metodica più semplice è l’emocromo, che
ovviamente farà vedere un’anemia macrocitica; c’è eritropoiesi inefficacie (vedi sopra) con riduzione di
aptoglobina - poiché c’è un po’ di emolisi nelle anemie macrocitiche – ma ciò che tagli ala testa al toro è il
dosaggio di vit B12 e acido folico; o volendo essere più precisi come fanno certi laboratori il dosaggio
dell’omocisteina che potrebbe evidenziare, come dicevamo, un difetto clinicamente ancora non manifesto
ma metabolicamente presente.

Cause di Deficit di Cobalamina

1. Dieta Inadeguata
-vegetariani: no carne, uova, latte
2. Inadeguata proteolisi della cobalamina
-gastrite atrofica
-omeprazolo, H2-bloccanti
3. Deficit di IF gastrico
- Gastrectomy; H2-bloccanti
- Anemia Perniciosa
4. Insufficienza Pancreatica
- mancata dissociazione della cobalamina dalla R-protein nel tenue
5. Ansa Cieca
- overgrowth di batteri che utilizzano la cobalamina della dieta
6. Diphyllobothrium latum
-verme piatto di derivazioe ittica che utilizza la cobalamina
7. Malassorbimneto intestinale
- Malattie del tenue: Crohn’, sprue, TBC
- Ressezione ileale
- Difetti intrinseci del IF
8. Deficit di trasporto o di utilizzo
- Malattie ereditarie: cong. IF deficit; alterazioni del recettore per IF-Cbl ileale; deficit TCII ;
- N2O inalazione (ossidazione irreversibile della Cbl)

Diagnosi di Deficit di Cobalamina

COBALAMINA SIERICA Bassa


FOLATI SIERICI NORMALI, a volte aumentati
FOLATI ERITROCITARI Normali o Bassi
ACIDO METILMALONICO Aumentato (plasma,urine)
OMOCISTEINA Aumentata (plasma,urine)
Test Assorb. COBALAMINA Di solito ANORMALE
Ab Anti-IF Se Positivo = diagnosi di AP

Test di Schilling

1. 1.0 mg 57CoCbl PO + 1000 mg Cbl non marcata IM


2. Determinare escrezione urinaria di 57CoCbl
--- SE Bassa (<8% 57CoCbl 24 h) ® Cbl non assorbita in modo corretto
-- SE si corregge dopo somministraz. IF ® AP
-- SE si corregge dopo 7-10 giorni di antibiotici ® sdr. da overgrowth batterica
-- SE si corregge dopo somm. di enzimi pancreatici ® insufficienza pancreatica

Sono tantissime le cause di carenza di cobalamina, e sottolineiamo come ultimamente siano stati isolati
anche anticorpi anti trans cobalamine, che sono proteine di trasporto specifiche: dunque l’assorbimento è
normale, ma è impedito il trasporto.
Essendo che dice che tanto ci ricordiamo tutto anche sul test di Schilling ecco qui da mie ricerche ciò che
forse non ricordiamo…

Il test di Schilling misura l'assorbimento di vitamina B12 radioattiva con e senza fattore intrinseco. Esso è
particolarmente utile per fare diagnosi nei pazienti trattati e che si trovano in remissione clinica e nei quali
esiste un dubbio riguardante la validità della diagnosi. Il test viene effettuato somministrando la vitamina
B12 radioattiva PO e successivamente, entro 1-6 ore, una dose da carico di B12 (1000 g) per via parenterale
allo scopo di evitare il deposito nel fegato di B 12 radioattiva; si procede, quindi, alla misurazione della
quantità di materiale radiomarcato nelle urine raccolte nelle 24 ore (normalmente > 9% della dose
somministrata). La ridotta escrezione urinaria (< 5% se la funzione renale è normale) conferma il ridotto
assorbimento di vitamina B12. Questo test (Schilling I), può essere ripetuto (Schilling II) utilizzando fattore
intrinseco di maiale radiomarcato con cobalto. La correzione della ridotta escrezione osservata nello
Schilling I, permette di diagnosticare nell'assenza di fattore intrinseco il meccanismo fisiopatologico della
ridotta escrezione di B12. La mancata correzione di questi valori suggerisce la presenza di un meccanismo di
malassorbimento GI (p. es., la sprue). Dopo un ciclo di 2 sett. di terapia antibiotica PO, può essere
effettuato il test di Schilling III. Il test di Schilling dovrebbe essere effettuato dopo aver completato tutte le
indagini e i protocolli terapeutici stabiliti, dal momento che esso rifornisce l'organismo di vitamina  B12 in
eccesso. Poiché il test di Schilling non misura l'assorbimento della B 12, il test non mette in evidenza una
carenza di liberazione di tale forma di B 12 nei pazienti anziani.

Terapia della Carenza di Cobalamina:

Composto IDROSSICOBALAMINA
(o cianocobalamina)
Via di somm. IM
DOSE 1,000 mg
TP Iniziale qd x7, poi q3d x2, poi q wk x4 (attenzione all’ipokaliemia)
TP Mantenimento 1,000 µg al mese per tutta la vita
Profilassi in Gastrectomia, res. ileale

Anemia Perniciosa

1. Gastrite Autoimmune
– Può svilupparsi 10 anni o più prima della anemia
– T-cells infiltrano mucosa gastrica
– Anticorpi Anti-cellule parietal cell e anti-IF
– ¯ Cellule Parietali
– Iperplasia delle cellule antrali gastrino secernenti

Questa invece è la gastrite autoimmune, pt autoimmune in cui sono distrutte le cellule parietali; spesso è
associata ad altre pt autoimmuni tra cui la tiroidite di Ashimoto, il LES e altre. Potrebbe dare all’inizio
un’anemia macrocitica che col tempo si trasforma in mista con le due componenti di anemia macrocitica da
carenza di B12 & anemia da malattie croniche!

Altro concetto importante da ricordare è che l’acido folico e la vit B12 sono legati così strettamente che un
deficit di vit B12 potrebbe dare un deficit di folati, poiché la vitamina in questione è fondamentale per la
trasformazione dei folati (ce ne sono tanti tipi) in folati metilati, dal momento che la vitamina funziona
spesso come donatore di metili.
Quindi in questo caso possiamo dare quanti folati vogliamo, ma non funzionano! Questa è anche nota come
trappola dei folati da carenza di B12, ecco perché ogni qual volta crediamo si tratti di anemia da carenza di
folati sinceriamoci che non ci sia carenza anche di B12; altrimenti vanno somministrati insieme!

Cosa provoca una carenza di acido folico?


• Dieta Inadeguata
• Fabbisogno Aumentato
• Malassorbimento Intestinale dei Folati
- Malattie dell’Intestino Tenue
- Malassorbimento Congenito dei Folati
• Utilizzo Difettivo dei Folati
- Da Farmaci
- Deficit Enzimatici Ereditari

Ricordiamo che I folati (vedi il nome) si trovano nelle verdure a foglia verde e sono molto sensibili alla
cottura! Quindi per carità, non dite mai al paziente che se mancano folati vanno mangiati spinaci cotti
perché è una cagata, la verdura in questo caso va cruda.

Inoltre teniamo presente questo: l’acido folico viene assunto in realtà sotto forma di poliglutammati, e per
poterlo usare ci devono essere enzimi che taglino i vari pezzi dell’acido glutammico: orbene l’intestino deve
essere indenne visto che sono gli enterociti a produrre questi enzimi, in opportuno ambiente acido.
Ecco spiegato perché gli anziani vanno spesso incontro a carenza di folati; perché con il tempo virano verso
un’ipoacloridria, oltre ad un altro fattore: l’anziano prende l’aspirinetta, con questa i farmaci protettori
della mucosa gastrica –sptt inibitori di pompa- che contribuiscono a diminuire l’acidità peggiorando la
situazione.
Per finire spesso gli anziani non mangiano nemmeno la carne, e così il quadro per lo sviluppo di un’anemia
macrocitica è completo.

Anemie normocitiche

• Gruppo Eterogeneo di Anemie


• Normocitosi implica un normale metabolismo del DNA e una normale sintesi dell’ emoglobina
• Meccanismi fisiopatologici diversi

Qui il volume globulare è normale; sono le più frequenti, e precedono per probabilità le micro ed infine le
macro, le meno frequenti. Sicuramente se il globulo è normale come dimensioni il DNA è normale così
come l’emoglobina; il meccanismo fisiopt che provoca queste anemie infatti è molto diverso.

Anemie Normocitiche : Diagnosi Differenziale

Anemia normocitica

Aumentata produzione eritrocitaria ?

Controllare conta reticolocitaria

aumentata normale o ridotta

Segni di Evidenza di:


emolisi ? - Insuff. Renale anemia da IR
- Insuff. Endocrina anemia da Insuff. Endocrina
- Infiammazione anemia delle Mal. Croniche
sì no
Se NO, considerare
Un problema midollare primitivo (MDS, MM, infiltrazione…)
Anemia Emorragia
Emolitica Recente
BOM
Prendiamo dunque in considerazione la diagnosi differenziale di questo tipo di situazione: la prima
domanda riguarda la produzione di GR, se aumentata o meno. Se aumentata la colpa non sarà del midollo,
ma se è diminuita probabilmente lo sarà; ergo il primo step di fronte all’anemia normocitica è la conta dei
reticolociti!

Se sono aumentati potrebbe voler dire che i GR sono più distrutti, e questo potrebbe avvenire per presenza
di emolisi  anemia emolitica. Nel caso di anemia emolitica controlleremo bilirubina per eventuale
iperbilirubinemia prevalentemente indiretta (sia laboratoristicamente che a livello obiettivo: eventuale
presenza di ittero, colore di feci e urine) LDH, aptoglobina. Il discorso della bilirubina è così vero che il pz
con anemia emolitica cronica rischia i calcoli alla colecisti, non i classici di colesterolo, ma quelli
“pigmentati” di bilirubinato di calcio.

Se non ci sono segni di emolisi in pz non itterico o subitterico possiamo pensare che il midollo stia buttando
per compensare una perdita, e dunque un’emorragia recente acuta o più spesso cronica.
Ricordiamo sempre che l’emorragia può essere esterna ad esempio con melena, ematuria, enterorragia,
perdita ginecologica importante; ma anche interna come nel caso di ematomi di grosse dimensioni –
pensiamo a un pz in tp anticoagulante orale che magari cade e fa raccolte ematiche sottocutanee,
intrafasciali o intramuscolari-.

Supponiamo invece che la conta reticolocitaria sia normale o ridotta: penseremo prima a insufficienza
renale, cioè se manca lo stimolo –eritropoietina- per il midollo a produrre globuli rossi questo ne produrrà
meno, ma quei pochi con caratteristiche normali. Bisogna anche dire che in genere l’insufficienza renale è
nota perché cronica, e comunque guardando gli esami del pz si vedono i livelli di creatinina.
Ci sono poi insufficienze endocrine dei vari assi ipotalamo ipofisari che causano sempre insufficiente
stimolo ormonale del midollo all’eritropoiesi;
ed infine ci sono le malattie croniche, l’anemia è normocitica perché il ferro non viene uilizzato, ma anche i
GR non vengono prodotti in quantità sufficiente perchè le citochine provocano un’alterazione di questa
produzione in termini quantitativi, con un effetto simil-bloccante l’eritropoietina (sic, non è molto chiaro,
ma ho riportato tutto).

• Anemia dovuta all’azione di citochine IL-1, TNF-a, TGF-b prodotte in corso di malattie infiammatorie
croniche
– Artrite reumatoide
– Lupus eritematoso sistemico
– Malattie Infiammatorie Intestinali
– Infezioni croniche: osteomielite, TBC, etc.

• Meccanismi
– Difetto dell’utilizzo del Ferro
• Il Fe è presente, ma non può essere utilizzato dai precursori eritroidi
– Ridotta risposta all’ Eritropoietina
– Ridotto aumento dell’Eritropoietina in seguito ad anemia

L’anemia da malattie croniche di solito è:

• Solitamente normocitica, ma 25% sono microcitiche


• Di solito anemie lievi-moderate
• Anemia delle malattie Croniche è una diagnosi di esclusione
• Spesso è necessario un esame del midollo per la DD più certa
In A, l’invasione di micro-organismi, l’emergenza di cellule maligne o la disregolazione autoimmunitaria
porta alla’attivazione di cellule T (CD3+) e monociti. Queste cellule inducono effetti immunitari, producendo
varie interleuchine come interferone-g (T cells) e il tumor necrosis factor {a} (TNF-a), interleukina-1,
interleukina-6, e interleukina-10 (monociti o macrofagi).

In B, interleukina-6 and lipopolisaccaride stimulano la espressione epatica della proteina di fase acuta
Epcidina , che inibisce l’assorbimento intestinale del ferro.

In C, interferon-g, lipopolisaccaride, o entrambi aumentano l’espressione del metal transporter 1 divalente


da parte dei macrofagi e stimolano la captazione dello ierro ferroso (Fe2+). La citochina antiinfiammatoria
interleukina-10 up-regula l’espressione del recettore della transferrina e aumenta l’uptake recettore-
mediato del ferro contenuto nella transferrina da parte dei monociti.
I macrofagi attivati fagocitano e degradano i GR senescenti. Interferon-g e lipopolisaccaride down-regulano
l’espressione the del trasportatore macrofagico del ferro ferroportina 1, inibendo in tal modo
l’esportazione del ferro dai macrofagi, un processo che è influenzato anche dall’epcidina.
Contemporaneamente, TNF-a, interleukina-1,interleukina-6, e interleukina-10 stimolano l’espressione della
ferritina e stimolano lo storage e la ritenzione del ferro nei macrofagi.
Tutti questi meccanismi determinano una riduzione dei livelli di ferro in circolo con conseguente ridotta
disponibilità per le cellule eritroidi.
In D, TNF-a e interferon-g inibiscono la produzione di eritropoietina da parte del rene.

In E, TNF-a, interferon-g, e interleukina-1 inibiscono direttamente la differenziazione e la proliferazione


delle cellule eritroidi progenitrici. Oltre a ciò la ridotta disponibilità di ferro, e la ridotta attività biologica
della eritropoietina portano a una inibisione della eritropoiesi e ad anemia.

Per farla molto breve riguardo le anemie da malattia cronica perché manca tempo [ma trovate tutto nel
dettaglio qui sopra]: si tratta di citochine liberate dal macrofago che hanno effetto sul midollo, con ridotta
risposta all’eritropoietina e ridotto utilizzo di ferro, dando l’effetto netto di anemia prevalentemente
normocitica - in realtà teniamo presente che se dovesse prevalere l’effetto di mancato utilizzo di ferro
sarebbe possibile un’a. microcitica.

La terapia deve essere quella di trattare la pt infiammatoria cronica sottostante; è proposto anche l’utilizzo
di EPO, che però ha il problema dei costi e degli effetti tossici tipo l’aumento della pressione.

Se non c’è nulla di tutto questo bisognerà considerare una malattia primitiva midollare, ad esempio
ematologia o neoplastica, che provochi mieloftisi, cioè una riduzione dell’attività midollare. In questo caso
si farà una biopsia osteo midollare per controllare direttamente.
Naturalmente in quest’ultimo caso è più probabile che oltre ai globuli rossi siano coinvolte anche le altre
serie figurate del sangue; ad ogni modo non è impossibile che si presentino situazioni a carico dei soli GR.

Anemia da IRC
Meccanismo:
– Ridotta produzione di eritropoietina da parte del rene malato
– Anche : carenza di ferro o folati , infiammazione cronica, ridotta sopravvivenza eritrocitaria
Terapia :
– Eritropietina due volte la settimana
– Dialisi

Nell’anemia da insufficienza renale cronica manca l’EPO; inoltre ricordiamo che è una condizione di tipo
tossiemico generale dove si potrebbe avere un’anemia di tipo misto come nella sindrome emolitico –
uremica. In questa situazione le tossine uremiche che rimangono in circolo hanno sui GR un’effetto tale da
ridurre la resistenza della membrana aumentando la probabilità della sua rottura. In questo caso però
avremo anche i segni dell’emolisi.

Anemia in corso di Insuff. Endocrina

• Rara, ma correggibile, causa di anemia


– Ipotiroidismo
– Ipogonadismo
– Pan-Ipopituitarismo

Ipotiroidismo e ipogonadismo perché infondo testosterone ed estrogeni sono ormoni anabolizzanti,


dunque non è strano che la loro mancanza provochi anemia. Del resto è anche un motivo per cui sono
utilizzate come doping.
Un’ipopituitarismo può provocare un’anemia normocitica, perché tutti gli assi in qualche modo non
funzionano facendo mancare diversi stimoli ormonali, basti pensare al GH.
L’ipotiroidismo è un’altra causa perché la tiroide stimola il metabolismo, e se questo viene rallentato
rallenterà anche la produzione dei GR.
Aplasia Eritrocitaria Pura (PRA)

• Causa molto rara di Anemia Normocitica


• Distruzione immuno-mediata dei precursori eritrocitari nel midollo
• Conta reticolocitaria è bassa
• Terapia: immuno soppressione

In alternative possiamo pensare all’aplasia eritrocitaria pura: è bloccata selettivamente la produzione di


globuli rossi. Può essere primitiva idiopatica o dovuta a certi farmaci e legata ad un motivo di idiosincrasia,
per cui si impara sempre dopo che il pz ha assunto la sostanza.
Ad ogni modo in questo caso bisognerà fare la BOM.

Anemie Normocitiche : Diagnosi Differenziale

Anemia normocitica

Aumentata produzione eritrocitaria ?

Controllare conta reticolocitaria

aumentata normale o ridotta

Segni di Evidenza di:


emolisi ? - Insuff. Renale anemia da IR
- Insuff. Endocrina anemia da Insuff. Endocrina
- Infiammazione anemia delle Mal. Croniche
sì no
Se NO, considerare
Un problema midollare primitivo (MDS, MM, infiltrazione…)
Anemia Emorragia
Emolitica Recente
BOM

Supponiamo invece che ci sia emolisi.


Considereremo l’anemia da aumentata distruzione dei GR non compensata in maniera sufficiente dalla
produzione del midollo osseo.

Anemie Emolitiche
Anemie Emolitiche :
Diagnosi Differenziale
Anemia Emolitica

Immuno-mediate Non-immuno-mediate

Congenite Acquisite
• Autoimmune Difetti di: • Infezioni
• RBC membrana/ sepsi
• Alloimmune citoscheletro malaria
(eg. Sferocitosi ereditaria)
• Da Farmaci • Meccaniche
• RBC enzimi Valvole protesiche
(altre cause di (eg. G6PD deficit) Microangiopatiche (PTT, CID)
emolisi immune
sono rare) • Emoglobina
Emolisi Intravascolare ed Extravascolare :
Diagnosi Differenziale
Emolisi Emolisi
Test Extravascolare Intravasculare

LDH  

bilirubina  

aptoglobina NL o ridotta ridotta

emoglobinuria assente presente

Hb nel plasma assente presente

urine emosiderina assente presente

A seconda che l’emolisi sia intra o extravascolare potremmo avere dati diversi:

Se l’emolisi è intravascolare aumenta la bilirubina, c’è rilascio di Hb in circolo; sarà ridotta l’aptoglobina e
potrebbe esserci emoglobinuria.

Cause di Emolisi Intravascolare


– Meccaniche
• Valvole cardiache protesiche, AS serrata
• Emoglobinuria da marcia
– Microangiopatiche
• CID, PTT (porpora trombotica trombicitopenica), SEU (syndrome emolitico uremica)
– Immunologiche
• Reazione emolitica acuta post-trasfusionale, EPN
– Infezioni
• malaria
• Clostridium welchii sepsi
– Enzimopatie
• Grave deficit G6PD

Le anemie emolitiche autoimmuni sono importante causa di emolisi intravascolare, ma anche cause di tipo
meccanico come le valvole cardiache impiantate anni fa (erano di metallo), le microangiopatie come la CID
e altre che vedete qui sopra.
La PTT è una pt in cui c’è un’alterazione dell’adesione delle piastrine ai vasi, che diventano scabrosi; i GR
che passano in mezzo sbattono contro le pareti irregolari e pian piano si distruggono.
Sicuramente l’emolisi intravascolare c’è sbagliando trasfusione , o nel caso di infezioni con le loro tossine o
di parassitosi con microorganismi che entrano nei GR (caso classico della malaria).
Infine ricordiamo il deficit di G6P DH che impedisce al GR di resistere allo stress ossidativo, causandone una
distruzione più facile. È l’esempio del favismo: un sogg sta bene, ma se ha una febbre alta o magari assume
certi farmaci va incontro a emolisi.

Diagnosi di Emolisi

• 3 livelli di evidenza:
1. Eritrociti danneggiati nello striscio periferico
– sferociti (emolisi immune)
– Eritrociti frammentati (anemie microangiopatiche)
2. Risposta Midollare all’ Emolisi
– polychromasia allo striscio periferico
– reticolocitosi
– Iperplasia eritroide midollare
3. Evidenza biochimica di distruzione eritrocitaria
– Aumento bilirubina non coniugata
– Aumento LDH
– Aptoglobina ridotta/assente

La diagnosi si fa con uno striscio di sangue periferico per vedere la morfologia eritrocitaria, se cioè ci sono
sferociti o eritrociti frammentati; andando a vedere come risponde il midollo all’emolisi e controllando i
parametri biochimici.
Le anemie emolitiche comunque si distinguono in immuno mediate (autoimmuni, alloimmuni o da farmaci)
e non immunomediate.
Le prime possono comparire da sole o essere associate ad altre patologie autoimmuni, tipo granulomatosi
di Waegner, LES e simili.
Quelle alloimmuni si riferiscono a sostanze (spesso saranno farmaci) che si comportano da apteni legandosi
a proteine dei GR e scatenando una risposta immunitaria.

Si valutano con il test di Coombs, diretto e indiretto:

Anemie Immuno-Emolitiche : Diagnosi

1. Test Diretto per Ab anti GR (test di Coombs diretto)


– evidenzia IgG o complemento sugli eritrociti del paziente
– La maggoranza dei pazienti con emolisi immune attiva avrà un test di
Coombs diretto positivo.
2. Test Indiretto per Ab anti GR (test di Coombs Indiretto) - evidenzia Ab contro antigeni
eritrocitari nel siero del paziente
- Un test di Coombs indiretto positivo non significa necessariamente la
presenza di emolisi – Potrebbe semplicemente significare allo- immunizazione da
precedente esposizione ad antigeni eritrocitari “estranei” (pregressa trasfusione o
gravidanza).
3. Striscio di Sangue Periferico: sferociti

Ricordiamo anche che siccome i globuli rossi colpiti dalla reazione autoimmune prima di distruggersi si
alterano a sferociti, anche questo dato potrebbe essere diagnostico per anemia autoimmune, oltreché, più
banalmente, di sferocitosi ereditaria. Ecco perché chiunque ha sferociti dovrebbe fare un test di Coombs!
Chiaramente se abbiamo anemia emolitica autoimmune bisognerà valutare la causa sottostante; se il
soggetto sta facendo un farmaco sbagliato va sospeso, se invece c’è coesistenza di un’altra pt autoimmune
dovremo aggiungere farmaci che blocchino la produzione di autoAc; pensiamo al cortisone o farmaci più
importanti.
In questo tipo di pt il problema è che spesso si potrà bloccare la reazione autoimmune solo parzialmente e
se il seggetto si anemizza molto dovremo trasfonderlo; ma più lo trasfondiamo più produrrà anticorpi,
stimolando così la componente alloimmune; motivo per cui il soggetto politrasfuso è sempre più difficile da
trasfondere ancora.
Le forme non immunomediate possono essere quelle che abbiamo visto oppure da fattori congeniti (vedi
sempre lo schema di pag 13). Le due pt più importanti sono la sferocitosi ereditaria ed il deficit di G6P DH.

• Sferociti sono eliminati più rapidamente dalla milza


– Mancanza di deformabilitùà significa una ridotta possibilità di attraversare i capillari
fenestrati della milza

• Clinica:
– Gravità extr. variabile
– Nella > parte dei casi anemia lieve-moderata
– Possibili splenomegalia, colelitiasi, ittero
• Laboratorio
– Anemia emolitica con sferociti
– Est di fragilità osmotica positivo
– Autoimmunità negativa
• Terapia
– > parte dei casi non necessità di terapia
– splenectomia
– Counseling paziente e familiari

La sferocitosi ereditaria è una pt ereditaria in cui sono alterate le proteine che codificano per il
citoscheletro della membrana, che determina la forma classica del GR; se questi “cavi” sono mutati il GR
diventerà sferico. Dal pdv clinico provoca conseguenze: la deformabilità è molto minore, i GR perdono il
fisiologico rapporto volume/superficie e sono ossigenati un po’ meno, possono occludere più facilmente i
vasi (anche se in numero assoluto sono meno, e questo aiuta ad evitare occlusioni).
Ci sono soggetti con sferocitosi che stanno benissimo! Altri pz invece stanno molto male e hanno emolisi
molto freq che richiedono trasfusioni; questo per dire come il quadro clinico sia in primis molto variabile e
soprattutto non prevedibile in nessun modo.
Nelle forme più gravi per ridurre l’emolisi possiamo togliere la milza, ma ci si arriva raramente.

Deficit di G6PD (Favismo)

• La più frequente fra le enzimopatie eritrocitarie ereditarie


– Fino al 10% in soggetti Africani and Mediterranei
• X-linked
• Emolisi conseguente a eccessivo danno ossidativo cellulare
• Severità clinica assai variabile
– > parte dei casi asintomatica o no anemia in assenza di fattori scatenanti
– Fattori scatenanti:
• infezioni
• sulfamidici, primachina, dapsone
• fave

• Diagnostica di Laboratorio
– Cellule “a morso”
– Heinz bodies
– Dosaggio dei livelli di G6PD
• Terapia
– Di Supporto
– Evitare fattori scatenanti
– counseling individuale/familiare
Abbiamo già nominato il deficit di G6P DH o favismo. E’ ereditario, legato al cromosoma X, e causa un
eccessivo danno ossidativo cellulare stimolato da condizioni intercorrenti, es farmaci “sbagliati” per questi
pz come i sulfamidici che innescano crisi emolitiche più o meno gravi.
La tp sarebbe dare antiossidanti o cercare di evitare i fattori scatenanti.
Altresì teniamo conto che quando i GR si rompono le membrane se ne vanno in circolo e potrebbero
determinare piccole manifestazioni ischemiche! Infatti questi sogg durante una crisi possono sperimentare
dolori molto forti specie alle estremità.
La diagnosi ovviamente si fa con il dosaggio dell’enzima carente.

PORFIRIE

Le porfirie sono un gruppo eterogeneo di malattie metaboliche che sono conseguenti a un difetto o a
un’alterazione dell’attività catalitica di uno degli otto enzimi che regolano il metabolismo dell’EME. Si tratta
di patologie rare, anche se alcune sono meno rare di altre, e sono ereditarie: sono trasmesse
prevalentemente con modalità autosomica dominante, anche se la penetranza è estremamente variabile,
per cui spesso vi sono soggetti portatori del gene mutato che non sviluppano mai la sintomatologia, altri
che presentano un’unica crisi in tutta la vita, e altri ancora che presentano sintomi ricorrenti. Di
conseguenza, oggi sappiamo che, affinché la porfiria si manifesti clinicamente, non è sufficiente la presenza
della mutazione, ma sono necessari fattori scatenanti, soprattutto di tipo ambientale; per cui, nella
fisiopatologia di una porfiria, l’interazione ambiente-genetica è fondamentale.
Alcuni tipi di porfiria sono francamente acquisiti: prima qualcuno di voi ha parlato dell’intossicazione da
piombo, e infatti il saturnismo è un tipo particolare di porfiria acquisita, in cui il piombo blocca uno di questi
enzimi, determinando un effetto simile a quello che si ha in caso di mutazione. Per il clinico, le porfirie
rappresentano una grande sfida diagnostica, poiché arrivare alla diagnosi di porfiria non è per nulla facile;
inoltre, gli specialisti che possono avere a che fare con la porfiria sono molti: il neurologo, lo psichiatra (il
nostro paziente aveva presentato delirium), i chirurghi, il dermatologo, poiché alcune porfirie danno delle
manifestazioni cutanee, l’internista, medici di terapia intensiva.

METABOLISMO DELL’EME

L’EME è una struttura planare costituita da quattro pirroli legati tra loro. La sua funzione è quella di
mantenere al proprio interno il Fe ++, che è fondamentale per il nostro organismo ma è anche altamente
tossico. Le EME-proteine sono tutte quelle proteine che hanno come gruppo prospettico l’EME, e ve ne
sono due, presenti in grande quantità nel nostro organismo, che sono l’emoglobina e la mioglobina; vi
sono però molti altri enzimi che contengono al proprio interno l’EME, come la catalasi, la perossidasi,
importante nella sintesi dei neurotrasmettitori, e i citocromi P450, che sono proteine fortemente inducibili
soprattutto ad opera di farmaci. Pertanto, l’utilizzo di farmaci che vengono sintetizzati dai citocromi
consuma i citocromi e consuma di conseguenza EME, richiedendo all’organismo una nuova produzione di
EME; non è un caso che proprio i farmaci sono tra i fattori scatenanti le crisi di porfiria, soprattutto di
porfiria acuta, e tra questi farmaci vi sono molti anti-epilettici. Il nostro paziente aveva effettuato
un’anestesia generale per l’intervento di laparoscopia, e l’anestesia generale fa parte dei fattori scatenanti,
perché consuma citocromi; in seguito, a causa della comparsa delle convulsioni, sono stati somministrati
diazepam e fenobarbital, quindi è logico che la situazione sia peggiorata ulteriormente.
Quella che vedete nell’immagine è la via di sintesi dell’EME: si parte da molecole molto semplici, come la
glicina e il succinil-CoA, e pian piano, attraverso un progressivo processo di ciclizzazione, si costruisce una
molecola complessa, che è la protoporfirina IX, in cui viene inserito il Fe++ con la formazione di EME.

Degli otto enzimi che intervengono in questa via biosintetica ve ne sono alcuni (quelli a sinistra) che sono
localizzati all’interno dei mitocondri, e altri (sulla destra) che si trovano invece nel citosol. Inoltre, vengono
prodotte due diverse tipologie di sostanze: alcune non sono ancora completamente ciclizzate, come l’acido
δ-aminolevulinico e il porfobilinogeno, che è ciclizzato ma costituito da un solo anello, mentre altre sono
del tutto ciclizzate e via via sempre più simili al prodotto finale. Ciascuno di questi enzimi può risultare
carente, e per ciascuno di essi avremo una malattia diversa, con segni e sintomi differenti a seconda del tipo
di precursori che si accumulano: se si accumulano i precursori lineari, che sono soprattutto l’acido δ-
aminolevulinico e il porfobilinogeno, la sintomatologia è prevalentemente di tipo acuto, come nel nostro
paziente; se invece il difetto è più a valle e si accumulano sostanze più simili al prodotto finale la
sintomatologia è prevalentemente di tipo cutaneo, perché queste sostanze tendono ad accumularsi a
livello della pelle e sono fortemente foto-sensibilizzanti. Pertanto, le porfirie si distinguono in due tipologie:

1. acute;
2. non acute o cutanee: questi pazienti non possono stare al sole, tanto che si crede che le porfirie
abbiano fatto nascere il mito dei vampiri, perché in questi pazienti anche solo tenere il braccio fuori
dal finestrino durante la guida causa ustioni importantissime.

Vi sono però delle forme in cui vi sono entrambi i difetti e si accumulano entrambi i precursori, per cui le
manifestazioni possono essere o di tipo viscerale, o di tipo cutaneo, o entrambe.

Nell’immagine vedete i nomi delle principali forme di porfiria: il nostro paziente presenta una porfiria acuta
intermittente, che è causata dal deficit del terzo enzima, la PBG deaminasi, ed è caratterizzata
dall’accumulo di precursori lineari, con conseguenti manifestazioni acute. Come in tutte le reazioni
biochimiche, l’EME, una volta prodotto, esercita un feed-back negativo sul primo enzima, che si chiama
ALA-sintetasi: se è presente un deficit degli enzimi a valle, come la PBG-deaminasi, la coproporfirinogeno
ossidasi o la protoporfirinogeno ossidasi, e si verifica una condizione che provoca un deficit di EME, ad
esempio l’utilizzo di farmaci che richiedono l’utilizzo di citocromi in grande quantità, viene meno l’inibizione
dell’EME sull’ALA-sintetasi. L’ALA-sintetasi verrà quindi prodotta in grande quantità, e siccome vi è un
deficit funzionale di uno degli enzimi della via biosintetica, si accumulano ALA (acido δ-aminolevulinico) e
PBG (porfobilinogeno), che sono entrambi composti lineari e responsabili delle manifestazioni acute di tipo
neuroviscerale. E infatti, quando abbiamo misurato ALA e PBG nelle urine del nostro ragazzo, erano dieci
volte il valore normale. L’ALA presenta una struttura molto simile al GABA, che è un neurotrasmettitore
inibitorio: tutte le volte in cui l’ALA si accumula va ad interferire con il GABA, con conseguente
ipereccitazione che ha un effetto tossico sul SNC; anche la sintomatologia dolorosa, simile ad un quadro di
addome acuto, in realtà non è determinata da un coinvolgimento infiammatorio della parete addominale,
ma è causata da un interessamento di tipo funzionale dei nervi con conseguente polineuropatia da
iperfunzione. Vi sono degli studi su modelli murini in cui è stato iniettato dell’ALA, con una reazione del
tutto simile a quella che si ha in una porfiria acuta intermittente.

Quali sono i sintomi di un attacco di porfiria acuto?

 Dolore addominale, nel 95% dei casi: sono dolori intensissimi, il paziente si ritorce nel letto senza
trovare una posizione. Molte donne in età fertile, dopo aver sperimentato un attacco acuto di porfiria,
tutte le volte in cui hanno dolori mestruali temono si tratti di un nuovo attacco di porfiria e assumono
subito degli oppiacei, rischiando di sviluppare una tossicodipendenza.
 Vomito;
 Stipsi;
 Astenia;
 Tachicardia;
 Sintomi mentali;
 Ipertensione;
 Convulsioni;
 Paralisi;
 Coma.

La sindrome da inappropriata secrezione di ADH è un sintomo tipico dell’attacco di porfiria, e fa parte della
disfunzione del SNC caratterizzata anche da epilessia e allucinazioni: probabilmente la neuroipofisi subisce
un’alterazione funzionale e viene stimolata in maniera eccessiva, producendo l’ormone ADH in eccesso. E’
difficile poi stabilire se l’iposodiemia ha a sua volta un ruolo nello scatenare le convulsioni.
Sembra che re Giorgio III d’Inghilterra fosse affetto da una forma di porfiria acuta, una coproporfiria
ereditaria, perché ogni tanto aveva dei momenti di totale follia, in cui correva per il cortile in camicia da
notte: e i valletti si erano accorti che tutte le volte in cui presentava queste manifestazioni di follia le sue
urine erano di colore rosso porto. In Inghilterra, sono andati a valutare la concentrazione di ALA e PBG nei
pazienti ricoverati in manicomio e hanno riscontrato una percentuale più elevata del normale; anche tra i
miei pazienti, ve ne sono molti che hanno parenti che sono stati ricoverati a lungo in ambiente psichiatrico.

Le urine presentano questo colore caratteristico in base alle quantità di ALA e PBG che vengono eliminate:
talvolta anche durante una crisi le urine presentano un colore normale, ma se vengono tenute per un certo
periodo alla luce, questa le fa ciclizzare, determinando così il colore rosso porto. Per motivi ancora non
chiari i malati di porfirie acute, soprattutto di porfiria acuta intermittente, presentano frequentemente un
danno renale: probabilmente ALA e PBG danno un danno a carico dei glomeruli renali, ma non è mai stato
dimostrato; una delle ipotesi è che questo danno sia causato da un’eccessiva produzione di ossalati. L’ALA-
sintetasi, che è l’enzima che viene indotto dall’assenza di EME, funziona a vitamina B6. Per cui, se si ha
un’improvvisa iperattività dell’ALA-sintetasi l’organismo consuma moltissima vitamina B6, la cui carenza
causa un accumulo di ossalato perché la via metabolica degli ossalati richiede vitamina B6; al momento
però si tratta di un’ipotesi non confermata.

In genere i sintomi compaiono dopo la pubertà, e nella donna, dopo la menopausa, migliorano. In Italia, la
porfiria acuta intermittente ha una frequenza di un caso/100.000 abitanti; la porfiria cutanea tarda, che dà
solo interessamento cutaneo, è molto più frequente, e può arrivare a 25 casi/100.000. La porfiria variegata,
che è sia viscerale che cutanea, è ancora più rara nel nostro paese, mentre in Sud Africa raggiunge
frequenze di 50 casi/100.000, a causa del cosiddetto “effetto fondatore”.

Come si fa la diagnosi? - Innanzitutto se riscontrate la sintomatologia che abbiamo descritto guardate le


urine, che possono avere già dall’inizio il colore del vino porto o possono assumerlo dopo una mezz’ora che
stanno alla luce del sole (prova solare). Può essere utilizzata la fluorescenza poiché si tratta di composti
fluorescenti: si possono quindi guardare le urine con una particolare lunghezza d’onda. Infine, si può
effettuare il dosaggio dell’ALA e del PBG, con l’esame specifico. Ogni tipo di porfiria ha un suo precursore,
per cui in base al precursore che viene eliminato noi arriviamo a fare la diagnosi del tipo di porfiria.

Come comportarci davanti a un attacco di porfiria acuto o sospetto tale? E’ ovvio che anche il malato di
porfiria acuta può avere un’appendicite acuta, quindi non tutti i dolori di questi pazienti sono da attribuire
all’attacco acuto di porfiria. Tutte le volte in cui sospettiamo o abbiamo la certezza di un attacco di porfiria
dobbiamo ricoverare il paziente, perché abbiamo visto che la situazione può precipitare molto
velocemente. Dobbiamo innanzitutto eliminare tutti quei fattori che possono causare un attacco di porfiria
acuta, come:
– farmaci;
– stress;
– alcool;
– digiuno: le porfirie acute sono nemiche del digiuno, ovvero l’ipoglicemia è un fattore che può
scatenare una crisi di porfiria, e sono particolarmente a rischio le donne malate di porfiria che
fanno diete troppo drastiche.
La terapia dell’attacco porfirico acuto si basa su due punti:

1. Infusione di glucosio, in particolare soluzioni ipertoniche glucosate al 20%; dobbiamo però fare
attenzione, perché se il paziente ha un’iposodiemia rischiamo di peggiorarla ulteriormente.
2. Somministrazione di EME: abbiamo a disposizione un composto, chiamato NORMOSANG®, che
viene fatto in infusione, e serve proprio per il trattamento delle crisi porfiriche acute. Non tutti gli
ospedali però hanno a disposizione il NORMOSANG®, per cui in assenza di esso si effettua la
glucosata, che è meno potente e meno efficace, ma è meglio che niente.

Inoltre sarà necessario trattare il dolore, che essendo così intenso viene trattato soprattutto con gli
oppiacei. Qual è il razionale di questa terapia? La somministrazione di EME dall’esterno va ad inibire l’ALA-
sintetasi, e un’azione simile è svolta anche dal glucosio: quando si somministra glucosio si produce insulina,
con aumento dell’IGF-1 (insulin growth factor), che è un inibitore dell’ALA-sintetasi; in caso di digiuno,
invece, si riduce l’IGF e aumenta quindi l’attività dell’ALA-sintetasi, ed è questo il motivo per cui il digiuno
rappresenta un fattore scatenante la crisi. La somministrazione di EME è più efficace rispetto al glucosio,
poiché l’EME esercita una duplice azione: da un lato blocca l’enzima con un meccanismo allosterico,
dall’altro agisce a livello genico, bloccando la sintesi proteica di nuovo enzima.

Torniamo al nostro paziente…


Una volta fatta la diagnosi, il malato viene subito trasferito nel nostro reparto, in decima giornata, e qui
viene così trattato:
– sono somministrati NORMOSANG® e glucosata insieme;
– viene iniziata un’alimentazione parenterale, perché il ragazzo non si alimentava da sei-sette giorni;
– è stata sommnistrata petidina, molto utile nella gestione del dolore nella porfiria acuta
intermittente;
– è stata effettuata un’antibiotico-copertura;
– l’anti-epilettico è stato cambiato: è stato eliminato il fenobarbital ed è stato introdotto in terapia il
gabapentin, che è un farmaco considerato safe in questi pazienti.
Marco ha presentato progressivamente un miglioramento: è tornato a muoversi, si è alzato, ha fatto un po’
di fisioterapia, e i valori di ALA e PBG, così come la sodiemia, si sono normalizzati. Una volta dimesso, gli è
stato consegnato il cartellino che i malati di porfiria devono sempre avere con sé, in cui ci sono i numeri che
il medico di PS può contattare in caso di crisi acuta, e l’elenco di farmaci che i pazienti non possono
assumere:

CONSIDERATI POCO SICURI E SICURI NELLE PORFIRIE ACUTE*


Poco sicuri Sicuri
Barbiturici† Acido valproico† Analgesici narcotici
Antibiotici sulfonamidici† Pirazoloni (aminopirina, Aspirina
Meprobamato† antipirina) Paracetamolo
Carisoprodolo† Griseofulvina† Fenotiazine
Glutetimide† Alcaloidi della segale Penicillina e derivati
Metiprilone cornuta Streptomicina
Etclorvinolo† Metoclopramide† Glucocorticoidi
Fenitoina† Rifampicina† Bromuri
Mefenitoina Pirazinamide† Insulina
Succinimidi Diclofenac† Atropina
(etosuccimide, metsuccimide) Progesterone e Cimetidina
Carbamazepina† progestinici di sintesi† < Ranitidina,† §
Clonazepam Danazol ? Estrogeni,† ||
Primidone† Alcol
Nifedipina e altri
calcioantagonisti‡
Felbamato
Dioni (trimetadione,
parametadione)

Durante il ricovero, per completamento diagnostico, è stato effettuato lo studio dell’attività enzimatica
della PBG-deaminasi, che è risultata essere inferiore al 35% del normale, e si è valutato il tipo di mutazione.
E’ stato poi effettuato lo screening dei familiari, seppure poco collaborativi: è stato visto che una cugina di
Marco era sintomatica, ovvero aveva avuto una sintomatologia da porfiria che però non era stata
riconosciuta come tale. Dopodiché Marco è stato sottoposto a follow up, durante il quale però ha
presentato altre crisi: ogni volta in cui è stato registrato un incremento di ALA e PBG si è sempre presentato
dolore addominale, e la cosa interessante è che queste crisi sono sempre state precedute da episodi
influenzali. Ovviamente, tutte le volte in cui iniziava a presentare dolore gli veniva somministrato del
NORMOSANG®, bloccando così sul nascere la crisi. Tuttavia, siccome le crisi sono state frequenti e i valori di
ALA e PBG rimanevano alti, si è pensato di fare una terapia di mantenimento, somministrandogli una volta
alla settimana/una volta al mese una glucosata con del NORMOSANG® per cercare di limitare il più possibile
il numero delle crisi. Il problema principale di queste malattie è che, a differenza del diabete o
dell’ipertensione, non vi sono delle linee guida che stabiliscono, sulla base dei valori di ALA e PBG, il
numero di infusioni mensili, ma la decisione è lasciata al singolo medico, che decide in base al numero di
crisi e ai valori di ALA e PBG. Nonostante la terapia di mantenimento, però, si sono presentate comunque
quattro crisi. Un altro problema significativo è che il NORMOSANG® ha dentro il ferro: una fiala di
NORMOSANG®, che si usa una o due volte al mese, contiene 200 mg di ferro; contiene inoltre anche
dell’alcool che per un malato di porfiria acuta intermittente non è ottimale, ma è necessario per mantenere
il contenuto in soluzione. Prima di iniziare la terapia di mantenimento è stata quindi testata la genetica
dell’emocromatosi perché, dovendo somministrare del ferro, se il paziente è portatore del gene
dell’emocromatosi è ancora più a rischio per l’accumulo di ferro: fortunatamente Marco non aveva
mutazioni dell’HFE e neppure dei geni meno frequenti. Ciononostante, si è registrato un aumento dei livelli
di ferritina, che sono arrivati anche fino a 1265 ng/ml. Davanti a un valore di ferritina così elevato si è
valutata l’eventuale presenza di depositi di ferro a livello degli organi, in particolare il fegato, mediante una
risonanza magnetica effettuata con un software particolare in grado di misurare il LIC (liver iron content, o
contenuto epatico di ferro), che nel nostro paziente risulta essere di 180, mentre dovrebbe essere inferiore
a 36. Per cui si è deciso di togliergli del ferro attraverso l’utilizzo di un Fe ++-chelante come la deferoxamina;
Marco è però intollerante alla deferoxamina, e sviluppa ogni volta un’orticaria, quindi si passa al
deferasirox, un chelante orale. La ferritina ha iniziato a calare, ma bisogna ricordare che il deferasirox può
dare problemi renali, e per questo viene monitorato.

Ricordate che se avete un paziente affetto da porfiria che viene da voi con dolore addominale, la prima cosa
da fare è dosare ALA e PBG: se questi sono normali non si tratta di un attacco di porfiria e dovete orientarvi
verso altre cause; se invece i valori sono elevati, lo dobbiamo trattare come una crisi di porfiria acuta. Il
saturnismo è assolutamente indistinguibile da un attacco di porfiria acuta intermittente, poiché i sintomi
sono assolutamente simili: il piombo blocca l’ALA-deidratasi, quindi si accumula solo l’ALA e non il
porfobilinogeno; è l’unico tipo di porfiria, eccetto la porfiria da deficit di ALA-deidratasi di cui sono stati
descritti sette casi al mondo, in cui si ha l’accumulo solo di ALA.
Malattie dell’apparato cardiovascolare
Cardiopatie
Termine con cui si indica qualunque anomalia strutturale o funzionale a carico del cuore.
Le cardiopatie possono essere divise in:
o congenite, se presenti fin dalla vita fetale;
o acquisite, quando si sviluppano in un’epoca successiva alla nascita.

Cardiopatie congenite
Le cardiopatie congenite, che possono portare nei casi di particolare gravità a morte intrauterina,
rappresentano la causa più comune di malattia cardiaca nel neonato, presentandosi in circa otto nati vivi su
mille. Possono evidenziarsi clinicamente già alla nascita, quando nel nascituro si verifica il passaggio dalla
circolazione sanguigna placentare a quella autonoma; oppure possono manifestarsi e aggravarsi nella prima
infanzia o, ancora, essere diagnosticate nell’età adulta. Spesso presenti con una maggiore incidenza
all’interno della stessa famiglia, possono essere associate a mutazioni cromosomiche (come la sindrome di
Down o la sindrome di Turner), essere conseguenti a malattie infettive contratte dalla madre durante il
primo trimestre di gravidanza (ad esempio la rosolia), all’uso di farmaci (quali i barbiturici e alcuni
chemioterapici antitumorali) o all’abuso di alcol.

La classificazione prevede la suddivisione delle cardiopatie congenite in forme cianogene, dove una
colorazione bluastra delle mucose e delle estremità distali di mani e piedi evidenzia una insufficiente
ossigenazione dei tessuti (cianosi: Hb ridotta > 5 g/dl), e in forme non cianogene.

Delle cardiopatie cianogene fanno parte:


o Cardiopatie congenite cianogene con iperafflusso polmonare :
- la trasposizione completa dei grossi vasi, caratterizzata dal sorgere dell’aorta dal ventricolo destro e
dell’arteria polmonare dal ventricolo sinistro;
- il ventricolo singolo.
o Cardiopatie congenite cianogeno con ipoafflusso polmonare :
- la tetralogia di Fallot, caratterizzata dalla presenza di un difetto del setto interventricolare, da
stenosi polmonare, dall’ipertrofia del ventricolo destro e dall’anomalo posizionamento dell’arteria
aorta a cavallo del setto interventricolare;
- l’anomalia di Ebstein, caratterizzata dallo spostamento verso il basso della valvola tricuspide
all’interno del ventricolo destro;
- l’atresia tricuspidale.

Tra le cardiopatie non cianogene sono comprese:


o Cardiopatie congenite non cianogene con shunt sinistra-destra :
- i difetti del setto interatriale e interventricolare;
- la pervietà del dotto arterioso di Botallo, cioè del vaso che durante la vita fetale mette in
comunicazione l’arteria aorta con l’arteria polmonare.
o Cardiopatie congenite non cianogene senza shunt :
- le stenosi delle valvole aortica e polmonare;
- la coartazione aortica, cioè il restringimento di un tratto di questa arteria.
Cardiopatie acquisite

Le cardiopatie acquisite comprendono processi morbosi a diversa eziologia che iniziano dopo la nascita.
Esse possono esprimere una malattia che interessa direttamente il cuore in una delle sue componenti (il
pericardio, il miocardio, l’endocardio), oppure possono rappresentare una sofferenza o un risentimento
cardiaco secondario ad altre affezioni, di organi in stretto rapporto funzionale con il cuore (malattie dei
polmoni), o dell’intero organismo (aterosclerosi, ipertensione arteriosa, febbre reumatica).

 CARDIOMIOPATIE
Le cardiomiopatie sono malattie che interessano primitivamente il miocardio e non sono provocate da
ipertensione arteriosa o da malattie congenite, valvolari, coronariche, arteriose o pericardiche.
La classificazione eziologica delle cardiomiopatie ne distingue due tipi fondamentali:
- un tipo primitivo, caratterizato da malattia del muscolo cardiaco di eziologia sconosciuta;
- un tipo secondario, caratterizzato da malattia del miocardio di eziologia nota o associata a malattie
che coinvolgono altri apparati.
Nella maggior parte dei casi non è possibile raggiungere una diagnosi eziologica, e quindi è più utile
classificare le cardiomiopatie sulla base dei loro specifici aspetti fisiopatologici e clinici:
- cardiomiopatia dilatativa;
- cardiomiopatia ipertrofica;
- cardiomiopatia restrittiva;
- cardiomiopatia (o displasia) aritmogena del ventricolo destro.

CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
Dilatazione ventricolare sinistra e/o destra con deficit della funzione di pompa sistolica.
- Eziologia ed epidemiologia: è nella maggior parte dei casi idiopatica/primitiva, probabilmente il risultato
finale di un danno miocardico provocato da una varietà di agenti tossici, metabolici o infettivi (forse
evoluzione finale di miocardite virale acuta con possibile intervento mediatore di fattori immunitari).
Interessa tutte le fasce di età, anche se colpisce più frequentemente i maschi adulti ed è più comune nella
popolazione afroamericana.
Circa il 20 % dei pazienti presenta una forma familiare della malattia, geneticamente eterogenea,
caratterizzata da mutazioni genetiche per la decodificazione di proteine strutturali miocardiche.
Forme di cardiomiopatia dilatativa secondaria sono:
 Cardiomiopatia alcolica: l’elevato consumo di alcolici per lunghi periodi può dare un quadro clinico
identico a quello della cardiomiopatia dilatativa idiopatica; nei paesi occidentali è la forma più
frequente di cardiomiopatia dilatativa secondaria. A differenza della forma idiopatica che è
caratterizzata da un deterioramento progressivo, l’interruzione dell’abuso di alcol può arrestare la
progressione di questa malattia o addirittura detrminarne la risoluzione.
 Cardiomiopatia “peripartum”: nell’ultimo trimestre di gravidanza o nei primi sei mesi dopo il parto
può comparire una dilatazione cardiaca accompagnata da segni di insufficienza cardiaca;
tipicamente sono pazienti multipare, afroamericane e con più di 30 anni. La prognosi è favorevole
se, dopo il primo episodio di insufficienza congestizia, le dimensioni del cuore tornano normali. La
mortalità può raggiungere il 25-50 % dei casi. Le pazienti che sopravvivono all’episodio di
scompenso congestizio devono essere scoraggiate dall’avere altre gravidanze, soprattutto se
persiste cardiomegalia persistente.
 Cardiomiopatia dilatativa in corso di malattie neuromuscolari : nella maggior parte delle distrofie
muscolari è comune il coinvolgimento cardiaco.
 Cardiomiopatia da farmaci: numerosi farmaci possono danneggiare acutamente il miocardio
provocando flogosi o danni cronici simili a quelli che si osservano nella cardiomiopatia dilatativa
idiopatica (derivati dell’antraciclina tra cui la doxorubicina, ciclofosfamide, 5-fluorouracile,
antidepressivi triciclici, fenotiazine, litio, cocaina).
- Sintomatologia: comparsa di sintomi di insufficienza cardiaca congestizia destra e sinistra; aritmie; emboli
periferici a partenza da trombi murali, particolarmente localizzati all’apice del ventricolo sinistro.
- Diagnosi: all’esame obiettivo  sono comuni distensione venosa giugulare, rantoli, itto del ventricolo
sinistro discinetico e ampio, terzo e quarto tono, epatomegalia, edemi periferici, soffi da insufficienza
mitralica e tricuspidale. Agli esami strumentali  l’RX torace mostra cardiomegalia, ridistribuzione del
circolo polmonare e versamenti pleurici; l’ECG evidenzia aritmie, dilatazione atriale sinistra, alterazioni del
tratto ST e dell’onda T, difetti di conduzione intraventricolare e bassi voltaggi; l’ecocardiografia evidenzia
dilatazione ventricolare destra e sinistra con compromissione globale della cinesi.
- Prognosi e terapia: la maggior parte dei pazienti presenta un decorso clinico caratterizzato da un
progressivo deterioramento. Il decesso, in particolare nei pazienti che superano i 55 anni di età, avviene
entro 3 anni dall’inizio dei sintomi. I pazienti vanno incontro a morte per insufficienza congestizia o aritmie
ventricolari; la morte improvvisa rappresenta un rischio permanante. Terapia dello scompenso cardiaco,
terapia anticoagulante cronica per prevenire l’embolia sistemica, astensione dall’alcol, defibrillatori nei
pazienti affetti da aritmie maligne (da evitare farmaci antiaritmici per il rischio di effetti proaritmici),
trapianto cardiaco negli stadi più avanzati di malattia refrattari alla terapia medica.

CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Ipertrofia abnorme, ad eziologia sconosciuta, del ventricolo sinistro, coinvolgente in misura maggiore il
setto che la parete libera, con o senza ostruzione al deflusso ventricolare sinistro, con cavità ventricolare
sinistra non dilatata. Si distinguono:
 cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva (75 % dei casi);
 cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o stenosi subaortica ipertrofica idiopatica (25 % dei casi).
Le anomalie fisiopatologiche sono:
 diastolica (più comune) aumento della rigidità delle pareti muscolari ipertrofiche, alterazione del
rilasciamento diastolico con ridotta distensibilità diastolica ventricolare, che induce un’elevata
pressione diastolica di riempimento;
 sistolica (meno comune) ostruzione dinamica telesistolica all’eiezione ventricolare sinistra (da
ipertrofia asimmetrica del setto e impianto anteriore della mitrale) con gradiente pressorio
intraventricolare.
- Eziologia ed epidemiologia: ipertrofia ventricolare sinistra ad eziologia sconosciuta, quindi non secondaria
ad una malattia cardiovascolare o sistemica condizionante un sovraccarico emodinamico del ventricolo
sinistro (HTN arteriosa o stenosi aortica). In circa il 50 % dei casi di cardiomiopatia ipertrofica è presente
una anamnesi familiare positiva con trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta
(identificate più di 100 differenti mutazioni a carico dei geni codificanti per la miosina β cardiaca, per la
troponina T, per la proteina C legante la miosina, per l’α-tropomiosina, per la troponina I, …).
- Sintomatologia: l’andamento clinico delle cardiomiopatie ipertrofiche è molto variabile. La maggior parte
dei pazienti è asintomatica; spesso questi pazienti hanno parenti affetti dalla malattia. Sfortunatamente, la
prima manifestazione clinica della malattia può essere la morte improvvisa, che può frequentemente
colpire bambini e giovani adulti, spesso durante o dopo un esercizio fisico. I sintomi sono secondari
all’elevata pressione diastolica, all’ostruzione dinamica al deflusso del ventricolo sinistro e alle aritmie 
dispnea, angina pectoris, astenia, sincope.
- Diagnosi: all’esame obiettivo  nei pazienti con ostruzione sono evidenti itto apicale con doppio o triplice
impulso, ripida branca ascendente del polso carotideo, quarto tono, soffio telesistolico rude con morfologia
a diamante sul margine sternale sinistro, soffio da insufficienza mitralica all’apice (i soffi si accentuano con
la manovra di Valsalva e con l’attività fisica). Agli esami strumentali  l’ECG mostra i segni di ipertrofia
ventricolare sinistra con onda Q settale prominente nelle derivazioni D1, aVL, V5-6; all’Holter frequente
rilevazione di periodi di FA e tachicardia ventricolare; all’RX torace frequente riscontro di cardiomegalia
lieve o moderata; all’ecocardiografia sono evidenti l’ipertrofia ventricolare sinistra, con il caratteristico
aumento di spessore del setto, con restringimento del lume ventricolare sinistro a forma di clessidra.
- Prognosi e terapia: la storia naturale della cardiomiopatia ipertrofica è variabile. Molti pazienti restano
completamente asintomatici. La causa principale di decesso è rappresentata dalla morte improvvisa; fattori
predisponenti alla morte improvvisa sono: età inferiore ai 30 anni, tachicardia ventricolare all’Holter,
frequenti sincopi, presenza di ipertrofia ventricolare marcata, storia familiare di morte improvvisa. Poiché
la morte improvvisa si può verificare durante o subito dopo un esercizio fisico, attività agonistica e sforzi
eccessivi sono sconsigliati. Profilassi antibiotica per le endocarditi nei pazienti con forma ostruttiva. Ca+-
antagonisti o beta-bloccanti; pace-maker o defibrillatore; ablazione miocardica settale transluminale
percutanea (infarto del setto interventricolare indotto da iniezioni di etanolo nell’arteria settale); intervento
chirurgico di miectomia del setto ipertrofico. Ricerca nella famiglia di ulterori casi di malattia.

CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA
Anormale funzione diastolica ventricolare: la parete ventricolare è eccessivamente rigida e ostacola il
riempimento ventricolare, l’aumento della rigidità miocardica compromette la distensione ventricolare, per
cui la portata cardiaca è limitata e le pressioni ventricolari diastoliche sono elevate. L’endocardio diventa
più spesso e si ricopre di trombi con notevole rischio di embolie.
- Eziologia ed epidemiologia: Ne sono generalmente responsabili la fibrosi miocardica, l’ipertrofia o
l’infiltrazione secondaria a varie cause. Le malattie infiltrative rappresentano una causa importante di
cardiomiopatia restrittiva secondaria  amiloidosi, emocromatosi, glicogenosi, malattia di Fabry, fibrosi
endomiocardica, sarcoidosi, eosinofilie, sclerodermia; nei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco e in quelli
sottoposti a radiazioni del mediastino; nelle infiltrazioni neoplastiche e nelle fibrosi miocardiche di eziologia
diversa.
 Fibrosi endomiocardica: malattia progressiva, a eziologia sconosciuta, che interessa
particolarmente i bambini e i giovani adulti delle aree tropicali e subtropicali dell’Africa. In Africa è
una causa frequente di insufficienza cardiaca ed è responsabile di circa il 25 % delle morti per
cardiopatie. E’ caratterizzata da lesioni endocardiche fibrose a carico del tratto di afflusso del
ventricolo destro e/o del ventricolo sinistro ed interessa le valvole atrioventricolari; gli apici dei
ventricoli sono obliterati da una massa di tessuto fibroso e di trombi. Terapia medica
insoddisfacente; intervento chirurgico di escissione dell’endocardio fibroso e di sostituzione
valvolare.
 Endocardiomiopatia con eosinofilia (o endocardite fibroplastica di Loeffler): aspetto particolare
della sindrome ipereosinofila in cui il cuore è l’organo bersaglio, per gli effetti tossici delle proteine
eosinofile. Ispessimento marcato dell’endocardio con coinvolgimento del sottostante miocardio;
sviluppo di grandi trombi murali, fonti di emboli polmonari e sistemici. Associazione con
epatosplenomegalia e coinvolgimento di altri organi. Terapia sintomatica ed eziologica
(glucocorticoidi e citotossici, come idrossiurea).
- Sintomatologia: i sintomi più importanti sono la scarsa resistenza all’attività fisica e la dispnea; questi
pazienti, a causa dell’incremento persistente della pressione venosa centrale, presentano frequentemente
edemi periferici, ascite ed epatomegalia.
- Diagnosi: (D.D. con pericardite costrittiva) all’esame obiettivo  toni cardiaci lontani, terzo e quarto tono,
itto cardiaco prominente palpabile. Agli esami strumentali  all’Rx torace lieve ingrandimento del
ventricolo sinistro e assenza di calcificazioni pericardiche; all’ECG evidenza di bassi voltaggi, alterazioni del
tratto ST e dell’onda T, aritmie; all’ecocardiografia ispessimento simmetrico delle pareti ventricolari.
Per D.D.con pericardite costrittiva, trattabile con intervento chirurgico  biopsia cardiaca, TC e RM.
- Prognosi e terapia: prognosi generalmente sfavorevole. Profilassi tromboembolica con anticoagulanti
orali.

DISPLASIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO


Cardiomiopatia con degenerazione lipomatosa del miocardio ventricolare destro e dilatazione ventricolare
destra.
- Eziologia ed epidemiologia: eziologia sconosciuta, nel 40 % dei casi anamnesi familiare positiva per casi di
morte cardiaca improvvisa; è la causa del 10-20 % di tutte le morti cardiache improvvise in giovani uomini.
- Sintomatologia: si manifesta generalmente verso il 30° anno di età con disturbi del ritmo ventricolare,
eventualmente con sincope, oppure con morte improvvisa, spesso scatenata da sforzi fisici.
- Diagnosi: all’ECG aritmie; all’ecocardiografia e alla RM riscontro di depositi di tessuto adiposo a livello del
ventricolo destro.
- Terapia: risparmio fisico (non praticare sport), prevenzione e trattamento delle aritmie (beta-bloccanti,
defibrillatore).

 CARDIOPATIE ISCHEMICHE
La cardiopatia ischemica è la manifestazione dell’aterosclerosi a carico dei vasi coronarici. Provocata da
stenosi coronariche che riducono il flusso, conduce a insufficienza coronarica = squilibrio tra fabbisogno e
apporto di ossigeno nel muscolo cardiaco. L’ischemia miocardica così determinatasi si manifesta con
diverse modalità:
- forma latente = asintomatica (ischemia silente)
- ischemia manifesta = sintomatica
o angina pectoris: dolori toracici dovuti ad ischemia miocardica reversibile
o infarto cardiaco: necrosi miocardica ischemica
o danni ischemici del muscolo cardiaco con insufficienza sinistra
o disturbi del ritmo (specialmente disturbi del ritmo ventricolare sino alla fibrillazione
ventricolare)
o morte cardiaca improvvisa

Epidemiologia
Nei paesi industrializzati è la maggior causa di morte; prevalenza sino al 20% dei soggetti di età media; M:F
= da 2:1 a 3:1.
Frequenza delle varie forme di ischemia come prima manifestazione:
• angina pectoris 55%
• infarto cardiaco 25%
• morte cardiaca improvvisa 20%
Eziologia
Cause (fattori di rischio) dell’aterosclerosi
a) Fattori di rischio non influenzabili:
• familiarità
• età
• sesso maschile
b) fattori di rischio influenzabili:
fattori di rischio di 1° ordine (più importanti):
• dislipidemia: colesterolo totale e LDL aumentati, colesterolo HDL diminuito, trigliceridi
aumentati
• ipertensione
• diabete mellito
• sindromi metaboliche: obesità, resistenza all’insulina e iperinsulinemia + malattie
associate (1-3)
• fumo di sigarette
fattori di rischio di 2° ordine:
• lipoproteina(a) aumentata
• iperfibrinogenemia (> 300 mg/dl)
• iperomocisteinemia (> 12 μmol/l)
• anticorpi antifosfolipidi
• deficit genetici di t-PA
• poco movimento
• fattori psico-sociali: stress, basso stato sociale, ecc.
Se si hanno due fattori di rischio di 1° ordine, il rischio di infarto aumenta di quattro volte rispetto ad una
persona normale; in presenza di tre fattori di rischio di 1° ordine il rischio aumenta di dieci volte.

 ANGINA PECTORIS
Clinica
L’angina pectoris si manifesta di regola in caso di stenosi coronarica critica (≥ 75%).
L’angina pectoris (stenocardia) è il sintomo principale dell’insufficienza coronarica:
prevalentemente si hanno dolori retrosternali, per lo più scatenati da sforzi fisici o stress emotivi , e di breve
durata (minuti). I dolori possono irradiarsi al collo, alla mandibola, alle spalle, al braccio sinistro (destro),
fino a raggiungere la punta delle dita nel lato ulnare. L’esposizione al freddo o la digestione (sindrome di
Roemheld) possono acutizzare i dolori. Nei casi tipici i dolori scompaiono dopo somministrazione di
nitroderivati, nonché al termine dello sforzo fisico. Molti pazienti accusano solo un senso di pressione
retrosternale o di oppressione toracica.
Decorso dell’angina pectoris
1. Angina pectoris stabile:
viene regolarmente scatenata da determinati fattori (ad es. sforzo fisico). Risponde bene ai nitroderivati.
2. Angina pectoris instabile (sindrome pre-infartuale):
— qualsiasi prima manifestazione di angina (angina di recente insorgenza < 2 mesi)
— recente crescendo di gravità, durata, frequenza degli attacchi
— angina a riposo o scatenata da un’attività minima
— aumentato fabbisogno di farmaci antianginosi.
Nell’angina pectoris instabile vi è un aumentato rischio di infarto (20%). Il passaggio all’infarto avviene
quasi sempre con una rottura della placca ateromatosa con conseguente trombosi coronarica. Nel 30% dei
casi è aumentata la troponina T/I; tanto maggiore è il suo livello, tanto più sfavorevole è la prognosi.
3. Forme particolari:
— angina di Prinzmetal = angina variante: angina pectoris con sopraslivellamento del tratto ST durante
l’attacco, reversibile. Il dolore toracico è simile a quello anginoso ma più intenso e prolungato, insorge
solitamente in condizioni di riposo o al risveglio, in pazienti spesso fumatori e più giovani di quelli con
angina instabile secondaria ad aterosclerosi coronarica. Assenza di alterazioni enzimatiche. Spesso i pazienti
presentano, alla coronarografia, stenosi coronariche, a livello delle quali possono verificarsi spasmi
transitori. Vi è un aumento del rischio di sindrome coronarica acuta e infarto.

Diagnosi
Esame obiettivo:
spesso normale; la presenza di soffi arteriosi o di alterazioni dei vasi retinici suggerisce un’aterosclerosi
generalizzata; quarto tono. Durante l’episodio anginoso acuto si possono manifestare altri segni: terzo tono
intenso e quarto tono, sudorazione profusa, rantoli e soffio transitorio da insufficienza mitralica da ischemia
deimuscoli papillari.
ECG:
negli intervalli liberi tra le crisi anginose può essere normale o evidenziare pregressi infarti. Durante le crisi
compaiono le tipiche alterazioni del tratto ST e dell’onda T (il sottoslivellamento del tratto ST riflette
un’ischemia subendocardica; il sopraslivellamento può essere indicativo di un infarto acuto o di uno
spasmo coronarico transitorio). Le aritmie ventricolari spesso accompagnano l’ischemia acuta.
Test da sforzo:
utile per porre diagnosi di malattia coronarica. Si esegue un esercizio fisico su tappeto rotante o su
cicloergometro fino a raggiungere una data frequenza cardiaca o fino alla comparsa di sintomatologia
(dolore toracico, senso di mancamento, ipotensione, dispnea intensa, tachicardia ventricolare) o di
alterazioni diagnostiche del tratto ST.
La scintigrafia con tallio o tecnezio aumenta la sensibilità e la specificità ed è particolarmente utile nei casi
in cui siano presenti alterazioni di base dell’ECG che possono inficiare l’interpretazione del test (BBS).
Se il paziente non può effettuare il test da sforzo, può essere eseguito un test con infusione endovenosa di
dipiradomolo o adenosina durante scintigrafia con tallio o tecnezio, o uno studio ecocardiografico con
dobutamina.
Coronarografia:
trova indicazione in caso di: 1) angina refrattaria alla terapia medica; 2) prova da sforzo marcatamente
positiva; 3) angina ricorrente o positività al test da sforzo dopo IMA; 4) diagnosi di spasmo coronarico; 5)
valutazione di pazienti con dolore toracico dubbio.
Trattamento
Angina stabile:
identificare e trattare i fattori di rischio (sospensione del fumo, trattamento del diabete, dell’ipertensione e
delle dislipidemie); correggere i fattori aggravanti che contribuiscono all’angina (obesità,
anemia,ipertiroidismo); terapia farmacologica (nitroderivati, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, acido
acetilsalicilico); angioplastica coronarica transluminale percutanea +/- posizionamento di stent; BPAC.
Angina instabile:
ricovero in Unità Coronarica; anticoagulanti + nitroderivati e beta-bloccanti; angioplastica; BPAC.
Angina di Prinzmetal:
nitroderivati e calcio-antagonisti.

 INFARTO MIOCARDICO ACUTO


Necrosi del miocardio su base ischemica, quasi sempre dovuta ad una cardiopatia ischemica con stenosi di
grado elevato di un’arteria coronarica.
Patogenesi: arteriosclerosi _ placca stabile _ placca instabile _ rottura della placca _ occlusione trombotica
_ angina pectoris instabile oppure infarto miocardico oppure morte cardiaca improvvisa.
Fattori scatenanti
• improvvisi sforzi fisici
• situazioni di stress con forti variazioni pressorie
• nell’angina pectoris instabile vi è un rischio maggiore di infarto (20%).
• il 40% di tutti gli infarti si verifica nelle ore del mattino (6.00-12.00).
Clinica
• dolori precordiali intensi e persistenti (>30 minuti) da angina pectoris non influenzabili dal riposo o dalla
somministrazione di nitroglicerina. Oltre ai dolori tipici dell’angina pectoris, il dolore può irradiarsi in
direzione epigastrica, specialmente nell’infarto della parete posteriore.
Nota: il 15-20% degli infarti miocardici è privo di dolore (infarti «silenti»), particolarmente nel diabetico (in
seguito a neuropatia diabetica autonomica) e nei soggetti più anziani
• senso di debolezza, angoscia e sintomatologia neuro-vegetativa secondaria (sudorazione, nausea, vomito,
eretismo, ecc.), eventualmente temperatura subfebbrile
• disturbi del ritmo cardiaco (95% dei casi): specialmente del tipo ventricolare fino a fibrillazione
ventricolare
• frequentemente caduta pressoria. Nota: per l’ipertono simpatico, la pressione può anche essere normale
o un poco aumentata
• il polso può essere normale, tachicardico o bradicardico
• sintomi dell’insufficienza cardiaca sinistra (1/3 dei soggetti): dispnea, rantoli umidi alle regioni polmonari
basali, eventuale edema polmonare
• nei soggetti più anziani eventuali disturbi della circolazione cerebrovascolare accompagnati da stati
confusionali ecc.
La diagnosi risulta difficile negli infarti a decorso atipico senza dolori toracici, come ad es.:
• solo dolori a spalla/braccio sinistro
• solo dolori epigastrici
• solo dispnea
• solo caduta pressoria/collasso.
Diagnosi
Esame obiettivo:
possono essere presenti pallore, sudorazione, tachicardia, quarto tono, discinesie dell’itto. In caso di
complicanze cardiache si possono riscontrare rumori molto accentuati come: sfregamento pericardico nella
pericardite epistenocardica (controindicazione alla terapia anticoagulante, rischio di emopericardio); soffio
sistolico nella perforazione del setto ventricolare da necrosi oppure nell’insufficienza mitralica per rottura
del muscolo papillare o nella cardiodilatazione con insufficienza valvalore AV relativa; rantoli umidi nella
stasi / edema polmonare.
Esami di laboratorio:
lieve leucocitosi, iperglicemia, cardioenzimi (prima mioglobina e troponina, poi CPK-MB).
ECG:
indispensabile per definire dimensioni, localizzazione ed età dell’infarto (prima slivellamento del tratto ST,
poi inversione dell’onda T, infine comparsa dell’onda Q).
Ecocardiografia:
evidenzia alterazioni della cinesi di parete.
Scintigrafia miocardica (con tallio o tecnezio):
identifica regioni di ipoperfusione.
Trattamento
Terapia iniziale
Ridurre il dolore, limitare le dimensioni della zona infartuata, prevenire/trattare le aritmie e le complicanze
meccaniche.
Acido acetilsalicilico 160/325 mg immediatamente.
Per IMA con sopraslivellamento del tratto ST (IMA Q): precoce terapia trombolitica entro 3 ore dalla
comparsa dei sintomi + terapia anticoagulante; nei pazienti con controindicazioni a tale terapia si esegue
angioplastica.
Per IMA senza sopraslivellamento del tratto ST (IMA non Q): terapia antitrombotica, beta-bloccanti e
nitroderivati; angioplastica.
Terapia successiva
Ricovero in Unità Coronarica con monitoraggio contiunuo dell’ECG; accesso venoso a permanenza per
trattamento d’emergenza delle aritmie; controllo del dolore (morfina e nitroderivati); O2 terapia; lieve
sedazione (BDZ); beta-bloccanti; anticoagulanti/antiaggreganti piastrinici; ACE-inibitori.
Complicanze
Aritmie ventricolari
Scompenso cardiaco congestizio
Shock cardiogeno
Complicanze meccaniche acute (rottura del setto interventricolare e insufficienza mitralica acuta secondaria
ad ischemia dei muscoli papillari; rottura acuta della parete libera del ventricolo)
Pericardite epistenocardica
Aneurisma ventricolare
Angina ricorrente
Sindrome di Dressler (Febbre, dolore pleuritico e versamento pericardico 2-6 settimane dopo l’IMA)

LE VALVULOPATIE

Anatomia valvolare
Le valvole cardiache sono le strutture che separano fra di loro le camere cardiache (atri e ventricoli) e
queste ultime dai grandi vasi (aorta ed arteria polmonare). Le valvole cardiache sono quattro (tricuspide,
polmonare, mitrale e aorta), in grado di aprirsi e chiudersi in maniera coordinata con il battito cardiaco, così
da lasciare passare il sangue solo in una direzione.
L’ apparato valvolare sia nel ventricolo destro che in quello sinistro comprende:
- l’orifizio e l’ anello che lo delimita
- le cuspidi o lembi valvolari
- le corde tendinee di vario tipo
- i muscoli papillari;
tutte queste strutture agiscono in maniera armonica con il miocardio striale,ventricolare e settale,grazie al
tessuto di conduzione e alla coesione meccanica assicurata dallo “scheletro”fibro-elastico del cuore e,
durante le varie fasi del ciclo cardiaco vanno tutte incontro a importanti modificazioni di posizione,forma
,angolazione e dimensione.
Quindi le valvole che troviamo nel cuore sono 4 ma sono fondamentalmente di due tipi:
- atrioventricolari, simili tra loro morfologicamente
- aortiche e polmonari, che sono valvole semilunari e sono simili tra loro.
Le valvole atrioventricolari sono la tricuspide a destra e la bicuspide a sinistra.
Sono due valvole i cui lembi ( anteriore-posteriore-mediale nella tricuspide e anteriore-posteriore nella
bicuspide)quando il cuore è in diastole, cioè quando le valvole sono aperte,hanno una parte detta parietale
perché guarda la pareta del cuore e una parte assiale che è a contatto con il sangue che scende dall’ atrio al
ventricolo.
La parte parietale è la parte più rugosa mentre la parte assiale è quella liscia.
Per riconosce la morfologia di queste valvole bisogna considerarle come una formazione conoide la cui base
è inserita nella comunicazione atrio-ventricolare e il cui apice sta nel ventricolo. Se facciamo 2 o 3 tagli,a
seconda della valvola, si hanno i lembi valvolari.il taglio non arriva fino all’ inserzione della valvola, perciò si
avrà una porzione della valvola uniforme che è quella parte della v valvola aderente all’ anello fibroso e un
porzione costituita dai lembi che irregolarmente scendono verso il ventricolo. Si distingue:
- una zona basale più chiara che è quella che si inserisce sul punto di comunicazione atrio-
ventricolare ( anello fibroso)
- una zona chiara che è la base di ciascun lembo valvolare
- il lembo valvolare che è costituito da una parte esterna parietale più rugose ed una assiale più
liscia.
I filuzzi tendinei che dalla base si inseriscono sull’ apice dei muscoli papillari, si inseriscono sulla faccia
parietale. Sulla parte assiale scorre sempre il sangue durante la diastole.
Ci sono dei gruppi di muscoli papillari in corrispondenza di ciascun lembo valvolare.
Le valvole semilunari sono quelle aortiche e quelle polmonari; in ognuno di questi vasi ci sono 3 valvole
semilunari: sono come tre scodelle da latte flosce che sono inserite lungo l contorno dell’arterie, i cui lembi
si riempiono quando il sangue cerca di tornare indietro durante la diastole e invece vengono spinte contro
le pareti durante la sistole. Il loro meccanismo d’azione è simile a quello delle valvole venose. Ciascun
lembo ha un margine concavo che è inserito alla parete dell’arteria e un margine convesso che è quello che
sporge nel lume quando il lembo si riempie di sangue. Nella parte centrale del margine convesso del lembo
c’è un ispessimento, che si chiama nodulo,ai lati del quale c’è la parte più sottile che si chiama lunula. La
presenza dei noduli determina un sistema di chiusura migliore nella valvola consento una migliore tenuta
dato che convergono tutti uno verso l’altro quando i lembi si riempiono in diastole .

Definizione
Le malattie delle valvole cardiache si definiscono VALVULOPATIE e possono essere di due tipi:
• Stenosi (incompleta apertura; il sangue passa attraverso un orifizio più piccolo della norma)
• Insufficienze (incompleta chiusura; parte del sangue torna indietro attraverso la valvola che dovrebbe
essere chiusa). Molto spesso tuttavia stenosi e insufficienza coesistono, in diversa misura, nella stessa
valvola, realizzando la cosiddetta stenoinsufficienza.

→CONGENITE, presenti cioè dalla nascita


→ACQUISITE (compaiono nel corso della vita)
• Degenerativa (più frequenti nei soggetti anziani, spesso ipertesi,dovute in sostanza a usura delle
strutture valvolari)
• Infettiva (endocarditi)
• Ischemica (in corso di infarto miocardio acuto)
• Traumatica (molto raramente)
• Secondaria a cospicua dilatazione del ventricolo e/o dei grandi vasi.

Decorso

Il decorso delle valvulopatie è nella maggior parte dei casi lentamente evolutivo, con una fase anche molto
lunga (anni) di completa asintomaticità.
Qualora invece la valvulopatia insorga acutamente su una valvola fino a quel momento normale (in seguito
a traumi, infarto miocardico, endocardite con perforazione dei lembi valvolari) la presentazione clinica può
essere drammatica.Le malattie delle valvole del settore destro del cuore (tricuspide e polmonare), dove
vige un regime pressorio più basso, sono rare e
in genere dovute a problemi congeniti.
Le malattie di mitrale e aorta sono invece molto più frequenti.

Cause

VALVULOPATIE CONGENITE:
alterazioni dello sviluppo embrionale delle strutture cardiache e spesso sono associate ad altre anomalie
congenite che realizzano sindromi assai complesse.
VALVULOPATIE ACQUISITE:
possono essere dovute a infezioni, infiammazioni, degenerazione del tessuto valvolare, traumi, ischemia
miocardica o a patologie del muscolo cardiaco o dell’aorta ascendente.
Negli scorsi decenni una delle cause principali di valvulopatia era la malattia valvolare reumatica, che
insorge come complicanza di una faringite o tonsillite causata dallo streptococco b emolitico. Le valvole
cardiache sono colpite alcune settimane dopo l’infezione tonsillare. Esse vengono danneggiate e
progressivamente si deformano. Al giorno d’oggi, con il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione
delle infezioni e l’aumento della durata della vita, la causa più frequente di valvulopatia è quella
degenerativa, dovuta cioè al progressivo danneggiamento della struttura valvolare che avviene con
l’invecchiamento.

Conseguenze

Le conseguenze della malattia valvolare dipendono dal tipo di anomalia (stenosi o insufficienza) e dalla sua
gravità. La conseguenza estrema di ogni valvulopatia è lo scompenso cardiaco. Pur essendo difficile
generalizzare, si può affermare che ogni valvulopatia attraversa due fasi: una prima di compenso, durante la
quale il cuore mette in atto una serie di meccanismi per far fronte al problema, e una seconda che evolve
verso la insufficienza cardiaca, quando i meccanismi di adattamento non sono più sufficienti a mantenere
una portata cardiaca adeguata.

Le stenosi valvolari causano un aumento di pressione a monte della valvola malata. In caso di
interessamento delle valvole aortica o polmonare, i ventricoli vanno incontro a ipertrofia (aumento di
spessore della parete) che li rende in grado, per un certo periodo, di generare una pressione più elevata,
mentre in caso di interessamento mitralico o tricuspidale gli atri, la cui parete presenta spessori molto
ridotti, vanno incontro a dilatazione. La dilatazione delle camere atriali causa spesso l'insorgenza della
fibrillazione atriale, un'aritmia che peggiora ulteriormente la funzione cardiaca. A un certo punto i ventricoli
non sono più in grado di aumentare ulteriormente i loro spessori e iniziano anch'essi a dilatarsi in modo
esagerato.
La evoluzione a questo punto è verso lo scompenso cardiaco.
Nelle insufficienze valvolari invece, le camere cardiache interessate ricevono una quantità eccessiva di
sangue, dovuta al rigurgito attraverso la valvola che chiude in maniera imperfetta. Non dovendo vincere
un'aumentata resistenza esse non hanno bisogno di aumentare lo spessore delle loro pareti e reagiscono al
sovraccarico di volume dilatandosi. Quando la dilatazione è troppo marcata, il cuore non riesce più a
contrarsi adeguatamente e si verifica un ristagno di sangue nel letto vascolare polmonare (edema
polmonare), a livello del fegato (epatomegalia, gonfiore addominale) e degli arti inferiori (edemi o gonfiori).

Sintomi
Il paziente affetto da valvulopatia è spesso asintomatico o poco sintomatico anche fino a uno stadio
avanzato. Per questo motivo il rischio principale è che si arrivi alla diagnosi e alla terapia troppo tardi. Una
volta che il cuore è eccessivamente dilatato infatti, anche sostituendo la valvola malata, non si assiste a un
miglioramento delle condizioni cliniche e il paziente va incontro a progressivo scompenso cardiaco.
I sintomi dipendono dal tipo di valvulopatia. I primi sintomi sono in genere la comparsa di facile
affaticabilità, dispnea (fatica a respirare) durante l'attività fisica e in seguito anche a riposo. I pazienti
possono accusare batticuore a causa dell'insorgenza di aritmie come la fibrillazione atriale. Talvolta il primo
segno clinico può essere un ictus, dovuto all'entrata nel circolo sanguigno di parti di coaguli che si formano
all'interno della camere cardiache dilatate. Se viene coinvolto il ventricolo destro compaiono congestione
epatica e edemi declivi (ritenzione di liquidi a livello degli arti inferiori). In presenza di una stenosi aortica il
paziente può andare incontro angina, sincope o addirittura morte improvvisa. Per accusare meno problemi
il paziente spesso diminuisce inconsciamente la propria attività fisica. Per questo motivo il grado di
limitazione funzionale è spesso sottostimato.

Come si riconoscono

Il sospetto clinico di valvulopatia viene posto in genere nel corso di una visita medica routinaria per la
presenza alla auscultazione cardiaca di un soffio?.
Bisogna fare una distinzione tra i soffi cosiddetti ?innocenti? o ?fisiologici? e i soffi patologici. I soffi
innocenti sono suoni causati dal passaggio del sangue attraverso le camere e le valvole cardiache e sono
comuni nei bambini e in alcuni adulti. Non hanno alcun significato clinico e possono attenuarsi o
accentuarsi in varie condizioni, aumentando di intensità quando la frequenza cardiaca aumenta (febbre,
agitazione o attività fisica). Generalmente scompaiono durante la crescita e possono ricomparire in
gravidanza. Una volta esclusa la presenza di valvulopatie o altri problemi cardiaci, questi soffi non
necessitano più di controlli. I soffi nelle valvulopatie invece vengono causati dal passaggio del sangue
attraverso valvole che non aprono o non chiudono bene.
L'ecograia del cuore (ecocardiografia) conferma ladiagnosi, quantifica la gravità della valvulopatia e valuta
le condizioni dei ventricoli e degli atri. L'elettrocardiogramma a riposo è utile per individuare eventuali
segni di ipertrofia ventricolare sinistra e/o di impegno atriale, mentre talvolta risulta utile eseguire una
prova da sforzo per valutare la tolleranza allo sforzo del paziente.

Evoluzione

Tranne nei rari casi acuti dovuti a trauma, rottura valvolare, infezione con perforazione delle valvole o
infarto miocardico con conseguente malfunzionamento valvolare, l'evoluzione delle valvulopatie è in
genere assai lenta. Spesso trascorrono degli anni o addirittura decenni prima che la gravità della patologia
sia tale da dover prendere in considerazione l'intervento chirurgico.
E' importante però che i pazienti vengano seguiti regolarmente, perché non di rado si assiste a una
progressione ?a gradini? Della patologia. Essa può rimanere infatti stabile per anni, per poi peggiorare
improvvisamente. L'ECG risulta importante per valutare la funzione dei ventricoli e quindi per poter
decidere tempestivamente quando prendere in considerazione l'intervento chirurgico. E' infatti importante
porre rimedio al difetto valvolare prima che il ventricolo sia eccessivamente dilatato, per limitare il rischio
dell'intervento chirurgico e facilitare il recupero dopo l'operazione.
Trattamento
Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente chirurgico. La terapia medica ha il ruolo di
rallentare la progressione/controllare i sintomi nelle valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione
(vasodilatatori, diuretici) o di contribuire alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute, in modo da
permettere al paziente di arrivare all'intervento chirurgico nelle migliori condizioni. In casi selezionati si
ricorre alla dilatazione della valvola stenotica, effettuata con un catetere a palloncino introdotto attraverso
un vaso sanguigno. Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, spostando nel tempo
l'intervento chirurgico.
Al giorno d'oggi le tecniche chirurgiche si sono evolute notevolmente e spesso risulta possibile riparare la
valvola senza doverla sostituire. In alternativa sono possibili sostituzioni con valvole meccaniche, che hanno
il vantaggio di non rovinarsi nel tempo, ma lo svantaggio di richiedere l'assunzione della terapia
anticoagulante; oppure possono essere utilizzate valvole biologiche, che durano meno, ma non necessitano
di anticoagulazione. Le valvole biologiche possono essere ottenute da tessuto valvolare prelevato da
cadavere o da altri animali (spesso maiali).

Prevenzione

Per le valvulopatie congenite e per la maggior parte di quelle acquisite (soprattutto quelle degenerative)
non è possibile parlare di prevenzione in senso stretto.
E' possibile e doveroso invece prevenire alcune complicanze: i pazienti già affetti da problemi valvolari
infatti hanno un rischio aumentato di contrarre infezioni delle valvole stesse, causate da batteri
normalmente localizzati a livello delle superfici cutanee o delle mucose che possono entrare nel circolo
sanguigno in occasione di procedure chirurgiche, dentarie, ginecologiche e invasive in generale.
Prima di sottoporsi a tali procedure viene quindi raccomandata la profilassi antibiotica (profilassi
dell'endocardite batterica). Nei pazienti con valvulopatia mitralica invece, soprattutto se di origine
reumatica e/o accompagnata da fibrillazione atriale è indicata una adeguata terapia anticoagulante per la
prevenzione di eventi tromboembolici.
Nei pazienti con tonsillite o faringite batterica un precoce e adeguato trattamento antibiotico previene
l'evento iniziale che è la infiammazione della superficie interna del cuore. Importante è anche un ambiente
di vita sano, che riduce le infezioni tonsillari e la gravità delle loro conseguenze. La recidiva di malattia
reumatica è abbastanza frequente, ma si riduce man mano che passano gli anni dall'attacco precedente. La
prevenzione di un nuovo attacco si attua con la somministrazione intramuscolare mensile di un antibiotico
specifico (penicillina), da effettuarsi anche per molti anni.

INSUFFICIENZA MITRALICA
Caratterizzata da un reflusso sistolico diretto
dal ventricolo all’atrio sinistro
EZIOLOGIA
- Degenerativa (calcificazione dell’ anulus soprattutto nelle donne anziane per eziologia sconosciuta)
- più frequente nei maschi
- Malattia Reumatica cronica
- Prolasso Mitralico
- Infettiva (Endocarditi)
- in alcuni casi congenita (insieme a difetti atrio ventricolare)
- in seguito ad eventi ischemici
- Forme rare: sindrome di Marfan
- LES
- distrofie muscolari
- tumori
FISIOPATOLOGIA
INSUFFICIENZA MITRALICA ACUTA: rigurgito abbondante che si
instaura improvvisamente. Vengono a mancare rapidamente i meccanismi di
compenso cardiocircoilatorio in quanto non c’è tempo per lo sviluppo di
ipertrofia.
INSUFFICIENZA MITRALICA CRONICA: il reflusso si instaura
progressivamente e quindi vengono evocati i meccanismi di adattamento e di
compenso.
Importante in questo caso la frazione di rigurgito che è la percentuale di
sangue che torna in atrio sx durante la sistole e può arrivare al 70%.
In questo caso il sovraccarico di volume determina progressiva dilatazione del
ventricolo sinistro per il meccanismo dell’ipertrofia eccentrica.
QUADRO CLINICO
INSUFFICIENZA MITRALICA ACUTA:
• Dispnea ingravescente
• Edema polmonare acuto
• Shock cardiogeno
INSUFFICIENZA MITRALICA CRONICA: i sintomi insorgono
gradualmente e dipendono dall’entità del rigurgito e dalla durata del
processo. I primi sintomi sono legati alla ridotta gittata
• Facile faticabilità (astenia)
• Lieve dispnea da sforzo e ortopnea
• Dispnea parossistica notturna
• Dispnea a riposo
ESAME OBIETTIVO
Pressione arteriosa normale.
Nei casi gravi il polso arterioso ha una rapida salita. All’ apice cardiaco è palpabile un fremito sistolico.
Auscultazione:
-primo tono non apprezzabile oppure ridotto di intensità o coperto dal soffio sistolico:la presenza del primo
tono accentuato esclude l’insufficienza mitralica grave. Ampio sdoppiamento del secondo tono(per precoce
chiusura della valvola aortica). Se si presenta un schiocco di apertura probabile associazione con stenosi
mitralica. Presenza del terzo tono indica un’ insufficienza grave.
Caratteristico soffio olosistolico prevalente all’ apice e si irradia all’ ascella (se c’è una rottura delle corde
tendinee ha un timbro pigolante)questo soffio si accentua durante l’esercizio isometrico e si riduce durante
a manovra di Valsala.
DIAGNOSI
ELETTROCARDIOGRAMMA: poche informazioni; di dilatazione atriale destra e di fibrillazione.
ECOCARDIOGRAMMA:sia tran toracica che trans esofagea(fornisce informazioni più precise) valutazione
precisa delle camere cardiache. atrio sinistro aumentato e/o di aumenta motilità)
RX TORACE: dilatazione atriale e ventricolare nelle forme croniche. Edema
polmonare nelle forme acute(strie B di Kerley).possibile presenza di calcificazioni all’ anulus nell’
insufficienza cronica.
CATETERISMO CARDIACO: utile per una valutazione pre operatoria.
TERAPIA
Riduzione del consumo di sodio e assunzione di diuretici per ridurre l’ astenia e la dispnea. Vasodilatatori e
la digitale migliorano la gittata del ventricolo sn in caso di scompenso. Nitrati per ridurre il post carico e
quindi il rigurgito.ACE inibitori per l’insufficienza cronica. Nelle fasi avanzate si utilizzano farmaci
anticoagulanti per diminuire gli episodi di trombosi ed embolia polmonare.
Il trattamento chirurgico è consigliato sia nei pz asintomatici sia quelli con sintomi lievi quando la
disfunzione ventricolare sinistra è progressiva,la frazione di eiezione del ventricolo sinistro scende sotto il
60%.valvuloplastica o inserimento di una protesi( anche biologica).

STENOSI MITRALICA
EZIOLOGIA
Generalmente dovuta alla malattia reumatica dove il processo infiammatorio causa cicatrizzazione ed
ispessimento delle cuspidi valvolari da tessuto fibroso e/o depositi calcifici, con fusione dei lembi e
ipomobilità degli stessi e restringimento dell’orifizio.
In altri una stenosi mitralica di minor grado può accompagnare un’ insufficienza mitralica e lesioni della
valvola aortica.
Si manifesta generalmente dalla III alla V decade ;i due terzi di tutti i pz con stenosi mitralica sono donne.
Raramente è la conseguenza di altre condizioni patologiche quali il LES, l’artrite reumatoide, la sindrome
da carcinoide, l’amiloidosi.
nell’anziano può essere causata da Calcificazioni dell’anulus.
In alcuni casi si può presentare Stenosi congenita.
FISIOPATOLOGIA
Il normale orifizio è di circa 4-6 cm2. A seconda del grado di stenosi si ha una riduzione del flusso attraverso
la valvola con incremento della pressione atriale sinistra. L’aumento della pressione venosa polmonare e
della pressione arteriosa di incuneamento polmonare determina una riduzione della compliance polmonare
e la comparsa di dispnea da sforzo. Per valutare l’importanza dell’ ostruzione è essenziale misurare sia il
gradiente pressorio trans-valvolare sia la velocità del flusso.quest’ultima non dipende solamente dalla
portata ma anche dalla frequenza; un’ incremento della frequenza cardiaca riduce proporzionalmente più
la durata della diastole che della sistole e quindi diminuisce il tempo disponibile al sangue per passare
attraverso l’orifizio mitralico. Quindi per ogni dato valore di portata cardiaca la tachicardia aumenta il
gradiente transvalvolare e eleva ulteriormente la pressione striale sinistra
L’esercizio fisico determina un aumento della pressione striale sinistra,dei capillari e dell’ arteria
polmonari . La conseguenza è lo sviluppo di edema polmonare acuto
. La risposta emodinamica per un dato gradiente di ostruzione mitralica può essere caratterizzata da una
portata normale a riposo con elevato gradiente presso rio atrio ventricolare sn o, all’opposto, da una
ridotta portata cardiaca con modesto gradiente presso rio trans valvolare. In stenosi moderate si può dire
che la portata cardiaca è normale mentre aumenta in modo insufficiente durante lo sforzo fisico; in casi di
ostruzione grave la portata è già ridotta a riposo e può addirittura diminuire durante l’esercizio.
L’ipertensione polmonare è determinata da:
-trasmissione retrograda passiva delle elevate pressioni in atrio sinistro
-vasocostrizione delle arterie polmonari che è presumibilmente innescata dalla ipertensione striale
sinistra e delle vene polmonari(ipertensione polmonare reattiva)
-edema interstiziale nella parete dei piccoli vasi polmonari
-modificazioni obliterative del letto vascolare polmonare.
La risultante ipertensione polmonare determina la comparsa di insufficienza tricuspidale e insufficienza
polmonare e quindi insufficienza cardiaca destra.
SINTOMATOLOGIA
• Dispnea, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema
polmonare. Inizialmente presenti solo in casi di stress tipo da esercizio fisico,eccitazione ,febbre,anemia
grave,tachicardia parossistica,attività sessuale,gravidanza e tireotossicosi…successivamente con il
progredire e l’aggravarsi della patologia bastano pure piccoli stress e il pz diventa fortemente limitato nella
sua attività quotidiana.
• Bronchiti invernali
• Emottisi determinata dalla rottura dei piccoli vasi venosi broncopolmonari secondaria all’ipertensione,non
è quasi mai fatale.
In genere quando la malattia progredisce e le restitenze polmonari aumentano o quando si sviluppa
l’insufficienza o una stenosi tricuspidale, i sintomi dovuti alla congestione polmonare si riducono, così
come gli episodi di edema polmonare acuto ed emottisi.l’aumento delle resistenze vascolari polmonari
incrementa ulteriormente la pressione ventricolare destra, il che determina insufficienza ventricolare
destra con..
• Astenia e affaticamento,disturbi addominali da congestione epatica ed edema.
• Aritmie atriali ( battiti ectopici, tachicardie parossitiche, flutter e fibrillazione atriale); l compasa di una
fibrillazione atriale cronica segna una svolta importante nel decorso del pz e in genere è associata ad una
ingravescenza dei sintomi.
• Embolie sistemiche derivanti da trombi che si sono formati nell’atrio sin, più spesso si riscontrano in pz
con fibrillazione striale o altre aritmie parossistiche,in pz anziani e quelli con gittata cardiaca ridotta.
L’embolizzazione sistemica potrebbe risultare il sintomo d’ esordio in pz con stenosi altrimenti
asintomatici .
• Embolia ed infarto polmonare .causa di morbilità e mortalità importante.
SEGNI FISICI/ ESAME OBIETTIVO
- Facies mitralica (zigomi rossi e labbra viola,cianosi periferica e facciale)
- Turgore giugulare
- Pressione arteriosa normale o leggermente diminuita
- si apprezza un impulso lungo il margine sternale sinistro dovuto alla dilatazione del ventricolo destro,
spesso si avverte un fremito diastolico a livello dell’apice cardiaco,sprtt con pz in decubito laterale sn.
Auscultazione:
-il primo tono è accentuato e sdoppiato
-nei pz con ipertensione polmonare il secondo tono è sdoppiato e in caso di grave ipertensione polmonare
si pu apprezzare un click sistolico in eiezione;lo schiocco di apertura della valvola si apprezza più facilmente
in espirazione all’ apice cardiaco,anche lungo il margine sternale sinistro.(l’intensità dello schiocco di
apertura è inversamente proporzionale alla gravità della stenosi)
-lo schiocco di apertura è di solito seguito da un rullio diastolico a bassa frequenza che si ascolta meglio all’
apice con il pz in decubito laterale sinistro.(la durata del soffio è correlata alla gravità della stenosi)
DIAGNOSI
ELETTROCARDIOGRAMMA: pz con stenosi mitralica grave possono avere un QRS normale.in caso di
ipertensione polmonare si osservano una deviazione assiale destra e una ipertrofia ventricolare destra.
ECOCARDIOGRAMMA: valutazione precisa delle camere cardiache e della
entità della stenosi. soprattutto grazie all’ ECOdoppler
RX TORACE: ingrandimento isolato dell’atrio sinistro. Dilatazione
ventricolare destra. Presenza delle strie B di Kerley(segno di edema interstiziale)
CATETERISMO CARDIACO e ANGIOCARDIOGRAFIA: utile per una valutazione pre operatoria.
TERAPIA
Nei pz adolescenti asintomatici è importante la profilassi con penicilline per le infezioni da streptococchi e
per l’endocardite batterica. Restrizione di sodio e uso di diuretici nei sintomatici. Digitale e beta-bloccanti
per i pz fibrillanti. Cardioversione al ritmo sinusale farmacologia o elettrica dopo 3 settimane di
anticoagulanti trattamento chirurgico:valulotomia mitralica (o percutanea con palloncino o attraverso
intervento chirurgico).

PROLASSO MITRALICO
Questa sindrome viene anche indicata come sindrome del click-soffio sistolico, sindrome di
Barlow,sindrome della valvola vacillante,e sindrome del lembo mitralico ridondante.
Patologia che interessa il 6% della popolazione di razza bianca prevalentemente nel sesso femminile tra i 14
e 30 anni . Il decorso è ottimo per le forme lievi che vanno solamente monitorate nel tempo.la condizione
patologia evolv nell’arco di anni o decenni.
I lembi mitralici sono ridondanti perché più grandi( caratteristici della degenerazione mixomatosi dovuta ad
un aumento della concentrazione di mucplisaccaridi acidi.questo è frequente nei pz con patologie
ereditarie del connettivo come per esempio la sindrome di Marfan,l’osteogenesi imperfecta e la sindrome
di Ehler-Danlos).l’eziologia rimane sconosciuta per la maggior parte dei pazienti.il prolasso può determinare
una sollecitazione anomala dei muscoli papillari che è causa del malfunzionamento e dell’ ischemia di
questi e del miocardio circostante.
Se è presente insufficienza mitralica concomitante la sintomatologia è riconducibile a questa patologia.
La maggior parte dei pz rimane asintomatico per tutta la vita.il prolasso della valvola mitrale rappresenta la
causa più comune di grave insufficienza mitralica isolata.
Caratterizzata auscultatoriamente da un click mesosistolico (non di eiezione)dovuto al rapido tendersi delle
corde tendinee allungate o al lembo prolassante quando raggiunge la sua massima escursione; si posono
ascoltare click sistolici multipli,spesso seguiti da soffio telesistolico in crescendo-decrescendo meglio
apprezzabile all’ apice. Il click e il soffio divengono più precoci quando il pz è in ortostatismo o quando è
sottosforzo nella manovra di Valsalva (queste manovre provocano la riduzione del volume ventricolare
sinistro aumentando il prolasso).
Elettrocardiogramma:normale o presenta un onda T difasica o invertita nelle derivazioni II,III e VF. l’
Ecocardiografia consente di visualizzare il prolasso dei lembi vlvolari (infatti la definizione: dislocazione
sistolica ,in parasternale, delle cuspidi valvolari della mitrale di almeno 2mm verso l’atrio sn superiormente
al piano passante per l’anulus mitralico. Con il Doppler è possibile valutare l’eventuale concomitante
presenza di insufficienza valvolare.
La terapia è volta a rassicuare il pz alla prevenzione dell’ endocardite infettiva con antibiotici e al
trattamento delle pericardialgie atraverso l’utilizzo dei beta bloccanti.in caso di insufficienza mitralica grave
si ricorre alla valvulo plastica o più raramente di sostituzione valvolare.

STENOSI AORTICA
Malattia delle valvole semilunari caratterizzata da restringimento valvolare e ostruzione al flusso
ventricolare sinistro con sviluppo di gradiente pressorio ed ipertrofia concentrica del ventricolo sx.
interessa il 25% di tutti i pz con lesioni valvolari. Circa l’ 80% dei pz adulti con stenosi aortica sono maschi.
EZIOLOGIA
• provocata da calcificazioni degenerative di eziologia sconosciuta(più frequente)
• congenita (sviluppo di fibrosi e calcificazioni durante i primi 3 decenni di vita, oppure presenza di una
valvola congenitamente anomala ma senza stenosi significativa fino all’ adolescenza)
• secondaria a malattia reumatica(l’endocardite reumatica dei lembi valvolari aortici determina una fusione
commisurale che provoca la formazione di una valvola bicuspide peggiorando lo stres emodinamico)
• forme rare
FISIOPATOLOGIA
L’orifizio aortico ha una area di circa 2-3 cm2. Una riduzione dell’area superiore al 30% determina lo
sviluppo di un gradiente significativo transvalvolare. Per contrastare il gradiente il ventricolo sinistro va
incontro allo sviluppo di ipertrofia concentrica attraverso la replicazione in parallelo delle miofibrille.
L’aumento della massa muscolare miocardia dovuta all’ ipertrofia fa sì che aumentino pure le richieste
miocardiche di ossigeno. Con formazione di zone ischemiche a livello sub endocardico(anche in assenza di
coronaropatie perche la pressione esercitatadel ventricolo in contrazione è maggiore di quella dei vasi
coronarici così che venga ostruito il flusso anche in asenza di restringimenti vasali) . L’ipertrofia determina
una maggiore rigidità delle pareti del ventricolo sinistro che quindi si oppone alla distensione passiva
durante la diastole determinando quindi una disfunzione diastolica.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Assume raramente rilevanza clinica fino a quando l’area valvolare non si riduce ad almeno una terzo del
normale cioè a 0.5 cm2/m2 in età adulta.
Classica triade sintomatologica:
ANGINA ectoris
DISPNEA da sforzo
SINCOPE
Poiché la portata cardiaca a riposo è normale in genere fino agli stadi più avanzati della malattia, di solito
l’astenia, la cianosi periferica e le altre manifestazioni di bassa portata sono caratteristiche solo delle fasi
terminali della malattia.

1)ANGINA
E’ il risultato di una combinazioni di fattori:
1) Squilibrio tra massa muscolare ipertrofica e letto vascolare capillare coronarico.
2) Riduzione della riserva coronarica subendocardica
3) Eccessivo aumento da sforzo della domanda di ossigeno
4) Aumento della pressione diastolica ventricolare
5) Compressione diretta sui vasi intramurali

2)SINCOPE
E’ causata da un inadeguato flusso ematico attraverso la valvola stenotica con conseguente ridotta
perfusione cerebrale e coronaria Anche la comparsa di aritmie ipercinetiche ventricolari è stata presa in
considerazione come causa della sincope.
La sopravvivenza media è di circa 3 anni da un episodio sincopale
3)DISPNEA
Astenia, tosse, dispnea parossistica notturna ed edema polmonare acuto.la dispnea è dovuta sll’
incremento della pressione capillare polmonare provocato dall’aumento della pressione telediastolica dell’
atrio e del ventricolo sinistri.
La sopravvivenza media è di circa 2 anni dalla comparsa di scompenso cardiaco

ESAME OBIETTIVO
Ritmo regolare e pressione arteriosa sistemica in genere nella norma. Nelle fasi terminali, quando si riduce
la portata cardiaca, la pressione sistolica cadde e la pressione differenziale diminuisce. Il polso arterioso
periferico valutato a livello delle carotidi o quello brachiale aumenta lentamente fino a raggiungere un
picco sostenuto ritardato (pulsus parvus et tardus).
Itto iper dinamico,dislocato lateralmente e riflette la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Si può
rilevare un doppio impulso apicale(con il pz in decubito laterale sinistro),fremito sistolico alla base del
cuore, a livello del giugulo e lungo le carotidi.
Auscultazione:
-nei bimbi e negli adolescenti si apprezza spesso un click sistolico che rappresenta lo schiocco di apertura
della valvola.
-quando la stenosi diventa grave ,la sistole ventricolare sinistra può essere così prolungata da determinare
il ritardo del tono di chiusura aortico che non precede più quello polmonare, ma può fondersi con esso
oppure seguirlo, il che provoca il cosiddetto sdoppiamento paradosso del secondo tono
-nella maggior parte dei pz si apprezza all’ apice cardiaco un quarto tono che riflette l’aumentata pressione
telediastolica del ventricolo sinistro. In genere la presenza di un terz tono sta ad indicare un ventricolo
sinistro dilatato.
-soffio caratteristico è un soffio sistolico (meso) che inizia appena dopo il primo tono, aumenta di intensità e
raggiunge il picco verso la metà del periodo elettivo,diminuendo progressivamente subito dopo per
terminare appena prima della chiusura della valvola aortica. Il soffio è di solito di bassa frequenza, rude, di
forte intensità e si apprezza meglio a livello del secondo spazio intercostale destro.si irradia al giugulo e ai
vasi del collo.
COMPLICANZE
• Embolie sistemiche (rare)
• Endocardite infettiva
• Aritmie ventricolari e morte improvvisa
• Fibrillazione atriale
• Dissezione aortica
• Disturbi di conduzione

DIAGNOSI
ELETTROCARDIOGRAMMA: nelle fasi più avanzate si riscontra nelle derivazioni I e VL e nelle precordiali
sinistre una depressione del tratto ST e dell’ inversione dell’onda T (sovraccarico ventricolare sinistro)
RADIOLOGIA:una stenosi aortica critica può essere evidenziata da una dilatazione post stenotica dell’aorta
ascendente. In genere la radiografia al torace può rimanere normale per lungo tempo.solo nelle situazioni
terminale si può osservare una progressiva dilatazione del ventricolo sinistro e possono comparire anche
segni radiologici di congestione polmonare e dilatazione dell’atrio sinistro,delle arterie polmonari, del
ventricolo destro e dell’ atrio destro.
ECOCARDIOGRAMMA:
• Diagnosi differenziale nei confronti di altre patologie ostruttive dell’efflusso VSX
• Studio dell’apparato valvolare e dell’area
STENOSI LIEVE area valvolare > 1,5 cm2
STENOSI MODERATA area valvolare compresa tra 0,8 e 1,5 cm2
STENOSI SEVERA area valvolare < 0,8 cm2
• Studio dei gradienti transvalvolari
STENOSI LIEVE gradiente medio 20-30 mmHg
STENOSI MODERATA gradiente medio 30-50 mmHg
STENOSI SEVERA gradiente medio > 50 mmHg

CATETERISMO CARDIACO e CORONAROGRAFIA:


• Studio coronarografico pre-operatorio
• Studio dei gradienti transvalvolari emodinamici
STENOSI LIEVE gradiente medio 20-30 mmHg
STENOSI MODERATA gradiente medio 30-50 mmHg
STENOSI SEVERA gradiente medio > 50 mmHg
Questi esami sono fondamentali soprattutto nei seguenti casi:
-pz con segni clinici di stenosi aortica e sintomi di ischemia miocardia nei quali si sospetta la presenza di
una coronaropatia.è indispensabile determinare se la stenosi o l’aterosclerosi sono responsabili dei
sintomi;la coronarografia serve a identificare i pz che necessitano di una rivascolarizzazione coronaria
durante l’intervento sulla valvola.
-nei pz con valvulopatie multiple nei quali prima dell’ intervento bisogna determinare il peso emodinamico
di ciascun vizio alveolare.
-nei pz in cui si sospetta che l’ostruzione del tratto di efflusso ventricolare non sia a livello della valvola
aortica,ma sotto o sopra valvolare.
TERAPIA
Tutti i pz con stenosi aortica moderata o grave richiedono attenti controlli periodici.nella fase di cardiopatia
congestiazia è indicato l trattamento con digitale,dieta iposodica, e cauta somministrazione di
diuretici(attenzione però a non ridurre a tal punto il volume che può causare una marcata riduzione della
gittata cardiaca)
Nei pz adulti con stenosi aortica calcifica e grave ostruzione si prende in considerazione la sostituzione
valvolare. L’intervento deve essere eseguito possibilmente prima della comparsa dei sintomi di
insufficienza ventricolare sinistra che comportano un aumento dei rischi operatori del 20%. Un’ alternativa
all’ intervento di sostituzione valvolare con una protesi,nei bambini e nei giovani adulti è la valvuloplastica
percutanea con palloncino.

INSUFFICIENZA AORTICA
EZIOLOGIA
In passato la malattia reumatica e la sifilide erano le cause principali. Attualmente per il calo di queste due
patologie si ha un aumento dell’incidenza legato a:
• Malformazione della valvola (Aorta bicuspide)
• Connettivopatie
-necrosi cistica mediale dell’ aorta ascendente
-sindrome di Marfan
-dilatazione idiopatica dell’ aorta
-osteogenesi imperfecta
• Ipertensione arteriosa
• Endocarditi
Reflusso diastolico dall’aorta in ventricolo sinistro per lesione dei lembi semilunari aortici o della aorta
ascendente con coinvolgimento dei lembi valvolari.
FISIOPATOLOGIA
INSUFFICIENZA CRONICA: Il reflusso di sangue nel ventricolo sinistro aumenta il riempimento
diastolico(aumento del precarico) determinando un sovraccarico di volume. Per mantenere una gittata
anterograda normale il volume del ventricolo sinistro aumenta. Si ha ipertrofia eccentrica con aumento del
volume ventricolare. Secondo la seconda legge di Laplace la tensione di parete del miocardio è data dal
prodotto della pressione intracavitaria per il raggio del ventricolo sinistro;quindi un pz con insufficienza
aortica grave può presentarte una gittata sistolica effettiva normale e una normale frazione di eiezione
associate ad un volume ed una pressione telediastolica del ventricolo sinistro aumentati.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
INSUFFICIENZA CRONICA
• Asintomatica per anni
• Astenia e Dispnea da sforzo
• Dispnea notturna, a riposo e edema polmonare,sudorazione profusa notturna con angina da
decubito,ortopnea
-crisi di angina a riposo e sotto sforzo
-nelle fasi avanzate ritenzione idrica, edemi declivi, ascite,epatomegalia.
ESAME OBIETTIVO:
il pz con insufficienza aortica grave presenta chiari segni della malattia,consistenti in pulsazione di tutto il
corpo,movimento pulsatorio della testa(segno di De Musset)che accompagna ogni sistole e arterie
pulsanti(segno della danza delle carotidi).
Polso caratteristico della patologia, detto “polso celere o collassate” (polso di Currigan) dovuto al aumento
della pressione differenziale.a livello delle arterie brachiali si può percepire il segno del dardo
palpatoriamente.
Il segno di Quincke:rapido alternarsi di iperemia e pallore del letto ungueale quando viene applicata una
pressione all’ estremità dell’unghia.
Sulle arterie femorali si può ascoltare un tono detto “a colpo di pistola”(segno di Traube);inoltre sempre
sull’arteria femorale se si applica una lieve pressione sul vaso con lo stetoscopio si può ascoltare il soffio “va
e vieni”(segno di Douriez). Questi due ultimi segni sono presenti nelle forme moderate e scompaiono nelle
forme gravi.
Come abbiamo già detto la pressione differenziale è aumentata.la gravità dell’insufficienza non è correlata
con i valori pressori.
Lungo il margine sternale sinistro si può apprezzare un fremito diastolico e lungo l’incisura giugulare si può
apprezzare un fremito sistolico che viene trasmesso lungo le carotidi.
Auscultazione:
-forte soffio sistolico in crescendo-decrescendo detto “a bandoliera” che si può quindi apprezzare dal punto
di auscultazione aortico che si trova nel secondo spazio intercostale lungo il margine destro sternale fino
alla punta del cuore
-il soffio dell’ insufficienza aortica è un soffio diastolico in calando ad alta frequenza che di solito si ascolta
meglio a livello del terzo spazio intercostal sinistro.
-nei pz con insufficienza aortica si apprezza spesso un terzo soffio detto di Austin Flint,un rullio
mesodiastolico o presistolico dolce a bassa frequenza,probabilmente provocato dalle vibrazioni del lembo
anteriore della mitrale investito dal flusso rigurgitante dall’ aorta.
DIAGNOSI
ELETROCARDIOGRAMMA
Presenta segni di ipertrofia ventricolare sinistra. Alte onde R nelle derivazioni precordiali sinistre, profonde
onde S nelle precordiali destre, depressione del tratto ST e un ‘inversione dell’onda T nelle derivazioni I, a
VL, V5, V6 (“sovraccarico ventricolare sinistro”)
QUADRO RADIOLOGICO
L’insufiicenza aortica grave è associata a vari gradi di dilatazione ventricolare sinistra e frequentemente
l’ombra cardiaca si estende al di sotto dell’emidiaframma.
Quando l’insufficienza è dovuta a una malattia della parete dell’aorta si osserva la dilatazione
aneurismatica che in proiezione laterale può riempire lo spazio retro sternale.
ECOCARDIOGRAMMA
• Definisce l’entità del rigurgito
• Studio dell’apparato valvolare:
• Presenza di vegetazioni infette
• Anomalie delle cuspidi
CATETERISMO CARDIACO
• Studio coronarografico pre-operatorio
• Valutazione dell’entità del rigurgito alla ventricolografia e della funzione ventricolare sinistra.
TRATTAMENTO
Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente chirurgico. La terapia
medica ha il ruolo di rallentare la progressione/controllare i sintomi nelle
valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione (restrizione di sodio nella dieta,vasodilatatori,
diuretici,digitale,ifedipina) o di contribuire alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute, in modo da
permettere al paziente di arrivare all’intervento chirurgico nelle migliori condizioni.
L’intervento è consigliato dopo la comparsa dei primi sintomi di disfunzione ventricolare sinistra ma prima
della comparsa dei sintomi gravi. l’intervento può essere rinviato fino a quando il pz resta asintomatico e
mantiene una funzione ventricolare normamale. In casi selezionati si ricorre alla dilatazione della valvola
stenotica, effettuata con un catetere a palloncino introdotto attraverso un vaso sanguigno.
Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, spostando nel tempo l’intervento
chirurgico.
Al giorno d’oggi le tecniche chirurgiche si sono evolute notevolmente e spesso risulta possibile riparare la
valvola senza doverla sostituire. In alternativa sono possibili sostituzioni con valvole meccaniche, che hanno
il vantaggio di non rovinarsi nel tempo, ma lo svantaggio di richiedere l’assunzione della terapia
anticoagulante; oppure possono essere utilizzate valvole biologiche, che durano meno, ma non necessitano
di anticoagulazione. Le valvole biologiche possono essere ottenute da tessuto valvolare prelevato da
cadavere o da altri animali (spesso maiali).
INSUFFICIENZA AORTICA ACUTA
Le cause più comuni di insufficienza aortica sono rappresentate dall’endocardite batterica, dalla dissezione
aortica e dai traumi. Dal momento che l’evento acuto non concede al ventricolo sinistro tempo sufficiente
di dilatarsi,la gittata sistolica diminuisce e la pressione telediastolica ventricolare sale in modo
significativo;la pressione arteriosa differenziale spesso non è aumentata e possono non essere presenti i
segni caratteristici dell’ insufficienza aortica cronica grave.
È frequente il riscontro di una chiusura precoce della valvola mitrale, dimostrabile anche con l’eco. In
genere il primo tono è lieve o assente e il soffio diastolico dell’insufficienza aortica è caratteristicamente
breve. I pazienti presentano una congestione polmonare o un quadro di edema polmonare acuto e
ipotensione secondaria alla bassa portata. L’insufficienza aortica acuta richiede n intervento chirurgico
immediato che può salvare la vita del paziente.

STENOSI TRICUSPIDALE

Rappresenta una patologia rara negli Stati Uniti e in Europa.


In genere di origine reumatica,più comune nelle donne che negli uomini. Si trova di solito associata alla
stenosi mitralica.
È presente un gradiente presso rio diastolico tra l’atrio e il ventricolo di destra. Un gradiente diastolico
medio superiore a 4 mmHg di solito è sufficiente a elevare la pressione striale destra media al punto tale da
provocare congestione venosa sistemica con ascite ed edemi se l’apporto alimentare di sodio non è stato
ridotto e non vengono somministrati diuretici. La bassa portata è responsabile del riscontro di pressioni
striali sinistre, polmonari e ventricolari destre normali o solo lievemente aumentate,anche in presenza di
stenosi mitralica.
La maggior parte dei pazienti presentano inizialmente segni di congestione polmonare.
In questi pz è caratteristica la discrepanza tra i sintomi (lieve dispnea) e il quadro obiettivo di
epatomegalia ,ascite e edemi.
Nella stenosi tricuspidale e/o insufficienza tricuspidale sono comuni l’astenia secondaria alla bassa portata
cardiaca e i disturbi dovuti agli edemi ricorrenti,all’ascite e dell’epatomegalia.
Poiché questa patologia è di solito associata ad altre valvulopatie più comuni la diagnosi non viene posta.
Una stenosi tricuspidale grave è associata a marcata congestione epatica che spesso provoca cirrosi,
ittero,segni di malnutrizione,gravi edemi e ascite.può esservi splenomegalia.
Il soffio diastolico della stenosi tricuspidale condivide molte caratteristiche di quello della stenosi
mitralica,cui spesso si associa e viene confuso. Comunque il soffio tricuspidale in genere è meglio
apprezzato a livello del processo tifoideo,aumenta nel corso dell’inspirazione e si riduce durante
l’espirazione e la manovra di Valsala,meglio apprezzato quando il pz è in posizione eretta.
All’esame ecocardiografico si osserva una valvola tricuspide con lembi ispessiti e il Doppler permette di
stimare l gradiente transvalvolare.
Nel periodo preoperatorio sono importanti la dieta priva di sodio e l terapia diuretica;questo può ridurre la
congestione epatica riducendo i rischi connessi all’intervento. L’intervento consiste nella valvuloplastica o
una sostituzione con una protesi,preferibilmente biologica.

INSUFICIENZA TRICUSPIDALE
Nella maggior parte dei casi l’insufficienza tricuspidale è funzionale ed è secondaria a una dilatazione del
ventricolo destro e dell’anello tricuspidale.l’insufficienza tricuspidale funzionale può complicare un
ingrandimento ventricolare destro di qualsiasi natura,compresi i casi di infarto della parete inferiore con
interessamento del ventricolo destro,le cardiopatie congenite con ipertensione polmonare grave,le
cardiopatie ischemiche,le miocardiopatie e i cuore polmonare. Se ‘ipertensione polmonare recede
l’insufficienza tricuspidale è almeno in parte reversibile. La malattia reumatica può produrre
un’insufficienza tricuspidale organica spesso associata ad una stenosi. Eno frequentemete si osservano casi
di insufficienza tricuspidale legata a malformazioni ongenite della valvola tricuspide,come nei difetti del
canale atrioventricolare.
Le caratteristiche cliniche dell’insufficienza consistono essenzialmente nella congestione venosa sistemica e
nella riduzione della portata cardiaca.
I segni caratteristici dell’insufficienza tricuspidale consistono in una pulsazione ventricolare destra lungo la
regione parasternale sinistra e in un soffio olosistolico a livello del margine inferiore sinistro dello sterno,
che in genere si intensifica nel corso dell’inspirazione e si riduce durante l’espirazione o la manovra di
Valsala. Di solito i pz presentano fibrillazione striale.
L’ ECG mostra i segni caratteristici della lesione responsabile della dilatazione del ventricolo destro a cui
segue l’insufficienza tricuspidale.
Nei rari casi di insufficienza tricuspidale isolata è frequente un blocco di branca destro incompleto. La
radiografia al torace dimostra una dilatazione sia del ventricolo che dell’atrio destro. L’ecografia può essere
utile nel dimostrare la dilatazione del ventricolo destro e il prolasso delle cuspidi tricuspidali; la diagnosi di
insufficienza tricuspidale può essere posta mediante il Doppler, anche la sua gravità e la pressione arteriosa
polmonare. La pressione media nell’atrio destro e la pressione teldiatolica ventricolare destra sono elevate.
In genere l’insuffiicenza tricuspidale isolata è ben tollerata e non richiede l’interveto chirurgico. Se associata
ad altre valvulopatie in genere il trattamento di queste comporta un miglioramento dell’insufficienza
tricuspidale sena intervenire su questa.
IPERTENSIONE ARTERIOSA

Prima causa di mortalità nel mondo, secondo il rapporto dell’OMS

Definizione Rapporto del Joint National Committee americano n.7, 2003/ Linee guida ESH ESC 2007
Categoria Sistolica (mmHg) Diastolica (mmHg)
Ottimale < 120 e <80
Normale < 120-129 e <80-84
Normale-alta 130-139 e/o 85-89
Ipertensione stadio 1 140-159 e/o 90-99
Ipertensione stadio 2 160-179 e/o 100-109
Ipertensione stadio 3 >/=180 e/o >/=110
Ipertensione sistolica isolata >/=140 e/o <90

Epidemiologia 50 milioni di individui negli USA, 1 miliardo nel mondo (JNC,2003)


Nelle donne la prevalenza è inferiore a quella degli uomini nella fascia d’età < 50 anni; >50 anni aumenta in
maniera significativa.

Classificazione per eziologia


- essenziale
- secondaria

IPERTENSIONE ESSENZIALE: dovuta ad alterazioni funzionali o non specifiche, detta anche primitiva o
idiopatica
Rappresenta circa il 90-95% dei casi di ipertensione.

Fattori influenti:
- genetici= ereditarietà multifattoriale o difetti monogenici in geni suscettibili
- ambientali=assunzione di sodio, soprattutto attraverso un elevato consumo di sale da cucina;
obesità; tipo di lavoro (stressante o meno); benessere sociale (alimentazione eccessiva e ricca di
grassi)

Tra le ipotesi patogenetiche, si considerano i possibili ruoli svolti dall’assunzione di sodio,di cloro e calcio,
dalla secrezione di renina(influenzata da numerosi fattori, come la volemia e l’assunzione di sodio con la
dieta), da eventuali difetti di membrana e dall’iperinsulinemia.
I difetti di membrana consistono nell’anomalo trasporto transmembrana del sodio, in particolare a livello
delle cellule muscolari lisce dei vasi, con conseguente accumulo di calcio intracellulare, quindi aumentata
risposta vascolare a sostanze vasocostrittrici.
L’iperinsulinemia provoca, invece, oltre ad un alterato trasporto transmembrana di ioni con aumento del
calcio intracitoplasmatico, ritenzione renale di sodio, aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico e
ipertrofia delle cellule muscolari lisce vascolari dovuta all’attività mitogena propria dell’insulina.

Fattori prognostici negativi:


razza nera, giovane età, sesso maschile, pressione diastolica >115 mmHg, fumo di sigaretta, diabete mellito,
ipercolesterolemia, assunzione eccessiva di alcool, obesità, evidenza di danno d’organo (cardiaco, oculare,
renale, nervoso)

IPERTENSIONE SECONDARIA: dovuta ad una precisa anomalia organica (pazienti giovani!)

 Ipertensione renale per funzionalità renale alterata con incapacità di mantenere equilibrio
idrosalino o per alterata secrezione renale di sostanze vasoattive

- Nefrovascolare:dovuta a ridotta perfusione tissutale renale che attiva il sistema renina


angiotensina (es:stenosi dell’arteria renale, per displasia fibromuscolare spt.donne giovani o per
aterosclerosi spt.uomini anziani→soffio addominale!)

- Parenchimale: dovuta a modificazioni flogistiche e fibrotiche dei piccoli vasi renali, che esitano in
una riduzione di perfusione renale e attivazione del sistema renina-angiotensina. Ci sono anche
altre ipotesi patogenetiche da danno parenchimale: possibile produzione di una sostanza
vasopressoria non identificata o mancata produzione di una sostanza vasodilatatrice, incapacità di
inattivare sostanze vasopressorie circolanti, inappropriata eliminazione di sodio con conseguente
ritenzione (es: rene policistico, glomerulonefrite acuta e cronica, pielonefrite,…)

- eccessiva produzione di renina per neoplasie delle cellule iuxtaglomerulari o nei nefroblastomi
(rara)

 Ipertensione endocrina

- Surrenale:
iperaldosteronismo primitivo per tumore o iperplasia surrenalica bilaterale (→aumento
aldosterone, riduzione renina, ipokaliemia);
feocromocitoma (tumore secernente catecolamine→calo peso, cefalea, palpitazioni, crisi
d’ansia, sudorazione profusa, iperglicemia, aumentata increzione di adrenalina e noradrenalina,
aumento dei metabolici urinari delle catecolamine es. acido vanilmandelico nelle urine delle 24
ore!)

- Acromegalia

- Ipercalcemia (iperparatiroidismo)

- Tireotossicosi (malattia di Graves, tumori, tiroiditi, gozzo multinodulare tossico, adenomi,…)

 Coartazione aorta: ( indentazione dell’aorta spt.a livello dell’origine dell’arteria succlavia di


sinistrapolso femorale ridotto e ritardato!) l’ipertensione si genera per ostacolo meccanico o per
alterazioni alla circolazione renale

Ipertensione maligna: marcata ipertensione, papilledema, encefalopatia ipertensiva (cefalea grave, vomito,
disturbi visivi, paralisi, convulsioni, stupore, coma), insufficienza cardiaca, riduzione rapida della funzione
renale. (urgenza!)
La lesione vascolare caratteristica è la necrosi fibrinoide delle pareti delle arteriose.
Patogenesi sconosciuta. Più frequente nei maschi, età media 40 anni.

Effetti sistemici dell’ipertensione

-cardiaci: ipertrofia ventricolare sinistra concentrica con incremento dello spessore delle
pareti(ingrandimento cardiaco e segni elettrocardiografici di sovraccarico ventricolare)
→successiva dilatazione della cavità per deterioramento della funzione contrattile, con conseguente
insufficienza cardiaca
→aumento delle richieste miocardiche di ossigeno, eventuale comparsa di angina pectoris o infarto
miocardico acuto

-neurologici: cefalea occipitale, soprattutto al mattino; vertigini; ronzii auricolari; offuscamento visivo;
emorragie (rottura di microaneurismi);
TIA;
encefalopatia (= ipertensione, disturbi di coscienza, aumento pressione intracranica, retinopatia con
papilledema, convulsioni)
-oculari: spasmi vascolari, edema papilla, essudati (FOO!)

-renali: lesioni arteriosclerotiche delle arteriole afferenti ed efferenti con riduzione del filtrato
glomerulare→insufficienza renale (proteinuria, microematuria!)

Trattamento

Importante sensibilizzare il paziente, soprattutto se presenta fattori di rischio quali fumo obesità
ipercolesterolemia, a modificare il proprio stile di vita:
- dieta (ridotto apporto di sodio, aumentato apporto di potassio e calcio, riduzione dell’introito di
grassi saturi e riduzione dell’apporto calorico)
- riduzione dei fattori di stress
- esercizio fisico regolare
- calo ponderale
- abolizione del fumo

L’inizio del trattamento farmacologico dipende dai valori pressori e dai fattori di rischio cardiovascolare del
paziente.
La terapia farmacologica va iniziata nei soggetti che presentano valori di pressione diastolica > 90 mmHg
e/o di pressione sistolica > 140 mmHg, se questi non risultano controllati dalle sole modifiche dello stile di
vita o in presenza di 3 o + fattori di rischio.

Classi di farmaci: vedi tabella 246.6 pagina 1656 Harrison


- diuretici: i diuretici tiazidici rappresentano la prima scelta nel trattamento;possono essere associati
a ACE-inibitori ottenendo un sinergismo con potenziamento
- antiadrenergici: in particolare i beta-bloccanti
- ACE-inibitori e sartani:agenti sul sistema renina-angiotensina
- Calcio-antagonisti: nifedipina (agisce spt.sui vasi), verapamil e diltiazem (agiscono sul cuore)
- Vasodilatatori (idralazina, diazossido,..): non vengono utilizzati nel trattamento iniziale

Obiettivo: raggiungimento di una pressione arteriosa stabilmente inferiore a 140/90 mmHg;


nei pazienti diabetici e in quelli a rischio cardiovascolare elevato o con danni d’organo, la riduzione
dovrebbe essere a valori di 130/80 mmHg.

Nei pazienti diabetici, ACE-inibitori: influiscono meno degli altri sul metabolismo glucidico
In gravidanza, per trattamento di preeclampsia e eclampsia, consigliati metildopa (antiadrenergico ad
azione centrale, idralazina e calcio antagonisti)

IPERTENSIONE SISTOLICA CON AUMENTO DELLA PRESSIONE DIFFERENZIALE


1. Ridotta compliance aortica (arteriosclerosi)
2. Aumento gittata sistolica
- Insufficienza aortica
- Tireotossicosi
- Sindrome del cuore ipercinetico
- Febbre
- Fistola arterovenosa
- Dotto di Botallo pervio

IPERTENSIONE SISTOLICA E DIASTOLICA (AUMENTO DELLE RESISTENZE VASCOLARI PERIFERICHE)


1. Renale
- pielonefrite cronica
- glomerulonefrite acuta e cronica
- rene policistico
- stenosi nefrovascolare o infarto renale
- altre nefropatie (nefrosclerosi arteriolare, nefropatia diabetica,..)
- tumori renino-secernenti
2. Endocrina
- contraccettivi orali
- iperattività della corticale dei surreni: sindrome di Cushing, iperaldosteronismo primitivo, sindromi
surrenogenitali congenite o ereditarie (deficit di 17alfaidrossilasi e 11betaidrossilasi)
- feocromocitoma
- mixedema
- acromegalia
3. Neurogena
- psicogena
- sindrome di encefalica
- disautonomia familiare (Riley-Day)
- polinevrite (porfira acuta, avvelenamento da piombo)
- aumento acuto della pressione intracranica
- sezione del midollo spinale
4. Varie
- coartazione dell’aorta
- aumento del volume intravascolare (trasfusioni eccessive, policitemia vera)
- panarterite nodosa
- ipercalcemia
- farmaci (ciclosporina, glucocorticoidi)
5. Eziologia sconosciuta
- ipertensione essenziale
- tossiemia gravidica
- porfira intermittente acuta

ARITMIE

Anatomia del sistema di conduzione:


in condizioni fisiologiche l’attività di pacemaker cardiaco è situata nel nodo senoatriale (velocità di
conduzione pari a 1 m/sec) . l’impulso elettrico, che qui si origina, attraversa l’atrio fino a raggiungere il
nodo atrioventricolare (qui la velocità di conduzione cala fino a 0,02 – 0,05 m/sec). Dal nodo emerge il
fascio comune di His (la cui velocità di conduzione aumenta fino a 2 – 4 m/sec) che attraversa la parte
membranosa anteriore del setto interventricolare; dalla sua porzione distale emergono due fasci di fibre
che si portano uno verso sinistra (branca sinistra) e uno verso destra (branca destra). La successiva
suddivisione di entrambe le branche origina il sistema periferico di purkinje che si dirama a tutto il
miocardio ventricolare.

Fisiologia del sistema di conduzione:


le cellule cardiache presentano vari tipi di potenziali d’azione che sono i responsabili delle diverse capacità
di funzione delle stesse.

Tra questi potenziali possiamo individuare due tipi principali:


 Rapido: tipico delle cellule di conduzione ( fascio di His e cellule di Purkinje),
 Lento: tipico delle cellule dei nodi.
Osservando i due potenziali possiamo notare come il potenziale transmembrana di riposo
di queste cellule sia differente: meno negativo quello delle cellule a risposta lenta (-70 mV). Questa
differenza è alla base della capacità di automatismo delle cellule dei nodi.
I potenziali d’azione sono formati da varie fasi numerate da 0 a 4 che sono determinate da variazioni della
capacità di conduttanza della membrana a vari ioni (principalmente Na+ , K+, Ca++ ).

Prendendo in esame il potenziale delle fibre a risposta rapida (che parte da un valore di -90 mV) vediamo
che la depolarizzazione rapida (fase 0) è determinata da una corrente maggiore di ioni Na+ in ingresso e da
una minore di ioni Ca++. La depolarizzazione che si instaura permette l’apertura dei canali del K e la
fuoriuscita di K+ dalla cellula, questo crea una lieve ripolarizzazione (fase 1), che viene seguita da una fase
di plateau (fase 2) caratterizzata dalla presenza di più correnti che da un lato depolarizzano ( Na+ e Ca++ in
ingresso ) e dall’altro ripolarizzano (K+ in uscita). L’altra fase è quella della ripolarizzazione (fase 3) che è
causata totalmente dall’uscita massiva di K+ dalla cellula con varie correnti. L’ultima fase è invece quella in
cui si ristabilisce il potenziale di membrana a riposo della cellula.

Il potenziale delle fibre a risposta lenta è invece caratterizzato da un potenziale di riposo meno negativo e
da una depolarizzazione (fase 0) determinata da un ingresso di ioni Ca++. manca la ripolarizzazione e la
depolarizzazione è più lenta di quella vista prima. Questa fase è poi seguita da una ripolarizzazione anche
qui è mediata dalla fuoriuscita del K+. La fase caratteristica di questo potenziale è la depolarizzazione
spontanea (fase 4) in cui la cellula ritorna al potenziale di membrana a riposo e ha la capacità, quando
raggiunge il valore critico della soglia, di attivare una corrente di ioni Na+ e Ca++ in ingresso che ne
permettono una nuova depolarizzazione e così la partenza di un nuovo impulso.

Le caratteristiche che distinguono le cellule miocardiche sono:


 Automatismo
 Velocità di conduzione
 Periodo refrattario
Con il termine di periodo refrattario si indica quel lasso di tempo in cui la cellula non può generare un
nuovo potenziale, anche se viene raggiunta da un nuovo stimolo.
Questo periodo è suddiviso in:
1. periodo refrattario assoluto, indica che la cellula non riesce a sviluppare un potenziale per nessuna
entità di stimolazione e corrisponde alle fasi 1,2 del potenziale rapido e 0,3 del lento.
2. periodo refrattario relativo, indica che la cellula può far nascere un nuovo potenziale ma solo se lo
stimolo è superiore ad un certo valore critico. Corrisponde alle fasi 3 e 4.
La velocità di conduzione dipende dalla velocità di ascesa e dall’ampiezza della fase 0, queste a loro volta
dipendono dal numero di correnti ioniche che le causano.
La variazione di uno di questi parametri può condizionare l’insorgenza di un quadro aritmico.
Le due cause principali che portano alla formazione di un quadro di aritmia sono:
 disturbo nella genesi dell’impulso
 disturbo nella conduzione dell’impulso

Classificazione:
le aritmie vengono classificate in due grandi gruppi:
 ipocinetiche
 ipercinetiche
questi due termini vengono usati in riferimento al cambiamento delle frequenza cardiaca osservabile nel
tipo di aritmia.
È anche da considerare che l’aritmia può essere definita sinusale: con questo termine si identifica un
quadro aritmico, quindi con alterazione nella frequenza cardiaca, che mantiene l’origine della genesi
dell’impulso a livello del nodo del seno anche se superiore (tachicardia sinusale) o inferiore (bradicardia
sinusale) a quello normale che oscilla normalmente tra 60-80 battiti/min.
Gli altri tipi di aritmie invece presentano un ritmo che non può essere definito come sinusale in quanto
l’origine dell’impulso non si mantiene nel nodo del seno.

Aritmie ipocinetiche:
1. Sinusali:
 Bradicardia
 Aritmia sinusale respiratoria
 Wandering pace-maker
 Blocchi seno atriali di I, II, III grado

2. da rallentata o bloccata conduzione atrio ventricolare:


 Blocchi atrio ventricolari di I, II, III grado
3. battiti di scappamento o di evasione a genesi atriale, giunzionale o ventricolare.

Bradicardia sinusale: si intende un rallentamento della frequenza di scarica del nodo del seno sotto il limite
convenzionale di 60 battiti/min.
Clinica: è una situazione abbastanza frequente e, nella maggior parte dei casi, non è patologica. Più
frequente nei giovani e negli atleti (dove si possono raggiungere anche frequenze molto basse 35-40
battiti/min). la causa che più frequentemente si osserva è la prevalente influenza parasimpatica (il vago
diminuisce la frequenza di scarica del nodo) a livello cardiaco.
in alcuni casi è segno di una disfunzione del nodo del seno che non riesce ad adeguare la frequenza con le
esigenze dell’organismo. In questa situazione il paziente può lamentare affaticabilità, capogiri, episodi
sincopali o presincopali dovuti a prolungate pause nella generazione dell’impulso a livello del nodo del
seno.
In alcuni casi questa patologia può evidenziarsi in seguito ad assunzione di farmaci (es. β- bloccanti,
digitale) o in situazioni in cui la frequenza dovrebbe fisiologicamente alzarsi come la febbre o l’esercizio
fisico.
Diagnosi: viene fatta sulla base del tracciato ECG dove, dopo aver controllato che le onde P siano di origine
atriale (positive nelle derivazioni D1, D2 e da V3 a V6 e negative in aVR), vediamo che la frequenza è
inferiore ai 60 battiti/min.

Un quadro particolare è rappresentato dalla sindrome bradicardia-tachicardia caratterizzata dalla presenza


di aritmie atriali parossistiche seguite da protratte pause sinusali o alternanza di periodi di tachi e
bradiaritmie. In tal caso gli episodi sincopali possono essere causati dall’incapacità del nodo di tornare ad
una normale funzione dopo che è stato soppresso dalla presenza della tachicardia.
La diagnosi si pone poiché all’ECG si presentano fasi di tachiaritmie (che possono essere flutter o
fibrillazione atriale) seguiti da una pausa cui segue la normale ripresa dell’attività sinusale.

Aritmia sinusale respiratoria: si intende un quadro in cui la frequenza sinusale si modifica periodicamente
in rapporto con agli atti del respiro.
In inspirazione aumenta la frequenza mentre in espirazione tende a rallentare.
Clinica: questo tipo di aritmia è più frequente nei giovani e si manifesta come un quadro assolutamente
fisiologico. Negli adulti è molto meno osservabile e viene determinata da una condizione di ipereccitabilità
vagale.
Diagnosi: viene fatta durante l’esecuzione del tracciato ECG poiché si evidenziano le alterazioni in
corrispondenza con le fasi del respiro. Deve essere messa in D.D. con la presenza di extrasistoli atriali
qualora si osservi un tracciato registrato e con pochi complessi per ogni derivazione.

Wandering pace-maker: anomalia caratterizzata dalla temporanea cessione da parte del nodo del seno ad
altri segnapassi atriali o giunzionali della sua funzione (Si crea un continuo passaggio di consegne tra i
segnapassi senza una grande variazione della frequenza).
Clinica: questo quadro è benigno e determinato dall’influenza del sistema nervoso vegetativo sul nodo del
seno. Raramente è spia di una cardiopatia organica e si osserva una sua regressione quando si aumenta la
frequenza con lo sforzo o con l’uso di atropina( che è un antagonista competitivo a livello dei recettori post
gangliari M1,M2,M3 dell’ach).
Diagnosi: all’ECG possiamo notare un costante cambiamento nell’onda P che varia da positiva in D2 e D3
fino a negativa (con vari stadi intermedi causati dalla posizione del focus ectopico che sostituisce il nodo) .

Blocchi seno-atriali : lo stimolo si forma normalmente a livello delle cellule del nodo del seno ma non riesce
ad emergere o lo fa in ritardo a livello atriale.
Vengono distinti in tre gradi:
I grado :
è solo un rallentamento nella conduzione dello stimolo.
Diagnosi: Non è diagnosticabile sul tracciato ECG ma solo con metodi invasivi diagnostici.

II grado:
suddiviso in tipo 1 e tipo 2 di Blumberger.
- Tipo 1 presenta dei progressivi ritardi della conduzione fino al blocco periodico di un battito.
- Tipo 2 presenta una sporadica o ciclica mancanza di un intero ciclo elettrico.
Diagnosi: si evidenzia sul tracciato ECG.
Nel tipo 1 evidenziamo la mancanza periodica di un ciclo P-QRS preceduta da una sequenza non
perfettamente ritmica. Gli intervalli PR sono sempre uguali mentre la distanza PP va decrescendo fino al
blocco dove risulta inferiore ai due cicli normali PP.
Nel tipo 2 evidenziamo mancanza di un ciclo elettrico che genera una pausa uguale alla somma di due cicli
precedenti. Tali blocchi possono avere andamento ciclico con cadenza di 2:1, 3:1 (sono causati
generalmente da alterazioni della struttura cellulare del nodo del seno) .

III grado o completo:


è la mancata conduzione dell’impulso sinusale agli atri; si osserva una periodica o stabile scomparsa
dell’attività sinusale con pausa asistolica interrotta da uno o più battiti di emergenza che temporaneamente
prendono le veci del nodo del seno.
Clinica: il soggetto può presentare degli episodi sincopali parossistici e assolutamente imprevedibili.
Diagnosi: sul tracciato ECG si evidenzia una completa assenza di attività atriale o una presenza di attività
ectopica atriale. Nell’ECG standard questa situazione non può essere differenziata dall’arresto sinusale (che
identifica la mancata formazione dello stimolo sinusale) poiché se ne differenzia solo per l’elettrogenesi; la
differenziazione viene fatta tramite delle diagnostiche invasive di registrazione intracavitarie.
Per lo studio di queste alterazioni può essere utile l’approccio con elettrocardiografia Holter delle 24 ore
(anche se può capitare che non siano diagnostici in quanto non si verifica nessun episodio sincopale
durante questo periodo e quindi possiamo non evidenziare il difetto).
Altri studi eseguibili sono: la pressione del seno carotideo e la “denervazione” vegetativa del cuore.
La prima viene eseguita nel sospetto di una sindrome da ipersensibilità del seno carotideo; in tali pazienti la
risposta alla prova può determinare una sospensione dell’attività sinusale anche superiore ai 5 sec (nei
soggetti normali abbiamo sospensioni di 3 sec) .
Se con atropina siamo già in grado di sopprimere la risposta alla pressione del seno possiamo supporre che
non si tratti di una lesione primaria a livello del nodo ma di un quadro secondario ad alterazioni vegetative.
Altri studi possono essere eseguiti con farmaci che modificano l’attività del sistema autonomo e ci
permettono di valutarne l’influenza sul nodo del seno così da capire l’influenza che il sistema vegetativo
esercita in quel paziente (ricordiamo che il sistema vagale causa bradicardia mentre il sistema simpatico
causa tachicardia) .
Vagomimetici come l’uso di fenilefrina (causa ipertensione), vagolitiche con atropina, simpaticomimetiche
con isoproterenolo o Na nitroprussiato (causa ipotensione), simpaticolitiche con β- bloccanti singolarmente
o in associazione.
Terapia: solitamente si limita ai casi sintomatici in cui si installano dei pace-maker permanenti a richiesta
ventricolare o, poiché spesso queste alterazioni si associano con delle alterazioni di altre parti del sistema di
conduzione, con pace-maker permanenti ma sequenziali in grado di preservare la normale attività del nodo
atrio-ventricolare.

Blocchi atrio-ventricolari: si verificano per rallentamento o interruzione della conduzione dall’atrio al


ventricolo.

Possono originarsi per cause funzionali (come una iperattività vagale o per effetto farmacologico tipico
nell’intossicazione da digitatici ma anche in caso di eccesso di β-bloccanti o di Ca-antagonisti) o per cause
organiche (come un IMA, una cardiopatia degenerativa, cardiopatie infiammatorie come la cardiopatia
reumatica, amiloidosi cardiaca, emocromatosi, anomalie congenite).

Si distinguono tre gradi :


I grado: osserviamo un rallentamento della conduzione senza disturbo nel ritmo cardiaco.
Diagnosi: nel tracciato ECG evidenziamo un allungamento del tratto PR (che individua il tempo di
percorrenza dell’impulso dal nodo del seno fino al fascio di His e normalmente ha un valore di 0,20 sec) che
risulta superiore agli 0,20 sec.
Possiamo distinguere rallentamenti lievi o marcati anche di 0,40 sec.

II grado: osserviamo una mancata conduzione sporadica o ciclica di un battito.


Questa situazione si verifica quando lo stimolo non attraversa il nodo atrio-ventricolare o il fascio di His.
Possiamo distinguere tre tipi:

 Mobitz tipo 1: si evidenzia un progressivo ritardo della conduzione atrio ventricolare fino al blocco
(onda P non seguita dal complesso QRS).
 Mobitz tipo 2: sporadicamente o ciclicamente si osserva una onda P bloccata.
 Grado avanzato (peggioramento del tipo 2): si osservano almeno due onde P consecutive bloccate
con lo sviluppo di un rapporto tra onda P e complessi QRS di 2:1 o anche superiore.

Diagnosi: nel Mobitz 1 l’ECG mostra un periodismo (definito di Luciani-Wenckebach) che porta ad un
costante aumento dell’intervallo PR per più cicli fino al blocco, che viene seguito da una nuova
depolarizzazione in cui l’intervallo PR è minore.
Nel Mobitz 2 l’ECG mostra la presenza ogni tanto dell’onda P non seguita dal complesso QRS. In questo
caso l’intervallo PR rimane costante.
Nel grado avanzato si crea alternanza tra battiti atriali trasmessi e non trasmessi e all’ECG evidenziamo che
le onde P sono più dei complessi QRS. Si possono evidenziare dei rapporti tra le onde del tipo 2:1 o 3:1 a
volte anche superiori. Anche qui l’intervallo PR rimane costante quando i battiti vengono trasmessi.
Clinica: il Mobitz 1 può evidenziarsi come anomalia temporanea nel corso di IMA inferiori o
nell’intossicazione digitalica. Si può osservare anche in pazienti normali ma con aumentato tono vagale.
Raramente si ha progressione di questo tipo di blocco verso il blocco completo.
Il Mobitz 2 ha una elevata incidenza di progressione verso un blocco completo. Può essere secondario ad
IMA anterosettale o a malattie sclerodegenerative o calcifiche del cuore.

III grado (o completo) : c’è impossibilità di conduzione tra atrio e ventricolo.


In questa situazioni atri e ventricoli si contraggono in modo totalmente indipendente. Gli atri continuano a
depolarizzarsi seguendo il ritmo determinato dal nodo del seno ma nessuno di questi stimoli viene
trasmesso ai ventricoli che si contraggono per azione di un centro sussidiario che crea un ritmo di evasione
compreso tra 60-20 battiti/min.
L’instaurarsi di questo quadro è una grave eventualità (tanto più grave quanto più è lento il segnapassi
secondario). Può inoltre capitare che all’instaurarsi del quadro per alcuni secondi non si attivi il segnapassi
secondario questo provoca una pausa asistolica con conseguente ischemia cerebrale acuta e sincope.
Diagnosi: nel tracciato ECG osserviamo la disgiunzione tra le onde P e i complessi QRS che assumono anche
delle caratteristiche particolari in quanto la loro contrazione e la propagazione del segnale non è più quella
abituale.
Terapia: quella farmacologica viene riservata in linea di massima ai quadri acuti dove l’uso di atropina o
isoproterenolo permettono di aumentare la frequenza cardiaca in caso di gravi bradicardie.
Nei casi cronici si preferisce impiantare in questi soggetti degli stimolatori che possono essere temporanei o
permanenti e applicati agli atri o ai ventricoli.

Questa situazione va in diagnosi differenziale con la dissociazione atrio-ventricolare in cui abbiamo una
mancata successione dell’attività ventricolare a quella atriale. Si può verificare per una interruzione
anatomo-funzionale delle vie di conduzione e anche per l’emergenza di un centro giunzionale o
ventricolare che prende il controllo dell’attività del ventricolo. Si crea una asincronia funzionale che è
totalmente reversibile (la conduzione atrio ventricolo è ancora possibile) determinata dalla presenza di
questi due pace-maker differenti.
Questa stessa condizione può anche verificarsi in caso di grave bradicardia sinusale causata da
intossicazione digitalica, da β-bloccanti o Ca-antagonisti.

Battiti di scappamento: sono generati da focus ectopici che entrano in funzione quando la pausa asistolica
diventa più lunga di un ciclo R-R normale.

Questi battiti sono definiti tardivi in quanto la distanza dal QRS che li precede è sempre maggiore del
normale ciclo R-R . Rappresentano la risposta la difesa del cuore contro l’arresto cardiaco.
La differenza con le extrasistoli è rappresentata dal fatto che questo battito compare in modo posticipato
rispetto al normale ritmo sinusale.
Vengono definiti battiti poiché solitamente sono isolati ma possono anche prendere il controllo del cuore e
allora si parla di ritmi di scappamento. I centri che li causano vanno a sostituirsi al nodo del seno e sono
quindi dei ritmi lenti.

Ritmo del seno coronario: si caratterizza per la presenza di onde P negative nelle derivazioni D2, D3 aVF .
questo avviene poiché la depolarizzazione degli atri avviene in senso contrario alla norma.
Di solito non rappresenta un quadro di patologia ed è più frequente nei giovani con caratteristiche
vagotoniche.

Aritmie Ipercinetiche:
distinte in
1. sopraventricolari (poiché la genesi è situata al disopra del fascio di His) :
 extrasistoli (atriali, giunzionali)
 tachicardia sinusale
 tachicardie da rientro
 flutter atriale
 fibrillazione atriale

2. ventricolari
 extrasistoli
 tachicardia ventricolare
 fibrillazione ventricolare
 torsione di punta

Extrasistoli: sono dei battiti precoci che anticipano il normale ritmo sinusale e sono generate, nella maggior
parte dei casi, da focus ectopici.

In genere tali battiti anticipati sono poi seguiti da una ripresa del ritmo sinusale. Tra l’extrasistole e il battito
successivo si crea una pausa di tempo variabile che possiamo distinguere in:
o compensatoria se la distanza tra R-R’ è esattamente uguale a 2 cicli R-R normali
o non compensatoria se la distanza è inferiore ai due cicli normali.
Le extrasistoli possono anche cadere tra due complessi QRS senza modificare il ritmo sinusale, quindi
parliamo di interpolate.
Possono inoltre essere isolate o ripetitive.

ATRIALI: il focus ectopico si situa a livello degli atri.


L’impulso percorre delle vie che sono differenti da quelle normalmente usate ma si propaga poi tramite il
fascio di His ai ventricoli.
In soggetti suscettibili la comparsa di queste extrasistoli possono scatenare delle tachicardie
sopraventricolari parossistiche.
Diagnosi: all’ECG si evidenzia un’onda P prematura, con morfologia differente da quella delle onde P
sinusali, seguita da un complesso QRS normale.
Il tratto P-R può essere minore (se il focus è vicino al nodo atrio-ventricolare) maggiore o uguale.
Si possono osservare delle extrasistoli talmente premature che trovano il nodo ancora in periodo refrattario
assoluto e questo comporta sul tracciato la presenza dell’onda P ma non il complesso QRS poiché lo stimolo
non può essere condotto ai ventricoli; possiamo osservare invece un ritardo nel tratto PR .
In altri casi possiamo osservare delle alterazioni nei complessi QRS che seguono una extrasistole questo
dipende dal fatto che lo stimolo trova una delle branche ancora in periodo refrattario e quindi la
conduzione è alterata.
Clinica e terapia: la maggior parte di queste extrasistoli è asintomatica quindi non prevede alcuna terapia.
Nel caso in cui si scatenino delle tachicardie o palpitazioni si possono utilizzare β-bloccanti.

-GIUNZIONALI: il focus ectopico si trova nella giunzione atrio ventricolo e questo determina una
depolarizzazione atriale opposta a quella normale (dal basso verso l’alto). Sono molto meno frequenti di
quelle atriali o ventricolari e spesso sono associate a malattie cardiache o a intossicazione digitalica.
Diagnosi: all’ECG le onde P sono identificabili poiché spesso sono inglobate nei complessi QRS, altre volte
sono retrograde (negative in D2 D3 e aVF ).
Clinica e terapia: nella maggior parte dei casi sono asintomatiche; se sintomatiche si usa lo stesso
trattamento visto prima.

- VENTRICOLARI: sono dei battiti prematuri che hanno origine a livello ventricolare. Questi battiti prematuri
possono essere isolati o ripetitivi (quattro di seguito si definiscono già tachicardia ventricolare). Possono
essere sporadiche o frequenti e ,in questo caso, possono generare dei ritmi particolari chiamati alloritmie
(bigeminismo, trigeminismo o quadrigeminismo). Possiamo anche distinguerle in precoci (appena dopo il
periodo refrattario assoluto e vicine all’onda T; se troppo precoci possono cadere sull’onda T e con più
facilità determinare un quadro pericoloso che porta alla fibrillazione) e tardive (si discostano dall’onda T).
si parla di parasistolia ventricolare quando esiste un rapporto fisso tra le extrasistoli, questo indica che
l’origine del quadro è in un focus che segue un proprio ritmo e non viene interessato dal ritmo sistolico.
Diagnosi: sono dei complessi QRS che anticipano il normale ritmo sinusale, non sono generalmente
preceduti da onda P, e hanno morfologia differente da quella normale poiché sono di maggiore ampiezza (>
di 0,12 sec).
Sono di solito seguite da una pausa compensatoria che è pari a due normali intervalli R-R.
Clinica: si possono riscontrare sia in individui sani che in affetti da cardiopatie. In pazienti normali non
rappresentano un aumentato rischio di mortalità o morbilità ma nel caso di un paziente con recente IMA lo
sono soprattutto quando ripetitive.
Possono causare palpitazioni o pulsazioni al collo. In pazienti in cui siano frequenti possono essere causa di
episodi sincopali (per riduzione della portata cardiaca).
Terapia: viene richiesta nel caso in cui siano sintomatiche e possono essere trattate con β-bloccanti. Nei
pazienti con cardiopatia si tende a ridurle o eliminarle per il rischio che possano portare ad insorgenza di un
quadro di tipo fibrillazione.

Tachicardia sinusale: si intende l’aumento della frequenza sinusale al di sopra del limite convenzionale di
100 battiti/min.
È una tachicardia reattiva secondaria a sforzo, emozioni, febbre anche se si può riscontrare nella maggior
parte delle cardiopatie. Si presenta anche in caso di tireotossicosi, ipovolemia, ansia, ipossia.
Una particolare forma a carattere parossistico è determinata dalla presenza di una frequenza cardiaca di
140-200 battiti/min. questa tachicardia è sostenuta dalla formazione di un circuito di rientro nel nodo del
seno.
Diagnosi: all’ECG evidenziamo un inizio e un termine della tachicardia di tipo graduale con onde P e
complessi QRS normali. Nella forma parossistica invece si presenta un quadro di tipo brusco sia nell’inizio
che nel termine.
Terapia: deve sottendere alla cura della causa sottostante in quanto questo tipo di alterazione della
frequenza si presenta in risposta ad una aumentata richiesta di attività.

Tachicardia sopraventricolare da rientro: sono vari quadri caratterizzati da un andamento parossistico e


determinati dalla formazione di un circuito di rientro per anomalie della conduzione. Tale circuito può
originarsi sia a livello del nodo del seno che nel nodo atrio-ventricolare.
Può essere segno di cardiopatia o di squilibrio elettrolitico o complicare la sindrome di wolff-parkinson-
white.
La frequenza cardiaca varia tra i 120 e i 250 battiti/min. molto spesso sono positive alla manovra di
stimolazione vagale che causa una brusca interruzione del quadro aritmico.
Diagnosi: all’ECG vediamo la successione ritmica e rapida di complessi QRS generalmente normali
(l’anormalità può essere causata da un preesistente blocco di branca o funzionale).
Le onde P da rientro intrasinusale sono uguali alle altre onde P e precedono il QRS.
Le onde P da rientro intranodali o giunzionali sono in genere inglobate nel complesso QRS e quindi sono
meno evidenziabili.
Le onde P possono anche essere di tipo retrogrado evidenti dopo l’onda T .

- TACHICARDIA GIUNZIONALE PAROSSISTICA:


è la forma più comune tra le tachicardie da rientro sopraventricolare.
Per spiegare la sua elettrogenesi si ipotizza la presenza di una doppia via di conduzione nel nodo atrio-
ventricolare. Tali vie si pensa abbiano diverse proprietà elettriche con velocità di conduzione differente. In
questa situazione un impulso prematuro troverebbe una via ancora in periodo refrattario assoluto e quindi
lo stimolo non riuscirebbe a passare, se non nell’atra via che invece ha già superato la fase di refrattarietà.
Mentre lo stimolo si sposta sulla seconda via l’altra avrebbe il tempo di superare la fase refrattaria e lo
stimolo può così passare ma in senso inverso (si ha una depolarizzazione degli atri in senso retrogrado). Nel
frattempo la prima via ritorna stimolabile e si ottiene un circolo vizioso che si automantiene con rapida
attivazione ventricolare e atriale. Perché tale comportamento si verifichi non è sufficiente la presenza di
una doppia via ma serve anche un fattore scatenante dato dall’extrasistole.

- TACHICARDIA DA RIENTRO ATRIO VENTRICOLARE:


rappresenta la più comune complicanza della sindrome di WPW.
È caratterizzata dalla formazione di un circuito tra il nodo atrio-ventricolare ed una via di conduzione
anomala. Lo stimolo attraversa il nodo in senso anterogrado, arriva ai ventricoli dove trova la via anomala,
lo stimolo la percorre arrivando agli atri in senso retrogrado e tornare al nodo.
Anche qui serve un evento scatenante prematuro.
Diagnosi: a seconda della direzione con cui lo stimolo attraversa la via anomala possiamo evidenziare onde
P che stanno dopo il QRS e l’onda T (senso retrogrado) o la presenza di onde delta che sono segno di
preeccitazione ventricolare.

Flutter atriale: Il ritmo sinusale viene sostituito da un’attività atriale ectopica ad alta frequenza (220-350
battiti/min). si ritiene che sia causato da una forma di rientro limitata all’atrio.
Clinica: si trova più spesso associata ad una forma di cardiopatia e può manifestarsi sia in forma acuta che
cronica. Nella forma cronica di solito è evidenziabile un fattore scatenante come la pericardite o
l’insufficienza respiratoria. di solito ha una breve durata ma può, se permane a lungo, anche trasformarsi in
fibrillazione atriale. Si osserva di frequente nei soggetti che hanno subito interventi di cardiochirurgia
durante la prima settimana post-operatoria ma anche in soggetti che hanno avuto IMA è riscontrabile.
Diagnosi: all’ECG si evidenzia una rapida successione di onde che creano un aspetto a denti di sega
eliminando la presenza della linea isoelettrica. Queste onde, dette F, sono meglio evidenziabili nelle
derivazioni D2,D3, V1 e aVF. La risposta ventricolare a questa alta frequenza atriale è variabile per la
presenza di BAV funzionali di tipo 2:1 o 3:1 che sono determinati dalla presenza del nodo atrio-ventricolare
del periodo refrattario che blocca alcuni degli impulsi.
La manovra della stimolazione vagale (massaggio di un seno carotideo che causa una diminuzione della
velocità di scarica del nodo SA e un rallentamento del tempo di conduzione del nodo AV) permette,
bloccando temporaneamente il nodo atrio-ventricolare, di rallentare la risposta ventricolare consentendo
una più chiara osservazione del quadro atriale (le fasi diastoliche vengono allungate).
Terapia: il trattamento più efficace è la cardioversione elettrica che già a bassa energia risulta efficace,
anche se, si preferisce usare energia superiore per evitare il rischio di insorgenza di fibrillazione. La
cardioversione può essere fatta anche farmacologicamente con amiodarone o chinidina.
In soggetti in post-operatorio o con pregresso IMA o in terapia digitalica si tratta il quadro tramite una
stimolazione atriale con elettrodi temporanei.
Se le condizioni del paziente o permettono è sempre meglio creare un rallentamento farmacologico (ca-
antagonisti, β-bloccanti o digitale) del nodo atrio ventricolare così da diminuire l’attività dei ventricoli.

Fibrillazione atriale: si intende un quadro in cui l’attività dell’atrio è completamente desincronizzata,


caotica e molto frequente. Emodinamicamente l’attività dell’atrio è inconsistente.
Clinica: questa aritmia è particolarmente comune e si presenta in forma parossistica o persistente.
La forma persistente è di solito secondaria a malattie cardiovascolari come la cardiopatia reumatica,
valvulopatie mitraliche, cardiopatie ipertensive, malattie polmonari croniche.
Può presentarsi in soggetti normali a seguito di stress emotivi, dopo interventi chirurgici, o in presenza di
malattie polmonari che sviluppino acutamente ipossia o ipercapnia.
La morbilità associata è secondaria a:
 eccessiva frequenza ventricolare con ipotensione congestione polmonare e angina
 prolungamento della pausa che segue la cessazione del quadro con sincope
 embolizzazione sistemica
 perdita del contributo atriale alla portata cardiaca con astenia
 ansia secondaria e palpitazioni
Diagnosi: all’ECG vediamo la sostituzione dell’onda P con una serie irregolare di onde, onde F (meglio visibili
in V1 e V2), con frequenza superiore a 350-400 battiti/min. l’attività dei ventricoli, per a funzione di filtro
fornita dal nodo AV che permette il passaggio solo di alcuni degli impulsi atriali, risulta aritmica e
disordinata (delirium cordis) ma con complessi QRS che mantengono la loro struttura normale.
Per la diagnosi sono necessari tre parametri:
1. assenza onde P
2. presenza onde F
3. successione aritmica di complessi QRS tra loro uguali.
Terapia: la cardioversione è il trattamento di prima scelta nel caso di paziente critico, se invece il paziente
non è troppo compromesso dobbiamo rallentare l’attività ventricolare e poi stabilizzare l’atrio. Se la terapia
medica non riesce a far recedere il quadro entro le 24 ore allora si usa la cardioversione elettrica. Bisogna
anche iniziare una terapia anticoagulante poiché riduce il rischio di embolizzazione sistemica.

Tachicardia ventricolare: è un’aritmia a genesi ectopico da rientro con focus ripetitivo o con formazione da
rientro intraventricolare. si manifesta con una tachicardia a frequenza variabile tra 100 e 220 battiti/min.
la durata della tachicardia permette la sua distinzione in sostenuta (dura più di 30 secondi) e non sostenuta
(dura meno di 30 secondi).
Vengono definite maligne quelle aritmie che sfociano in fibrillazione ventricolare.

Clinica: si accompagna ad alcune forme di cardiopatia organica e a cardiopatie ischemiche croniche. Si può
ritrovare anche in caso di alterazioni metaboliche, tossicità da farmaci o sindrome del QT lungo.
La forma non sostenuta si ritrova con più frequenza in cuori normali.
La forma sostenuta è sempre sintomatica e si accompagna ad alterazioni emodinamiche e alterazioni
ischemiche. Se la frequenza è elevata ed è associata a disfunzione miocardica si avranno episodi sincopali e
ipotensione. Bisogna sempre tenere presente il rischio di una morte improvvisa per le alterazioni della
portata cardiaca.
Diagnosi: all’ECG si evidenzia la successione rapida di quattro o più complessi larghi molto simili a quelli
delle extrasistoli ventricolari. Di solito vi è dissociazione atrio-ventricolare con onde P di origine sinusale e a
frequenza diversa dai QRS. Non viene influenzata dalle manovre di stimolazione vagale.
Di particolare importanza è distinguerla dalla tachicardia sopraventricolare con aberrazione, si possono
distinguere per:
- mancata dissociazione atrio-ventricolare
- presenza di battiti di cattura (sono complessi QRS sporadici)
- non viene interrotta da stimolazione vagale.
Terapia: bisogna sempre considerare che le terapie antiaritmiche possono esacerbare la stessa aritmia. I
soggetti con quadro non sostenuto e asintomatico non vengono trattati perché questo non migliora la loro
prognosi. I pazienti che hanno la sindrome del QT lungo congenito hanno invece un maggior rischio e
questo impone il loro trattamento.
I farmaci di prima scelta usati sono: β-bloccanti, verapamil o altri farmaci della classe I o III.
In soggetti che hanno segni di compromissione dello stato emodinamico o segni di ischemia bisogna
interrompere immediatamente l’aritmia con la cardioversione. Se invece c’è ancora un buon compenso si
può pensare di trattare il soggetto farmacologicamente (farmaco più efficace è la procainamide). Se i
farmaci non funzionano si può pensare ad una stimolazione rapida con cateterismo.

-SINDROME DA PRE ECCITAZIONE (Wolff – Parkinson – White):


si associa alla presenza di un fascio accessorio atrio-ventricolare. I soggetti che presentano questa sindrome
si caratterizzano per la presenza sia di segni ECG sia di tachicardia parossistica.
Diagnosi: il tracciato si presenta con tratto PR accorciato, inizio lento e allargamento del complesso QRS.
Questo risulta dall’attivazione combinata di entrambi ventricoli sia attraverso i fasci anomali che tramite le
fibre di His-Purkinje.
Durante le tachicardie sopraventricolari di solito l’impulso viene condotto per via anterograda lungo la
normale via anatomica.
Terapia: l’ablazione chirurgica del fascio accessorio è possibile in più del 90% dei casi e garantisce
guarigione permanente. La terapia farmacologica viene usata al fine di alterare le componenti del rientro; si
possono utilizzare β-bloccanti o ca-antagonisti per aumentare la durata del periodo refrattario del nodo AV,
chinidina o flecainide per rallentare la conduzione.

Fibrillazione ventricolare: è l’aritmia più grave perché porta all’inefficienza totale della funzione di pompa
cardiaca e corrisponde ad un arresto cardiaco. L’attività miocardica è completamente desincronizzata dalla
presenza di foci ectopici multipli non coordinati.
Clinica: tale aritmia risulta di più frequente osservazione in pazienti con quadro di cardiopatia ischemica. Lo
scatenarsi del quadro aritmico porta ad un rapido instaurarsi di perdita di coscienza e, se non trattato,
porta a morte. Spesso rappresenta l’evoluzione di un quadro scatenato da extrasistoli ventricolari che
cadono sull’onda T che rappresenta il periodo debole.
Diagnosi: all’ECG si presentano delle oscillazioni larghe, irregolari, completamente anormale e abnormi con
ampiezza e frequenza varie che vanno a sostituire i QRS normali.
Terapia: rimane la terapia migliore in questi quadri l’uso della cardioversione elettrica per tentare di
ristabilire un ritmo normale.

Torsione di punta: è una tachicardia ventricolare polimorfa maligna che può evolvere in una fibrillazione
ventricolare.
Clinica: si riscontra nelle cardiopatie gravi soprattutto ischemiche, nelle gravi ipopotassiemie e nei QT
allungati.
Diagnosi: all’ECG si alternano sequenze di complessi positivi e negativi in modo disordinato. La frequenza è
superiore a 150 battiti/min. si osserva una variazione fasica della polarità dei complessi QRS sull’asse
isoelettrico.

Classe I:
- Ia: rallentano la conduzione e prolungano la ripolarizzazione (CHINIDINA, PROCAINAMIDE,
DISOPIRAMIDE)
- Ib: accorciano la ripolarizzazione (LIDOCAINA, FENITOINA, TOCAINAMIDE)
- Ic: rallentano marcatamente la conduzione (FLECAINAMIDE, PROPAFENONE)

Classe II: β-bloccanti

Classe III: allungano il potenziale d’azione (SOTALOLO, BRETILIO,AMIODARONE)

Classe IV: ca-antagonisti (VERAPAMIL, DILTIAZEM)

TIROIDE

Effetti generali degli ormoni tiroidei:


• aumento del metabolismo basale e del metabolismo globale
• effetto stimolante sulla crescita e sullo sviluppo (deficit ormonali prenatali comportano disturbi della
maturazione cerebrale, rallentamento della crescita ossea e del saldamento delle epifisi)
• effetti sul sistema nervoso:
ipotiroidismo: apatia
ipertiroidismo: eccitabilità
• effetti muscolari:
ipotiroidismo: riflessi tendinei rallentati
ipertiroidismo: eventuale miopatia
• effetti stimolanti sul metabolismo di calcio/fosfato
• effetto inibitorio sulla sintesi proteica e di glicogeno
• elevata sensibilità del cuore alle catecolamine; per questo motivo in presenza di ipertiroidismo si ha
tachicardia.

IPOTIROIDISMO ACQUISITO
Eziologia
— Ipotiroidismo primitivo:
• conseguenza di una malattia autoimmune (tiroidite di Hashimoto), talvolta nel contesto di una sindrome
poliendocrina autoimmune
• iatrogeno: dopo strumectomia, dopo terapia con radioiodio, da farmaci (ad es. tireostatici, litio)
— Ipotiroidismo secondario ipofisario:
insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi
— Ipotiroidismo terziario ipotalamico (raro).

Clinica
— calo delle prestazioni fisiche e mentali, estrema povertà di movimenti spontanei, astenia,
rallentamento psicomotorio, disinteresse, apatia (osservare l’espressione del volto!), tempo del riflesso
achilleo prolungato
— aumentata sensibilità al freddo
— cute secca, fredda, pastosa, giallo pallida, desquamante
— capelli secchi, fragili
— aumento ponderale da mixedema generalizzato
— stipsi
— voce roca, rauca (possibile errore di diagnosi: affezione laringea)
— mixedema cardiaco: bradicardia, cardiomegalia con eventuale insufficienza cardiaca refrattaria alla
digitale; ECG: complessi QRS di basso voltaggio
— arteriosclerosi precoce, da ipercolesterolemia
— eventualmente miopatia, con aumento di CPK
— alterazioni mestruali, turbe della spermatogenesi, infertilità, poliabortività.

Diagnosi
— Ipotiroidismo primitivo manifesto:
clinica e dati di laboratorio (il TSH basale è il test di screening)

— Ipotiroidismo latente:
• FT3 e FT4 normali (evtl. ai livelli inferiori della norma)
• TSH basale e TSH dopo somministrazione di TRH da normale ad aumentato
— Nella tiroidite autoimmune di Hashimoto: spesso dimostrazione di anticorpi anti-tireoglobulina e
anticorpi antiperossidasi tiroidea (anticorpi anti-TPO). Ecografia ed evtl. agoaspirato tiroideo (infiltrato
linfocitario).
— Ecografia ed evtl. agoaspirato tiroideo (ad es. in caso di tiroidite linfocitaria di Hashimoto)
— Scintigrafia: accumulo di radionuclidi nella tiroide fortemente ridotto o assente.
Terapia
— Ipotiroidismo conclamato
Trattamento sostitutivo con L-T4 e controlli per tutta la vita. Tanto più è pronunciato l’ipotiroidismo, tanto
più gradualmente e lentamente deve essere instaurata la terapia sostitutiva per il rischio di attacchi di
angina pectoris, disturbi del ritmo cardiaco!
La dose ottimale individuale è valutata in base allo stato generale di salute del paziente e al TSH basale (o
test con TRH)
• dose esatta: TSH basale normale (o test con TRH normale)
• dose troppo alta: TSH basale ridotto (o test con TRH negativo)
• dose troppo bassa: TSH basale aumentato (oppure riscontro di TSH in eccesso dopo somministrazione di
TRH).
— Ipotiroidismo latente
Il trattamento è necessario solo in casi particolari (ad es. gravidanza).

IPERTIROIDISMO
Eziologia
1. Ipertiroidismo autoimmune (malattia di Basedow); i 2/3 dei casi si manifestano dopo i 35 anni; F:M = 5:1.
a) ipertiroidismo senza gozzo
b) ipertiroidismo con gozzo diffuso
c) ipertiroidismo con gozzo nodulare.

2. Ipertiroidismo da autonomia tiroidea; la maggior parte dei casi si manifesta in età avanzata. In base al
reperto scintigrafico del tessuto tiroideo autonomo si distinguono 3 forme:
— autonomia unifocale (adenoma autonomo secondo la vecchia terminologia)
— autonomia multifocale
— autonomia diffusa.
Nota: sindrome di Marine-Lenhart = associazione di malattia di Basedow e autonomia tiroidea (interessa
sino al 10% dei pazienti con malattia di Basedow nelle aree
geografiche con carenza di iodio).

3. Forme più rare di ipertiroidismo:


— transitorio nelle tiroiditi subacute
— carcinoma della tiroide
— iatrogeno (ipertiroidismo factitio = apporto esogeno di ormoni tiroidei)
— ipertiroidismo «centrale», molto raro, ad es. iperproduzione di TSH da adenoma ipofisario
— molto raramente, produzione paraneoplastica di TSH.

Clinica
A) dell’ipertiroidismo:
— gozzo (70-90% dei pazienti); per l’ipervascolarizzazione della tiroide si apprezza un soffio
all’auscultazione
— agitazione psicomotoria: fine tremore delle dita delle mani, ansietà, insonnia
— tachicardia sinusale, eventuale disturbi del ritmo (extrasistoli, fibrillazione atriale), pressione arteriosa
differenziale aumentata
— calo ponderale (nonostante l’aumento dell’appetito), eventuale iperglicemia (a causa dell’aumentato
metabolismo, con mobilizzazione dei depositi di lipidi e di glicogeno). Diagnosi differenziale: diabete mellito
non trattato
— cute calda, umida, capelli morbidi, sottili
— intolleranza al caldo (vampate di calore, eventuale temperatura subfebbrile)
— eventuale diarrea (la stipsi tuttavia non esclude l’ipertiroidismo)
— miopatia: debolezza della muscolatura dei cingoli, adinamia
— osteopatia: bilancio negativo del calcio: nel 15-20% dei casi ipercalcemia, ipercalciuria, fosfatasi alcalina
aumentata
— alterata tolleranza glucidica (50% dei casi)
— evtl. steatosi epatica
— evtl. alterazioni mestruali, infertilità (più raramente che nell’ipotiroidismo).
B) Ulteriori sintomi in caso di ipertiroidismo autoimmune (malattia di Basedow):
— oftalmopatia endocrina nel 50% dei casi (per i dettagli vedi il relativo capitolo)
— triade di Merseburg della malattia di Basedow (50% dei casi): gozzo, esoftalmo, tachicardia
— mixedema pretibiale nel 5% dei casi: come nell’oftalmopatia endocrina, si giunge a depositi di
glicosaminoglicani nel tessuto sottocutaneo pretibiale, raramente anche a livello dell’avambraccio e delle
spalle. È possibile la regressione spontanea
— raramente acropachia (deformazione a clava delle dita e dell’alluce).

Diagnosi
Diagnosi dell’ipertiroidismo manifesto:
1. anamnesi (farmaci contenenti iodio, mezzo di contrasto iodato, ecc.)
2. clinica (sintomi di ipertiroidismo)
3. laboratorio:
— TSH basale diminuito (è il test di screening)
— FT3 sempre aumentata
— FT4 aumentata nel 90% dei casi.
In caso di TSH basale ridotto, la sola determinazione di FT4 non è sufficiente, in quanto esistono
ipertiroidismi isolati da T3 (ad es. nello stadio iniziale dell’ipertiroidismo).
Nota: diagnosi del raro ipertiroidismo centrale (ad es. da adenoma ipofisario TSH-secernente): ormoni
tiroidei aumentati + TSH basale non soppresso, talvolta persino aumentato. Una situazione analoga è
presente nella rara forma di resistenza agli ormoni tiroidei (da difetto del recettore ormonale).
— dimostrazione di autoanticorpi verso i recettori per il TSH nell’80% dei casi e anti-TPO nel 70% dei casi di
ipertiroidismo autoimmune
— dimostrazione di iodio nelle urine in caso di contaminazione da iodio quale agente scatenante
dell’ipertiroidismo
4. diagnostica per immagini:
— ecografia: ipoecogenicità circoscritta o diffusa + ipervascolarizzazione al colordoppler.
— scintigrafia: TcTU aumentato
• ipercaptazione intensa e omogenea nell’ipertiroidismo autoimmune
• ipercaptazione unifocale, multifocale o diffusa nelle 3 forme di autonomia tiroidea.

Terapia
Trattamento dell’ipertiroidismo
Non si conosce nessun trattamento causale. La scelta della terapia dipende dall’età del paziente e dalla
forma di ipertiroidismo.

a) Terapia tireostatica farmacologica


Tireostatici: bloccano la sintesi degli ormoni tireoidei. Tutte le forme di ipertiroidismo vengono trattate con
tireostatici sino al raggiungimento di uno stato eutiroideo.
• Perclorati: inibiscono la captazione di iodio da parte della tiroide.
• Tireostatici contenenti zolfo: inibiscono la sintesi di MIT e DIT, ma non la liberazione degli ormoni definitivi
(T3 e T4); l’effetto terapeutico inizia perciò dopo 6-8 giorni di latenza
— propiltiouracile
— tiamazolo
— carbimazolo

Effetti collaterali
— reazioni allergiche con esantema, febbre, dolori articolari e muscolari, ecc.
— piastrinopenia, leucopenia; raramente agranulocitosi da ipersensibilità (controllo dei leucociti)
— alterazioni degli enzimi epatici, colestasi, ecc.
Nell’ipertiroidismo autoimmune si deve assolutamente evitare un’evoluzione in
ipotiroidismo che peggiorerebbe l’oftalmopatia endocrina eventualmente presente.
Terapia farmacologia aggiuntiva: in caso di tachicardia, betabloccanti, ad es. propranololo
che inibisce la conversione T4 _ T3.

b) Terapia chirurgica
Trattamento tireostatico prima dell’intervento per riportare i pazienti ad una situazione di eutiroidismo.
Successivamente procedere all’intervento con tiroidectomia subtotale, lasciando circa 4 ml di tiroide. In
caso di sospetta neoplasia maligna della
tiroide, tiroidectomia totale.
Indicazioni:
— gozzo pronunciato
— segni di compressione
— sospetto di malignità (ad es. nodulo freddo)
— crisi tireotossica.

PARATIROIDI
L’omeostasi del metabolismo del fosfato di calcio è determinata dal paratormone e dalla
vitamina D. Tra il calcio e l’ormone paratiroideo esiste una regolazione di feed-back negativo, per cui le loro
concentrazioni sono inversamente correlate. Il meccanismo regolatorio di feed-back negativo è conservato
nella ipercalcemia da neoplasia, intossicazione da vitamina D, e sarcoidosi: in questi pazienti i valori di PTH
sono ridotti. Di contro, nell’ipoparatiroidismo
entrambi i valori risultano ridotti. Nell’iperparatiroidismo primitivo sono entrambi aumentati.
Il PTH agisce stimolando l’adenilciclasi a livello osseo e renale. Nel rene viene inibito il riassorbimento
tubulare dei fosfati, viene aumentato quello del calcio.
Calcitonina
La calcitonina viene sintetizzata nelle cellule C della tiroide, inibisce l’attività degli osteoclasti. La secrezione
della calcitonina è determinata dal livello di Ca++ nel sangue: concentrazioni elevate la stimolano,
concentrazioni ridotte la inibiscono.

Metabolismo della vitamina D e funzione delle paratiroidi


Nel fegato la vitamina D3 viene trasformata in calcifediolo che viene trasformata a livello renale in
calcitriolo, biologicamente assai attivo. Questa trasformazione è regolata dalla concentrazione di fosfato:
una bassa concentrazione di fosfato favorisce la formazione di calcitriolo, e viceversa. Il calcitriolo stimola
l’assorbimento enterico di calcio e fosfato.

Regolazione della calcemia


1. diminuzione del Ca++ plasmatico _
2. secrezione di paratormone _
3. stimolazione dell’eliminazione di fosfato a livello renale _
4. diminuzione di HPO4– – _
5. stimolazione della produzione di calcitriolo a livello renale _
6. assorbimento enterico e mobilizzazione ossea di Ca++ e HPO4– – _
7. normalizzazione del Ca++ plasmatico.

IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO
Definizione: malattia primitiva delle paratiroidi con aumentata produzione di ormone paratiroideo (PTH).

Eziologia
1. adenoma isolato (80%), adenoma multiplo (5%) delle paratiroidi.
2. iperplasia delle paratiroidi (15%); istologia: iperplasia delle cellule chiare o delle cellule principali
3. raramente carcinoma delle paratiroidi (< 1%).
Raramente si osserva una neoplasia endocrina multipla (MEN)

Patogenesi dell’ipercalcemia: nell’iperparatiroidismo primitivo, l’ipercalcemia è la conseguenza dell’azione


del PTH a 3 livelli:
— aumento del riassorbimento di calcio dall’osso (aumento delle piridinoline urinarie)
— maggiore assorbimento enterico di calcio (mediato dal calcitriolo)
— aumento del riassorbimento tubulare renale di calcio.

Clinica: oltre la metà dei pazienti non accusa disturbi o accusa disturbi aspecifici (diagnosi occasionale di
ipercalcemia).
1. Manifestazioni renali (40-50%):
— frequente nefrolitiasi (fosfato e ossalato di calcio)
— rara neofrocalcinosi (prognosticamente sfavorevole).
Tipica è la diminuzione della capacità di concentrazione refrattaria all’ADH che determina poliuria con
polidipsia. Nei casi avanzati si instaura insufficienza renale.
2. Manifestazioni ossee (circa il 50%):
l’aumento dell’ormone paratiroideo porta all’aumento degli osteoclasti, nonché per reazione anche degli
osteoblasti, cosicché si va incontro a un bilancio osseo negativo. L’attività degli osteoclasti porta, nei casi
conclamati, a lacune di riassorbimento
osseo subperiostale con acroosteolisi di mani e piedi. Segno radiologico frequente è una osteopenia
diffusa che può essere osservata alle ossa della mano nel 40% dei casi, della colonna vertebrale nel 20% dei
casi; l’esame
radiografico del cranio – seconda sede per frequenza – mostra un aspetto di «vetro opaco». La lamina dura
degli alveoli dentali mostra fenomeni di erosione ed è presente dolore alla colonna vertebrale e agli arti che
è sintomo di interessamento
osseo. In caso di coinvolgimento osseo, all’analisi di laboratorio risultano aumentati i valori della fosfatasi
alcalina e della escrezione di idrossiprolina.
3. Manifestazioni gastrointestinali (circa 50% dei casi):
— inappetenza, nausea, stipsi, meteorismo, calo ponderale
— ulcera gastro/duodenale rara (circa 10%)
— rara pancreatite (circa 10%; la pancreatite può diminuire la calcemia, mascherando così un
iperparatiroidismo primitivo!).
4. Sintomi neuromuscolari: affaticabilità, astenia e atrofia muscolare; accorciamento del QT all’ECG.
5. Sintomi psichiatrici: depressione.
6. Crisi ipercalcemica (< 5%):
Sintomatologia:
— poliuria, polidipsia
— vomito, disidratazione, adinamia
— sintomi psicotici, sonnolenza, coma.
In seguito alla insufficienza renale che si instaura rapidamente, il fosfato plasmatico aumenta e possono
comparire calcificazioni a livello di diversi organi (ad es. cornea, tonaca media delle arterie). Aritmie
cardiache possono portare a morte improvvisa.
Diagnosi differenziale della ipercalcemia
1. Tumori maligni: rappresentano la causa più frequente di ipercalcemia (circa 60% dei casi). I tumori più
frequenti sono il carcinoma bronchiale, mammario, prostatico e il plasmocitoma. In caso di ipercalcemia da
tumore il PTH intatto è di regola soppresso. Sono possibili 2 meccanismi:
a) ipercalcemia osteolitica, da metastasi ossee (ad es. da carcinoma mammario) e da plasmocitoma.
b) ipercalcemia paraneoplastica, da produzione ectopica di peptidi simili al paratormone (PTHrP) da parte
del tumore (ad es. carcinoma bronchiale).
2. Cause endocrine: iperparatiroidismo primitivo (20%), ipertiroidismo, insufficienza cortico-surrenalica.
3. Da farmaci: intossicazione da vitamina D o da vitamina A, trattamento con tamoxifene, diuretici tiazidici,
litio, scambiatori di cationi contenenti calcio, ecc.
4. Immobilizzazione.
5. Sarcoidosi (sintesi di 1,25-(OH)2-D3 da parte dei macrofagi).

Diagnosi di iperparatiroidismo primitivo


a) Laboratorio
La determinazione ripetuta del calcio plasmatico e del paratormone è il parametro più rilevante dal punto di
vista diagnostico (aumentati in oltre il 90% dei casi di iperparatiroidismo primitivo); il fosfato sierico risulta
diminuito nel 70% dei casi
(questo reperto può essere mascherato in presenza di insufficienza renale).
b) Biopsia ossea: (ossa del bacino), non è di regola necessaria;
c) Diagnosi di sede:
come prima indagine, si esegue solitamente un’ecografia. Peraltro, la sensibilità diagnostica di tutti i metodi
d’indagine preoperatori è sempre inferiore a quella di un chirurgo esperto!

Terapia
La malattia è curabile mediante l’asportazione chirurgica tempestiva delle paratiroidi ingrossate. Durante
l’intervento devono essere ricercate e valutate tutte le paratiroidi:
— asportazione isolata di paratiroidi adenomatose ingrandite (oltre 50 mg)
— quando tutte le ghiandole sono iperplastiche: paratiroidectomia totale
Indicazioni all’intervento in caso di iperparatiroidismo primitivo asintomatico:
— calcemia > 3 mmol/l
— riduzione della clearance della creatinina
— riduzione della densità ossea (Z-score > –2)
— malattie concomitanti.
Se non vi è indicazione all’intervento, valgono i seguenti consigli:
— bere molto; non utilizzare diuretici tiazidici e digitale
— prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa con associazioni di estro-progestinici
— controlli regolari (ogni 3 mesi).
Sono in fase di studio dei preparati calcioagonisti che riducono la secrezione di paratormone.

IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO
Quando una affezione extra-paratiroidea comporta la diminuzione del calcio sierico, le paratiroidi
reagiscono secondariamente con una maggiore secrezione di PTH.
Iperparatiroidismo secondario di originale renale
Iperparatiroidismo secondario con funzione renale normale
Eziologia
a) cause enteriche: sindrome da malassorbimento con ridotto assorbimento di calcio
b) cause epatiche (rare):
• cirrosi epatica (alterata trasformazione D3 _ 25-OH-D3)
• colestasi (alterato assorbimento di vitamina D3)
c) ridotta sintesi cutanea di vitamina D3: carente esposizione alla luce solare.

Clinica
• sintomi della malattia di base
• evtl. dolori ossei.

Diagnosi differenziale
Iperparatiroidismo secondario renale (aumento di fosfatemia, azotemia e creatininemia).

Diagnosi
Calcemia diminuita, fosfatemia normale, PTH aumentato.
Terapia
• terapia della malattia di base
• apporto di vitamina D3 ed evtl. calcio.
IPOPARATIROIDISMO
Definizione
Carenza funzionale delle paratiroidi con deficit di PTH. Il sintomo tipico è la tetania ipocalcemica.

Eziologia
1. postoperatorio (causa più frequente): dopo intervento chirurgico al collo, soprattutto strumectomia
2. idiopatico: raro (autoimmune?)
3. agenesia delle paratiroidi e del timo (sindrome di Di George, molto rara).

Clinica
1. Sintomi funzionali
— tetania ipocalcemica): accessi convulsivi con conservazione dello stato di coscienza, spesso
accompagnati da parestesie, atteggiamento delle mani «da ostetrico», spasmo della glottide
— segno di Chvostek la percussione del nervo facciale sotto l’arcata zigomatica determina la contrazione
dell’angolo della bocca
— segno di Trousseau
— ECG: allungamento del tratto QT.

2. Alterazioni organiche Disturbi della crescita dei capelli, delle unghie, formazione di cataratta,
calcificazione dei gangli della base, osteosclerosi.

3. Disturbi psichici (irritabilità, depressione).

Diagnosi differenziale
1. Tetania normocalcemica (la più frequente): diminuzione del calcio ionizzato dovuta ad alcalosi (quasi
sempre alcalosi respiratoria da iperventilazione psicogena).
2. Ipocalcemia di altra genesi (PTH intatto aumentato): pancreatite acuta, sindrome da malassorbimento,
peritonite, fase di guarigione del rachitismo, osteomalacia (deficit di vitamina D), insufficienza renale,
infusione di EDTA o di sangue citratato, cause più rare.
3. Pseudo-ipoparatiroidismo (estremamente raro):

Diagnosi
1. ipocalcemia, ipomagnesiemia, iperfosfatemia
2. ridotta escrezione renale di: calcio, fosfato, cAMP
3. diminuzione del PTH intatto
I reperti di ipocalcemia e di iperfosfatemia con creatinina normale (esclusione di insufficienza renale) e
albuminemia normale (esclusione di sindrome da malassorbimento) rendono molto probabile la diagnosi di
ipoparatiroidismo primitivo. Il riscontro di ridotti livelli di PTH conferma la diagnosi.

Terapia
In caso di tetania
Iniezione e.v. lenta di 20 ml di soluzione di calcio al 10%. Attenzione: il calcio e la digitale sono farmaci ad
azione sinergica. Non somministrare perciò a nessun paziente digitalizzato calcio e.v.!
Trattamento a lungo termine
Vitamina D ad alta dose (colecalciferolo 40.000 UI/die oppure calcitriolo 1-1,5 μg/die) + calcio per via orale
1-3 g/die con regolare controllo della calcemia e della calciuria.

CORTECCIA SURRENALE
Regolazione della secrezione di aldosterone
a) Stimolazione:
— il più importante stimolo è rappresentato dal sistema renina-angiotensina (omeostasi del volume
ematico totale, che si attiva per iposodiemia, ipovolemia e ridotta perfusione renale)
— aumento del potassio sierico
— ACTH (meno significativo).
b) Inibizione:
peptide natriuretico atriale (ANP).

IPERALDOSTERONISMO PRIMITIVO
Sinonimo
Sindrome di Conn.

Clinica
1. ipertensione (sintomo principale) con cefalea ed eventuali lesioni organiche.
2. ipopotassiemia con sintomi associati:
• astenia muscolare
• stipsi
• alterazioni ECGrafiche (slivellamento di ST, onda U)
• poliuria, polidipsia, ipostenuria: l’ipopotassiemia provoca una tubulopatia vacuolarem con diabete
insipido nefrogeno
• alcalosi metabolica con parestesie (ed eventuale tetania).

Laboratorio
— ipopotassiemia (sempre), ipersodiemia (50% dei casi)
— potassiuria aumentata (> 40 mmol/24 ore)
— aldosterone plasmatico aumentato, renina plasmatica ridotta.

Diagnosi differenziale
— iperaldosteronismo secondario
a) stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone
• organica: stenosi delle arterie renali, ipertensione maligna, tumore renale renino- secernente _ con
ipertensione
• funzionale: iposodiemia, ipovolemia, edemi di altra genesi, sindrome di Bartter, sindrome di Gitelman _
senza ipertensione.
b) iperaldosteronismo «relativo» da ridotto metabolismo dell’aldosterone: ad es. edema cardiaco, epatico,
renale.
— pseudoiperaldosteronismo da abuso di liquerizia.

Diagnosi
Clinica (ipertensione ipopotassiemica), dosaggio della renina (diminuita) e dell’aldosterone (aumentato).
Terapia
— in caso di tumore cortico-surrenale unilaterale, asportazione chirurgica del surrene interessato dopo
preparazione con spironolattone per 4 settimane
— in caso di iperplasia cortico-surrenale bilaterale, trattamento a lungo termine con antiipertensivi e
antagonisti dell’aldosterone (spironolattone)
— nelle rare forme di iperaldosteronismo sopprimibile con desametasone, terapia con desametasone a
bassa dose
— nell’estremamente raro carcinoma surrenale metastatizzante secernente aldosterone, intervento
chirurgico + chemioterapia.

IPOALDOSTERONISMO
Eziologia
1. ipoaldosteronismo primitivo con reninemia aumentata: malattia di Addison, deficit di sintesi
dell’aldosterone; forme transitorie dopo escissione di un adenoma aldosterone-secernente con
soppressione del surrene controlaterale
2. ipoaldosteronismo secondario con reninemia diminuita (= ipoaldosteronismo iporeninemico):
— nei pazienti con diabete mellito (frequente)
— indotto da farmaci: terapia con mineralcorticoidi, ACE-inibitori, inibitori della sintesi delle
prostaglandine; terapia protratta con eparina.

Clinica
Evtl. ipotensione con relativi sintomi.

Laboratorio
Iposodiemia, iperpotassiemia (evtl. minacciosa), acidosi metabolica.

Diagnosi
Aldosterone plasmatico diminuito; renina plasmatica aumentata (forma primitiva) oppure diminuita (forma
secondaria).

Terapia
Nella forma primitiva (ad es. malattia di Addison) terapia con mineralcorticoidi (fludrocortisone); nella
forma secondaria sospendere gli eventuali farmaci favorenti; altrimenti, in caso di manifestazioni rilevanti,
somministrare mineralcorticoidi.
La terapia va guidata in base al controllo degli elettroliti e della reninemia.

Glucocorticosteroidi
La produzione ormonale della corteccia surrenale segue un ritmo circadiano. La produzione
minima è attorno a mezzanotte, quella massima tra le 6 e le 8 del mattino. Questo ritmo
fisiologico è abolito nella sindrome di Cushing.

Effetti farmacologici dei glucocorticoidi


1. Azione sul metabolismo glucidico e proteico: Essa consiste nella stimolazione della gluconeogenesi, con
produzione di carboidrati a spese degli aminoacidi e dei prodotti intermedi (lattato, piruvato, glicina). Di
conseguenza aumenta il catabolismo
proteico con atrofia muscolare e osteoporosi. L’azione glucocorticoide è contrapposta all’azione insulinica:
aggravamento di un evtl. stato diabetico.
2. Sul metabolismo lipidico: iperlipidemia, aumento del catabolismo lipidico, mobilizzazione di lipidi dalla
periferia,
accumulo di lipidi nel fegato, ridistribuzione del grasso corporeo con obesità caratteristica.
3. Sul tessuto emopoietico e linfatico:
— aumento dei leucociti neutrofili, riduzione del numero di eosinofili e linfociti, riduzione del tessuto
linfatico e soppressione dell’attività dei linfociti B e specialmente T. Conseguenza: aumentata
predisposizione alle infezioni, effetto antiallergico
e immunosoppressivo
— aumento degli eritrociti e delle piastrine con effetto favorente la formazione di trombi.
4. Inibizione di flogosi, essudazione e proliferazione del tessuto connettivo, degli epiteli e del mesenchima;
conseguenza:
— azione antiflogistica
— ritardata cicatrizzazione di ferite ed azione ulcerogena.
5. Effetto ipocalcemico: inibizione dell’assorbimento enterico di calcio + stimolazione dell’eliminazione
renale di calcio.
6. Effetto mineralattivo del cortisolo rispetto all’aldosterone 1:1000. Consiste in: ritenzione di sodio,
liberazione di potassio, spostamento del potassio da intra- ad extracellulare con scambio contro sodio e
idrogenioni.

IPERCORTICOSURRENALISMO
Sinonimo: sindrome di Cushing.

Classificazione ed eziologia
I) Ipercorticosurrenalismo esogeno
Per lo più iatrogeno a seguito di trattamento cronico con glucocorticoidi o ACTH: il più frequente.
II) Ipercorticosurrenalismo endogeno
Dovuto a maggiore secrezione di cortisolo o di ACTH: più raro.
1. Forma ACTH-dipendente con iperplasia secondaria della corteccia surrenale:
a) sindrome di Cushing centrale (= malattia di Cushing): rappresenta il 70% delle sindromi di Cushing
endogene; colpisce soprattutto le donne in età media. Nell’80% dei casi si tratta di un microadenoma del
lobo anteriore dell’ipofisi, non
sempre dimostrabile alle tecniche neuroradiologiche. Negli altri casi si ipotizza un’iperfunzione ipotalamica
primitiva. In alcuni pazienti è possibile riscontrare la presenza di auto-anticorpi diretti contro cellule del
lobo anteriore dell’ipofisi
b) secrezione ectopica (paraneoplastica) di ACTH: secrezione di ACTH da parte
di neoplasie (più raramente secrezione ectopica di CRH)
c) sindrome di Cushing da etilismo: reversibile dopo la sospensione dell’alcool.

2. Forma ACTH-indipendente (forma primitiva): sindrome di Cushing surrenalica:


a) da tumori surrenalici producenti cortisolo; nell’età adulta prevalentemente adenomi, nel bambino
frequentemente carcinomi della corteccia surrenale
b) raramente, displasia micronodulare o iperplasia macronodulare.

Clinica
11. metabolismo lipidico: ridistribuzione dei depositi di grasso, con «facies lunare», collo taurino, obesità
centrale, ipercolesterolemia
12. metabolismo proteico: osteoporosi, con evtl. dolori ossei, miopatia con ipotrofia muscolare, adinamia
13. metabolismo glucidico: tendenza al diabete
14. sistema emopoietico: leucociti, piastrine ed eritrociti aumentati, eosinofili e linfociti diminuiti
15. ipertensione (85%)
16. cute: ritardata guarigione delle ferite, predisposizione ad acne, foruncolosi, ulcerazioni, comparsa di
strie cutanee rosse, atrofia della cute (cute «a pergamena»).
17. virilizzazione, irsutismo, disturbi del ciclo mestruale
18. nel bambino arresto della crescita
19. disturbi psichici (ad es. disturbi psicotici)
10. ipopotassiemia (5%), secondaria a iperproduzione di mineralcorticoidi (relativamente rara). Deve far
sospettare una produzione ectopica di ACTH oppure una neoplasia della corticale surrenalica.
L’ipercorticosurrenalismo primitivo dovuto alla presenza di adenomi surrenalici comporta per lo più un
aumento solo dei glucocorticoidi. L’ipercorticosurrenalismo secondario è invece caratterizzato
dall’aumentata secrezione di ACTH in caso di iperplasia globale bilaterale della corticale surrenale;
l’aumento è ancor più pronunciato in caso di carcinoma; si ha anche un aumento degli androgeni (e meno
dell’aldosterone), tanto che in questo caso subentrano sintomi condizionati dall’eccesso
di androgeni (virilizzazione, irsutismo, disturbi mestruali, ecc.).

Diagnosi
a) di ipercorticosurrenalismo:
— clinica

Terapia
Chirurgia

IPOCORTICOSURRENALISMO
Eziologia e classificazione
1. Forma primitiva (ACTH aumentato):
— malattia di Addison: adrenalite autoimmune (70% dei casi): distruzione della corteccia surrenale da parte
di un processo autoimmune, con presenza di autoanticorpi diretti contro la corteccia surrenale, spesso
contro la 17-idrossilasi (= enzima chiave della sintesi steroidea). Alcuni di questi pazienti soffrono di una
sindrome poliendocrina autoimmune
— metastasi da carcinoma
— malattie infettive: tubercolosi, infezioni da CMV nei pazienti affetti da AIDS
— aplasia o ipoplasia della corteccia surrenale, difetti enzimatici; trattamento con sostanze contenenti
inibitori della sintesi del cortisolo (ad es. aminoglutetimide).
Cause di insufficienza surrenalica acuta:
— sindrome di Waterhouse-Friderichsen = infarto emorragico dei surreni in seguito a sepsi meningococcica
— emorragie (anticoagulanti orali, neonati)
— asportazione chirurgica dei surreni
2. Forma secondaria (ACTH diminuito):
— insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi o dell’ipotalamo
— terapia protratta con corticosteroidi (in questo caso non interrompere bruscamente i corticosteroidi per
il pericolo di una crisi addisoniana). Nella forma primitiva di insufficienza della corteccia surrenale si giunge
generalmente al deficit di tutti i corticosteroidi; al contrario, nella forma secondaria la produzione di
aldosterone è solo marginalmente interessata a seguito della carenza di ACTH, così da far passare in
secondo piano i disturbi elettrolitici. In caso di insufficienza ipofisaria
diminuiscono spesso secondariamente anche gli ormoni periferici, con comparsa di manifestazioni
endocrine carenziali complesse.

Clinica
Malattia di Addison: Si distinguono 4 stadi di malattia:
1. insufficienza corticosurrenale latente
2. insufficienza corticosurrenale manifesta
3. crisi endocrina
4. coma endocrino.
I 4 sintomi tipici dell’insufficienza corticosurrenale manifesta (presenti in > 90% dei casi) sono:
1. debolezza e facile affaticabilità
2. pigmentazione della cute e delle mucose, evtl. vitiligine
3. perdita di peso e disidratazione
4. ipotensione arteriosa.
Possono anche aggiungersi:
— disturbi addominali (nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, stipsi)
— perdita delle caratteristiche pilifere secondarie nella donna (carenza di androgeni), ecc.
Crisi addisoniana: oltre ai sintomi sopra citati, sono presenti:
— disidratazione, caduta della pressione arteriosa, shock, oliguria
— pseudoperitonite
— evtl. diarrea e vomito
— inizialmente temperatura inferiore alla norma, in seguito febbre e disidratazione
— delirio, coma.

Laboratorio
— sodiemia diminuita, potassiemia aumentata (Na+/K+ < 30)
— evtl. ipercalcemia (30% dei casi), linfocitosi, eosinofilia
— cortisolemia diminuita.

Diagnosi
1. test con ACTH: Nella malattia di Addison il valore basale risulta diminuito o ai limiti inferiori della norma e
non aumenta dopo ACTH (un aumento di almeno 7 μg/dl è considerato normale). Lo stesso vale anche per
l’insufficienza corticosurrenale
secondaria presente già da tempo, dove l’assenza di stimolo ACTH ha portato ad atrofia della corteccia
surrenale
2. ACTH plasmatico: nell’insufficienza corticosurrenale primitiva (malattia di Addison) l’ACTH basale nel
plasma è sensibilmente aumentato; in quella secondaria risulta invece diminuito o ai limiti inferiori della
norma e al test con CRH non aumenta oppure aumenta in modo insufficiente
3. indagini per chiarire l’eziologia:
— ricerca di auto-anticorpi diretti contro la corteccia surrenale (presenti sino nell’ 80% dei casi)
— diagnostica per immagini dei surreni: ecografia, esame dell’addome a vuoto (calcificazioni dei surreni in
caso di tubercolosi), TC, evtl. angiografia (metastasi
da carcinoma?).

Terapia: somministrazione sostitutiva di glucocorticoidi e nella malattia di Addison anche di


mineralcorticoidi:

IPOFISI E IPOTALAMO

TUMORI IPOFISARI

PROLATTINOMA
Definizione
Adenoma del lobo anteriore dell’ipofisi secernente prolattina;
• microprolattinoma: prolattinemia < 200 ng/ml, diametro del tumore < 1 cm
• macroprolattinoma: prolattinemia > 200 ng/ml, diametro del tumore > 1 cm.

Clinica
— donna:
• amenorrea secondaria, anovulazione con sterilità ed evtl. Osteoporosi
• eventuale galattorrea
• perdita della libido
— uomo: perdita della libido e della potenza, evtl. ginecomastia (effetto indiretto legato all’ipogonadismo)
— eventuali segni di ipertensione endocranica o di compressione di strutture adiacenti (cefalea, difetti del
campo visivo) ed insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi
Diagnosi differenziale
— iperprolattinemia:
a) fisiologica, ad es.:
• gravidanza, da aumento degli estrogeni di 10-20 volte rispetto al normale
• manipolazioni del capezzolo e della mammella, allattamento
• stress
b) cause patologiche, ad es.:
• prolattinoma
• tumori para- o soprasellari con compromissione della sintesi e/o trasporto della dopamina = prolactin
inhibiting factor (PIF)
• sindrome della sella vuota (= sella contenente liquor)
• ipotiroidismo primitivo grave
• insufficienza renale cronica
c) cause farmacologiche, ad es.:
• estrogeni
• neurolettici e antidepressivi, oppiacei
• reserpina e -metildopa
• antagonisti della dopamina (ad es. metoclopramide)
• cimetidina, antiistaminici, ecc.
— altre cause di amenorrea secondaria
— in caso di galattorrea, esclusione di un carcinoma mammario.

Diagnosi
— determinazione ripetuta della prolattina basale: valori > 200 ng/ml sono quasi una prova, 25-200 ng/ml
richiedono ulteriori indagini
— prolattina dopo somministrazione di TRH (nel prolattinoma di solito nessun aumento)
— anamnesi farmacologica per escludere una iperprolattinemia da farmaci
— esclusione di un ipotiroidismo e di una insufficienza renale
— esami oftalmologici
— diagnosi di localizzazione (TC, RMN)
— in caso di prolattinoma documentato, valutazione delle altre funzioni ipofisarie parziali.

Terapia
Il trattamento è anzitutto farmacologico, con antagonisti della dopamina: bromocriptina, lisuride,
quinagolide, cabergolina. In oltre il 95% dei pazienti è possibile così ottenere la normalizzazione dei livelli
ematici di prolattina e la riduzione delle dimensioni
del tumore. L’indicazione all’intervento transfenoidale o transfrontale sull’ipofisi sussiste solamente in caso
di mancata risposta agli antagonisti della dopamina.

ACROMEGALIA
Sinonimo: iperpituitarismo.

Eziologia
Adenoma somatotropo del lobo anteriore dell’ipofisi con iperproduzione dell’ormone della crescita =
growth hormon (GH) =
ormone somatotropo (STH).

Clinica
Un iperpituitarismo che si manifesta prima della fine dell’accrescimento staturale porta a gigantismo
(altezza oltre 2 m); in età adulta l’eccesso di GH si presenta con acro- e visceromegalia.
L’esordio della malattia è insidioso.
1. sintomi tipici:
— alterazione della fisionomia con tratti grossolani del volto, cute del viso ispessita e rugosa (cutis gyrata):
confrontare con foto precedenti!
— ingrossamento di mani, piedi e cranio (scarpe, guanti e cappelli non si adattano più)
— ingrossamento della lingua e allargamento degli spazi interdentali (eloquio impastato)
— ingrossamento degli organi interni (visceromegalia)
2. sintomi facoltativi:
— cefalea, ipertensione (sino al 30% dei casi)
— disturbi della vista, difetti del campo visivo (emianopsia bitemporale) _ diagnostica oculistica
— evtl. sindrome del tunnel carpale (compressione del nervo mediano con dolori prevalentemente notturni
+ parestesie delle prime tre dita + atrofia dell’eminenza tenar), evtl. dolori articolari
— iperidrosi, ipertricosi
— evtl. tolleranza patologia al glucosio (60% dei casi), diabete mellito (10-15% dei casi)
— amenorrea secondaria.

Radiologia
— ingrossamento delle cavità paranasali
— ispessimento della corticale delle ossa di mani e piedi
— cardiomegalia alla radiografia del torace.

Diagnosi
1. Valutazione ormonale:
— aumento del GH plasmatico; a causa della secrezione pulsatile, è necessario determinare più valori nel
corso della giornata
— mancata soppressione della liberazione di GH dopo carico di glucosio (test orale di tolleranza al
glucosio): GH normale < 2 ng/ml
— aumento di IGF-I
— verifica delle restanti funzioni ipofisarie parziali, al fine di escluderne una insufficienza.
2. Diagnostica di localizzazione: documentazione di un adenoma ipofisario mediante RMN, TC.

Terapia
1. chirurgica: adenomectomia transfenoidale
2. terapia radiante: convenzionale oppure radiochirurgica stereotattica (ad es. «gamma knife»)
3. tentativo di inibizione farmacologica della secrezione di GH:
— antagonisti della dopamina: ad es. bromocriptina, hanno successo solo nel 20% dei casi
— analoghi della somatostatina: ad es. octreotide, anche per somministrazione depot (1 al mese).

IPOPITUITARISMO
Definizione
— panipopituitarismo: insufficienza funzionale globale del lobo anteriore dell’ipofisi, con quadro clinico
completo
— ipopituitarismo parziale: insufficienza parziale limitata ad alcune funzioni del lobo anteriore dell’ipofisi (è
la forma più frequente).

Clinica
A) Insufficienza cronica del lobo anteriore dell’ipofisi
Prima che si giunga a sintomi clinici da deficit ormonale periferico deve essere distrutto l’80% del lobo
anteriore dell’ipofisi.
— deficit di GH nel periodo dell’accrescimento: nanismo ipofisario (l’intelligenza e le proporzioni somatiche
sono normali)
— deficit di GH nell’adulto: aumento del tessuto adiposo, riduzione del tessuto muscolare; adinamia;
iperlipidemia, ipoglicemia; evtl. depressione; aumento del rischio di arteriosclerosi, aumento del rischio di
osteoporosi
— ipogonadismo secondario (riduzione delle gonadotropine LH e FSH): amenorrea secondaria, perdita
della libido e della potenza, scomparsa delle caratteristiche pilifere secondarie
— ipotiroidismo secondario (riduzione del TSH): intolleranza al freddo, bradicardia, astenia, ecc.
— insufficienza corticosurrenalica secondaria (carenza di MSH e ACTH): adinamia, calo ponderale, pallore
cereo da depigmentazione, ipotensione arteriosa, ecc.
— il deficit di prolattina nella donna che allatta provoca agalattia.

B) Insufficienza acuta del lobo anteriore dell’ipofisi e coma ipofisario


La mancanza di GH, LH, FSH oppure MSH non comporta mai una situazione acuta di crisi. Sotto stress la
mancanza di ACHT o TSH può condurre a coma ipofisario acuto con un quadro clinico di sonno e stupore.
Fattori scatenanti possono essere
infezioni, traumi, interventi chirurgici; sono stati chiamati in causa anche vomito e diarrea, soprattutto in
caso di terapia sostitutiva insufficiente.
Sintomi:
— ipotensione, bradicardia
— ipotermia, ipoglicemia
— ipoventilazione con ipercapnia
— pallore cereo, assenza delle caratteristiche pilifere secondarie.

Diagnosi
1. anamnesi e clinica
2. diagnostica funzionale endocrinologica: oltre ad un ridotto valore basale degli ormoni dell’ipofisi
anteriore, vi è anche un
deficit della loro risposta alla somministrazione dei releasing hormone specifici
3. diagnostica di localizzazione ipofisaria (esclusione di un tumore): RMN, TC.
Terapia
1) Terapia causale: ad es. trattamento del tumore ipofisario.
2) Terapia sostitutiva degli ormoni carenti

DIABETE INSIPIDO
Definizione
Ridotta capacità dei reni a produrre, in caso di sottrazione di liquidi, urina concentrata, dovuta alla
mancanza di ADH (diabete insipido centrale) oppure alla mancata risposta dei reni all’ADH (diabete insipido
renale).

Patogenesi
La causa del diabete insipido centrale è il deficit di ormone antidiuretico (ADH = adiuretina = arginina-
vasopressina), secreto dal lobo posteriore dell’ipofisi. Per questo motivo non risulta possibile la
concentrazione dell’urina dipendente da ADH nel tubulo distale e si ha una aumentata secrezione di urina
diluita (poliuria) e contemporanea incapacità di concentrazione urinaria (astenuria). Dal punto di vista della
regolazione osmotica si ha una polidipsia forzata.
Il diabete insipido nefrogeno consiste in una risposta alterata deficitaria del tubulo distale all’ADH (difetto
dei recettori per l’ADH).
Clinica: triade tipica:
• poliuria (5-25 l/24 h)
• sete intensa con polidipsia
• mancata capacità di concentrazione delle urine (astenuria).

Diagnosi differenziale
1. polidipsia psicogena
2. diabete mellito (diuresi osmotica)
3. uso errato di diuretici.
Diagnosi

Terapia
1. del diabete insipido centrale:
a) causale: trattamento della malattia di base nelle forme sintomatiche
b) sintomatica: desmopressina, analoghi della vasopressina per via intranasale o orale
2. del diabete insipido renale:
a) terapia causale!
b) sintomatica: tentativo con diuretici tiazidici o antiflogistici non steroidei.

SINDROME DI SCHWARTZ-BARTTER
Sinonimo
SIADH = sindrome da inappropriata secrezione di ADH

Definizione
Secrezione di ADH patologicamente aumentata con ritenzione idrica e iposodiemia da diluizione.

Eziologia
— paraneoplastica (soprattutto carcinoma bronchiale a piccole cellule - 80% dei casi)
— secrezione ipofisaria inappropriata di ADH: malattie polmonari (ad es. polmonite), disturbi neurologici
centrali (ad es. meningite, apoplessia, ecc.), da farmaci (antidepressivi triciclici, carbamazepina, vincristina,
ciclofosfamide, ecc.).

Clinica
Una parte dei casi decorre in modo asintomatico (reperto occasionale di laboratorio).

Possono comparire i seguenti disturbi:


— inappetenza
— nausea, vomito, cefalea, crampi muscolari
— eccitabilità, alterazioni della personalità
— evtl. intossicazione da acqua con sintomi neurologici (stupor, convulsioni)
— assenza di edemi, poiché la ritenzione idrica è solo di 3-4 litri.
Laboratorio
— iposodiemia (spesso < 110 mmol/l), ipo-osmolarità plasmatica
— nonostante il liquido extracellulare sia ipotonico, eliminazione di urina concentrata (ipertonica; > 300
mosmol/l)
— normale funzionalità renale
— normale funzionalità surrenalica
— ADH plasmatico normale o aumentato (non è dosabile in altre forme di iposodiemia).

Diagnosi: anamnesi, clinica, laboratorio.

Terapia
A) causale:
in caso di malattie infiammatorie miglioramento spontaneo dopo terapia della malattia di base
B) sintomatica:
— restrizione dell’apporto di liquidi (500-800 ml/die)
— in caso di SIADH sintomatica, eventuale tentativo terapeutico con antagonisti dell’ADH, che inibiscono
l’effetto renale dell’ADH; ad es. demeclociclina
— solo in caso di intossicazione da acqua con pericolo di vita (sodiemia < 100 mmol/l) prudente infusione di
soluzione ipertonica di NaCl e somministrazione di furosemide per aumentare la diuresi (in caso di aumento
troppo veloce della
sodiemia, pericolo di mielinolisi pontina centrale).

Manuela Rebuzzi – CdL in Medicina e Chirurgia 6° anno – 10/03/2008

FUO – Fever of Unknown Origin

“Humanity has but three great enemies:


fever, famine and war;
of these by far the greatest, by far the most terrible
is fever”.

Sir William Osler, 1986

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
Il termine FUO fu introdotto nel 1961 da Petersdorf e Beeson per indicare una febbre con 3 caratteristiche:
1. rialzo termico = o > a 38,3° C, riscontrato in più occasioni;
2. durata > di 3 settimane;
3. impossibilità di formulare diagnosi dopo 1 settimana di accertamenti in pz ricoverato.

Dopo 30 anni (1991) Durack e Street hanno proposto una nuova classificazione tuttora in uso, con 4
differenti forme di FUO, caratterizzate da un comune rialzo termico = o > a 38,3° C riscontrato in più
occasioni e altre peculiari caratteristiche:
1. FUO nosocomiale/ ospedaliera -> pz ricoverato in terapia acuta, nessuna infezione
presente o in incubazione al momento del ricovero, almeno 3 gg di indagini
diagnostiche negative;
2. FUO neutropenica -> pz con neutrofili = o < 500 mm³ (o previsti entro 1-2 gg), almeno 3
gg di indagini senza che venga trovata la causa;
3. FUO associata ad HIV -> pz sieropositivo per HIV, almeno 3 gg di indagini se pz
ospedalizzato o 4 settimane di accertamenti se pz ambulatoriale negativi;
4. FUO classica -> tutti gli altri pz.i con febbre per 3 o più settimane, almeno 3 visite
ambulatoriali o 3 gg di indagini senza riscontri positivi circa la diagnosi.

EZIOLOGIA E D.D.
Le cause di FUO classica possono essere divise in 4 grandi gruppi:
 Infezioni (+ frequenti – 30-40%)
 Neoplasie (20-30%)
 Disordini infiammatori sistemici – malattie di carattere infiammatorio/ autoimmune/ reumatologico
(10-15%)
 Miscellanea
Circa il 25-30% rimane non diagnosticato, e quindi indicabile col termine FUO in senso stretto.
In relazione al tipo di FUO esistono naturalmente cause più o meno probabili e frequenti. Inoltre studi
hanno dimostrato che più lo stato febbrile si protrae, più diminuiscono le probabilità che si tratti di
un’origine infettiva.
L’eziologia è da mettersi in relazione anche con l’età del pz: nell’anziano infatti sono più frequenti sia il
primo gruppo di cause (TBC in testa), sia soprattutto il secondo (Ca del colon + frequente) e il terzo (arterite
a cellule giganti in particolare), mentre nel giovane aumentano i casi di miscellanea e quelli non
diagnosticati.
Rispetto alla durata e all’andamento della febbre, i casi di FUO ricorrente sono i più difficili da diagnosticare.

Nella tabella sottostante sono indicate le cause che più frequentemente originano FUO classica, divise per
categorie eziologiche [2]:

INFEZIONI + comuni - comuni


Ascessi (addominali, pelvici) Mononucleosi da EBV
Endocardite subacuta batterica CMV
Febbre tifoide Leismaniosi viscerale (Kala azar)
TBC miliare, renale, cerebrale

NEOPLASIE + comuni - comuni


Linfomi Ca colon
Metastasi fegato
Disordini mieloproliferativi (LMA in
fase pre-leucemica, LMC, LLC)

DIS. INFIAM. SISTEMICI + comuni - comuni


Artrite temporale AR
Malattia di Still dell’adulto LES
Polimialgia reumatica/arterite a Periarterite nodosa
cellule giganti

MISCELLANEA + comuni - comuni


Febbre da farmaci Tiroidine subacuta
Cirrosi alcoolica M. di Crohn

NOTA: NAPROXEN TEST


Nel 1987 l’oncologo Chang ha introdotto questo test allo scopo di poter differenziare una FUO di origine
infettiva da una di altra origine: il test consiste nella somministrazione di Naproxen per os alla dose di 375
mg 2vv/ die per 3gg. Questo farmaco fa parte della categoria farmaceutica dei FANS (derivato dell’ac.
propionico).
Il test risulta positivo se durante la somministrazione si osserva una defervescenza rapida, ed è indicativo di
origine non infettiva; se invece si ha una defervescenza modesta o non la si ha proprio, è indicativo di
origine infettiva e il test si dice negativo.
Com’è immediatamente comprensibile, il grosso limite di questo test è l’impossibilità di poter discernere
tra origine neoplastica, infiammatoria/reumatologica o altro.

Per quanto riguarda invece gli altri tipi di FUO, le cause più frequenti sono:
 FUO nosocomiale (50% infezioni) -> febbre da farmaci, colite da Clostridium difficile, tromboflebite
settica, sinusite, reazione a trasfusioni, embolia polmonare, colecistite;
 FUO neutropenica -> aspergillosi, candidemia, infezioni perianali;
 FUO associata ad HIV (80% infezioni) -> febbre da farmaci, TBC, MOTT, linfoma non-H, CMV,
toxoplasmosi, infezioni polmonari da P. carinii.

Nella tabella sono riportati alcuni dei farmaci che più frequentemente possono essere associati a una FUO,
quindi dare la cosiddetta febbre da farmaci. Bisogna tener presente che è possibile osservare qualsiasi
andamento febbrile, con o senza eosinofilia ed eruzione cutanea.
Solitamente la febbre da farmaci compare dopo 1-3 settimane di terapia e regredisce dopo 2-3 gg dalla
sospensione.

Antibiotici beta-lattamici Penicilline, Cefalosporine, Carbapenemi


Antineoplastici
FANS Salicilati, Ibuprofene
Iodio
Allopurinolo
Farmaci per il SCV Chinidina, Idralazina, Procainamide
Metil-dopa
Anti-convulsivanti Fenitoina, barbiturici
Eparina
Isoniazide, Rifampicina

APPROCCIO DIAGNOSTICO
Cercando di standardizzare il percorso diagnostico, si può suddividerlo in 3 fasi:
 1a FASE:
 Anamnesi: con particolare attenzione alla professione, ai viaggi all’estero, contatto con
animali, farmaci in uso, pregressi interventi chirurgici/odontoiatrici/traumi.
SINTOMI
La presentazione clinica è molto importante per un percorso diagnostico più mirato:
 febbre+brividi+sudorazione notturna+calo ponderale ma non di appetito → fanno
sospettare più un’infezione
 febbre+astenia marcata+calo ponderale e appetito+sudorazione notturna →
sospetto di FUO di natura neoplastica
 febbre+artralgia+mialgia+dolore addominale → origine infiammatoria/
reumatologica

 Esame obiettivo: soprattutto cute (esantema, ascesso), ferite se presenti; cavità paranasali
(percussione dolorosa); cuore (soffi patologici); linfonodi (palpabili); fegato e milza;
esplorazione rettale ed eventuale visita ginecologica; sedi di cateteri.
 Ripetute rilevazioni della temperatura (6 vv/ die): alla presenza di personale medico.
Diversi tipi di febbre (senza terapia):
 continua: oscillazioni giornaliere < a 1° C (infezioni batteriche e
virali gravi)
 remittente: oscillazioni giornaliere > a 1° C (sepsi, TBC miliare)
 intermittente: oscillazioni giornaliere > a 2° C con brividi e/o
reazione circolatoria tipica della sepsi-ipotensione (endocardite
batterica)
 periodica: intervali con assenza di febbre (malaria)
 ondulatoria: decorso ondulatorio con intervalli di più gg (brucellosi,
linfoma H)
 Diagnostica di base
- esami di laboratorio: emocromo+formula, VES, PCR, funzionalità epatica, LDH, creatinina,
proteine totali, esame chimico-fisico standard delle urine
- imaging: Rx torace, ECO addome
- esami colturali: urinocoltura, emocoltura (almeno 3), coprocoltura

 2a FASE:
o Diagnostica ampliata:
- ricerca sangue occulto nelle feci
- esami di laboratorio: funzionalità tiroidea, elettroforesi sierica, fattore reumatoide,
ferritina, auto-Ac gruppo ENA (ANA, anti-ds-DNA, anti-Sm, …), frazioni complemento C3-C4
- screening sierologico: EBV, CMV, HIV, HBV, HCV, toxoplasma, brucella, leptospirosi,…
- diagnostica TBC: PPD-test cutaneo, analisi espettorato
- imaging: ECOcardio trans-esofageo (endocardite, mixoma atriale), ECO pelvi, Rx seni
paranasali

 3a FASE:
 Diagnostica tecnica e invasiva ampliata:
- imaging: TC addome e torace (linfoma, ascesso), endoscopie app. gastro-intestinale,
scintigrafie (con tecnezio, gallio o leucociti marcati) polmonare o dello scheletro
(osteomielite, metastasi) o total body (ascessi)
- biopsie: fegato –laparoscopia (ascesso, epatite granulomatosa-funzionalità epatica anche
nella norma, TBC miliare); LNF –più predittivi quelli sovra-clavicolari o cervicali posteriori o
epitrocleari (linfoma, TBC); BOM (mieloma multiplo, pre-leucemia LMA, istoplasmosi
disseminata, altri disordini mieloproliferativi); arteria temporale (arterite)
- laparoscopia esplorativa: da alcuni anni soppiantata dalle moderne tecniche di imaging e
possibilità di biopsie mirate (fino a pochi anni fa considerata necessaria se altre
diagnostiche avevano fallito [3].

PROGNOSI
La FUO può risolversi spontaneamente o a seguito di terapia più o meno mirata, può anche diventare
ricorrente (spt. eziologia infiammatoria/reumatologica). Se la durata supera l’anno con o senza terapia, è
molto difficile un’eziologia infettiva, mentre se di origine neoplastica può persistere per anni.
Generalmente prognosi buona se durata > a 6 mesi (a prescindere dall’avvenuta diagnosi), benché la febbre
possa essere molto fastidiosa per il pz.

TERAPIA
Vanno privilegiate l’osservazione e l’esecuzione degli accertamenti sopra-elencati, evitando finchè possibile
terapie “d’urto” empiriche, che possono anche arrivare amascherare una FUO (spt. FANS e glucocorticoidi).
Dev’essere sospeso se possibile l’uso di cateteri, o questi devono essere sostituiti (previo tampone punta da
analizzare); inoltre è utile sospendere tutti i farmaci possibili (almeno per 72 ore), per evitare FUO da
farmaci.
Secondo le linee-guida [7] dell’IDSA (Infectious Diseases Society of America), che prevedono la terapia
antibiotica empirica per i tipi di FUO, questi casi dovrebbero essere trattati con:
 se mono-tp -> cefalosporina di terza o quarta generazione (Ceftazidime o Cefepime rispettivamente),
oppure Imipenem, oppure Piperacillina-Tazobactam
 se in poli-tp -> come sopra più Vancomicina (spt. per Stafilococco aureus meticillino-resistente)
Secondo le stesse linee-guida, tuttavia, la Vancomicina dovrebbe essere aggiunta solo in determinati casi:
-polmonite
-infezioni legate a presenza di cateteri
-infezioni tessuti molli o cute
-instabilità emodinamica

Se il medico lo ritenesse necessario, aggiungere tp empirica anti-fungina:


 itraconazolo

Nel pz neutropenico per tempo > a 7 gg, è necessario procedere ad una tp profilattica proprio per evitare
stati febbrili con Ciprofloxacina unitamente ad Itraconazolo.

ALGORITMO DIAGNOSTICO:

anamnesi approfondita+E.O.

riscontri + sì test diagnostici specifici


no
completamento 1a fase di test diagnostici

risultati + sì test diagnostici specifici


no

2a fase test diagnostici

risultati + sì test diagnostici specifici


no
tentativo di assegnazione caso FUO ad una delle 4 categorie eziologiche
con test 3a fase

infezione altro
neoplasia infiammazione/
m. reumatologica

Bibliografia:
[1] Harrison, vol.2, cap. 125, J. A. Gelfand; pagg. 946-952.
[2] B. A. Cunha (2007). FUO: focused diagnostic approach based on clinical clues from the history, physical
examination and laboratory tests. Infect Dis Clin N Am, 21: 1137-1187.
[3] J. E. Arch-Ferrer, D. Velazquez-Fernandez, J. Sierra-Madero et al. (2003). Laparoscopic approach to fever
of unknown origin. Surg Endos, 17: 494-497.
[4] D. C. Norman, M. B. Wong, T. T. Yoshikawa (2007). FUO in older persons. Infect Dis Clin N Am, 21: 937-
945.
[5] S. Tal, V. Guller, A. Gurevich (2007). FUO in older adults. Clin Geriatr Med, 23: 649-668.
[6] www.aafp.org/afp (American Academy of Family Phisicians). A.R. Roth, G. M. Basello. Approach to the
adult patient with FUO.
[7] www.idsociety.org (sito dell’IDSA, Infectious Diseases Society of America). Linee-guida per il trattamento
della FUO.

Marzo 2008

La febbricola

Definizione
Si tratta di una sindrome morbosa di più o meno lunga durata, poco nulla incidente sulle condizioni generali,
in genere di difficile diagnosi relativamente alle usuali tecniche cliniche e di laboratorio, il cui sintomo,
spesso unico, talvolta principale e dominante, accompagnato di solito da perturbazioni metaboliche di
scarsa entità, è costituito da un aumento della temperatura corporea oscillante tra i 37-38°C.

Questa definizione comprende le 5 proprietà che caratterizzano una vera febbricola, e cioè:

1. Limiti entro confini ben definiti (tra i 37-38°C) del movimento febbrile, prescindendo dalle
oscillazioni giornaliere della temperatura del corpo umano e dal livello termico individuale.
2. Durata del movimento febbricolare per un certo tempo (come limite minimo convenzionale 1
mese).
3. Caratteristica difficoltà diagnostica interpretativa relativamente agli usuali esami clinici e di
laboratorio.
4. Presenza di un complesso di alterazioni metaboliche quali si hanno nella vera febbre

 aumento del metabolismo basale con aumentata distruzione proteica, aumento dell'azoto urinario
ed eliminazione aumentata di ammoniaca, acido urico, aminoacidi;
 modificazioni del metabolismo glicido e lipidico, accentuata glicogenolisi epatica e muscolare e
maggiore mobilizzazione di acidi grassi dai depositi adiposi con conseguente chetonuria e nel caso
di febbri prolungate acidosi metabolica;
 riduzione della diuresi per la maggiore eliminazione di acqua sia per via respiratoria sia con il
sudore e quindi emissione di urina ad alto peso specifico;
 modificazioni chimiche e morfologiche del sangue, della riserva alcalina e delle secrezioni
ormoniche;
 disturbi circolatori (alterazione del tono vasale e tachicardia) e respiratori (polipnea per compenso
all'acidosi metabolica);

perturbamenti in genere meno intensi e conseguentemente meno appariscenti e solo


apparentemente mancanti.

5. Evoluzione in individui che, in genere, conservano uno stato generale soddisfacente e spesso
veramente buono così da dare l'impressione clinica che il movimento febbricolare poco o nulla
incida sulle loro condizioni generali.

Eziologia e classificazione

La seguente classificazione, che ha il pregio indiscutibile di una relativa semplicità, oltre a rappresentare
una realtà clinica e pratica, traccia già in partenza la linea da seguire per diagnosticare una sindrome
febbricolare.

1. Febbricole tossinfettive in senso lato: - di origine focale (da focus tubercolare


da focus digestivo
da focus oro-faringo-nasale
da focus respiratorio
da focus genitale
da focus urinario
da focus cardiaco)
- infezioni generali
- da intossicazioni (esogene o endogene)

2. febbricole neurovegetative :- neurovegetative pure


- neuro-endocrino-vegetative
 neurovegetative-vasomotorie

3. febbricole da malattie sistemiche

4. febbricole miste- neurovegetative

I quattro gruppi, febbricole tossinfettive in senso lato, neurovegetative, da malattie sistemiche e miste
infettivo-neurovegetativo comprendono tutte le sindromi febbricolari esistenti; all'infuori di esso non
esistono praticamente altre forme.
Le febbricole, una volta definite indeterminate o di natura indeterminabile o indiagnosticabili,
rappresentano un evento in realtà assai raro e che va restringendosi a poche isolati casi eccezionali la cui
esistenza è molto probabilmente legata a cause e difetti organici ancora imperfettamente conosciuti o
addirittura ignorati.

La frequenza si può calcolare intorno al 2-3 % dei malati, relativamente ai dati desunti dalla statistiche
ambulatoriali, dato che questi pazienti difficilmente ricorrono al ricovero ospedaliero.
Le febbricole tossinfettive e quelle da malattie sistemiche rappresentano nella casistica circa l'80% dei casi;
le forme neurovegetative circa il 20%; le forme miste infettivo-neurovegetative costituiscono un numero
molto esiguo e pertanto di entità trascurabile.

Per quanto riguarda il sesso, su cento febbricole di ogni tipo, le donne costituiscono in genere il 75-85% dei
casi, sia perché si osservano più minuziosamente degli uomini sia per una particolare reattività del loro
sistema linfatico e del loro sistema endocrino, sia per la maggiore morbilità in esse, della colecisti e
dell'apparato genito-urinario.
L'età più frequentemente colpita è quella tra i 20 e i 30 anni.
La durata della febbricola è varia: da pochi giorni, a qualche mese, a qualche anno ( anche fino a 10-12
anni).
I fattori esterni e ambientali sono costituiti, sia dalle influenze termiche- stagionali, sia da particolari
momenti emozionali agenti su condizioni di neurolabilità costituzionale.

Condizioni fisiologiche causa di rialzi termici transitori possono essere: la dentizione, l'alimentazione, la
crescita, la digestione, il lavoro muscolare, lo sviluppo puberale, la mestruazione (febbricola pre-mestruale,
mestruale vera, ovulare (coincidente con la deiscenza del follicolo dal 6° al 17° giorno) , intermestruale etc);
la gravidanza e la menopausa possono essere causa di febbricole.

Febbricole tossinfettive in senso lato:

 febbricole di origine focale:


 da focus tubercolare (TBC delle sierose, paranchimale, ghiandolare, miliare, etc.);
 da focus digestivo (gastriti, duodeniti; perivisceriti, ulcera gastro-duodenale, appendiciti croniche,
coliti, stipsi abituale, pregresse infezioni tifo-paratifoidee e da Coli, epatiti; epato-colangiti,
colecistiti croniche, ascessi epatici, pancreatiti, etc.);
 da focus oro-faringo-nasale (piorrea alveolare, ascessi, carie e granulomi dentari, paradentosi,
paradentiti, tonsilliti e faringiti croniche, riniti, sinusiti, etc.);
 da focus respiratorio (bronchiti croniche, bronchiectasie, aspergillosi, pneumoconiosi, ascessi
polmonari, lue e tumori polmonari, etc .);
 focus genitale (salpingiti, pelvi-peritoniti, annessiti, metriti, parametriti, etc.);
 focus urinario (pieliti, cistiti, colibacillosi urinaria, etc.);
 focus cardiaco (infezione reumatica, luetica, endocarditi lente, etc.).
 focus osseo (osteomieliti)

 febbricole da infezione (febbre tifoide, paratifoidi, maltese, infezioni varie da Coli, malaria,
influenza, ebv, lue).

 febbricola da intossicazioni esogene ed endogene (febbricola alimentare, da agenti fisici come il


colpo di calore e i traumi, da medicinali [morfina, atropina e cocaina], uremia, gotta, colemia
cronica, parassitosi intestinali).

Febbricole neurovegetative
In queste febbricole il movimento termico è spesso accompagnato da un corteo sintomatologico a carico
del sistema neurovegetativo ed endocrino abbastanza caratteristico.
Comprendono:
 febbricole neurovegetative pure, caratterizzate dal complesso dei disturbi della cosiddetta
distonia neurovegetativa. Questi disturbi, o turbe, o stigmate neurovegetative, possono esplicarsi
attraverso la più varia e polimorfa sintomatologia i cui caratteri fondamentali sono però costituiti
da alterazioni funzionali di vari organi senza lesioni anatomiche di essi clinicamente dimostrabili. La
cefalea capricciosa, spesso di tipo emicranico, l'astenia fisica e psichica, la svogliatezza, i capogiri, la
facile emotività, anche per cause minime, l'insonnia, i dolori più o meno vaghi come le più strane
localizzazioni variabili, i disturbi vasomotori, a carico principalmente delle estremità fredde, livide e
sudoranti, l'anoressia, il senso di peso dopo i pasti, le digestioni laboriose, la pirosi, le nausee, i
conati di vomito, le scariche diarroiche o accessionali, le varie dolenzie addominali, le eruttazioni, le
mosche volanti (miodesopsie), i ronzii agli orecchi (acufeni), la dispnea accessionale senza causa
apprezzabile, il deperimento, la cenestesi alterata, l'instabilità termica rappresentano le
manifestazioni più frequenti di questa particolare sindrome morbosa suscettibile di facile
riconoscimento attraverso una così ricca e polimorfa sintomatologia.
 f. neuro-endocrino-vegetative (soprattutto ipertiroidismo e raramente in altri disturbi endocrini
quali ipotiroidismo, insufficienza ovarica sia primitiva che secondaria [febbricola ovarica, f. tiro-
ovarica, f. ipofisi-tiro-ovarica], ipoparatiroidismo, ipersurrenalismo, iposurrenalismo,
iperpituitarismo [f. ipofisaria]).
 f. neuro vegetativo vasomotorie ( psicogene, isteriche).

Come curiosità storica..

f. neurovegetative periodiche stagionali: sia di tipo estivo che di tipo invernale, dovute ad una
deficienza o ad una mancata produzione da parte della tiroide, nel periodo stagionale relativo, dei
due ormoni termoregolatori e cioè, la termotirina A e B. Le tipiche ricorrenti variazioni stagionali di
queste febbricole, che non dipendono dalle variazioni stagionali della temperatura ambientale, si
verificano, nel maggior numero dei casi con f. presente e perdurante soltanto nel periodo ottobre-
novembre fino al marzo-aprile dell'anno successivo (di tipo invernale); in un minor numero dei casi
la f. è presente nel periodo marzo-aprile fino all'ottobre-novembre dello stesso anno (di tipo
estivo).

Febbricole da malattie sistemiche

 malattie del sangue (anemia di Biermer-Addison o perniciosa, leucemie e linfomi, malattie


emorragiche e emolitiche);
 trombosi venosa profonda ed embolia polmonare;
 malattie del sistema nervoso;
 neoplasie;
 malattie infiammatorie sistemiche (sarcoidosi)
 malattie autoimmuni (LES, artrite reumatoide);
 vasculiti (arterite a cellule giganti);
 etc;

Febbricole miste infettivo-neurovegetative


(meta infettive, residuali, post-febbrili).
Presentano le seguenti caratteristiche:
 i due fattori infettivo e neurovegetative sono contemporaneamente in atto e simultaneamente
operanti
 pregressa condizione di costituzionale neurolabilità individuale
 interruzione della f. con l'eliminazione del focolaio infettivo e la correzione della distonia neuro-
vegetativa.

Diagnosi di natura e diagnosi differenziale delle febbricole

Si fonda su
 accurata indagine anamnestica centrata sull'attuale sintomatologia e i pregressi stati morbosi,
specie TBC; su disfunzioni endocrine, sulle caratteristiche del movimento febbrile rispetto alle varie
attività fisiologiche, alle fasi mestruali, alle ore del giorno, alle stagioni, al clima, all'altitudine, alla
attività fisica e psichica;

 raccolta dei dati obiettivi accuratissima in tutti i casi, specie nei riguardi della febbricola la quale
dovrà essere esattamente misurata per via ascellare o bi ascellare o meglio rettale, ogni 2-3 h per
poter stabilire nel soggetto la curva termica quotidiana e la zona termica individuale (compresa tra i
valori massimi e minimi giornalieri della temperatura corporea)

 esami collaterali e di laboratorio che costituiscono un prezioso aiuto. In ogni portatore di febbricola
devono essere sempre eseguiti una routine con emocromo, glicemia, assetto lipidico, funzionalità
renale ed epatica, indici di colestasi e citolisi, un esame delle urine, la VES; inoltre valutando caso
per caso andrà effettuata la Mantoux o il QuantiFERON, l'esame ORL, l'esame ginecologico, le siero
agglutinazioni, l'emocoltura (più volte e possibilmente durante l'acme febbrile), il metabolismo
basale, e RX torace. Ancora potranno essere eseguiti una visita odontoiatrico, l'ecg, altre indagini
radiografiche, il tampone tonsillare, urino e coprocoltura, etc.
Se necessario si procederà ad eseguire ecografie, TC e RMN.

I risultati di questi rilievi accuratamente eseguiti e opportunamente integrati, concorreranno al


chiarimento del giudizio diagnostico.

Circa la febbricola TBC, evenienza clinica oggi non troppo frequente, possono esse utilizzati i seguenti dati:
 precedenti tubercolari ereditari o familiari;
- precedenti tubercolari ambientali e personali o chiaramente tubercolari o sospetti di tal natura;
 sintomi accessori accompagnanti la febbricola (anemia ipocromica, astenia intensa, anoressia,
sudorazioni profuse, dolori vaganti toraco-addominali, facile e frequente tachicardia, segni di
ipertiroidismo [basedowismo]) e dovuti alla tossiemia TBC;
 i sintomi soggettivi e obiettivi di scarso rilievo, il caratteristico andamento della f. di tipo francamente
pomeridiano, accentuantesi con lo sforzo fisico, nel periodo pre mestruale, con le emozioni;
 la positività delle prove tubercoliniche, l'aumento della VES, la benefica influenza del clima di altitudine;
 le indagini radiologiche.

La febbricola luetica raramente oltrepassa i 38°C, si accentua nelle ore pomeridiane, preceduta da leggeri
brividi di freddo o da sensazione di freddo alle estremità, con dolori ossei diffusi e cefalea spesso insistente.
Questi disturbi si accentuano nelle ore notturne e cessano con sudorazione discreta nelle prime ore del
mattino.

Quindi per concludere..

 La febbricola rappresenta, nella pratica clinica del Medico di Medicina Generale, uno dei problemi
più frequenti.
 Numerose e differenti possono essere le cause.
 L'età, la storia clinica individuale, gli eventuali fattori di rischio presenti, gli elementi obiettivi che
emergono in occasione di una accurata visita medica, orientano la diagnosi.
 Infezioni dell'orecchio-naso-gola o del tratto genito-urinario, rappresentano una causa
relativamente frequente.
 Vanno ovviamente valutate anche le ipotesi di un problema polmonare o internistico in senso lato
(malattie del connettivo, del sangue, della tiroide, del tratto digerente, infezioni cardiache, renali
ecc.).
 Raramente, una causa di febbre di ndd é la TBC.
 Infine, vi sono le neoplasie ma queste ultime rappresentano una causa importante soprattutto negli
anziani (rara nei giovani).
 Occorre iniziare da esami di routine: emocromo, VES, transaminasi, protidogramma, ecc., un RX
torace standard in 2 proiezioni, un tampone faringeo con antibiogramma, una urinocoltura con
Antibiogramma, e via via, ulteriori accertamenti.
 Occorre ricordare che molto spesso febbricole possono essere causate da fatti neurovegetativi
legate ad ansia, distress, depressione, con prognosi assolutamente favorevole.
Bibliografia:
 PONTIERI, “Fisiopatologia generale”, ed. Zanichelli (2°ed.1998).
 Enciclopedia medica italiana, ed. Sansioni edizioni scentifiche (1960).

Medicina interna 30 maro II ora


INSONNIA
QUADRO CLINICO TIPICO
• Donna di 45 anni che da circa 15 anni lamenta fatica a prendere sonno, associata a difficoltà a
mantenersi sveglia di giorno;
• Tale disturbo inizia dopo la nascita del secondo (e ultimo) figlio;
• Ogni sera la paziente impiega almeno due ore per prender sonno, aiutandosi con letture e con la
televisione;
• Se riesce ad addormentarsi prima (va a letto alle 11 di sera) solitamente si sveglia alle 2 del mattino
e non riesce a riaddormentarsi;
• Andare a letto più tardi non migliora la situazione;
• In ogni caso, ha un sonno molto superficiale, sogna ma non ricorda la trama dei sogni, la mattina è
già sveglia alle 5;
• La paziente non ha alcuna malattia né alcuna particolare preoccupazione.
Quindi,è un caso di insonnia vera.
INSONNIA: CERCHIAMO DI DEFINIRLA(questa è una serie di definizioni ,alcune anche bizzarre,che il prof ha
tratto da alcuni libri)
A) Ritardo di almeno 30 minuti dell’inizio del sonno (e quando inizia il sonno?);
B) Riduzione “dell’efficienza del sonno” di meno dell’85% (?);
C) Difficoltà nell’inizio, nel mantenimento, nella durata e nella qualità del sonno, che risulta (in certi
casi) in un certo impedimento della vita diurna, nonostante adeguate circostanze e opportunità per
dormire (con questa ci avviciniamo ad una definizione idonea,perché inserisce tutti i vari aspetti);
D) Nella pratica clinica è spesso sufficiente una definizione soggettiva dell’insonnia, ed una sua
valutazione, da parte del paziente.
QUALCHE DATO STATISTICO
• La prevalenza dell’insonnia è del 10-15% della popolazione (dai 6 ai 9 milioni in Italia) e si è
registrato un aumento negli ultimi anni;
• È più frequente nelle donne che negli uomini;
• È più frequente negli adulti e negli anziani che nei giovani;
• È più frequente nei malati psichiatrici;
• Pur essendo diffusa in tutto il mondo, sembra essere più frequente nei paesi occidentali ed ad
elevato sviluppo tecnologico(potrebbe questo dato esser dovuto al fatto che nei paesi occidentali ci
sono delle statistiche più adeguate).
PATOGENESI
• Eziologia e patogenesi dell’insonnia rimangono sconosciute;
• Studi recenti avrebbero documentato – non senza controversie – una situazione di “elevata attività
mentale” in molti pazienti con insonnia(cioè spesso sono pz che non riescono a ‘staccare’), infatti
– 1) studi mediante PET (che sfrutta proprio il glucosio marcato) mostrano un aumento del
consumo di glucosio da parte degli insonni, sia da svegli che da addormentati;
– 2) l’EEG ha talora documentato eccesso di attività “Beta” e diminuzione di attività “Theta” e
“Delta”;
– 3) il metabolismo basale può essere elevato (infatti,l’insonnia è frequente negli ipertiroidei,
ma i tireopatici non sono particolarmente frequenti fra gli insonni);
– È stata documentata una elevata secrezione di ACTH e cortisolo.
Queste sono solo delle ipotesi;per ora conviene tenere per buono il primo punto.

OCCORRE FARE SPECIALI ACCERTAMENTI?


• La gran maggior parte degli insonni viene trattata in base alla descrizione dei sintomi, e senza alcun
esame specifico preliminare;
• Può essere utile eseguire una batteria completa di esami del sangue, un ECG, un Rx torace ed una
ecografia addominale specie per escludere altre patologie;
• Nel sospetto di squilibrio psichici è bene inviare il paziente dallo psichiatra (ci penserà lui, in certi
casi, a farlo dormire a lungo!);
• In casi particolari – da valutare assieme al neurologo – può essere utile uno studio accurato del
sonno (EEG, “Polisonnografia”che è una specie di holter del sonno che si fa mentre il soggetto
dorme).
COME TENTA DI CURARSI L’INSONNE

Il Rassegnato: Prende medicine, su prescrizione medica


L’Originale: Fa cose più o meno stravaganti durante la notte, nella speranza di indurre il sonno
(mangiare, bere, fumare, telefonare),in quanto crede di poter risolvere da solo il problema

Lo Prende l’abitudine di sottoporsi a fatiche più estenuanti prima di andare a letto (jogging,
Stakanovista: palestra, nuoto)

Il Ribelle: Rifiuta ogni trattamento medico (timore di assuefarsi) e cerca di indurre il sonno con
metodi tradizionali (lettura)

Il Curioso: Tenta diverse vie “non ortodosse”, del tipo pozioni antiinsonnia, rimedi omeopatici,
agopuntura e altro
Ci sono 3 approcci all’insonnia,ma,in genere è il terzo ad essere più utilizzato,cioè quello farmacologico.
TERAPIA:
A) TERAPIE COGNITIVO-COMPORTAMENTALI

• Tali terapie sono indirizzate verso quei fattori non causali ma che contribuirebbero a mantenere lo
stato di insonnia:
– A) Controllo dello stimolo: assume che l’insonnia è dovuta ad una risposta errata verso
fattori come l’orario, l’ambiente della camera da letto, errate abitudini; implica processi di
apprendimento e riassociazione tra letto e sonno;
– B) “Sleep-restriction”: mira a far sì che l’insonne possa gradualmente abituarsi a vivere a
proprio agio con un numero di ore di sonno minori di quelle solitamente richieste;
– C) “Rilassamento”: assumono che l’insonne sia un “ipereccitato”; si tenta di rilassarlo in
vario modo (massaggi, musicoterapia, sedute di gruppo).
Sono dei metodi che si provano prima di ricorrere alle terapie farmacologiche.
B)IGIENE DEL SONNO
• Evitare rumori eccessivi (discontinui)nella stanza da letto;
• Uso moderato di tè e caffè, da evitare almeno 6-8 ore prima di andare a letto;
• Evitare l’eccesso di alcoolici (possono favorire l’addormentamento, ma spesso si associano –
nell’insonne cronico – a risveglio precoce);
• Evitare di andare a letto con lo stomaco eccessivamente pieno(anche perché se si assumono
farmaci questi avranno meno effetto).

Le benzodiazepine sono sicuramente i farmaci più usati e fra queste il Lorazepam ha il primato.Quelle a
durata breve hanno un effetto più immediato,ma che dura per minor tempo e,quindi,si possono
accompagnare a risvegli precoci.Possiamo usare anche il Diazepam(Valium),che però è più un ansiolitico
che un seativo ipnotico.
Negli ultimi anni sono stati usati anche gli agonisti dei R benzodiazepinici,che però hanno un effetto minore
rispetto alle benzodiazepine,anche se la differenza è minima.
In caso di resistenza a buone dosi di benzodiazepine si può ricorrere all’anti-depressivo,ma solo in questo
caso.
Una volta si usavano molto anche i barbiturici,oggi non si usano più,perché le benzodiazepine sono più
maneggevoli.
EFFETTI COLLATERALI DELLE BENZODIAZEPINE
• Tutte le Benzodiazepine e i loro agonisti recettoriali hanno effetti collaterali;
• Si tratta per lo più di effetti controllabili, che non impediscono l’uso prolungato (solitamente
decenni) di queste sostanze;
• Principali effetti collaterali sono:
– amnesie
– disorientamento
– sonnolenza diurna(che col passare del tempo diventa sempre meno importante)
– sensazione di amaro in bocca
– vertigini
• L’uso prolungato di Benzodiazepine dà sintomi di astinenza alla loro sospensione(quindi,attenzione
a sospenderli troppo bruscamente..conviene sospenderli gradualmente), fra questi:
– tremori
– mancata coordinazione muscolare
– astenia.

Prof. Girardis 25/03/2010


INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

Questa immagine vi piace?


E' una TAC di un torace. Siamo più o meno all'altezza dove è già avvenuta la biforcazione, vedete che siamo
sotto la carena perché vedete i due bronchi e che qui si sta staccando il principale di dx.
Questo triangolino che vedete qua è un CVC che “spara” e da un'immagine come se fosse una stella.

Cosa vi sembra?
“Una congestione polmonare” prima possibilità.
Concentrandoci solo sul parenchima: diversamente dalla fibrosi polmonare che normalmente interessa
tutto il parenchima, osserviamo che sono interessate solo le sezioni posteriori del lobo superiore di dx e del
lobo superiore di sx.
“Un edema” è un'altra possibilità, ma l'edema non ha la caratteristica di interessare solo le regioni declivi
(?); qui è proprio appoggiato dietro sulle vertebre.
Può interessare le regioni basse del polmone se il paziente è in piedi, ma le interessa uniformemente, dallo
sterno alle vertebre posteriori.
Qui invece vedete che anteriormente non c'è.

Questa è una tipica immagine di un ARDS ( Adult Respiratory Distress Syndrome) che si caratterizza per la
presenza di un edema interstiziale e/o alveolare, il che vuol dire che abbiamo acqua nell'interstizio
inizialmente, poi può arrivare anche negli alveoli, però non è su base idrostatica ma è su base lesionale.

Vuol dire che l'endotelio polmonare che invece di avere una normale permeabilità all'acqua e alle proteine
aumenta la sua permeabilità e questo aumento di permeabilità a parità di pressione idrostatica che c'è
dentro il circuito polmonare (sapete che i nostri circuiti sono come quelli del riscaldamento e quando vanno
in sovrappressione i riscaldamenti succedono due cose: a) l'acqua non circola; b) se l'acqua non circola i
termosifoni non scaldano e perde nel punto più debole che è proprio l'endotelio capillare polmonare).
L'edema polmonare cardiogeno è su base idrostatica: sale la pressione a livello del circolo polmonare e in
modo particolare nei capillari polmonari ed esce acqua a livello interstiziale e poi negli alveoli; il sistema va
“in sovrappressione” e il punto più debole che è l'endotelio polmonare “perde” [nel parallelismo creato dal
prof. Fra il nostro sistema cardiocircolatorio e i tubi di riscaldamento dei termosifoni], il sangue può
continuare a girare, il cuore non scoppia, ma l'acqua deve andare da qualche parte.
Per questo motivo qualsiasi azione voi facciate per ridurre la pressione interna del circuito è favorevole per
la risoluzione dell'edema polmonare.

La prima cosa che dobbiamo pensare di fronte ad un pz con edema polmonare è che dobbiamo ridurre la
pressione nel circuito, quindi facciamo?
“LASIX”
No! Perché il lasix ha un effetto veno dilatante che riduce immediatamente la pressione, però la prima
scelta generalmente ricade su un nitroderivato o la morfina e anche in questi casi si sfrutta l'effetto
dilatante a livello del circolo polmonare.
In un secondo momento il diuretico avrà anche la funzione di ridurre il volume circolante, ma
attenzione però a fare un diuretico per un edema polmonare su una crisi ipertensiva, perché si tratta di un
pz ipovolemico.

Sapete che un pz ipervolemico [dice proprio così...]... sapete già qst robe vero? Salto.
Io ho un concetto prima di tutto: Non esistono patologie esistono pazienti. I pazienti hanno più patologie,
mai una soprattutto perché curiamo anziani.

Le cause di edema polmonare sono numerose


Una causa che vi può succedere è la crisi ipertensiva.
La vasodilatazione ci sta, ma prima di ridurre violentemente il volume circolante, voi dovete porvi il
problema di cosa abbia scatenato la crisi ipertensiva: un cattivo controllo della sua ipertensione essenziale
in trattamento?
Può essere se vi dice che erano tre giorni che soffriva di mal di testa.
Quanto vi aspettate che possa avere uno che si fa un edema polmonare da crisi ipertensiva?
- “200 di massima”
- “non dipende da quanto ha di solito?” [si stizzisce per la nostra vaghezza]
200/70 può essere un problema, perché è la pressione diastolica che fa venire la cefalea!

Tant'è che noi parliamo di pressione media, in quanto la pressione diastolica nel computo di un'onda
sfigmica conta più della pressione sistolica.
La pressione sistolica durante un atto meccanico del cuore conta un terzo.
Ma è diverso avere 220/70 tra avere 160/110?
se il pz ha anche una P sist normale, ma la diastolica elevata è quello l'importante!

Perché per crisi ipertensiva, su pz precedentemente sani, si intende una P media superiore a 115mmHg
(120 secondo le linee guida americane).
Per fare 120 mmHg di P media, o avete una diastolica robusta o dovete avere una sistolica superiore ai 200
mmHg, perché la P media è uguale a :

P media= P diastolica + 1/3 * P differenziale


(qualcuno usa 2/3 come moltiplicatore)

Il concetto è che la P diastolica conta tanto, mentre la P sistolica conta poco.

Capite che uno con 70 di P diast, prima di arrivare a 120 di P media, deve avere 150 di P differenziale, cioè
220 di P sist.
Questo vale per i pazienti precedentemente sani, per i pazienti precedentemente ipertesi il livello
[immagino di P media] sale ancora prima di trattarlo.
Sapete cosa succede se trattate una crisi ipertensiva su pz iperteso che in realtà non è una crisi ipertensiva?
Il pz perde coscienza perché riducendo la pressione si riduce la perfusione cerebrale.

Quindi porsi la domanda: “devo trattarlo o no?”


Se mi arriva un pz con 150 mmHg di P media e che riferisce cefalea nei giorni precedenti, lo tratto senza
tanti indugi.
Se mi arriva un pz che ha solo pressione alta, ma non mal di testa, epistassi, edema polmonare, allora ci
ragiono un attimo, se ha un sintomo invece si.

Quando si parla di shock?


Se volete farmi un piacere personale la P sist non citatela mai più se non “sulla strada” dove non puoi stare
li a fare i ciappini.

Quello che porta il sangue nei nostri vasi è la P media, addirittura per le coronarie è la P diast, la P sist non
porta sangue e varia in funzione di diversi fattori: età, dove viene misurata (la P sist nell'arco aortico è
completamente differente che quella dell'arteria radiale, mentre la P media è uguale).
Per questo bisogna parlare pi P media.

Normalmente si parla di shock quando P media < 60mmHg ( 70mmHg per il pz anziano).

Quando trattate un pz anziano, considerate quelli che sono i valori pressori ai quali viaggia di solito, infatti ci
sono molti anziani che sono abituati a vivere con valori di 100 mmHg di P media e allora anche a 80 – 85
mmHg possono andare incontro a shock e diventano oligurici perché il rene è molto pressione dipendente.

Definire un valore soglia per lo shock è quindi per certi aspetti limitante, infatti la definizione di shock ha
una definizione che è indipendente dalla pressione.

Tornando all'ARDS e all'edema lesionale che lo determina precisiamo che è costituisce un esito di
moltissime patologie perché non riconosce un momento eziologico unico, ne ha molteplici:
2. inalazioni di fumi
3. infezioni
4. traumi
5. mancanza di surfattante nel neonato
6. pancreatite
7. ecc...

Molte sono le patologie che possono esitare in ARDS che è solamente un momento fisiopatologico.

Immaginate di essere i medici di PS...

Vi arriva questo paziente anziano in tp con claritromicina (sottodosata) prescritta dal medico di base, fa il
triage infermieristico che non è altro che la principale raccolta dei parametri vitali, ma ne manca uno...
Caso clinico
Paziente bianco, maschio, Arduino P. 75 anni (>65) residente in una casa protetta del
Comune, ma autosufficiente

Anamnesi remota
Vasculopatia cerebrale (ictus ischemici con deficit di forza residuo)
Ipertensione arteriosa

Anamnesi recente
 Febbre da 3 giorni con peggioramento dello stato mentale e ridotto apporto
idrico e nutrizionale.
 Antibioticoterapia iniziata dal medico di base con Klacid (250 mg x 2)

Ore 21:45 arrivo al PS accompagnato da 118

Quadro clinico Interventi tp


A m b u l a t o r i o m e d i c oT R I A G E
Disorientato, agitato, non collaborante, senza segni di lato
Febbre 38,5°
Tachipnea (34 atti/min)
Tachicardia (118 bpm) e ipertensione (150/70) VM con O2
SpO2 88% 8 L/min
SpO2 96% (in VM)

Quadro clinico Interventi tp


Paziente più collaborante e orientato
EO: rantoli a sinistra
Catetere venoso periferico
ECG (negativo)
Esami bioumorali: Hb 14,2 Hct 42 GB 15000 Plt 154000
Urea 50 Creatinina 1,2 GOT/GPT 43/57 CPK 180
EGA (con O2) PCO2 35 PO2 72 HCO3 21
Rx torace: addensamento basale sx
23:00 Ricovero in pneumologia O2 4 L/min
Confermata tp
con Klacid
(500 x 2)
(linee guida CAP_ref
7)

fig.1
Quali sono i parametri vitali, quelli che troviamo nella grafica giornaliera?
Dalla testa ai piedi troviamo:
6. Coscienza (che normalmente non viene registrata come parametro vitale ma all'arrivo in PS viene
valutata
7. Freq Respiratoria
8. Saturazione (storicamente non è considerata come parametro vitale ma recentemente sta
assumendo sempre più importanza per cui mi sta bene)
9. Freq Cardiaca
10. Pressione
11. Temperatura
12. Diuresi (è fondamentale chiedere al pz quando ha fatto pipi l'ultima volta, sperando che si ricordi)

Pz con febbre, ha rumori polmonari a sx, ha un catetere venoso periferico, fa un ECG, l'ematochimico ed ha
una leucocitosi. Per quanto riguarda i parametri emato-chimici, l’unico dato rilevabile è una leucocitosi
caratterizzata da 15.000 GB (fig.1).
Inoltre una cosa che dovete notare è che il disorientamento del pz si è risolto subito con l'ossigeno il che
vuol dire che quell'ipossiemia aveva già un segno clinico.
È molto importante che voi non solo ragioniate per “flag”, in quanto ogni laboratorio ha dei prorpi range di
normalità che si basano valori medi riscontrati nella popolazione. È chiaro che ogni paziente può essere
lontano dalla normalità.
Considerando la creatinina e non avendo dati precedenti, in un paziente di 75 anni 1.2mg/dL di creatinina ci
può stare tranquillamente.
L’emo-gas-analisi viene effettuata con l’ossigeno poiché il paziente si trova in una condizione di grave
ipossiemia (saturazione in aria ambiente pari a 88): se consideriamo che per effettuare un EGA non
influenzato dall’ossigeno somministrato è necessario sospenderlo per 20 minuti, in quanto abbiamo una
riserva funzionale di ossigeno, un paziente anziano come quello del caso potrebbe andare incontro ad una
grave peggioramento dell’ipossiemia e quindi non si deve rischiare.
La terapia adottata, dopo ricovero in pneumologia, consiste nella somministrazione di ossigeno a 4
litri/minuto e terapia antibiotica con Klacid (claritomicina) 500mg due volte/die.
Il sospetto quale era? Una polmonite e qua vedete il suo RX torace.
Se voi foste in guardia medica e foste chiamati per andare a valutare il paziente a domicilio quello che
dovete fare è essenzialmente il triage e la domanda che ci dobbiamo porre è se questo paziente ha o no
un’insufficienza respiratoria acuta e se necessita di ricovero ospedaliero.
Il criterio clinico che in questo caso ci permette di definire l’insufficienza respiratoria è la tachipnea (34 atti
respiratori/minuto) e la saturazione di 88 (se invece fosse stato un paziente affetto da BPCO questo valore
di saturazione è ancora accettabile), ma vediamo ora in dettaglio quali sono le condizioni e parametri che
consentono di identificare un’insufficienza respiratoria.
Dovete considerare che durante il servizio di guardia medica non avete a disposizione l’ossigeno (a meno
che il paziente non facesse ossigeno-terapia a domicilio), ma il saturi metro sì. In questo caso non ci sono
dei numeri magici, ma è la clinica che ci permette di identificare tale quadro e qualsiasi paziente si presenta
con queste condizioni:

1. Agitazione
2. Tachipnea
3. Tachicardia + Ipertensione
4. SpO2 < 90% in AA

Quindi è a rischio di insufficienza respiratorio il paziente che presenta questo quadro clinico, che in realtà
possiamo trovare anche in altre insufficienze d’organo e sono tutti segni di tentativo di compenso,
compreso l’agitazione che è tipica dei pazienti che cercano l’aria e molti vi diranno dammi da respirare .
quando avete a disposizione un saturi metro la scienza dice che una saturazione < 90% in aria ambiente
sono da considerare insufficienze respiratorie, è ovvio che mettendo l’ossigeno anche un paziente con una
saturazione di 94 può avere un’insufficienza respiratoria. Quindi l’insufficienza respiratoria in prima battuta,
in ambiente medico e non intensivo, ha una diagnosi clinica, dopodiché possiamo dare un’entità
all’insufficienza respiratoria, ma un anziano che si presenta con 88 di saturazione, non è confuso, non è
tachipnoico, non è tachicardico, si può pensare che abbia un’alterazione respiratoria di qualche natura, ma
non ha l’insufficienza respiratoria acuta.
Abbiamo detto i segni dell’insufficienza respiratoria acuta in compenso, poi ci sono i segni dell’insufficienza
respiratoria acuta scompensata: immaginate il paziente che invece che agitato si presenta soporoso, è
eupnoico o bradipnoico, è tachicardico e lievemente ipoteso o normoteso, satura 88, in questo caso il
paziente è ipercapnico. La CO2 dà proprio questi sintomi:
 Sopore
 Riduzione della frequenza cardiaca
 ipotensione

Il riflesso all’ipossia acuta è lo spegnimento delle funzioni vitale: il


soggetto perde coscienza, il battito cardiaco rallenta, quindi il
cuore si auto-protegge, risparmia le riserve energetiche (glicolisi
anaerobia, cretina) per poter continuare a contrarsi e
sopravvivere. Ritornando al paziente, se presenta i segni di
scompenso anche se gli somministrate ossigeno, la saturazione
aumenta, ma è la CO2 a provocare i danni. Un esempio sono i
bambini affetti da male asmatico che inizialmente sono molto
agitati, piangono ed urlano, poi improvvisamente si calmano,
diminuisce la frequenza respiratoria e quella cardiaca, a questo
punto si pensa che con l’ossigeno si è risolto il problema, ma in
realtà il bambino si sta intossicando di CO2 e dopo tre minuti è da
intubare.
È perciò sempre necessario fare l’EGA per valutare la Pa di CO2
perché rischiate di pensare di aver risolto il problema quando in
realtà il quadro sta peggiorando a causa della CO2.
Quando avete di fronte un paziente con insufficienza respiratoria,
le due condizioni che determinano segni clinici sul paziente sono
l’ipossiemia e l’ipercapnia, la prima che si può valutare con una saturi metro e che dà i segni di allerta di cui
abbiamo parlato prima, la seconda che si può valutare solo con l’analisi dei gas nel sangue. Inoltre questi
due parametri ci permettono di identificare due differenti tipi di insufficienza respiratoria che vanno trattati
in maniera diversa, uno che risponde all’ossigeno terapia, l’altro invece che non risponde all’ossigeno
terapia.

Fisiopatologia dell’insufficienza respiratoria.

Facendo per un attimo una digressione sulla fisiologia respiratoria, tra le funzioni polmonari, le DUE
FONDAMENTALI da considerare in un paziente nel contesto dell’urgenza-emergenza sono nell’ordine:
1) Trasporto di O2 dalla miscela dei gas inspirati al sangue dei capillari polmonari
2) Trasporto di CO2 dal sangue dei capillari polmonari all’atmosfera
Quindi l’insieme di processi che consentono il trasporto dei gas dall’aria ambiente al sangue si può
raggruppare in due momenti, il primo che fa arrivare aria (in particolare ossigeno) all’alveolo e quindi al
capillare alveolare e che dipende dalla ventilazione alveolare, il secondo che permette alla CO2 di essere
rimossa dai capillari polmonari ed essere eliminata attraverso gli alveoli.
Queste DUE FONDAMENTALI FUNZIONI vengono svolte attraverso un insieme di processi fisiologici che
possono essere, per comodità clinica (particolarmente in condizioni di emergenza) riassunti in 2 insiemi:
- VENTILAZIONE ALVEOLARE (Va)
- SCAMBI GASSOSI ALEVOLO-POLMONARI (DL, Va/Q)

L’insufficienza respiratoria si identifica sulla base del meccanismo fisiopatologico che l’ha provocata:
 Insufficienza respiratoria ipossiemica
 Insufficienza respiratoria ipercapnica
 Insufficienza respiratoria ipossiemica- ipercapnica
 Acuta o cronica

Nel nostro caso abbiamo un’insufficienza respiratoria ipossiemica (Sp oO2=88 e PaO2=72), ma non
ipercapnica in quanto la CO2 arteriosa è 35. a parte i numeri la diagnosi di insufficienza respiratoria è
innanzitutto clinica e solamente dopo la caratterizzo dal punto di vista numerico.
Per attribuire all’insufficienza respiratoria un carattere intensivo (i.e. gravità dell’insufficienza in atto) e per
poter seguire l’evoluzione indipendentemente dalla quantità di O2 somministrato, si utilizza la seguente
scala:

PaO2/FiO2 (mmHg) 300-400 lieve


PaO2/FiO2 (mmHg) 200-300 moderata
PaO2/FiO2 (mmHg) 100-200 severa
PaO2/FiO2 (mmHg) <100 molto severa

Per ottenere tale scala è necessario disporre di:


PaO2 emogasanalisi arteriosa
FiO2 (frazione inspirata di ossigeno) in RS: sistema venturi; FiO2 = 20+4*LO2.
in VM: analizzatori O2.

In condizioni normali il rapporto PaO2/FiO2 (mmHg) è > a 400, perché la PaO2 normalmente è intorno a 95
mmHg e la frazione inspirata di ossigeno è 21/100, se dividete 95 per 0.21, il risultato è maggiore di 400. Se
vi do l’ossigeno, la frazione inspiratoria di ossigeno ad esempio diventa 0.50 la Pa O2 diventa 200 mmHg.
Tutte le volte che questo rapporto va al di sotto di 400 identifichiamo una insufficienza respiratoria, al di
sotto di 150-200 si parla di insufficienza severa e molto severa e necessitano di assistenza meccanica che
può essere fatta con un tubo, con una maschera oppure una tracheotomia. In un reparto di medicina o di
pronto soccorso per derivare la FiO2 si utilizza il sistema Venturi, si tratta di una valvola attaccata alla
maschera dell’ossigeno che fornisce la quantità di ossigeno somministrato; nel nostro ospedale abbiamo
una valvola Venturi che permette di scegliere la quantità di ossigeno da erogare al paziente, fino al 50% di
ossigeno, oltre tali valvole non sono più efficaci. Se non abbiamo a disposizione il sistema Venturi, si utilizza
una formula per derivare la FiO2= 20+4*LO2, ad esempio se sto erogando al paziente 8L di O2, moltiplico 8
per 4 +20= 52, quindi circa il 50%.
È molto importante questa stratificazione perché l’insufficienza respiratoria severa se non siete anestesisti-
rianimatori dura poco, è un paziente che ha bisogno di una assistenza ventilatoria, tanto è che in alcuni
ospedali come a Monza, il paziente viene stratificato in base a questa classificazione e se si trova in
insufficienza respiratoria severa viene mandato in rianimazione, altrimenti viene monitorato in
pneumologia ogni 3 o 4 ore rispettivamente in caso di insufficienza respiratoria moderata o lieve.
La classe 2 è un paziente dove viene chiesto se và in pneumologia il monitoraggio orario. La classe 3 invece
và direttamente in terapia intensiva, mentre per la classe 1 il monitoraggio viene eseguito ogni 4 ore. In un
mondo ideale un paziente con insufficienza severa dovrebbe essere monitorizzato continuamente con un
saturimetro e quando si arriva ad una certa % di ossigeno bisogna attivarsi per fare dell’altro.
Come impostare l’ossigeno-terapia in un paziente che arriva con insufficienza respiratoria ipossiemica?
Quando non risultasse efficace come si procede?
Avete un paziente con insufficienza respiratoria acuta e mettete 8 l di ossigeno, passando da 88 di
saturazione a 96, con 72 di pO2 cosa fate? Riducete l’ossigeno, perché è inutile darlo se non serve, quindi
riducete la frazione di ossigeno, poi cosa fate? Si valuta se la saturazione tiene.
L’ossigeno è un farmaco ed è pochissimo tollerato dai pazienti perché è freddo e secco.
Il valore target per la saturazione è 90, mentre per la PaO2 è 60. Si considera 90 perché è il punto nel quale
la curva di dissociazione dell’emoglobina passa da una fase piatta o semi piatta a una fase pendente.
Qualsiasi peggioramento della funzione respiratoria che tolga un ulteriore gradiente alveolo-capillare di
ossigeno di pochi mmHg farà scendere velocemente la saturazione. Significa che spostarsi in una zona sopra
i 90 permette di essere nella zona di sicurezza, dove anche se aumentate di molto la pressione parziale di
ossigeno non aumentate di molto la saturazione, mentre se siete nella zona pendente qualsiasi piccola
perdita di funzionalità del mio polmone, che si misura in gradiente alveolo-arterioso per l’ossigeno,
determina una grande variazione di saturazione dell’emoglobina. L’ossigeno quindi và regolato per avere
delle saturazioni superiori a 90, ragionevolmente tra 90 e 95. Và usata la minima frazione di O2 possibile
per evitare gli effetti collaterali da O2.
Ricordare 90 di saturazione e 60 di PaO2, questo in condizioni stabili. Se siamo in alta quota, se siamo in
acidosi, se siamo a basse temperature si verifica lo shift della curva dell’emoglobina e la legge 90-60 non
vale più, in quanto la curva dell’Hb si sposta a destra o a sinistra.
Vi suggerisco il seguente algoritmo clinico per porre la corretta diagnosi di insufficienza respiratoria.

La prima domanda da porsi di fronte a un pz con insufficienza respiratoria acuta (segni clinici di IR:
tachipnea, dispnea, tachicardia, agitazione) è:
ha o non ha la PaCO2 aumentata? La CO2 permette di individuare un gruppo di malattie/condizioni che
hanno come momento comune l’ipoventilazione e un gruppo di malattie che hanno come momento
comune il peggioramento del gradiente alveolo-arterioso, che significa che l’ossigeno arriva all’alveolo, ma
questo non riesce ad arrivare in circolo.
Questo algoritmo vi consente di fare diagnosi differenziale e di impiegare il presidio più corretto.
Il nostro pz non aveva la PaCO2 aumentata, quindi ci spostiamo a destra e ci poniamo la seconda domanda:
abbiamo un aumento del gradiente alveolo-arterioso di O2? Il suo rapporto PaO2/FiO2 è o no inferiore a
400? Il gradiente alveolo-arterioso di O2 prevede il calcolo della pressione alveolare di O2, una
semplificazione è il rapporto PaO2/FiO2, quindi la domanda è: il rapporto PaO2/FiO2 è inferiore a 400? Nel
nostro pz era inferiore a 400.
Se la risposta fosse stata no, quindi rapporto PaO2/FiO2 normale, con livelli di PaCO2 normali l’unica
possibilità è che il pz si trovi in condizioni di bassa pressione inspiratoria di ossigeno, questo si verifica in
caso di alte altitudini o quando la frazione inspirata di O2 diminuisce (respirare miscele ipossiche). In questi
casi è un problema di concentrazione di O2 nell’aria che viene respirata.
Con rapporto PaO2/FiO2 inferiore a 400 (gradiente alveolo-arterioso aumentato) bisogna domandarsi se la
bassa P parziale di O2 sia correggibile con la somministrazione di O2.
Dando O2 aumenta la saturazione nel nostro pz? Si, quindi abbiamo un alterato rapporto
ventilazione/perfusione (Va/Q), quindi ci sono degli alveoli che ricevevano poco O2, pur essendo perfusi.
Dando O2 a quegli alveoli che erano poco ventilati il disequilibrio del rapporto Va/Q rimane, ma lo supero
somministrando O2.
Se ho un alveolo che invece di ricevere ad esempio 1 litro di aria al minuto ne riceve 0.5 litri, moltiplicando
0.5 l per 21 (FiO2) ottengo un certo flusso si O2. Se 0.5 l lo moltiplico per una % superiore di O2, ad es. 50,
aumenta il flusso di O2 agli alveoli.
L’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione rappresenta il 90% delle cause di insufficienza
respiratoria nei nostri pazienti; edema polmonare, embolia polmonare, polmonite, versamento pleurico,
asma, tutte queste danno alterazione del rapporto ventilazione/perfusione. Se in un alveolo cala la
ventilazione si modifica il rapporto Va/Q. Supponiamo che si sia dimezzata l’aria che giunge all’alveolo al
minuto, quindi la quantità di O2 al minuto si è dimezzata, per riottenere una normale quantità di O2 al
minuto con un alveolo che ventila la metà bisogna raddoppiare la concentrazione di O2. Il pz mantiene la
sua malattia, ma risponde all’ossigeno. Le cause sono:
 Asma
 Bronco pneumopatia cronica
 Patologie interstiziali
 Patologie alveolari (edema polmonare, RDS, alveoliti, polmoniti)
 Patologie vascolari polmonari

Se il pz non risponde all’O2 siamo in presenza di uno shunt, quindi c’è una zona del polmone che è perfusa,
ma che non è ventilata. In tal caso somministrando O2 non cambia nulla (6 L=40% di O2, 8 L=50% di O2, 10
L=70% di O2), il pz rimane sugli 88-89 di saturazione, non si modifica. Questo pz non ha un’alterazione del
rapporto Va/Q, ma ha uno shunt.
Le cause di shunt sono:
 Edema polmonare massivissimo (alveoli pieni d’acqua che non ricevono aria), perché altrimenti un
po’ d’aria ci entra sempre
 Atelectasie polmonari (zona del polmone che collassa, non passa più aria, mentre il sangue
continua ad arrivare), come in caso di pneumotorace o di versamento pleurico massivo, emotorace,
dove non c’è polmone
 Shunt intracardiaco, il pz rimane desaturato nonostante si somministri O2, fate un ECO-cardio che
mostra l’apertura del forame ovale

Per valutare se vi è un aumento della PaCO2 devo eseguire un emogas, ma già un pz ipossico e letargico,
con bradipnea dice che la PaCO2 è alta.
Guardate la saturazione dopo aver messo l’O2, oppure fate il rapporto PaO2/FiO2 e se il pz non ha un
gradiente alveolo-arterioso aumentato abbiamo una condizione di ipoventilazione da sola; questa sta
aumentando per via dell’aumento delle patologie neuro-muscolari.
Questi sono pz che non hanno alterazioni del rapporto ventilazione-perfusione o uno shunt, ma hanno
esclusivamente un’ipoventilazione. I pz che fanno oppiacei in ospedale (pz oncologici o chirurgici) hanno
una depressione del centro del respiro, che determina una ipoventilazione. Una volta sospesa la terapia con
oppiacei i pz non hanno nessun problema di funzione respiratoria. I tossicodipendenti che vanno in
overdose da eroina presentano occhi a capocchia di spillo, sono bradipnoici, PaCO2 aumentata, il pz è
letargico, mettete il saturimetro con un po’ di O2 e torna a saturare, ma continua a ipoventilare, fate un
emogasanalisi che mostra un’ipercapnia. Il tossico muore ipercapnico per arresto respiratorio.
Se siamo di fronte a una congestione polmonare più un pneumotorace tipico di un trauma avete insieme
questi 2 momenti, avete sia un’ipoventilazione, sia un peggioramento del rapporto ventilazione/perfusione
e in tal caso il gradiente alveolo-arterioso è aumenteto.
Un pz con embolia polmonare dal punto di vista respiratorio presenta un rapporto Va/Q elevato, quindi gli
alveoli sono ventilati, ma non perfusi (spazio morto).
Prendiamo in considerazione l’unità alveolo-capillare con una situazione di ventilazione e perfusione
normale, quindi poniamo che il rapporto Va/Q sia uguale a 1, questo in un condizioni ideali (1 L di aria al
minuto su 1 L di sangue al minuto). Quando si ha un calo della ventilazione, come ad esempio 0.5 L/1 L si
verifica un mismatch del rapporto ventilazione/perfusione.
Il gas che ne risente è l’O2, perché ha un coefficiente di diffusibilità diverso dalla CO2, mentre la CO2
diffonde rapidamente. Significa che con 0.5 L di aria al minuto tutta la CO2 passa dal capillare all’alveolo,
ma non tutto l’O2 passa dall’alveolo al capillare. Questo per capire che un rapporto Va/Q alterato provoca
grossi problemi all’ossigenazione.
Ora considerate di avere una ventilazione alveolare pari a 0, quindi con Va/Q=0, questa situazione si chiama
shunt. Se l’alveolo inizia a riempirsi di acqua come nell’edema si ha un basso rapporto Va/Q, fino ad
arrivare allo shunt quando l’alveolo è talmente pieno di acqua da impedire totalmente all’aria di penetrarvi.
L’alveolo continua ad essere perfuso, ma non è più ventilato, quindi la CO2 li non riesce ad uscire, ma il pz
con shunt non è ipercapnico, in quanto gli altri alveoli compensano aumentando la diffusione della CO2,
mentre l’O2 si riduce perché gli altri alveoli non riescono a compensare.
Se al contrario abbiamo conservata la ventilazione alveolare, ma non abbiamo flusso di sangue il rapporto
Va/Q diventa uguale a infinito, questo corrisponde allo spazio morto.
Abbiamo visto i 2 estremi del rapporto ventilazione-perfusione.
I nostri alveoli costituiscono una curva normale, dove gran parte degli alveoli ha un rapporto Va/Q=1, una
buona parte ha un rapporto uguale a 0 e una parte ha un rapporto uguale ad infinito (questo nel nostro
corpo normalmente).
Va/Q= ∞ spazio morto
Va/Q= 0 shunt
La maggior parte degli alveoli hanno un rapporto normale che è uguale a 0.8 +/- 1 Deviazione Standard. Al
di fuori di questo range di normalità si parla di mismatch del rapporto ventilazione-perfusione.

Tutte le malattie che danno insufficienza respiratoria danno spostamenti di questa curva.
Lo spazio morto concettualmente fa sprecare aria senza che sul pz si veda nulla: è quello che succede
nell’embolia polmonare in cui il pz ha un emogas sostanzialmente normale se non fosse per l’ipocapnia
perché iperventila…questo nella prima fase, perché nella fase avanzata l’embolia polmonare dà ipossia,
derivante da microinfarti polmonari, che riducono la respirazione del pz e portano il rapporto
ventilazione/perfusione verso lo Shunt; quello che interessa a noi è che il pz con embolia polmonare
normalmente non ha un problema respiratorio, ha un problema cardio-circolatorio e l’obiettivo del clinico è
di evitare che il pz sviluppi uno shock mediante terapia eparinica, mentre nel pz con shock l’obiettivo è
sciogliere il trombo, perché vuol dire che in quel momento la pressione che il cuore dx riesce a generare
perché l’embolo si è impiantato nel vaso non è tale da permettere al pz di avere una buona perfusione. Il
cuore di dx infatti ha una capacità di generare lavoro minore rispetto al sx e se si trova di fronte a resistenze
molto alte si sfianca e provoca uno shock terminale.

VENTILAZIONE MECCANICA
INSUFFICIENZA RESPIRATORIA CASO CLINICO

Q1. il paziente è in insuffic ienza respiratoria ?


Q2. che tipo e che gravità di insuffic ienza respiratoria ?
Q3. Qual è il meccanismo fisiologico alterato ?

Q4. Quale è il primo presidio nell’insuffic ienza respiratoria ?

Q5. Se il paziente presenta un insuffic ienza


respiratoria non responsiva all’O2 terapia,
qual’è il presidio terapeutico successivo ?

VENTILAZIONE A PRESSIONE POSITIVA


1. MANUALE (temporanea ..!!!)
2. MECCANICA
- Invasiva
- Non Invasiva

Se il pz è molto ipercapnico, non ha più capacità muscolare e l’O2 terapia non è più sufficiente, occorrerà
sostenere la respirazione con presidi diversi: a questo proposito, il muscolo che dura di più è il diaframma,
infatti un individuo prima di morire fa un gasping.
Dunque, il pz che va in arresto respiratorio, o più semplicemente ha una miastenia gravis tanto grave da
impedire la respirazione mediante l’attività muscolare, sarà aiutato a respirare, o manualmente o
mediante ventilazione meccanica. Il pz in overdose da eroina, mentre fa effetto l’antagosista naloxone,
verrà ventilato manualmente e nell’arco di circa 10-15 min sia il miastenico, sia il pz in overdose riprendono
la normale capacità respiratoria. Diverso è il discorso del pz con SLA , che solitamente arriva in ospedale
perché ha problematiche parenchimali (polmonite, influenza), la necessità di eliminare CO2 aumenta, ma i
suoi muscoli non sono in grado di eliminarla, quindi per qst pz non è prevedibile che nel giro di pochi minuti
o ore si possa risolvere il quadro.
Esistono due tipi di ventilazione meccanica, invasiva e non invasiva: l’invasiva è praticata attraverso un
tubo, che parte dalla bocca e si posiziona in trachea sopra la biforcazione, ed è assimilabile ad una
tracheotomia. Nella ventilazione non invasiva l’aria non va direttamente in trachea ma segue le vie
fisiologiche (bocca, faringe, laringe), somministrata mediante maschere o caschi.
VENTILAZIONE A PRESSIONE POSITIVA
1. MANUALE (temporanea ..!!!)
2. MECCANICA
- Invasiva
- Non Invasiva

Respiro Pressione
Spontaneo Positiva

VENTILAZIONE NON INVASIVA VENTILAZIONE INVASIVA


Indipendentemente dalla tipologia di presidio con cui esplichiamo la ventilazione meccanica, il concetto è
che si esercita una pressione positiva: normalmente, l’aria entra negli alveoli perché si crea una differenza
di pressione negativa; la ventilazione meccanica sfrutta invece una pressione positiva e i nostri alveoli non
raggiungono mai una pressione negativa poiché l’aria viene sparata dentro a P positiva. Questo fa capire
che è una ventilazione non fisiologica, ed è questa la ragione per cui la respirazione meccanica crea danni,
perché il nostro polmone non è abituato a lavorare a P positive: in casi estremi possono svilupparsi rotture
del polmone, pneumotorace o pneumomediastino. I polmoni d’acciaio, abbandonati per complessità
tecnologica, creavano una respirazione fisiologica, perché venivano applicati al torace del pz ed
estendevano la gabbia toracica, generando nell’alveolo una P negativa.

Ipotermia
L’ipotermia di definisce come l’abbassamento della temperatura corporea al di sotto dei 35°C. A questa
temperatura, il sistema della termoregolazione si indebolisce perché la risposta fisiologica compensatoria,
per ridurre la perdita di calore è parzialmente inibita. L’ipotermia si distingue in primaria o accidentale, a
seguito di permanenza in un ambiente freddo senza un’adeguata protezione e un’ipotermia secondaria.
I fattori coinvolti nella genesi dell’ipotermia sono:
 L’ambiente freddo
 Le modificazioni fisiologiche della termoregolazione legate all’età
 Farmaci
 Le malattie che riducono la produzione di calore,aumentano la sua dissipazione,compromettono la
termoregolazione,riducono l’attività motoria.

I farmaci che possono predisporre i pazienti all’ipotermia sono alcool, antidepressivi, barbiturici,
benzodiazepine, oppioidi, fenotiazine, reserpina.

FATTORI DI RISCHIO PER L’IPOTERMIA


La riduzione della produzione di calore si ha:
 Nella chetoacidosi diabetica
 Nell’ipoglicemia
 Nell’ipopituitarismo
 Nella malnutrizione o digiuno
 Nel mixedema
 Nell’ipotiroidismo(come nel nostro caso).

La compromissione della termoregolazione si ha:


nelle neuropatie (diabete,alcolismo)
nelle malattie primitive del SNC:traumi cranici,poliomielite,ictus,emorragie subaracnoidee,ematomi
subdurali,tumori,encefalopatia di Wernicke
nelle malattie sistemiche che interessano l’ipotalamo
nell’avvelenamento da monossido di carbonio,nell’uremia.

L’aumento della dispersione di calore si ha:


negli shunt artero-venosi
nelle dermatiti infiammatorie
nel Morbo di Paget
nella vasodilatazione indotta dall’alcool
nell’esposizione al freddo
nella riduzione del tessuto adiposo sottocutaneo,nella malnutrizione.

La riduzione dell’attività fisica si ha:


nel morbo di Parkinson
nell’artrite
nella demenza
nelle cadute
nella paralisi o ictus.

SEGNI E SINTOMI DELL’IPOTERMIA


L’ipotermia si definisce lieve se la temperatura corporea è compresa tra 34 e 36°C,moderata se compresa
tra 34 e 30,severa se inferiore a 30.

TC LIEVE TC 36-34 MODERATA 34-30 SEVERA <30


SNC Confusione mentale Letargia Declino attività EEG
Amnesia Allucinazioni Coma
Perdita riflesso pupillare Perdita riflesso
Anomalie EEG oculare
SIST CARDIOVASCOLARE Tachicardia Bradicardia progressiva Diminuzione PA
Riduzione attività cardiaca Fibrillazione
e della PA ventricolare
Aritmie atriali e ventricolari Asistolia
Onda J all’ECG
SIST Tachipnea Ipoventilazione Edema polmonare
RESPIRATORIO Broncorrea Riduzione consumo di O2 Apnea
Perdita riflesso tosse
RENE Aumento diuresi Oliguria IRA
MUSCOLO SCHELETRICO Aumento brivido Rigidità muscolare Pseudo-rigor mortis

SIST EMATOLOGICO Emoconcentrazione, Emoconcentrazione, Emoconcentrazione,


leucopiastrinopenia, leucopiastrinopenia, leucopiastrinopenia,
coagulopatia,CID coagulopatia,CID coagulopatia,CID
SIST GASTROENTERICO Pancreatite Pancreatite
Insufficienza epatica Insufficienza epatica
SIST METABOLICO Iperglicemia Diminuzione metabolismo Diminuzione
Aumento del basale metabolismo basale
metabolismo basale Ipo/iperglicemia Ipo/iperglicemia

LA SEPSI
E’ un processo infettivo (noto o solo fortemente sospetto) associato alla comparsa di almeno 2 segni clinici
della Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS):
Temperatura >38°C o <36°C (ipo o ipertermia)
Frequenza cardiaca > 90 bpm
Frequenza respiratoria > 20 atti/min
Globuli bianchi >12.000 o <4.000/mmc(leucocitosi o leucopenia).

Esistono 3 forme/gradi di sepsi:


-Sepsi non complicata
-Sepsi severa
-Shock settico
Una forma può progredire nell’altra e portare il paziente a morte nonostante la disponibilità delle migliori
cure possibili.
 La sepsi non complicata (es. gastroenterite o ascesso dentale) è una condizione abbastanza comune
e non necessita di ospedalizzazione.
 La sepsi severa è più grave e 750.000 persone ogni anno in nord America e in Europa ne vengono
colpiti e necessitano tutti di ospedalizzazione. La sepsi severa consiste nell’associazione di una sepsi
con danno d’organo sepsi-correlato a carico di cuore, rene, polmone, fegato o il sistema della
coagulazione oppure se ci sono segni di ipoperfusione tissutale: acidosi metabolica altrimenti
inspiegabile. A causa della disfunzione d’organo le persone colpite da sepsi severa sono più
gravemente malate e un 30-35% dei casi nonostante le cure vanno incontro a morte.

Per fare diagnosi di sepsi severa basta solo uno di questi parametri:
SNC: sopore,agitazione,coma
RESP: Pa O2<60 mmHg e/o PaO2/FiO2 <250 mmHg
CVS: PAM <70 mmHg (PAM= Pd+1/3 (Ps-Pd))
COAG: PLT <100.000/mmc
RENE: diuresi <0.5 ml/kg/h e/o creatinina > 2 mg/dl rispetto al valore basale
FEGATO: bilirubina tot > 4 mg/dl
METAB: lattato > 18 mg/dl.

 Lo shock settico si verifica quando la sepsi si complica con ipotensione arteriosa non responsiva alla
terapia reidratante (colloidi/cristalloidi). Il problema chiave sta nell’ipoossigenazione d’organo che
non consente il normale funzionamento dello stesso. I pazienti in shock settico necessitano di un
ricovero rapido in unità di terapia intensiva. Nonostante il trattamento intensivo lo shock settico ha
una mortalità del 50%.

Siamo tutti potenzialmente a rischio di sviluppare una sepsi da infezioni minori(influenza, infezioni del
tratto urinario, gastroenterite).
Le persone però maggiormente a rischio sono:
-molto giovani soprattutto i prematuri/anziani
-immunocompromessi (chemiotp,steroidi,farmaci immunosoppressori)
-con piaghe o ferite
-con abitudini di vita non corrette (abuso di alcool,droghe)
-portatori di cvc,drenaggi,cateteri vescicali
-sottoposti a interventi chirurgici
-predisposizione genetica a sviluppare infezioni.
Meccanismi fisiopatogenetici della sepsi
L’aggressione da parte di microrganismi determina l’attivazione di meccanismi pro e antinfiammatori che
sono tra loro strettamente controllati e regolati.
In alcuni pz l’omeostasi di questi due meccanismi è eccessivamente sbilanciata verso la risposta pro-
infiammatoria e il risultato è la SIRS.
Vi sono una miriade di alterazioni che si verificano nella sepsi/shock settico tra cui:
-Vasodilatazione periferica  dovuta al rilascio di citochine legate alla presenza del germe.
-Deplezione di volume intravascolare  per un aumento di permeabilità dei vasi
-Depressione miocardica  inteso come deficit di pompa
-Danno microcapillare  legato soprattutto all’attivazione del sistema della coagulazione.

 Tutto ciò si traduce con un’ipoperfusione del letto vascolare degli organi vitali e all’ipoperfusione si
associa un’ipossia tissutale quindi l’aumento dell’acido lattico e questo si complica con una disfunzione
mitocondriale nella realizzazione di quella che è l’ipossia citopatica.
L’ipossia è il fattore chiave che porta alla MOF e alla morte del pz.

Segni e sintomi della sepsi


º Febbre, spesso associata a brivido scuotente (ma bisogna stare attenti perché in alcuni pz molto
giovani o anziani può verificarsi ipotermia).
º Dispnea che può manifestarsi come tachipnea o respiro corto.
º Cute calda e arrossata
º Tachicardia
º Astenia

A seconda poi dell’organo colpito possiamo avere degli altri sintomi:


º Se viene colpito il polmone  dispnea, tosse, escreato purulento
º Se vengono interessate le vie urinarie (questo avviene spesso in pz diabetici o in portatori di cv) 
disuria, stranguria, urine maleodoranti
º Se viene colpito il SNC  cefalea, fotofobia, rigidità nucale.
º Addome  addominalgia.

MOF
La MOF è praticamente la testimonianza che la sepsi è una patologia sistemica: tutti gli organi vengono
colpiti e soprattutto in caso di sepsi severa e shock settico il pz va incontro alla Multiple Organ Failure.
Quali sono le principali fonti di sepsi?
Il Polmone è la principale fonte di sepsi severa (sopratto in pz con una polmonite health-acquired)
L’Addome, soprattutto il piccolo o il grosso intestino ma bisogna porre anche attenzione alle colecisti che
spesso sono piene di fango e calcoli.
Il Tratto Urinario, soprattutto nei diabetici e nei portatori di cv.
La Cute a causa della presenza di soluzioni di continuità legate alla presenza di piaghe da decubito, ferite,
cateteri venosi centrali e periferici.
L’Osso in caso di osteomielite o sinusite.
Il SNC in caso di meningite ed encefalite.

Cenni di terapia della sepsi


Importante il concetto delle Golden Hours: l’unica arma che abbiamo nei confronti della sepsi è la diagnosi
precoce.
Quindi diventa imperativo stratificare i pz a rischio di sepsi e identificare quelli con un rischio di mortalità
elevata fin dall’ingresso in reparto. La diagnosi di sepsi deve avvenire entro le prime 6 ore (golden hours)
dall’insorgenza dei sintomi della sepsi severa. Solo attivando le opportune misure terapeutiche entro le
prime 6 ore abbiamo la possibilità di ridurre la morbilità e la mortalità sepsi correlate.
Sempre nel 2001 sul NEJM compaiono le prime linee guida: early gold directed therapy.
È una terapia precoce diretta al raggiungimento di un obiettivo. L’obbiettivo è ovviamente quello di
modificare la sopravvivenza del pz settico aggredendolo, cercando di favorire il precarico e il postcarico e la
contrattilità cardiaca.
Infezione SIRS SEPSI
(certa o sospetta) Almeno 2:
-Temperatura: >38 o <36
-FC: >90
-FR >20
-Globuli Bianchi >12000 o
OBIETTIVI: < 4000.
PAM >65 mmHg
Diuresi >0,5
ml/Kg/h
PVC : 8-12 mmHg
Saturazione Venosa
mista> 65 % o da
Vena Cava
superiore > 70%.

SEPSI
DISFUNZIONE D’ORGANO:
almeno1: SEVERA
RESUSCITAZIONE PRECOCE: SNC  sopore, agitazione
A.OSSIGENAZIONE: S.RESP  PaO2 <60 mmHg, SpO2 < 90% in AA,
Obiettivo: SpO2 >90% o PaO2 P/F <250
>60mmHg Coagulazione:Plt < 80.000
B.VOLEMIA: RENE: diuresi < 100 ml in 6 ore, creatinina in
Se Diuresi < 0,5 ml/Kg/h o PAM < aumento
65 mmHg infondere colloidi 300 ml FEGATO: bilirubina in aumento
o cristalloidi 500 ml fino a PVC 8
mmHg.
C.TERAPIA ANTIBIOTICA
EMPIRICA
Entro 1 ora dalla comparsa dei
sintomi
D.METABOLISMO
Se Saturazione venosa mista SvO2 <
70% Valutare Hct e trasfondere EC
se Hct <30%. IPOTENSIONE
Valutare isotropi (Dobutamina) PAS < 90mmHg o riduzione dei valori
basali > 40 mmHg.
º Resistente al riempimento idrico
(500 ml/30 min fino a PVC= 8
mmHg)
º Pa sostenuta da infusione di:
Dopamina > 5 mcg/Kg/min o
Noradrenalina

RESUSCITAZIONE
AVANZATA
(TIPO)
Bisogna posizionare un CVC e SHOCK
si deve fare uso di farmaci SETTICO
vasoattivi.

SHOCK
Per shock si intende una riduzione marcata e diffusa della perfusione tessutale con lesioni cellulari
inizialmente reversibili , ed in seguito se le condizioni persistono , irreversibili.
La perfusione tessutale dipende da :
- pompa cardiaca
- volume dei fluidi
- letto vascolare
e qualsiasi evento che alteri una di queste variabili favorisce l’insorgenza di uno stato di shock.
I meccanismi patogenetici si possono sostanzialmente ridurre a :
- Volume circolatorio inadeguato (shock ipovolemico)
- Compromissione del tono vascolare (shock distributivo)
- Deficit critico della portata cardiaca (shock cardiogeno)
- Ostacolo al deflusso ventricolare (shock ostruttivo )

CLASSIFICAZIONE

SHOCK IPOVOLEMICO : emorragico


deplezione di liquidi

SHOCK CARDIOGENO : miogeno


meccanico
aritmico

SHOCK DISTRIBUTIVO : settico


Anafilattico
neurogeno
spinale

SHOCK OSTRUTTIVO : tamponamento cardiaco


tromboembolia polmonare
pneumotorace

La diagnosi di shock conclamato è per lo più facile, più complicato può essere individuare gli aspetti clinici
iniziali (riconoscimento e valutazione dello stadio dello shock) .
ADO med int (ventura),
giov 15/05/08 entrambe le ore (14-16),

LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA

Parleremo soprattutto del tromboembolismo venoso; quello arterioso è simile al venoso, anche se ha delle
caratteristiche un po’ particolari, ed è molto meno frequente del venoso.
Cominciamo con un caso clinico: paziente in ottime condizioni generali, giovane (circa 40 anni).
Ad un certo punto comincia ad avere dolore al polpaccio destro. È un dolore che inizialmente assomiglia ad
un crampo; associato ad una contrattura, viene inizialmente trattato con massaggi ed antinfiammatori ma
non passa, anzi, nel giro di una settimana aumenta. Aumenta a tal punto che la mattina, al risveglio, il
paziente fatica ad alzarsi e non riesce ad appoggiare il piede; con un po’ di riscaldamento poi il paziente
riesce a camminare. In una settimana insorge un grande dolore alla gamba, che affligge il paziente anche di
notte. Egli lo avverte come un problema “interno” alla gamba. Il paziente fa un’ECO doppler, alla ricerca di
una trombosi venosa. Esso conferma la diagnosi di trombosi venosa profonda del polpaccio destro.
Teniamo presente che il paziente è giovane! Cosa facciamo? Dobbiamo trovare la causa di tale trombosi e
fare terapia.
Dobbiamo indagare sull’esistenza di una trombofilia, cioè una condizione patologica che potrebbe
giustificare una tendenza a fare trombosi in età così giovane.
La trombofilia può essere congenita (quindi ereditaria) o acquisita.
La prima cosa che dobbiamo verificare è che non ci sia un tumore da qualche parte, quindi facciamo
un’ECO addome, i marcatori neoplastici ed un Rx torace.
Nel paziente in considerazione tutto questo risulta negativo. Tra l’altro il paziente non ha altri tipi di
sintomi, oltre al dolore. Gli esami del sangue sono completamente normali. Rimane il problema della
trombofilia ereditaria. Qui si apre il problema della valutazione della trombofilia ereditaria in una situazione
acuta! Si fa lo studio per la trombofilia ereditaria nel paziente e si trova un deficit della proteina C della
coagulazione (e non quella reattiva), che ha effetto anticoagulante.
Se trovi proteina C ridotta durante una trombosi, pensi che la trombosi sia dovuta alla proteina C o,
viceversa, pensi che quest’ultima si abbassi a causa della trombosi che l’ha consumata? Questa domanda
non ha una risposta. O hai valori molto bassi di proteina C (e allora forse si tratta di un vero deficit), oppure,
se i suoi valori sono intermedi, non abbiamo una risposta quindi dobbiamo rifare gli esami dopo aver fatto
la terapia (che nel mentre dobbiamo chiaramente fare). La trombosi venosa profonda va infatti trattata
perché rischia di estendersi e rischia di dare embolia polmonare.

L’emostasi è il bilancio tra la tendenza all’emorragia e la tendenza alla coagulazione. Nel meccanismo
dell’emostasi entrano diversi componenti: i vasi, le proteine della coagulazione e le piastrine. In condizioni
normali c’è una piccola tendenza all’emorragia ed una piccola tendenza alla formazione del coagulo ed i
due fenomeni sono in equilibrio; nessuno dei due prevale.
Esistono una via intrinseca ed una estrinseca della coagulazione; le due vie confluiscono poi su di una
comune, che alla fine, attraverso l’attivazione della trombina, provoca la trasformazione del fibrinogeno in
fibrina (e quindi abbiamo il coagulo). Il coagulo viene poi progressivamente distrutto attraverso la fibrinolisi,
attivata dalla stessa trombina. Tutti questi sistemi sono interrelati tra loro con meccanismi complessi a
feedback.

La via intrinseca viene valutata tramite l’aPTT, cioè il tempo di tromboplastina attivata, mentre la via
estrinseca tramite il PT, cioè il tempo di protrombina.
Il fatto che i due parametri che usiamo per valutare gli effetti della terapia anticoagulante siano diversi è
importante e dovremo tenerlo presente quando vedremo come si attua la terapia del tromboembolismo
venoso, sia in acuto che in situazione cronico.
Nella malattia tromboembolica qualcosa sposta l’equilibrio di cui abbiamo parlato a favore della trombosi,
quindi il sangue coagula di più.

La malattia tromboembolica si distingue in arteriosa e venosa e noi parliamo della venosa.


Vedremo quali sono i fattori di rischio della trombosi venosa, qual è la classificazione, l’epidemiologia, la
diagnosi, la terapia in acuto e la profilassi. Gli ultimi due punti sono molto importanti e servono molto nella
pratica clinica! Alla fine ci saranno due diapositive sulle novità relative alla terapia antitromboembolica, che
sta migliorando a gran passo. Probabilmente le novità esposte nelle ultime due diapo sostituiranno le
eparine a basso peso molecolare in futuro!

La trombofilia è una tendenza ereditaria o acquisita a spostare l’equilibrio di cui parlavamo verso la
trombosi. Avremo trombosi quando il potenziale trombotico supera un certo valore soglia. Teniamo
presente che sono importanti i fattori genetici, ma lo sono anche quelli ambientali: il 30-40% dei pazienti
ha un fattore di rischio acquisito, e come tale è un fattore evitabile!
Esistono situazioni in cui pazienti presentano trombosi venose profonde e non se ne trova la causa. È
calcolato che circa il 30-40% delle cause di trombosi venosa rimangono inspiegate. Probabilmente non
sono spiegate perché il meccanismo di coagulazione è talmente complesso che non è ancora del tutto
conosciuto. Ciò è anche avallato dal fatto che continuamente si scoprono nuovi fattori di rischio. Quindi
non vi dovete spaventare per il fatto che in alcuni pazienti, come è il caso del paziente che abbiamo
considerato oggi, pur con tutti gli accertamenti opportuni non si trova la causa.

Vediamo i fattori di rischio per la trombofilia venosa acquisita:


Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.

La chemioterapia rappresenta un fattore di rischio per la trombofilia perché, determinando citolisi, si ha


liberazione in circolo di enzimi che possono spostare il famoso equilibrio di cui parliamo.
Ci sono ipotesi eziopatogenetiche che sostengono che la rettocolite ulcerosa (RCU) sia paradossalmente
una malattia di tipo ischemico e che le lesioni di tipo ulceroso che la caratterizzano siano una conseguenza
di lesioni di tipo ischemico. In molte sezioni istologiche di RCU si trovano microtrombi a livello della parete
vascolare e sicuramente i soggetti con RCU presentano la patologia tromboembolica con elevata frequenza.
La sindrome nefrosica è un fattore di rischio per trombofilia acquisita perché si perdono i fattori di
coagulazione ed in particolare quelli anticoagulanti, come l’antitrombina terza (ATIII).

Abbiamo detto che esiste una forma ereditaria di trombosi venosa. Un aspetto caratteristico di essa è che i
fenomeni trombotici compaiono in età precoce. Quando si tratta di una condizione di omozigosi
chiaramente la situazione ha maggiore gravità: è più facile che le trombosi siano multiple, più gravi, e che
compaiano in giovane età.

Le cause più frequenti della patologia che stiamo trattando sono i deficit di ATIII, di proteina C ed S, e del
fattore quinto di Leiden. Poi abbiamo, tra le cause, la presenza della PT20210A, che è una mutazione della
protrombina che la rende più attiva; poi anche la mutazione del fattore VIII e l’iperomocisteinemia sono
cause di trombofilia.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Le ultime quattro condizioni segnalate nella slide hanno una incidenza non indifferente e notiamo anche
che il rischio relativo del FV Leiden è alto.

La trombofilia ereditaria vede tre possibili meccanismi: o c’è perdita di inibizione, o aumento di funzione,
oppure ci sono altri meccanismi (endotelio?).
Per quanto riguarda la perdita di inibizione, se manca l’ATIII, la proteina C, o la proteina S, o il fattore V di
Leiden è alterato, manca l’inibizione quindi il soggetto coagula troppo. Viceversa nell’aumento di funzione
abbiamo un fattore VIII o una protrombina troppo reattivi, oppure siamo nella condizione di
iperomocisteinemia.
L’iperomocisteinemia può essere dovuta a fattori ereditari (perché per produrre e per smaltire omocisteina
bisogna essere provvisti di certi enzimi). Il più frequente di questi fattori e la mutazione della MTHFR
(metiltetraidrofolatoreduttasi): il 25% della popolazione italiana è portatrice di un deficit eterozigote di
MTHFR, e quindi è potenzialmente a rischio di sviluppare iperomocisteinemia se contemporaneamente
va incontro a deficit di acido folico. Questa mutazione determina il fatto che viene utilizzato un po’
peggio l’acido folico; c’è quindi più bisogno di acido folico e se un soggetto con tale mutazione va in
carenza di acido folico è facile che si determini iperomocisteinemia, la quale può favorire trombosi.
Sia la carenza di folati che di vitamina B12 possono provocare iperomocisteinemia acquisita.
Oltre a quella di tipo congenito ed acquisito, può esserci anche un’iperomocisteinemia mista, quando è
presente sia una carenza di vitamine che un modesto deficit enzimatico.

Quando sospettiamo un trombofilia ereditaria? La sospettiamo se abbiamo pazienti giovani (meno di 45


aa), se compare una trombosi venosa non riconducibile ad un motivo preciso o in seguito ad uno stimolo
banale (per es. dopo un lieve sforzo fisico), se è ricorrente in assenza di neoplasie, se compare in sedi non
comuni (per es. agli arti superiori oppure a livello addominale), se è presente una storia familiare di TEV
(ricordiamo che il TEV può manifestarsi nella parentela in modo non tipico, cioè dobbiamo tenere presente
anche per es. il fatto che il paziente abbia una parente che ha presentato aborti ripetuti, che possono
essere determinati da fenomeni trombotici a livello della placenta).

I test funzionali per la determinazione di alterazioni trombofiliche non dovrebbero mai essere eseguiti
durante la fase acuta di un evento trombotico perché possono essere mascherati dalle modificazioni
dell’equilibrio (tra tendenze a coagulazione-emorragia) dovuti alla trombosi stessa. È chiaro che se ho un
trombo i fattori anticoagulanti saranno stressati al massimo e quindi consumati. Ovviamente tali test non
dovremmo farli nemmeno durante la terapia anticoagulante. Inoltre non dovrebbero essere fatti
nemmeno durante la gravidanza perché fisiologicamente ci possono essere delle alterazioni. Non
dovrebbero essere fatti anche in corso di epatopatie (l’insufficienza epatica è una delle cause più frequenti
di deficit coagulativi perché il fegato è la sede principale di sintesi dei fattori della coagulazione e dei fattori
anticoagulanti); non è quindi strano che un epatopatico abbia PT alterato ed abbia un deficit di proteina C
ed S.
Tutte le volte che vogliamo fare uno screening per trombofilia dobbiamo farlo a distanza di almeno 3
mesi dall’evento tromboembolico venoso acuto e dopo la sospensione da almeno un mese della terapia.

Come si classifica la malattia tromboembolica? Esistono 2 condizioni patologiche: la trombosi venosa


profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP).
L’1% della popolazione generale è colpita da questa malattia e la sua incidenza tende ad aumentare con
l’età. In America colpisce circa due milioni (su circa 400) di pazienti all’anno. Il 30% dei soggetti con TVP ha
delle recidive. Il 30% ha una sindrome postflebitica.
È una causa di morte importante negli anziani ed è stato calcolato che le complicanze della TVP (l’EP)
uccidono più dell’AIDS e del tumore della mammella insieme.

Diagnosi di TVP:
Dobbiamo in primo luogo distinguere tre tipi di TVP: quella agli arti inferiori, quella agli arti superiori e la
TVP in sedi non usuali.
Le tromboflebiti superficiali su vena safena (le varicoflebiti) sono complicanze infiammatorie del fenomeno
trombotico (e non sono propriamente TVP); a volte possono associarsi a presenza di TVP ed hanno
anch’esse un rischio, anche se inferiore, di evoluzione in complicanze tromboemboliche.

Come si manifesta la TVP?


Le manifestazioni tipiche sono quelle viste precedentemente, ma a volte è possibile la presenza di una
manifestazione atipica, come nel caso clinico considerato oggi, in cui il paziente, pur avendo una serie di
conoscenze di tipo sanitario, aveva pensato ad un problema muscolare.

Quando abbiamo TVP agli arti inferiori è importante stare attenti alla distinzione che c’è tra TVP di tipo
prossimale e quella di tipo distale, vale a dire se la TVP coinvolge le vene al di sopra della rima articolare del
polpaccio (cioè sostanzialmente le vene femorali) oppure se colpisce le vene distali, cioè quelle al di sotto
del polpaccio cioè quelle al di sotto della rima articolare (la vena poplitea, come nel caso del nostro
paziente). Questo perché il rischio di complicanze tromboemboliche è molto diverso. L’EP si ha molto più
frequentemente in seguito a TVP prossimali rispetto a quelle distali.
Supponiamo di sospettare che un paziente abbia una TVP. Quali sono le armi a nostra disposizione per fare
diagnosi? Il doppler!
Sicuramente poi la flebografia è la diagnosi di certezza; flebografia significa incannulare una vena
distalmente, inserire un mezzo di contrasto, seguirne il decorso fino all’ostruzione della vena.
Oppure abbiamo a disposizione la RMN, che può avere significato in caso di trombosi venose in sedi
inusuali, ad es. nel caso di una TV delle vene ovariche un’ECO doppler può non essere adeguato, a
differenza della RMN.
Il doppler è l’esame di riferimento nelle TV degli arti. In altri casi bisogna pensare di utilizzare le “armi
grosse”, quindi RMN o anche la angioTC.
La RMN serve soprattutto per valutare l’estensione nel caso di una TV ileo-cavale, cioè nei casi in cui una
TVP degli arti possa interessare non solo gli arti ma anche il sistema cavale. Può essere utile anche per una
valutazione del mediastino, teniamo infatti presente che è possibile perfino una TV della cava superiore.

Le tromboflebiti superficiali possono essere pericolose soprattutto quando colpiscono una vena
superficiale, come la safena, per la possibilità che il processo infiammatorio sbilanci il famoso equilibrio di
cui abbiamo parlato generando una trombosi venosa che si può poi propagare in sede profonda e quindi
complicarsi con una TVP.

La tromboflebite superficiale dà TVP nel 6% dei casi, quindi non va sottovalutata!

La varicoflebite è la flebite che complica una insufficienza venosa cronica; essa è generalmente meno
pericolosa.

EMBOLIA POLMONARE (EB)


È l’altra faccia della malattia tromboembolica. È la complicanza, generalmente, di una TVP (ma profonda in
senso generale e non dobbiamo pensare solo a quelle degli arti). È sicuramente una diagnosi non facile.
Quali sono i sintomi dell’EP?
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Nell’ambito della dispnea e tachipnea consideriamo anche la polipnea, che ci dà l’idea di un quadro di
respiro superficiale.
Se sono presenti sincope ed ipotensione bisogna fare particolarmente attenzione perché potrebbe trattarsi
di segni di embolia polmonare massiva: sono coinvolti tanti vasi quindi è condizionato il ritorno venoso al
cuore, e di conseguenza il cuore sinistro si trova improvvisamente in deficit di volemia e cala
improvvisamente la pressione con conseguente sincope.

Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.


L’EP può essere scambiata facilmente con una BPCO perché può avere sintomi sovrapponibili, in particolare
certe volte ci può essere un quadro simil-asmatico, perché se delle regioni polmonari non sono perfuse si
ha vasocostrizione per mantenere il rapporto ventilazione/perfusione. Se non perfondo cerco di non
ventilare perché se ventilo ciò che non è perfuso peggioro il quadro di ossigenazione ematica. Per questo
possiamo avere nella sintomatologia sibili simil-asmatici, oppure rumori umidi come i rantoli perché se c’è
un piccolo infarto polmonare è chiaro che ci sarà un po’ di liquido che può passare dall’interstizio al
polmone.

Tutte le volte che abbiamo un paziente, ricoverato per dispnea, in cui sospettiamo un’EP, sarebbe buona
norma visitare il paziente osservando anche le gambe! Andiamo a vedere se ha segni o sintomi di TVP.

Diagnosi differenziale dell’EP:


Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
(La dissecazione aortica solitamente si presenta con un dolore intensissimo al torace, posteriormente, e
tale sintomatologia può essere mimata da una EP)

Arriva in PS un paziente di 75 aa con dispnea e tachipnea, esiti di ictus cerebri, che si muove poco ed ha una
gamba un po’ più gonfia dell’altra ma non sono presenti segni precisi di TVP; ha magari una neoplasia nota.
Dobbiamo pensare alla possibilità di una EP.
Quali armi abbiamo per diagnosticare EP?
ECG: se ho EP improvvisamente la pressione nel circolo polmonare sale ed in cuore destro tende a dilatarsi
quindi con l’ECG andiamo a cercare i segni di sovraccarico ventricolare destro; essi non sono molto
frequenti.
Facciamo anche un Rx torace, che si deve fare sempre, anche per fare diagnosi differenziale con altri tipi di
patologie.
EGA, infatti immaginiamo sia facile che ci sia un deficit di ossigenazione del sangue.
Dai banchi vengono poi suggeriti i markers cardiaci e il prof reagisce chiedendoci: supponiamo che il
paziente abbia 0,20 di troponina; possiamo escludere che abbia EP? No! La troponina è un marker di
sofferenza miocardia. Se il paziente ha EP il cuore ne risente: si dilata nei settori di destra e poi non è molto
ossigenato; è quindi verosimile che soffra, tanto più se era già sofferente precedentemente all’EP, quindi si
tratterà si una sofferenza legata all’EP e non necessariamente di un infarto miocardico. I marker cardiaci
possono quindi avere senso ma non sono i primi da fare se ho il sospetto di EP.
D-dimero: è un prodotto di degradazione della fibrina. Ha un valore predittivo negativo alto di EP, cioè è
molto probabile che se il D-dimero è normale, cioè se il test è negativo, la malattia non ci sia, quindi ci serve
per escludere quest’ultima. Se il D-dimero è positivo non facciamo diagnosi di EP perché potrebbe trattarsi
anche di un’altra patologia, però lo teniamo presente perché ci aiuta.

Relativamente all’EGA: l’ipossiemia nell’EP può essere assente perchè posso avere un buon compenso
funzionale. Affinché ci sia l’ipossiemia è necessario che l’EP sia veramente importante o che ci sia una
patologia preesistente.

L’alcalosi respiratoria può essere presente nell’EP perché il paziente iperventila.


L’ECOcardiogramma è molto importante per la diagnosi differenziale ma spesso non riusciamo a farlo in
urgenza perché bisogna passare attraverso l’autorizzazione della cardiologia. Sostanzialmente l’ECOcardio
consente, se l’embolo è localizzato molto prossimamente, di vederlo direttamente in corso di ECOcardio
però deve essere grosso. Con tale esame possiamo cercare i segni indiretti di cuore polmonare acuto, cioè
della dilatazione e della difficoltà pompare del ventricolo destro.
Un altro segno cardiaco che può essere presente nell’EP è l’insufficienza tricuspidalica secondaria: se il
ventricolo destro si dilata, si dilata il setto della tricuspide quindi si ha insufficienza tricuspidale.

È possibile valutare anche il fattore natriuretico atriale, ma tralasciamo.

Mentre arriviamo a diagnosticare un’EP dobbiamo pensare anche a quale può essere stata la sua origine:
atrio destro, perché la fibrillazione atriale può dare EP (motivo in più per fare ECG; in genere si sa già se il
soggetto è fibrillante o no perché spesso si hanno fibrillanti cronici).
La fibrillazione di per sé rallenta il flusso del sangue, che tende a ristagnare e si ha trombosi parietale;
appena riattivi la funzione contrattile normale i trombi si staccano; infatti i cardiologi iniziano la terapia
anticoagulante prima di convertire una fibrillazione atriale.

Sicuramente andiamo a cercare la trombosi negli arti inferiori ma questa può essere anche in altre sedi
(anche a livello della cava inferiore o superiore) quindi bisogna anche considerare la possibilità di fare una
(angio)TC total body.

Score di wells: è un famosissimo punteggio che consente, dando dei punti ad ognuno dei sintomi e dei
segni che abbiamo visto, o anche a dati di tipo anamnestico, di arrivare ad un punteggio finale che ci aiuta
nel definire la probabilità del soggetto in questione di avere EP. Se tale score è maggiore di 6 la probabilità
di avere EP è alta; se è tra 6 e 2 è moderata; se è inferiore a 2 è bassa.

Esami strumentali:
- Rx torace: nel 15% dei casi di EP è negativo. I segni di Westermark, Palla ed Hampton sono riportati nei
testi migliori di semeiotica radiologica ma il prof non ne ha mai visto uno (slide 57).
(Westermark → pezzo di polmone completamente nero poiché l’EP impedisce la vascolarizzazione di tale
settore; Hampton → l’EP dà una zona triangolare non perfusa per chiusura della relativa arteria polmonare)
- TC spirale (slide 58): è sicuramente importante; vedere esempio su slide: trombo segnalato da freccia. È
molto utile per localizzare i trombi nelle arterie di grosse dimensioni (lobari e segmentarie) e meno utile per
valutare ischemie distali. Il problema è che è costosa, bisogna usare il mezzo di contrasto e deve essere
anche disponibile il radiologo che te la fa velocemente.
- Scintigrafia polmonare (slide 59-63): usa un radionuclide. Si può fare in 2 modi: può essere solo
perfusionale oppure si può aumentare la specificità valutando anche l’aspetto della ventilazione. Si può
vedere in questo modo se il problema è dovuto veramente ad un deficit di perfusione o ad un primitivo
deficit di ventilazione che provoca poi un deficit di perfusione.
La scintigrafia e la TC sono sostanzialmente simili come importanza nella diagnostica; hanno sensibilità e
specificità sovrapponibili, anche se la scintigrafia può essere un po’ più utile nelle arterie distali.
- L’angioTC (slide 64) costa di più della scintigrafia ma il problema è che non in tutti gli ospedali hai a
disposizione entrambe le tecnologie. È più facile che sia presente la TC piuttosto che il centro radioisotopi.
Al policlinico facciamo di più la scintigrafia. Di notte però, per es., si può fare solo la TC. L’angiografia è il
gold standard. È chiaro che non c’è nulla di meglio che iniettare un mezzo di contrasto dentro al vaso per
vedere se è chiuso. L’angiografia polmonare è qualcosa di simile alla venografia, però chiaramente ha dei
problemi non da poco: bisognerebbe fare un cateterismo cardiaco quindi ha un’invasività.

Terapia del TVP:


nelle condizioni di TVP, fibrillazione atriale non recente (NRAF), valvola meccanica ed embolia arteriosa
c’è un rischio di sviluppare un tromboembolismo.
Come fare la terapia?
Tra i farmaci a disposizione il più antiquato ma quello ancora più utilizzato è l’eparina standard, quella non
frazionata; poi viene l’eparina a basso peso molecolare. Le soluzioni scritte in piccolo nella slide numero 69
(attivatore del plasminogeno e trombolisi diretta via catetere) sono quelle che usiamo di meno. Gli
anticoagulanti orali (in particolare il Warfarin) è invece utilizzatissimo. Poi ci sono i farmaci più nuovi che
tratteremo dopo.

Parliamo dell’eparina standard, cioè la classica eparina che si fa in vena, che trova ancora indicazione in
rare occasioni, ossia quando abbiamo un’embolia polmonare massiva e quando abbiamo una TVP o un’EP
in pazienti con IRC, in cui quindi l’uso di eparina a basso peso molecolare non può essere sfruttato a causa
dell’insicurezza dell’attività farmacologia di tali farmaci.
Le eparine a basso peso molecolare hanno utilizzo sia nella terapia sia nella profilassi del TVP e dell’EP. Gli
anticoagulanti orali vengono in seconda battuta.

Meccanismo di azione dei vari farmaci:


l’eparina standard agisce portando ad una modificazione conformazionale dell’antitrombina che quindi
funziona di più e va ad agire su determinati fattori ed in particolar modo blocca la formazione della
trombina e del fattore decimo attivato.
L’eparine a basso peso molecolare agiscono anch’esse andandosi a legare all’antitrombina ed hanno
un’azione prevalente sul fattore decimo attivato (e non sulla trombina); gli anticoagulanti orali invece
bloccano la formazione da parte del fegato dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti (II,VII,X,X).
L’eparina è un composto che una volta veniva ricavato dall’intestino di maiale e dal polmone bovino; la sua
attività prevalente si esplica attraverso l’antitrombina (ATIII).
La molecola di eparina ha una porzione cosiddetta pentasaccaridica (slide numero 73) che si lega all’ATIII ed
è grazie a questa porzione che svolge la sua attività; poi ha una coda, che generalmente è maggiora di 13
saccaridi, che può determinare un’inibizione diretta (cioè non tramite l’ATIII) della trombina (fattore II),
soprattutto a concentrazioni elevate. Tramite l’antitrombina si ha anche inibizione del fattore Xa.

Come si monitora l’eparina? Utilizziamo l’aPTT, che è l’esame che esplora la via intrinseca (slide 74). Nel
paziente che ha TVP, 80 aa e 2 di creatinina, quindi un fitrato glomerulare di 25-30, non posso mettere su il
clexane (ossia l’eparina a basso peso molecolare); mi tocca metter su l’eparina normale. Vado poi a valutare
l’aPTT e il rapporto aPTT paziente/cotrollo deve rimanere tra 1,5 e 2,5. Quando metto su l’eparina devo
fare un controllo dell’aPTT dopo sei ore e finchè non raggiungo almeno due valori stabili di aPTT tra 1,5 e
2,5 devo ripetere il controllo ogni sei ore; dopo due valori stabili lo faccio poi ogni 12 ore.

L’altro problema importante dell’eparina è che può portare alla piastrinopenia: una precoce, che è
generalmente benigna e reversibile, ed una secondaria (può insorgere 7-8 gg dopo) che può associarsi
paradossalmente a delle manifestazioni trombotiche. Nel paziente ricoverato nei primi giorni di terapia
valuteremo quindi, oltre all’aPTT, anche l’emocromo. E guardiamo bene le piastrine, oltre all’Hb.
Guardiamo che le piastrine non calino sotto le centomila o che non calino più del 30% del valore iniziale.

Le eparine a basso peso molecolare sono più corte dell’eparina standard (slide 77). Hanno la molecola del
pentasaccaride quindi possono unirsi all’ATIII ed attivarla, quindi attivare il Xa, però, avendo meno di 13
saccaridi nella catena “coda”, non hanno un’inibizione diretta sulla trombina; è proprio per questo che,
generalmente, quando utilizziamo un’eparina a basso peso molecolare non si hanno delle modificazioni
dell’aPTT (si potrebbero avere modificazioni solo qualora vi fosse accumulo del farmaco).

Vantaggi EBPM: slide 78. sono utili! L’infermiera non deve fare ogni 6 ore il prelievo, il medico di guardia
non deve svegliarsi alle 3 di notte a controllare l’aPTT, si fanno 2 volte/die sottocute (non in vena) e
possono essere fatte a domicilio e dal paziente stesso; hanno un minore rischio di piastrinopenia ed un
minor rischio emorragico rispetto alle eparine standard.

L’unico problema è che hanno un effetto anticoagulante che però non è monitorabile e quindi per questo
motivo non possiamo usarle nel paziente con IR. Spesso quando lo usiamo nei pazienti anziani con una
creatinina un po’ alterata ritroviamo poi una complicanza emorragica o un allungamento anomalo
dell’aPTT, che non dovrebbero avere.

Quando usiamo le EBPM (slide 79)?


Nella prevenzione di tutti i casi, visti prima, che possono portare ad una TV, e nel trattamento.
Sono state introdotte anche in altre condizioni come l’IMA non Q, l’angioplastica coronarica e la
fibrillazione atriale (come ponte all’anticoagulante orale).

Trascuriamo le differenze tra le eparine non frazionate (ENF) e le EBPM (slide 80).

Slide 82: il prof consiglia di tenere a portata di mano la tabella con tutte le eparine presenti in commercio,
con nomi commerciali e dosaggi in terapia o in profilassi. In ospedale nel 95% dei casi utilizziamo il clexane
e nel 5% il fragmin.

Una volta curato un paziente con la TVP, per non mandarlo a casa con la pompa per l’infusione o con le
punture di eparina da fare in pancia con la possibilità che si formino ematomi, gli diamo il Warfarin
(Coumadin), utilizzatissimo. Esso blocca la produzione a livello epatico dei fattori vitamina K-dipendenti.
L’attività della singola compressa da 5 mg di coumadin è molto diversa da persona a persona, perché
chiaramente modificano la disponibilità di esso vari fattori (IR, infiammazioni, assunzione di altri farmaci..).
Il monitoraggio degli anticoagulanti orali è un attento gioco di equilibrismo e fortunatamente a Modena c’è
un ambulatorio dedicato (di Marietta).
Per il Coumadin non monitoriamo l’aPTT ma il PT, espresso come INR (slide 86).
L’INR nella maggior parte dei casi (ossia nella TVP, nell’EP,..) deve essere mantenuto tra 2 e 3 (slide 98); in
altre condizioni invece deve essere mantenuto a valori più alti.

Perché dobbiamo fare la profilassi nell’anziano ricoverato per polmonite? Perché tale tipo di paziente ha,
nell’ambito della medicina interna, una stima di incidenza di TEV del 15%!
Il 75% dei pazienti che vanno incontro a decesso per embolia polmonare sono pazienti che non sono stati
sottoposti ad intervento chirurgico di chirurgia maggiore (per il quale si è molto più attenti, tant’è che in
chirurgia ed in ortopedia hanno come provvedimento fisso di fare a tutti il clexane! A medicina interna
invece dipende, però cmq la situazione migliora).

Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.


Per la profilassi usiamo in tutti i pazienti, a meno che non ci siano problemi di allergie al farmaco, le
eparine a basso peso molecolare, indipendentemente dal peso e dal grado di IR, perché si è visto ad es.
che il clexane a dosaggio di 4000 unità una fiala sottocute al giorno va bene per l’anziano di 40 chili fino ad
arrivare all’obeso di 120 chili, sia che abbiano 1, sia che abbiano 2,5 di creatinina; non c’è un aumentato
rischio emorragico.
Nel caso in cui ci sia controindicazione all’uso di eparina, per allergie o perché il paziente sta sanguinando,
si usano mezzi fisici come le calze antitrombo (ad entrambe le gambe).

Terapia TVP:
in presenza di un sospetto clinico elevato, cioè nel paziente per il quale sospettiamo la presenza di una TVP
o di una EP, la terapia dovrebbe essere iniziata anche prima della conferma strumentale.
E possiamo usare:
- l’eparina standard
- l’eparina a basso peso
- gli anticoagulanti orali

Il clexane si usa in terapia al dosaggio di 100 unità pro chilo 2 volte/die; ossia all’anziana di 40 chili farò 40
per 100 unità 2vv/die, al soggetto di 60 chili farò 6000 unità/die ed a quello di 100 kg ne farò 10000 (tempo
fa c’era il problema che la dose oltre le 10000 unità non era commercializzata quindi bisognava fare più
punture contemporaneamente).

E il coumadin?
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Paziente classico con TVP: nel primo giorno faccio eparina a dosi terapeutiche (clexane 6000, 2 vv/die) più
una compressa da 5 mg di coumadin, di solito alle ore 16 poiché si è lontani da cena e pranzo (alcuni cibi
interagiscono con l’assorbimento del warfarin). Nel secondo giorno: idem (gli faccio un controllo dell’INR
per vedere che il paziente non si particolarmente sensibile e quindi che non abbia un aumento dell’INR).
Terzo giorno: idem, poi faccio un controllo dell’INR per gli altri 3 gg.
Quindi nei primi 3 giorni do una compressa di coumadin più o meno a tutti; dal quarto giorno in avanti
invece ci vuole un po’ di esperienza o bisogna telefonare a Marietta. Cioè faccio 3 compresse; al quarto
giorno il paziente ha un INR di 1,8: ci sarà il medico coraggioso che deciderà autonomamente di fare mezza
compressa e quello più indeciso che si consulterà con Marietta.
La biodisponibilità dei farmaci è molto variabile da persona a persona.
Il target dell’INR deve essere tra 2 e 3 per la TVP e per L’EP.

Per quanto tempo devo fare il coumadin al paziente che ho ricoverato ed in cui ho trovato le TVP?
Dipende:
- Se il paziente è in una condizione di TVP in seguito ad un intervento chirurgico maggiore dopo il quale è
stato allettato ed immobilizzato e non gli è stata fatta adeguatamente la profilassi (criminosamente), sarà
sufficiente fare terapia per un periodo minore perché siamo sicuri di quale sia causa che ha portato alla
TVP.
- Quando la causa è meno certa devo continuare per più tempo la terapia. In alcune condizioni, per es. in
presenza di omozigosi del fattore V di Leiden o della mutazione della protrombina, i pazienti assumono a
vita il coumadin.

Ritorniamo al caso clinico iniziale perché è un esempio del fatto che, al di là delle regole generali viste oggi,
ci sono casi particolari in cui l’esperto (Marietta) prende decisioni su misura.
Secondo lo schema generale il paziente avrebbe dovuto iniziare la terapia con l’eparina a basso peso
molecolare sottocute a dosaggio terapeutico (pesa 78 kg quindi facciamo 0,8 per 2vv/die) ed avrebbe
dovuto iniziare subito in seconda giornata (o in prima) con la terapia col coumadin: una compressa per 3
die poi valutazione dell’INR; quando questo fosse stato nel range (supponiamo 2,2-2,3) lui avrebbe dovuto
continuare per altri due gg eparine a basso peso molecolare, sospendere le punture e continuare con la
terapia anticoagulante. Quest’ultima per quanto tempo? Dobbiamo tenere presente che essa può dare dei
problemi in un paziente di questo tipo. Quali? Non abbiamo una risposta, tant’è vero che lui sta facendo
l’eparina a basso peso molecolare ancora, senza fare terapia anticoagulante orale; la farà per 3 mesi, poi
sospenderà, rifarà la valutazione della trombofilia ed in quel momento si deciderà se sospendere l’EBPM
completamente oppure no.
Il nostro paziente ha 40 aa; dobbiamo fargli terapia anticoagulante orale per tutta la vita, col rischio che per
una semplice botta gli venga un ematoma? Si tratta di casi per i quali è difficile prendere una decisione.

E se (mentre gli sto facendo la terapia):


Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
le piastrine le devo guardare per controllare la piastrinopenia in corso di eparina.
Se l’emorragia è importante devo sospendere la terapia.

Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.


Vi è maggior rischio di piastrinopenia durante l’uso di eparina standard (ENF) rispetto all’EPBM, soprattutto
tra il quinto ed il decimo giorno dall’inizio della terapia, per la formazione di Ac anti-piastrine indotti da
eparina.
Quali farmaci abbiamo a disposizione nell’emergenza? Nel caso io stia dando eparina standard, e solo in
questo caso, posso usare il solfato di portamina, che è un farmaco che neutralizza l’attività dell’eparina; 1
mg neutralizza 100 unità di eparina. Dobbiamo quindi calcolare quanta eparina abbiamo infuso al paziente;
sarà sufficiente neutralizzarne la metà per avere già un effetto protettivo nei confronti di un eventuale
nuovo sanguinamento.

Se il paziente sanguina mentre è in terapia col warfarin? non posso usare il solfato di protamina.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Gli diamo il Konakion, che è vitamina K; è il fitomenadione.
In caso di un sovradosaggio, come molto spesso capita nell’anziano che ha BPCO e quindi ha accumulato un
po’ warfarin, diamo il konakion in gocce (sono sufficienti 2 gocce per valori di INR maggior di 5 o 6 senza
un’emorragia importante in atto). Se invece c’è una complicanza emorragica possiamo usare il konakion in
fiale, stando attenti a darlo lentamente perché può scatenare reazioni simil-anafilattiche ed ipotensione,
oppure usiamo fattori della coagulazione pronti che abbiamo nel plasma fresco congelato.

Terapia EP:
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Possiamo usare nell’EP non emodinamicamente instabile normalmente ed in maniera indifferente l’eparina
non frazionata o di basso peso molecolare; nei pazienti in cui c’è un’EP massiva bisogna che i cardiologi
usino la streptochinasi o i farmaci tromboembolitici.

Come si usa l’eparina standard?


Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Fare il bolo di 80 unità pro kg poi metto su 250 o 500 cc di fisiologica e la faccio andare giù alla velocità
iniziale di 18 unità pro kg/ora. Poi controllo l’aPTT a 6 ore e guardo che sia tra 1,5 e 2,5;
se è più alto dovrò ridurre la velocità d’infusione e se è più basso devo invece aumentare.

Slide 106: schema illustrante tutte le modificazioni posologiche e di velocità che si devono attuare in caso di
alterazioni dell’aPTT. Se poi ho due valori di aPTT nel range di normalità potrò fare tale valutazione ogni 12
ore.
L’effetto anticoagulante dell’eparina standard cessa dopo 60 minuti.

Le EBPM: hanno un’efficacia equivalente a quella dell’eparina standard (ENF), non richiede monitoraggio né
aggiustamenti di posologia; somministrazione sottocute, possono essere somministrate dal paziente stesso,
danno un minor rischio di trombocitopenia, costano meno (anche perché non bisogna fare tutti i vari
controlli dell’aPTT), non possono essere usate nell’IR per elevato rischio emorragico ed imprevedibilità di
azione (perché non esiste un cut-off della clearance della creatinina rispetto il quale poter stare tranquilli).

La trombolisi per l’EP (slide 108) viene utilizzata solamente nei pazienti con shock cardiogeno, che in
medicina interna sono pochi.

Ultime 3 slide riguardano due gruppi di nuovi anticoagulanti.


♪ Uno è il fondaparinux, che è un ulteriore derivato dell’eparina (molto piccolo: 1700 Dalton)che inibisce in
maniera diretta il fattore decimo attivato, ed anche parzialmente in maniera indiretta mediante l’ATIII.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Il fondaparinux non ha confermato tutte le speranze che erano riposte in esso.

♪ I farmaci più nuovi sono gli inibitori diretti della trombina (come il Dabigatran), che agiscono
direttamente bloccando la trombina. Sono dei derivati delle irudine. Agiscono probabilmente su quello che
è l’elemento centrale di tutto il sistema della coagulazione.
Avrebbero tutta una serie di vantaggi: risposta anticoagulante prevedibile, non si legano alle proteine
plasmatiche (quindi non subiscono alterazioni che possono invece subire per es. gli anticoagulanti orali
classici, che possono essere scalzati da altri farmaci e quindi esplicare un effetto eccessivo), bloccano in
parte anche l’aggregazione piastrinica, non provocano trombocitopenia e non devono essere monitorati.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.

Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.

Se un paziente è già in terapia anticoagulante orale (ed è in range: per es. ha 2,7-2,8 di INR) ma, nonostante
ciò, presenta ugualmente una TVP o un’EP, cosa faccio? Si potrebbe sospendere l’anticoagulante provando
a rimettere su l’eparina; poi potremmo valutare la sede della trombosi e nel caso sia grave prendere in
considerazione un intervento drastico, a seconda della condizione del paziente (per es. se c’è una TVP
esiste la possibilità di usare l’”ombrellino” che previene l’EP).
Malattie gastrointestinali

 Dolore addominale
I1 dolore addominale rappresenta una manifestazione frequente di patologia intra-addominale.
I1 dolore addominale può essere classificato come acuto o cronico. Il dolore acuto si verifica
improvvisamente e suggerisce la presenza di alterazioni fisiologiche importanti. A1 contrario, il dolore
cronico può essere presente per diversi mesi; sebbene non richieda un'attenzione urgente, il dolore cronico
può necessitare di una successiva valutazione a lungo termine.

FISIOLOGIA
I1 dolore addominale è determinato dalla stimolazione di specifici recettori termici, meccanici o chimici.
Quando tali recettori vengono stimolati, gli impulsi dolorifici viaggiano lungo le fibre simpatiche. Il dolore
addominale può essere di natura somatica o viscerale. 11 dolore somatico (netto e distintamente
localizzabile) trae origine dalla parete addominale e dal peritoneo parietale, mentre il dolore viscerale (di
estrema variabilità quanto a sensazione soggettiva e a localizzazione) trae origine dagli organi interni e dal
peritoneo viscerale.
Il dolore viscerale risulta dallo stiramento delle pareti degli organi cavi, o della capsula degli organi solidi,
cosi come dall'infiammazione e dall'ischemia.

CAUSE DI DOLORE ADDOMINALE


Il dolore addominale può essere dovuto a numerose patologie intra-addominali ed extra-addominali.

CARATTERISTICHE CLINICHE
Anamnesi
La diagnosi differenziale del dolore addominale, tra do1ore acuto e cronico, richiede la raccolta di
un'anamnesi accurata riguardo a caratteristiche, localizzazione e decorso temporale, ed eventuale presenza
di sintomi di
accompagnamento.
La localizzazione del dolore è spesso indicativa dell'organo responsabile del problema. E’ possibile anche
che il dolore correlato ad una data patologia venga inizialmente percepito in una sede e che in seguito
venga invece percepito in un’ altra; questo schema di progressione pub essere suggestivo di alcune
sindromi specifiche.
In diagnosi può essere utile conoscere la modalità con cui il dolore si attenua. Il clinico deve anche cercare
di stabilire se il dolore è stabile, intermittente o se esacerba durante la notte. Riguardo al dolore notturno,
va fatta una distinzione tra il dolore che determina il risveglio del paziente e il dolore che viene avvertito se
il paziente si sveglia per altre ragioni.
La tabella riporta le caratteristiche, la localizzazione e l ' irradiazione del dolore in alcune patologie
addominali
acute e croniche più frequenti.

Condizione Tipo Localizzazione Irradiazione


Dolore addominale
acuto Crampiforme, stabile Periombelicale, RLQ Dorso
Appendicite Intermittente, stabile Epigastrica, RVQ Scapola destra
Colecistite Stabile Epigastrica, Dorso
Pancreatite Improvviso, intenso periombelicale Intero addome
Perforazione Crampiforme Epigastrica Dorso
Ostruzione Intenso, diffuso Periombelicale Intero addome
Infarto Periombelicale
Dolore addominale
cronico
Esofagite Urente Retrosternale Braccio sinistro, dorso
Ulcera peptica Corrosivo Epigastrica Dorso
Dispepsia Senso di gonfiore Epigastrica Nessuna
IBS Crampiforme LLQ, RLQ Nessuna

IBS: Sindrome del colon irritabile; LLQ: quadrante inferiore sx; RLQ: quadrante inferiore dx; RVQ: quadrante
superiore dx

ESAME OBlETTIVO
Un paziente che si contorce nel letto e che non riesce a trovare una posizione che gli dia sollievo potrebbe
soffrire di un problema ostruttivo. Al contrario, un paziente che giace con gli arti inferiori flessi e che evita
ogni movimento potrebbe avere una peritonite. La distensione dell'addome indica ostruzione o ascite.
Movimenti peristaltici visibili all'ispezione della parete addominale orientano verso una diagnosi di
ostruzione del piccolo intestino, anche se il segno è presente solo nelle fasi precoci. La presenza di aree
focali di distensione addominale può suggerire l'esistenza di ernie; va inoltre posta attenzione ad ogni
eventuale ferita chirurgica. L'auscultazione va effetuata in diverse sedi al fine di valutare il timbro e le
caratteristiche dei rumori intestinali, e al contempo ricercare eventuali soffi vascolari e borgorigmi.
Un’assenza di rumori intestinali suggerisce la presenza di un ileo paralitico, mentre la presenza
iperperistalsi può indicare ostruzione. La presenza di soffi multipli deve allertare il clinico circa la possibilità
di un'importante patologia vascolare e di un fenomeno ischemico.
Un’ esplorazione rettale è infine utile per ricercare un eventuale tumore responsabile di un'ostruzione del
colon o una dolorabilità della porzione superiore del retto in caso di ascite acuta. Nelle donne, al fine di
escludere una malattia infiammatoria pelvica, va effettuato un esame della pelvi.

Addome acuto
E’ causato da una improvvisa infiammazione, perforazione, ostruzione o necrosi di diversi organi
addominali. Tuttavia,va ricordato che alcune affezioni ex addominali, quali polmonite, infarto del
miocardio, nefrolitiasi e alcuni disturbi metabolici, possono indurre dolore addominale acuto.
In caso di addome acuto l'indagine anamnestica è molto importante, in particolare riguardo a eventuali
pregressi
interventi chirurgici: infatti, un paziente con un improvviso dolore crampiforme ed una distensione
addominale può avere un’ostruzione intestinale dovuta ad aderenze o ad una ernia incarcerata. inoltre
importante effettuare un esame obiettivo completo, ricercando la presenza di ittero, lesioni cutanee o
segni di epatopatia cronica.
Emocromo completo con formula leucocitaria, esame delle urine, dosaggio dell'amilasi sierica, della
lipasi, della bilirubina e degli elettroliti sono esami di laboratorio che vanno praticati di routine.
Una leucocitosi può indicare una malattia infiammatoria intestinale, mentre una marcata leucocitosi è un
reperto abbastanza tipico di ischemia intestinale. Una iperamilasemia generalmente suggerisce una
pancreatite acuta, sebbene un aumento dell’amilasi possa verificarsi anche per un’ulcera perforata o una
trombosi mesenterica.
L'esame Radiologico è un elemento essenziale nella valutazione del
paziente con addome acuto: rivela la presenza di gas nell'intestino; un radiogramma eseguito in posizione
eretta, tale da includere il diaframma , o effettuato in decubito laterale sinistro può aiutare a rilevare la
presenza di aria intraddominale. L'ultrasonografia può essere utile nella diagnosi di colecistite acuta o di
appendicite. La TC è da considerare un esame di grande utilità, e può consentire la diagnosi precoce di
patologie addominali talvolta non sospettate.

Dolore addominale cronico


Il clinico deve differenziare il dolore organico, causato da uno specifico processo patologico, da quello
funzionale. La localizzazione e le caratteristiche del dolore sono importanti ai fini diagnostici, al pari degli
eventuali altri sintomi di accompagnamento. La presenza di nausea post-prandiale e vomito suggerisce una
diagnosi di ulcera peptica, di alterazione dello svuotamento gastrico o di lesioni ostruttive. La
documentazione di una perdita di peso impone la ricerca di una causa organica, come
la malattia infiammatoria intestinale o il morbo celiaco. Se la perdita di peso è accompagnata da
anoressia, è necessario escludere una patologia neoplastica, soprattutto negli anziani. Se non è possibile
diagnosticare una neoplasia e tutte le indagini diagnostiche risultano nella norma, va presa in
considerazione la diagnosi di depressione cronica.
Le cause più frequenti di dolore addominale cronico sono di tipo funzionale. La dispepsia è caratterizzata
da
Dolore epigastrico cronico di tipo intermittente, talvolta associato a nausea o senso di gonfiore.
La sindrome del colon irritabile è un'affezione molto comune. La sindrome si manifesta con distensione
addominale, flatulenza e disturbi intestinali funzionali. I1 dolore addominale tende a localizzarsia livello
del quadrante inferiore sinistro, sebbene possa manifestarsi anche altrove o essere generalizzato. Ogni
paziente che presenti perdita di peso, anemia, sintomi notturni, steatorrea, o un'insorgenza dei sintomi
dopo i 50 anni di età va valutato attentamente riguardo all'eventuale presenza di una malattia organica. I
criteri utili nella diagnosi di sindrome a da colon irritabile sono dolore associato a cambiamento delle
"abitudini" intestinali, alleviate dalla defecazione o accompagnato da distensione addominale o sensazione
di gonfiore. I pazienti vanno rassicurati e trattati con anticolinergici ed emollienti delle feci.
Il problema clinico più ostico riguardo al dolore addominale è la sindrome da dolore addominale cronico
benigno. Questo termine descrive una situazione in cui il dolore è presente da mesi o addirittura da anni. La
percezione soggettiva del dolore è spesso non correlata all’alimentazione, alla defecazione, al ciclo
mestruale, a differenza di altre cause di dolore cronico. I1 paziente non è un simulatore, a dispetto del
fatto che il dolore non sia ascrivibile ad alcun pattern familiare.

Approccio al pz con dolore addominale cronico:

Emorragia gastrointestinale
 Emorragia gastrointestinale acuta
Se si verifica un sanguinamento gastrointestinale massivo i pazienti di solito manifestano vertigini,
stordimento, respiro corto, alterazioni posturali della pressione arteriosa o del polso, dolore addominale
crampiforme e diarrea. Le caratteristiche del sanguinamento possono essere di ausilio per localizzare la
fonte di sanguinamento a livello del tratto gastrointestinale superiore o inferiore. I pazienti con
sanguinamento acuto di solito esibiscono uno dei seguenti sintomi:
Ematemesi
Vomito di materiale rosso vivo o simile al fondo di caffè. Dopo aver escluso la possibilità che il soggetto
abbia inghiottito del sangue proveniente dal nasofaringe o secondario ad emottisi, è probabile che il
sanguinamento origini
prossimalmente al legamento di Treitz.

Melena
Una quantità di sangue pari a 50-100 ml nello stomaco può produrre melena. Feci nere, catramose, di solito
di odore estremamente sgradevole sono spesso una manifestazione di sanguinamento del tratto
gastrointestinale superiore; comunque, occasionalmente, la melena può anche essere conseguente ad
un’emorragia localizzata nell’intestino tenue o nel colon prossimale.

Ematochezia
L’emissione dal retto di sangue o di feci rossastre indica generalmente un sanguinamento del tratto
gastrointestinale inferiore.

EZlOLOGlA DEL SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE

Fonte Caratteristiche cliniche associate Trattamento


Tratto gastrointestinale
superiore Bruciore retro sternale,disfagia, Farmaci, chirurgia
Esofagite odinofagia Radio-chemio, chirurgia
Cancro esofageo Disfagia progressiva, perdita di peso Sospensione trattamento
Gastrite, Ulcera gastrica Uso di aspirina e FANS Farmaci, endoscopia
Duodenite, Ulcera duodenale Dolore addominale, dispepsia, infezione Chirurgia, chemio
Cancro gastrico HP Legatura varici
Varici esofago-gastriche Sazietà precoce, perdita di peso, dolore Terapia supportiva
Sindrome di Mallory-Weiss Epatopatia cronica
Vomito prima dell’ematemesi
Tratto gastrointestinale inferiore
Infezione Esposiz all’anamnesi, diarrea, febbre Antibiotici
Malattia infiammatoria Colite, diarrea, dolore, febbre Steroidi, immunoterapia,
intestinale Ematochezia senza dolore chir
Diverticoli Ematochezia senza dolore Di supporto, chirurgia
Angiodisplasia Variaz dell’alvo, perdita di peso, anemia Terapia endoscopica
Cancro del colon Di solito asintomatico Chirurgia
Polipo del colon Soggetti anziani, patologia vascolare, Rimozione chirurgica o
Colite ischemica dolore endo
Diverticoli di Meckel Ematochezia senza dolore Di supporto
Emorroidi Sanguinamento rettale associato a Chirurgia
motilità intestinale Di supporto, chirurgia,
legatura

APPROCCIO AL PAZIENTE CON SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE

Valutazione dei segni vitali e rianimazione


Determinare la severità della perdita di sangue: Vanno registrati immediatamente i segni vitali, con le
eventuali variazioni posturali. Se la pressione arteriosa sistolica si riduce di oltre 10 mmHg e la frequenza
cardiaca aumenta più di 10 battiti al minuto modificando la posizione del paziente da supina ad eretta, è
probabile che il paziente abbia perso almeno 800ml(15%) del volume ematico circolante. Ipotensione,
tachicardia, tachipnea ed alterazioni dello stato mentale in un quadro di emorragia gastrointestinale acuta
sono suggestive di una perdita di volume ematico
circolante di almeno 1500 ml (30%).
Inizialmente viene utilizzato un grosso catetere intravenoso per somministrare soluzioni isotoniche
(soluzione di Ringer lattato, NaCl all0 0,9%) e, se indicato, prodotti del sangue. Se il paziente è in stato di
shock, va stabilito un accesso venoso centrale. Se lo stato della coagulazione è anomalo, come si osserva
comunemente nei pazienti cirrotici, può essere necessaria la trasfusione di plasma fresco congelato e/o
piastrine per controllare l’emorragia in corso.

Valutazione iniziale
1. La natura del sanguinamento: melena, ematemesi, ematochezia, o sangue occulto. E’ essenziale un
esame rettale per determinare il colore delle feci e per identificare eventuali fessurazioni anali o
neoplasie intestinali.
2. La durata del sanguinamento, che aiuta a determinare la fonte dell'emorragia.
3. La presenza o meno di dolore addominale; per esempio, l’ematochezia causata da un diverticolo
sanguinante o da un'angiectasia tipicamente non associata a dolore; al contrario, quando è causata
da un'ischemia può essere accompagnata da dolore addominale.
4. Altri sintomi associati, compresi febbre, tenesmo, urgenza alla defecazione, recente variazione
delle abitudini intestinali, perdita di peso.
5. Assunzione in corso o recente di farmaci, in particolare di anti-infiammatori non steroidei (FANS) o
acido acetilsalicilico, che può predisporre alla malattia ulcerosa o alla gastrite emorragica,
Anticoagulanti e di alcol.
6. Patologie remote di rilievo ed anamnesi chirurgica

L'esame obiettivo deve comprendere la valutazione dei segni vitali, l'esame cardiaco e polmonare e
l'esplorazione
rettale digitale. Gli esami di laboratorio iniziali devono comprendere una conta completa delle cellule
ematiche, la
tipizzazione del sangue, il cross-matching, ed il dosaggio degli elettroliti sierici, dell'azotemia, della
creatininemia e dei fattori della coagulazione. I1 primo ematocrito può non riflettere l'entità esatta della
perdita di sangue; esso diminuire gradualmente sino a stabilizzarsi entro 24-48 ore.

IDENTIFICAZIONE DELLA FONTE DI SANGUINAMENTO


I dati emergenti dall’anamnesi ed i reperti dell'esame obiettivo consentono di dirimere se la localizzazione
del sanguinamento sia a livello del tratto gastrointestinale superiore (prossimalmente al legamento di
Treitz) o inferiore (distalmente a tale punto). Nel paziente con melena o ematemesi, va individuato in prima
istanza il tratto gastrointestinale superiore. I pazienti con ematochezia più comunemente hanno un
sanguinamento la cui fonte è il tratto gastrointestinale inferiore, ma quando la velocità del sanguinamento
è elevata, una lesione a livello del tratto gastrointestinale superiore può determinare ematochezia. Un
primo passo ragionevole in questi casi è il
posizionamento di un tubo nasogastrico per individuare la presenza la natura dei contenuti. In generale,
nei pazienti con emorragia gastrointestinale acuta e significativa perdita di sangue, un'endoscopia del
tratto superiore deve essere il primo passo nella valutazione. Una volta che si sia identificato invece il tratto
gastrointestinale inferiore come la sede del sanguinamento, la sigmoidoscopia e la colonscopia
rappresentano gli esami elettivi. In caso di sanguinamento dal tratto gastrointestinale inferiore in cui la
velocità del sanguinamento è così elevata da precludere la visualizzazione endoscopica del colon e del
retto, l’esame scintigrafico con eritrociti marcati con colloide solforoso contenente Tecnezio-99 (-Tc) o con
Tecnezio-99 pertecnectato può permettere di localizzare il sito di sanguinamento.

 Emorragia gastrointestinale cronica


L'emorragia gastrointestinale cronica può presentarsi con episodi ricorrenti ed autolimitanti di melena o
ematochezia, in assenza dell'impatto emodinamico riscontrato in caso di evento acuto. I pazienti possono
anche non presentare alcuna evidenza tangibile di perdita ematica, ma avere un'anemia persistente ed una
consistente perdita occulta di sangue.
Le cause probabili di questo tipo di sanguinamento sono diverse da quelle del sanguinamento acuto. I
pazienti interessati da questa condizione di solito sono stati sottoposti ad un esame endoscopico del tratto
gastrointestinale superiore o inferiore almeno una volta, senza che sia stata identificata alcuna fonte di
sanguinamento. In generale, l'intestino tenue viene valutato radiologicamente. Nel paziente con
persistente perdita di sangue in cui non è possibile identificare endoscopicamente alcuna fonte di
sanguinamento a livello del tratto gastrointestinale
superiore o del colon, e con reperti radiografici negativi, viene esaminato l'intero intestino tenue mediante
una laparotomia con endoscopia operatoria. Inoltre la valutazione angiografica dell'intero tratto
gastrointestinale pub rivelare la fonte del sanguinamento cronico.

Malassorbimento
I1 termine maldigestione fa riferimento all'insufficienza del processo di idrolisi dei nutrienti, mentre il
termine malassorbimento si riferisce ad una disfunzione dell'assorbimento a livello della mucosa. Nella
pratica clinica comunque con malassorbimento ci si riferisce a tutti gli aspetti attinenti ad una disfunzione
dell'assimilazione delle sostanze nutrienti.
I1 malassorbimento può coinvolgere una molteplicità di elementi nutritivi o essere più selettivo, e le
manifestazioni cliniche di malassorbimento sono pertanto altamente variabili. I1 processo completo
dell'assorbimento consiste di una fase luminale, in cui vari elementi vengono idrolizzati e solubilizzati; una
fase mucosa, in cui ulteriori processi hanno luogo a livello del bordo a spazzola delle cellule epiteliali con
successivo trasporto all'interno della cellula; ed una fase di trasporto, in cui i nutrienti sono mobilitati
dall'epitelio alla circolazione portale o linfatica. Una disfunzione in ciascuna di queste fasi può dare esito a
malassorbimento.

FASE LUMINALE
La digestione è operata per la maggior parte dagli enzimi pancreatici, in particolare la lipasi, la colipasi, e la
tripsina; gli enzimi gastrici digestivi non giocano un ruolo rilevante. Di conseguenza la pancreatite cronica
può dare luogo a malassorbimento, in particolare dei grassi e delle proteine. Anche la carenza di sali biliari
contribuisce a1 malassorbimento di grassi e può essere il risultato di epatopatie col estatiche (disfunzione
della secrezione biliare), di una carica batterica elevata (che determina de-coniugazione dei sali biliari
luminali), e di una patologia o della resezione ileale (con perdita di un’efficace circolazione biliare
enteroepatica). La maggior
parte della digestione si verifica nel duodeno e nel digiuno prossimale.

FASE MUCOSA
La malattia che colpisce la mucosa è una causa comune di malassorbiiento, e si può verificare a seguito di
una patologia diffusa dell'intestino tenue, come la sprue celiaca o il morbo di Crohn, o a causa di una
riduzione della superficie mucosa (ad es., dopo resezione chirurgica per infarto intestinale).
Eventuali difetti selettivi nel contesto di un intestino complessivamente normale possono dare esito ad
entità specifiche come il deficit di lattasi o di beta lipoproteina.

FASE Dl TRASPORTO
Dopo l'assorbimento i nutrienti lasciano la cellula attraverso i vasi venosi o linfatici. Di conseguenza il
malassorbimento può verificarsi dopo un'ostruzione del circolo venoso mesenterico,una linfangectasia, o
un'ostruzione linfatica ascrivibile a processi maligni o infiltrativi (morbo di Whipple).

MANIFESTAZIONE CLINICHE DI MALASSORBIMENTO


Le manifestazioni cliniche del malassorbimento sono di solito aspecifiche. Possono verificarsi precocemente
modificazioni della motilità intestinale, di solito con diarrea e perdita di peso. In una fase successiva si
sviluppano i sintomi e i segni della carenza di sostanza nutritive. La perdita di massa muscolare e l'edema
sono determinati dal malassorbimento di proteine. L'anemia nutrizionale, causata dal deficit di ferro e
vitamine (folati e B12) contribuisce ad uno stato di stanchezza. La tendenza al sanguinamento, che può
manifestarsi con ecchimosi, può attribuirsi al prolungato tempo di protrombina dovuto al deficit di
vitamina K. La presenza di feci voluminose ed oleose è il segno caratteristico della steatorrea risultante dal
malassorbimento dei grassi, mentre gonfiore (da distensione addominale) e gli stimoli diarroici si verificano
come risultato del malassorbimento di carboidrati.

TEST CLINICI PER LA DIAGNOSI DI MALASSORBIMENTO


I dosaggi ematici di albumina, carotene, colesterolo, ed acido folico e la valutazione del tempo di
protrombina costituiscono utili test di screening per il malassorbimento
Questi test non sono sufficientemente specifici per la diagnosi differenziale. Test utili per una corretta
diagnosi di malassorbimento sono:

ANALlSl DEI GRASSI FECALI


I1 metodo qualitativo pih semplice per valutare i grassi Nelle feci è l'esame microscopico di un frammento
di feci con colorazione di Sudan. Una normale escrezione di grassi non deve superare i 6 g/die. Sebbene il
test sia alquanto grossolano e aspecifico, permette un'accurata quantificazione dell'escrezione fecale
grassa.

TEST DELLA FUNZIONE PANCREATICA ESOCRINA


1. Test invasivo: Dopo la stimolazione del pancreas, il contenuto del duodeno viene aspirato ed
analizzato al fine di valutare l'output enzimatico e di bicarbonato.
2. La valutazione degli enzimi pancreatici nel sangue (tripsinogeno) o nelle feci (chimotripsina o
elastasi) è semplice e fornisce un'evidenza utile per la diagnosi di pancreatite da moderata a severa.
3. Le calcificazioni pancreatiche evidenziabili radiograficamente o mediante tac indicano la presenza
di una pancreatite cronica.
4. Un’anomalia del dotto può essere dimostrata per mezzo della colangiopancreatografia retrograda
per
via endoscopica, ma questo test e invasivo e determina diversi effetti collaterali.

BlOPSlA DELL'INTESTINO TENUE


La biopsia della mucosa dell'intestino tenue è un test di diagnostico chiave per le patologie che colpiscono
la fase
Cellulare dell'assorbimento.

TEST CON D-XILOSIO


Il D-xilosio è un monosaccaride che viene trasportato attraverso la mucosa intestinale per lo più per
diffusione passiva. Il pz assume lo xilosio, e il risultato del test esprime la funzionalità del trasporto
intestinale e della superficie mucosa; un basso livello nelle urine si ottiene in caso di una funzione renale
escretoria compromessa, edema periferico massivo o ascite.
STUDI RADlOGRAFlCl
Gli studi radiografici con bario dell'intestino tenue in caso di malassorbimento sono di solito aspecifici.
Sprue tropicale
Possono riscontrarsi alterazioni anatomiche peculiari in corso di diverticolosi digiunale, linfoma, morbo di
Crohn.
Inoltre, può rendersi evidente un pattern radiografico con bario peculiare, consistente nell'assottigliamento
delle pareti e nella dilatazione delle anse, suggestivo di sprue celiaca.

TEST Dl SCHILLING
L’assorbimento di vitamina B 12 richiede diversi steps. In primo luogo, la vitamina ingerita con gli alimenti si
lega alla proteina salivare fattore- R; le cellule parietali dello stomaco secernono un fattore si miscela con
bolo ingerito. Nel duodeno la tripsina pancreatica idrolizza il fattore-R, liberando la vitamina, che può
legarsi al fattore intrinseco. Il complesso fattore intrinseco-vitamina B12 viene quindi assorbito dopo essersi
legato a recettori specifici presenti sugli enterociti a livello dell’ileo distale.
Di conseguenza, il malassorbimento di B 12 può verificarsi a causa della mancanza di fattore intrinseco (ad
es., in caso di anemia perniciosa o resezione gastrica), di un'insufficienza pancreatica, di
un'iperproliferazione batterica, di una resezione ileale o di una malattia della mucosa (ossia, morbo di
Crohn). I1 test di Schilling permette di quantificare l’assorbimento di B 12 mediante l'utilizzo di B 12
radiomarcata come marker. Il pz ssume la vitamina B12 marcata, viene quindi raccolto un campione di
urina per la misurazione del livello di radioattivita; un ridotto livello suggerisce un malassorbimento di
vitamina. I1 test viene ripetuto con l'aggiunta di fattore intrinseco per via orale alla vitamina B 12 ingerita.
Se l'escrezione urinaria dell'elemento radiomarcato risulta corretta possibile fare diagnosi di anemia
perniciosa. Se il malassorbimento è ancora presente, il paziente viene sottoposto ad un breve ciclo di
terapia antibiotica per via orale ed il test e ripetuto; l'eventuale correzione dell'escrezione di vitamina B 12
radiomarcata porta ad interpretare il malassorbimento come ascrivibile ad un'iperproliferazione batterica.
Se il risultato del test rimane ancora normale, vengono somministrati degli enzimi pancreatici per via orale
ed il test viene ripetuto; la correzione dell'anomalia implica in questo caso che la causa di base è una
disfunzione pancreatica esocrina. Infine, se tutti questi steps non sono utili per identificare il problema, la
diagnosi si può orientare sulla patologia ileale o sull'assenza di transcobalamina.

BREATH TEST
I breath tests sfruttano la degradazione batterica degli elementi presenti nel lume, che esita nel rilascio di
prodotti del metabolismo gassosi (come idrogeno, metano ed anidride carbonica), che possono esser
misurati nell'aria espirata. Con il deficit di disaccaridasi, uno specifico disaccaride che viene ingerito può
non essere adeguatamente assorbito nell'intestino tenue; quando giunge a1 colon, la fermentazione
batterica libera diversi metaboliti; uno di questi è l'idrogeno, che è un gas che può essere dosato nell’aria
espirata. In presenza di iperproliferazione batterica a livello
dell'intestino tenue, il glucosio ingerito oralmente fermenta nel tratto prossimale del tenue (invece di
essere assorbito) e determina un incremento dell'idrogeno espirato; in questo caso il timing dell'esalazione
di idrogeno è un parametro
per la diagnosi.

APPROCCIO AL PAZIENTE CON SOSPETTO MALASSORBIMENTO


Nel malassorbimento dei grassi, il test più accurato per il malassorbimento rimane l'analisi dei grassi fecali
nelle 72 ore; il test è però difficile da effettuare nella pratica clinica. Uno screening alternativo per rivelare
la steatorrea, è rappresentato dall'esame qualitativo dei grassi fecali (con colorazione di Sudan) e
dall'analisi del carotene nel siero. Se il contenuto dei grassi nelle feci è normale, il paziente può ancora
avere una compromissione selettiva dell'assorbimento di specifici carboidrati. Quest'ultima condizione va
sospettata se i sintomi sono crampi, flautulenza e diarrea. L'esempio più comune di malassorbimento
selettivo di carboidrati è l’intolleranza al lattosio.
Quando viene dimostrato un malassorbimento dei grassi va effettuato di seguito un test di assorbimento-
escrezione di D-xilosio. Un risultato normale a quest'ultimo test rende improbabile una patologia della
mucosa e suggerisce una condizione di mal digestione, principalmente un deficit di enzimi pancreatici o di
Sali biliari. Gli elementi suggestivi di una pancreatite cronica sono una storia di abuso di alcol o precedenti
episodi di pancreatite; l'accertamento di cause specifiche di malassorbimento pancreatico, come la fibrosi
cistica, la microlitiasi, o la tossicità da farmaci, richiede l'esecuzione di test altrettanto specifici ed
un'anamnesi dettagliata. Nell'indagine diagnostica per accertare una maldigestione, il dosaggio degli
enzimi nel siero e la diagnostica per immagini focalizzata sull’addome (radiografia o tomografia
computerizzata dell'addome) possono essere effettuati per identificare una pancreatopatia.
Se l’escrezione urinaria di D-xilosio è anomala, il breath test dell’idrogeno può essere utilizzato per
diagnosticare un'iperproliferazione batterica. Quando non è presente una proliferazione batterica, va
effettuata
una biopsia della mucosa.
Quando l'origine del malassorbimento rimane incerta, è necessario includere nelle ipotesi diagnostiche
ulteriori
Un’ eziologia parassitaria, ad esempio un’infezione da Giardia lamblia o il coinvolgimento del dotto
pancreatico da parte di un'ascariasi. Queste diagnosi richiedono un'accurata analisi delle feci alla ricerca
delle uova e dei parassiti o delle analisi antigeniche. Occasionalmente vanno subito istituiti dei protocolli
terapeutici per le condizioni trattabili, come una dieta priva di glutine per il morbo celiaco, la sostituzione
enzimatica per ristabilire
la funzione pancreatica esocrina, il metronidazolo per l'infezione da G. lamblia, o antibiotici ad ampio
spettro per una sospetta iperproliferazione batterica.

 La sprue celiaca
Sinonimi: malattia celiaca, enteropatia glutine sensitiva.
Definizione: malassorbimento causato da un'infiammazione dell'intestino tenue che s'instaura dopo
l'ingestione di glutine. Il miglioramento clinico ed istologico si ottiene con una dieta priva di glutine e
recidiva se il glutine viene reintrodotto nella dieta. Ciò permette anche di fare diagnosi.
Il glutine è una sostanza contenuta nei grani dell'orzo, della segale e del frumento; serve per conferire
l'elasticità necessaria per creare una matrice utile ad impastare la farina (proprietà tipica della farina). Se
viene tolto l'impasto acquista una consistenza diversa.
Il glutine del grano è composto da varie sostanza:
-alfa gliadina
-beta gliadina
-gamma gliadina
-omega gliadina

Storia della malattia celiaca


La celiachia è stata studiata già nel II sec d.C. nei bambini.

1887: era stato notato che alcune diarree potevano essere curate per mezzo della dieta. Non era ancora
nota l'associazione con la farina.

1926: i bambini affetti da diarrea venivano trattati con una dieta a base di banane.

1940: Dicke, pediatra tedesco, stabilì il legame con il glutine osservando che, durante la II guerra mondiale,
la sintomatologia dei bambini affetti da Sprue celiaca migliorava in carestia e recidivava quando i cereali
venivano reinseriti.

Prevalenza: alta, 1/120- 1/300 sia in Europa che in Nord America. Nonostante le femmine manifestino più
frquentemente anemia, il rapporto M:F = 2:1. Per 1 nuovo caso diagnosticato ve ne sono altri 7 che
compaiono. La più elevata prevalenza è in Europa Occidentale e nei paesi nei quali sono emigrati gli
europei. La prevalenza diminuisce in Africa e Asia.
1980: studi epidemiologici internazionali hanno rivelato che la malattia variava nei vari paesi sia come
prevalenza che come manifestazioni:
-UK e Irlanda: scomparsa della malattia
-Italia:prevalenza invariata della malattia
-Finlandia: prevalenza non modificata ma insorgenza più tardiva della malattia
Da ciò si è dedotta l'importanza della componente ambientale ( aumento di allattamento al seno e
aumento dell'utilizzo di latte di mucca oltre che l'associazione con la quota di glutine negli alimenti tipici
della dieta dei vari popoli) e di quella genetica (legata a geni di istocompatibilità). I fattori ambientali
sembrano influenzare la presentazione clinica della Sprue aggravandola, più che la sua prevalenza.

Iceberg del morbo celiaco


1.Sintomatici (che si trovano al vertice)
2.Casi non diagnosticati ma che presentano un'attivazione immunologica e quindi l'enteropatia indotta da
glutine. Possono essere silenti o sintomatici.
3.Soggetti a rischio genetico ma senza segni di attivazione immunologica
4.Soggetti con intestino normale, a dieta libera ma che in passato hanno presentato o svilupperanno nel
futuro alterazioni morfologiche responsive a dieta priva di glutine.

Negli ultimi tempi stanno aumentando le diagnosi di malattia celiaca anche in pazienti di una certa età e
non più solo in individui giovani (il 20% dei celiaci ha età > di 60anni).

Patogenesi: la malattia è mediata dai linfociti T nei soggetti geneticamente predisposti (95% presentano
HLA DQ 2). Il glutine entra a livello della mucosa intestinale, attraversa la lamina propria, viene modificato
dalle transglutamminasi e viene reso disponibile dalle cellule che presentano l'antigene in compresenza
dell'HLA DQ2. La presentazione di quest'antigene attiva i linfociti CD4 i quali instaurano una risposta
immunitaria e quindi provocano un danno a carico della mucosa: si determina atrofia dei villi, iperplasia
delle cripte, linfocitosi intraepiteliale.
Contemporaneamente vengono attivati anche i linfociti B che producono anticorpi diretti contro le varie
componenti.

Sintomi
La sintomatologia viene divisa in tre classi:
-classica
-subclinica
-silente o non sintomatica
Varia anche a seconda dell'età d'insorgenza; nei bambini l'età d'esordio è tra i 4 e i 24 mesi. Si manifesta
con diarrea, ritardo di crescita, distensione e dolori addominale e se l'inizio dei sintomi è graduale, segue
l'introduzione dei cereali nella dieta. Possono esserci anche ipertransaminasemia, artralgie, difetti dello
sviluppo dello smalto e disturbi comportamentali. Se non trattata questi bambini vanno incontro a ritardo
mentale, iposviluppo staturale, anemia e rachitismo.
Negli adulti la sintomatologia è molto meno importante, è asintomatica o presenta sintomi modesti. Di
solito insorge ex-novo o può scatenarsi durante situazioni parafisiologiche come la gravidanza.
I sintomi più frequenti sono:
-diarrea episodica notturna
-flatulenza
-perdita di peso
-intolleranza al lattosio
-dolori addominali
-anemia da carenza di ferro
Possono esservi condizioni associate come:
-carenza di vit. D e K
-dermatite erpetiforme
-polineuropatia e atassia
-alopecia
-alterazione del ciclo mestruale
-pericardite

Diagnosi
-ricerca di anticorpi antigliadina (AGA, usati per la prima volta negli anni '80) diretti contro la frazione alfa
solubile del glutine. Sono anche markers dell'attività della malattia.
-ricerca di anticorpi antiendomisio (EMA), diretti contro la matrice del collagene che fascia il muscolo liscio
dell'intestino
-ricerca di anticorpi antitransglutamminasi. Sono determinanti per gli EMA positivi.
Si usano tutti e tre i test:
-se sono tutti negativi si può far diagnosi di negatività della malattia con alta probabilità
-se hai la positività di 1 o 2 test su 3 bisogna ricordare che c'è il rischio di falsi negativi; infatti gli anticorpi
antigliadina sono test molto specifici ma poco sensibili(la prof dice il contrario). E' quindi importante, in
caso di forte sospetto clinico e di negatività totale (difficile) o parziale dei test, fare una biopsia intestinale.
Nel caso di test negativi ma di biopsia positiva (quindi eseguita per forte sospetto clinico), prima di poter
far diagnosi di malattia celiaca vanno eliminate tutte le altre cause di atrofia dei villi intestinali e di infiltrato
linfocitario, tra cui il linfoma, intolleranza al latte di mucca, gastroenterite, gastroenterite eosinofila,
enteropatia autoimmune, morbo di Crohn, infarto e ischemia intestinale, sprue tropicale. Per far diagnosi
differenziale si può anche provare a intraprendere una dieta priva di glutine e valutare come variano i
sintomi.
-se sono tutti positivi, secondo le ultime linee guida, non è indicata la biopsia intestinale e si può far
diagnosi di malattia celiaca (anche se la prof non è completamente d'accordo con queste indicazioni).

Terapia:
-dieta priva di glutine (attenzione alle etichette)
-nuovi farmici: CCX282-B (inibitore della migrazione dei leucociti), AT1001 (inibitore della disfunzione della
barriera epiteliale). Servono entrambi per limitare il danno prodotto dal glutine.
-Ingegneria genetica: si ipotizza, a breve termine, la realizzazione di un frumento geneticamente
modificato, che mantenga le caratteristiche elastiche ma sia privo delle proteine del glutine.
NB: secondo le ultime linee guida, in caso di anemia sideropriva senza altre cause diagnosticabili, è
importante fare il test per la celiachia (che, per giunta, costa poco).

L’anemia sideropenica si associa spessissimo al morbo celiaco!


Ci sono delle linee guida che dicono che quando c’è un’anemia sideropenica senza cause che la giustifichino
andrebbe sempre indagato il pz per celiachia, così come si fa per l’ipertransaminasemia.
L’anemia nel m. celiaco potrebbe essere dovuta a varie cose:
-Alterazione dell’assorbimento di folati
-Alterazione dell’assorbimento di vit B12
ma in entrambi i casi si avrebbe un’anemia macrocitica
E’ più frequente tra le due un’anemia da deficit di folati perchè sono assorbiti a livello distale, il deficit di vit
B12 è più raro
-Deficit dell’assorbimento di ferro
questa è la più frequente, quindi generalmente il celiaco ha un’anemia sideropenica cronica.
Questa è più frequente nelle donne per via delle perdite ematiche mestruali, infatti questa donna aveva
avuto in passato sempre mestruazioni abbondanti.

Mostra delle recenti reviews, in particolare 3 di queste mostrano l’alta prevalenza della celiachia nella
popolazione. Affermano inoltre che l’ipertransaminasemia senza spiegazione deve sempre far pensare
anche a un’eventuale celiachia che è molto più frequente rispetto a quel che si pensa. La celiachia in
particolare andrebbe indagata in tutti i pz che hanno epatopatia.

Diagnosi differenziale delle ipertransaminasemie:


-Steatosi epatica (eco negativa per Bright Liver)
-Epatiti virali (marker negativi per HCV, HBV, CMV e EBV)
-Malattie metaboliche (come deficit di alfa1 antitripsina, HFE (emocromatosi), morbo di Wilson, eccetera...
risultati negativi)
-Epatiti autoimmuni (ANA, ENA, anti-DNA, AMA, SM, LKM negativi)
Il m. di Wilson può dare un’ipertransaminasemia modesta, ma nel giovane si presenta nella maggior parte
dei casi come un’epatite acuta. Il Wilson è molto pericoloso e bisogna sempre pensarci quando troviamo
un’ipertransaminasemia e il pz si fa un’epatite acuta.
Il deficit di alfa1 antitripsina ci può essere ma in alcuni casi può anche non essere rilevato dagli esami quindi
se ho un sospetto faccio comunque la biopsia epatica.
L’emocromatosi è una malattia da deposito marziale non solo a livello del fegato.
Le epatiti autoimmuni sono associate a dei livelli più alti di transaminasi.
Altre patologie rare sono: l’ipo-beta-lipoproteinemia, NAFLD, farmaci, sarcoidosi, alcune malattie ad IgE,
malattie intestinali, alcol, amiloidosi, glicogenosi, morbo celiaco.

 Sindrome da iperproliferazione batterica


La proliferazione dei batteri del lume può dare esito a diarrea e malassorbimento attraverso un'ampia
varietà di meccanismi:
I) de-coniugazione degli acidi biliari, che compromette I'efficace formazione di micelle e l'assunzione dei
grassi;
2) danno diffuso degli enterociti (piccole cellule epiteliali intestinali);
3) competizione diretta per l'utilizzo dei nutrienti (ad es., uptake di vitamina B12 da parte dei batteri gram-
negativi o del cestode Diphyllobothrium latum);
4) stimolazione della secrezione di acqua ed elettroliti ad opera dei prodotti del metabolismo batterico,
come gli acidi biliari idrossilati e gli acidi organici a catena corta (volatili).

CONDIZIONI ASSOCIATE CON L’IPERPROLIFERAZIONE BATTERICA


I più importanti fattori che mantengono la sterilitità del tratto digerente superiore includono:
1) l'acidità gastrica, 2) la peristalsi e 3) le immunoglobuline intestinali (IgA).
Di conseguenza, le condizioni che compromettono queste funzioni possono dare esito ad una proliferazione
batterica abnorme. La compromissione della peristalsi può essere determinata dalle disfunzioni della
motilità (ad es., sclerodermia, amiloidosi, diabete mellito) o da modificazioni anatomiche (ad es., anse
cieche create da interventi chirurgici, ostruzione, diverticolosi digiunale). Anche l'acloridria (risultante dalla
gastrite atrofica o dall'inibizione della secrezione acida gastrica), l’'insufficienza pancreatica, e
l'ipogammaglobulinemia si associano alla proliferazione batterica, ma comunemente danno esito ad una
steatorrea clinicamente rilevante.

DIAGNOSI
La coltura diretta dell'aspirato digiunale rappresenta il test diagnostico che ha maggior prohabilità di essere
definitivo; esso è però invasivo, sgradevole e costoso.
Il breath test con idrogeno dopo somministrazione orale di glucosio è più semplice, anche se non parimenti
sensibile e specifico. I protocolli terapeutici a base di antibiotici rappresentano un'alternativa accettabile ai
test diagnostici.

TRATTAMENTO
Quando appropriata, va effettuata una terapia specifica come nel caso del trattamento chirurgico
dell’ostruzione intestinale. Più comunemente, i pazienti vengono trattati con antibiotici; i più appropriati
sono quelli efficaci contro i microrganismi enterici aerobi ed anaerobi. Tetracidina, Trimetoprim-
sulfametossazolo, o metronidazolo (ciascuno dei quali in combinazione con una cefalosporina o un
chinolonico) rappresentano opzioni affidabili.
 Diarrea
DEFINIZIONE
La diarrea è sia un sintomo che un segno. In quanto sintomo la diarrea è nella maggior parte dei casi riferita
come una diminuzione della consistenza delle feci ed un incremento del loro volume; In quanto segno, la
diarrea è definita in base al peso (ossia, contenuto di acqua) delle feci: un peso maggiore di 200 g in 24 ore
configura una diarrea.

FISIOLOGIA NORMALE
Circa 8.9 litri di liquidi hanno accesso nell’intestino tenue ogni giorno: uno o due litri traggono origine
dall’assunzione dietetica; il resto è il risultato delle normali secrezioni salivari, gastriche, pancreatiche,
biliari e intestinali. L’intestino tenue assorbe la maggior parte di questi liquidi, così che solo 1-1,5 litri
passano nel colon. A livello del colon, un ulteriore assorbimento d’acqua determina un output di acqua
fecale finale pari a solo 100-200 ml/die.

DlARREA SECRETORlA
Le diarree secretorie sono causate tipicamente da mediatori neuroumorali e/o da tossine batteriche;
Il meccanismo alla base è caratterizzato da una secrezione aumentata e/o ridotto assorbimento di sodio e
cloro. Un classico esempio di diarrea secretoria è quella che si verifica nel colera. Una tossina prodotta dal
batterio determina una diarrea massiva, una perdita di volume intravascolare, e in assenza di una
tempestiva somministrazione di fluidi, un possibile collasso circolatorio.
Clinicamente, le diarree secretorie sono caratterizzate:
1) da un elevato output (spesso >1 l/die)
2) persistono anche a digiuno
3) assenza di gas o pus
Alcune delle cause di diarrea secretoria sono il colera, tumori secernenti VIP, enteropatia da Sali biliari,
diarrea da acidi grassi.

DIARREA OSMOTICA
La diarrea osmotica è causata semplicemente da livelli eccessivi di soluti scarsamente assorbiti ed
osmoticamente attivi nel lume.
Alcune cause di diarrea osmotica sono l’intolleranza al lattosio, malassorbimento generalizzato, lassativi
contenenti magnesio.
La diarrea osmotica ha due importanti caratteristiche: in primo luogo, essa si arresta quando i pazienti
digiunano
in quanto essi non assumono elementi che saranno mal assorbiti ed osmoticamente attivi. Le feci sono
acquose, non contengono sangue e pus, ma possono contenere globuli di grasso o fibre carnee. In secondo
luogo l'analisi delle feci rivela un elevato gap osmolare, ascrivibile alla presenza nelle feci di agenti
osmoticamente attivi e/o non assorbiti.

MOTILITA INTESTINALE ANOMALA


L'alterazione della motilità intestinale può causare diarrea in base a due distinti meccanismi:
1. Aumentata motilità, che determina un rapido transito intestinale ed un ridotto tempo di contatto tra gli
elementi
contenuti del lume e le cellule epiteliali deputate ai processi di assorbimento. I1 ridotto tempo di transito e
l'aumento delle contrazioni propulsive si riscontrano nelle situazioni di diarrea post-vagotomica, post-
gastrectomica da carcinoide, diabetica, nonchè in casi di sindrome da colon irritabile con diarrea
predominante.
2. Ridotta motilità, causata da patologie come sclerodermia o diabete. Tali patologie favoriscono
l'instaurarsi di una stasi intestinale che può dare esito ad una proliferazione di batteri anaerobi che si
rendono a loro volta responsabili della de-coniugazione degli acidi biliari, causando steatorrea e diarrea.

DIARREA ESSUDATIVA
Le condizioni infiammatorie o infettive che determinano un danno a livello della mucosa intestinale
possono causare diarrea attraverso una serie svariata di meccanismi. Si determina sostanzialmente ma
perdita di sangue, muco e proteine del siero. L'entità di tale perdita dipende largamente dal grado di
danneggiamento. I1 danno alla mucosa e l'infiammazione ad esso associata possono interferire con
l'assorbimento, indurre la secrezione, ed influenzare la motilità. Tutti questi eventi contribuiscono
all'instaurarsi di diarrea (colite ulcerosa, shigellosi, amebiasi).

VALUTAZIONE DELLA DIARREA

ANAMNESI ED ESAME OBIETTlVO


I1 dato relativo alla durata della diarrea è particolarmente utile in quanto la maggior parte delle diarree
acute sono causate da microrganismi patogeni e si risolve indipendentemente dagli interventi. La diarrea
cronica, definita come una diarrea che dura più di 4 settimane, ha scarsa probabilità di avere origine
infettiva. L'eventuale presenza di sangue rappresenta un indicatore utile in quanto suggerisce una genesi
infiammatoria, neoplastica, ischemica, o infettiva da parte di organismi patogeni invasivi. Una diarrea
copiosa suggerisce la presenza
di una patologia ad interessamento dell'intestino tenue o del colon prossimale; a1 contrario, la tendenza ad
ma defecazione frequente associata a senso di urgenza del bisogno di defecare suggerisce una patologia ad
interessamento del colon discendente e/o del retto. Va registrato attentamente il dato relativo
all'assunzione attuale o recente di farmaci (specialmente nuovi farmaci, antibiotici ed antiacidi) nonché di
alcol.
E’ necessario conoscere le abitudini del soggetto: i viaggi, il tipo di acqua assunta per bere (acqua di
città trattata o acqua di pozzo), il consumo di latte non pastorizzato nelle popolazioni rurali, l'esposizione
agli animali, che può essere fonte di diffusione di Salmonella o Brucella, e le abitudini sessuali. Allo stesso
modo vanno evidenziati gli eventuali casi familiari di morbo celiaco, malattia infiammatoria intestinale, o
sindromi neoplastiche endocrine multiple.

DlARREA ACUTA
La diarrea acuta è definita come una diarrea che dura meno di 4 settimane, ed è per lo più determinata da
microrganismi infettivi o tossine. Si tratta di un fenomeno autolimitantesi e, in assenza di sangue nelle feci,
può non essere diagnosticato. Se il paziente viene precocemente all'attenzione del clinico e presenta solo
una forma lieve di diarrea senza sintomi sistemici o sangue nelle feci, l'intervento appropriato è
l'osservazione
ed un accurato follow-up. In caso contrario, e sicuramente in presenza di sangue, le feci vanno esaminate
per accertare l'eventuale presenza di organismi infettivi ed iniziare l'appropriata terapia antimicrobica. Se
non vengono identificati tali organismi, va effettuata una sigmoidoscopia ed una biopsia.
Ulteriori eventuali analisi devono essere orientate dai risultati della sigmoidoscopia (ad es., se è sospettata
una malattia infiammatoria intestinale), dalla severità della diarrea, dallo stato immunitario del paziente, e
dalla eventuale presenza di tossicità sistemica.

DlARREA CRONICA
Diversamente da quanto si verifica nella diarrea acuta, nella cronica è poco comune l'eziologia infettiva. In
ogni caso, alcune infezioni parassitarie, come la giardiasi e le sindromi post-virali possono produrre le
condizioni per una diarrea cronica da malassorbimento.
La perdita di peso e l'evidenza di deficit nutrizionali suggeriscono una condizione di malassorbimento
causato da un processo patologico a livello dell'intestino tenue o del pancreas; quest'ultimo si associa di
solito ad un'anamnesi positiva per abuso di alcol e/o per pancreatite cronica. Una diarrea cronica
sanguinolenta suggerisce una malattia infiammatoria intestinale, in particolare una colite ulcerosa. Una
diarrea cronica senza evidenza di un disturbo nutrizionale o metabolico suggerisce un'intolleranza al
lattosio (comune); la sindrome del colon irritabile, in particolare quando associata a dolore addominale
(comune); una colite microscopica; un'incontinenza fecale; un eccessivo utilizzo di lassativi. L'eventualità
di un cancro del colon va sempre tenuta in considerazione. La presenza di grandi volumi di diarrea in
assenza di deficit nutrizionali con le caratteristiche di un processo secretorio, deve orientare verso la ricerca
di tumori producenti ormoni. Quando possibile,la terapia deve essere diretta specificamente verso la causa
sottostante. Quando non è possibile approntare alcun trattamento specifico, si possono tentare terapie
empiriche (ad es., antibiotici per una possibile iperproliferazione batterica o un infezione da G. lamblia,
colestiramina per malassorbimento di acidi biliari) e/o la somministrazione di agenti che riducono la
motilità (ad es., loperamide, difenolato e, in casi più gravi, analoghi della somatostatina a lunga durata
d’azione.

Patologie gastriche e duodenali


 DISPEPSIA
E' un argomento abbastanza importante per la frequenza con cui si manifesta questo disturbo: il 30-40%
delle consulenze gastroenterologiche.
Def: digerire male ---> per cui si tratta di sintomi che compaiono da subito dopo a 1-2 ore dopo il pasto. Non
può venire a digiuno.
Quadro clinico è molto variegato: da subito dopo a 1-2 ore dall'introduzione degli alimenti.
Sintomatologia vaga ma sempre legata alla introduzione di cibo : Dolore/tensione epigastrico, oppure pirosi,
eruttazioni, nausea, talora vomito.Come vedete sono disturbi molto vaghi, generici, certe volte predomina
uno certe volte l'altro. In realtà si tratta di un disconforto post-prandiale, coè uno dopo il pasto si sente poco
bene a livello dell'epigastrio.
L'epidemiologia l'abbiamo già vista.
E' molto importante di fronte a pz con disturbi dispeptici, distinguere se siamo di fronte ad una :
Forma organica ( dove la dispepsia è un sintomo insieme a tanti altri disturbi che quel pz può avere)
Forma funzionale (è la dispepsia sindrome, forma funzionale abbiamo solo i disturbi dispeptici e le nostre
indagini bioumorali, radiologiche ecc. sono risultate negative)
Quindi dispepsia-sintomo e dispepsia-sindrome.

Iter diagnostico
Valutazione anamnestico clinica (con l'anamnesi di solito arrivi a un sospetto di diagnosi dell'80%)
Valutazione psicologica (perchè la sindrome dispeptica è caratteristica di alcune persone e non di altre dal
punto di vista dell'habitus psicologico)
Esame obiettivo
Esami strumentali
Esami funzionali ( secrezione e motilità)

Dispepsia organica (sottostante c'è una malattia anche grave)


è la 1° cosa da escludere perchè nella forma funzionale, cioè disturbi della secrezione o motilità ci sono
disturbi ma non è mai grave.
E’ di recente e improvvisa insorgenza, generalmente in pazienti senza particolari profili psicologici.
Può essere dovuta ad alterazione organiche in diversi organi :
Esofago (qualsiasi patologia dell'esofago può dare una sindrome dispeptica dalla neoplasia dell'esofago ad
una esofagite peptica per un'ernia iataleper es )

Vie biliari (questo è un ccapitolo molto importante perchè molte volte si sottovaluta: il 30% dei colelitiasici
presenta sintomi dispeptici con o senza coliche. Non sempre la calcolosi della colecisti da dolore in
ipocondrio destro, ma dà sintomi di mal digestione: dice che digerisce male, che ha un peso in epigastrio
dopo che ha mangiato ed ha i calcoli) Il sintomo dispeptico talora rimane anche dopo l’intervento.

Fegato (epatite acuta sì: nausea, vomito e dispepsia, meno le epatiti croniche)

Pancreas soprattutto la pancreatite acuta e sub-acuta la cronica meno.

Stomaco IMP ricordare che solo nel 15/20% dei casi di ulcera ha una dispepsia, spesso presentano dolore
vero e proprio o sono asintomatici e il risultato è un pz con anemia sideropenica da perdita a causa
dell'ulcera gastrica. Anche le neoplasie dello stomaco possono dare dispepsia.

Duodeno (per lo più sono ulcere, stesso discorso dello stomaco, ma le neoplasie duodenali sono rare se non
i linfomi)

Neoplasie se del tubo digerente, è un sintomo precoce, se extra digerente è tardivo in questo caso fa parte
di una sindrome paraneoplastica da neoplasia in altra sede come da neoplasia polmonare e in questo caso
sarà una sintomatologia tardiva. Anche le neoplasie del colon possono dare dispepsia.

Stati febbrili e sistemici ci può essere il sintomo della dispepsia, come nella sintomatologia influenzale.

Malattie psichiatriche alcune patologie psichiatriche hanno come sintomo la dispepsia.

E' chiaro che di fronte a un paziente che lamenta una grave dispepsia devo ricordarmi questo elenco ed
escludere la causa organica, in seguito dire che si tratta di una dispepsia funzionale. Sarebbe opportuno
valutare anche questa con degli strumenti (vedremo dopo quali sono).

Dispepsie funzionali
Diciamo subito che per la funzione dello stomaco e del duodeno, essi vanno incontro ad una secrezione ed
ad una motilità per far progredire gli alimenti
1-Di tipo secretivo ( Ipocloridrico o ipercloridrico) cioè iposecretiva o ipersecretiva
2- Di tipo motorio: possiamo distinguere:
Alte : Da reflusso gastro esofageo per incontinenza del LES. (se non è ben coordinato con la deglutizione o
se è beante come nell'ernia iatale si può andare incontro a reflusso disturbi dispeptici ed esofagite)
Corpo-fondo : abbiamo 2 possibilità:
1) Ridotto o mancato rilasciamento recettivo ( senso precoce di ripienezza), lo stomaco, quando è vuoto, è
una cavità virtuale abbiamo solo un pò d'aria, 30-40 ml nel fondo, quando assumi alimenti c'è una
dilatazione del fondo gastrico per contenere Se non c'è questo meccanismo che avviene per un riflesso
vaso-vagale, da stimolazione di chemo-recettori, il pz appena mangia si sente pieno.

2)Motilità gastrica insufficiente a uno svuotamento progressivo ( noi vediamo che in questo caso il pz ha un
rallentato svuotamento digestione lunga e laboriosa ma non vomito. Si sente la digestione anche dopo
molte ore)
Basse 1) Da spasmo del giunto antro pilorico( qui senso di ripienezza e anche vomito)
2)Da rilasciamento del giunto antro pilorico ( non funziona bene ma è sempre aperto e che facilita il reflusso
del succo duodenale dal duodeno allo stomaco non è fisiologico, avremo gastriti da acidi biliari e non da
secrezione gastrica e diarrea post- prandiale).
Sistemi per valutare la funzione motorie dello stomaco: per dispepsie motorie.

Metodi di studio dell’attività motoria dello stomaco


Sostanze marcate (non si usano più: pasti con Tc99 e si rileva la radiattività con la gamma-camera dopo ogni
30 min e valuti quanto dura, se dopo 2 ore c'è ancora è rallentato)
Rx pasto baritato (esame semplice, dai bario, fai radiografia subito dopo e dopo ogni 15 minuti e valuti
come si svuota lo stomaco. In realtà non sono stimolazioni fisiologiche perchè noi normalmente non
mangiamo il bario, ma facciamo pasti con primo, secondo ecc.che è diverso per la motilità) meglio fare altri.
Breath test : ( acido octanoico C-13) (non è l'urea-breth test, quello usato per l'Helicobacter, ma si usa 1
isotopo non radiattivo, C13, che è unito ad acido octanoico ac.grasso a media catena scisso nel duodeno e
C13 è rilasciato col respiro. Misuri C13 del respiro prima del pasto e dopo. Più è precoce l'emissione di C13
più è rapido lo svuotamento gastrico) test corretto ma non di moda.
Ecografia ha più senso (fai fare un pasto normale al pz e vedi con l'ecografo grandezza dello stomaco e vedi
quando si svuota. Però dura 1-2 ore, ma hai un'idea abbastanza precisa della motilità)
Registrazioni pressorie (sono il gold standard insieme alle registrazioni attività elettrica per valutare l'attività
motoria ) Si introducono nello stomaco dei piccoli sondini (open o con palloncino) se ci sono delle
contrazioni gastriche si verificano alterazioni pressorie che si ripercuotono sul palloncino e che sono
registrate trasformandole in onde manometriche a seconda della frequenza ed ampiezza delle onde
manometirche mi da un indice quantizzabile dell’attività contrattile della muscolatura liscia.
Registrazione dell’attività elettrica
"elettrocardiogramma dello stomaco", è la registrazione dell'attività elettrica dello stomaco ( in realtà si può
fare anche per piccolo intestino il duodeno, ecc, ma nelle dispepsie quella che ci interessa è quella gastrica)
Mettiamo sondini nasogastrico sottili con elettrodi che posizioniamo sulla grande e piccola curvatura dove
vogliamo e registriamo le variazioni di potenziale: come nel cuore la presenza di onde di depolarizzazione e
ripolarizzazione è indice dell'attività cardiaca così nello stomaco, onde di depolarizzazione e ripolarizzazione
sono indice dell'attività dello stomaco.
Si registra con degli elettrodi a placca o ad ago sulla grande curvatura dello stomaco che si possono adattare
alle sonde manometriche. Registri le variazioni di potenziale, indici di attività dello stomaco.
L’attività elettrica coordina l’attività contrattile dello stomaco. Il punto di partenza non avviene come nel
cuore in un tessuto specifico, ma parte dalle stesse miocellule che depolarizzandosi spontaneamente
creano variazioni di potenziale (espressione dell’attività metabolica).
Tali variazioni vengono chiamate Potenziali elettrici di controllo (ECP).( se prendi 1 singolo punto)
L’insieme di successivi cicli di ECP costituiscono l’Attività elettrica di controllo (ECA).
Ricorda che:
Ogni gruppo di miocellule si depolarizza ritmicamente con una frequenza costante. Sulla grande curvatura
l’ECP cala in senso aborale fino all'antro-piloro da 3/3,5 cicli al minuto fino a 2/2,5. ( dal fondo all'antro). Le
miocellule a frequenza maggiore fungono da pace-maker. ( le cellule con più alta frequenza comandano su
quelle a più bassa). Pertanto l’ECA è uguale in ogni punto dello stomaco.(onda ritmica dello stomaco viaggia
a 3/3,5 cicli al minuto e visto che le contrazioni dello stomaco ci sono solo quando c'è questa onda qui, le
contrazioni sono al massimo a questa velocità dalle 3 alle 4 al minuto)
Ponendo una serie di elettrodi lungo la grande curvatura si osserva che l’ECP registrato in un punto è
anticipato rispetto a quello distale.
Ciò è l’espressione della propagazione dell’impulso che parte dalle cellule pace-maker.
E’ possibile registrare un altro tipo di onda : l’Attività elettrica di risposta (ERA). Questa è l’espressione di
una contrazione della muscolatura liscia.Se noi registriamo contemporaneamente l’attività elettrica e
pressoria dimostra la corrispondenza tra ERA e contrazione.Dal punto di vista elettrico consiste in potenziali
rapidi inseriti nella branca discendente dell’onda a lenta ripolarizzazione (ECA).Pertanto le contrazione dello
stomaco,in condizioni di normalità, non possono superare le 3/3,5 al minuto.
Se pensiamo di mettere elettrodi nei punti 4 e 1 sulla piccola e grande curvatura in alto ma allo stesso
livello, in tutti questi punti si ha una depolarizzazione contemporanea e quindi si ha un'ECA circolare.
Se noi poi andiamo a metterli invece nei punti 2 e 3 vediamo che man mano che ci avviciniamo da 1 e 4 in
cui si ha una depolarizzazione contemporanea a 2 e 3 si ha un ritardo, questo ritardo nella depol è quello
che mi determinerà un'ECA longitudinale. Che va dal fondo all'antro-piloro.
A) In alto: A :antro, P :piloro, D: duodenale, la freq è 3, 3,5 depolarizzazioni al minuto (non contrazioni)
B) in basso dopo somministrazione di gastrina nella branca discendente la freq è più alta: la gastrina
aumenta sia l'ECA , da 3,5 a 4,5-5, che l'ERA.

Meccanismi di regolazione dell’attività motoria dello stomaco:


Ricorda che Si attuano a diversi livelli con integrazione reciproca.
A livello miogeno, ad opera dell’attività elettrica della muscolatura liscia (visto adesso)
A livello ormonale, tramite gli ormoni gastrointestinali (vedi gastrina che aumenta l'ERA e l'ECA)
A livello neurogeno, per intervento della innervazione vegetativa.( attraverso il vago)
Questi sono i 3 meccanismi che regolano l'attività motoria e adesso vedremo come fanno ad integrarsi tra
loro.
Mentre l’attività elettrica coordina l’attività contrattile, il sistema neuro-ormonale innesca i processi
metabolici responsabili della contrazione. Perchè quando registriamo l'attività elettrica non valuti l'attività
motoria che si valuta se compare l'ERA, o se fai la registrazione onda pressoria, quindi l'attività elettrica
serve a coordinare, perchè ci sia la contrazione ci devono essere stimoli nervosi o ormonali.

Regolazione ormonale dell'attività contrattile.


Prima abbiamo visto la miogena, Si ritiene che lo stomaco nella sua attività di mescolamento e svuotamento
degli alimenti dipenda da un meccanismo intrinseco che subisce una regolazione di tipo prevalentemente
inibitore dal punto di vista ormonale.--> lo stomaco è prevalentemente inibito a livello ormonale.
Nelle fasi interdigestive (Quando ho finito la digestione): abbiamo soprattutto una regolazione nervosa
dell'attività contrattile.
Nelle fasi postprandiali : regolazione ormonale.
Quando introduciamo degli alimenti si mette in atto una regolazione ormonale dell'attività secretiva e
motoria, soprattutto secretiva in realtà.
I principali ormoni interessati a questa regolazione ormonale sono :
Gastrina : Induce un aumento di frequenza dell’ECA da 3 a 4,5 cicli al minuto, associato ad un marcato
aumento dell’ERA e di conseguenza anche del numero delle contrazioni.( perchè se aumenta l'ECA,
aumenta anche la possibilità di avere delle contrazioni)
La gastrina determina anche una precoce ed ampia attivazione elettrica dell’antro rispetto al corpo gastrico
provocandone una contrazione anticipata rispetto all’onda peristaltica che pertanto risulta meno efficace al
fine dello svuotamento. (nell' ipergastrinemia quindi accade che nonostante ci sia un'attività contrattile
aumentata, l'onda peristaltica si blocca e si verifica un rallentamento dello svuotamento per questa
contrazione precoce dell'antro rispetto al corpo)
E' interessante in alcuni stati di ipergastrinemia come quando diamo certi farmaci come gli antiH2 che
determinano un'ipergastrinemia ---> danno uno svuotamento rallentato
La gastrina è prodotta dalle cellule gastriche G ( 17 AA, antro- piloro) ma anche nel duodeno (big gastrin e
big-big gastrin= 34 aminoacidi, tanto che se noi la misuriamo nei pz gastrectomizzati è presente quasi come
nei non gastrectomizzati.
penta gastrina = ricorda: ultimi 5 AA della gastrina, è quella che si usa in terapia e nelle stimolazioni
diagnostiche, ma ha lo stesso effetto biologico della gastrina.Si usa quello perchè 5 aa si fanno prima a
sintetizzare.

Secretina: dalle cellule S, riduce sia l’attività contrattile che la velocità dello svuotamento gastrico.

CCK-Pz : (dalle cell. CCK ) ha un effetto discordante, generalmente inibente ma talora eccitante
( per competitività recettoriale con la gastrina con cui condivide gli ultimi 4 aminoacidi). Se agisce in modo
competitivo con la gastrina ha lo stesso effetto della gastrina --> aumenta la contrattilità gastrica, sennò la
inibisce. In entrambi i casi, però lo svuotamento risulta rallentato.(vedi prima per gastrina o per riduzione
contrattilità)

Secretina e CCK sono liberati dal duodeno vengono liberate per il chimo acido, l'acidificazione duodenale
porta a aumento di queste sostanze. Nei pz che prendono PPI e che non hanno acidità nello stomaco, non
avranno neanche la secrezione di secretina e CCK, mancandolo stimolo fisiologico dell'acidificazione
duodenale. Quindi questi pz avranno anche 1 deficit di secrezione di questi H, importanti per es per la
secrezione del pancreas esocrino.
La secretina induce la secrezione di H2O e bicarbonati del succo pancreatico, la CCK induce la secrezione
degli enzimi pancreatici. Presenta gli ultimi AA simili alla gastrina ---> compete con la gastrina o inibisce di
suo l'attività della gastrina.

Motilina : è diverso da tutti gli altri.


E' l’unico ormone che ha un effetto eccitante sulla motilità ma è limitato alle fasi interdigestive. Nel tratto
gastrointestinale vi sono numerosi altri ormoni ma più che sulla motilità agiscono sulla secrezione e sul
metabolismo. (nella motilità agiscono quelli che abbiamo visto prima). L’azione di questi ormoni si esplica
attraverso l’azione di mediatori finali che sono gli stessi che si incontrano nella Regolazione neurogena
(attraverso fibre vagali che vanno dal centro alla periferia e che possono essere sia simpatiche che
parasimpatiche agiscono liberando alcune sostanze che sono le stesse liberate quando ci sono questi
ormoni attivi, ma andiamo a vedere quali sono.
Regolazione neurogena
Le caratteristiche delle contrazioni gastriche sono determinate dall’attività elettrica (e questo l'abbiamo già
visto)
L’ampiezza e la frequenza sono modulate invece dalla stimolazione neuro ormonale.
L’evento iniziatore indispensabile è costituito dalla liberazione locale di acetilcolina. (cioè sia la stimolazione
ormonale che quella neurogena determinano la liberazione di Ach, tanto che l’atropina, anticolinergico o
vagolitico, blocca qualsiasi attività contrattile, si da in gastroscopia così inibisco ogni motilità e riesco anche
a incannulare la papilla del Vater se voglio fare un ERCP). Ach è il fattore chiave, in quanto la sua liberazione
è mediata sia dalla stimolazione ormonale che da quella neurogena.
Le vie nervose sono costituite dal nervo vago e dai nervi splancnici.
L’azione degli impulsi nervosi sulla muscolatura si esplica mediante la liberazione di neurotrasmettitori che
agiscono su recettori specifici che se inibiti o attivati danno un aumento o diminuzione dell'attività gastrica.
Sono stati individuati recettori :
- Colinergici
- Alfa e beta adrenergici
 Dopaminergici.

Lungo il vago decorrono fibre sensoriali afferenti (90%) e fibre efferenti di tipo colinergico ( eccitomotorie) e
di tipo adrenergico ( prevalentemente inibenti) e dopaminergico ( inibenti).
La stimolazione colinergica induce un aumento della motilità con la comparsa, sui tracciati
elettromanometrici,di ERA associate ad ampie onde pressorie in senso oro-aborale.(quindi un'aumento più
che del numero dell'ampiezza delle onde manometriche)
La stimolazione beta adrenergica riduce l’attività motoria con la scomparsa di ERA, e una disorganizzazione
dell’ECA( come se venisse fuori una fibrillazione atriale)
La stimolazione alfa adrenergica invece determina una risposta motoria inibente con riduzione dell’ERA
La stimolazione dopaminergica provoca una netta inibizione dell’antro e dell’ERA, mentre la frequenza
dell’ECA risulta aumentata con le caratteristiche di una tachicardia.Ma tutto sommato la velocità di
svuotamento gastrico risulta inibita.
Ecco questo per dirvi come sia complessa la regolazione della motilità gastrica, poi ognuno ricordi quello
che pensa.

Tappe funzionali della motilità gastrica


Quando introduciamo gli alimenti abbiamo 3 tappe fondamentali da ricordare:
1-Immagazzinamento.
Il cibo arrivato nello stomaco si dispone nel corpo fondo dove si attua un rilasciamento attivo della
muscolatura che consente di accogliere gli alimenti. Questo avviene attraverso meccanismi neuro ormonali.
La stimolazione dei meccano e chemo recettori locali da parte degli alimenti e liberazione di sostanze
ormonali scatena gli impulsi che inducono il rilasciamento muscolare, via nervo vago e neurotrasmettitore
dopaminergico. (Questo serve per avere una dilatazione, riflesso oro-vagale). La vagotomia tronculare
abolisce il rilasciamento recettivo.
2-Svuotamento. Dipende dalla forza e dalla frequenza delle contrazioni muscolari a loro volta legate
all’attività elettrica. Questa attività motoria ha lo scopo di mescolare col succo gastrico e triturare gli
elementi e passarli in duodeno. Importante lo spasmo del giunto antro-pilorico che se non si rilascia quello
quello non passa assolutamente niente.
3-Fase interdigestiva. E' interessante vedere cosa accade: a digiuno l’attività contrattile dello stomaco è
quasi assente. Vi è tuttavia una periodica attività contrattile che si verifica circa ogni 2 ore, inizia nel fondo
gastrico e raggiunge l’ileo. Sono stati chiamati Complessi motori migranti interdigestivi e hanno la funzione
di “ripulire” l’intestino dai residui alimentari e che non ci sia una sovrapposizione batterica e ci sia una
sterilità del digiuno, di mantenere costante la flora intestinale. Sono sotto il controllo della motilina e
l’introduzione del cibo arresta tale attività per 4-6 ore.
Se questa è la motilità dello stomaco ci si può chiedere se esistono delle patologie che la alterano:
Patologie disfunzionali motorie dello stomaco
Dispepsia funzionale (per regolazione nervosa autonomo, per es. Diabete da una neuropatia autonomica -->
anche delle dispepsie)
Gastrite da reflusso.se noi abbiamo un'incontinenza dell'antro pilorico per un'alterazione motoria e un
reflusso di bile nello stomaco avremo una gastrite, diversa da quella da ipersecrezione, in quanto gli sali
biliari sono detergenti e danno fastidio alla parte finale dell'antro-piloro---> atrofia e aggravamento della
situazione di quel pz.
Iper incontinenza pilorica
Incoordinazione motoria del giunto gastroduodenale ( ipocinesia gastrica o ipermotilità duodenale non
propulsiva o retropropulsiva).
Ulcera gastrica. (anche l'ulcera gastrica si può presupporre può essere una patologia motoria. Può essere
dovuta :
alterazione della barriera mucosa con retrodiffusione idrogenionica.--> Questo può accadere per
ipersecrezione o per una barriera insufficiente--> posso avere anche un'ulcera gastrica in situazione di
normosecrezione.
Qui invece si presuppone ci sia un'alterazione motoria e non secretiva che deriva dal fatto che vi sono siti
preferenziali delle ulcere gastriche che si formano nei punti di intersezione dei vari fasci muscolari, oppure
la presenza di alterazioni motorie del giunto antro-piloro-duodenale che mi darà un reflusso duodeno-
gastrico la bile altera la barriera gastrica e aumenta il pH e stimola le cellule G a produrre ulteriore gastrina
(per il feedback: se pH aumenta le cell G producono più gastrina)---> aumento secrezione HCl nel corpo-
fondo (perchè le cellule G sono lì)
Quindi anche l'ulcera gastrica si può presupporre che dipenda da alterazioni della motilità gastrica. Oltre
che dall'alterazione della barriera mucosa e da fattori lesivi.

Sbilanciamento tra fattori aggressivi e fattori di difesa


Suggestive ed ipoetiche disfunzioni motorie
Queste ultime si basano sui seguenti dati :
Sedi preferenziali delle ulcere gastriche
Esistenza di alterazioni motorie
Che a loro volta determinano
Reflusso duodeno gastrico ( con bile che altera la barriera mucosa e stimolazione delle cellule “G”,che
producono gastrina)
Ipomobilità dell’antro ( che provocando ristagno gastrico determina flogosi della mucosa e liberazione
eccessiva di gastrina).
Ulcera duodenale. Nella sua patogenesi prevalgono i fattori aggressivi retrodiffusione idrogenioni, ma
spesso sono presenti anche alterazioni motorie: spesso c'è un rapido svuotamento gastrico:HCl arriva non
ben tamponato dagli alimenti nel duodeno e lesiona la mucosa, e iperattività motoria del duodeno

Stenosi ipertrofica del piloro ( sia congenita che acquisita, secondaria ad ulcera)

Gastropatia ipocinetica ( o stasi gastrica). Somigliano all'atonia gastrica e sono situazioni in cui certi pz in
pieno benessere hanno un'alterazione acuta della motilità gastrica, con gastroparesi, gastrectasia, il pz
vomita, va incontro a disidratazione e se si prolunga nel tempo può dare mancato assorbimento ecc, ma di
solito si autolimita. Può essere idiopatica ,da incoordinazione o secondaria, neurogena o miogena

Gastropatia ipercinetica (o accelerato svuotamento gastrico) Può esser idiopatica o secondaria a : 1°


insufficienza pancreatica con ridotta produzione di monosaccaridi e pertanto minor produzione di ormoni GI
ad azione gastroinibente, 2° iperproduzione ormonale, gastrinoma,WDHA , 3° sequele chirurgiche dello
stomaco.

Atonia gastrica ( o pseudo ostruzione gatrointestinale)può manifestarsi in qualsiasi parte anche


nell'intestino, con blocchi dovuti ad alterazioni motorie funzionali. E’ una sindrome rara che si manifesta
acutamente determinando stasi gastrica intrattabile(distensione massiva,vomito,perdita di peso). Recede
spontaneamente per poi ripresentarsi ed è dovuta ad un aumento dell’ECA dell’antro distale rispetto a
quello prossimale. E’ ereditaria.

Patologia motoria post-chirurgica : è per alterazione dell'anatomia vagotomia e gastroresezione La


vagotomia tronculare ( che una volta era fatta per curare l'ulcera gastrica, se ne vedono) determina :
temporanea disorganizzazione dell’ECA con rallentamento della conduzione elettrica che clinicamente si
manifesta con gastroparesi post- intervento e allungamento del periodo di svuotamento gastrico--> i pz
riferiscono che non digeriscono bene ecc

La vagotomia selettiva determina : visti i danni della precedente, hanno provato a fare questa, sezionando
solo i rami del vago che innervano il corpo-fondo dove ci sono le cellule che producono HCl, ma veniva a
mancare il rilasciamento recettivo soprattutto per liquidi---> svuotamento accelerato per i cibi liquidi, che
sono regolati dalla pressione vigente nel corpo fondo gastrico.

I disturbi provocati dalla gastroresezione trovano origine:


poteva essere più o meno ampia: BIRET(?)1:senza tagliare il duodeno si fa un'anastomosi tra 1 ansa
digiunale e fondo dello stomaco. 2 : anastomosi diretta tra stomaco e duodeno ecc
In questa situazione si hanno lesioni anatomiche con:
1°Riduzione del volume gastrico con limitazione della funzione di deposito e ridotta capacità di diluizione e
mescolamento.
2°Riduzione della acidità perchè manca corpo-fondo e a sua volta determina inquinamento batterico e
irritazione della bile con atrofia della mucosa residua e aggravamento della ipocloridria
3°Alterato svuotamento gastrico per annullamento della funzione antro pilorica duodenale
4°Perturbazioni della fase bilio pancreatica e intestinale della digestioneche è dovuta a) scarsa liberazione di
secretina e CCK-Pz,determinata dalla ipocloridria b) asincronismo tra svuotamento rapido e più tardivo
arrivo nel digiuno dei secreti biliopancreaticic) invasione batterica digiunale
---> alterazioni extragastriche come dell'assorbimento.

Sindromi cliniche post gastroresezione


Si vedono spesso
Sindromi post prandiali precoci (sindrome da damping=passaggio rapido)
Si possono vedere 3 ordini di fattori patogenetici:
Effetto neuroriflesso che provoca variazioni del tono e della peristalsi intestinale, variazioni della frequenza
cardiaca, vasodilatazione nel territorio mesenterico (tutte per aumento di ormoni intestinale spttutto VIP)
Effetto osmotico che provoca : ipovolemia,riduzione del ritorno venoso,diminuzione della gittata
sistolica,ipotensione,riduzione flusso cerebre,sincope (dopo mangiato hanno 1 sincope per riflesso vago-
vagale, alterazione assorbimento liquidi e ipovolemia)
Effetto umorale con liberazione di ormoni attivi (bradichinina,serotonina,VIP..)
Diarrea post prandiale precoce
Sindrome da stomaco piccolo

Sindromi post prandiali tardive (ipoglicemia) pz gastroresecati che dopo 2 ore dal pasto ho sudorazione
profuse anche fino al coma perchè il passaggio rapido di cibo dallo stomaco al piccolo intestino mi
determina liberazione soprattutto a livello basso del piccolo intestino di GLP1, ormone che stimola la
secrezione insulinica : per un rapido svuotamento gastrico.
Ulcere post anastomotiche

Sindromi da deficit di digestione ed assorbimento( statorrea, anemia sideropenica e/o


megaloblastica,osteoporosi)
Neoplasia del moncone Importante, spesso dopo 20 anni dalla gastroresezione.

Finora abbiamo parlato delle dispepsie funzionali che dipendono da alterazioni della motilità gastrica, ma ci
sono anche quelle da alterata secrezione gastrica:

Secrezione gastrica
La secrezione gastrica (acqua, HCL, pepsinogeno, fattore intrinseco e altre sostanze) è sotto l’influsso di
sostanze stimolanti e inibenti che avvengono a 3 diversi livelli della digestione. In tutte queste 3 fasi
troviamo una stimolazione e una inibizione della secrezione gastrica. Ogni sogg normale nelle 24 ore
secerne circa 1,5 litri di succo gastrico, 2 litri di succo pancreatico e 3-4 di succo enterico--> notevole! E
vengono tutti riassorbiti a livello del colon per fortuna...

1-Fase cefalica. Stimolando centri corticali, limbici, ipotalamici e spinali si può avere sia stimolazione che
inibizione. Vista (pasticceria), odore,masticazione del cibo, attraverso la via vagale, stimolano la secrezione
clorido-peptica ( attraverso la stimolazione diretta delle ghiandole oxintiche mediante la liberazione di
acetilcolina, sia stimolando direttamente le cellule”G”) che non è che faccia bene...perchè è
un'ipersecrezione. Cmq vedremo dopo che ci sono anche sostanze inibenti la secrezione di HCl.
2-Fase gastrica. La secrezione di HCl viene provocata da 3 ordini di fattori diversi : chimici ( alcuni cibi,
peptoni che sono primi prodotti di degradazione delle proteine, alcol, ma anche sali biliari, determinano la
liberazione di istamina, che è l'ultimo mediatore per fare la secrezione di HCl a livello delle cellule del
fondo); meccanici (la semplice distensione gastrica da parte dei cibi determina la liberazione di gastrina via
vago-vagale); nervosi (la stimolazione vagale determina la liberazione di gastrina tramite la liberazione di
acetil-colina che poi darà la liberazione di istamina perchè sembra che sia l'ultimo mediatore).
La fase gastrica è la più importante!
Anche nella fase intestinale si ha secrezione acida!
Fase intestinale Si è visto negli animali che l’introduzione diretta di alimenti in digiuno provoca la
liberazione di sostanze che stimolano la secrezione clorido-peptica. Soggetti con ampie resezioni intestinali
presentano aumento della gastrina circolante e quindi della secrezione acida ( la gastrina è eliminata sia per
via renale ma anche per via intestinale, in questo caso l'aumento è dovuto sia per diminuita inattivazione di
gastrina sia per la mancanza di fattori inibenti)
Controllo delle cellule “ G “, sono le cellule che producono gastrina e che si trovano nell'antro-piloro, (si
trovano anche nel duodeno ma lasciamo perdere, si trovano anche nel pancreas endocrino, le isole
pancreatiche contengono cell alfa, beta, delta e cell indifferenziate che possono differenziarsi in cellule
producenti gastrina, motivo per cui i gastrinomi sono neoplasie secernenti gastrina in realtà siano per lo più
in sede pancreatica!)
Controllo della secrezione di gastrina:
La secrezione di gastrina è controllata da numerosissimi fattori sia stimolanti che inibenti e che possono
manifestarsi nelle 3 fasi!
Fattori stimolanti:
Nella fase cefalica : i fattori stimolanti sono meccanismi colinergici centrali, adrenalina

Nella fase gastrica: sostanze bombesino simili (la bombesina è un ormone gastro-intestinale), distensione
antrale, aumento Ph endoluminare, aminoacidi, peptoni.

Nella fase intestinale: bombesina è un ormone simile alla gastrina che stimola la secrezione clorido-peptica
durante il passaggio del cibo dallo stomaco all'intestino.

Altri fattori stimolanti: calcio ( ricorda il calcio che stimola le cellule G e la secrezione acida, 1 litro di latte
contiene 600 g di calcio, che aumenta la secrezione gastrica), magnesio, cortisonici, STH, ACTH, PRL,insulina.

Una volta il latte era usato come rimedio per l'ucera...in realtà il calcio aumenta la secrezione acida, tuttavia
il latte è ancora usato come rimedio, quindi vuole dire che tanto male non fa! Da una parte stimola le cellule
G, ma nel latte ci sono proteine che tamponano il pH acido che c'è aumentandolo, forse hanno la prevalenza
sul meccanismo mediato dal calcio.---> cmq non sarebbe indicato.)
Cortisonici: è nota la capacità del cortisone di dare ulcere gastro-duodenali, sia esogeno, cioè da farmaci, sia
chi ha un cortisone endogeno elevato, per capirci nel Cushing.
Insulina di per sè non stimola la secrezione clorido-peptica, ma le ipoglicemie che l'insulina determina
attivazione del nervo vago che aumenta la secrezione clorido-peptica.

Fattori inibenti: importanti perchè alla fine la secrezione clorido-peptica è un equilibrio tra fattori stimolanti
ed inibenti.
Nella fase cefalica : fattori inibenti sono la sostanza P che è un ormone gastro-intestinale presente anche a
livello cerebrale (= pain, perchè si è visto essere mediatore della trasmissione degli stimoli dolorosi, ma ha
anche molti effetti di tipo gastrico e della motilità ), VIP, noradrenalina.

Nella fase gastrica: importante perchè questa fase è il nocciolo della questione sia per i fattori inibenti che
stimolanti. La somatostatina (è un ormone prodotta normalmente dalle cellule delle isole pancreatiche ma
anche in abbondanza nello stomaco dove ha la capacità di inibire la secrezione clorido-peptica dello
stomaco, tanto che la somatostatina, o meglio l'octreotide (gli ultimi 8 aminoacidi della somatostatina
sintetizzati e in commercio) si usa nella terapia delle ulcere gastro-duodenali sanguinanti), VIP, diminuzione
Ph antrale

Nella fase intestinale: secretina (inibisce la secrezione), bulbogastrone ( detto così perchè si trova a livello
del bulbo in realtà si potrebbe chiamare EGF: epidermal growth factor e si trova nelle ghiandole del
Brunner intestinali), Tanto che nelle ulcere da FANS classicamente da indometacina, agiscono soprattutto a
livello delle ghiandole del Brunner e agiscono inibendo la secrezione del bulbogastrone---> inibiti i fattori
inibenti.
VIP,glucagone,GIP, SST, CCK, ceruleina

Visto che abbiamo parlato della gastrina come ormone principale, vediamo anche le azioni al di fuori della
secrezione clorido-peptica, che sono diverse:
Azioni della gastrina su vari organi
Esofago : Livelli elevati di gastrina rinforzano la contrazione del LES (aumenta il tono dello SEI)
Stomaco: Stimola : la secrezione acida,la secrezione peptica e la motilità antrale. Inibisce : la contrazione
dello sfintere pilorico.
Tenue : stimola la motilità
Pancreas: visto che assomiglia un pochino alla CCK stimolerà la secrezione alcalina, cioè acquosa
(moderatamente), e la secrezione enzimatica (fortemente)
Fegato: stimola (moderatamente) il flusso biliare e la contrazione della colecisti
Circolo : abbassa la tensione arteriosa.
Come vedete la gastrina ha anche molti effetti extra-gastrici.
Abbiamo visto prima la motilità gastrica e diversi metodi di indagine del funzionamento della motilità
gastrica, ora abbiamo visto la secrezione gastrica e vediamo i metodi per studiare la secrezione gastrica, cioè
vedere se un pz è normosecretivo, ipersecretivo o iposecretivo.
Esplorazione funzionale della secrezione gastrica
Si attua tramite “sondaggio gastrico” e ci permette di
1° determinare lo stato secretivo di un pz ulceroso (perchè la terapia dell'ulcera usata oggi è di ridurre la
secrezione peptica con gli antiH2, ma ci possono essere pz iposecretivi con un danno per lo più alla
barriera--> bisogna proteggere la parete dando prostaglandine (aumenti le difese!!)e non togliere l'acido
che sarà per lo più normale. Quindi di fronte a un paziente con ulcera gastrica andrebbe fatto prima uno
studio della secrezione per vedere se bisogna inibire la secrezione gastrica con antiH2 o proteggere la
parete.
2° dimostrare la presenza di iper-ipo o acloridria gastrica.
3° diagnosticare una sindrome di Zollinger-Ellison( ne abbiamo parlato prima, è il gastrinoma. Si può fare
diagnosi con questo esame, se i fai solo una TC e c'è solo un'iperplasia e non ancora un adenoma non la
vedi!)--->si studia bene con questo esame.
4° valutare l’efficacia di un'eventuale vagomia, ma lasciamolo perdere perchè oggi non si fa più.

Modalità nell’esecuzione dell’esame: paziente a digiuno, a letto sul fianco sx in modo che la grande
curvatura sia sul fianco sx, introduciamo un sondino naso-gastrico per 60 cm in modo da arrivare alla grande
curvatura dentro, la produzione di HCl si raccoglie nella grande curvatura e noi vi peschiamo col sondino. (in
un pz normale a digiuno al mattino troverai circa 50 cc di liquido). Una volta posizionato sng butti via il
liquido che trovi poi lo si tiene in sede per 1 ora senza fare nulla per vedere la secrezione basale di HCl (in
un ora circa 50-60 cc se nelle 24 ore è 1 litro e mezzo )

Poi stimoli la secrezione: la puoi fare in diversi modi, quello migliore è quello più vicino al fisiologico, cioè
con la gastrina.
Gli stimoli usati per l’esecuzione del test sono:
1° pentagastrina ( 6 micro grammi x Kg di peso)--> oggi si usa questa, ultimi 5 aa della gastrina.
2° istamina ( 40 micro grammi x Kg di peso) non si fanno più, dal punto di vista solo teorico.
3° insulina / 0,2 U xKg di peso) perchè determina ipoglicemia e aumento secrezione acida. (vedi prima, ma
non si usa).
Dopo la prima ora allora inietti gastrina e raccogli il succo gastrico per 1 altra ora. Quindi mandi in
laboratorio il succo gastrico nella prima ora basale e poi nella seconda ora. Come si valuta?
La valutazione dell’attività secretiva si esegue valutando la:
Portata acida che si esprime in mEq di HCL secreti in 1 ora.
Si possono determinare i seguenti parametri:
BAO ( basal acid output) valori normali 1-4 mEq/ora: Esprime la quantità di HCL secreta darante la prima
ora basale senza stimolazione, se iposecretivo ne avrà 0,5, se iper ne avrà di più.
MAO (maximal acid output) valori normali 20 +/- 6 mEq: esprime la quantità di HCl secreta durante la
prima ora dopo stimolazione.
Questi sono i due parametri principali. In realtà quando si raccoglie il succo per 1 ora, si fanno delle raccolte
ogni 15 min(cioè 4 raccolte da 15 minuti) e si valuta la secrezione acida dei quarti d'ora. Questo si fa
perchè spesso i soggetti con ulcera gastrica hanno un MAO praticamente normale cioè durante la prima ora
di secrezione, ma se vai a fare il PAO (cioè picco), durante l'ora di stimolazione il BAO è normale, ma se vai a
fare il PAO ho un picco molto più alto del normale. Per cui il PAO sembra essere il responsabile della
ipersecrezione cloridrica che non è ipersecretiva in assoluto ma relativa al quarto d'ora.
PAO ( peak of acid output) valori normali 22 +/- 6 mEq: esprime la media dei 2 valori acidi più elevati.
Il TAO lo lasciamo perdere perchè è relativo alla secrezione dopo stimolazione di insulina.
TAO ( total acid output) valori normali 23 +/-6 mEq: esprime l’intera secrezione cloridrica nelle 2 ore
successive alla stimolazione insulinica.

Correlazioni tra gastrinemia e acidimetria.


Abbiamo la possibilità in questi soggetti anche di andare a dosare la gastrina ( valori normali 50+/-20
picog/ml).in realtà si può arrivare anche a 80-90 nella normalità.
Abbiamo 2 situazioni diverse:
Ipergastrinemia con ipercloridria:
- Stenosi pilorica: ovviamente determina un ristagno di alimenti che danno stasi e dilatazione dello stomaco
con ipersecrezione di gastrina e se corpo e fondo funzionano avremo anche un' iperstimolazione della
secrezione acida.
- Antro ritenuto o escluso: situazioni anatomiche particolari post-chirurgiche per cui gli alimenti non
bagnano l'antro per cui non abbiamo la situazione di feedback normale e avremo una continua produzione
di HCl.
- Iperplasia G antrale: fa parte di una forma particolare di Zollinger Ellison. (In realtà esistono 2 tipi di
sindrome di Zollinger-Ellison: la Z-E 2: che è quella da neoplasia del pancreas, la Z-E 1 che è quella con
iperplasia G antrale.
- Sindrome di Zollinger-Ellison
- Ritardata degradazione gastrinica (insufficienza renale e nelle resezioni intestinali) i pz in dialisi prendono
tutti gli inibitori di pompa, perchè la gastrina è eliminata per via renale e in corso di IR possiamo avere
un'ipergastrinemia. La stessa cosa può succedere nelle ampie resezioni intestinali, perchè la gastrina è
eliminata dall'intestino.
 Insufficienza respiratoria cronica interessante, perchè abbiamo un aumento delle catecolamine per
lo stress importante e la beta stimolazione determina una stimolazione cellule G--> ipersecrezione clorido-
peptica e si possono fare delle ulcere gastriche. Esempio: nei pz BPCO possono esserci delle dispepsie
ipersecretive.
Ma ci sono anche pz con:
ipergastrinemia con ipocloridria:quando per qualunque motivo questi pazienti hanno un'alterazione del
corpo o fondo gastrico, dove avviene la produzione di HCL:
- Gastriti croniche (corpo e fondo gastrico), la riduzione Hcl--> aumento pH--> aumento gastrina che non
produrrà HCl...
- Vitiligo (è sempre associata a 1 atrofia del corpo-fondo--> chi ha 1 vitiligo estesa probabilmente avrà anche
una dispepsia dovuta a questa alterazione particolare del corpo)
- Anemia perniciosa (o anemia di Birmer, per far diagnosi basta fare dosaggio della gastrina che sarà alta
perchè nell'anemia perniciosa ho una gastrite del corpo-fondo dove si produce anche fattore intrinseco e
aumento della gastrina a meno che non ci sia una lesione del corpo fondo ma per Ac anti Fattore
Intrinseco)
- Ulcera gastrica o neoplasia gastrica del corpo e fondo: alterazione del corpo e del fondo quindi no HCl
- Vagotomia abbiamo già visto.
- Vipoma (neoplasia che secerne VIP in cui abbiamo 1 ipocoridria perchè il VIP inibisce la secrezione di HCl)

Ci possono essere anche sindromi dispeptiche con gastrina molto bassa. In questo caso avremo una gastrite
atrofica diffusa. La ipogastrinemia (gastrite atrofica diffusa) si associa sempre a ipoachilia.
Per quello che riguarda la fisiopatologia della dispepsia poi rimane il fatto che noi alla fine però ci troviamo
sempre davanti il nostro paziente dispeptico...
Come comportarsi davanti a 1 pz con sintomi dispeptici?
In generale:
Se uno riferisce sintomi dispeptici e sta male, ma arriva con una cartella enorme ed è passato da tanti
medici--> pensi ad una dispepsia funzionale, ma bisogna stare attenti se cambiano improvvisamente le
caratteristiche dei sintomi---> vale la pena di fare qualche esame...perchè anche chi ha la sindrome
dispeptica da tanto tempo può ammalarsi di una neoplasia del digerente...vanno comunque ascoltati!
importante cercare di vedere se questi disturbi anche in modo subdolo cambiano caratteristiche...per poter
un pò orientarci.
Se è da poco tempo che è comparsa la sintomatologia dispeptica---> pensi a una causa organica e fai tutte le
indagini viste nelle prime diapositive per valutare eventualmente la presenza di una neoplasia o qualcosa di
organico del digerente o extradigerente.
Quindi in linea generale valuta: recente/non recente con anamnesi
Se ci si decide per una dispepsia funzionale sarebbe bene fare comunque qualche esametto come il Breath
test con acido octanoico per vedere se ha uno svuotamento accelerato o lento perchè abbiamo visto come
le dispepsie motorie possono essere dovute sia a transito accelerato che ridotto.
Se è accelerato daremo alcuni farmaci sintomatici, sennò ne daremo altre!!
Se è una dispepsia su base secretiva: adesso normalmente si danno sempre gli inibitori di pompa protonica
(PPI), ma se è ipocloridrica possono far peggio!! Vanno bene nelle dispepsie ipercloridiche, ma se uno ha
una dispepsia ipocloridica come nella atrofia del corpo-fondo gastrico dovremo dare dell'acido cloridrico e
non i PPI! Infatti in commercio c'è l'acidoipepsina che sono soluzioni contenente acido e pepsina che è
quello prodotto dal fondo gastrico che, essendo atrofico, viene a mancare.
Se uno ha una dispepsia e ha la vitiligo non ci deve mai venire in mente di dargli i PPI ma acidoipepsina,
perchè la vitiligo è spesso associata a una gastrite atrofica.
Per la diagnosi c'è un kit chiamato gastropanel che determina alcune cose che possono interessare la
dispepsia in generale. Si possono mettere

Valutazione gastrica mediante KITGastropanel


Su un prelievo ematico il KIT determina
Anticorpi anti helicobacter pylory (se ha senso eradicarlo è ancora in discussione, anche perchè è presente
nel 70% -80% delle persone adulte senza sintomatologia. Invece in altre c'è associata l'ulcera gastrica. Allora
in questo caso, se lo trovo a livello istologico ha senso eradicarlo con antibiotici e PPI! Invece è ancora
aperta la questione se sia da eradicare in assenza di sintomatologia e di segni di gastrite all'esame bioptico. )
Gastrina 1-17 ( è quella prodotta dall’antro gastrico)
Pepsinogeno 1(è prodotto dal fondo e corpo gastrico)
Pepsinogeno 2 (è prodotto anche dalle ghiandole antroduodenali) a seconda della combinazione della
presenza di gastrina e di pepsinogeno o meno snoi riusciamo a vedere se la lesione è a livello del corpo-
fondo gastrico o se è a livello antrale. Se c'è la lesione.

La terapia: (praticamente non esiste, sono malati che girano per tanti medici e hanno provato molti farmaci.
Tra i farmaci più usati ci sono i procinetici, e fra questi è meglio il peridon (domperidone) rispetto alla
cloropropamide o plasil che può dare attivazione extrapiramidale (movimenti coreici!) meglio usarli a basso
dosaggio e non per periodi prolungati.
antisecretivi: stare attenti se c'è un'ipersecrezione.
Dare Acidoipepsina se c'è un'iposecrezione. (magari la farmacista vi guarda male se glielo chiedete perchè
non si vende più, ma esiste e ve lo può preparare)
Poi si stanno valutando altri farmaci per pz particolari con una spiccata sensibilità: magari patofobici: si può
mandarli dallo psicologo o provare con le benzodiazepine e sostanze psicotrope.
Alla fine se la dispepsia è funzionale il problema non si risolve, mentre se è organica bisogna stare attenti a
fare una bella diagnosi differenziale perchè si possono prendere delle cantonate.

Malattia infiammatoria intestinale


Il termine malattia infiammatoria intestinale (infiammatori bowel disease: IBD) generalmente si riferisce
principalmente a due patologie idiopatiche: la retto colite ulcerosa ed il morbo di Crohn. La colite ulcerosa
è caratterizzata da una serie di modificazioni infiammatorie che coinvolgono la mucosa del colon in modo
superficiale e continuo, generalmente a partire dal retto ed estendendosi prossimalmente. A seconda del
grado
di malattia, la colite ulcerosa può essere suddivisa in proctite (coinvolgente solo il retto), proctosigmoidite,
colite sinistra (che si estende sino alla flessura splenica), e pancolite.
A differenza della colite ulcerosa, il morbo di Crohn può coinvolgere qualsiasi segmento del sistema
gastrointestinale, spesso in modo discontinuo. La malattia è caratterizzata da un'infiammazione
transmurale, che determina una serie significativa di complicanze, tra cui ascessi, fistole e restringimenti.

CAUSE
Sebbene le cause precise della malattia infiammatoria intestinale rimangano al momento sconosciute,
grazie ai recenti progressi nella comprensione dei fattori genetici, immunologici ed ambientali alla base di
questa complessa sindrome, si sta iniziando a decifrarne I'eziologia. Allo stato attuale, la teoria più fondata
sulla patogenesi della malattia infiammatoria intestinale è quella basata sulla disregolazione dei normali
processi immunologici intestinali. Tale disregolazione dà luogo ad una risposta immune esageratamente
aggressiva,
nella maggior parte dei casi diretta verso la flora batterica intestinale dell'individuo stesso o verso altri
fattori ambientali sconosciuti.

 Colite ulcerosa
La colite ulcerosa è caratterizzata da un'infiammazione cronica della superficie mucosa, che coinvolge il
retto (proctite) e si estende prossimalmente nel colon in maniera continua. La maggioranza dei pazienti
esibisce inizialmente diarrea , dolore addominale, urgenza alla defecazione, sanguinamento rettale, e
passaggio di muco dal retto. I pazienti presentano occasionalmente alcune manifestazioni extraintestinali
prima dello sviluppo dei sintomi intestinali.
Il decorso clinico tipico della malattia è costellato di esacerbazioni intermittenti, seguite da periodi di
remissione. I segni di peggioramento clinico includono lo sviluppo di dolore addominale, disidratazione,
febbre e tachicardia. Le caratteristiche cliniche come defecazione frequente, febbre, aumento della
frequenza cardiaca e sangue nelle feci, oltre al rilievo di anemia e di un'elevata velocità di
eritrosedimentazione, vengono utilizzate per stabilire il grado di severità della malattia.
COMPLICANZE PRINCIPALI

Megacolon tossico e/o perforazione


I1 megacolon tossico è caratterizzato da un’ampia dilatazione dell'intestino crasso associata a febbre,
dolore addominale, disidratazione, tachicardia e diarrea sanguinolenta, che possono richiedere un
intervento chirurgico urgente. In caso di megacolon tossico o nei pazienti con colite attiva, specialmente se
trattati con corticosteroidi, può verificarsi una perforazione.

Anemia
L'anemia è causata dal sanguinamento significativo a livello del colon, cosi come dalla soppressione del
midollo osseo causata dalla condizione infiammatoria. I casi di emorragia massiva sono rari.

Adenocarcinoma del colon


I1 rischio di cancro del colon è aumentato nei pazienti con colite ulcerosa. La colonscopia di controllo
associata a prelievo bioptico di monitoraggio va effettuata ogni 2 anni dopo 8 anni di malattia nei pazienti
con pancolite, e dopo 12-15 anni di malattia nei pazienti con colite sinistra; dopo 20 anni di malattia si
procede ad una cadenza annuale di monitoraggio. In caso di riscontro di displasia, (al di fuori
del contesto di un polipo del colon), un precursore del cancro, è da raccomandare una colectomia. La
proctite non è associata ad un incremento del rischio di cancro.

 Morbo di Crohn
Può coinvolgere qualsiasi porzione del tratto gastrointestinale e, diversamente rispetto alla colite ulcerosa,
l'infiammazione del morbo di Crohn è transmurale, e la parete dell'intestino appare ispessita, fibrotica e
caratterizzata da restringimenti. La superficie mucosa può presentare un aspetto
“acciottolato"( cobblestoning),
correlato con l'edema, con ulcerazioni lineari. Possono svilupparsi fessurazioni profonde che possono dar
luogo a micro-perforazioni e alla formazione di tratti fistolosi. La malattia può avere una distribuzione
continua, ma spesso è caratterizzata dalle cosiddette skip lesion, con segmenti intervallari di tessuto
intestinale normale. I1 mesentere può presentare un’infiltrazione di grasso, conosciuto col termine di
grasso pericolico.
La malattia è spesso già presente per mesi o anni prima della diagnosi, e nei bambini l'unico segno evidente
può essere un ritardo della crescita.
La modalità di distribuzione del morbo di Crohn può essere di tre tipi principali:
 La forma più comune è quella ileocecale, che coinvolge la porzione distale del piccolo intestino
(ileo terminale) ed il tratto prossimale del grande intestino: il morbo di Crohn ileocecale può
mimare molte altre patologie, tra cui l'appendicite acuta. I sintomi comuni includono dolore
addominale localizzato al quadrante inferiore destro, febbre, perdita di peso ed alcune volte la
presenza di una massa infiammatoria palpabile. L'infiammazione cronica, che conduce alla fibrosi
ed alla formazione di restringimenti del lume, può esitare in un'ostruzione intestinale parziale o
completa, che possono manifestarsi clinicamente con dolore e distensione addominale, nausea e
vomito. Siccome la vitamina B12 ed i sali biliari vengono assorbiti a livello dell'ileo terminale, il
morbo di Crohn ileocecale o la resezione dell'ileo terminale possono condurre ad un deficit di
vitamina B12 ma anche di altre vitamine liposolubili (A, D, E, e K), come risultato del
malassorbimento dei sali biliari.
 La seconda modalità di distribuzione del morbo di Crohn è caratterizzata dal coinvolgimento
dell'intestino tenue, specialmente della porzione terminale dell'ileo. E’ possibile lo sviluppo delle
medesime complicanze, incluse le fistole, che possono formarsi tra differenti segmenti
dell'intestino, tra intestino ed epidermide, tra intestino e vescica, e tra intestino e vagina.
 La terza modalità di presentazione è confinata a1 colon. Sebbene la malattia spesso risparmi il
retto, il 30-40% dei pazienti pub sviluppare un disagevole coinvolgimento della zona perianale, con
fessurazioni, fistole e ascessi. La diarrea è la conseguenza più frequente.
 Le modalità di distribuzione rimanenti del morbo di Crohn sono rare (5%) e includono l'esofago, lo
stomaco ed il duodeno.

COMPLICANZE PRINCIPALI

Stenosi o (restringimento) dell'intestino tenue o del colon


La stenosi può condurre ad un'ostruzione intestinale o ad una stasi con iperproliferazione batterica.
Malattia (o resezione) estesa della mucosa ileale
Una malattia estesa della mucosa ileale può condurre a malassorbimento di vitamina B12 (che se non
corretta determina un'anemia megaloblastica ed una serie di effetti neurologici) e di sali biliari (che
determina diarrea indotta dai sali biliari non assorbiti ed un potenziale deficit di vitamine liposolubili).
La perdita di peso può risultare da un malassorbimento generalizzato causato dalla perdita di superficie
assorbente.

Fistole
L'infiammazione transmurale può determinare un drenaggio spontaneo negli organi adiacenti adiacenti, o
può condurre alla formazione di ascessi attorno all'intestino o a livello di altri tessuti circostanti.

Calcoli renali di ossalato di calcio

Carcinoma

Emorragia massiva
L'emorragia massiva è rara nel morbo di Crohn.

DIAGNOSI
I test di laboratorio non sono specifici e di solito riflettono uno stato infiammatorio (leucocitosi) e/o
un'anemia. L'anticorpo anticitoplasma dei neutrofili perinucleare (p-ANCA) è positivo ne170% circa dei casi
di colite ulcerosa, ma è raramente positivo nei pazienti con morbo di Crohn, mentre gli anticorpi anti-
Saccharomyces cerevisiae (ASCA) sono di comune riscontro nel morbo di Crohn ma sono rari nella colite
ulcerosa.
Questi test sierologici comunque non sono abbastanza sensibili o specifici da essere utilizzati di routine.
L'esame delle feci per la ricerca di uova e l'identificazione di eventuali parassiti, ed i test di identificazione
della tossina del Clostridium difficile e degli enterobatteri patogeni,vanno effettuati per escludere
l'evenienza di infezioni che mimano la malattia infiammatoria intestinale.
La colonscopia è fondamentale per la diagnosi e mostra alterazioni anatomopatologiche di entità variabile
in relazione al grado di severità della malattia.
Nel morbo di Crohn la radiografia dell'intestino rappresenta tradizionalmente il metodo d'indagine
migliore per l'esame del digiuno e dell'ileo, sebbene si stia facendo recentemente sempre maggior ricorso
all'endoscopia con
video-capsula.
La TAC permette di valutare l’ispessimento della parete intestinale, con l’infiammazione circostante,
nonché gli eventuali ascessi intra-addominali e le fistole.
La biopsia completa l’iter diagnostico.

MANIFESTAZIONI EXTRA-INTESTINALI
Sebbene sia la retto colite ulcerosa che il morbo di Crohn coinvolgano primariamente l'intestino, esse si
associano ad una serie di manifestazioni infiammatorie localizzate in altri organi; la manifestazione extra-
intestinale di più comune riscontro è l'artrite, di cui sono stati identificati due tipi principali. Il primo tipo
rappresenta una forma di artrite periferica, asimmetrica, sieronegativa, oligo-articolare, non deformante,
che
colpisce le grandi articolazioni (circa 20% dei pazienti). Questa forma di solito decorre parallelamente alla
malattia del grande intestino e perdura solo per poche settimane.
La seconda forma di artrite ha una localizzazione assiale, ed il suo decorso non corrisponde a quello della
malattia intestinale. Consiste di una sacro ileite e/o di una spondilite anchilosante.
Si registrano , inoltre, manifestazioni cutanee: pioderma gangrenoso ed eritema nodoso; complicanze
epatobiliari: colangite sclerosante primaria, colelitiasi, epatite autoimmune; complicanze oculari: uveite
ed episclerite; miscellanea: stati di ipercoagulabilità, anemia emolitica autoimmune, amiloidosi.

OPZIONI DI TRATTAMENTO

Grado di severità della malattia Rettocolite ulcerosa Morbo di Crohn


Lieve Composti a base di acido 5- Composti a base di acido 5-
aminosalicilico per via orale e aminosalicilico per via orale e
topica topica
Antibiotici
Dieta essenziale

Moderato Composti a base di acido 5- Composti a base di acido 5-


aminosalicilico per via orale e aminosalicilico per via orale e
topica topica
Steroidi per via orale Antibiotici
Azatioprina, 6- mercaptopurina Budesonide o steroidi per via
orale
Azatioprina, Metotrexate,
Infliximab, 6- mercaptopurina

Severo Steroidi per via endo, Steroidi per via endovenosa


Ciclosporina, Azatioprina, 6- Azatioprina, Infliximab, 6-
mercaptopurina, Chirurgia mercaptopurina, Chirurgia

Nefropatie

Approccio al paziente nefropatico

A) Anamnesi
1. alterazioni della diuresi e della minzione:
poliuria: > 2.000 ml di urina/die, oliguria: < 500 ml di urina/die, anuria: < 100 (200) ml di urina/die;
pollachiuria: minzione frequente, tenesmo vescicale, spesso in caso di cistite; stranguria: minzione dolorosa
in caso di cistite e uretrite; disuria:
minzione difficoltosa/debole in caso di disturbi dello svuotamento vescicale (ad es. adenoma prostatico)

2. dolori di origine renale


— l’insorgenza acuta di una colica renale (tipicamente il dolore si irradia ai genitali accompagnandosi a
tenesmo vescicale ed ematuria) suggerisce la presenza di un calcolo nell’uretere
— dolore gravativo, continuo, in regione lombare e/o alla percussione locale: ad es. nella pielonefrite
3. edemi (glomerulonefrite, sindrome nefrosica, insufficienza renale)
4. cefalea (provocata ad es. da ipertensione, pielonefrite, insufficienza renale)
5. febbre (in caso di pielonefrite acuta)
6. precedenti affezioni.

B) Reperti obiettivi
— pallore (ad es. anemia di origine renale)
— cute color caffelatte (anemia con deposito di cataboliti azotati in caso di uremia)
— fetore uremico
— edemi
— fibrillazioni muscolari, fascicolazioni alla percussione del muscolo (ad es. da ipopotassiemia)
— ipertensione
— soffio stenotico paraombelicale (ad es. per stenosi dell’arteria renale)
— sfregamento pericardico (ad es. uremia)
— toni cardiaci parafonici, stasi giugulare (ad es. a seguito di versamento pericardico in corso di uremia)
— tachipnea, rantoli (ad es. quale indice di edema polmonare alveolare nell’insufficienza renale con
ritenzione idrica)
— massa renale palpabile (ad es. tumore di Wilms, cisti renale, ecc.).

C) Reperti di laboratorio
I Esame delle urine
1. Aspetto: il contenuto urocromico dell’urina e, conseguentemente, l’intensità della normale colorazione
delle urine sono inversamente proporzionali al volume delle urine e direttamente proporzionali al loro peso
specifico:
— dopo scarso o mancato apporto idrico, colorazione ambrata delle urine con elevato peso specifico (fino
ad un massimo di 1.035 g/l) ed elevata osmolarità (fino a 1.200 mosm/kg)
— dopo carico idrico: urina limpida con peso specifico basso (fino a 1.001 g/l) con bassa osmolalità (fino a
50 mosm/kg).
Eccezione classica: diabete mellito: diuresi abbondante e colorazione chiara delle urine. Il peso specifico
tuttavia è abbastanza alto per effetto della glicosuria e aumenta anche in caso di proteinuria.
Reazioni delle urine: il pH delle urine può variare tra 4,8 e 7,6, a seconda dell’alimentazione:
— urina acida: nelle diete ricche di carne, in caso di acidosi, ecc.
— urina alcalina: nelle diete vegetariane, senza carne; quando l’urina è stata conservata troppo a lungo; in
caso di pielonefrite per effetto di germi che formano ammoniaca (Proteus); molto raramente nei casi
ereditari di ridotta estrazione urinaria di acidi (con acidosi metabolica ipercloremica).

2. Proteinuria:
nell’ultrafiltrato del rene sano compaiono solo proteine a basso peso molecolare, che vengono riassorbite
al 90% a livello del tubulo prossimale. Per proteinuria si intende un’eliminazione urinaria di proteine > 150
mg/24 ore, oppure una variazione qualitativa rispetto alla proteinuria fisiologica. Per microalbuminuria si
indica l’eliminazione di albumina in quantità di 30-300 mg/24 ore o di 20-200 mg/l (tipico sintomo precoce
di una nefropatia diabetica o ipertensiva). Nella donna una lieve proteinuria può essere simulata dalla
presenza di leucorrea.
Una lieve proteinuria riscontrata solo durante il giorno, mentre le urine notturne risultano prive di
albumina, depone per una proteinuria ortostatica (reperto generalmente privo di significato patologico,
soprattutto nei maschi giovani).

3. Glicosuria:
nel diabete mellito l’iperglicemia è tale da superare la normale soglia renale (corrispondente a una glicemia
di 160-180 mg/dl = 8,9-10,0 mmol/l); nella cosiddetta glicosuria renale (in particolari affezioni tubulari
renali) la soglia renale
è patologicamente più bassa (glicosuria con glicemia normale).

4. Sedimento:
a) Ematuria:
valore normale: fino a 5 emazie/μl = limite di sensibilità dello stick.
Nota: lo stick documenta l’azione perossidasica dell’emoglobina e della mioglobina,
non distingue tra ematuria, emoglobinuria e mioglobinuria; pertanto, in caso di stick positivo, eseguire
l’analisi microscopica del sedimento
— microematuria: > 5 emazie/μl, senza tuttavia alcuna colorazione rossa visibile dell’urina
— macroematuria: colorazione rossa visibile dell’urina dovuta alla presenza di numerose emazie
— analisi al microscopio a contrasto di fase:
• eritrociti dismorfici (con morfologia alterata) = indicativi di origine renale: eritrociti raggrinziti e con
spicule (acantociti)
• eritrociti isomorfi (con morfologia normale) = indicativi di origine postrenale.

Cause di positività allo stick per la ricerca di sangue nelle urine:


Ematuria:
— nelle donne: contaminazione durante il ciclo mestruale
— cause pre-renali: diatesi emorragica, anticoagulanti
— cause renali: glomerulonefrite, pielonefrite, ipernefroma, necrosi papillare infarto renale, tubercolosi
renale, traumi
— cause post-renali: urolitiasi, tumori, cistite, traumi.

Emoglobinuria
Conseguenza di emolisi intravasale (reazioni post-trasfusionali, crisi emolitica in caso di anemia emolitica,
emoglobinuria da marcia, ecc.).

Mioglobinuria
Dopo trauma muscolare.

b) Leucocituria: range di normalità fino a 10 leucociti/μl. Se il numero di leucociti nelle urine è tale da
avere un color giallo torbido, si parla di piuria. La leucocituria si riscontra soprattutto nelle infezioni delle vie
urinarie. La
presenza di cilindri leucocitari suggerisce l’origine renale dei leucociti, soprattutto in caso di pielonefrite.
Una leucocituria non accompagnata da batteriuria si può riscontrare in: infezioni in corso di trattamento
antibiotico, gonorrea, uretrite non gonococcica e post-gonococcica, tubercolosi, sindrome di Reiter,
nefropatia da analgesici, ecc.

c) Cellule di sfaldamento: Cellule di forma poligonale: origine soprattutto renale. Epitelio piatto: cellule
delle basse vie urinarie (senza significato clinico).

d) Cilindri: Si formano nei tubuli renali per precipitazione: sono dunque di origine renale.

Urinocoltura

Azotemia e creatininemia
— Creatinina
La creatinina si forma nel muscolo per catabolismo del creatinfosfato e viene filtrata dal glomerulo renale.
La concentrazione plasmatica della creatinina non dipende dall’alimentazione (fatto salvo per un eccessivo
apporto di carne) bensì solo dalla filtrazione glomerulare.
Nota: la creatinina supera i valori normali (1,1 mg/d = 97 μmol/l) solo quando la filtrazione glomerulare è
diminuita di oltre il 50%.
— Azotemia (urea)
L’urea rappresenta il prodotto finale del catabolismo proteico. La concentrazione plasmatica di urea
dipende da diversi fattori:
• renali: quantità di urea filtrata dal glomerulo e retrodiffusione di urea
• extrarenali: un maggior apporto proteico esogeno e l’aumento del catabolismo (febbre, ustioni,
cachessia) aumentano i valori dell’urea.
Solo quando il filtrato glomerulare scende al di sotto del 25%, viene superato il valore normale superiore
dell’urea plasmatica pari a 50 mg/dl (= 8,3 mmol/l).
III Determinazione della clearance
Clearance: volume plasmatico depurato dal rene da una determinata sostanza in un determinato intervallo
di tempo.

L’acqua costituisce approssimativamente il 60% del peso corporeo totale dell’uomo. Il potassio e il
magnesio costituiscono i principali intracellulari, mentre il sodio rappresenta il principale catione
extracellulare. Il fosfato e le proteine costituiscono i principali anioni intracellulari, mentre il cloro e il
bicarbonato rappresentano i principali anioni extracellulari. La pressione osmotica del plasma si correla al
numero di particelle presenti in soluzione.
La osmolalità è pari alla concentrazione di tutte le particelle osmoticamente attive per kg di acqua
(osmolarità per l di soluzione).
Valori normali: 280-296 mosmol/kg H2O.
Il mantenimento dell’isotonia o della isoosmolalità nel liquido extracellulare viene determinato
principalmente dalla concentrazione del Na+. Le variazioni degli anioni non hanno alcun effetto particolare
sull’isotonia, in quanto i due anioni principali nel liquido extracellulare, HCO3– e Cl–, possono sostituirsi a
vicenda per motivi di neutralità elettrica. Alterazioni
della concentrazione di K+, Ca++ e Mg++, non influiscono minimamente sull’isotonia, poiché le alterazioni a
carico di questi elettroliti non sono più compatibili con la vita, prima che la loro variazione di
concentrazione possa agire sull’osmolalità. Tuttavia alcune sostanze non elettrolitiche come il glucosio e
l’urea possono aumentare notevolmente l’osmolalità (coma diabetico, insufficienza renale).

REGOLAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE DI Na E DELLA VOLEMIA


Scopo di tale regolazione è il mantenimento dello stato isotonico e isovolemico a livello intravascolare.
L’ADH regola il bilancio idrico corporeo: un aumento di osmolalità plasmatica e/o un deficit di volume
conducono, mediante la secrezione di ADH nella neuroipofisi, a ritenzione idrica (antidiuresi) e a sete
(assunzione orale di acqua). Altri segnali ormonali (sistema renina-angiotensina-aldosterone, ANP, BNP)
modificano la eliminazione di sodio (e acqua) a livello renale.

EQUILIBRIO IDRO-ELETTROLITICO
Le variazioni della isovolemia e della isotonia sono collegate fra di loro. Le variazioni dell’isotonia sono
determinate più frequentemente da alterazioni della concentrazione di sodio (l’osmolarità del plasma
dipende principalmente dalla concentrazione di Na+); tuttavia anche gravi iperglicemie ed aumenti
dell’urea possono far aumentare sensibilmente l’osmolarità.
La regolazione del volume è prioritaria e più rapida rispetto a quella dell’osmolarità.

A) Alterazioni del volume, che interessano prevalentemente il compartimento intravasale


1. Ipovolemia:
vedi cap. Shock ipovolemico.

2. Ipervolemia:
Eziologia: insufficienza renale + iperidratazione.
Nota: l’ipervolemia acuta compare, di regola, solo quando si verificano contemporaneamente una
riduzione della funzione renale e un aumento dell’apporto di liquidi; infatti, un rene con funzione normale è
in grado di eliminare velocemente l’eccesso di liquidi.
Clinica:
— tosse, dispnea _ stasi polmonare, edema polmonare (rantolini umidi)
— aumento della pressione venosa centrale, stasi venosa (vene del collo e della base linguale), tachicardia,
aumento della pressione arteriosa
— cefalea, tendenza a convulsioni
— rapido aumento di peso
— emodiluizione.

Terapia:
— causale
— sintomatica
• posizione seduta con gambe abbassate (diminuzione della pressione idrostatica nei vasi polmonari)
• diuretico dell’ansa ad effetto rapido: furosemide 20-40 mg e.v. (somministrazioni ripetute)
• nell’edema polmonare inoltre diminuzione del pre-carico (nitroglicerina, salasso non cruento) e
respirazione assistita (PEEP) con O2 al 100%
• in caso di crisi ipertensiva: nitroglicerina ed altri antiipertensivi
• nell’insufficienza renale e iperidratazione: dialisi, calcolo del bilancio idrico e pesatura quotidiana.

B) Alterazioni del volume a carico del compartimento extracellulare:


tali alterazioni determinano effetti secondari anche sul compartimento intracellulare. Dal punto di vista
dello stato di idratazione e dell’osmolalità esistono 6 possibili alterazioni:

a) Disidratazione isotonica
Definizione
Perdita isotonica di sodio e acqua extracellulare.

Eziologia
— Perdite renali:
• perdite renali primitive: fase poliurica dell’insufficienza renale acuta e cronica.
• perdite renali secondarie: terapia con diuretici, malattia di Addison.
— Perdite extrarenali:
• perdite intestinali: vomito, diarrea, fistole
• perdite dal comparto transcellulare (pancreatiti, peritoniti, occlusioni intestinali)
• perdite attraverso la cute: ustioni.

Clinica
Sintomi da ipovolemia: sete intensa, tachicardia, ipotensione, shock, oliguria.
Laboratorio
• aumento di ematocrito, emoglobina, proteine totali
• osmolalità plasmatica e natriemia normali
• aumento del peso specifico dell’urina (con funzione renale normale).

b) Disidratazione ipotonica
Definizione
Perdita di sali > perdita di acqua _ disidratazione extracellulare, edema intracellulare.

Eziologia
Come nella disidratazione isotonica (vedi sopra), ma con apporto eccessivo di acqua priva di sali.

Patogenesi
La diminuzione del volume extracellulare comporta, mediante secrezione di ADH, una ritenzione idrica
renale. L’iposodiemia comporta un aumento del liquido intracellulare con sintomi cerebrali.

Clinica
— sintomi da ipovolemia (come nella disidratazione isotonica) con marcata tendenza al collasso
— sintomi cerebrali: torpore psichico, psicosi, convulsioni.

Laboratorio
• emoglobina, ematocrito e proteine sieriche aumentate
• natriemia e osmolalità plasmatica diminuite
• Na+ urinario < 20 mmol/l in caso di perdite extrarenali
• Na+ urinario > 20 mmol/l in caso di perdite renali.

c) Disidratazione ipertonica
Definizione
Deficit di acqua libera con diminuzione del volume intra- ed extracellulare.

Eziologia
• mancato o insufficiente apporto idrico (sete)
• perdite di acqua da: cute (sudorazione), polmoni (iperventilazione), reni (coma diabetico, diabete
insipido), tratto gastro intestinale
• iatrogena (eccessivo apporto di liquidi osmo-attivi).

Patogenesi
Per effetto del gradiente osmotico si verifica abitualmente un deficit di acqua intracellulare con sintomi
relativamente modesti da ipovolemia.
Nella disidratazione ipertonica tutte le cellule perdono acqua, anche gli eritrociti che quindi diminuiscono di
volume; in questo caso, nonostante la disidratazione, l’ematocrito aumenterà relativamente poco.

Clinica
• sete intensa
• cute secca e grinzosa, mucose secche
• febbre
• torpore psichico, stato confusionale
• oliguria.
Nota: circolazione stabile relativamente a lungo!

Laboratorio
• ematocrito, emoglobina, proteine sieriche aumentati
• osmolalità plasmatica e natriemia aumentate
• osmolalità dell’urina aumentata nei pazienti con funzionalità renale normale
• osmolalità dell’urina diminuita (< osmolalità plasmatica) nel diabete insipido. Dopo somministrazione di
ADH l’osmolalità dell’urina aumenta nel diabete insipido centrale, ma non in quello nefrogeno.

Trattamento della disidratazione


1. Causale
2. Sintomatico
— Bilanciare l’apporto e la perdita d’acqua, valutazione del peso corporeo, controllo del bilancio
elettrolitico.
— Apporto di acqua:
valutazione della perdita idrica (adulto, 70 Kg):
• esclusivamente sete: fino a 2 l
• con cute/mucose secche: 2-4 l
• inoltre sintomi circolatori (tachicardia, pressione arteriosa diminuita, pressione venosa centrale
diminuita): > 4 l.
I sintomi circolatori si manifestano più precocemente nella disidratazione ipotonica (ulteriore spostamento
d’acqua da extra ad intracellulare!)
Nota: non somministrare plasma expander nella disidratazione in quanto accentuano il deficit idrico
extravasale. Nell’insufficienza cardiaca o renale cauto apporto di liquidi _ controllo pressione venosa
centrale + peso corporeo!
(pericolo di edema polmonare).
— Correzione del bilancio sodico:
lievi alterazioni della sodiemia rispetto alla norma, in un range di 125-150 mmol/l, sono generalmente
asintomatiche. Al primo posto dell’intervento terapeutico sta l’eliminazione della causa scatenante (ad es.
sospensione di una terapia
diuretica).
Nota: alterazioni prolungate del sodio nel siero comportano anche alterazioni del liquor e vanno
compensate lentamente nel corso di alcuni giorni. Un riequilibrio veloce tra liquor e liquido extracellulare
porta a gradienti osmotici pericolosi
per la vita! Questo vale sia per l’ipo- che per l’ipersodiemia in atto da un certo tempo. Nel deficit sodico
andrebbero forniti, in aggiunta all’equilibrio volemico ed al bilanciamento, non più di 150 mmol di
sodio/die.
In caso di iposodiemia grave sintomatica, la correzione dell’iposodiemia non dovrebbe superare le 20
mmol/l/24 ore; la sodiemia non dovrebbe superare 125-130 mmol/l.
• In caso di disidratazione isotonica:
somministrare soluzione fisiologica o altre soluzioni isotoniche-isoioniche (ad
es. soluzione di Ringer)
• In caso di disidratazione ipotonica:
apporto di soluzione fisiologica (NaCl 0,9%). In caso di deficit di sodio, non più di 200 mmol Na+/24 ore,
compresa la quota utile al ripristino del bilancio _ attenzione: in caso di aumento troppo veloce della
osmolalità plasmatica la pressione del liquor cade bruscamente!_ pericolo di danno (o emorragia)
cerebrale.
• In caso di disidratazione ipertonica:
apporto di acqua libera sotto forma di glucosata al 5%, dove tuttavia 1/3 del deficit di liquidi deve essere
ricostituito con soluzioni isotoniche, isoioniche.
Anche in questo caso riequilibrare lentamente nel corso di più giorni; in caso di equilibrio troppo rapido vi è
il pericolo di aumento di pressione del liquor, edema cerebrale e mielinolisi pontina centrale.

IPERIDRATAZIONE
In base alla osmolalità plasmatica – ossia quasi sempre in base alla sodiemia – si distinguono 3 forme di
iperidratazione:

Eziologia
Eccesso relativo di liquidi e/o cloruro di sodio nei seguenti casi:
1. insufficienza renale
2. insufficienza cardiaca
3. ipoproteinemia:
— da perdita di proteine: sindrome nefrosica, enteropatia protidodisperdente
— da ridotto apporto: edema da denutrizione
— da ridotta sintesi dell’albumina: cirrosi epatica.
4. alterazione dei meccanismi di regolazione
— iperaldosteronismo secondario
— terapia con gluco- o mineral-corticoidi
— sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH) = sindrome di Schwartz-Bartter: cause:
• paraneoplastica (solitamente microcitoma)
• affezioni cerebrali
• affezioni polmonari
• ipotiroidismo
• iatrogena (ad es. citostatici)
Nota: nella SIADH non ci sono edemi.

Patogenesi
In base all’osmolalità o alla concentrazione plasmatica di Na+ si distingue fra iperidratazione isotonica,
ipertonica e ipotonica. Ciò dipende dal rapporto con cui vengono somministrati acqua e cloruro di sodio.
In caso di alterazioni della osmolalità (della sodiemia) si hanno pericolose alterazioni a carico del contenuto
idrico cerebrale:
— ipoosmolalità _ aumento di liquidi nel cervello fino all’edema cerebrale
— iperosmolalità _ sottrazione di liquidi dal cervello.

Clinica
— aumento del peso corporeo
— sintomi di ipervolemia:
• nel grande circolo: edema
• nel piccolo circolo: dispnea, stasi polmonare, edema polmonare
— evtl. versamento pleurico, ascite
— in caso di alterazioni rispetto all’osmolalità (sodiemia) normale si hanno inoltre sintomi neurologici:
cefalea, evtl. convulsioni, coma
— nell’iperosmolalità (ipersodiemia) la pressione è sovente aumentata, e piuttosto bassa nell’ipoosmolalità
(iposodiemia).

Laboratorio
• diminuzione di ematocrito, emoglobina, proteine sieriche.

Terapia
1) causale:
ad es. trattamento dell’insufficienza cardiaca, renale, ecc.
2) sintomatica:
— bilancio tra apporto e perdite, peso, controllo degli elettroliti
Nota: l’iposodiemia da iperidratazione (iposodiemia da diluizione) non deve essere confusa con una
carenza di sodio, e non va quindi trattata con l’apporto di sodio! In caso di insufficienza cardiaca con edemi,
cirrosi epatica con ascite, sindrome nefrosica e insufficienza renale, è di regola indicata la restrizione di
acqua e di cloruro di sodio (+ diuretici)
— diuretici:
• nell’iperidratazione non pericolosa senza segni di ipervolemia nel piccolo circolo: lenta disidratazione
controllando particolarmente il bilancio del potassio, ad es. associazione di un saluretico tiazidico ad un
saluretico risparmiatore di
potassio (al fine di evitare il più possibile una ipopotassiemia)
• nell’iperidratazione pericolosa con segni di ipervolemia nel piccolo circolo: somministrazione di un
diuretico dell’ansa a rapida azione, ad es. furosemide 20-40 mg e.v., ripetere la dose se necessario (per
ulteriori dettagli vedi Terapia
dell’ipervolemia)
— nell’iperidratazione dovuta ad insufficienza renale: dialisi.

EDEMA
Definizione
Accumulo patologico di liquido nello spazio interstiziale. Un edema generalizzato compare inizialmente
nelle regioni declivi: a livello della regione coccigea nel paziente sdraiato, simmetricamente a livello
malleolare e pretibiale nel paziente in grado di camminare.

Eziologia
1. aumentata pressione idrostatica nei capillari:
— generalizzata: insufficienza renale, insufficienza cardiaca destra (vedi anche Iperidratazione)
— localizzata: alterazione del deflusso venoso (flebedema): flebotrombosi, sindrome post-trombotica,
insufficienza venosa cronica.
2. diminuita pressione oncotica nel plasma secondaria ad ipoalbuminemia (< 2,5 g/dl):
— perdita di albumina: sindrome nefrosica, enteropatia essudativa
— apporto diminuito: edema da denutrizione
— diminuita sintesi di albumina: cirrosi epatica
3. aumentata permeabilità dei capillari:
— generalizzata: glomerulonefrite acuta post-infettiva, angioedema
— localizzata: edema allergico e infiammatorio, edema post-traumatico, malattia di Sudeck
4. diminuito drenaggio linfatico: linfedema
5. nelle donne pensare alle seguenti possibilità:
— edema indotto da diuretici: soprattutto donne che lavorano in strutture mediche o sanitarie, che
assumono di nascosto diuretici per dimagrire _ stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone
— edema ciclico (in genere pre-mestruale, talvolta periovulatorio)
— edema idiopatico (soprattutto donne in premenopausa)
— edema fattizio: da autoapplicazione, su base psicopatologica, di un laccio a un’estremità (fare attenzione
all’eventuale segno del laccio).

Diagnosi differenziale
• mixedema da ipotiroidismo: cute di consistenza pastosa; la pressione digitale locale non lascia il segno
della fovea (al contrario dell’edema vero, da imbibizione con acqua)
• lipoedema: gambe gonfie da depositi adiposi + linfedema; risparmia i piedi.

ANGIOEDEMA
Definizione
Edema acuto del tessuto connettivo profondo, generalmente localizzato a labbra, palpebre, lingua, faringe,
con pericolo di edema della glottide e rischio di soffocamento; tendenza alle recidive.

Eziologia
1. angioedema istaminergico e angioedema da orticaria (forme più frequenti)
— angioedema idiopatico
— angioedema da intolleranza; agente scatenante più importante: acido acetilsalicilico
— angioedema da ACE-inibitori
— angioedema causato da IgE = angioedema allergico
— angioedema da cause fisiche (pressione, vibrazione, freddo, luce)
2. angioedema da deficit di C1 -esterasi-inibitore (forma rara)
— angioedema ereditario:
deficit ereditario autosomico dominante del sistema del complemento:
• tipo I (più frequente): ridotta sintesi di C1-inibitore
• tipo II (più raro): sintesi di C1-inibitore funzionalmente inattivo
— angioedema acquisito:
• tipo I: in caso di linfoma maligno
• tipo II: da autoanticorpi anti-C1-inibitore.
Una forma particolare di angioedema è la «capillary leak syndrome», caratterizzata da edema generalizzato,
ascite e shock circolatorio (ad es. quale complicanza rara della terapia con interleuchina-2).

Terapia
• Causale: evitare le cause scatenanti, ad es. acido acetilsalicilico, ACE-inibitori, ecc.; allontanare eventuali
allergeni.

SODIO
Valore normale nel plasma: 135-145 mmol/l nell’adulto, 130-145 mmol/l nel bambino.

Iposodiemia
Definizione
Sodio plasmatico < 135 mmol/l negli adulti (< 130 mmol/l nei bambini).

Fisiopatologia
La sodiemia normale è fisiologicamente regolata dall’assunzione di acqua (senso della sete) e dalla sua
eliminazione (ormone antidiuretico, ADH). L’iposodiemia è solitamente la conseguenza di una ridotta
eliminazione renale di acqua dipendente dall’ADH;
2 cause:
a) stimolazione alla sintesi di ADH causata dall’ipovolemia e mediata dai barorecettori: ad es. cirrosi
epatica scompensata, insufficienza cardiaca scompensata, ipovolemia da altre cause
b) sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH).

1. Iposodiemia ipoosmolare (< 280 mosmol/kg H2O):


a) con eccesso di sodio e acqua (edema): sinonimo: iposodiemia da diluizione, iperidratazione ipotonica;
cause:
— extrarenali (sodio urinario < 20 mmol/l): insufficienza cardiaca, cirrosi epatica, sindrome nefrosica
— renali (sodio urinario > 20 mmol/l): insufficienza renale

b) con deficit di sodio e di acqua (ipovolemia): sinonimo: disidratazione ipotonica; cause:


— extrarenali (sodio urinario < 20 mmol/l): diarrea, vomito, ustioni, traumi, peritonite,
pancreatite
— renali (sodio urinario > 20 mmol/l): diuretici, nefropatie con perdita di sali, deficit di mineralcorticoidi

c) con sodio e acqua normali (non edemi né sintomi da ipovolemia): deficit di glucocorticoidi, ipotiroidismo,
polidispia psicogena, farmaci che trattengono acqua, SIADH.

2. Iposodiemia isoosmolare = pseudoiposodiemia (280-296 mosmol/kg H2O):


in caso di aumento dei lipidi o delle proteine plasmatiche, la concentrazione totale del sodio è diminuita,
mentre è normale quella del sodio libero. Il dosaggio del sodio con fotometro a fiamma dà valori diminuiti,
il dosaggio con elettrodi ione-specifici dà valori normali.

3. Iposodiemia iperosmolare (> 296 mosmol/kg H2O):


infusioni ipertoniche (glucosio, mannitolo), iperglicemia.

Ipersodiemia
Definizione
Sodio plasmatico > 145 mmol/l.

1. Con segni di deficit di acqua = ipersodiemia ipovolemica:


a) osmolalità urinaria > 800 mosm/kg: perdita di acqua extrarenale e/o insufficiente apporto di acqua
b) osmolalità urinaria < 800 mosm/kg: perdita renale di acqua
• aumento dell’osmolalità delle urine dopo somministrazione di ADH: diabete insipido centrale
• mancato aumento della osmolalità delle urine dopo somministrazione di ADH: diabete insipido nefrogeno
oppure diuresi osmotica.

2. Con segni di ipervolemia (rara) = ipersodiemia ipervolemica da infusione incontrollata di soluzione di


NaCl.

CLORURO
Valore normale nel plasma: 97-108 mmol/l.
Modifiche della concentrazione di cloruro plasmatico sono parallele a quelle del sodio. Alterazioni isolate
della concentrazione di cloruro nel plasma si hanno nelle alterazioni dell’equilibrio acido-base .

POTASSIO
Fisiologia
I valori normali di riferimento variano con l’età:
— nei bambini 3,2-5,4 mmol/l
— negli adulti 3,6-5 mmol/l.
L’apporto giornaliero di potassio ammonta, con alimentazione varia, a ca. 50-150 mmol/die; l’eliminazione
avviene per il 90% per via renale e per il 10% per via enterale. In caso di insufficienza renale viene eliminato
per compenso più potassio attraverso il colon. Solo il 2% del potassio totale è a livello extracellulare (Ke), il
98% si trova a livello intracellulare (Ki). Il rapporto Ki/Ke, che viene mantenuto tramite il trasporto attivo
(NA+/K+-ATPasi), determina il potenziale delle membrane.
Il potenziale delle membrane a riposo ammonta a ca. –85 mV, il potenziale soglia che provoca il potenziale
di azione è di –50 mV.

Fisiopatologia
• L’ipopotassiemia acuta provoca, con l’aumento del rapporto Ki/Ke, una diminuzione dell’eccitabilità
neuromuscolare; nel caso estremo si ha una paresi muscolare dovuta a blocco dell’iperpolarizzazione.

• L’iperpotassiemia acuta comporta inizialmente un aumento dell’eccitabilità neuromuscolare; nel caso


estremo si ha una paresi muscolare dovuta al blocco di depolarizzazione. L’iperpotassiemia ha sul cuore un
effetto inotropo negativo (forza contrattile diminuita) e dromotropo negativo (conduzione dell’eccitabilità
diminuita).

• Nelle turbe croniche del potassio i disturbi neuromuscolari sono minori, in quanto la modifica del potassio
extracellulare comporta una parallela modifica del potassio intracellulare (per cui il rapporto Ki/Ke si
rinormalizza). Nei pazienti con ipo- o iperpotassiemia cronica è dunque possibile che manchino modifiche
dell’ECG.
La distribuzione del potassio tra spazio intra- ed extracellulare dipende dai seguenti fattori:
1. equilibrio acido-base: nell’acidosi del liquido extracellulare si ha un afflusso di H+ nelle cellule con lo
scambio di potassio _ l’acidosi comporta una iperpotassiemia. Nel senso inverso l’alcalosi comporta una
ipopotassiemia

2. insulina ed aldosterone promuovono l’afflusso di potassio nelle cellule; pertanto è possibile trattare a
breve termine una iperpotassiemia con infusione di glucosio/insulina

3. la carenza di magnesio comporta una perdita di potassio dalle cellule cardiache e da quelle dei muscoli
scheletrici (inibizione della Na+/K+-ATPasi).
Nota:
— poiché il 98% del potassio è a livello intracellulare, la concentrazione nel plasma non è sufficientemente
rappresentativa del bilancio del potassio;
— pertanto, è necessaria l’ulteriore verifica a livello degli organi la cui funzione è dipendente dal potassio.
Nelle alterazioni acute della potassiemia è utile un ECG;
— con la misurazione del potassio nelle urine si può determinare se la perdita di potassio
sia a livello renale o enterale;

Ipopotassiemia
Definizione: potassio plasmatico < 3,6 mmol/l negli adulti (< 3,2 mmol/l nei bambini).

Eziologia
A) ipopotassiemia da mancato apporto o da perdita (alterazione del bilancio esterno)
1. ridotto apporto orale

2. perdite intestinali:
— diarrea, abuso di lassativi, fistole, vomito
— mucorrea (aumento della secrezione di muco enterale) nell’adenoma villoso
Nota: l’abuso continuo di lassativi costituisce la causa più frequente di un’ipopotassiemia
non chiara. Le giovani donne con disturbi non ben definiti (apatia, stipsi) devono essere interrogate circa
l’eventuale uso di lassativi! L’ipopotassiemia aumenta la stipsi

3. perdite renali:
— primitive, in corso di nefropatia:
• nefriti interstiziali croniche
• fase poliurica dell’insufficienza renale acuta
• acidosi tubulare renale
— secondarie:
• terapia con diuretici: è la causa più frequente di ipopotassiemia; pertanto in corso di terapia diuretica è
necessario aumentare l’apporto di potassio oppure associare un saluretico risparmiatore di potassio
• iperaldosteronismo primitivo o secondario
• pseudoiperaldosteronismo da abuso di liquerizia
• ipercortisolismo
• terapia con gluco- e mineralocorticoidi
• terapia con amfotericina B

B) ipopotassiemia da distribuzione (alterazione del bilancio interno)


Spostamento di potassio dallo spazio extracellulare nelle cellule:
— alcalosi
— terapia insulinica del coma diabetico
— paresi parossistica ipopotassiemica (rara affezione familiare).

Clinica
Le ipopotassiemie croniche sono per la maggior parte reperti casuali asintomatici nel quadro di un esame di
laboratorio. Tanto più rapidamente si manifesta una ipopotassiemia, tanto più accentuati sono anche i
sintomi:
— adinamia fino alla paresi, fascicolazioni alla percussione del muscolo
— stipsi, fino a ileo paralitico (anche paralisi vescicale)
— astenia sino alla areflessia
— ECG: appiattimento delle onde T, sottoslivellamento del tratto ST, onda U (l’onda U è più alta di T),
fusione TU, extrasistoli: la comparsa di extrasistoli durante la terapia con digitale pone sempre il sospetto di
ipopotassiemia o sovradosaggio di digitale.
Nota: l’ipopotassiemia aumenta i rischi di tossicità digitalica! Nel senso inverso la tollerabilità di una terapia
con digitale può essere migliorata mantenendo la concentrazione plasmatica del potassio (e del magnesio)
ai limiti superiori della norma
— nefropatia da ipopotassiemia: evtl. comparsa di una tubulopatia vacuolare con poliuria + polidipsia,
refrattaria all’ADH
(diabete insipido renale). Nell’ipopotassiemia cronica si può avere una nefrite interstiziale
— alcalosi metabolica.

Diagnosi
— anamnesi + clinica
— potassio nel plasma e nelle urine:
• potassio nelle urine > 20 mmol/l: perdita di potassio a livello renale
• potassio nelle urine < 20 mmol/l: perdita di potassio a livello enterale
— equilibrio acido-base
— in caso di ipertensione con ipopotassiemia considerare la possibilità della sindrome di Conn e della
stenosi dell’arteria renale.

Terapia
— Causale: eliminazione delle cause scatenanti, ad es. sospensione di lassativi, terapia con diuretici che non
interferiscono sul potassio.
— Sintomatica: apporto di potassio tenendo conto del pH
• alimentazione ricca di potassio (succhi di frutta, banane, ecc.)
• cloruro di potassio: equilibra sovente, accanto alla ipopotassiemia, anche l’alcalosi metabolica
concomitante.
Se somministrato per os in un soggetto con funzionalità renale normale non vi è alcun pericolo di
sovradosaggio: il cloruro di potassio sotto forma di compresse è
obsoleto in quanto si possono formare delle ulcere nell’intestino tenue; pertanto assunzione di potassio
durante e dopo i pasti con abbondante liquido (ad es. compresse effervescenti).
Parenterale: determinazione del deficit di K+ mediante nomogramma (tenendo conto del pH). Apporto di
potassio e.v. con controlli della potassiemia + monitoraggio dell’ECG.
Nota: 1 mmol di deficit di potassio plasmatico extracellulare corrisponde ad un
deficit di 100 mmol di potassio. Per via parenterale non somministrare più di 20 mmol/h (dosaggio
massimo giornaliero 3 mmol/kg peso corporeo). Diluire sufficientemente la soluzione di potassio in quanto
il potassio è tossico per la parete
dei vasi. Nell’ipopotassiemia e acidosi riequilibrare anzitutto il deficit di potassio; solo successivamente
correggere l’acidosi (in caso contrario, l’ipopotassiemia peggiora!).

Iperpotassiemia
Definizione
Potassio nel plasma > 5,0 mmol/l negli adulti (> 5,4 mmol/l nei bambini).

Eziologia
A) Alterazioni del bilancio esterno:
1. eccessivo apporto di potassio
Nota: in caso di normale funzione renale l’apporto orale di potassio non costituisce pericolo,
contrariamente a quanto avviene nell’insufficienza renale avanzata: in quest’ultimo caso, una
iperpotassiemia pericolosa per la vita può derivare dall’eccessiva
assunzione di frutta o del cosiddetto sale dietetico (a base di potassio).
Per via parenterale, in assenza di possibilità di controllo, non somministrare mai più di 20 mmol K+/h!

2. diminuzione dell’escrezione renale di potassio:


— insufficienza renale acuta: nell’anuria il potassio plasmatico aumento di ca. 1 mmol/l al giorno per effetto
del catabolismo cellulare
— insufficienza renale cronica: fin tanto che la clearance della creatinina è > 5 ml/min non si ha oliguria e
non si verifica una iperpotassiemia, in quanto il potassio viene maggiormente secreto a livello tubulare ed
escreto attraverso il colon. In caso di apporto incontrollato di potassio (ad es. frutta, sale dietetico a base di
potassio) oppure di somministrazione di farmaci capaci di indurre iperpotassiemia, ad es. diuretici
risparmiatori di potassio (amiloride, triamterene, spironolattone), ACE-inibitori, antagonisti recettoriali
dell’angiotensina II, FANS, trimetoprim, cisplatino, ciclosporina A, pentamidina, ecc., si possono verificare
iperpotassiemie pericolose per la vita!
— malattia di Addison (deficit di mineralcorticoidi).

B) Alterazioni del bilancio interno (iperpotassiemia da distribuzione) dovute a spostamento del potassio
intracellulare a livello extracellulare.
1. acidosi, coma diabetico (carenza di insulina), grave intossicazione digitalica (blocco della Na+/K+-ATPasi
con fuoriuscita passiva di potassio nello spazio extracellulare)

2. liberazione di potassio in caso di danni cellulari


— vaste ferite dei tessuti molli con miolisi, rabdomiolisi, ustioni
— crisi emolitica, trasfusioni di sangue freddo
— trattamento con citostatici in caso di tumori maligni
— paresi periodica da iperpotassiemia (sindrome di Gamstorp)
— dopo ricanalizzazione tardiva di occlusioni arteriose complete (sindrome del laccio).

C) Pseudoiperpotassiemia:
1. emolisi dopo prelievo di sangue:
spesso vengono riscontrati valori erroneamente alti di potassiemia, conseguenti ad emolisi artificiale (lunga
stasi, aspirazione rapida del sangue con aghi a lume stretto, centrifugazione ritardata)!

2. liberazione di potassio nella siringa del prelievo in presenza di marcata piastrinosi


o leucocitosi (nella leucemia mieloide cronica).
Diagnosi: potassio sierico aumentato, ma potassio plasmatico normale!

Clinica
Decorso spesso con pochi sintomi: non esiste alcun sintomo affidabile indice di iperpotassiemia!
— eventuali sintomi neuromuscolari: parestesie, “formicolio” attorno alla bocca, lingua
stopposa, sensazione di “seconda pelle”, spasmi muscolari.
— ECG:
• onda T a punta di notevole altezza
• disturbi di conduzione dello stimolo (blocco A-V, blocco di branca)
• flutter o fibrillazione ventricolare, asistolia.

Diagnosi
— escludere un’insufficienza renale (creatinina)
— equilibrio acido-base
— escludere la presenza di emolisi (aptoglobina, ecc.) o di miolisi (CPK, ecc.).
Terapia
A) Causale, ad es. sospensione di farmaci risparmiatori di potassio nell’insufficienza renale.

B) Sintomatica
1. interrompere l’apporto di potassio, sospendere gli alimenti ricchi di potassio (ad es. banane, frutta)

2. favorire l’ingresso di potassio nelle cellule:


— glucosio e insulina: 1 UI di insulina pronta ogni 2 g di glucosio (ad es. 400ml di glucosio al 10% + 20 UI di
insulina pronta in 1 ora; controllare la glicemia)
— bicarbonato di sodio: 50-100 ml di una soluzione 1 molare (all’84%) in più ore
— gluconato di calcio: ha solo un effetto limitato ed è controindicato nei pazienti trattati con digitale e
nell’ipercalcemia
— salbutamolo (2-simpaticomimetico) per via inalatoria: può temporaneamente ridurre la potassiemia
(effetti collaterali e controindicazioni Asma bronchiale)

3. rimozione del potassio mediante:


— scambiatori di cationi, che scambiano a livello intestinale il potassio con sodio (o calcio). Due tipi: a
scambio di sodio, controindicato nell’ipersodiemia e nell’ipertensione; a scambio di calcio, controindicato
nell’ipercalcemia. Impiego orale o sottoforma di clisma
— dialisi in caso di insufficienza renale.
Nota: una potassiemia > 6,5 mmol/l comporta un imminente pericolo di vita e richiede una veloce
correzione.

MAGNESIO
Contenuto complessivo di magnesio nell’organismo ca. 12,4 mmol (0,3 g)/kg di peso corporeo; fabbisogno
giornaliero: 15-20 mmol/die (36-48 mg/die).
Il magnesio si distribuisce nell’organismo in questo modo:
• 1% nel plasma (legato per il 30% all’albumina): concentrazione plasmatica normale: 0,65-1,05 mmol/l
• 67% nelle ossa
• 32% nella muscolatura scheletrica.
A livello intracellulare, il magnesio è legato soprattutto all’ATP (MgATP) ed è in equilibrio con gli ioni Mg++
liberi. Il magnesio è coinvolto nell’attivazione di numerosi enzimi, tra l’altro attiva la Na+/K+-ATPasi
influenzando la distribuzione del potassio. Inoltre il magnesio inibisce la messa a disposizione del calcio a
livello intracellulare («inibitore naturale
del calcio»).

Ipomagnesiemia
Definizione
Magnesiemia < 0,65 mmol/l.

Eziologia
1. Ipomagnesiemia primitiva: malattia autosomica-recessiva estremamente rara (con convulsioni
generalizzate).

2. Ipomagnesiemia secondaria (acquisita): la maggioranza dei casi:


— dieta sbilanciata (alcoolismo, alimentazione parenterale)
— sindrome da malassorbimento
— aumentato fabbisogno (gravidanza)
— maggiore eliminazione renale (disturbi poliurici, terapia con diuretici, ciclosporina A, cisplatino,
aminoglicosidi)
— pancreatite acuta
— abuso di lassativi
— affezioni endocrine (diabete mellito, ipertiroidismo).
Clinica
Poiché l’ipomagnesiemia può coesistere con una ipocalcemia e/o ipopotassiemia, i suoi sintomi non sono
specifici:

1. sistema nervoso: tetania da carenza di magnesio, parestesie, disturbi depressivi, eccitabilità

2. cuore: extrasistoli ventricolari, maggiore sensibilità alla digitale, aumentata suscettibilità delle arterie
coronarie agli spasmi coronarici, evtl. con angina pectoris.
ECG: sottoslivellamento dell’ST, appiattimento dell’onda T, allungamento del QT

3. tratto gastrointestinale: ad es. spasmi intestinali.

Diagnosi
— clinica (non tipica), ipomagnesiemia, dosaggio del magnesio urinario nelle 24 ore
— esclusione di una ipopotassiemia/ipocalcemia.

Terapia
1. Causale

2. Sintomatica: somministrazione di magnesio.


Indicazioni:
— apporto orale per ripristinare valori normali: dosaggio 10-30 mmol/die
— dosaggi farmacologici in caso di valori di magnesiemia normali: ad es.
• aritmie ventricolari da digitale
• l’extrasistolia può spesso risentire favorevolmente dell’aumento dei livelli di magnesio e potassio ai limiti
superiori della norma
• tachicardia ventricolare di tipo torsione di punta
• eclampsia con convulsioni generalizzate
• contrazioni uterine precoci.

Ipermagnesiemia
Definizione
Magnesiemia > 1,05 mmol/l.

Eziologia
Le cause più frequenti sono l’insufficienza renale e la terapia con antiacidi a base di magnesio. Più
raramente: rabdomiolisi, somministrazione di magnesio per via parenterale.

Clinica
Solitamente reperto di laboratorio asintomatico. In caso di concomitante ipocalcemia e/o iperpotassiemia
possono manifestarsi:
— debolezza muscolare, nausea, parestesia al volto
— ipoventilazione
— sonnolenza sino alla narcosi da magnesio
— ECG: allungamento del tempo P-Q, allargamento del complesso QRS.

Terapia
In caso di sovradosaggio parenterale di magnesio, il calcio e.v. funge da antidoto. In caso di
ipermagnesiemia e iperpotassiemia da insufficienza renale terminale: dialisi.

CALCIO
Valori normali nel plasma: calcio totale 2,2-2,7 mmol/l, calcio ionizzato 1,1-1,3 mmol/l.
Ipocalcemia
Definizione
Calcio plasmatico totale < 2,2 mmol/l, ionizzato < 1,1 mmol/l.

Eziologia
— con calcio ionizzato normale: ipoalbuminemia di qualunque origine
— con calcio ionizzato diminuito:
a) con livelli normali di magnesio:
• PTH basso, fosfato alto:
– ipoparatiroidismo
– fase transitoria dopo paratiroidectomia per iperparatiroidismo primitivo
• PTH alto, fosfato basso:
– deficit di vitamina D
– terapia con anticonvulsivanti
– pancreatite
• PTH alto, fosfato normale o aumentato:
– pseudoipoparatiroidismo
– rabdomiolisi
– iperalimentazione
– acidosi tubulare renale
– insufficienza renale cronica

b) con livelli diminuiti di magnesio:


• alcoolismo
• sindrome da malassorbimento
• forme da farmaci (ad es. terapia con diuretici dell’ansa, gentamicina, cisplatino).

Clinica
— tetania da ipocalcemia: crampi muscolari senza perdita di coscienza, spesso associati a parestesie,
laringospasmo, mano da ostetrico
— segno di Chvostek: la percussione del n. facciale nell’area della guancia provoca, in caso positivo, la
contrazione dell’angolo della bocca
— segno di Trousseau: dopo l’applicazione del bracciale per la misurazione della pressione
– alcuni minuti al valore della pressione arteriosa media – compare, in caso
positivo, la mano da ostetrico
— ECG: allungamento del QT.

Diagnosi differenziale
Tetania da iperventilazione (calcio totale normale, calcio ionizzato diminuito in seguito ad alcalosi
respiratoria). Terapia: tranquillizzare il paziente, farlo respirare in un sacchetto.

Terapia
1. Causale
2. Sintomatica
— nella tetania: calcio e.v.
— terapia a lungo termine: apporto orale di calcio, evtl. in aggiunta vitamina D

Ipercalcemia
Definizione
Calcio plasmatico totale > 2,7 mmol/l, ionizzato > 1,3 mmol/l.

Eziologia
1. tumori maligni: sono la causa più frequente (ca. 60% dei casi), soprattutto carcinoma bronchiale,
mammario e plasmocitoma
— ipercalcemia da osteolisi da metastasi ossee (ad es. nel carcinoma mammario) o da plasmocitoma.
— ipercalcemia paraneoplastica da produzione ectopica di peptidi analoghi al paratormone
(PTHrP) da parte del tumore (ad es. carcinoma bronchiale).
2. cause endocrine: iperparatiroidismo primitivo (20%), ipertiroidismo, insufficienza surrenalica
3. da farmaci: intossicazione da vitamina D o vitamina A, trattamento con tamoxifene, diuretici tiazidici o
scambiatori di cationi contenenti calcio, ecc.
4. immobilizzazione
5. sarcoidosi (sintesi nei macrofagi di 1,25(OH)2-D3)
6. forma transitoria dopo trapianto renale (iperfunzione delle paratiroidi nel corso dell’insufficienza
renale).

Clinica
1. Evtl. sintomi dell’affezione causale (ad es. affezione tumorale nota).

2. Sintomi da ipercalcemia: la metà dei pazienti non accusa sintomi specifici da ipercalcemia (reperto
occasionale da esame di laboratorio)
— sintomi renali: diabete insipido renale con poliuria/polidipsia, in caso di mancato
apporto idrico adeguato si giunge a disidratazine e anuria
— sintomi gastrointestinali: nausea, vomito, stipsi, raramente pancreatite
— sintomi cardiaci: aritmie, accorciamento del QT all’ECG
— sintomi neuromuscolari: adinamia, debolezza muscolare sino alla pseudoparalisi
— crisi ipercalcemica (pericolosa se calcemia > 3,5 mmol/l):
• poliuria, polidipsia
• vomito, disidratazione con iperpiressia
• manifestazioni psicotiche, sonnolenza, coma.

Diagnosi
1. dell’ipercalcemia: aumento della calcemia

2. delle cause dell’ipercalcemia:


• paratormone (PTH immunoreattivo) aumentato nell’iperparatiroidismo primitivo,
ridotto nell’ipercalcemia paraneoplastica
• peptide analogo al paratormone (PTHrP) aumentato nell’ipercalcemia paraneoplastica
• 1,25-(OH)2-vitamina D3 aumentata nell’ipercalcemia da sarcoidosi
• 25-(OH)-D3 aumentata nella intossicazione da vitamina D
• ricerca del tumore (radiografia del torace, evtl. mammografia nelle donne, ecografia
dell’addome, immunoelettroforesi).

Terapia
In caso di crisi ipercalcemica:
1. terapia causale
2. terapia sintomatica:
— misure generali:
• l’intervento terapeutico più importante è la diuresi forzata (5 l/die e oltre) indotta mediante infusione di
soluzione fisiologica e furosemide, con controllo del quadro idro-elettrolitico (apporto di potassio)
• sospendere l’apporto di calcio (ad es. nelle acque minerali); attenzione ai glicosidi cardiaci e ai diuretici
tiazidici!
• difosfonati: terapia di scelta nell’ipercalcemia da tumore. Meccanismo d’azione: inibizione dell’attività
degli osteoclasti. Ad es.: acido pamidronico 45-90 mg in infusione lenta, in caso di necessità ripetere a
distanza di 3-4 settimane.
Nota: la calcitonina ha un effetto troppo rapido
— ulteriori provvedimenti:
• i glucocorticosteroidi sono antagonisti della vitamina D_utilizzo in caso di ipercalcemia da vitamina D
(intossicazione da vitamina D, sarcoidosi); agiscono anche sull’ipercalcemia in corso di plasmocitoma
• emodialisi con soluzioni dializzanti prive di calcio, in caso di insufficienza renale.

EQUILIBRIO ACIDO-BASE
Fisiologia
Il mantenimento della concentrazione fisiologica di ioni idrogeno nel sangue e del pH a 7,37-7,45,
nonostante la continua azione di metaboliti acidi, avviene grazie a tre meccanismi di regolazione:
1. sistemi tampone
2. eliminazione polmonare di CO2
3. eliminazione renale degli ioni idrogeno.

L’organismo dispone di due sostanze tampone extracellulari e di due sostanze tampone intracellulari:
• extracellulari: bicarbonato (HCO3–) proteine plasmatiche
• intracellulari: fosfato (HPO4 – –) emoglobina
Il sistema bicarbonato/acido carbonico riveste la maggiore importanza. La CO2 è eliminata dal polmone e
l’escrezione di HCO3 – è regolata dal rene.
La regolazione renale dell’equilibrio acido-base è più lenta di quella respiratoria e coinvolge 3 meccanismi:
• riassorbimento del bicarbonato: poiché il bicarbonato viene consumato per neutralizzare gli acidi ed
eliminato come CO2 dal polmone, esso deve essere continuamente rigenerato dal rene. La anidrasi
carbonica gioca un ruolo importante. Per ogni
HCO3 – rigenerato viene secreto un H+ e per mantenere la neutralità elettroionica viene riassorbito Na+
• formazione di acido titolabile
• formazione di ioni ammonio, che servono per la neutralizzazione degli ioni idrogeno in eccedenza nel
lume tubulare.

Fisiopatologia
3 tipi di alterazioni nell’equilibrio acido-base:
1. alterazioni respiratorie causate da maggiore o minore espirazione di CO2.
2. alterazioni metaboliche dovute a modificazione della concentrazione di bicarbonato.
3. alterazioni miste, dalla combinazione di disturbi metabolici e respiratori.

Meccanismi di compenso
Al fine di mantenere costanti gli ioni idrogeno (isoidria), l’organismo compensa equilibrando le variazioni
della concentrazione del bicarbonato con opportune modifiche della concentrazione di CO2 e viceversa.

Nota: variazioni respiratorie vengono compensate a livello metabolico. Variazioni metaboliche vengono
compensate a livello respiratorio. Se, dopo attivazione dei meccanismi di compenso, il pH si trova entro i
limiti da 7,37 a 7,45 si parla di variazione compensata, altrimenti di variazione non compensata. Un pH
normale non è pertanto sinonimo di normale equilibrio acido-base, ma significa soltanto che i meccanismi
di compenso funzionano ancora.

Diagnosi
Valori normali del sangue arterioso:

ACIDOSI
Effetti generali dell’acidosi:
1. per effetto del passaggio intra-extracellulare di K+ si instaura una iperpotassiemia, che tuttavia scompare
eliminando l’acidosi (può addirittura trasformarsi in ipopotassiemia)

2. l’acidosi diminuisce la sensibilità della muscolatura liscia vasale alle catecolamine (ad es. nello shock
cardiogeno), mentre ha un effetto inotropo negativo sul cuore

3. l’acidosi grave determina ipoperfusione renale (shock + acidosi) _ anuria

4. urina solitamente acida

5. poiché la barriera tra sangue/liquor è ben permeabile al CO2 (contrariamente agli acidi metabolici e al
bicarbonato), i disturbi respiratori provocano una variazione più rapida del pH del liquor rispetto ai disturbi
metabolici.

A) Acidosi metabolica
Eziologia
1. Acidosi da addizione:
— formazione endogena di acidi:
• chetoacidosi: precoma/coma diabetico (da -idrossibutirrato e acetoacetato), digiuno, etilismo
• acidosi lattica: eccesso di lattato nello shock, nell’ipossia, raramente quale complicanza di una terapia con
biguanidi, grave deficit di tiamina, ecc.
— apporto esogeno di acidi: intossicazione da salicilati, alcool metilico, glicole, ecc.

2. Acidosi da ritenzione:
— minore eliminazione renale di acidi:
• insufficienza renale
• acidosi tubulare distale (tipo I) con minore secrezione di ioni H+.

3. Acidosi da perdita di sostanze tampone:


— perdita enterale di bicarbonato, ad es. da diarrea
— perdita renale di bicarbonato:
• acidosi tubulare prossimale (tipo II)
• terapia con inibitori dell’anidrasi carbonica.

Clinica
Respiro (profondo) di Kussmaul (= meccanismo di compenso).

Diagnosi
— clinica + emogasanalisi
— HCO3– diminuito, per compenso diminuita anche pCO2
— pH normale (compensato) o diminuito (scompensato)
— in base ai dati di Cl– e gap anionico si hanno 2 quadri:
• acidosi ipercloremica con gap anionico normale: ad es. acidosi da sottrazione
• acidosi normocloremica con gap anionico aumentato: ad es. acidosi da addizione o ritenzione.
Nota: Cl– e HCO3 – costituiscono normalmente l’85% degli anioni nel plasma; il resto (proteinato, solfato,
fosfato, anioni organici) è considerato come gap anionico.

B) Acidosi respiratoria
Eziologia
Insufficienza respiratoria con ipoventilazione alveolare di varia patogenesi

Clinica
• ipoventilazione nell’ambito dell’insufficienza respiratoria
• astenia, disorientamento fino al coma.

Diagnosi
— clinica - emogasanalisi
— pCO2 aumentata, per compenso anche HCO3– aumentato
— pH normale (compensato) o diminuito (scompensato)
— pO2 diminuita.

ALCALOSI
Effetti generali dell’alcalosi:
1. per effetto del passaggio extra-intracellulare e della secrezione tubulare di K+, si instaura una
ipopotassiemia

2. l’alcalosi diminuisce la concentrazione degli ioni Ca++ _ evtl. tetania

3. il pH delle urine è quasi sempre alcalino, eccetto che nell’alcalosi metabolica da perdite extrarenali di
potassio: in tal caso il rene trattiene il K+ eliminando H+ (aciduria paradossa).

A) Alcalosi metabolica
Eziologia
1. perdita di succo gastrico acido (dovuto ad es. a vomito)

2. ipopotassiemia da diuretici: in caso di ipopotassiemia il rene elimina più H+

3. eccesso di mineralocorticoidi (sindrome di Conn, terapia con mineralcorticoidi): i mineralocorticoidi


stimolano la secrezione di K+ e di H+ nel tubulo distale del rene

4. maggiore apporto di bicarbonato.

Clinica
• evtl. bradipnea (= meccanismo di compenso)
• evtl. tetania
• evtl. sintomi cardiaci: extrasistoli.

Diagnosi
— clinica + emogasanalisi:
— HCO3– aumentato, per compenso anche pCO2 aumentata
— pH normale (compensato) o aumentato (scompensato)
— in base all’eliminazione renale di Cl– dopo apporto di NaCl 0,9% si distinguono due tipi:
• eliminazione di cloruri nelle urine delle 24 ore < 10 mmol/l: perdita di succo gastrico, terapia con diuretici
_ alcalosi correggibile mediante infusione di soluzione di NaCl 0,9%
• eliminazione di Cl– nelle urine delle 24 ore > 20 mmol/l: eccesso di mineralocorticoidi_ alcalosi non
correggibile mediante infusione di soluzione di NaCl 0,9%.

B) Alcalosi respiratoria
Eziologia
Maggiore ventilazione alveolare:
• iperventilazione psicogena (più frequente!)
• iperventilazione compensatoria nell’ipossia
• disturbi cerebrali con iperventilazione
• altre cause rare: shock settico, encefalopatia epatica, ecc.
Clinica
• iperventilazione come sintomo causale
• evtl. tetania da iperventilazione con parestesie, tremore muscolare
• in casi pronunciati evtl. diminuzione della irrorazione cerebrale con irritabilità, disturbi di
concentrazione/coscienza.

Diagnosi
— clinica + emogasanalisi:
— pCO2 diminuita, per compenso anche HCO3 – diminuito
— pH normale (compensato) o aumentato (scompensato).
Nota: l’iperventilazione è presente sia nell’alcalosi respiratoria (= causa) che nell’acidosi metabolica (=
compenso).
L’iperventilazione con alcalosi respiratoria da causa psicogena compare in situazioni di completa salute.

Trattamento dei disturbi dell’equilibrio acido-base


1. Trattamento causale: eliminare la causa!

2. Trattamento sintomatico, da attuare con cautela e controlli ravvicinati degli esami:


— acidosi respiratoria: aumento della ventilazione a scopo compensatorio per eliminare CO2
— acidosi metabolica: situazione pericolosa quando pH < 7,15: somministrazione di bicarbonato _ effetto:
HCO3 – + H+ _ H2O + CO2_ polmoni

Nota: in caso di alterazioni rapidamente reversibili (ad es. chetoacidosi diabetica) l’apporto di bicarbonato
va attuato con cautela. Infondere il bicarbonato lentamente e a piccole dosi _ rischio di ipopotassiemia!
Non aumentare il bicarbonato plasmatico a valori > 15 mmol/l

— alcalosi respiratoria: nell’iperventilazione psicogena: esercitare una influenza tranquillizzante sul


paziente, arricchimento dell’aria in CO2 mediante aumento dello spazio morto (respirazione in un sacchetto
sotto controllo medico)
— alcalosi metabolica: situazione pericolosa quando pH > 7,55
• in caso di perdita di succo gastrico acido: infusione di soluzione di NaCl 0,9%; se vi è rischio di sovraccarico
di sodio: somministrazione di soluzione di cloruro di arginina
• nell’ipopotassiemia: somministrazione di potassio.

PIELONEFRITE ACUTA
La pielonefrite acuta è un’infezione del tratto urinario superiore, specificamente del parenchima renale e
della pelvi.
La definizione della Società Americana di Malattie Infettive è una coltura che mostra almeno 10000 unità
formanti colonie per mm3 e sintomi compatibili con la diagnosi.

Patogenesi:
la maggior parte delle infezioni parenchimali sono secondarie ad un’infezione batterica ascendente
dall’uretra e dalla vescica. In più dell’80% dei casi di pielonefrite acuta l’agente eziologico è l’E. Coli.
Nei pazienti anziani l’E. Coli è meno commune (circa il 60%) causa di pielonefrite acuta. L’aumentato uso di
cateteri in questi pazienti li predispone a infezione con altri Gram – come Proteus, Klebsiella, Serratia, or
Pseudomonas.
La batteriuria, che frequentemente è polimicrobica, si sviluppa in più del 50% dei pazienti che richiedono
cateterismo per più di 5gg e virtualmente in tutti i pz che richiedono catetere a permanenza per più di 1
mese.
Pazienti diabetici tendono ad avere infezioni causate anche da Klebsiella, Enterobacter, Clostridium, or
Candida.
Questi pz sono anche a rischio aumentato di sviluppare una pielonefrite enfisematosa (che è una malattia
necrotizzante con la produzione di gas intraparenchimale) o la necrosi papillare che può portare allo shock
e a insufficienza renale grave.

Diagnosi differenziale della pielonefrite acuta:


- malattia infiammatoria pelvica
- colecistite
- appendicite
- polmonite del lobo inferiore
- perforazione di un viscere addominale
- fase prodromica di herpes Zoster quando c’è dolore e non ci sono ancora lesioni cutanee evidenti

Diagnosi:
- esame delle urine
- urino coltura: positiva nel 90% dei pz con pielonefrite acuta e che i campioni per la coltura
dovrebbero essere ottenuti prima di iniziare la tp antibiotica
- segni e sintomi: febbre, brividi, dolore fianco, nausea, vomito, dolorabilità dell’angolo costo-
vertebrale
- sintomi suggestivi di cistite: disuria, pollachiuria e urgenza urinaria e dolore sovrapubico
- Trattamento:
nel pz ambulatoriale la terapia orale può risultare efficace, se non ci sono complicazioni, fino al 90% dei pz.
Il trattamento può essere eseguito con ciprofloxacina per via endovenosa o per via orale (il vantaggio di
questo antibiotico è che può essere assunto tranquillamente per via orale con un modesto ritardo
nell’insorgenza dell’azione).
Nella donne immunocompetenti si richiedono da 7 a 14gg di terapia; gli uomini di meno di 60 anni senza
ostruzione nè prostatite rispondono a un ciclo di 14gg di tp antibiotica.
Gli uomini che hanno un’infezione urinaria ricorrente possono richiedere un trattamento fino a 6 settimane,
se hanno una prostatite acuta 4 sett di durata…
Sono schemi molto americani…alcune cose sono più lunghe rispetto agli standard nostri.
Gli uomini con prostatite cronica prolungano il trattamento fino a 12 settimane.

L’urinocoltura di controllo va fatta almeno 1-2 settimane dopo aver finito la tp antibiotica
I pz che hanno una complicanza della pielonefrite acuta o che hanno alter malattie sottostanti o che non
rispondono alla tp ambulatoriale devono essere ospedalizzati.
Se il pz richiede ospedalizzazione, la linea guida raccomanda come inizio di tp antibiotica dopo
l’ospedalizzazione:

1) un fluorochinolone
2) un aminoglicoside con o senza associazione con ampicillina
3) cefalosporina a spettro esteso con o senza associazione con aminoglicosidico

In realtà noi tendiamo ad utilizzare di più o il chinolonico o la cefalosporina di III generazione perché gli
amino glicosidici hanno effetti collaterali sul rene non indifferenti. Il trattamento orale si può utilizzare non
appena il pz si sfebbra e migliora clinicamente e può quindi tollerarlo. Il trattamento ottimale per i pz
ospedalizzati è di 14 gg.
La pielonefrite acuta associata con stati di immunosoppressione risponde bene ad un periodo di
chemioterapia di 14-21gg con il fluorochinolone o con il Bactrim.

Infezioni urinarie da germi “difficili”


Infezioni acquisite in Ospedale (o anche sempre più spesso in RSA e strutture per anziani).
Enterobatteri produttori di Beta Lattamasi a spettro esteso (sull’antibiogramma presenti come ESBL+)
pongono indicazione a trattamento con carbapenemi (Imipenem e Meropenem)
Enterococchi (faecalis, faecium) resistenti alle penicilline richiedono trattamento con glicopeptidi e cioè
teicoplanina e vancomicina (il fenomeno emergente è quello degli enterococchi vancomicino resistenti).
Questo è un caso molto importante anche in termini medico-legali. La signora ha infatti denunciato e ha
richiesto il risarcimento dei danni per imperizia dei medici che l’hanno seguita durante questo percorso.
Bisogna quindi sempre muoversi cercando di tutelarsi da questi fatti. Qui la questione è il non aver raccolto
i segni incipienti di shock con tutte le conseguenze del caso.

SINDROME NEFROSICA
Definizione
— grave proteinuria (> 3 g/die)
— ipoproteinemia
— edemi da ipoalbuminemia (quando albumina sierica < 2,5 g/dl)
— iperlipoproteinemia con aumento di colesterolo e trigliceridi.

Eziologia
1. Glomerulonefrite

2. Nefropatia diabetica (vedi il relativo capitolo).

3. Cause rare: plasmocitoma, amiloidosi, trombosi venosa renale.

Clinica
• 4 sintomi tipici della sindrome nefrosica
• clinica della malattia di base
• evtl. carenza di IgG acquisita con conseguente suscettibilità alle infezioni in caso di forte perdita proteica
• nello stadio avanzato sintomi da insufficienza renale
• frequenti complicanze tromboemboliche (perdita renale di antitrombina III).

Laboratorio
— elettroforesi sierica: albumina e gammaglobuline diminuite, con aumento relativo di 2- e -globuline
— in caso di insufficienza renale: aumento di azotemia, creatinina; riduzione della clearance della creatinina
— eventuale diminuzione di IgG e antitrombina III
— aumento di colesterolo e trigliceridi
— esame delle urine: il peso specifico dell’urina è elevato per effetto del contenuto albuminico.

Diagnosi
— clinica + laboratorio
— ecografia renale
— biopsia renale: per motivi diagnostici, terapeutici e di prognosi è necessario eseguire la biopsia renale
con esame istologico.

Terapia
1. Trattamento delle malattia di base, rimozione delle evtl. cause tossiche.
2. Terapia sintomatica:
a. Misure generali:
— evitare gli sforzi
— dieta povera di proteine (0,8 g/kg peso corporeo/die) e di NaCl (circa 3 g/die)
— terapia diuretica: associazione di un diuretico risparmiatore di potassio e di un tiazidico. In caso di edemi
e di scarsa risposta diuretica: associazione di un tiazidico a un diuretico dell’ansa; controlli del quadro idro-
elettrolitico (in
particolare, K+ e Na+).
In caso di complicanze tromboemboliche terapia con dicumarolici per via orale
— in caso di edemi gravi e pericolosi per la vita, aumento temporaneo della pressione colloido-osmotica
mediante infusione di una soluzione di albumina umana iperosmolare povera di sali
— in caso di infezione batterica, antibiotici + somministrazione di gammaglobuline. Vaccinazione contro
pneumococchi e virus influenzali
— terapia dell’ipercolesterolemia (inibitori dell’HMG-CoA-reduttasi)
— trattamento dell’ipertensione (già a valori ai limiti superiori della norma), in quanto questa danneggia
ulteriormente i reni. Valori ottimali: 120/80 mmHg. Vengono preferiti gli ACE-inibitori per il loro effetto
protettivo sul glomerulo.
In caso di insufficienza renale avanzata (clearance della creatinina < 30 ml/min) gli ACE-inibitori sono
relativamente controindicati.

INSUFFICIENZA RENALE

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA (IRA)


Definizione
Insufficienza renale ad esordio acuto, abitualmente reversibile.

Sintomo tipico: riduzione della produzione di urina _ oligoanuria con aumento di azotemia e creatininemia.
Oliguria: < 500 ml urina/die
Anuria: < 200 ml urina/die.
Il 15% dei casi presenta diuresi normale o poliuria. In questi casi l’unico sintomo è rappresentato
dall’aumento nel plasma delle sostanze normalmente eliminate con le urine. In assenza della dialisi, l’IRA ha
un decorso verso l’uremia e l’exitus.

Eziologia
1. IRA prerenale (70-80% dei casi)
— danno renale circolatorio-ischemico da ipotensione, ipovolemia, shock di varia genesi.
Nota: non è sempre possibile accertare anamnesticamente lo shock. Spesso la sintomatologia dello shock è
transitoria oppure viene mascherata (ad es. non viene notata la caduta della PA durante la narcosi).

— danno renale tossico (alcuni autori lo considerano tra le cause renali di IRA); principali fattori scatenanti:
• farmaci: antiinfiammatori non steroidei = FANS (inibitori della sintesi di prostaglandine); ACE-inibitori;
antibiotici: aminoglicosidi, cefalosporine, inibitori della girasi, amfotericina B, ecc.; citostatici: cisplatino,
metotrexate, ciclosporina,
• mezzi di contrasto
• sostanze chimiche, ad es. glicole
• emolisi (incidente trasfusionale)
• rabdomiolisi: traumi («crush-syndrome»), abuso di farmaci, delirio da astinenza alcoolica, eccessivo sforzo
fisico, ipolipemizzanti (ad es. inibitori della HMG-CoA-reduttasi, fibrati).

2. IRA renale:
affezioni renali da cause diverse:
— nefropatie infiammatorie: sindrome di Goodpasture, nefrite interstiziale acuta da farmaci, infezione da
Hantavirus, ecc.
— nefropatie vascolari: occlusione dell’arteria o vena renale, vasculiti, ecc.
— sindrome emolitico-uremica (SEU) = sindrome di Gasser: è la causa più frequente di IRA in età infantile.
— ostruzione tubulare da precipitazione di catene leggere (in caso di plasmocitoma), urato (in caso di
iperuricemia), ossalato (ad es. in caso di intossicazione da glicole).

3. IRA postrenale: ostacoli al flusso urinario (localizzati dal bacinetto renale fino all’uretra = blocco urinario).

Clinica
All’esordio l’IRA non presenta sintomi significativi: successivamente compaiono rapidamente astenia,
nausea, torpore, ev. labilità neuropsichica. Poiché in taluni casi può mancare il sintomo principale
(oliguria) conviene sempre controllare accuratamente la funzione renale nelle affezioni predisponenti
all’IRA (bilancio idrico, azotemia e creatininemia,
esame delle urine).

4 Stadi dell’IRA:
1. lesioni renali (ad es. shock, nefrotossine)

2. oligo-anuria: pericoli principali:


— ipervolemia (insufficienza cardiaca sinistra, edema cerebrale, edema polmonare)
— iperpotassiemia (acidosi metabolica, uremia)

3. poliuria: pericolo principale: perdita di acqua, sodio e potassio

4. guarigione con normalizzazione della diuresi.

Complicanze
1. Polmone:
— polmone da shock (ARDS) nell’ambito di uno shock che ha portato all’IRA
— fluid lung, edema polmonare da ipervolemia
— polmonite (ad es. dovuta a respirazione artificiale).

Diagnosi
1. anamnesi + clinica
2. quantità della diuresi
3. esami ematochimici: iperazotemia (evtl. stick rapido in caso di emergenza), ipercreatininemia, disturbi
elettrolitici, emogasanalisi
4. esami urinari: sedimento, proteinuria, peso specifico e osmolalità, urea, sodio
5. ecografia color-doppler: IRA: nefromegalia; IRC: piccoli reni grinzi; stasi nel bacinetto renale? calcoli?
mancato riempimento vescicale?
6. inoltre:
— radiografia del torace (fluid lung?)
— sospetto di trombosi dei vasi renali _ecografia color-doppler, angiografia
— sospetto di IRA postrenale _ parere dell’urologo
— esclusione di una GN rapidamente progressiva (diagnostica immunologica: ANCA, ecc.)
— esclusione di una infezione da Hantavirus; in età infantile esclusione di una infezione

Terapia della IRA


1. Trattamento della patologia di base:
— trattamento dello shock
— misure di rivascolarizzazione in caso di malattia occlusiva reno-vascolare
— trattamento urologico in caso di ostruzione delle vie urinarie.

2. Trattamento sintomatico dell’IRA da causa renale o prerenale: somministrazione di un diuretico dell’ansa,


ad es. furosemide. Il trattamento diuretico determina l’aumento della diuresi (ma non del filtrato
glomerulare). Ciò rappresenta il presupposto per l’apporto per via parenterale di:
— calorie
— farmaci.

3. Bilancio idroelettrolitico
— in caso di iperpotassiemia, somministrare resine a scambio ionico, ecc.
— in caso di acidosi metabolica bicarbonato di sodio (secondo il base-excess)
— apporto di liquidi per bilanciarne la perdita:
In aggiunta alle perdite, l’introduzione quotidiana di liquidi in caso di anuria dovrebbe ammontare a circa
600 ml

4. Alimentazione Apporto calorico sufficientemente elevato (ca. 40 kcal/kg).

5. In caso di evtl. somministrazione di farmaci (ad es. antibiotici, digitalici), se ne devono adeguatamente
ridurre le dosi. Per il controllo ottimale della terapia, misurare la concentrazione ematica dei farmaci.

6. Trattamento dialitico

Indicazioni per la dialisi:


— azotemia > 150 mg/dl, oligoanuria < 300 ml urina/24 h
— insufficienza renale acuta ipercatabolica (aumento giornaliero dell’azotemia > 60 mg/dl)
— iperpotassiemia non controllabile con terapia conservativa
— acidosi metabolica non controllabile con terapia conservativa
— ipervolemia ingravescente, con pericolo di «fluid lung», edema cerebrale, edema polmonare
— pericardite uremica.

INSUFFICIENZA RENALE CRONICA E UREMIA


Definizione
È la conseguenza della perdita irreversibile delle funzioni glomerulare, tubulare ed endocrina di entrambi i
reni

Eziologia
— nefropatia diabetica (circa 35% dei casi)
— danni renali da ipertensione (circa 25%)
— glomerulonefrite cronica (circa 10%)
— nefrite interstiziale, compresa la pielonefrite cronica (circa 5%)
— nefropatia policistica (circa 3%)
— nefropatia da analgesici (circa 1%)
— altre cause (6%): malattie del collagene (in particolare LES) e vasculiti, amiloidosi, mieloma multiplo, ecc.
— eziologia non chiara (circa 15%).

Stadiazione dell’insufficienza renale:


I. Stadio iniziale di compenso: lieve riduzione della clearance della creatinina e della capacità di
concentrazione
con valori di azotemia e creatininemia ancora normali.

II. Stadio della ipercreatininemia compensata: aumento dei valori di creatininemia sino a 6 mg/dl (530
μmol/l), senza sintomi clinici di uremia.

III. Stadio della insufficienza renale pre-terminale (preuremia): creatininemia > 6 mg/dl; con valori > 8 mg/dl
(707 μmol/l)
compaiono i sintomi dell’uremia e si parla di ipercreatininemia scompensata.

IV. Insufficienza renale terminale (stadio uremico): creatininemia > 10 mg/dl (884 μmol/l); malgrado
l’attuazione
di una terapia conservativa, progressione delle manifestazioni uremiche. Trattamento sostitutivo con dialisi
e trapianto

L’insufficienza renale cronica comporta:


1. deficit di funzione renale escretoria
2. disturbi del bilancio idrico, elettrolitico e acido-base
3. disturbi della funzione renale ormonale: ridotta secrezione di eritropoietina, renina, calcitriolo = 1,25-
(OH)2-D3, e prostaglandine
4. danno organico tossico provocato dalla ritenzione di sostanze normalmente eliminate con le urine.

Clinica dell’uremia
1. stadio di compenso iniziale: isostenuria, poliuria, nicturia, alterazioni del sedimento urinario

2. stadio dell’ipercreatininemia compensata:


— sintomi ematologici:
• anemia renale con astenia e ridotta resistenza allo sforzo
• trombocitopenia, trombocitopatia (_ evtl. diatesi emorragica terminale)
• alterazioni della funzione immunitaria
— ipertensione arteriosa: ipertensione con sovraccarico del cuore sinistro, evtl. cefalea.
Nota: in caso di insufficienza renale terminale si distinguono 2 tipi di ipertensione:
• ipertensione secondaria alla ritenzione di acqua e sali _ miglioramento col trattamento dialitico (80-90%
dei casi)
• ipertensione secondaria all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone_ non risente del
trattamento dialitico

3. insufficienza renale pre-terminale:


— ritenzione di sodio ed acqua, con incremento del peso corporeo ed edemi _ (controllare il peso!), «fluid
lung» (non rilevabile all’auscultazione, ma diagnosticabile solo con l’indagine radiologica del torace)
— insufficienza cardiaca
— gastroenterite uremica con vomito e diarrea (_ evtl. disidratazione), emorragie intestinali
— prurito
— neuropatia uremica
— alterata funzionalità gonadica, impotenza
— osteopatia renale: I seguenti 3 sintomi caratteristici indicano la presenza di osteopatia renale:
• spesso dolori ossei diffusi, a livello dello scheletro delle spalle, delle coste e delle articolazioni delle
anche, ginocchia e caviglie
• comparsa di fratture spontanee alle coste, vertebre e alle articolazioni delle anche
• astenia muscolare, soprattutto alla muscolatura prossimale degli arti inferiori (evtl. andatura barcollante)

4. insufficienza renale terminale: ai sintomi sopra indicati si aggiungono


— fetore uremico
— neuropatia motoria, encefalopatia uremica con alterazioni della concentrazione, ecc.
— pericardite (ecocardiogramma: evtl. versamento pericardico) e pleurite uremica
— iperidratazione con edema polmonare
— diatesi emorragica
— coma, morte.

Diagnosi
1. clinica
2. esami di laboratorio
— valori ematici: iperazotemia, ipercreatininemia (il suo monitoraggio nel tempo consente di valutare il
decorso dell’insufficienza renale), clearance della creatinina diminuita, disturbi elettrolitici (da diuresi,
vomito, diarrea), acidosi metabolica (_ evtl. respiro di Kussmaul), anemia renale normocromica

— valori urinari: peso specifico intorno a 1.010 (isostenuria) - ammesso che non aumenti per effetto della
proteinuria o della glicosuria. Osmolalità < 600 mosmol/ kg, urea < 1 g/dl; evtl. glicosuria (diminuito
riassorbimento tubulare)
3. ecografia: nella pielonefrite/glomerulonefrite cronica, si riscontrano reni sclerotici a superficie irregolare
e con parenchima assottigliato. Presenza eventuale di cisti renali. In caso di ostruzione delle vie urinarie:
stasi nel bacinetto renale

4. diagnostica dell’osteopatia renale

Terapia
A) Conservativa
1. Trattamento della nefropatia di base

2. Diminuzione della ritenzione di sostanze azotate con dieta povera di proteine ma ricca in aminoacidi. La
restrizione proteica deve avvenire solo fino al raggiungimento del valore limite dell’equilibrio azotato
(l’apporto proteico deve
corrispondere alla perdita). Con una alimentazione normale bisogna garantire un apporto giornaliero di
proteine di 0,5 g/kg di peso corporeo. Una dieta ottimale deve mantenere intorno a 10 il rapporto
azotemia/creatininemia.
La creatininemia non viene influenzata dalla dieta povera di proteine. Una riduzione della creatininemia in
assenza di un aumento della clearance della creatinina depone per un decremento della massa muscolare
secondario a bilancio proteico
negativo (_ aumentare l’apporto proteico!).
La dieta iposodica è indicata in caso di ipertensione o edemi per effetto della ritenzione di sodio.

3. Aumento dell’apporto di liquidi (sino a 2-2,5 l/die) così da provocare una maggiore eliminazione di
composti azotati tramite l’aumento della diuresi a 2,5 l/ die. In tal modo è possibile ridurre l’azotemia ma
non la creatininemia.
Una volta assicurato il bilancio elettrolitico, una riduzione della diuresi può essere trattata con due
provvedimenti terapeutici:
— somministrazione di un diuretico dell’ansa (ad es. furosemide):
Invece del trattamento con diuretici dell’ansa ad alte dosi impiegato sino ad oggi, si preferisce ora associare
al diuretico dell’ansa un tiazidico. Questo blocco sequenziale del nefrone consente infatti di superare la
resistenza ai diuretici. Esso può però comportare una perdita di potassio e magnesio _ controllare gli
elettroliti!
— somministrazione di bicarbonato per correggere l’acidosi
Se nonostante questa terapia la diuresi continua a ridursi, sono allora esaurite tutte le possibilità di terapia
conservativa dell’insufficienza renale, e diviene quindi indicato il trattamento sostitutivo.

4. Controlli del bilancio idrico, elettrolitico e acido-basico con correzione dei relativi disturbi
La mancanza di sale rappresenta la causa principale di diminuzione della diuresi. L’apporto giornaliero di
NaCl si basa sulla perdita nelle urine.

5. Attenzione: tenere conto delle variazioni della farmacocinetica. In caso di insufficienza renale ridurre le
dosi di mantenimento (la prima dose rimane invariata) dei farmaci eliminati per via renale . Preferire i
farmaci il cui dosaggio resti
invariato anche in caso di insufficienza renale.

6. Prevenzione e trattamento delle complicanze:


• trattamento dell’ipertensione, che danneggia ulteriormente il rene. Valori ottimali
da raggiungere: 120/80 mmHg. La terapia di scelta sono gli ACE-inibitori che dovrebbero svolgere un’azione
protettiva sul rene. Nell’insufficienza renale terminale l’ipertensione è solitamente la conseguenza della
ritenzione
idro-elettrolitica e richiede il trattamento dialitico
• prevenzione e trattamento dell’iperpotassiemia: eliminare la causa (ad es. cibi ricchi di potassio,
catabolismo), correggere l’acidosi, somministrare resine a scambio ionico (scambiatori di Na+ oppure di Ca+
+, a seconda della situazione);
sono controindicati i diuretici risparmiatori di potassio; anche gli ACEinibitori e il cotrimossazolo possono
provocare iperpotassiemia
• prevenzione e trattamento dell’osteopatia renale:
— terapia dell’iperfosfatemia e controllo del calcio sierico:
– restrizione dietetica di fosfati
– trattamento con chelanti dei fosfati contenenti calcio (acetato di calcio, carbonato di calcio)
Effetti collaterali: pericolo di ipercalcemia
— somministrazione di calcitriolo
• trattamento dell’anemia renale: somministrazione di eritropoietina
• evtl. trattamento del prurito uremico

B) Trattamento sostitutivo della funzione renale


Obiettivi: rimozione dell’acqua e delle scorie azotate (creatinina, urea, tossine uremiche), correzione delle
alterazioni dell’equilibrio elettrolitico ed acido-base; prevenzione delle complicanze dell’insufficienza renale
cronica.
Procedimenti:
1. Emodialisi extracorporea e dialisi peritoneale
— Emodialisi
Le sostanze da eliminare diffondono attraverso una membrana semipermeabile secondo un gradiente di
concentrazione dal sangue al mezzo dialitico isotonico/isoionico. La differenza di concentrazione tra sangue
e dializzato viene mantenuta meccanicamente. In caso di emodialisi extracorporea si utilizzano membrane
sintetiche semipermeabili. Per avere un accesso vascolare riutilizzabile, si crea nel paziente sottoposto a
programma di dialisi cronico-intermittente, una fistola arterovenosa (ad es. shunt di Cimino tra l’arteria
radiale e la vena cefalica). La emodialisi cronico-intermittente va effettuata 3 volte
per settimana, ogni volta per 4-8 ore (a seconda della funzionalità renale residua e della taglia corporea).
Oltre che nei centri di dialisi è oggi possibile effettuare anche una dialisi domiciliare.
Nota: con la dialisi giornaliera (2 ore/die) i pazienti si sentono più efficienti. Pertanto in pazienti selezionati,
l’emodialisi continua assume sempre maggiore significato.
— Dialisi peritoneale
Nella dialisi peritoneale il peritoneo funge da membrana semipermeabile (con una superficie di scambio di
circa 1 m2), la cavità addominale funge da contenitore per il dializzato che viene instillato con un catetere.
Come liquido di lavaggio si usa una soluzione glucosata priva di potassio, adattata al contenuto elettrolitico
del sangue (che però, dopo alcuni anni, può danneggiare il peritoneo riducendone la capacità di
ultrafiltrazione); oppure una soluzione col polimero glucidico icodestrina.

Indicazioni
— dialisi cronica in caso di insufficienza renale cronica; indicazioni all’inizio del trattamento:
• sintomi uremici
• ipertensione arteriosa difficilmente controllabile
• iperpotassiemia non controllabile
• iperfosfatemia grave
• anemia renale grave
• acidosi metabolica grave
• creatininemia > 8-10 mg/dl
• azotemia > 160-200 mg/dl
— insufficienza renale acuta
— intossicazione da veleni dializzabili o ultrafiltrabili
— ritenzione idrica da causa cardiaca.

Complicanze
— nello shunt: stenosi, trombosi, emorragie, infezioni, sepsi, sindrome da furto ematico (con dolori alle
dita), aneurisma, insufficienza cardiaca
— peritonite nella CAPD, e talvolta infezioni profonde dell’accesso, lungo il catetere (solitamente provocate
da germi cutanei: stafilococchi in oltre il 70% dei casi. Diagnosi: scarico di dializzato torbido, ricco di
leucociti; identificazione
del germe)
— in caso di assunzione di liquido incontrollata: ipervolemia ed ipertensione (pesarsi giornalmente)
— in caso di assunzione di potassio incontrollata iperpotassiemia pericolosa per la vita
— epatite B (vaccinazione profilattica attiva!) ed epatite C
— depositi di alluminio cerebrali (demenza da dialisi) ed ossei (attenzione agli antiacidi contenenti
alluminio)
— cachessia dovuta a catabolismo
— polineuropatia
— raramente amiloidosi con sindrome da tunnel carpale e artropatia amiloidosica (causa: aumentata
concentrazione della 2-microglobulina?)
— problemi psichici.

C) Trapianto renale

Pneumologia

Pneumopatie ostruttive

 Broncopneumopatia cronica ostruttiva

BPCO è un termine che include un gruppo di patologie polmonari che causano dispnea e che sono
caratterizzate da mutamenti strutturali nel polmone che portano ad una limitazione al flusso fissa o
progressivamente irreversibile.
Questo termine include l’enfisema, la bronchite cronica e le bronchioliti croniche, così come tutte le
patologie polmonari che hanno manifestazioni cliniche, radiologiche e fisiologiche comuni. Il termine
esclude altre cause di ostruzione al flusso, come la fibrosi cistica e le bronchi ectasie, che anche possono
causare irreversibile ostruzione al flusso, e l’asma.
Il fumo di sigaretta è la causa più frequente di BPCO; tuttavia contribuiscono altri fattori quali
l'inquinamento atmosferico, l'esposizione occupazionale alle polveri e ai vapori e le infezioni. Sebbene il
fumo di sigaretta sia una causa molto frequente, va sottolineato che solo il 20% dei fumatori sviluppa una
BPCO clinicamente significativa. Ciò suggerisce chela BPCO derivi da una suscettibilità a fattori ambientali
(ad es., il tabacco) che dipende da una predisposizione genetica.

CARATTERISTICHE CLINICHE
Dispnea cronica progressiva

DATI DI LABORATORIO
Riduzione dei flussi espiratori principalmente per una diminuzione della pressione di ritorno elastico, ma
anche per un’aumentata resistenza al flusso nelle piccole vie aeree. Ipossia ed Ipercapnia nelle fasi
terminali.

 Enfisema
L'enfisema è un’entità clinica inclusa nel termine generale di BPCO. E’ una dilatazione permanente degli
spazi aerei che deriva da una distruzione del parenchima polmonare, in assenza di fibrosi. Tali alterazioni
esitano in un acino abnorme con una limitata capacità per gli scambi gassosi. L’enfisema può essere
classificato in centroacinoso e pan acinoso: l’enfisema centroacinoso, che colpisce la parte prossimale
dell’acino,è più comunemente correlato al fumo, mentre I'enfisema pan acinoso è osservabile nell'ambito
di un deficit di alfa1-antitripsina.
L'elastina è ritenuta il bersaglio principale delle proteasi polmonari, poiche I'assenza di alfa1-antitripsina
previene l'inattivazione dell’elastasi. Una eccessiva distruzione delle fibre di elastina porta ad una riduzione
del ritorno elastico del polmone. Dal momento che le elastasi, possono essere rilasciate nel polmone dai
neutrofili, macrofagi ed altre cellule immuni, anche l’infiammazione viene considerata un processo chiave
nello sviluppo dell’enfisema. L’infiammazione inoltre causa edema della mucosa e produzione di muco, i
quali portano entrambi ad un restringimento delle vie aeree. Anche gli stimoli neurogenici sono considerati
importanti nella patogenesi delle malattie ostruttive delle vie aeree. La via bronco costrittiva, che
normalmente serve a proteggere le vie aeree da agenti nocivi, in condizioni patologiche può contribuire
all'iperreattività delle vie aeree.

MANlFESTAZlONl CLINICHE
Generalmente, l'enfisema da fumo di sigaretta non si osserva nei pazienti con meno di 40 anni. L'enfisema
correlato all'esposizione cronica a1 tabacco si manifesta con dispnea lentamente progressiva, che in un
primo momento si presenta durante l'esercizio, ma successivamente progredisce negli anni fino ad essere
evidente anche a riposo. I pazienti affetti da enfisema possono lamentare intolleranza all'esercizio e
astenia; la malattia comporta peraltro anche perdita di peso, depressione e/o ansia dovuti ad aumento del
lavoro respiratorio. In alcuni casi può essere presente tosse cronica, secca o produttiva a seconda del grado
di coinvolgimento delle vie aeree.
Durante le fasi iniziali dell'enfisema, l’esame obiettivo può essere normale e ritardare la diagnosi. Quando
la patologia
progredisce, il polmone può risultare iperfonetico alla percussione e con l'auscultazione è possibile rilevare
alcuni ronchi, sibili o deboli crepitii. Nelle fasi più avanzate della malattia i pazienti mostrano evidente
aumento del lavoro
respiratorio, come risaltato dall'uso dei muscoli accessori, dalle labbra increspate e dalla perdita di peso.
Con il progredire della malattia, i volumi polmonari aumentano (iperinflazione) e il diaframma si
appiattisce; ciò rende l'escursione inspiratoria insufficiente. Il volume corrente si riduce e la frequenza
respiratoria aumenta, nel
tentativo di ridurre il lavoro respiratorio. A causa della perdita di vascolarizzazione delle pareti alveolari
distrutte, le pressioni polmonari aumentano (ipertensione vascolare polmonare), con sovraccarico del
ventricolo destro. Tali alterazioni, associate alla costrizione dei vasi polmonari prodotta dall'ipossiemia,
possono accelerare
lo sviluppo di insufficienza ventricolare destra, nota come cuore polmonare. I segni che caratterizzano
il cuore polmonare comprendono ritmo di galoppo, distensione delle vene del collo, reflusso epato-
giugulare ed edema degli arti inferiori.

DIAGNOSI
La spirometria, essendo in grado di rilevare una riduzione del FEV1, consente di individuare meglio queste
caratteristiche. La riduzione del FEV1 predomina rispetto alla riduzione della capacita vitale forzata (CVF)
portando ad una riduzione del FEV1/CVF%; la riduzione del FEV1 e del FEV1/CVF% è patognomonica della
limitazione del flusso aereo (CVF: massima quantità di aria che può essere espirata dopo un’inspirazione
normale; FEV1: volume espiratorio forzato in 1 secondo, che corrisponde a quella porzione di CVF che può
essere espirata nel primo sec).
La severità di malattia e la prognosi possono essere stimate in base al FEV1: un FEV1 intorno a 1L
(generalmente indica ostruzione severa).
I volumi polmonari vanno sempre misurati, poichè la limitazione al flusso di aria espirato e la diminuzione
del ritorno elastico portano ad iperinflazione del polmone, la quale viene evidenziata da un aumento del
volume residuo (quantità di aria che rimane nel polmone dopo espirazione massimale), della capacità
funzionale residua e anche della capacita polmonare totale (quantità di aria presente nei polmoni dopo
inspirazione massimale).
La perdita di superficie alveolare, insieme con l'ostruzione bronchiale e I'alterata distribuzione dell'aria
ventilata porta ad un deviazione o disarrangiamento del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q), che può
determinare ipossiemia (si crea uno spazio morto) . Le alterazioni negli scambi gassosi possono essere
evidenziate mediante emogasanalisi arteriosa.
Nelle prime fasi dell'enfisema, la radiografia del torace potrebbe essere inefficace nel rivelare anomalie
ma, nelle
fasi più tardive, l'esame radiografico mostra iperinflazione, iperdiafania, appiattimento del diaframma e
modificazioni bollose del parenchima polmonare. La TC consente una valutazione più dettagliata del
parenchima polmonare e delle strutture circostanti. L'elettrocardiogramma può mostrare segni di
sovraccarico del ventricolo destro. Gli esami ematologici possono evidenziare un'eritrocitosi nel contesto
di un'ipossiemia cronica, mentre un aumento della conta dei globuli bianchi pub suggerire un'infezione.

MANAGEMENT
Poiché non esiste una cura per l’enfisema, l’approccio migliore consiste nella sua prevenzione.
Una volta accertato l’enfisema, la terapia è diretta ed evitare le complicanze (ad es., infezioni), cercando di
aumentare il calibro delle vie aeree e di minimizzare gli effetti di un'ossigenazione non adeguata. I farmaci
utilizzati per diminuire l’ostruzione delle vie aeree includono i broncodilatatori, gli anti-infiammatori e i
mucolitici.
Il supplemento cronico di ossigeno attualmente è spesso adoperato in pazienti con enfisema avanzato e
legato a disturbi polmonari ostruttivi. I1 supplemento può rendersi necessario anche negli stadi iniziali in
presenza di un danno d'organo documentato o nei peggioramenti acuti della patologia.
In alcuni pazienti con patologia allo stadio avanzato, gli interventi chirurgici dovrebbero dimostrarsi
vantaggiosi. Di
questi, la bullectomia, l'intervento chirurgico per ridurre il volume polmonare (LVRS), e il trapianto dei
polmoni sono
tutti potenziali opzioni chirurgiche efficaci per pazienti scelti.

 Bronchite cronica
La bronchite cronica spesso coincide con l'enfisema nel paziente con BPCO, ed è definita come una tosse
persistente
che ha come risultato la produzione di espettorato per più di tre mesi in ciascuno degli ultimi due anni. Il
fumo delle sigarette è la causa principale, sebbene anche l'esposizione a sostanze tossiche potrebbe avere il
suo ruolo. I risultati
patologici sono iperplasia delle cellule cilindriche, tappi di muco e fibrosi.
Al contrario dell’enfisema, la bronchite cronica è principalmente una malattia delle vie respiratorie e non
del parenchima polmonare.
Pertanto, le principali manifestazioni cliniche sono correlate alla limitazione del flusso aereo legato alla
resistenza delle vie aeree. La presentazione clinica del paziente con bronchite cronica è simile a quella
descritta per i pazienti con enfisema, ma un sintomo predominante è la produzione di espettorato.
Potrebbero essere presenti anche ricorrenti infezioni batteriche delle vie respiratorie. La diagnosi include
test di funzionalità polmonare e radiografia toracica in aggiunta a test di laboratorio standard.
Il trattamento include I'uso di broncodilatatori Per inalazione e corticosteroidi. Fisioterapia toracica per
favorire I'espettorazione. In pazienti selezionati, la terapia antibiotica continua con cicli alternanti di agenti
differenti (antibiotico-terapia a rotazione) potrebbe migliorare i risultati.
 Bronchiolite cronica
La bronchiolite cronica è una malattia associata all'infiammazione, alla fibrosi, e alla distorsione delle
piccole vie aeree (bronchioli membranosi e respiratori) che portano alla limitazione delle vie aeree dovuta
all'aumento della resistenza delle vie respiratorie. Questi cambiamenti possono essere accompagnati da
iperplasia muscolare delle vie aeree.
Il fumo delle sigarette è la causa principale. La bronchiolite può anche essere riscontrata dopo esposizione
cronica alle polveri minerali collegate all'occupazione come silicio e amianto. Presentazione e valutazione
clinica simili a quelle descritte per la BPCO.

 Bronchiectasia
La bronchiectasia è una dilatazione anomala dei bronchi che è la conseguenza di un’ infiammazione e di
cambiamenti
distruttivi permanenti negli strati elastici e muscolari delle pareti bronchiali. Questa malattia è di solito
causata da infezioni ricorrenti o croniche gravi.
I pazienti con bronchiectasia mostrano tosse cronica, espettorato abbondante e di cattivo odore (talora
con tracce di sangue), respiro corto, suoni toracici anomali e stanchezza.
La diagnosi si esegue mediante test di funzione polmonare, che mostrano vari gradi di ostruzione; l’RX
toracico può essere normale o mostrare dilatazione bronchiale, pareti ispessite, immagini a binario (cioè
pareti ispessite che non decrescono dai siti prossimali ai distali). La TC è più sensibile per la scoperta delle
vie aeree dilatate.

 Fibrosi cistica
Malattia genetica autosomica recessiva; colpisce diversi organi. E’ il frutto di una mutazione di un singolo
gene che codifica un regolatore di conduttanza trans membrana della fibrosi cistica (CFTR), che è un canale
localizzato sulla superficie apicale delle cellule epiteliali. Questa imperfezione ha come risultato un
trasporto difettoso del cloro e un aumento dell’assorbimento del sodio nelle vie aeree e negli epiteli del
dotto, creando secrezioni spesse e viscose nei tratti respiratori, epatobiliari, gastrointestinali, e riproduttivi.
Le secrezioni spesse causano ostruzione del lume e distruzione dei dotti esocrini.

CARATTERISTICHE CLINICHE
Nei pazienti con la fibrosi cistica le vie respiratorie vengono colonizzate all'inizio dallo Staphylococcus
aureus o
Haemophilus influenme, seguiti dallo Pseudomonas Aeruginosa. L'infiammazione e l'infezione persistenti
causano distruzione della parete bronchiale e bronchiectasia. L’otturazione delle piccole vie respiratorie da
parte dei
muchi causa dilatazioni cistiche post-ostruttive e distruzione parenchimale.
Segue l'ostruzione progressiva del flusso aereo e la maggior parte dei pazienti muore di scompenso
respiratorio.
Questi pz possono presentare depositi salini sulla cute, tosse persistente, con o senza produzione di
espettorato, sibili, dispnea, inappetenza o deficit di crescita,feci grasse e voluminose, sterilità e/o
osteoporosi e diabete.

DIAGNOSI
I test di funzionalità respiratoria possono evidenziare diversi gradi di ostruzione, anche se non
uente udostruzione progressiva delle vie aeree. Le indagini radiologiche del torace possono risultare
normali
evidenziare delle bronchiectasie.

TRATTAMENTO
Il trattamento della fibrosi cistica comporta un'attenta rimozione delle secrezioni dall'albero bronchiale, un
supporto
nutrizionale compresa la terapia sostitutiva con enzimi pancreatici e la somministrazione di terapia
antibiotica, broncodilatatori e DNasi umano ricombinante aerosolizzato, che riduce la viscosità
dell'espettorato.
L’'unica possibilità di trattamento per i pazienti con fibrosi cistica allo stadio terminale è il trapianto di
polmone.

 Asma
L'asma è un disturbo polmonare cronico caratterizzato dall'infiammazione, iperreattività e ostruzione
reversibile delle
vie aeree.
L'infiammazione delle vie respiratorie è considerata il principale meccanismo fisiopatologico responsabile
dell'asma.
L'asma è anche associato a1 rimodellamento della parete delle vie respiratorie che è caratterizzato da
iperplasia e ipertrofia delle cellule del muscolo liscio, edema, infiltrazione infiammatoria, e l'aumento della
deposizione delle componenti del tessuto connettivo come collagene di tipo I e III. I1 rimodellamento della
parete delle vie respiratorie porta ad una limitazione del flusso respiratorio irreversibile, che peggiora il
disturbo rendendo i farmaci broncodilatatori meno efficaci: il rimodellamento della parete delle vie
respiratorie rende anche molto più difficile distinguere questo disturbo dalla BPCO nella quale l'ostruzione
del flusso respiratorio è irreversibile.

MANlFESTAZlONl CLINICHE
La classica triade dei sintomi prevede respiro sibilante persistente, dispnea episodica cronica e tosse
cronica.
Spesso questi sintomi peggiorano di notte o durante le prime ore del mattino.

DIAGNOSI
La diagnosi dell'asma richiede una documentazione di iperreattività e ostruzione reversibile delle 'vie
respiratorie al
flusso. La limitazione del flusso dell’aria è facilmente rilevata se presente dalla spirometria.
Il test di bronco provocazione consiste nel fornire al paziente una dose a livello delle vie respiratorie di uno
stimolante con attività bronco dilatatoria; istamina, metacolina e aria fredda tra gli stimolanti più utilizzati.
Anche lo sforzo può essere usato per scatenare un attacco. La diagnosi dipende dalla dose dello stimolante
necessaria a provocare l’effetto.
Di ausilio anche rx toracico e analisi del sangue.

TRATTAMENTO
La terapia di mantenimento in tutte le forme di asma, escluse quelle lievi, si fonda sull’assunzione di
corticosteroidi per inalazione. I broncodilatatori, al lunga o breve durata d’azione sono aggiunti per il
controllo dei sintomi suppletivi.

Pneumopatie interstiziali
Le pneumopatie interstiziali rappresentano un gruppo di oltre 120 entità nosologiche distinte,
caratterizzate da un danno polmonare cronico diffuso e da un processo infiammatorio che di solito evolve
con un esito fibrotico irreversibile. Distinguiamo in questo macro gruppo le polmoniti interstiziali
idiopatiche; malattie
granulomatose; pneumopatie interstiziali legate al tessuto connettivo; pneumopatie interstiziali indotte da
farmaci; vasculite polmonare; entità distinte di origine sconosciuta che si manifestano come sindromi ben
definite, come sarcoidosi, granuloma eosinofilo, e linfangioleiomiomatosi.
In generale, le pneumopatie interstiziali sono caratterizzate da quattro manifestazioni, che insieme vengono
indicate
come sindrome da pneumopatia interstiziale: 1) sintomi respiratori come dispnea e tosse, 2) infiltrazioni
bilaterali
visualizzate all'esame radiografico del torace, 3) anomalie fisiologiche, tra cui la più frequente è quella
polmonare
restrittiva, 4) anomalie istologiche, caratterizzate da fibrosi ed infiammazione.
I sintomi respiratori nei pazienti con pneumopatia interstiziale sono di solito subacuti o cronici; alcuni
pazienti infatti ricevono una diagnosi dopo settimane, mesi o addirittura anni dall'insorgenza. Senso di
affaticamento, febbre e perdita di peso non sono infrequenti. Durante le fasi precoci della patologia i
sintomi si presentano sotto sforzo. Un'anamnesi accurata è di grande ausilio per la diagnosi.
I pazienti con pneumopatia interstiziale mostrano una ridotta espansione toracica durante I'ispezione. La
palpazione
percussione raramente rivelano modificazioni significative, ma l'auscultazione mostra crepitii velcro-simili
alle basi di entrambi i polmoni. L’evidenza di un’insufficienza cardiaca destra, distensione delle giugulari,
ritmo di galoppo, edema agli arti inferiori suggerisce ipertensione polmonare; l’insufficienza del ventricolo
dx è di solito il risultato dell’ipossiemia cronica.
Le pneumopatie interstiziali colpiscono l'interstizio del polmone in diverse localizzazioni. A seconda della
sede di
attività della malattia, le conseguenze possono variare. Specificamente, le malattie che interessano
I'interstizio che circonda
la parte distale degli alveoli conducono ad un quadro restrittivo con riduzione dei volumi polmonari. Al
contrario, le malattie
che interessano preferenzialmente I'interstizio vicino le parti piu prossimali dell'acino, in prossimità dei
bronchioli distali, possono dar luogo ad un quadro caratterizzata da volumi polmonari preservati e da
ostruzione fisiologica.
Normalmente, l'interstizio del polmone contiene pochi fibroblasti e pochi elementi del tessuto connettivo,
all'interno di una parete molto sottile che permette una diffusione efficace dei gas. Nella pneumopatia
interstiziale invece questo spazio si espande, con l'accumulo di fibroblasti e con la deposizione di una
matrice aberrante che aumenta la distanza tra lo spazio alveolare e le strutture vascolari, ritardando così - e
in alcuni casi impedendo - lo scambio gassoso. Questo ispessimento dell'interstizio rende conto della scarsa
ossigenazione e dell'aumentata rigidità del tessuto polmonare, che si manifestano come ridotta
compliance, riduzione dei volumi polmonari e incrementato lavoro respiratorio.

Patologie della parete toracica e del mediastino

 Versamento pleurico
Un versamento pleurico può essere dovuto sia a patologie benigne che maligne. La causa più comune è
rappresentata dall’insufficienza cardiaca congestizia. Sono comuni anche i versamenti parapneumonici,
che raramente evolvono in empiema. I processi neoplastici possono determinare versamento pleurico per
interessamento della pleura da parte del tumore primitivo o delle metastasi. Quando la causa non è
immediatamente evidente, è necessario prelevare liquido pleurico
per esaminarlo. Lo scopo di tale procedura è quello di determinare il meccanismo fisiopatologico alla base
del versamento. Le forze osmotiche ed idrostatiche risultano responsabili della formazione di un trasudato,
come si
osserva in corso di cirrosi, scompenso cardiaco congestizio e ipoproteinemia.
Un'alterata permeabilità vascolare, come si osserva in caso di infiammazione, infezione o neoplasia,
determina lo sviluppo di un essudato. In alcune condizioni (ad es., patologie tromboemboliche), il liquido
pleurico può essere sia un trasudato che un essudato. Per distinguere un essudato da un trasudato, occorre
che sia soddisfatto uno di questi tre criteri seguenti:
1) rapporto tra proteine nel liquido pleurico/proteine sieriche>0,5;
2) rapporto tra lattico deidrogenasi (LDH) sierica e LDH del liquido pleurico >0,6;
3) LDH nel liquido pleurico >200.
Se sono soddisfatti tutti e tre i criteri, si tratta di un versamento essudativo al 98%.
se viene identificato un essudato, allora è importante determinare se si tratti di un versamento complicato
o non complicato. Un versamento complicato si riferisce ad accumulo di liquido in conseguenza di
un'infezione, come osservato nell'empiema. In questo caso, è necessario eliminare il versamento e tale
rimozione si può ottenere mediante l'inserimento di un drenaggio per toracostomia. Un valore di pH <7,2
generalmente identifica un
versamento complicato; tuttavia, tale reperto non è specifico poichè anche una neoplasia maligna, l'artrite
reumatoide ed un trauma con lesione esofagea possono essere associati a ridotti livelli di pH.
Dopo aver completato l'esame precedentemente descritto ed aver registrato i reperti di laboratorio,
bisogna effettuare ulteriori indagini di laboratorio, in maniera selettiva, a seconda della presentazione
clinica della patologia. Studi
Microbiologici e citologici sono utili valutare un'infezione o uno stato di malignità. La presenza di pus
definisce
un empiema e la presenza di organismi evidenziati con la colorazione di Gram o con colture medie
definisce un'infezione dello spazio pleurico. La presenza di sangue nel versamento suggerisce la presenza di
un processo maligno, di un trauma, di tubercolosi, di una collagenopatia o di una tromboembolia. La
linfocitosi suggerisce una cronicità, ma potrebbe anche essere correlata alla tubercolosi o ad una patologia
linfoproliferativa.
Si riscontrano eosinofili con il sangue o l'aria nello spazio pleurico. I livelli di glucosio risultano ridotti (<20
mgldl) in corso di infezioni e patologia reumatica. Un elevato livello di amilasi potrebbe essere osservato in
corso di pancreatite. Livelli di trigliceridi superiori a 110 mgl/dl sono caratteristici del chilotorace.
Se necessario, potrebbe essere eseguita una biopsia della Pleura. I versamenti trasudativi sono
generalmente di piccole dimensioni e raramente richiedono un drenaggio per migliorare i sintomi. Al
contrario, i versamenti essudativi conseguenti ad infezioni necessitano di un drenaggio per evitare sepsi,
aderenze, fistole cutanee, ascessi polmonari e fistole bronco-pleuriche.

 Pneumotorace
E’ l'accumulo di aria all'interno dello spazio pleurico. Quando la quantità di aria è significativa, determina
dispnea e pleurite. Un esame obiettivo potrebbe mostrare una riduzione dei rumori respiratori, iperfonesi,
escursione laterale limitata e deviazione tracheale verso il lato opposto. I1trattamento generalmente
richiede I'inserimento di un drenaggio per toracostomia e aspirazione.
Lo pneumotorace potrebbe presentarsi spontaneamente, soprattutto negli uomini giovani, alti e magri,
come conseguenza di una rottura di bolle apicali congenite. Per uno pneumotorace di lieve entità, potrebbe
essere indicata la semplice osservazione.
Pneumotoraci complicati si manifestano come conseguenza pneumopatie sottostanti, poiché lo sviluppo di
lesioni pseudocistiche a pareti sottili o di uno pneumatocele possono essere associati a pneumotorace.
Uno pneumotorace traumatico potrebbe verificarsi come conseguenza di una penetrazione o di un trauma
diretto e viene trattato con una toracotomia. Uno pneumotorace tensivo rappresenta l’accumulo di aria
nello spazio pleurico, che determina una pressione positiva. Poiché uno pneumotorace tensivo può
determinare una compromissione emodinamica, tale emergenza medica necessita di una immediata
decompressione. Tutti i pazienti con pneumotorace che stanno attuando una ventilazione meccanica
necessitano di un drenaggio toracico a causa del rischio di sviluppare uno pneumotorace tensivo.

 Mesotelioma maligno
Compare, di solito, nei soggetti di età superore ai 55 anni, soprattutto negli uomini che sono stati esposti
all'asbesto nel passato. Il paziente potrebbe presentare dispnea, dolore toracico e perdita di peso; le
indagini toraciche mostrano la presenza di versamento e di massa a livello pleurico. La diagnosi richiede
una biopsia pleurica.
La chemioterapia e la radioterapia rappresentano le più comuni opzioni terapeutiche, ma la prognosi
globale è severa.

 Patologie mediastiniche
11 mediastino comprende la porzione centrale del torace collocata posteriormente allo sterno,
medialmente alla superficie mediale dei polmoni, anteriormente alla parete toracica e delimitato
inferiormente dal diaframma e superiormente dall’ingresso toracico.

MEDlASTlNlTl
La mediastinite acuta è un processo infiammatorio rapidamente progressivo che compare quale esito di
trauma e
tumore necrotico o per cause iatrogene durante procedure invasive. L'infezione determina febbre, sepsi,
dolore ed enfisema sottocutaneo. Indagini diagnostiche strumentali toraciche potrebbero evidenziare
slargamento del mediastino, pneumotorace o idrotorace. Il trattamento prevede antibiotici, drenaggio
pleurico e svuotamento
mediastinico. La mediastinite cronica è una patologia lenta, progressiva che potrebbe essere idiopatica o
secondaria ad infezioni granulomatose quali tubercolosi e istoplasmosi Altre cause comprendono neoplasia,
radioterapia e raramente farmaci. La condizione di solito è indolore, ed il paziente resta asintomatico fino a
quando non restano coinvolte le strutture vascolari o neurologiche. La sindrome della vena cava superiore
potrebbe rappresentare una complicanza. In alcuni casi, la fibrosi progredisce inesorabilmente fino ad
occludere strutture vitali con esito fatale.

MASSE MEDIASTINICHE
A livello mediastinico possono svilupparsi masse sia di natura benigna che maligna. Le principali cause sono
rappresentate da neoplasie neurogene, timomi, cisti congenite, linfomi e tumori delle cellule germinali. La
mediastino scopia può utilizzata.

Infezioni polmonari
Le infezioni polmonari sono patologie frequenti: possono essere dovute a diversi microrganismi, inclusi
virus, batteri e funghi. I pazienti di solito manifestano sintomi respiratori, quali tosse produttiva, dispnea,
dolore toracico e, occasionalmente, emottisi. Altri sintomi meno specifici sono febbre, malessere
generalizzato e calo ponderale.
La presentazione potrebbe essere acuta (da giorni a settimane), come si osserva in corso di polmonite
batterica, oppure subacuta e cronica (da settimane ad anni), come nel caso della tubercolosi.
La diagnosi e la terapia dipenderanno dai dati clinici, radiografici e di laboratorio. Tra questi, la radiografia
toracica gioca un ruolo importante. Nei pazienti con polmonite si osserva un'opacità parenchimale.

 Polmonite acquisita in comunità


S. pneumoniae è un diplococco gram-positivo responsabile di oltre il 26% di tutte le polmoniti e del 60-75 %
di quelle acquisite in comunità. Quando capsulato, è un organismo patogeno. I pazienti generalmente sono
soggetti anziani, pazienti immunocompromessi ed alcolisti.
La polmonite generalmente è preceduta da un’infezione del tratto respiratorio superiore, seguita
dall’improvvisa comparsa di febbre, brividi, dispnea e pleurite. Frequente è anche la comparsa di tosse
produttiva con un espettorato purulento, color ruggine. L'aspetto radiografico è caratterizzato dalla
presenza di aree di consolidamento alveolare.
L’isolamento dell’organismo da un sito normalmente sterile, come il sangue, il liquido pleurico o il liquido
cerebrospinale, conferma la diagnosi. Dato lo sviluppo di resistenze nei confronti delle penicilline,
attualmente le cefalosporine di seconda e terza generazione, i macrolidi più recenti (ad esempio
azitromicina e daritromicina) e i chinoloni (ad esempio Levaquin, Tequin) rappresentano le terapie di scelta.
I l Mycoplama pneumoniae è un organismo anaerobio facoltativo, a crescita lenta, responsabile dal 25% al
60% delle
polmoniti atipiche. I pazienti potrebbero inizialmente presentare sintomi del tratto respiratorio superiore,
faringite
e miringite bollosa-emorragica. Risultano comuni tosse secca, febbre, sintomi gastrointestinali, cefalea e
mialgia. La radiografia toracica potrebbe mostrare infiltrati reticolo-nodulari interstiziali fini che
progrediscono verso un consolidamento degli spazi aerei. Si potrebbero osservare versamenti pleurici,
mentre è raro un allargamento ilare.
La diagnosi è difficile e basata su caratteristiche cliniche ed epidemiologiche. I macrolidi sono raccomandati
per il trattamento.

 Polmonite nocosomiale
Si manifesta 72 ore dopo l’ospedalizzazione. La ventilazione meccanica è il più comune fattore di rischio per
lo sviluppo di questo quadro. I batteri patogeni più comuni sono S. pneumoniae, Hemophilus influentiae e
Moraxella catharralis, specialmente quando l’infezione si manifesta nei primi 4 giorni dopo l’intubazione; in
un periodo successivo, l’infezione è più comunemente causata da Pseudomonas aeruginosa, S. aureus,
Legionella. La patogenesi si basa sulla colonizzazione dell’orofaringe e dello stomaco da parte di patogeni
virulenti e sulla successiva aspirazione di questi organismi nel tratto respiratorio inferiore.
Criteri clinici per la diagnosi scarsi e referti radiografici non specifici, mostrando generalmente infiltrati e
versamenti multi lobari. Diagnosi mediante lavaggio broncoscopico. Il trattamento si basa su chemioterapia
combinata penicillina g-lattamica antiPseudomonas o cefalosporina, associata ad un amino glicoside o un
chinolonico.

Patologie vascolari del polmone


Le patologie vascolari polmonari possono essere provocate da condizioni che interessano direttamente i
vasi polmonari, come nell'ipertensione polmonare primaria (IPP), o da condizioni estranee al polmone,
come le patologie tromboemboliche. La tabella mostra le cause secondarie di ipertensione polmonare:

Cardiopatie Valvulopatie
Scompenso ventricolare sinistro
Shunt intracardiaco
Patologie polmonari Pneumopatie interstiziali
BPCO
Ipoventilazione alveolare
Ipossia-indotta
Collagenopatie Sclerodermia
LES
AR
Iatrogene Chemioterapia
Cocaina
Agenti anoressizzanti
L-triptofano
Sindrome tossica
Patologia polmonare trombo embolica Infezione da HIV
Altro Ipertensione portale
Schistosomiasi

La principale complicanza di tali disturbi è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare, che
viene definita come una pressione media dell'arteria polmonare superiore a 25 mmHg a riposo o superiore
a 30 mmHg durante I'esercizio fisico. L'ipertensione polmonare è provocata dalla riduzione dell'area della
sezione trasversa del letto
vascolare, che ne aumenta le resistenze. Le manifestazioni cliniche possono manifestarsi anche
tardivamente.
Tale insorgenza ritardata è legata al fatto che il sistema vascolare polmonare è un sistema ad alto flusso, a
bassa resistenza e ad elevata compliance, che è in grado di sostenere l'intera gittata del ventricolo destro
con minimi aumenti pressori, anche quando viene a mancare metà del sistema vascolare polmonare.
 Patologie polmonari tromboemboliche
La patologia tromboembolica polmonare rappresenta solitamente una complicanza della trombosi venosa.
Le vene profonde dei sistemi femorale e popliteo delle estremità inferiori sono i distretti coinvolti con
maggiore frequenza, sebbene l'embolia polmonare possa essere causata anche dalla trombosi atriale
destra, ventricolare destra e delle estremità superiori. Pertanto, i fattori predisponenti all'embolia
polmonare sono gli stessi della trombosi venosa, ovvero stasi venosa, ipercoagulabilità e danno
endoteliale. Inoltre, sono da considerare come fattori
predisponenti anche le condizioni procoagulanti congenite o acquisite (ad es., deficit di proteina C attivata).
Ogniqualvolta un coagulo abbandona il circolo delle estremità inferiori, generalmente raggiunge il circolo
polmonare
dove può determinare un'ostruzione di una branca dell'arteria polmonare. Nel segmento polmonare
interessato si ha
un aumento del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q). Tale processo determina un aumento globale della
ventilazione dello spazio morto, che determina una riduzione inefficace della pressione parziale di anidride
carbonica nel sangue arterioso (PaC02). Inoltre, il flusso sanguigno viene deviato dal distretto ostruito ad
altre aree, comprese eventualmente quelle con basso rapporto V/Q, determinando quindi shunt
intrapolmonari ed ipossiemia. L'infarto polmonare dell'area distale rispetto all'occlusione risulta raro a
causa della sovrapposizione della circolazione polmonare, che comprende le arterie bronchiali.

PRESENTAZIONE CLINICA
La classica presentazione dell'embolia polmonare acuta comprende dispnea acuta associata a dolore
toracico, emottisi, ipossiemia severa e collasso circolatorio quale esito di uno shock. Comunque, più
spesso, la presentazione è subclinica e la dispnea lievemente aumentata durante lo sforzo e il dolore
toracico atipico potrebbero rappresentare gli unici sintomi della presentazione iniziale. Quindi, un'attenta
anamnesi è fondamentale. L'esame fisico potrebbe evidenziare alterazioni auscultatorie polmonari che
variano da rantoli isolati a diffusi. I versamenti pleurici potrebbero essere evidenziati alla percussione come
aree di ottusità. L’edema a carico delle estremità, soprattutto se
È asimmetrico, potrebbe far presupporre la presenza di una trombosi venosa.
La dorsiflessione del piede potrebbe causare dolore al polpaccio, come esito di allungamento dei muscoli
del polpaccio e delle vene profonde.

VALUTAZIONE
Nei casi severi, la determinazione del livello di gas nel sangue arterioso potrebbe evidenziare acidemia,
ipossiemia ed ipercapnia, ma lievi variazioni come una modesta alcalosi potrebbero rappresentare l'unica
alterazione. Una PaC02 normale in un paziente con tachipnea e presumibilmente iperventilazione indica la
presenza di spazio morto ed, in appropriate condizioni, potrebbe far presupporre la diagnosi.
Un livello aumentato di lattico deidrogenasi (LDH) potrebbe rappresentare il risultato di infarto tissutale,
ma anche tale indagine risulta insensibile e non specifica. Il D-dimero non è specifico, perché è aumentato
anche in
pazienti con alcune condizioni cliniche non correlate, quali scompenso cardiaco congestizio, patologie
croniche e patologie del tessuto connettivo. La principale utilità dei livelli plasmatici di D-dimero è
rappresentata dal suo valore predittivo negativo.
L'elettrocardiogramma potrebbe evidenziare tachiaritmie atriali o evidenza di sofferenza cardiaca. La
radiografia toracica risulta spesso normale, ma potrebbe mostrare atelettasia, infiltrati isolati o un lieve
versamento pleurico; in ogni caso non risulta sufficientemente sensibile per effettuare diagnosi di embolia
polmonare. Vengono utilizzate
come metodiche diagnostiche per la diagnosi di embolia polmonare: la valutazione V/Q, la TC del torace e
l'arteriografia polmonare.
L'arteriografia polmonare rappresenta il gold standard e dovrebbe essere presa in considerazione nei
pazienti che non presentano controindicazioni alla procedura, nel caso che altre indagini risultino inefficaci
e che sussista elevata probabilità di embolia polmonare. Le indagini di valutazione polmonare sono
associate ad indagini che valutano le vene profonde delle estremità inferiori quali la venografia e l'eco-
Doppler.

MANAGEMENT
L'embolia polmonare viene trattata con misure di supporto tese a garantire la funzionalità d'organo (ad es.,
ridistribuzione dei liquidi per ipotensione, ventilazione meccanica per insufficienza respiratoria). L'unico
modo meccanico per liberare un'arteria polmonare da un trombo è rappresentato dalla
tromboembolectomia chirurgica,una procedura ad elevata mortalità che richiede un elevato livello di
esperienza.
Di conseguenza, i trattamenti medici sono preferibili, e questi sono diretti a prevenire un ulteriore
fenomeno embolico o ad eliminare un trombo esistente. Per i pazienti senza principali controindicazioni
all'anticoagulazione (ad es., emorragia gastrointestinale, stroke emorragico) è raccomandata la terapia
anticoagulante con eparina a basso o a normale peso molecolare. L’utilizzo di farmaci trombo litici (ad es.,
streptochinasi, urochinasi) viene di solito riservato ai pazienti con elevato rischio di mortalità, quale esito di
collasso circolatorio provocato da ostruzione al flusso a livello dei grossi o multipli vasi polmonari.

 lpertensione polmonare primaria


L'ipertensione polmonare primaria (IPP) rappresenta una
condizione non comune che risulta progressiva e di solito fatale senza un trattamento adeguato. Le variabili
associate a ridotta sopravvivenza comprendono scompenso cardiaco, fenomeno di Raynaud, pressione
destra elevata, pressione arteriosa polmonare media significativamente elevata e ridotto indice cardiaco. La
causa è sconosciuta.
Le caratteristiche istologiche dell’IPP sono rappresentate da alterazioni sia a carico del sistema arterioso
che di quello venoso. Le arterie sono più comunemente interessante e mostrano ipertrofia, decorso
tortuoso e trombosi. I l trattamento consiste nell’assunzione di farmaci ad attività vaso-dilatatoria, come i
calcio-antagonisti e la prostaciclina. La soluzione definitiva è il trapianto.

Medicina interna
Prof. Sandri
24-04-08

NOZIONI DI REUMATOLOGIA
Vi darò alcune nozioni importanti di reumatologia per poter individuare quel paziente che deve essere
inviato da reumatologo. Pochi di voi faranno reumatologia, però ci sono alcuni segni che vi devono far
sospettare una malattia reumatica. Le malattie reumatiche sono numerossissime, la prima classificazione
italiana è del 1986 poi rivista nel 1998 con una nuova denominazione “malattie osteo-articolari e dei tessuti
connettivi”; questa classificazione prevede 13 gruppi con diversi sottogruppi:

CLASSIFICAZIONE 1998

1-ARTRITI PRIMARIE
2-CONNETTIVITI E VASCULITI
3-ARTRITI DA AGENTI INFETTIVI
4-ARTROPATIE MICROCRISTALLINE
5-ARTROSI
6-AFFEZIONI DOLOROSE NON TRAUMATICHE DEL RACHIDE
7-REUMATISMI EXTRAARTICOLARI
8-SINDROMI NEUROLOGICHE,NEUROVASCOLARI E PSICHICHE
9-MALATTIE DELL’OSSO
10-MALATTIE CONGENITE DEL CONNETTIVO
11-NEOPLASIE E SINDROMI CORRELATE
12-ALTRE MALATTIE CON POSSIBILI MANIFESTAZIONI REUMATICHE
13-MISCELLANEA

Questa classificazione prevede un grosso gruppo delle artriti primarie, un altrettanto importante gruppo di
connettiviti e vasculiti ecc… voi non dovete conoscere tutte queste patologie, più importante è sapere
quando sospettre una malattia reumatica, non importa quale. Il paziente riferisce generalmente:
ARTRALGIE - MIALGIE
DOLORE NOTTURNO
RIGIDITA’ MATTUTINA piuttosto prolungata (>30’)

Accanto a questi sintomi che definiamo prettamente reumatologici spesso ci sono associati febbre, perdita
di peso, astenia, anoressia; quando un paziente vi racconta che ha questi dolori da diverse settimane è
importante che il paziente venga inviato ad una valutazione reumatologica.

D.D. DOLORE
Noi dobbiamo distinguere un dolore meccanico da un dolore infiammatorio, le caratteristiche che li
differenziano sono poche ma fondamentali e sono:

Meccanico Infiammatorio
Rigidità Mattutina >30’ NO SI
Attenuazione con riposo SI NO
Riesacerbazione notturna NO SI
Riacutizzazione da sforzo SI NO
Segni di flogosi NO SI
Indici di flogosi NO SI
Impegno sistemico NO SI
Irradiazione Anatomica Diffusa
Riduzione motilità Asimmetrica Simmetrica

Quando vedete un paziente con una tumefazione a carico di 3 o più articolazioni, persistente da oltre 12
settimane, con dolore a carico di polsi e piccole articolazioni di mani e piedi e con una rigidità mattutina
superiore ai 30’ è probabile che questo paziente abbia una artrite all’esordio. Questi sono quei segni che un
medico di medicina generale deve rilevare per poter indirizzare il paziente ad una visita specialistica.
Quando dicevo artrite all’esordio, potrebbe essere qualsiasi cosa, sia artriti infiammatorie primarie,
esistono anche fasi nell’artropatia degenerativa, che è l’artrosi, che mimano benissimo una forma di artrite
reumatoide; poi c’è il gruppo delle connettivopatie. La diagnosi precisa non deve essere fatta da un non
specialista però più informazioni si danno e meglio è per lo specialista.
Anche un dolore apparentemente banale come quello del tunnel carpale (dolore alle prime tre dita della
mano, parestesie notturne, sensazione di gonfiore al risveglio (mono o bilaterale)) è importante
riconoscerlo perché il tunnel carpale non è una malattia, è un sintomo e da li devono partire una serie di
indagini perché nel 30% dei casi l’artrite reumatoide esordisce con segni clinici del tunnel carpale.

Sindrome dello stretto toracico


Una cosa che capita spesso negli ambulatori è la Sindrome dello Stretto Toracico, quando un paziente si
lamenta che ha parestesie alle ultime due dita della mano, dolore al collo, alla spalla, faticabilità del braccio
interessato, spesso è questa sindrome; se si ha questo sospetto bastano semplici manovre per fare
diagnosi.

sindrome del pronatore rotondo


Si caratterizza per una sintomatologia che mima quella del tunnel carpale, però, non essendo interessato
un nervo, ma un muscolo mancano le parestesie anche se il dolore è simile, il dolore viene però esacerbato
dai movimenti di prensione.

È importante mandare dal reumatologo un paziente con una tumefazione,


perché non sempre fare diagnosi è facile e occorre un iter diagnostico
specifico per esempio in questo caso è molto difficile fare diagnosi, però
vedete una tumefazione delle interfalangee del terzo e del quarto dito
bilateralmente e può essere il preludio di una artrite reumatoide. È a questo
livello che bisogna fare diagnosi perché se aspettiamo di vedere la tipica
mano deviata, i noduli reumatoidi ecc… è chiaro che la terapia non può
funzionare.

Spondiloartriti sieronegative
Sono un altro argomento molto importante,qualche anno fa tra queste patologie rientrava anche la
sindrome di Reiter, ma non la faccio rientrare in questo gruppo perchè Reiter era un nazista ad
Auschwitzche faceva le sperimentazioni sugli umani: iniettava delle sostanze di origine batterica / virale
(Coli, Yersinia) per dimostrare che facevano venire l’artrite reattiva. Rifiuto eticamente di usare questo
termine.
Le spondiloartriti sieronegative le possiamo dividere in 4 gruppi principali:
1. Artriti eteropatiche
2. Artriti psoriasiche
3. Artrite reattiva
4. spondilite anchilosante
Le spondiloartiti siero negative sono patologie infiammatorie che interessano:
- rachide cervicale
- colonna
- sacro – iliache:
- articolazioni periferiche.
Tipicamente per definirsi spondiloartriti devono interessare la colonna e le sacro – iliache.

Caratteristiche comuni delle spondiloartriti siero-negative:


- oligoarticolari
- interessano prevalentemente gli arti inferiori
- asimmetriche
- minore erosività rispetto all’artrite reumatoide
- molti pazienti hanno tendiniti, tendinopatie ed entesopatie
Sacroileite:
Quadro clinico: ragazzo intorno a 30 anni (ma anche 40) che lamenta una lombalgia prevalentemente verso
le prime ore del mattino talmente importante da indurre il pz ad alzarsi, che migliora con il movimento
(dopo circa mezz’ora), associata a dolore posteriore del gluteo a sciatica mozza che arriva sino a sotto il
ginocchio.

Manovre diagnostiche: basta appoggiare le mani a livello delle sacroiliache per evocare il dolore o far
flettere in avanti il pz e valutare la distanza delle dita dal pavimento (poiché le sacroliliache entrano nella
mobilità del bacino). Altra manovra è il test di Schobert(?), ma questa è una manovra da specialisti che
richiede esperienza.

Immagine TC evidente la sclerosi in entrambi i versanti con


alcuni aspetti erosivi. Si vede anche lo pseudo - allargamento
della rima articolare,grado 1 di interessamento della
sacroiliaca.
Immagine TC: erosione molto più marcata con zone che
tendono alla fusione (ultimo grado della sacroileite è la fusione
completa delle sacroiliache). Evidente anche un sindesmofita,
segno caratteristico delle artriti reattive, ma anche
dell’artropatia psoriasica e della spondilite anchilosante.

Artropatia psoriasica:
rientra tra le spondiloartriti. Quando vediamo un pz psoriasico con lesioni tipiche a livello ungueale, del
cuoio capelluto e dei gomiti con una tumefazione a un dito del piede, della mano o del ginocchio, potrebbe
essere un esordio di artropatia psoriasica

Alcune lesioni caratteristiche dell’artropatia psoriasica:


 Dattilite: il secondo dito del piede è “a salsicciotto”, tipico della dattilite, frequentissima
nell’artopatia psoriasica.Bisogna sempre chiedere al pz se ha notato le dita di quella forma.
 Entesite achillea: il pz ha dolore a livello del tendine d’Achille, fatica a camminare soprattutto
quando si alza dal letto, i primi passi sono molto difficili. Il tendine ha uno spessore notevole. Il pz
ha una artrite sicuramente all’esordio.
 Interessamento delle interfalangee prossimali e distali (a differenza dell’ AR nella quale non sono
interessate queste ultime).
 Unghie psoriasiche con tumefazione alla 2° - 3° - 4° metacarpo – falangea.

E’ importante che questi pz vedano presto uno specialista per evitare di arrivare quadri non più recuperabili
(RX) indipendentemente da qualunque tipo di terapia. Nell’RX sono evidenti erosioni multiple, lussazione
dell’articolazione, il polso non esiste quasi. Il pz ha una forte invalidità a cui si aggiungono comorbidità
importanti (il rischio di morte è più elevato e la qualità di vita è più scarsa rispetto ad altri pz).

Artrosi
" Malattia non infiammatoria delle articolazioni mobili, caratterizzata da deterioramento della cartilagine
articolare e da rimodellamento della giunzione osteocondrale e delle strutture adiacenti ".

Sedi prevalentemente interessate:


- colonna cervicale e lombare
- anche
- ginocchia
- mani
Immagine di grave quadro artrosico:
arrivano pz con scritto in impegnativa “visita reumatologica urgente per artrite deformante delle mani”. In
immagine sono evidenti i noduli di Heberden e i noduli di Bouchat, noduli duri,non si tratta di tumefazione,
la manovra del ballottamento è negativa.
Esiste una forma che si chiama artrosi erosiva, patologia al confine tra artrite e artrosi, può essere
estremamente invalidante.

Valgismo dell’alluce: da non confondere con un quadro infiammatorio, spesso è ereditario. Può essere
mono- o bi- laterale
Fenomeno di Raynauld

il fenomeno di Raynauld è caratterizzato da pallore, cianosi e rossore.


Il vasospasmo indotto dal freddo può anche favorire un processo ischemico a livello del rene, del cuore e
del polmone. Sulle mani è frequente il riscontro di una dilatazione delle anse capillari e delle venule
(teleangiectasie); lo stesso fenomeno puo’ essere evidenziabile sulle labbra, sulla lingua e sulle
membrane mucose.
Se un pz riferisce il fenomeno è importante fare una diagnosi differenziale; la forma più frequente è il R.
primario, ma esistono forme secondarie a connettivopatie, infatti il fdr è presente:
- nel 90% dei casi di sclerodermia
- nell’85% dei casi di connettivite mista
- nel 25% dei casi di LES
- nel 20% dei casi di dermatomiosite
- nel 10% dei casi di AR
Se una pz, tipicamente donna, riferisce un R bilaterale (se monolaterale più difficilmente è secondario,
sistemico) è importante fare gli accertamenti di autoimmunità,ma soprattutto dobbiamo far fare la
capillaroscopia. Questo è l’esame diagnostico che ci permette di fare D.D. tra R.primario e secondario.

SCLERODERMIA
malattia estremamente invalidante, caratterizzata da un interessamento prevalentemente cutaneo. La cute
diventa dura e sottile; tipica è la facies sclerodermica, le pz non riescono nemmeno più a sorridere né a
mangiare (non riescono ad aprire la bocca) possono essere presenti teleangectasie al volto e calcinosi.

Alcuni segni clinici da notare:

 Pz con bocca secca che si sveglia di notte per bere, bruciore agli occhi (episclerite) e minima
tumefazione alle parotidi: può essere una Sindrome di Sjogren.
 Eritema malare: LES, anche se frequenza non molto alta
 Livedo reticularis: (pelle a mortadella) si ritrova frequentemente nel LES e nella sindrome da
anticorpi anti –fosfolipidi. In questi casi i pz possono andare incontro a fenomeni trombotici con
estrema frequenza, sia agli arti inferiori che cerebrali.
 Rash eliotropo palpebrale: è uno dei segni cutanei caratteristici della dermatomiosite. Se il pz ha
anche gli enzimi muscolari mossi nel quasi 100% dei casi è affetto da dermatomiosite
 Papule di gottron: a livello delle metacarpo – falangee e ungueale.Tipiche delladermatomiosite
 Porpora: petecchie purpuree diffuse con associate soffusioni emorragiche; si ritrova
frequentemente nella crioglobulinemia HCV correlata ma anche in vasculiti di altro genere
(Schonlein Henoc, panarterite nodosa all’esordio)

Esami
Premessa:gli esami di laboratorio che interessano i reumatologi sono divisi in:
1. test di flogosi: valutano l’attività della malattia
2. test diagnostici: ad esempio fattore reumatoide, ANA, ENA… non sono specifici ma aiutano assieme
al quadro clinico
3. test di monitoraggio delle complicanze della malattia

1. Test di flogosi
Possono dare:
- indicazione sull’entità del processo infiammatorio,
- orientamento prognostico: pazienti che all’esordio hanno indici di flogosi elevati normalmente
hanno la prognosi peggiore.
- aiuto per valutare l’efficacia della terapia: se gli indici si spengono la trp è efficace, se rimangono
elevati dobbiamo cambiarla.

VES
Quando farla? Viene da alcuni contestato che “non serve a nulla”, questo è vero solo se è fatta in modo
casuale. Se c’è un quadro clinico che ci fa sospettare una malattia reumatologica ha un senso.
È fondamentale nel sospetto di polimialgia reumatica, tipica malattia dell’anziano caratterizzata da dolore ai
cingoli eaumento degli indici aspecifici di flogosi. I casi a VES e PCR normali sono rarissimi,1:100.
La VES ci permettevi distinguere patologie infiammatorie da non infiammatorie e nel follw-up rientra in un
indice composito detto disease activity score dove variazioni della VES indicano l’attività di malattia. Se, in
una malattia, la VES si spegne e il quadro clinico non presenta più sintomi possiamo definire la “remissione
della malattia”

PCR
Molto importante in diverse situazioni:
- nell’AR pz con PCR oltre i limiti hanno un quadro di malattia erosiva superiore agli altri.
- se ho un pz con lupus e PCR mossa devo pensare ad un fatto infettivo

Vantaggi / svantaggi VES / PCR


Ricordiamo che la PCR molto più sensibile, aumenta molto più rapidamente nella fase acuta della flogosi e
non ha alcuna interferenza legata alle emazie, al contrario della VES. Si normalizza però molto più
lentamente rispetto alla VES quando l’episodio si è risolto.

C3/ C4
Importante
1. nel follow-up dell’attività del LES: se il consumo del complemento aumenta significa che la malattia
è molto attiva.
2. Nel follow-up della risposta terapeutica nelle connettiviti

Ipercomplementemia è poco importante; l’ipocomplementemia la riscontriamo in diverse patologie (vedi


tabella)

Immunocomplessi circolanti(CIC)
Una volta venivano inviati pz sono perché con immunocomplessi alti, in realtà non significano nulla. Non
sono essenziali in nessuna condizione clinica, come indica anche l’OMS. Ormai li richiedono solo i nefrologi,
ma non servono a nulla
HLA – B27
Utili sono nel sospetto di spondiloartrite sieronegativa, non farlo senza significato, anche perché costa 450
euro!

3. Test diagnostici
Fattore reumatoide
 Il FR classico e' rappresentato da una immunoglobulina della classe M in grado di agglutinare una
immunoglobulina della classe G (IgM anti IgG); in particolare è specifico per determinanti antigenici
del frammento Fc.
 I test comunemente usati per evidenziare la presenza di FR sono il RA test (latex test) più sensibile e
il test di Waaler – Rose non viene più fatto perché molto costoso ma più specifico.
 Il primo test è più sensibile e viene eseguito facendo reagire il siero in esame con particelle di lattice
rivestite da IgG umane.
 Il secondo test è più specifico e viene eseguito facendo reagire il siero in esame con una quantità
fissa di emazie di montone sensibilizzate con IgG di coniglio.

La positività ha un senso quando vengono utilizzate dimensioni crescenti, cioè se ci da dei termini
quantitativi per esempio >20 o >50, non è utile la risposta segnata con dei +, ci sono laboratori che lo fanno
e non ha senso nemmeno chiederlo se la risposta è così.
Se una paziente ha un RA test pari a 80 U.I. (v.n. fino a 50) cosa penso? Che sia una artrite reumatoide? In
realtà il FR è positivo in tantissime patologie reumatiche per esempio:
 Malattie reumatiche
 Artrite reumatoide, Lupus, Sjogren, Connettivite mista, Polimiosite, Crioglobulinemia
 Malattie infettive
 TBC, Sifilide, Epatiti
 Altro
 Età, Cirrosi, Sarcoidosi, Waldenstrom

il FR è positivo nel 24% dei casi di A.R., nel 9% delle connettiviti e altro 67%, quindi non è specifico per A.R.,
però è un indice prognostico perche se molto alto all’esordio la prognosi è peggiore. Non va chiesto se non
vi è un forte sospetto di malattia reumatica e non va chiesto nel follow-up perché non c’è correlazione tra il
valore e la gravità

ANTICORPI ANTI-CITRULLINA
 Gli anticheratina riconoscono un epitopo che contiene una forma di arginina chiamata citrullina
 Un peptide sintetico circolare contenente citrullina (CCP -peptide citrullinato ciclico) è
maggiormente correlato all’AR
 Circa il 70% dei pazienti con AR sono positivi per anti-CCP IgG, contro solo il 2%dei controlli molto
specifico e si alza molto precocemente
 Il test anti-CCP non solo è estremamente specifico ma anche molto utile sotto il profilo diagnostico
 anticorpi anti-CCP possono essere riscontrati molto precocemente nei soggetti affetti da artrite
reumatoide, in alcuni casi addirittura anni prima della comparsa dei primi sintomi
 Gli anticorpi anti-CCP sembrano avere anche un elevato valore predittivo per lo sviluppo di lesioni
articolari erosive
La positività sia a FR che a questi anticorpi nella A.R. ci fa pensare ad una forma più grave e a prognosi
peggiore.

ANTICORPI ANTI-NUCLEO (ANA)


Se abbiamo sospetto di connettivite o les questa può essere un’indicazione; non ha senso farlo nel follow-
up e come screening. Non sono specifici di una sindrome clinica, ci sono soggetti sani che hanno ANA +
perché magari sono reattivi a qualche fenomeno infiammatorio.
Nella popolazione genrale gli ANA sono positivi in circa il 5% dei casi, la prevalenza degli ANA nel LES è del
98%, il LES ha una prevalenza nella popolazione generale di circa 1:2000.
Vi sono diverse categorie in cui gli ANA possono essere positivi.
Quindi se ANA- possiamo escludere il LES nel 95% dei casi, ci sono ANA falsi positivi in un 5% di adulti che
hanno un pattern omogeneo e a basso titolo 1:80 1:160, più si invecchia più aumentano falsi positivi.

METODICHE DI RICERCA DI QUESTI ANTICORPI


 ANA Elisa
 ANA IFA su Hep-2,con titolazione a partire da 1: 80 e definizione del pattern di
fluorescenza
 ENA Elisa (per Sm, RNP, SSA, SSB, Jo1, SCL 70)
 ENA Western-Blot
 antiDNA Elisa (titolato in U.I.)
 antiDNA IFA su Crithidia luciliae, a partire dal titolo 1: 10 per conferma nei casi positivi
Gli antinucleo vanno richiesti:
 nel sospetto di connettivite SI
 nel follow-up delle connettiviti NO
 La positività di ANA o di anti-DNA è di poco aiuto nella diagnostica differenziale poiché tali
anticorpi compaiono in una varietà di patologie
 La negatività degli ANA rende improbabile la diagnosi di LES o di altre patologie autoimmuni
sistemiche
 Un alto titolo di ANA supporta fortemente la diagnosi

CELLULE LE
Un neutrofilo fagocita un nucleo di cellula omogeneo, è un test
vecchio, non va più richiesto però è stata la prima metodica per
diagnosi di LES

Diverse immagini dei test che utilizzano autoanticorpi (a solo letto le diapo, non le inserisco)

In caso di positività agli anti-centromero la diagnosi più probabile è di sindrome CREST.

Anticorpi anti-nuclolare:
 Frequente nella sclerodermia diffusa
 Occasionalmente presente nel LES e nella sindrome di Sjogren

Anticorpi anti-RNP
 Anti-RNP ad alto titolo sono caratteristici delle connettiviti miste, soprattutto se sono isolati
 Anti-RNP sono visti frequentemente nel LES ma i titoli sono soprattutto bassi.
 Anti-RNP possono essere visti nella SSP, miosite e raramente in altre patologie ANA+, sempre a
basso titolo

Anti-SM sono altamente specifici per il LES

Anti-SSA
 Gli anti SSA e gli anti SSB sono visti
 nella sindrome di Sjogren primaria
 nel LES
 nella sindrome di Sjogren secondaria.

 questi soggetti vanno seguiti bene in gravidanza Gli anti-SSA sono correlati al
 lupus neonatale,
 LE cutaneo subacuto
 nel deficit omozigote di C2 associato a patologia LES-like

Gli anti-Scl-70 (anti-topoisomerasi 1) si ritrovano esclusivamente nella Sclerodermia diffusa

Nella DERMATOMIOSITE sono presenti anticorpi anti-Jo


 Anticorpi anti istadil tRNA sintetasi
 localizzato nel citoplasma, dà una colorazione granulare diffusa su Hep-2
 La ricerca degli ENA in ELISA è il metodo migliore per cercarlo
 Si ritrova esclusivamente nei soggetti con miosite (su 100 +:54 PM, 40DM e 6 miositi secondarie
ad altre connettiviti)
 E’ presente nel 20% delle PM/DM

Anti-DNA
 Gli anti DNA sono ristretti al LES
 raramente si ritrovano nelle forme gravi di AR.

Gli antimitocondrio
 sono associati con la
 cirrosi biliare primitiva
 sclerodermia
 CREST
ANCA
 C-ANCA (citoplasmatico) (anti PR3) sono fortemente suggestivi per Wegener
 Modificazioni del titolo riflettono l’attività di malattia
 P-ANCA (periferico)suggeriscono Churg-Strauss e micropoliangioite
 P-ANCA si possono riscontrare in connettiviti (non individuano subset particolari )
 P-ANCA (X-ANCA) nelle rettocoliti (50-70%) e nel Crohn (10-40%)
Soprattutto per il Wegener il titolo è importante per valutare gravità e decorso.

Per chi di voi farà l’ortopedico, se vi capita un paziente che si presnta con un versamento al ginocchio,
ricordatevi di chiedere sempre l’esame a fresco del liquido sinoviale perché può essere diagnostico; per
esempio la diagnosi di gotta la si fa trovando cristalli di urato nel liquido sinoviale e non valutando i livelli di
ac.urico nel sangue.

Cristalli di ac. Urico nel liquido


sinoviale.

Cristalli di pirofosfato di calcio ci permette di fare diagnosi


Di condrocalcinosi
EMERGENZA IN REUMATOLOGIA
È l’unica vera emergenza in reumatologia e si ha quando viene da voi un paziente con più di 60 anni con
dolore irradiato a entrambe le spalle, rigidità mattutina, cefalea temporale, pulsante e presente anche di
notte, con claudicatio mandibolare, è un quadro tipico di Arterite Temporale di Horton, spesso troverete
anche una arteria temporale ingrandita, pulsante e dolente. Questa patologia richiede un’immediata
terapia cortisonica 1mg/kg perché si rischia la cecità per ischemia del nervo ottico.

Terapia: non abbiamo tempo di trattrla, però tenete presente che se avete un paziente che fa farmaci di
fondo come metotrexate, immunosoppressori vari o i nuovi farmaci biologici e l’avete ricoverato per
qualunque motivo non dimenticate di segnalarlo al reumatologo perché magari il ricovero è dovuto ad una
complicanza del trattamento.

Sindrome metabolica
Fat distribution:

Come è distribuito il grasso, il tessuto adiposo nell’organismo umano?


Grasso, retroperitoneale, viscerale, sottocutaneo e ipertrofia dorso-cervicale.

Nella sindrome metabolica così come nella obesità tutti i parametri peggiori sono correlati al grasso
viscerale; mentre in passato, si riteneva che il grasso sottocutaneo non fosse molto importante in campo di
metabolismo, in realtà oggi si stanno rielaborando questi concetti. Ultimamente è venuto fuori questo
nuovo parametro, l’ipertrofia dorso-cervicale, cioè il gibbo. Un recente articolo ha dimostrato il fatto che
persone in sovrappeso o con obesità con gibbo, hanno un enorme impatto sulla patologia epatica;cioè
questi soggetti hanno un peggioramento della fibrosi epatica che è indipendente da tutti i parametri della
sindrome metabolica. Quindi anche guardare se una persona ha il gibbo o meno può essere importante per
il fegato e per il metabolismo.
 Criteri diagnostici per la sindrome metabolica:

criteri definiti per la prima volta e più usati quelli del


-2002: ( ATP-III Adult treatment panel-III)
-circonferenza vita: >102 uomo; >88 donna (obesità centrale);
-glicemia a digiuno: >110 mg/dl (intolleranza);
-pressione arteriosa: >130 sist.; >85 diast.;
-trigliceridi sierici : >150 mg/dl;
-HDL colesterolo: <40 mg/dl uomo; <50 mg/dl donna.

Se almeno tre di questi parametri sono positivi si puo’ fare diagnosi di sindrome metabolica, secondo
questa classificazione.

-2005: ( IDF International diabetes foundation)


ciò che è diverso rispetto ai precedenti è:
-circonferenza vita: >94 uomo; >80 donna; negli europei
(quindi è stato inserito un parametro etnico, quindi i valori cambiano a seconda della etnia che
consideriamo, ad esempio le popolazioni orientali hanno un rischio maggiore patologia cardiovascolare
quindi i cut off sono più bassi.)
-glicemia a digiuno: >100 mg/dl .

-2005: (AHA American Heart Association…)


-circonferenza vita: >120 uomo; >88 donna (torna come nel 2002)
-glicemia a digiuno: >100 mg/dl

I parametri rimangono gli stessi, circonferenza vita, glicemia a digiuno, pressione arteriosa trigliceridi sierici,
e HDL, cio’ che può cambiare a seconda della classificazione, sono i valori di cut off.

La sindrome metabolica è classificata nell’ ICD 9, diagnosi per cui gli ospedali vengono pagati, ed è 277.7 e
questo è molto importante perché vuol dire che quel paziente puo’ avere dei rimborsi, anche se non ci sono
ancora oggi terapie.

Con l’ultima classificazione descritta succede che il 50% di tutta la popolazione rientra nella diagnosi di
sindrome metabolica; quindi diciamo che bisogna essere prudenziali ad utilizzarla, perché se il 50% della
popolazione ce l’ha si fa fatica a descrivere come patologia.
Loro di solito usano i primi criteri del 2002.

 Prevalenza della sindrome metabolica

-nelle diverse etnie: (studio 2005 su Lancet)


Si puo’ vedere l’enorme prevalenza della sindrome metabolica negli Stati Uniti d’America con anche un
ruolo che va al di la dei semplici fattori ambientali, in quanto c’è una differenza evidente di prevalenza a
seconda della etnia che consideriamo.

-in rapporto all’età: (grosso studio epidemiologico)


Considerando i soggetti con età superiore ai 20 anni e considerando gli anni che vanno dal 1999 al 2002: si
vede che c’è un aumento della prevalenza della sindrome con l’avanzamento dell’età sia negli uomini che
nelle donne; con una prevalenza maggiore per gli uomini fino ai 60 anni, dopo i quali la prevalenza nelle
donne aumenta notevolmente.( stesso ragionamento che si fa per le malattie cardiovascolari, ruolo
protettivo degli estrogeni fino ai 60 nella donna ..)

-prevalenza fra tutte le classi, in totale è del 35%


 Le 4 condizioni di base della sindrome metabolica

Cuore della sindrome metabolica è l’insulino resistenza:


Se per resistenza agli antibiotici intendiamo che l’antibiotico non ha più la sua efficacia, quindi o si
cambiano gli antibiotici o si cambia il metabolismo.. per analogia l’insulino-resistenza è l’incapacità
dell’organismo di risposta a quelle dosi di insulina in quel determinato metabolismo; servono delle dosi
superiori.

Le 4 condizioni di base chiamate “quartetto mortale” sono:


-ipertensione
-dislipidemia
-obesità
-diabete

In più è stata aggiunta la epatopatia (NAFLD)

Definizione corretta di insulino-resistenza: resistenza alla captazione del glucosio insulino-mediata,


resistenza dell’organismo a qualsiasi effetto biologico dell’insulina endogena ed esogena;
si puo’ valutare in diversi modi:
- insulina a digiuno
- rapporto citochine insulina
- QUICKI (quantitative insulin sensitività check Index) indice di insulino-sensitività
- HOMA (homeostasis Model Assesment) indice di insulino-resistenza
Questi ultimi due indici sono importanti e calcolabili facilmente con una semplice glicemia ed insulinemia a
digiuno e possono dare un idea di quella che è l’insulino resistenza di quell’organismo e quindi valutarne i
rischi; alto rischio o meno, in realtà non ci sono cut off prestabiliti, ma possono comunque dare una idea,
sono valori che dovrebbero sempre comparire nella cartella clinica oltre peso ed altezza..
- Curva da carico glucidica..

 Classificazione obesità

In base al BMI (peso in kg/altezza al quadrato in metri.. tanto per ricordarlo..)

>18.5 sottopeso
18.5-24.9 normopeso
25-29.9 sovrappeso
30-34.9 obesità primo grado
35-39.9 obesità secondo grado
>40 obesità terzo grado

Non tiene conto del rapporto massa magra/massa magra..esempio: il palestrato con BMI alto non è che sia
obeso, perché il peso non è dovuto ad una eccessiva massa grassa, ma a quella magra.
Quindi è un parametro che deve comunque essere valutato attentamente, non è valido ed attendibile in
assoluto.

-Con che cosa si fa diagnosi di diabete?


Glicemia a digiuno >126mg/dl per almeno due volte.
-E cosa si intende per Hb glicata?
Hb glicata misura l’andamento della glicemia negli ultimi mesi.
(domanda del pubblico su un caso visto dal MMG di un pz con due misurazioni di glicemia a digiuno di 135,
in seguito alle quali il medico ha ritenuto di dover fare l’Hb glicata risultata nella norma..qual’ è la
diagnosi..? la prof. Risponde che bastano le due glicemia a digiuno, se si è sicuri che sia stato veramente a
digiuno per far diagnosi a quel paziente, che poi sia da trattare o meno è un altro discorso..la prof afferma
che loro in casi simili prescrivono una dieta povera di glicidi semplici e soprattutto consigliano di ridurre
l’utilizzo di bevande come coca cola, aranciata, pompelmo e similari che contengono una notevole quantità
di zucchero..con riduzione peso corporeo ed aumento dell’esercizio fisico.)

-Quando si fa il Carico orale?


si fa quando la glicemia>110 perché non è ancora definibile diabete, ma intolleranza..
(La prof dice che quando darà le fotocopie delle diapo darà anche tutte le info che riguardano questo
argomento..)

 Valori limite dei lipidi sierici (stabiliti dal programma nazionale degli Stati Uniti...)

-trigliceridi: normali < 150 mg/dl;


borderline 150-199
alti 200-499
molto alti >500

-colesterolo LDL: ottimali<100 mg/dl


quasi ottimali 100-129
borderline130- 159
alte 160-180
molto alte >180

-colesterolo HDL:basso<40 mg/dl


Alto>60
-colesterolo tot.: Normale <200
Borderline 200-239
Alto>240

 Impatto sulla mortalità di patologie cardiovascolari in generale e patologia cardiaca, stroke..

Questo per farci capire l’importanza della diagnosi di sindrome metabolica perché l’insieme di tutte quelle
patologie dette prima diabete, ipertensione,dislipidemia,obesità.. determina un rischio cardiovascolare e di
ictus che supera la somma dei rischi presi singolarmente..quindi l’impatto sulla mortalità della sindrome
metabolica..

L’ obesità è una delle condizioni della sindrome metabolica più importanti (lavoro del 2006)
E ormai si sa che la sindrome metabolica e l’obesità è associata ad un rischio aumentato di cancro che si ha
a tutti i livelli(studio di popolazione: 900.000persone studiate circa le eteroplasie a tutti i livelli dal New
England).

Si spiega: (obesità associata ad aumento di incidenza di cancro..perchè??)


l’insulino-resistenza si associa ad un aumento della secrezione di insulina,che dissocia le sue
capacità..l’insulina tra i suoi diversi effetti biologici presenta anche l’effetto di stimolare la proliferazione
cellulare..quindi mentre perde l’effetto metabolico, persiste l’effetto proliferativo.

 Terapia

-dieta ed esercizio fisico (calo di peso corporeo che migliora l’insulino-resistenza)


-trattamento chirurgico (solo per gravi obesità, con bendaggio gastrico o shunt intestinale)
-trattamento farmacologico:
orlistat e sibutramina hanno alcuni problemi, ma sta tornando in auge
glitazone, metformina (usata anche nei diabetici, non da ipoglicemia), salassoterapia (correzione
dell’insulino-resistenza)
fibrati e statine (riduzione dell’assorbimento tg e CH e produzione)
ace-inibitori e sartani (correzione ipertensione, adatti perché agiscono sul tess adiposo.)
antagonisti del CB1 recettore “RIMONABANT”(farmaci ad azione centrale e periferica)

La dieta mediterranea:
composizione della dieta che sembra avere un ruolo importante nella sindrome metabolica: l’oleato o acido
oleico ha un ruolo importante per il metabolismo perché sembra che non dia flogosi ai tessuti periferici.
Confrontando l’acido oleico,acido grasso monoinsaturo con il palmitato,polinsaturo,si vede che:l’acido
oleico si accumula molto di più nelle cellule, ma a parità di accumulo il danno cellulare è inferiore rispetto a
quello del palmitato e se si uniscono i due, il danno è intermedio,questo vuol dire che l’acido oleico ha un
ruolo protettivo, protegge dal danno indotto dal palmitato almeno a livello epatico.Quindi è preferibile
assumere acidi grassi monoinsaturi piuttosto che polinsaturi presenti nel burro..

Cosa capita nella sindrome metabolica quando si fa una dieta:


si ha uno sviluppo nel tempo di sindrome metabolica molto inferiore rispetto a quelli che fanno la
metformina e risolvono la sindrome molto di più dei pazienti che fanno metformina e anche più del
placebo.
Tant’è che oggi è considerato target primo della terapia della sindrome metabolica la dieta e lo stile di vita,
con continua implementazione psicologica, terapia di supporto.
Non si deve pensare di risolvere tutto dando solo una dieta al paziente, perché la farà per un mese dopo di
che si avrà l’effetto yoyo..
SPLENOMEGALIA

VALUTAZIONE CLINICA in corso di splenomegalia:


I più comuni sintomi prodotti da malattie che coinvolgono la milza sono il dolore e una sensazione
gravativa a livello del quadrante addominale superiore sinistro. Una splenomegalia massiva può anche
causare senso di sazietà precoce. Il dolore può derivare da splenomegalia con stiramento della capsula,
infarto o infiammazione della capsula.
Una milza palpabile è il segno obiettivo principale prodotto da malattie che colpiscono la milza e indica
appunto un aumento di volume dell’organo. Tuttavia la presenza di milza palpabile non equivale
sempre alla presenza di malattia (ad es. in alcuni paesi tropicali come la Nuova Guinea l’incidenza di
splenomegalia senza patologia sottostante può raggiungere il 60%). Così come non sempre la
splenomegalia riflette la malattia primitiva ma piuttosto una reazione ad essa: esempio è il linfoma di
Hodgkin in cui solo 2/3 delle milze palpabili dimostrano un coinvolgimento della neoplasia.
L’esame obiettivo della milza comunque utilizza principalmente palpazione e percussione. L’ispezione
può rilevare una rotondità del quadrante superiore sinistro che scende durante l’inspirazione, reperto
associato solo ai casi di ingrandimento massivo della milza. All’auscultazione si può rilevare un fruscio
venoso o uno sfregamento.
Indagini di Laboratorio:
Le maggiori anomalie di laboratorio che accompagnano la splenomegalia sono determinate dalla
sottostante alterazione sistemica. La conta eritrocitaria può essere normale, ridotta (sindromi
talassemiche maggiori, lupus eritematoso sistemico, cirrosi con ipertensione portale) o aumentata
(policitemia vera). La conta granulocitaria può essere normale, ridotta (sindrome di Felty,
splenomegalia congestizia, leucemie), o aumentata (infezioni o malattie infiammatorie, malattie
mieloproliferative). Allo stesso modo la conta piastrinica può essere normale, ridotta (quando vi è un
accresciuto sequestro o distruzione di piastrine in una milza ingrandita, come per es. nella
splenomegalia congestizia, nella malattia di Gaucher e nella trombocitopenia immunitaria) o aumentata
(nelle malattie mieloproliferative come la policitemia vera).
L’esame emocromocitometrico completo può evidenziare citopenia di uno o più tipi cellulari, dando
luogo a una sindrome nota come ipersplenismo, caratterizzata dalla triade:
1) splenomegalia;
2) riduzione di uno o più elementi cellulari del sangue, quindi anemia, leucopenia, trombocitopenia o
una combinazione di queste situazioni associata a iperplasia dei precursori midollari del tipo di
cellula che risulta carente;
3) correzione della citopenia ematica attraverso splenectomia.
La risposta alla citopenia reversibile, in particolare alla granulocitopenia, è talvolta non mantenuta
dopo splenectomia. Le citopenie derivano dall’aumentata distruzione di elementi cellulari secondaria al
ridotto flusso del sangue attraverso i cordoni ingrossati e congesti (splenomegalia congestizia) o a
meccanismi immunitari.
Nell’ipersplenismo i differenti tipi cellulari hanno usualmente una normale morfologia sullo striscio di
sangue periferico, sebbene i globuli rossi possano apparire sferocitici a causa della perdita di superficie
durante il loro transito prolungato attraverso una milza ingrandita. L’aumentata produzione midollare
di globuli rossi dovrebbe riflettersi in un aumento dell’indice di produzione reticolocitaria, sebbene il
valore possa essere minore di quello atteso a causa dell’aumentato sequestro dei reticolociti nella
milza.
La necessità di ulteriori indagini di laboratorio è dettata dalla diagnosi differenziale della patologia
sottostante di cui la splenomegalia è soltanto una manifestazione.

CAUSE DI SPLENOMEGALIA:
Parlando di milza ingrandita in realtà bisogna distinguere 2 diverse situazioni:
● splenite settica o tumore spodogeno;
● splenomegalia
La discriminante tra queste 2 situazioni per l’esattezza non è tanto la dimensione della milza quanto il peso:
infatti se questo è al di sopra di 300 g si inizia a parlare di splenomegalia, se è al di sotto di tumore
spodogeno. Per le dimensioni invece si calcola che il volume della milza debba aumentare di circa 2-3 volte
prima che il suo polo inferiore diventi palpabile. L’entità della splenomegalia si esprime in cm dal margine
inferiore sinistro dell’arcata costale.
Il tumore spodogeno è una condizione che deriva dall’accumulo di detriti cellulari e cataboliti della milza. La
milza appare molle, al taglio non presenta follicoli linfatici e tale aspetto sarebbe causato da flogosi a livello
addominale ed extra addominale (classicamente salmonellosi, infezioni tossialimentari e polmoniti).
Le cause di una reale splenomegalia possono invece essere:

SPLENOMEGALIA INFIAMMATORIA:
Dovuta all’aumentata richiesta della funzione immunitaria splenica:
- acute e subacute: ascessi splenici, sepsi generalizzata, mononucleosi infettiva, endocardite
batterica subacuta;
- croniche: tubercolosi, sifilide, sindrome di Felty, artrite reumatoide, malaria, leishmaniosi,
tripanosomiasi, istoplasmosi, schistosomiasi, echinococcosi, sarcoidosi, berilliosi.

SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA:
Dovuta ad un anomalo flusso splenico o portale:
- cirrosi epatica;
- trombosi, stenosi, trasformazione cavernosa della vena porta;
- trombosi e altre forme di ostruzione della vena epatica o della vena splenica;
- scompenso cardiaco del cuore destro.

SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA:
Dovuta all’iperplasia del sistema reticoloendoteliale (da rimozione di eritrociti difettosi):
- anemie croniche: anemia falciforme, talassemia major, emoglobinopatie, anemie nutrizionali
O dovuta a immunoregolazione alterata:
- lupus eritematoso sistemico, collagenovasculopatie, porpore trombocitopeniche,
anemie emolitiche immunitarie, artrite reumatoide
O dovuta a emopoiesi extramidollare:
- mielofibrosi

SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA:
- malattia di Gaucher
- malattia di Niemann Pick
- malattia di Tangier
- amiloidosi

CISTI E NEOPLASIE:
- cisti vere: epiteliali, endoteliali, da parassiti;
- cisti false: emorragiche, sierose, degenerative, infiammatorie;
- linfangiomi, emangiomi;
- leucemie;
- morbo di Hodgkin;
- linfomi non Hodgkin;
- istiocitosi X;
- neoplasie metastatiche (il melanoma è la neoplasia primitiva più comune).

1) SPLENOMEGALIE INFIAMMATORIE:
Una splenomegalia infiammatoria acuta o subacuta si può verificare in associazione con numerosi
processi infettivi e infiammatori come espressione di un aumento della capacità di difesa di
quest’organo. La necessità di eliminare batteri, protozoi e cellule danneggiate può portare ad un
incremento nel numero delle cellule reticoloendoteliali spleniche e/o alla iperproduzione di anticorpi
con iperplasia linfoide.
Dal punto di vista anatomopatologico la milza si presenta di volume aumentato tra i 200 e i 400 g e di
consistenza molle. Al taglio la polpa rossa è mal trattenuta e i corpuscoli malpighiani sono poco visibili.
La microscopia ottica mostra congestione acuta della polpa rossa e follicoli linfatici iperplastici, con
notevole ingrandimento dei centri germinativi.
Di rado si riscontra la formazione di ascessi, mentre infarti splenici settici si possono associare con una
endocardite infettiva.

Una splenomegalia infiammatoria cronica si può verificare in situazioni flogistiche croniche, in malattie
immunitarie e nelle parassitosi. La milza arriva talvolta a pesare oltre 1000g e aumenta di consistenza.
Al taglio la polpa rossa è congesta e i corpuscoli malpighiani appaiono ben visibili. La microscopia ottica
dimostra iperplasia dei follicoli linfatici con grossi centri reattivi e sinusoidi ripieni di macrofagi; la polpa
bianca e quella rossa contengono inoltre numerosi macrofagi, plasmacellule, eosinofili.

Tra le cause più comuni di splenomegalia infiammatoria ricordiamo:


a) Sindrome di Felty: associazione di:
- splenomegalia
- leucopenia
- artrite reumatoide
Ci sono poi altri reperti concomitanti quali pigmentazione cutanea abnorme, linfoadenopatia, noduli
sottocutanei, ulcerazioni della cute (spesso agli arti inferiori), episcleriti, vasculiti, sierosità.
La leucopenia è di grado variabile; in particolare si registra una diminuzione della quota neutrofila e
linfatica e un aumento di eosinofili e monociti. Il midollo è ipercellulare con numerosi elementi
mieloidi, alcuni pazienti presentano un quadro di arresto maturativo.
Il quadro di attività dell’artrite reumatoide non sembra correlarsi con la gravità o meno del quadro
ematologico.
Nei pazienti con artrite reumatoide la splenomegalia è presente in percentuali assai varie, dall’1 al 21%.
Si avranno alti titoli di fattore reumatoide, di autoanticorpi contro antigeni nucleari e riduzione del
complemento (frazione C3 ridotta).
Rimane di difficile valutazione il perché della neutropenia. Le opzioni prevalenti sono che i granulociti
vengono ridotti di numero per effetto di meccanismi immunologici. Inizialmente si è pensato che i
responsabili fossero autoanticorpi diretti contro antigeni nucleari propri dei granulociti. Più
recentemente si è attribuita importanza all’azione dei linfociti T soppressori: si pensa infatti che l’azione
dei linfociti T suppressor, non si sa da che cosa indotta, si eserciterebbe sui precursori dei granulociti.
In questa sindrome sembra comunque che la splenectomia dia effetti positivi a breve termine nell’80%
dei casi, mentre a lungo termine solamente nel 24%.

b) sifilide:
La splenomegalia talvolta si verifica in associazione con la sifilide, in particolare se congenita, come
reazione infiammatoria interstiziale alla spirochetemia generalizzata.
Anche la sifilide terziaria comporta un incremento della milza sia per formazione di lesioni tipiche
(gomma luetica), sia per amiloidosi secondaria.

c) tubercolosi:
Esiste una rara forma (100 casi segnalati al mondo) di tubercolosi primaria alla milza senza
interessamento di altri distretti dell’organismo. Il quadro clinico è variamente caratterizzato da
splenomegalia, ematemesi, ascite, ittero, porpora; il quadro ematico invece può presentare anemia,
leucopenia o trombocitopenia, anche se va rilevato che la letteratura registra una casistica tutt’altro
che sparuta di splenomegalia tubercolare con policitemia.
La TBC può essere diagnosticata solo dopo splenectomia: si può rilevare una semplice iperplasia
reattiva aspecifica della polpa bianca, oppure si possono evidenziare noduli miliari o noduli caseosi a
seguito della diffusione ematogena della malattia. Possibile è il riscontro di calcificazioni intraspleniche.
Non è obbligatoria una positività marcata della intradermoreazione alla tubercolina.

d) malaria:
la malaria nelle zone tropicali è di sicuro una delle cause più comuni di splenomegalia. Questa è
ovviamente dovuta ad un aumento della distruzione delle emazie, ne consegue l’anemia riferibile
appunto al sequestro splenico e ad un incremento del volume plasmatico; normale è invece la massa
eritrocitaria anche quando si osserva una ridotta emivita delle emazie.
Leucopenia e trombocitopenia non sono sempre presenti.

e) leishmaniosi (kala-azar):
questo tipo di splenomegalia va tenuta presente soprattutto nelle regioni meridionali e insulari d’Italia,
oltre che nell’area asiatica. La leishmaniosi si manifesta con linfoadenomegalia, splenomegalia (la milza
può arrivare fino a 3 kg), movimento febbrile irregolare, deperimento grave e leucopenia.La diagnosi si
basa sul riscontro nel sangue periferico, nella milza ma soprattutto nel midollo di monociti e istiociti
farciti dal protozoo Leishmania Donovani fagocitato.
Ci sono poi altre infezioni quali la tripanosomiasi, l’istoplasmosi e la schistomiasi che possono dare un
quadro di splenomegalia. In particolare quest’ultima può anche interessare direttamente il fegato e
provocare una reazione cronica granulomatosa, seguita nel tempo da cicatrizzazione, fibrosi epatica e
quindi ipertensione portale.

f) sarcoidosi:
anche se la splenomegalia è presente solo nel 5-10% pei pazienti, l’angiografia celiaca e la biopsia
splenica dimostrano l’interessamento della milza nel 50-60% dei casi.. Un interessamento diffuso e
marcato può dare una splenomegalia superiore a 1000 g di peso. Istologicamente tutta la polpa
splenica appare disseminata di granulomi che si trovano nei vari stadi di proliferazione cellulare, di
fibrosi e di ialinizzazione. Pochi tuttavia sono i pazienti che manifestano trombocitopenia, anemia
emolitica, neutropenia, pancitopenia. Evento raro è la rottura della milza.

2) SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA (sindrome di Banti):

EZIOPATOGENESI:
una congestione venosa persistente o cronica può determinare l’ingrossamento della milza. La
congestione venosa può avere origine sistemica, essere causata da deviazioni del drenaggio venoso
portale o dovuto a processi ostruttivi venosi nelle vene porta o splenica.
● Una congestione venosa sistemica o centrale si riscontra negli stati di scompenso del cuore destro,
come può verificarsi nelle valvulopatie della tricuspide o della polmonare o in seguito a scompenso
cardiaco sinistro. Questa congestione passiva sistemica determina soltanto un modesto ingrossamento
della milza che raramente supera i 500 g.
● Una lunga congestione venosa della milza può essere causata da un’ostruzione intraepatica al
drenaggio venoso portale, infatti la causa più comune di splenomegalia congestizia è la cirrosi epatica.
La cirrosi avanzata dà come complicanze l’ipertensione portale e le sue conseguenze: in primis
l’emorragia da varici gastroesofagee e la splenomegalia con ipersplenismo, ma anche ascite,
encefalopatia epatica, peritonite batterica spontanea, sindrome epatorenale e carcinoma
epatocellulare. La diagnosi di malattia epatica cronica si basa appunto sul rilevamento di uno tra questi
segni clinici: splenomegalia, ascite, encefalopatia e/o varici esofagee (il cui sanguinamento è reso più
imponente dalla concomitante piastrinopenia indotta dalla splenomegalia). Tutti questi segni sono
dovuti, almeno in parte, allo sviluppo di circoli collaterali portosistemici di cui i più importanti sono
localizzati alla giunzione cardioesofagea (varici esofagee), al retto (emorroidi), nello spazio
retroperitoneale e al legamento falciforme del fegato (collaterali periombelicali o della parete
addominale→caput medusae).
● Una splenomegalia congestizia può anche essere dovuta ad ostruzione del tratto extraepatico della
vena porta o della vena splenica. Tale ostruzione venosa può essere dovuta a trombosi spontanea della
vena porta, che è di solito associata a una malattia ostruttiva intraepatica o può incominciare con
interessamento infiammatorio della vena porta, pileflebite, quale si ha in corso di infezioni
intraperitoneali. La trombosi della stessa vena splenica può essere provocata dalla compressione da
parte di tumori situati in organi adiacenti, per esempio un carcinoma dello stomaco o del pancreas.

CLINICA E LABORATORIO:
La splenomegalia congestizia determina fondamentalmente un ipersplenismo: l’aumento della
pressione venosa portale provoca deposizione di collageno nella membrana basale dei sinusoidi, che
appaiono dilatati per la rigidità della loro parete. Ne consegue squilibrio del flusso ematico tra i cordoni
e i sinusoidi, che prolunga l’esposizione delle cellule ematiche all’azione dei macrofagi dei cordoni,
provocandone una distruzione eccessiva.
Essendo poi associata a ipertensione portale, si accompagna frequentemente a episodi di emorragie da
rottura di varici esofagee.
L’esordio il più delle volte è insidioso, ma può anche essere acuto, caratterizzato da ematemesi, feci
picee, emorragie intestinali. Altre volte la sintomatologia è più sfumata: astenia, crampi addominali,
flatulenza, diarrea, subittero, febbricola, talvolta epistassi. L’anemia, dapprima modesta, è normocitica
e normocromica, poi con la comparsa di ripetute emorragie diventa microcitica e ipocromica. E’ sempre
presente leucopenia che interessa soprattutto i granulociti. Anche le piastrine si presentano diminuite
di numero, anche se non a tal punto da influenzare il tempo di sanguinamento.
ANATOMIA PATOLOGICA:
Una splenomegalia congestizia di lunga durata produce aumenti marcati del volume splenico (1000 g o
più); l’organo è duro e la sua consistenza diventa sempre maggiore quanto più a lungo dura il
fenomeno congestizio. Il peso può arrivare anche a 5000g.
Istologicamente si rileva la congestione e la dilatazione dei seni venosi e la ricca cellularità dei cordoni
splenici rappresentati da fibroblasti e cellule reticoloendoteliali proliferate.
In risposta a uno stato di ipossia locale di lunga durata si possono sviluppare focolai di ematopoiesi.

DIAGNOSI:
La diagnosi presuppone l’esclusione di tutte le numerose condizioni responsabili di anemia, leucopenia
e splenomegalia come anemie emolitiche, talassemia, leucemie aleucemiche. Come esami strumentali
è di aiuto alla diagnosi la splenoportografia o la RMN che possono mettere in evidenza o escludere una
eventuale ostruzione della vena porta a livello extraepatico o della vena splenica.

TERAPIA:
Il problema fondamentale è rappresentato dalle varici esofagee. Nel tentativo di ridurre l’ipertensione
portale una volta veniva praticata la splenectomia. Oggi constatata l’inutilità e le possibili conseguenze
dannose si preferisce ricorrere alla derivazione porta-cava o a interventi analoghi ( come il
posizionamento percutaneo del TIPS, shunt portosistemico intraepatico transgiugulare, per una
decompressione del flusso portale). Bisogna quindi sottolineare che una splenectomia senza shunt
chirurgico porto-sistemico può in realtà aumentare la pressione portale e condurre a trombosi della
vena splenica.

3) SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA:
In questi casi l’ipertrofia della milza, come già detto, sarà secondaria soprattutto a due fenomeni:
- eccessiva rimozione delle cellule ematiche dal circolo perché difettose;
- ematopoiesi extramidollare
E’ il caso di numerose forme di anemia, di alcuni casi di porpora trombocitopenica, come pure di
soggetti che fanno largo uso di Fenacetina. In quest’ultimo caso la splenomegalia verosimilmente è
secondaria ad emolisi marcata. Anche la splenomegalia associata a mielofibrosi o a policitemia può
venire classificata in questo gruppo. In particolare nella mielofibrosi il midollo osseo è completamente
distrutto e la milza assume una crescente funzione ematopoietica.

In questo ambito particolare importanza rivestono le SPLENOMEGALIE DELLE MALATTIE EMOLITICHE:


qui rientrano tutte le situazioni iperemolitiche in senso stretto, nelle quali cioè il fattore primigenio è
costituito da esasperato immagazzinamento e distruzione di eritrociti comunque tarati o alterati; la
splenomegalia che ne consegue –raramente di grossa taglia- è in un certo senso commisurata nelle sue
dimensioni all’entità del processo iperemolitico in atto. Quindi in rapporto alla violenza e alla durata
delle crisi emolitiche può svilupparsi una splenomegalia, così come può per contro istituirsi, per
esaurimento funzionale, una situazione aplastica del midollo osseo.
Di seguito sono elencati i tipi più importanti di anemie emolitiche:
a) anemie da difetto globulare intrinseco e a carattere congenito: è capostipite la
microsferocitosi di Minkowski-Chauffard o sferocitosi ereditaria. Seguono l’anemia
ellittocitica, le anemie da enzimopatia (deficit di glucosio-6-fosfatodeidrogenasi o di
piruvato-chinasi) e l’emoglobinuria parossistica notturna di Marchiafava-Micheli.
b) Emoglobinopatie: qui rientrano le talassemie (particolarmente importanti le β-talassemie)
e l’anemia a cellule falciformi (da HbS).
c) Anemie emolitiche acquisite da causa extracorpuscolare, tra le quali hanno particolare
rilievo le anemie da fattori anticorpali (isoanticorpi, autoanticorpi caldi,freddi e difasici), da
fattori infettivi (malaria, sepsi acuta, ecc), da fattori animali (veleno di serpenti) e vegetali,
da fattori chimici (piombo, fenilidrazina) e infine da fattori fisici (ustioni, raggi X).
d) Anemie emolitiche da alterazioni vascolari, tra i quali le collagenosi, la porpora di
Moschcowitz e le anemie da chirurgia cardiovascolare.

Per quanto concerne le dimensioni dell’incremento splenico, esso può essere davvero
importante solo nella β-talassemia major, in cui l’incremento pulpare è dovuto anche al
profilarsi più o meno marcato di una metaplasia midollare. Una grossa splenomegalia può
aversi anche nella emoglobinuria parossistica notturna e nell’anemia a cellule falciformi –che
incide prevalentemente nella razza nera- dove talora si va incontro a rottura e a fenomeni
regressivi-fibrotici della milza.
Per giungere alla diagnosi di splenomegalia da malattia emolitica, è di elementare importanza
la documentazione preliminare di segni generici di iperemolisi. E questi sono:
- anemia con reticulocitosi, policromatofilia e perfino normoblastosi del sangue periferico;
- iperplasia eritroblastica del midollo;
- reperto di una sopravvivenza accorciata degli eritrociti (documentabile con l’uso del Cromo
radioattivo);
- forte aumento della bilirubinemia indiretta con subittero e perfino ittero;
- ipersideremia, iperbilinia fecale ed urinaria.
Questi ultimi 2 segni clinici sono facilmente spiegabili col fatto che dall’emolisi dei globuli rossi si ricava
emoglobina da cui i macrofagi liberano due sostanze: un pigmento, la bilirubina, che in condizioni
normali attraverso il circolo portale raggiunge il fegato dove poi è eliminata con la bile; e il ferro che,
sempre in condizioni di normalità, giunto per via ematica nel midollo, serve per la sintesi di nuova
emoglobina durante la formazione di eritrociti. Se però la quantità di ferro circolante è superiore a
quella necessaria per la sintesi di emoglobina, come avviene in queste malattie emolitiche, esso viene
momentaneamente immagazzinato come ferritina o come emosiderina in tutto il sistema reticolo-
istiocitario sia della milza (e da qui la splenomegalia) sia di midollo rosso e di fegato.
La seconda tappa diagnostica è costituita dalla precisazione della malattia emolitica in atto, attraverso
la semeiologia laboratoristica e soprattutto il ricorso ad alcune prove specifiche come il test
dell’autoemolisi per la microsferocitosi o la determinazione dell’assetto emoglobinico per la β-
talassemia.
Altre malattie ematologiche non maligne che possono essere accompagnate da splenomegalia sono le
anemie megaloblastiche causate da carenza di acido folico o vitamina B12.

Sempre all’interno del grosso capitolo delle splenomegalie iperplastiche rientrano anche altre 2 entità
nosologiche:

- la splenomegalia idiopatica non tropicale: sono pazienti che presentano un notevole aumento
delle dimensioni spleniche, ipersplenismo, anamnesi negativa per l’esposizione a malaria o ad altri
parassiti. Il quadro clinico è variabile (astenia, febbricola, palpitazioni, talvolta ulcere al cavo orale e
agli arti inferiori), alcuni pazienti presentano un linfoma maligno ma il più delle volte il quadro è
quello di una iperplasia linfoide non neoplastica. Si è pensato a un processo autoimmune ma i dati
sono ancora incerti. La splenectomia sembra migliorare notevolmente la situazione di questi
pazienti. Tuttavia, con intervallo variabile, nei pazienti splenectomizzati spesso compare un linfoma.
- la sindrome splenomegalica tropicale (o della grande milza): si rileva nelle aree dove la malaria è
endemica, colpisce soprattutto gli adulti ed è caratterizzata da splenomegalia di dimensioni
variabili, assenza di malaria in fase attiva, saltuaria febbricola, pancitopenia.
La malaria sembra comunque rivestire un ruolo di particolare importanza nella patogenesi di questa
sindrome; si pensa infatti ad una abnorme risposta immunologica ad antigeni circolanti, espressione di
ripetute esposizioni al plasmodio malarico.

4) SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA:
Le tesaurismosi comprendono un gruppo di affezioni caratterizzate da un “ingorgo” dei lisosomi delle
cellule del sistema reticoloendoteliale con metaboliti non degradati a causa delle carenze
geneticamente determinate di uno o più enzimi lisosomiali. Ci sono circa 30 enzimi attivi
rispettivamente su:lipidi, carboidrati, proteine. La milza, al pari di midollo e fegato, presenta un alto
contenuto di cellule reticoloendoteliali che sono coinvolte nel processo di smaltimento. Di qui la
possibilità di una cospicua splenomegalia in corso di tesaurismosi.
Sono fondamentalmente malattie lisosomiali congenite, in cui manca l’enzima in grado di degradare
una determinata sostanza che finisce per accumularsi.Es:
MALATTIA DI GAUCHER: è una malattia autosomica recessiva causata da un accumulo di glucosio nella
cellula dovuto alla mancanza dell’enzima che lo metabolizza, la β-glucosidasi acida. Le diverse varanti
della malattia sono classificate sulla base della presenza o meno della neuropatia e sulla sua gravità. In
relazione invece all’interessamento splenico si può presentare in 2 forme anatomocliniche diverse: una
forma che compare immediatamente dopo la nascita, caratterizzata da epatosplenomegalia,
linfoadenomegalie, laringospasmo e spesso conduce a morte. La forma che caratterizza l’adulto si
presenta invece con epatosplenomegalia associata a fratture ossee per la presenza di una malattia
scheletrica cronica.
MALATTIA DI TANGIER: in questo caso nelle cellule si accumulano esteri di colesterolo. La patogenesi
risiede in un deficit della proteina trasportatrice ABC1, alterata captazione e/o fuoriuscita di colesterolo
dai macrofagi. Clinicamente è sempre caratterizzata da epatosplenomegalia, inoltre in più casi si
possono avere anche tonsille ipertrofiche e giallastre, opacità corneali e polineuropatia recidivante. A
differenza di Gaucher le cellule sono Pas negative.
MALATTIA DI TAY SASCH: caratterizzata da accumulo di gangliosidi per deficit della proteina β-
esosaminidasi. Circa 1 su 30 ebrei askenazi è portatore. La forma infantile è una malattia
neurodegenerativa fatale caratterizzata da macrocefalia, perdita delle capacità motorie e spot rosso
ciliegia all’esame retinico. La variante adulta è caratterizzata da debolezza motoria progressiva, disartria
e declino delle capacità intellettive.
MALATTIA DI NIEMANN-PICK: accumulo di sfingomielina per difetto della sfingomielinasi. Può esordire
precocemente, entro i 6 mesi di vita, con rapido deterioramento del SNC e grave epatosplenomegalia o
più tardivamente sempre con splenomegalia e possibile comparsa di cirrosi e sostituzione delle cellule
epatiche con cellule schiumose che sono presenti anche negli alveoli, nei vasi linfatici e nelle arterie
polmonari. Questo quadro porterà a morte in età adolescenziale.
LEUCODISTROFIA METACROMATICA: è una patologia di ambito pediatrico. E’ una cerebroside-
sulfatidosi, cioè una malattia che dà un accumulo di lipide solfato. La diagnosi può essere fatta
agevolmente mettendo del Blu di Toluidina su una carta da filtro contenente urina: si evidenziano
sostanze metacromatiche che non sono presenti in condizioni normali. Le forme della seconda infanzia
si manifestano dopo il 2^ anno di vita con una progressiva regressione dello sviluppo intellettivo ed è
fatale entro la prima decade di vita. Le forme adulte sono invece caratterizzate da disturbi
comportamentali e psicosi: queste varianti a esordio tardivo possono rispondere al trapianto di midollo
osseo.
AMILOIDOSI: è causata dalla deposizione di una sostanza proteica, fibrosa, insolubile nota come
amiloide principalmente negli spazi extracellulari di vari organi e tessuti dell’organismo, con
conseguente organomegalia soprattutto a carico di fegato, rene, milza e cuore. La splenomegalia è in
genere moderata e non si associa a leucopenia ed anemia. L’amiloide si deposita soprattutto nella
polpa bianca e le zone interessate assumono un aspetto opaco, vitreo.

5) CISTI E NEOPLASIE:
Un aumento di volume della milza può essere dovuto allo sviluppo di cisti epiteliali, endoteliali e da
echinococco, pseudocisti emorragiche, sierose, infiammatorie, o secondarie a colliquazione di aree
infartuate.
I tumori primitivi benigni e maligni della milza sono rari, entrambi possono provocare cospicue
splenomegalie. I tumori benigni più frequenti sono i linfangioni e gli emangiomi, spesso di tipo
cavernoso. Talvolta si hanno localizzazioni primitive di linfomi di Hodgkin o non Hodgkin, istiocitosi X o
sarcomi molli della milza. Infine sono possibili metastatizzazioni da carcinomi, ma bisogna specificare
che, benché quasi il 50% dei pazienti morti di carcinoma presentasse metastasi spleniche, queste di
solito si verificano come evento tardivo nel decorso della malattia e raramente causano una
splenomegalia clinicamente individuabile. La splenomegalia in un contesto di carcinoma metastatico è
in genere provocata da ipertensione portale secondaria a ostruzione da parte di depositi tumorali nel
fegato o altrove.
L’angiosarcoma è un tumore maligno primitivo, caratterizzato da rapida crescita, non dolente, evolve
frequentemente in rottura della milza.

SPLENECTOMIA:
Possono essere identificate 4 indicazioni per la splenectomia:
1) prima di tutto la splenectomia è un’importante opzione di trattamento per quei pazienti
con citopenie che minacciano la sopravvivenza, in cui la milza può essere responsabile della
persistenza della citopenia. Queste condizioni includono le anemie emolitiche, la
trombocitopenia immune, i disturbi mieloproliferativi e linfoproliferativi e disturbi come la
sindrome di Felty. Ovviamente una splenectomia per disturbi ematologici non è curativa,
ma può garantire un significativo miglioramento dei sintomi riducendo o eliminando la
necessità di trasfusioni; inoltre può migliorare la prognosi limitando il rischio di
complicanze, quali la sepsi o l’emorragia.
2) Una seconda indicazione per la splenectomia consiste nel verificarsi di un incidente
vascolare o traumatico che coinvolga la milza. La splenectomia può salvare la vita nel
contesto di una distruzione traumatica della milza e in caso di infarto splenico può fornire
un sollievo sintomatico, nonché una profilassi contro la distruzione spontanea della milza.
3) Una terza indicazione riguarda la compressione meccanica esercitata dalla milza ingrossata
su altri organi addominali. L’organo più spesso colpito è lo stomaco, con senso di sazietà
precoce e talvolta notevole perdita di peso. Meno frequentemente può verificarsi
l’ostruzione del sistema collettore renale sinistro.
4) Un’ultima indicazione per la splenectomia avviene per la diagnosi: in alcuni pazienti con
splenomegalia isolata, un attento esame tramite tecniche non invasive può non riuscire a
fornire diagnosi. In questi pazienti possono essere indicati una laparotomia esplorativa per
la splenectomia e biopsie diagnostiche dei linfonodi e del fegato.

PAZIENTE ASPLENICO:
La suscettibilità a un’infezione grave è una complicanza ampiamente riconosciuta della splenectomia.
Benché questo rischio sia amplificato per una splenectomia eseguita nell’infanzia o nella prima
giovinezza, rimane significativo nell’adulto. L’incidenza di infezioni gravi postsplenectomia è di circa
1.5% quando la splenectomia viene eseguita a seguito di trauma, mentre può essere maggiore in altre
condizioni, quali un morbo di Hodgkin trattato. Una grave infezione postsplenectomia può verificarsi
anche molti anni dopo l’operazione. Il tasso di mortalità è di circa il 50%.
Poiché in più della metà dei pazienti gli agenti infettanti sono gli Pneumococchi, la profilassi con
penicillina e la vaccinazione antipneumococcica sono state raccomandate per quei pazienti che
vengono sottoposti a splenectomia. L’evidenza suggerisce che queste modalità sono efficaci nel ridurre
l’incidenza di infezioni gravi nei bambini, ma non esistono ad oggi dati confrontabili per gli adulti.
La rimozione della milza determina caratteristiche modificazioni delle cellule ematiche, che sono
prontamente identificabili sullo striscio periferico. Queste modificazioni includono anomalie della forma
degli eritrociti, compresa la comparsa di cellule a bersaglio, acantociti e cellule frammentate. Gli
eritrociti possono contenere frammenti nucleari, detti corpi di Howell-Jolly; possono infine essere
osservati eritrociti nucleati. Dopo una splenectomia si verificano anche una leucocitosi transitoria e una
trombocitosi. In pazienti con anemia emolitica o disturbi mieloproliferativi può persistere marcata
trombocitosi.
01.03.2012
Prof.ssa Mussi
Integrazione delle sbobine del 7 e 21 marzo 2011
L'esame sarà soltanto su argomenti trattati a lezione

CADUTE e SINCOPE
I dati e le informazioni derivano dalle linee guida del 2009 della European Society of Cardiology (ESC),
quindi quanto di più nuovo abbiamo a disposizione.

Cosa s’intende con il termine sincope?


4. Perdita di coscienza e del tono posturale;
5. Transitoria;
6. Autolimitantesi;
7. Ripresa spontanea;
8. Porta a caduta → questo è il principale motivo per cui è un tema molto sentito in ambito geriatrico;
9. Il meccanismo sottostante è una ipoperfusione transitoria e globale del tessuto cerebrale →
questo meccanismo permette di distinguerla da tutte le altre perdite di coscienza transitorie non
sincopali;
10. È un sintomo → determinato da diverse possibili cause;
In passato di usavano due termini, ovvero lipotimia e pre-lipotimia; la prima era la sincope e la seconda
invece era data da un insieme di sintomi che facevano presagire una perdita di coscienza senza arrivare
però alla lipotimia. Secondo le nuove linee guida tali termini sono stati sostituiti da SINCOPE e PRE-
SINCOPE, per cui non si usano più.

Aggiornamento del 2011 delle linee guida del 2009, la modificazione più significativa è l'inserimento della
classificazione della sincope nel più ampio contesto delle perdite di coscienza transitorie (T-LOC); vengono
poi riconfermati i precedenti concetti delle linee guida 2009: è transitoria, T-LOC (transient loss of
consciousness); Causa: ipoperfusione cerebrale globale; Rapido onset; Ripresa rapida e spontanea.
Nel 2009 la necessità di rivedere le linee giuda è nata per sottolineare la necessità di trovare la CAUSA
della sincope per poter impostare un trattamento che dev'essere meccanismo-specifico. Bisogna
identificare il rischio cui va incontro un anziano colpito da sincope, che dipende spesso non dalla sincope
di per sé, ma dalle patologie sottostanti.

Secondo le linee guida gli step da seguire


sono:
- verificare se il pz ha avuto realmente una
perdita di coscienza o se c'è stata una caduta o
uno stato di coscienza alterata o altro;
- com'è stata la perdita di coscienza, se è stata
transitoria o se è in uno stato di coma, se è
stata transitoria, ad esordio rapido, di breve
durata e con recupero spontaneo ci troviamo
di fronte ad una PdCT che può essere anche in
conseguenza di un trauma ma il meccanismo
sottostante non è una ipoperfusione globale
del tessuto cerebrale, quindi non sincopale; se
invece non è di origine traumatica le
possibilità sono:
- ci troviamo di fronte ad un episodio
sincopale, quindi ad una ipoperfusione
transitoria globale del tessuto cerebrale;
- epilessia, c'è una perdita di coscienza ma non
è dovuta ad una ipoperfusione cerebrale;
- funzionale, o pseudo-sincopi di tipo psichiatrico come ad esempio l'isteria, dove il pz sembra che perda
coscienza ma in realtà è una forma psichiatrica;
- forme rare.

Condizioni incorrettamente definite come sincope

Con T-LOC totale o parziale, ma il cui meccanismo NON è l’ipoperfusione cerebrale globale.

→ Epilessia: è una perdita di coscienza dovuta ad un’alterata attività elettrica di una porzione di
encefalo, non da ipoperfusione transitoria;
→ Disordini metabolici come l’ipoglicemia: non è una sincope, poiché ciò che non arriva in
sufficienza al cervello è lo zucchero, non il sangue;
→ Intossicazioni: esempio da monossido di carbonio;
→ TIA carotideo e vertebro-basilare: anche se in passato era considerati sinonimi di sincope,
attualmente vi è una dimostrata distinzione tra i due; il TIA ha una sua sintomatolgia ma è dovuto
ad una causa LOCALE e non ad una ipoperfusione globale;
La sincope è data quindi da una ipoperfusione transitoria
e globale del tessuto cerebrale causata da una ipotensione
globale che a sua volta può essere schematicamente
ricondotta ad una riduzione delle resistenze vascolari
sistemiche o da una riduzione della portata cardiaca.

Questo schema suddivide le cause di


sincope in tre grandi classi:
1. le sincopi riflesse
2. cardiache
3. da ipotensione ortostatica.

SINCOPE RIFLESSA

Generalmente è benigna, in questo caso


entra in gioco il sistema nervoso
autonomo, va ricordato che simpatico
(NA, A) e parasimpatico (Ach) sono due
attori che comunicano continuamente,
il primo fa aumentare frequenza e
pressione e ci prepara alla fuga, il
secondo si attiva in conseguenza e va a
frenare l’azione del simpatico impedendo un eccessivo aumento di frequenza e pressione.
Le sincopi riflesse appartengono ad in gruppo eterogeneo in cui il meccanismo è un riflesso che
generalmente è appropriato, ma che in soggetti con trigger specifici diventa anomalo (ad intermittenza).
Possono essere classificate in base:
-alle EFFERENZE: Cardioinibitoria, Vasodepressiva, Mista; prevale l'azione del vago a livello cardiaco o a
livello vascolare o più frequentemente su entrambi.
-alle AFFERENZE: Trigger; mi permette di identificare la causa scatenante e quindi mettere in atto
strategie di prevenzione (es. prelievo di sangue da sdraiato).
Le cause sono sostanzialmente tre:

1. Sincope vasovagale:
Mediata da stress emotivo (vista del sangue, paura, dolore, indagini strumentali invasive), iperattività del
simpatico mediata da questi trigger specifici a cui fa seguito una risposta uguale e contraria del vago che
determina ipotensione e sincope.
2. Mediata dall’ortostatismo protratto (diverso da sincopi da ipotensione ortostatica!), quando stiamo in
piedi per molto tempo il sangue si accumula a livello degli arti inferiori, diminuisce la pressione a livello
del cuore e dei barocettori che attivano il simpatico per aumentare pressione e frequenza, dopo un lasso
di tempo variabile che è attivo il simpatico il sistema si sbilancia a favore del vago che determina la
sincope.
3. Sincope situazionale:
Tosse, Stimolo gastroenterico (dolore addominale, deglutizione, defecazione), Post-minzionale, Dopo
sforzo, Post-prandiale, Altro (risata …); è dato essenzialmente dalla manovra di Valsalva, aumenta la
pressione endoaddominale si attiva il vago e si ha bradicardia, ipotensione e la sincope.
4. Sincope da sindrome del seno carotideo
(5. Forme atipiche)
Alla base delle sincopi riflesse c'è quindi uno sbilanciamento del riflesso simpato-vagale e non una
patologia cardiaca, sono provocate da un lato dalla riduzione delle RVS per vasodilatazione e dall'altro da
una riduzione della portata cardiaca in seguito all'attivazione del vago.

SINCOPI DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA

Occupano una fetta importante dello schema, sono sempre date da due componenti:
una riduzione delle RVS e della portata cardiaca.
I trigger possono essere tre:
1. danno funzionale del sistema nervoso autonomo
2. danno strutturale del sistema nervoso autonomo
3. ritorno venoso inadeguato

 Ipotensione ortostatica classica:


Riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica nel passaggio dal clino- all’ortostatismo o nel passaggio da
una posizione seduta all’ortostatismo (primi 3 minuti).
Oppure una PA sistolica inferiore a 90 mmHg sia in clino- che in ortostatismo

Nelle nuove linee guida vediamo altre due definizioni altrettanto importanti:

 IO ritardata o progressiva “Delayed Orthostatic Hypotension” → Riduzione di almeno 20 mmHg


della PA sistolica dopo 5-10 minuti dall’assunzione della postura eretta
 IO iniziale o fugace → Riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica entro 30 secondi
dall’assunzione della postura eretta, diagnosi più difficile in quanto la pressione viene misurata al
primo e al terzo minuto e potrebbe quindi sfuggire, la diagnosi viene fatta con il tilt-test.

Per fare diagnosi di ipotensione ortostatica abbiamo due possibilità:


 Lo sfigmomanometro
 Il TILT-test

Con lo sfigmomanometro misuriamo


direttamente la pressione del
paziente prima in clinostatismo poi
in ortostatismo al primo e terzo
minuto (di ortostatismo) e se
vediamo il calo pressorio facciamo
diagnosi.
Con il TILT-test possiamo far
sdraiare il paziente su un piano mobile, verrà collegato ad un
elettrocardiografo e ad uno sfigmomanometro che darà una
misurazione pressoria continua (battito-battito). Il paziente rimane in
clinostatismo per 5 minuti, poi il lettino si posiziona a 60°, quasi in ortostatismo. Siccome si misura la
pressione battito-battito, è possibile cogliere quei due tipi di ipotensione ortostatica definiti prima
(ritardata e fugace).

La differenza fra le sincopi riflesse e quelle ortostatiche o disautonimche è che nelle prime il riflesso
simpato-vagale è normale e solo in alcuni casi si ha un disequilibrio e il pz perde coscienza, in quelle
disautonomiche avviene il contrario, il simpatico non si attiva e non c'è vasocostrizione e aumento della
frequenza con conseguente ipotensione.

Le cause delle sincopi da ipotensione possono essere:


- Alterazione primitiva del SNA (Parkinson, MSA, demenza a corpi di Lewy)
- Alterazione secondaria del SNA (diabete, amiloidosi, uremia, trauma della spina dorsale)
- Da farmaci
- Da deplezione di volume (emorragia, ipovolemia da disidratazione, vomito, diarrea)

1. ALTERAZIONE PRIMITIVA DEL SNA

Se ricordiamo la fetta di torta corrispondente, questa comprende le alterazioni primitive del SNA.
5. MSA è l’atrofia multisistemica che purtroppo è una di quelle malattie neurologiche che assomiglia
alla SLA anche per il fatto che non c’è terapia, quindi oggettivamente è una patologia selettiva del SNA
che ad un certo punto colpisce tutto il SNA. Il SNA guida il cuore ed i polmoni, quindi la prognosi di
questa patologia è infausta, è molto grave, ma fortunatamente anche rara.

6. Oltre a questa fra le alterazioni primitive del SNA abbiamo anche il Morbo di Parkinson; una delle
caratteristiche del Morbo di Parkinson è l’alterazione della sostanza nigra che è il primo problema che si
manifesta, ma questi pazienti vanno anche incontro ad un depauperamento del SNA. Il morbo di
Parkinson è da tenere bene a mente, perché è un danno clamoroso per l’anziano, perché di per sé lede
il SN in quanto malattia neurologica, inoltre i farmaci che si prendono per il Parkinson come la
Dopamina danno come effetto collaterale l’ipotensione ortostatica, quindi l’anziano cade e non si sa se
per un sovradosaggio di farmaco o per il Parkinson. Il Madopar dà anche delle alterazioni del
comportamento, delirium. Il paziente con Parkinson diventa disfagico, quindi non beve più e così
peggiora la sua ipotensione ortostatica. Infine il paziente con Parkinson cammina a base allargata ed ha
anche il freinage per cui ha un elevatissimo rischio di caduta, quindi bisogna correggere la
disidratazione ed i farmaci che sono gli unici fattori modificabili nel paziente con Parkinson in modo da
attuare dei metodi preventivi per fare in modo che il paziente non caschi per terra.

7. Demenza a corpi di Lewy.


Molto tempo fa si pensava che la demenza fosse solo la demenza di Alzheimer, dopo la demenza è
diventata mista, cioè si sono divise due branche: degenerativa pura (Alzheimer), vascolare (infartuale).
Andando poi a studiare i vari tipi di presentazione clinica di queste demenze ce n’era una fettina che
presentava dei disturbi del comportamento.
La demenza di per sé è una patologia degenerativa in cui si hanno: alterazione della memoria più
alterazione dell’autosufficienza, se non c’è questa connessione non c’è la demenza. Ad un certo punto
durante la progressione della malattia c’è la complicanza con i disturbi del comportamento che sono
destruenti per i famigliari che vengono in ambulatorio lamentando alterazione del ritmo sonno/veglia
del paziente (che molto spesso resta sveglio di notte), iperfagia, wandering (ovvero pazienti che iniziano
a camminare e non li riuscite a fermare) e allucinazioni. Si è visto che un particolare sottogruppo di
quelli che venivano diagnosticati come Alzheimer puri ad un certo punto presentavano delle
allucinazioni e dei deliri ben costruiti, quindi il medico metteva l’antipsicotico che causava una reazione
avversa clamorosa all’antipsicotico, tant’è che la demenza a corpi di Lewy viene spesso diagnosticata
per esclusione. Spesso sono degli Alzheimer che fanno dei disturbi del comportamento specifici, cioè
hanno delle allucinazioni floride e con l’antipsicotico vanno peggio, a questo punto si diagnostica la
demenza a corpi di Lewy che per associazione con il Parkinson è una demenza che si verifica in modo
particolarmente frequente nei pazienti con morbo di Parkinson, tant’è che si crea un’entità clinica che
si chiama Parkinson-Demenza e spesso non riuscite a distinguere se è prima un paziente demente o
Parkinsoniano. Questi pazienti hanno un rischio di caduta molto più elevato rispetto ai pazienti che
hanno invece qualsiasi altro tipo di demenza. Chi ha la demenza a corpi di Lewy ha anche una
alterazione del SNA che inizia precocemente rispetto a tutte le altre forme di demenza; prima o poi in
qualsiasi forma di demenza salterà fuori una qualche disautonomia, perché la demenza è una patologia
neurodegenerativa corticale e non periferica, ma negli archi riflessi prima o poi la parte centrale viene
toccata; nella demenza a corpi di Lewy questa alterazione del SNA è precoce. Quindi:

 disturbi del comportamento più marcati con delirio/agitazione psico-motoria;


 risposta paradossa agli antipsicotici;
 elevato rischio di caduta;
 alterazione precoce del SNA.

Queste sono le quattro caratteristiche fondamentali di chi ha la demenza a corpi di Lewy. Sono quelle
che servono nella pratica clinica, perché sapere che nelle autopsie avevano i corpi di Lewy è bellissimo
ma il vostro intervento non è più necessario!

2. ALTERAZIONE SECONDARIA DEL SNA

 Diabete. Nella neuropatia disautonomica diabetica le fibre sono molto sottili e senza guaina mielinica
per questo sono le prime che subiscono l'insulto iperglicemico anche se è una forma più subdola
rispetto a quella sensitiva.

 Amiloidosi. L’amiloide è una sostanza che va a depositarsi dove non dovrebbe; ne abbiamo un esempio
clamoroso nell’Alzheimer, perché il primum movens della demenza di Alzheimer è proprio il deposito di
questi granelli di amiloide che non si scioglie che quindi rimane e depositandosi dà la neuro
degenerazione. La cosa che deve rimanere in mente è che se un paziente ha l’amiloidosi non l’ha
localizzata solo al cervello, ma dappertutto, allora è ovvio che la manifestazione più eclatante è a livello
cerebrale, ma se voi fate un ecocardiogramma a questi pazienti vedete un cuore iperiflettente,
l’ecocardiografista riscontra una ipereflessività del tessuto cardiaco perché nelle miofibrille del cuore si
deposita l’amiloide che dà questo tipo di immagine. L’amilodie si deposita anche a livello del SNA ed
avviene esattamente come nel diabete dove per prime vengono danneggiate le fibre più piccole, allo
stesso modo l’amiloide si deposita per prima nei nervi più sottili. È inoltre da ricordare che l’amiloide si
deposita nei vasi, quindi arriva in sede attraverso i vasi e quindi dà dei problemi al SNA causando
ipotensione ortostatica.

Quando c’è stata la prima divisione tra Alzheimer e demenza vascolare erano tutti convintissimi che
si trattasse di cose completamente diverse, poi facendo la TC a tutti i pazienti anziani si è visto che
una gran differenza tra chi aveva una diagnosi clinica di demenza di Alzheimer e vascolare non
c’era, perchè il 90% degli anziani hanno un quadro misto, quindi c’è stato un grande periodo di
tempo in cui si è visto che le due patologie sono quasi sovrapposte. Hanno trovato in chi ha la
demenza vascolare dei depositi di amiloide a livello dei vasi, quindi sembra che l’alterazione
vascolare sia anche caratteristica del morbo di Alzheimer anche se le caratteristiche cliniche delle
due patologie sono diverse. La prima differenza è l’andamento clinico: l’Alzheimer ha un
andamento progressivamente peggiorativo, mentre la demenza vascolare ha un peggioramento a
gradini, perché sono tanti piccoli ictus, però a livello istopatologico e strumentale delle grandi
differenze non ce ne sono; è per questo che la diagnosi del tipo di demenza si fa con la clinica e non
con gli esami strumentali.

 Uremia. L’uremia dà: gastropatia, encefalopatia, si deposita sulla cute e fa venire prurito…allo stesso
modo si deposita a livello del SNA. I cristalli di urea che dovrebbe essere eliminata con le urine ed
invece rimane dove non dovrebbe essere, alterano anche il SNA, quindi in chi ha l’insufficienza renale e
fa la dialisi troverete l’ipotensione ortostatica per due motivi: chi fa dialisi una gran volemia non ce l’ha
per definizione, in secondo luogo perché ha danneggiato il SNA.

DA FARMACI, alterano in modo diretto o indiretto il SNA.

DEPLEZIONE DI VOLUME

 Ipovolemia da disidratazione
 Emorragia
 Vomito
 Diarrea.
Il vomito e la diarrea sembrano sintomi benigni e questo è vero se avete di fronte un paziente giovane; in
un paziente anziano non sono mai sintomi benigni, perché disidratano e perché con essi si perdono tutti
quegli elettroliti come il Na ed il K che tanto servono per gli enzimi e le cellule. In un anziano bisogna
ricordarsi che l’equilibrio è labilissimo, quindi a volte basta un giorno di diarrea per portare ad un quadro di
shock ipovolomeico e quindi al ricovero.

Facciamo un esempio pratico: pz in terapia con FANS perché ha tanto male, è un iperteso ed un bel giorno
si trova con 80/60 di PA e sviene, in PS si fa sempre l’esplorazione rettale perché potrebbe avere melena;
infatti in una certa percentuale dei casi se un paziente ha una sincope oltre a fargli un emocromo bisogna
anche fargli una esplorazione rettale, perché se non riferisce l’emissione di feci scure è sempre importante
andare a cercare se c’è melena oppure no.

Perché ci si occupa di sincope in geriatria?


Perché la prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età. Arriva al 23% negli over 70 anni.

Le linee guide (di cui dopo vedremo i principali punti) sono state definite non solo da cardiologi e neurologi,
ma anche da geriatri; ciò a sottolineare come la sincope sia una condizione di particolare interesse per
questo ambito.

Secondo le linee guida ESC – 2009 le prime azioni che si devono compiere su un paziente che arriva con
transitoria perdita di coscienze sono:
 Anamnesi;
 Esame obiettivo;
 PA in clino- e ortostatismo;
 ECG standard (nelle 12 derivazioni);
Questo iter deve esser seguito in ogni caso di reale o apparente perdita di coscienza (qui ancora non
possiamo usare il termine sincope, poiché include SOLO le ipoperfusioni cerebrali globali transitorie); è
importante non richiedere subito esami costosi (come TC e RMN), come primo step dobbiamo attenerci a
quanto riportato sopra. In questo modo possiamo già distinguere se il paziente ha avuto una sincope vera
oppure una perdita di coscienza non sincopale.

Quali sono le cause delle SINCOPI VERE?


→ Neuromediate;
→ da Sindrome del seno carotideo;
→ da Ipotensione ortostatica;
→ da Patologia cardiaca: strutturale o aritmica;
→ da Patologia strutturali polmonari: è il campo dell’embolia polmonare;

Quali sono invece le cause di episodi di perdita di coscienza NON SINCOPALI?


→ Cadute: in realtà nell’anziano è difficile distinguere tra sincope e caduta;
→ Cataplessia: il pz si addormenta, ma è abbastanza rara;
→ Drop Attack: il paziente che dice “mi hanno ceduto le gambe e sono caduto come una pera, ma non
ho perso coscienza”, è una sindrome neurologica;
→ Pseudosincope psicogena: di solito giovani donne con diagnosi di isteria;
→ TIA carotideo e vertebro-basilare: anche se in passato era considerati sinonimi di sincope,
attualmente vi è una dimostrata distinzione tra i due;
→ Epilessia: è una perdita di coscienza dovuta ad un’alterata attività elettrica di una porzione di
encefalo, non da ipoperfusione transitoria;
→ Disordini metabolici come l’ipoglicemia: non è una sincope, poiché ciò che non arriva in sufficienza
al cervello è lo zucchero, non il sangue;
→ Intossicazioni: esempio da monossido di carbonio;

Tra le condizioni incorrettamente definite come sincope ci sono le CADUTE

Perché nel paziente anziano non è semplice distinguere tra una sincope e un episodio non sincopale?
Come vediamo a lato l’anziano può avere tutte e tre queste condizioni, ognuna delle quali responsabile di
caduta:
13. Sincope;
14. Cause accidentali;
15. Problemi di andatura/equilibrio;

Infatti l’anziano può avere una malattia acuta, ma ne avrà


sicuramente di croniche, tra cui malattie neurologiche,
cardiovascolari e ortopediche.
→ La valutazione iniziale dell’anziano deve essere tanto più
precisa quanto più è complessa la situazione di base.
Finchè non è certa la causa, se il primo step non è dirimente,
il pz viene considerato come se avesse avuto una sincope!

Epidemiologia:
 La 5a causa di morte negli USA è la morte accidentale;
 Le cadute rappresentano i 2/3 delle morti accidentali;
 I 3/4 dei decessi dovuti a caduta accidentale avvengono negli ultra65enni;
 Anziani a domicilio: 1/3 cade ogni anno, il 5% si frattura o viene ospedalizzato. Teniamo presente
che la popolazione anziana è molto numerosa in Italia, per cui il 5% è un numero molto elevato;
 Anziani in struttura: l’incidenza di cadute è 3 volte maggiore poiché:
 I soggetti sono più fragili: hanno un numero maggiore di patologie;
 La segnalazione dell’evento è più frequente;

Conseguenze della caduta:


5. In generale, si frattura il 4% dei soggetti che cadono (range: 1-10%)
6. Traumi cranici, danni ai tessuti molli, ferite severe: 11% (range: 1-36%)

Tuttavia, una volta caduto, anche se non si è fatto male, un anziano ha una più alta probabilità di morire
per le conseguenze della caduta.

Perché è molto importante questo concetto? Perché la geriatria è la scienza dell’AUTOSUFFICIENZA, quindi
per il geriatra è meno grave che un anziano muoia, piuttosto che diventi non autosufficiente (parole testuali
della prof.). Al geriatra non interessa che un soggetto arrivi a 100 anni malato, con le piaghe da decubito,
allettato e non autosufficiente; al geriatra interessa che l’anziano sia autosufficiente e le cadute alterano
l’autosufficienza.

Vediamo il circolo vizioso causato dalla caduta:

La caduta causa disabilità:


 diretta: se si fa male e a maggior ragione se si
frattura;
 indiretta: “paura del cadere” che porta alla
“postfall anxiety syndrome” (sindrome che
ci chiederà all’esame). Cioè il paziente si
autolimita, non esce più e così cala
l’autosufficienza;
Siccome “più uno non cammina, più fa fatica a camminare”, l’anziano con postfall anxiety syndrome
svilupperà una ridotta confidenza durante la deambulazione. In geriatria parliamo di “use it, or lose it”,
ovvero “usa la funzione, se no la perdi”.
Ne segue un ulteriore declino funzionale con conseguente depressione e perdita di fiducia in sé stesso. Il
paziente si isola e diventa definitivamente non autosufficiente.
La disabilità diventa irreversibile! Ricordiamo che l’uomo è un animale bio-psico-sociale.

Torniamo alle linee guida: seguendo quei 4 step che prima abbiamo elencato, abbiamo la possibilità di
orientarci tra una sincope e un episodio non sincopale. Quando abbiamo stabilito che il paziente ha avuto
una sincope, possiamo fare una diagnosi suggestiva e indirizzarci verso una delle possibili cause:
8. Cardiaca;
9. Neuromediata;
10. Cerebrovascolare → in realtà questa causa non esiste più;

NB: si arriva ad una diagnosi certa di CAUSA nel 45% dei casi. Diagnosi certa significa che non si devono
fare ulteriori accertamenti.

Ricordiamo l’importanza dell’ANAMNESI.


Cosa dobbiamo chiedere a un paziente che ha avuto una perdita di coscienza transitoria?

Si deve indagare la condizione o la situazione in cui si è verificata la caduta:


 Nel passaggio in ortostatismo
 Dopo prolungata stazione eretta
→ In questi casi dobbiamo pensare ad una SOSPETTA ipotensione ortostatica.

 Ambiente caldo
 Dopo sforzo fisico
 In seguito a sensazione di paura (forte emozione)
 Per visione del sangue
 Durante o dopo iniezione (ev o im)
 In associazione ad intensa sintomatologia dolorosa
 In ambiente affollato
→ In questi casi dobbiamo pensare ad una SINCOPE VASO-VAGALE CLASSICA, non sospetta, ma
certa. Quindi se abbiamo un paziente che ha anamnesi positiva per uno di questi elementi ed EO
neurologico negativo, prova della pressione ortostatica negativa ed ECG negativo siamo di fronte a
un caso di sincope vaso-vagale classica e non si devono fare ulteriori accertamenti (TC, RMN,
peraltro molto costosi).

 Durante un pasto o post-prandiale


→ In questi casi dobbiamo pensare ad una SOSPETTA ipotensione post-prandiale, che
nelle linee guida rientra nel gruppo delle sincopi SITUAZIONALI.

 Con la defecazione, con il vomito, con la minzione, con la tosse, con lo starnuto
 Con la deglutizione
→ In questi casi dobbiamo pensare ad una SINCOPE SITUAZIONALE, anche qui certa, non
sospetta.

Se un pz ha l'anamnesi positiva per uno di questi eventi, l'ECG negativo, L'EO cardioogico e neurologico
negativo e la prova dell'ipotensione ortostatica negativa si fa diagnosi certa di sincope vaso-vagale o
situazionale senza altri accertamenti!
Se invece l'anamnesi è positiva per ipotensione ortostatica con prova positiva e sempre ECG negativo,
EO cardiologico e neurologico negativo si fa diagnosi e il pz va a casa!
Domanda: - La TC in un pz che cade va fatta? Sì ma per valutare le eventuali conseguenze, non nella flow
chart diagnostica.
- Ha senso fare un doppler dei tronchi sovraortici?
No perchè una stenosi delle carotidi potrà dare un TIA ma non una ipoperfusione cerebrale globale con
una perdita di coscienza transitoria, può essere chiesto nel caso in cui si senta un soffio ma non per una
sincope.

Per riassumere:

Sincope vasovagale
 Iperattività del vago, che causa bradicardia ed ipotensione
 Ipoafflusso cerebrale globale
 Analisi degli eventi trigger: reazione di fuga
 Meccanismo: iperattività del simpatico a cui risponde il vago con entità della risposta uguale e
contraria

Sincope situazionale
 Iperattività del vago, che causa bradicardia ed ipotensione
 Ipoafflusso cerebrale globale
 Analisi degli eventi trigger: manovra di Valsalva
 Meccanismo: iperattività del simpatico a cui risponde il vago con entità della risposta uguale e
contraria

SINTOMI PRODROMICI

 Testa leggera, Debolezza, Scotomi/acufeni, Disturbi del visus e/o dell’udito


 Nausea/vomito/disturbi addominali, Sudorazione profusa, Bocca secca
 Nessuno (perdita di coscienza improvvisa), Palpitazioni, Dolore precordiale
 Delirium

I primi sono i sintomi che precedono la perdita di coscienza, sono sintomi di ipoperfusione cerebrale
globale, di pre-sincope, se il pz li riconosce può evitare la sincope, sdraiarsi e non cadere.
La nausea, bocca secca, sudorazione sono invece la conseguenza dell'attivazione del vago indicano quindi
un interessamneto del SNA.
La perdita di coscienza improvvisa, palpitazioni e dolore precordiale invece devono far pensare ad una
causa cardiaca da indagare.
Il delirium riferito dai famigliari prima della sincope è la conseguenza sempre dell'ipoperfusione
cerebrale globale.

Avevamo detto che è molto difficile nell’anziano stabilire se ha avuto una sincope, perché questo?
→ Circa il 30% dei soggetti anziani cognitivamente intatti (non dementi) non è in grado di ricordare cadute
documentate dopo tre mesi. C’è un’amnesia per la caduta.
→ Nel 50% dei casi non ci sono testimoni. Capiterà di frequente il paziente anziano che dice “mi sembra di
esser inciampato in un gradino”, quando in realtà questo non è contestualizzabile. Ci sono poi i casi in cui
arriva il “vecchietto con gli occhi a panda” e dice che è inciampato. Inciampare senza mettere le mani
avanti spesso è segno di perdita di coscienza.
→ Nel 40% dei soggetti con sindrome del seno carotideo (pazienti con una pausa di almeno 3 secondi
durante il massaggio del seno carotideo [MSC]) l’unico sintomo era la caduta o la caduta preceduta da
“dizziness”
→ Nel 20% dei casi di sincope durante Massaggio del Seno Carotideo il paziente non ricorda di avere perso
coscienza

Quando si fa il MSC ci sono dei pazienti che fanno delle pause “clamorose”, fanno un arresto, e questo
viene definito un MSC sintomatico ed è diagnostico per sindrome del seno carotideo.

Esiste anche l’ipotensione post-prandiale, ovvero una riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica nelle
due ore successive al pasto, concettualmente è simile all'ipotensione ortostatica.
L'anziano in seguito ad un episodio di sincope deve essere sottoposto ad una valutazione
multidimensionale geriatrica che consideri tutte le componenti bio-psico-sociali.

Stato Cognitivo:
Mini Mental State Examination, perchè se alterato l'anamnesi deve essere rivolta ad un famigliare.
Stato emotivo-affettivo:
Geriatric Depression Scale, per la valutazione della postfall anxiety syndrome
Comorbidità:
Cumulative Illness Rating Scale
Autosufficienza:
ADL e IADL, Activities of daily living (alzarsi, mangiare, la continenza...) e Instrumental activities of daily
living (fare la spesa, pulire...)
Se abbiamo un paziente con storia di sincope nel passaggio da clino- ad ortostatismo e facciamo diagnosi
con lo sfigmomanometro di ipotensione ortostatica sintomatica (possiamo riprodurre una presincope nel
passaggio da clino a ortostatismo)possiamo fare diagnosi di SINCOPE DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA.
Quando arriviamo a questa diagnosi CERTA non dobbiamo proseguire con inutili accertamenti.

Perché l’anziano è predisposto all’ipotensione ortostatica?


Perché l’ipotensione ortostatica è un effetto collaterale dei farmaci e le linee guida dicono che le sincopi da
ipotensione ortostatica sono dovute ad effetti collaterali farmacologici nel 30% dei casi. Siccome l’anziano è
un malato cronico e con polipatologia ed assume farmaci per ogni patologia è frequente riscontrare
l’ipotensione ortostatica come effetto collaterale di una categoria di farmaci oppure per interazione tra
farmaci di diverse classi.

Quali sono i principali farmaci che danno tale effetto?


→ Antipertensivi;
→ Antidepressivi (molto abusati);
→ Antipsicotici (soprattutto nelle strutture protette a scopo sedativo sull’anziano);
→ Nitrati (si danno nell’angina e nello scompenso cardiaco);
→ Antiaritmici;
→ Antiparkinsoniani;

I faramci che più frequentemente danno ipotensione ortostatica sono i nitroderivati e gli
antiparkinsoniani (Incidence of orthostatic hypotension as cause of syncope in emergency departments:
the EGSYS 2 Study)
Quindi fondamentale è MISURARE LA PRESSIONE in clino e ortostatismo.

Tra gli antipertensivi, quali danno più frequentemente ipotensione ortostatica?


 α – bloccanti (Cardura): ormai nelle linee guida non sono più usati come farmaci di primo step. Il
MMG spesso dava questo farmaco per risolvere contemporaneamente problemi di ipertensione e
di ipertrofia prostatica.
 Diuretici: danno una deplezione di volume e pertanto quando il paziente si alza in piedi il sangue si
accumula nelle gambe e non ce n’è più a sufficienza per il cervello quindi compare la sincope.
 Β – bloccanti (soprattutto quelli di vecchia generazione metoprololo, atenololo, meno quelli nuovi
come carvedilolo).
 Calcio-antagonisti che però iniziano ad essere una classe di farmaci abbastanza sicura.
 ACE-inibitori e sartani.
In passato nelle linee guida per l’ipertensione avevamo β-bloccanti e diuretici (poco costosi), adesso invece
sono consigliabili anche calcio-antagonisti, sartani e ACE-I; la prof raccomanda nell’anziano di usare ACE-I e
sartani, eventualmente associati all’idroclorotiazide che dura 24 ore.

Cos’è la dizziness?

È una sindrome geriatrica con cui si indicano un insieme di sintomi:


 Perdita di equilibrio senza strane sensazioni alla testa (disequilibrio)
 Pre-sincope (sensazione di venir meno ma senza arrivare alla sincope)
 Percezione di movimento (vertigine o rotazione)
 Qualsiasi altra cosa definita come senso di testa confusa, leggera, ecc.
Questi nel 75% dei casi sono dovuti a modificazioni della pressione arteriosa e/o
ipotensione ortostatica.

Davanti a un paziente anziano è frequente riscontrare una di queste quattro manifestazioni.


La dizziness ci interessa perché è un fattore di rischio per la caduta.

Geriatria
19/03/2012
Prof. Mussi

IL DELIRIUM
è una manifestazione frequentissima nell'anziano, quindi oggi diamo le indicazioni diagnostico terapeutiche
per questa condizione.
Il primo a identificarla fu Ippocrate: se il paziente sta delirando non riconosce i suoi amici,e non può sentire
o capire, e questo è un sintomo mortale. Quindi Ippocrate aveva identificato sia le caratteristiche cliniche
che la gravità del problema delirium.
Il delirium è uno scompenso cerebrale acuto. Si fa diagnosi seguendo i criteri del DSM IV, manuale che
utilizzano gli psichiatri e che si utilizza anche in clinica, il quale da un'identificazione del delirium in quattro
punti.
Disturbo dello stato di coscienza (ridotta consapevolezza dell’ambiente) con ridotta capacità di fissare,
mantenere e spostare l’attenzione. Quindi lacaratteristica principale del delirium è il deficit di
attenzione
Alterazioni della sfera cognitiva (deficit di memoria, disorientamento temporo-spaziale, disturbi del
linguaggio) non giustificabili da una demenza preesistente o in evoluzione. Questo secondo punto è
uguale a quello che capita nella demenza.Vedremo successivamente che è possibile che un delirium
si manifesti in una persona demenza, e i due criteri distinguono il delirium dalla demenza sono i
seguenti:
Il disturbo si manifesta in un periodo di tempo breve (di solito ore o giorni) ed ha un decorso fluttuante nel
corso della giornata). Al mattino il paziente può essere assolutamente normale e verso sera inizia il
disorientamento spazio temporale e l agitazione psicomotoria
C’è evidenza dalla storia, dall’esame obiettivo, o da altri accertamenti che il disturbo è una diretta
conseguenza di una patologia medica in corso, di un’intossicazione da farmaci o da una sindrome di
astinenza. È uno dei punti più importanti nella diagnosi di delirium perché è insita la causa e la
terapia.
da questa definizione si capisce che non si puo' parlare di demenza perché questa non è data da qualcosa di
esterno.la stessa cosa vale per il farmaco

DIAGNOSI
ci sono moltissimi test per fare diagnosi di delirium, quello più facile più veloce e più riconosciuto in
letteratura è il CAM confusion assesmant method che si basa sui quattro criteri che abbiamo visto nel DSM
IV con l'unica differenza al primo posto mette l' insorgenza acuta e l'andamento fluttuante
1. Insorgenza acuta e andamento fluttuante
Dato acquisito di solito da un familiare: c’è stato un cambiamento acuto nello stato mentale del paziente
rispetto alla sua situazione di base? Il comportamento anormale varia durante la giornata, per esempio va
e viene o si modifica di intensità 0= no 1=sì
2. Perdita dell’attenzione
 Il paziente presenta difficoltà nel concentrare la sua attenzione, per esempio è facilmente distraibile, non
riesce a mantenere il filo del discorso ecc.? 0= no 1=sì
3. Disorganizzazione del pensiero
Il pensiero del paziente è disorganizzato e incoerente, passa da un argomento all’altro senza filo logico, in
modo imprevedibile?
0= no 1=sì
4. Alterato livello di coscienza
0= vigile
1= iperallerta, letargia, stupor, coma

La diagnosi di delirium richiede la presenza di 1, 2 ed alternativamente 3 o 4.

Il CAM è validato in tutti i reparti, nelle strutture protette, a domicilio etc. Quindi si può sempre utilizzare.
Il paziente con delirium apparirà in stato di:
Del paziente in stato di delirium si occupa il geriatra perchè aumenta esponenzialmente con l’aumentare
dell’età. Il delirium può colpire chiunque, anche pazienti giovani con patologie acute, che hanno assunto un
farmaco o che sono in astinenza da sostanze; ma chi si occupa di anziano non può non riconoscerlo perchè
dai 65 anni in avanti c’è una crescita esponenziale di questo problema.
STATO DI COSCIENZA E ATTENZIONE

La funzione attenzione, è una funzione particolarmente complessa e nel delirium viene alterato questo
pattern.
Il delirium dipende dal sistema colinergico, questo è importante conoscerlo perchè, nel momento in cui si
vanno ad identificare le cause, si vedrà che i farmaci con azione anti colinergica hanno un potere
deliriogenico. Questa ipotesi è stata esposta nel 1991 quando hanno antagonizzato l’ACH con dei farmaci,
anche in anziani non dementi, questi sviluppavano un deficit di attenzione e quindi un delirium. In più è
stato visto che i livelli sierici di farmaci che hanno attività anticolinergica correlano con l’insorgenza di
delirium e la sua severità, quando il delirium si risolve gli elevati livelli di anticolinergici diminuiscono.
Ridotte quote di zucchero e di ossigeno si associano a un ridotto rilascio sinaptico di ACH e ad un aumento
del glutammato. Ciò vuol dire che gli insulti a livello di due possibili cose che succedono nel delirium, come
l’alterazione del metabolismo glucidico e l’ipossia determinano alterazioni dei livelli di ACH ( l’unica cosa
che interessa alla prof è che il delirium è causato da un calo di acetilcolina).

Ci sono poi un’ipotesi dopaminergica, serotoninergica e gabaergica anche se meno accreditate. Da sapere il
concetto che l’aloperidolo è utilizzato nella cura sintomatica del delirium per la sua azione
antidopaminergica.

TIPI DI DELIRIUM
Esistono tre tipi di delirium

Il primo è il più facile da diagnosticare perchè il paziente è molto agitato e non si riesce a tenere calmo.
Molto più grave e difficile da individuare è il delirium di secondo tipo, in ospedale questo tipo di malati
“sfuggono” perchè non danno fastidio a nessuno e l’infermiere, a meno che non sia sensibilizzato sul
problema, fa fatica a riconoscerlo. Più o meno la prevalenza dei vari tipi è uguale.

DELIRIUM IPOATTIVO
I disturbi fluttuanti del comportamento vanno dall’agitazione psicomotoria al sopore

Delirium “ipoattivo” è correlato

ad un peggiore stato di salute alla dimissione


ad un tempo di degenza più lungo
ad un aumentato rischio di piaghe da decubito
Il delirium ipoattivo correla con una peggiore prognosi, perchè i disturbi fluttuanti del comportamento che
arrivano al sopore correlano ad un peggiore stato di salute alla dimissione, il paziente è più ammalato, lo si
dimette meno guarito. È un paziente che sta più tempo allettato, quindi si fa più facilmente le piaghe da
decubito. Infine, aspetto che interessa di più alla direzione sanitaria, passa più giorni in ospedale.

PERCHE’ IL DELIRIUM VIENE MISCONOSCIUTO?


Fondamentalmente perchè non lo si cerca.

Se la diagnosi viene fatta, le prevalenze registrate sono molto alte.


Soggetti ospedalizzati: dall’11 al 42%
Dopo chirurgia: fino al 60%
Peggiora la prognosi:
11. Aumenta la mortalità
12. Aumenta la durata della degenza
13. Aumenta la disabilità
14. Aumenta il rischio di istituzionalizzazione
È quindi fondamentale fare diagnosi se no il paziente va incontro a una prognosi peggiore.
Codici ICD-9-CM
Diagnosi di Delirium:
293.0 293.1 292.0 292.81 291.0 290.3 290.41 290.42 290.11 348.3 349.82 292.2 293.82 293.81 298.2

Questi sono i codici ICD-9, servono per compilare le SDO in fase di chiusura delle cartelle. Si devono
associare alle patologie che il paziente ha i codici ICD-9; il DRG è il diagnosis related group, che ci dice se
siamo stati “bravi”oppure no. Il concetto è che una polmonite ad esempio, è da dimettere entro 5 gg e se ce
ne impieghiamo 7 la direzione sanitaria si “arrabbia”. Sul delirio ci sono tantissimi codici ICD-9 perchè causa
tutti quei problemi visti precedentemente. Invece questi non sono molto utilizzati anche perchè la diagnosi
spesso non viene fatta.

Queste sono le prevalenze delle diagnosi di delirium, dal 2000 al 2003, nelle SDO. Sono molto più basse di
quelle viste in precedenza, questo perchè per il medico “medio” l’anziano è normale che “svalvoli” nel
momento in cui entra in reparto.
Il problema nasce dal PS
15. Solo 15-30% identificato in Pronto Soccorso
16. Solo 30-50% hanno segni/sintomi segnalati all’ammissione in reparto
17. Anche se i segni/sintomi sono stati segnalati, spesso sono misconosciuti (demenza, depressione)
Il deliruim va identificato nel momento in cui il paziente arriva all’attenzione del medico, la diagnosi
potrebbe anche essere fatta da un infermiere. Al massimo in PS ne viene identificato il 30%, il 30-50%
hanno segni o sintomi che potrebbero essere identificati dal medico di reparto come campanelli d’allarme,
in particolare questo vale per il delirium ipocinetico. Infine se anche i segni/sintomi sono stati segnalati,
spesso sono misconosciuti perchè vengono confusi con altri due quadri che fanno parte delle famose tre D
della geriatria, che sono demenza, depressione e delirium. Sono tre patologie completamente diverse.
quando invece si utilizza il CAM, la diagnosi cresce al

20,7%, il che vuol dire che basta cercarlo con lo strumento giusto per essere identificato
questo è uno studio multicentrico svolto dalla

geriatria di Modena insieme con altre geriatrie italiane, dove si è andati a vedere l’outcome surrogato, cioè
l’utilizzo di antipsicotici al bisogno all’interno del reparto di geriatria. L’antipsicotico al bisogno è per
definizione una contenzione farmacologica, perchè altrimenti non ci sarebbe altro motivo per prescrivere
un antipsicotico al bisogno. Quelli indicati nel grafico sono tutti pazienti senza diagnosi di delirium,
all’aumentare dell’età aumentava la prescrizione degli antipsicotici. Nella fascia d’età >85aa a domicilio le
prescrizioni erano sotto al 5% mentre subivano un picco al 9% durante l’ospedalizzazione, ciò vuol dire che
almeno il 9% di questi anziani ha sviluppato un delirium ipercinetico in reparto, in seguito al quale gli sono
stati somministrati antipsicotici al bisogno.

Mini Mental State Examination


E’ diagnostico?

18. Il MMSE non consente la diagnosi di delirium e non distingue tra delirium e demenza

19. Non rileva la caratteristica variabilità dei sintomi, né i disturbi psicomotori


20. La variazione del suo punteggio nel tempo in controlli seriali è orientativa

Questa diapositiva è stata inserita perchè spesso all’esame, alla domanda “come si fa a fare diagnosi di
delirium?” lo studente rispondeva: “con il MMSE”. Questo non è corretto.
Il MMSE serve per identificare un DEFICIT COGNITIVO, non dà però nessuna idea di quanto fluttuante ed
acuto sia il deficit cognitivo. Se però si fa il MMSE ad un paziente appena entrato in reparto e questo
prende 10(bassissimo), poi glielo si rifà alla dimissione e prende 30(massimo), si potrà dire che questo, era
un paziente che aveva un deficit cognitivo dovuto al delirium (paziente entrato per patologia acuta, risolta
durante la degenza e di conseguenza risolto il delirium, all’uscita ha un livello di coscienza normale) va
ricordato che al 2 punto del DSM-V il delirium è caratterizzato da: deficit di memoria, disturbo
dell’orientamento spazio temporale, afasia etc.. Ovvero tutti sintomi di deterioramento cognitivo, che nel
caso del delirium è acuto.

L’anamnesi è fondamentale, è per questo che va fatta immediatamente. Appena il paziente viene visto la
domanda da porre è: “com’era prima questo malato?”. Il punto chiave dell’anamnesi è capire com’era in
precedenza il paziente. Se il parente ci dice che sono già alcuni anni che il paziente è in quelle determinate
condizioni, ci orienteremo verso uno stato di demenza; mentre se il parente dice che non riconosce più il
paziente, che ha notato un cambiamento repentino nell’arco di poche ore, questo ci farà orientare su una
diagnosi di delirium.
Tutti i pazienti che si osservano soprattutto in area critica vanno sottoposti a screening cognitivo, perchè va
considerato alla stregua di un parametro vitale (cosa che purtroppo non ancora accade nei reparti di PS ed
emergenza urgenza).

Queste sono scale, per farci capire che questo è un problema davvero spinoso; sono nate tantissime scale
per identificare il delirium.
NEECHAM CONFUSION SCALE
 
1. PROCESSING (punti da 0 a 14)
attenzione ed allerta, risposta, riconoscimento, interpretazione,
azione, orientamento, memoria, contenuto del discorso

2. COMPORTAMENTO (punti da 0 a 10)


come si mostra (anche igiene); movimento, conversazione

3. PARAMETRI VITALI E FISIOLOGICI (punti da 0 a 6)


segni vitali, saturazione periferica O2, continenza
In totale il punteggio varia da 0 a 30:
da 0 a 19 lo stato confusionale è severo o moderato,
da 20 a 24 è “mild” o iniziale,
da 25 a 26 normalità con possibile rischio,
da 27 a 30 normalità

Questa è una scala interessante perchè mette al terzo punto l’alterazione dei parametri vitali fisiologici
perchè alla base del delirium c’è sempre una causa di tipo medico, farmacologico e quindi i parametri vitali
mi dicono se c’è qualcosa che non va a livello fisiologico.
DELIRIUM INDEX
Si basa sul rilievo di:
7. Alterata attenzione (da 0 a 3)
8. ragionamento disorganizzato (da 0 a 3)
9. livello di coscienza (da 0 a 3)
10. disorientamento (da 0 a 3)
11. compromissione della memoria (da 0 a 3)
12. alterata percezione (da 0 a 3)
13. disturbi motori (da 0 a 3)

Il punteggio è 9 quando non determinabile per gli item 1, 2, 4, e 5)


I valori molto piccoli indicano normalità;
si usa somministrando i primi 5 item del MMSE

Questa scala, in realtà, si valuta sui primi 5 item del MMSE e, a differenza del CAM, al settimo punto c’è la
segnalazione dei disturbi motori. Ci aiuta quindi a distinguere tra un delirium iper e un delirium ipocinetico.
(le scale non sono da sapere)

Qui si apre un capitolo che è d’importanza fondamentale. Il DSM-IV afferma che il delirium ha una causa
che bisogna identificare, perchè la cura del delirium è la cura della causa. Se la causa non viene identificata
non si guarisce il paziente da due malattie: la causa e il delirium.
In letteratura si sono sbizzarriti nel creare degli acronimi per tenersi in mente le cause di delirium
tutte le patologie acute o riacutizzazioni di patologie croniche possono

causare delirium. Le più frequenti sono le cause vascolari tra cui c’è l’ictus, questo può avere una
manifestazione completamente diversa rispetto a quella che ci si aspetta solitamente nel paziente giovane,
infatti si può manifestare solo col delirium. Le infezioni sono un’altra delle cause più frequenti di delirium,
se non si identificano il paziente va in sepsi. Anche la malnutrizione è causa di delirium. I farmaci sono
pericolosissimi nell’anziano, bisogna sempre ricordare la frase “start low go slow”, gli anziani vanno spesso
incontro ad effetti avversi e ad interazioni farmacologiche; un effetto avverso dei farmaci è il delirium. I
traumi. Le cause cardiache tra cui le aritmie e gli infarti che presentano nell’anziano, come unico sintomo,
un quadro di delirium. Tutte le riacutizzazioni delle malattie autoimmuni sono poco frequenti. I tumori,
soprattutto in fase terminale. Tra le patologie endocrine che possono causare delirium c’è il diabete
scompensato (ipo-iper glicemia) e le alterazioni della tiroide (ipo-iper tiroidismo), va fatto sempre un TSH in
chi presenta delirium.

Domanda: anche con uremia si può avere delirium?


Sì, infatti nel prossimo acronimo troviamo la disidratazione come una delle cause più frequenti di
delirium, molto prima dell’uremia, basta un’insufficienza renale pre-renale da disidratazione.

in questo acronimo al primo posto troviamo i farmaci, che in effetti sono

quelli che in assoluto danno più frequentemente il delirium. Al secondo posto troviamo eye ed ears, ciò sta
a significare che se un paziente ci vede e ci sente poco ed in più viene messo in un ospedale, questo si
disorienta in brevissimo tempo. Abbiamo poi la bassa ossigenazione e quindi l’ischemia. La R di retention è
molto importante, si intende ritenzione sia urinaria che fecale; l’anziano con globo vescicale spesso non ci
chiama dicendo che non riesce ad urinare, ma si agita solamente; parallelamente la stessa cosa succede per
il paziente stitico. Di nuovo troviamo le infezioni; la disidratazione già menzionata sopra così come i
disordini metabolici.
in questo acronimo è stata aggiunta anche la “s” perchè una delle

manifestazioni dell’ematoma subdurale nei pazienti anziani è la confusione mentale acuta, ovvero il
delirium. Quando un paziente ha un delirium e ha l’anamnesi positiva per caduta la TAC va sempre fatta
perchè potrebbe avere un ematoma subdurale.
Sono stati fatti tantissimi studi sulle cause di delirium, ognuno dei quali ha identificato qualche causa
maggiore dell’altra.
alla prof è piaciuto molto questo, perchè ha semplificato un

po’ le cose. Sono stati identificati 4 fattori di rischio. Il primo è il fatto che il paziente ci veda poco, il
secondo è la presenza di patologie acute gravi (l’apache è un metodo di valutazione oggettiva della gravità
dei pazienti che arrivano in PS), il terzo punto è il fatto che ci sia un deterioramento cognitivo, quindi una
demenza sottostante è un fattore di rischio di delirium. Il quarto punto è la disidratazione. È stato visto che
se il paziente non ha nessuno di questi fattori ha un rischio di sviluppare delirium che è basso( incidenza
9%) mentre invece se ne ha 3-4 ha un rischio elevatissimo (incidenza 83%). Ciò significa che se abbiamo un
paziente anziano va sempre considerato ad alto rischio di delirium.
Delirium da farmaci
Antipsicotici triciclici (fenotiazine)
Antidepressivi triciclici (Nortriptilina)
Barbiturici
Benzodiazepine
Antistaminici
Antiparkinsoniani
Antidiarroici (difenossilato)
Miorilassanti, spasmolitici
Prodotti da banco per il trattamento sintomatico della tosse (Codeina)
Digitale
Narcotici (Meperidina, Morfina)
Prednisolone
Antibiotici (Cefalosporine, Chinolonici)

Il concetto che deve emergere è che ogni anziano è diverso da quell’altro. Quindi se gli diamo un farmaco a
volte non si hanno gli effetti che ci si aspetta come da proprietà del tale farmaco. Potenzialmente, qualsiasi
farmaco nuovo che si somministra ad un anziano, può causare delirium. Ovviamente ci sono farmaci a cui
stare maggiormente attenti. È stato detto precedentemente dell’ipotesi colinergica, tutti i farmaci che
hanno attività anticolinergica possono peggiorare il delirium. È per questo che succede che il medico di
guardia di notte, chiamato per un delirium ipercinetico e che non va a visitare il paziente e non ne identifica
la causa, somministra per telefono il TALOFEN ev (antipsicotico triciclico del gruppo delle fenotiazine dalla
potente attività anticolinergica) e il paziente invece che sedarsi si agita di più, il medico somministra altro
talofen, che essendo cardiotossico, manda il paziente in arresto cardiaco.
Stesso discorso vale per gli AD TRICICLICI.
La codeina quando si dà a dosaggio alto perchè c’è un paziente che ha la tosse, questa dà il delirium in circa
il 30% dei pazienti anziani.
Tra gli antibiotici bisogna fare molta attenzione hai CHINOLONICI, perchè sono epilettogeni e deliriogenici in
quanto agiscono direttamente come irritanti del SNC.
Bisogna indagare se l’anziano che ha il delirium ha da poco iniziato un nuovo farmaco, se questo si verifica
bisogna subito togliere il nuovo farmaco.
Il compito del medico è quello di capire la causa del delirium, non di sedare il paziente agitato.
Delirium post-chirurgico
Ipossia cerebrale perichirurgica
Ipotensione
Aumento di cortisolo da stress chirurgico
Uso di farmaci narcotici con attività anticolinergica
Dolore postchirurgico
Alterazioni idro-elettrolitiche
Queste sono le cause di delirium post-chirurgico. Questò è diventato più frequente dato che il numero di
anziani operati è maggiore rispetto al numero dei giovani. Chi fa un intervento chirurgico va in ipossia per la
perdita di sangue, per l’anestesia generale che fa sì che gli si riduca la pressione e tutta una serie di
parametri tali per cui arriva poco sangue al cervello. Questo avviene soprattutto per determinati interventi
chirurgici (frattura di femore, chirurgia addominale). Tra i farmaci deliriogenici era citato il cortisone, tutte
le situazioni da stress fanno aumentare il nostro cortisone ovvero il cortisolo, che quindi induce delirium.
Domanda: nella sindrome della sella vuota, se un paziente deve essere sottoposto ad intervento chirurgico,
come ci si dovrebbe comportare?
Se c’è una SDR della sella vuota non si ha davanti un paziente anziano, quindi bisogna fare tutta la terapia,
l’intervento chirurgico stando attenti nel post chirurgico al delirium. Il fatto è che in questa sindrome non ci
sono alternative terapeutiche quindi il delirium è “il male minore”.
Uno dei metodi più semplici in chirurgia per fare in modo che non venga il delirium al paziente è lasciare
vicini i famigliari. Purtroppo nei nostri reparti i famigliari vengono fatti uscire immediatamente di
conseguenza il paziente rimane da solo e si disorienta. Il paziente con frattura di femore non va lasciato da
solo perchè sicuramente farà il delirium.
Il DOLORE è una causa importantissima di delirium, ci sono dei pazienti che non sanno esprimere il loro
dolore a parole ma si agitano solamente, quindi spesso la vera terapia è l’antidolorifico.
Nel post operatorio si danno moltissimi liquidi a tutti, ma spesso ci sono degli squilibri di Na-K perchè non
vengono bilanciati bene nelle varie soluzioni somministrate. Il neurone che riceve una quota inadeguata di
Na-K va in insufficienza cerebrale acuta.
Per evitare il delirium post-chirurgico bisogna:
21. Correggere anemia
22. Evitare ipotensione
23. Evitare ipossiemia cerebrale
24. Compensare situazione emodinamica e respiratoria
25. Trattare precocemente le complicazioni:
infezioni delle vie urinarie
polmoniti
ritenzioni acute di urina
stipsi ostinata con fecalomi
L’ipotensione si evita somministrando fluidi, stando però attenti a non mandare in edema chi ha lo
scompenso cardiaco o accellerarlo in chi ha uno scompenso cardiaco latente.
Bisogna poi trattare precocemente le complicanze post chirurgiche: infezioni urinarie, polmoniti
nosocomiali, ritenzione acuta d’urina e stipsi da fecaloma. Il paziente allettato che fa un intervento
chirurgico, per definizione diventa stitico, bisogna quindi assicurarsi che vada di corpo

LE TRE D

Gli anziani possono averle tutte e tre contemporaneamente, il delirium si può poi anche associare a:

Nel delirium ipocinetico il paziente è allettato e ha frequentemente decubiti. I disturbi del sonno sono
molto importanti nel delirium ipercinetico perchè il paziente a casa non riesce più ad essere gestito dai
famigliari. Il paziente con delirium diventa incontinente, quindi viene cateterizzato. C’è poi il grandissimo
problema del caregiver, il quale non capisce il motivo per cui questo paziente a un certo punto non è più la
persona che aveva 24 ore prima, quindi è il medico che ha il compito di tranquillizzare il famigliare dicendo
che è una cosa normale nell’anziano e che una volta identificata la causa il delirium scompare.
questo è uno studio che mostra i pazienti con il delirium che

vanno incontro più facilmente a: incontinenza urinaria, cadute, piaghe da decubito e altre complicanze.
Cosa fare SEMPRE

Queste sono le cose da fare sempre in un paziente col delirium dal punto di vista diagnostico. Fare molta
attenzione al dolore, che in un paziente con delirium è molto difficile da identificare per l’impossibilità di
avere un colloquio. Si può utilizzare la scala VAS con le “faccine” che ci dice se il paziente può avere dolore
oppure no.
Il calcio, insieme al Na-K, è sempre coinvolto nei processi biochimici ed è quindi responsabile di delirium se
manca.
La TAC encefalo va considerata per l’ematoma subdurale.
Criteri clinici

26. indice di disidratazione = urea/creatinina >25


27. deficit di acqua = peso (Kg) x 0.45 –[140/ (Na+ plasmatico x peso (Kg) x 0.45)]
28. Guardare sempre cute e mucose
Se non disponiamo di un iPod, bisogna guardare sempre cute e mucose per vedere il grado di disidratazione
del paziente, la cute si solleva in pliche che non scendono e la lingua è molto secca se il paziente è
disidratato.

Aspetti confusionali nella esistenza delle persone anziane

Visto che il paziente è un essere BIO-PSICO-SOCIALE non si può non considerare la componente psicologica.
Ci sono dei quadri di delirium che sono dati da uno stress psicologico. Anamnesticamente si riesce trovare
una relazione causa effetto tra una delle condizioni elencate sopra e l’insorgenza di delirio.
La deprivazione sensoriale: se si pensa al paziente ospedalizzato, questo è un individuo che viene portato
via dal suo ambiente, quindi si disorienta; la luce poi in reparto difficilmente rispetta i ritmi circadiani del
paziente, spesso c’è troppo rumore, se il paziente vede poco spesso misinterpreta quello che gli capita
intorno e quindi manifesta il delirium.

la diagnosi differenziale è molto semplice in quanto il delirium è un evento ACUTO, mentre la demenza è
CRONICA.

di tutti questi aspetti clinici ci interessano solo quelli evidenziati.


 disturbo della coscienza: nella demenza non è presente, il paziente è uguale al giorno precedente,
non è né in iperallerta né letargico.
 Deficit di attenzione: nel delirium non si riesce più a cogliere l’attenzione del malato, può avvenire
nelle fasi molto avanzate della demenza
 Fluttuazione nelle 24 ore: caratteristica del delirium, mentre la demenza non fluttua durante la
giornata.
 Esordio acuto nel delirium.
Perché l’anziano affetto da demenza si rivolge al pronto soccorso?

Il pz demente con delirium non riesce ad essere gestito a domicilio.


Il PS è però il posto peggiore per gestire un pz con delirium.
 ci sono barelle e non letti, che sono scomode e soprattutto alte quindi il pz può agitarsi e cadere.
 Il pz deve rimanere da solo perchè si ritiene che i parenti facciano troppa confusione
 In PS si cade perchè i pavimenti sono sdrucciolevoli per far passare le barelle
 In PS ci sono tende e non muri che separano gli ambienti, quindi è molto rumoroso
 In PS non ci sono finestre ma la luce artificiale, quindi il pz si disorienta perchè non capisce che ore
sono
 L’anziano ha tante comorbilità e tante terapie che non riesce a riferire, mentre il triage e la diagnosi
devono essere per forza rapidi.
Per risolvere questi problemi nasce il Geriatric Emergency Department (GEDI) che conclude in questo
modo: “ dopo una visita in PS gli anziani sono più a rischio di complicanze, declino funzionale e ridotta
qualità della vita”.. “quindi il PS non è fatto per il pz anziano”. Ovviamente questo è uno studio che mostra
che con accorgimenti come quelli elencati prima le cose migliorano.

In PS bisogna, oltre a controllare i parametri vitali, verificare il declino funzionale e mentale. La diagnosi di
delirium va fatta in PS. ( se in PS arriva un pz con deficit cognitivo, e lo si battezza come demente, questa
diagnosi compare nella diagnosi di PS e quindi questo paziente non se la “tira più via”).
Trattamento non farmacologico
do everything to make life easy for the patient.
29. Aiutare l’orientamento con grandi orologi e calendari
30. Assicurare una buona veduta dalla finestra
31. Ripetere regolarmente le informazioni
32. Massimizzare l’acuità visiva: occhiali, luce
33. Massimizzare l’acuità acustica: assicurarsi l’uso e la funzione di protesi, ridurre i rumori competitivi
34. Usare oggetti famigliari al paziente (foto che riguardano il paziente stesso)
35. Assicurare oggetti di riconoscimento adeguati per le stanze
Il trattamento non farmacologico è il più importante, bisogna fare qualsiasi cosa semplifichi la vita del
malato. Fondamentale riorientare il pz. Quando si studierà la demenza si farà la ROT( re-orientation
teraphy) che è un metodo per prevenire il declino cognitivo nel demente.
PROTOCOLLI
Questi sono due tipi di protocolli che hanno ridotto l’incidenza di delirium nei reparti in cui sono stati
utilizzati.
ORIENTATION PROTOCOL
36. Ripetere quotidianamente o meglio più volte al giorno la collocazione di luogo e di tempo in cui ci
si trova
37. Discussione di eventi correnti (lettura quotidiani, visione di fatti di attualità, ecc.)
38. Ricordi strutturati
39. Fatti che riguardano il paziente

SLEEP PROTOCOL
40. Strategie di riduzione del rumore degli spazi
41. Revisione dei tempi di medicazione e terapia
42. Riduzione dell’intervento farmacologico
43. Musica rilassante
44. Massaggio

Purtroppo quando si ha un pz agitato in reparto, qualcosa in acuto si deve fare. Il farmaco che c’è in tutte le
linee guida è l’ALOPERIDOLO (Serenase). Nascono con molta frequenza lavori in letteratura su nuovi
farmaci, ma comunque è preferito l’aloperidolo perchè ha un effetto minore sulla respirazione e sulla
pressione, quindi in acuto è più gestibile rispetto ad altri farmaci. Ricordarsi il concetto “start low and go
slow”, si parte con una dose di 2mg. L’emivita è molto lunga per cui può rimanere un effetto sedativo
strascico abbastanza importante. Peggiora gli effetti extrapiramidali nei pazienti con Parkinson. Bisogna
stare attenti alla sedazione prolungata per problemi di ab ingestis e di ulcere da decubito ( arrossamento
che persiste da più di 2 ore è già una piaga da decubito al 1°).
ALTRI FARMACI: tutto il gruppo dei farmaci antipsicotici atipici( risperidone, olanzapina, quetiapina); BDZ a
breve emivita lorazepam e alprazolam; trazodone (trittico) farmaco che nasce come anti depressivo
quadriciclico ma che ha anche un effetto sedativo blando andando a ridurre il delirium senza dare sedazioni
prolungate.

Questa è una review uscita da poco che è sulle linee guida NICE secondo cui il grande problema è il paziente
con demenza e delirium. In questo caso va bene qualsiasi cosa funzioni però va dato a basse dosi e per
periodi di tempo standard, se no diventa una contenzione farmacologica non giustificata.
Se si guarda il foglietto del risperidone,olanzapina e quetiapina non c’è indicazione a usarli per l’agitazione
psicomotoria, sono farmaci off label, li si utilizzano perchè nella pratica clinica si è visto che funzionano.
Fondamentale tutte le volte che si prescrive un farmaco, scrivere in cartella il proprio ragionamento clinico.
Ricordare che l’aloperidolo allunga il QT.

METABOLISMO DEL FERRO


Il ferro si trova a livello plasmatico,viene assorbito dall’intestino e viene eliminato attraverso meccanismi
non attivi;l’uomo infatti è stato fatto NON per perdere ferro,ma per tenerlo dentro,essendo fondamentale
per molte funzioni vitali. Quando ne entra troppo,quindi,tende ad accumularsi.
L’unico meccanismo che si può regolare attivamente è l’assorbimento intestinale,mentre tutti i meccanismi
di eliminazione sono passivi (a parte il mestruo per le donne che è un meccanismo attraverso cui ne esce
una parte abbastanza importate).
Il ferro è stato creato per il midollo osseo,per creare GR:ogni giorni servono 20 mg di ferro per creare
Hb,dopodiché i GR escono dal midollo e dopo 120 giorni vengono distrutti dai macrofagi di fegato,milza e
qualche altro organo e il ferro torna al midollo attraverso il circolo:quello perso si riassorbe dall’intestino.
Prima si pensava che tutti questi meccanismi fossero automatici mentre ora si è scoperto un ormone
(equiparabile al controllo sui glucidi da parte dell’insulina nel diabete) che è l’ EPCIDINA che governa il
metabolismo del ferro

Un uomo adulto contiene circa 4-5 grammi di ferro, distribuito in diversi compartimenti.
- il 70% nei globuli rossi legato all'emoglobina
- il 10% nella mioglobina (che fissa l'ossigeno all'interno dei muscoli), nei citocromi (gli enzimi che
permettono la respirazione cellulare) e in altri enzimi contenenti ferro
- il 10-20% nella ferritina
- 0,1-0,2% è trasportato in circolo legato alla transferrina.
Ogni giorno l'uomo perde circa 1 milligrammo di ferro con la desquamazione delle vecchie cellule che
rivestono la pelle o l'intestino. Nella donna in età fertile, le perdite mestruali possono raddoppiare o anche
triplicare questa quota. La piccola quota di ferro che giornalmente viene perduta deve essere ricostituita
per mantenere l'equilibrio

Nel corso degli anni sono state studiate tutte le patologie correlate al ferro:
- 1500: CLOROSI o MORBO DELLE VERGINI (da carenza di ferro): era presente in giovani donne =
anemia ipocromica da mestruazioni; ci vollero circa 200 anni per capire che il ferro o estratti di ferri
potevano correggere questo problema.
Nel 1700 arrivò la terapia con pillole di solfato di ferro (ancor oggi utilizzate). Nel 1800 un medico internista
molto capace “Trusseau” pensò che fosse una malattia da isteriche quindi legate ad una patologia
psichiatrica.

- 1860: lo stesso medico presentò per la prima volta,durante una lezione, il caso di un ragazzo di 28
anni con pelle bronzea e fegato indurito;lo definì “diabete bronzino”.
Questa sindrome, dopo 20 anni,fù chiamata “emocromatosi” dall’anatomo patologo von Recklinghausen(lo
stesso della Neurofibromatosi) che su reperti autoptici notò come gli organi di questi soggetti fossero scuri
e pensò che la causa fosse l’eme che “cromatos =colorava” i tessuti. L’idea era sbagliata ma il nome è
rimasto.

PATOLOGIE DA ACCUMULO DI FERRO:


EREDITARIE
- Emocromatosi
- Anemie con sovraccarico di ferro:talassemie, a.sideroblastica..
- Iperferritinemia familiare

ACQUISITE
- emodialisi
- Politrasfusioni
- Consuetudine alcolica
- Epatite virale cronica ed altre epatopatie(NASH = patologia da grasso): in queste patologie il ferro
si accumula solo nel fegato
- Parkinson e Alzheimer : ferro che si accumula nei nuclei della base
Nel corso della storia,il ferro è sempre stato fondamentale per la vita anche perché è l’unico che può
esistere in forma bi e trivalente.
FUNZIONI:
- permette alle attività enzimatiche di funzionare,fa da biocatalizzatore
- lega l’O 2 sull’Hb e quindi per la respirazione dei mitocondri
- serve per il collagene
- serve per la formazione del DNA
Ps: infatti ci sono sempre 4 gr di ferro presenti nel nostro corpo.

ERA PALEOLITICA: l’unico modo per poter mangiare era cacciare,quindi il ferro che entrava era il ferro
eminico della carne rossa; questo eme si trova solo negli alimenti di origine animale, in particolare nella
carne, in quanto presente nelle emoproteine muscolari .Viene assorbito più facilmente rispetto al ferro non
eme, ma è presente in quantità minore.

ERA NEOLITICA: c’è stato un cambiamento nell’alimentazione:si è passati ai vegetali e sono iniziati i primi
problemi perché il ferro andava estratto. Quest'ultimo è detto anche ferro inorganico o ferro sale e può
essere presente o sotto forma di ione ferroso (ione Fe 2+, bivalente), o sotto forma di ione ferrico (ione Fe 3+,
trivalente), i quali sono solubili rispettivamente a pH 7 e a pH minore di 3.

Le patologie genetiche ,come l’emocromatosi,sono insorte proprio in questo periodo perché davano un
vantaggio selettivo in quanto favorivano l’assorbimento e quindi erano molto sviluppate.

APPROFONDIMENTO SULL’ASSORBIMENTO
Gli alimenti ricchi di ferro vengono attaccati all'interno dello stomaco dai succhi gastrici, che facilitano la
dissociazione degli ioni del ferro dal resto del cibo (dissociazione che è peraltro favorita dalla cottura).
Con l'aiuto dell'acido ascorbico(Vit. C), tali ioni vengono subito ridotti a ioni ferrosi Fe 2+; è per questa
ragione che per assorbire meglio il ferro presente nei vegetali è consigliabile il consumo contemporaneo di
alimenti ricchi di vitamina C. Non tutti i composti possono essere dissociati dal ferro che contengono e
questa porzione del ferro alimentare, di cui costituisce la maggior parte, non viene assorbita.
Il ferro viene assorbito principalmente nell'intestino, in particolare nel duodeno. Gli enterociti sono in grado
di assorbire il ferro eme direttamente, in quanto l'intera molecola che lo contiene può attraversare la
membrana dell'enterocita (per poi rilasciare il ferro sotto forma di ione trivalente, in particolare dividendosi
in protoporfirina IX e Fe3+ libero). Al contrario, il ferro non eme può essere assorbito solo dopo essere stato
separato dalla molecola originaria e legato ad altre molecole, come zucchero o vit. C.
L'organismo è in grado di assorbire il ferro non eme bivalente(e non quello trivalente) la cui formazione è
favorita dal carattere basico dell'ambiente duodenale, dovuto ai succhi pancreatici. Di conseguenza, il ferro
trivalente, per essere assorbito, deve prima essere ridotto nella forma bivalente.
La riduzione può avvenire nello stomaco, favorita dall'acidità dovuta alla presenza dei succhi gastrici, o
nell'intestino, in cui viene ridotto dal citocromo duodenale B (o anche DCYTB), presente sul dominio apicale
delle cellule duodenali. Dopo la riduzione, un trasportatore di metalli divalenti (DMT-1) ne consente
l'ingresso nella cellula intestinale tramite un simporto Fe2+/H+.
L'assorbimento a livello della mucosa è influenzato dalla concentrazione di ferro già presente
nell'organismo: una carenza di ferro porta ad un aumentato assorbimento intestinale, mentre un
sovraccarico di ferro porta ad una diminuzione dell'assorbimento. Infatti:
- se vi è carenza di ferro, la sintesi di apoferritina è bassa, la proteina lega pochi atomi di ferro, e di
conseguenza quest'ultimo è libero di circolare nel sangue, legato alla propria proteina di trasporto
(la transferrina, oppure, nei granulociti, la lattoferrina);
- se vi è un sovraccarico di ferro nell'organismo, c'è una grande sintesi di apoferritina (che,
nell'epitelio intestinale può legare sino a 4.500 atomi di ferro, anche se normalmente si trova legata
a circa tremila atomi), impedendo, in questo modo, la circolazione di ferro libero nel sangue, dove
si potrebbe legare ad altre proteine inattivandole o provocandone disfunzioni.
Un altro meccanismo di regolazione avviene attraverso la mobilferrina: quest'ultima, se c'è carenza di ferro,
lo trasporta sino alla membrana basale dell'epitelio, ma, in condizioni di sovraccarico, lo lega alla ferritina.
Giunto presso la membrana basale, il ferro è trasportato nei capillari sanguigni dal complesso efestina-
ferroportina 1 che lo lega alla transferrina (la quale ha proprio il compito di trasportare il ferro nel sangue

Un altro problema è quello di combattere i patogeni,virus e batteri. I patogeni,come l’uomo,hanno bisogno


di ferro per crescere e moltiplicarsi,infatti appena infettano l’uomo,vanno a cercare il ferro: prima lo
cercano sulla trasferrina (fe circolante) poi dai tessuti.
Quindi ,da un lato il ferro è fondamentale,ma d’altro canto,se ce n’è troppo,può facilitare la crescita dei
patogeni.
L’organismo sopperisce a questo problema producendo un singolo ormone peptidico da parte del fegato:
l’EPCIDINA che si accorge sia della presenza dei patogeni che dell’eccessiva quantità di fegato e ne blocca
l’assorbimento intestinale. I sensori più importanti per i patogeni sono le citochine, e in particolare l’IL-6
che fa si che il fegato produca epcidina.
È pertanto una defensina perché va a livello della parete intestinale,nella porzione baso-laterale(quella che
guarda il sangue) o nei macrofagi (le cellule di deposito del ferro)e degrada la ferroportina (proteina
transmembrana che trasporta il ferro fuori dalla cellula,presente sia nei macrofagi che nella membrana
basale degli enterociti duodenali)che è l’unico mezzo attraverso cui il ferro può entrare in circolo: se
manca,il ferro rimane dentro al villo e viene eliminato quando il villo si rigenera .
Quindi, inibendo la ferroportina, l'epcidina inibisce il rilascio di ferro nel sangue da parte degli enterociti,
riducendo quindi l'assorbimento del ferro e, inibendo anche la ferroportina macrofagica, inibisce il rilascio
in circolo del ferro già presente nell'organismo . Si è visto che in topi transgenici se si overesprime l’epcidina
, i topi non nascono nemmeno perché viene bloccato il trasporto di ferro dalla placenta al feto che quindi
va in anemia e non nasce. Nell’uomo non ci sono casi perché queste patologie genetiche sono incompatibili
con la vita.

CAUSE DI EPCIDINA ALTA:


- Anemia dell’anemie croniche: pz oncologici,con patologie renali o reumatiche che hanno
infiammazioni e/o degenerazioni croniche
- Anemie con basso ferro e alta ferritina perché l’epcidina è sovraprodotta , blocca l’assorbimento
intestinale di ferro e il rilascio dai macrofagi(quindi si accumula in queste cellule);
in questo modo il ferro in circolo è basso,la saturazione della transferrina è bassa,ma la ferritina è alta
perché il ferro è intrappolato dentro ai tessuti e ai macrofagi. Attualmente non ci sono possibilità
terapeutiche per queste anemie perché se date ferro questo va dentro ai macrofagi e ci rimane e se fate
trasfusioni si sovraccarica inutilmente il pz perché tanto il ferro andrà comunque dentro ai macrofagi. Si
stanno quindi cercando degli inibitori di questo ormone.
CAUSE DI EPCIDINA BASSA: aumento della sideremia e della transferrina
- anemie Fe carenziali,da perdita,da Hb bassa ecc.. : l’epcidina è nemica del midollo perché
impedisce che quei 20 mg giornalieri di ferro vi arrivino,quindi,dal midollo partono dei segnali che
inibiscono i geni dell’epcidina a livello epatico.
- Emocromatosi: tutte le forme sono dovute ad una scarsa produzione epatica di epcidina: il ferro,sin
dalla nascita, è quindi libero di entrare e a 20 anni si ammalano di cirrosi,diabete,cardiopatia (ecc)
da accumulo di ferro.

Normalmente:
Transferrina:la proteina che trasporta il ferro all'interno dell'organismo, dai distretti in cui il ferro viene
assorbito (intestino) a quelli che lo utilizzano (in particolare il midollo osseo, dove vengono prodotti i globuli
rossi) o agli organi di deposito (in particolare il fegato).
In caso di necessità, il ferro dagli organi di deposito viene ceduto alla transferrina che provvede al suo
trasporto ai diversi tessuti.
Ogni molecola di transferrina può legare al massimo due atomi di ferro. La misurazione della saturazione
della transferrina è un esame molto importante per stabilire lo stato del ferro di un individuo. Infatti se
inferiore al 18% è indice di uno stato ferro-carenziale e se superiore al 50% è indice di un sovraccarico di
ferro e il ferro va dentro agli organi parenchimatosi come fegato,cuore,gonadi ,pancreas.
Il valore normale è del 30%.

PASSIAMO AD UN CASO CLINICO


N.D. nato il 25-08-71
Anamnesi patologica prossima
Al controllo periodico dei dati biochimici:
ferritinemia superiore a 2000 ng/ml (v.n. <300 ng/ml)

IPERFERRITINEMIA

CAUSA? ESPRIME ACCUMULO


DI FERRO?
La prima cosa da capire è se c’è o no il ferro nel sangue,quindi bisogna misurare la saturazione della
transferrina.

APPROFONDIMENTO:
Ferritina: è una proteina globulare che si trova principalmente nel fegato, nella milza, nel midollo osseo e
nei tessuti scheletrici e che può contenere fino a circa 4.500 ioni di ferro (in stato di ossidazione Fe 3+)
svolgendo quindi la funzione di deposito.
L'importanza di questa funzione è indicata dal fatto che la ferritina è presente in ogni forma vivente, dai
microrganismi all'uomo ed in tutte le cellule. La ferritina è come un guscio in grado di contenere fino a 4500
atomi di ferro e può prendere o cedere il ferro a seconda delle esigenze. La ferritina è anche presente nel
sangue in quantità proporzionali al ferro depositato ed è misurabile attraverso un esame specifico
eseguibile routinariamente..
Le subunità che compongono la struttura hanno un peso molecolare di 19 KDa (catena leggera L) e 21 KDa
(catena pesante H).
Il rapporto tra quantità di catene H e L varia a seconda del tessuto di provenienza della ferritina. La
preponderanza di catene leggere L è tipica delle macromolecole con ampia funzione di deposito mentre
quelle con preponderanza di catene H presentano una maggiore capacità di tamponamento dei radicali
liberi citoplasmatici con conseguente limitazione del danno intracellulare. La ferritina può essere glicosilata
prima di essere rilasciata in circolo (GF).
Generalmente la quota glicosilata è presente in circolo in una percentuale che oscilla tra il 50 e l'80
percento.I valori normali nell’uomo vanno da 20 a 300 ng/ml, mentre nella donna da 12 a 150 ng/ml. Un
incremento della ferritina sierica si può verificare anche nel corso di malattie infettive, processi
infiammatori acuti e cronici, neoplasie, abuso di alcool, necrosi epatocellulare.
Bassi livelli di ferritina (< 20 mcg/L) nel sangue indicano l'assenza di ferro nei depositi, condizione che
precede lo sviluppo dell'anemia.
Alti livelli di ferritina (> 200 mcg/L nella donna, > 300 mcg/L nell'uomo) indicano la possibile esistenza di un
sovraccarico di ferro

Quinidi la ferritina:
- Ferritina sierica e ferritina tissutale
- Proteina di deposito del ferro (H e L)
- Sintesi della ferritina risponde a stimoli infiammatori
- Ferritina sierica indice di depositi di ferro ma non solo…

I valori di ferritina variano moltissimo, sono influenzati dal sesso, dall’età (le donne in età fertile hanno un
valore più basso delle donne in menopausa), l’anziano comunque ha più ferritina del giovane, il giovane in
accrescimento tende a consumare più ferro e quindi avrà una ferritina più bassa. Quindi il sesso e l’età sono
degli indici importanti.
Dal punto di vista biochimico esistono varie ferritine (cardiache, epatiche), quella che misuriamo in circolo,
la siero ferritina, è una roba ancora diversa; oggi non è totalmente chiaro chi produca questo tipo di
proteina, se il macrofaco o la cellula parenchimale ed è comunque diventato un indice comune nella
diagnostica routinaria in tante patologie.
Come concetto storico, avere la ferritina alta significava avere il ferro alto, la ferritina bassa, il ferro basso
nei depositi, perché la ferritina esprime il ferro depositato nei tessuti.
In realtà questo accade in pochi casi, la ferritina è una proteina della fase acuta, come il fibrinogeno, la
PCR…quindi è sottoposta a regolazioni anche aspecifiche legate a processi infiammatori, neoplastici, è
purtroppo molto capricciosa.
La ferritina bassa è molto più fedele come indice di deposito di ferro indica poco ferro, valori di ferritina
alta sono molto più difficili da interpretare.
La ferritina non indica solo il deposito di ferro.

CAUSE EREDITARIE
Legate a problemi nel metabolismo del ferro:
- emocromatosi(da accumulo di ferro)
- anemie ereditarie da sovraccarico di ferro, le talassemie o altre patologie ematologiche
- iperferritinemia familiare: altra forme rarissima.

Questo è il capitolo delle forme ereditarie e va sempre chiesto al paziente se in casa ha solo lui questo dato
o anche altri componenti del nucleo familiarequesto mi permette di inquadrare se c’è una familiarità o
meno.
La maggior parte di queste patologie è autosomica recessiva, cioè difficilmente beccherete un altro
paziente affetto tra genitori o figli, più frequentemente sono fratelli o sorelle. Nelle patologie dominanti in
genere si riscontrano casi in tutte le generazioni.

CAUSE NON EREDITARIE


90% dei casi ;l’ iperferritinemia è legata al sovraccarico di ferro:
- Il politrasfusoporta dentro molto ferro
- Paziente che beve alcool
- Epatiti virali e malattie epatiche croniche.
La ferritina è una sostanza localizzata nella cellula epatica, quando c’è una necrosi dell’epatocita,
soprattutto acuta, drammatica, viene rilasciata, e la trovate alta in circolo. In quel caso fate abbastanza
facilmente una diagnosi di associazione perché guardate le transaminasi.
Quando c’è una necrosi, i primi enzimi che si muovono sono le transaminasi, la ferritina può fare uguale. In
alcuni casi di epatite fulminante si può avere anche 10000 di ferritina, perché viene buttata fuori tutta la
ferritina di deposito.

- Sindromi metaboliche quadro molto frequente. La ferritine mia elevata è sovente in rapporto o
alla steatosi epatica o ad un diabete non compensato, anche se il link tra questi fenomeni non è
ancora stato ben capito.
- Infiammazioni croniche ci sarà ferritina alta e Ves alta.
- Neoplasie non solo quelle ematiche ma anche altre neoplasie possono dare l’aumento della
ferritina.

Come facciamo a capire le varie cause?


Gli strumenti che abbiamo sono: biochimici (facendo esami ulteriori), e la clinica (indagini strumentali).
Volendo partire con schemi mentali e tenendo presente cosa potrebbe causare l’iperferritinemia:
esprime davvero un accumulo di ferro o rientra in quell’altro gruppo?
Questi sono i due quesiti che dobbiamo tenere in mente.
Se volessimo pensare ad una flow-chart, ad una scaletta, la prima cosa da capire è se c’è del ferro
aumentato in circolo l’indice più adeguato è la saturazione della transferrina.

Bisogna dosare il ferro circolante, cioè la sideremia, e la transferrina, dividere l’uno per l’altro, moltiplicare
per 100 e avremo la saturazione. Il valore che viene fuori indica quanto ferro gira nel sangue, persone
normali hanno valori < 30-40%, dipende dall’età.
Diapo 7 ( non sono riuscita a copiarla)
Qui son stati messi dei valori soglia un po’ più alti perché si parla di popolazioni che possono avere anche
un problema clinico. La prima domanda da porsi è :ma il sangue ha più ferro dentro o non ha tanto ferro
dentro? Ad esempio non c’è emocromatosi che non abbia ferro in circolo prima di averlo nei tessuti.
Nell’emocromatosi non ci può essere la ferritina alta e la sideremia normale, il ferro viene dal sangue,
quindi prima deve aumentare lì e poi andrà sui tessuti.
Quindi la cosa più importante è fare una valutazione della saturazione della transferrina. In base alla tabella
di prima, dovete escludere questo tipo di problematiche: malattie infiammatorie in primis, neoplasie,
sindrome metabolica,malattie del sangue (ovviamente il ferro è centrale nell’emoglobina, nel globulo rosso
e se c’è qualcosa che non va si vede). Bisogna tenere in mente questo schema quando abbiamo di fronte un
paziente, naturalmente la clinica è sempre diversa dalla regola, però in percentuale questo schema ci da un
buon aiuto.

Continuando con il caso clinico..


Anamnesi familiare:
- Genitori consanguinei (primi cugini)
- Padre deceduto a 50 per neoplasia polmonare dissemina
- Madre vivente in buona salute
- Una sorella in buona salute
- Un fratello, 35 aa, diabetico
N.D. nato il 25-08-71

Anamnesi fisiologica
- Nato a termine, parto eutocico
- Sviluppo psicofisico nella norma
- Ha svolto il servizio di leva
- Buon mangiatore; beve vino ai pasti (1-2bicchieri/pasto); non fuma
- Ritmo sonnoveglia conservato

Anamnesi patologica remota


- Ricorda le comuni malattie esantematiche dell’infanzia
- A 25 aa: diagnosi di diabete mellito, inizia insulinoterapia (anche il fratello ce l’ha)
- A 30 aa: ricovero per focolaio Bronco pneumonico

Esame obiettivo
- Facies composita
- Mucose normoirrorate
- Annessi cutanei secondo sesso ed età
- Lieve epatomegalia; milza nei limiti di norma
- Cuore: toni puri, pause libere
- Torace: modesti crepitii basali a dx
Al di là della lieve epatomegalia non ha nulla di rilievo ed è un diabetico.

Gli esami all’ingresso mostrano:


ferritina 2155 ng/ml
transferrina 296 mcgFe/dl
sideremia 28mcg/dl
saturazione transferrina 9,46%
G.O.T 39 U/l
G.P.T. 60 U/l
GR: 5,9
Hb 12,1 g/dl
Ht 38 %
MCV:65

Sono quindi ottime le sintesi epatiche: albumina 4,4 g/dl; transaminasi mosse; TG 450 mg/ml, Ch (290
mg/ml) al limite alto, quindi è un po’ dismetabolico.
La ferritina non può essere legata a questi valori perché è troppo alta, di solito in un dismetabolico non è
così alta, viaggiano sui 600-700.
Abbiamo un ferro basso soprattutto in relazione al fatto che è un uomo ed è giovane(nella donna lo trovate
spesso basso).
Il nostro paziente è poco saturato perché ha il ferro basso; il valore della transferrina come tale è molto
influenzato da due elementi:
1. Lo stato di nutrizione la transferrina è molto sensibile allo stato di nutrizione dell’individuo, è
influenzata dal cibo
2. Se un soggetto è fortemente anemico, è compensato, e trascrive di più, cioè aumenta. Nelle
anemie importanti tende ad essere più alto del normale.

Quindi i dati importanti sono:


- l’iperferritinemia ma saturazione bassissima quindi dovrei pensare alle cause secondarie di
iperferritinemia
- anemia lieve microcitica (65 di MCV è diagnostico).

Guardando questi dati si potrebbe pensare subito ad una Talassemia (per il MCV);non potrebbe essere
compatibile con una perdita di ferro cronica perché la ferritina è alta. A causa del ridotto volume globulare
pensiamo ad una anemia microcitica, il discorso della carenza è più limitato alla ferritina alta che alla
sideremia.
Questo quadro ci potrebbe stare con un’anemia da malattia cronica:c’è la sideremia bassa,la ferritina molto
alta e si stava tendendo all’anemia.
Chiaramente c’era in più il dato del MCV che indirizza fortemente verso un trait talassemico o comunque
una situazione microcitemica. Per farla breve,il pz aveva fatto sulla base del volume globulare, una analisi
delle catene globiniche ed una analisi genica ed era venuta fuori una delezione a livello della regione del
gene delta, ed aveva una Δ/β talassemia a bassa espressività. Il paziente proveniva anche da una zona
interessante, dalla Calabria.
ANEMIE MICROCITICHE : DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Anemia Talassemia Anemia Anemia delle


sideropenica sideroblastica malattie croniche
GR

SIDEREMIA

TRASFERRINA normo o norm o norm o

FERRITINA

FERRO MIDOLLARE assente norm

In generale considerate che:


- Nell’anemia sideropenica sono bassi sia il numero dei GR, la sideremia, la transferrina tende a
salire per l’aumento della trascrizione,la ferritina tende a calare. Se si fa una biopsia midollare il
ferro nel midollo è tutto utilizzato per l’eritropoiesi;
- nelle forme talassemiche, in alcuni casi, per il compenso, i GR possono anche aumentare, la
sideremia è elevata questo può dipendere sia dall’emolisi, che dalle trasfusioni; la ferritina è alta.
- Nelle forme sideroblastiche si trovano dei GR ad anello nel midollo, c’è un problema di utilizzazione
del ferro a livello midollare, la ferritina è alta; in questi due casi si trova il ferro alto nel midollo.

L’ANEMIA DA MALATTIA CRONICA


Chi ha un cancro o una infiammazione può avere ferritina alle stelle, ferro basso in circolo e anemia, perché
quando c’è una infiammazione il ferro viene intrappolato nei tessuti e la ferritina sale. Quindi il quadro di
prima con alta ferritina, ferro basso e anemia, in teoria ci può stare con un quadro di infiammazione cronica
o di cancro.
Tipicamente avete questi quadri che dipendono da una sorta di difesa contro il patogeno, l’organismo toglie
il ferro dal sangue e lo mette nei tessuti.
Il prof mostra la struttura dell’emoglobina, l’eme ed il ferro al centro.
Dall’embrione all’adulto cambia il sito di produzione di globuli rossi e la qualità delle catene che
compongono l’emoglobina stessa; si passa dal sacco vitellino al fegato ( organo ematopoietico per il feto),
alla nascita è il midollo a produrli, e le catene dell’adulto sono α 2 β2 (emoglobina matura).
I geni delle globine di tipo β sono diversi, alcuni sono pseudogeni, altri sono geni veri e propri, localizzati sul
cromosoma 11( β,δ,γ), mentre sul cromosoma 16 ci sono i geni delle catene α.

TALASSEMIA
Definition
- The thalassaemias comprise a heterogeneous group of disorders of haemoglobin production
Normal haemoglobin production partially or completely suppressed due to defective synthesis of 1 or more
components of the globin chains
- Depending on the involved genes, the defect is classified as β-thalassaemia or α-thalassaemia)
- Under normal conditions, the red cells of the adult human contain approximately 98% HbA, traces
of HbF, and 2.0% HbA2

La talassemia è eterogenea, è dovuta ad un difetto delle catene globiniche , dipende dal gene coinvolto, c’è
l’α talassemia o la β talassemia. Il 98% della emoglobina che abbiamo normalmente è HbA, abbiamo delle
piccole tracce di fetale, che aumentano in caso di disordini talassemici, la HbA2 è circa il 2%.
L’elettroforesi dell’emoglobina aiuta molto nella diagnostica, perché ad esempio l’aumento dell’HbA2 del
7% è tipico del paziente col trait talassemico, cioè che è eterozigote per la mutazione della talassemia.
Il talassemico grave è di certe zone, e si riconosce ad occhio, i pazienti portatori sono davvero tanti ora,
specie con le immigrazioni anche dall’Asia che hanno tutte emoglobinopatie particolari comprese le alfa e
beta. Il test dell’elettroforesi dell’emoglobina lo hanno tutti i laboratori e va tenuto in mente.
Guardando alle catene β, ci sono vari tipi di delezione(tutto il gene, o altro); si può avere un fenotipo
diverso, dipende da che gene e quanto è compromessa la produzione di queste catene beta.
Si riconoscono due forme:

Thalassaemia major (TM) o Morbo di Cooley


- dovuta all’eredità di due alleli mutati da entrambi i genitori, le catene beta non sono prodotte o lo
sono in quantità ridotta;
- Si manifesta nel primo-secondo anno di vita
- sin dalla nascita necessitano di trasfusioni e di chelanti del ferro sennò c’è un’anemia troppo grave
- di solito familiare

Thalassaemia intermedia (TI)


- le mutazioni sono parziali(mutazioni sul promotore)
- si presenta più tardivamente
- Alcuni casi non necessitano di trasfusioni perché il problema midollare non è cosi grave
- Più sporadica

Molecular Basis
- Patients with β-thalassaemia major have inherited two β-thalassaemia alleles
- Located on each copy of chromosome 11
- Hypochromic, abnormally shaped red blood cells
- Contain significantly reduced amounts of haemoglobin than normal blood cells because of
diminished HbA synthesis
- Deposition of precipitated aggregates of free α-globin chains results in accumulation
- Damages erythrocytes, precursor cells in bone marrow
- Resulting anaemia so severe that patients usually require chronic blood transfusions

Dal punto di vista molecolare l’anomala composizione dell’Hb fa si che le catene alfa aumentino troppo e
precipitano,determinando una distruzione dei globuli rossi. In questo modo c’è sia anemia ipocromica con
alterazione anche della forma dei globuli rossi,sia accumulo di ferro dovuto alla rottura del GR.
Paradossalmente ,questi malati ammalano non per l’anemia ma per il ferro derivante dalle trasfusioni e
tutte la patologie sono legate all’accumulo di ferro(ma d’altro canto le trasfusioni sono necessarie per
sistemare la situazione midollare):cuore,fegati,ipogonadismo ecc.. come l’emocromatosi.
La differenza sta nel fatto che nell’emocromatosi è alterato l’assorbimento dalla nascita,mentre nelle
talassemie il problema è il sovraccarico di ferro da trasfusione.
I segni clinici della Thalassaemia Major:
Emergono intorno al 6° mese–2° anno(Infants protected by prenatal HbF production)

- Pallore
- Irritabilità
- ritardo nella crescita
- epato e spleno megalia per il tentativo del midollo di sopperire (eritropoiesi inefficace)
- cute scura: bronzini a causa del ferro dalle trasfusioni
- alterazioni del cranio:il midollo osseo va “a mille” per cercare di compensare
- -ittero dovuto anche al problema dell’emolisi.

Se non sono trattati la sopravvivenza è bassissima, sotto i 4 anni. Tipicamente, poiché hanno queste sedi di
eritropoiesi che risultano comunque inefficaci, hanno le ossa della teca cranica sovra espanse, facies tipica ,
che si riconosce anche sui trait. I trait talassemici hanno questo aspetto mongolico con protrusione degli
zigomi, della fronte e delle espansioni craniali delle ossa piatte che cercano di produrre più globuli rossi.
FORMA INTERMEDIA
La forma intermedia è più capricciosa, può essere totalmente asintomatica o severissima, questo dipende
dal tipo di difetto genico che c’è a monte. Le manifestazioni cliniche sono più severe nella forma Major
rispetto alla forma intermedia, le emoglobine sono diversamente rappresentate quella A2 è molto più
bassa nella forma grave e più alta in quella intermedia.

EPIDEMIOLOGIA
- Approximately 7% of the world’s population is a carrier of haemoglobin disorders1
- Between 300,000 and 500,000 infants are born every year with severe homozygous forms of the
disease1
- An overview of the global distribution of thalassaemias shows that in addition to the
Mediterranean countries in which they were first recognized, thalassaemias are frequently found in
Asia and the Far East2
- Population migration has led to spread of this condition with its morbidity and mortality2

È molto importante, si presenta più spesso in alcune aree anche se oggi con l’immigrazione le cose sono un
po’ cambiate.
Si continua ad avere un alto numero di nascite di pazienti con questo problema, per l’ignoranza e per la
scarsa profilassi che si fa soprattutto in zone endemiche.
L’area che interessa di più è l’Asia, il Middle East, il Far East e la zona del Mediterraneo  è una zona legata
alle popolazioni fenicie che hanno portato in giro il gene talassemico mutato tanti secoli fa. Con le
immigrazioni si sta spostando, a livello globale del mondo questa linea rossa è quella dove va la beta
talassemia, il Cooley dal mediterraneo all’Asia. Poi ci sono altre forme più rare con mutazioni molto
diverse.
In Italia è frequente nella zona del ferrarese per le immigrazioni dalla Magna Grecia dei mercanti, in
Sardegna la prevalenza è altissima, poi tutta la zona del Sud Italia e della Sicilia. Le mutazioni sono più di
200, tipicamente in Sardegna il 70% dei pazienti ha sempre quella mutazione ( si è spostata da unici
progenitori), nelle altre parti è un po’ diverso. Il test genetico per questo motivo aiuta poco perché ci sono
troppe mutazioni, spesso si usa la clinica per fare la diagnosi.
A Modena il prof segue 50 persone con Cooley:prima dell’avvento dei chelanti,questi pz non arrivano a 20
anni a causa della cardiopatia da ferro.

COMPLICANZE
M. Cooley:tutte dovuta al sovraccarico di ferro
- problemi cardiaci
- Infezioni (blood transfusion, postsplenectomy)
- l’ipogonadismo, l’infertilità
- diabete mellito
- Ipotiroidismo

Thalassaemia intermedia complications include


- Thrombosis
- Pulmonary hypertension
- Leg ulcers
- Extramedullary haematopoiesis
- Endocrine disorders (osteoporosis, hypogonadism)
Quindi c’è l’anemia (che dovrebbe essere il solo sintomo della malattia) e tutte le patologie che derivano
dalle eccessive trasfusioni questi paz devono mettere dentro ferro e toglierlo con i chelanti per tutta la
vita.
Un possibile trattamento è il trapianto midollare con tutti i problemi correlati. Sono pazienti difficili da
gestire e trattare. Forme più lievi sono quelle della Intermedia.
IRON OVERLOAD
Iron overload occurs when iron intake is increased over a sustained period of time
- Transfusion of red blood cells (thalassaemia major)
- Increased absorption of iron from the digestive tract (thalassaemia intermedia)
Because there is no mechanism in humans to excrete the excess iron, this has to be removed by chelation
therapy
I target sono legati quasi tutti al sovraccarico di ferro, cioè al fatto che sono trasfusi; le ghiandole endocrine
non crescono ( ipofisinon crescono, gonadiinfertili, paratiroidi, pancreas, fegato meno).

Iron Overload
1 unit of blood contains approximately 200–250 mg of iron1
Chronic transfusion-dependent patients have an iron excess of ~ 0.32–0.64 mg/kg/d2
With repeated infusions, iron accumulates
Signs of iron overload can be seen after anywhere from 10 to 20 transfusions, such as in thalassaemia
major patients2
Iron overload can lead to early mortality2

Normal intestinal iron absorption is about 1–1.5 mg/d


In thalassaemic patients who do not receive any transfusion, iron absorption increases
In individuals who are poorly transfused, absorption rises to 3–4 mg/d or more
This represents a supplementary 1–2 g of iron loading per year

Ad ogni trasfusione che uno fa mette dentro 250 mg di ferro in un colpo, in genere noi ne assorbiamo 1-2
mg al giorno, quindi una quantità importante di ferro che entra. Vediamo casi anche di dopaggio da
trasfusione in soggetti che fanno sport e che usano emotrasfusione in modo eccessivo o il ferro. Il prof ha
avuto casi di cirrosi in pazienti che facevano sport.
L’anemia stimola l’intestino ad assorbire ferro, quindi paradossalmente c’è anche questo. Tendono ad
assorbire 2-4 mg in più al giorno per l’anemia e in più c’è quello dato dalla trasfusione.

TRATTAMENTO
β-Thalassaemia Major
- Il gold standard è:trasfusioni + chelanti
- Trapianto di midollo (BMT)
- HbF-inducing therapy
- Gene therapy—the future

Quello che ha cambiato la storia di questa malattia sono i chelanti:


- Il primo fù la Desferoxamina (Desferal) :si fa con una pompa sottocute ad infusione continua 5
giorni a settimana per 10 h notturne
- Deferiprone e Deferasirox:sono per bocca quindi meglio sopportati dai pz;Il primo si prende 3 volte
al giorno, il secondo una volta al giorno; hanno una emivita molto più lunga della desferoxamina
che bisognava dare in infusione perché sparisce ogni 20 minuti.

Hanno vie metaboliche diverse, ognuno di loro ha effetti collaterali:


- la desferoxamina problemi oftalmici, uditivi;
- il deferiprone da neutropenia, agranulocitosi ( Gastrointestinal disturbances,
agranulocytosis/neutropenia, arthralgia, elevated liver enzymes ).
- Il deferasirox lo stanno usando a Modena, da un lieve aumento della creatinina( non sono cose che
vi chiedo) (Gastrointestinal disturbances, rash,mild non-progressive creatinine increase, elevated
liver enzymes, ophthalmological,auditory).

Oggi si stanno cercando di combinare, tipo dare le pillole tutti i giorni di deferiprone e fare la pompa il
weekend; oppure altri schemi. È stato visto che la combinazione di questi farmaci riduce i problemi cardiaci
che sono quelli più gravi, quasi tutti i paz muoiono di insufficienza cardiaca e per cirrosi; l’ipogonadismo è
un problema ma la mortalità è legata alla miocardiopatia.
Le varie combinazioni oggi c’è il DEFERASIROX, un beverone che è preso una volta al giorno.
Questi farmaci sono interessanti perché problemi di sovraccarico di ferro si hanno non solo in queste
patologie gravi, ma anche in altre condizioni, alcolismo, epatiti virali. In futuro rimuovere il ferro dal fegato
sarà una strategia comune a tanti trattamenti.
Questa cosa ha cambiato la sopravvivenza e le complicanze:
- L’ipogonadismo è passato dal 64% al 14%
- Il diabete dal 15% allo 0,8%
- L’ipotiroidismo dal 16% al 4%
- La morte a 20 anni dal 5% all’1%

La forma Minor non manifesta la malattia, in genere si riconoscono questi paz o per una lievissima
bilirubina elevata indiretta ( quindi una lievissima emolisi) o perché hanno questo aspetto e tendono ad
avere un volume globulare sui 70 (hanno una lieve anemia che non richiede trasfusione). In genere la
intermedia ha una anemia tale da non richiedere trasfusioni e tendono ad avere una ferritina anomala, sui
500-600 perché hanno una emolisi sottostante.

Torniamo al nostro paziente, a cui hanno trovato una forma di talassemia β con un tipo di difetto Δ/β ed è
venuto da noi con questa diagnosi. La mutazione può spiegare tutti i vari aspetti che abbiamo visto?
Il paziente ha 12 g/dl di Hb, e non ha mai richiesto una trasfusione :come fa ad avere 2000 di ferritina
costante? O ha un tumore da qualche parte o sennò non è spiegabile con una talassemia senza trasfusioni(il
ferro alto e quindi la ferritina alta,gli verrebbe se fosse politrasfuso a causa della talassemia) . Se guardiamo
la clinica, l’ anemia è poca o assente come la splenomegalia i talassemici sintomatici sono splenomegalici,
o hanno delle anomalie a livello del midollo nel nostro pz la biopsia midollare è normale. Non ha
problemi cardiaci e non ha neanche accumulo cardiaco ( una risonanza a livello cardiaco non ha mostrato
alcun accumulo di ferro).
Quindi la ferritina così alta non viene giustificata dalla talassemia. Allora questa ferritina..esprime o no
ferro??
Per capirlo valutiamo:
- saturazione della trasferrina:in chi ha molto ferro dovrebbe essere alta,mentre in questo pz non lo
è.
- biopsia epatica
- RMN:perché il ferro è paramagnetico e nelle sequenze T2 gli organi pieni di ferro diventano neri
Anche il diabete non c’entra nulla, se è talassemico e non è trasfuso perché dovrebbe fare un diabete a 25
anni? Potrebbe avere una forte familiarità dal momento che anche suo fratello è diabetico.

Dal punto di vista biochimico abbiamo la ferritinemia e la saturazione della transferrina, ma ci possono
essere casi in cui c’è tanto ferro nei tessuti anche se la saturazione è normale. Bisogna allora andare sulle

Risonanza magnetica, poiché il ferro è paramagnetico, quando si accumula nei parenchimi è visibile perché
l’organo diventa nero ( si vedono bene nelle sequenze T2).
Alcune immagini: un fegato normale e un fegato in cui aumenta la quantità di ferro:appare nero per
sovraccarico. Questo è un quadro tipico dell’ emocromatosi perché in questo caso il ferro è solo dentro alle
cellule parenchimale(negli epatociti) e non nei macrofagi.
Il talassemico,invece,ha il GR che viengono distrutti nei macrofagi e il ferro sta lì, in più lo trasfondiamo noi
e aumentiamo la quota di GR e ferro che va dentro ai macrofagi tutti gli organi appaiono sovraccarichi di
ferro e quindi neri:il fegato,la milza per l’emolisi e il midollo appaiono neri.
L’emocromatosico,invece,riceve il ferro dalla trasferrina satura e lo mette SOLO negli epatociti. Il nostro
paziente infatti ha solo il fegato nero. Lui quindi ha tutto dell’emocromatosi tranne la saturazione bassa
della trasferrina. (ogni persona è fatta a suo modo!)
Biopsia epatica, oggi si fa eco-guidata, una volta con la percussione si andava a cercare il punto di massima
ottusità e si entrava con l’ago.
Bisogna sempre valutare se è necessario fare una biopsia o no(perché si rischia comunque l’emoperitoneo),
nel nostro caso forse non lo era perché già la risonanza aveva mostrato bene il quadro; tuttavia il paz aveva
le transaminasi alterate, quindi un problema epatico e non abbiamo capito di che entità.
La biopsia può avere un valore diagnostico se serve solo per la diagnosi o anche prognostico se si vuole
capire che malattia c’è sotto e a che punto è la malattia. In realtà nel nostro paziente ha sia un valore
diagnostico perché non ho ancora capito che malattia ha, ma anche prognostico perché il paziente è un
ipertransaminasemico.

L’altra cosa che non dice la risonanza è che questo nero voi lo vedete dappertutto, ma il fegato ha tanti tipi
cellulari e in base a dove va il ferro si può capire di che malattia si tratta.

La Presenza di ferro nel tessuto epatico è dimostrabile con la colorazione specifica di Perls
permette di differenziare:
- Emocromatosi genetica
- Emocromatosi secondaria (talassemia, emolisi, trasfusioni, porfiria cutanea tarda, ecc.)

Ad esempio nella Siderosi (presenza di ferro nel fegato) si fa la colorazione di Perls. Perls era un
anatomopatologo tedesco vissuto a fine ottocento che usò questa tecnica per vedere il ferro dentro i
tessuti; il ferro si vede in Blu, si chiama Blu di Prussia .
Le forme ereditarie che si chiamano emocromatosi hanno il ferro solo dentro agli epatociti, invece nelle
forme secondarie a emolisi o a trasfusione( come la talassemia), poiché il ferro viene dato dall’esterno,
viene prima preso dai macrofagi, cioè dalle cellule di Kupffer. Questo aspetto è molto importante quando si
fa una biopsia epatica perché permette di distinguere un paz che fa delle trasfusioni da uno che ha
l’emocromatosi.

Nell’emocromatosi il ferro entra quasi tutto negli epatociti, tipicamente nella forma HFE il ferro non solo
va negli epatociti, ma anche nelle zone periportali, perché arriva dall’intestino, dalla vena porta va al
centro di queste aree e si vede la vena centrale libera dal ferro ( gli epatociti sono rosa), mentre nelle zone
periportali c’è il ferro. Nell’emocromatosi non si vedono mai le Kupffer nere.

Nella beta-talassemia avanzata il ferro è abbondante nei macrofagi e negli epatociti di soggetti trasfusi
tutta la vita, quindi è un quadro misto.
Nel fegato si può poi colorare il collagene con il rosso ( silur-red?) per vedere se c’è fibrosi; il lato estremo
della fibrosi è la cirrosi con la presenza di setti( i noduli della cirrosi). Un’altra colorazione è quella di
Masson.

Il prof mostra il frustolo bioptico del paziente non è cirrotico, ha un quadro con zone periportali un po’
espanse, c’è un po’ di fibrosi, gli epatociti sono pieni di una roba gialla che prima di Perls si chiamava
Lipofuscina, dopo che Perls mise su la colorazione diventò questo.
Il paz ha ferro dappertutto, ma solo negli epatociti( questo no è compatibile con la talassemia). La quantità
di ferro ( prendendo il pezzo di fegato e misurando il ferro con l’assorbimento atomico),che di norma è
sotto i 50, nel nostro caso è 11000 microgrammi/grammo di peso secco.
A questo punto dobbiamo pensare a qualcos’altro perché la talassemia a cui era stato attribuito tutto non
c’entra nulla. Una forma importante è l’emocromatosi HFE.
EMOCROMATOSI
SEGNI:
- cute bronzina per la presenza eccessiva di ferro
- epatopatia
- artropatie
- cardiopatie
 Triade:cirrosi,cute scura e diabete descritta da Trosseau!

Quando uno sospetta questa patologia (di solito perché trova un’alta saturazione della trasferrina) va a
cercare il gene HFE.
La forma più comune di emocromatosi al mondo(85%), è legata ad una mutazione singola di questo gene e
quindi della proteina che ne deriva (mostra la figura in cui si vede la proteina legata alla β2-microglobulina
che serve per portare in membrana tutte le proteine dell’HLA) . Si tratta di una proteina del sistema HLA .
Questo malattia è insorta tra 2500 e 1700 anni fa nel Nord Europa (zona celtica) da un singolo individuo.
Probabilmente dava un vantaggio soprattutto alle madri che avevano questa mutazione perché,soprattutto
in momenti di carestia, queste donne assorbivano più ferro dalla dieta e riuscivano a portare avanti le
gravidanze.
È una mutazione frequentissima, allo stato di eterozigosi, cioè un solo allele senza malattia, è molto
frequente; a Modena un soggetto su 33 ha questa mutazione. Lo stato omozigote è più raro, è più
frequente nel nord Europa (Irlanda, Normandia) e 1 su 10 sono portatori.(che non dà problemi perché è
una malattia AUTOSOMICA RECESSIVA). Inoltre su 10 omozigoti,solo 2 fanno la malattia,ma non si sa il
perché.

La mutazione principale di questa proteina è la H63D, oggi si può fare un test genetico, il paziente l’ha fatto
e non ha la mutazione principale, ma una mutazione secondaria che non ha alcun significato clinico in
eterozigosi
Quindi questo gene non c’entra, ma l’avevamo già escluso prima perché era strano che la saturazione della
transferrina fosse bassa, non alta come è in questi pazienti. Quindi c’è basso ferro in circolo ma alto ferro
nei tessuti.
Quando è alta la saturazione si fa il gene, se il gene è mutato si va avanti e si fa la diagnosi, se il gene non è
mutato ma la biopsia epatica è positiva,bisogna pensare a geni più rari associati a emocromatosi ,forme più
rare non HFE, molto meno conosciuti.

Se guardiamo alla storia familiare del nostro paziente:


- Genitori consanguinei
- Padre deceduto a 50 per neoplasia polmonare disseminata: VGM=62
- Madre vivente in buona salute : VGM=80
- Una sorella in buona salute: VGM=78
- Un fratello, 35 aa, diabetico: VGM=65

Fratello, 31 aa(studiato in altro ospedale)


- Diabete insulino dipendente
- MCV: 65
- Trait talassemico
- Ferritina: 2500 ng/ml
- Biopsia epatica: siderosi massiva epatocitaria;
- ferro: 12,500 microg/g peso secco
- (EMOPERITONEO post-epatobioptico)
Questo fratello ha la stessa mutazione dell’emoglobina siderosi massiva degli epatociti, esattamente
come il fratello che è venuto a Modena: è la stessa malattia.

ALTRE FORME DI EMOCROMATOSI NON HFE

MALATTIA DELLA FERROPORTINA: scoperta a Modena.


E’ un’anomalia della ferroportina(canale bersaglio dell’epcidina);è la forma più frequente dopo quella HFE.
La biopsia epatica però,mostra un accumulo di ferro anche nelle cellule del Kuppfer ed è una forma
AUTOSOMICA DOMINANTE. C’è un quadro in risonanza tipico, la milza è piena di ferro.
A differenza dell’emocromatosi da HFE,i salassi nella malattia della ferroportina non si possono fare perché
loro hanno una ferritina alta(come nell’anemia da infiammazione cronica) perché la ferroportina è sbagliata
a il ferro si accumula nelle cellule, ma fuori il ferro è basso con il salasso si crea una anemia bestiale
quindi questi pazienti fanno i chelanti.

Il nostro paziente,invece,aveva un’altra forma: alterazione di TFR2 normalmente,quando arriva tanto


ferro all’epatocita,l’informazione viene trasferita,attraverso una serie di proteine, al gene dell’epcidina che
viene prodotta.
Nelle forme di emocromatosi,c’è un’alterazione a livello di una delle proteine che trasmettono il segnale.
C’è anche una forma legata al recettore del ferro. Nel nostro pz questa malattia gli ha fatto secco il pancreas
( sappiamo che c’è un accumulo di ferro anche a quel livello) e ha determinato l’insorgenza di diabete a lui
e a suo fratello. ferroportina

Restano altre due malattie da accumulo:


- Aceruloplasminemia manca la cerulo plasmina
- Atransferrinemiamanca la transferrina che porta in circolo il ferro ed i paz hanno delle anemie
gravissime, se non vengono trattati dalla nascita muoiono, manca la proteina che porta il ferro al
midollo.
La Ceruloplasmina serve per far funzionare gli esportatori del ferro , per far uscire il ferro dai tessuti e farli
andare dentro il circolo.
Quando non c’è la ceruloplasmina il ferro resta intrappolato dentro i tessuti ,c’è anemia, la sideremia è
bassa perché il ferro non esce,l’unico problema è che tutti questi paz hanno delle gravi malattie cerebrali
perché la cerulo plasmina serve al metabolismo cerebrale( non si è ancora capito il motivo). Questi paz
hanno delle patologie neurologiche e psichiatriche pesantissime.
NB:nella vecchia sbobina il prof non arrivava ad una diagnosi,escludeva anche quella che ha detto a
noi..conclude infatti,dicendo che stavano sequenziando il gene della ceruloplasmina perché è l’ultimo che
potrebbe portali alla diagnosi. Fatto quello deve essere qualcos’altro, quindi partiremo a fare studi per
identificare sulla famiglia tutti i parenti e ricostruire l’albero e cercare di beccare questo nuovo gene. Deve
essere un gene importante per il ferro perché il sovraccarico è massivo e drammatico.
La diagnosi per ora è emocromatosi non HFE, ma cosa facciamo per questo paziente?

TERAPIA
Cosa si fa in caso di sovraccarico di ferro?
La terapia principe per togliere ferro nell’emocromatosico è il salasso, è una donazione di sangue
terapeutica, forzata.
Facendo un salasso posso eliminare 250 mg di ferro, normalmente si perdono 1-2 mg, con il mestruo
qualche mg in più, ma la quantità è molto bassa rispetto a quella del salasso. Il tipico paz con emocromatosi
fa salassi per tutta la vita, all’inizio sono molto frequenti (500ml, 450ml), poi quando la ferritina scende
sotto un livello soglia di 50mg ci si ferma.
All’inizio si fanno quindi 2 salassi a settimana per 4 mesi, poi si riducono fino a farne, nella fase di
mantenimento, 1 o 2 all’anno per tutta la vita. Le donne emocromatosiche fino alla menopausa sono
protette, dopo la menopausa cominciano i salassi perché si auto salassano una volta al mese e le gravidanze
comportano una perdita di ferro.
Il salasso è la prima terapia, ma nel nostro paz è stato un problema perché mal tollerava il salasso da 500
(perché aveva solo 12 di Hb a differenza degli emocromatosici che di solito hanno 1-16 e sono anche un po’
poliglobulici) quindi si facevano più bassi e c’è voluto più tempo.
NB:tutte questa scoperte però,non hanno ancora portato a progressi nella terapia..si fanno ancora i salassi!

Il prof crede che tra 10-15 anni si potrà usare questo ormone (epcidina):
- nelle anemie croniche: va abbassato
- nell’emocromatosi: va alzato

Il nostro paz sta facendo il deferiprone, non ha problemi di agranulocitosi, l’unico problema è che deve
prenderne diverse durante tutto il giorno; aveva iniziato la pompa ma ha avuto reazioni allergiche locali e
ha dovuto smettere e con il deferiprone sta andando giù il ferro epatico in modo abbastanza significativo.
Non si è mai anemizzato , ai controlli valutiamo emoglobina, piastrine e leucociti perché l’uno è l’effetto
collaterale del deferiprone, dall’altro lato non possiamo togliere troppo ferro altrimenti il paz si anemizza
ancora di più.
L’unica vera complicanza clinica in questi paz è che sviluppino un cancro del fegato. Il paz ha avuto ferro
alto nel fegato per anni, non è cirrotico, ma tutto quel ferro può portare alla carcinogenesi anche senza
passare dalla cirrosi epatica; ogni 6 mesi fa l’ecografia e l’alfa-fetoproteina.
Questo paz proveniva da Riace..da qui..il bronzo di Riace!!!, aveva una cute bronzina, tipica di chi fa
trasfusioni da tutta la vita o che ha qualcos’altro.

Domanda: qual è il meccanismo che fa instaurare in questi soggetti l’insufficienza cardiaca?


Risposta: è sempre il sovraccarico di ferro che porta alla necrosi delle miocellule a livello del miocardio,
come nel pancreas sono distrutte le beta-cellule e nel fegato gli epatociti. Il paradosso è che le malattie
derivano dalla terapia a cui lo sottoponiamo anche se comunque l’anemia lo porterebbe a morte.
Altra domanda che non si sente a cui il prof risponde: si, noi abbiamo un paz con la malattia della
ferroportina scoperta da noi nel 99, è un paz che si è salassato fino a 79 anni. Poi si è stufato, non l’ha più
fatto, a 83 anni ha fatto un cancro del fegato su fegato sano perché ha riaccumulato ferro su fegato sano
senza cirrosi, senza passare dallo stadio della cirrosi, come avviene per le epatiti virali.
È fondamentale che faccia dei chelanti; il paz non ha figli bisogna sempre valutare la sterilità.
Domanda: ma c’è qualche gene coinvolto?
R : mi aspettavo molto dalla ceruloplasmina, perché il quadro clinico sembrava proprio quello, lui non ha
mai manifestato forme neurologiche che in letteratura sono sempre state descritte insieme, ma l’anemia,
con il ferro nei depositi e quel tipo di accumulo solo negli epatociti è tipico della aceruloplasminemia ( è una
forma molto rara).
Domanda: perché …
R: sono molto più sensibili al danno da radicali liberi le beta cellule, sono le prime a cedere. È la stessa
complicanza dell’emocromatosico anche l’emocromatosico, come il talassemico fa il diabete, ha
ipogonadismo.

- Il pancreas fa’ insulina che ha il suo recettore


- Il fegato fa’ l’epcidina che ha la ferroportina:e’ una malattia endocrina anche l’emocromatosi.
- Sia il fegato che il pancreas derivano dalla stessa cellula e regolano 2 tra i piu’ importanti nutrienti:
glucosio e ferro
23-04-2012
Geriatria
Prof.ssa Neviani
Luca

DEMENZA – DISTURBI DEL COMPORTAMENO: DIAGNOSI e TRATTAMENTO

La lezione è molto simile a quella dell'anno precedente. Varia solo per alcun informazioni (in corsivo) e in
alcune cose per l'ordine seguito.

Nell'invecchiamento è normale perdere la memoria? Sì, anche il cervello invecchia perdendo parte delle
sue funzioni cognitive. Quindi è assolutamente normale avere un repertorio ridotto in alcuni compiti
cognitivi, ma non è normale diventare dementi → demenza = malattia.
Usciamo quindi dal problema dell'ageismo. Rimane quello di definire quando c'è un invecchiamento
centrale normale, quando invece si tratta di una perdita di memoria non benigna.

Età influisce sulla memoria.


Siamo abituati a pensare alla memoria come un concetto unico, in realtà nella “parola” “memoria” sono
contenuti diversi concetti e diverse funzioni cognitive. Il processo di memorizzazione è un processo
complesso, e l'età interviene in alcune di queste tappe. Non cancella solitamente tutto della memoria.
Gli aspetti più classicamente legati all'età sono legati alla memoria di lavoro, il processore che fa sì che
possiamo passare da un compito all'altro, che gestisce il multi-tasking delle nostre funzioni cerebrali.
Questo appunto viene rallentato, tanto che con l'invecchiamento è possibile avere maggiore difficoltà, un
tempo più lungo per eseguire alcuni tipi di test, diventa più lento il recupero delle informazioni.
Quello che non varia di solito è la capacità di apprendere che è invece una delle prime cose toccate
nell'Alzheimer. Normalmente io pongo un nuovo ricordo (che cosa ho fatto il giorno prima, cosa ho
mangiato a pranzo) anche se sono centenario, potrò avere magari difficoltà poi a recuperarlo (es. ricordare
l'esatto nome della persona che ho davanti, pur riconoscendola), ma riesco a ricordare una cosa .
Questa ultima riflessione in realtà non si basa su certezze assoulte perchè di buoni studi su pazienti di 90
anni non ce ne sono molti (sono ancora pochi i pazienti con più di 90 anni, ne abbiamo da poco, non si
trovano facilmente in condizione di piena salute quindi diventa difficile definire la normalità a 95-100 anni).
Sicuramente comunque c'è una differenza tra la “normalità” e la demenza, come quella di tipo Alzheimer.
Un processo che documenta un decadimento nelle capacità di apprendimento e nella memoria episodica è
sicuramente più a carico di una patologica che di un invecchiamento benigno.

Ma i confini della differenza fra malattia e normalità non sono mai qualcosa di bene definito. Non esistono
neanche batterie di test così specifiche da permettere di ben definire se una persona ha un invecchiamento,
quindi un decadimento cognitivo età correlato o no.
In particolar modo la difficoltà non è tanto quella quando si riscontra una condizione di memoria di piena
normalità, ma quando c'è un deficit di memoria con un calo di performance magari non legato a serie di
attività legate a tutti i giorni, quindi quando non siamo nelle condizioni (vedi lezione precedente) da definire
una demenza, ma di fronte a una perdita di memoria con un calo di performance che non sappiamo bene
cosa porterà.

Per queste condizioni sono state date diverse definizioni e fatti diversi tentativi per catalogare questi
pazienti che possono rimanere in un'area grigia, hanno qualcosa che non va, non è proprio normalità non è
proprio malattia e non so bene se sia una condizione che rimarrà così.
Quindi diciamo criteri diagnostici della demenza rimangono senz'altro validi, poi ci sono criteri
assolutamente clinici. Sono criteri su cui si dibatte ancora molto.

DSM-IV:
La diagnosi di demenza è un processo complesso, dipende dalla presenza di deficit cognitivi multipli
caratterizzati da:
16. Compromissione mnesica.
17. Uno o più dei seguenti deficit cognitivi:
- Afasia
- Aprassia
- Agnosia
- Deficit del pensiero astratto e della capacità critica
 I deficit 1 e 2 interferiscono significativamente nel lavoro, nelle attività sociali, e nelle relazioni con
gli altri con un peggioramento significativo rispetto al precedente livello funzionale.
 I deficit non si manifestano solo nel corso di un delirium.

A questi criteri per la demenza, si associano a queste altre postille:

 L’insorgenza di malattia è graduale


 Il decorso di malattia è progressivo
 Non è imputabile ad altri disturbi del SNC (no:malattie cerebrovascolari, corea di Huntington,
Parkinson, ematoma subdurale, idrocefalo normoteso, tumori) o a malattie che possono causare
demenza (ipotiroidismo, carenza vit B12 o acido folico…) o a farmaci
 Non in corso di delirium
 Non si spiega con depressione o altro disturbo psichiatrico
Nel 1984 sono stati proposti dalla “National Institute and Communicative Disorders and Stroke”
nuovi criteri, in cui rispetto al DSM-IV compare per la prima volta la presenza di criteri a supporto e
compaiono esami strumentali. Non è una cosa da poco, viviamo nella medicina del futuro, fatta anche di
tecnologie, e pur dovendo rimanere la clinica il percorso logico e il pensiero clinico non essere guidati dagli
strumenti, non possiamo però prescindere dall'usarli.
Sulla base di questo nasce un percorso diagnostico della demenza assolutamente completo e comprendente
diversi aspetti.

Dobbiamo valutare:
14. sintomi cognitivi: se no non possiamo fare diagnosi. Quindi bisogno di valutazione
neuropsicologica.
15. anamnesi
16. esame obiettivo generale e esame obiettivo neurologico (importante per escludere la presenza di
delirium che può alterare lo stato cognitivo pur in assenza di demenza)
17. perdita funzionale: parlare con la persona e il caregiver e sentire come sta a casa (cucina? Si fa il
letto? Fa la spesa? Le cose sono cambiate nell'ultimo periodo?)
18. rilevare la presenza di disturbi del comportamento che possono essere anche l'esordio nella
demenza anche se non caratteristici di quest’ultima, perchè comuni a moltissime malattie
psichiatriche.
19. esami strumentali: TC, esami del sangue...

Il geriatra applica quindi una valutazione multidimensionale attraverso un’analisi accurata della persona
anziana a più dimensioni:
- biologica: stato di salute, segni, sintomi, polifarmacoterapia.
- funzionale: disabilità.
- sociale: ambiente, relazioni, assistenza.
- psicorganica: stato cognitivo ed affettivo.

Lo scopo della valutazione multidimensionale geriatrica non è solo curare, identificando il trattamento più
adeguato, ma anche arrivare ad una presa in carico del paziente: analizzando quali sono le effettive
difficoltà giornaliere. Investigare non solo la condizione clinica ma anche l’aspetto sociale.

SINTOMI COGNITIVI:

Per quanto riguarda l’aspetto cognitivo, che rappresenta il cuore della valutazione psicogeriatrica,
per poter dire che una persona è demente dobbiamo identificare un deficit cognitivo, distinguendolo dal
deficit di memoria che è più specifico per la malattia di Alzheimer.

Cosa utilizzo per valutare la presenza di deficit cognitivi?


Ci si appoggia ai test neuropsicologici.
La NEUROPSICOLOGIA è quella scienza che studia le funzioni cognitive superiori ed il loro rapporto con le
strutture cerebrali; nasce dalla necessità di catalogare le nostre capacità cognitive in singole aree cerebrali.
La Frenologia, agli inizi del 700, parlava dei bernoccoli della matematica e della letteratura, pensando che le
aree cerebrali che più avevano quella particolare attitudine si sviluppassero di più dando un’impronta a
livello della scatola cranica (es. bernoccolo della matematica), ovviamente non è così. Da lì nasce comunque
la neuropsicologia moderna ed il tentativo di risalire a quelle strutture anatomiche ed alla loro funzione
attraverso dei test cognitivi.
Naturalmente è una valutazione che risente di tantissime variabili, che si rispecchiano in grandi difficoltà
nella definizione del disturbo, al contrario di una misura come può essere la glicemia.

Alla base della neuropsicologia ci sono due teorie ancora oggi dibattute:
 Teoria del riduzionismo: il cervello è diviso in aree altamente specializzate, preposte a
specifiche capacità mentali (abilità matematica , linguaggio, memoria..) che compiono il loro
lavoro in modo autonomo.
 Teoria dell’olismo: il cervello funziona come un tutto unico, al suo interno ogni parte vale
l’altra infatti molte regioni corticali possono svolgere varie funzioni.
In realtà il cervello è in grado di usare entrambe le modalità.
Il cervello infatti presenta delle aree addette a specifiche funzioni cognitive, ma è anche vero che la
complessa organizzazione e strutturazione del cervello è in grado di vicariare la funzione di un’area nel caso
sia necessario.
È importante misurare perchè devo sapere come quel cervello funziona e attraverso il monitoraggio,
valutare se gli interventi che attua hanno o no un senso.

Analizziamo i test neuropsicologici a nostra disposizione:

 Mini Mental State Examination (MMSE)


 Activities of Daily Living (ADL)
 Instrumental Activities of Daily Living (IADL)
 The Neuropsychiatric Inventory (NPI)
 SVEBA
 Frontal Assessment Battery (FAB)

 MINI MENTAL STATE EXAMINATION (MMSE)


Il Mini Mental State Examination è un test per la valutazione dei disturbi dell'efficienza intellettiva e della
presenza di deterioramento cognitivo. È tra i test più famosi ed utilizzati, è da conoscere
indipendentemente da quello che farete in quanto fa parte degli strumenti medici comuni. È un test nato
nel 1975 ed è facilmente somministrabile anche al letto del malato. È un buon strumento di screening
anche per valutare l'andamento della malattia nel tempo.
Il test è costituito da trenta item (domande), che valutano funzioni cognitive differenti:
 orientamento nel tempo
 orientamento nello spazio
 registrazione di parole (memoria a breve termine e memoria di richiamo)
 attenzione e calcolo
 rievocazione
 linguaggio
 prassia costruttiva
Il punteggio totale è compreso tra un minimo di 0 ed un massimo di 30 punti. Un punteggio uguale o
inferiore a 18 è indice di una grave compromissione delle abilità cognitive; un punteggio compreso tra 18 e
24 è indice di una compromissione da moderata a lieve, un punteggio pari a 25 è considerato borderline, da
26 a 30 è indice di normalità cognitiva. In base al punteggio ottenuto è possibile classificare la demenza in:
lieve, moderata, severa.
Le indicazioni sono comunque orientative, essendo presenti dei fattori di taratura legati all'età ed alla
scolarità del soggetto.
Questo test pur essendo molto utilizzato e divenuto ormai patrimonio comune, ha dei grossi limiti.
Presenta un forte "effetto soffitto": la maggior parte dei soggetti cognitivamente normali, e non, ottiene il
punteggio maggiore. Anche persone con un iniziale deterioramento cognitivo, ma con un'alta
scolarizzazione possono ottenere un punteggio pari a 29 e 30, non rivelando a questo test alcun
deterioramento.

Appunto per integrare una valutazione delle funzioni esecutive, nelle batterie di test veloci viene di solito
usato un test per le funzioni frontali, pur non risultando completo per tutte le funzioni esecutive (che non
sono legate solo ai circuiti frontali).

Inoltre è stato costruito essenzialmente sulla base dei sintomi di patologie a esordio funzionale (come ad
esempio il Morbo di Alzheimer), in un soggetto affetto ad esempio da una patologia ad esordio disesecutivo
(come ad esempio il Morbo di Parkinson, demenze Frontotemporali, demenze vascolari) può non
evidenziare alcun deterioramento, se non a stadi molto avanzati della malattia. Questo è dovuto al fatto
che il MMSE test non valuta tutta un importante area di funzioni cognitive che sono le funzioni esecutive:
queste sono funzioni più complesse che si sviluppano più tardivamente nel bambino, sono funzioni che
riguardano l’ideazione, la pianificazione, il controllo inibitorio ed il comportamento sociale. Sono tutte
funzioni più articolate.
Inoltre va considerato che sempre maggiori evidenze hanno dimostrato che anche nella demenza di
Alzheimer possono esserci fin dall’inizio dei deficit delle funzioni esecutive, sottolineando ancora una volta
il limite di questo test.

La valutazione cognitiva viene fatta per valutare la presenza di funzioni cognitive alterate in rapporto a
quelle che possono essere le aree cerebrali colpite dalla malattia, questo ha un duplice significato:
diagnostico, perché la presenza di lesioni in determinate aree cerebrali mi orienta verso un tipo di demenza
piuttosto che di altre; funzionale, perchè la perdita di una determinata funzione cognitiva attiva una serie di
compensi che vengono proposti al paziente e/o al famigliare in modo da sopperire a questi deficit (esempio
di disprassia: aiutare il paziente a mangiare, vestirsi e lavarsi) cercando di garantire una qualità di vita
migliore.
[wikipedia: La disprassia (dal greco πράσσω = fare, quindi dis-prassia = incapacità di fare) è un disturbo che
riguarda la coordinazione e il movimento che può comportare problemi nel linguaggio. Si definisce come la
difficoltà di compiere gesti coordinati e diretti a un determinato fine. Ad esempio, il malato può presentare
delle difficoltà ad eseguire movimenti fini e complessi, come allacciarsi le stringhe delle scarpe]

 ACTIVITIES OF DAILY LIVING (ADL)

Un altro aspetto molto importante da valutare in questo tipo di paziente è la DISABILITA’, che rappresenta
la l'incapacità di svolgere autonomamente le attività di vita quotidiana, la non autosufficienza, la perdita
della capacità di fare le cose.
L’ADL rappresenta uno degli strumenti di valutazione della funzione fisica più noti, soprattutto in ambito
riabilitativo. Fornisce un punteggio indicativo delle capacità del soggetto di alimentarsi, vestirsi, gestire
l'igiene personale, lavarsi, usare i servizi igienici, spostarsi dalla sedia al letto e viceversa,
deambulare in piano, salire e scendere le scale, controllare la defecazione e la minzioneLa minzione (dal
latino tardo minctio, e da mingere) è l'insieme degli atti fisiologici, volontari e involontari, che determinano
l'espulsione dell'urina raccolta nella vescica, attraverso l'uretra. .
Permette quindi di valutare il grado di disabilità su azioni di base per la vita quotidiana.
Queste capacità sono acquisite in periodo prescolare e vengono perse in maniera progressiva, secondo il
modello della retrogenesi: per cui le funzioni acquisite per prime vengono perse per ultime e si perdono
prima quelle più recentemente adottate.

Questo test ha un punteggio dicotomico 1 – 0: per cui o uno è capace di fare una cosa o non è capace ma ci
sono alcune domande più articolate, con differenti livelli di disautonomia. Però quando si deve valutare una
funzione complessa la modalità di valutazione con punteggio dicotomico può essere limitante, esempio:
una persona può essere assolutamente in grado di lavarsi da sola, però può non farlo mai perché ha paura
dell’acqua, ma la capacità di lavarsi c’è. In questi casi possono emergere dubbi su come comportasi: se
intendere la condizione come un’incapacità per il test e mettere una badante oppure cercare di agire sul
paziente stimolandolo o cambiando qualcosa nel bagno. Questo test ha un punteggio totale massimo di 6.

 ATTIVITÀ STRUMENTALI di VITA QUOTIDIANA (IADL)

Questo test è molo simile all’ADL, ma cerca di superarne i limiti dando la possibilità di dare punteggi
differenti rispetto alla disabilità da valutare (esempio: la disabilità nella guida si muove in un range di 4
punti).
Un’altra forma di IADL più spesso somministrata utilizza domande che vengono poste in maniera più
aperta, meno vincolate: il paziente è in grado di lavare il bucato? Cucinare da solo?
Inoltre bisogna tenere conto che ci sono un gran numero di anziani che non hanno mai fatto nulla nella loro
vita (non hanno mai toccato una pentola o fatto il bucato) e non posso perdere due punti nel test, perché
non è che non sono in grado di farlo ma c’è ‘solo’ un grosso problema culturale alle spalle.
Questo test ha un punteggio totale massimo di 14.

Quindi la valutazione della disabilità è molto complessa ed è un punto delicatissimo, perchè da un lato
permette di fare diagnosi di demenza e dall’altro permette di renderci conto dei limiti e dei bisogni del
paziente.

Un altro aspetto che voglio sottolineare è che quando ci troviamo davanti ad un paziente che non riesce più
a fare il numero di telefono, a prendere un mezzo di trasposto, a stare dietro alle sue finanze, siamo già in
uno stadio di demenza conclamata.
Parliamo infatti del grosso problema della diagnosi precoce: perché da un lato ho uno strumento che mi
permette di fare diagnosi, dall’altro c’è l’esigenza di fare diagnosi precoce.
Questo è molto importante perché i farmaci che abbiamo a disposizione hanno la loro massima efficacia
nelle fasi iniziali della malattia.
Mentre invece molte volte succede d’identificare un deficit solo quando la malattia è già avanzata o
comunque conclamata, ed ha già fatto molti danni.
Quindi quello che manca, di fatto, sono degli strumenti più raffinati e sensibili in grado di tener conto di
quelle che sono le disabilità minori orientando in questo modo ad su una diagnosi precoce di demenza.

Esempio: ho avuto una paziente che percepiva la sua disabilità nascere dal fatto che non riusciva più a fare
delle riflessioni e/o concentrarsi sulla Bibbia all’università della terza età a cui si era iscritta. Non si può dire
“beh va beh ha 80 anni!”.
Perché l’anno scorso ci riusciva e quest’anno non ce la fa? Cos’è cambiato?. Questa paziente è arrivata
allarmata dal medico dicendo che qualcosa non funzionava, questa è disabilità!

Anche se la paziente ottiene il massimo ai test, questo mi permette di dire che c’è un deficit cognitivo che le
sta dando dei problemi nella vita di tutti i giorni.
Per questo motivo c’è l’esigenza di identificare delle scale di valutazione più sensibili che permettano di
identificare nelle fasi precoci questi tipi di deficit.

Un’ultima grossissima limitazione nella valutazione della disabilità è il fatto che tutte queste domande non
vengono fatte direttamente al paziente ma al suo caregiver: è colui che si prende cura del malato, che
rappresenta il punto di riferimento ma non è per forza un parente. Il caregiver è colui che progressivamente
si sostituisce sempre di più all’assistito. Lo stesso caregiver può passare momenti molto difficili sia in
termini di accettazione della malattia del famigliare sia per le difficoltà ed il peso del ruolo che ricopre.
A volte il caregiver od i famigliari non sono così affidabile nel riportare l’effettiva situazione che il paziente
ha in casa, ci sono famigliari che sostengono che i loro malati siano in grado di occuparsi di tutto in casa,
semplicemente perché ci vanno solo 10 min al giorno, perché non si rendono conto di quello che sta
succedendo o rifiutano il fatto che qualcosa stia cambiando.

Quando si fanno questo tipo di valutazioni mai perdere di vista il “Ma lo sapeva fare prima?” Se un soggetto
non ha mai cucinato, il fatto che ora non riesca a farlo perde molto significato.

 THE NEUROPSYCHIATRIC INVENTORY (NPI)

È molto importante valutare anche la presenza dei disturbi del comportamento, non fanno parte dei criteri
diagnostici ma possono comunque essere presenti in caso di demenza, sono molto frequenti soprattutto in
alcune fasi di malattia ed in alcune demenze più di altre.
Se ci sono, tendenzialmente, vengono segnalati dai famigliari, perché sono quelli che spaventano un po’ di
più, sono gli aspetti considerati più allarmanti e disturbanti.
Scale come NPI tentano appunto di valutare la presenza o meno dei disturbi del comportamento ed il grado
di questo disturbo:
- allucinazioni,
- agitazione psicomotoria,
- ansia, depressione,
- aggressività,
- euforia,
- insonnia.
Si cerca di classificare la frequenza e l’intensità con cui si verificano, cercare di capire se ci sono delle
situazioni che possono scatenare tal comportamenti.
Per quanto riguarda i disturbi del comportamento è importante che siano caratterizzati nel modo più
preciso possibile, è importante usare un linguaggio appropriato sia per una comunicazione adeguata tra
medici sia perché i trattamenti sono differenti. Quindi il messaggio è che in questi casi bisogna fare sempre
l’NPI.

La forma non abbreviata del NPI è un testo di 14 pagine, dove per ogni singola categoria di disturbo ci sono
delle sotto-domande che guidano il medico ed il paziente nel cercare di capire cosa si intende per quel
determinato disturbo e se effettivamente il paziente ne è affetto. Anche questo normalmente si compila
parlando con i famigliari.
La demenza è una malattia che per quanto possa essere lenta rimane inesorabilmente progressiva, per cui
questi pazienti risultano sempre meno affidabili per quanto riguarda informazioni che concernono il loro
mondo interno, ad un certo punto la malattia si mangia anche la consapevolezza di essere malati.

 SVEBA

Infine è importante indagare la presenza o meno di una SDR Depressiva.


Ci deve essere una scala in grado di valutare la depressione o la sintomatologia affettiva di questa tipologia
di pazienti perché serve come fattore di controllo rispetto a quello che è il deficit cognitivo. Se un paziente
ha un grave deficit cognitivo ed è anche gravemente depresso devo stare attento a dargli l’etichetta del
demente, perché può succedere che la depressione possa dare dei deficit cognitivi fino a delle forme
chiamate di Psudodemenza Depressiva, per cui il suo deficit cognitivo deriva dalla condizione depressiva
che lo affligge e non viceversa, rare ma ci sono. Quindi il rischio è di valutare un paziente con un deficit
cognitivo peggiore di quello che è solo perché in quel momento è depresso.
La depressione si può valutare in davvero tantissimi modi: nella valutazione geriatrica questo aspetto viene
valutato attraverso delle scale sintomatologiche e non dei criteri diagnostici, perché il geriatra non è uno
psichiatra e perché sono comunque scale molto affidabili ad esempio la SVEBA. Questa scala di valutazione
contiene al suo interno anche la valutazione per i disturbi di tipo somatico perché molto spesso la
depressione nell’anziano passa attraverso un disturbo somatoforme.
Presenta un punteggio che varia: 0/3 normale, 4/5 borderline, 6/9 patologico, > 10 clinic. rilevante, con un
punteggio totale massimo di 15.
 FRONTAL ASSESSMENT BATTERY (FAB)

Batteria composta da sei sub-test che indagano aspetti connessi alle funzionalità dei lobi frontali:

8. SOMIGLIANZE: misura la capacità di ragionamento logico-astratto.


9. SCIOLTEZZA LESSICALE: misura la flessibilità cognitiva, l’utilizzo strategie inusuali e la capacità di
shifting dell’attenzione.
10. PROGRAMMAZIONE MOTORIA: misura l’organizzazione nel tempo ed il mantenimento e
l’esecuzione di azioni sequenziali.
11. SUSCETTIBILITA’ ALL’INTERFERENZA: misura la capacità di mantenere l’attenzione in un compito in
cui i comandi verbali sono in conflitto con le informazioni sensoriali.
12. CONTROLLO INIBITORIO: misura la capacità del paziente di inibire risposte, risposte automatiche
inappropriate, evidenziando la tendenza all’impulsività.
13. AUTONOMIA AMBIENTALE: misura anch’essa la capacità di inibire di risposte inappropriate,
evidenziando la dipendenza dagli stimoli ambientali

Esplora molte delle funzioni esecutive che coinvolgono i circuiti dei lobi frontali ma che comprendono
anche i circuiti dei gangli della base, valutando quindi la funzione di processore interno del cervello, cioè la
capacità d’interazioni tra le varie zone cerebrali.
Dovrebbe essere utilizzato sempre.

Perché sono importanti tutti questi test?


Perché non posso dire a braccio il tipo e la gravità di demenza che ha questa persona?

Questi test sono considerati importanti strumenti diagnostici al pari della misurazione della Pressione o Hb
glicata.
Il paziente non li dovrebbe vivere come un’interrogazione che crea ansia, anzi in alcuni casi il paziente può
essere aiutato:
Esempio[1]: se voglio testare l’orientamento spaziale del paziente gli posso chiedere in che regione si trova,
dandogli delle possibilità (come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte), perché magari non sa che
significato ha la parola regione.
Esempio[2]: se invece devo testare la memoria a breve termine dico tre parole al paziente (casa, pane,
gatto) dicendogli di ricordarsele perché poi saranno richieste, poi gli faccio eseguire un compito attentivo
(contare all’indietro) e gli richiedo le tre parole. Se il paziente non se le ricorda non gliele posso suggerire,
posso solo eventualmente dirgli che una delle tre parole era un animale. Se si ricorda allora il deficit non
sarà così grave come nel caso in cui non si ricordi proprio nulla. Queste sono tutte informazioni che mi
caratterizzano il disturbo di memoria.

Graduando il disturbo che ho davanti posso ottenere molte informazioni come identificare la presenza di un
deficit, che comunque da solo non mi fa diagnosi.
Inoltre questi strumenti sono estremamente importanti per poter comunicare tra medici.
È importante conoscere bene questi strumenti che abbiamo a disposizione: perché ci permette di
comprenderne il risultato o semplicemente capire se è il caso di usarli o meno, evitando di usare un metro
per misurare una cellula.

Quindi dopo questa lunga carrellate tra le varie scale di valutazione, vi rendete conto di come la diagnosi di
demenza è tutt’altro che semplice. Richiede molti passaggi, molto tempo, e molto banalmente deve esserci
la possibilità di avere un esame strumentale che ci permette di fare diagnosi, aspetto non è così scontato.
A questo punto vorrei sottolineare l’importanza di richiedere certi esami per arrivare ad una diagnosi certa
di demenza: non bisogna farsi scrupoli nel richiedere una TC solo perché un paziente è anziano. Ci sono
infatti condizioni (K cerebrali o ictus) che la diagnosi differenziale deve escludere.
La TC è un supporto importante non solo per la diagnosi di demenza ma anche per distinguere tra i vari tipi
di demenza.
Anche la dimensione temporale aiuta nella diagnosi di demenza: la valutazione nel tempo ed il
peggioramento caratterizzano una demenza piuttosto che un’altra.

Eseguire esami bioumorali e strumentali (monitoraggio pressione, Holter, TTT, ECG, TC, RMN, EEG, SPET,
PET…) è necessario a definire l’eziologia della demenza, ad escludere altre cause per i deficit cognitivi, a
valutare elementi patologici associati che possono peggiorare il quadro.
Molte forme metaboliche od organiche che possono dare dei deficit cognitivi devono essere esclusi:
ipertiroidismi, encefalopatia epatica.

Non esiste solo la demenza di Alzheimer ed è importante fare diagnosi differenziale tra le possibili
demenze perché le terapie cambiano.

La demenza ha un storia che dura anni e generalmente si fa diagnosi quando i sintomi iniziano a
manifestarsi, ma questo vuole dire che la malattia è presenta già da alcuni anni. La diagnosi si fa infatti in
media da 1-4 anni dall’inizio dei primi disturbi.
Quello su cui si sta cercando di lavorare è identificare dei fattori diagnostici che ci permettano di fare
diagnosi precoce. Questo è un obbiettivo purtroppo ancora lontano.
Non c’è ancora una grande chiarezza su quello che è il normale invecchiamento cerebrale: non ci sono studi
sufficientemente ampi ed articolati che ci possano spiegare cosa significa e cosa succede
nell’invecchiamento cerebrale.
Sicuramente il cervello invecchia con il passare del tempo, sicuramente c’è la perdita di alcuni tipi di
memoria e di funzioni cerebrali. Il problema è non cadere nel concetto di ageismo: non cadere nell’errore di
attribuire la causa della demenza all’età o considerarla normale solo perché uno è anziano. Tutti
invecchiamo ma non tutti diventiamo dementi.
La demenza è una malattia che deve essere identificata e curata, la difficoltà maggiore si ha soprattutto in
quelle forme borderline in cui c’è un iniziale deficit cognitivo ma in cui non si ha ancora disabilità ( INIZIALE
DEFICIT COGNITIVO NON ANCORA DEMENZA), quindi non so se il paziente è vecchio ma normale o è
demente. Ovviamente più cerco di anticipare la diagnosi più questo problema si presenta.
Inoltre bisogna essere cauti nel diagnosticare questo tipo di malattia perché dire ad una persona che è
demente non è equivalente a diagnosticargli una polmonite! La demenza ha una cura ma non si risolve, è
progressiva e porta a disabilità. Quindi la possibilità di intercettare precocemente pazienti con un maggiore
rischi di sviluppare demenza ci permetterebbe di iniziare subito il trattamento garantendo una migliore
qualità di vita.

Raccogliere una storia clinica accurata (anamnesi)


Esame clinico e neurologico
Valutare lo stato mentale (test psicometrici)
Valutare lo stato funzionale
Valutare le patologie e i farmaci che assume
Escludere la presenza di altre condizioni che potrebbero essere responsabili dei deficit cognitivi (delirium,
depressione, alterazioni metaboliche, altre patologie …)
Rivalutare nel tempo: non avere fretta!
Eseguire esami bioumorali e strumentali (monitoraggio pressione, Holter, TTT, ECG, TC, RMN, EEG, SPET,
PET…) è necessario a definire l’eziologia della demenza, ad escludere altre cause per i deficit cognitivi, a
valutare elementi patologici associati che possono peggiorare il quadro…)
Diagnosi precoce e marcatori biologici:

Mi preme sottolineare il ruolo dei marcatori biologici nella diagnosi precoce di demenza: ci sono una serie
di studi volti ad identificare in maniera sempre più sensibile e specifica questi tipi di markers. Ne esistono
alcuni che però prevedono il prelievo di CSF (legge la slid):

 Esame del LCS (10 pazienti con sintomi collegati all'Alzheimer e di altre 10 persone che non
mostravano segni caratteristici della malattia) esame di 17 gruppi di proteine. Tra queste in
particolare due, la cistatina C e la beta 2 microglobulina, sono collegate alla malattia di Alzheimer. I
risultati dello studio indicano che l'Alzheimer provoca cambiamenti nel cervello già da 10 a 20 anni
prima della comparsa dei sintomi (Odile Carrette 2008)
 Rilevazione nel LCS dei biomarcatori tau totale, tau fosforilata e diminuzione beta-amiloide,
Metalloproteinasi di Matrice (MMP).
 Test ELISA per rilevazione della proteina del tubo neurale (NPT) nelle urine.
 Tomografia a emissione di positroni (PET) capace di predire l'invecchiamento cerebrale patologico
prima della sua manifestazione clinica tramite sonda chimica  in grado di legarsi ai depositi di
placche e grovigli, in modo da poter individuare precocemente con neuroimmagine i loro siti di
accumulo anormale nel cervello (FDG-PET , BIP-PET)

Se l’esame del liquor è positivo possiamo fare diagnosi di demenza e nonostante non ci sia il farmaco
miracoloso la malattia viene curata (ma non guarita), il paziente non viene abbandonato.
Si dà una diagnosi infausta, senza di fatto avere un trattamento effettivamente efficace nel fermare o
rallentare la progressione della malattia.
Questi marcatori ci sono per l’Alzheimer ma non per altri tipi di demenza.

Un’altra possibilità è quella di utilizzare indagini strumentali come la PET, associandola a marcatori specifici
che permettono di identificare le aree di ridotto metabolismo, permettendo così di anticipare la diagnosi.
La Tomografia a emissione di positroni (PET) è capace di predire l'invecchiamento cerebrale patologico
prima della sua manifestazione clinica (Gary W. Small et al. , Jan. 2009) tramite sonda chimica in grado di
legarsi ai depositi di placche e grovigli, in modo da poter individuare precocemente con neuroimmagine i
loro siti di accumulo anormale nel cervello. La PET con BIP va ad analizzare la presenza l'amiloide.

Inoltre stanno diventando sempre più importanti sono gli studi fatti a livello del genotipo ApoE e di
mutazioni di PPS1 (presenelina), PPS2, APP (proteina precursore dell’amiloide).
La ricerca di queste mutazioni viene fatta soprattutto per l’identificazione di forme famigliari e di solito
l’identificazione della presenza di queste mutazioni dà un rischio aumentato di manifestare la malattia.
Per il genotipo ApoE quando presente in omozigosi nel genotipo epsilon4 aumenta il rischio di sviluppare lì
Alzheimer di circa 4 volte rispetto alla popolazione normale ed è la presentazione allelica più frequente
nell’Alzheimer di tipo sporadico.
Ribadisco che sulla base di queste evidenze non si può dire che una persona ha l’Alzheimer perché ha
questo tipo di presentazione allelica, ha soltanto un rischio aumentato di svilupparlo.

→ revisione dei criteri diagnostici e la proposta di un nuovo lessico alla luce di nuovi strumenti diagnostici.
Definirebbe come Ad prodromal quella malattia dove c'è un problema di memoria nel test, un problema di
posivitià dei miei biomarker ma non ho la demenza.
Oppure l'AD preclinical, io sono completamente asintomatico. Possono nella asintomatica con rischio per
Alzheimer avere dei biomarker positivi e nessun sintomo . Oppure possono essere presintomatico, dove non
ho niente, nessun sintomo, biomarker negativi, ma fattori genetici positivi.
→ questo porta a spunti interessanti: per esempio possono esserci ripercussioni a livello lavorativo, possono
esserci implicazioni per l'uso di terapia, di vaccini, che a breve saranno disponibili. Devo sapere a chi ha
senso fare un trattamento: ha senso fare un'immunizzazione e rimuovere le placche di beta-amiloide ad
una persona in fase preclinica o precoce, non quando ha già perso funzioni. Non saranno terapie che
restituiranno alla persona le funzioni che ha perso. es. se biomarker positivi in liquor.
Riflessioni: caso mai il collega in pronto soccorso può andare a scrivere come diagnosi “crisi ipertensiva in
paziente con Alzheimer”. → Per un soggetto di 60 anni lavoratore, magari per avvocato, un medico, può
essere un problema. Pensiamo poi allo scenario assicurativo: se non si ha una malattia ma si ha un fattore
di rischio?. Ha senso fare uno screening con costi elevatissimi (PET con BIP)?

Perchè succede questo? Ci sono pazienti con segni di Alzheimer e non hanno malattia, contro pazienti con
segni e forme particolarmente aggressive.
Perchè il nostro cervello funziona in modo diverso. Esiste una riserva cerebrale, esiste una riserva cognitiva.

Teoria Della Riserva Cognitiva (Stern)

 Il cervello ha capacità di compensare il danno subito sia questo degenerativo o vascolare


 Esistono 2 tipi di riserva:
- PASSIVA: livello individuale di sviluppo delle normali funzioni cognitive (fattori biologici,
genetici, numero delle sinapsi presenti, ambiente in cui si è vissuti, stile di vita, stimolazione
intelletuale, educazione, fattori nutrizionali…)
- ATTIVA: capacità del cervello ad adattarsi e compensare la presenza di patologia.

ci sono persone che hanno deficit cognitivi lievi e rimangono così per anni e ci sono persone il cui deficit
cognitivo si conclama in qualcosa di più solo quando viene meno il compenso cerebrale, cioè quando si
arriva ad essere al di sotto di una certa riserva cognitiva perchè gli insulti cerebrali sono troppi. Questo è il
conclamarsi di una malattia progressiva
Se il paziente non evolve mai rimane con un deficit che non riesco a classificare in nessuna malattia.

Non va considerata solo la demenza di Alzheimer: non tutte le demenze progrediscono allo stesso modo.
Pensate solo alla demenza frontale, che esordisce con un quadro più di tipo comportamentale.

I cardini della demenza:


 sintomi cognitivi
 sintomi comportamentali
 disabilità
su questo va ad agire il nostro intervento.

I sintomi della demenza (cognitivi e comportamentali) derivano dal fatto che alcune strutture cerebrali non
funzionano più come prima perché c’è una malattia degenerativa e/o vascolare alla base che compromette
il sistema neurotrasmettitoriale.
Nella demenza di Alzheimer i neurotrasmettitori coinvolti sono:
 ACETILCOLINA (riduzione del tono colinergico).
 DOPAMINA (riduzione del tono dopaminergico).
 SEROTONINA (perdita di cellule del Nucleo del rafe, diminuzione del tono serotoninergico e quindi
deflessione tono dell’umore, aggressività, ansia, agitazione).
 NORADRENALINA (perdita di neuroni noradrenergici del locus coeruleus, riduzione della
stimolazione NA della corteccia, depressione).
La loro disregolazione determina tutto quel corollario di sintomi cognitivi (soprattutto acetilcolina) e
comportamentali (soprattutto dopamina, serotonina e noradrenalina). Quindi c'è un correlato anche con il
tipo di disturbo.

Presa in carico: paziente + caregiver + medico = alleanza terapeutica


Non uscite dal corso di geriatria dicendo che la demenza di Alzheimer è una malattia incurabile, sono balle!
È ancora una malattia che non guarisce ma è curabile. Non dimenticate che un altro aspetto molto
importante è la presa in carico della famiglia oltre che del paziente.
Tutto questo è ovviamente nell’ottica di migliorare la qualità di vita del paziente e di ridurne le complicanze
quando saremo nella parte terminale della malattia.
Quindi è importante considerare:
» Trattamento dei fattori di rischio (es. consigli a famigliare giovane → fattori protettivi)
» Trattamento dei fenomeni eziopatogenetici (farmaci che mirano a interrompere il processo in
corso)
» Trattamento dei sintomi: cognitivi e comportamentali (farmaci più disponibili oggi)
» Trattamento delle complicanze
» Farmacologico/non farmacologico

Dicevamo prima: un paziente a cui viene diagnosticata una demenze non può, non deve, essere lasciato
“orfano”, cioè da solo e senza una terapia o meglio di una cura.
Mi raccomando la differenza tra malattia incurabile e inguaribile!! Anche l'Alzheimer, come il diabete o
l'ipertensione, non è guaribile, ma è curabile, cioè non può andare incontro a remissione totale, ma può
essere oggetto di cure che ne rallentino la (inevitabile) progressione.
Esistono dei farmaci, e soprattutto esiste la presa in carico da parte della famiglia e del caregiver, e del
medico curante.
La demenze è una malattia cronica, progressiva, che comporta sintomi pesanti, non autosufficienza, disturbi
del comportamento, e perciò comporta un'assistenza importante: deve esserci un'alleanza terapeutica tra
paziente-caregiver-medico.
Tutto ciò è importante da chiarire, perché se iniziamo una terapia (di qualsiasi tipo) e l'aspettativa è guarire
come si guarisce da una polmonite, allora nessuna terapia sarà efficace. Ho invece dei farmaci che ci
permettono di curare la malattia, di rallentare la sua progressione, di ridurre i disturbi del comportamento,
di ridurre la perdita cognitiva, ho tutta una serie di appoggi che tentano di vicariare le funzioni perdute.
Questo nell'ottica di un miglioramento della qualità di vita, di riduzione delle complicanze quando
entreremo in una fase tardiva e di riduzione dei ricoveri ospedalieri, di avere un paziente che è in grado di
stare a casa il maggior tempo possibile, ecc.
Tanto si può fare [e bla bla bla..], siamo contenti se anche solo il paziente non peggiora.

Il trattamento della demenza può essere fatto su vari livelli.


18. Trattamento dei fattori di rischio
19. Trattamento dei fenomeni eziopatogenetici
20. Trattamento dei sintomi: cognitivi e comportamentali
21. Trattamento delle complicanze
I primi due sono però ancora lontani dalla pratica clinica.
Si riesce ad intervenire soprattutto su terzo e quarto punto, con l'ausilio o no di farmaci.

Se la demenza, come dicevamo anche la scorsa lezione, è una patologia multifattoriale, è importante però
ricordare che ci sono tanti fattori di rischio che la supportano che sono modificabili, oltre ad età e fattori
genetici non modificabili:
45. Livello di istruzione
46. Condizione socio-economiche
47. Fumo/alcol
48. Stile di vita (attività fisica, relazioni sociali..)
49. Dieta
50. Farmaci
51. Esposizione ambientale (collanti, pesticidi, solventi) e occupazionale (lavori manuali)
52. Fattori di rischio vascolare (ipercolesterolemia, ipertensione, FA, diabete…)
Anche fare “ginnastica cognitiva”, cercando di mantenere al mente il più possibile attiva, è assolutamente
utile, soprattutto nelle prime fasi della malattia di Alzheimer, per ridurre la
progressione.
Vediamo ora brevemente il trattamento della patogenesi della malattia,
perché queste verosimilmente saranno le terapie del futuro.

La maggior parte di queste terapie sono anti-amiloidee, secondo il modello


per il quale nella malattia di Alzheimer c'è un'alterata processazione della
proteina precursore dell'amiloide ad amiloide β42 e β40, due isoforme che si
accumulano e portano a morte cellulare.
Ricordare comunque che l'amiloide corrisponde solo ad un aspetto della
patologia → l'evidenza di efficacia di tali trattamenti non è elevata. Si tratta
soprattutto di studi in corso.

Sono stati elaborati tutta una serie di farmaci che intervengono in questa
catena attraverso:
11. riduzione della produzione: inibitori della β- e γ-secretasi
12. aumento della degradazione: antagonisti PPAR-γ (Rosiglitazone,
farmaco antidiabetico ora in fase III per l'Alzheimer)
13. modifica del trasporto attraverso la BEE: RAGE inibitori
14. riduzione dell’aggregazione: inibitori di aggregazione
15. aumento della rimozione: immunoterapia (il cosiddetto vaccino per
l'Alzheimer)
2) E' stata ideata una prima modalità di immunizzazione, attiva, volta
a stimolare il sistema immunitario a riconoscere e a eliminare la β-
amiloide.

Il problema di un'immunizzazione attiva era l'induzione di una eccessiva risposta autoimmune


proinfiammatoria TH1-mediata, con compromissione degli eventuali benefici derivanti dalla rimozione delle
placche (motivo per cui il primo vaccino su sospeso; per alcuni si erano verificati casi di encefalite); si
registrarono poi modesti o assenti benefici a livello cognitivo, non aumento della sopravvivenza; la cosa che
tuttora lascia perplessi è che a livello anatomico le placche vengono sì rimosse, ma la progressione della
malattia non rallenta.
E' un problema che ha fatto vacillare l'ipotesi amiloidea, che è una delle ipotesi più accreditate nella
patogenesi dell'Alzheimer.
Poi sono stati sviluppati farmaci che evitano di avere tale risposta sui linfociti T e quindi l'encefalite.
Sembra che la formazione di aggregati di β-amiloide non sia l'evento centrale, ma che siano implicate forme
oligomeriche.
3) Sulla possibilità invece di fornire dall'esterno anticorpi preformati antiamiloide (per prevenire la
deposizione di placche o aumentare l'eliminazione) si sta concentrando la maggior parte degli studi.
La somministrazione passiva di anticorpi anti- B amiloide può aggirare la risposta T-cellulare indesiderata
associata alla vaccinazione attiva, mantenendo le importanti attività biologiche correlate all’efficacia (es di
farmaci in studio: Babineuzumab, Solaneuzumab).
Il problema di tutti questi farmaci che stanno “fiorendo” è che per la valutazione di efficacia su una
demenza servono mesi, anni, tanto tempo. Intanto per non aspettare, vengono comunque messi in
commercio.

Ci sono poi farmaci ad azione sulla proteina tau, l'altra proteina che si ritiene maggiormente implicata nella
patogenesi della malattia e che in qualche modo lega la demenza di Alzheimer alle forme di Parkinson
demenza, che sono tutte caratterizzate da alterazioni nella processazione della proteina tau (per questo
vengono dette taupatie).
Anche qui ci sono farmaci che inibiscono la produzione delle fibrille tramite l'inibizione della fosforilazione
della proteina tau. Ci sono studi su Litio e Acido Valproico in questo senso, come potenziali inibitori della
fosforilazione di tau.

Oltre a questi, vengono eseguiti studi su farmaci antiinfiammatori, antiossidanti, neuroprotettori, fattori di
crescita, e sulla terapia con cellule staminali (lo scenario del futuro quello di poter ricostruire ciò che dalla
malattia è stato distrutto); tutti volti a ridurre la progressione della malattia sopperendo ai danni,
proteggendo e recuperando ciò che resta.

Un altro problema importante è quello di trovare dei marcatori biologici non solo per la diagnosi ma anche
per monitorare l'efficacia delle terapie. Questo perché riuscire a valutare un miglioramento solo sulla base
dei test che si effettuano normalmente (es. MMSE) non è un modo preciso ed affidabile. Ad oggi si
utilizzano:
20. Riduzione della concentrazione dell’Abeta 1-40 e della β-amiloide 1-42 nel plasma o nel LCS
21. Frammenti di β-amiloide (1-16, 1-14, 1-15) per l’inibizione della gamma secretasi

Per quanto riguarda i farmaci che si utilizzano oggi, come vi dicevo sono tutti sintomatici, per i disturbi
cognitivi o per i disturbi del comportamento, e sono gli inibitori dell'acetilcolinesterasi (donepezil,
rivastigmina, galantamina) e la memantina, antagonista dei recettori NMDA.
L'efficacia di questi farmaci è valutata in termini di stabilizzazione di malattia e non ci sono grosse differenze
tra l'uno e l'altro.
I primi neuroni che vengono persi nel corso della malattia sono colinergici, per cui questi farmaci
suppliscono alla mancanza di Acetilcolina aumentandone la concentrazione intraencefalica. Sono però
farmaci soltanto sintomatologici; con il progredire della patologia, il tono colinergico viene del tutto a
mancare e i farmaci perdono di efficacia. Perciò è importante una diagnosi precoce e un inizio precoce
nell'utilizzo di questi farmaci.
Si sente ancora dire che sono farmaci che non servono a nulla; questo è vero se si cerca di guarire la
malattia, non di curarla. Purtroppo è vero che non sono i farmaci ideali e che vorremo avere farmaci molto
più efficaci. Sul Donepezil ci sono studi che affermano un suo ruolo anche nella neuroprotezione, però in
questo senso non c'è ancora nessuna certezza.
C'è una grande percentuale di non-responders 10-15 %, ma comunque hanno cambiato il corso della
malattia, aumentando il tempo libero da disabilità.
Il target non è il punteggio del Mini Mental, ma che il paziente sia il più autosufficiente, il più tranquillo, il
più gestibile possibile per la maggior parte del tempo. Quindi riuscire a stabilizzare il paziente.
Sono farmaci anche non più troppo costosi.

Un particolare divertente: questi farmaci, in particolare il Donepezil, sono stati utilizzati anche su volontari
sani e rientrano fra le cosiddette “smart drugs”, cioè quelle sostanze che vengono utilizzate per avere
rendimenti migliori ai test, agli esami, negli studi.
Un primo studio è stato fatto su piloti aerei, dimostrando una risposta ai compiti più rapida e precisa e
risultati migliori rispetto a coloro che non avevano assunto il farmaco. [leggendo meglio la slide, al
contrario di quello che dice lei, non si tratta di piloti di linea e/o di caccia, ma di semplici prove al
simulatore. Grazie al cielo!]
Gli stessi risultati si ottengono su giovani volontari sani. Putroppo i risultati nei malati di Alzheimer sono sì
positivi come indicano anche questi studi, ma non così significativi da poter dire che il malato recupera o
guarisce, interrompendo il decorso della malattia.

In ogni caso, non è questo un consiglio ad usarli... visto che ci sono importanti effetti collaterali, quali:
 Gastrointestinali (dispepsia, vomito, diarrea) soprattutto
 Cardiovascolari (bradicardia, ipotensione ortostatica, ipertensione arteriosa)
 Insonnia, incubi notturni
 Agitazione/tremori
 Respiratori (broncospasmo)
 Muscolari (crampi, ipertono incontinenza urinaria)
Controindicazioni:
 Epilessia
 Sincopi
 BPCO /Asma
 Anomalie della conduzione atrio-ventricolare

Memantina
Meccanismo d'azione completamente diverso. Agisce sui recettori NMDA (N-Metil-D-Aspartato) per il
glutammato ed è un antagonista non selettivo. Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio
del sistema nervoso centrale.
Nell'Alzheimer si è osservata una eccessiva concentrazione di glutammato, che non viene eliminato
permettendo un influsso aberrante di calcio all'interno delle cellule (fenomeno della cosiddetta
eccitotossicità). Succede che le cellule sono in una fase di depolarizzazione eccessiva, per cui ci saranno
anche problemi nella trasmissione degli impulsi nervosi.
Il fatto che il farmaco non sia un inibitore selettivo è una buona cosa perché quando la membrana inizia a
essere più depolarizzata rilascia il recettore lasciando quindi la possibilità al glutammato di aprire i canali
del calcio e quindi di depolarizzare la cellula in fase di attività sinaptica (in corso di parziale depolarizzazione
di membrana è attivo, ma il suo blocco viene rimosso in corso di depolarizzazione).
Inoltre sembra avere un effetto neuroprotettivo modulando l'attività della glicogeno-Kinasi-sintasi (GKS-3),
enzima coinvolto nella patogenesi dell'AD (fosforilazione tau, attività amiloidogenica).

La memantina è risultata efficace nel migliorare le capacità cognitive e funzionali dei pazienti con AD
moderata e severa in trattamento stabile con donepezil o in monoterapia.
Inoltre è considerata efficace anche sulle capacità cognitive di pazienti con demenza vascolare, mentre
mancano evidenze di un effetto positivo sullo stato funzionale.
Viene usata tantissimo anche in pazienti con disturbi del comportamento, con risultati utili.
Non ha problemi a livello cardiovascolare, quindi viene usato anche per coloro che non possono accedere
agli inibitori dell'aceticolinesterasi.
Negli USA è stata registrata per i casi di demenza moderata severa.

EFFETTI COLLATERALI
 Cefalea
 Sonnolenza
 Stipsi
 Ipertensione
 Capogiro
 Confusione
 Allucinazioni
 Psicosi
 Affaticabilità
 Vomito
 Pancreatite
 Trombosi venosa

Ha anche effetto a modi risvegli, in cui pazienti gravi hanno recuperato un buon contatto anche relazionale,
mentre pazienti a cui va messa di notte altrimenti durante il giorno il paziente dorme.

Come si utilizzano tutti questi farmaci


 Raggiungere la sempre la minima dose efficace (donepezil 5-10 mg, rivastigmina 6-12 mg,
galatamina 16-24 mg)
 I risultati migliori si ottengono con le dosi superiori (l'efficacia è dose-dipendente)
 Considerare la tollerabilità alle dosi superiori
 Monitoraggio degli effetti collaterali (controllo previsto anche dall’AIFA)
 Monitoraggio dell’EFFICACIA (controllo previsto anche dall’AIFA)
 Condivisione degli obiettivi/risultati con il MMG, il caregiver, il paziente

Sul monitoraggio dell'efficacia di questi farmaci si aprono delle diatribe. Se prima si diceva che ci sarebbe
bisogno di biomarker per valutare l'efficacia, diciamo che ci sarebbe bisogno anche di marker
neuropsicologici.
Teoricamente sarebbe consigliata la sospensione del farmaco se dopo 3 mesi non ha effetto, per cui
l'efficacia andrebbe valutata già dopo i primi 3 mesi; ma un miglioramento o un peggioramento dopo
questo periodo non sappiamo bene quanto sia indicativo.
In realtà non si tratta di sospensione vera e propria del farmaco, ma più spesso si tratta di rimozione della
rimborsabilità (nota 85 dell'AIFA): se il farmaco non è efficace, io dovrei quantomeno togliere la
rimborsabilità.

Sono farmaci che sono soggetti a piano terapeutico, non possono essere prescritti se non dal neurologo
specialista o dal geriatra specialista dell'unità di valutazione Alzheimer, che sono dei centri territoriali
ambulatoriali.

Strategie possibili che vengono consigliate in caso di effettivo peggioramento: switch therapy (cambiare
molecola), associare all'inibitore dell'Acetilcolinesterasi la memantina (in italia questa possibilità viene data)
.

Altri farmaci proposti ci sono poche evidenze.

OMOTAURINA: inibisce l'aggregazione di B-Amiloide , azione su Gaba con neuroprotezione, migliora le


performance cognitive. È uscito come integratore alimentare, costo moderato. Va ancora valutato a pieno.
Per il momento non ha indicazione per la demenza di Alzheimer. Viene dato per i disturbi cognitivi.

Poi ancora:
- Antiinfiammatori (inibizione del danno dovuto alla risposta infiammatoria / inibizione diretta di
Bsecretasi?)
- Antiossidanti (vitamina E (alfa-tocoferolo) è in grado di ridurre la velocità di progressione della AD)
- Statine (legame tra colesterolo cellulare e cascata B-amiloide)
- Terapia ormonale sostitutiva (nessuna evidenza)
- Ginko biloba, iperico…( nessuna evidenza)
Ricordiamo che non esiste, come dicevamo anche prima, solo l'AD, ma anche altre forme di demenza, per
le quali siamo ancora più “orfani” di possibili terapie:
 Demenza vascolare: prevenzione/trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari, riduzione
del danno ischemico (acido docosaesaenoico DHA). Anche qui tutto un fiorire di farmaci
antiossidanti per un miglioramento e un riduzione del danno.

 Demenza corpi di Lewy: rivastigmina
 Parkinson demenza: rivastigmina
 Demenza fronto-temporale: SSRI

Se per AD andiamo male, per le altre andiamo anche peggio. Assenza di evidenza importnate.

Oltre alla terapia farmacologica c'è tutta una serie di cose da fare che non sono trascurabili o di poca
importanza (vedi anche slides). Ci sono evidenze:
-L’esercizio, mentale e fisico sono in grado di ritardare il declino funzionale
- terapie cognitive
- L’adattamento dell’ambiente alle capacità residue del paziente demente riduce i disturbi comportamentali
-I meccanismi di plasticità, di riorganizzazione e adattamento funzionale del sistema nervoso centrale
permettono un recupero delle funzioni perse in conseguenza della patologia degenerativa o vascolare

TRATTAMENTO DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO


(BPSD, Behavioral and Psycological Symptoms of Dementia)

Ricordare che esiste un lessico specifico.


Hanno un correlato di tipo anatomico.
Mi preme dirvi che dal punto di vista dell'approccio, il farmaco dovrebbe essere sempre l'ultimo step. Prima
di tutto identifichiamo il disturbo, verifichiamo i possibili fattori scatenanti e l'eziologia, proviamo a trattare
il paziente non farmacologicamente, cioè a ridurre le condizioni ad esempio ambientali che possono aver
favorito il disturbo del comportamento.
Nell'eziologia ricordare la correlazione anatomica, la relazione tra paziente e ambiente (persone intorno e
ambiente in sé, luce, rumori...), impatto dei tratti della personalità pre-morbosa.

Avremo:
- Sintomi affettivi
- Sintomi neuropsichiatrici
- Disturbi neurovegetativi
- Comportamenti specifici

Provvedimenti di tipo non farmacologico


es.: pazienti con difficoltà nel riconoscimento della propria persona, e che vedono nella persona riflessa
nello specchio, un estraneo. Questo può scatenare comportamenti di aggressione e anche veri e propri
delirii (es. vedono un uomo in casa che non riconoscono → delirio di gelosia). Questi reagiscono
perfettamente alla copertura degli specchi. Senza nessun farmaco il paziente sta tranquillo.
Paziente molto spesso incoerenti nel proprio disturbo. Quindi l'efficacia di portare l'attenzione su qualche
cos'altro, notando che dopo poco non si ricorda più nulla. Alzare la voce o sgridare non serve a niente.
(sulle slides riflessioni e consigli sulla gestione del paziente e delirio).
→ tutta una serie di interventi ambientali non farmacologici, di cui sono anche stati fatti studi per valutare
l'efficacia, che possono essere usati a seconda del setting in cui ci si trova.
In questo deve essere coinvolto il caregiver. Importante parlare con i famigliari per capire cosa è successo e
per dare consigli su cosa fare: molte volte sono loro stessi a causare il disturbo del comportamento per il
loro atteggiamento anche in buona fede. es. figlia che porta a papà il portafoglio vecchio, ma vuoto può
scatenare il delirio di furto. Deliri che possono rimanere, anche per alcuni giorni o di più.
es. telefonate a casa a moglie perchè intestataria della bolletta, come scatenamento di delirio di gelosia.
Per il caregiver deve essere fatto un percorso, soprattutto i famigliari. Loro stessi vivono la malattia e
devono essere supportati e capiti. Percorrono tutta una serie di fasi prima di calarsi nei panni del caregiver.
Non è detto che solo perchè caregiver sia pronto a prendersi cura del soggetto.

→ interventi non farmacologici sempre da preferire nel disturbo del comportamento. Alcuni rivolti al
paziente, altri rivolti ai famigliari.
Perchè si spinge tanto su questo? Perchè il farmaco dato all'anziano lascia tutta una serie di incognite:
diversa farmacocinetica (organi sono “vecchi” non funzionano più come dovrebbero), interazioni (in media
un paziente da 15-20 farmaci)...

Terapia farmacologica
Vengono comunemente utilizzati:
 Antidepressivi
 BDZ
 Antipsicotici
 Stabilizzanti umore
 Inibitori dell’acetilcolinesterasi - memantina
 Beta-bloccanti
 Terapia ormonale
Altro concetto importante è racchiuso nella frase inglese Start slow, go slow…but go!!, cioè:
usare il dosaggio minimo efficace, monitorare gli effetti collaterali e rivalutare costantemente la terapia,
perché i BPSD non sono sempre costanti nella malattia.
Cosa molto importante è che i farmaci vanno adeguati al sintomo.
In realtà la maggior parte dei farmaci che prescriviamo, li usiamo out off-label

ANTIDEPRESSIVI

Inibitori delle monoaminossidasi (IMAO)


- tranilcipromina, moclobemide
Triciclici (TCA)
- amitriptilina, imipramina, clorimipramina, nortriptilina, desipramina
Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)
- fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina, citalopram, escitalopram
Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NARI)
- reboxetina
Inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI)
- venlafaxina, duloxetina
Antidepressivi noradrenergici e serotoninergici specifici (NaSSA)
- mianserina, mirtazapina
Antidepressivi ad azione serotoninergica mista (SARI)
- trazodone, nefazodone
Inibitori della ricaptazione di noradrenalina e dopamina
- bupropione
A parte i vecchi triciclici e inibitori delle monoaminossidasi che nell'anziano non si usano, perchè hanno
effetti anticolinergici importanti.
Un nuovo farmaco, agente sui recettori della melatonina ha un buon uso, anche per i disturbi del sonno. Un
suo problema è l'elevato costo. Ha un effetto rapido, quindi non occorre aspettare troppo tempo per vedere
l'effetto antidepressivo.
SSRI negli Anziani
VANTAGGI PRECAUZIONI
Dosi terapeutiche in monosomministrazione Effetti indesiderati “comuni” (> GI, sex, iporessia con
fluoxetina)
Assenza di ipotensione ortostatica Iponatremia (SIADH)
Assenza di tossicità cardiaca Sintomi extrapiramidali (parkinsonismo, distonie,
discinesie)
Tossicità comportamentale trascurabile Bradicardia
Sicurezza in overdose < aggregazione piastrinica (emorragie)
Interazioni farmacologiche

Gli SSRI rispetto agli altri farmaci hanno miro tossicità cardiaca, provocano minor ipotensione ortostatica
(insomma). Attenzione all'effetto opposto che possono provocare (mania), per cui bisogna togliere
l'antidepressivo, in realtà quindi qualche effetto comportamentale lo possono avere. Sicuramente sono più
sicuri dei farmaci più vecchi.

Attenzione inoltre a:
Stati maniacali soprattutto in pazienti con associati disturbi comportamentali (aggressività, agitazione)
Effetto anticolinergico
Sindrome serotoninergica

ANTIPSICOTICI
Utilizzati per
14. disturbi psichici: allucinazioni/deliri
15. disturbi comportamentali: aggressività verbale/fisica, agitazione, disinibizione

Sono farmaci da utilizzare solo in caso di effettiva necessità!


Ricordate che un sintomo comportamentale va trattato solo se disturbante (er il caregiver o per il paziente
(es. se vede i suoi compagni di infanzia e ne è felice, non necessario togliere allucinazione) . Molte volte può
bastare un antidolorifico: il paziente anziano che ha dolore va in agitazione, in delirium!
E' importante però che il paziente venga messo “al sicuro”, in condizioni di non nuocere alla propria e altrui
salute, per cui se necessario intervenite.
Sono indicazioni quindi la psicosi, la demenza quando da gesitre, e anche il delirium (aloperidolo rimane il
farmaco d'elezione, con le precauzioni dovute).

Inoltre ricordate che è importante valutare la durata del trattamento con antipsicotico, perché spesso non
è necessario un trattamento molto lungo e, come dicevamo prima, è importante rivalutare costantemente
la terapia perché i BPSD non sono costanti.
Negli anziani poi è maggiore il rischio di effetti indesiderati e la finestra terapeutica è molto ridotta, per cui
quando possibile è necessario cercare di scalare, ridurre, sospendere la terapia.
I neurolettici tipici (clorpromazina, tioridazina, promazina, clotiapina, aloperidolo) possono essere a bassa o
alta potenza:
 alta potenza tipo aloperidolo: con un basso numero di mg ottengo l'effetto desiderato
(terminazione deliri e allucinazioni). Hanno lo svantaggio che tendono a dare delle sindromi
extrapiramidali.
 bassa potenza tipo il Talofen®: devono essere dati a dosaggi molto più alti per togliere i disturbi
florido (allucinazioni..). Però sedano di più e impiegano molto tempo per dare l'effetto
extrapiramidale.

Da ricordare quindi gli importanti effetti collaterali:


 Effetti antiistaminico: sedazione
 Blocco alfa-adrenergico ed effetto centrale sui sistemi vasoregolatori: ipotensione
 Effetti anticolinergici: periferici (secchezza fauci, ritenzione urinaria, glaucoma) centrali
(compromissione memoria, confusione, allucinazioni, aggressività)
 Effetti antidopaminergici: S. extrapiramidale acuta (parkinsonismo, distonie, acatisia) Discinesie
tardive (orofaciali)
 Allungamento del QT: aritmie maligne, torsione di punta
 Iperprolattinemia
 Effetti cerebrovascolari
 S. metabolica
 Agranulocitosi
 Ipertermia
 S. neurolettica maligna

Gli antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina, clozapina, quetiapina) mostrano invece minori effetti
extrapiramidali. Hanno maggior efficacia e minor effetti collaterali.
In particolar modo la clozapina richiede una gestione particolare. Bisogna fare prelievi perchè può dare
psicosi. Quindi va monitorata. Perciò viene raramente utilizzata se non quando gli altri farmaci abbiano
fallito o ci sia la necessità di usarla in quanto è l'unica che abbia indicazione per i pazienti con malattia di
parkinson.
Ci sono stati studi sul fatto che gli antipsicotici atipici aumenterebbero il rischio di accidenti
cerebrovascolari. Altri studi non hanno confermato questi dati; da notare che non sono stati eseguiti su
quetiapina, per cui chissà...

ANTIEPILETTICI (soprattutto Acido Valproico e Carbamazepina)


Indicazione: Stabilizzanti umore
Utilizzo: controllo dell’agitazione/aggressività, degli stati maniacali (magari legati a sindromi frontali), degli
atteggiamenti compulsivi (es. anche sessuali come masturbazioni ripetute)
Effetti indesiderati: epatotossicità, alopecia, tremore, incremento ponderale.

BENZODIAZEPINE
Indicazioni: ansiolitici, ipnoinducenti.
Utilizzo: stati di agitazione, insonnia e parasonnie, sonniloquio, ansia, come miorilassanti.
Tutti vi diranno di non usarle nell'anziano per il rischio di effetti paradossi. E' vero, possono scatenare
delirium, possono non avere molta efficacia, però ricordate che per certi versi sono molto più sicure di
molti altri farmaci. Ricordate che come ipnoinducenti esistono anche altri farmaci (zolpidem, zopiclone e
simili).
Effetti collaterali: aumentato rischio di caduta, stati confusionali, allucinazioni, eccessiva sedazione
Inoltre attenzione ai problemi respiratori: depressione respiratoria soprattutto se anziano con BPCO e
ossigeno.

TRAZODONE (trittico)
Indicazione: depressione maggiore
Utilizzo: ipnoinducente, stati di agitazione, s. del tramonto, controllo dell’aggressività, dell’irritabilità,
antidepressivo inversione ritmo sonno-veglia
Basso dosaggio e frazionato nella giornata: utile come prima linea di trattamento
Effetti collaterali: ipotensione, iponatriemia,sedazione eccessiva, agitazione (effetto paradosso),
Tra tutti i farmaci di cui abbiamo parlato fino ad ora è tra quelli più sicuri. Anche rispetto l'iponatriemia: è
meno a rischio il paziente che prende trazodone rispetto a quello che assume SSRI.

Il discorso di molti di questi farmaci è che sono spesso prescrizioni “out of label”, cioè al di fuori delle
indicazioni classiche, con il grosso problema che sono pochi gli studi clinici affidabili eseguiti sugli anziani.
Il trazodone ne è appunto l'esempio. Nell'uso va quindi sempre motivato e spiegato al paziente e ai
famigliari il perchè della scelta.

Il significato della terapia farmacologica


In tanti casi un paziente a rischio si seda. La contenzione farmacologica deve essere regolamentata e
descritta in cartella esattamente come la contenzione vera e propria. Perchè ci sono dei problemi che
possono subentrare. Deve essere scritto cosa faceva il paziente, il perchè si fa contenzione, il perchè della
scelta di quel farmaco, per quanto lo si usa. Il paziente deve ricevere le stesse attenzioni anche da un punto
di vista medico legale come se fosse contenuto in modo vero e proprio. Bisogna avere lo stesso tipo di
remore che si hanno nel legare un paziente.

Fase di malattia avanzata


il malato in condizioni particolarmente gravi da un punto di vista cognitivo. Non riesce a comunicare e non è
in grado di condurre le attività di vita quotidiana. In questa fase se prima l'intervento specialistico poteva
essere predominante, in questa fase il ruolo del curante diventa essenziale. Fasi di accompagnamento e di
terminalità della malattia in cui devono essere fatte delle scelte riguardo la qualità di vita, le misure di
prevenzione legate alla malattia, che comporta allettamento, malnutrizione, lesioni da decubito; e poi nel
caso ci sia disfagia va affrontata con i famigliari tutta la tematica degli aspetti nutrizionali.
Finalità del trattamento di fine vita
- QUALITA' di VITA
- RISPETTO DELLA PERSONA
- ACCOMPAGNAMENTO ALLA MORTE
- EVITARE ACCANIMENTO
- EVITARE OMISSIONI
 RISPETTO DELLE VOLONTA' DEL PAZIENTE

Questo diventa molto importante quando si è in reparto dove purtroppo molte volte tali decisioni devono
essere prese, perchè a casa c'è una gestione troppo difficile del malato. Molto spesso i famigliari sono
impreparati per la gestione domiciliare.

Sul malato grave ricordare che per quanto ci sia incomunicabilità,


c'è un piano di comunicazione non verbale sul quale si può investire.

Aspetto esteriore
Espressione del volto
Sguardo
Gesti psicologici
Gesti comunicativi
Posizione nello spazio
Contatto corporeo

Come abbiamo già detto, è importante sostenere, educare ed aiutare i familiari del paziente, cercando di
mettere in atto strategie ambientali.
Ad esempio: minimizzare l’impatto dei deficit sensoriali, modificare l’ambiente se necessario, impegnare il
paziente in attività quotidiane routinarie, ottimizzare la stimolazione sociale/fisica, ecc.
Fondamentale, ovviamente, è ricercare e trattare eventuali cause mediche e ambientali scatenanti.

IL CAREGIVER
E' un'importante risorsa, deve far parte della nostra alleanza terapeutica, deve essere informato sulla
nostra eventuale prescrizione farmaceutica perché la faccia rispettare al malato e anche perché sia alleato
con noi, perché cerchi con noi i risultati della terapia senza aspettarsi cose non possibili, perché sia attento
agli effetti indesiderati dei farmaci e ai peggioramenti della malattia.
Tenete presente che, come dicevo prima, mettersi il “vestito” del caregiver non è semplice.
Terapia medica
27 aprile 2012
Prof. Amedeo Lonardo
Il prof non ha lasciato la presentazione che era bella condita con tabelle ricavate da studi eseguiti in ambito
epatologico. Ho segnato il nome dell’autore, l’anno e la rivista quando mi era possibile, perciò li potete
rintracciare online se siete interessati; mentre al fine di comprendere l’argomento sono sufficienti i dati che
ha letto lui e che ho riportato nella sbobba.
CIRROSI
Etimologicamente: giallo. Si ritiene che Laennec l’abbia coniato; costui era un competente in malattie
dell’apparato respiratorio, colui che inventò lo stetoscopio. Studiando la TBC, si accorse che c’era dei fegati
enormi.
Anche il Morgani studiò la malattia, sistematizzando tutte le correlazioni anatomo-cliniche, inoltre dedicò
alcune sezioni del suo trattato alle principali società scientifiche europee.

Noi definiamo la Cirrosi come un’entità anatomo-clinica la cui eziologia è quanto mai varia; sostanzialmente
è una sindrome in cui il fegato presenta una ridotta capacità di risposta nei confronti dei vari agenti
eziologici che lo danneggiano, la sua reazione è sempre simile: steatosi, epatite, cirrosi ed epatocarcinoma
finale. Patologicamente assistiamo a un’alterazione sclero-nodulare con una sua peculiare progressione, sia
istologica che clinica, verso le principali complicanze:
- Ipertensione portale  indissociabile dalla malattia cirrotica
- Trasformazione cancerosa  questo è l’end-stage che si rende manifesto soprattutto al giorno
d’oggi in virtù della maggiore sopravvivenza di questi pazienti.
- Emorragie digestive
- Insufficienza epatocellulare
- Ascite

Elementi anatomici importanti per capire la patologia:


- Vena porta, grande via biliare, cava inferiore con i suoi rami (sovra epatica destra, mediana e
sinistra) sono tutti elementi ben visibili in ecografia.
- Istologicamente abbiamo il lobulo epatico, triade portale, vena centro lobulare.
Il fegato è sottoposto a flussi ematici molto importanti, i quali, in condizioni normali, sono sostenuti per il
70% dalla vena porta; questo è importante perché nell’istogenesi dell’epatocarcinoma queste proporzioni si
invertono (vena porta/arterie epatiche).

Istologicamente in un fegato normale osserviamo l’estremo ordine che esiste fra le strutture, in caso di
cirrosi invece osserviamo il completo sovvertimento delle stesse. In particolare osserviamo l’espansione del
tessuto cicatriziale, all’interno del quale non si riconoscono più i lobuli epatici bensì una nuova stuttura: il
nodulo. In virtù di questa forte espansione cicatriziale si osserva un’alterazione profonda della componente
sinusoidale, per cui gli scambi fra sangue e cellule epatiche diventano più difficili. La consistenza del fegato
diventa logicamente molto più dura e la resistenza al flusso ematico nel fegato è aumentata anche per
questa ragione.

Il nodulo rigenerativo è l’elemento istologico più importante, perché è da questo che in alcuni soggetti si
origina l’epatocarcinoma. Per la loro diagnosi ci è di aiuto l’individuazione di una neovascolarizzazione
arteriosa autonoma.

La cirrosi la possiamo considerare una sindrome perché il quadro clinico che presenta è abbastanza
uniforme nella popolazione degli ammalati, nonostante l’eziologia vari da soggetto a soggetto.

In seguito a uno studio italiano terminato nel 2001, è stata stilata una lista degli agenti eziologici che più
frequentemente sono implicati nel nostro paese:
- HCV 51%
- HCV + ALCOOL 15%
- ALCOOL 12%
- HBV
- HBV + ALCOOL 2,7%
- HBV + HCV 2%
- HBV + HCV + ALCOOL 1%
- AUTOIMMUNI 0,8%
- CIRROSI BILIARI PRIMITIVE
- EMOCROMATOSI
- WILSON
- STEATOSI NON ALCOOLICA
- CRIPTOGENICHE (ovvero in tutti i casi in cui le altre vengono escluse definitivamente)

Discussione sulla quantità di alcool/die epatolesiva: dipende da sesso, età, razza. In generale per l’uomo è
30gr/die, per la donna è 20gr/die. Questi valori corrispondono a poco meno di 3 unità alcooliche per
l’uomo e a poco meno di due per la donna. [1U.A. = 12gr etanolo  1 bicchiere 125ml di vino rosso circa, 1
birra 33cl circa, 1 cicchetto (40ml) superalcoolico circa]. Bisogna però considerare che non tutti quelli che
eccedono queste dosi vanno incontro a lesioni epatiche che poi portano a cirrosi; difatti c’è una grossa
variabilità individuale: per esempio a parità di esposizione all’alcool la donna è più a rischio di sviluppare
epatopatia dell’uomo, come è vero lo stesso per l’obeso nei confronti del normopeso a parità di sesso
(l’idea è che chi ha un alto BMI è già esposto a un rischio di natura metabolico ADDITIVO).

Breve discussione su un caso clinico riportato in aula: il paziente entra per ittero e ascite, transaminasi
elevate, bilirubina elevata, riscontro di trombosi portale ed ecostruttura epatica alterata per fibrosi
intraparenchimale. Il prof si sofferma sulla colestasi; è extra o intra epatica? Nel primo caso potrebbe
essere un tumore della testa del pancreas, un tumore di Klatskin, litiasi del coledoco; nel secondo
un’epatite acuta da virus, farmaco, autoimmune, wilson. Dall’aula si sollevano voci sulla necessità di
eseguire una paracentesi diagnostica nonostante l’ascite fosse di prima insorgenza: da eseguire una conta
cellulare, un esame microbiologico, un chimicofisico incluso il gradiente di albumina (vd.dopo).

Come si arriva alla diagnosi


Nel caso di un paziente con esordio con ascite è importante
- clinica: reticolo venoso periombelicale, ernia ombelicale come complicanza di un’ascite tesa, edemi
agli arti inferiori
- laboratorio: gradiente di albumina
- ecografia: struttura epatica
- fibroSCAN
- endoscopia: riscontro di varici esofagee e/o gastriche
- biopsia: questa la si riserva a quei pazienti con manifestazioni sfumate o poco chiare

[riporta lo stesso studio terminato nel 2001, condotto da un importante epidemiologo-epatologo italiano
“Stroffolini” in cui si riscontra un’aumentata età media di insorgenza della patologia, un aumento
dell’incidenza fra le donne, nonostante la malattia cirrotica rimanga molto più frequente fra gli uomini,
un’aumento delle diagnosi in classe A di Child-Pough, mentre la prevalenza del carcinoma rimane stabile]

Fa vedere spider-nevi ed altri reperti dermatologici associati alla cirrosi.

CIRROSI COMPENSATA: quando il soggetto non presenta ittero, ascite, encefalopatia  una persona che
sta sostanzialmente bene e in cui l’epatopatia viene riscontrata in modo quasi incidentale durante check-up
di laboratorio o durante gli esami preoperatori per altri motivi o per firmare una polizza assicurativa…

Ora viene osservato un lavoro di “JAMA” nel quale sono stati raccolti dati di letteratura su anamnesi, esame
obiettivo e valori di laboratorio. Per esempio:
- se un paziente è già diabetico il valore predittivo positivo è alto, come anche quello negativo
- se un paziente fa uso di alcool
- sintomi come prurito, stanchezza, anoressia (non ce l’ha data)
- distensione vene addominali, alti valori sia positivi che negativi
- Encefalopatia idem
- Ittero alto valore predittivo positivo, ma nessun valore predittivo negativo
- Splenomegalia alti entrambi:
- Trombocitopenia
- INR
- Ipoalbuminemia
- Iperttransaminasemia
- Iperbilirubinemia
- Ridotta conta leucocitaria
- Anemia
- Ecc..

Altro studio italiano (“Giannini”) in cui è stato studiato il rapporto fra numero di piastrine/diametro
bipolare della milza: se normalmente questo valore di attesta sui 12600, man mano che il valore diminuisce
diventa più forte il sospetto di cirrosi. Il pro di questo studio è rivolto soprattutto a cercare di rendere l’iter
diagnostico più preciso col minor impiego di mezzi, come per esempio la riduzione delle endoscopie se
questo valore al di sotto di un certo cut off risulta essere sufficientemente predittivo di malattia cirrotica;
sta di fatto però che saltano fuori dei bias, per esempio il valore delle piastrine non è relato soltanto alla
cirrosi, idem per il volume della milza; vedasi una trombocitemia essenziale.
Diagnosi differenziale nella splenomegalia: individuare i meccanismi con cui si sviluppa quindi elencare le
possibili condizioni.
- Malattie neoplastiche: trombocitemia essenziale, malattie mieloproliferative
- Emodinamiche (Ostacolo al deflusso venoso): cirrosi, trombosi portale, ipertensione portale,
trombosi splenica
- Infettive: mononucleosi, leishmaniosi, malaria, endocardite, tbc…
- Tesaurismosi
- Malattie emolitiche

Coagulazione nella cirrosi


Si possono avere sia difetto che eccesso.
È presente un deficit di sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti (2,7, 9, 10) con
conseguente aumento dell’INR e clinicamente evidente nel sanguinamento delle varici digestive, e per
questo motivo e per il fattore emodinamico dovuto all’ipertensione portale. Contemporaneamente c’è un
deficit di sintesi di ATIII, Pr.C, Pr.S che anch’essi vengono prodotti dal fegato e un aumento del fattore VIII
della coagulazione dai sinusoidi epatici lesi portando a uno stato pro coagulante che si può manifestare, per
esempio, con una trombosi portale.

FibroScan
Utilizzando un segnale ecografico misura la rigidità del fegato. Il limite di questa metodica è nella non
capacità di discriminare la componente dura/morbida: presenza di fibrosi contemporaneamente a presenza
di grasso, che riduce la rigidità. Altro limite è l’ipertransaminasemia, molto tipica dell’epatite B cronica.
Perciò risulta più utile nel monitoraggio di un paziente con già la diagnosi in mano, in particolare per quanto
riguarda la diagnostica precoce dell’epatocarcinoma.

Child-Pough score
Bilirubina, Albumina, INR, Ascite, Encefalopatia (gli ultimi due parametri sono piuttosto soggettivi).
Questo punteggio è importante per quanto riguarda la formulazione di una prognosi a lungo termine,
soprattutto perché esistono 3 classi statiche, mentre i cinque valori sono in continuo divenire. Sul momento
invece è ben più indicativo sapere se la cirrosi è compensata o meno: una volta i cirrotici scompensati
vivevano qualche mese, oggi di più ma comunque l’ipotesi trapianto è percorribile soltanto se c’è la
complicanza più temibile: l’HCC. Uno degli autori più importanti italiani in questo campo è “D’Amico” il
quale prende due parametri per determinare lo stato attuale della cirrosi: VARICI e ASCITE.
- COMPENSATA (asintomatico): stadio 1: NO VARICI, NO ASCITE
stadio 2: SI VARICI, NO ASCITE
- SCOMPENSATA (sintomatico): stadio 1: SI/NO VARICI, SI ASCITE
stadio 2: EMORRAGIA, SI/NO ASCITE
D’amico ha anche attribuito percentuali di pazienti che passano da uno stadio all’altro e mortalità per ogni
stadio (non si capisce però, ci voleva la presentazione).

I parametri di laboratorio importanti per determinare un rapido peggioramento del quadro cirrotico sono
quelli che variano più velocemente come INR e secondariamente COLESTEROLO (<100mg/dl) e ALBUMINA.

MELD SCORE
A differenza del child c’è bisogno di un calcolatore per poterlo calcolare: si immettono i valori di
BILIRUBINA, CREATININA E INR e lui pensa a calcolare il punteggio con un non bel specificato algoritmo.
Questo punteggio lavora in continuo e utilizza solo valori di laboratorio, sfuggendo così a quel bias di
soggettività cui era soggetto il Child. Ha comunque limiti: se il paziente è disidratato la creatinina peggiora,
se il paziente fa terapia anticoagulante l’INR aumenta.
L’utilità del Meld è che predice la sopravvivenza: punteggio 20  sopravvivenza 80% ; punteggio 37 
sopravvivenza a poco più del 20%. Questo metodo di punteggio viene soprattutto usato nel malato
trapiantologico, cioè il trapianto viene preso in considerazione soltanto se la prognosi infausa è veramente
a breve termine.

Altro studio di D’amico e altri: che rischio additivo esiste se c’è un’infezione? Mortalità aumentata di 4
volte. Sembra che cambi proprio la storia naturale, che acceleri la progressione.
Quali sono le vie di infezione?
- Iatrogena: in paracentesi
- Traslocazione batterica spontanea: tramite i linfonodi mesenterici
In entrambi questi casi l’infezione si localizza nel liquido ascitico, nel cavo pleurico. Perché?
Mancano le immunoglobuline.
A questo punto i 4 stadi proposti da D’amico diventano 5: SEPSI  elevata mortalità nell’immediato.

Da ricordare: la leucopenia nel cirrotico è ancor più pericolosa perché i GB hanno anche un deficit
funzionale, cosa che invece non accade per le piastrine nonostante la possibile trombocitopenia.

Ipertensione portale
La manifestazione più importante sono le varici esofago-gastriche, che possono anche presentarsi
solamente nello stomaco, anche nel solo antro pilorico, e sono quelle che se sanguinano peggiorano, e di
molto, la mortalità. Addirittura si possono anche formare fra la milza e il rene sinistro, prendendo il nome di
shunt spleno-renali spontanei (quelli non spontanei erano chirurgici). Le varici si trattano con sostanze
sclerosanti a base di trombina, con il plasma-coagulation (un pennellino con argon) o con l’endoscopic bend
ligation.
L’obiettivo diagnostico-terapeutico è la profilassi primaria: si screenano tutti pazienti per evitare il
sanguinamento. [Vd. L’articolo su GUT che parla di tutte le terapie e complicanze: 2011, Vol.60, Pag.412]
Se il paziente non ha varici non c’è bisogno di nessuna terapia, in genere l’endoscopia di screening è
ripetuta l’anno dopo. Se ci sono varici piccole considerare i betabloccanti non selettivi come il Propranololo
o il Nadololo; in caso di grosse varici sempre betabloccante e l’endoscopic bend ligation.
Dove fare la paracentesi?
O fianco destro o sinistro o ipogastrico.

Ascite
Ipertensione portale (Pre, post, epatica), ipoperfusione renale (che accompagna tutto lo spettro della
cirrosi), scompenso cardiaco, infezioni, ipoalbuminemia (malnutrizione, cirrosi, sindrome nefrosica, ustioni),
malattie peritoneali (infettive come tbc, neoplasie, chimiche, autoimmune come una polisierosite).
[Articolo su Hepatology di Runyon] Gradiente di albumina: differenza fra albumina plasmatica e albumina
nel liquido ascitico:
- <1,1 gr/dl il “filtro” fra il compartimento vascolare e quello peritoneale è compromesso
anatomicamente, verosimilmente non è correlato alla cirrosi e all’ipertensione portale
- >1,1 gr/dl la forza idrostatica ha permesso la fuoriuscita di liquidi dal compartimento vascolare,
verosimile ipertensione portale.
Trattamento: dipende dalla clinica, cioè se il versamento non interferisce con la vita del soggetto non si fa
nulla, nel caso invece che il soggetto sia dispnoico o disfagico la paracentesi si fa, eventualmente anche in
urgenza; se il quadro non è urgente il trattamento medico prevede restrizione sodica e diuretici (in questo
caso si usano gli antialdosteronici: è come se il rene nel cirrotico fosse diverso dal rene nel cardiopatico…
mah).
Quando l’ascite diventa refrattaria si passa alla paracentesi terapeutica (ripetuta più volte) e il TIPS (shunt
fra sovra epatica destra e porta per via trans giugulare).

Diagnosi si sindrome epatorenale (complicanza di cirrosi)


Quando l’ipercreatininemia non migliora dopo 48h di sospensione dei diuretici ed espansione del volume
con albumina; di fatto è una diagnosi dinamica, cioè io instauro una terapia e all’insuccesso della stessa
posso ipotizzarla, sempre differenziando fra questa e lo shock, i farmaci nefrotossici e la parenchimopatia
renale. Sono importanti per la diagnosi un esame urine (ematuria e proteinuria) e un ECO renale negativa.

Anche l’insufficienza renale insorta in un paziente cirrotico porta a peggioramento della prognosi,
analogamente a quanto succedeva in caso di infezione.

Encefalopatia
Per la diagnosi utilizzo la clinica in primis (flapping tremors, alterazione dell’umore e della vigilanza di cui il
paziente non si rende conto, poi la concentrazione dell’ammonio nel sangue (anche se non è proporzionale
al grado di compromissione, è più utile per monitorare l’efficacia della terapia), il number connection test
(unire i puntini) e l’EEG (sempre per l’efficacia di una terapia).
Terapia: igiene dell’alvo (clisteri, lattulosio, antibiotici non assorbibili come Rifaximina, utilizzata anche
come profilassi).
2 novità:
- Esiste una relazione sfavorevole con il diabete: è maggiore il rischio di encefalopatia e di morte per
encefalopatia
- Esiste un’encefalopatia subclinica, che sta venendo alla luce soprattutto in relazione alla
concessione dell’idoneità alla guida del malato cirrotico: questo paziente non si rende conto delle
variazioni dello stato di vigilanza perché è cronicamente intossicato e questo è chiaramente un
rischio per lui e per la società.

[da qui comincia una cavalcata per riuscir a finire l’ argomento in 15 minuti. Per mio modesto parere è
meglio lasciar perdere e leggerselo da altre fonti]
EPATOCARCINOMA
È prevalente nel sesso maschile. In generale tanti soggetti vengono colpiti, tanti ne muoiono. Negli ultimi
anni però la latenza fra i due eventi è stata aumentata dalle terapie attuali. Ma di cosa muore un malato di
epatocarcinoma?
Di cirrosi.
L’algoritmo diagnostico dipende sostanzialmente dalle dimensioni: il piccolo nodulino (<1cm) è da seguire
nel tempo, se aumenta si sottopone a imaging (TC/RM con MDC). Nel caso dell HCC il “comportamento”
vascolare è spesso tipico (wash out tardivo e ipervascolarizzazione periferica), quindi si passa subito alla
terapia; in caso invece di comportamento vascolare atipico si passa prima per la biopsia.
2 tipi di trattamento:
- Curativo: resezione, trapianto, trattamenti loco regionali ablativi (la radiofrequenza)
- Palliativo: chemioembolizzazione e sorafenib (ultima spiaggia)
Come differenziare i pazienti cui verrà somministrato l’uno o l’altro trattamento?
I pazienti con buon performance status, nodulino piccolo singolo, child classe A sono gli eletti per
trattamento curativo.
[screening: 1 esame - sorveglianza: sottopongo una coorte a screening ripetuti nel tempo]

La sorveglianza per l’HCC non è un’opzione clinica, cioè se in un paziente ho diagnosticato la cirrosi la
diagnosi precoce dell’HCC è lo standard assistenziale. Come si fa? ECO 2 volte all’anno.
Perché l’eco e non l’ AFP? Perché questa è poco specifica e poco sensibile (si può elevare anche in cirrosi
avanzata come in tumori anche di grosse dimensioni non muoversi più di tanto).

Da notare come nell’ HCC il flusso ematico epatico è principalmente arterioso (c’è proprio uno switch da
quello che avviene in un fegato normale). Inoltre il/i noduli sviluppano neovascolarizzazione arteriosa e
accumulano molto grasso.

Spiega le modalità tecniche dell’ablazione per radiofrequenze e la chemioembolizzazione…


EMICRANIA
Il caso clinico di oggi riguarda una ragazza di 23 anni che si presenta ad uno specialista (non meglio
specificato), lamentando mal di testa in media 1 volta al mese per 2-3 giorni.
La paziente riferisce una diagnosi di Emicrania senza aura.
Riferisce che il mal di testa, di tipo pulsante, spesso localizzato attorno all’occhio, è tale da costringerla a
casa e la terapia con antiinfiammatori (come Aspirina e Paracetamolo) lo riduce, ma non lo elimina.

Proseguendo con la nostra visita eseguiamo l’esame obiettivo che risulta nella norma. Inoltre la paziente
non fuma, beve con moderazione, non fa uso di contraccettivi ed è impiegata in una ditta di trasporti.
Peso kg 52; Altezza 166 cm;
La paziente mangia di tutto;
Gli esami bioumorali sono tutti nella norma, PA 126/80, fr. 72 R.

A questo punto il prof ci pone delle domande:

POSSIAMO ESSERE CERTI DELLA DIAGNOSI?


Qualcuno suggerisce di procede con accertamenti (magari consulenza oculistica e/o neurologica); altri
innanzitutto partirebbero dall'anamnesi, chiedendo, per esempio, eventuali correlazioni con il ciclo
mestruale (in questo caso non c'erano correlazioni). Altri interventi

Il prof. ci dice che quanto ci riferisce la paziente è sufficiente per avanzare il forte sospetto diagnostico di
Emicrania. Se arriva una paziente con questa sintomatologia, la diagnosi di emicrania è praticamente
CERTA, perchè è una diagnosi essenzialmente clinica, soprattutto in una donna di 23 anni perfettamente
normale.
Gli accertamenti non ci fanno cambiare la diagnosi, ma ci servono per eventualmente avere nozioni in più e,
nel caso, impostare una terapia.

GENERALITÀ SULL’EMICRANIA
E’ una forma di cefalea caratterizzata da crisi dolorose solitamente di forte intensità e di durata variabile,
talora associata ad aura (il sintomo più frequente è quello di vedere scotomi scintillanti – l'aura è qualcosa
di estremamente sfuggente, che può esserci e non esserci e addirittura esistono casi di emicranie per anni
precedute da aura che improvvisamente sparisce) ed accompagnata da nausea, vomito (non
frequentissimi) e fotofobia, che invece è molto più comune.

- La diagnosi resta fondamentalmente clinica,


- è più frequente e più severa nelle donne (2:1)
- solitamente inizia nell’adolescenza.
- Al mondo sembra vi siano 320 milioni di emicranici (in Italia circa 4 milioni).

La fisiopatologia dell’emicrania non è ancora chiarita, nonostante la malattia sia nota da millenni, si è capito
tuttavia che il dolore è legato a vasodilatazioni, specie dei vasi meningei e l’aura sembrerebbe in rapporto a
vasocostrizione.
Secondo alcune teorie, vi sarebbe, nelle fasi iniziali, la liberazione di peptidi vasoattivi (dalle cellule nervose
che innervano le meningi) che indurrebbero vasodilatazione ed infiammazione perivascolare.
Il ruolo della flogosi perivascolare, riconosciuto di recente, spiega l'estrema efficacia dei farmaci
antinfiammatori.

COME PROCEDERE CON ACCERTAMENTI E CURE?


Il prof. ci propone questo elenco di esami diagnostici e ci chiede di esprimere un giudizio:
- TAC cerebrale
- Rx seni paranasali
- Visita oculistica
- Invio della paziente ad un Centro Cefalee

La visita oculistica è stata bocciata da qualcuno… però il prof fa notare che potrebbe svelare un glaucoma o
una neoplasia cerebrale, anche se quest’ultima dovrebbe dare una sintomatologia più marcata, la quale
tendenzialmente risulta più rapida nell’instaurarsi e nel progredire.
Nonostante questa considerazione il prof. sembra d’accordo nel definirla non strettamente necessaria, però
ci avverte che dobbiamo tenere presente che potrebbe svelare problemi visivi, possibili responsabili
dell’emicrania.

Rx seni paranasali può essere utile per svelare una sinusite, ma questa avrebbe dovuto presentarsi con
sintomi a carico delle vie aeree superiori, generalmente una rinorrea.

La TC cerebrale è da escludere, la paziente ha 23 anni ed esporla ad una tale quantità di radiazioni è


eccessivo. Se fosse una persona di 60 anni allora sarebbe diverso, anche l’epidemiologia dei tumori
cerebrali ci da indicazioni in tal caso.

L’invio ad un centro cefalee è senz’altro una decisione saggia (tenuto, ovviamente, in considerazione che
non tutti gli ospedali hanno un centro cefalee, che può risultare dispendioso spostarsi se l'ospedale del
proprio paese non ne è dotato e, infine, che i centri cefalee d'Italia non possono farsi carico di 4 milioni di
emicranici!).
Il destino dei pazienti che soffrono di cefalea sarà quello di essere sempre più seguiti e trattati dai MMG,
che devono essere attrezzati. Finiranno al centro cefalee i casi gravi.
Escursus sul fatto che i cefalologi non sono degli specialisti, in quanto la scuola non esiste, sono il più delle
volte dei medici internisti che hanno approfondito i loro studi in questo campo. Questo è certamente un
problema.

Focaliziamoci ora su quelli che devono essere gli OBIETTIVI DEL MEDICO:
- Impedire che gli accessi emicranici si ripetano
- Ridurre la frequenza degli attacchi
- Far scomparire il sintomo dolore
- Diminuire il sintomo dolore

COSA CONSIGLIARE ALLA PAZIENTE?


Quindi (elenco del prof):
- Eliminare o limitare l’assunzione di Alcoolici
(alcuni emicranici hanno visto drasticamente migliorare la propria sintomatologia semplicemente
eliminando gli alcolici, tra cui il peggiore risulta essere il vino rosso, in cui si ha il doppio effetto dell'alcool e
del tannino.
Birra e vino fanno parte degli alcoolici in cui l'alcool si produce per FERMENTAZIONE, in cui, quindi, si
trovano anche altre sostanza, a differenza di grappe e liquori, che si ottengono per DISTILLAZIONE)

- Eliminare dalla dieta cibi che possano scatenare gli attacchi emicranici (alcuni formaggi, cioccolato,
altri cibi)
- Evitare l’eccessiva fatica fisica
- Ripararsi adeguatamente dal freddo (cappelli e guanti)
- Evitare di esporsi a calore eccessivo (cappelli estivi)
- Evitare la perdita di sonno, anche ricorrendo a sedativi

Altri consigli che abbiamo detto noi sono stati:


- Tenere un diario per annotare gli episodi di emicrania
- Cercare di far caso se gli attacchi emicranici sono correlati a momenti particolari (permanenza in
luoghi affollati o durante il lavoro o in altri momenti)
- Vedere se l’emicrania che di solito colpisce un solo emisfero e un solo occhio, non insorga per caso
anche nell’altro emisfero.

Queste norme comportamentali molte volte sono alla base del successo della terapia dell’emicrania, più dei
farmaci ai quali comunque dovremo ricorrere se necessario.

Parliamo a questo punto della TERAPIA PREVENTIVA DELL’EMICRANIA


- Beta-bloccanti (Propanololo, 40-80 mg)
- Antidepressivi (Amitriptilina, 25-50 mg)
- Calcio antagonisti (Verapamile, 80-160 mg)
- Antiepilettici (Topiramato, 25-100 mg)

Ricordate che la terapia preventiva è diversa dalla terapia di attacco.


Questi farmaci non fanno nulla nel caso di un attacco emicranico.

Riferendoci a questa paziente, conviene farle assumere una di queste terapie?


Ovviamente no, è troppo giovane per cominciare ad assumere una terapia di questo tipo, tenendo presente
che molte volte dev’essere continuata per tutta la vita. Verosimilmente, si potrà prendere in considerazione
l'ipotesi di una terapia preventiva nel momento nel caso in cui dovessero fallire i consigli igienici e
ambientali citati sopra.

Diversi sono i FARMACI PER L’ATTACCO ACUTO:

 Antiinfiammatori
- Aspirina (1 g, fino a 5-6 g/die) dosaggio antalgico
- Paracetamolo (500 mg, fino a 3000 mg/die)
 Antiinfiammatori + Metoclopramide (10 mg) molte volte con l’emicrania si presenta vomito
 Antiinfiammatori + Caffeina (100 mg) caffeina è un vaso attivo e determina vasocostrizione
 Antiinfiammatori + Ergotamina (1 mg) l’ergotamina anch’essa è un vaso attivo e si comporta come
l’ASA
 Oppioidi
 Triptani (Sumatriptan ed altri)

I triptani sono ormai il cardine della terapia dell’emicrania e vi sono diverse forme:
- Sumatriptan (Imigran) cps da 25-100 mg,
Spray nasale fiale da 6 mg
- Rizatriptan (Maxolt) cps da 10 mg
- Almotriptan (Almogran) cps da 12.5 mg

Come per tutti i farmaci possono presentarsi degli effetti collaterali.


Effetti collaterali minori:
- Vampate di calore
- Pressione toracica
- Parestesia (sensazione Triptano)
Eventi cardiovascolari gravi:
- Vasospasmo, anche coronarico

Di norma gli effetti collaterali sono più da temere in un paziente anziano rispetto ad un paziente giovane.

Vediamo come sono stati studiati questi farmaci.


TRIPTANI VS ANTIINFIAMMATORI
- Sorprendentemente, pochi studi controllati hanno paragonato i triptani verso altre terapie
(antiinfiammatori – caffeina – ergotamina)
- In uno studio vi fu risposta nel 54% dei pazienti trattati con Triptani vs 33% dei trattati con
ergotamina + caffeina (733 pazienti, P < 0.001)
- In un altro studio i Triptani sono stati efficaci nel 33.4% vs 33% dei trattati con Ac. Acetilsalicilico +
Metoclopramide (666 pazienti, n.s.)

Che trattamenti possiamo suggerire alla nostra paziente?


Abbiamo già detto che potrebbe fare altri trattamenti, però possiamo dire che possono essere evitati.
- Suggerimenti su dieta e stile di vita
- Inutilità di una terapia preventiva, a lungo termine

Possibilità
- Antiinfiammatori a dosaggi più alti
- Triptani (Sumatriptan, 50 mg/2 volte al di): La paziente è a basso rischio di eventi cardiovascolari

In definitiva cercate di avere poche idee ma chiare riguardo l’emicrania, perché di idee confuse ce ne sono
molte, quindi avere uno schema limitato ma chiaro a volte può aiutare.
DISSECAZIONE AORTICA
CASO CLINICO
Trattasi di un caso emblematico che ha colpito l'equipe medica del reparto di medicina interna di
Baggiovara e che rispecchia quanto è importante eseguire una buona anamnesi ed esame obiettivo
accurato, dato che in certe patologie e sindromi complesse queste componenti rivestono un ruolo decisivo
nel prendere decisioni corrette e rapidamente.

Uomo in buone condizioni generali 72 anni.


Deambula autonomamente.
Si reca in PS per vertigine soggettiva e obnubilamento del visus, toracalgia iniziata 10 giorni prima
dell'accesso che si allevia in posizione seduta. Il curante, per sospetta pleurite, lo trattava con antibiotico
(ceftriaxone e associazione fluticasone con salbutamolo)

Perchè è stato curato per pleurite?


Un dolore di quel genere, può far pensare a una pleurite secca o a un inizio di pleurite associata a focolaio,
anche se avrebbe dovuto esserci un versamento anche minimo. Il medico aveva stabilito una terapia
empirica.
Ha pensato a pleurite consensuale a un focolaio, cosa frequente in una persona anziana. Ciò che non torna
è l'obnubilamento occasionale del visus che il paziente lamentava e che a Baggiovara non si sapevano
spiegare.
Endocardite? Potrebbe essere anche un endocardite.

IN ANAMNESI
- il paziente riportava una cardiopatia ipertensiva con Fibrillazione Atriale parossistica in terapia
anticoagulante. Ad aprile 2009 veniva ricoverato in cardiologia a Baggiovara per parossismo della
fibrillazione ed era stato trattato con cardio-versione elettrica con ritorno al ritmo sinusale.
Cardio-versione elettrica: Si fa anche in condizioni di emergenza urgenza in ritmi defribillabili, usando una
intensità di 200joule, mentre quando si deve cardio-vertire un aritmia sopra-ventricolare si fa sedazione
con Midazolam e poi, con intensità pari a 80-100J, si tenta la cardio-versione.
Il paziente aveva anche un distiroidismo dislipidemico. Nel 2008 diagnosi di TVP e, tra le altre indagini
eseguite, l'ecografia dell'addome mostrava una ectasia a carico dell'aorta addominale.

2,5-3cm -> ectasia


> 3cm → Aneurisma di aorta addominale

ESAMI DI LABORATORIO
- anemia con ridotto Ht
- INR molto elevato
- piastrinosi spiccata, probabilmente reattiva a stato di flogosi.
- allungamento del tempo di Quick (faceva warfarin!)
- PCR elevata
- Non c'è incremento dei globuli bianchi.
Quando le infezioni sono a genesi virale e gram - non sempre c'è spiccato aumento dei leucociti e a volte
non c'è nemmeno aumento dei neutrofili. Inoltre bisogna considerare che gli anziani che non hanno difese
immunitarie molto attive, a differenza dei giovani.
La flogosi può essere collegata a eventuale processo infettivo.
EGA arterioso in PS. Ricordiamo che era un malato che aveva anche del dolore. pH come da alcalosi, pCO2
lievemente ridotta. Un soggetto che è anche ansioso per il suo stato di salute iperventila.
IMAGING DEL TORACE in PS.
Le strutture più importanti su cui concentrarsi sono coste, aia cardiaca, trachea, bolla gastrica, seni
costofrenici.
- Seni costofrenici lievemente impegnati.
- Non c'è ectasia del bottone aortico.
- Sono nella norma le strutture e la trama broncovascolare. Non c'è neanche la distribuzione apicale
del flusso, come si ritrova spesso in scompensi emodinamici. [potrebbero chiedere agli esami
interpretazione di una lastra del torace normale o patologica..]
- Ombra cardiaca un po' ingrandita.
- Addensamento retro cardiaco sinistro.

Il suo curante aveva visto giusto. Ha formulato l'ipotesi di un versamento consensuale a patologia flogistica
polmonare (focolaio) che giustifica anche gli esami che denotano flogosi.

ECG in PS.
- Frequenza: 130bpm in media, aritmico. Tachicardia,
- Complessi stretti, assenza di onde P, alterazione della ripolarizzazione in V2 e V3 (è un reperto
frequente)
Quando il ritmo è incrementato, il tempo di diastole è diminuito e la ri-perfusione coronarica di
conseguenza.
È un tipo di tachicardia sopraventricolare, una tachi fibrillazione atriale.

- Si vedevano le onde F.
Nelle fibrillazioni atriali, a parte che non c'è uno spazio costante tra i complessi ventricolari, c'è diversa
altezza e diversa ampiezza fra i complessi.
Tutte le persone di una certa età vanno incontro in generale a alterazione tipo fibrillazione atriale. Di solito
non sono particolarmente pericolose, fino a quando non sviluppano ritmi particolarmente frequenti.
In questo caso, il polso non è molto frequente dato che il cuore compensa in modo discreto alla fibrillazione
atriale. Se vi è una grossa discrepanza tra il numero di pulsazioni cardiache e il numero di pulsazioni
periferiche, vuole dire che il cuore non mantiene un circolo costante. Ecco perché le forme di tachi
fibrillazione atriale ad alta frequenza sono pericolose, perché non riesce a essere garantito il riempimento e
lo svuotamento del ventricolo sinistro.
Con digitale o altri farmaci cerco di ridurre la frequenza cardiaca e di conseguenza aumento le pulsazioni
efficaci periferiche.

Altro ECG
- Frequenza tra 75-80bpm.
- Intervalli RR di uguale ampiezza, individuabili le onde P.
- Ritmo sinusale.

Da questo fatto deduco che il paziente non aveva una fibrillazione atriale cronica, ma in parossismo. Un
soggetto con questo profilo ha più elevato rischio cardio-embolico rispetto a coloro che hanno fibrillazione
atriale cronica.

TC ENCEFALO S/MDC IN PS
Eseguita in PS, per dare una spiegazione alla sfumata sintomatologia neurologica.
Era negativa, non mostrava focolai emorragici ne lesioni ischemiche recenti.

IN REPARTO
Il paziente si presenta vigile e collaborante. È febbrile.
Pressione Arteriosa nella norma.
Di nuovo torna a presentarsi un ritmo di 123bpm aritmico.
La saturazione è nella norma e non è dispnoico.
A causa della polmonite, non si riesce a valutare bene l'obiettività cardiaca, si rilevano toni concitati in
successione aritmica. All'esame obiettivo del torace c'erano crepitazioni medio-basali, consensuali con
focolaio in sede retro cardiaca sinistra.
Addome non patologico.
Terapia confermata rispetto a domiciliare, tranne Warfarin, dato che il paziente era fuori dal target
terapeutico.
Si instaura terapia antibiotica con penicillina protetta (ampicillina+sulbactam 3gr, con triplice
somministrazione al giorno)

Il paziente è arrivato in reparto alle 18.00 e la sera il medico della notte è allertato dal personale
infermieristico perché il paziente non sta bene e lamenta dolore precordiale di tipo oppressivo, che si
allevia con la posizione seduta e reclinando il busto in avanti.
Questi erano sintomi già presenti a poussèes da una decina di giorni. Auscultando, il medico di guardia
coglie un rumore aggiunto da verosimile sfregamento pericardico.

IPOTESI
- Pericardite per la posizione antalgica che teneva, per l'esame obiettivo e perché dura da tanti
giorni.
- Richedere ecocardiografia?: ha avuto una TVP che potrebbe essere resistente a anticoagulante,
come spesso sono le forme di tromboemboliche para neoplastiche
- Richiedere emocolture: endocardite? Erano state richieste.

È dolore stenocardico (da angina)?


Lamentava questo dolore da 8-10gg quindi è più compatibile con qualcosa di pre-esistente. Potrebbe
essere dovuto al focolaio retro cardiaco che è molto grosso ed è confermato dagli esami di laboratorio che
orientano verso una flogosi.

Il paziente stava bene il mattino dopo! Non presentava nessun sintomo di tipo specifico.

CONSULENZA CARDIOLOGICA
È stata richiesta dal medico che ha gestito il paziente durante la prima notte, che ha richiesto anche un
ecocardiografia.

ECG Viene fatto durante l'accesso di toracalgia.


Confermata la tachi fibrillazione atriale.
E viene somministrata Metil-digossina che riduce la frequenza (non è antiartimico, è solo cronotropo
negativo e inotropo positivo) e Paracetamolo a scopo antalgico.

Nel sospetto di pericardite è caldeggiata valutazione cardiologica con ecocardiografia,

Eseguito altro dosaggio di troponina a 10 ore


[non è la curva tipica, perché ora si dosa la troponina con un timing di tre determinazioni, fatte ogni 6h..]
Troponina T è indice di miocardio necrosi sensibile e che si eleva già dopo la 4° ora.
È marcatore più specifico rispetto a Mioglobina, che si altera entro la 1 ora ma ci possono essere fattori
confondenti come insufficienza renale e altri tipi di danni muscolari.
Altro marcatore che si dosa nelle prime fasi è la CK-MB che si eleva entro le 4 ore ma il suo picco è prima,
non ha questa curva cinetica più ampia come la troponina.
Nel sospetto di evento ischemico cardiaco si fanno sempre le tre determinazioni della troponina, a 4, 6 e 12
ore.
Vanno fatte SEMPRE eseguite tutte e tre le determinazioni, anche se le prime due sono negative, dato che è
importante avere una cinetica dell'enzima.

Al mattino stava bene e l'esame obiettivo cardiaco era più semplice, dato che il cuore aveva un ritmo
normale. Veniva riscontrato questo soffio: rumore di Flint, da insufficienza aortica. È un rullio telediastolico.
[Questo alle ore 10.00 del mattino]

Si decide di fare immediatamente un ecocardiografia, anche se non con la sonda dedicata. Le sezioni di
destra sono ai limiti superiori, non francamente dilatate. La vena cava è ectasica, ma ancora collassabile con
gli atti del respiro. B
isognava infatti escludere la tromboembolia polmonare, che può causare una imponente dilatazione delle
sezioni di destra e immobilità della vena cava con gli atti respiratori. È stato individuato uno spazio eco-
privo compatibile con versamento pericardico.

Viene inviato in cardiologia per eseguire valutazione specialistica e ecocardiografia. Durante il tragitto il
paziente ha un'improvvisa perdita di coscienza con arresto cardio-respiratorio. Tentata Rianimazione
CardioPolmonare.
All'esordio, è stato rinvenuto un ritmo elettrico non defibrillabile con attività elettrica senza polso.
Somministrate 4 fiale di adrenalina, senza evidenza di un ritmo defribillabile. Durante la rianimazione, la
cardiologa eseguiva ecocardiografia con sonda delicata che documentava versamento ubiquitario.
Non riusciva a individuare la radice e l'arco aortico. Ha tentato una pericardiocentesi con accesso
sottoxifoideo, ma ha estratto solo pochi cc di liquido.
Ore 17.50: decesso per morte improvvisa.

Il paziente è morto in questo arco molto ristretto di tempo, in cui, nonostante non presentasse più i sintomi
caratteristici, l'iter diagnostico era stato mandato avanti velocemente.
Hanno chiesto alla famiglia di eseguire autopsia di questo malato, perché la causa della morte non era
chiara.
Hanno scoperto, mentre parlavano con i parenti, che questo paziente presentava, in anamnesi famigliare,
altri due morti improvvise di persone più giovani. Era importante anche per la famiglia capire come mai si
verificavano queste morti improvvise, quindi hanno accettato di eseguire l'autopsia.

REFERTO UFFICIALE AUTOPSIA


Vasto versamento siero-ematico con polmone sinistro collassato. Vasto ematoma da tamponamento
cardiaco.
Distacco della tonaca intima e media a livello di aorta (arco aortico e aorta toracica).
Distacchi come da dissecazione.
Tamponamento cardiaco in paziente con dissezione dell'arco aortico in aorta toracica.

Si ricordi che nell'eco precedente c'era aneurisma addominale borderline.


Questa famiglia che presenta una diatesi particolare per lo sviluppo di aneurismi.
L'arco è il punto più critico, dove c'è la maggior sollecitazione pressoria.
Se c'è già una breccia, è più suscettibile a rottura.

Flowchart per DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL DOLORE TORACICO:


- Infarto del miocardio
- Angina pectoris
- Tromboembolia polmonare
- Pleurite
- Sindrome di Tiezte
- Percicardite
- Spondiloatrosi
- Discopatia
- Aneurisma dissecante
- Malattia da reflusso gastro-esofageo

PRINCIPALI CAUSE DI MORTE IMPROVVISA


- Coronaropatie
- Infarto del miocardio
- Cardiopatie valvolari
- Miocardite
- Tromboembolia polmonare
- Sindrome di Brugada. È una canalopatia genetica caratterizzata da grande suscettibilità del giovane
a fare delle aritmie (tahicardia ventricolare, fibrillazioni...). Si impianta un de-fribillatore per evitare
le morti improvvise.
- Dissezione aortica
- Sindrome del QT lungo
- Emorragia cerebrale subaracnoidea (donne 30-35 anni in stress emotivi molto forti)
- Emorragie digestive massive con inalazione

SINDROME AORTICHE ACUTE


1) Dissezione aortica
2) Ulcera aortica asintomatica
3) Ematoma intramurale.

DISSECAZIONE
Sviluppo di un lembo intimale che separa il lume vero dal falso lume e si può diffondere in senso
anterogrado, retrogrado e può dare fissurazione.
Può interessare i rami laterali con segni di ipoperfusione e tamponamento.
A seconda del tipo di dissezione esistono paradigmi terapeutici e procedure da eseguire.

1) Tipo A: ascendente
La mortalità si eleva ogni ora che passa ed è la più grave.
Le complicanze più frequenti conducono a morte e sono il tamponamento cardiaco e la dissezione delle
arterie coronarie.
Si ritrovano segni di ipoperfusione a livello del distretto cerebrale e cardiaco.

2) Tipo B
Decorso meno grave.
La terapia può essere anche solo medica.
Mortalità minore rispetto al tipo A.
Ipoperfusione a livello renale, splancnico e a carico degli AAII

FATTORI DI RISCHIO
- Ipertensione
- Tabagismo
- Malattie ereditarie come il Marfan (dove è presente anche suscettibilità a vizi valvolari, prolasso
mitralico fino a rottura delle corde tendinee dei muscoli papillari) e Ehlers-Danlos
- Caortazione aortica
- Difetti valvolari congeniti
- Ectasia aortica
- Sifilide terziaria
- Vasculiti
- Sostanze tossiche
- Dislipidemia
- Aorto-sclerosi
- Familiarità

Per tutti i pazienti inclusi in questa lista, è necessario uno screening per dilatazione aneurismatica dell'aorta
ascendente, soprattutto se è associata ipertensione o condizioni strutturali per cui il paziente è a rischio, è
utile effettuare un ecocuore annuale.
I pazienti con sindrome di Turner, per esempio, hanno tessuti estremamente fragili che possono alterarsi.

È stato presentato questo studio di 10 anni fa su un campione significativo:


- Tipo A - 27,4% mortalità, anche quando il paziente era ricoverato in ospedale.
Anche quando è stata fatta diagnosi e terapia chirurgica, la morte è del 26%.
Se non si può procedere con la terapia chirurgica, la mortalità è del 58%.

- La dissecazione di tipo B presentava valori ben diversi. È stata diagnosticata nel 38% con la
valutazione iniziale, molte diagnosi sono fatte post-mortem.
La mortalità è tempo-dipendente, dopo 24h e 48 h si eleva molto. Sono il 2,3% delle morti improvvise.
Ha un incidenza di 1/100.000.

INDAGINI DIAGNOSTICHE DA ESEGUIRE:


- Gli esami ematici e ECG non sono molto contributori.
- Anche Rx torace non permette di far diagnosi, al massimo sono individuabili segni indiretti.

- L'ecocardiografia non è un esame decisivo, ma consente all'internista o al cardiologo di ottenere un


primo livello di diagnostica
- Poi richiedere un angio-TC, esame dirimente che permette di allertare il cardiochirurgo.
In ecocardiografia si vede versamento pericardico, che comunque non sempre si individua bene a causa
delle finestre acustiche.
Non sempre si visualizza chiaramente l'arco aortico.

- Il D-dimero non è specifico, anche se si può elevare. Non fornisce aiuto aggiuntivo al clinico.

TERAPIA
- La terapia medica fa solo da ponte all'intervento chirurgico nel tipo A.
Riduce la frequenza e la gittata, per ridurre il più possibile lo stress sulla parete del vaso.
La terapia tenta di prevenire la rottura e il tamponamento, l'insufficienza aortica massiva e la malperfusione
con sindrome compartimentale.
- Si propone, chirurgicamente, di eliminare la lesione, ricostruire l'aorta e correggere il vizio valvolare
associato (insufficienza aortica).

Immagine di repertorio in angio-TC. Si vede che il paziente era già stato trattato dato che si vedono le clips.
I precedenti trattamenti, le procedure interventistiche vascolari, come angio-TC con stent, bypass e protesi
endo-vascolari, elevano il rischio.

Risposte alle Domande.


Non c'è nessun rapporto tra la dissezione aortica e infezione polmonare.
È probabile che questo malato abbia cominciato ad avere la sintomatologia a casa, nei 10gg che hanno
anticipato il ricovero in ospedale.
La problematica del versamento pericardico è stata diagnosticata in breve tempo, solo che ha causato la
morte improvvisa da inondazione.
Quando c'è un versamento pericardico va individuata la causa del versamento, soprattutto in un paziente di
questo tipo.
Non so se avere saputo prima la storia familiare avrebbe cambiato qualcosa.
La questione è che l'anamnesi non viene fatta subito quando il paziente viene ricoverato in reparto e
comunque non viene in PS.
È passato infatti pochissimo tempo, 24ore, dall'ingresso in ospedale alla morte del paziente e comunque in
mezzo c'è stata la notte.

La dissecazione aortica è estremamente dolorosa, e il fatto che il paziente non presentasse questo dolore
così forte è stato un elemento confondente.
Sembrava una cosa di tipo più cronico, non acuto.
Nonostante questo, l'ipotesi del versamento pericardico è stata preso in considerazione.
MORBO DI ADDISON
CASO CLINICO
Questa lezione riguarda un caso molto interessante che abbiamo incontrato, anzi uno dei più interessanti
degli ultimi anni.
La storia di questo paziente, maschio di 78 anni, inizia nel 2009. Durante un viaggio all'estero ha un
episodio febbrile con nausea e vomito, prima alimentare poi di liquidi,molto importante tale che il paziente
non riesce nemmeno ad alimentarsi o bere. Oltre a questo quadro presenta un progressivo peggioramento
delle condizioni generali risultando obnubilato e poco reattivo agli stimoli, con un eloquio molto rallentato
e incapace di tenere una stazione eretta. Addirittura viene trovato sdraiato semisvenuto nella sua camera
d'albergo.
All’ esame obiettivo il paziente presenta un polso piccolo tachicardico, con estremità fredde e sudate.
Cosa avreste fatto voi se foste stati il medico dell'albergo all'estero?
Portato in ospedale.
Il paziente viene ricoverato in pronto soccorso dove vengono fatti diversi esami di primo livello: ECG;
pressione (85/60); 37,5 di febbre;
esami del sangue d'urgenza (alterazioni: leucocitosi, elettroliti alterati, glicemia bassa, creatinemia
aumentata); emogas venosa normale; rx torace ( esiti di pachipleurite calcifica, senza lesioni pleuro
parenchimali in atto).

I dati possono essere compatibili con qualcosa di infettivo associato a disidratazione. Di conseguenza viene
somministrata una glucosata ipertonica (due fiale), altri liquidi, una glucosata al 10%, fisiologica con
elettroliti, copertura antibiotica. Nel giro di qualche ora il paziente migliora nei parametri vitali, viene
ricoverato e trattenuto in osservazione.
A questo punto sono importanti i dati di anamnesi: il paziente ricorda gli esantemi infantili, ricorda che
all’età di 13 anni ha avuto una pleurite destra che si è risolta molto lentamente con febbre alta; nel 1980,
cioè a 49 anni, ha avuto un intervento chirurgico al polmone destro per svuotamento di una lesione
ascessuale, in seguito a quel intervento ricorda di avere assunto per un periodo prolungato una terapia a
base di streptomicina ed etambutolo ( indicazione forse per una pregressa patologia specifica).
Il paziente ha avuto un lungo periodo di benessere fino al momento dell'evento acuto non assumeva
nessun tipo di terapia però riferisce che da qualche tempo presentava un aumento della faticabilità , con
ridotta capacità di concentrazione, spesso senso di freddo alle estremità. Aveva quindi fatto degli esami di
controllo recenti su consiglio del medico di base e dei familiari prima della partenza per il viaggio e gli esami
erano tutti normali.
Durante il ricovero il paziente va incontro, nella notte, a una nuova puntata febbrile questa volta più alta
della precedente con la comparsa di un importante stato soporoso, non risponde più gli stimoli esterni (lo
stato di responsività in un ospedale straniero è più difficile da valutare), pressione 70/ 40. I medici,
visitandolo, dicono di aver individuato una sospetta rigidità nucale.

Gli accertamenti utili in questo caso sono: puntura lombare per una sospetta meningite, emocoltura,
controllo pressione, emocromo.
L'emocromo evidenzia: aumento globuli bianchi ,creatininemia ridotta ,sodio basso ma stabile, glicemia
aumentata di poco, la PCR non è tanto aumentata.
Viene eseguita la puntura lombare che si presenta senza alterazione della cellularità, delle proteine o del
contenuto di glucosio e anche l'esame microscopico è negativo.
Due dati non quadrano: il glucosio basso nonostante la soluzione glucosata, la PCR non è aumentata (come
ci si aspetterebbe in caso di una infezione batterica come per esempio una meningite).
Un altro dato importante da valutare, di fronte ad un caso del genere, sono i lattati (sono un indice di
ipoperfusione) che nel caso specifico sono normali.
Il paziente deve essere trasferito in un reparto di terapia intensiva dove vengono eseguiti di nuovo gli esami
culturali (urine, sangue, liquor) che risultano poi tutti negativi, viene posizionato un catetere venoso
centrale (un catetere a 4 vie: 2 per infusione di liquidi, 1 per il prelievo di sangue e una via per la sonda per
misurare la pressione venosa centrale, utile per valutare, di fronte ad una condizione di ipotensione, la
quantità dei liquidi in circolo).
Attraverso questo catetere si comincia ad assistere il paziente con : infusione continua di noradrenalina
(che è la terapia di questa ipotensione) ,somministrazione di liquidi (fisiologica e glucosata per ripristinare
l'equililibrio idrosalino e compensare la tendenza all'ipoglicemia), somministrazione di antibiotici,
monitoraggio della PVC. Viene iniziata la nutrizione parenterale ed inoltre viene posizionato un catetere
vescicale.
Nel giro di tre giorni il paziente migliora nettamente, la pressione ritorna ai valori accettabili, non ha più la
febbre, è più reattivo e vigile, collaborante, risponde agli stimoli, la colture sono negative, la terapia
endovenosa viene sospesa, gli esami tornano tutti nella norma.

Il paziente viene ricoverato di nuova nel reparto di medicina per la diagnosi della causa di questo evento
acuto.
Con questa clinica quali sono gli elementi più importanti da cui partire?
Tra tutte le ipotesi che vengono fatte quella che riesce a collegare gli elementi principali della storia clinica
(ipotensione e ipoglicemia) è l'ipocortisolemia.
In effetti i dati coerenti con il quadro sono l'iposodiemia, l'ipoglicemia e uno stato confusionale in corso di
stress acuto ( in questo caso l'episodio febbrile all'estero) che sono i segni tipici di insufficienza surrenalica
acuta.
Questa si dimostra con il dosaggio di ACTH ( per discriminare l'insufficienza in primaria o secondaria),
cortisolo urinario nelle 24h e aldosterone, ma soprattutto con il dosaggio della cortisolemia dopo test
stimolazione.
Infatti i primi esami risultano nella norma ( se non ACTH leggermente elevato), ma il test di stimolazione
con ACTH-analogo risulta alterato e questo dato è diagnostico per l'insufficienza surrenalica.
Vengono dosati anche gli ormoni tiroidei per escludere un coinvolgimento di altri ormoni ipofisari e un
ipotiroidismo subclinico che potrebbe dare un quadro simile. Quindi si arriva alla diagnosi di Morbo di
Addison.
Il paziente viene dimesso in sesta giornata con una terapia di tipo sostitutivo: Idrocortisone 20mg al mattino
e 10mg la sera (per simulare i picchi fisiologici). Un'altra cosa da valutare è il Fluoroidrocortisone come
associazione che agisce molto sulla pressione e ha minori effetti glucocorticoidei.
Viene consigliato un attento controllo glicemico ed un adeguata idratazione.

A questo punto il paziente rientra in Italia .


Bisogna aggiungere che il paziente presentava anche altri due segni tipici del Morbo di Addison: un colorito
cutaneo più scuro del solito e la tipica iperpigmentazione delle pieghe delle mani ( riguarda l'insufficienza
surrenalica primitiva ).
Ora resta da capire l'eziologia dell'insufficienza surrenalica.

LE CAUSE PIÙ FREQUENTI DI MORBO DI ADDISON sono:


- TBC,
- atrofia idiopatica del surrene,
- apoplessia surrenalica,
- sindrome di Waterhouse-Friderichsen,
- eziologia autoimmune.

Viene esclusa l'eziologia autoimmune con un test specifico che risulta negativo e con ANA test negativo;
l'ipotesi infettiva viene esclusa per mancanza di febbre e colture negative (non è alta la procalcitonina che é
un marker che aumenta fedelmente in corso di infezione batterica); il test alla Tubercolina risulta positivo.
Viene eseguita una Tac: al torace si nota la pachipleurite calcifica; all'addome si nota l'ipertrofia del surrene
di sinistra e il surrene di destra é atrofico e parzialmente calcifico come da esiti di infezione specifica (dal
referto del radiologo).
Il paziente viene dimesso in terapia con Cortone (analogo dell’ Idrocortisone il quale non è in vendita in
Italia) e riprende la sua vita.
Dopo 2 anni (maggio 2011) il paziente fa un viaggio in treno e al suo ritorno presenta febbre alta e dispnea.
Il medico al domicilio somministra un antibiotico e paracetamolo. Nella notte al domicilio la febbre sale
ancora, si presenta uno stato confusionale e ipotensione. Il paziente viene portato in ospedale e ricoverato.
Gli esami indicano una leucocitosi (85% di neutrofili), PCR aumentata con gli altri dati nella norma.
Viene eseguita Rx torace, ECG, emocoltura, urinocoltura, coltura dell'espettorato, ricerca dell'antigene
urinario di legionella e pneumococco (paziente immunodepresso a contatto con l'aria condizionata).
Rx torace: un addensamento a dx più in alto rispetto alla zona della pachipleurite e un addensamento
basale a sx. Questo quadro ci fa pensare subito ad una polmonite. Viene iniziata la terapia antibiotica con
Beta-lattamina e Macrolide. Piperacillina e Tazobactam 4,5g x3 + Azitromicina 1fl.
Questa è una terapia da polmonite nosocomiale e il fatto che sia immunodepresso giustifica l'aggressività.
Inoltre la terapia prevede liquidi con soluzione glucosata e soprattutto adeguamento della terapia
sostitutiva con l'associazione di Metilprednisolone 40mg x2.
Il paziente migliora rapidamente sotto tutti i punti di vista ed in ottava giornata viene dimesso con una
terapia antibiotica con Cefixima (cefalosporina di terza generazione in monosomministrazione orale). La
diagnosi finale è quindi di polmonite a focolai multipli in paziente con Morbo di Addison.
Dopo due mesi di benessere, a partire dai primi giorni di settembre, il paziente presenta un improvviso
peggioramento delle condizioni generali con un quadro prevalentemente di tipo neurologico (i parenti
comunicano una difficoltà ad alzarsi in piedi, a muoversi, e a mantenere l'equilibrio, la palpebra dx non si
solleva e difficoltà nell'articolazione delle parole).
Poi presenta nausea, diminuzione dell'appetito, senza rigore nucale, non è presente tosse e non sono
presenti nemmeno disturbi urinari. I sintomi neurologici depongono per una sofferenza a carico della base
cranica.
Il paziente viene quindi ricoverato.
Gli esami sono sostanzialmente normali.
Esegue Tac addome e torace.
La visita neurologica indica deficit di coordinazione ma non di forza, disartria, nistagmo, Romberg positivo e
conferma una sofferenza a carico della base cranio da valutare con Tac. La TAC encefalo risulta negativa per
segni di ischemia che giustifichino il quadro.
Il paziente effettua anche il Quantiferon che risulta molto positivo. Il paziente viene idratato, riceve una
terapia antibiotica aspecifica e chiede di essere dimesso e viene programmata una RM encefalo e
rivalutazione neurologica.
Dopo 4 giorni il paziente peggiora nuovamente e nella notte del 25 settembre presenta un nuovo episodio
febbrile. Per questo motivo viene ricoverato di nuovo e fa una Tac addome e torace e una Tac encefalo che
indica un quadro di edema non presente in precedenza. Viene eseguita l'Angio-RM che non evidenzia
lesioni ischemiche.
Viene poi eseguita la RM con mdc.

Il mezzo di contrasto cambia radicalmente la situazione: quello che si vede sono numerose lesioni nella
base cranica, molto più diradate negli emisferi.

Il radiologo dice:
“Dopo somministrazione di m.d.c. si evidenziano numerosissimi tondeggianti foci di presa di contrasto
patologici di aspetto nodulare, omogenei e a bersaglio, distribuiti in più sedi, tra cui bulbo, ponte,
mesencefalo, emisferi cerebellari, talamo, corpo striato… del diametro massimo di circa 7-8 mm.
Concomita dubbio enhancement leptomeningeo in sede bulbare”

Cioè tutto appare dentro al cervello, molto poco l’interessamento delle meningi, forse a livello bulbare.
Questa alterazione si trova forse anche a livello del midollo allungato e anche del midollo spinale all’altezza
di C1-C2-C3-C4-C5-C6….è completamente impallinato!

A questo punto cosa fareste?


Innanzitutto la radiologia con l’uso del mezzo di contrasto ha scaturito un cambiamento talmente grande
che quando ho visto il prima e il dopo mi è venuto freddo per questo motivo: quante volte ho mandato a
casa un paziente facendo diagnosi di involuzione cerebrale basandomi solo su una TC e non gli ho fatto una
RM con mezzo di contrasto? Magari è successo altre volte di avere una cosa di questo tipo.
Vi rendete conto dell’importanza dell’uso del mezzo di contrasto: cambia completamente la prospettiva!
A questo punto non solo il medico che aveva in gestione il malato, ma anche il neuro radiologo e tutti gli
altri si sono appassionati al nostro caso e hanno fatto OOOHHH nel vedere una cosa di questo tipo.

Quindi che cosa facciamo a questo punto? Che cosa fareste? Scatenatevi!
- Antitubercolari via liquor
Direttamente intra liquor! Quindi fai una diagnosi di encefalite tubercolare. Ok.

- Rachicentesi

Prima cosa: stiamo correndo in maniera sbagliata secondo me, non so se siete d’accordo. Noi dobbiamo
imparare un metodo ed è difficile mettersi questa cosa nella testa. Bisogna cercare di non avere pregiudizi
ma di mettere in tasca tutte le cose che abbiamo per arrivare a una diagnosi. La prima cosa fondamentale è
che quest’uomo con questa storia estremamente complicata viene dentro per un problema cerebrale e
scopriamo che ha un impallinamento cerebrale e del midollo.

Ma che cavolo sono questi pallini?


- Metastasi: un’ipotesi di tipo neoplastico/tumorale di tipo secondario in questo caso
ricordo polmone negativo (aveva fatto un Rx torace e una TC la settimana prima). Per vedere se ci sono stati
dei cambiamenti a quel livello, andrebbe fatta un’altra TC ma non è il caso di farne così a breve distanza e
riempire di radiazioni il pz.
Però mi suggerisci che nella TC precedente il pneumologo aveva detto di controllare tra 20 gg quella cosa:
quindi un’altra idea può essere quella di ripetere l’esame per andare a ispezionare quel nodulo.

- E se fosse un problema di origine cardio embolica?


Attenta, se tu dici che è una cosa di origine cardio embolica cosa avresti nella RM, ipotizzando che siano
tante lesioni ischemiche? Cos’ è che non ci va con le lesioni ischemiche?
Il mezzo di contrasto prende il contrasto! Se fossero lesioni ischemiche, non lo prenderebbero e il nostro
dato anziché’ in positivo sarebbe in negativo.
Quindi su questa idea che comunque potrebbe essere giusta in un altro momento, ci mettiamo una croce
sopra. Cerchiamo ci ragionare con quel poco che abbiamo.

- io penso che magari potrebbero essere degli emboli settici perché il paziente si sia rifatto una
polmonite.
Cos’è che non ci sta con questo?
Non è un caso che ti abbia fatto vedere il caso di polmonite prima. La volta precedente che lui si è fatto la
polmonite aveva tutti i dati di una polmonite: la PCR alta, la leucocitosi, la febbre, mentre qui la febbre non
c’è e la PCR è normale. E’ vero che è sotto cortisone ma lui fa il suo dosaggio normale, sostitutivo.
E’ un’altra idea però il torace è negativo e proprio per questo dice facciamo un’altra TC.
Quindi l’infezione è probabile o no? PCR normale, non ha febbre, se avesse un impallinamento di quel
tipo lì…cavolo!

Tu quale esperienza hai in merito? Nulla! Quello che leggo. Deve essere un’idea, visto che abbiamo a
disposizione una cosa che abbiamo a disposizione una cosa che si chiama internet, vai a controllare e poi
magari dici: a me tubercolosi non sembra perché raramente da un quadro di questo tipo.

Ricapitolando le ipotesi che stanno venendo fuori sono:


- La tubercolosi
- Una neoplasia
- Una polmonite miliare
- Tra tutti i tumori quello che mi viene in mente è un microcitoma che insorge nel polmone piccolino, ma
metastatizza ampiamente a distanza.

Altre idee?
- Tante piccole emorragie cerebrali
Va bene. Ma cos’è che non ci sta? Queste numerose lesioni sono tante, piccole e a margini ben delimitati.
Un’emorragia ha quel quadro lì?

- Potrebbe essere qualcos’altro d’infettivo?


Bravissima dottoressa! Lei sta uscendo un attimo dalle ipotesi fatte finora per valutare se potesse essere
qualche cosa di diverso.

- Cisticercosi
- Neuro toxoplasmosi. Lui non ha i gatti, li aveva una volta
- Aspergillosi
- Pneumocistis carinii
- Istoplasmosi
- Criptosporidium
- Criptococcus neoformans
- Poi tutti i virus:
- HSSV 6, HSSV 8
Quindi considerata l’ipotesi infettiva, quando abbiamo chiamato l’infettivologo, lui è andato in brodo di
giuggiole e ha dato tutta una sfilza di esami da fare che non vedeva l’ora e noi li abbiamo fatti tutti
ovviamente.

Ricapitolando ipotesi infettiva: ipotesi tubercolare ok, ma ci sono altre opzioni da considerare.
Il paziente è da considerare immunodepresso, si?

- Sclerosi Multipla
Cosa ne dite di una SM?
- Magari in passato, prendendo il cortisone l’ha sempre tenuta controllata ed è progredita quindi
asintomatica.
La sclerosi multipla in Risonanza da delle lesioni ipo- o ipercaptanti?
- Dipende dal grado di attività.
Ok. Ma di fronte ad un quadro del genere non ne troviamo neanche una in fase attiva? E’ un’ipotesi, giusta,
ma non la metto tra le più probabili.

Poi? Almeno altre 2…


Una vasculite? Potrebbero essere delle piccole lesioni diffuse di una vasculite cerebrale che determinano un
quadro di questo tipo.

- Avevamo fatto un ANA test ed era risultato negativo


Lo avevamo fatto due anni fa. Una vasculite potrebbe venire anche due anni dopo, no?
- Scusi ma se prende il cortisone, la lesione vasculitica non dovrebbe essere controllata?
Perché? Sarebbe come dire che tu non puoi fare una vasculite, perché lui prende il cortisone che non
produce, non prende un cortisone farmacologico.

- Forse per il fatto che sono perfettamente rotonde, non mi farebbe pensare a una vasculite.
Ok, non ti farebbe pensare come prima cosa a una vasculite, ma capisci che è un’ipotesi a cui pensare.
C’è almeno un’altra cosa che devi venirvi in mente.

- per quanto riguarda l’ipotesi vascolare, la PCR non dovrebbe essere mossa.
Effettivamente i valori (0.81) ci consentono di scartare l’ipotesi vasculitica.
Poi? Non vi viene nient’altro in mente? Che dite di un linfoma?
Dovete pensare anche ad un linfoma cerebrale.

Quindi siamo in fase di diagnostica differenziale, teniamo ben conto della storia del paziente, ma dobbiamo
fare la diagnosi di queste lesioni.
E’ certo che queste lesioni sono la causa della sintomatologia attuale del paziente? Assolutamente sì,
considerate la sede e la clinica non c’è alcun dubbio, ok?

Quindi teniamo presente la clinica, il quadro neurologico progressivo, non acuto, i vasi sono indenni e ci
sono pochi segni di flogosi, la TC total body recente è negativa.
Se ci fosse un tumore o una massa che provoca delle metastasi anche di un microcitoma si troverebbe
qualcosina con la TC. E l’ha fatta la settimana prima.

La storia clinica: è un paziente in terapia steroidea, è immunodepresso e ha una storia praticamente di


pregressa TBC.
Quindi le ipotesi sono:
1) Infettiva: batterica, virale, protozoaria…
2) Autoimmune: vasculite

Quindi cosa parte? Partono tutti gli esami, anche se il radiologo ci aiuta molto.
Il radiologo infatti non ci descrive solo quelle cose lì ma si sbilancia.
Perché in casi del genere non si fanno solo gli esami, ma ci si parla: e quando il medico di Medicina Interna
comunica con l’infettivologo e con il Neuro radiologo spesso si arriva a pensarla giusta.
Il radiologo un po’ influenzato dai nostri discorsi dice che “i reperti sopra descritti sono di non univoca
interpretazione. Possono essere riferibili in prima ipotesi a patologia infettiva, parassitaria o fungina, non
escludibile una disseminazione miliare di TBC. Meno probabile una natura sostitutiva.”
L’ipotesi di una neoplasia è scartata completamente da radiologo.
“Comunque risultano necessari ulteriori esami laboratoristici e strumentali”
La diagnosi ancora noi in tasca non ce l’abbiamo e non c’è tempo da perdere perché questo paziente qua se
continua così tra un po’ potrebbe peggiorare gravemente.

Quindi cosa facciamo?


- Emocoltura, urinocoltura, coprocultura per batteri e Micobatteri
- Marcatori neoplastici:
o CEA,
o NSE (Neuron Specific Enolase),
o PSA,
o beta2microglobulina,
o CA 19.9,
o AFP
- Tipizzazione linfocitaria
- Test per l’autoimmunità: ANA, ANCA,
- Striscio di sangue periferico

- Sierologia per qualunque cosa:


o Sifilide,
o HIV,
o Polioma virus,
o Galattomannano (antigene dell’Aspergillosi),
o Criptococcus Neoformans.
Facciamo un’altra cosa. Qualcuno prima suggeriva: - andiamo a fare il prelievo laddove c’è la lesione. Gli
facciamo la puntura lombare.
Per l’esecuzione della puntura lombare abbiamo 2 problemi: ditemi quali.
- Considerando la situazione di edema cerebrale potremmo avere l’erniazione del bulbo.
Bravissima Dott.ssa! Lui ha un interessamento della base con un edema cerebrale importante. Se facciamo
la puntura lombare il rischio di avere una erniazione è molto elevato. Erniazione è uguale a morte perché si
stirano i nervi cranici, si comprimono e il soggetto va incontro ad arresto cardiocircolatorio. Quindi sono
tutti terrorizzati dal fare la puntura lombare.
Poi c’è un altro problema: questo tipo di lesioni non interessano quasi per nulla le meningi, tanto è vero che
lui non ha nessun segno meningeo, non ha rigor nucale, giusto?
Se non interessa le meningi può anche essere che tu ti assumi il rischio della rachicentesi ma poi non trovi
niente di significativo nel liquor. Fatto sta che nessuno osa fare una puntura lombare.

Allora cosa fareste voi a questo punto?


Per l’ipotesi neoplastica abbiamo fatto i marcatori e abbiamo una TC recente, per l’ipotesi di un linfoma
abbiamo la tipizzazione linfocitaria, beta2microglobulina, uno striscio di sangue periferico, eventualmente
possiamo fare una BOM (Biopsia Osteo Midollare) se qualcosa ce lo dice, anche se gli esami sono normali.
Per l’ipotesi infettiva potremmo fare la sierologia.
C’è qualche altra parte che potremmo andare a studiare secondo voi?
- possiamo biopsiare la lesione presente nel polmone.

Certo che possiamo. Oppure cosa?


- Un drenaggio per l’edema cerebrale
Un drenaggio? Lui è invasivissimo!
- andare a guardare il surrene atrofico con un Eco
hai idea di dov’ è il surrene? Prima di fare delle indagini dobbiamo considerare l’invasività e valutare se ci
sono delle altre indagini che ci dicono qualcosa pur non essendo invasive o almeno cercando di fare quelle
meno invasive possibile.

Qual è un esame meno invasivo di quello che si pensa che potrebbe comunque darci delle notizie sul nostro
paziente?
- Biopsia dell’arteria temporale?
Sì, se pensi a una vasculite cerebrale come per esempio ad una arterite temporale di Horton complicata,
oppure ad una granulomatosi di Wegener, giusto per dire qualche nome. Si potrebbe fare una cosa così.
Bene
- con una broncoscopia si potrebbe…

- Un BAL
Un BAL cioè questo paziente ha questa storia, questa TC, ha questi dati. Ha un fungo? Non lo sappiamo, ma
il polmone è proprio così indenne? Perché in fin dei conti nessuno lo ha mai studiato.
Gli facciamo il lavaggio bronco alveolare: il BAL è un esame che può essere fatto al letto del malato. Infatti
lui fa un BAL al letto con ricerca di micobatteri, di nuovo miceti filamentosi, Pneumocistis carinii, Nocardia,
tutto quello che viene in mente all’infettivologo.
Che cosa salta fuori?

“Il BAL è positivo per lo Ziehl Neelsen ma è positivo per auranina-rodanina. All’esame colturale è positivo
per il Micobacterium Complex” quindi c’è una diagnosi positiva per una TUBERCOLOSI. La tubercolosi è
presente dentro al polmone in questo momento quindi in fase probabilmente attiva.

Tutte le altre sierologie risultano negative, l’autoimmunità è negativa e tutti i marcatori neoplastici sono
negativi.
La cosa interessante dal punto di vista epidemiologico è che questi micobatteri che vengono isolati dal BAL
sono sensibili a tutto: questo dato perché è importante? Perché probabilmente stanno a significare che
sono vecchi. Questa è l’interpretazione che è stata data con l’infettivologo, cioè quel famoso “sbatacchio”
che abbiamo visto prima era forse un segno iniziale di riattivazione di malattia tubercolare che è passata nel
polmone e forse è successivamente andata a livello cerebrale. I micobatteri moderni sono in genere
resistenti ad un solo dei farmaci antitubercolari, mentre quelli più vecchi sono frequentemente sensibili a
tutto, il che ci piace.
Che cosa facciamo allora a fronte di questa clinica, a fronte di questa storia, a fronte di questa situazione il
malato che fine fa? Dove va il malato? Rimane in Medicina Interna?
In seconda giornata, perché siamo in un paese strano: lui arriva Domenica mattina, noi facciamo tutti gli
esami e nel primo pomeriggio facciamo la RM con mezzo di contrasto. Il risultato dato dal mezzo di
contrasto attiva l’universo, al Lunedì’ mattina abbiamo fatto il BAL, al Lunedì pomeriggio abbiamo il
risultato con isolamento colturale di Micobatteri e al Lunedì sera il paziente viene trasferito in Malattie
Infettive.
Viene messo in Isolamento, è un paziente con la tubercolosi; viene messo un Catetere Venoso Centrale,
viene messa una nutrizione parenterale.

Ecco la terapia Antitubercolare che gli mettono su:


- Isoniazide
- Rifampicina
- Etanbutolo
- Amikacina
- Pirozinamide

Tutto a dosaggio molto alto, perché l’ipotesi diagnostica è quella di una encefalite, o meglio considerando
che è interessato anche il midollo, ENCEFALOMIELITE DI ORIGINE TUBERCOLARE DI TIPO MILIARE. Il
dosaggio è molto elevato perché i farmaci devono passare quell’accidente della barriera ematoencefalica.
Se anche noi glieli spariamo dentro al liquor come suggeriva qualcuno di voi - perché evidentemente è un
accesso semplice che non da nessun tipo di problema, che possiamo fare tutti i giorni tranquillamente –
oppure gli mettiamo anche una derivazione come dice lui….

In più dobbiamo associare un’altra terapia molto importante, la terapia anti edema cerebrale: il paziente
deve fare.
- Desametasone
- Mannitolo
Il Desametasone è 25 volte più potente dell’Idrocortisone quindi lui con questa terapia si spara dei livelli di
Cortisone mostruosi perché in questo caso oltre a sostituirgli, direi egregiamente la sua insufficienza
surrenalica, lui deve avere anche l’effetto anti edema cerebrale perché probabilmente l’edema cerebrale è
legato alla situazione infiammatoria e questi Micobatteri, seppur non elevino molto la PCR, causano
comunque un effetto infiammatorio di edema cerebrale.
E, infatti, nel giro di 10 giorni il malato migliora tantissimo, tanto che riprende di nuovo conoscenza, questo
è un malato che rinasce ogni volta, ricomincia a fare le sue parole crociate, ricomincia a muoversi a
mangiare e finalmente poi viene dimesso.

2 cose vi volevo aggiungere: un malato di questo tipo deve fare dei controlli costanti di funzionalità renale
ed epatica perché i farmaci che fa causano un alto rischio di colestasi. La rifampicina è colestatico,
l’isoniazide è epatotossica, l’amikacina è nefrotossica, quindi è un malato che deve essere attentamente
monitorato.

Però, perché c’è un però, noi la diagnosi non l’abbiamo ancora fatta, la diagnosi è presuntiva basata su tutta
una serie di valutazioni cliniche e di dati di laboratorio, non abbiamo fatto una biopsia cerebrale, non siamo
andati a prendere l’agente eziologico: comunque sta facendo una terapia anti edema cerebrale che
comunque è una terapia sintomatica. La domanda è: è la terapia anti edema cerebrale che sta facendo
effetto o è la terapia antitubercolare? Perché comunque nessuno fa la puntura lombare e nessuno fa la
biopsia cerebrale, tanto meno.
La fanno solo quelli di Dottor House, dove tra l’altro le fanno gli specializzandi o addirittura quelli del sesto
anno, senza problemi…..
Cosa facciamo quindi molto importante? Il controllo della Risonanza a due settimane.
Il controllo della Risonanza a due settimane si commenta da se’: prima  dopo

ENCEFALOMIELITE MILIARE TUBERCOLARE


IN PAZIENTE CON MORBO DI ADDISON POST-TUBERCOLARE.

Quindi mi sembrava che il titolo Complicanze fosse giusto perché la tubercolosi ha provocato il Morbo di
Addison, il Morbo di Addison ha determinato una crisi surrenalica acuta, ha facilitato l’istaurarsi di una
polmonite e probabilmente questa terapia di cortisone va e vieni, va e vieni, ha facilitato la riattivazione
della Tubercolosi che non è andata a finire nel polmone, ma è andata a finire nel cervello.
La terapia con cui viene dimesso il paziente è terapia a 5 farmaci per os, che poi diventa a 4 perché
l’Amikacina viene sospesa dopo un mese, il Desametasone va a scalare progressivamente e poi dovrà fare
un controllo della RM a due mesi quindi magari poi vi saprò dire com’è finita e poi ovviamente dei controlli
di funzionalità epatica e renale.

Quali problemi ci possono essere, in questo paziente, in questa fase? Il paziente è a casa adesso.
- La compliance
La compliance è molto importante perché deve prendere tante medicine, che possono dargli fastidio allo
stomaco, che può dimenticare…poi cos’altro?
- I familiari non devono assumere una profilassi?
- Gli effetti di tutti i farmaci.
- Esiti

Esiti di che tipo? Due tipi:


- Neurologici
Lui adesso cammina, sta meglio, vuole anche uscire di nuovo. Gli ho detto:< per carità di Dio!>
Magari se ne va anche in treno a farsi un altro giro chissà dove.
- Qual è un altro rischio di questo malato?
E’ l’iposurrenalismo iatrogeno. Lui va a casa con il Desametasone, venticinque volte più potente
dell’Idrocortisone e comincia a scalarlo. Se lui passa da 4 fiale che sono 16 mg di Desametasone della
Domenica a 3 compresse di Idrocortisone al Lunedì al Mercoledì come lo vedete il malato? Secco!

- La contagiosità
Sta facendo la terapia e i familiari fanno la profilassi
Questo malato non è considerato contagioso, anche se fa la terapia perché non tossisce, non espettora e
non ha delle caverne. Capito? Abbiamo trovato dei batteri nel BAL, forse li abbiamo trovati in tempo, prima
che facesse delle caverne. Se fosse sopravvissuto e non avesse avuto il problema cerebrale magari fra un
anno, veniva dentro con tutta un’altra problematica. Vedete come è paradossale la Medicina. Però non è
infettivo, tanto è vero che lui va a casa dopo essere uscito dall’isolamento, dopo 20 giorni che fa terapia. In
ogni caso i parenti fanno lo screening con la Tubercolina e sono tutti negativi. Essendo tutti negativi,
compresi i nipoti, è chiaro che la situazione è del tutto tranquillizzante.

Le complicanze neurologiche a medio termine: questo tipo di malati, essendo interessata la base cranica
possono, se non vengono trattati in maniera adeguata, possono sviluppare un idrocefalo (e allora si che
facciamo la derivazione) perché se la tubercolosi guarisce facendo una fibrosi chiude le cisterne della base
cranica. Sapete che lì c’è il liquor che viene prodotto e riassorbito per poi passare nei forami Luska e di
Magendie.
Diciamo che lui facendo il cortisone dovrebbe prevenire questa cosa, grazie all’effetto antiinfiammatorio.
Il problema della terapia a scalare dello steroide: lo steroide deve essere calato lentamente, molto
lentamente in questo malato in particolare, perché stiamo passando da uno steroide con un potere 25
volte più forte ad uno che vale 1. Dobbiamo fare uno scalare progressivo.

Controllare che i farmaci non abbiano effetto dannoso per il fegato e i reni.

Quando sospendere la terapia?


La terapia va fatta a due farmaci per un anno intero.
E poi ci regoleremo in base al grado di ripresa funzionale del paziente che influenzerà il resto della vita,
perché è vero che il signore ha 80 anni ma se si riprende, forse possiamo fare a meno della terapia
antitubercolare nel lungo termine.

22. DIABETE MELLITO


23. Inquadramento fisiopatologico e terapia

Il diabete mellito è una sindrome cronica dovuta a carenza assoluta o relativa di insulina, associata a gradi
variabili di resistenza all'azione dell'insulina stessa da parte dei tessuti periferici e caratterizzata da
alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e proteico.
Non va dunque considerato il diabete come una malattia del solo metabolismo glucidico, difatti un
famosissimo ricercatore americano, Mc Kerry, diceva che il diabete è una malattia del metabolismo dei
grassi accompagnata da un aumentato livello di glucosio nel sangue, tutto questo per dire che si tratta di
una malattia che abbraccia a 360° tutte le alterazioni metaboliche.
Il diabete ha una prevalenza enorme, forse si tratta della malattia cronica più prevalente, in Italia e non solo
nel 2005 si aggirava intorno al 8% della popolazione
generale.
A destra è rappresentato il trend per le fasce di età,
questo argomento verrà poi ulteriormente approfondito
durante le lezioni di geriatria. È comunque evidente che
per quanto riguarda il DM di tipo II si tratti di una malattia
delle età più avanzate.
Altro concetto importante è che l’incidenza e la
prevalenza del diabete sono in continuo aumento con un
trend globale e che interessa le nazioni occidentali (stati
uniti, europa, giappone), ma che si prevede avrà un andamento esplosivo anche nei paesi in via di sviluppo
come africa, asia e oceania.

Le complicanze del diabete:


- A fronte di questa prevalenza deriva necessariamente un impatto devastante dal punto di vista
dell’economia sanitaria.
- Le complicanze vascolari croniche del diabete mellito possono interessare le grosse arterie
(macroangiopatia) e/o le piccole arterie (microangiopatia) colpiscono ancora la maggioranza dei pazienti
diabetici e sono causa di elevata morbilità e mortalità
La macroangiopatia può colpire il distretto coronarico, quello cerebrale, le arterie degli arti inferiori
La microangiopatia può colpire la retina (retinopatia), il rene (nefropatia), il sistema nervoso periferico
(colpendo i vasa nervorum provoca neuropatia). Si è soliti considerare la microangiopatia come
appannaggio del DM di tipo I e la macroangiopatia come appannaggio del DM di tipo II, in realtà entrambi i
tipi di complicanze possono interessare tutti e due i tipi di diabete.
- Combinazioni varie di neuropatia periferica e macroangiopatia contribuiscono alla comparsa del “piede
diabetico”
- La mortalità nei pazienti con diabete mellito è 3-5 volte più alta rispetto alla popolazione generale.

Classificazione:
16. Tipo 1
–A) Immuno-mediato
–B) Idiopatico
caratterizzato principalmente da un deficit di insulina

17. Tipo 2
–Con insulino-resistenza predominante (probabilmente si tratta del primum movens)
–Con deficit di secrezione insulinica predominante (necessaria affinché la malattia abbia la sua espressione
fenotipica)
18. Altri tipi specifici
19. Diabete gestazionale
Criteri per la diagnosi:
53. Sintomi classici (poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale…) + un occasionale valore di
glicemia ≥ di 200 mg/dl
oppure
54. Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl*
oppure
55. Glicemia alla 2a ora del test orale di tolleranza glucidica (OGTT) ≥ 200 mg/dl*
57. HB glicata > 6,5%

* Da confermare in una successiva occasione


NB: valori su plasma venoso

Il 126 non è un valore casuale, ma corrisponde a 7 mMol di glucosio (il cui peso molecolare è di 180), così
come 80 mg/dl corrisponde a 5 mMol.

Criteri diagnostici per il diabete gestazionale (li lascia per farci un piacere, ma non li illustra):
22. Sintomi classici (poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale…) + un occasionale valore di
glicemia > di 200 mg/dl
• oppure
23. Glicemia a digiuno > 126 mg/dl*
• oppure
24. Presenza di due o più delle seguenti alterazioni al test orale di tolleranza glucidica (OGTT)
effettuato con 100 g di glucosio*:
–glicemia basale ≥ 95 mg/dl
–glicemia alla 1a ora ≥ 180 mg/dl
–glicemia alla 2a ora ≥ 155 mg/dl
–glicemia alla 3a ora ≥ 140 mg/dl

Altre categorie di ridotta tolleranza glucidica: CONDIZIONI PREDISPONENTI AL DIABETE

25. Glicemia a digiuno


< 110 mg/dl: valore normale
≥ 110 e < 126 mg/dl alterata glicemia a digiuno
≥ 126 mg/dl diabete
26. Glicemia alla 2a ora dell’OGTT
< 140 mg/dl valore normale
≥ 140 e < 200 mg/dl alterata tolleranza glucidica
≥ 200 mg/dl diabete

DIABETE MELLITO DI TIPO IA


Sebbene classicamente associato ad una insorgenza in età pediatrica o nei giovani adulti, però in circa il
50% dei casi si manifesta dopo i 40 anni
Ha di solito (ma non necessariamente) un esordio clinico brusco
È dovuto a distruzione su base autoimmune delle cellule beta del pancreas, con conseguente grave carenza
di insulina
Esiste anche se non è ancora stata per tipizzata precisamente una predisposizione genetica che rappresenta
una predisposizione alla malattia e non una ereditarietà di tipo mendeliano o monogenica. È legata a degli
antigeni di istocompatibilità che predispongono al danno insulare da parte d altri agenti (HLA DR3 e HLA
DR4).
Per definizione il DM di tipo IA si associa alla presenza di autoanticorpi diretti contro l’insulina, e/o Ab
diretti contro la carbossilasi dell’acido glutammico (anti-GAD), e/o Ab diretti contro la tirosin-fosfatasi IA-2
(anti-IA2) , sono inoltre presenti concentrazioni ridotte o assenti di peptide C, indicatore della secrezione
endogena di insulina frammento polipeptidico che viene rilasciato quando c’è la conversione da proinsulina
ad insulina).

Fattori predisponenti:

Circa 1 bambino ogni 300 sviluppa questa forma di diabete


La presenza di un parente di primo grado con diabete di tipo 1 conferisce un rischio fino al 50% se è affetto
un gemello monozigote, del 2% se è affetta la madre e del 6% se è affetto il padre.

Per riassumere: esiste sicuramente una predisposizione di tipo genetico, il più delle volte si tratta di
analizzare e dosare una positività per autoanticorpi che possono portare alla distruzione della cellula
pancreatica e nel tempo all’ iperglicemia.

 DIABETE MELLITO DI TIPO IB

Sebbene relativamente raro (non più del 10% di tutte le forme di diabete tipo 1), colpisce con una certa
frequenza pazienti di origine africana o asiatica.
Ha le stesse caratteristiche chimiche e biochimiche del DM tipo IA, è presente insulinopenia e c’è tendenza
alla chetoacidosi, ma manca evidenza documentabile di autoimmunità. Probabilmente dipende dal fatto
che non si conoscono ancora i determinanti antigenici che determinano la risposta immunitaria.

Presentazione del diabete di tipo primo:


la presentazione nel bambino e nell’adulto
possono essere leggermente differenti, nei
bambini di solio la durata dei sintomi è più
breve rispetto a quello che si verifica
nell’adulto, i sintomi classici (poliuria,
polidipsia, nicturia, enuresi, perdita di peso,
astenia)sono quasi sempre presenti nelle due
fasce d’età. Spesso il DM di tipo I manifesta una
crisi chetoacidosica o un coma chetoacidosico
come primo sintomo (più prevalente nella
popolazione infantile e tanto più frequente
quanto più bassa è l’età del bambino).

Terapia DM tipo I:

In primo luogo bisogna stabilire degli


obiettivi terapeutici, un primo goal
terapeutico nella popolazione
generale è ottenere valori di Hb
glicata inferiori al 7%, valori di
glicemia pre-prandiali tra le 4 e le 7
mmol/L e una glicemia post-prandiale
tra le 5 e le 11 mmol/. Moltiplicando
per 18 si ottengono i valori in mg/dl, 7
corrisponde a 126mg/dl, 4 più o
meno a 70mg/dl e 11 circa 200mg/dl.
Nel bambino e nell'adolescente
cambiano i valori perché quanto più il
bambino è piccolo (lo stesso concetto
vale per l'anziano fragile con
comorbidità) ci si accontenta di obiettivi
meno stringenti.
Sopra i diciotto anni il soggetto va coniderto come un soggetto adulto e i valori di riferimento sono gli stessi,
man mano che caliamo nelle fasce di età diventiamo un po' più cauti nel raggiungimento dei goal
terapeutici, soprattutto nel bambino con meno di 5 anni bisogna essere estremamente attenti al possibile
sviluppo di ipoglicemia e per 'impatto che questa potrebbe avere sullo sviluppo cognitivo.

Misure non farmacologiche per il trattamento del diabete: importanza soprattutto per il DM di tipo II

In primo luogo l'attività fisica


 Attività fisica aerobica (dà i maggiori benefici): esercizi relativamente lenti e prolungati nel tempo
(almeno 10 min), con i muscoli che lavorano al di sotto delle capacità massime di trasporto di
ossigeno (ad esempio camminare, andare in bicicletta): è alla portata di tutti.
 Attività fisica anaerobica: esercizi intensi e di breve durata, che procurano debito di ossigeno e
portano all’accumulo di acido lattico (ad esempio corse brevi e veloci, sollevamento pesi)
Vantaggi:
- Migliora il controllo glicemico
- Migliora l’assetto lipidico: aumenta il colesterolo HDL
- Riduce la pressione arteriosa
- Contribuisce a raggiungere/mantenere l’adeguato peso corporeo: vale soprattutto per il DM tipo II
- Aumenta il senso soggettivo di benessere

La dieta ha un ruolo fondamentale nel trattamento del diabete e della sindrome metabolica
Quantità e qualità degli alimenti influiscono sul peso corporeo e sul metabolismo glucidico e lipidico, con
effetti determinanti sul controllo del diabete, delle complicanze vascolari e della spettanza di vita.

Raccomandazioni sulla quantità/qualità degli alimenti:


 i carboidrati (zuccheri)

-Devono rappresentare il 50-60% del fabbisogno calorico giornaliero come nella dieta di una persona
normale
-Sono da preferire alimenti a basso indice glicemico (carboidrati complessi come gli ademi, pane e pasta)
e/o ricchi in fibre; evitare gli zuccheri a rapido assorbimento
-Se il controllo glicemico è soddisfacente, e in assenza di obesità o ipertrigliceridemia, può essere
consentito l’uso di saccarosio in quantità limitata.

2. i grassi
-Devono rappresentare non più del 30% del fabbisogno calorico giornaliero (simile all'apporto consigliato
alla popolazione generle), di cui 1/3 costituito da grassi saturi (prevalentemente animali), e il rimanente da
altri grassi , fra cui da preferire i monoinsaturi (olio d’oliva) che vanno comunque assunti in quantità
limitate
-Il colesterolo dovrà essere assunto in quantità non superiore a 300 mg/die
3.sale ed alcool
-limitare il sale a meno di 6gr/die, parleremo anche del controllo della pressione arteriosa
-accettabile un consumo moderato di alcool ( 10gr/die nelle donne e 20gr/die negli uomini)se non sono
presenti patologie associate che ne controindichino l'uso come sovrappeso, ipertrigliceridemia, epatopatia
steatosica.

Terapia farmacologica del DM tipo I


-Insulina per via parenterale classica
-Insulina con microinfusore: approccio specialistico e non troppo esteso, consente di ottimizzare l'apporto
di insulina attraverso una somministrazione basale e pulsata di insulina
-Trapianto di pancreas: opzione reale, il centro di Modena sarebbe in grado di garantirlo, ma per motivi
politco-amministrativi non viene fatto. È praticato soprattutto dai pazienti con DM di tipo I con scarso
controllo metabolico e gravi complicanze secondarie, soprattutto nefropatia diabetica ingravescente (i
modenesi tendenzialmente vanno a Pisa). Il trapianto di pancreas in un paziente che ha in partenza il rene
compromesso può essere eseguito in associazione con il trapianto di rene.
-Trapianto di isole pancreatiche: campo ancora sperimentale
-Cellule staminali (?): per il momento non rappresentano un'opzione applicabile clinicamente.

INSULINA

Vari tipi di insulina sono


attualmente disponibili,
ed i più rilevanti sono:
Insulina ad azione rapida
Insulina ad azione intermedia
Analoghi ricombinanti dell’insulina
ad azione rapida (insulina lispro,
insulina aspart)
Analoghi ricombinantidell’insulina
ad azione lenta (insulina glargina)
tutte le insuline disponibili oggi sul
mercato sono insuline umane, in
passato venivano utilizzate anche quelle bovine e porcine. Nell'immagine è rappresentata la secrezione
spontanea dell'insulina: si vedono i picchi di glicemia in risposta ai pasti principali e i corrispettivi picchi di
insulinemia; c'è poi un livello basale di insulinemia che consente di mantenere l'omeostasi glicemica basale
anche di notte e per il mattino.
Ci sono due situazioni da prendere in considerazione:
- Situazione post-assorbimento (il digiuno):
La situazione è regolata dalla insulina basale
Il fegato produce il glucosio necessario per il funzionamento dell’organismo
Gli organi periferici consumano e utilizzano glucosio
Il bilancio tra la produzione epatica e il consumo periferico fa si che la glicemia rimanga costante
- Situazione post-prandiale:
Le cellule Beta del pancreas producono un picco di insulina in risposta all'aumentata internalizzazione di
glucosio nell'intestino
Sotto l’azione dell’insulina il glucosio giunto nel sangue dopo l’assorbimento intestinale entra nelle cellule
Il fegato e il tessuto muscolare immagazzinano glucosio sottoforma di glicogeno
La glicemia non si modifica
PREPARAZIONI INSULINICHE
Ad azione ultrarapida (analoghi dell’insulina LisPro, Aspart, Glulisina)
Ad azione pronta (insulina regolare)
Insuline protaminate ad azione intermedia (NPH, NPL)
Analoghi della insulina ad azione prolungata (Glargine)
Analoghi della insulina ad azione intermedia (Levemir, NPL)
Premiscelate (es. 20/80, 30/70, ecc.)
In base al tipo di preparazione il profilo farmacologico è diverso:
*gli analoghi ricombinanti rapidi hanno un'insorgenza d'azione estremamente rapida una durata d'azione
altrettanto rapida, il tutto si esaurisce in un paio d'ore, da questo punto di vista questa tipologia di
preparazione è quella che più si avvicina all'insulina fisiologicamente secreta dal nostro pancreas
*l'insulina regolare umana ha un picco d'azione più smusso e tardivo e una durata d'azione leggermente
più prolungata
*le insuline protaminate intermedie (il prototipo è l'insulina protaphane)
*analoghi basali o insuline lente, il detenir e l'insulina glargine attualmente la più utilizzata.

Nella seguente tabella sono


riportate leinsuline con i
rispettivi nomi commerciali
Nome Commerciale Casa Inizio d’azione Durata d’azione
prodruttrice

Humalog (LisPro) Lilly 15 min 3-4 ore


Analoghi
ad azione
rapida
NovoRapid (Aspart) Novo 15 min 3-4 ore

Apidra Sanophi 15 min 3-4 ore


(Glulisine)

Actrapid HM Novo 30 min 5-7 ore


Regolare
Humulin R Lilly 30 min 5-7ore

Protaphane Novo 2-3 ore 10-16 ore


NPH ed
NPL
Humulin I Lilly 2-3 ore 10-16 ore

Humalog Basal Lilly 2-3 ore 10-16 ore

Lantus Aventis 24 ore


Analoghi (Glargine)
ad azione
basale

Levemir (Detemir) Novo 12-14 ore

Actraphane 30
Premiscela
te
Humulin 30/70

Humalog Mix 25, 50 ;


NovoMix 30, 50, 70
Tra gli analoghi ad azione rapida non ci sono differenze, sono l'insulina humalog, novorapid e apidra, hanno
un inizio d'azione estremamente rapida di 15 minuti e una durata d'azione di 2-3 ore. I nomi commerciali
più utilizzati per l'insulina umana regolare sono humulin e actrapid, queste hanno un inizio d'azione più
tardivo e una durata d'azione più prolungata. Sebbene queste differenze sembrino inezie dal punto di vista
clinico fanno la differenza, per esempio il poter disporre di analoghi ricombinanti è utile perché si possono
somministrare appena prima del pasto o durante il pasto, mentre l'insulina regolare va assunta una
mezzora prima di mettersi a tavola. Quindi il paziente che assuma l'insulina regolare e dimentichi di
mangiare o mangi quantitativi inferiori al previsto è esposto al rischio ipoglicemico postprandiale, a maggior
ragione dal momento che la durata d'azione è maggiore (al di là dei profili glicemici postprandiali). Nel
paziente in cui l'assunzione di cibo non è sicura è saggio somministrare l'insulina durante il pasto
minimizzando il problema delle ipoglicemie. Le insuline intermedie ( protaphane, humulin, humalong basal)
hanno un'insorgenza d'azione di 2-3 ore e una durata sulle 10-12-16 ore. Le insuline intermedie non sono
proponibili per tamponare la glicemia al momento del pasto, ma sono indicate per mantenere una glicemia
post prandiale tardiva. Gli analoghi ad azione basale sono quelli che si utilizzano per mantenere il livello
insulinemico di base nell'intervallo tra i vari pasti. Nei pazienti in cui si è individuato che un certo mix di
insulina rapida ed insulina intermedia può essere agevole dal punto di vista della gestione della malattia
pensare di utilizzare anche delle insuline premiscelate come la actraphane 30 e l'humulin 30/70 che sono
una miscela di insulina regolare e insulina intermedia e la humalog mix ed il novomix sono miscele di
analogo ricombinante ad azione rapida con un analogo ad azione intermedia. A volte l'utilizzo di insulina
premiscelata riesce a ridurre le iniezioni di insulina a sole due al giorno.
Esempio di terapia “basal bolus” in cui si utilizza un analogo basale come l'insulina glargina che permette il
mantenimento di livelli basali di insulinemia in associazione all'analogo rapido somministrato ai pasti per
tamponare l'iperglicemia postprandiale. Il dosaggio dell'analogo basale è determinato in funzione della
glicemia del mattino mentre per il dosaggio dell'analogo rapido non si considera tanto la glicemia del
momento della somministrazione, ma quest'ultima viene valutata per correggere eventualmente il
dosaggio della somministrazione precedente (se a pranzo la glicemia è alta si aumenta il dosaggio
dell'insulina presa a colazione piuttosto che quella prandiale). Ovviamente devono essere considerate
anche le quantità di carboidrati assunti ai pasti.
Dice che con noi non entrerà nel dettaglio dei dosaggi perché non verranno richiesti all'esame.

In tabella sono riportati quali sono i fattori


di rischio correlati alle complicanze
diabetiche: controllo glicemico inadeguato,
“l'anzianità” del diabete, la predisposizione
genetica per il diabete e anche per la
specifica complicanza, fumo, obesità,
ipertensione arteriosa, sedentarietà,
iperlipidemia...
Le complicanze del diabete sono
scolasticamente classificate in micro e
macroangiopatiche:
La macroangiopatia (tipiche del DM tipo II)
I pazienti diabetici hanno, rispetto ai
soggetti non diabetici, un rischio maggiore
(2-4 volte) di sviluppare cardiopatia
ischemica, eventi cerebrovascolari acuti e
vasculopatia periferica
La malattia cardiovascolare, nel complesso, rappresenta la principale causa di morte (circa il 70%) nei
pazienti diabetici
La microangiopatia (più tipiche del DM tipo I)
Le tre forme principali sono la retinopatia, la neuropatia e la nefropatia
La retinopatia diabetica (RD) è ancora oggi la principale causa di perdita del visus ei paesi sviluppati, fino
alla completa cecità, nei pazienti diabetici. In Italia, la RD è la prima causa di cecità nella popolazione
generale nell'intervallo di età 20-70 anni . Con l’aumentare della durata del diabete, aumenta la prevalenza
della RD, che, dopo 25-30 anni di malattia (per un paziente con DM di tipo I non è tanto), colpisce circa il
90% dei pazienti (il 20% dei quali ha una retinopatia proliferante) .Nel diabete tipo 2 la retinopatia diabetica
può essere presente già alla diagnosi.

La nefropatia diabetica è la principale causa di insufficienza renale cronica nella popolazione generale
La sua incidenza cumulativa a 25 anni dall’insorgenza del diabete è del 30-40%. Chi non ha sviluppato
nefropatia diabetica dopo 25 anni di diabete difficilmente la svilupperà in seguito perché ha sviluppato dei
meccanismi protettivi oppure perché geneticamente è avvantaggiato.
La nefropatia diabetica, nelle sue varie fasi, è un fattore di rischio di notevole importanza per malattia
cardiovascolare, di 2-3 volte più frequente nei pazienti diabetici con danno renale. La manifestazione
diabetica non coinvolge il rene solamente mediante l'interessamento glomerulare (la manifestazione
classica in questo caso è la Glomeruosclerosi Nodulare o Sindrome di Kimmelstiel e Wilson i cui si assiste ad
un accumulo di mucopolisaccaridi), ma interessa in minor modo la struttura midollare del rene (Necrosi
Papillare Acuta) e infine la Pielonefrite Acuta.
La neuropatia diabetica colpisce il 20-50% dei pazienti diabetici con durata del diabete maggiore di 15 anni.
Può interessare il sistema nervoso somatico provocando disestesia e dolore e/o quello autonomico,
interessa i vasa nervorum. Tra le conseguenze della neuropatia autonomica si segnalano l’ipotensione
ortostatica, la gastroparesi e l’impotenza.
Il piede diabetico è una complicanza soprattutto nel DM di II tipo, rientra comunque nelle complicanze
microangiopatiche. Combinazioni varie di neuropatia periferica e macroangiopatia contribuiscono alla
comparsa del piede diabetico che rappresenta la causa più comune (30%) di ospedalizzazione. Ulcere
trofiche del piede si sviluppano nel 7-15% dei pazienti diabetici.
EFFETTI DELLA PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE
I dati che ci presenta sono quelli del DCCT trial, molto importante e forse i primo trial che ha documentato il
beneficio clinico che può apportare la terapia intensiva insulinica. Questo studio ha confrontato un regime
di terapia convenzionale con un regime di terapia insulinica, in primo luogo si osserva come la Hb glicata si
mantenesse tra gli 8 e i 9 tra i pazienti trattati con terapia convenzionale e rimanesse intorno ai 6 tra i
pazienti trattati con regime intensivo. Nel trattamento intensivo inoltre si riscontravano livelli medi di
glicemia più bassi e oscillazioni della glicemia molto minori.
Il DCCT trial ha dimostrato in modo inequivocabile che il trattamento intensivo riduce e rallenta le
complicanze diabete, in special modo quelle microangiopatiche. Per esempio sia la incidenza che la
progressione della retinopatia sono sensibilmente ridotti nei pazienti che ricevevano l'insulina a regime
intensivo; ugualmente si osservano miglioramenti per la nefropatia (riduzione dell'albuminuria e della
microalbuminuria) e per la neuropatia diabetica sia dal punto di vista clinico (esame neurologico ed esame
della disautonomie) che strumentale (conduzione nervosa).
La prima stesura di questo studio risale al 1993, è stata poi riproposta nel 2000 andando a verificare lo stato
di salute dei pazienti a distanza di anni, valutando quale terapia avessero assunto a termine del primo trial
in accordo con il medico curante. Si è visto che gli effetti benefici che erano emersi alla fine del primo trial si
mantenevano anche a distanza di 4 anni dalla conclusione dello studio; questo per dire che l'efficacia di una
terapia protratta per 4-5 anni si riverbera anche negli anni successivi. Il messaggio è che c'è un memoria
del tipo di trattamento effettuato. Un altro studio che è uscito dalla casistica del DCCT e dalla casistica
successiva ha preso in esame lo spessore medio intimale sempre in pazienti diabetici di tipo I, questo studio
è la riprova che la distinzione tra complicanze microangiopatiche tipiche del DM tipo I e macroangiopatiche
più peculiari del DM tipo II non è da prendere alla lettera. Lo spessore medio intimale è un indice
prognostico importante per la predisposizione a sviluppare infarti o ictus; la prima osservazione che fa
questo trial è la differenza di spessore intimale tra pazienti diabetici e non sia negli uomini che nelle donne
a prescindere dal distretto analizzato (carotide comune o carotide interna). Il valore di intima media
thickness che si considera significativo al fine di un iniziale interessamento ateromasico è di 0,7mm di
spessore. Lo studio ha dimostrato che negli stessi sottogruppi di trattamento (intensivo vs convenzionale)

c'è un più lento peggioramento ateromasico; addirittura il dato combinato carotide comune carotide
interna sembra avvallare l'ipotesi che i soggetti in trattamento intensivo potessero avere una regressione
dello spessore intimale. Quindi la terapia intensiva insulinica è utile non solo nella prevenzione delle
complicanze microangiopatiche, ma anche come prevenzione di un marcatore che possiamo considerare
surrogato bensì affidabile di patologia dei grossi vasi.
ella metanalisi riportata sotto si riportano le evidenze dei vantaggi tra gli analoghi ricombinanti rapidi
rispetto l'insulina regolare, non tutti gli studi sono però concordi nel dire questo.
Un altro studio ha analizzato l'efficacia dell'insulina glargine associata alla lispro in un tria cross over di
pazienti con DM tipo I in cui lo stesso paziente utilizzava prima le insuline ricombinanti poi quella regolare o
viceversa. L'evidenza è che il controllo sia molto migliore con le insuline ricombinanti.
Un altro aspetto importante è quello della safety: l'analogo ricombinante proprio in virtù della sua breve
durata d'azione espone meno al rischio ipoglicemico post-prandiale tardivo, tra le insuline lete invece la
glargine sembra che induca meno ipoglicemie rispetto alle altre insuline lente o classiche. Per stabilire tutto
questo sono state confrontate le varie insuline in funzione di ipoglicemia sintomatica, notturna e severa.
In un altro lavoro ci si chiede se tutti i pazienti con DM tipo I e microalbuminuria dovrebbero ricevere
terapia con ACE inibitore indipendentemente dai valori di pressione arteriosa. Ci sono alcune evidenze che
in questi pazienti gli aceinibitori siano in grado di ridurre la progressione della nefropatia. Ci sono evidenze
che un altro tipo di terapia utilizzando i sartani (candesartan) impattando sul sistema RAAS possa prevenire
in maniera diretta o limitando la progressione della retinopatia, non però in modo molto eclatante.
Il messaggio è che anche nei pazienti non ipertesi farmaci che agiscano sul sistema RAAS possono prevenire
complicanze microangiopatiche non solo a livello renale, ma anche in altri distretti.
TENTATIVI DI PREVENZIONE DEL DM TIPO I
Un dei farmaci che stato utilizzato in prevenzione è la nicotinamide per il suo supposto effetto
immunomodulante, purtoppo però non ha dato dei risultati promettenti, l'andamento del paziente che
assume la nicotinamide infatti è assolutamente sovrapponibile a quello che assume il placebo.
Un altro tentativo è
stato fatto con
l'insulina per os: in
pazienti che abbiano
livelli particolarmente
elevati di
autoanticorpi anti
insula e un rischio a
priori elevato
l'effetto protettivo
sembra essere reale
ed importante.
Riassumendo gli
approcci del DM tipo
I si possono
scolasticamente
individuare in
prevenzione della
perdita della  cellula e nella rigenerazione-mantenimento della popolazione delle cellule beta
pancreatiche (tra queste citiamo anche il trapianto di isole e di cellule staminali), poi ci sono altri approcci
meno incoraggianti con l'insulina e la nicotinamide. Infine ci sono farmaci come i DPD4 che iniziano ad
essere utilizzati adesso di cui ci parlerà la prossima volta, sono farmaci che agiscono sulla via del glp1 e
sembrano avere n azione protettiva proprio sul pancreas.

TERAPIA DEL DM DI TIPO II


In Europa : circa 18 milioni di persone sono affette da diabete
In Italia : la prevalenza del diabete noto era del 3% (circa 1.700.000) nel 2000; è del 4,6% nel 2006
Si prevede un incremento al 7% entro il 2010.
Il diabete mellito di tipo 2 rappresenta quasi il 90% di tutti i casi di diabete
È associato a obesità (presente in oltre l’80% dei pazienti) ed è caratterizzato dalla presenza di insulino-
resistenza e ridotta secrezione insulinica.
Sebbene la predominanza dell’insulino-resistenza o della carenza insulinica vari da paziente a paziente, il
difetto della secrezione insulinica rappresenta il difetto senza il quale il diabete non si manifesta (non basta
la sola insulino resistenza).
Inizialmente compare l'insulino resistenza che scatena un aumentata produzione insulinica, in una fase
iniziale questo compenso può essere ancora adeguato a mantenere i livelli glicemici, mentre in una fase
avanzata può portare ad una riduzione della tolleranza glucidica, in fine si arriva ad una sorta di
sfiancamento della beta cellula pancreatica e si manifesta più tipicamente il DM tipo II.
Il diabete nei bambini e nei ragazzi è un argomnto abbastanza attuale visto il recente appesantimento della
popolazione pediatrica, la prevalenza varia dal 4.1 al 50.9 per 1000 (età: 12-19 anni) e l'età media alla
diagnosi: 12-14 anni. È più frequente nel sesso femminile, in etnie non di origine caucasica, in caso di
familiarità per diabete di tipo 2. Si associa ad obesità e insulino-resistenza; alla diagnosi possono essere
presenti perdita di peso e chetosi. Elevati valori di insulinemia e peptide C e assenza di autoanticorpi
orientano verso la corretta diagnosi.
A scopo informativo ci lascia queste informazioni su alcuni tipi di DM particolari:
-LADA: Latent Autoimmune Diabetes of the Adult: insorge nell’adulto si associa ad un BMI normale o solo
leggermente aumentato ed è caratterizzato dalla presenza di autoanticorpi anti-GAD
-NIRAD: Non-Insulin Requiring Autoimmune Diabetes
Insorge nell’adulto, inizialmente assomiglia al diabete di tipo 2, ma poi richiede, nella maggioranza dei
pazienti, l’uso di insulina
 Anomalie genetiche delle beta-cellule
-MODY
Mutazione gene glucochinasi (MODY 2)
Mutazione geni fattori di trascrizione (MODY 1: HNF-4; MODY 3: HNF 1; MODY 4: IPF1; MODY 5: HNF
1; MODY 6: beta2/neuroD)
 Anomalie genetiche nell’azione insulinica
Resistenza all’insulina di tipo A (alterazioni a livello del recettore insulinico), diabete lipoatrofico,
leprechaunismo
 Malattie del pancreas
Pancreatiti, pancreasectomie, fibrosi cistica, emocromatosi
 Endocrinopatie
Acromegalia, s. di Cushing, glucagonoma, feocromocitoma, ipertiroidismo, somatostatinoma
 Indotto da farmaci
Steroidi, ormoni tiroidei, diazossido
16. Forme non comuni di auto-immunità
Sindrome dell’uomo rigido, resistenza all’insulina di tipo B (autoanticorpi anti-recettore per l’insulina)
 Infezioni
Rosolia congenita, citomegalovirus
 Associato ad altre sindromi genetiche
S. di Down, di Klinefelter, di Turner, di Wolfram, porfiria, atassia di Friedreich

MODY (maturity onset diabetes in the young)


Trasmissione autosomica dominante
Aggregazione familiare in diverse generazioni
Colpisce in egual misura maschi e femmine
Esordisce nell’adolescenza o comunque in giovane età
La forma MODY 2 è clinicamente più lieve delle altre che possono richiedere l’uso di insulina e possono
essere associate a complicanze croniche
Diabete gestazionale: Insorge o comunque viene diagnosticato in gravidanza
È importante per le implicazioni sulla salute della madre e del feto, in Italia si tratta solo ed esclusivamente
con insulina anche se ci sono delle evidenze da studi anglo-americani sull'impiego di metformina ed altri
ipoglicemizzanti orali.
EREDITARIETà
Abbiamo visto parlando del DM di tipo I che esiste una predisposizione mediata da antigeni di
istocompatibilità, così anche per il DM di tipoII esiste una familiarità individuabile in cluster familiari che val
anche per l'obesità e la sindrome metabolica; sono stati condotti studi di concordanza tra familiari e gemelli
che non hanno portato a delle conclusioni definite, sono però stati identificati alcuni possibili geni target di
insulino resistenza o di alterazione di produzione insulinica.
INQUADRAMENTO FISIOPATOLOGICO
è riportato un grafico in
cui si vede la curva
normale della funzione b
cellulare e di sensibilità
all'Insulina; in condizioni
di normale tolleranza
glucidica si riduce la
sensibilità all'insulina e ci
si posta lungo questa
iperbole lungo
un'aumentata risposta b
cellulare, in questo modo
viene mantenuto un
equilibrio omeostatico
della glicemia.
Mano a mano che ci si
sposta verso sinistra si riduce la sensibilità insulinica e la funzione b cellulare non in grado di aumentare in
modo proporzionale arriviamo attraverso la fase della ridotta tolleranza glucidica fino al DM vero e proprio.
Semplicisticamente si può riassumere la
fisiopatologia nella seguente raffigurazione
che, ancor una volta, illustra le due
componenti: disfunzione b cellulare ed
insulino resistenza. Su entrambe le
componenti possono agire rispettivamente la
componente genetica, le citochine,
l'infiammazione, la stessa iperglicemia (un
tempo si parlava di effetto tossico del
glucosio); l'obesità induce il rilascio di
citochine dal tessuto adiposo e di acidi grassi
dall'adipe verso il fegato, il muscolo e altri
tessuti che sono fautori di insulino
resistenza, quest'ultima a livello muscolare si
esplica in una ridotta attivazione dei recettori
GLUT-4 con ridotta internalizzazione di
glucosio, a livello epatico succede la stessa
cosa e in più c'è una inadeguata risposta
metabolica alle necessità dell'organismo
(esagerata produzione di glucosio e
gluconeogenesi).

Riprende dal discorso della volta precedente: si sta


parlando dell’EZETIMIBE; si vede come questa sostanza
ci può dare un beneficio aggiuntivo di un 20% in termini
di calo di colesterolo LDL, anche se in aggiunta con le
statine.

Quest’ altra tabella ci mostra appunto i tipi


di efficacia farmacologica o delle statine
prese individualmente o delle statine in
associazione con l’Ezetimibe: associando ad
esempio l’Ezetimibe a Sinvastatina da 20
mg, vedete il beneficio che si può ottenere
senza ricorrere a dosaggi più elevati di
statine più potenti.
È poi legittimo chiedersi se di fronte a
questa riduzione della colesterolemia si
associa anche un efficacia altrettanto
importante in termini di prevenzione di
eventi cardiovascolari; a questo
riguardo le evidenze non sono così
certe: in uno studio si è andati a
confrontare l’Ezetimibe associato ad
una statina rispetto alla statina da sola,
prese da soggetti con ipercolesterolemia
famigliare.
L’end point considerato non è un end
point clinico (es. la morte, l’infarto…),
ma un
end
point
strumentale, ossia l’intima media thickness.
L’efficacia sul calo delcolesterolo è stata appunto più marcata con
l’associazione statina + Ezetimibe, sia per LDL che per il colesterolo totale,
ma non si è visto un beneficio altrettanto evidente sullo spessore medio
intimale!
Le osservazioni che sono state sollevate su questo studio riguardano poi il
fatto che i pazienti avevano dei livelli di spessore medio intimale molto
bassi (0,7 è un valore insolitamente basso per una popolazione di
ipercolestrolemici!), per cui partendo da delle arterie con uno spessore
medio intimale già basso di partenza, è poi difficile che questo diminuisca
ulteriormente!

Nel 2010 è uscito uno studio (studio SHARP) che ha considerato l’associazione Ezetimibe + statina in
pazienti con insuffienza renale cronica, ossia pazienti che hanno un elevato rischio cardiovascolare.
Confrontando soggetti che ricevono solo la terapia usuale di supporto con i soggetti che ricevono
Sinvastatina 20mg + Ezetimibe 20mg, si vede che c’è stata una differenza significativa in termini di riduzione
di eventi cardiovascolari importanti.

Andando a vedere i sottogruppi degli eventi indagati, si riducono soprattutto gli strokes (ictus di tipo non
emorragico) e quelli correlati alle procedure di rivascolarizzazione; la significatività è invece minore per gli
eventi coronarici presi da soli, comunque nel complessol’end point cumulativo è a favore di un beneficio
se si assume Ezetimibe + statina.

!!!!! Vi sono delle indicazioni inoltre in cui l’Ezetimibe può essere usata da sola: si tratta di pazienti che
hanno avuto intolleranza a tutti i tipi di statine ( se abbiamo un paziente che è intollerante ad una statina di
solito se ne prova un’altra con un diverso profilo farmacologico).
Resta il fatto che l’impiego migliore dell’Ezetimibe resta quello in associazione con le statine.

Tra i farmaci a nostra disposizione e in particolare tra quelli più nuovi citiamo anche la NIACINA.
La niacina agisce a livello dei recettori dell’acido nicotinico in diversi tessuti; l’acido nicotinico in realtà è
un vecchio farmaco ipolipemizzante, ma è gravato da degli effetti collaterali importanti che ne precludono
un ampio utilizzo.

L’acido nicotinico vede il suo punto d’attacco nel recettore GPR 109A, che è un recettore accoppiato ad un
inibitore della protein chinasi, la cui funzione è quella di ridurre i livelli di AMPc (AMPc è un potente
attivatore delle lipasi ormono-sensibili; di solito i livelli di AMPc aumentano in caso di stimolazione da parte
di catecolamine e glucagone); per effetto invece dell’interazione della Niacina con il recettore dell’acido
nicotinico, diminuiscono i livelli di AMPc e di trigliceride lipasi, quindi si riduce la mobilizzazione degli acidi
grassi dai tessuti periferici al fegato.
Lo svantaggio però è che il recettore dell’acido nicotinico, oltre a trovarsi nelle cellule metabolicamente
attive lo possiamo trovare anche a livello delle cellule dendritiche e dei macrofagi della cute; in queti
tessuti, per effetto dell’acido nicotinico, vengono rilasciate delle prostaglandine (PGE2 e PGD) che
interagiscono a loro volta con dei recettori specifici e inducono una vasodilatazione importante.
Il motivo per cui la Niacina non ha mai avuto un impiego vasto in medicina clinica è proprio la elevata
incidenza di effetti collaterali di tipo cutaneo.
La niacina, oltre agli effetti diretti
sulla trigliceride lipasi e quindi
mediati dalla mobilizzazione di
grassi verso il fegato, ha anche la
capacità di attivare i
trasportatori ABCA1 (i
trasportatori ABCA1 sono quelli
che mediano il trasferimento di
colesterolo dalle cellule
perifierche alle LDL).
In altre parole, l’attivazione del
trasportatore ABCA1 significa
aumentata mobilizzazione di
colesterolo dalla periferia alle
HDL, vuol dire aumento dei livelli
di colesterolo HDL, ossia del
trasporto inverso del colesterolo dalla periferia al fegato.
RIASSUNTO DEGLI EFFETTI DELLA NIACINA SUL METABOLISMO DELLE LIPOPROTEINE:
– Inibizione parziale del rilascio degli acidi grassi liberi da parte del tessuto adiposo, con
conseguente riduzione della sintesi di TG a livello epatico
• La ridotta sintesi di TG diminuisce la sintesi di VLDL, precursore del C-LDL, e in
ultima analisi riduce il C-LDL
– Inibizione della sintesi dell’apo B, che è necessaria per la formazione delle particelle VLDL
e aumentato catabolismo delle VLDL
– Trasformazione della dimensione delle particelle LDL, da particelle piccole e dense a
particelle grandi e galleggianti
– Ridotta estrazione e catabolismo dell’apo A-1 dal C-HDL, con preservazione di struttura e
funzionalità proprie delle particelle C-HDL
– Attivazione dell’espressione del trasportatore di membrana del colesterolo ABCA1

Di fatto tutto questo si traduce in un effetto ipolipemizzante, in un calo del colesterolo LDL e dei trigliceridi
e delle VLDL; infine determina un significativo aumento delle HDL, che sono quelle che rivestono un ruolo
protettivo importante.

NB: nella diapositiva ABCA1 è l’effettore del trasporto del colesterolo dalla periferia alle HDL.

Ci sono alcuni studi che suggeriscono come l’associazione della Niacina ad una terapia con statine, possa
indurre una ulteriore protezione contro gli eventi cardiovascolari. La niacina, che è disponibile in
commercio con il nome commerciale di Tredaptiv e non è rimborsabile dal SSN, molto raramente si usa
come terapia di prima scelta e in monoterapia, ma si potrebbe proporre come terapia di associazione ad
una statina in un paziente che non raggiunga con la sola statina i target adeguati o che mantenga dei livelli
di HDL eccessivamente bassi.

I PRINCIPALI EFFETTI COLLATERALI DELLA NIACINA:


 Poco dopo l’assunzione per via orale si verifica una temporanea e dose-dipendente
reazione di flushing a livello della pelle (ovvero una pronunciata vasodilatazione cutanea),
indotta da niacina
– Si ritiene che questo effetto sia stato determinante nel limitare l’adozione
terapeutica della niacina
 Durante il trattamento con niacina si osserva con regolarità anche l’aumento del livello di
uricemia
– Tale effetto è clinicamente molto importante nei pazienti con problemi articolari
e/o elevati livelli uricemici prima dell’inizio del trattamento
 In pazienti che assumono niacina possono verificarsi effetti collaterali gastro-intestinali
(del genere della gastrite)
 Altri eventi avversi riferiti con l’uso di niacina ER in ≥5% dei pazienti sono:
– cefalea – rinite – eruzione cutanea
– dolore (mialgia) – prurito
La Niacina ad oggi è stata portata alla ribalta dal fatto che l’associazione con l’inibitore del recettore delle
prostaglandine (20mg) (Laropiprant) è in grado di inibire in modo soddisfacente gli effetti collaterali a
livello cutaneo dell’acido nicotinico; di solito si inizia con 1 compressa la giorno per arrivare a 2 compresse
al giorno.

Concludiamo l’argomento delle ipercolesterolemia con l’ultima categoria di FARMACI CHE AGISCONO SU
CETP (Colesteril esther transfer protein).
In condizioni normali CETP catalizza gli scambi lipidici tra le HDL e le VLDL: scambiando colesterolo
estrificato dalle HDL alle VLDL e scambiando trigliceridi dalle VLDL alle HDL.
L’effetto della CETP rende le HDL un po’ meno efficaci perché le impoverisce di colesterolo, quindi in linea
teorica dovrebbero ridurre il trasporto inverso del colesterolo dalla periferia al fegato e dall’altro arricchisce
le HDL in trigliceridi (e di conseguenza queste HDL ricche in trigliceridi vengono delipidizzate in maniera
patologica e possono diventare troppo piccole e troppo dense).
→ Per questo si è pensato di inibire CETP in modo da consentire un aumento delle HDL e una diminuzione
del rischio cardiovascolare.

Il farmaco inibitore di CETP ha il nome di Torcetrapib.


Uno studio pubblicato dal New England ha confrontato l’utilizzo del Torcetrapib con o senza una statina in
pazienti con ipercolesterolemia familiare; se guardiamo le variazione delle HDL dopo l’utilizzo del
Torcetrapib, si ha un aumento di HDL molto marcato, che riguarda in particolare le HDL2.

Dal punto di vista qualitativo le HDL che aumentano sono le HDL “larghe”, senza un corrispettivo aumento
delle HDL “piccole” che sono quelle con un minore effetto protettivo dal punto di vista cardiovascolare.
In definitiva quindi il Torcetrapib determina un aumento in senso quantitativo e un miglioramento in senso
qualitativo del profilo delle HDL.

Per questo ci si aspettava da questo farmaco un effetto protettivo importante sugli eventi cardiovascolari e
sulla mortalità, ma nel 2007 è uscito un lavoro che è andato a misurare in termini di eventi quello che
succedeva dando il Torcetrapib a pazienti che avevano un alto rischio di eventi cardiovascolari: il trial è
stato interrotto prematuramente perché si aveva addirittura un aumento del rischio di morte ed eventi
cardiaci in pazienti che ricevevano questo farmaco, nonostatnte un aumento signifcativo dei livelli di HDL!
Insomma, la modificazione del profilo lipidico è stata come ci si attendeva e in senso migliorativo, ma si è
visto questo outcome negativo sulla sopravvivenza, probabilmente legato agli effetti del Torcetrapib sui
livelli di pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, e in modo corrispondente legato ad una riduzione
dei livelli di potassiemia e un aumento dei livelli di sodiemia.
Adesso, siccome la sperimentazione del Torcetrapib è stata interrotta, si stanno sperimentando nuove
molecole, come ad esempio il Dalacetrapib, per vedere se molecole diverse possono mantenere lo stesso
effetto di classe sulla inibizione delle CETP, senza gli effetti sgraditi sulla potassiemia e sulla pressione
arteriosa.

IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE NELL’ANZIANO

Come si può osservare dal grafico, dall’inizio


del secolo scorso fino ai nostri giorni è
aumentata la prevalenza dei
sessantacinquenni e, in proiezione per i
prossimi decenni, si prevede un’impennata
della prevalenza non solo degli over 65 ma
anche degli over 85 definiti i “grandi
anziani”.

Cosa si intende per rischio cardio-


vascolare?
E’ necessario valutare il paziente nella sua
complessità per riuscire a stimare il rischio
che ha di sviluppare un evento cardio-
vascolare a 5 o 10 anni e questo è possibile
attraverso l’analisi dei vari fattori di rischio.
L’individuazione del rischio cardiovascolare globale del singolo paziente è importante perché permette una
migliore identificazione dei target terapeutici e quindi l’elaborazione di una strategia terapeutica adeguata.

Di seguito sono descritti alcuni sistemi che consentono l’identificazione del rischio.

Framingham Risk Score


Lo studio di Framingham, risalente agli anni ’50, ha permesso di stabilire i parametri necessari alla
valutazione del rischio cardio-vascolare:

24. Età
25. Colesterolo totale
26. HDL
27. Pressione arteriosa sistolica e diastolica
28. Diabete
29. Fumo

Sommando i vari punteggi si ottiene un valore che, convertito in percentuale, esprime il rischio cioè la
probabilità del soggetto di incorrere in un evento cardiovascolare nei successivi 10 anni.

GESTIONE DEL DIABETE MELLITO NELL’ANZIANO

DM tipo 2: Terapia e prevenzione delle complicanze


Questa diapositiva vuole solo sottolinearvi come
 il paziente diabetico rispetto al paziente non diabetico sia ad un rischio molto più elevato di morire
per cardiopatia ischemica. Il paziente diabetico ha un rischio da 2 a 4 volte di sviluppare cardiopatie
ischemiche, eventi cerebrovascolari acuti,
 tanto è che la malattia cardiovascolare nel suo complesso rappresenta di gran lunga la causa di
morte principale (circa il 70%) nei pazienti diabetici.

Questa è una diapositiva


molto conosciuta, molto
La patologia cardiovascolare nel paziente diabetico
presentata e molto vista
e si considera che il
Probabilità di morte CHD in pazienti con NIDDM paziente che ha il
e in pazienti non diabetici, con e senza precedente IMA diabete sia allo stesso
100 rischio cardiovascolare di
un paziente non
Sopravvivenza (%)

80
diabetico che ha già
60
avuto un infarto. Sono
rispettivamente queste
40 due linee colorate qua
Non diabetici senza precedente IMA
Diabetici senza precedente IMA nel mezzo, in alto il
20 Non diabetici con precedente IMA paziente non diabetico e
Diabetici con precedente IMA non cardiopatico,
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8
Anni
Haffner SM et al., N Engl J Med 1998; 339: 229-34
ovviamente se il paziente ha la sfortuna di essere diabetico e anche già cardiopatico e infartuato il rischio di
morire di complicanze cardiovascolari è estremamente elevato.

Questo ha portato a
definire il concetto di
diabete come equivalente
di malattia
cardiovascolare. Quando
il medico tratta un
paziente per molti versi si
appoggia a questo
assioma, che può avere
anche degli aspetti
discutibili, però è
abbastanza accettato che
il paziente diabetico sia
un paziente a rischio
elevato.

Qui sono riportati i


targhets che alcuni gruppi
hanno proposto che
fanno riferimento sia a
livelli ottimali che
riguardano il controllo glicemico, es. emoglobina glicata sotto i 7, poi come abbiamo visto la volta scorsa nel
paziente pediatrico di età molto giovane e nel paziente anziano vedremo che il targhet non è così tassativo.
Ci sono poi livelli glicemici pre prandiali e altri post prandiali come si vede. Il targhet pressorio un valore di
130 di sistolica e 80 di diastolica, come targhet lipidico un LDL al di sotto dei 100, Tg al di sotto dei 150 HDL
sopra i 40 mg/dL.

Questo concetto è anche recepito da quelle che vanno sotto il nome di carte di rischio (si utilizzano e ci
confronterete anche voi ben presto) che tengono in conto nella valutazione del rischio cardiovascolare
globale del nostro soggetto una serie di parametri fra cui sicuramente non mancano
 l’età,
 il colesterolo,
 la pressione,
 il fatto di essere o non essere fumatori e anche
 il diabete che ha un impatto estremamente importante in maniera non controversa.
Se voi confrontate la scheda del paziente non diabetico e la scheda del paziente diabetico, il paziente
diabetico a parità di altre condizioni si trova in un livello di rischio cardiovascolare sicuramente più elevato
come è denotato dalla presenza di quadratini di colore diverso. Ci sono carte di rischio che valgono per
l’uomo e altre che valgono per le donne. Queste sono le carte di rischio del progetto cuore, a nostro avviso
il rischio cardiovascolare nelle donne è largamente sottostimato come si può vedere dalla presenza di tutte
queste caselline verdi, comunque anche in questa situazione si vede che il diabete conferisce un rischio in
più rispetto al fatto di non avercelo.
Questi sono dati di una casistica nostra del centro antidiabetico del policlinico dove abbiamo dovuto
documentare e confermare che le variabili che si riteneva essere a rischio per malattie cardiovascolari sono
certamente operanti anche nel diabete, quindi l’età, la pressione, il colesterolo HDL basso e assieme a
queste anche delle variabili che potremo definire specifiche per la malattia diabetica. Quindi a parità di
altre condizioni avere un diabete di durata più prolungata e avere un valore di emoglobina glicata più
elevato rappresentano delle condizioni a rischio specifico per avere un evento cardiovascolare. Questo noi
lo abbiamo visto confrontando pazienti che hanno avuto entro i 10 anni successivi alla prima visita un
evento cardiovascolare rispetto a pazienti che questo evento non l’hanno avuto.

In considerazione
di tutte queste
premesse che vi ho
fatto le linee guida
delle società
scientifiche (questa
è la linea guida
dell’ADA) si sono
poste dei target di
intervento, dei goal
terapeutici per
ridurre proprio
questo rischio
cardiovascolare nei
soggetti diabetici
in generale, non
necessariamente
anziano. Sono
ovviamente dei
goal di:
 controllo
glicemico,
quello di
emoglobina glicata è 7,
 di pressione arteriosa,
 del profilo lipidico.

Nel paziente anziano questi valori possano anche essere discussi e modificati.

OBIETTIVI TERAPEUTICI NEL PAZIENTE DIABETICO ANZIANO


 Nel soggetto autonomo o con disabilità lieve, questo di solito coincide col fatto di essere anziani
delle fasce di età più giovanili, quindi fra i 65-75 anni gli obbiettivi possono essere:
o Gli stessi del soggetto adulto non anziano
o Rallentamento della progressione delle complicanze d’organo, di rischio di eventi
cardiovascolari proiettato a 5-10 anni.
 Nell’anziano fragile (comorbilità, non autosufficienza, o entrambe) che spesso può coincidere con
delle fasce di età anziana ancora più avanzate “ci si accontenta” di obbiettivi meno ambiziosi.
Evidentemente se vi trovate di fronte a un paziente di 85-90 anni estremamente compromesso
quello che si cerca di dargli non è un beneficio del rischio cardiovascolare a 10 anni (che i 10 anni
sapete che non li raggiungerà mai) si cerca invece di dargli:
o Benessere soggettivo.
o Prevenzione delle crisi ipoglicemiche, che in un anziano forse ci preoccupano di più
rispetto al controllo dell’iperglicemia in senso stretto.
o Prevenzione delle complicanze metaboliche acute, anche un soggetto anziano e
disabile ha tutto il diritto di non farsi un coma chetoacidosico o di non farsi un coma
iperosmolare (quest’ultimo forse è più frequente).
o Conservazione di un normale metabolismo energetico

La terapia del diabete mellito


In termini generali la terapia del diabete mellito si basa su misure comportamentali (attività fisica, dieta) e,
quando tali misure non risultino efficaci, sul trattamento farmacologico. I farmaci utilizzabili comprendono
gli antidiabetici orali (diabete mellito tipo 2, con la metformina che può essere utilizzata anche in
associazione con l’insulina in pazienti con diabete tipo 1 sovrappeso/obesi) e l’insulina (diabete mellito tipo
1 e diabete mellito tipo 2 non controllato adeguatamente con gli antidiabetici orali).

Le misure comportamentali nel diabete di tipo 2 sono estremamente importanti.


o L’attività fisica ha una serie di vantaggi:
– Migliora il controllo glicemico
– Migliora l’assetto lipidico
– Riduce la pressione arteriosa
– Contribuisce a raggiungere/mantenere l’adeguato peso corporeo
– Aumenta il senso soggettivo di benessere
Vi rendete però conto come in un paziente anziano possa essere problematico e complesso stimolare,
impostare un corretto regime di attività fisica che peraltro sarebbe estremamente importante. Spesso con
gli anziani ci troviamo di fronte a soggetti allettati, soggetti che al massimo fanno letto poltrona,
chiaramente questo discorso purtroppo vanifica qualsiasi tipo di opzione di poter far leva sull’attività fisica.

o La dieta certamente ha un ruolo fondamentale nel trattamento del diabete e della sindrome
metabolica. Quantità e qualità degli alimenti influiscono sul peso corporeo e sul metabolismo
glucidico e lipidico, con effetti determinanti sul controllo del diabete, delle complicanze vascolari e
della spettanza di vita.
Nel paziente anziano ancora una volta spesso ci troviamo di fronte a dei problemi particolari, magari le
condizioni generali del paziente, i problemi dentari, problemi masticatori, inappetenza orientano verso
alcune categorie di cibi che sono un po’ più appetibili e non sempre dal punto di vista nutrizionale questo è
l’ideale per il paziente. Ancora una volta ci troviamo davanti a degli ostacoli oggettivi che vanno presi in
considerazione. Teniamo sempre presente i benefici dell’attività fisica e della dieta, ma teniamo anche
presente il fatto che nel paziente anziano può essere molto problematico riuscire ad avere un’adesione ad
una corretta dieta, ad un corretto regime di attività fisica per motivi proprio oggettivi.

DM: Terapia Farmacologica


Gli antidiabetici orali possono essere classificati in questi gruppi che vedete elencati nella diapositiva.

I capostipiti sono le sulfaniluree (secretagooghi) che agiscono sull’interferenza a livello dei canali del K+ e
hanno un azione di secrezione insulinica da parte della beta cellula pancreatica. Agiscono come induttori
della secrezione dell’insulina e hanno degli effetti molto marginali ed indiretti sulla resistenza o
sull’insensibilità dell’insulina stessa.

Le binguanidi, oggi l’unico farmaco è la metformina che hanno un meccanismo d’azione più variegato e
hanno un’azione sia a livello epatico sia a livello periferico sulla sensibilità all’insulina.

Gli inibitori della alfa-glucosidasi, l’acarbosio, che hanno invece un azione esclusivamente a livello del tratto
gastrointestinale, dove riducono l’assorbimento intestinale di glucosio.

I tiazolidinedioni o glitazoni, (oggi è rimasto solo il pioglitazone) che agiscono sulle cellule periferiche
soprautto sulle cellule adipose sulla sensibilità all’insulina.

Poi abbiamo dei farmaci più recenti che sono sempre dei segretagoghi, ma con caratteristiche molecolari
differenti dalla sulfaniluree che hanno un azione particolare, più rapida come insorgenza e più breve durata
d’azione.

A queste 5 categorie si aggiungono anche i farmaci che sono attivi sull’asse GLP1/DPP-IV.

Questa è la terapia farmacologica che precede l’insulina e voi la vedete elencata e schematizzata.
 A livello dell’assorbimento gastrointestinale dello zucchero in questa fascia di farmaci adesso come
adesso l’acarbosio è praticamente l’unico rappresentato, ha un suo ruolo e un suo significato
nell’armamentario terapeutico, un problema non secondario e la sua non rimborsabilità dal
servizio sanitario (il paziente che vuole fare l’acarbosio lo deve pagare). Può essere associato alle
altre classi.
[Da wikipedia: L’acarbosio è il nome del principio attivo di indicazione specifica contro l’obesità, prodotto
dalle case farmaceutiche Bayer e venduto, con il brand Glicobase® e Glicobay®. L'acarbosio ritarda la
digestione e l'assorbimento di zuccheri alimentari in quanto è un inibitore dell'alfa-glucosidasi intestinale,
per tale meccanismo ha un effetto nel ridurre la glicemia post-prandiale. Riduce inoltre i livelli di trigliceridi,
di emoglobina glicata (HbA1) e la resistenza periferica all'insulina. È utilizzato come supporto contro le
forme di diabete]
 Abbiamo delle opzioni che hanno un effetto segretagogo sulla β cellula pancreatica, le sulfaniluree
(i capostipiti) e le glinidi e più recentemente i farmaci che sono attivi sull’asse delle GLP1/DPP-IV-
(GLP1/DPP-IV- inhibitors).
 Farmaci che agiscono più sul versante della sensibilità all’insulina a livello epatico come la
metformina
 Farmaci che agiscono invece in maniera quasi esclusiva sull’insulino sensibilità a livello periferico e
siamo nell’ambito dei farmaci tiazolidinedioni o glitazoni.

Oggi le opzioni terapeutiche al di fuori e prima dell’insulina


sono queste.
Gli antidiabetici orali:
L’effetto degli ipoglicemizzanti orali. studi clinici randomizzati vs placebo
 Sia le sulfaniluree che la metformina prese Farmaco N. studi N. paz. Durata A1c

singolarmente hanno un effetto di ridurre dagli 1 ai 2


Sulfoniluree 4 4332 12 sett-10 aa -1.6 ± 0.7%
punti di emoglobina glicata dopo un trattamento Metformina 7 1752 12 sett-10 aa -1.6 ± 0.7%
adeguato In. a-glucos. 12 2253 16 sett-2 aa -0.8 ± 0.2%

 gli inibitori dell’assorbimento (In. a-glucos.) hanno un Glitazoni 4 2262 26 sett-6 mesi -1.4 ± 0.2%
Glinidi 4 1182 12 sett-6 mesi -1.3 ± 0.6%
effetto leggermente più limitato e
 per i glitazoni siamo sul 1,5 di riduzione.
Inzucchi SE, JAMA 2002

La scelta terapeutica iniziale non è inficiata dall’efficacia


terapeutica, in quanto tra loro questi farmaci sono molto simili. Considereremo gli effetti collaterali o il
coso, ad esempio.

Questi sono dati medi e l’effetto tende ad essere più Uso combinato di metformina +
marcato nei pazienti più scompensati. Spesso in sulfonilurea
medicina quanto più li paziente è severo quanto più di < 8.0% 8-8.9% 9-9.9% > 10%
solito è efficace l’intervento terapeutico. 0
Variazione dal basale A1C (%)

-0.9

-1
-1.0 -1.5 -1.5
In linea di massima per la metformina e la -1.4 Gli/Met (n = 162)
-2.0
Metformina (n = 157)
glibenclamide se presi singolarmente in media siamo -2
-2.2
-2.3
-2.4
Gliburide (n = 143)

vicino ad una riduzione di 2 punti di HbA1c. Questi -3


-2.9
-3.1

sono due farmaci che possono essere associati fra di -3.6


-4
loro e l’associazione della metformina e della
glibenclamide consente un potenziamento di entrambi
J Clin Endocrinol Metab 2003, 88: 3598-3604
con una variazione in senso assolutamente positivo dei
livelli di emoglobina glicata.

Riassumendo le sulfaniluree sono farmaci che


 hanno un indicazione solo nel diabete di tipo 2, come in generale tutti gli ipoglicemizzanti orali,
 di solito rappresentano il trattamento di prima scelta nel paziente non sovrappeso BMI ≤ 26 kg/m2
(anche se l’opzione della metformina può essere applicabile anche in questi pazienti)
 ha senso proporli quando i livelli di glicemia a digiuno non sono drammaticamente alterati FPG ≤
240-260 mg/dl e
 anche i livelli della emoglobina glicata non devono essere eccessivamente elevati HbA1c ≤ 9-10%
(10 è già un po’ tanto)
 vanno prescritti in pazienti che non abbiano delle marcate compromissioni della funzione epatica o
renale
 sono farmaci che possono essere utilizzati da soli ma che si possono tranquillamente associare sia
ad altri ipoglicemizzanti orali che anche all’insulina

La metformina è un farmaco che


 agisce più sul versante dell’insulino sensibilità (mentre le sulfaniluree sono squisitamente dei
farmaci segretagoghi attivi sul recettore SUR1) trovano indicazione nel diabete mellito di tipo 2 e in
alcuni casi di diabete mellito tipo 1 con sovrappeso/obesità (ultima affermazione un po’ “forzata”)
 rappresenta il trattamento di prima scelta nel paziente sovrappeso, BMI ≥ 26 kg/m2, può
rappresentare anche la prima scelta nel paziente non sovrappeso
 va prescritta in pazienti che non devono avere grossolane alterazioni della funzione epatico e renale
 si presta ad essere associata ad altri ipoglicemizzanti orali o anche all’insulina (stesso discorso delle
sulfaniluree)

Sulfaniluree e metformina sono i due farmaci ipoglicemizzanti orali di prima scelta e sono anche i più
utilizzati. Da alcuni anni sono entrati nell’armamentario terapeutico anche gli tiazolidinedioni o glitazoni,
che agiscono mediante questo meccanismo molecolare preciso, sono degli agonisti del recettore PPAR-γ.

Fibrates and Glitazones: the PPAR Signaling Pathways


 I recettori PPAR sono una famiglia di recettori
nucleari che sono estremamente importanti per
il controllo delle funzioni metaboliche.
 Gli agonisti dei recettori PPAR-α fra cui dei
fibrati, i derivati dell’acido fibrico, hanno una
efficacia soprattutto nel controllo del
metabolismo lipidico (riduzione dei livelli di
trigliceridi, aumento dell’ossidazione degli acidi
grassi, aumento delle HDL).
 I recettori PPAR-γ invece sono prevalentemente
coinvolti nel metabolismo del tessuto adiposo a
livello periferico (non tanto sui livelli circolanti
nei lipidi plasmatici) e sulla sensibilità
all’insulina.
 Gli agonisti del PPAR-γ, tiazolidinedioni o glitazoni, vengono utilizzati come insulino sensibilizzanti e
hanno un loro ruolo nella terapia del diabete.

I tiazolidinedioni o glitazoni sono farmaci che


 hanno un indicazione solo nel diabete mellito di tipo 2
 possono essere associati alle sulfaniluree e alla metformina (l’uso dei glitazoni è per il momento
limitato dalla necessità di poter utilizzare tali molecole solo in associazione agli altri antidiabetici
orali)
 hanno una controindicazione se non assoluta comunque relativa al loro utilizzo in associazione
all’insulina, in virtù di un possibile effetto sul peso corporeo che potrebbe portare ad un aumento
non gradito e con effetti sinergici fra i due farmaci e a un certo grado di ritenzione idrica che i
glitazoni possono dare
 vanno prescritti in pazienti che hanno una funzione cardiaca (infatti possono peggiorare lo
scompenso cardiaco), epatica e renale normale

In sintesi per queste tre categorie di antidiabetici orali


 In media ci possiamo attendere una riduzione dell’emoglobina glicata di 1-2 punti percentuali
rispetto al non trattamento.
 Quando antidiabetici diversi sono stati confrontati nell’ambito dello stesso studio, non sono emerse
differenze significative in termini di efficacia; tuttavia la tipologia e la frequenza degli effetti
indesiderati sono diverse tra i vari farmaci.
 La scelta del farmaco da utilizzare va individualizzata paziente per paziente. In caso di obesità la
metformina è particolarmente utile.
 Spesso si possono usare questi farmaci in combinazione e la loro combinazione a dosaggio più
basso consente un controllo migliore della glicemia rispetto a quello ottenibile in monoterapia
(senza dover ricorrere a dei dosaggi elevati potenzialmente tossici).

Il sistema delle incretine: agonisti delle GLP-1 e inibitori del dipeptidilpeptidasi-4


Questa è una delle ultime categorie di farmaci entrata nel commercio. Sono dei farmaci che agiscono sul
sistema delle incretine, in particolar modo sulle GLP-1 e sull’enzima che lo degrada la dipeptidilpeptidasi-4.
Il GLP-1 è un ormone gastrointestinale che a dispetto del suo nome, glucagon-like peptide (quindi effetti
simile al glucagone con effetti iperglicemizzanti), ha un azione favorevole nel metabolismo glucidico e nel
contesto di un eventuale trattamento del diabete mellito.

FARMACI CHE AGISCONO SUL SISTEMA DELLE INCRETINE

Essi agiscono sul GLP1 e sull’enzima che lo degrada che è la dipeptidil-peptidasi IV (DPP4).

Il GLP1 è un ormone gastrointestinale che a dispetto del suo nome (glucagon like peptide) ha un’azione
favorevole nel metabolismo glucidico e di un
eventuale trattamento del diabete.

Il GLP1 ha degli effetti positivi sulla Betacellula


pancreatica, aumenta la produzione e
secrezione di insulina e aumenta l’effetto
protettivo nei confronti dell’apoptosi beta-
cellulare.

Il problema del GLP1 è che una volta in circolo


viene degradato dopo pochi minuti dall’enzima
dipeptidil-peptidasi IV per cui somministrato in
quanto tale avrebbe un’efficacia non
proponibile proprio in virtù della sua ridotta
permanenza in circolo e durata d’azione.

Il problema è che fisiologicamente questo


ormone viene attivato in tempi estremamente
rapidi da questo sistema enzimatico che chiamiamo dipepdidil-peptidasi 4 (DPP4) che fa sì che dopo una
ipotetica iniezione parenterale di questa sostanza, dopo pochi minuti non ne avremmo più in circolo, quindi
con una efficacia biologica praticamente nulla.

L’azienda farmaceutica per risolvere questo problema ha agito valutando due alternative:

a) produrre degli analoghi che non venissero inattivati dalla dipeptidil-peptidasi IV, ad esempio
l’exenatide (e l’iraglutide) che è un congenere che non presenta il sito di attacco per
l’inattivazione proteolitica da parte dell’enzima, ed è un farmaco correntemente utilizzato;
l’unico inconveniente è che deve essere somministrato per via parenterale
b) l’altra opzione è agire con dei farmaci sull’enzima inattivante; sono i composti attualmente
disponibili in commercio, i gliptinici che inibendo la degradazione del GLP1 ne aumentano
l’efficacia, la biodisponibilità e di conseguenza gli effetti benefici.
I gliptinici possono essere somministrati per os. Esempi sono il vidagliptin e il sitagliptin. In realtà
in commercio vi sono altri analoghi tipo il saxsagliptin di sicuro.

PARENTESI DA Wikipedia
Le  incretine  sono ormoni prodotti a livello gastrointestinale e sono principalmente:
 GLP-1  (Glucagon-like peptide 1), prodotto dalle  cellule L  dell'ileo/colon;
 GIP  (Glucose-dependent insulinotropic peptide), prodotto dalle cellule K del  duodeno.

Questi  ormoni, secreti dopo i pasti, specialmente il GLP-1, hanno la funzione di controllare la  glicemia  in
vari modi:
 aumentando la secrezione di  insulina  da parte delle cellule beta del  pancreas;
 diminuendo la secrezione di  glucagone  (antagonista dell'insulina) da parte delle cellule alfa del
pancreas;
 rallentando la motilità e dunque lo svuotamento gastrico (rendendo più "soft" la curva glicemica
postprandiale) e diminuendo l'appetito.
Il GLP-1 è rapidamente (1-2 minuti) degradato a  peptide  inattivo (cioè è disattivato) dall'enzima DPP-4
(dipeptidil-peptidasi IV). Poiché la produzione di GLP-1 diminuisce col diminuire della glicemia e la sua
permanenza attiva è di soli 1-2 minuti il suo controllo sulla glicemia è calibrato e "al bisogno", evitando così
situazioni di ipersecrezione di insulina e conseguenti pericolose ipoglicemie. Inoltre pare che cellule beta
coltivate in vitro in presenza di GLP-1 perdurino integre più a lungo suggerendo un intervento protettivo
dell'ormone.
La terapia orale del  diabete mellito  di tipo 2 (DM2) ha nel suo armamentario molti farmaci tra cui
ricordiamo  biguanidi,  sulfaniluree  e  glitazoni.
Questi farmaci nel complesso hanno i più svariati effetti avversi che in una terapia prolungata come quella
necessaria per il DM2 possono risultare molto problematici. Fra questi l'ipoglicemia  e l'aumento di peso
sono fra i più temibili. Per questo e altri motivi la ricerca nel campo della terapia orale del diabete non è mai
cessata e oggi la via delle incretine sembra promettente. In sostanza l'obiettivo è quello di ripristinare e
sfruttare l'azione "naturale" del GLP-1 che nei diabetici è deficitaria.

Due sono stati gli approcci tentati.


-Il primo prevede la somministrazione di sostanze analoghe al GLP-1 ma resistenti alla degradazione da
parte di DPP-4, con conseguente persistenza del GLP-1-analogo in circolo anche in pazienti che ne
producono meno. Fra questi analoghi è stato testato e dunque approvato dalla  Food and Drug
Administration  (FDA) (29 aprile  2005) l'Exendin-4, estratto dalla saliva di una grossa lucertola,
la  Heloderma suspectum, e commercialmente chiamato Exenatide, venduto come Byetta®  negli USA. Un
vantaggio dell'Exenatide, oltre alla comprovata azione antidiabetica, è la riduzione dell'appetito associata
spesso ad una perdita di peso che aiuta a ridurre il pericoloso e frequente binomio diabete-obesità. Uno
svantaggio è la sua somministrazione giornaliera e sottocutanea.

-Il secondo e più promettente è l'approccio consistente nell'inibire il DPP-4 evitando così la degradazione del
GLP-1. Tra le sostanze in grado di farlo sono state sintetizzate il Sitagliptin (Xelevia®, Januvia®), approvato
dall'FDA e il Vidagliptin, molecola ancora in studio di fase III. Entrambe queste molecole hanno dimostrato
in diversi studi la loro capacità di ridurre in modo considerevole l'emoglobina glicosilata ( HbA1c, parametro
per valutare il controllo della glicemia a lungo termine)(il Sitagliptin comporta una riduzione dello 0,70% di
Hb1Ac in associazione con  Metformina  in 24 settimane e dello 0,88% se associato con  Pioglitazone) e senza
indurre in alcun modo aumento del peso (spesso
provocano addirittura riduzione del peso) e con
rarissimi casi di ipoglicemia. Un ulteriore punto di
vantaggio degli inibitori del DPP-4 è la loro
somministrazione  orale. Gli effetti avversi più comuni
che si sono manifestati nei trial clinici sono stati
cefalea, nausea, sonnolenza, diarrea e infezioni del
tratto respiratorio superiore. I risultati sono molto
incoraggianti ma una conferma definitiva la daranno i
risultati postmarketing, specialmente riguardo agli
effetti collaterali.

Adesso passiamo in rassegna alcune evidenze che si


sono osservate nel paziente diabetico trattando via via
le varie alterazioni metaboliche che possono venire
trattate.

Targhet lipidici
LDL al di sotto di 100, anche se secondo alcune linee guida recenti questi targhet potrebbero essere
ulteriormente abbassati.
Di solito il diabetico con
indicazione alla terapia
ipolipemizzante riceve
generalmente statine che
rappresentano il cardine per
questo tipo di terapia. Questo
soprattutto quando il disordine
prevalente è relativo a delle LDL
alte.

Con triglicerdi alti e HDL basse si


possono considerare anche i
fibrati come farmaci alternativi.
Rivediamo gli obiettivi:
Qui abbiamo studi che hanno indagato
sull’interveno su diversi fatto ri di
rischio nei pazienti diabetici.
Gli studi dell’UKPDS hanno indagato
ipoglicemizzanti, farmaci con sartani,
con statine, con glitazione

Molti altri studi importanti hanno


compreso delle coorti ampie di
soggetti.

In pazienti diabetici di tipo II vedete


che aveva dato risultati incoraggianti
per certi aspetti, però un po’ deludenti per altri. Era evidente che gli eventi microvascolari venivano ridotti,
non c’era una riduzione altrettanto significativa sugli eventi macrovascolari.

Un follow up di questo stesso studio, 10 anni dopo, ha fatto vedere come insistendo con l’approccio più
intensivo i risultati saltino fuori alla lunga.
Infarto miocardico, malattia cardiovascolare, morte da ogni causa, la significatività emerge quindi a
distanza. Il trattamento intensivo della glicemia può avere degli effetti protettivi sulla mortalità e sugli
eventi cardiovascolari.

Altro studio ci dice che la strategia di controllo glicemico intensivo abbassa ulteriormente i valori di HB
glicata e si accompagna ad una diminuzione relativa degli end points combinati di eventi macro e micro
vascolari.
Il rovescio della medaglia è rappresentato è alla comparsa di eventi non piacevoli (scompenso cardiaco di
nuova insorgenza o peggioramento se già presente).
Glitazioni hanno un effetto di poco superiore sulla glicata rispetto alle sulfaniluree come si vede da questo
studio (non molto però), innalza i livelli di colesterolo HDL, un effetto significativo nell’abbassare la PCR e
riduzione del volume della massa della placca ateromasica (dovuto probabilmente alla somma degli effetti).

Controllo pressione arteriosa e controllo della proteinuria.


Studi fatti con sartani (che riducono la pressione di ultrafiltrazione glomerulare agendo sull’asse renina-
angiotensina-aldosterone). Effetto protettivo a livello renale. Diminuisce l’incidenza di nefropatia diabetica
in pz con diabete di tipo II.

Altro studio importanza di usare ACE inibitori e sartani per la protezione del rene nel paziente diabetico.
Lo studio 4S ha documentato l’importanza delle statine nel diminuire gli eventi cardiovascolari in pz ad alto
rischio.
Questo sia con sinvastatina che pravastatina. Altro studio ha utilizzato la torvastatina in una popolazione di
soli pz diabetici, con riduzioni di rischio addirittura superiori al 30%.
Anche con la fluvastatina gli effetti sono positivi. Sulla scorta di tutti questi studi, il targhet terapeutico di
HDL si potrebbe ulteriormente ridurre in pz a rischio elevato, a 70 mg/dL. Questi pz sono i pz che hanno già
avuto un evento cardiovascolare e che hanno anche il diabete o un altro fattore di rischio importante, o che
hanno la sindrome metabolica. Non è facile raggiungere il goal di 70, ma se si raggiunge può esserci un
vantaggio.

Fibrati e statine nel paziente diabetico


Questo studio ha documentato con i fibrati un calo dei trigliceridi, ma anche un calo della progressione
della arteriopatia a livello coronarico.

E per ultimo lo studio FIELD uno studio che ha utilizzato il fenofibrato in pz diabetici in cui si è andato a
vedere l’efficacia in termini di end points duri (quindi mortalità e di eventi) dove si è evidenziato un effetto
non eccezionale ma significativo nei confronti della prevenzione degli eventi cardiovascolari ed anche
rivascolarizzazione coronarica.

Un sottostudio pubblicato più recentemente ha mostrato dati interessanti e inaspettati su come l’utilizzo di
questo fibrato (che abbassa i Tg e alza le HDL) si siano documentati anche degli effetti a livello della
progressione di un evento microvascolare quale la retinopatia diabetica. Edema maculare, retinopatia
proliferativa e retinopatia in generale, con effetto protettivo di questo farmaco, che normalmente non
sembrerebbe avere degli effetti così diretti.

I dati dei 2 studi STENO hanno fatto vedere come un trattamento intensivo ad ampio raggio a 360 gradi, su
tutti i fattori di rischio curabili, quindi pressione, Hb glicata, colesterolo, trattamento con ACE inibitori e
aspirina, portasse a degli effetti assolutamente benefici nei confronti di un regime di terapia che potremmo
definire convenzionale. I dati sono stati confermati dal follow up a lungo termine dopo altri 5 anni.

Ricordo le norme non farmacologiche come i presidi di stile di vita, siano gli unici che riescono ad agire su
tutti questi fattori di rischio: peso corporeo, glicemia, pressione, profilo lipidico. Non c’è nessun altro
farmaco che è in grado di agire a 360° su queste componenti. Questo per stimolare il paziente su un
corretto stile di vita.

Terapia antiaggregante nel pz diabetico


E’ un aspetto abbastanza controverso. L’opinione è divergente e si può riassumere con la necessità di
valutare la terapia adeguata caso per caso nel singolo paziente, ma se nel pz con diabete scompensato ad
alto rischio (parliamo di prevenzione primaria, perché la secondaria è scontato che l’ASA salvo
controindicazioni particolari vada utilizzata) è un approccio pagate se riusciamo ad individuare il paziente
ad alto rischio. In quello compensato, come per gli altri traghet ci si può accontentare di qualcosa di meno
ambizioso, non è automaticamente detto che debbano ricevere tutti la terapia con ASA. Ci saranno altre
cose che ci aiutano: presenza di arteriopatia subclinica, doppler delle arterie sovraortiche, ecce cc. Non
consideriamolo come assioma, l’ASA può andar bene in una buona percentuale di pz diabetici ma non in
maniera automatica ed acritica.

La metformina rappresenta il farmaco di prima scelta nella terapia del diabete.

CURA DEL DIABETE NELLE PERSONE ANZIANE (sopra i 65 aa)

Fino ai 70-75 aa c’è un aumento della prevalenza del diabete.


Quando andiamo oltre nell’età c’è un appiattimento o addirittura una riduzione della prevalenza. L’ultra
80enne ci mette davanti f scenari differenti per quanto riguarda i targhet terapeutici.

I valori di uptake di glucosio mediato dall’insulina è praticamente un indice di sensibilità all’insulina. Tende
a calare andando verso i 70 aa. I valori tendono a peggiorare nei soggetti che hanno livelli bassi di
deidropepiangiosterone (DHEA). Questo perché il DHEA ha effetti di modulazione sulla sensibilità
all’insulina. Non mi soffermo sulla casacata biochimica, ma vi ricordate il mediatore Glut4 responsabile
dell’internalizzazione del glucosio.
Altro fattore importante nell’anziano è l’IGF1 metabolita attivo (II messaggero del GH) che ha effetti trofici e
metabolici importanti; nell’anziano i livelli di IGF1 tendono a diminuire con il progredire dell’età.
La combinazione della riduzione di IGF1 e DHEA concorrono assieme alla modificazione dell’assetto
corporeo nell’anziano (sarcopenia, sostituzione della massa magra con la massa grassa che spesso è
associato ad un fenomeno infiammatorio).

I sintomi classici del diabete negli anziani: poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale, spesso nell’anziano i
sintomi classici non sono così chiari, possono essere attenuati, perché magari il paziente non è in grado di
riferirvi una poliuria o di rendersi conto dello stimolo della sete e di bere adeguatamente.
A volte la glicosuria può essere meno evidente. Spesso compaiono i sintomi da disidratazione.
Il coma iperosmolare può essere l’esordio ci un diabete di tipo II nell’anziano o cmq di sindrome
iperosmolare (magari hanno 800 di glicemia)

Si associa spesso alle altre disabilità dell’anziano, tra qui il declino cognitivo, una aumentata incidenza di
fratture.

Studi hanno paragonato l’insulina resistenza con il declino cognitivo: le due componenti rappresentano un
substrato comune nella sindrome della fragilità (di cui vi parleranno).
Esauribilità, scarsa attività fisica, scarsa velocità del cammino, riduzione della forza della presa, diminuzione
del peso corporeo non intenzionale, tutti questi parametri rientrano nella sindrome.

Iper e ipoglicemia possono essere fattori di peggioramento di tutti questi paramentri, con aumento della
mortalità e riduzione della qualità di vita. Tra loro cmq sono come un circolo vizioso.
Indice di comorbidità secondo Rozzini che classifica il pz anziano secondo presenza o meno di patologie
sintomatiche La classe IV ha espressione massima di coopatologia o gravità delle patologie associate.

Ecco quelle che vanno sotto il nome di carte di rischio (si utilizzano e ci confronterete anche voi ben presto)
che tengono in conto nella valutazione del rischio cardiovascolare globale del nostro soggetto una serie di
parametri fra cui sicuramente non mancano
 l’età,
 il colesterolo,
 la pressione,
 il fatto di essere o non essere fumatori e anche
 il diabete che ha un impatto estremamente importante in maniera non controversa.
Se voi confrontate la scheda del paziente non diabetico e la scheda del paziente diabetico, il paziente
diabetico a parità di altre condizioni si trova in un livello di rischio cardiovascolare sicuramente più elevato
come è denotato dalla presenza di quadratini di colore diverso. Ci sono carte di rischio che valgono per
l’uomo e altre che valgono per le donne. Queste sono le carte di rischio del progetto cuore, a nostro avviso
il rischio cardiovascolare nelle donne è largamente sottostimato come si può vedere dalla presenza di tutte
queste caselline verdi, comunque anche in questa situazione si vede che il diabete conferisce un rischio in
più rispetto al fatto di non avercelo.
Si tende a sottostimare il rischio nelle donne

Questi sono dati di una casistica nostra del centro antidiabetico del policlinico dove abbiamo dovuto
documentare e confermare che le variabili che si riteneva essere a rischio per malattie cardiovascolari sono
certamente operanti anche nel diabete, quindi l’età, la pressione, il colesterolo HDL basso e assieme a
queste anche delle variabili che potremo definire specifiche per la malattia diabetica. Quindi a parità di
altre condizioni avere un diabete di durata più prolungata e avere un valore di emoglobina glicata più
elevato rappresentano delle condizioni a rischio specifico per avere un evento cardiovascolare. Questo noi
lo abbiamo visto confrontando pazienti che hanno avuto entro i 10 anni successivi alla prima visita un
evento cardiovascolare rispetto a pazienti che questo evento non l’hanno avuto.

Sono delle raccomandazioni specifiche per la cura e il trattamento del diabete nelle persone anziane
emesse annualmente dalla Società Italiana di Diabetologia e dall’Associazione dei Medici Diabetologi.

Secondo quanto esposto nelle slide precedenti:


a) le linee guida della American Diabetes Association fanno riferimento a valori di Emoglobina Glicata
di circa 7 nel controllo del metabolismo glucidico.

b) Gli obiettivi terapeutici di un paziente diabetico che sta bene sono gli stessi di un paziente non
anziano. Nel paziente invece “comorbido” gli obiettivi sono diversi e più stringenti.

Le linee guida degli standard terapeutici hanno recepito questi due punti nel senso di individuare dei target
diversi di Emoglobina Glicata a seconda delle condizioni generali del paziente.
Per questo un paziente anziano in condizioni generali e di abilità buone il valore di Hb glicata sarà
sostanzialmente lo stesso del paziente non anziano quindi con un target intorno al 7- 7,5. Questo per
evitare le complicanze d’organo.

Nel paziente anziano fragile o con pluripatologie (magari affetto da demenza) in cui il rischio di un controllo
glicemico intensivo probabilmente supera i benefici (perché il rischio di ipoglicemia è alto) è appropriato
ricercare un obiettivo un po’ meno ambizioso con valori di Hb glicata tra 7,5 e 8,5 , mantenere un
benessere soggettivo.

Quanto enunciato rappresenta un primo punto importante,


cioè l’individuare un target “meno aggressivo” in un paziente
anziano a rischio.

In considerazione di tutte queste premesse che vi ho fatto le


linee guida delle società scientifiche (questa è la linea guida
dell’ADA) si sono poste dei target di intervento, dei goal
terapeutici per ridurre proprio questo rischio cardiovascolare nei soggetti diabetici in generale, non
necessariamente anziano. Sono ovviamente dei goal di:
 controllo glicemico, quello di emoglobina glicata è 7,
 di pressione arteriosa,
 del profilo lipidico.

Nel paziente anziano questi valori possano anche essere discussi e modificati.

OBIETTIVI TERAPEUTICI NEL PAZIENTE DIABETICO ANZIANO


 Nel soggetto autonomo o con disabilità lieve, questo di solito coincide col fatto di essere anziani
delle fasce di età più giovanili, quindi fra i 65-75 anni gli obbiettivi possono essere:
o Gli stessi del soggetto adulto non anziano
o Rallentamento della progressione delle complicanze d’organo, di rischio di eventi
cardiovascolari proiettato a 5-10 anni.
 Nell’anziano fragile (comorbilità, non autosufficienza, o entrambe) che spesso può coincidere con
delle fasce di età anziana ancora più avanzate “ci si accontenta” di obbiettivi meno ambiziosi.
Evidentemente se vi trovate di fronte a un paziente di 85-90 anni estremamente compromesso
quello che si cerca di dargli non è un beneficio del rischio cardiovascolare a 10 anni (che i 10 anni
sapete che non li raggiungerà mai) si cerca invece di dargli:
o Benessere soggettivo.
o Prevenzione delle crisi ipoglicemiche, che in un anziano forse ci preoccupano di più
rispetto al controllo dell’iperglicemia in senso stretto.
o Prevenzione delle complicanze metaboliche acute, anche un soggetto anziano e
disabile ha tutto il diritto di non farsi un coma chetoacidosico o di non farsi un coma
iperosmolare (quest’ultimo forse è più frequente).
o Conservazione di un normale metabolismo energetico

FARMACI IPOGLICEMIZZANTI - aspetti specifici per il paziente anziano

USO DEI SECRETAGOGHI (Sulfaniluree) nell’anziano

 Va condotto con cautela soprattutto per quanto riguarda la Glibenclamide (in alcuni testi italiani e
anglosassoni è chiamata Gliburide), poiché è un farmaco che già di per se ha un’emivita lunga
soprattutto in caso di pazienti con insufficienza renale, e spesso l’anziano ha una condizione di
insufficienza renale (anche se non conclamata) Non esiste un anziano con filtrato glomerulrare di
90

• In questa categoria di farmaci ci sono anche le sulfaniluree Gliclazide, Glimepiride, Glipizide che
hanno un minore rischio di ipoglicemia poiché hanno un’emivita più breve e quindi una maggiore
maneggevolezza.

PARENTESI
Le Sulfaniluree si possono dividere in molecole di I ( Clorpropamide) e di II generazione
(Glibenclamide, Gliclazide, Glipizide, ecc). Queste due classi si disti nguono essenzialmente
per potenza e tollerabilità, pur condividendo lo stesso meccanismo d’azione, che consiste
nello sti molare la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del
pancreas (ovviamente solo nel caso in cui il pancreas sia ancora in grado di produrre
insulina).
CHIUSA PARENTESI

•Nel paziente in cui si ritiene opportuno utilizzare dei farmaci secretagoghi ci sono alcune evidenze
che suggeriscono di impiegare i Glinidi e/o gli inibitori della Dipeptidilpeptidasi-IV (che agiscono
come detto in precedenza sull’asse del GLP1 e che fra le altre cose sembrano avere un rischio di
ipoglicemia minore).
La repaglinide è quella più usata che ha un emivita che copre il pasto.
RACCOMANDAZIONI
Questo lo ritroviamo negli stessi standard/schemi di
monitoraggio.
Se in un soggetto anziano è indicata una terapia con
antidiabetici orali non è opportuno l’utilizzo della
clorpropamide (quest’anno 2012, dice di non
nominarlo perché crede non esista più) e della
glibenclamide.

La clorpropamide è probabile che non esista neanche


più in commercio e si consiglia caldamente di non
considerarla tra i farmaci da utilizzare; la glibenclamide
invece è tuttora largamente utilizzata per cui occorre
tenere presente tale indicazione.

Questi sono dei dati che fanno riferimento ad uno degli inibitori delle DPP4 di cui si accennava prima,
l’Alogliptin, farmaco che non è in commercio in Italia però per analogia le considerazioni che se ne possono
estrapolare sono valide anche per il Sitagliptin; questo farmaco presenta un’efficacia decorosa nel calare i
livelli di Hb glicata sia nel paziente giovane che nell’ anziano, accompagnata ad un’efficacia altrettanto
decorosa nel ridurre i livelli di glicemia a digiuno e a fronte di questo un’assenza di effetti collaterali sul
versante delle ipoglicemie sia nel giovane sia nell’anziano.

Facendo il confronto con il placebo, sia alla dose più bassa sia a quella più elevata, non si manifestano
eventi di ipoglicemia nè moderata nè severa. Da questo punto di vista i gliptidici sembrano farmaci
accompagnati da una relativa maneggevolezza.

RACCOMANDAZIONI (per l’anziano)

La metformina è un farmaco che comporta il rischio di acidosi lattica, perché uno dei suoi effetti metabolici
è quello di orientare la glicolisi verso quella anaerobia a dispetto di quella aerobia, con il rischio
conseguente di lattoacidosi, da tener presente soprattutto per i pazienti con funzionalità renale
compromessa.

Le linee guida degli standard italiani suggeriscono che nei pazienti anziani con creatinina elevata non sia
raccomandabile l’uso di metformina; basandosi però su una valutazione a più ampio respiro ed anche
abbastanza realistica conviene ragionevolmente basarsi non sulla creatinina ma sul calcolo del filtrato
glomerulare (attraverso l’utilizzo delle formule di Cockroft o la MDRD; alcuni laboratori danno direttamente
assieme al valore della creatinina anche il calcolo del filtrato glomerulare presunto in base alle
caratteristiche anagrafiche del paziente).

Uso della metformina nell’anziano e funzione renale


• Per valori di filtrato glomerulare < 30 (quindi una situazione abbastanza compromessa) NON è da
utilizzare
• Con valori di Filtrato Glomerulare di 30-60 è raccomandabile limitare il dosaggio a 1500 mg/die. La
metformina nel suo impiego terapeutico generale si utilizza dai 1000 ai 3000 mg/die, la dose piena
quindi sono 3 gr/die, sicuramente in soggetto anziano è raccomandabile somministrare un dosaggio
più basso.
• Con valori di Filtrato Glomerulare > 60 si può somministrare un dosaggio pieno anche se è difficile
trovare un paziente sopra i 70 anni con tali valori.

PARENTESI
Queste formule forniscono una stima del VFG mediante la formula di Cockroft-gault e quella sMDRD

FORMULA DI COCKROFT
Clearance creatinina = (140 - età) x peso (Kg) 
72 x creatinina (mg/dl)
Formula MDRD semplificata
Clearance Creatinina = 186 x Creatinina - 1,154 x età - 0.203 x K1 x K2
K1: razza bianca = 1,00;  razza nera = 1,21
K2: maschio = 1,00;   femmina = 0,742 
 
Valori normali di VFG per età e sesso
Una volta calcolato il VFG di un singolo paziente e normalizzato per la superficie corporea standard, è
necessario confrontarlo con i valori che la tabella seguente propone come normali per età e per sesso.
Età Uomo Donna
(VFG ml/min/1.73mq) (VFG ml/min/1.73mq)

20 -29 128 (102 -154) 118 (94 - 142)


30 - 39 116 (93 -139) 100 (86 - 128)
40 - 49 105 (84 -126) 97 (78 - 116)
50 - 59 93 (74 -112) 86 (69 - 103)
60 - 69 93 (74 -112) 75 (60 - 90)
70 - 79 70 (56 - 84) 64 (51 - 77)
80 - 89 58 (46 - 70) 53 (42 - 64

CHIUSA PARENTESI

Uso della metformina nell’anziano – Controindicazioni

Nel soggetto anziano in generale affermare che la metformina è controindicata è eccessivo, affermare
invece che la metformina va impiegata ad un dosaggio ridotto e tenendo sotto controllo la funzione renale,
la creatinina e ancora meglio il filtrato glomerulare è un opzione accettabile.

In un paziente anziano è auspicabile iniziare la terapia partendo da un dosaggio di 500 mg x 2 /die


aumentandola successivamente alla dose di 500 mg x 3 /die; questa modalità non dovrebbe comportare
dei rischi particolarmente elevati anche di lattoacidosi.
Occorre tener presente anche che la metformina a differenza della glibenclamide è un farmaco a rischio
molto basso di ipoglicemia perché non è un farmaco secretagogo diretto, ma agisce su alcuni aspetti
metabolici, cioè sulla sensibilità all’insulina; è rarissimo che somministrata da sola dia delle ipoglicemie
importanti evento che invece si può verificare con le sulfaniluree.
Le controindicazioni vere e proprie, cogenti, a parte il discorso della funzione renale, sono:

• L’Insufficienza epatica conclamata (cirrosi scompensata).

Spesso nei foglietti illustrativi del farmaco si trovano delle controindicazioni abbastanza generiche che
citano “controindicato nell’insufficienza epatica”, “nell’epatopatie” , in realtà in un paziente che sia solo
portatore di un’epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD Non-alcoholic fatty liver disease) la
metformina migliora alcuni parametri legati all’epatopatia stessa, quindi non rappresenta una
controindicazione.

• Scompenso cardiaco severo


• Insufficienza respiratoria ipossiemica
Sono delle condizioni ad alto rischio per l’acidosi metabolica che può essere a sua volta aggravata da un
farmaco come la metformina.

Uso dei tiazolidindioni (glitazoni) nell’anziano - Possibili effetti collaterali

• Ritenzione idrica con il potenziale peggioramento di scompenso cardiaco

• Aumento ponderale
I tiazolidindioni a differenza della metformina e delle sulfaniluree non hanno un’indicazione ad
essere associati all’utilizzo dell’insulina, ed è proprio in virtù di questo possibile/temuto sinergismo
di azione riguarda gli effetti collaterali della ritenzione idrica e dell’aumento ponderale

• È stata “stressata” anche la possibilità di un aumentato rischio di osteoporosi/fratture; in realtà tale


rischio deve essere un po’ ridimensionato, esso è presente innanzitutto solo nella donna poiché per
l’uomo il testosterone ha un effetto protettivo.
L’aspetto delle fratture va tenuto presente nel paziente diabetico poichè ha un maggiore rischio se
va in ipoglicemia che non per una terapia con tiazolidindioni.

PRESSIONE ARTERIOSA
Se è vero che 130-80 può essere considerato il targhet ideale per la popolazione generale e per la
popolazione giovane, nel pz anziano, così come per l’Hb glicata anche questo targhet può essere situato
intorno ai 140-80. Il problema è che il soggetto anziano può avere una minor tolleranza alla riduzione dei
valori pressori maggior rischio di eventi sincopali, maggiori rischi di cadute. Va instaurato con gradualità ed
aggiustato nei dosaggi ancora più gradualmente.
Chi riceve ACE inibitori: controllo funzionalità renale e potassiemia (rischio aumento).
Chi riceve i diureti tiazidici: controllo potassiemia (rischio diminuzione) e sodiemia.

Importate la disidratazione! Già detto prima, il pz anziano può non sentire la necessità di bere e non
accorgersi della disidratazione.

Importante anche la possibile presenza di depressione e/o decadimento cognitivo, quest’ultimo in


correlazione al discorso dell’azione insulinica a livello del sistema nervoso.

Ricordatevi lo screening per l’incontinenza e la valutazione per quanto riguarda le problematiche oculari.

Anamnesi sulle cadute e il dolore cronico.


STUDIO SUI GLITAZONI

È stato condotto con il Pioglitazone. Tale studio ha


messo in risalto che tale farmaco diminuisce la
morbilità da complicanze cardiovascolari acute in
quanto consente un miglioramento dei parametri
endocrino metabolici.

Un altro aspetto rilevato è un aumento dei di casi


di ospedalizzazione per scompenso cardiaco più
elevati per i pazienti trattati con Pioglitazone
rispetto al placebo.

Quindi gli effetti positivi sull’assetto glicemico e


sulla possibilità di non dover
ricorrere all’insulina vanno
valutati in maniera accurata sui
possibili effetti sullo
scompenso cardiaco.

È presente comunque nella


scheda tecnica del farmaco la
controindicazione alla
somministrazione in pazienti
affetti scompenso cardiaco di
classe III o superiore. Il loro
impiego deve tener conto in
particolare della valutazione
delle condizioni cliniche del
paziente e del peso corporeo.

Rapporti tra insulino resistenza e sindromi geriatriche

Il pz anziano dovrebbe essere sottoposto sempre ad una


valutazione

Sono delle tabelle definite “un po’ noiose” che il professore


legge velocemente.

La necessità di fare una valutazione del rischio


cardiovascolare comunque nei pazienti diabetici e anziani
può orientare verso dei target di trattamento.
Se il paziente
anziano è
dislipidemico è
auspicabile
correggere anche
il quadro lipidico.

Nel

paziente anziano può essere richiesto anche un


controllo della pressione arteriosa però il più delle volte
non ci si deve prefiggere dei target troppo
ambiziosi.

Nella valutazione del paziente anziano dovrebbero essere presi in considerazione anche i rapporti fra
insulino-resistenza e la fragilità delle condizioni geriatriche; il paziente anziano dovrebbe essere sempre
sottoposto ad una valutazione multidimensionale geriatrica che tenga conto anche delle comorbidità.

L’apporto alimentare, lo stato di nutrizionale,


l’idratazione, se è vero che devono essere valutati in
qualsiasi paziente con diabete a maggior ragione
questo deve essere vero per il paziente anziano.

Molta attenzione deve essere posta al rischio di


depressione in questi pazienti.

L’anziano dovrebbe essere invitato ad avere una


registrazione accurata dei farmaci assunti.
Gli effetti di decadimento cognitivo devono essere
tenuti in considerazione così come i sintomi di
incontinenza.

Un’anamnesi inerenti eventuali cadute deve essere


sempre effettuata nel paziente anziano diabetico che
ci deve far sospettare che il soggetto sia a rischio di
episodi ipoglicemici che possano determinare delle
cadute e che possano essere corretti con una
gestione differente della terapia ipoglicemizzante.

Il diagramma in basso rappresenta una flow chart abbastanza recente delle linee guida europee riferite alla
gestione e al trattamento del diabete nell’anziano.
Si rilevano i due target distinti di Hbglicata:
- 7 nell’anziano privo di comorbidità
- circa di 8 nel soggetto più fragile e a rischio di ipoglicemia.

Se con le adeguate norme inerenti un appropriato stile di vita non si riesce a raggiungere il target prefissato
si utilizzano inizialmente gli ipoglicemizzanti orali:
-nel paziente sovrappeso si inizia con la metformina
-nel paziente non in sovrappeso si può optare se partire con le sulfaniluree o con la
metformina a seconda delle caratteristiche del paziente (di solito se non si raggiunge il
target si aggiunge alla terapia l’altro farmaco dei due non utilizzato)
-si possono considerare in caso di insufficiente controllo farmacologico le altre opzioni
terapeutiche precedentemente citate: tiazolidindioni e gli inibitori delle DPP4 (questi ultimi
a rischio particolarmente basso per ipoglicemie)

Quando questi target non vengono raggiunti si parte con la terapia insulinica.

Quindi quest’ultima in un paziente anziano la si utilizza: (in parte il discorso vale anche per il pz non
anziano)
- se non si raggiungono gli obiettivi prefissati dopo aver provato gli ipoglicemizzanti orali
- Subito se: (pz critico o glicemia particolarmente scompensato)
o Glicemia a digiuno > 250 mg/dl
o Glicemia postprandiale > 300 mg/dl
o HbA1c > 10% (indice di scompenso grave)
o Chetonuria (indice di scompenso grave)
o Diabete sintomatico (perdita di peso, poliuria)
o Patologie acute che richiedano ospedalizzazione
o Storia pregressa di cardiopatia ischemica
o Patologie epatiche o renali avanzate (controindicazioni agli IGO)

L’INSULINA
Vari tipi di insulina sono attualmente disponibili, ed i più rilevanti sono:
– Insulina ad azione rapida
– Insulina ad azione intermedia
– Analoghi ricombinanti dell’insulina ad azione rapida (insulina lispro, insulina aspart); sono
quelli che vengono maggiormente utilizzati nella terapia iniziale.
– Analoghi dell’insulina ad azione lenta (insulina glargina)

La farmacocinetica dei vari tipi di insulina è differente

L’analogo ad azione rapida è quello che mima più fedelmente


la cinetica dell’insulina endogena.
Questo tabella rappresenta un elenco abbastanza completo delle insuline disponibili.
Essendo un elenco inglese alcuni nomi commerciali non coincidono:

- Novolog  l’analogo disponibile in Italia si chiama Novorapid


- NovoLogmix 70/30  Novomix 30/70

per ciascuna di queste insuline si vede l’”Onset on action”(tempo di inizio degli effetti dopo la
somministrazione) , la durata d’azione, il picco.
In generale gli analoghi umani hanno un’insorgenza d’azione molto rapida, quindi sui 10-15 minuti, un picco
altrettanto rapido ed una durata d’azione significativamente diversa rispetto alle insuline regolari.
INDICAZIONE AD UTILIZZARE GLI ANALOGHI AD AZIONE RAPIDA nel paziente diabetico in generale e
nell’anziano a rischio:

- Elevati livelli di glicemia postprandiale

- Rischio di ipoglicemie soprattutto nella fase postprandiale tardiva, questo concetto vale anche nel
soggetto non anziano; ci sono molti pazienti che utilizzano l’insulina umana regolare e riferiscono degli
episodi ipoglicemici prima di cena/pranzo; in questo caso “switchando” da un’insulina regolare ad un
analogo delle volte questa ipoglicemia tardiva si può risolvere.

Gli SCHEMI DI SOMMINISTRAZIONE possono prevedere:

 Insulina Basale (Lantus) (da fare alla notte) + ipoglicemizzanti orali: rappresenta spesso la terapia
iniziale
 Da 1 a 3 iniezioni di analoghi rapidi ai pasti + / - Ipoglicemizzante orale (questo via via che la
glicemia richiede più controllo)
 Da 1 a 3 iniezioni di analogo bifasico
 Schema basal-bolus: 1 insulina basale, di solito dopo cena, con i vari boli ai pasti, con o senza
supporto di terapia ipoglicemizzante orale (rappresenta lo step finale di formulazione terapeutica)

Alcuni schemi di terapia insulinica


Mattino Pomeriggio Sera Notte Mattino Pomeriggio Sera Notte
Effetto dell’insulina
Effetto dell’insulina

Rapida Rapida Rapida Rapida Rapida


NPH o NPH o
Lenta Lenta NPH o Lenta

NPH o
Lenta
Col P C S Col P C S Col

Pasti Pasti

Mattino Pomeriggio Sera Notte Mattino Pomeriggio Sera Notte


Effetto dell’insulina

Effetto dell’insulina

Analogo Analogo Analogo


Analogo Analogo Analogo
rapido rapido rapido
rapido rapido rapido
NPH o NPH o Lenta
Lenta
Analogo lento

Col P C S Col P C S
Pasti Pasti

Col = Colazione; P = Pranzo; C = Cena; S = Spuntino h 23

Lo schema in basso a destra è il cosiddetto “Basal Bolus” in cui si vede la somministrazione alla sera di un
analogo lento (che potrebbe essere l’insulina gliargina) e di un analogo rapido ai tre pasti.

Il vantaggio di uno schema di questo tipo è quello di avvicinarsi alla fisiologia della secrezione insulinica in
rapporto ai pasti, ovviamente questo comporta dei problemi logistici di gestione poiché occorre effettuare
4 somministrazioni (punture) nell’arco della giornata.
CRITERI DI SCELTA DEL REGIME DI TERAPIA INSULINICA
 Andamento delle glicemie nella giornata: se molto alte in fase post prandiale, si può usare insulina
al pasto più critico
 Grado di compenso glicometabolico (se HbA1c > 9: meglio lo schema basal-bolus: se siam di fronte
ad una situazione molto scompensata è difficile pensare di farvi fronte con un’unica
somministrazione di insulina nell’arco della giornata)
 Disponiblità e compliance da parte del paziente e dei caregivers (non è infrequente il caso del
paziente che non ha un familiare/una persona che lo può assistere)
 Rischio d’ipoglicemie (minimo con basale)

Le opzioni meno invasive hanno dei vantaggi e degli svantaggi: se ci si limita ad utilizzare in associazione alla
terapia con ipoglicemizzanti orali un’insulina lantus alla sera occorre essere coscienti che il rischio di
ipoglicemie sarà minime ma allo stesso tempo sarà meno probabile avere un controllo ottimale.

Al contrario somministrando un’insulina rapida ai tre pasti e un’insulina basale alla sera può essere più alto
il rischio di ipoglicemie, la resa è migliore in termini di risultati ma richiesto un impegno maggiore al
paziente e al caregiver.

CONFRONTO INSULINA REGOLARE-ANALOGHI

E’ un lavoro inerente alcuni pazienti ricoveranti presso una struttura protetta: l’analogo ricombinante
rispetto all’insulina umana si ritiene che abbia
- degli effetti più consistenti e prevedibili
- dei livelli di Hbglicata migliori o quantomeno equivalenti
- un controllo migliore dei livelli di glicemia post prandiali
- un ridotto rischio di ipoglicemia

L’articolo si dilunga anche sull’utilizzo delle “penne” con cui l’insulina viene somministrata e si sofferma
sulla questione che il raggiungimento del target dipende molto dalla capacità di collaborazione da parte del
paziente e dei familiari.

I dati specifici che fanno riferimento al paziente anziano e in struttura che abbiano confrontato l’insulina
umana con l’analogo ricombinante non sono molti, uno di questi è:
“Lispro insulin treatment in comparison with regular human insulin in type 2 diabetic patients living in
nursing homes”

Regular Lispro
Mean blood glucose (mg/dl) 166 ± 12 143 ± 9*
HbA1c (%) 8.5 ± 0.6 7.6 ± 0.5*
Triglycerides (mg/dl) 261 ± 40 218 ± 20*
Hypoglycemic episodes/wk 2.1 ± 0.2 1.6 ± 0.3*
Hyperglycemic episodes/wk 12 ± 1 8 ± 3*

Da questo studio si rileva un apparente migliore effetto per quanto riguarda:


- i livelli di glicemia del mattino
- l’Hbglicata
- soprattutto una ridotta incidenza di episodi ipo e iperglicemici

A parità di altre condizioni si può correttamente ritenere che l’utilizzo di analoghi umani possa essere
preferito rispetto all’insulina regolare.

L’altro vantaggio è che quando si utilizza l’analogo si può somministrare immediatamente prima o a dopo il
pasto.

L’insulina umana regolare deve essere invece somministrata (il suo effetto inizia circa un’ora dopo la
somministrazione) una mezz’oretta prima del pranzo.
La possibilità di somministrare il farmaco a fine pasto è un vantaggio poiché la dose può essere adeguata
basandosi su quanto e se il paziente abbia mangiato.

SINTESI
 La terapia insulinica va individualizzata paziente per paziente, tenendo presenti, in particolare, le
proprietà di farmacocinetica di ciascun preparato.

 Gli schemi che consentono di ottenere i migliori risultati si basano su iniezioni multiple di insulina
(4-6 al giorno) in modo da coprire il fabbisogno postprandiale e garantire un’adeguata
insulinizzazione a distanza dai pasti e durante la notte

Occorre ulteriormente sottolineare, attraverso l’analisi dei dati presentati dallo Studio Accord, la necessità
di un approccio bilanciato tra aggressività terapeutica, il saper riconoscere gli obiettivi e minimizzare gli
effetti collaterali

Questo studio ha confrontato due opzioni terapeutiche:

-un trattamento aggressivo e intensivo


-un trattamento “convenzionale”

Sono stati presi in esame un numero spropositato di pazienti (circa 10000 tutti affetti da diabete di tipo 2) e
trattati con regimi terapeutici mirati ad ottenere target diversi di Hbglicata.

Metà dei pazienti hanno ricevuto un regime di terapia molto più intensivo che in una percentuale più alta
dei casi prevedeva l’insulina e in una percentuale un po’ più alta prevedeva anche l’utilizzo di altri farmaci
(secretagoghi o glitazoni).

Lo scopo era che i due tipi di trattamento fossero titolati per raggiungere dei target diversi di Hbglicata.

Alla fine dello studio i soggetti sottoposti a terapia standard si situavano su livelli di Hbglicata 7,5, quelli con
terapia “intensiva” presentavano valori di Hbglicata di 6,5 circa.
I risultati di questo studio:

-un dato forse prevedibile (ma non con questa entità e importanza) è che le ipoglicemie
erano più incidenti (circa 3 volte di più) tra i pazienti del gruppo trattato con una terapia più
intensiva.
Questo dato vale sia per le ipoglicemie in generale sia per quelle che richiedevano
assistenza medica.

-nei soggetti trattati con il regime più aggressivo c’era un aumento della mortalità generale
(statisticamente significativo) e con un aumento del rischio di circa il 20 %.

‘-il dato più stupefacente è che anche la mortalità cardiovascolare fosse aumentata tra i pazienti trattati
con una terapia più intensiva.
Il dato, statisticamente significativo, presentava un rischio aumentato di circa il 35% di avere un evento
cardiovascolare fatale.

In altre parole gli eventi cardiovascolari che ci si prefigge di prevenire con un controllo adeguato del profilo
glicometabolico non sempre sono collegati ad un trattamento terapeutico più intensivo.
Quando il miglioramento del profilo glicometabolico provoca un aumento del rischio di ipoglicemie per il
paziente questo si può riverberare in un rischio maggiore per gli stessi eventi cardiovascolari. Questi ultimi,
nello studio sopracitato, erano probabilmente collegati alla presenza di ipoglicemie particolarmente
dannose per il miocardio.

Gli autori nel loro abstract concludono che a confronto con la terapia standard l’uso della terapia intensiva
per orientare l’Hbglicata verso livelli normali
-aumentava la mortalità
- non riduceva in maniera significativa gli eventi cardiovascolari maggiori.

Questi dati quindi identificano un pericolo non precedentemente riconosciuto legato all’eccessiva riduzione
dei livelli glicemici in pazienti diabetici ad alto rischio.

Quando si parla di terapia ipoglicemizzante il rischio di ipoglicemia e delle conseguenze ad essa connesse
devono essere sempre tenuti in considerazione soprattutto nel paziente anziano perché potenziale
portatore di plurimi fattori di rischio (che in possono agire sinergicamente nello scatenare l’ipoglicemia)
come ad esempio:

-utilizzo di farmaci adrenergici


-la neuropatia autonomica
-le interazioni farmacologiche

Carta Europea Scorecard per regioni ad


alto ed a basso rischio
A differenza della funzione di Framingham, la Scorecard ci fornisce una stima della probabilità che un dato
paziente ha di avere un evento cardiovascolare fatale quindi che porta a morte il paziente (questo spiega
perché le percentuali in questo studio sono sensibilmente più basse rispetto al precedente dove sono
considerati sia gli eventi fatali che quelli non fatali).

In questa carta la trasposizione visuale è più immediata rispetto alla carta precedente, c’è una divisione per
sesso, età, colesterolo totale, pressione sistolica, fumo.
E’ importante notare che il range di età si ferma a 65 anni e questo risulta un grave limite comune anche a
molte altre carte di rischio.

Oggi la carta di rischio maggiormente utilizzata è la carta del rischio cardiovascolare del “progetto cuore”
sviluppata dall’Istituto Superiore di Sanità.
In questa carta si ritrovano le componenti già viste in precedenza quali: età, fumo, pressione arteriosa
sistolica, valori di colesterolemia totale, diabete.

Tra i fattori di rischio trattabili delle malattie cardiovascolari nell’anziano, oltre al diabete già visto nella
lezione precedente, includiamo l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia che sono probabilmente i più
rilevanti ed i meglio trattabili.

L’IPERTENSIONE

Dal 1988 al 2004 c’è stato un aumento significativo nella prevalenza dell’ipertensione arteriosa.
L’Ipertensione è tuttora un problema che interessa in modo più rilevante le donne, le persone con più di 70
anni, i neri e i messicani, le persone con DM ed insufficienza renale.

L’ipertesione sistolica isolata

Parlando di ipertensione nell’anziano si deve considerare l’ipertensione sistolica isolata che rappresenta
una variante dell’ipertensione tipica dell’età avanzata.
In una review di 3 anni fa pubblicata sul New England si evidenzia come l’andamento dei valori pressori si
modifica con l’avanzare dell’età ed in particolare, sia nell’uomo che nella donna, c’è un trend in aumento
della pressione sistolica più o meno lineare man mano che si va verso le decadi più avanzate mentre la
diastolica sembra quasi raggiungere un suo massimo intorno ai 50-60 anni per poi stabilizzarsi oppure può
tendere persino a calare a valori più bassi.
Nel grafico precedente si può anche osservare il differente andamento dei valori pressori nelle diverse
etnie, come già prima era stato detto.

In questo secondo grafico si


evidenzia quanto sia
considerevole la prevalenza della
pressione sistolica isolata
nell’anziano.
Mentre la diastolica isolata è
quasi esclusivamente riscontrata
nella popolazione giovanile, sopra
gli 80 anni c’è la quasi assoluta
certezza di essere davanti ad una
ipertensione sistolica isolata.

Qui di seguito verranno trattati i fattori determinanti l’aumento della pressione differenziale (pulse
pressure) e quindi la presenza di ipertensione sistolica isolata:

in un articolo pubblicato su “Circulation” nel 2003 (vedi grafico pag seguente) si mette in evidenza come in
soggetti di sesso femminile (barre nere) e in soggetti di sesso maschile (barre bianche), considerando una
popolazione di soggetti ipertesi e confrontandola con una popolazione di soggetti normotesi, la pressione
differenziale centrale risulta significativamente aumentata negli ipertesi sia negli uomini che nelle donne e
sembrerebbe avere un impatto ancora più rilevante nel sesso femminile.
Nelle donne ipertese come anche negli uomini ipertesi si ha un significativo aumento anche
dell’impedenza.

Un altro elemento molto importante per la sua rilevanza fisiopatologia nella genesi dell’ipertensione
sistolica isolata (oltre a PP e impedenza) è quello della ridotta compliance aortica verosimilmente legata ad
una ridotta distensibilità dell’aorta stessa.

Sia nelle donne che negli uomini la compliance aortica prossimale risulta significativamente ridotta nel
soggetto iperteso (questo vale anche per la compliance arteriosa periferica anche se con delle differenze di
entità in quanto risulta qualitativamente minore).

Con l’avanzare dell’età c’è sempre un aumento del diametro aortico, come si vede nella fig di sn.
Nella fig di dx si nota come ci sia anche un aumento della rigidità di parete correlato con l’età.
Se consideriamo delle popolazioni con pulse pressure (PP) aumentata (linea nera tratteggiata) rispetto a
popolazioni che hanno la pressione differenziale più bassa (linea grigia continua), quello che si osserva è
che nel primo caso si ottiene una curva molto meno ripida rispetto alla seconda, come a dire che l’aumento
progressivo e costante del calibro dell’aorta nella popolazione anziana correlato con l’avanzare dell’età, è
meno presente in chi ha una pressione differenziale elevata (il diametro aumenta con l’età e tale aumento
risulta più ridotto nei soggetti con alta PP).
A sn si vede invece una proporzionalità più diretta tra le due popolazioni per quello che riguarda l’indice di
rigidità e spessore della parete aortica che quindi risultano aumentare con l’età e con l’aumento della PP.
In questo secondo grafico le barre bianche sono i soggetti con PP bassa, le barre nere rappresentano quelli
con PP alta. Si nota come il diametro della radice aortica tende ad essere più ridotto in chi ha la pressione
differenziale più alta al contrario di ciò che accade per l’indice di rigidità vascolare.

Nel disegno qui a lato, in basso è rappresentato il comportamento di un’aorta normale con una buona
distensibilità ed una buona compliance, ha una sua onda pulsatoria di propagazione che ritorna e
determina un’onda dicrota (così chiamata nel pulsogramma aortico e dei grossi vasi e qui indicata dalla
freccia), che si trova all’incirca alla fine della sistole.
Nel caso dei pazienti con ipertensione sistolica isolata si ha una velocità di propagazione molto più rapida
ed un ritorno dell’onda pulsatoria di ritorno altrettanto rapido arrivando a coincidere con l’apice della
sistole.
Questo da un lato determina un aumento dell’onda sistolica e quindi della pressione sistolica, dall’altro
riduce il ritorno e la pressione diastolica con conseguente aumento della pressione differenziale.
Tutto questo spiega il perché del manifestarsi dell’ipertensione sistolica nell’anziano.

In questo grafico sono illustrati i diversi profili di soggetti non trattati: circa i ¾ di soggetti risultano
normotesi, nell’ambito degli ipertesi circa la metà ha un’ipertensione sistolica isolata, l’altra metà ha
un’ipertensione sisto-diastolica e risulta molto più rara l’ipertensione diastolica isolata.
Sempre a tale riguardo, nel grafico che segue sono riportati i dati di variazioni morfologiche a livello di
rimodellamento ventricolare senza che emergano grandi differenze nell’ipertenzione diastolica rispetto alla
sistolica. Il profilo patologico prevalente è quello del rimodellamento concentrico a livello ventricolare che
prima ancora di determinare un’ipertrofia ventricolare vera e propria, può essere evidenziato in un
riscontro ecocardiografico.

Uno studio italiano ha rilevato un’aumentata morbilità cardiovascolare in relazione alla pressione sistolica
(per morbilità cardiovascolare in generale si intendono gli eventi cardiovascolari acuti).

Questo vale per tutti i parametri e modelli di misurazione della pressione sistolica sia che venga considerata
la misurazione clinica, a livello di ambulatorio, sia che venga considerata qualche altra modalità di
rilevazione della pressione ad esempio la pressione ambulatoria delle 24 ore (anche detto hoter pressorio),
perché c’è sempre un rapporto tra l’aumento della pressione sistolica e l’aumento della mobilità
cardiovascolare ma si nota che tale aumento è molto più marcato quando l’ipertensione è documentata
sulla base di una rilevazione in continuo il che vuol dire che la sola misurazione ambulatoriale della
pressione potrebbe anche non essere sempre sufficiente per definire il rischio di eventi cardiovascolari
legato all’ipertensione.

TRATTAMENTO:

Nella tabella sopra riportata si confronta l’impatto del trattamento e del placebo sulla morbilità
cardiovascolare in relazione alla pressione sistolica.
Nei vari istogrammi si confrontano i pazienti che nei vari studi clinici ricevevano trattamento con placebo
rispetto a quelli che ricevevano il trattamento attivo, per ciascuna di queste voci i pazienti sono stati
stratificati per categoria di rischio e nella voce CVD si identificano quelli che hanno già avuto un evento
cardiovascolare o cerebrovascolare.
A destra è riportato un indice frequentemente utilizzato per quantificare l’impatto o l’efficacia di una
terapia: NNT (number need to treat: numero di pazienti da trattare per avere la prevenzione di un evento)
Quanto più basso è il NNT tanto più il trattamento è efficace.
Parlare di trattamento implica il fatto è necessario che il medico dia quella che ritiene essere la terapia
giusta e che il paziente la assuma.
C’è un lavoro italiano fatto da cardiologi in collaborazione con medici di medicina generale dove sono stati
studiati i valori effettivi di aderenza alla terapia farmacologia per l’ipertensione.
I risultati non sono incoraggianti perché in pazienti che hanno una buona adesione alla terapia per almeno
l’80% del tempo esaminato, sono solo poco più dell’8% all’inizio e circa il 10% alla fine.

Il fatto stesso di essere anziani rappresenta un elemento di rischio per ricadere nelle fasce di adesione al
trattamento più basse.
Il paziente anziano più raramente presenta una elevata adesione al trattamento.
L’incidenza di eventi CV è minore nei pazienti con elevata adesione alla terapia.

Passiamo ad esaminare più nel dattaglio quali sono le evidenze presenti sulla documentata efficacia del
trattamento ed anche con quali farmaci questo è stato visto.

Effetti del trattamento dell’Ipertensione Sistolica nell’anziano : Lo studio SHEP

Questo studio è cominciato negli anni ’80 e, protraendosi per molti anni, ha dimostrato l’effetto protettivo
del clortalidone sulla mortalità cardiovascolare.
Il CLORTALIDONE è un congenere dei diuretici tiazidici anche se ha una struttura molecolare diversa da
quella tiazidica classica, attualmente di scarso utilizzo.

Lo studio INDIANA

Si tratta di una metanalisi del ’99 e sembra gettare qualche ombra di dubbio sugli effetti del trattamento
dell’ipertenzione sistolica nell’anziano sulla mortalità, concludendo che se c’è un effetto protettivo sugli
eventi cardiovascolari c’è anche l’assenza di effetto protettivo sulla mortalità totale.

Lo studio HYVET

HY= Hypertension
VET= Veterans

E’ uno studio sull’ipertensione nei veterani quindi condotto su soggetti ultraottantenni utilizzando
indapamide con o senza perindopril (i-ACE) come terapia.

Il grafico mostra l’effetto della terapia con indapamide sul calo della pressione sistolica più che della
diastolica, associato ad una riduzione dell’incidenza di tutti gli end-points considerati (end-point combinato
di stroke fatale o non fatale, morte cardiovascolare, scompenso cardiaco).

Con questo studio si è dimostrato l’effetto protettivo nei confronti di eventi cardiovascolari del trattamento
(indapamide con o senza perindopril).

RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DEMENZA

Un altro aspetto importante che deve essere sottolineato parlando del trattamento dell’ipertensione
nell’anziano è il rapporto tra fattori di rischio classici e demenza perché sicuramente un paziente che ha
avuto ripetuti eventi cerebrovascolari potrà sviluppare una demenza di tipo vascolare ma è anche vero che i
fattori di rischio vascolari classici quali ipertensione, diabete, dislipidemia, attività fisica,…oltre ad essere
fattori di rischio per eventi cerebrovascolari documentati e successivo sviluppo di demenza, possono essere
ritenuti fattori di rischio correlati direttamente con la demenza e possono essere anche fattori di rischio per
una cerebrovasculopatia definibile sub-clinica che potrebbe essere associata alla presenza della demenza.

Lo studio HYVET è stato utilizzato anche per un’analisi dei possibili effetti protettivi sull’insorgenza di
demenza.
In questo caso, però, l’evidenza dello studio è stata più border-line: anche se si poteva riscontrare una
tendenza ad una minore incidenza di demenza nei soggetti trattati ma la differenza non era statisticamente
significativa.
Nello stesso studio è stata fatta anche una metanalisi prendendo in esame anche altri studi che avevano
utilizzato numeri consistenti di pazienti e mettendo insieme i vari risultati è emersa una significatività anche
se non eclatante con una riduzione di circa il 13% di insorgenza dei nuovi episodi di demenza in pazienti
trattati con terapia anti-ipertensiva.

Esiste un trattamento ottimale dell’Ipertensione Sistolica nell’anziano?

Alcuni studi affermano l’esistenza di tale trattamento mentre altri hanno dato dei risultati più controversi.
Per esempio lo STUDIO ACCOMPLISH ha confrontato il trattamento con i-ACE (Benazepril) in associazione o
con l’amlodipina o con un diuretico tiazidico (idroclorotiazide).
Quello che si è visto è che a parità di riduzione dei livelli pressori sembra esserci un effetto protettivo
derivante dall’aggiunta di AMLODIPINA rispetto all’ idrocloritiazide.

Lo STUDIO LIFE è stato condotto per valutare gli effetti protettivi del LOSARTAN rispetto all’atenololo
dimostrando che il sartano può avere effetti protettivi in più rispetto al beta-bloccante.

Una recente review ha preso in esame tutte le varie evidenze senza però arrivare a conclusioni definitive
ma comunque può essere ritenuta un punto di partenza nella scelta della terapia.

Si è visto che per gli studi fatti verso placebo quindi verso farmaco inattivo, le evidenze risultano abbastanza
chiare almeno per quel che riguarda i farmaci i-ACE, perché si è visto che sia nei soggetti più giovani che in
quelli più anziani l’utilizzo dell’ i-ACE ha un effetto protettivo in termini di eventi cardiovascolari.
Per quanto riguarda il Calcio-antagonista nei confronti del placebo si è visto che può essere utilizzato con
beneficio nel paziente over-65.
Non sono emersi dati particolarmente significativi confrontando schemi di terapia più o meno intensivi.

Alla fine si può dire che non ci sono grossissime differenze tra le varie categorie di farmaci e questo vale sia
nei pazienti con meno di 65 anni che per quelli con più di 65 anni.

In linea di massima si può riscontrare una correlazione tra la riduzione della pressione sistolica e la
riduzione del rischio relativo per eventi cardiovascolari.

Si erano visti prima gli studi che sembravano suggerire gli aspetti protettivi dell’una o dell’altra categoria ma
quando questi studi sono stati messi insieme nelle metanalisi le differenze si sono attenuate.

Inoltre sempre da questa metanalisi la riduzione della pressione arteriosa risulta avere un impatto minore
sugli eventi cardiovascolari rispetto a quanto dimostrato in precedenza, pur restando sempre significativa.

Per riassumere i risultati di questo lavoro (del 2008-2009):


Trattamento dell’ipertensione
Beneficio del trattamento antiipertensivo in tutte le classi di età: le evidenze disponibili danno un sostegno
estremamente rilevante all’utilizzo dei farmaci antipertensivi in tutte le classi di età, quindi la persona
anziana trae lo stesso beneficio, se non un beneficio maggiore, rispetto ad una persona più giovane con
questo tipo di trattamento.
Dubbie evidenze sugli effetti specifici di alcune classi di farmaci in prevenzione cardiovascolare.
Criteri di scelta:
• Tollerabilità

• Costo Sicuramente i bloccanti dei recettori per l’angiotensina (ovvero i sartani), appena usciti in
commercio, avranno sicuramente un costo superiore rispetto ad un diuretico, ad un β-bloccante, ad
un ACE-inibitore: recentemente è scaduto il brevetto del Ramipril, quindi ha un costo irrisorio e, a
parità di altre considerazioni, anche valutare il costo può essere l’atteggiamento corretto.

Quindi teniamo conto del costo, della tollerabilità e dobbiamo inoltre considerare le caratteristiche del
singolo paziente in termini di patologie associate.

Ipertensione Sistolica Isolata: trattamento


Queste sono le linee guida di quello stesso lavoro del New England, visto precedentemente, sul
trattamento dell’ipertensione sistolica isolata. Questa flow-chart (vedi pag. successiva) elenca i vari
passaggi da seguire: l’anamnesi, l’esame obiettivo, gli esami di laboratorio.
Il trattamento per lo stadio I dell’ipertensione inizialmente può prevedere anche la sola modifica dello stile
di vita, poi nel paziente che non raggiunge un target può rendersi necessario formulare uno schema di
terapia farmacologica. Sono 5 le categorie di farmaci che vengono proposte e di queste non esiste una
sequenza preferenziale: tiazidici, ACE-inibitori, bloccanti dell’angiotensina, β-bloccanti e calcio-antagonisti.
In realtà per il paziente di stadio I la terapia con il tiazidico può essere la più indicata, anche per il discorso
del costo, come accennato precedentemente. Nel paziente di stadio II, il più delle volte, può essere indicato
un trattamento di combinazione fin dall’inizio: per esempio l’ACE-inibitore con il diuretico tiazidico o il
bloccante dell’angiotensina con il diuretico tiazidico, in modo che la tendenza a dare ipopotassiemia del
tiazidico possa essere compensata dagli effetti dell’ACE-inibitore o del bloccante dell’angiotensina. In
generale tutte le categorie di farmaci posseggono un buon grado di adattabilità al trattamento con altri
farmaci. Quando ci sono invece delle indicazioni specifiche, che possono essere variabili da paziente a
paziente, queste ovviamente possono orientare verso categorie specifiche di farmaci: per esempio nel
paziente che ha uno scompenso cardiaco un farmaco ACE-inibitore potrà rappresentare un farmaco di
prima scelta, magari associato al diuretico, che è quello che dà il sollievo più immediato dal punto di vista
della sintomatologia clinica; nel paziente post-infartuato il β-bloccante potrà avere un ruolo importante,
mentre nel paziente con malattia renale cronica sicuramente gli ACE-inibitori e i bloccanti dell’angiotensina
possono avere un effetto importante nel ritardare l’evoluzione della nefropatia, ecc. Sarà sicuramente la
valutazione del singolo paziente e sarà di volta in
volta la comorbilità del paziente che potrà
orientare verso l’uno o l’altro tipo di trattamento.
Con questa slide concludiamo questa
chiacchierata sull’ipertensione, per ricordare che
in alcune situazioni patologiche sono necessarie
maggiori cautele. Vanno ricordati gli effetti
negativi di alcuni ACE-i e dei bloccanti i recettori
dell’angiotensina sulla funzione renale; anche se
abbiamo appena visto che in alcune categorie di
pazienti nefropatici questi rappresentano
addirittura farmaci di prima scelta, in quanto
prevengono il danno renale, nel paziente che ha
una funzione renale compromessa, soprattutto se
ha avuto una recente compromissione di tale funzione, vanno utilizzati con grande cautela. Sono farmaci
che hanno come meccanismo d’azione quello di ridurre la pressione di filtrazione glomerulare, quindi da un
lato proteggono dalla proteinuria e da altri danni che ci possono essere per esempio nella nefropatia
diabetica, dall’altro lato, in particolari fasi di criticità per la funzione renale, vanno usati con una certa
cautela. Così come una certa cautela va usata per gli effetti inotropi negativi del β-bloccante: sono farmaci
che attualmente vengono usati anche nello scompenso cardiaco, perché il controllo dell’iperattivazione
adrenergica è importante in questi pazienti, però in presenza di una funzione inotropa marcatamente
compromessa anche il β-bloccante va usato con estrema cautela e anche quando si utilizzano a scopo
antipertensivo bisogna prestare molta attenzione. Qualsiasi classe di diuretici, ad eccezione dei
risparmiatori di potassio, può portare ad ipopotassiemia, quindi occorre monitorizzare il paziente ed
evitare tale condizione. Un discorso a parte riguarda i farmaci α-bloccanti, che non sono presenti nella lista
di farmaci con cui iniziare una terapia antipertensiva: per esempio la clonidina (Catapresan), che non rientra
in questa lista, può avere un suo ruolo, magari come farmaco di seconda battuta. Infatti i farmaci α-
bloccanti periferici difficilmente sono considerati farmaci di primo impatto, però potrebbero essere
utilizzati in associazione. Va posta un’attenzione particolare all’utilizzo degli α-bloccanti nell’anziano, perché
sono farmaci ad alto rischio per ipotensione ortostatica: l’anziano ha un’estrema labilità vasomotoria, i
meccanismi compensatori sono molto più deboli, quindi l’utilizzo degli α-bloccanti va valutato con una
certa cautela. Ricordiamoci anche che molti pazienti anziani maschi fanno uso dell’α-bloccante per
l’ipertrofia prostatica, altro elemento di interazione che va considerato. Quindi, a maggior ragione,
nell’anziano occorre usare maggiore cautela nel dosaggio e nell’associazione di farmaci: spesso è meglio
partire con due farmaci a dosaggio molto basso, piuttosto che con uno solo a dosaggio elevato (per il
raggiungimento del dosaggio massimo bisogna procedere con estrema gradualità), per ridurre gli effetti
collaterali.

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