Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L’anemia è una diminuzione dei livelli di emoglobina, non necessariamente del numero di globuli rossi; ci
sono infatti anemie in cui l’emoglobina è ridotta e i globuli rossi sono normali o anche un po’ superiori alla
norma.
I GLOBULI ROSSI
Molto rapidamente vediamo cosa fanno i globuli rossi.
Globuli rossi
Strutture cellulari biconcave contenenti Emoglobina
Trasportano Ossigeno ai tessuti
Vita media 120 giorni
4.4-5.9 x 1012 GR/L (m) ; 3.8-5.2 x 1012 GR/L (f)
Altra cosa che ci interessa è la vita media. Un globulo rosso ha una vita media di 120 giorni. Quindi da
quando viene rilasciato dal midollo in forma non completamente matura a quando viene distrutto in media
occorrono 120 giorni. È quindi una cellula (chiamiamola così) che ha una vita segnata. Perché questo?
Studente: Perché i globuli rossi non hanno nucleo e quindi lo stress ossidativo altera le strutture di
membrana e queste alterazioni espongono degli epitopi e nella milza…
Prof: Sì. I globuli rossi infatti fanno un lavoro “sporco” che è quello di trasportare ossigeno. L’ossigeno come
sapete ci serve ma è anche molto tossico, provoca infatti uno stress ossidativo. I globuli rossi hanno delle
strutture, gli enzimi antiossidanti, che sono limitati nel tempo perché, non avendo nucleo, non hanno la
possibilità di reintegrarli. Gli enzimi antiossidanti vengono quindi consumati man mano i globuli rossi
trasportano ossigeno questo è un dato che ci interessa nelle anemie perché ci sono anemie particolari in
cui i globuli rossi hanno un’emivita ancora più limitata perché questi enzimi sono in quantità notevolmente
ridotta.
La maggior parte del sistema reticolo endoteliale è extravascolare il 90% della distruzione dei globuli
rossi si verifica senza rilascio di emoglobina in circolo. Quindi questo vuol dire che basta che ci sia un po’ di
più di liberazione di emoglobina in circolo che questa determinerà effetti o segni e sintomi evidenti.
L’ ESAME EMOCROMOCITOMETRICO
Esame emocromocitometrico
PARAMETRI ERITROCITARI:
Emoglobina (Hb) : Concentrazione emoglobina nel sangue g/dL
Globuli rossi (GR): numero/mm3
Ematocrito (Ht): esprime il volume di sangue occupato dai GR (%)
Reticolociti (Ret): globuli rossi “giovani” (appena rilasciati nel sangue, contengono ancora nel citoplasma
corpuscoli evidenziabili con colorazioni particolari)
COSTANTI CORPUSCOLARI:
Volume globulare medio (MCV) : 85-95 fl
Emoglobina corpuscolare media (MCH): 26-30 pg
Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC): g/dL
Distribuzione eritrocitaria (RDW): (% ) Coefficiente di Variazione
della distribuzione dimensionale dei Globuli Rossi.
Innanzitutto dobbiamo guardare l’emoglobina, che è la concentrazione di emoglobina nel sangue (quindi
gr/dl), il numero di globuli rossi e l’ematocrito, che è il volume che spetta ai globuli rossi rispetto al volume
del sangue, e i cui i valori sono un po’ diversi nell’uomo e nella donna e nei ciclisti.
I reticolociti sono i globuli rossi giovani, ed è un dato importante sapere quanti reticolociti ci sono in circolo:
vedremo infatti che ci sono anemie in cui i reticolociti sono pochi (e questo vuol dire che il midollo in
qualche modo non compensa o non produce) oppure anemie in cui i reticolociti sono tanti. Il dato dei
reticolociti quindi può essere importante nella diagnostica differenziale delle anemie. Mentre i valori di
emoglobina ed ematocrito sono importanti soprattutto per la diagnosi di anemia, il dato dei reticolociti può
aiutarci a fare diagnosi del tipo di anemia.
Molto importanti sono il volume globulare medio, come vedremo, e la distribuzione eritrocitaria (spesso
indicata con RDW). Il volume globulare medio è il valore medio del volume del globulo rosso. La
distribuzione eritrocitaria cos’è?
Studente: È la distribuzione delle dimensioni degli eritrociti rispetto a un valore medio.
Prof: Sì. Quindi avremo un valore normale più o meno qualche deviazione standard. Quando questo valore
medio è aumentato (cioè quando ci sono grandi deviazioni standard) ci sono globuli rossi con dimensioni
molto diverse. Questo dato è molto importante sia per la diagnosi che per la prognosi sia per il tipo di
risposta iniziale a qualche terapia in corso di anemia.
ERITROPOIESI
Eritropoiesi
La cellula staminale pluripotente è stimolata dall’ormone eritropoietina (rene) a proseguire verso la
differenziazione in cellula ematopoietica eritroblastoide.
• I proeritroblasti si dividono un certo numero di volte modificandosi (maturando) ad ogni generazione
successiva.
– Il contenuto in Hb aumenta progressivamente
– Il materiale nucleare e gli organelli citoplasmatici si riducono progressivamente.
• I reticolociti terminano la loro maturazione a eritrociti durante i primi giorni all’interno del circolo
ematico. Costituiscono circa l’1% della massa eritrocitaria
Ecco una cosa importante: per fare un globulo rosso ci vogliono tante cose:
• Ci vogliono amminoacidi e lipidi, perché il globulo rosso deve sintetizzare il suo contenuto
principale che è l’emoglobina, ma anche le strutture di membrana, gli enzimi necessari per la
sopravvivenza del globulo rosso sia dal punto di vista antiossidante che metabolico, e ci vogliono
comunque i lipidi perché la membrana dei globuli rossi è una membrana plasmatica come tutte le
altre e anzi con caratteristiche un po’ diverse.
• Poi ci vuole il ferro, che serve per fare l’emoglobina (EME),
• ci vuole il rame e
• ci vogliono le vitamine, come vitamina B12 e acido folico che servono per la sintesi del DNA, ci
vuole la vitamina B6, fondamentale per la sintesi dell’EME, la riboflavina che ha a che fare con il
metabolismo del ferro ed è coinvolta nelle reazioni di ossidoriduzione, la vitamina E che è un
antiossidante di membrana e protegge in qualche modo i globuli rossi dall’ossidazione, e la
vitamina C che è un antiossidante e serve per mantenere il ferro nella forma bivalente che è la
forma che poi si trova dentro l’EME.
Quindi ci vogliono tutte queste cose per fare un globulo rosso; se qualcuna di queste cose viene a mancare
può darsi che la produzione di globuli rossi, e quindi dell’emoglobina, venga in qualche modo influenzata,
ed ecco che potremo avere un’anemia genericamente carenziale. A seconda del tipo di carenza, il tipo di
anemia che avremo potrà essere un po’ diversa.
LE ANEMIE
La trattazione che faremo oggi sarà abbastanza approfondita ma tiene conto delle anemie “per scomparti”.
Nella realtà della gestione clinica del paziente è vero che possiamo avere dei pazienti che hanno delle
anemie pure caratterizzate da un problema solo, ma più spesso, soprattutto andando avanti con l’età, è più
facile trovare situazioni miste, che possono determinare problemi di diagnostica differenziale.
L’esempio più classico, molto semplice da capire, è quello che potrebbe succedere se il paziente avesse
contemporaneamente una carenza di ferro e una carenza di vitamina B12 e di acido folico. Infatti la carenza
di ferro provoca un’anemia di tipo microcitico e la carenza di B12 e folati provoca un’anemia di tipo
macrocitico quindi una tira da una parte, l’altra tira dall’altra e ci potremmo trovare di fronte alla
situazione paradossale di avere un’anemia di tipo normocitico. Quello che allora ci aiuterà a fare diagnosi
differenziale potrà essere la distribuzione eritrocitaria. Se noi avessimo di fronte un’anemia microcitica pura
di tipo sideropenico l’RDW sarebbe piccolo (tutti i globuli rossi sono piccoli, sono uguali); viceversa se
avessimo di fronte un’anemia macrocitica. Se quindi trovo un’anemia normocitica con un RDW largo posso
pensare che c’è una situazione di tipo misto. E così tutte le volte in cui si sovrappongono le varie situazioni
che sono purtroppo situazioni reali e spesso non sono così facili da sbrogliare.
DEFINIZIONE
Sostanzialmente si parla di anemia con valori di emoglobina sotto gli 11,5 gr/dl per le donne e sotto i 13, 5
gr/dl per gli uomini, anche se noi spesso parliamo di anemia per valori un pochino più bassi: sotto gli 11
gr/dl nelle donne e sotto i 12 gr/dl nell’uomo.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Anemie: clinica
• Sintomi
– affaticabilità
– palpitazioni
– a volte dolore agli arti (anche per lattacidemia)
– fenomeni irritativi a carico della lingua
– alterazioni del gusto e del tatto
– cefalea
– nei casi più gravi, angina
• Segni
- Pallore cute e mucose
- Ipotermia
Cui si aggiungono segni e sintomi legati alla causa dell’anemia e alle sue conseguenze su altri organi e
apparati (es. Ittero nelle anemie emolitiche; manifestazioni neurologiche nei deficit di vitamina B12 etc..)
Le anemie si manifestano con tutte le conseguenze legate alla carenza del trasporto di ossigeno, quindi il
soggetto è:
• facilmente affaticabile, è stanco,
• può presentare dolori agli arti non meglio definiti,
• spesso sono presenti fenomeni irritativi a carico della lingua,
• ci sono alterazioni del gusto e del tatto,
• spesso cefalea (segno molto frequente negli anemici),
• angina, soprattutto se il soggetto ha contemporaneamente problemi di tipo arteriosclerotico a livello
vascolare è chiaro infatti che se il poco sangue che arriva è poco ossigenato la situazione non
può che peggiorare.
Tipicamente il soggetto anemico è pallido a livello di cute e mucose e può essere anche un po’ freddo.
Ovviamente a questi segni e sintomi dell’anemia che sono totalmente aspecifici si aggiungono i segni e i
sintomi legati alla causa dell’anemia. Per esempio se abbiamo un’anemia causata da carenza di B12 che il
paziente non assorbe perché ha il morbo di Crohn, è chiaro che ci saranno i segni e i sintomi del morbo di
Crohn. Se il paziente ha un’anemia perché ha un’ulcera che sanguina, e quindi ha un’anemia sideropenica
da carenza cronica, avrà i sintomi dell’ulcera che sanguina in maniera acuta o cronica.
In genere quindi la diagnosi di anemia si fa su una serie di parametri ma spesso è bioumorale.
Che indagini faremo per fare diagnosi di anemia? Faremo emocromo e assetto del ferro, quindi andremo a
vedere sideremia, ferritina e transferrina. Il ferro è la quantità di ferro presente circolante. La transferrina è
la proteina di trasporto del ferro. La ferritina è il ferro di deposito. La saturazione della transferrina è
quanto la transferrina è piena o relativamente vuota di ferro indipendentemente dalla sua quantità.
Mettiamo che un paziente venga da noi pallido e con 10 gr/dl di emoglobina, cosa facciamo? L’emocromo ci
consentirà di classificare l’anemia. Dovremo guardare la distribuzione eritrocitaria, poi l’assetto del ferro e
le vitamine: faremo dosaggio di vitamina B12 e folati, e se volessimo essere precisi doseremo anche la
vitamina B6, si può dosare anche il rame, qualche laboratorio dosa anche la vitamina C e anche la vitamina
E.
Perché ci può interessare anche la bilirubina? Se ci sono dei sintomi compatibili con una patologia emolitica
potremmo aspettarci un aumento della bilirubina. Un’altra parente stretta che potremmo aspettarci
nell’emolisi qual è? Studente: L’LDH. Prof: Sì, ma è ancora meglio guardare l’aptoglobina. L’aptoglobina è
una proteina che lega l’emoglobina che viene rilasciata in circolo, quindi si crea questo composto
aptoglobina-emoglobina che viene eliminato e di conseguenza l’aptoglobina in circolo cala.
L’elettroforesi dell’emoglobina potrebbe essere un altro esame importante perché ci consente di fare
diagnosi di talassemia, ma più genericamente di emoglobinopatie.
Un altro esame importante è il test di Coombs che serve per fare diagnosi di anemie autoimmuni e che si
distingue in diretto e indiretto. La differenza tra i due è che andiamo a vedere se gli anticorpi sono presenti
sopra i globuli rossi o in circolo.
Poi si possono fare le resistenze osmotiche. Cosa sono? Diciamo che il globulo rosso è una cellula: se lo
mettiamo in un ambiente ipertonico o ipotonico si restringe o si rigonfia. C’è una resistenza fisiologica a
questa attività osmotica, e ci sono situazioni in cui questa resistenza osmotica è ridotta e il globulo rosso
tende a distruggersi più facilmente, come nella sferocitosi.
Lo striscio di sangue periferico ci serve per fare diagnosi di sferocitosi, di anemia falciforme, poi ci può
servire nelle anemie da distruzione, ad esempio nella porpora trombotica trombocitopenica, nella
talassemia.
Altri esami sono la conta dei reticolociti e volendo la biopsia osteomidollare che ci può servire in certe
situazioni e gli esami di funzionalità epatica.
La glucosio 6 fosfato deidrogenasi e l’ala sintetasi possono servire per studiare ad esempio il favismo e
l’alterazione delle porfirie (il che vuol dire deficit di sintesi dell’eme).
Possono essere utili esami radiologici per vedere le ossa ed esami più approfonditi ad esempio per vedere
linfoadenopatie.
Si può cercare sangue occulto fecale. Altro dato fondamentale è la presenza di macro e microematuria.
CLASSIFICAZIONE
Per le anemie abbiamo una classificazione fisiopatologica e una morfologica. Direte che sono un fanatico
delle classificazioni, ma se le avrete in mente vi aiuteranno un sacco a fare la diagnosi. La classificazione
fisiopatologica è riferita al meccanismo con cui si determina l’anemia, quella morfologica è riferita
all’aspetto dei globuli rossi. Se le incrociamo insieme riusciamo a fare diagnosi di anemia.
Classificazione fisiopatologica
Classificazione morfologica
La dimensione media del globulo rosso (volume corpuscolare medio) è un parametro essenziale nella
diagnosi differenziale dell'anemia.
In base a questo parametro si distinguono tre tipi di anemie:
microcitica (A),
normocitica (B)
macrocitica (C).
La classificazione morfologica distingue le anemie in 3 classi: micro, macro e normocitica in base alle
dimensioni del volume globulare medio. Questa è la classificazione più importante, è la prima che ci deve
venire in mente. Se noi guardiamo l’emocromo, l’occhio ci dovrà cadere prima sull’emoglobina e poi sul
volume globulare medio per capire che tipo di anemia è.
ANEMIE MICROCITICHE
Abbiamo detto che per fare diagnosi di anemia la prima cosa che dobbiamo guardare è l’emoglobina e poi
dobbiamo guardare il volume globulare medio. Cominciamo a guardare la diagnostica differenziale.
Supponiamo di avere a che fare con un’anemia microcitica: il volume globulare del nostro paziente è
piccolo. La diagnostica differenziale delle anemie microcitiche si basa sui parametri ematici del ferro. Se
abbiamo un’anemia microcitica dobbiamo pensare a un’anemia sideropenica, sideroblastica, a una
talassemia o alla cosiddetta anemia delle malattie croniche (microcitica nel 25% dei casi). La diagnostica
differenziale si basa sui parametri che vedete in tabella.
*Numero dei GR sempre spropositamente alto rispetto ai livelli di Hb **a volte (25%) microcitica
In un’anemia i globuli rossi sono quasi sempre ridotti. Nella talassemia i globuli rossi, soprattutto se non è
una talassemia major ma è intermedia (nel trait talassemico), i globuli rossi possono essere normali o
addirittura aumentati questo è il caso che fa dire che le anemie non sono date da una semplice riduzione
dei globuli rossi. Quindi vedendo un volume globulare piccolo e tanti globuli rossi si può pensare che il
paziente sia portatore di un’emoglobinopatia.
Se un paziente ha un’ANEMIA SIDEROPENICA come avrà i parametri marziali? Sarà un’anemia con questo
quadro tipico:
poca emoglobina,
pochi globuli rossi,
la sideremia sarà bassa,
la transferrina sarà alta perché l’organismo cerca di compensare alla carenza di ferro producendo
grandi quantità di trasportatori del ferro e
la ferritina sarà bassa.
Ovviamente se noi andiamo a fare una biopsia midollare e facciamo una colorazione per il ferro a
livello del midollo non ci sarà ferro. Secondo voi è necessario fare una biopsia midollare a un
paziente con un’anemia sideropenica? No! La cosa più importante sarà l’anamnesi. Voi pensate
sempre agli esami più invasivi!
Nell’ANEMIA DELLE MALATTIE CRONICHE il ferro c’è ma a causa della malattia cronica sono prodotte
citochine e a causa di queste il ferro non viene utilizzato e non va nel midollo ma viene utilizzato per altri
scopi e di conseguenza:
i globuli rossi sono ridotti,
la sideremia è ridotta,
la transferrina sarà normale o bassa, perché comunque se c’è una malattia cronica la sintesi delle
proteine potrà essere un po’ compromessa,
la ferritina sarà aumentata,
il ferro midollare sarà normale o aumentato.
Nell’anemia da malattie croniche sarà fondamentale il dato anamnestico. Per malattia cronica ci riferiamo a
malattie del connettivo quindi ad esempio ad artrite reumatoide, a malattie infiammatorie intestinali.
Quando vi faccio la lezione sulle malattie infiammatorie intestinali vi dico sempre che è una situazione
allucinante per le anemie. Un morbo di Crohn può dare qualunque tipo di anemia: infatti colpisce l’ileo
terminale e così non si assorbe la vitamina B12 e quindi abbiamo anemia macrocitica, dà lesioni di tipo
ulcerativo con perdita di sangue e quindi dà un’anemia sideropenica, ed infine dato che è anche una
malattia infiammatoria cronica dà un’anemia normocitica.
ANEMIA SIDEROPENICA
La causa più importante di anemia sideropenica è la perdita cronica di ferro. Ma sono importanti anche
l’assunzione inadeguata e l’inadeguato assorbimento.
Chi colpisce spesso l’anemia sideropenica? Le donne di età compresa fra 12 e 40 anni, che non mangiano
carne o ne mangiano poca, hanno mestruazioni più o meno abbondanti, e quindi sono in una situazione a
rischio.
A rischio sono le donne in gravidanza che dovrebbero mangiare ferro per due ma spesso arrivano alla
gravidanza che già loro sono sideropeniche.
Sono a rischio tutte quelle condizioni patologiche che provocano più che un’emorragia acuta un’emorragia
cronica. Quindi sono a rischio coloro che sono affetti da patologie banali come ragadi anali, emorroidi e
gastriti erosive, ma anche da patologie più gravi come malattia infiammatoria cronica, rettocolite ulcerosa.
Quindi sono soprattutto patologie del tratto gastroenterico che provocano una perdita cronica bisogna
sempre pensarci.
Un’altra condizione importante è il malassorbimento, che è un capitolo molto grande. A che tipo di
malassorbimento potreste pensare in un’anemia sideropenica? Se vi si presenta un paziente con perdite
ematiche e anemia sideropenica potreste pensare a un morbo celiaco. Questa è un’altra cosa che dovete
pensare.
Fatta la diagnosi dovremo curare l’anemia sideropenica. Come la cureremo? Secondo i principi generali
secondo cui se ti manca qualcosa te la do. Ovviamente bisogna definire la causa: se la causa è un’ulcera
andrà bene dare il ferro, ma bisognerà curare anche l’ulcera! Ci sono comunque alcuni aspetti fondamentali
da tenere in considerazione:
Il primo è che per dare il ferro a una persona il modo più semplice è darglielo per bocca. Bisogna
dare il ferro per bocca, ma il ferro per bocca non è molto tollerato. Ci sono molte preparazioni in
campo farmacologico ma non è molto tollerato.
E poi non è assorbito in grandissima quantità.
Bisogna anche considerare che il ferro eme è assorbito meglio del ferro non eme, ecco perché la
carne è un’ottima fonte di ferro, perché la carne contiene la mioglobina che contiene eme.
E poi il ferro 2+ è assorbito meglio del ferro 3+. Molti composti a base di ferro hanno il ferro ferrico
e non ferroso, e quindi bisogna che sia ridotto a ferro ferroso quindi è necessaria la vitamina C o
una serie di altri composti o comunque passaggi metabolici che fanno questa trasformazione.
Trattamento delle condizioni sideropeniche
Solfato ferroso –poco costoso – terapia di scelta
I Sali Ferrosi (solfato, fumarato, gluconato, succinato) sono asorbiti meglio di quelli Ferrici
La Vitamina C aumenta l’assorbimento – Acido Ascorbico (200 mg o più) aumenta l’assorbimento
del 30%
Ferro-Carbonile: microsfere di ferro puro – tossicità GI minore dei Sali di ferro
(FEOSOL® capsule – 50 mg due volte/die)
Esistono diversi preparati, poi ve li guardate. Il ferro carbonile sembra il migliore di tutti ma in Italia non è
ancora in commercio…o forse lo è da poco. La vitamina C insieme al ferro aumenta l’assorbimento di circa il
20%, un’idea sarebbe somministrare il ferro con un po’ di vitamina C.
• Una alternativa efficace in caso di fallimento della terapia per os ( Fe-saccarato e Fe-gluconato sono
preferibili al ferro destrano )
• Dosi: Secondo la tollerabilità e la convenienza: da 40 mg/die a 400 mg/die (in soluzione fisiologica
diluita 1mg/ml) (es. Ferlixit – Gluconato Fe+++ 62,5 mg Fe / 5 ml)
Indicazioni: malassorbimento, grave intolleranza orale, come supplemento alla terapia parenterale
totale e in pazienti con nefropatia grave sottoposti a terapia con EPO
Ipersensibilità acuta , comprese reazioni anafilattiche (0.2% - 3% dei pazienti) - E’ utile una dose
test
EV è preferibile a IM – risposta migliore
IM– più frquenti effetti collaterali locali (discromie cutanee, dolori a lungo termine, discussa >
prevalenza neoplasia sede di iniezione
Queste sono le dosi. Normalmente come la trattiamo un’anemia sideropenica? Io comincerei sempre per
bocca, e comunque dipende dalla gravità. Se è molto grave sicuramente conviene usare la terapia
endovenosa, sennò si può provare la terapia per os e chiaramente poi faremo dei controlli.
In caso di anemia sideropenica pura, eliminata la causa della perdita, regolato il ciclo mestruale, trattata la
malattia infiammatoria intestinale, trattata l’ulcera o qualunque altra patologia alla base, nel paziente che
risponde alla terapia avremo una crisi reticolocitaria (vi ricordo che i reticolociti in un paziente con anemia
sideropenica sono pochi). Quindi il paziente comincerà ad aumentare i reticolociti e poi il volume globulare
piano piano comincerà ad aumentare. All’inizio la distribuzione eritrocitaria sarà omogenea sul piccolo, poi
diventerà eterogenea e poi diventerà omogena sul normale. La distribuzione eritrocitaria ci serve anche per
seguire la risposta. Pian pianino poi l’emoglobina tornerà ai valori normali.
Il Ferlixit si può dare anche intramuscolo ma ricordate che dà effetti locali importanti, datelo endovena.
ANEMIA SIDEROBLASTICA
Gruppo Eterogeneo di Disordini della Produzione Eritrocitaria caratterizzato da :
Eritropoiesi Inefficace
Anomalie morfologiche caratteristiche degli eritroblasti midollari (sideroblasti ad anello).
Utilizzo deficitario di ferro da parte delle cellule eritroidi.
L’anemia sideroblastica mi interessa spiegarvela perché è un po’ più sconosciuta. Non è un tipo di anemia
ma sono tanti tipi, tanti sottogruppi diversi.
Sono sostanzialmente dei disordini della produzione di globuli rossi caratterizzati da un’alterazione
dell’eritropoiesi: l’eritropoiesi non è completamente efficace, non arriva completamente a maturazione.
Ci sono delle anomalie morfologiche degli eritroblasti abbiamo i cosiddetti sideroblasti ad anello.
Dal punto di vista fisiopatologico queste anemie sono caratterizzate da un utilizzo deficitario del ferro da
parte delle cellule eritroidi.
Sideroblasti
1. Sideroblasti normali
– 20-60% dei normoblasti presenti in un midollo normale.
– Da 1 a 4 granuli citoplasmatici positivi al Blu di Prussia variamente distribuiti (aggregati di
ferritina).
2. Sideroblasti Anormali
3-5 granuli, grossi e di forma irregolare
3. Sideroblasti ad Anello
– numerosi grossi granuli siderotici aggregati intorno al nucleo dell’eritroblasto
– Consistono di ferro depositato sottoforma di micelle ferruginose tra le creste mitocondriali
4. Siderociti
– GR che trattengono accumuli di ferro
– Corpi di Pappenheimer (granuli, ribosomi, mitocondri)
Se voi fate una biopsia osteomidollare i sideroblasti ad anello sono presenti normalmente dentro al
midollo.
Si parla di sideroblastosi quando i sideroblasti superano una certa quantità e hanno caratteristiche un po’
alterate la sideroblastosi si distingue quindi per il numero e per le caratteristiche dei sideroblasti: devono
avere cioè dei granuli più grossi, di forma irregolare. I granuli Pearls positivi sono accumuli di ferro che non
riesce a entrare nel nucleo e non riesce ad essere utilizzato perché manca un qualcosa che fa utilizzare il
ferro. Siamo quindi in una situazione paradossale in cui il ferro c’è, ci sarebbe tutto per fare l’emoglobina,
ma quello che c’è non riesce ad essere utilizzato nel modo giusto.
Diagnosi
diagnosi se > 5% degli eritroblasti midollari sono sideroblasti ad anello
Si parla di anemia sideroblastica se più del 5% degli eritroblasti midollari sono eritroblasti ad anello.
Esistono diversi tipi di anemia sideroblastica. Alcuni sono piridossina sensibile, alcuni sono piridossina
resistenti. Una delle cause principali è che l’enzima ALA sintetasi, enzima B6 dipendente, che serve per
sintetizzare l’EME, è meno sensibile alla B6 e quindi ha bisogno di più B6 per funzionare. Se l’ALA sintetasi è
un po’ pigro si sintetizza poco EME e se si sintetizza poco EME il ferro non viene usato.
Poi ci sono soggetti che non hanno l’ala sintetasi pigro ma che proprio non ne vuole sapere della vitamina
B6 e allora chiaramente non funziona.
Poi ci sono tutta una serie di altre alterazioni legate all’alterazione dei meccanismi di trasporto specifico del
ferro nei mitocondri.
Poi ci sono altre forme che compaiono in soggetti particolarmente predisposti per l’assunzione di tossici
come alcool, piombo, zinco. Non è strano che il piombo blocca l’ALA sintetasi tralatro, sono cose legate tra
di loro.
Infine ci sono alcune forme associate a malattie di tipo ematologico. Delle volte l’anemia sideroblastica è
chiamata smouldering (?) leukemia. Queste forme a volte si trasformano in leucemie, soprattutto quelle
legate al cromosoma x.
Diagnosi
• Morfologia Eritrocitaria (VGM e RDW)
Per fare diagnosi di anemia sideroblastica bisogna valutare la morfologia eritrocitaria, soprattutto a livello
del midollo. Bisogna quindi osservare la presenza dei sideroblasti ad anello. Tutte le volte che siamo di
fronte a un’anemia microcitica
con un’anamnesi negativa per perdita di ferro,
in cui i parametri marziali non sono indicativi di carenza di ferro, ma semmai di accumulo di ferro,
in cui i globuli rossi sono pochi e piccoli e quindi escludiamo una situazione di talassemia,
e non ci sono segni di malattia cronica,
bisogna pensare a questo tipo di anemia e studiarla facendo una biopsia osteomidollare. Si possono
presentare segni di accumulo di ferro come nella talassemia, ma non ci sono le caratteristiche della
talassemia.
Fisopatologia
Eritropoiesi inefficace e utilizzo difettivo del ferro
• Midollo Osseo
– Iperplasia Eritroide; può esserci displasia
– Valutazione delle Riserve di Ferro
• Lab tests
- LDH Bilirubina Indiretta; aptoglobin; reticolociti non aumentati.
- Fe, Tf Sat, Ferritina
• Eritropoiesi Inefficace
- assorbimento di Fe & Sovraccarico di ferro sistemico.
• Biopsia Epatica
Può essere necessaria per valutare il livello di accumulo epatico di ferro (iniziare terapia con chelanti)
Terapia
Quando va bene la situazione si sblocca, sennò bisogna trasfondere il paziente, e siccome questa anemia
può di per sé provocare accumuli di ferro, bisogna tenere attentamente sotto controllo i parametri marziali.
Delle volte questi pazienti possono fare paradossalmente dei farmaci per ridurre il ferro. È chiaro che non
avrebbe molto senso fare un salasso in un soggetto con anemia, per cui per togliere il ferro bisogna usare
dei chelanti. Voi sapete oggi che ci sono diversi tipi di chelanti e in particolare ce n’è uno che si può dare
per bocca e sembra funzionare abbastanza bene ed è di ridotta tossicità. Quindi questi pazienti sono
candidati, soprattutto quelli che non rispondono alla vitamina B6, ad usare il chelante.
Fra le altre cose i pazienti di questo tipo vanno tenuti attentamente sotto controllo per il rischio di
sviluppare una forma di tipo leucemico.
Anemie Macrocitiche :
Anemie Megaloblastiche
GR macro-ovalocitici entrano in circolo e tutte le linee cellulari presentano dispoiesi, con citoplasma più
maturo del nucleo, dando origine al megaloblasto (midollo)
La dispoiesi determina un aumento della morte cellulare intramidollare (eritropoiesi inefficace) da cui
deriva un incremento della bilirubina indiretta e dell'uricemia.
Poiché la dispoiesi coinvolge tutte le linee cellulari, oltre all'anemia si ha leucopenia e trombocitopenia,
(nelle fasi tardive della malattia).
Tra gli altri segni distintivi dello stato megaloblastico c'è anche una reticolocitopenia, conseguente
alla ridotta eritropoiesi.
La ipersegmentazione dei granulociti polimorfonucleati (6 o più lobi; fino al 5% dei PMN hanno 5 o più lobi,
la maggior parte 4 o più) è un reperto tipico degli stati megaloblastici; il suo meccanismo patogenetico è
sconosciuto.
Le anemie non megaloblastiche danno ovviamente GR grandi ma privi di megaloblastosi; è una situazione,
stavolta, che colpisce in maniera pressoché esclusiva la serie rossa. È evidente che alla base ci sono
meccanismi diversi, e come si vede dalla diapo le cause possibili sono veramente tante. La prima e più
importante è l’alcool, che in effetti è in grado di provocare anemia macrocitica sia di tipo megaloblastico
che non megaloblastico:
Quella megaloblastica perché l’alcool “brucia” lo stomaco, che produce il fattore intrinseco,
fondamentale per l’assorbimento della vitamina B12 che dunque manca nell’etilista portando a
questa situazione.
Quella non megaloblastica è dovuta all’effetto tossico diretto dell’alcool e di alcuni metaboliti sul
processo di maturazione dei GR.
Proseguendo nella rassegna delle cause possiamo trovare l’ipotiroidismo, dove è possibile una forma
mielodisplastica che con il tempo si trasforma in un’anemia macrocitica (eventualità da tenere sempre
presente in anemie senza carenza di folati e vit B12), l’uso di farmaci citotossici, la gravidanza..
- Farmaci citotossici (in genere farmaci antitumorali o immunosoppressori) che interferiscono con la
sintesi del DNA
- Sindrome di Di Guglielmo (rara forma di mielodisplasia che muta in una forma di leucemia mieloide
acuta).
- Il chiarimento dell'eziologia e della fisiopatologia è di importanza cruciale nell'anemia
megaloblastica
Ad ogni modo la causa più frequente è la carenza di vit B12 e folati, che si ritrova in diverse situazioni;
quella più comune in assoluto è la gravidanza! Sono entrambe sostanze fondamentali per la sintesi del DNA
e la crescita dei tessuti, ed in quel periodo se la dieta non viene supplementata la donna può andare in
anemia, così come la mancanza di B12 potrebbe causare alterazioni dello sviluppo fetale.
Ci potrebbero anche essere farmaci citotossici che agiscono specificamente bloccando l’utilizzazione dei
folati, es il metotrexate, un vero e proprio anti-folati. Questo spiega come l’anemia megaloblastica spesso
la veda – oltre il ginecologo, il geriatra e altri - anche l’ematologo, che in un certo senso tramite questi
farmaci la provoca, tant’è che esiste la terapia di salvataggio con levofolinato nei pz che devono usare il
metotrexate.
Esiste infine la sindrome di Gugliemo in cui i folati non vengono utilizzati; questa situazione potrebbe
evolvere col tempo in leucemia.
Ricordiamo inoltre che la vit B12 e l’acido folico sono fondamentali nel metabolismo dell’omocisteina e
degli aminoacidi solforati: la metionina viene trasformata in omocisteina e poi in cisteina, anche se è
possibile il passaggio inverso da omocisteina a metionina; proprio per la rimetilazione di questo ultimo
passaggio servono le due sostanze di cui parliamo, se così non è ci sarà anche un aumento dei livelli di
omocisteina, non più trasformata in metionina.
Ergo, come conclusione pratica, un aumento di omocisteina potrebbe essere un segno metabolico di
carenza di B12 e folati! La cosa importante è che avviene prima della comparsa di anemia (naturalmente il
solo aumento di per sé non specifica se manchino i folati o la B12) ed è importante proprio come marcatore
precoce.
Siccome poi l’omocisteina è un fattore di rischio per il tromboembolismo venoso avremo anche questa
situazione da tenere presente e affrontare.
Esami di Laboratorio
• Emocromo
– ¯ Hb, PLT, neutrofili; MCV, RDW
• Eritropoiesi Inefficace
– LDH, bilirubina indiretta
– ¯ Aptoglobina, Reticolociti
– Reticol. Non aumentati
• Parametri Marziali
– ferritina, sideremia, Tf satur.
Per fare diagnosi di anemia macrocitica di tipo megaloblastico la metodica più semplice è l’emocromo, che
ovviamente farà vedere un’anemia macrocitica; c’è eritropoiesi inefficacie (vedi sopra) con riduzione di
aptoglobina - poiché c’è un po’ di emolisi nelle anemie macrocitiche – ma ciò che tagli ala testa al toro è il
dosaggio di vit B12 e acido folico; o volendo essere più precisi come fanno certi laboratori il dosaggio
dell’omocisteina che potrebbe evidenziare, come dicevamo, un difetto clinicamente ancora non manifesto
ma metabolicamente presente.
1. Dieta Inadeguata
-vegetariani: no carne, uova, latte
2. Inadeguata proteolisi della cobalamina
-gastrite atrofica
-omeprazolo, H2-bloccanti
3. Deficit di IF gastrico
- Gastrectomy; H2-bloccanti
- Anemia Perniciosa
4. Insufficienza Pancreatica
- mancata dissociazione della cobalamina dalla R-protein nel tenue
5. Ansa Cieca
- overgrowth di batteri che utilizzano la cobalamina della dieta
6. Diphyllobothrium latum
-verme piatto di derivazioe ittica che utilizza la cobalamina
7. Malassorbimneto intestinale
- Malattie del tenue: Crohn’, sprue, TBC
- Ressezione ileale
- Difetti intrinseci del IF
8. Deficit di trasporto o di utilizzo
- Malattie ereditarie: cong. IF deficit; alterazioni del recettore per IF-Cbl ileale; deficit TCII ;
- N2O inalazione (ossidazione irreversibile della Cbl)
Test di Schilling
Sono tantissime le cause di carenza di cobalamina, e sottolineiamo come ultimamente siano stati isolati
anche anticorpi anti trans cobalamine, che sono proteine di trasporto specifiche: dunque l’assorbimento è
normale, ma è impedito il trasporto.
Essendo che dice che tanto ci ricordiamo tutto anche sul test di Schilling ecco qui da mie ricerche ciò che
forse non ricordiamo…
Il test di Schilling misura l'assorbimento di vitamina B12 radioattiva con e senza fattore intrinseco. Esso è
particolarmente utile per fare diagnosi nei pazienti trattati e che si trovano in remissione clinica e nei quali
esiste un dubbio riguardante la validità della diagnosi. Il test viene effettuato somministrando la vitamina
B12 radioattiva PO e successivamente, entro 1-6 ore, una dose da carico di B12 (1000 g) per via parenterale
allo scopo di evitare il deposito nel fegato di B 12 radioattiva; si procede, quindi, alla misurazione della
quantità di materiale radiomarcato nelle urine raccolte nelle 24 ore (normalmente > 9% della dose
somministrata). La ridotta escrezione urinaria (< 5% se la funzione renale è normale) conferma il ridotto
assorbimento di vitamina B12. Questo test (Schilling I), può essere ripetuto (Schilling II) utilizzando fattore
intrinseco di maiale radiomarcato con cobalto. La correzione della ridotta escrezione osservata nello
Schilling I, permette di diagnosticare nell'assenza di fattore intrinseco il meccanismo fisiopatologico della
ridotta escrezione di B12. La mancata correzione di questi valori suggerisce la presenza di un meccanismo di
malassorbimento GI (p. es., la sprue). Dopo un ciclo di 2 sett. di terapia antibiotica PO, può essere
effettuato il test di Schilling III. Il test di Schilling dovrebbe essere effettuato dopo aver completato tutte le
indagini e i protocolli terapeutici stabiliti, dal momento che esso rifornisce l'organismo di vitamina B12 in
eccesso. Poiché il test di Schilling non misura l'assorbimento della B 12, il test non mette in evidenza una
carenza di liberazione di tale forma di B 12 nei pazienti anziani.
Composto IDROSSICOBALAMINA
(o cianocobalamina)
Via di somm. IM
DOSE 1,000 mg
TP Iniziale qd x7, poi q3d x2, poi q wk x4 (attenzione all’ipokaliemia)
TP Mantenimento 1,000 µg al mese per tutta la vita
Profilassi in Gastrectomia, res. ileale
Anemia Perniciosa
1. Gastrite Autoimmune
– Può svilupparsi 10 anni o più prima della anemia
– T-cells infiltrano mucosa gastrica
– Anticorpi Anti-cellule parietal cell e anti-IF
– ¯ Cellule Parietali
– Iperplasia delle cellule antrali gastrino secernenti
Questa invece è la gastrite autoimmune, pt autoimmune in cui sono distrutte le cellule parietali; spesso è
associata ad altre pt autoimmuni tra cui la tiroidite di Ashimoto, il LES e altre. Potrebbe dare all’inizio
un’anemia macrocitica che col tempo si trasforma in mista con le due componenti di anemia macrocitica da
carenza di B12 & anemia da malattie croniche!
Altro concetto importante da ricordare è che l’acido folico e la vit B12 sono legati così strettamente che un
deficit di vit B12 potrebbe dare un deficit di folati, poiché la vitamina in questione è fondamentale per la
trasformazione dei folati (ce ne sono tanti tipi) in folati metilati, dal momento che la vitamina funziona
spesso come donatore di metili.
Quindi in questo caso possiamo dare quanti folati vogliamo, ma non funzionano! Questa è anche nota come
trappola dei folati da carenza di B12, ecco perché ogni qual volta crediamo si tratti di anemia da carenza di
folati sinceriamoci che non ci sia carenza anche di B12; altrimenti vanno somministrati insieme!
Ricordiamo che I folati (vedi il nome) si trovano nelle verdure a foglia verde e sono molto sensibili alla
cottura! Quindi per carità, non dite mai al paziente che se mancano folati vanno mangiati spinaci cotti
perché è una cagata, la verdura in questo caso va cruda.
Inoltre teniamo presente questo: l’acido folico viene assunto in realtà sotto forma di poliglutammati, e per
poterlo usare ci devono essere enzimi che taglino i vari pezzi dell’acido glutammico: orbene l’intestino deve
essere indenne visto che sono gli enterociti a produrre questi enzimi, in opportuno ambiente acido.
Ecco spiegato perché gli anziani vanno spesso incontro a carenza di folati; perché con il tempo virano verso
un’ipoacloridria, oltre ad un altro fattore: l’anziano prende l’aspirinetta, con questa i farmaci protettori
della mucosa gastrica –sptt inibitori di pompa- che contribuiscono a diminuire l’acidità peggiorando la
situazione.
Per finire spesso gli anziani non mangiano nemmeno la carne, e così il quadro per lo sviluppo di un’anemia
macrocitica è completo.
Anemie normocitiche
Qui il volume globulare è normale; sono le più frequenti, e precedono per probabilità le micro ed infine le
macro, le meno frequenti. Sicuramente se il globulo è normale come dimensioni il DNA è normale così
come l’emoglobina; il meccanismo fisiopt che provoca queste anemie infatti è molto diverso.
Anemia normocitica
Se sono aumentati potrebbe voler dire che i GR sono più distrutti, e questo potrebbe avvenire per presenza
di emolisi anemia emolitica. Nel caso di anemia emolitica controlleremo bilirubina per eventuale
iperbilirubinemia prevalentemente indiretta (sia laboratoristicamente che a livello obiettivo: eventuale
presenza di ittero, colore di feci e urine) LDH, aptoglobina. Il discorso della bilirubina è così vero che il pz
con anemia emolitica cronica rischia i calcoli alla colecisti, non i classici di colesterolo, ma quelli
“pigmentati” di bilirubinato di calcio.
Se non ci sono segni di emolisi in pz non itterico o subitterico possiamo pensare che il midollo stia buttando
per compensare una perdita, e dunque un’emorragia recente acuta o più spesso cronica.
Ricordiamo sempre che l’emorragia può essere esterna ad esempio con melena, ematuria, enterorragia,
perdita ginecologica importante; ma anche interna come nel caso di ematomi di grosse dimensioni –
pensiamo a un pz in tp anticoagulante orale che magari cade e fa raccolte ematiche sottocutanee,
intrafasciali o intramuscolari-.
Supponiamo invece che la conta reticolocitaria sia normale o ridotta: penseremo prima a insufficienza
renale, cioè se manca lo stimolo –eritropoietina- per il midollo a produrre globuli rossi questo ne produrrà
meno, ma quei pochi con caratteristiche normali. Bisogna anche dire che in genere l’insufficienza renale è
nota perché cronica, e comunque guardando gli esami del pz si vedono i livelli di creatinina.
Ci sono poi insufficienze endocrine dei vari assi ipotalamo ipofisari che causano sempre insufficiente
stimolo ormonale del midollo all’eritropoiesi;
ed infine ci sono le malattie croniche, l’anemia è normocitica perché il ferro non viene uilizzato, ma anche i
GR non vengono prodotti in quantità sufficiente perchè le citochine provocano un’alterazione di questa
produzione in termini quantitativi, con un effetto simil-bloccante l’eritropoietina (sic, non è molto chiaro,
ma ho riportato tutto).
• Anemia dovuta all’azione di citochine IL-1, TNF-a, TGF-b prodotte in corso di malattie infiammatorie
croniche
– Artrite reumatoide
– Lupus eritematoso sistemico
– Malattie Infiammatorie Intestinali
– Infezioni croniche: osteomielite, TBC, etc.
• Meccanismi
– Difetto dell’utilizzo del Ferro
• Il Fe è presente, ma non può essere utilizzato dai precursori eritroidi
– Ridotta risposta all’ Eritropoietina
– Ridotto aumento dell’Eritropoietina in seguito ad anemia
In B, interleukina-6 and lipopolisaccaride stimulano la espressione epatica della proteina di fase acuta
Epcidina , che inibisce l’assorbimento intestinale del ferro.
Per farla molto breve riguardo le anemie da malattia cronica perché manca tempo [ma trovate tutto nel
dettaglio qui sopra]: si tratta di citochine liberate dal macrofago che hanno effetto sul midollo, con ridotta
risposta all’eritropoietina e ridotto utilizzo di ferro, dando l’effetto netto di anemia prevalentemente
normocitica - in realtà teniamo presente che se dovesse prevalere l’effetto di mancato utilizzo di ferro
sarebbe possibile un’a. microcitica.
La terapia deve essere quella di trattare la pt infiammatoria cronica sottostante; è proposto anche l’utilizzo
di EPO, che però ha il problema dei costi e degli effetti tossici tipo l’aumento della pressione.
Se non c’è nulla di tutto questo bisognerà considerare una malattia primitiva midollare, ad esempio
ematologia o neoplastica, che provochi mieloftisi, cioè una riduzione dell’attività midollare. In questo caso
si farà una biopsia osteo midollare per controllare direttamente.
Naturalmente in quest’ultimo caso è più probabile che oltre ai globuli rossi siano coinvolte anche le altre
serie figurate del sangue; ad ogni modo non è impossibile che si presentino situazioni a carico dei soli GR.
Anemia da IRC
Meccanismo:
– Ridotta produzione di eritropoietina da parte del rene malato
– Anche : carenza di ferro o folati , infiammazione cronica, ridotta sopravvivenza eritrocitaria
Terapia :
– Eritropietina due volte la settimana
– Dialisi
Nell’anemia da insufficienza renale cronica manca l’EPO; inoltre ricordiamo che è una condizione di tipo
tossiemico generale dove si potrebbe avere un’anemia di tipo misto come nella sindrome emolitico –
uremica. In questa situazione le tossine uremiche che rimangono in circolo hanno sui GR un’effetto tale da
ridurre la resistenza della membrana aumentando la probabilità della sua rottura. In questo caso però
avremo anche i segni dell’emolisi.
Anemia normocitica
Anemie Emolitiche
Anemie Emolitiche :
Diagnosi Differenziale
Anemia Emolitica
Immuno-mediate Non-immuno-mediate
Congenite Acquisite
• Autoimmune Difetti di: • Infezioni
• RBC membrana/ sepsi
• Alloimmune citoscheletro malaria
(eg. Sferocitosi ereditaria)
• Da Farmaci • Meccaniche
• RBC enzimi Valvole protesiche
(altre cause di (eg. G6PD deficit) Microangiopatiche (PTT, CID)
emolisi immune
sono rare) • Emoglobina
Emolisi Intravascolare ed Extravascolare :
Diagnosi Differenziale
Emolisi Emolisi
Test Extravascolare Intravasculare
LDH
bilirubina
A seconda che l’emolisi sia intra o extravascolare potremmo avere dati diversi:
Se l’emolisi è intravascolare aumenta la bilirubina, c’è rilascio di Hb in circolo; sarà ridotta l’aptoglobina e
potrebbe esserci emoglobinuria.
Le anemie emolitiche autoimmuni sono importante causa di emolisi intravascolare, ma anche cause di tipo
meccanico come le valvole cardiache impiantate anni fa (erano di metallo), le microangiopatie come la CID
e altre che vedete qui sopra.
La PTT è una pt in cui c’è un’alterazione dell’adesione delle piastrine ai vasi, che diventano scabrosi; i GR
che passano in mezzo sbattono contro le pareti irregolari e pian piano si distruggono.
Sicuramente l’emolisi intravascolare c’è sbagliando trasfusione , o nel caso di infezioni con le loro tossine o
di parassitosi con microorganismi che entrano nei GR (caso classico della malaria).
Infine ricordiamo il deficit di G6P DH che impedisce al GR di resistere allo stress ossidativo, causandone una
distruzione più facile. È l’esempio del favismo: un sogg sta bene, ma se ha una febbre alta o magari assume
certi farmaci va incontro a emolisi.
Diagnosi di Emolisi
• 3 livelli di evidenza:
1. Eritrociti danneggiati nello striscio periferico
– sferociti (emolisi immune)
– Eritrociti frammentati (anemie microangiopatiche)
2. Risposta Midollare all’ Emolisi
– polychromasia allo striscio periferico
– reticolocitosi
– Iperplasia eritroide midollare
3. Evidenza biochimica di distruzione eritrocitaria
– Aumento bilirubina non coniugata
– Aumento LDH
– Aptoglobina ridotta/assente
La diagnosi si fa con uno striscio di sangue periferico per vedere la morfologia eritrocitaria, se cioè ci sono
sferociti o eritrociti frammentati; andando a vedere come risponde il midollo all’emolisi e controllando i
parametri biochimici.
Le anemie emolitiche comunque si distinguono in immuno mediate (autoimmuni, alloimmuni o da farmaci)
e non immunomediate.
Le prime possono comparire da sole o essere associate ad altre patologie autoimmuni, tipo granulomatosi
di Waegner, LES e simili.
Quelle alloimmuni si riferiscono a sostanze (spesso saranno farmaci) che si comportano da apteni legandosi
a proteine dei GR e scatenando una risposta immunitaria.
Ricordiamo anche che siccome i globuli rossi colpiti dalla reazione autoimmune prima di distruggersi si
alterano a sferociti, anche questo dato potrebbe essere diagnostico per anemia autoimmune, oltreché, più
banalmente, di sferocitosi ereditaria. Ecco perché chiunque ha sferociti dovrebbe fare un test di Coombs!
Chiaramente se abbiamo anemia emolitica autoimmune bisognerà valutare la causa sottostante; se il
soggetto sta facendo un farmaco sbagliato va sospeso, se invece c’è coesistenza di un’altra pt autoimmune
dovremo aggiungere farmaci che blocchino la produzione di autoAc; pensiamo al cortisone o farmaci più
importanti.
In questo tipo di pt il problema è che spesso si potrà bloccare la reazione autoimmune solo parzialmente e
se il seggetto si anemizza molto dovremo trasfonderlo; ma più lo trasfondiamo più produrrà anticorpi,
stimolando così la componente alloimmune; motivo per cui il soggetto politrasfuso è sempre più difficile da
trasfondere ancora.
Le forme non immunomediate possono essere quelle che abbiamo visto oppure da fattori congeniti (vedi
sempre lo schema di pag 13). Le due pt più importanti sono la sferocitosi ereditaria ed il deficit di G6P DH.
• Clinica:
– Gravità extr. variabile
– Nella > parte dei casi anemia lieve-moderata
– Possibili splenomegalia, colelitiasi, ittero
• Laboratorio
– Anemia emolitica con sferociti
– Est di fragilità osmotica positivo
– Autoimmunità negativa
• Terapia
– > parte dei casi non necessità di terapia
– splenectomia
– Counseling paziente e familiari
La sferocitosi ereditaria è una pt ereditaria in cui sono alterate le proteine che codificano per il
citoscheletro della membrana, che determina la forma classica del GR; se questi “cavi” sono mutati il GR
diventerà sferico. Dal pdv clinico provoca conseguenze: la deformabilità è molto minore, i GR perdono il
fisiologico rapporto volume/superficie e sono ossigenati un po’ meno, possono occludere più facilmente i
vasi (anche se in numero assoluto sono meno, e questo aiuta ad evitare occlusioni).
Ci sono soggetti con sferocitosi che stanno benissimo! Altri pz invece stanno molto male e hanno emolisi
molto freq che richiedono trasfusioni; questo per dire come il quadro clinico sia in primis molto variabile e
soprattutto non prevedibile in nessun modo.
Nelle forme più gravi per ridurre l’emolisi possiamo togliere la milza, ma ci si arriva raramente.
• Diagnostica di Laboratorio
– Cellule “a morso”
– Heinz bodies
– Dosaggio dei livelli di G6PD
• Terapia
– Di Supporto
– Evitare fattori scatenanti
– counseling individuale/familiare
Abbiamo già nominato il deficit di G6P DH o favismo. E’ ereditario, legato al cromosoma X, e causa un
eccessivo danno ossidativo cellulare stimolato da condizioni intercorrenti, es farmaci “sbagliati” per questi
pz come i sulfamidici che innescano crisi emolitiche più o meno gravi.
La tp sarebbe dare antiossidanti o cercare di evitare i fattori scatenanti.
Altresì teniamo conto che quando i GR si rompono le membrane se ne vanno in circolo e potrebbero
determinare piccole manifestazioni ischemiche! Infatti questi sogg durante una crisi possono sperimentare
dolori molto forti specie alle estremità.
La diagnosi ovviamente si fa con il dosaggio dell’enzima carente.
PORFIRIE
Le porfirie sono un gruppo eterogeneo di malattie metaboliche che sono conseguenti a un difetto o a
un’alterazione dell’attività catalitica di uno degli otto enzimi che regolano il metabolismo dell’EME. Si tratta
di patologie rare, anche se alcune sono meno rare di altre, e sono ereditarie: sono trasmesse
prevalentemente con modalità autosomica dominante, anche se la penetranza è estremamente variabile,
per cui spesso vi sono soggetti portatori del gene mutato che non sviluppano mai la sintomatologia, altri
che presentano un’unica crisi in tutta la vita, e altri ancora che presentano sintomi ricorrenti. Di
conseguenza, oggi sappiamo che, affinché la porfiria si manifesti clinicamente, non è sufficiente la presenza
della mutazione, ma sono necessari fattori scatenanti, soprattutto di tipo ambientale; per cui, nella
fisiopatologia di una porfiria, l’interazione ambiente-genetica è fondamentale.
Alcuni tipi di porfiria sono francamente acquisiti: prima qualcuno di voi ha parlato dell’intossicazione da
piombo, e infatti il saturnismo è un tipo particolare di porfiria acquisita, in cui il piombo blocca uno di questi
enzimi, determinando un effetto simile a quello che si ha in caso di mutazione. Per il clinico, le porfirie
rappresentano una grande sfida diagnostica, poiché arrivare alla diagnosi di porfiria non è per nulla facile;
inoltre, gli specialisti che possono avere a che fare con la porfiria sono molti: il neurologo, lo psichiatra (il
nostro paziente aveva presentato delirium), i chirurghi, il dermatologo, poiché alcune porfirie danno delle
manifestazioni cutanee, l’internista, medici di terapia intensiva.
METABOLISMO DELL’EME
L’EME è una struttura planare costituita da quattro pirroli legati tra loro. La sua funzione è quella di
mantenere al proprio interno il Fe ++, che è fondamentale per il nostro organismo ma è anche altamente
tossico. Le EME-proteine sono tutte quelle proteine che hanno come gruppo prospettico l’EME, e ve ne
sono due, presenti in grande quantità nel nostro organismo, che sono l’emoglobina e la mioglobina; vi
sono però molti altri enzimi che contengono al proprio interno l’EME, come la catalasi, la perossidasi,
importante nella sintesi dei neurotrasmettitori, e i citocromi P450, che sono proteine fortemente inducibili
soprattutto ad opera di farmaci. Pertanto, l’utilizzo di farmaci che vengono sintetizzati dai citocromi
consuma i citocromi e consuma di conseguenza EME, richiedendo all’organismo una nuova produzione di
EME; non è un caso che proprio i farmaci sono tra i fattori scatenanti le crisi di porfiria, soprattutto di
porfiria acuta, e tra questi farmaci vi sono molti anti-epilettici. Il nostro paziente aveva effettuato
un’anestesia generale per l’intervento di laparoscopia, e l’anestesia generale fa parte dei fattori scatenanti,
perché consuma citocromi; in seguito, a causa della comparsa delle convulsioni, sono stati somministrati
diazepam e fenobarbital, quindi è logico che la situazione sia peggiorata ulteriormente.
Quella che vedete nell’immagine è la via di sintesi dell’EME: si parte da molecole molto semplici, come la
glicina e il succinil-CoA, e pian piano, attraverso un progressivo processo di ciclizzazione, si costruisce una
molecola complessa, che è la protoporfirina IX, in cui viene inserito il Fe++ con la formazione di EME.
Degli otto enzimi che intervengono in questa via biosintetica ve ne sono alcuni (quelli a sinistra) che sono
localizzati all’interno dei mitocondri, e altri (sulla destra) che si trovano invece nel citosol. Inoltre, vengono
prodotte due diverse tipologie di sostanze: alcune non sono ancora completamente ciclizzate, come l’acido
δ-aminolevulinico e il porfobilinogeno, che è ciclizzato ma costituito da un solo anello, mentre altre sono
del tutto ciclizzate e via via sempre più simili al prodotto finale. Ciascuno di questi enzimi può risultare
carente, e per ciascuno di essi avremo una malattia diversa, con segni e sintomi differenti a seconda del tipo
di precursori che si accumulano: se si accumulano i precursori lineari, che sono soprattutto l’acido δ-
aminolevulinico e il porfobilinogeno, la sintomatologia è prevalentemente di tipo acuto, come nel nostro
paziente; se invece il difetto è più a valle e si accumulano sostanze più simili al prodotto finale la
sintomatologia è prevalentemente di tipo cutaneo, perché queste sostanze tendono ad accumularsi a
livello della pelle e sono fortemente foto-sensibilizzanti. Pertanto, le porfirie si distinguono in due tipologie:
1. acute;
2. non acute o cutanee: questi pazienti non possono stare al sole, tanto che si crede che le porfirie
abbiano fatto nascere il mito dei vampiri, perché in questi pazienti anche solo tenere il braccio fuori
dal finestrino durante la guida causa ustioni importantissime.
Vi sono però delle forme in cui vi sono entrambi i difetti e si accumulano entrambi i precursori, per cui le
manifestazioni possono essere o di tipo viscerale, o di tipo cutaneo, o entrambe.
Nell’immagine vedete i nomi delle principali forme di porfiria: il nostro paziente presenta una porfiria acuta
intermittente, che è causata dal deficit del terzo enzima, la PBG deaminasi, ed è caratterizzata
dall’accumulo di precursori lineari, con conseguenti manifestazioni acute. Come in tutte le reazioni
biochimiche, l’EME, una volta prodotto, esercita un feed-back negativo sul primo enzima, che si chiama
ALA-sintetasi: se è presente un deficit degli enzimi a valle, come la PBG-deaminasi, la coproporfirinogeno
ossidasi o la protoporfirinogeno ossidasi, e si verifica una condizione che provoca un deficit di EME, ad
esempio l’utilizzo di farmaci che richiedono l’utilizzo di citocromi in grande quantità, viene meno l’inibizione
dell’EME sull’ALA-sintetasi. L’ALA-sintetasi verrà quindi prodotta in grande quantità, e siccome vi è un
deficit funzionale di uno degli enzimi della via biosintetica, si accumulano ALA (acido δ-aminolevulinico) e
PBG (porfobilinogeno), che sono entrambi composti lineari e responsabili delle manifestazioni acute di tipo
neuroviscerale. E infatti, quando abbiamo misurato ALA e PBG nelle urine del nostro ragazzo, erano dieci
volte il valore normale. L’ALA presenta una struttura molto simile al GABA, che è un neurotrasmettitore
inibitorio: tutte le volte in cui l’ALA si accumula va ad interferire con il GABA, con conseguente
ipereccitazione che ha un effetto tossico sul SNC; anche la sintomatologia dolorosa, simile ad un quadro di
addome acuto, in realtà non è determinata da un coinvolgimento infiammatorio della parete addominale,
ma è causata da un interessamento di tipo funzionale dei nervi con conseguente polineuropatia da
iperfunzione. Vi sono degli studi su modelli murini in cui è stato iniettato dell’ALA, con una reazione del
tutto simile a quella che si ha in una porfiria acuta intermittente.
Dolore addominale, nel 95% dei casi: sono dolori intensissimi, il paziente si ritorce nel letto senza
trovare una posizione. Molte donne in età fertile, dopo aver sperimentato un attacco acuto di porfiria,
tutte le volte in cui hanno dolori mestruali temono si tratti di un nuovo attacco di porfiria e assumono
subito degli oppiacei, rischiando di sviluppare una tossicodipendenza.
Vomito;
Stipsi;
Astenia;
Tachicardia;
Sintomi mentali;
Ipertensione;
Convulsioni;
Paralisi;
Coma.
La sindrome da inappropriata secrezione di ADH è un sintomo tipico dell’attacco di porfiria, e fa parte della
disfunzione del SNC caratterizzata anche da epilessia e allucinazioni: probabilmente la neuroipofisi subisce
un’alterazione funzionale e viene stimolata in maniera eccessiva, producendo l’ormone ADH in eccesso. E’
difficile poi stabilire se l’iposodiemia ha a sua volta un ruolo nello scatenare le convulsioni.
Sembra che re Giorgio III d’Inghilterra fosse affetto da una forma di porfiria acuta, una coproporfiria
ereditaria, perché ogni tanto aveva dei momenti di totale follia, in cui correva per il cortile in camicia da
notte: e i valletti si erano accorti che tutte le volte in cui presentava queste manifestazioni di follia le sue
urine erano di colore rosso porto. In Inghilterra, sono andati a valutare la concentrazione di ALA e PBG nei
pazienti ricoverati in manicomio e hanno riscontrato una percentuale più elevata del normale; anche tra i
miei pazienti, ve ne sono molti che hanno parenti che sono stati ricoverati a lungo in ambiente psichiatrico.
Le urine presentano questo colore caratteristico in base alle quantità di ALA e PBG che vengono eliminate:
talvolta anche durante una crisi le urine presentano un colore normale, ma se vengono tenute per un certo
periodo alla luce, questa le fa ciclizzare, determinando così il colore rosso porto. Per motivi ancora non
chiari i malati di porfirie acute, soprattutto di porfiria acuta intermittente, presentano frequentemente un
danno renale: probabilmente ALA e PBG danno un danno a carico dei glomeruli renali, ma non è mai stato
dimostrato; una delle ipotesi è che questo danno sia causato da un’eccessiva produzione di ossalati. L’ALA-
sintetasi, che è l’enzima che viene indotto dall’assenza di EME, funziona a vitamina B6. Per cui, se si ha
un’improvvisa iperattività dell’ALA-sintetasi l’organismo consuma moltissima vitamina B6, la cui carenza
causa un accumulo di ossalato perché la via metabolica degli ossalati richiede vitamina B6; al momento
però si tratta di un’ipotesi non confermata.
In genere i sintomi compaiono dopo la pubertà, e nella donna, dopo la menopausa, migliorano. In Italia, la
porfiria acuta intermittente ha una frequenza di un caso/100.000 abitanti; la porfiria cutanea tarda, che dà
solo interessamento cutaneo, è molto più frequente, e può arrivare a 25 casi/100.000. La porfiria variegata,
che è sia viscerale che cutanea, è ancora più rara nel nostro paese, mentre in Sud Africa raggiunge
frequenze di 50 casi/100.000, a causa del cosiddetto “effetto fondatore”.
Come comportarci davanti a un attacco di porfiria acuto o sospetto tale? E’ ovvio che anche il malato di
porfiria acuta può avere un’appendicite acuta, quindi non tutti i dolori di questi pazienti sono da attribuire
all’attacco acuto di porfiria. Tutte le volte in cui sospettiamo o abbiamo la certezza di un attacco di porfiria
dobbiamo ricoverare il paziente, perché abbiamo visto che la situazione può precipitare molto
velocemente. Dobbiamo innanzitutto eliminare tutti quei fattori che possono causare un attacco di porfiria
acuta, come:
– farmaci;
– stress;
– alcool;
– digiuno: le porfirie acute sono nemiche del digiuno, ovvero l’ipoglicemia è un fattore che può
scatenare una crisi di porfiria, e sono particolarmente a rischio le donne malate di porfiria che
fanno diete troppo drastiche.
La terapia dell’attacco porfirico acuto si basa su due punti:
1. Infusione di glucosio, in particolare soluzioni ipertoniche glucosate al 20%; dobbiamo però fare
attenzione, perché se il paziente ha un’iposodiemia rischiamo di peggiorarla ulteriormente.
2. Somministrazione di EME: abbiamo a disposizione un composto, chiamato NORMOSANG®, che
viene fatto in infusione, e serve proprio per il trattamento delle crisi porfiriche acute. Non tutti gli
ospedali però hanno a disposizione il NORMOSANG®, per cui in assenza di esso si effettua la
glucosata, che è meno potente e meno efficace, ma è meglio che niente.
Inoltre sarà necessario trattare il dolore, che essendo così intenso viene trattato soprattutto con gli
oppiacei. Qual è il razionale di questa terapia? La somministrazione di EME dall’esterno va ad inibire l’ALA-
sintetasi, e un’azione simile è svolta anche dal glucosio: quando si somministra glucosio si produce insulina,
con aumento dell’IGF-1 (insulin growth factor), che è un inibitore dell’ALA-sintetasi; in caso di digiuno,
invece, si riduce l’IGF e aumenta quindi l’attività dell’ALA-sintetasi, ed è questo il motivo per cui il digiuno
rappresenta un fattore scatenante la crisi. La somministrazione di EME è più efficace rispetto al glucosio,
poiché l’EME esercita una duplice azione: da un lato blocca l’enzima con un meccanismo allosterico,
dall’altro agisce a livello genico, bloccando la sintesi proteica di nuovo enzima.
Durante il ricovero, per completamento diagnostico, è stato effettuato lo studio dell’attività enzimatica
della PBG-deaminasi, che è risultata essere inferiore al 35% del normale, e si è valutato il tipo di mutazione.
E’ stato poi effettuato lo screening dei familiari, seppure poco collaborativi: è stato visto che una cugina di
Marco era sintomatica, ovvero aveva avuto una sintomatologia da porfiria che però non era stata
riconosciuta come tale. Dopodiché Marco è stato sottoposto a follow up, durante il quale però ha
presentato altre crisi: ogni volta in cui è stato registrato un incremento di ALA e PBG si è sempre presentato
dolore addominale, e la cosa interessante è che queste crisi sono sempre state precedute da episodi
influenzali. Ovviamente, tutte le volte in cui iniziava a presentare dolore gli veniva somministrato del
NORMOSANG®, bloccando così sul nascere la crisi. Tuttavia, siccome le crisi sono state frequenti e i valori di
ALA e PBG rimanevano alti, si è pensato di fare una terapia di mantenimento, somministrandogli una volta
alla settimana/una volta al mese una glucosata con del NORMOSANG® per cercare di limitare il più possibile
il numero delle crisi. Il problema principale di queste malattie è che, a differenza del diabete o
dell’ipertensione, non vi sono delle linee guida che stabiliscono, sulla base dei valori di ALA e PBG, il
numero di infusioni mensili, ma la decisione è lasciata al singolo medico, che decide in base al numero di
crisi e ai valori di ALA e PBG. Nonostante la terapia di mantenimento, però, si sono presentate comunque
quattro crisi. Un altro problema significativo è che il NORMOSANG® ha dentro il ferro: una fiala di
NORMOSANG®, che si usa una o due volte al mese, contiene 200 mg di ferro; contiene inoltre anche
dell’alcool che per un malato di porfiria acuta intermittente non è ottimale, ma è necessario per mantenere
il contenuto in soluzione. Prima di iniziare la terapia di mantenimento è stata quindi testata la genetica
dell’emocromatosi perché, dovendo somministrare del ferro, se il paziente è portatore del gene
dell’emocromatosi è ancora più a rischio per l’accumulo di ferro: fortunatamente Marco non aveva
mutazioni dell’HFE e neppure dei geni meno frequenti. Ciononostante, si è registrato un aumento dei livelli
di ferritina, che sono arrivati anche fino a 1265 ng/ml. Davanti a un valore di ferritina così elevato si è
valutata l’eventuale presenza di depositi di ferro a livello degli organi, in particolare il fegato, mediante una
risonanza magnetica effettuata con un software particolare in grado di misurare il LIC (liver iron content, o
contenuto epatico di ferro), che nel nostro paziente risulta essere di 180, mentre dovrebbe essere inferiore
a 36. Per cui si è deciso di togliergli del ferro attraverso l’utilizzo di un Fe ++-chelante come la deferoxamina;
Marco è però intollerante alla deferoxamina, e sviluppa ogni volta un’orticaria, quindi si passa al
deferasirox, un chelante orale. La ferritina ha iniziato a calare, ma bisogna ricordare che il deferasirox può
dare problemi renali, e per questo viene monitorato.
Ricordate che se avete un paziente affetto da porfiria che viene da voi con dolore addominale, la prima cosa
da fare è dosare ALA e PBG: se questi sono normali non si tratta di un attacco di porfiria e dovete orientarvi
verso altre cause; se invece i valori sono elevati, lo dobbiamo trattare come una crisi di porfiria acuta. Il
saturnismo è assolutamente indistinguibile da un attacco di porfiria acuta intermittente, poiché i sintomi
sono assolutamente simili: il piombo blocca l’ALA-deidratasi, quindi si accumula solo l’ALA e non il
porfobilinogeno; è l’unico tipo di porfiria, eccetto la porfiria da deficit di ALA-deidratasi di cui sono stati
descritti sette casi al mondo, in cui si ha l’accumulo solo di ALA.
Malattie dell’apparato cardiovascolare
Cardiopatie
Termine con cui si indica qualunque anomalia strutturale o funzionale a carico del cuore.
Le cardiopatie possono essere divise in:
o congenite, se presenti fin dalla vita fetale;
o acquisite, quando si sviluppano in un’epoca successiva alla nascita.
Cardiopatie congenite
Le cardiopatie congenite, che possono portare nei casi di particolare gravità a morte intrauterina,
rappresentano la causa più comune di malattia cardiaca nel neonato, presentandosi in circa otto nati vivi su
mille. Possono evidenziarsi clinicamente già alla nascita, quando nel nascituro si verifica il passaggio dalla
circolazione sanguigna placentare a quella autonoma; oppure possono manifestarsi e aggravarsi nella prima
infanzia o, ancora, essere diagnosticate nell’età adulta. Spesso presenti con una maggiore incidenza
all’interno della stessa famiglia, possono essere associate a mutazioni cromosomiche (come la sindrome di
Down o la sindrome di Turner), essere conseguenti a malattie infettive contratte dalla madre durante il
primo trimestre di gravidanza (ad esempio la rosolia), all’uso di farmaci (quali i barbiturici e alcuni
chemioterapici antitumorali) o all’abuso di alcol.
La classificazione prevede la suddivisione delle cardiopatie congenite in forme cianogene, dove una
colorazione bluastra delle mucose e delle estremità distali di mani e piedi evidenzia una insufficiente
ossigenazione dei tessuti (cianosi: Hb ridotta > 5 g/dl), e in forme non cianogene.
Le cardiopatie acquisite comprendono processi morbosi a diversa eziologia che iniziano dopo la nascita.
Esse possono esprimere una malattia che interessa direttamente il cuore in una delle sue componenti (il
pericardio, il miocardio, l’endocardio), oppure possono rappresentare una sofferenza o un risentimento
cardiaco secondario ad altre affezioni, di organi in stretto rapporto funzionale con il cuore (malattie dei
polmoni), o dell’intero organismo (aterosclerosi, ipertensione arteriosa, febbre reumatica).
CARDIOMIOPATIE
Le cardiomiopatie sono malattie che interessano primitivamente il miocardio e non sono provocate da
ipertensione arteriosa o da malattie congenite, valvolari, coronariche, arteriose o pericardiche.
La classificazione eziologica delle cardiomiopatie ne distingue due tipi fondamentali:
- un tipo primitivo, caratterizato da malattia del muscolo cardiaco di eziologia sconosciuta;
- un tipo secondario, caratterizzato da malattia del miocardio di eziologia nota o associata a malattie
che coinvolgono altri apparati.
Nella maggior parte dei casi non è possibile raggiungere una diagnosi eziologica, e quindi è più utile
classificare le cardiomiopatie sulla base dei loro specifici aspetti fisiopatologici e clinici:
- cardiomiopatia dilatativa;
- cardiomiopatia ipertrofica;
- cardiomiopatia restrittiva;
- cardiomiopatia (o displasia) aritmogena del ventricolo destro.
CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
Dilatazione ventricolare sinistra e/o destra con deficit della funzione di pompa sistolica.
- Eziologia ed epidemiologia: è nella maggior parte dei casi idiopatica/primitiva, probabilmente il risultato
finale di un danno miocardico provocato da una varietà di agenti tossici, metabolici o infettivi (forse
evoluzione finale di miocardite virale acuta con possibile intervento mediatore di fattori immunitari).
Interessa tutte le fasce di età, anche se colpisce più frequentemente i maschi adulti ed è più comune nella
popolazione afroamericana.
Circa il 20 % dei pazienti presenta una forma familiare della malattia, geneticamente eterogenea,
caratterizzata da mutazioni genetiche per la decodificazione di proteine strutturali miocardiche.
Forme di cardiomiopatia dilatativa secondaria sono:
Cardiomiopatia alcolica: l’elevato consumo di alcolici per lunghi periodi può dare un quadro clinico
identico a quello della cardiomiopatia dilatativa idiopatica; nei paesi occidentali è la forma più
frequente di cardiomiopatia dilatativa secondaria. A differenza della forma idiopatica che è
caratterizzata da un deterioramento progressivo, l’interruzione dell’abuso di alcol può arrestare la
progressione di questa malattia o addirittura detrminarne la risoluzione.
Cardiomiopatia “peripartum”: nell’ultimo trimestre di gravidanza o nei primi sei mesi dopo il parto
può comparire una dilatazione cardiaca accompagnata da segni di insufficienza cardiaca;
tipicamente sono pazienti multipare, afroamericane e con più di 30 anni. La prognosi è favorevole
se, dopo il primo episodio di insufficienza congestizia, le dimensioni del cuore tornano normali. La
mortalità può raggiungere il 25-50 % dei casi. Le pazienti che sopravvivono all’episodio di
scompenso congestizio devono essere scoraggiate dall’avere altre gravidanze, soprattutto se
persiste cardiomegalia persistente.
Cardiomiopatia dilatativa in corso di malattie neuromuscolari : nella maggior parte delle distrofie
muscolari è comune il coinvolgimento cardiaco.
Cardiomiopatia da farmaci: numerosi farmaci possono danneggiare acutamente il miocardio
provocando flogosi o danni cronici simili a quelli che si osservano nella cardiomiopatia dilatativa
idiopatica (derivati dell’antraciclina tra cui la doxorubicina, ciclofosfamide, 5-fluorouracile,
antidepressivi triciclici, fenotiazine, litio, cocaina).
- Sintomatologia: comparsa di sintomi di insufficienza cardiaca congestizia destra e sinistra; aritmie; emboli
periferici a partenza da trombi murali, particolarmente localizzati all’apice del ventricolo sinistro.
- Diagnosi: all’esame obiettivo sono comuni distensione venosa giugulare, rantoli, itto del ventricolo
sinistro discinetico e ampio, terzo e quarto tono, epatomegalia, edemi periferici, soffi da insufficienza
mitralica e tricuspidale. Agli esami strumentali l’RX torace mostra cardiomegalia, ridistribuzione del
circolo polmonare e versamenti pleurici; l’ECG evidenzia aritmie, dilatazione atriale sinistra, alterazioni del
tratto ST e dell’onda T, difetti di conduzione intraventricolare e bassi voltaggi; l’ecocardiografia evidenzia
dilatazione ventricolare destra e sinistra con compromissione globale della cinesi.
- Prognosi e terapia: la maggior parte dei pazienti presenta un decorso clinico caratterizzato da un
progressivo deterioramento. Il decesso, in particolare nei pazienti che superano i 55 anni di età, avviene
entro 3 anni dall’inizio dei sintomi. I pazienti vanno incontro a morte per insufficienza congestizia o aritmie
ventricolari; la morte improvvisa rappresenta un rischio permanante. Terapia dello scompenso cardiaco,
terapia anticoagulante cronica per prevenire l’embolia sistemica, astensione dall’alcol, defibrillatori nei
pazienti affetti da aritmie maligne (da evitare farmaci antiaritmici per il rischio di effetti proaritmici),
trapianto cardiaco negli stadi più avanzati di malattia refrattari alla terapia medica.
CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Ipertrofia abnorme, ad eziologia sconosciuta, del ventricolo sinistro, coinvolgente in misura maggiore il
setto che la parete libera, con o senza ostruzione al deflusso ventricolare sinistro, con cavità ventricolare
sinistra non dilatata. Si distinguono:
cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva (75 % dei casi);
cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o stenosi subaortica ipertrofica idiopatica (25 % dei casi).
Le anomalie fisiopatologiche sono:
diastolica (più comune) aumento della rigidità delle pareti muscolari ipertrofiche, alterazione del
rilasciamento diastolico con ridotta distensibilità diastolica ventricolare, che induce un’elevata
pressione diastolica di riempimento;
sistolica (meno comune) ostruzione dinamica telesistolica all’eiezione ventricolare sinistra (da
ipertrofia asimmetrica del setto e impianto anteriore della mitrale) con gradiente pressorio
intraventricolare.
- Eziologia ed epidemiologia: ipertrofia ventricolare sinistra ad eziologia sconosciuta, quindi non secondaria
ad una malattia cardiovascolare o sistemica condizionante un sovraccarico emodinamico del ventricolo
sinistro (HTN arteriosa o stenosi aortica). In circa il 50 % dei casi di cardiomiopatia ipertrofica è presente
una anamnesi familiare positiva con trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta
(identificate più di 100 differenti mutazioni a carico dei geni codificanti per la miosina β cardiaca, per la
troponina T, per la proteina C legante la miosina, per l’α-tropomiosina, per la troponina I, …).
- Sintomatologia: l’andamento clinico delle cardiomiopatie ipertrofiche è molto variabile. La maggior parte
dei pazienti è asintomatica; spesso questi pazienti hanno parenti affetti dalla malattia. Sfortunatamente, la
prima manifestazione clinica della malattia può essere la morte improvvisa, che può frequentemente
colpire bambini e giovani adulti, spesso durante o dopo un esercizio fisico. I sintomi sono secondari
all’elevata pressione diastolica, all’ostruzione dinamica al deflusso del ventricolo sinistro e alle aritmie
dispnea, angina pectoris, astenia, sincope.
- Diagnosi: all’esame obiettivo nei pazienti con ostruzione sono evidenti itto apicale con doppio o triplice
impulso, ripida branca ascendente del polso carotideo, quarto tono, soffio telesistolico rude con morfologia
a diamante sul margine sternale sinistro, soffio da insufficienza mitralica all’apice (i soffi si accentuano con
la manovra di Valsalva e con l’attività fisica). Agli esami strumentali l’ECG mostra i segni di ipertrofia
ventricolare sinistra con onda Q settale prominente nelle derivazioni D1, aVL, V5-6; all’Holter frequente
rilevazione di periodi di FA e tachicardia ventricolare; all’RX torace frequente riscontro di cardiomegalia
lieve o moderata; all’ecocardiografia sono evidenti l’ipertrofia ventricolare sinistra, con il caratteristico
aumento di spessore del setto, con restringimento del lume ventricolare sinistro a forma di clessidra.
- Prognosi e terapia: la storia naturale della cardiomiopatia ipertrofica è variabile. Molti pazienti restano
completamente asintomatici. La causa principale di decesso è rappresentata dalla morte improvvisa; fattori
predisponenti alla morte improvvisa sono: età inferiore ai 30 anni, tachicardia ventricolare all’Holter,
frequenti sincopi, presenza di ipertrofia ventricolare marcata, storia familiare di morte improvvisa. Poiché
la morte improvvisa si può verificare durante o subito dopo un esercizio fisico, attività agonistica e sforzi
eccessivi sono sconsigliati. Profilassi antibiotica per le endocarditi nei pazienti con forma ostruttiva. Ca+-
antagonisti o beta-bloccanti; pace-maker o defibrillatore; ablazione miocardica settale transluminale
percutanea (infarto del setto interventricolare indotto da iniezioni di etanolo nell’arteria settale); intervento
chirurgico di miectomia del setto ipertrofico. Ricerca nella famiglia di ulterori casi di malattia.
CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA
Anormale funzione diastolica ventricolare: la parete ventricolare è eccessivamente rigida e ostacola il
riempimento ventricolare, l’aumento della rigidità miocardica compromette la distensione ventricolare, per
cui la portata cardiaca è limitata e le pressioni ventricolari diastoliche sono elevate. L’endocardio diventa
più spesso e si ricopre di trombi con notevole rischio di embolie.
- Eziologia ed epidemiologia: Ne sono generalmente responsabili la fibrosi miocardica, l’ipertrofia o
l’infiltrazione secondaria a varie cause. Le malattie infiltrative rappresentano una causa importante di
cardiomiopatia restrittiva secondaria amiloidosi, emocromatosi, glicogenosi, malattia di Fabry, fibrosi
endomiocardica, sarcoidosi, eosinofilie, sclerodermia; nei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco e in quelli
sottoposti a radiazioni del mediastino; nelle infiltrazioni neoplastiche e nelle fibrosi miocardiche di eziologia
diversa.
Fibrosi endomiocardica: malattia progressiva, a eziologia sconosciuta, che interessa
particolarmente i bambini e i giovani adulti delle aree tropicali e subtropicali dell’Africa. In Africa è
una causa frequente di insufficienza cardiaca ed è responsabile di circa il 25 % delle morti per
cardiopatie. E’ caratterizzata da lesioni endocardiche fibrose a carico del tratto di afflusso del
ventricolo destro e/o del ventricolo sinistro ed interessa le valvole atrioventricolari; gli apici dei
ventricoli sono obliterati da una massa di tessuto fibroso e di trombi. Terapia medica
insoddisfacente; intervento chirurgico di escissione dell’endocardio fibroso e di sostituzione
valvolare.
Endocardiomiopatia con eosinofilia (o endocardite fibroplastica di Loeffler): aspetto particolare
della sindrome ipereosinofila in cui il cuore è l’organo bersaglio, per gli effetti tossici delle proteine
eosinofile. Ispessimento marcato dell’endocardio con coinvolgimento del sottostante miocardio;
sviluppo di grandi trombi murali, fonti di emboli polmonari e sistemici. Associazione con
epatosplenomegalia e coinvolgimento di altri organi. Terapia sintomatica ed eziologica
(glucocorticoidi e citotossici, come idrossiurea).
- Sintomatologia: i sintomi più importanti sono la scarsa resistenza all’attività fisica e la dispnea; questi
pazienti, a causa dell’incremento persistente della pressione venosa centrale, presentano frequentemente
edemi periferici, ascite ed epatomegalia.
- Diagnosi: (D.D. con pericardite costrittiva) all’esame obiettivo toni cardiaci lontani, terzo e quarto tono,
itto cardiaco prominente palpabile. Agli esami strumentali all’Rx torace lieve ingrandimento del
ventricolo sinistro e assenza di calcificazioni pericardiche; all’ECG evidenza di bassi voltaggi, alterazioni del
tratto ST e dell’onda T, aritmie; all’ecocardiografia ispessimento simmetrico delle pareti ventricolari.
Per D.D.con pericardite costrittiva, trattabile con intervento chirurgico biopsia cardiaca, TC e RM.
- Prognosi e terapia: prognosi generalmente sfavorevole. Profilassi tromboembolica con anticoagulanti
orali.
CARDIOPATIE ISCHEMICHE
La cardiopatia ischemica è la manifestazione dell’aterosclerosi a carico dei vasi coronarici. Provocata da
stenosi coronariche che riducono il flusso, conduce a insufficienza coronarica = squilibrio tra fabbisogno e
apporto di ossigeno nel muscolo cardiaco. L’ischemia miocardica così determinatasi si manifesta con
diverse modalità:
- forma latente = asintomatica (ischemia silente)
- ischemia manifesta = sintomatica
o angina pectoris: dolori toracici dovuti ad ischemia miocardica reversibile
o infarto cardiaco: necrosi miocardica ischemica
o danni ischemici del muscolo cardiaco con insufficienza sinistra
o disturbi del ritmo (specialmente disturbi del ritmo ventricolare sino alla fibrillazione
ventricolare)
o morte cardiaca improvvisa
Epidemiologia
Nei paesi industrializzati è la maggior causa di morte; prevalenza sino al 20% dei soggetti di età media; M:F
= da 2:1 a 3:1.
Frequenza delle varie forme di ischemia come prima manifestazione:
• angina pectoris 55%
• infarto cardiaco 25%
• morte cardiaca improvvisa 20%
Eziologia
Cause (fattori di rischio) dell’aterosclerosi
a) Fattori di rischio non influenzabili:
• familiarità
• età
• sesso maschile
b) fattori di rischio influenzabili:
fattori di rischio di 1° ordine (più importanti):
• dislipidemia: colesterolo totale e LDL aumentati, colesterolo HDL diminuito, trigliceridi
aumentati
• ipertensione
• diabete mellito
• sindromi metaboliche: obesità, resistenza all’insulina e iperinsulinemia + malattie
associate (1-3)
• fumo di sigarette
fattori di rischio di 2° ordine:
• lipoproteina(a) aumentata
• iperfibrinogenemia (> 300 mg/dl)
• iperomocisteinemia (> 12 μmol/l)
• anticorpi antifosfolipidi
• deficit genetici di t-PA
• poco movimento
• fattori psico-sociali: stress, basso stato sociale, ecc.
Se si hanno due fattori di rischio di 1° ordine, il rischio di infarto aumenta di quattro volte rispetto ad una
persona normale; in presenza di tre fattori di rischio di 1° ordine il rischio aumenta di dieci volte.
ANGINA PECTORIS
Clinica
L’angina pectoris si manifesta di regola in caso di stenosi coronarica critica (≥ 75%).
L’angina pectoris (stenocardia) è il sintomo principale dell’insufficienza coronarica:
prevalentemente si hanno dolori retrosternali, per lo più scatenati da sforzi fisici o stress emotivi , e di breve
durata (minuti). I dolori possono irradiarsi al collo, alla mandibola, alle spalle, al braccio sinistro (destro),
fino a raggiungere la punta delle dita nel lato ulnare. L’esposizione al freddo o la digestione (sindrome di
Roemheld) possono acutizzare i dolori. Nei casi tipici i dolori scompaiono dopo somministrazione di
nitroderivati, nonché al termine dello sforzo fisico. Molti pazienti accusano solo un senso di pressione
retrosternale o di oppressione toracica.
Decorso dell’angina pectoris
1. Angina pectoris stabile:
viene regolarmente scatenata da determinati fattori (ad es. sforzo fisico). Risponde bene ai nitroderivati.
2. Angina pectoris instabile (sindrome pre-infartuale):
— qualsiasi prima manifestazione di angina (angina di recente insorgenza < 2 mesi)
— recente crescendo di gravità, durata, frequenza degli attacchi
— angina a riposo o scatenata da un’attività minima
— aumentato fabbisogno di farmaci antianginosi.
Nell’angina pectoris instabile vi è un aumentato rischio di infarto (20%). Il passaggio all’infarto avviene
quasi sempre con una rottura della placca ateromatosa con conseguente trombosi coronarica. Nel 30% dei
casi è aumentata la troponina T/I; tanto maggiore è il suo livello, tanto più sfavorevole è la prognosi.
3. Forme particolari:
— angina di Prinzmetal = angina variante: angina pectoris con sopraslivellamento del tratto ST durante
l’attacco, reversibile. Il dolore toracico è simile a quello anginoso ma più intenso e prolungato, insorge
solitamente in condizioni di riposo o al risveglio, in pazienti spesso fumatori e più giovani di quelli con
angina instabile secondaria ad aterosclerosi coronarica. Assenza di alterazioni enzimatiche. Spesso i pazienti
presentano, alla coronarografia, stenosi coronariche, a livello delle quali possono verificarsi spasmi
transitori. Vi è un aumento del rischio di sindrome coronarica acuta e infarto.
Diagnosi
Esame obiettivo:
spesso normale; la presenza di soffi arteriosi o di alterazioni dei vasi retinici suggerisce un’aterosclerosi
generalizzata; quarto tono. Durante l’episodio anginoso acuto si possono manifestare altri segni: terzo tono
intenso e quarto tono, sudorazione profusa, rantoli e soffio transitorio da insufficienza mitralica da ischemia
deimuscoli papillari.
ECG:
negli intervalli liberi tra le crisi anginose può essere normale o evidenziare pregressi infarti. Durante le crisi
compaiono le tipiche alterazioni del tratto ST e dell’onda T (il sottoslivellamento del tratto ST riflette
un’ischemia subendocardica; il sopraslivellamento può essere indicativo di un infarto acuto o di uno
spasmo coronarico transitorio). Le aritmie ventricolari spesso accompagnano l’ischemia acuta.
Test da sforzo:
utile per porre diagnosi di malattia coronarica. Si esegue un esercizio fisico su tappeto rotante o su
cicloergometro fino a raggiungere una data frequenza cardiaca o fino alla comparsa di sintomatologia
(dolore toracico, senso di mancamento, ipotensione, dispnea intensa, tachicardia ventricolare) o di
alterazioni diagnostiche del tratto ST.
La scintigrafia con tallio o tecnezio aumenta la sensibilità e la specificità ed è particolarmente utile nei casi
in cui siano presenti alterazioni di base dell’ECG che possono inficiare l’interpretazione del test (BBS).
Se il paziente non può effettuare il test da sforzo, può essere eseguito un test con infusione endovenosa di
dipiradomolo o adenosina durante scintigrafia con tallio o tecnezio, o uno studio ecocardiografico con
dobutamina.
Coronarografia:
trova indicazione in caso di: 1) angina refrattaria alla terapia medica; 2) prova da sforzo marcatamente
positiva; 3) angina ricorrente o positività al test da sforzo dopo IMA; 4) diagnosi di spasmo coronarico; 5)
valutazione di pazienti con dolore toracico dubbio.
Trattamento
Angina stabile:
identificare e trattare i fattori di rischio (sospensione del fumo, trattamento del diabete, dell’ipertensione e
delle dislipidemie); correggere i fattori aggravanti che contribuiscono all’angina (obesità,
anemia,ipertiroidismo); terapia farmacologica (nitroderivati, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, acido
acetilsalicilico); angioplastica coronarica transluminale percutanea +/- posizionamento di stent; BPAC.
Angina instabile:
ricovero in Unità Coronarica; anticoagulanti + nitroderivati e beta-bloccanti; angioplastica; BPAC.
Angina di Prinzmetal:
nitroderivati e calcio-antagonisti.
LE VALVULOPATIE
Anatomia valvolare
Le valvole cardiache sono le strutture che separano fra di loro le camere cardiache (atri e ventricoli) e
queste ultime dai grandi vasi (aorta ed arteria polmonare). Le valvole cardiache sono quattro (tricuspide,
polmonare, mitrale e aorta), in grado di aprirsi e chiudersi in maniera coordinata con il battito cardiaco, così
da lasciare passare il sangue solo in una direzione.
L’ apparato valvolare sia nel ventricolo destro che in quello sinistro comprende:
- l’orifizio e l’ anello che lo delimita
- le cuspidi o lembi valvolari
- le corde tendinee di vario tipo
- i muscoli papillari;
tutte queste strutture agiscono in maniera armonica con il miocardio striale,ventricolare e settale,grazie al
tessuto di conduzione e alla coesione meccanica assicurata dallo “scheletro”fibro-elastico del cuore e,
durante le varie fasi del ciclo cardiaco vanno tutte incontro a importanti modificazioni di posizione,forma
,angolazione e dimensione.
Quindi le valvole che troviamo nel cuore sono 4 ma sono fondamentalmente di due tipi:
- atrioventricolari, simili tra loro morfologicamente
- aortiche e polmonari, che sono valvole semilunari e sono simili tra loro.
Le valvole atrioventricolari sono la tricuspide a destra e la bicuspide a sinistra.
Sono due valvole i cui lembi ( anteriore-posteriore-mediale nella tricuspide e anteriore-posteriore nella
bicuspide)quando il cuore è in diastole, cioè quando le valvole sono aperte,hanno una parte detta parietale
perché guarda la pareta del cuore e una parte assiale che è a contatto con il sangue che scende dall’ atrio al
ventricolo.
La parte parietale è la parte più rugosa mentre la parte assiale è quella liscia.
Per riconosce la morfologia di queste valvole bisogna considerarle come una formazione conoide la cui base
è inserita nella comunicazione atrio-ventricolare e il cui apice sta nel ventricolo. Se facciamo 2 o 3 tagli,a
seconda della valvola, si hanno i lembi valvolari.il taglio non arriva fino all’ inserzione della valvola, perciò si
avrà una porzione della valvola uniforme che è quella parte della v valvola aderente all’ anello fibroso e un
porzione costituita dai lembi che irregolarmente scendono verso il ventricolo. Si distingue:
- una zona basale più chiara che è quella che si inserisce sul punto di comunicazione atrio-
ventricolare ( anello fibroso)
- una zona chiara che è la base di ciascun lembo valvolare
- il lembo valvolare che è costituito da una parte esterna parietale più rugose ed una assiale più
liscia.
I filuzzi tendinei che dalla base si inseriscono sull’ apice dei muscoli papillari, si inseriscono sulla faccia
parietale. Sulla parte assiale scorre sempre il sangue durante la diastole.
Ci sono dei gruppi di muscoli papillari in corrispondenza di ciascun lembo valvolare.
Le valvole semilunari sono quelle aortiche e quelle polmonari; in ognuno di questi vasi ci sono 3 valvole
semilunari: sono come tre scodelle da latte flosce che sono inserite lungo l contorno dell’arterie, i cui lembi
si riempiono quando il sangue cerca di tornare indietro durante la diastole e invece vengono spinte contro
le pareti durante la sistole. Il loro meccanismo d’azione è simile a quello delle valvole venose. Ciascun
lembo ha un margine concavo che è inserito alla parete dell’arteria e un margine convesso che è quello che
sporge nel lume quando il lembo si riempie di sangue. Nella parte centrale del margine convesso del lembo
c’è un ispessimento, che si chiama nodulo,ai lati del quale c’è la parte più sottile che si chiama lunula. La
presenza dei noduli determina un sistema di chiusura migliore nella valvola consento una migliore tenuta
dato che convergono tutti uno verso l’altro quando i lembi si riempiono in diastole .
Definizione
Le malattie delle valvole cardiache si definiscono VALVULOPATIE e possono essere di due tipi:
• Stenosi (incompleta apertura; il sangue passa attraverso un orifizio più piccolo della norma)
• Insufficienze (incompleta chiusura; parte del sangue torna indietro attraverso la valvola che dovrebbe
essere chiusa). Molto spesso tuttavia stenosi e insufficienza coesistono, in diversa misura, nella stessa
valvola, realizzando la cosiddetta stenoinsufficienza.
Decorso
Il decorso delle valvulopatie è nella maggior parte dei casi lentamente evolutivo, con una fase anche molto
lunga (anni) di completa asintomaticità.
Qualora invece la valvulopatia insorga acutamente su una valvola fino a quel momento normale (in seguito
a traumi, infarto miocardico, endocardite con perforazione dei lembi valvolari) la presentazione clinica può
essere drammatica.Le malattie delle valvole del settore destro del cuore (tricuspide e polmonare), dove
vige un regime pressorio più basso, sono rare e
in genere dovute a problemi congeniti.
Le malattie di mitrale e aorta sono invece molto più frequenti.
Cause
VALVULOPATIE CONGENITE:
alterazioni dello sviluppo embrionale delle strutture cardiache e spesso sono associate ad altre anomalie
congenite che realizzano sindromi assai complesse.
VALVULOPATIE ACQUISITE:
possono essere dovute a infezioni, infiammazioni, degenerazione del tessuto valvolare, traumi, ischemia
miocardica o a patologie del muscolo cardiaco o dell’aorta ascendente.
Negli scorsi decenni una delle cause principali di valvulopatia era la malattia valvolare reumatica, che
insorge come complicanza di una faringite o tonsillite causata dallo streptococco b emolitico. Le valvole
cardiache sono colpite alcune settimane dopo l’infezione tonsillare. Esse vengono danneggiate e
progressivamente si deformano. Al giorno d’oggi, con il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione
delle infezioni e l’aumento della durata della vita, la causa più frequente di valvulopatia è quella
degenerativa, dovuta cioè al progressivo danneggiamento della struttura valvolare che avviene con
l’invecchiamento.
Conseguenze
Le conseguenze della malattia valvolare dipendono dal tipo di anomalia (stenosi o insufficienza) e dalla sua
gravità. La conseguenza estrema di ogni valvulopatia è lo scompenso cardiaco. Pur essendo difficile
generalizzare, si può affermare che ogni valvulopatia attraversa due fasi: una prima di compenso, durante la
quale il cuore mette in atto una serie di meccanismi per far fronte al problema, e una seconda che evolve
verso la insufficienza cardiaca, quando i meccanismi di adattamento non sono più sufficienti a mantenere
una portata cardiaca adeguata.
Le stenosi valvolari causano un aumento di pressione a monte della valvola malata. In caso di
interessamento delle valvole aortica o polmonare, i ventricoli vanno incontro a ipertrofia (aumento di
spessore della parete) che li rende in grado, per un certo periodo, di generare una pressione più elevata,
mentre in caso di interessamento mitralico o tricuspidale gli atri, la cui parete presenta spessori molto
ridotti, vanno incontro a dilatazione. La dilatazione delle camere atriali causa spesso l'insorgenza della
fibrillazione atriale, un'aritmia che peggiora ulteriormente la funzione cardiaca. A un certo punto i ventricoli
non sono più in grado di aumentare ulteriormente i loro spessori e iniziano anch'essi a dilatarsi in modo
esagerato.
La evoluzione a questo punto è verso lo scompenso cardiaco.
Nelle insufficienze valvolari invece, le camere cardiache interessate ricevono una quantità eccessiva di
sangue, dovuta al rigurgito attraverso la valvola che chiude in maniera imperfetta. Non dovendo vincere
un'aumentata resistenza esse non hanno bisogno di aumentare lo spessore delle loro pareti e reagiscono al
sovraccarico di volume dilatandosi. Quando la dilatazione è troppo marcata, il cuore non riesce più a
contrarsi adeguatamente e si verifica un ristagno di sangue nel letto vascolare polmonare (edema
polmonare), a livello del fegato (epatomegalia, gonfiore addominale) e degli arti inferiori (edemi o gonfiori).
Sintomi
Il paziente affetto da valvulopatia è spesso asintomatico o poco sintomatico anche fino a uno stadio
avanzato. Per questo motivo il rischio principale è che si arrivi alla diagnosi e alla terapia troppo tardi. Una
volta che il cuore è eccessivamente dilatato infatti, anche sostituendo la valvola malata, non si assiste a un
miglioramento delle condizioni cliniche e il paziente va incontro a progressivo scompenso cardiaco.
I sintomi dipendono dal tipo di valvulopatia. I primi sintomi sono in genere la comparsa di facile
affaticabilità, dispnea (fatica a respirare) durante l'attività fisica e in seguito anche a riposo. I pazienti
possono accusare batticuore a causa dell'insorgenza di aritmie come la fibrillazione atriale. Talvolta il primo
segno clinico può essere un ictus, dovuto all'entrata nel circolo sanguigno di parti di coaguli che si formano
all'interno della camere cardiache dilatate. Se viene coinvolto il ventricolo destro compaiono congestione
epatica e edemi declivi (ritenzione di liquidi a livello degli arti inferiori). In presenza di una stenosi aortica il
paziente può andare incontro angina, sincope o addirittura morte improvvisa. Per accusare meno problemi
il paziente spesso diminuisce inconsciamente la propria attività fisica. Per questo motivo il grado di
limitazione funzionale è spesso sottostimato.
Come si riconoscono
Il sospetto clinico di valvulopatia viene posto in genere nel corso di una visita medica routinaria per la
presenza alla auscultazione cardiaca di un soffio?.
Bisogna fare una distinzione tra i soffi cosiddetti ?innocenti? o ?fisiologici? e i soffi patologici. I soffi
innocenti sono suoni causati dal passaggio del sangue attraverso le camere e le valvole cardiache e sono
comuni nei bambini e in alcuni adulti. Non hanno alcun significato clinico e possono attenuarsi o
accentuarsi in varie condizioni, aumentando di intensità quando la frequenza cardiaca aumenta (febbre,
agitazione o attività fisica). Generalmente scompaiono durante la crescita e possono ricomparire in
gravidanza. Una volta esclusa la presenza di valvulopatie o altri problemi cardiaci, questi soffi non
necessitano più di controlli. I soffi nelle valvulopatie invece vengono causati dal passaggio del sangue
attraverso valvole che non aprono o non chiudono bene.
L'ecograia del cuore (ecocardiografia) conferma ladiagnosi, quantifica la gravità della valvulopatia e valuta
le condizioni dei ventricoli e degli atri. L'elettrocardiogramma a riposo è utile per individuare eventuali
segni di ipertrofia ventricolare sinistra e/o di impegno atriale, mentre talvolta risulta utile eseguire una
prova da sforzo per valutare la tolleranza allo sforzo del paziente.
Evoluzione
Tranne nei rari casi acuti dovuti a trauma, rottura valvolare, infezione con perforazione delle valvole o
infarto miocardico con conseguente malfunzionamento valvolare, l'evoluzione delle valvulopatie è in
genere assai lenta. Spesso trascorrono degli anni o addirittura decenni prima che la gravità della patologia
sia tale da dover prendere in considerazione l'intervento chirurgico.
E' importante però che i pazienti vengano seguiti regolarmente, perché non di rado si assiste a una
progressione ?a gradini? Della patologia. Essa può rimanere infatti stabile per anni, per poi peggiorare
improvvisamente. L'ECG risulta importante per valutare la funzione dei ventricoli e quindi per poter
decidere tempestivamente quando prendere in considerazione l'intervento chirurgico. E' infatti importante
porre rimedio al difetto valvolare prima che il ventricolo sia eccessivamente dilatato, per limitare il rischio
dell'intervento chirurgico e facilitare il recupero dopo l'operazione.
Trattamento
Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente chirurgico. La terapia medica ha il ruolo di
rallentare la progressione/controllare i sintomi nelle valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione
(vasodilatatori, diuretici) o di contribuire alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute, in modo da
permettere al paziente di arrivare all'intervento chirurgico nelle migliori condizioni. In casi selezionati si
ricorre alla dilatazione della valvola stenotica, effettuata con un catetere a palloncino introdotto attraverso
un vaso sanguigno. Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, spostando nel tempo
l'intervento chirurgico.
Al giorno d'oggi le tecniche chirurgiche si sono evolute notevolmente e spesso risulta possibile riparare la
valvola senza doverla sostituire. In alternativa sono possibili sostituzioni con valvole meccaniche, che hanno
il vantaggio di non rovinarsi nel tempo, ma lo svantaggio di richiedere l'assunzione della terapia
anticoagulante; oppure possono essere utilizzate valvole biologiche, che durano meno, ma non necessitano
di anticoagulazione. Le valvole biologiche possono essere ottenute da tessuto valvolare prelevato da
cadavere o da altri animali (spesso maiali).
Prevenzione
Per le valvulopatie congenite e per la maggior parte di quelle acquisite (soprattutto quelle degenerative)
non è possibile parlare di prevenzione in senso stretto.
E' possibile e doveroso invece prevenire alcune complicanze: i pazienti già affetti da problemi valvolari
infatti hanno un rischio aumentato di contrarre infezioni delle valvole stesse, causate da batteri
normalmente localizzati a livello delle superfici cutanee o delle mucose che possono entrare nel circolo
sanguigno in occasione di procedure chirurgiche, dentarie, ginecologiche e invasive in generale.
Prima di sottoporsi a tali procedure viene quindi raccomandata la profilassi antibiotica (profilassi
dell'endocardite batterica). Nei pazienti con valvulopatia mitralica invece, soprattutto se di origine
reumatica e/o accompagnata da fibrillazione atriale è indicata una adeguata terapia anticoagulante per la
prevenzione di eventi tromboembolici.
Nei pazienti con tonsillite o faringite batterica un precoce e adeguato trattamento antibiotico previene
l'evento iniziale che è la infiammazione della superficie interna del cuore. Importante è anche un ambiente
di vita sano, che riduce le infezioni tonsillari e la gravità delle loro conseguenze. La recidiva di malattia
reumatica è abbastanza frequente, ma si riduce man mano che passano gli anni dall'attacco precedente. La
prevenzione di un nuovo attacco si attua con la somministrazione intramuscolare mensile di un antibiotico
specifico (penicillina), da effettuarsi anche per molti anni.
INSUFFICIENZA MITRALICA
Caratterizzata da un reflusso sistolico diretto
dal ventricolo all’atrio sinistro
EZIOLOGIA
- Degenerativa (calcificazione dell’ anulus soprattutto nelle donne anziane per eziologia sconosciuta)
- più frequente nei maschi
- Malattia Reumatica cronica
- Prolasso Mitralico
- Infettiva (Endocarditi)
- in alcuni casi congenita (insieme a difetti atrio ventricolare)
- in seguito ad eventi ischemici
- Forme rare: sindrome di Marfan
- LES
- distrofie muscolari
- tumori
FISIOPATOLOGIA
INSUFFICIENZA MITRALICA ACUTA: rigurgito abbondante che si
instaura improvvisamente. Vengono a mancare rapidamente i meccanismi di
compenso cardiocircoilatorio in quanto non c’è tempo per lo sviluppo di
ipertrofia.
INSUFFICIENZA MITRALICA CRONICA: il reflusso si instaura
progressivamente e quindi vengono evocati i meccanismi di adattamento e di
compenso.
Importante in questo caso la frazione di rigurgito che è la percentuale di
sangue che torna in atrio sx durante la sistole e può arrivare al 70%.
In questo caso il sovraccarico di volume determina progressiva dilatazione del
ventricolo sinistro per il meccanismo dell’ipertrofia eccentrica.
QUADRO CLINICO
INSUFFICIENZA MITRALICA ACUTA:
• Dispnea ingravescente
• Edema polmonare acuto
• Shock cardiogeno
INSUFFICIENZA MITRALICA CRONICA: i sintomi insorgono
gradualmente e dipendono dall’entità del rigurgito e dalla durata del
processo. I primi sintomi sono legati alla ridotta gittata
• Facile faticabilità (astenia)
• Lieve dispnea da sforzo e ortopnea
• Dispnea parossistica notturna
• Dispnea a riposo
ESAME OBIETTIVO
Pressione arteriosa normale.
Nei casi gravi il polso arterioso ha una rapida salita. All’ apice cardiaco è palpabile un fremito sistolico.
Auscultazione:
-primo tono non apprezzabile oppure ridotto di intensità o coperto dal soffio sistolico:la presenza del primo
tono accentuato esclude l’insufficienza mitralica grave. Ampio sdoppiamento del secondo tono(per precoce
chiusura della valvola aortica). Se si presenta un schiocco di apertura probabile associazione con stenosi
mitralica. Presenza del terzo tono indica un’ insufficienza grave.
Caratteristico soffio olosistolico prevalente all’ apice e si irradia all’ ascella (se c’è una rottura delle corde
tendinee ha un timbro pigolante)questo soffio si accentua durante l’esercizio isometrico e si riduce durante
a manovra di Valsala.
DIAGNOSI
ELETTROCARDIOGRAMMA: poche informazioni; di dilatazione atriale destra e di fibrillazione.
ECOCARDIOGRAMMA:sia tran toracica che trans esofagea(fornisce informazioni più precise) valutazione
precisa delle camere cardiache. atrio sinistro aumentato e/o di aumenta motilità)
RX TORACE: dilatazione atriale e ventricolare nelle forme croniche. Edema
polmonare nelle forme acute(strie B di Kerley).possibile presenza di calcificazioni all’ anulus nell’
insufficienza cronica.
CATETERISMO CARDIACO: utile per una valutazione pre operatoria.
TERAPIA
Riduzione del consumo di sodio e assunzione di diuretici per ridurre l’ astenia e la dispnea. Vasodilatatori e
la digitale migliorano la gittata del ventricolo sn in caso di scompenso. Nitrati per ridurre il post carico e
quindi il rigurgito.ACE inibitori per l’insufficienza cronica. Nelle fasi avanzate si utilizzano farmaci
anticoagulanti per diminuire gli episodi di trombosi ed embolia polmonare.
Il trattamento chirurgico è consigliato sia nei pz asintomatici sia quelli con sintomi lievi quando la
disfunzione ventricolare sinistra è progressiva,la frazione di eiezione del ventricolo sinistro scende sotto il
60%.valvuloplastica o inserimento di una protesi( anche biologica).
STENOSI MITRALICA
EZIOLOGIA
Generalmente dovuta alla malattia reumatica dove il processo infiammatorio causa cicatrizzazione ed
ispessimento delle cuspidi valvolari da tessuto fibroso e/o depositi calcifici, con fusione dei lembi e
ipomobilità degli stessi e restringimento dell’orifizio.
In altri una stenosi mitralica di minor grado può accompagnare un’ insufficienza mitralica e lesioni della
valvola aortica.
Si manifesta generalmente dalla III alla V decade ;i due terzi di tutti i pz con stenosi mitralica sono donne.
Raramente è la conseguenza di altre condizioni patologiche quali il LES, l’artrite reumatoide, la sindrome
da carcinoide, l’amiloidosi.
nell’anziano può essere causata da Calcificazioni dell’anulus.
In alcuni casi si può presentare Stenosi congenita.
FISIOPATOLOGIA
Il normale orifizio è di circa 4-6 cm2. A seconda del grado di stenosi si ha una riduzione del flusso attraverso
la valvola con incremento della pressione atriale sinistra. L’aumento della pressione venosa polmonare e
della pressione arteriosa di incuneamento polmonare determina una riduzione della compliance polmonare
e la comparsa di dispnea da sforzo. Per valutare l’importanza dell’ ostruzione è essenziale misurare sia il
gradiente pressorio trans-valvolare sia la velocità del flusso.quest’ultima non dipende solamente dalla
portata ma anche dalla frequenza; un’ incremento della frequenza cardiaca riduce proporzionalmente più
la durata della diastole che della sistole e quindi diminuisce il tempo disponibile al sangue per passare
attraverso l’orifizio mitralico. Quindi per ogni dato valore di portata cardiaca la tachicardia aumenta il
gradiente transvalvolare e eleva ulteriormente la pressione striale sinistra
L’esercizio fisico determina un aumento della pressione striale sinistra,dei capillari e dell’ arteria
polmonari . La conseguenza è lo sviluppo di edema polmonare acuto
. La risposta emodinamica per un dato gradiente di ostruzione mitralica può essere caratterizzata da una
portata normale a riposo con elevato gradiente presso rio atrio ventricolare sn o, all’opposto, da una
ridotta portata cardiaca con modesto gradiente presso rio trans valvolare. In stenosi moderate si può dire
che la portata cardiaca è normale mentre aumenta in modo insufficiente durante lo sforzo fisico; in casi di
ostruzione grave la portata è già ridotta a riposo e può addirittura diminuire durante l’esercizio.
L’ipertensione polmonare è determinata da:
-trasmissione retrograda passiva delle elevate pressioni in atrio sinistro
-vasocostrizione delle arterie polmonari che è presumibilmente innescata dalla ipertensione striale
sinistra e delle vene polmonari(ipertensione polmonare reattiva)
-edema interstiziale nella parete dei piccoli vasi polmonari
-modificazioni obliterative del letto vascolare polmonare.
La risultante ipertensione polmonare determina la comparsa di insufficienza tricuspidale e insufficienza
polmonare e quindi insufficienza cardiaca destra.
SINTOMATOLOGIA
• Dispnea, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema
polmonare. Inizialmente presenti solo in casi di stress tipo da esercizio fisico,eccitazione ,febbre,anemia
grave,tachicardia parossistica,attività sessuale,gravidanza e tireotossicosi…successivamente con il
progredire e l’aggravarsi della patologia bastano pure piccoli stress e il pz diventa fortemente limitato nella
sua attività quotidiana.
• Bronchiti invernali
• Emottisi determinata dalla rottura dei piccoli vasi venosi broncopolmonari secondaria all’ipertensione,non
è quasi mai fatale.
In genere quando la malattia progredisce e le restitenze polmonari aumentano o quando si sviluppa
l’insufficienza o una stenosi tricuspidale, i sintomi dovuti alla congestione polmonare si riducono, così
come gli episodi di edema polmonare acuto ed emottisi.l’aumento delle resistenze vascolari polmonari
incrementa ulteriormente la pressione ventricolare destra, il che determina insufficienza ventricolare
destra con..
• Astenia e affaticamento,disturbi addominali da congestione epatica ed edema.
• Aritmie atriali ( battiti ectopici, tachicardie parossitiche, flutter e fibrillazione atriale); l compasa di una
fibrillazione atriale cronica segna una svolta importante nel decorso del pz e in genere è associata ad una
ingravescenza dei sintomi.
• Embolie sistemiche derivanti da trombi che si sono formati nell’atrio sin, più spesso si riscontrano in pz
con fibrillazione striale o altre aritmie parossistiche,in pz anziani e quelli con gittata cardiaca ridotta.
L’embolizzazione sistemica potrebbe risultare il sintomo d’ esordio in pz con stenosi altrimenti
asintomatici .
• Embolia ed infarto polmonare .causa di morbilità e mortalità importante.
SEGNI FISICI/ ESAME OBIETTIVO
- Facies mitralica (zigomi rossi e labbra viola,cianosi periferica e facciale)
- Turgore giugulare
- Pressione arteriosa normale o leggermente diminuita
- si apprezza un impulso lungo il margine sternale sinistro dovuto alla dilatazione del ventricolo destro,
spesso si avverte un fremito diastolico a livello dell’apice cardiaco,sprtt con pz in decubito laterale sn.
Auscultazione:
-il primo tono è accentuato e sdoppiato
-nei pz con ipertensione polmonare il secondo tono è sdoppiato e in caso di grave ipertensione polmonare
si pu apprezzare un click sistolico in eiezione;lo schiocco di apertura della valvola si apprezza più facilmente
in espirazione all’ apice cardiaco,anche lungo il margine sternale sinistro.(l’intensità dello schiocco di
apertura è inversamente proporzionale alla gravità della stenosi)
-lo schiocco di apertura è di solito seguito da un rullio diastolico a bassa frequenza che si ascolta meglio all’
apice con il pz in decubito laterale sinistro.(la durata del soffio è correlata alla gravità della stenosi)
DIAGNOSI
ELETTROCARDIOGRAMMA: pz con stenosi mitralica grave possono avere un QRS normale.in caso di
ipertensione polmonare si osservano una deviazione assiale destra e una ipertrofia ventricolare destra.
ECOCARDIOGRAMMA: valutazione precisa delle camere cardiache e della
entità della stenosi. soprattutto grazie all’ ECOdoppler
RX TORACE: ingrandimento isolato dell’atrio sinistro. Dilatazione
ventricolare destra. Presenza delle strie B di Kerley(segno di edema interstiziale)
CATETERISMO CARDIACO e ANGIOCARDIOGRAFIA: utile per una valutazione pre operatoria.
TERAPIA
Nei pz adolescenti asintomatici è importante la profilassi con penicilline per le infezioni da streptococchi e
per l’endocardite batterica. Restrizione di sodio e uso di diuretici nei sintomatici. Digitale e beta-bloccanti
per i pz fibrillanti. Cardioversione al ritmo sinusale farmacologia o elettrica dopo 3 settimane di
anticoagulanti trattamento chirurgico:valulotomia mitralica (o percutanea con palloncino o attraverso
intervento chirurgico).
PROLASSO MITRALICO
Questa sindrome viene anche indicata come sindrome del click-soffio sistolico, sindrome di
Barlow,sindrome della valvola vacillante,e sindrome del lembo mitralico ridondante.
Patologia che interessa il 6% della popolazione di razza bianca prevalentemente nel sesso femminile tra i 14
e 30 anni . Il decorso è ottimo per le forme lievi che vanno solamente monitorate nel tempo.la condizione
patologia evolv nell’arco di anni o decenni.
I lembi mitralici sono ridondanti perché più grandi( caratteristici della degenerazione mixomatosi dovuta ad
un aumento della concentrazione di mucplisaccaridi acidi.questo è frequente nei pz con patologie
ereditarie del connettivo come per esempio la sindrome di Marfan,l’osteogenesi imperfecta e la sindrome
di Ehler-Danlos).l’eziologia rimane sconosciuta per la maggior parte dei pazienti.il prolasso può determinare
una sollecitazione anomala dei muscoli papillari che è causa del malfunzionamento e dell’ ischemia di
questi e del miocardio circostante.
Se è presente insufficienza mitralica concomitante la sintomatologia è riconducibile a questa patologia.
La maggior parte dei pz rimane asintomatico per tutta la vita.il prolasso della valvola mitrale rappresenta la
causa più comune di grave insufficienza mitralica isolata.
Caratterizzata auscultatoriamente da un click mesosistolico (non di eiezione)dovuto al rapido tendersi delle
corde tendinee allungate o al lembo prolassante quando raggiunge la sua massima escursione; si posono
ascoltare click sistolici multipli,spesso seguiti da soffio telesistolico in crescendo-decrescendo meglio
apprezzabile all’ apice. Il click e il soffio divengono più precoci quando il pz è in ortostatismo o quando è
sottosforzo nella manovra di Valsalva (queste manovre provocano la riduzione del volume ventricolare
sinistro aumentando il prolasso).
Elettrocardiogramma:normale o presenta un onda T difasica o invertita nelle derivazioni II,III e VF. l’
Ecocardiografia consente di visualizzare il prolasso dei lembi vlvolari (infatti la definizione: dislocazione
sistolica ,in parasternale, delle cuspidi valvolari della mitrale di almeno 2mm verso l’atrio sn superiormente
al piano passante per l’anulus mitralico. Con il Doppler è possibile valutare l’eventuale concomitante
presenza di insufficienza valvolare.
La terapia è volta a rassicuare il pz alla prevenzione dell’ endocardite infettiva con antibiotici e al
trattamento delle pericardialgie atraverso l’utilizzo dei beta bloccanti.in caso di insufficienza mitralica grave
si ricorre alla valvulo plastica o più raramente di sostituzione valvolare.
STENOSI AORTICA
Malattia delle valvole semilunari caratterizzata da restringimento valvolare e ostruzione al flusso
ventricolare sinistro con sviluppo di gradiente pressorio ed ipertrofia concentrica del ventricolo sx.
interessa il 25% di tutti i pz con lesioni valvolari. Circa l’ 80% dei pz adulti con stenosi aortica sono maschi.
EZIOLOGIA
• provocata da calcificazioni degenerative di eziologia sconosciuta(più frequente)
• congenita (sviluppo di fibrosi e calcificazioni durante i primi 3 decenni di vita, oppure presenza di una
valvola congenitamente anomala ma senza stenosi significativa fino all’ adolescenza)
• secondaria a malattia reumatica(l’endocardite reumatica dei lembi valvolari aortici determina una fusione
commisurale che provoca la formazione di una valvola bicuspide peggiorando lo stres emodinamico)
• forme rare
FISIOPATOLOGIA
L’orifizio aortico ha una area di circa 2-3 cm2. Una riduzione dell’area superiore al 30% determina lo
sviluppo di un gradiente significativo transvalvolare. Per contrastare il gradiente il ventricolo sinistro va
incontro allo sviluppo di ipertrofia concentrica attraverso la replicazione in parallelo delle miofibrille.
L’aumento della massa muscolare miocardia dovuta all’ ipertrofia fa sì che aumentino pure le richieste
miocardiche di ossigeno. Con formazione di zone ischemiche a livello sub endocardico(anche in assenza di
coronaropatie perche la pressione esercitatadel ventricolo in contrazione è maggiore di quella dei vasi
coronarici così che venga ostruito il flusso anche in asenza di restringimenti vasali) . L’ipertrofia determina
una maggiore rigidità delle pareti del ventricolo sinistro che quindi si oppone alla distensione passiva
durante la diastole determinando quindi una disfunzione diastolica.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Assume raramente rilevanza clinica fino a quando l’area valvolare non si riduce ad almeno una terzo del
normale cioè a 0.5 cm2/m2 in età adulta.
Classica triade sintomatologica:
ANGINA ectoris
DISPNEA da sforzo
SINCOPE
Poiché la portata cardiaca a riposo è normale in genere fino agli stadi più avanzati della malattia, di solito
l’astenia, la cianosi periferica e le altre manifestazioni di bassa portata sono caratteristiche solo delle fasi
terminali della malattia.
1)ANGINA
E’ il risultato di una combinazioni di fattori:
1) Squilibrio tra massa muscolare ipertrofica e letto vascolare capillare coronarico.
2) Riduzione della riserva coronarica subendocardica
3) Eccessivo aumento da sforzo della domanda di ossigeno
4) Aumento della pressione diastolica ventricolare
5) Compressione diretta sui vasi intramurali
2)SINCOPE
E’ causata da un inadeguato flusso ematico attraverso la valvola stenotica con conseguente ridotta
perfusione cerebrale e coronaria Anche la comparsa di aritmie ipercinetiche ventricolari è stata presa in
considerazione come causa della sincope.
La sopravvivenza media è di circa 3 anni da un episodio sincopale
3)DISPNEA
Astenia, tosse, dispnea parossistica notturna ed edema polmonare acuto.la dispnea è dovuta sll’
incremento della pressione capillare polmonare provocato dall’aumento della pressione telediastolica dell’
atrio e del ventricolo sinistri.
La sopravvivenza media è di circa 2 anni dalla comparsa di scompenso cardiaco
ESAME OBIETTIVO
Ritmo regolare e pressione arteriosa sistemica in genere nella norma. Nelle fasi terminali, quando si riduce
la portata cardiaca, la pressione sistolica cadde e la pressione differenziale diminuisce. Il polso arterioso
periferico valutato a livello delle carotidi o quello brachiale aumenta lentamente fino a raggiungere un
picco sostenuto ritardato (pulsus parvus et tardus).
Itto iper dinamico,dislocato lateralmente e riflette la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Si può
rilevare un doppio impulso apicale(con il pz in decubito laterale sinistro),fremito sistolico alla base del
cuore, a livello del giugulo e lungo le carotidi.
Auscultazione:
-nei bimbi e negli adolescenti si apprezza spesso un click sistolico che rappresenta lo schiocco di apertura
della valvola.
-quando la stenosi diventa grave ,la sistole ventricolare sinistra può essere così prolungata da determinare
il ritardo del tono di chiusura aortico che non precede più quello polmonare, ma può fondersi con esso
oppure seguirlo, il che provoca il cosiddetto sdoppiamento paradosso del secondo tono
-nella maggior parte dei pz si apprezza all’ apice cardiaco un quarto tono che riflette l’aumentata pressione
telediastolica del ventricolo sinistro. In genere la presenza di un terz tono sta ad indicare un ventricolo
sinistro dilatato.
-soffio caratteristico è un soffio sistolico (meso) che inizia appena dopo il primo tono, aumenta di intensità e
raggiunge il picco verso la metà del periodo elettivo,diminuendo progressivamente subito dopo per
terminare appena prima della chiusura della valvola aortica. Il soffio è di solito di bassa frequenza, rude, di
forte intensità e si apprezza meglio a livello del secondo spazio intercostale destro.si irradia al giugulo e ai
vasi del collo.
COMPLICANZE
• Embolie sistemiche (rare)
• Endocardite infettiva
• Aritmie ventricolari e morte improvvisa
• Fibrillazione atriale
• Dissezione aortica
• Disturbi di conduzione
DIAGNOSI
ELETTROCARDIOGRAMMA: nelle fasi più avanzate si riscontra nelle derivazioni I e VL e nelle precordiali
sinistre una depressione del tratto ST e dell’ inversione dell’onda T (sovraccarico ventricolare sinistro)
RADIOLOGIA:una stenosi aortica critica può essere evidenziata da una dilatazione post stenotica dell’aorta
ascendente. In genere la radiografia al torace può rimanere normale per lungo tempo.solo nelle situazioni
terminale si può osservare una progressiva dilatazione del ventricolo sinistro e possono comparire anche
segni radiologici di congestione polmonare e dilatazione dell’atrio sinistro,delle arterie polmonari, del
ventricolo destro e dell’ atrio destro.
ECOCARDIOGRAMMA:
• Diagnosi differenziale nei confronti di altre patologie ostruttive dell’efflusso VSX
• Studio dell’apparato valvolare e dell’area
STENOSI LIEVE area valvolare > 1,5 cm2
STENOSI MODERATA area valvolare compresa tra 0,8 e 1,5 cm2
STENOSI SEVERA area valvolare < 0,8 cm2
• Studio dei gradienti transvalvolari
STENOSI LIEVE gradiente medio 20-30 mmHg
STENOSI MODERATA gradiente medio 30-50 mmHg
STENOSI SEVERA gradiente medio > 50 mmHg
INSUFFICIENZA AORTICA
EZIOLOGIA
In passato la malattia reumatica e la sifilide erano le cause principali. Attualmente per il calo di queste due
patologie si ha un aumento dell’incidenza legato a:
• Malformazione della valvola (Aorta bicuspide)
• Connettivopatie
-necrosi cistica mediale dell’ aorta ascendente
-sindrome di Marfan
-dilatazione idiopatica dell’ aorta
-osteogenesi imperfecta
• Ipertensione arteriosa
• Endocarditi
Reflusso diastolico dall’aorta in ventricolo sinistro per lesione dei lembi semilunari aortici o della aorta
ascendente con coinvolgimento dei lembi valvolari.
FISIOPATOLOGIA
INSUFFICIENZA CRONICA: Il reflusso di sangue nel ventricolo sinistro aumenta il riempimento
diastolico(aumento del precarico) determinando un sovraccarico di volume. Per mantenere una gittata
anterograda normale il volume del ventricolo sinistro aumenta. Si ha ipertrofia eccentrica con aumento del
volume ventricolare. Secondo la seconda legge di Laplace la tensione di parete del miocardio è data dal
prodotto della pressione intracavitaria per il raggio del ventricolo sinistro;quindi un pz con insufficienza
aortica grave può presentarte una gittata sistolica effettiva normale e una normale frazione di eiezione
associate ad un volume ed una pressione telediastolica del ventricolo sinistro aumentati.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
INSUFFICIENZA CRONICA
• Asintomatica per anni
• Astenia e Dispnea da sforzo
• Dispnea notturna, a riposo e edema polmonare,sudorazione profusa notturna con angina da
decubito,ortopnea
-crisi di angina a riposo e sotto sforzo
-nelle fasi avanzate ritenzione idrica, edemi declivi, ascite,epatomegalia.
ESAME OBIETTIVO:
il pz con insufficienza aortica grave presenta chiari segni della malattia,consistenti in pulsazione di tutto il
corpo,movimento pulsatorio della testa(segno di De Musset)che accompagna ogni sistole e arterie
pulsanti(segno della danza delle carotidi).
Polso caratteristico della patologia, detto “polso celere o collassate” (polso di Currigan) dovuto al aumento
della pressione differenziale.a livello delle arterie brachiali si può percepire il segno del dardo
palpatoriamente.
Il segno di Quincke:rapido alternarsi di iperemia e pallore del letto ungueale quando viene applicata una
pressione all’ estremità dell’unghia.
Sulle arterie femorali si può ascoltare un tono detto “a colpo di pistola”(segno di Traube);inoltre sempre
sull’arteria femorale se si applica una lieve pressione sul vaso con lo stetoscopio si può ascoltare il soffio “va
e vieni”(segno di Douriez). Questi due ultimi segni sono presenti nelle forme moderate e scompaiono nelle
forme gravi.
Come abbiamo già detto la pressione differenziale è aumentata.la gravità dell’insufficienza non è correlata
con i valori pressori.
Lungo il margine sternale sinistro si può apprezzare un fremito diastolico e lungo l’incisura giugulare si può
apprezzare un fremito sistolico che viene trasmesso lungo le carotidi.
Auscultazione:
-forte soffio sistolico in crescendo-decrescendo detto “a bandoliera” che si può quindi apprezzare dal punto
di auscultazione aortico che si trova nel secondo spazio intercostale lungo il margine destro sternale fino
alla punta del cuore
-il soffio dell’ insufficienza aortica è un soffio diastolico in calando ad alta frequenza che di solito si ascolta
meglio a livello del terzo spazio intercostal sinistro.
-nei pz con insufficienza aortica si apprezza spesso un terzo soffio detto di Austin Flint,un rullio
mesodiastolico o presistolico dolce a bassa frequenza,probabilmente provocato dalle vibrazioni del lembo
anteriore della mitrale investito dal flusso rigurgitante dall’ aorta.
DIAGNOSI
ELETROCARDIOGRAMMA
Presenta segni di ipertrofia ventricolare sinistra. Alte onde R nelle derivazioni precordiali sinistre, profonde
onde S nelle precordiali destre, depressione del tratto ST e un ‘inversione dell’onda T nelle derivazioni I, a
VL, V5, V6 (“sovraccarico ventricolare sinistro”)
QUADRO RADIOLOGICO
L’insufiicenza aortica grave è associata a vari gradi di dilatazione ventricolare sinistra e frequentemente
l’ombra cardiaca si estende al di sotto dell’emidiaframma.
Quando l’insufficienza è dovuta a una malattia della parete dell’aorta si osserva la dilatazione
aneurismatica che in proiezione laterale può riempire lo spazio retro sternale.
ECOCARDIOGRAMMA
• Definisce l’entità del rigurgito
• Studio dell’apparato valvolare:
• Presenza di vegetazioni infette
• Anomalie delle cuspidi
CATETERISMO CARDIACO
• Studio coronarografico pre-operatorio
• Valutazione dell’entità del rigurgito alla ventricolografia e della funzione ventricolare sinistra.
TRATTAMENTO
Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente chirurgico. La terapia
medica ha il ruolo di rallentare la progressione/controllare i sintomi nelle
valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione (restrizione di sodio nella dieta,vasodilatatori,
diuretici,digitale,ifedipina) o di contribuire alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute, in modo da
permettere al paziente di arrivare all’intervento chirurgico nelle migliori condizioni.
L’intervento è consigliato dopo la comparsa dei primi sintomi di disfunzione ventricolare sinistra ma prima
della comparsa dei sintomi gravi. l’intervento può essere rinviato fino a quando il pz resta asintomatico e
mantiene una funzione ventricolare normamale. In casi selezionati si ricorre alla dilatazione della valvola
stenotica, effettuata con un catetere a palloncino introdotto attraverso un vaso sanguigno.
Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, spostando nel tempo l’intervento
chirurgico.
Al giorno d’oggi le tecniche chirurgiche si sono evolute notevolmente e spesso risulta possibile riparare la
valvola senza doverla sostituire. In alternativa sono possibili sostituzioni con valvole meccaniche, che hanno
il vantaggio di non rovinarsi nel tempo, ma lo svantaggio di richiedere l’assunzione della terapia
anticoagulante; oppure possono essere utilizzate valvole biologiche, che durano meno, ma non necessitano
di anticoagulazione. Le valvole biologiche possono essere ottenute da tessuto valvolare prelevato da
cadavere o da altri animali (spesso maiali).
INSUFFICIENZA AORTICA ACUTA
Le cause più comuni di insufficienza aortica sono rappresentate dall’endocardite batterica, dalla dissezione
aortica e dai traumi. Dal momento che l’evento acuto non concede al ventricolo sinistro tempo sufficiente
di dilatarsi,la gittata sistolica diminuisce e la pressione telediastolica ventricolare sale in modo
significativo;la pressione arteriosa differenziale spesso non è aumentata e possono non essere presenti i
segni caratteristici dell’ insufficienza aortica cronica grave.
È frequente il riscontro di una chiusura precoce della valvola mitrale, dimostrabile anche con l’eco. In
genere il primo tono è lieve o assente e il soffio diastolico dell’insufficienza aortica è caratteristicamente
breve. I pazienti presentano una congestione polmonare o un quadro di edema polmonare acuto e
ipotensione secondaria alla bassa portata. L’insufficienza aortica acuta richiede n intervento chirurgico
immediato che può salvare la vita del paziente.
STENOSI TRICUSPIDALE
INSUFICIENZA TRICUSPIDALE
Nella maggior parte dei casi l’insufficienza tricuspidale è funzionale ed è secondaria a una dilatazione del
ventricolo destro e dell’anello tricuspidale.l’insufficienza tricuspidale funzionale può complicare un
ingrandimento ventricolare destro di qualsiasi natura,compresi i casi di infarto della parete inferiore con
interessamento del ventricolo destro,le cardiopatie congenite con ipertensione polmonare grave,le
cardiopatie ischemiche,le miocardiopatie e i cuore polmonare. Se ‘ipertensione polmonare recede
l’insufficienza tricuspidale è almeno in parte reversibile. La malattia reumatica può produrre
un’insufficienza tricuspidale organica spesso associata ad una stenosi. Eno frequentemete si osservano casi
di insufficienza tricuspidale legata a malformazioni ongenite della valvola tricuspide,come nei difetti del
canale atrioventricolare.
Le caratteristiche cliniche dell’insufficienza consistono essenzialmente nella congestione venosa sistemica e
nella riduzione della portata cardiaca.
I segni caratteristici dell’insufficienza tricuspidale consistono in una pulsazione ventricolare destra lungo la
regione parasternale sinistra e in un soffio olosistolico a livello del margine inferiore sinistro dello sterno,
che in genere si intensifica nel corso dell’inspirazione e si riduce durante l’espirazione o la manovra di
Valsala. Di solito i pz presentano fibrillazione striale.
L’ ECG mostra i segni caratteristici della lesione responsabile della dilatazione del ventricolo destro a cui
segue l’insufficienza tricuspidale.
Nei rari casi di insufficienza tricuspidale isolata è frequente un blocco di branca destro incompleto. La
radiografia al torace dimostra una dilatazione sia del ventricolo che dell’atrio destro. L’ecografia può essere
utile nel dimostrare la dilatazione del ventricolo destro e il prolasso delle cuspidi tricuspidali; la diagnosi di
insufficienza tricuspidale può essere posta mediante il Doppler, anche la sua gravità e la pressione arteriosa
polmonare. La pressione media nell’atrio destro e la pressione teldiatolica ventricolare destra sono elevate.
In genere l’insuffiicenza tricuspidale isolata è ben tollerata e non richiede l’interveto chirurgico. Se associata
ad altre valvulopatie in genere il trattamento di queste comporta un miglioramento dell’insufficienza
tricuspidale sena intervenire su questa.
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Definizione Rapporto del Joint National Committee americano n.7, 2003/ Linee guida ESH ESC 2007
Categoria Sistolica (mmHg) Diastolica (mmHg)
Ottimale < 120 e <80
Normale < 120-129 e <80-84
Normale-alta 130-139 e/o 85-89
Ipertensione stadio 1 140-159 e/o 90-99
Ipertensione stadio 2 160-179 e/o 100-109
Ipertensione stadio 3 >/=180 e/o >/=110
Ipertensione sistolica isolata >/=140 e/o <90
IPERTENSIONE ESSENZIALE: dovuta ad alterazioni funzionali o non specifiche, detta anche primitiva o
idiopatica
Rappresenta circa il 90-95% dei casi di ipertensione.
Fattori influenti:
- genetici= ereditarietà multifattoriale o difetti monogenici in geni suscettibili
- ambientali=assunzione di sodio, soprattutto attraverso un elevato consumo di sale da cucina;
obesità; tipo di lavoro (stressante o meno); benessere sociale (alimentazione eccessiva e ricca di
grassi)
Tra le ipotesi patogenetiche, si considerano i possibili ruoli svolti dall’assunzione di sodio,di cloro e calcio,
dalla secrezione di renina(influenzata da numerosi fattori, come la volemia e l’assunzione di sodio con la
dieta), da eventuali difetti di membrana e dall’iperinsulinemia.
I difetti di membrana consistono nell’anomalo trasporto transmembrana del sodio, in particolare a livello
delle cellule muscolari lisce dei vasi, con conseguente accumulo di calcio intracellulare, quindi aumentata
risposta vascolare a sostanze vasocostrittrici.
L’iperinsulinemia provoca, invece, oltre ad un alterato trasporto transmembrana di ioni con aumento del
calcio intracitoplasmatico, ritenzione renale di sodio, aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico e
ipertrofia delle cellule muscolari lisce vascolari dovuta all’attività mitogena propria dell’insulina.
Ipertensione renale per funzionalità renale alterata con incapacità di mantenere equilibrio
idrosalino o per alterata secrezione renale di sostanze vasoattive
- Parenchimale: dovuta a modificazioni flogistiche e fibrotiche dei piccoli vasi renali, che esitano in
una riduzione di perfusione renale e attivazione del sistema renina-angiotensina. Ci sono anche
altre ipotesi patogenetiche da danno parenchimale: possibile produzione di una sostanza
vasopressoria non identificata o mancata produzione di una sostanza vasodilatatrice, incapacità di
inattivare sostanze vasopressorie circolanti, inappropriata eliminazione di sodio con conseguente
ritenzione (es: rene policistico, glomerulonefrite acuta e cronica, pielonefrite,…)
- eccessiva produzione di renina per neoplasie delle cellule iuxtaglomerulari o nei nefroblastomi
(rara)
Ipertensione endocrina
- Surrenale:
iperaldosteronismo primitivo per tumore o iperplasia surrenalica bilaterale (→aumento
aldosterone, riduzione renina, ipokaliemia);
feocromocitoma (tumore secernente catecolamine→calo peso, cefalea, palpitazioni, crisi
d’ansia, sudorazione profusa, iperglicemia, aumentata increzione di adrenalina e noradrenalina,
aumento dei metabolici urinari delle catecolamine es. acido vanilmandelico nelle urine delle 24
ore!)
- Acromegalia
- Ipercalcemia (iperparatiroidismo)
Ipertensione maligna: marcata ipertensione, papilledema, encefalopatia ipertensiva (cefalea grave, vomito,
disturbi visivi, paralisi, convulsioni, stupore, coma), insufficienza cardiaca, riduzione rapida della funzione
renale. (urgenza!)
La lesione vascolare caratteristica è la necrosi fibrinoide delle pareti delle arteriose.
Patogenesi sconosciuta. Più frequente nei maschi, età media 40 anni.
-cardiaci: ipertrofia ventricolare sinistra concentrica con incremento dello spessore delle
pareti(ingrandimento cardiaco e segni elettrocardiografici di sovraccarico ventricolare)
→successiva dilatazione della cavità per deterioramento della funzione contrattile, con conseguente
insufficienza cardiaca
→aumento delle richieste miocardiche di ossigeno, eventuale comparsa di angina pectoris o infarto
miocardico acuto
-neurologici: cefalea occipitale, soprattutto al mattino; vertigini; ronzii auricolari; offuscamento visivo;
emorragie (rottura di microaneurismi);
TIA;
encefalopatia (= ipertensione, disturbi di coscienza, aumento pressione intracranica, retinopatia con
papilledema, convulsioni)
-oculari: spasmi vascolari, edema papilla, essudati (FOO!)
-renali: lesioni arteriosclerotiche delle arteriole afferenti ed efferenti con riduzione del filtrato
glomerulare→insufficienza renale (proteinuria, microematuria!)
Trattamento
Importante sensibilizzare il paziente, soprattutto se presenta fattori di rischio quali fumo obesità
ipercolesterolemia, a modificare il proprio stile di vita:
- dieta (ridotto apporto di sodio, aumentato apporto di potassio e calcio, riduzione dell’introito di
grassi saturi e riduzione dell’apporto calorico)
- riduzione dei fattori di stress
- esercizio fisico regolare
- calo ponderale
- abolizione del fumo
L’inizio del trattamento farmacologico dipende dai valori pressori e dai fattori di rischio cardiovascolare del
paziente.
La terapia farmacologica va iniziata nei soggetti che presentano valori di pressione diastolica > 90 mmHg
e/o di pressione sistolica > 140 mmHg, se questi non risultano controllati dalle sole modifiche dello stile di
vita o in presenza di 3 o + fattori di rischio.
Nei pazienti diabetici, ACE-inibitori: influiscono meno degli altri sul metabolismo glucidico
In gravidanza, per trattamento di preeclampsia e eclampsia, consigliati metildopa (antiadrenergico ad
azione centrale, idralazina e calcio antagonisti)
ARITMIE
Prendendo in esame il potenziale delle fibre a risposta rapida (che parte da un valore di -90 mV) vediamo
che la depolarizzazione rapida (fase 0) è determinata da una corrente maggiore di ioni Na+ in ingresso e da
una minore di ioni Ca++. La depolarizzazione che si instaura permette l’apertura dei canali del K e la
fuoriuscita di K+ dalla cellula, questo crea una lieve ripolarizzazione (fase 1), che viene seguita da una fase
di plateau (fase 2) caratterizzata dalla presenza di più correnti che da un lato depolarizzano ( Na+ e Ca++ in
ingresso ) e dall’altro ripolarizzano (K+ in uscita). L’altra fase è quella della ripolarizzazione (fase 3) che è
causata totalmente dall’uscita massiva di K+ dalla cellula con varie correnti. L’ultima fase è invece quella in
cui si ristabilisce il potenziale di membrana a riposo della cellula.
Il potenziale delle fibre a risposta lenta è invece caratterizzato da un potenziale di riposo meno negativo e
da una depolarizzazione (fase 0) determinata da un ingresso di ioni Ca++. manca la ripolarizzazione e la
depolarizzazione è più lenta di quella vista prima. Questa fase è poi seguita da una ripolarizzazione anche
qui è mediata dalla fuoriuscita del K+. La fase caratteristica di questo potenziale è la depolarizzazione
spontanea (fase 4) in cui la cellula ritorna al potenziale di membrana a riposo e ha la capacità, quando
raggiunge il valore critico della soglia, di attivare una corrente di ioni Na+ e Ca++ in ingresso che ne
permettono una nuova depolarizzazione e così la partenza di un nuovo impulso.
Classificazione:
le aritmie vengono classificate in due grandi gruppi:
ipocinetiche
ipercinetiche
questi due termini vengono usati in riferimento al cambiamento delle frequenza cardiaca osservabile nel
tipo di aritmia.
È anche da considerare che l’aritmia può essere definita sinusale: con questo termine si identifica un
quadro aritmico, quindi con alterazione nella frequenza cardiaca, che mantiene l’origine della genesi
dell’impulso a livello del nodo del seno anche se superiore (tachicardia sinusale) o inferiore (bradicardia
sinusale) a quello normale che oscilla normalmente tra 60-80 battiti/min.
Gli altri tipi di aritmie invece presentano un ritmo che non può essere definito come sinusale in quanto
l’origine dell’impulso non si mantiene nel nodo del seno.
Aritmie ipocinetiche:
1. Sinusali:
Bradicardia
Aritmia sinusale respiratoria
Wandering pace-maker
Blocchi seno atriali di I, II, III grado
Bradicardia sinusale: si intende un rallentamento della frequenza di scarica del nodo del seno sotto il limite
convenzionale di 60 battiti/min.
Clinica: è una situazione abbastanza frequente e, nella maggior parte dei casi, non è patologica. Più
frequente nei giovani e negli atleti (dove si possono raggiungere anche frequenze molto basse 35-40
battiti/min). la causa che più frequentemente si osserva è la prevalente influenza parasimpatica (il vago
diminuisce la frequenza di scarica del nodo) a livello cardiaco.
in alcuni casi è segno di una disfunzione del nodo del seno che non riesce ad adeguare la frequenza con le
esigenze dell’organismo. In questa situazione il paziente può lamentare affaticabilità, capogiri, episodi
sincopali o presincopali dovuti a prolungate pause nella generazione dell’impulso a livello del nodo del
seno.
In alcuni casi questa patologia può evidenziarsi in seguito ad assunzione di farmaci (es. β- bloccanti,
digitale) o in situazioni in cui la frequenza dovrebbe fisiologicamente alzarsi come la febbre o l’esercizio
fisico.
Diagnosi: viene fatta sulla base del tracciato ECG dove, dopo aver controllato che le onde P siano di origine
atriale (positive nelle derivazioni D1, D2 e da V3 a V6 e negative in aVR), vediamo che la frequenza è
inferiore ai 60 battiti/min.
Aritmia sinusale respiratoria: si intende un quadro in cui la frequenza sinusale si modifica periodicamente
in rapporto con agli atti del respiro.
In inspirazione aumenta la frequenza mentre in espirazione tende a rallentare.
Clinica: questo tipo di aritmia è più frequente nei giovani e si manifesta come un quadro assolutamente
fisiologico. Negli adulti è molto meno osservabile e viene determinata da una condizione di ipereccitabilità
vagale.
Diagnosi: viene fatta durante l’esecuzione del tracciato ECG poiché si evidenziano le alterazioni in
corrispondenza con le fasi del respiro. Deve essere messa in D.D. con la presenza di extrasistoli atriali
qualora si osservi un tracciato registrato e con pochi complessi per ogni derivazione.
Wandering pace-maker: anomalia caratterizzata dalla temporanea cessione da parte del nodo del seno ad
altri segnapassi atriali o giunzionali della sua funzione (Si crea un continuo passaggio di consegne tra i
segnapassi senza una grande variazione della frequenza).
Clinica: questo quadro è benigno e determinato dall’influenza del sistema nervoso vegetativo sul nodo del
seno. Raramente è spia di una cardiopatia organica e si osserva una sua regressione quando si aumenta la
frequenza con lo sforzo o con l’uso di atropina( che è un antagonista competitivo a livello dei recettori post
gangliari M1,M2,M3 dell’ach).
Diagnosi: all’ECG possiamo notare un costante cambiamento nell’onda P che varia da positiva in D2 e D3
fino a negativa (con vari stadi intermedi causati dalla posizione del focus ectopico che sostituisce il nodo) .
Blocchi seno-atriali : lo stimolo si forma normalmente a livello delle cellule del nodo del seno ma non riesce
ad emergere o lo fa in ritardo a livello atriale.
Vengono distinti in tre gradi:
I grado :
è solo un rallentamento nella conduzione dello stimolo.
Diagnosi: Non è diagnosticabile sul tracciato ECG ma solo con metodi invasivi diagnostici.
II grado:
suddiviso in tipo 1 e tipo 2 di Blumberger.
- Tipo 1 presenta dei progressivi ritardi della conduzione fino al blocco periodico di un battito.
- Tipo 2 presenta una sporadica o ciclica mancanza di un intero ciclo elettrico.
Diagnosi: si evidenzia sul tracciato ECG.
Nel tipo 1 evidenziamo la mancanza periodica di un ciclo P-QRS preceduta da una sequenza non
perfettamente ritmica. Gli intervalli PR sono sempre uguali mentre la distanza PP va decrescendo fino al
blocco dove risulta inferiore ai due cicli normali PP.
Nel tipo 2 evidenziamo mancanza di un ciclo elettrico che genera una pausa uguale alla somma di due cicli
precedenti. Tali blocchi possono avere andamento ciclico con cadenza di 2:1, 3:1 (sono causati
generalmente da alterazioni della struttura cellulare del nodo del seno) .
Possono originarsi per cause funzionali (come una iperattività vagale o per effetto farmacologico tipico
nell’intossicazione da digitatici ma anche in caso di eccesso di β-bloccanti o di Ca-antagonisti) o per cause
organiche (come un IMA, una cardiopatia degenerativa, cardiopatie infiammatorie come la cardiopatia
reumatica, amiloidosi cardiaca, emocromatosi, anomalie congenite).
Mobitz tipo 1: si evidenzia un progressivo ritardo della conduzione atrio ventricolare fino al blocco
(onda P non seguita dal complesso QRS).
Mobitz tipo 2: sporadicamente o ciclicamente si osserva una onda P bloccata.
Grado avanzato (peggioramento del tipo 2): si osservano almeno due onde P consecutive bloccate
con lo sviluppo di un rapporto tra onda P e complessi QRS di 2:1 o anche superiore.
Diagnosi: nel Mobitz 1 l’ECG mostra un periodismo (definito di Luciani-Wenckebach) che porta ad un
costante aumento dell’intervallo PR per più cicli fino al blocco, che viene seguito da una nuova
depolarizzazione in cui l’intervallo PR è minore.
Nel Mobitz 2 l’ECG mostra la presenza ogni tanto dell’onda P non seguita dal complesso QRS. In questo
caso l’intervallo PR rimane costante.
Nel grado avanzato si crea alternanza tra battiti atriali trasmessi e non trasmessi e all’ECG evidenziamo che
le onde P sono più dei complessi QRS. Si possono evidenziare dei rapporti tra le onde del tipo 2:1 o 3:1 a
volte anche superiori. Anche qui l’intervallo PR rimane costante quando i battiti vengono trasmessi.
Clinica: il Mobitz 1 può evidenziarsi come anomalia temporanea nel corso di IMA inferiori o
nell’intossicazione digitalica. Si può osservare anche in pazienti normali ma con aumentato tono vagale.
Raramente si ha progressione di questo tipo di blocco verso il blocco completo.
Il Mobitz 2 ha una elevata incidenza di progressione verso un blocco completo. Può essere secondario ad
IMA anterosettale o a malattie sclerodegenerative o calcifiche del cuore.
Questa situazione va in diagnosi differenziale con la dissociazione atrio-ventricolare in cui abbiamo una
mancata successione dell’attività ventricolare a quella atriale. Si può verificare per una interruzione
anatomo-funzionale delle vie di conduzione e anche per l’emergenza di un centro giunzionale o
ventricolare che prende il controllo dell’attività del ventricolo. Si crea una asincronia funzionale che è
totalmente reversibile (la conduzione atrio ventricolo è ancora possibile) determinata dalla presenza di
questi due pace-maker differenti.
Questa stessa condizione può anche verificarsi in caso di grave bradicardia sinusale causata da
intossicazione digitalica, da β-bloccanti o Ca-antagonisti.
Battiti di scappamento: sono generati da focus ectopici che entrano in funzione quando la pausa asistolica
diventa più lunga di un ciclo R-R normale.
Questi battiti sono definiti tardivi in quanto la distanza dal QRS che li precede è sempre maggiore del
normale ciclo R-R . Rappresentano la risposta la difesa del cuore contro l’arresto cardiaco.
La differenza con le extrasistoli è rappresentata dal fatto che questo battito compare in modo posticipato
rispetto al normale ritmo sinusale.
Vengono definiti battiti poiché solitamente sono isolati ma possono anche prendere il controllo del cuore e
allora si parla di ritmi di scappamento. I centri che li causano vanno a sostituirsi al nodo del seno e sono
quindi dei ritmi lenti.
Ritmo del seno coronario: si caratterizza per la presenza di onde P negative nelle derivazioni D2, D3 aVF .
questo avviene poiché la depolarizzazione degli atri avviene in senso contrario alla norma.
Di solito non rappresenta un quadro di patologia ed è più frequente nei giovani con caratteristiche
vagotoniche.
Aritmie Ipercinetiche:
distinte in
1. sopraventricolari (poiché la genesi è situata al disopra del fascio di His) :
extrasistoli (atriali, giunzionali)
tachicardia sinusale
tachicardie da rientro
flutter atriale
fibrillazione atriale
2. ventricolari
extrasistoli
tachicardia ventricolare
fibrillazione ventricolare
torsione di punta
Extrasistoli: sono dei battiti precoci che anticipano il normale ritmo sinusale e sono generate, nella maggior
parte dei casi, da focus ectopici.
In genere tali battiti anticipati sono poi seguiti da una ripresa del ritmo sinusale. Tra l’extrasistole e il battito
successivo si crea una pausa di tempo variabile che possiamo distinguere in:
o compensatoria se la distanza tra R-R’ è esattamente uguale a 2 cicli R-R normali
o non compensatoria se la distanza è inferiore ai due cicli normali.
Le extrasistoli possono anche cadere tra due complessi QRS senza modificare il ritmo sinusale, quindi
parliamo di interpolate.
Possono inoltre essere isolate o ripetitive.
-GIUNZIONALI: il focus ectopico si trova nella giunzione atrio ventricolo e questo determina una
depolarizzazione atriale opposta a quella normale (dal basso verso l’alto). Sono molto meno frequenti di
quelle atriali o ventricolari e spesso sono associate a malattie cardiache o a intossicazione digitalica.
Diagnosi: all’ECG le onde P sono identificabili poiché spesso sono inglobate nei complessi QRS, altre volte
sono retrograde (negative in D2 D3 e aVF ).
Clinica e terapia: nella maggior parte dei casi sono asintomatiche; se sintomatiche si usa lo stesso
trattamento visto prima.
- VENTRICOLARI: sono dei battiti prematuri che hanno origine a livello ventricolare. Questi battiti prematuri
possono essere isolati o ripetitivi (quattro di seguito si definiscono già tachicardia ventricolare). Possono
essere sporadiche o frequenti e ,in questo caso, possono generare dei ritmi particolari chiamati alloritmie
(bigeminismo, trigeminismo o quadrigeminismo). Possiamo anche distinguerle in precoci (appena dopo il
periodo refrattario assoluto e vicine all’onda T; se troppo precoci possono cadere sull’onda T e con più
facilità determinare un quadro pericoloso che porta alla fibrillazione) e tardive (si discostano dall’onda T).
si parla di parasistolia ventricolare quando esiste un rapporto fisso tra le extrasistoli, questo indica che
l’origine del quadro è in un focus che segue un proprio ritmo e non viene interessato dal ritmo sistolico.
Diagnosi: sono dei complessi QRS che anticipano il normale ritmo sinusale, non sono generalmente
preceduti da onda P, e hanno morfologia differente da quella normale poiché sono di maggiore ampiezza (>
di 0,12 sec).
Sono di solito seguite da una pausa compensatoria che è pari a due normali intervalli R-R.
Clinica: si possono riscontrare sia in individui sani che in affetti da cardiopatie. In pazienti normali non
rappresentano un aumentato rischio di mortalità o morbilità ma nel caso di un paziente con recente IMA lo
sono soprattutto quando ripetitive.
Possono causare palpitazioni o pulsazioni al collo. In pazienti in cui siano frequenti possono essere causa di
episodi sincopali (per riduzione della portata cardiaca).
Terapia: viene richiesta nel caso in cui siano sintomatiche e possono essere trattate con β-bloccanti. Nei
pazienti con cardiopatia si tende a ridurle o eliminarle per il rischio che possano portare ad insorgenza di un
quadro di tipo fibrillazione.
Tachicardia sinusale: si intende l’aumento della frequenza sinusale al di sopra del limite convenzionale di
100 battiti/min.
È una tachicardia reattiva secondaria a sforzo, emozioni, febbre anche se si può riscontrare nella maggior
parte delle cardiopatie. Si presenta anche in caso di tireotossicosi, ipovolemia, ansia, ipossia.
Una particolare forma a carattere parossistico è determinata dalla presenza di una frequenza cardiaca di
140-200 battiti/min. questa tachicardia è sostenuta dalla formazione di un circuito di rientro nel nodo del
seno.
Diagnosi: all’ECG evidenziamo un inizio e un termine della tachicardia di tipo graduale con onde P e
complessi QRS normali. Nella forma parossistica invece si presenta un quadro di tipo brusco sia nell’inizio
che nel termine.
Terapia: deve sottendere alla cura della causa sottostante in quanto questo tipo di alterazione della
frequenza si presenta in risposta ad una aumentata richiesta di attività.
Flutter atriale: Il ritmo sinusale viene sostituito da un’attività atriale ectopica ad alta frequenza (220-350
battiti/min). si ritiene che sia causato da una forma di rientro limitata all’atrio.
Clinica: si trova più spesso associata ad una forma di cardiopatia e può manifestarsi sia in forma acuta che
cronica. Nella forma cronica di solito è evidenziabile un fattore scatenante come la pericardite o
l’insufficienza respiratoria. di solito ha una breve durata ma può, se permane a lungo, anche trasformarsi in
fibrillazione atriale. Si osserva di frequente nei soggetti che hanno subito interventi di cardiochirurgia
durante la prima settimana post-operatoria ma anche in soggetti che hanno avuto IMA è riscontrabile.
Diagnosi: all’ECG si evidenzia una rapida successione di onde che creano un aspetto a denti di sega
eliminando la presenza della linea isoelettrica. Queste onde, dette F, sono meglio evidenziabili nelle
derivazioni D2,D3, V1 e aVF. La risposta ventricolare a questa alta frequenza atriale è variabile per la
presenza di BAV funzionali di tipo 2:1 o 3:1 che sono determinati dalla presenza del nodo atrio-ventricolare
del periodo refrattario che blocca alcuni degli impulsi.
La manovra della stimolazione vagale (massaggio di un seno carotideo che causa una diminuzione della
velocità di scarica del nodo SA e un rallentamento del tempo di conduzione del nodo AV) permette,
bloccando temporaneamente il nodo atrio-ventricolare, di rallentare la risposta ventricolare consentendo
una più chiara osservazione del quadro atriale (le fasi diastoliche vengono allungate).
Terapia: il trattamento più efficace è la cardioversione elettrica che già a bassa energia risulta efficace,
anche se, si preferisce usare energia superiore per evitare il rischio di insorgenza di fibrillazione. La
cardioversione può essere fatta anche farmacologicamente con amiodarone o chinidina.
In soggetti in post-operatorio o con pregresso IMA o in terapia digitalica si tratta il quadro tramite una
stimolazione atriale con elettrodi temporanei.
Se le condizioni del paziente o permettono è sempre meglio creare un rallentamento farmacologico (ca-
antagonisti, β-bloccanti o digitale) del nodo atrio ventricolare così da diminuire l’attività dei ventricoli.
Tachicardia ventricolare: è un’aritmia a genesi ectopico da rientro con focus ripetitivo o con formazione da
rientro intraventricolare. si manifesta con una tachicardia a frequenza variabile tra 100 e 220 battiti/min.
la durata della tachicardia permette la sua distinzione in sostenuta (dura più di 30 secondi) e non sostenuta
(dura meno di 30 secondi).
Vengono definite maligne quelle aritmie che sfociano in fibrillazione ventricolare.
Clinica: si accompagna ad alcune forme di cardiopatia organica e a cardiopatie ischemiche croniche. Si può
ritrovare anche in caso di alterazioni metaboliche, tossicità da farmaci o sindrome del QT lungo.
La forma non sostenuta si ritrova con più frequenza in cuori normali.
La forma sostenuta è sempre sintomatica e si accompagna ad alterazioni emodinamiche e alterazioni
ischemiche. Se la frequenza è elevata ed è associata a disfunzione miocardica si avranno episodi sincopali e
ipotensione. Bisogna sempre tenere presente il rischio di una morte improvvisa per le alterazioni della
portata cardiaca.
Diagnosi: all’ECG si evidenzia la successione rapida di quattro o più complessi larghi molto simili a quelli
delle extrasistoli ventricolari. Di solito vi è dissociazione atrio-ventricolare con onde P di origine sinusale e a
frequenza diversa dai QRS. Non viene influenzata dalle manovre di stimolazione vagale.
Di particolare importanza è distinguerla dalla tachicardia sopraventricolare con aberrazione, si possono
distinguere per:
- mancata dissociazione atrio-ventricolare
- presenza di battiti di cattura (sono complessi QRS sporadici)
- non viene interrotta da stimolazione vagale.
Terapia: bisogna sempre considerare che le terapie antiaritmiche possono esacerbare la stessa aritmia. I
soggetti con quadro non sostenuto e asintomatico non vengono trattati perché questo non migliora la loro
prognosi. I pazienti che hanno la sindrome del QT lungo congenito hanno invece un maggior rischio e
questo impone il loro trattamento.
I farmaci di prima scelta usati sono: β-bloccanti, verapamil o altri farmaci della classe I o III.
In soggetti che hanno segni di compromissione dello stato emodinamico o segni di ischemia bisogna
interrompere immediatamente l’aritmia con la cardioversione. Se invece c’è ancora un buon compenso si
può pensare di trattare il soggetto farmacologicamente (farmaco più efficace è la procainamide). Se i
farmaci non funzionano si può pensare ad una stimolazione rapida con cateterismo.
Fibrillazione ventricolare: è l’aritmia più grave perché porta all’inefficienza totale della funzione di pompa
cardiaca e corrisponde ad un arresto cardiaco. L’attività miocardica è completamente desincronizzata dalla
presenza di foci ectopici multipli non coordinati.
Clinica: tale aritmia risulta di più frequente osservazione in pazienti con quadro di cardiopatia ischemica. Lo
scatenarsi del quadro aritmico porta ad un rapido instaurarsi di perdita di coscienza e, se non trattato,
porta a morte. Spesso rappresenta l’evoluzione di un quadro scatenato da extrasistoli ventricolari che
cadono sull’onda T che rappresenta il periodo debole.
Diagnosi: all’ECG si presentano delle oscillazioni larghe, irregolari, completamente anormale e abnormi con
ampiezza e frequenza varie che vanno a sostituire i QRS normali.
Terapia: rimane la terapia migliore in questi quadri l’uso della cardioversione elettrica per tentare di
ristabilire un ritmo normale.
Torsione di punta: è una tachicardia ventricolare polimorfa maligna che può evolvere in una fibrillazione
ventricolare.
Clinica: si riscontra nelle cardiopatie gravi soprattutto ischemiche, nelle gravi ipopotassiemie e nei QT
allungati.
Diagnosi: all’ECG si alternano sequenze di complessi positivi e negativi in modo disordinato. La frequenza è
superiore a 150 battiti/min. si osserva una variazione fasica della polarità dei complessi QRS sull’asse
isoelettrico.
Classe I:
- Ia: rallentano la conduzione e prolungano la ripolarizzazione (CHINIDINA, PROCAINAMIDE,
DISOPIRAMIDE)
- Ib: accorciano la ripolarizzazione (LIDOCAINA, FENITOINA, TOCAINAMIDE)
- Ic: rallentano marcatamente la conduzione (FLECAINAMIDE, PROPAFENONE)
TIROIDE
IPOTIROIDISMO ACQUISITO
Eziologia
— Ipotiroidismo primitivo:
• conseguenza di una malattia autoimmune (tiroidite di Hashimoto), talvolta nel contesto di una sindrome
poliendocrina autoimmune
• iatrogeno: dopo strumectomia, dopo terapia con radioiodio, da farmaci (ad es. tireostatici, litio)
— Ipotiroidismo secondario ipofisario:
insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi
— Ipotiroidismo terziario ipotalamico (raro).
Clinica
— calo delle prestazioni fisiche e mentali, estrema povertà di movimenti spontanei, astenia,
rallentamento psicomotorio, disinteresse, apatia (osservare l’espressione del volto!), tempo del riflesso
achilleo prolungato
— aumentata sensibilità al freddo
— cute secca, fredda, pastosa, giallo pallida, desquamante
— capelli secchi, fragili
— aumento ponderale da mixedema generalizzato
— stipsi
— voce roca, rauca (possibile errore di diagnosi: affezione laringea)
— mixedema cardiaco: bradicardia, cardiomegalia con eventuale insufficienza cardiaca refrattaria alla
digitale; ECG: complessi QRS di basso voltaggio
— arteriosclerosi precoce, da ipercolesterolemia
— eventualmente miopatia, con aumento di CPK
— alterazioni mestruali, turbe della spermatogenesi, infertilità, poliabortività.
Diagnosi
— Ipotiroidismo primitivo manifesto:
clinica e dati di laboratorio (il TSH basale è il test di screening)
— Ipotiroidismo latente:
• FT3 e FT4 normali (evtl. ai livelli inferiori della norma)
• TSH basale e TSH dopo somministrazione di TRH da normale ad aumentato
— Nella tiroidite autoimmune di Hashimoto: spesso dimostrazione di anticorpi anti-tireoglobulina e
anticorpi antiperossidasi tiroidea (anticorpi anti-TPO). Ecografia ed evtl. agoaspirato tiroideo (infiltrato
linfocitario).
— Ecografia ed evtl. agoaspirato tiroideo (ad es. in caso di tiroidite linfocitaria di Hashimoto)
— Scintigrafia: accumulo di radionuclidi nella tiroide fortemente ridotto o assente.
Terapia
— Ipotiroidismo conclamato
Trattamento sostitutivo con L-T4 e controlli per tutta la vita. Tanto più è pronunciato l’ipotiroidismo, tanto
più gradualmente e lentamente deve essere instaurata la terapia sostitutiva per il rischio di attacchi di
angina pectoris, disturbi del ritmo cardiaco!
La dose ottimale individuale è valutata in base allo stato generale di salute del paziente e al TSH basale (o
test con TRH)
• dose esatta: TSH basale normale (o test con TRH normale)
• dose troppo alta: TSH basale ridotto (o test con TRH negativo)
• dose troppo bassa: TSH basale aumentato (oppure riscontro di TSH in eccesso dopo somministrazione di
TRH).
— Ipotiroidismo latente
Il trattamento è necessario solo in casi particolari (ad es. gravidanza).
IPERTIROIDISMO
Eziologia
1. Ipertiroidismo autoimmune (malattia di Basedow); i 2/3 dei casi si manifestano dopo i 35 anni; F:M = 5:1.
a) ipertiroidismo senza gozzo
b) ipertiroidismo con gozzo diffuso
c) ipertiroidismo con gozzo nodulare.
2. Ipertiroidismo da autonomia tiroidea; la maggior parte dei casi si manifesta in età avanzata. In base al
reperto scintigrafico del tessuto tiroideo autonomo si distinguono 3 forme:
— autonomia unifocale (adenoma autonomo secondo la vecchia terminologia)
— autonomia multifocale
— autonomia diffusa.
Nota: sindrome di Marine-Lenhart = associazione di malattia di Basedow e autonomia tiroidea (interessa
sino al 10% dei pazienti con malattia di Basedow nelle aree
geografiche con carenza di iodio).
Clinica
A) dell’ipertiroidismo:
— gozzo (70-90% dei pazienti); per l’ipervascolarizzazione della tiroide si apprezza un soffio
all’auscultazione
— agitazione psicomotoria: fine tremore delle dita delle mani, ansietà, insonnia
— tachicardia sinusale, eventuale disturbi del ritmo (extrasistoli, fibrillazione atriale), pressione arteriosa
differenziale aumentata
— calo ponderale (nonostante l’aumento dell’appetito), eventuale iperglicemia (a causa dell’aumentato
metabolismo, con mobilizzazione dei depositi di lipidi e di glicogeno). Diagnosi differenziale: diabete mellito
non trattato
— cute calda, umida, capelli morbidi, sottili
— intolleranza al caldo (vampate di calore, eventuale temperatura subfebbrile)
— eventuale diarrea (la stipsi tuttavia non esclude l’ipertiroidismo)
— miopatia: debolezza della muscolatura dei cingoli, adinamia
— osteopatia: bilancio negativo del calcio: nel 15-20% dei casi ipercalcemia, ipercalciuria, fosfatasi alcalina
aumentata
— alterata tolleranza glucidica (50% dei casi)
— evtl. steatosi epatica
— evtl. alterazioni mestruali, infertilità (più raramente che nell’ipotiroidismo).
B) Ulteriori sintomi in caso di ipertiroidismo autoimmune (malattia di Basedow):
— oftalmopatia endocrina nel 50% dei casi (per i dettagli vedi il relativo capitolo)
— triade di Merseburg della malattia di Basedow (50% dei casi): gozzo, esoftalmo, tachicardia
— mixedema pretibiale nel 5% dei casi: come nell’oftalmopatia endocrina, si giunge a depositi di
glicosaminoglicani nel tessuto sottocutaneo pretibiale, raramente anche a livello dell’avambraccio e delle
spalle. È possibile la regressione spontanea
— raramente acropachia (deformazione a clava delle dita e dell’alluce).
Diagnosi
Diagnosi dell’ipertiroidismo manifesto:
1. anamnesi (farmaci contenenti iodio, mezzo di contrasto iodato, ecc.)
2. clinica (sintomi di ipertiroidismo)
3. laboratorio:
— TSH basale diminuito (è il test di screening)
— FT3 sempre aumentata
— FT4 aumentata nel 90% dei casi.
In caso di TSH basale ridotto, la sola determinazione di FT4 non è sufficiente, in quanto esistono
ipertiroidismi isolati da T3 (ad es. nello stadio iniziale dell’ipertiroidismo).
Nota: diagnosi del raro ipertiroidismo centrale (ad es. da adenoma ipofisario TSH-secernente): ormoni
tiroidei aumentati + TSH basale non soppresso, talvolta persino aumentato. Una situazione analoga è
presente nella rara forma di resistenza agli ormoni tiroidei (da difetto del recettore ormonale).
— dimostrazione di autoanticorpi verso i recettori per il TSH nell’80% dei casi e anti-TPO nel 70% dei casi di
ipertiroidismo autoimmune
— dimostrazione di iodio nelle urine in caso di contaminazione da iodio quale agente scatenante
dell’ipertiroidismo
4. diagnostica per immagini:
— ecografia: ipoecogenicità circoscritta o diffusa + ipervascolarizzazione al colordoppler.
— scintigrafia: TcTU aumentato
• ipercaptazione intensa e omogenea nell’ipertiroidismo autoimmune
• ipercaptazione unifocale, multifocale o diffusa nelle 3 forme di autonomia tiroidea.
Terapia
Trattamento dell’ipertiroidismo
Non si conosce nessun trattamento causale. La scelta della terapia dipende dall’età del paziente e dalla
forma di ipertiroidismo.
Effetti collaterali
— reazioni allergiche con esantema, febbre, dolori articolari e muscolari, ecc.
— piastrinopenia, leucopenia; raramente agranulocitosi da ipersensibilità (controllo dei leucociti)
— alterazioni degli enzimi epatici, colestasi, ecc.
Nell’ipertiroidismo autoimmune si deve assolutamente evitare un’evoluzione in
ipotiroidismo che peggiorerebbe l’oftalmopatia endocrina eventualmente presente.
Terapia farmacologia aggiuntiva: in caso di tachicardia, betabloccanti, ad es. propranololo
che inibisce la conversione T4 _ T3.
b) Terapia chirurgica
Trattamento tireostatico prima dell’intervento per riportare i pazienti ad una situazione di eutiroidismo.
Successivamente procedere all’intervento con tiroidectomia subtotale, lasciando circa 4 ml di tiroide. In
caso di sospetta neoplasia maligna della
tiroide, tiroidectomia totale.
Indicazioni:
— gozzo pronunciato
— segni di compressione
— sospetto di malignità (ad es. nodulo freddo)
— crisi tireotossica.
PARATIROIDI
L’omeostasi del metabolismo del fosfato di calcio è determinata dal paratormone e dalla
vitamina D. Tra il calcio e l’ormone paratiroideo esiste una regolazione di feed-back negativo, per cui le loro
concentrazioni sono inversamente correlate. Il meccanismo regolatorio di feed-back negativo è conservato
nella ipercalcemia da neoplasia, intossicazione da vitamina D, e sarcoidosi: in questi pazienti i valori di PTH
sono ridotti. Di contro, nell’ipoparatiroidismo
entrambi i valori risultano ridotti. Nell’iperparatiroidismo primitivo sono entrambi aumentati.
Il PTH agisce stimolando l’adenilciclasi a livello osseo e renale. Nel rene viene inibito il riassorbimento
tubulare dei fosfati, viene aumentato quello del calcio.
Calcitonina
La calcitonina viene sintetizzata nelle cellule C della tiroide, inibisce l’attività degli osteoclasti. La secrezione
della calcitonina è determinata dal livello di Ca++ nel sangue: concentrazioni elevate la stimolano,
concentrazioni ridotte la inibiscono.
IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO
Definizione: malattia primitiva delle paratiroidi con aumentata produzione di ormone paratiroideo (PTH).
Eziologia
1. adenoma isolato (80%), adenoma multiplo (5%) delle paratiroidi.
2. iperplasia delle paratiroidi (15%); istologia: iperplasia delle cellule chiare o delle cellule principali
3. raramente carcinoma delle paratiroidi (< 1%).
Raramente si osserva una neoplasia endocrina multipla (MEN)
Clinica: oltre la metà dei pazienti non accusa disturbi o accusa disturbi aspecifici (diagnosi occasionale di
ipercalcemia).
1. Manifestazioni renali (40-50%):
— frequente nefrolitiasi (fosfato e ossalato di calcio)
— rara neofrocalcinosi (prognosticamente sfavorevole).
Tipica è la diminuzione della capacità di concentrazione refrattaria all’ADH che determina poliuria con
polidipsia. Nei casi avanzati si instaura insufficienza renale.
2. Manifestazioni ossee (circa il 50%):
l’aumento dell’ormone paratiroideo porta all’aumento degli osteoclasti, nonché per reazione anche degli
osteoblasti, cosicché si va incontro a un bilancio osseo negativo. L’attività degli osteoclasti porta, nei casi
conclamati, a lacune di riassorbimento
osseo subperiostale con acroosteolisi di mani e piedi. Segno radiologico frequente è una osteopenia
diffusa che può essere osservata alle ossa della mano nel 40% dei casi, della colonna vertebrale nel 20% dei
casi; l’esame
radiografico del cranio – seconda sede per frequenza – mostra un aspetto di «vetro opaco». La lamina dura
degli alveoli dentali mostra fenomeni di erosione ed è presente dolore alla colonna vertebrale e agli arti che
è sintomo di interessamento
osseo. In caso di coinvolgimento osseo, all’analisi di laboratorio risultano aumentati i valori della fosfatasi
alcalina e della escrezione di idrossiprolina.
3. Manifestazioni gastrointestinali (circa 50% dei casi):
— inappetenza, nausea, stipsi, meteorismo, calo ponderale
— ulcera gastro/duodenale rara (circa 10%)
— rara pancreatite (circa 10%; la pancreatite può diminuire la calcemia, mascherando così un
iperparatiroidismo primitivo!).
4. Sintomi neuromuscolari: affaticabilità, astenia e atrofia muscolare; accorciamento del QT all’ECG.
5. Sintomi psichiatrici: depressione.
6. Crisi ipercalcemica (< 5%):
Sintomatologia:
— poliuria, polidipsia
— vomito, disidratazione, adinamia
— sintomi psicotici, sonnolenza, coma.
In seguito alla insufficienza renale che si instaura rapidamente, il fosfato plasmatico aumenta e possono
comparire calcificazioni a livello di diversi organi (ad es. cornea, tonaca media delle arterie). Aritmie
cardiache possono portare a morte improvvisa.
Diagnosi differenziale della ipercalcemia
1. Tumori maligni: rappresentano la causa più frequente di ipercalcemia (circa 60% dei casi). I tumori più
frequenti sono il carcinoma bronchiale, mammario, prostatico e il plasmocitoma. In caso di ipercalcemia da
tumore il PTH intatto è di regola soppresso. Sono possibili 2 meccanismi:
a) ipercalcemia osteolitica, da metastasi ossee (ad es. da carcinoma mammario) e da plasmocitoma.
b) ipercalcemia paraneoplastica, da produzione ectopica di peptidi simili al paratormone (PTHrP) da parte
del tumore (ad es. carcinoma bronchiale).
2. Cause endocrine: iperparatiroidismo primitivo (20%), ipertiroidismo, insufficienza cortico-surrenalica.
3. Da farmaci: intossicazione da vitamina D o da vitamina A, trattamento con tamoxifene, diuretici tiazidici,
litio, scambiatori di cationi contenenti calcio, ecc.
4. Immobilizzazione.
5. Sarcoidosi (sintesi di 1,25-(OH)2-D3 da parte dei macrofagi).
Terapia
La malattia è curabile mediante l’asportazione chirurgica tempestiva delle paratiroidi ingrossate. Durante
l’intervento devono essere ricercate e valutate tutte le paratiroidi:
— asportazione isolata di paratiroidi adenomatose ingrandite (oltre 50 mg)
— quando tutte le ghiandole sono iperplastiche: paratiroidectomia totale
Indicazioni all’intervento in caso di iperparatiroidismo primitivo asintomatico:
— calcemia > 3 mmol/l
— riduzione della clearance della creatinina
— riduzione della densità ossea (Z-score > –2)
— malattie concomitanti.
Se non vi è indicazione all’intervento, valgono i seguenti consigli:
— bere molto; non utilizzare diuretici tiazidici e digitale
— prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa con associazioni di estro-progestinici
— controlli regolari (ogni 3 mesi).
Sono in fase di studio dei preparati calcioagonisti che riducono la secrezione di paratormone.
IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO
Quando una affezione extra-paratiroidea comporta la diminuzione del calcio sierico, le paratiroidi
reagiscono secondariamente con una maggiore secrezione di PTH.
Iperparatiroidismo secondario di originale renale
Iperparatiroidismo secondario con funzione renale normale
Eziologia
a) cause enteriche: sindrome da malassorbimento con ridotto assorbimento di calcio
b) cause epatiche (rare):
• cirrosi epatica (alterata trasformazione D3 _ 25-OH-D3)
• colestasi (alterato assorbimento di vitamina D3)
c) ridotta sintesi cutanea di vitamina D3: carente esposizione alla luce solare.
Clinica
• sintomi della malattia di base
• evtl. dolori ossei.
Diagnosi differenziale
Iperparatiroidismo secondario renale (aumento di fosfatemia, azotemia e creatininemia).
Diagnosi
Calcemia diminuita, fosfatemia normale, PTH aumentato.
Terapia
• terapia della malattia di base
• apporto di vitamina D3 ed evtl. calcio.
IPOPARATIROIDISMO
Definizione
Carenza funzionale delle paratiroidi con deficit di PTH. Il sintomo tipico è la tetania ipocalcemica.
Eziologia
1. postoperatorio (causa più frequente): dopo intervento chirurgico al collo, soprattutto strumectomia
2. idiopatico: raro (autoimmune?)
3. agenesia delle paratiroidi e del timo (sindrome di Di George, molto rara).
Clinica
1. Sintomi funzionali
— tetania ipocalcemica): accessi convulsivi con conservazione dello stato di coscienza, spesso
accompagnati da parestesie, atteggiamento delle mani «da ostetrico», spasmo della glottide
— segno di Chvostek la percussione del nervo facciale sotto l’arcata zigomatica determina la contrazione
dell’angolo della bocca
— segno di Trousseau
— ECG: allungamento del tratto QT.
2. Alterazioni organiche Disturbi della crescita dei capelli, delle unghie, formazione di cataratta,
calcificazione dei gangli della base, osteosclerosi.
Diagnosi differenziale
1. Tetania normocalcemica (la più frequente): diminuzione del calcio ionizzato dovuta ad alcalosi (quasi
sempre alcalosi respiratoria da iperventilazione psicogena).
2. Ipocalcemia di altra genesi (PTH intatto aumentato): pancreatite acuta, sindrome da malassorbimento,
peritonite, fase di guarigione del rachitismo, osteomalacia (deficit di vitamina D), insufficienza renale,
infusione di EDTA o di sangue citratato, cause più rare.
3. Pseudo-ipoparatiroidismo (estremamente raro):
Diagnosi
1. ipocalcemia, ipomagnesiemia, iperfosfatemia
2. ridotta escrezione renale di: calcio, fosfato, cAMP
3. diminuzione del PTH intatto
I reperti di ipocalcemia e di iperfosfatemia con creatinina normale (esclusione di insufficienza renale) e
albuminemia normale (esclusione di sindrome da malassorbimento) rendono molto probabile la diagnosi di
ipoparatiroidismo primitivo. Il riscontro di ridotti livelli di PTH conferma la diagnosi.
Terapia
In caso di tetania
Iniezione e.v. lenta di 20 ml di soluzione di calcio al 10%. Attenzione: il calcio e la digitale sono farmaci ad
azione sinergica. Non somministrare perciò a nessun paziente digitalizzato calcio e.v.!
Trattamento a lungo termine
Vitamina D ad alta dose (colecalciferolo 40.000 UI/die oppure calcitriolo 1-1,5 μg/die) + calcio per via orale
1-3 g/die con regolare controllo della calcemia e della calciuria.
CORTECCIA SURRENALE
Regolazione della secrezione di aldosterone
a) Stimolazione:
— il più importante stimolo è rappresentato dal sistema renina-angiotensina (omeostasi del volume
ematico totale, che si attiva per iposodiemia, ipovolemia e ridotta perfusione renale)
— aumento del potassio sierico
— ACTH (meno significativo).
b) Inibizione:
peptide natriuretico atriale (ANP).
IPERALDOSTERONISMO PRIMITIVO
Sinonimo
Sindrome di Conn.
Clinica
1. ipertensione (sintomo principale) con cefalea ed eventuali lesioni organiche.
2. ipopotassiemia con sintomi associati:
• astenia muscolare
• stipsi
• alterazioni ECGrafiche (slivellamento di ST, onda U)
• poliuria, polidipsia, ipostenuria: l’ipopotassiemia provoca una tubulopatia vacuolarem con diabete
insipido nefrogeno
• alcalosi metabolica con parestesie (ed eventuale tetania).
Laboratorio
— ipopotassiemia (sempre), ipersodiemia (50% dei casi)
— potassiuria aumentata (> 40 mmol/24 ore)
— aldosterone plasmatico aumentato, renina plasmatica ridotta.
Diagnosi differenziale
— iperaldosteronismo secondario
a) stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone
• organica: stenosi delle arterie renali, ipertensione maligna, tumore renale renino- secernente _ con
ipertensione
• funzionale: iposodiemia, ipovolemia, edemi di altra genesi, sindrome di Bartter, sindrome di Gitelman _
senza ipertensione.
b) iperaldosteronismo «relativo» da ridotto metabolismo dell’aldosterone: ad es. edema cardiaco, epatico,
renale.
— pseudoiperaldosteronismo da abuso di liquerizia.
Diagnosi
Clinica (ipertensione ipopotassiemica), dosaggio della renina (diminuita) e dell’aldosterone (aumentato).
Terapia
— in caso di tumore cortico-surrenale unilaterale, asportazione chirurgica del surrene interessato dopo
preparazione con spironolattone per 4 settimane
— in caso di iperplasia cortico-surrenale bilaterale, trattamento a lungo termine con antiipertensivi e
antagonisti dell’aldosterone (spironolattone)
— nelle rare forme di iperaldosteronismo sopprimibile con desametasone, terapia con desametasone a
bassa dose
— nell’estremamente raro carcinoma surrenale metastatizzante secernente aldosterone, intervento
chirurgico + chemioterapia.
IPOALDOSTERONISMO
Eziologia
1. ipoaldosteronismo primitivo con reninemia aumentata: malattia di Addison, deficit di sintesi
dell’aldosterone; forme transitorie dopo escissione di un adenoma aldosterone-secernente con
soppressione del surrene controlaterale
2. ipoaldosteronismo secondario con reninemia diminuita (= ipoaldosteronismo iporeninemico):
— nei pazienti con diabete mellito (frequente)
— indotto da farmaci: terapia con mineralcorticoidi, ACE-inibitori, inibitori della sintesi delle
prostaglandine; terapia protratta con eparina.
Clinica
Evtl. ipotensione con relativi sintomi.
Laboratorio
Iposodiemia, iperpotassiemia (evtl. minacciosa), acidosi metabolica.
Diagnosi
Aldosterone plasmatico diminuito; renina plasmatica aumentata (forma primitiva) oppure diminuita (forma
secondaria).
Terapia
Nella forma primitiva (ad es. malattia di Addison) terapia con mineralcorticoidi (fludrocortisone); nella
forma secondaria sospendere gli eventuali farmaci favorenti; altrimenti, in caso di manifestazioni rilevanti,
somministrare mineralcorticoidi.
La terapia va guidata in base al controllo degli elettroliti e della reninemia.
Glucocorticosteroidi
La produzione ormonale della corteccia surrenale segue un ritmo circadiano. La produzione
minima è attorno a mezzanotte, quella massima tra le 6 e le 8 del mattino. Questo ritmo
fisiologico è abolito nella sindrome di Cushing.
IPERCORTICOSURRENALISMO
Sinonimo: sindrome di Cushing.
Classificazione ed eziologia
I) Ipercorticosurrenalismo esogeno
Per lo più iatrogeno a seguito di trattamento cronico con glucocorticoidi o ACTH: il più frequente.
II) Ipercorticosurrenalismo endogeno
Dovuto a maggiore secrezione di cortisolo o di ACTH: più raro.
1. Forma ACTH-dipendente con iperplasia secondaria della corteccia surrenale:
a) sindrome di Cushing centrale (= malattia di Cushing): rappresenta il 70% delle sindromi di Cushing
endogene; colpisce soprattutto le donne in età media. Nell’80% dei casi si tratta di un microadenoma del
lobo anteriore dell’ipofisi, non
sempre dimostrabile alle tecniche neuroradiologiche. Negli altri casi si ipotizza un’iperfunzione ipotalamica
primitiva. In alcuni pazienti è possibile riscontrare la presenza di auto-anticorpi diretti contro cellule del
lobo anteriore dell’ipofisi
b) secrezione ectopica (paraneoplastica) di ACTH: secrezione di ACTH da parte
di neoplasie (più raramente secrezione ectopica di CRH)
c) sindrome di Cushing da etilismo: reversibile dopo la sospensione dell’alcool.
Clinica
11. metabolismo lipidico: ridistribuzione dei depositi di grasso, con «facies lunare», collo taurino, obesità
centrale, ipercolesterolemia
12. metabolismo proteico: osteoporosi, con evtl. dolori ossei, miopatia con ipotrofia muscolare, adinamia
13. metabolismo glucidico: tendenza al diabete
14. sistema emopoietico: leucociti, piastrine ed eritrociti aumentati, eosinofili e linfociti diminuiti
15. ipertensione (85%)
16. cute: ritardata guarigione delle ferite, predisposizione ad acne, foruncolosi, ulcerazioni, comparsa di
strie cutanee rosse, atrofia della cute (cute «a pergamena»).
17. virilizzazione, irsutismo, disturbi del ciclo mestruale
18. nel bambino arresto della crescita
19. disturbi psichici (ad es. disturbi psicotici)
10. ipopotassiemia (5%), secondaria a iperproduzione di mineralcorticoidi (relativamente rara). Deve far
sospettare una produzione ectopica di ACTH oppure una neoplasia della corticale surrenalica.
L’ipercorticosurrenalismo primitivo dovuto alla presenza di adenomi surrenalici comporta per lo più un
aumento solo dei glucocorticoidi. L’ipercorticosurrenalismo secondario è invece caratterizzato
dall’aumentata secrezione di ACTH in caso di iperplasia globale bilaterale della corticale surrenale;
l’aumento è ancor più pronunciato in caso di carcinoma; si ha anche un aumento degli androgeni (e meno
dell’aldosterone), tanto che in questo caso subentrano sintomi condizionati dall’eccesso
di androgeni (virilizzazione, irsutismo, disturbi mestruali, ecc.).
Diagnosi
a) di ipercorticosurrenalismo:
— clinica
Terapia
Chirurgia
IPOCORTICOSURRENALISMO
Eziologia e classificazione
1. Forma primitiva (ACTH aumentato):
— malattia di Addison: adrenalite autoimmune (70% dei casi): distruzione della corteccia surrenale da parte
di un processo autoimmune, con presenza di autoanticorpi diretti contro la corteccia surrenale, spesso
contro la 17-idrossilasi (= enzima chiave della sintesi steroidea). Alcuni di questi pazienti soffrono di una
sindrome poliendocrina autoimmune
— metastasi da carcinoma
— malattie infettive: tubercolosi, infezioni da CMV nei pazienti affetti da AIDS
— aplasia o ipoplasia della corteccia surrenale, difetti enzimatici; trattamento con sostanze contenenti
inibitori della sintesi del cortisolo (ad es. aminoglutetimide).
Cause di insufficienza surrenalica acuta:
— sindrome di Waterhouse-Friderichsen = infarto emorragico dei surreni in seguito a sepsi meningococcica
— emorragie (anticoagulanti orali, neonati)
— asportazione chirurgica dei surreni
2. Forma secondaria (ACTH diminuito):
— insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi o dell’ipotalamo
— terapia protratta con corticosteroidi (in questo caso non interrompere bruscamente i corticosteroidi per
il pericolo di una crisi addisoniana). Nella forma primitiva di insufficienza della corteccia surrenale si giunge
generalmente al deficit di tutti i corticosteroidi; al contrario, nella forma secondaria la produzione di
aldosterone è solo marginalmente interessata a seguito della carenza di ACTH, così da far passare in
secondo piano i disturbi elettrolitici. In caso di insufficienza ipofisaria
diminuiscono spesso secondariamente anche gli ormoni periferici, con comparsa di manifestazioni
endocrine carenziali complesse.
Clinica
Malattia di Addison: Si distinguono 4 stadi di malattia:
1. insufficienza corticosurrenale latente
2. insufficienza corticosurrenale manifesta
3. crisi endocrina
4. coma endocrino.
I 4 sintomi tipici dell’insufficienza corticosurrenale manifesta (presenti in > 90% dei casi) sono:
1. debolezza e facile affaticabilità
2. pigmentazione della cute e delle mucose, evtl. vitiligine
3. perdita di peso e disidratazione
4. ipotensione arteriosa.
Possono anche aggiungersi:
— disturbi addominali (nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, stipsi)
— perdita delle caratteristiche pilifere secondarie nella donna (carenza di androgeni), ecc.
Crisi addisoniana: oltre ai sintomi sopra citati, sono presenti:
— disidratazione, caduta della pressione arteriosa, shock, oliguria
— pseudoperitonite
— evtl. diarrea e vomito
— inizialmente temperatura inferiore alla norma, in seguito febbre e disidratazione
— delirio, coma.
Laboratorio
— sodiemia diminuita, potassiemia aumentata (Na+/K+ < 30)
— evtl. ipercalcemia (30% dei casi), linfocitosi, eosinofilia
— cortisolemia diminuita.
Diagnosi
1. test con ACTH: Nella malattia di Addison il valore basale risulta diminuito o ai limiti inferiori della norma e
non aumenta dopo ACTH (un aumento di almeno 7 μg/dl è considerato normale). Lo stesso vale anche per
l’insufficienza corticosurrenale
secondaria presente già da tempo, dove l’assenza di stimolo ACTH ha portato ad atrofia della corteccia
surrenale
2. ACTH plasmatico: nell’insufficienza corticosurrenale primitiva (malattia di Addison) l’ACTH basale nel
plasma è sensibilmente aumentato; in quella secondaria risulta invece diminuito o ai limiti inferiori della
norma e al test con CRH non aumenta oppure aumenta in modo insufficiente
3. indagini per chiarire l’eziologia:
— ricerca di auto-anticorpi diretti contro la corteccia surrenale (presenti sino nell’ 80% dei casi)
— diagnostica per immagini dei surreni: ecografia, esame dell’addome a vuoto (calcificazioni dei surreni in
caso di tubercolosi), TC, evtl. angiografia (metastasi
da carcinoma?).
IPOFISI E IPOTALAMO
TUMORI IPOFISARI
PROLATTINOMA
Definizione
Adenoma del lobo anteriore dell’ipofisi secernente prolattina;
• microprolattinoma: prolattinemia < 200 ng/ml, diametro del tumore < 1 cm
• macroprolattinoma: prolattinemia > 200 ng/ml, diametro del tumore > 1 cm.
Clinica
— donna:
• amenorrea secondaria, anovulazione con sterilità ed evtl. Osteoporosi
• eventuale galattorrea
• perdita della libido
— uomo: perdita della libido e della potenza, evtl. ginecomastia (effetto indiretto legato all’ipogonadismo)
— eventuali segni di ipertensione endocranica o di compressione di strutture adiacenti (cefalea, difetti del
campo visivo) ed insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi
Diagnosi differenziale
— iperprolattinemia:
a) fisiologica, ad es.:
• gravidanza, da aumento degli estrogeni di 10-20 volte rispetto al normale
• manipolazioni del capezzolo e della mammella, allattamento
• stress
b) cause patologiche, ad es.:
• prolattinoma
• tumori para- o soprasellari con compromissione della sintesi e/o trasporto della dopamina = prolactin
inhibiting factor (PIF)
• sindrome della sella vuota (= sella contenente liquor)
• ipotiroidismo primitivo grave
• insufficienza renale cronica
c) cause farmacologiche, ad es.:
• estrogeni
• neurolettici e antidepressivi, oppiacei
• reserpina e -metildopa
• antagonisti della dopamina (ad es. metoclopramide)
• cimetidina, antiistaminici, ecc.
— altre cause di amenorrea secondaria
— in caso di galattorrea, esclusione di un carcinoma mammario.
Diagnosi
— determinazione ripetuta della prolattina basale: valori > 200 ng/ml sono quasi una prova, 25-200 ng/ml
richiedono ulteriori indagini
— prolattina dopo somministrazione di TRH (nel prolattinoma di solito nessun aumento)
— anamnesi farmacologica per escludere una iperprolattinemia da farmaci
— esclusione di un ipotiroidismo e di una insufficienza renale
— esami oftalmologici
— diagnosi di localizzazione (TC, RMN)
— in caso di prolattinoma documentato, valutazione delle altre funzioni ipofisarie parziali.
Terapia
Il trattamento è anzitutto farmacologico, con antagonisti della dopamina: bromocriptina, lisuride,
quinagolide, cabergolina. In oltre il 95% dei pazienti è possibile così ottenere la normalizzazione dei livelli
ematici di prolattina e la riduzione delle dimensioni
del tumore. L’indicazione all’intervento transfenoidale o transfrontale sull’ipofisi sussiste solamente in caso
di mancata risposta agli antagonisti della dopamina.
ACROMEGALIA
Sinonimo: iperpituitarismo.
Eziologia
Adenoma somatotropo del lobo anteriore dell’ipofisi con iperproduzione dell’ormone della crescita =
growth hormon (GH) =
ormone somatotropo (STH).
Clinica
Un iperpituitarismo che si manifesta prima della fine dell’accrescimento staturale porta a gigantismo
(altezza oltre 2 m); in età adulta l’eccesso di GH si presenta con acro- e visceromegalia.
L’esordio della malattia è insidioso.
1. sintomi tipici:
— alterazione della fisionomia con tratti grossolani del volto, cute del viso ispessita e rugosa (cutis gyrata):
confrontare con foto precedenti!
— ingrossamento di mani, piedi e cranio (scarpe, guanti e cappelli non si adattano più)
— ingrossamento della lingua e allargamento degli spazi interdentali (eloquio impastato)
— ingrossamento degli organi interni (visceromegalia)
2. sintomi facoltativi:
— cefalea, ipertensione (sino al 30% dei casi)
— disturbi della vista, difetti del campo visivo (emianopsia bitemporale) _ diagnostica oculistica
— evtl. sindrome del tunnel carpale (compressione del nervo mediano con dolori prevalentemente notturni
+ parestesie delle prime tre dita + atrofia dell’eminenza tenar), evtl. dolori articolari
— iperidrosi, ipertricosi
— evtl. tolleranza patologia al glucosio (60% dei casi), diabete mellito (10-15% dei casi)
— amenorrea secondaria.
Radiologia
— ingrossamento delle cavità paranasali
— ispessimento della corticale delle ossa di mani e piedi
— cardiomegalia alla radiografia del torace.
Diagnosi
1. Valutazione ormonale:
— aumento del GH plasmatico; a causa della secrezione pulsatile, è necessario determinare più valori nel
corso della giornata
— mancata soppressione della liberazione di GH dopo carico di glucosio (test orale di tolleranza al
glucosio): GH normale < 2 ng/ml
— aumento di IGF-I
— verifica delle restanti funzioni ipofisarie parziali, al fine di escluderne una insufficienza.
2. Diagnostica di localizzazione: documentazione di un adenoma ipofisario mediante RMN, TC.
Terapia
1. chirurgica: adenomectomia transfenoidale
2. terapia radiante: convenzionale oppure radiochirurgica stereotattica (ad es. «gamma knife»)
3. tentativo di inibizione farmacologica della secrezione di GH:
— antagonisti della dopamina: ad es. bromocriptina, hanno successo solo nel 20% dei casi
— analoghi della somatostatina: ad es. octreotide, anche per somministrazione depot (1 al mese).
IPOPITUITARISMO
Definizione
— panipopituitarismo: insufficienza funzionale globale del lobo anteriore dell’ipofisi, con quadro clinico
completo
— ipopituitarismo parziale: insufficienza parziale limitata ad alcune funzioni del lobo anteriore dell’ipofisi (è
la forma più frequente).
Clinica
A) Insufficienza cronica del lobo anteriore dell’ipofisi
Prima che si giunga a sintomi clinici da deficit ormonale periferico deve essere distrutto l’80% del lobo
anteriore dell’ipofisi.
— deficit di GH nel periodo dell’accrescimento: nanismo ipofisario (l’intelligenza e le proporzioni somatiche
sono normali)
— deficit di GH nell’adulto: aumento del tessuto adiposo, riduzione del tessuto muscolare; adinamia;
iperlipidemia, ipoglicemia; evtl. depressione; aumento del rischio di arteriosclerosi, aumento del rischio di
osteoporosi
— ipogonadismo secondario (riduzione delle gonadotropine LH e FSH): amenorrea secondaria, perdita
della libido e della potenza, scomparsa delle caratteristiche pilifere secondarie
— ipotiroidismo secondario (riduzione del TSH): intolleranza al freddo, bradicardia, astenia, ecc.
— insufficienza corticosurrenalica secondaria (carenza di MSH e ACTH): adinamia, calo ponderale, pallore
cereo da depigmentazione, ipotensione arteriosa, ecc.
— il deficit di prolattina nella donna che allatta provoca agalattia.
Diagnosi
1. anamnesi e clinica
2. diagnostica funzionale endocrinologica: oltre ad un ridotto valore basale degli ormoni dell’ipofisi
anteriore, vi è anche un
deficit della loro risposta alla somministrazione dei releasing hormone specifici
3. diagnostica di localizzazione ipofisaria (esclusione di un tumore): RMN, TC.
Terapia
1) Terapia causale: ad es. trattamento del tumore ipofisario.
2) Terapia sostitutiva degli ormoni carenti
DIABETE INSIPIDO
Definizione
Ridotta capacità dei reni a produrre, in caso di sottrazione di liquidi, urina concentrata, dovuta alla
mancanza di ADH (diabete insipido centrale) oppure alla mancata risposta dei reni all’ADH (diabete insipido
renale).
Patogenesi
La causa del diabete insipido centrale è il deficit di ormone antidiuretico (ADH = adiuretina = arginina-
vasopressina), secreto dal lobo posteriore dell’ipofisi. Per questo motivo non risulta possibile la
concentrazione dell’urina dipendente da ADH nel tubulo distale e si ha una aumentata secrezione di urina
diluita (poliuria) e contemporanea incapacità di concentrazione urinaria (astenuria). Dal punto di vista della
regolazione osmotica si ha una polidipsia forzata.
Il diabete insipido nefrogeno consiste in una risposta alterata deficitaria del tubulo distale all’ADH (difetto
dei recettori per l’ADH).
Clinica: triade tipica:
• poliuria (5-25 l/24 h)
• sete intensa con polidipsia
• mancata capacità di concentrazione delle urine (astenuria).
Diagnosi differenziale
1. polidipsia psicogena
2. diabete mellito (diuresi osmotica)
3. uso errato di diuretici.
Diagnosi
Terapia
1. del diabete insipido centrale:
a) causale: trattamento della malattia di base nelle forme sintomatiche
b) sintomatica: desmopressina, analoghi della vasopressina per via intranasale o orale
2. del diabete insipido renale:
a) terapia causale!
b) sintomatica: tentativo con diuretici tiazidici o antiflogistici non steroidei.
SINDROME DI SCHWARTZ-BARTTER
Sinonimo
SIADH = sindrome da inappropriata secrezione di ADH
Definizione
Secrezione di ADH patologicamente aumentata con ritenzione idrica e iposodiemia da diluizione.
Eziologia
— paraneoplastica (soprattutto carcinoma bronchiale a piccole cellule - 80% dei casi)
— secrezione ipofisaria inappropriata di ADH: malattie polmonari (ad es. polmonite), disturbi neurologici
centrali (ad es. meningite, apoplessia, ecc.), da farmaci (antidepressivi triciclici, carbamazepina, vincristina,
ciclofosfamide, ecc.).
Clinica
Una parte dei casi decorre in modo asintomatico (reperto occasionale di laboratorio).
Terapia
A) causale:
in caso di malattie infiammatorie miglioramento spontaneo dopo terapia della malattia di base
B) sintomatica:
— restrizione dell’apporto di liquidi (500-800 ml/die)
— in caso di SIADH sintomatica, eventuale tentativo terapeutico con antagonisti dell’ADH, che inibiscono
l’effetto renale dell’ADH; ad es. demeclociclina
— solo in caso di intossicazione da acqua con pericolo di vita (sodiemia < 100 mmol/l) prudente infusione di
soluzione ipertonica di NaCl e somministrazione di furosemide per aumentare la diuresi (in caso di aumento
troppo veloce della
sodiemia, pericolo di mielinolisi pontina centrale).
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
Il termine FUO fu introdotto nel 1961 da Petersdorf e Beeson per indicare una febbre con 3 caratteristiche:
1. rialzo termico = o > a 38,3° C, riscontrato in più occasioni;
2. durata > di 3 settimane;
3. impossibilità di formulare diagnosi dopo 1 settimana di accertamenti in pz ricoverato.
Dopo 30 anni (1991) Durack e Street hanno proposto una nuova classificazione tuttora in uso, con 4
differenti forme di FUO, caratterizzate da un comune rialzo termico = o > a 38,3° C riscontrato in più
occasioni e altre peculiari caratteristiche:
1. FUO nosocomiale/ ospedaliera -> pz ricoverato in terapia acuta, nessuna infezione
presente o in incubazione al momento del ricovero, almeno 3 gg di indagini
diagnostiche negative;
2. FUO neutropenica -> pz con neutrofili = o < 500 mm³ (o previsti entro 1-2 gg), almeno 3
gg di indagini senza che venga trovata la causa;
3. FUO associata ad HIV -> pz sieropositivo per HIV, almeno 3 gg di indagini se pz
ospedalizzato o 4 settimane di accertamenti se pz ambulatoriale negativi;
4. FUO classica -> tutti gli altri pz.i con febbre per 3 o più settimane, almeno 3 visite
ambulatoriali o 3 gg di indagini senza riscontri positivi circa la diagnosi.
EZIOLOGIA E D.D.
Le cause di FUO classica possono essere divise in 4 grandi gruppi:
Infezioni (+ frequenti – 30-40%)
Neoplasie (20-30%)
Disordini infiammatori sistemici – malattie di carattere infiammatorio/ autoimmune/ reumatologico
(10-15%)
Miscellanea
Circa il 25-30% rimane non diagnosticato, e quindi indicabile col termine FUO in senso stretto.
In relazione al tipo di FUO esistono naturalmente cause più o meno probabili e frequenti. Inoltre studi
hanno dimostrato che più lo stato febbrile si protrae, più diminuiscono le probabilità che si tratti di
un’origine infettiva.
L’eziologia è da mettersi in relazione anche con l’età del pz: nell’anziano infatti sono più frequenti sia il
primo gruppo di cause (TBC in testa), sia soprattutto il secondo (Ca del colon + frequente) e il terzo (arterite
a cellule giganti in particolare), mentre nel giovane aumentano i casi di miscellanea e quelli non
diagnosticati.
Rispetto alla durata e all’andamento della febbre, i casi di FUO ricorrente sono i più difficili da diagnosticare.
Nella tabella sottostante sono indicate le cause che più frequentemente originano FUO classica, divise per
categorie eziologiche [2]:
Per quanto riguarda invece gli altri tipi di FUO, le cause più frequenti sono:
FUO nosocomiale (50% infezioni) -> febbre da farmaci, colite da Clostridium difficile, tromboflebite
settica, sinusite, reazione a trasfusioni, embolia polmonare, colecistite;
FUO neutropenica -> aspergillosi, candidemia, infezioni perianali;
FUO associata ad HIV (80% infezioni) -> febbre da farmaci, TBC, MOTT, linfoma non-H, CMV,
toxoplasmosi, infezioni polmonari da P. carinii.
Nella tabella sono riportati alcuni dei farmaci che più frequentemente possono essere associati a una FUO,
quindi dare la cosiddetta febbre da farmaci. Bisogna tener presente che è possibile osservare qualsiasi
andamento febbrile, con o senza eosinofilia ed eruzione cutanea.
Solitamente la febbre da farmaci compare dopo 1-3 settimane di terapia e regredisce dopo 2-3 gg dalla
sospensione.
APPROCCIO DIAGNOSTICO
Cercando di standardizzare il percorso diagnostico, si può suddividerlo in 3 fasi:
1a FASE:
Anamnesi: con particolare attenzione alla professione, ai viaggi all’estero, contatto con
animali, farmaci in uso, pregressi interventi chirurgici/odontoiatrici/traumi.
SINTOMI
La presentazione clinica è molto importante per un percorso diagnostico più mirato:
febbre+brividi+sudorazione notturna+calo ponderale ma non di appetito → fanno
sospettare più un’infezione
febbre+astenia marcata+calo ponderale e appetito+sudorazione notturna →
sospetto di FUO di natura neoplastica
febbre+artralgia+mialgia+dolore addominale → origine infiammatoria/
reumatologica
Esame obiettivo: soprattutto cute (esantema, ascesso), ferite se presenti; cavità paranasali
(percussione dolorosa); cuore (soffi patologici); linfonodi (palpabili); fegato e milza;
esplorazione rettale ed eventuale visita ginecologica; sedi di cateteri.
Ripetute rilevazioni della temperatura (6 vv/ die): alla presenza di personale medico.
Diversi tipi di febbre (senza terapia):
continua: oscillazioni giornaliere < a 1° C (infezioni batteriche e
virali gravi)
remittente: oscillazioni giornaliere > a 1° C (sepsi, TBC miliare)
intermittente: oscillazioni giornaliere > a 2° C con brividi e/o
reazione circolatoria tipica della sepsi-ipotensione (endocardite
batterica)
periodica: intervali con assenza di febbre (malaria)
ondulatoria: decorso ondulatorio con intervalli di più gg (brucellosi,
linfoma H)
Diagnostica di base
- esami di laboratorio: emocromo+formula, VES, PCR, funzionalità epatica, LDH, creatinina,
proteine totali, esame chimico-fisico standard delle urine
- imaging: Rx torace, ECO addome
- esami colturali: urinocoltura, emocoltura (almeno 3), coprocoltura
2a FASE:
o Diagnostica ampliata:
- ricerca sangue occulto nelle feci
- esami di laboratorio: funzionalità tiroidea, elettroforesi sierica, fattore reumatoide,
ferritina, auto-Ac gruppo ENA (ANA, anti-ds-DNA, anti-Sm, …), frazioni complemento C3-C4
- screening sierologico: EBV, CMV, HIV, HBV, HCV, toxoplasma, brucella, leptospirosi,…
- diagnostica TBC: PPD-test cutaneo, analisi espettorato
- imaging: ECOcardio trans-esofageo (endocardite, mixoma atriale), ECO pelvi, Rx seni
paranasali
3a FASE:
Diagnostica tecnica e invasiva ampliata:
- imaging: TC addome e torace (linfoma, ascesso), endoscopie app. gastro-intestinale,
scintigrafie (con tecnezio, gallio o leucociti marcati) polmonare o dello scheletro
(osteomielite, metastasi) o total body (ascessi)
- biopsie: fegato –laparoscopia (ascesso, epatite granulomatosa-funzionalità epatica anche
nella norma, TBC miliare); LNF –più predittivi quelli sovra-clavicolari o cervicali posteriori o
epitrocleari (linfoma, TBC); BOM (mieloma multiplo, pre-leucemia LMA, istoplasmosi
disseminata, altri disordini mieloproliferativi); arteria temporale (arterite)
- laparoscopia esplorativa: da alcuni anni soppiantata dalle moderne tecniche di imaging e
possibilità di biopsie mirate (fino a pochi anni fa considerata necessaria se altre
diagnostiche avevano fallito [3].
PROGNOSI
La FUO può risolversi spontaneamente o a seguito di terapia più o meno mirata, può anche diventare
ricorrente (spt. eziologia infiammatoria/reumatologica). Se la durata supera l’anno con o senza terapia, è
molto difficile un’eziologia infettiva, mentre se di origine neoplastica può persistere per anni.
Generalmente prognosi buona se durata > a 6 mesi (a prescindere dall’avvenuta diagnosi), benché la febbre
possa essere molto fastidiosa per il pz.
TERAPIA
Vanno privilegiate l’osservazione e l’esecuzione degli accertamenti sopra-elencati, evitando finchè possibile
terapie “d’urto” empiriche, che possono anche arrivare amascherare una FUO (spt. FANS e glucocorticoidi).
Dev’essere sospeso se possibile l’uso di cateteri, o questi devono essere sostituiti (previo tampone punta da
analizzare); inoltre è utile sospendere tutti i farmaci possibili (almeno per 72 ore), per evitare FUO da
farmaci.
Secondo le linee-guida [7] dell’IDSA (Infectious Diseases Society of America), che prevedono la terapia
antibiotica empirica per i tipi di FUO, questi casi dovrebbero essere trattati con:
se mono-tp -> cefalosporina di terza o quarta generazione (Ceftazidime o Cefepime rispettivamente),
oppure Imipenem, oppure Piperacillina-Tazobactam
se in poli-tp -> come sopra più Vancomicina (spt. per Stafilococco aureus meticillino-resistente)
Secondo le stesse linee-guida, tuttavia, la Vancomicina dovrebbe essere aggiunta solo in determinati casi:
-polmonite
-infezioni legate a presenza di cateteri
-infezioni tessuti molli o cute
-instabilità emodinamica
Nel pz neutropenico per tempo > a 7 gg, è necessario procedere ad una tp profilattica proprio per evitare
stati febbrili con Ciprofloxacina unitamente ad Itraconazolo.
ALGORITMO DIAGNOSTICO:
anamnesi approfondita+E.O.
infezione altro
neoplasia infiammazione/
m. reumatologica
Bibliografia:
[1] Harrison, vol.2, cap. 125, J. A. Gelfand; pagg. 946-952.
[2] B. A. Cunha (2007). FUO: focused diagnostic approach based on clinical clues from the history, physical
examination and laboratory tests. Infect Dis Clin N Am, 21: 1137-1187.
[3] J. E. Arch-Ferrer, D. Velazquez-Fernandez, J. Sierra-Madero et al. (2003). Laparoscopic approach to fever
of unknown origin. Surg Endos, 17: 494-497.
[4] D. C. Norman, M. B. Wong, T. T. Yoshikawa (2007). FUO in older persons. Infect Dis Clin N Am, 21: 937-
945.
[5] S. Tal, V. Guller, A. Gurevich (2007). FUO in older adults. Clin Geriatr Med, 23: 649-668.
[6] www.aafp.org/afp (American Academy of Family Phisicians). A.R. Roth, G. M. Basello. Approach to the
adult patient with FUO.
[7] www.idsociety.org (sito dell’IDSA, Infectious Diseases Society of America). Linee-guida per il trattamento
della FUO.
Marzo 2008
La febbricola
Definizione
Si tratta di una sindrome morbosa di più o meno lunga durata, poco nulla incidente sulle condizioni generali,
in genere di difficile diagnosi relativamente alle usuali tecniche cliniche e di laboratorio, il cui sintomo,
spesso unico, talvolta principale e dominante, accompagnato di solito da perturbazioni metaboliche di
scarsa entità, è costituito da un aumento della temperatura corporea oscillante tra i 37-38°C.
Questa definizione comprende le 5 proprietà che caratterizzano una vera febbricola, e cioè:
1. Limiti entro confini ben definiti (tra i 37-38°C) del movimento febbrile, prescindendo dalle
oscillazioni giornaliere della temperatura del corpo umano e dal livello termico individuale.
2. Durata del movimento febbricolare per un certo tempo (come limite minimo convenzionale 1
mese).
3. Caratteristica difficoltà diagnostica interpretativa relativamente agli usuali esami clinici e di
laboratorio.
4. Presenza di un complesso di alterazioni metaboliche quali si hanno nella vera febbre
aumento del metabolismo basale con aumentata distruzione proteica, aumento dell'azoto urinario
ed eliminazione aumentata di ammoniaca, acido urico, aminoacidi;
modificazioni del metabolismo glicido e lipidico, accentuata glicogenolisi epatica e muscolare e
maggiore mobilizzazione di acidi grassi dai depositi adiposi con conseguente chetonuria e nel caso
di febbri prolungate acidosi metabolica;
riduzione della diuresi per la maggiore eliminazione di acqua sia per via respiratoria sia con il
sudore e quindi emissione di urina ad alto peso specifico;
modificazioni chimiche e morfologiche del sangue, della riserva alcalina e delle secrezioni
ormoniche;
disturbi circolatori (alterazione del tono vasale e tachicardia) e respiratori (polipnea per compenso
all'acidosi metabolica);
5. Evoluzione in individui che, in genere, conservano uno stato generale soddisfacente e spesso
veramente buono così da dare l'impressione clinica che il movimento febbricolare poco o nulla
incida sulle loro condizioni generali.
Eziologia e classificazione
La seguente classificazione, che ha il pregio indiscutibile di una relativa semplicità, oltre a rappresentare
una realtà clinica e pratica, traccia già in partenza la linea da seguire per diagnosticare una sindrome
febbricolare.
I quattro gruppi, febbricole tossinfettive in senso lato, neurovegetative, da malattie sistemiche e miste
infettivo-neurovegetativo comprendono tutte le sindromi febbricolari esistenti; all'infuori di esso non
esistono praticamente altre forme.
Le febbricole, una volta definite indeterminate o di natura indeterminabile o indiagnosticabili,
rappresentano un evento in realtà assai raro e che va restringendosi a poche isolati casi eccezionali la cui
esistenza è molto probabilmente legata a cause e difetti organici ancora imperfettamente conosciuti o
addirittura ignorati.
La frequenza si può calcolare intorno al 2-3 % dei malati, relativamente ai dati desunti dalla statistiche
ambulatoriali, dato che questi pazienti difficilmente ricorrono al ricovero ospedaliero.
Le febbricole tossinfettive e quelle da malattie sistemiche rappresentano nella casistica circa l'80% dei casi;
le forme neurovegetative circa il 20%; le forme miste infettivo-neurovegetative costituiscono un numero
molto esiguo e pertanto di entità trascurabile.
Per quanto riguarda il sesso, su cento febbricole di ogni tipo, le donne costituiscono in genere il 75-85% dei
casi, sia perché si osservano più minuziosamente degli uomini sia per una particolare reattività del loro
sistema linfatico e del loro sistema endocrino, sia per la maggiore morbilità in esse, della colecisti e
dell'apparato genito-urinario.
L'età più frequentemente colpita è quella tra i 20 e i 30 anni.
La durata della febbricola è varia: da pochi giorni, a qualche mese, a qualche anno ( anche fino a 10-12
anni).
I fattori esterni e ambientali sono costituiti, sia dalle influenze termiche- stagionali, sia da particolari
momenti emozionali agenti su condizioni di neurolabilità costituzionale.
Condizioni fisiologiche causa di rialzi termici transitori possono essere: la dentizione, l'alimentazione, la
crescita, la digestione, il lavoro muscolare, lo sviluppo puberale, la mestruazione (febbricola pre-mestruale,
mestruale vera, ovulare (coincidente con la deiscenza del follicolo dal 6° al 17° giorno) , intermestruale etc);
la gravidanza e la menopausa possono essere causa di febbricole.
febbricole da infezione (febbre tifoide, paratifoidi, maltese, infezioni varie da Coli, malaria,
influenza, ebv, lue).
Febbricole neurovegetative
In queste febbricole il movimento termico è spesso accompagnato da un corteo sintomatologico a carico
del sistema neurovegetativo ed endocrino abbastanza caratteristico.
Comprendono:
febbricole neurovegetative pure, caratterizzate dal complesso dei disturbi della cosiddetta
distonia neurovegetativa. Questi disturbi, o turbe, o stigmate neurovegetative, possono esplicarsi
attraverso la più varia e polimorfa sintomatologia i cui caratteri fondamentali sono però costituiti
da alterazioni funzionali di vari organi senza lesioni anatomiche di essi clinicamente dimostrabili. La
cefalea capricciosa, spesso di tipo emicranico, l'astenia fisica e psichica, la svogliatezza, i capogiri, la
facile emotività, anche per cause minime, l'insonnia, i dolori più o meno vaghi come le più strane
localizzazioni variabili, i disturbi vasomotori, a carico principalmente delle estremità fredde, livide e
sudoranti, l'anoressia, il senso di peso dopo i pasti, le digestioni laboriose, la pirosi, le nausee, i
conati di vomito, le scariche diarroiche o accessionali, le varie dolenzie addominali, le eruttazioni, le
mosche volanti (miodesopsie), i ronzii agli orecchi (acufeni), la dispnea accessionale senza causa
apprezzabile, il deperimento, la cenestesi alterata, l'instabilità termica rappresentano le
manifestazioni più frequenti di questa particolare sindrome morbosa suscettibile di facile
riconoscimento attraverso una così ricca e polimorfa sintomatologia.
f. neuro-endocrino-vegetative (soprattutto ipertiroidismo e raramente in altri disturbi endocrini
quali ipotiroidismo, insufficienza ovarica sia primitiva che secondaria [febbricola ovarica, f. tiro-
ovarica, f. ipofisi-tiro-ovarica], ipoparatiroidismo, ipersurrenalismo, iposurrenalismo,
iperpituitarismo [f. ipofisaria]).
f. neuro vegetativo vasomotorie ( psicogene, isteriche).
f. neurovegetative periodiche stagionali: sia di tipo estivo che di tipo invernale, dovute ad una
deficienza o ad una mancata produzione da parte della tiroide, nel periodo stagionale relativo, dei
due ormoni termoregolatori e cioè, la termotirina A e B. Le tipiche ricorrenti variazioni stagionali di
queste febbricole, che non dipendono dalle variazioni stagionali della temperatura ambientale, si
verificano, nel maggior numero dei casi con f. presente e perdurante soltanto nel periodo ottobre-
novembre fino al marzo-aprile dell'anno successivo (di tipo invernale); in un minor numero dei casi
la f. è presente nel periodo marzo-aprile fino all'ottobre-novembre dello stesso anno (di tipo
estivo).
Si fonda su
accurata indagine anamnestica centrata sull'attuale sintomatologia e i pregressi stati morbosi,
specie TBC; su disfunzioni endocrine, sulle caratteristiche del movimento febbrile rispetto alle varie
attività fisiologiche, alle fasi mestruali, alle ore del giorno, alle stagioni, al clima, all'altitudine, alla
attività fisica e psichica;
raccolta dei dati obiettivi accuratissima in tutti i casi, specie nei riguardi della febbricola la quale
dovrà essere esattamente misurata per via ascellare o bi ascellare o meglio rettale, ogni 2-3 h per
poter stabilire nel soggetto la curva termica quotidiana e la zona termica individuale (compresa tra i
valori massimi e minimi giornalieri della temperatura corporea)
esami collaterali e di laboratorio che costituiscono un prezioso aiuto. In ogni portatore di febbricola
devono essere sempre eseguiti una routine con emocromo, glicemia, assetto lipidico, funzionalità
renale ed epatica, indici di colestasi e citolisi, un esame delle urine, la VES; inoltre valutando caso
per caso andrà effettuata la Mantoux o il QuantiFERON, l'esame ORL, l'esame ginecologico, le siero
agglutinazioni, l'emocoltura (più volte e possibilmente durante l'acme febbrile), il metabolismo
basale, e RX torace. Ancora potranno essere eseguiti una visita odontoiatrico, l'ecg, altre indagini
radiografiche, il tampone tonsillare, urino e coprocoltura, etc.
Se necessario si procederà ad eseguire ecografie, TC e RMN.
Circa la febbricola TBC, evenienza clinica oggi non troppo frequente, possono esse utilizzati i seguenti dati:
precedenti tubercolari ereditari o familiari;
- precedenti tubercolari ambientali e personali o chiaramente tubercolari o sospetti di tal natura;
sintomi accessori accompagnanti la febbricola (anemia ipocromica, astenia intensa, anoressia,
sudorazioni profuse, dolori vaganti toraco-addominali, facile e frequente tachicardia, segni di
ipertiroidismo [basedowismo]) e dovuti alla tossiemia TBC;
i sintomi soggettivi e obiettivi di scarso rilievo, il caratteristico andamento della f. di tipo francamente
pomeridiano, accentuantesi con lo sforzo fisico, nel periodo pre mestruale, con le emozioni;
la positività delle prove tubercoliniche, l'aumento della VES, la benefica influenza del clima di altitudine;
le indagini radiologiche.
La febbricola luetica raramente oltrepassa i 38°C, si accentua nelle ore pomeridiane, preceduta da leggeri
brividi di freddo o da sensazione di freddo alle estremità, con dolori ossei diffusi e cefalea spesso insistente.
Questi disturbi si accentuano nelle ore notturne e cessano con sudorazione discreta nelle prime ore del
mattino.
La febbricola rappresenta, nella pratica clinica del Medico di Medicina Generale, uno dei problemi
più frequenti.
Numerose e differenti possono essere le cause.
L'età, la storia clinica individuale, gli eventuali fattori di rischio presenti, gli elementi obiettivi che
emergono in occasione di una accurata visita medica, orientano la diagnosi.
Infezioni dell'orecchio-naso-gola o del tratto genito-urinario, rappresentano una causa
relativamente frequente.
Vanno ovviamente valutate anche le ipotesi di un problema polmonare o internistico in senso lato
(malattie del connettivo, del sangue, della tiroide, del tratto digerente, infezioni cardiache, renali
ecc.).
Raramente, una causa di febbre di ndd é la TBC.
Infine, vi sono le neoplasie ma queste ultime rappresentano una causa importante soprattutto negli
anziani (rara nei giovani).
Occorre iniziare da esami di routine: emocromo, VES, transaminasi, protidogramma, ecc., un RX
torace standard in 2 proiezioni, un tampone faringeo con antibiogramma, una urinocoltura con
Antibiogramma, e via via, ulteriori accertamenti.
Occorre ricordare che molto spesso febbricole possono essere causate da fatti neurovegetativi
legate ad ansia, distress, depressione, con prognosi assolutamente favorevole.
Bibliografia:
PONTIERI, “Fisiopatologia generale”, ed. Zanichelli (2°ed.1998).
Enciclopedia medica italiana, ed. Sansioni edizioni scentifiche (1960).
Lo Prende l’abitudine di sottoporsi a fatiche più estenuanti prima di andare a letto (jogging,
Stakanovista: palestra, nuoto)
Il Ribelle: Rifiuta ogni trattamento medico (timore di assuefarsi) e cerca di indurre il sonno con
metodi tradizionali (lettura)
Il Curioso: Tenta diverse vie “non ortodosse”, del tipo pozioni antiinsonnia, rimedi omeopatici,
agopuntura e altro
Ci sono 3 approcci all’insonnia,ma,in genere è il terzo ad essere più utilizzato,cioè quello farmacologico.
TERAPIA:
A) TERAPIE COGNITIVO-COMPORTAMENTALI
• Tali terapie sono indirizzate verso quei fattori non causali ma che contribuirebbero a mantenere lo
stato di insonnia:
– A) Controllo dello stimolo: assume che l’insonnia è dovuta ad una risposta errata verso
fattori come l’orario, l’ambiente della camera da letto, errate abitudini; implica processi di
apprendimento e riassociazione tra letto e sonno;
– B) “Sleep-restriction”: mira a far sì che l’insonne possa gradualmente abituarsi a vivere a
proprio agio con un numero di ore di sonno minori di quelle solitamente richieste;
– C) “Rilassamento”: assumono che l’insonne sia un “ipereccitato”; si tenta di rilassarlo in
vario modo (massaggi, musicoterapia, sedute di gruppo).
Sono dei metodi che si provano prima di ricorrere alle terapie farmacologiche.
B)IGIENE DEL SONNO
• Evitare rumori eccessivi (discontinui)nella stanza da letto;
• Uso moderato di tè e caffè, da evitare almeno 6-8 ore prima di andare a letto;
• Evitare l’eccesso di alcoolici (possono favorire l’addormentamento, ma spesso si associano –
nell’insonne cronico – a risveglio precoce);
• Evitare di andare a letto con lo stomaco eccessivamente pieno(anche perché se si assumono
farmaci questi avranno meno effetto).
Le benzodiazepine sono sicuramente i farmaci più usati e fra queste il Lorazepam ha il primato.Quelle a
durata breve hanno un effetto più immediato,ma che dura per minor tempo e,quindi,si possono
accompagnare a risvegli precoci.Possiamo usare anche il Diazepam(Valium),che però è più un ansiolitico
che un seativo ipnotico.
Negli ultimi anni sono stati usati anche gli agonisti dei R benzodiazepinici,che però hanno un effetto minore
rispetto alle benzodiazepine,anche se la differenza è minima.
In caso di resistenza a buone dosi di benzodiazepine si può ricorrere all’anti-depressivo,ma solo in questo
caso.
Una volta si usavano molto anche i barbiturici,oggi non si usano più,perché le benzodiazepine sono più
maneggevoli.
EFFETTI COLLATERALI DELLE BENZODIAZEPINE
• Tutte le Benzodiazepine e i loro agonisti recettoriali hanno effetti collaterali;
• Si tratta per lo più di effetti controllabili, che non impediscono l’uso prolungato (solitamente
decenni) di queste sostanze;
• Principali effetti collaterali sono:
– amnesie
– disorientamento
– sonnolenza diurna(che col passare del tempo diventa sempre meno importante)
– sensazione di amaro in bocca
– vertigini
• L’uso prolungato di Benzodiazepine dà sintomi di astinenza alla loro sospensione(quindi,attenzione
a sospenderli troppo bruscamente..conviene sospenderli gradualmente), fra questi:
– tremori
– mancata coordinazione muscolare
– astenia.
Cosa vi sembra?
“Una congestione polmonare” prima possibilità.
Concentrandoci solo sul parenchima: diversamente dalla fibrosi polmonare che normalmente interessa
tutto il parenchima, osserviamo che sono interessate solo le sezioni posteriori del lobo superiore di dx e del
lobo superiore di sx.
“Un edema” è un'altra possibilità, ma l'edema non ha la caratteristica di interessare solo le regioni declivi
(?); qui è proprio appoggiato dietro sulle vertebre.
Può interessare le regioni basse del polmone se il paziente è in piedi, ma le interessa uniformemente, dallo
sterno alle vertebre posteriori.
Qui invece vedete che anteriormente non c'è.
Questa è una tipica immagine di un ARDS ( Adult Respiratory Distress Syndrome) che si caratterizza per la
presenza di un edema interstiziale e/o alveolare, il che vuol dire che abbiamo acqua nell'interstizio
inizialmente, poi può arrivare anche negli alveoli, però non è su base idrostatica ma è su base lesionale.
Vuol dire che l'endotelio polmonare che invece di avere una normale permeabilità all'acqua e alle proteine
aumenta la sua permeabilità e questo aumento di permeabilità a parità di pressione idrostatica che c'è
dentro il circuito polmonare (sapete che i nostri circuiti sono come quelli del riscaldamento e quando vanno
in sovrappressione i riscaldamenti succedono due cose: a) l'acqua non circola; b) se l'acqua non circola i
termosifoni non scaldano e perde nel punto più debole che è proprio l'endotelio capillare polmonare).
L'edema polmonare cardiogeno è su base idrostatica: sale la pressione a livello del circolo polmonare e in
modo particolare nei capillari polmonari ed esce acqua a livello interstiziale e poi negli alveoli; il sistema va
“in sovrappressione” e il punto più debole che è l'endotelio polmonare “perde” [nel parallelismo creato dal
prof. Fra il nostro sistema cardiocircolatorio e i tubi di riscaldamento dei termosifoni], il sangue può
continuare a girare, il cuore non scoppia, ma l'acqua deve andare da qualche parte.
Per questo motivo qualsiasi azione voi facciate per ridurre la pressione interna del circuito è favorevole per
la risoluzione dell'edema polmonare.
La prima cosa che dobbiamo pensare di fronte ad un pz con edema polmonare è che dobbiamo ridurre la
pressione nel circuito, quindi facciamo?
“LASIX”
No! Perché il lasix ha un effetto veno dilatante che riduce immediatamente la pressione, però la prima
scelta generalmente ricade su un nitroderivato o la morfina e anche in questi casi si sfrutta l'effetto
dilatante a livello del circolo polmonare.
In un secondo momento il diuretico avrà anche la funzione di ridurre il volume circolante, ma
attenzione però a fare un diuretico per un edema polmonare su una crisi ipertensiva, perché si tratta di un
pz ipovolemico.
Sapete che un pz ipervolemico [dice proprio così...]... sapete già qst robe vero? Salto.
Io ho un concetto prima di tutto: Non esistono patologie esistono pazienti. I pazienti hanno più patologie,
mai una soprattutto perché curiamo anziani.
Tant'è che noi parliamo di pressione media, in quanto la pressione diastolica nel computo di un'onda
sfigmica conta più della pressione sistolica.
La pressione sistolica durante un atto meccanico del cuore conta un terzo.
Ma è diverso avere 220/70 tra avere 160/110?
se il pz ha anche una P sist normale, ma la diastolica elevata è quello l'importante!
Perché per crisi ipertensiva, su pz precedentemente sani, si intende una P media superiore a 115mmHg
(120 secondo le linee guida americane).
Per fare 120 mmHg di P media, o avete una diastolica robusta o dovete avere una sistolica superiore ai 200
mmHg, perché la P media è uguale a :
Capite che uno con 70 di P diast, prima di arrivare a 120 di P media, deve avere 150 di P differenziale, cioè
220 di P sist.
Questo vale per i pazienti precedentemente sani, per i pazienti precedentemente ipertesi il livello
[immagino di P media] sale ancora prima di trattarlo.
Sapete cosa succede se trattate una crisi ipertensiva su pz iperteso che in realtà non è una crisi ipertensiva?
Il pz perde coscienza perché riducendo la pressione si riduce la perfusione cerebrale.
Quello che porta il sangue nei nostri vasi è la P media, addirittura per le coronarie è la P diast, la P sist non
porta sangue e varia in funzione di diversi fattori: età, dove viene misurata (la P sist nell'arco aortico è
completamente differente che quella dell'arteria radiale, mentre la P media è uguale).
Per questo bisogna parlare pi P media.
Normalmente si parla di shock quando P media < 60mmHg ( 70mmHg per il pz anziano).
Quando trattate un pz anziano, considerate quelli che sono i valori pressori ai quali viaggia di solito, infatti ci
sono molti anziani che sono abituati a vivere con valori di 100 mmHg di P media e allora anche a 80 – 85
mmHg possono andare incontro a shock e diventano oligurici perché il rene è molto pressione dipendente.
Definire un valore soglia per lo shock è quindi per certi aspetti limitante, infatti la definizione di shock ha
una definizione che è indipendente dalla pressione.
Tornando all'ARDS e all'edema lesionale che lo determina precisiamo che è costituisce un esito di
moltissime patologie perché non riconosce un momento eziologico unico, ne ha molteplici:
2. inalazioni di fumi
3. infezioni
4. traumi
5. mancanza di surfattante nel neonato
6. pancreatite
7. ecc...
Molte sono le patologie che possono esitare in ARDS che è solamente un momento fisiopatologico.
Vi arriva questo paziente anziano in tp con claritromicina (sottodosata) prescritta dal medico di base, fa il
triage infermieristico che non è altro che la principale raccolta dei parametri vitali, ma ne manca uno...
Caso clinico
Paziente bianco, maschio, Arduino P. 75 anni (>65) residente in una casa protetta del
Comune, ma autosufficiente
Anamnesi remota
Vasculopatia cerebrale (ictus ischemici con deficit di forza residuo)
Ipertensione arteriosa
Anamnesi recente
Febbre da 3 giorni con peggioramento dello stato mentale e ridotto apporto
idrico e nutrizionale.
Antibioticoterapia iniziata dal medico di base con Klacid (250 mg x 2)
fig.1
Quali sono i parametri vitali, quelli che troviamo nella grafica giornaliera?
Dalla testa ai piedi troviamo:
6. Coscienza (che normalmente non viene registrata come parametro vitale ma all'arrivo in PS viene
valutata
7. Freq Respiratoria
8. Saturazione (storicamente non è considerata come parametro vitale ma recentemente sta
assumendo sempre più importanza per cui mi sta bene)
9. Freq Cardiaca
10. Pressione
11. Temperatura
12. Diuresi (è fondamentale chiedere al pz quando ha fatto pipi l'ultima volta, sperando che si ricordi)
Pz con febbre, ha rumori polmonari a sx, ha un catetere venoso periferico, fa un ECG, l'ematochimico ed ha
una leucocitosi. Per quanto riguarda i parametri emato-chimici, l’unico dato rilevabile è una leucocitosi
caratterizzata da 15.000 GB (fig.1).
Inoltre una cosa che dovete notare è che il disorientamento del pz si è risolto subito con l'ossigeno il che
vuol dire che quell'ipossiemia aveva già un segno clinico.
È molto importante che voi non solo ragioniate per “flag”, in quanto ogni laboratorio ha dei prorpi range di
normalità che si basano valori medi riscontrati nella popolazione. È chiaro che ogni paziente può essere
lontano dalla normalità.
Considerando la creatinina e non avendo dati precedenti, in un paziente di 75 anni 1.2mg/dL di creatinina ci
può stare tranquillamente.
L’emo-gas-analisi viene effettuata con l’ossigeno poiché il paziente si trova in una condizione di grave
ipossiemia (saturazione in aria ambiente pari a 88): se consideriamo che per effettuare un EGA non
influenzato dall’ossigeno somministrato è necessario sospenderlo per 20 minuti, in quanto abbiamo una
riserva funzionale di ossigeno, un paziente anziano come quello del caso potrebbe andare incontro ad una
grave peggioramento dell’ipossiemia e quindi non si deve rischiare.
La terapia adottata, dopo ricovero in pneumologia, consiste nella somministrazione di ossigeno a 4
litri/minuto e terapia antibiotica con Klacid (claritomicina) 500mg due volte/die.
Il sospetto quale era? Una polmonite e qua vedete il suo RX torace.
Se voi foste in guardia medica e foste chiamati per andare a valutare il paziente a domicilio quello che
dovete fare è essenzialmente il triage e la domanda che ci dobbiamo porre è se questo paziente ha o no
un’insufficienza respiratoria acuta e se necessita di ricovero ospedaliero.
Il criterio clinico che in questo caso ci permette di definire l’insufficienza respiratoria è la tachipnea (34 atti
respiratori/minuto) e la saturazione di 88 (se invece fosse stato un paziente affetto da BPCO questo valore
di saturazione è ancora accettabile), ma vediamo ora in dettaglio quali sono le condizioni e parametri che
consentono di identificare un’insufficienza respiratoria.
Dovete considerare che durante il servizio di guardia medica non avete a disposizione l’ossigeno (a meno
che il paziente non facesse ossigeno-terapia a domicilio), ma il saturi metro sì. In questo caso non ci sono
dei numeri magici, ma è la clinica che ci permette di identificare tale quadro e qualsiasi paziente si presenta
con queste condizioni:
1. Agitazione
2. Tachipnea
3. Tachicardia + Ipertensione
4. SpO2 < 90% in AA
Quindi è a rischio di insufficienza respiratorio il paziente che presenta questo quadro clinico, che in realtà
possiamo trovare anche in altre insufficienze d’organo e sono tutti segni di tentativo di compenso,
compreso l’agitazione che è tipica dei pazienti che cercano l’aria e molti vi diranno dammi da respirare .
quando avete a disposizione un saturi metro la scienza dice che una saturazione < 90% in aria ambiente
sono da considerare insufficienze respiratorie, è ovvio che mettendo l’ossigeno anche un paziente con una
saturazione di 94 può avere un’insufficienza respiratoria. Quindi l’insufficienza respiratoria in prima battuta,
in ambiente medico e non intensivo, ha una diagnosi clinica, dopodiché possiamo dare un’entità
all’insufficienza respiratoria, ma un anziano che si presenta con 88 di saturazione, non è confuso, non è
tachipnoico, non è tachicardico, si può pensare che abbia un’alterazione respiratoria di qualche natura, ma
non ha l’insufficienza respiratoria acuta.
Abbiamo detto i segni dell’insufficienza respiratoria acuta in compenso, poi ci sono i segni dell’insufficienza
respiratoria acuta scompensata: immaginate il paziente che invece che agitato si presenta soporoso, è
eupnoico o bradipnoico, è tachicardico e lievemente ipoteso o normoteso, satura 88, in questo caso il
paziente è ipercapnico. La CO2 dà proprio questi sintomi:
Sopore
Riduzione della frequenza cardiaca
ipotensione
Facendo per un attimo una digressione sulla fisiologia respiratoria, tra le funzioni polmonari, le DUE
FONDAMENTALI da considerare in un paziente nel contesto dell’urgenza-emergenza sono nell’ordine:
1) Trasporto di O2 dalla miscela dei gas inspirati al sangue dei capillari polmonari
2) Trasporto di CO2 dal sangue dei capillari polmonari all’atmosfera
Quindi l’insieme di processi che consentono il trasporto dei gas dall’aria ambiente al sangue si può
raggruppare in due momenti, il primo che fa arrivare aria (in particolare ossigeno) all’alveolo e quindi al
capillare alveolare e che dipende dalla ventilazione alveolare, il secondo che permette alla CO2 di essere
rimossa dai capillari polmonari ed essere eliminata attraverso gli alveoli.
Queste DUE FONDAMENTALI FUNZIONI vengono svolte attraverso un insieme di processi fisiologici che
possono essere, per comodità clinica (particolarmente in condizioni di emergenza) riassunti in 2 insiemi:
- VENTILAZIONE ALVEOLARE (Va)
- SCAMBI GASSOSI ALEVOLO-POLMONARI (DL, Va/Q)
L’insufficienza respiratoria si identifica sulla base del meccanismo fisiopatologico che l’ha provocata:
Insufficienza respiratoria ipossiemica
Insufficienza respiratoria ipercapnica
Insufficienza respiratoria ipossiemica- ipercapnica
Acuta o cronica
Nel nostro caso abbiamo un’insufficienza respiratoria ipossiemica (Sp oO2=88 e PaO2=72), ma non
ipercapnica in quanto la CO2 arteriosa è 35. a parte i numeri la diagnosi di insufficienza respiratoria è
innanzitutto clinica e solamente dopo la caratterizzo dal punto di vista numerico.
Per attribuire all’insufficienza respiratoria un carattere intensivo (i.e. gravità dell’insufficienza in atto) e per
poter seguire l’evoluzione indipendentemente dalla quantità di O2 somministrato, si utilizza la seguente
scala:
In condizioni normali il rapporto PaO2/FiO2 (mmHg) è > a 400, perché la PaO2 normalmente è intorno a 95
mmHg e la frazione inspirata di ossigeno è 21/100, se dividete 95 per 0.21, il risultato è maggiore di 400. Se
vi do l’ossigeno, la frazione inspiratoria di ossigeno ad esempio diventa 0.50 la Pa O2 diventa 200 mmHg.
Tutte le volte che questo rapporto va al di sotto di 400 identifichiamo una insufficienza respiratoria, al di
sotto di 150-200 si parla di insufficienza severa e molto severa e necessitano di assistenza meccanica che
può essere fatta con un tubo, con una maschera oppure una tracheotomia. In un reparto di medicina o di
pronto soccorso per derivare la FiO2 si utilizza il sistema Venturi, si tratta di una valvola attaccata alla
maschera dell’ossigeno che fornisce la quantità di ossigeno somministrato; nel nostro ospedale abbiamo
una valvola Venturi che permette di scegliere la quantità di ossigeno da erogare al paziente, fino al 50% di
ossigeno, oltre tali valvole non sono più efficaci. Se non abbiamo a disposizione il sistema Venturi, si utilizza
una formula per derivare la FiO2= 20+4*LO2, ad esempio se sto erogando al paziente 8L di O2, moltiplico 8
per 4 +20= 52, quindi circa il 50%.
È molto importante questa stratificazione perché l’insufficienza respiratoria severa se non siete anestesisti-
rianimatori dura poco, è un paziente che ha bisogno di una assistenza ventilatoria, tanto è che in alcuni
ospedali come a Monza, il paziente viene stratificato in base a questa classificazione e se si trova in
insufficienza respiratoria severa viene mandato in rianimazione, altrimenti viene monitorato in
pneumologia ogni 3 o 4 ore rispettivamente in caso di insufficienza respiratoria moderata o lieve.
La classe 2 è un paziente dove viene chiesto se và in pneumologia il monitoraggio orario. La classe 3 invece
và direttamente in terapia intensiva, mentre per la classe 1 il monitoraggio viene eseguito ogni 4 ore. In un
mondo ideale un paziente con insufficienza severa dovrebbe essere monitorizzato continuamente con un
saturimetro e quando si arriva ad una certa % di ossigeno bisogna attivarsi per fare dell’altro.
Come impostare l’ossigeno-terapia in un paziente che arriva con insufficienza respiratoria ipossiemica?
Quando non risultasse efficace come si procede?
Avete un paziente con insufficienza respiratoria acuta e mettete 8 l di ossigeno, passando da 88 di
saturazione a 96, con 72 di pO2 cosa fate? Riducete l’ossigeno, perché è inutile darlo se non serve, quindi
riducete la frazione di ossigeno, poi cosa fate? Si valuta se la saturazione tiene.
L’ossigeno è un farmaco ed è pochissimo tollerato dai pazienti perché è freddo e secco.
Il valore target per la saturazione è 90, mentre per la PaO2 è 60. Si considera 90 perché è il punto nel quale
la curva di dissociazione dell’emoglobina passa da una fase piatta o semi piatta a una fase pendente.
Qualsiasi peggioramento della funzione respiratoria che tolga un ulteriore gradiente alveolo-capillare di
ossigeno di pochi mmHg farà scendere velocemente la saturazione. Significa che spostarsi in una zona sopra
i 90 permette di essere nella zona di sicurezza, dove anche se aumentate di molto la pressione parziale di
ossigeno non aumentate di molto la saturazione, mentre se siete nella zona pendente qualsiasi piccola
perdita di funzionalità del mio polmone, che si misura in gradiente alveolo-arterioso per l’ossigeno,
determina una grande variazione di saturazione dell’emoglobina. L’ossigeno quindi và regolato per avere
delle saturazioni superiori a 90, ragionevolmente tra 90 e 95. Và usata la minima frazione di O2 possibile
per evitare gli effetti collaterali da O2.
Ricordare 90 di saturazione e 60 di PaO2, questo in condizioni stabili. Se siamo in alta quota, se siamo in
acidosi, se siamo a basse temperature si verifica lo shift della curva dell’emoglobina e la legge 90-60 non
vale più, in quanto la curva dell’Hb si sposta a destra o a sinistra.
Vi suggerisco il seguente algoritmo clinico per porre la corretta diagnosi di insufficienza respiratoria.
La prima domanda da porsi di fronte a un pz con insufficienza respiratoria acuta (segni clinici di IR:
tachipnea, dispnea, tachicardia, agitazione) è:
ha o non ha la PaCO2 aumentata? La CO2 permette di individuare un gruppo di malattie/condizioni che
hanno come momento comune l’ipoventilazione e un gruppo di malattie che hanno come momento
comune il peggioramento del gradiente alveolo-arterioso, che significa che l’ossigeno arriva all’alveolo, ma
questo non riesce ad arrivare in circolo.
Questo algoritmo vi consente di fare diagnosi differenziale e di impiegare il presidio più corretto.
Il nostro pz non aveva la PaCO2 aumentata, quindi ci spostiamo a destra e ci poniamo la seconda domanda:
abbiamo un aumento del gradiente alveolo-arterioso di O2? Il suo rapporto PaO2/FiO2 è o no inferiore a
400? Il gradiente alveolo-arterioso di O2 prevede il calcolo della pressione alveolare di O2, una
semplificazione è il rapporto PaO2/FiO2, quindi la domanda è: il rapporto PaO2/FiO2 è inferiore a 400? Nel
nostro pz era inferiore a 400.
Se la risposta fosse stata no, quindi rapporto PaO2/FiO2 normale, con livelli di PaCO2 normali l’unica
possibilità è che il pz si trovi in condizioni di bassa pressione inspiratoria di ossigeno, questo si verifica in
caso di alte altitudini o quando la frazione inspirata di O2 diminuisce (respirare miscele ipossiche). In questi
casi è un problema di concentrazione di O2 nell’aria che viene respirata.
Con rapporto PaO2/FiO2 inferiore a 400 (gradiente alveolo-arterioso aumentato) bisogna domandarsi se la
bassa P parziale di O2 sia correggibile con la somministrazione di O2.
Dando O2 aumenta la saturazione nel nostro pz? Si, quindi abbiamo un alterato rapporto
ventilazione/perfusione (Va/Q), quindi ci sono degli alveoli che ricevevano poco O2, pur essendo perfusi.
Dando O2 a quegli alveoli che erano poco ventilati il disequilibrio del rapporto Va/Q rimane, ma lo supero
somministrando O2.
Se ho un alveolo che invece di ricevere ad esempio 1 litro di aria al minuto ne riceve 0.5 litri, moltiplicando
0.5 l per 21 (FiO2) ottengo un certo flusso si O2. Se 0.5 l lo moltiplico per una % superiore di O2, ad es. 50,
aumenta il flusso di O2 agli alveoli.
L’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione rappresenta il 90% delle cause di insufficienza
respiratoria nei nostri pazienti; edema polmonare, embolia polmonare, polmonite, versamento pleurico,
asma, tutte queste danno alterazione del rapporto ventilazione/perfusione. Se in un alveolo cala la
ventilazione si modifica il rapporto Va/Q. Supponiamo che si sia dimezzata l’aria che giunge all’alveolo al
minuto, quindi la quantità di O2 al minuto si è dimezzata, per riottenere una normale quantità di O2 al
minuto con un alveolo che ventila la metà bisogna raddoppiare la concentrazione di O2. Il pz mantiene la
sua malattia, ma risponde all’ossigeno. Le cause sono:
Asma
Bronco pneumopatia cronica
Patologie interstiziali
Patologie alveolari (edema polmonare, RDS, alveoliti, polmoniti)
Patologie vascolari polmonari
Se il pz non risponde all’O2 siamo in presenza di uno shunt, quindi c’è una zona del polmone che è perfusa,
ma che non è ventilata. In tal caso somministrando O2 non cambia nulla (6 L=40% di O2, 8 L=50% di O2, 10
L=70% di O2), il pz rimane sugli 88-89 di saturazione, non si modifica. Questo pz non ha un’alterazione del
rapporto Va/Q, ma ha uno shunt.
Le cause di shunt sono:
Edema polmonare massivissimo (alveoli pieni d’acqua che non ricevono aria), perché altrimenti un
po’ d’aria ci entra sempre
Atelectasie polmonari (zona del polmone che collassa, non passa più aria, mentre il sangue
continua ad arrivare), come in caso di pneumotorace o di versamento pleurico massivo, emotorace,
dove non c’è polmone
Shunt intracardiaco, il pz rimane desaturato nonostante si somministri O2, fate un ECO-cardio che
mostra l’apertura del forame ovale
Per valutare se vi è un aumento della PaCO2 devo eseguire un emogas, ma già un pz ipossico e letargico,
con bradipnea dice che la PaCO2 è alta.
Guardate la saturazione dopo aver messo l’O2, oppure fate il rapporto PaO2/FiO2 e se il pz non ha un
gradiente alveolo-arterioso aumentato abbiamo una condizione di ipoventilazione da sola; questa sta
aumentando per via dell’aumento delle patologie neuro-muscolari.
Questi sono pz che non hanno alterazioni del rapporto ventilazione-perfusione o uno shunt, ma hanno
esclusivamente un’ipoventilazione. I pz che fanno oppiacei in ospedale (pz oncologici o chirurgici) hanno
una depressione del centro del respiro, che determina una ipoventilazione. Una volta sospesa la terapia con
oppiacei i pz non hanno nessun problema di funzione respiratoria. I tossicodipendenti che vanno in
overdose da eroina presentano occhi a capocchia di spillo, sono bradipnoici, PaCO2 aumentata, il pz è
letargico, mettete il saturimetro con un po’ di O2 e torna a saturare, ma continua a ipoventilare, fate un
emogasanalisi che mostra un’ipercapnia. Il tossico muore ipercapnico per arresto respiratorio.
Se siamo di fronte a una congestione polmonare più un pneumotorace tipico di un trauma avete insieme
questi 2 momenti, avete sia un’ipoventilazione, sia un peggioramento del rapporto ventilazione/perfusione
e in tal caso il gradiente alveolo-arterioso è aumenteto.
Un pz con embolia polmonare dal punto di vista respiratorio presenta un rapporto Va/Q elevato, quindi gli
alveoli sono ventilati, ma non perfusi (spazio morto).
Prendiamo in considerazione l’unità alveolo-capillare con una situazione di ventilazione e perfusione
normale, quindi poniamo che il rapporto Va/Q sia uguale a 1, questo in un condizioni ideali (1 L di aria al
minuto su 1 L di sangue al minuto). Quando si ha un calo della ventilazione, come ad esempio 0.5 L/1 L si
verifica un mismatch del rapporto ventilazione/perfusione.
Il gas che ne risente è l’O2, perché ha un coefficiente di diffusibilità diverso dalla CO2, mentre la CO2
diffonde rapidamente. Significa che con 0.5 L di aria al minuto tutta la CO2 passa dal capillare all’alveolo,
ma non tutto l’O2 passa dall’alveolo al capillare. Questo per capire che un rapporto Va/Q alterato provoca
grossi problemi all’ossigenazione.
Ora considerate di avere una ventilazione alveolare pari a 0, quindi con Va/Q=0, questa situazione si chiama
shunt. Se l’alveolo inizia a riempirsi di acqua come nell’edema si ha un basso rapporto Va/Q, fino ad
arrivare allo shunt quando l’alveolo è talmente pieno di acqua da impedire totalmente all’aria di penetrarvi.
L’alveolo continua ad essere perfuso, ma non è più ventilato, quindi la CO2 li non riesce ad uscire, ma il pz
con shunt non è ipercapnico, in quanto gli altri alveoli compensano aumentando la diffusione della CO2,
mentre l’O2 si riduce perché gli altri alveoli non riescono a compensare.
Se al contrario abbiamo conservata la ventilazione alveolare, ma non abbiamo flusso di sangue il rapporto
Va/Q diventa uguale a infinito, questo corrisponde allo spazio morto.
Abbiamo visto i 2 estremi del rapporto ventilazione-perfusione.
I nostri alveoli costituiscono una curva normale, dove gran parte degli alveoli ha un rapporto Va/Q=1, una
buona parte ha un rapporto uguale a 0 e una parte ha un rapporto uguale ad infinito (questo nel nostro
corpo normalmente).
Va/Q= ∞ spazio morto
Va/Q= 0 shunt
La maggior parte degli alveoli hanno un rapporto normale che è uguale a 0.8 +/- 1 Deviazione Standard. Al
di fuori di questo range di normalità si parla di mismatch del rapporto ventilazione-perfusione.
Tutte le malattie che danno insufficienza respiratoria danno spostamenti di questa curva.
Lo spazio morto concettualmente fa sprecare aria senza che sul pz si veda nulla: è quello che succede
nell’embolia polmonare in cui il pz ha un emogas sostanzialmente normale se non fosse per l’ipocapnia
perché iperventila…questo nella prima fase, perché nella fase avanzata l’embolia polmonare dà ipossia,
derivante da microinfarti polmonari, che riducono la respirazione del pz e portano il rapporto
ventilazione/perfusione verso lo Shunt; quello che interessa a noi è che il pz con embolia polmonare
normalmente non ha un problema respiratorio, ha un problema cardio-circolatorio e l’obiettivo del clinico è
di evitare che il pz sviluppi uno shock mediante terapia eparinica, mentre nel pz con shock l’obiettivo è
sciogliere il trombo, perché vuol dire che in quel momento la pressione che il cuore dx riesce a generare
perché l’embolo si è impiantato nel vaso non è tale da permettere al pz di avere una buona perfusione. Il
cuore di dx infatti ha una capacità di generare lavoro minore rispetto al sx e se si trova di fronte a resistenze
molto alte si sfianca e provoca uno shock terminale.
VENTILAZIONE MECCANICA
INSUFFICIENZA RESPIRATORIA CASO CLINICO
Se il pz è molto ipercapnico, non ha più capacità muscolare e l’O2 terapia non è più sufficiente, occorrerà
sostenere la respirazione con presidi diversi: a questo proposito, il muscolo che dura di più è il diaframma,
infatti un individuo prima di morire fa un gasping.
Dunque, il pz che va in arresto respiratorio, o più semplicemente ha una miastenia gravis tanto grave da
impedire la respirazione mediante l’attività muscolare, sarà aiutato a respirare, o manualmente o
mediante ventilazione meccanica. Il pz in overdose da eroina, mentre fa effetto l’antagosista naloxone,
verrà ventilato manualmente e nell’arco di circa 10-15 min sia il miastenico, sia il pz in overdose riprendono
la normale capacità respiratoria. Diverso è il discorso del pz con SLA , che solitamente arriva in ospedale
perché ha problematiche parenchimali (polmonite, influenza), la necessità di eliminare CO2 aumenta, ma i
suoi muscoli non sono in grado di eliminarla, quindi per qst pz non è prevedibile che nel giro di pochi minuti
o ore si possa risolvere il quadro.
Esistono due tipi di ventilazione meccanica, invasiva e non invasiva: l’invasiva è praticata attraverso un
tubo, che parte dalla bocca e si posiziona in trachea sopra la biforcazione, ed è assimilabile ad una
tracheotomia. Nella ventilazione non invasiva l’aria non va direttamente in trachea ma segue le vie
fisiologiche (bocca, faringe, laringe), somministrata mediante maschere o caschi.
VENTILAZIONE A PRESSIONE POSITIVA
1. MANUALE (temporanea ..!!!)
2. MECCANICA
- Invasiva
- Non Invasiva
Respiro Pressione
Spontaneo Positiva
Ipotermia
L’ipotermia di definisce come l’abbassamento della temperatura corporea al di sotto dei 35°C. A questa
temperatura, il sistema della termoregolazione si indebolisce perché la risposta fisiologica compensatoria,
per ridurre la perdita di calore è parzialmente inibita. L’ipotermia si distingue in primaria o accidentale, a
seguito di permanenza in un ambiente freddo senza un’adeguata protezione e un’ipotermia secondaria.
I fattori coinvolti nella genesi dell’ipotermia sono:
L’ambiente freddo
Le modificazioni fisiologiche della termoregolazione legate all’età
Farmaci
Le malattie che riducono la produzione di calore,aumentano la sua dissipazione,compromettono la
termoregolazione,riducono l’attività motoria.
I farmaci che possono predisporre i pazienti all’ipotermia sono alcool, antidepressivi, barbiturici,
benzodiazepine, oppioidi, fenotiazine, reserpina.
LA SEPSI
E’ un processo infettivo (noto o solo fortemente sospetto) associato alla comparsa di almeno 2 segni clinici
della Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS):
Temperatura >38°C o <36°C (ipo o ipertermia)
Frequenza cardiaca > 90 bpm
Frequenza respiratoria > 20 atti/min
Globuli bianchi >12.000 o <4.000/mmc(leucocitosi o leucopenia).
Per fare diagnosi di sepsi severa basta solo uno di questi parametri:
SNC: sopore,agitazione,coma
RESP: Pa O2<60 mmHg e/o PaO2/FiO2 <250 mmHg
CVS: PAM <70 mmHg (PAM= Pd+1/3 (Ps-Pd))
COAG: PLT <100.000/mmc
RENE: diuresi <0.5 ml/kg/h e/o creatinina > 2 mg/dl rispetto al valore basale
FEGATO: bilirubina tot > 4 mg/dl
METAB: lattato > 18 mg/dl.
Lo shock settico si verifica quando la sepsi si complica con ipotensione arteriosa non responsiva alla
terapia reidratante (colloidi/cristalloidi). Il problema chiave sta nell’ipoossigenazione d’organo che
non consente il normale funzionamento dello stesso. I pazienti in shock settico necessitano di un
ricovero rapido in unità di terapia intensiva. Nonostante il trattamento intensivo lo shock settico ha
una mortalità del 50%.
Siamo tutti potenzialmente a rischio di sviluppare una sepsi da infezioni minori(influenza, infezioni del
tratto urinario, gastroenterite).
Le persone però maggiormente a rischio sono:
-molto giovani soprattutto i prematuri/anziani
-immunocompromessi (chemiotp,steroidi,farmaci immunosoppressori)
-con piaghe o ferite
-con abitudini di vita non corrette (abuso di alcool,droghe)
-portatori di cvc,drenaggi,cateteri vescicali
-sottoposti a interventi chirurgici
-predisposizione genetica a sviluppare infezioni.
Meccanismi fisiopatogenetici della sepsi
L’aggressione da parte di microrganismi determina l’attivazione di meccanismi pro e antinfiammatori che
sono tra loro strettamente controllati e regolati.
In alcuni pz l’omeostasi di questi due meccanismi è eccessivamente sbilanciata verso la risposta pro-
infiammatoria e il risultato è la SIRS.
Vi sono una miriade di alterazioni che si verificano nella sepsi/shock settico tra cui:
-Vasodilatazione periferica dovuta al rilascio di citochine legate alla presenza del germe.
-Deplezione di volume intravascolare per un aumento di permeabilità dei vasi
-Depressione miocardica inteso come deficit di pompa
-Danno microcapillare legato soprattutto all’attivazione del sistema della coagulazione.
Tutto ciò si traduce con un’ipoperfusione del letto vascolare degli organi vitali e all’ipoperfusione si
associa un’ipossia tissutale quindi l’aumento dell’acido lattico e questo si complica con una disfunzione
mitocondriale nella realizzazione di quella che è l’ipossia citopatica.
L’ipossia è il fattore chiave che porta alla MOF e alla morte del pz.
MOF
La MOF è praticamente la testimonianza che la sepsi è una patologia sistemica: tutti gli organi vengono
colpiti e soprattutto in caso di sepsi severa e shock settico il pz va incontro alla Multiple Organ Failure.
Quali sono le principali fonti di sepsi?
Il Polmone è la principale fonte di sepsi severa (sopratto in pz con una polmonite health-acquired)
L’Addome, soprattutto il piccolo o il grosso intestino ma bisogna porre anche attenzione alle colecisti che
spesso sono piene di fango e calcoli.
Il Tratto Urinario, soprattutto nei diabetici e nei portatori di cv.
La Cute a causa della presenza di soluzioni di continuità legate alla presenza di piaghe da decubito, ferite,
cateteri venosi centrali e periferici.
L’Osso in caso di osteomielite o sinusite.
Il SNC in caso di meningite ed encefalite.
SEPSI
DISFUNZIONE D’ORGANO:
almeno1: SEVERA
RESUSCITAZIONE PRECOCE: SNC sopore, agitazione
A.OSSIGENAZIONE: S.RESP PaO2 <60 mmHg, SpO2 < 90% in AA,
Obiettivo: SpO2 >90% o PaO2 P/F <250
>60mmHg Coagulazione:Plt < 80.000
B.VOLEMIA: RENE: diuresi < 100 ml in 6 ore, creatinina in
Se Diuresi < 0,5 ml/Kg/h o PAM < aumento
65 mmHg infondere colloidi 300 ml FEGATO: bilirubina in aumento
o cristalloidi 500 ml fino a PVC 8
mmHg.
C.TERAPIA ANTIBIOTICA
EMPIRICA
Entro 1 ora dalla comparsa dei
sintomi
D.METABOLISMO
Se Saturazione venosa mista SvO2 <
70% Valutare Hct e trasfondere EC
se Hct <30%. IPOTENSIONE
Valutare isotropi (Dobutamina) PAS < 90mmHg o riduzione dei valori
basali > 40 mmHg.
º Resistente al riempimento idrico
(500 ml/30 min fino a PVC= 8
mmHg)
º Pa sostenuta da infusione di:
Dopamina > 5 mcg/Kg/min o
Noradrenalina
RESUSCITAZIONE
AVANZATA
(TIPO)
Bisogna posizionare un CVC e SHOCK
si deve fare uso di farmaci SETTICO
vasoattivi.
SHOCK
Per shock si intende una riduzione marcata e diffusa della perfusione tessutale con lesioni cellulari
inizialmente reversibili , ed in seguito se le condizioni persistono , irreversibili.
La perfusione tessutale dipende da :
- pompa cardiaca
- volume dei fluidi
- letto vascolare
e qualsiasi evento che alteri una di queste variabili favorisce l’insorgenza di uno stato di shock.
I meccanismi patogenetici si possono sostanzialmente ridurre a :
- Volume circolatorio inadeguato (shock ipovolemico)
- Compromissione del tono vascolare (shock distributivo)
- Deficit critico della portata cardiaca (shock cardiogeno)
- Ostacolo al deflusso ventricolare (shock ostruttivo )
CLASSIFICAZIONE
La diagnosi di shock conclamato è per lo più facile, più complicato può essere individuare gli aspetti clinici
iniziali (riconoscimento e valutazione dello stadio dello shock) .
ADO med int (ventura),
giov 15/05/08 entrambe le ore (14-16),
LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA
Parleremo soprattutto del tromboembolismo venoso; quello arterioso è simile al venoso, anche se ha delle
caratteristiche un po’ particolari, ed è molto meno frequente del venoso.
Cominciamo con un caso clinico: paziente in ottime condizioni generali, giovane (circa 40 anni).
Ad un certo punto comincia ad avere dolore al polpaccio destro. È un dolore che inizialmente assomiglia ad
un crampo; associato ad una contrattura, viene inizialmente trattato con massaggi ed antinfiammatori ma
non passa, anzi, nel giro di una settimana aumenta. Aumenta a tal punto che la mattina, al risveglio, il
paziente fatica ad alzarsi e non riesce ad appoggiare il piede; con un po’ di riscaldamento poi il paziente
riesce a camminare. In una settimana insorge un grande dolore alla gamba, che affligge il paziente anche di
notte. Egli lo avverte come un problema “interno” alla gamba. Il paziente fa un’ECO doppler, alla ricerca di
una trombosi venosa. Esso conferma la diagnosi di trombosi venosa profonda del polpaccio destro.
Teniamo presente che il paziente è giovane! Cosa facciamo? Dobbiamo trovare la causa di tale trombosi e
fare terapia.
Dobbiamo indagare sull’esistenza di una trombofilia, cioè una condizione patologica che potrebbe
giustificare una tendenza a fare trombosi in età così giovane.
La trombofilia può essere congenita (quindi ereditaria) o acquisita.
La prima cosa che dobbiamo verificare è che non ci sia un tumore da qualche parte, quindi facciamo
un’ECO addome, i marcatori neoplastici ed un Rx torace.
Nel paziente in considerazione tutto questo risulta negativo. Tra l’altro il paziente non ha altri tipi di
sintomi, oltre al dolore. Gli esami del sangue sono completamente normali. Rimane il problema della
trombofilia ereditaria. Qui si apre il problema della valutazione della trombofilia ereditaria in una situazione
acuta! Si fa lo studio per la trombofilia ereditaria nel paziente e si trova un deficit della proteina C della
coagulazione (e non quella reattiva), che ha effetto anticoagulante.
Se trovi proteina C ridotta durante una trombosi, pensi che la trombosi sia dovuta alla proteina C o,
viceversa, pensi che quest’ultima si abbassi a causa della trombosi che l’ha consumata? Questa domanda
non ha una risposta. O hai valori molto bassi di proteina C (e allora forse si tratta di un vero deficit), oppure,
se i suoi valori sono intermedi, non abbiamo una risposta quindi dobbiamo rifare gli esami dopo aver fatto
la terapia (che nel mentre dobbiamo chiaramente fare). La trombosi venosa profonda va infatti trattata
perché rischia di estendersi e rischia di dare embolia polmonare.
L’emostasi è il bilancio tra la tendenza all’emorragia e la tendenza alla coagulazione. Nel meccanismo
dell’emostasi entrano diversi componenti: i vasi, le proteine della coagulazione e le piastrine. In condizioni
normali c’è una piccola tendenza all’emorragia ed una piccola tendenza alla formazione del coagulo ed i
due fenomeni sono in equilibrio; nessuno dei due prevale.
Esistono una via intrinseca ed una estrinseca della coagulazione; le due vie confluiscono poi su di una
comune, che alla fine, attraverso l’attivazione della trombina, provoca la trasformazione del fibrinogeno in
fibrina (e quindi abbiamo il coagulo). Il coagulo viene poi progressivamente distrutto attraverso la fibrinolisi,
attivata dalla stessa trombina. Tutti questi sistemi sono interrelati tra loro con meccanismi complessi a
feedback.
La via intrinseca viene valutata tramite l’aPTT, cioè il tempo di tromboplastina attivata, mentre la via
estrinseca tramite il PT, cioè il tempo di protrombina.
Il fatto che i due parametri che usiamo per valutare gli effetti della terapia anticoagulante siano diversi è
importante e dovremo tenerlo presente quando vedremo come si attua la terapia del tromboembolismo
venoso, sia in acuto che in situazione cronico.
Nella malattia tromboembolica qualcosa sposta l’equilibrio di cui abbiamo parlato a favore della trombosi,
quindi il sangue coagula di più.
La trombofilia è una tendenza ereditaria o acquisita a spostare l’equilibrio di cui parlavamo verso la
trombosi. Avremo trombosi quando il potenziale trombotico supera un certo valore soglia. Teniamo
presente che sono importanti i fattori genetici, ma lo sono anche quelli ambientali: il 30-40% dei pazienti
ha un fattore di rischio acquisito, e come tale è un fattore evitabile!
Esistono situazioni in cui pazienti presentano trombosi venose profonde e non se ne trova la causa. È
calcolato che circa il 30-40% delle cause di trombosi venosa rimangono inspiegate. Probabilmente non
sono spiegate perché il meccanismo di coagulazione è talmente complesso che non è ancora del tutto
conosciuto. Ciò è anche avallato dal fatto che continuamente si scoprono nuovi fattori di rischio. Quindi
non vi dovete spaventare per il fatto che in alcuni pazienti, come è il caso del paziente che abbiamo
considerato oggi, pur con tutti gli accertamenti opportuni non si trova la causa.
Abbiamo detto che esiste una forma ereditaria di trombosi venosa. Un aspetto caratteristico di essa è che i
fenomeni trombotici compaiono in età precoce. Quando si tratta di una condizione di omozigosi
chiaramente la situazione ha maggiore gravità: è più facile che le trombosi siano multiple, più gravi, e che
compaiano in giovane età.
Le cause più frequenti della patologia che stiamo trattando sono i deficit di ATIII, di proteina C ed S, e del
fattore quinto di Leiden. Poi abbiamo, tra le cause, la presenza della PT20210A, che è una mutazione della
protrombina che la rende più attiva; poi anche la mutazione del fattore VIII e l’iperomocisteinemia sono
cause di trombofilia.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Le ultime quattro condizioni segnalate nella slide hanno una incidenza non indifferente e notiamo anche
che il rischio relativo del FV Leiden è alto.
La trombofilia ereditaria vede tre possibili meccanismi: o c’è perdita di inibizione, o aumento di funzione,
oppure ci sono altri meccanismi (endotelio?).
Per quanto riguarda la perdita di inibizione, se manca l’ATIII, la proteina C, o la proteina S, o il fattore V di
Leiden è alterato, manca l’inibizione quindi il soggetto coagula troppo. Viceversa nell’aumento di funzione
abbiamo un fattore VIII o una protrombina troppo reattivi, oppure siamo nella condizione di
iperomocisteinemia.
L’iperomocisteinemia può essere dovuta a fattori ereditari (perché per produrre e per smaltire omocisteina
bisogna essere provvisti di certi enzimi). Il più frequente di questi fattori e la mutazione della MTHFR
(metiltetraidrofolatoreduttasi): il 25% della popolazione italiana è portatrice di un deficit eterozigote di
MTHFR, e quindi è potenzialmente a rischio di sviluppare iperomocisteinemia se contemporaneamente
va incontro a deficit di acido folico. Questa mutazione determina il fatto che viene utilizzato un po’
peggio l’acido folico; c’è quindi più bisogno di acido folico e se un soggetto con tale mutazione va in
carenza di acido folico è facile che si determini iperomocisteinemia, la quale può favorire trombosi.
Sia la carenza di folati che di vitamina B12 possono provocare iperomocisteinemia acquisita.
Oltre a quella di tipo congenito ed acquisito, può esserci anche un’iperomocisteinemia mista, quando è
presente sia una carenza di vitamine che un modesto deficit enzimatico.
I test funzionali per la determinazione di alterazioni trombofiliche non dovrebbero mai essere eseguiti
durante la fase acuta di un evento trombotico perché possono essere mascherati dalle modificazioni
dell’equilibrio (tra tendenze a coagulazione-emorragia) dovuti alla trombosi stessa. È chiaro che se ho un
trombo i fattori anticoagulanti saranno stressati al massimo e quindi consumati. Ovviamente tali test non
dovremmo farli nemmeno durante la terapia anticoagulante. Inoltre non dovrebbero essere fatti
nemmeno durante la gravidanza perché fisiologicamente ci possono essere delle alterazioni. Non
dovrebbero essere fatti anche in corso di epatopatie (l’insufficienza epatica è una delle cause più frequenti
di deficit coagulativi perché il fegato è la sede principale di sintesi dei fattori della coagulazione e dei fattori
anticoagulanti); non è quindi strano che un epatopatico abbia PT alterato ed abbia un deficit di proteina C
ed S.
Tutte le volte che vogliamo fare uno screening per trombofilia dobbiamo farlo a distanza di almeno 3
mesi dall’evento tromboembolico venoso acuto e dopo la sospensione da almeno un mese della terapia.
Diagnosi di TVP:
Dobbiamo in primo luogo distinguere tre tipi di TVP: quella agli arti inferiori, quella agli arti superiori e la
TVP in sedi non usuali.
Le tromboflebiti superficiali su vena safena (le varicoflebiti) sono complicanze infiammatorie del fenomeno
trombotico (e non sono propriamente TVP); a volte possono associarsi a presenza di TVP ed hanno
anch’esse un rischio, anche se inferiore, di evoluzione in complicanze tromboemboliche.
Quando abbiamo TVP agli arti inferiori è importante stare attenti alla distinzione che c’è tra TVP di tipo
prossimale e quella di tipo distale, vale a dire se la TVP coinvolge le vene al di sopra della rima articolare del
polpaccio (cioè sostanzialmente le vene femorali) oppure se colpisce le vene distali, cioè quelle al di sotto
del polpaccio cioè quelle al di sotto della rima articolare (la vena poplitea, come nel caso del nostro
paziente). Questo perché il rischio di complicanze tromboemboliche è molto diverso. L’EP si ha molto più
frequentemente in seguito a TVP prossimali rispetto a quelle distali.
Supponiamo di sospettare che un paziente abbia una TVP. Quali sono le armi a nostra disposizione per fare
diagnosi? Il doppler!
Sicuramente poi la flebografia è la diagnosi di certezza; flebografia significa incannulare una vena
distalmente, inserire un mezzo di contrasto, seguirne il decorso fino all’ostruzione della vena.
Oppure abbiamo a disposizione la RMN, che può avere significato in caso di trombosi venose in sedi
inusuali, ad es. nel caso di una TV delle vene ovariche un’ECO doppler può non essere adeguato, a
differenza della RMN.
Il doppler è l’esame di riferimento nelle TV degli arti. In altri casi bisogna pensare di utilizzare le “armi
grosse”, quindi RMN o anche la angioTC.
La RMN serve soprattutto per valutare l’estensione nel caso di una TV ileo-cavale, cioè nei casi in cui una
TVP degli arti possa interessare non solo gli arti ma anche il sistema cavale. Può essere utile anche per una
valutazione del mediastino, teniamo infatti presente che è possibile perfino una TV della cava superiore.
Le tromboflebiti superficiali possono essere pericolose soprattutto quando colpiscono una vena
superficiale, come la safena, per la possibilità che il processo infiammatorio sbilanci il famoso equilibrio di
cui abbiamo parlato generando una trombosi venosa che si può poi propagare in sede profonda e quindi
complicarsi con una TVP.
La varicoflebite è la flebite che complica una insufficienza venosa cronica; essa è generalmente meno
pericolosa.
Tutte le volte che abbiamo un paziente, ricoverato per dispnea, in cui sospettiamo un’EP, sarebbe buona
norma visitare il paziente osservando anche le gambe! Andiamo a vedere se ha segni o sintomi di TVP.
Arriva in PS un paziente di 75 aa con dispnea e tachipnea, esiti di ictus cerebri, che si muove poco ed ha una
gamba un po’ più gonfia dell’altra ma non sono presenti segni precisi di TVP; ha magari una neoplasia nota.
Dobbiamo pensare alla possibilità di una EP.
Quali armi abbiamo per diagnosticare EP?
ECG: se ho EP improvvisamente la pressione nel circolo polmonare sale ed in cuore destro tende a dilatarsi
quindi con l’ECG andiamo a cercare i segni di sovraccarico ventricolare destro; essi non sono molto
frequenti.
Facciamo anche un Rx torace, che si deve fare sempre, anche per fare diagnosi differenziale con altri tipi di
patologie.
EGA, infatti immaginiamo sia facile che ci sia un deficit di ossigenazione del sangue.
Dai banchi vengono poi suggeriti i markers cardiaci e il prof reagisce chiedendoci: supponiamo che il
paziente abbia 0,20 di troponina; possiamo escludere che abbia EP? No! La troponina è un marker di
sofferenza miocardia. Se il paziente ha EP il cuore ne risente: si dilata nei settori di destra e poi non è molto
ossigenato; è quindi verosimile che soffra, tanto più se era già sofferente precedentemente all’EP, quindi si
tratterà si una sofferenza legata all’EP e non necessariamente di un infarto miocardico. I marker cardiaci
possono quindi avere senso ma non sono i primi da fare se ho il sospetto di EP.
D-dimero: è un prodotto di degradazione della fibrina. Ha un valore predittivo negativo alto di EP, cioè è
molto probabile che se il D-dimero è normale, cioè se il test è negativo, la malattia non ci sia, quindi ci serve
per escludere quest’ultima. Se il D-dimero è positivo non facciamo diagnosi di EP perché potrebbe trattarsi
anche di un’altra patologia, però lo teniamo presente perché ci aiuta.
Relativamente all’EGA: l’ipossiemia nell’EP può essere assente perchè posso avere un buon compenso
funzionale. Affinché ci sia l’ipossiemia è necessario che l’EP sia veramente importante o che ci sia una
patologia preesistente.
Mentre arriviamo a diagnosticare un’EP dobbiamo pensare anche a quale può essere stata la sua origine:
atrio destro, perché la fibrillazione atriale può dare EP (motivo in più per fare ECG; in genere si sa già se il
soggetto è fibrillante o no perché spesso si hanno fibrillanti cronici).
La fibrillazione di per sé rallenta il flusso del sangue, che tende a ristagnare e si ha trombosi parietale;
appena riattivi la funzione contrattile normale i trombi si staccano; infatti i cardiologi iniziano la terapia
anticoagulante prima di convertire una fibrillazione atriale.
Sicuramente andiamo a cercare la trombosi negli arti inferiori ma questa può essere anche in altre sedi
(anche a livello della cava inferiore o superiore) quindi bisogna anche considerare la possibilità di fare una
(angio)TC total body.
Score di wells: è un famosissimo punteggio che consente, dando dei punti ad ognuno dei sintomi e dei
segni che abbiamo visto, o anche a dati di tipo anamnestico, di arrivare ad un punteggio finale che ci aiuta
nel definire la probabilità del soggetto in questione di avere EP. Se tale score è maggiore di 6 la probabilità
di avere EP è alta; se è tra 6 e 2 è moderata; se è inferiore a 2 è bassa.
Esami strumentali:
- Rx torace: nel 15% dei casi di EP è negativo. I segni di Westermark, Palla ed Hampton sono riportati nei
testi migliori di semeiotica radiologica ma il prof non ne ha mai visto uno (slide 57).
(Westermark → pezzo di polmone completamente nero poiché l’EP impedisce la vascolarizzazione di tale
settore; Hampton → l’EP dà una zona triangolare non perfusa per chiusura della relativa arteria polmonare)
- TC spirale (slide 58): è sicuramente importante; vedere esempio su slide: trombo segnalato da freccia. È
molto utile per localizzare i trombi nelle arterie di grosse dimensioni (lobari e segmentarie) e meno utile per
valutare ischemie distali. Il problema è che è costosa, bisogna usare il mezzo di contrasto e deve essere
anche disponibile il radiologo che te la fa velocemente.
- Scintigrafia polmonare (slide 59-63): usa un radionuclide. Si può fare in 2 modi: può essere solo
perfusionale oppure si può aumentare la specificità valutando anche l’aspetto della ventilazione. Si può
vedere in questo modo se il problema è dovuto veramente ad un deficit di perfusione o ad un primitivo
deficit di ventilazione che provoca poi un deficit di perfusione.
La scintigrafia e la TC sono sostanzialmente simili come importanza nella diagnostica; hanno sensibilità e
specificità sovrapponibili, anche se la scintigrafia può essere un po’ più utile nelle arterie distali.
- L’angioTC (slide 64) costa di più della scintigrafia ma il problema è che non in tutti gli ospedali hai a
disposizione entrambe le tecnologie. È più facile che sia presente la TC piuttosto che il centro radioisotopi.
Al policlinico facciamo di più la scintigrafia. Di notte però, per es., si può fare solo la TC. L’angiografia è il
gold standard. È chiaro che non c’è nulla di meglio che iniettare un mezzo di contrasto dentro al vaso per
vedere se è chiuso. L’angiografia polmonare è qualcosa di simile alla venografia, però chiaramente ha dei
problemi non da poco: bisognerebbe fare un cateterismo cardiaco quindi ha un’invasività.
Parliamo dell’eparina standard, cioè la classica eparina che si fa in vena, che trova ancora indicazione in
rare occasioni, ossia quando abbiamo un’embolia polmonare massiva e quando abbiamo una TVP o un’EP
in pazienti con IRC, in cui quindi l’uso di eparina a basso peso molecolare non può essere sfruttato a causa
dell’insicurezza dell’attività farmacologia di tali farmaci.
Le eparine a basso peso molecolare hanno utilizzo sia nella terapia sia nella profilassi del TVP e dell’EP. Gli
anticoagulanti orali vengono in seconda battuta.
Come si monitora l’eparina? Utilizziamo l’aPTT, che è l’esame che esplora la via intrinseca (slide 74). Nel
paziente che ha TVP, 80 aa e 2 di creatinina, quindi un fitrato glomerulare di 25-30, non posso mettere su il
clexane (ossia l’eparina a basso peso molecolare); mi tocca metter su l’eparina normale. Vado poi a valutare
l’aPTT e il rapporto aPTT paziente/cotrollo deve rimanere tra 1,5 e 2,5. Quando metto su l’eparina devo
fare un controllo dell’aPTT dopo sei ore e finchè non raggiungo almeno due valori stabili di aPTT tra 1,5 e
2,5 devo ripetere il controllo ogni sei ore; dopo due valori stabili lo faccio poi ogni 12 ore.
L’altro problema importante dell’eparina è che può portare alla piastrinopenia: una precoce, che è
generalmente benigna e reversibile, ed una secondaria (può insorgere 7-8 gg dopo) che può associarsi
paradossalmente a delle manifestazioni trombotiche. Nel paziente ricoverato nei primi giorni di terapia
valuteremo quindi, oltre all’aPTT, anche l’emocromo. E guardiamo bene le piastrine, oltre all’Hb.
Guardiamo che le piastrine non calino sotto le centomila o che non calino più del 30% del valore iniziale.
Le eparine a basso peso molecolare sono più corte dell’eparina standard (slide 77). Hanno la molecola del
pentasaccaride quindi possono unirsi all’ATIII ed attivarla, quindi attivare il Xa, però, avendo meno di 13
saccaridi nella catena “coda”, non hanno un’inibizione diretta sulla trombina; è proprio per questo che,
generalmente, quando utilizziamo un’eparina a basso peso molecolare non si hanno delle modificazioni
dell’aPTT (si potrebbero avere modificazioni solo qualora vi fosse accumulo del farmaco).
Vantaggi EBPM: slide 78. sono utili! L’infermiera non deve fare ogni 6 ore il prelievo, il medico di guardia
non deve svegliarsi alle 3 di notte a controllare l’aPTT, si fanno 2 volte/die sottocute (non in vena) e
possono essere fatte a domicilio e dal paziente stesso; hanno un minore rischio di piastrinopenia ed un
minor rischio emorragico rispetto alle eparine standard.
L’unico problema è che hanno un effetto anticoagulante che però non è monitorabile e quindi per questo
motivo non possiamo usarle nel paziente con IR. Spesso quando lo usiamo nei pazienti anziani con una
creatinina un po’ alterata ritroviamo poi una complicanza emorragica o un allungamento anomalo
dell’aPTT, che non dovrebbero avere.
Trascuriamo le differenze tra le eparine non frazionate (ENF) e le EBPM (slide 80).
Slide 82: il prof consiglia di tenere a portata di mano la tabella con tutte le eparine presenti in commercio,
con nomi commerciali e dosaggi in terapia o in profilassi. In ospedale nel 95% dei casi utilizziamo il clexane
e nel 5% il fragmin.
Una volta curato un paziente con la TVP, per non mandarlo a casa con la pompa per l’infusione o con le
punture di eparina da fare in pancia con la possibilità che si formino ematomi, gli diamo il Warfarin
(Coumadin), utilizzatissimo. Esso blocca la produzione a livello epatico dei fattori vitamina K-dipendenti.
L’attività della singola compressa da 5 mg di coumadin è molto diversa da persona a persona, perché
chiaramente modificano la disponibilità di esso vari fattori (IR, infiammazioni, assunzione di altri farmaci..).
Il monitoraggio degli anticoagulanti orali è un attento gioco di equilibrismo e fortunatamente a Modena c’è
un ambulatorio dedicato (di Marietta).
Per il Coumadin non monitoriamo l’aPTT ma il PT, espresso come INR (slide 86).
L’INR nella maggior parte dei casi (ossia nella TVP, nell’EP,..) deve essere mantenuto tra 2 e 3 (slide 98); in
altre condizioni invece deve essere mantenuto a valori più alti.
Perché dobbiamo fare la profilassi nell’anziano ricoverato per polmonite? Perché tale tipo di paziente ha,
nell’ambito della medicina interna, una stima di incidenza di TEV del 15%!
Il 75% dei pazienti che vanno incontro a decesso per embolia polmonare sono pazienti che non sono stati
sottoposti ad intervento chirurgico di chirurgia maggiore (per il quale si è molto più attenti, tant’è che in
chirurgia ed in ortopedia hanno come provvedimento fisso di fare a tutti il clexane! A medicina interna
invece dipende, però cmq la situazione migliora).
Terapia TVP:
in presenza di un sospetto clinico elevato, cioè nel paziente per il quale sospettiamo la presenza di una TVP
o di una EP, la terapia dovrebbe essere iniziata anche prima della conferma strumentale.
E possiamo usare:
- l’eparina standard
- l’eparina a basso peso
- gli anticoagulanti orali
Il clexane si usa in terapia al dosaggio di 100 unità pro chilo 2 volte/die; ossia all’anziana di 40 chili farò 40
per 100 unità 2vv/die, al soggetto di 60 chili farò 6000 unità/die ed a quello di 100 kg ne farò 10000 (tempo
fa c’era il problema che la dose oltre le 10000 unità non era commercializzata quindi bisognava fare più
punture contemporaneamente).
E il coumadin?
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Paziente classico con TVP: nel primo giorno faccio eparina a dosi terapeutiche (clexane 6000, 2 vv/die) più
una compressa da 5 mg di coumadin, di solito alle ore 16 poiché si è lontani da cena e pranzo (alcuni cibi
interagiscono con l’assorbimento del warfarin). Nel secondo giorno: idem (gli faccio un controllo dell’INR
per vedere che il paziente non si particolarmente sensibile e quindi che non abbia un aumento dell’INR).
Terzo giorno: idem, poi faccio un controllo dell’INR per gli altri 3 gg.
Quindi nei primi 3 giorni do una compressa di coumadin più o meno a tutti; dal quarto giorno in avanti
invece ci vuole un po’ di esperienza o bisogna telefonare a Marietta. Cioè faccio 3 compresse; al quarto
giorno il paziente ha un INR di 1,8: ci sarà il medico coraggioso che deciderà autonomamente di fare mezza
compressa e quello più indeciso che si consulterà con Marietta.
La biodisponibilità dei farmaci è molto variabile da persona a persona.
Il target dell’INR deve essere tra 2 e 3 per la TVP e per L’EP.
Per quanto tempo devo fare il coumadin al paziente che ho ricoverato ed in cui ho trovato le TVP?
Dipende:
- Se il paziente è in una condizione di TVP in seguito ad un intervento chirurgico maggiore dopo il quale è
stato allettato ed immobilizzato e non gli è stata fatta adeguatamente la profilassi (criminosamente), sarà
sufficiente fare terapia per un periodo minore perché siamo sicuri di quale sia causa che ha portato alla
TVP.
- Quando la causa è meno certa devo continuare per più tempo la terapia. In alcune condizioni, per es. in
presenza di omozigosi del fattore V di Leiden o della mutazione della protrombina, i pazienti assumono a
vita il coumadin.
Ritorniamo al caso clinico iniziale perché è un esempio del fatto che, al di là delle regole generali viste oggi,
ci sono casi particolari in cui l’esperto (Marietta) prende decisioni su misura.
Secondo lo schema generale il paziente avrebbe dovuto iniziare la terapia con l’eparina a basso peso
molecolare sottocute a dosaggio terapeutico (pesa 78 kg quindi facciamo 0,8 per 2vv/die) ed avrebbe
dovuto iniziare subito in seconda giornata (o in prima) con la terapia col coumadin: una compressa per 3
die poi valutazione dell’INR; quando questo fosse stato nel range (supponiamo 2,2-2,3) lui avrebbe dovuto
continuare per altri due gg eparine a basso peso molecolare, sospendere le punture e continuare con la
terapia anticoagulante. Quest’ultima per quanto tempo? Dobbiamo tenere presente che essa può dare dei
problemi in un paziente di questo tipo. Quali? Non abbiamo una risposta, tant’è vero che lui sta facendo
l’eparina a basso peso molecolare ancora, senza fare terapia anticoagulante orale; la farà per 3 mesi, poi
sospenderà, rifarà la valutazione della trombofilia ed in quel momento si deciderà se sospendere l’EBPM
completamente oppure no.
Il nostro paziente ha 40 aa; dobbiamo fargli terapia anticoagulante orale per tutta la vita, col rischio che per
una semplice botta gli venga un ematoma? Si tratta di casi per i quali è difficile prendere una decisione.
Se il paziente sanguina mentre è in terapia col warfarin? non posso usare il solfato di protamina.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Gli diamo il Konakion, che è vitamina K; è il fitomenadione.
In caso di un sovradosaggio, come molto spesso capita nell’anziano che ha BPCO e quindi ha accumulato un
po’ warfarin, diamo il konakion in gocce (sono sufficienti 2 gocce per valori di INR maggior di 5 o 6 senza
un’emorragia importante in atto). Se invece c’è una complicanza emorragica possiamo usare il konakion in
fiale, stando attenti a darlo lentamente perché può scatenare reazioni simil-anafilattiche ed ipotensione,
oppure usiamo fattori della coagulazione pronti che abbiamo nel plasma fresco congelato.
Terapia EP:
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Possiamo usare nell’EP non emodinamicamente instabile normalmente ed in maniera indifferente l’eparina
non frazionata o di basso peso molecolare; nei pazienti in cui c’è un’EP massiva bisogna che i cardiologi
usino la streptochinasi o i farmaci tromboembolitici.
Slide 106: schema illustrante tutte le modificazioni posologiche e di velocità che si devono attuare in caso di
alterazioni dell’aPTT. Se poi ho due valori di aPTT nel range di normalità potrò fare tale valutazione ogni 12
ore.
L’effetto anticoagulante dell’eparina standard cessa dopo 60 minuti.
Le EBPM: hanno un’efficacia equivalente a quella dell’eparina standard (ENF), non richiede monitoraggio né
aggiustamenti di posologia; somministrazione sottocute, possono essere somministrate dal paziente stesso,
danno un minor rischio di trombocitopenia, costano meno (anche perché non bisogna fare tutti i vari
controlli dell’aPTT), non possono essere usate nell’IR per elevato rischio emorragico ed imprevedibilità di
azione (perché non esiste un cut-off della clearance della creatinina rispetto il quale poter stare tranquilli).
La trombolisi per l’EP (slide 108) viene utilizzata solamente nei pazienti con shock cardiogeno, che in
medicina interna sono pochi.
♪ I farmaci più nuovi sono gli inibitori diretti della trombina (come il Dabigatran), che agiscono
direttamente bloccando la trombina. Sono dei derivati delle irudine. Agiscono probabilmente su quello che
è l’elemento centrale di tutto il sistema della coagulazione.
Avrebbero tutta una serie di vantaggi: risposta anticoagulante prevedibile, non si legano alle proteine
plasmatiche (quindi non subiscono alterazioni che possono invece subire per es. gli anticoagulanti orali
classici, che possono essere scalzati da altri farmaci e quindi esplicare un effetto eccessivo), bloccano in
parte anche l’aggregazione piastrinica, non provocano trombocitopenia e non devono essere monitorati.
Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.
Se un paziente è già in terapia anticoagulante orale (ed è in range: per es. ha 2,7-2,8 di INR) ma, nonostante
ciò, presenta ugualmente una TVP o un’EP, cosa faccio? Si potrebbe sospendere l’anticoagulante provando
a rimettere su l’eparina; poi potremmo valutare la sede della trombosi e nel caso sia grave prendere in
considerazione un intervento drastico, a seconda della condizione del paziente (per es. se c’è una TVP
esiste la possibilità di usare l’”ombrellino” che previene l’EP).
Malattie gastrointestinali
Dolore addominale
I1 dolore addominale rappresenta una manifestazione frequente di patologia intra-addominale.
I1 dolore addominale può essere classificato come acuto o cronico. Il dolore acuto si verifica
improvvisamente e suggerisce la presenza di alterazioni fisiologiche importanti. A1 contrario, il dolore
cronico può essere presente per diversi mesi; sebbene non richieda un'attenzione urgente, il dolore cronico
può necessitare di una successiva valutazione a lungo termine.
FISIOLOGIA
I1 dolore addominale è determinato dalla stimolazione di specifici recettori termici, meccanici o chimici.
Quando tali recettori vengono stimolati, gli impulsi dolorifici viaggiano lungo le fibre simpatiche. Il dolore
addominale può essere di natura somatica o viscerale. 11 dolore somatico (netto e distintamente
localizzabile) trae origine dalla parete addominale e dal peritoneo parietale, mentre il dolore viscerale (di
estrema variabilità quanto a sensazione soggettiva e a localizzazione) trae origine dagli organi interni e dal
peritoneo viscerale.
Il dolore viscerale risulta dallo stiramento delle pareti degli organi cavi, o della capsula degli organi solidi,
cosi come dall'infiammazione e dall'ischemia.
CARATTERISTICHE CLINICHE
Anamnesi
La diagnosi differenziale del dolore addominale, tra do1ore acuto e cronico, richiede la raccolta di
un'anamnesi accurata riguardo a caratteristiche, localizzazione e decorso temporale, ed eventuale presenza
di sintomi di
accompagnamento.
La localizzazione del dolore è spesso indicativa dell'organo responsabile del problema. E’ possibile anche
che il dolore correlato ad una data patologia venga inizialmente percepito in una sede e che in seguito
venga invece percepito in un’ altra; questo schema di progressione pub essere suggestivo di alcune
sindromi specifiche.
In diagnosi può essere utile conoscere la modalità con cui il dolore si attenua. Il clinico deve anche cercare
di stabilire se il dolore è stabile, intermittente o se esacerba durante la notte. Riguardo al dolore notturno,
va fatta una distinzione tra il dolore che determina il risveglio del paziente e il dolore che viene avvertito se
il paziente si sveglia per altre ragioni.
La tabella riporta le caratteristiche, la localizzazione e l ' irradiazione del dolore in alcune patologie
addominali
acute e croniche più frequenti.
IBS: Sindrome del colon irritabile; LLQ: quadrante inferiore sx; RLQ: quadrante inferiore dx; RVQ: quadrante
superiore dx
ESAME OBlETTIVO
Un paziente che si contorce nel letto e che non riesce a trovare una posizione che gli dia sollievo potrebbe
soffrire di un problema ostruttivo. Al contrario, un paziente che giace con gli arti inferiori flessi e che evita
ogni movimento potrebbe avere una peritonite. La distensione dell'addome indica ostruzione o ascite.
Movimenti peristaltici visibili all'ispezione della parete addominale orientano verso una diagnosi di
ostruzione del piccolo intestino, anche se il segno è presente solo nelle fasi precoci. La presenza di aree
focali di distensione addominale può suggerire l'esistenza di ernie; va inoltre posta attenzione ad ogni
eventuale ferita chirurgica. L'auscultazione va effetuata in diverse sedi al fine di valutare il timbro e le
caratteristiche dei rumori intestinali, e al contempo ricercare eventuali soffi vascolari e borgorigmi.
Un’assenza di rumori intestinali suggerisce la presenza di un ileo paralitico, mentre la presenza
iperperistalsi può indicare ostruzione. La presenza di soffi multipli deve allertare il clinico circa la possibilità
di un'importante patologia vascolare e di un fenomeno ischemico.
Un’ esplorazione rettale è infine utile per ricercare un eventuale tumore responsabile di un'ostruzione del
colon o una dolorabilità della porzione superiore del retto in caso di ascite acuta. Nelle donne, al fine di
escludere una malattia infiammatoria pelvica, va effettuato un esame della pelvi.
Addome acuto
E’ causato da una improvvisa infiammazione, perforazione, ostruzione o necrosi di diversi organi
addominali. Tuttavia,va ricordato che alcune affezioni ex addominali, quali polmonite, infarto del
miocardio, nefrolitiasi e alcuni disturbi metabolici, possono indurre dolore addominale acuto.
In caso di addome acuto l'indagine anamnestica è molto importante, in particolare riguardo a eventuali
pregressi
interventi chirurgici: infatti, un paziente con un improvviso dolore crampiforme ed una distensione
addominale può avere un’ostruzione intestinale dovuta ad aderenze o ad una ernia incarcerata. inoltre
importante effettuare un esame obiettivo completo, ricercando la presenza di ittero, lesioni cutanee o
segni di epatopatia cronica.
Emocromo completo con formula leucocitaria, esame delle urine, dosaggio dell'amilasi sierica, della
lipasi, della bilirubina e degli elettroliti sono esami di laboratorio che vanno praticati di routine.
Una leucocitosi può indicare una malattia infiammatoria intestinale, mentre una marcata leucocitosi è un
reperto abbastanza tipico di ischemia intestinale. Una iperamilasemia generalmente suggerisce una
pancreatite acuta, sebbene un aumento dell’amilasi possa verificarsi anche per un’ulcera perforata o una
trombosi mesenterica.
L'esame Radiologico è un elemento essenziale nella valutazione del
paziente con addome acuto: rivela la presenza di gas nell'intestino; un radiogramma eseguito in posizione
eretta, tale da includere il diaframma , o effettuato in decubito laterale sinistro può aiutare a rilevare la
presenza di aria intraddominale. L'ultrasonografia può essere utile nella diagnosi di colecistite acuta o di
appendicite. La TC è da considerare un esame di grande utilità, e può consentire la diagnosi precoce di
patologie addominali talvolta non sospettate.
Emorragia gastrointestinale
Emorragia gastrointestinale acuta
Se si verifica un sanguinamento gastrointestinale massivo i pazienti di solito manifestano vertigini,
stordimento, respiro corto, alterazioni posturali della pressione arteriosa o del polso, dolore addominale
crampiforme e diarrea. Le caratteristiche del sanguinamento possono essere di ausilio per localizzare la
fonte di sanguinamento a livello del tratto gastrointestinale superiore o inferiore. I pazienti con
sanguinamento acuto di solito esibiscono uno dei seguenti sintomi:
Ematemesi
Vomito di materiale rosso vivo o simile al fondo di caffè. Dopo aver escluso la possibilità che il soggetto
abbia inghiottito del sangue proveniente dal nasofaringe o secondario ad emottisi, è probabile che il
sanguinamento origini
prossimalmente al legamento di Treitz.
Melena
Una quantità di sangue pari a 50-100 ml nello stomaco può produrre melena. Feci nere, catramose, di solito
di odore estremamente sgradevole sono spesso una manifestazione di sanguinamento del tratto
gastrointestinale superiore; comunque, occasionalmente, la melena può anche essere conseguente ad
un’emorragia localizzata nell’intestino tenue o nel colon prossimale.
Ematochezia
L’emissione dal retto di sangue o di feci rossastre indica generalmente un sanguinamento del tratto
gastrointestinale inferiore.
Valutazione iniziale
1. La natura del sanguinamento: melena, ematemesi, ematochezia, o sangue occulto. E’ essenziale un
esame rettale per determinare il colore delle feci e per identificare eventuali fessurazioni anali o
neoplasie intestinali.
2. La durata del sanguinamento, che aiuta a determinare la fonte dell'emorragia.
3. La presenza o meno di dolore addominale; per esempio, l’ematochezia causata da un diverticolo
sanguinante o da un'angiectasia tipicamente non associata a dolore; al contrario, quando è causata
da un'ischemia può essere accompagnata da dolore addominale.
4. Altri sintomi associati, compresi febbre, tenesmo, urgenza alla defecazione, recente variazione
delle abitudini intestinali, perdita di peso.
5. Assunzione in corso o recente di farmaci, in particolare di anti-infiammatori non steroidei (FANS) o
acido acetilsalicilico, che può predisporre alla malattia ulcerosa o alla gastrite emorragica,
Anticoagulanti e di alcol.
6. Patologie remote di rilievo ed anamnesi chirurgica
L'esame obiettivo deve comprendere la valutazione dei segni vitali, l'esame cardiaco e polmonare e
l'esplorazione
rettale digitale. Gli esami di laboratorio iniziali devono comprendere una conta completa delle cellule
ematiche, la
tipizzazione del sangue, il cross-matching, ed il dosaggio degli elettroliti sierici, dell'azotemia, della
creatininemia e dei fattori della coagulazione. I1 primo ematocrito può non riflettere l'entità esatta della
perdita di sangue; esso diminuire gradualmente sino a stabilizzarsi entro 24-48 ore.
Malassorbimento
I1 termine maldigestione fa riferimento all'insufficienza del processo di idrolisi dei nutrienti, mentre il
termine malassorbimento si riferisce ad una disfunzione dell'assorbimento a livello della mucosa. Nella
pratica clinica comunque con malassorbimento ci si riferisce a tutti gli aspetti attinenti ad una disfunzione
dell'assimilazione delle sostanze nutrienti.
I1 malassorbimento può coinvolgere una molteplicità di elementi nutritivi o essere più selettivo, e le
manifestazioni cliniche di malassorbimento sono pertanto altamente variabili. I1 processo completo
dell'assorbimento consiste di una fase luminale, in cui vari elementi vengono idrolizzati e solubilizzati; una
fase mucosa, in cui ulteriori processi hanno luogo a livello del bordo a spazzola delle cellule epiteliali con
successivo trasporto all'interno della cellula; ed una fase di trasporto, in cui i nutrienti sono mobilitati
dall'epitelio alla circolazione portale o linfatica. Una disfunzione in ciascuna di queste fasi può dare esito a
malassorbimento.
FASE LUMINALE
La digestione è operata per la maggior parte dagli enzimi pancreatici, in particolare la lipasi, la colipasi, e la
tripsina; gli enzimi gastrici digestivi non giocano un ruolo rilevante. Di conseguenza la pancreatite cronica
può dare luogo a malassorbimento, in particolare dei grassi e delle proteine. Anche la carenza di sali biliari
contribuisce a1 malassorbimento di grassi e può essere il risultato di epatopatie col estatiche (disfunzione
della secrezione biliare), di una carica batterica elevata (che determina de-coniugazione dei sali biliari
luminali), e di una patologia o della resezione ileale (con perdita di un’efficace circolazione biliare
enteroepatica). La maggior
parte della digestione si verifica nel duodeno e nel digiuno prossimale.
FASE MUCOSA
La malattia che colpisce la mucosa è una causa comune di malassorbiiento, e si può verificare a seguito di
una patologia diffusa dell'intestino tenue, come la sprue celiaca o il morbo di Crohn, o a causa di una
riduzione della superficie mucosa (ad es., dopo resezione chirurgica per infarto intestinale).
Eventuali difetti selettivi nel contesto di un intestino complessivamente normale possono dare esito ad
entità specifiche come il deficit di lattasi o di beta lipoproteina.
FASE Dl TRASPORTO
Dopo l'assorbimento i nutrienti lasciano la cellula attraverso i vasi venosi o linfatici. Di conseguenza il
malassorbimento può verificarsi dopo un'ostruzione del circolo venoso mesenterico,una linfangectasia, o
un'ostruzione linfatica ascrivibile a processi maligni o infiltrativi (morbo di Whipple).
TEST Dl SCHILLING
L’assorbimento di vitamina B 12 richiede diversi steps. In primo luogo, la vitamina ingerita con gli alimenti si
lega alla proteina salivare fattore- R; le cellule parietali dello stomaco secernono un fattore si miscela con
bolo ingerito. Nel duodeno la tripsina pancreatica idrolizza il fattore-R, liberando la vitamina, che può
legarsi al fattore intrinseco. Il complesso fattore intrinseco-vitamina B12 viene quindi assorbito dopo essersi
legato a recettori specifici presenti sugli enterociti a livello dell’ileo distale.
Di conseguenza, il malassorbimento di B 12 può verificarsi a causa della mancanza di fattore intrinseco (ad
es., in caso di anemia perniciosa o resezione gastrica), di un'insufficienza pancreatica, di
un'iperproliferazione batterica, di una resezione ileale o di una malattia della mucosa (ossia, morbo di
Crohn). I1 test di Schilling permette di quantificare l’assorbimento di B 12 mediante l'utilizzo di B 12
radiomarcata come marker. Il pz ssume la vitamina B12 marcata, viene quindi raccolto un campione di
urina per la misurazione del livello di radioattivita; un ridotto livello suggerisce un malassorbimento di
vitamina. I1 test viene ripetuto con l'aggiunta di fattore intrinseco per via orale alla vitamina B 12 ingerita.
Se l'escrezione urinaria dell'elemento radiomarcato risulta corretta possibile fare diagnosi di anemia
perniciosa. Se il malassorbimento è ancora presente, il paziente viene sottoposto ad un breve ciclo di
terapia antibiotica per via orale ed il test e ripetuto; l'eventuale correzione dell'escrezione di vitamina B 12
radiomarcata porta ad interpretare il malassorbimento come ascrivibile ad un'iperproliferazione batterica.
Se il risultato del test rimane ancora normale, vengono somministrati degli enzimi pancreatici per via orale
ed il test viene ripetuto; la correzione dell'anomalia implica in questo caso che la causa di base è una
disfunzione pancreatica esocrina. Infine, se tutti questi steps non sono utili per identificare il problema, la
diagnosi si può orientare sulla patologia ileale o sull'assenza di transcobalamina.
BREATH TEST
I breath tests sfruttano la degradazione batterica degli elementi presenti nel lume, che esita nel rilascio di
prodotti del metabolismo gassosi (come idrogeno, metano ed anidride carbonica), che possono esser
misurati nell'aria espirata. Con il deficit di disaccaridasi, uno specifico disaccaride che viene ingerito può
non essere adeguatamente assorbito nell'intestino tenue; quando giunge a1 colon, la fermentazione
batterica libera diversi metaboliti; uno di questi è l'idrogeno, che è un gas che può essere dosato nell’aria
espirata. In presenza di iperproliferazione batterica a livello
dell'intestino tenue, il glucosio ingerito oralmente fermenta nel tratto prossimale del tenue (invece di
essere assorbito) e determina un incremento dell'idrogeno espirato; in questo caso il timing dell'esalazione
di idrogeno è un parametro
per la diagnosi.
La sprue celiaca
Sinonimi: malattia celiaca, enteropatia glutine sensitiva.
Definizione: malassorbimento causato da un'infiammazione dell'intestino tenue che s'instaura dopo
l'ingestione di glutine. Il miglioramento clinico ed istologico si ottiene con una dieta priva di glutine e
recidiva se il glutine viene reintrodotto nella dieta. Ciò permette anche di fare diagnosi.
Il glutine è una sostanza contenuta nei grani dell'orzo, della segale e del frumento; serve per conferire
l'elasticità necessaria per creare una matrice utile ad impastare la farina (proprietà tipica della farina). Se
viene tolto l'impasto acquista una consistenza diversa.
Il glutine del grano è composto da varie sostanza:
-alfa gliadina
-beta gliadina
-gamma gliadina
-omega gliadina
1887: era stato notato che alcune diarree potevano essere curate per mezzo della dieta. Non era ancora
nota l'associazione con la farina.
1926: i bambini affetti da diarrea venivano trattati con una dieta a base di banane.
1940: Dicke, pediatra tedesco, stabilì il legame con il glutine osservando che, durante la II guerra mondiale,
la sintomatologia dei bambini affetti da Sprue celiaca migliorava in carestia e recidivava quando i cereali
venivano reinseriti.
Prevalenza: alta, 1/120- 1/300 sia in Europa che in Nord America. Nonostante le femmine manifestino più
frquentemente anemia, il rapporto M:F = 2:1. Per 1 nuovo caso diagnosticato ve ne sono altri 7 che
compaiono. La più elevata prevalenza è in Europa Occidentale e nei paesi nei quali sono emigrati gli
europei. La prevalenza diminuisce in Africa e Asia.
1980: studi epidemiologici internazionali hanno rivelato che la malattia variava nei vari paesi sia come
prevalenza che come manifestazioni:
-UK e Irlanda: scomparsa della malattia
-Italia:prevalenza invariata della malattia
-Finlandia: prevalenza non modificata ma insorgenza più tardiva della malattia
Da ciò si è dedotta l'importanza della componente ambientale ( aumento di allattamento al seno e
aumento dell'utilizzo di latte di mucca oltre che l'associazione con la quota di glutine negli alimenti tipici
della dieta dei vari popoli) e di quella genetica (legata a geni di istocompatibilità). I fattori ambientali
sembrano influenzare la presentazione clinica della Sprue aggravandola, più che la sua prevalenza.
Negli ultimi tempi stanno aumentando le diagnosi di malattia celiaca anche in pazienti di una certa età e
non più solo in individui giovani (il 20% dei celiaci ha età > di 60anni).
Patogenesi: la malattia è mediata dai linfociti T nei soggetti geneticamente predisposti (95% presentano
HLA DQ 2). Il glutine entra a livello della mucosa intestinale, attraversa la lamina propria, viene modificato
dalle transglutamminasi e viene reso disponibile dalle cellule che presentano l'antigene in compresenza
dell'HLA DQ2. La presentazione di quest'antigene attiva i linfociti CD4 i quali instaurano una risposta
immunitaria e quindi provocano un danno a carico della mucosa: si determina atrofia dei villi, iperplasia
delle cripte, linfocitosi intraepiteliale.
Contemporaneamente vengono attivati anche i linfociti B che producono anticorpi diretti contro le varie
componenti.
Sintomi
La sintomatologia viene divisa in tre classi:
-classica
-subclinica
-silente o non sintomatica
Varia anche a seconda dell'età d'insorgenza; nei bambini l'età d'esordio è tra i 4 e i 24 mesi. Si manifesta
con diarrea, ritardo di crescita, distensione e dolori addominale e se l'inizio dei sintomi è graduale, segue
l'introduzione dei cereali nella dieta. Possono esserci anche ipertransaminasemia, artralgie, difetti dello
sviluppo dello smalto e disturbi comportamentali. Se non trattata questi bambini vanno incontro a ritardo
mentale, iposviluppo staturale, anemia e rachitismo.
Negli adulti la sintomatologia è molto meno importante, è asintomatica o presenta sintomi modesti. Di
solito insorge ex-novo o può scatenarsi durante situazioni parafisiologiche come la gravidanza.
I sintomi più frequenti sono:
-diarrea episodica notturna
-flatulenza
-perdita di peso
-intolleranza al lattosio
-dolori addominali
-anemia da carenza di ferro
Possono esservi condizioni associate come:
-carenza di vit. D e K
-dermatite erpetiforme
-polineuropatia e atassia
-alopecia
-alterazione del ciclo mestruale
-pericardite
Diagnosi
-ricerca di anticorpi antigliadina (AGA, usati per la prima volta negli anni '80) diretti contro la frazione alfa
solubile del glutine. Sono anche markers dell'attività della malattia.
-ricerca di anticorpi antiendomisio (EMA), diretti contro la matrice del collagene che fascia il muscolo liscio
dell'intestino
-ricerca di anticorpi antitransglutamminasi. Sono determinanti per gli EMA positivi.
Si usano tutti e tre i test:
-se sono tutti negativi si può far diagnosi di negatività della malattia con alta probabilità
-se hai la positività di 1 o 2 test su 3 bisogna ricordare che c'è il rischio di falsi negativi; infatti gli anticorpi
antigliadina sono test molto specifici ma poco sensibili(la prof dice il contrario). E' quindi importante, in
caso di forte sospetto clinico e di negatività totale (difficile) o parziale dei test, fare una biopsia intestinale.
Nel caso di test negativi ma di biopsia positiva (quindi eseguita per forte sospetto clinico), prima di poter
far diagnosi di malattia celiaca vanno eliminate tutte le altre cause di atrofia dei villi intestinali e di infiltrato
linfocitario, tra cui il linfoma, intolleranza al latte di mucca, gastroenterite, gastroenterite eosinofila,
enteropatia autoimmune, morbo di Crohn, infarto e ischemia intestinale, sprue tropicale. Per far diagnosi
differenziale si può anche provare a intraprendere una dieta priva di glutine e valutare come variano i
sintomi.
-se sono tutti positivi, secondo le ultime linee guida, non è indicata la biopsia intestinale e si può far
diagnosi di malattia celiaca (anche se la prof non è completamente d'accordo con queste indicazioni).
Terapia:
-dieta priva di glutine (attenzione alle etichette)
-nuovi farmici: CCX282-B (inibitore della migrazione dei leucociti), AT1001 (inibitore della disfunzione della
barriera epiteliale). Servono entrambi per limitare il danno prodotto dal glutine.
-Ingegneria genetica: si ipotizza, a breve termine, la realizzazione di un frumento geneticamente
modificato, che mantenga le caratteristiche elastiche ma sia privo delle proteine del glutine.
NB: secondo le ultime linee guida, in caso di anemia sideropriva senza altre cause diagnosticabili, è
importante fare il test per la celiachia (che, per giunta, costa poco).
Mostra delle recenti reviews, in particolare 3 di queste mostrano l’alta prevalenza della celiachia nella
popolazione. Affermano inoltre che l’ipertransaminasemia senza spiegazione deve sempre far pensare
anche a un’eventuale celiachia che è molto più frequente rispetto a quel che si pensa. La celiachia in
particolare andrebbe indagata in tutti i pz che hanno epatopatia.
DIAGNOSI
La coltura diretta dell'aspirato digiunale rappresenta il test diagnostico che ha maggior prohabilità di essere
definitivo; esso è però invasivo, sgradevole e costoso.
Il breath test con idrogeno dopo somministrazione orale di glucosio è più semplice, anche se non parimenti
sensibile e specifico. I protocolli terapeutici a base di antibiotici rappresentano un'alternativa accettabile ai
test diagnostici.
TRATTAMENTO
Quando appropriata, va effettuata una terapia specifica come nel caso del trattamento chirurgico
dell’ostruzione intestinale. Più comunemente, i pazienti vengono trattati con antibiotici; i più appropriati
sono quelli efficaci contro i microrganismi enterici aerobi ed anaerobi. Tetracidina, Trimetoprim-
sulfametossazolo, o metronidazolo (ciascuno dei quali in combinazione con una cefalosporina o un
chinolonico) rappresentano opzioni affidabili.
Diarrea
DEFINIZIONE
La diarrea è sia un sintomo che un segno. In quanto sintomo la diarrea è nella maggior parte dei casi riferita
come una diminuzione della consistenza delle feci ed un incremento del loro volume; In quanto segno, la
diarrea è definita in base al peso (ossia, contenuto di acqua) delle feci: un peso maggiore di 200 g in 24 ore
configura una diarrea.
FISIOLOGIA NORMALE
Circa 8.9 litri di liquidi hanno accesso nell’intestino tenue ogni giorno: uno o due litri traggono origine
dall’assunzione dietetica; il resto è il risultato delle normali secrezioni salivari, gastriche, pancreatiche,
biliari e intestinali. L’intestino tenue assorbe la maggior parte di questi liquidi, così che solo 1-1,5 litri
passano nel colon. A livello del colon, un ulteriore assorbimento d’acqua determina un output di acqua
fecale finale pari a solo 100-200 ml/die.
DlARREA SECRETORlA
Le diarree secretorie sono causate tipicamente da mediatori neuroumorali e/o da tossine batteriche;
Il meccanismo alla base è caratterizzato da una secrezione aumentata e/o ridotto assorbimento di sodio e
cloro. Un classico esempio di diarrea secretoria è quella che si verifica nel colera. Una tossina prodotta dal
batterio determina una diarrea massiva, una perdita di volume intravascolare, e in assenza di una
tempestiva somministrazione di fluidi, un possibile collasso circolatorio.
Clinicamente, le diarree secretorie sono caratterizzate:
1) da un elevato output (spesso >1 l/die)
2) persistono anche a digiuno
3) assenza di gas o pus
Alcune delle cause di diarrea secretoria sono il colera, tumori secernenti VIP, enteropatia da Sali biliari,
diarrea da acidi grassi.
DIARREA OSMOTICA
La diarrea osmotica è causata semplicemente da livelli eccessivi di soluti scarsamente assorbiti ed
osmoticamente attivi nel lume.
Alcune cause di diarrea osmotica sono l’intolleranza al lattosio, malassorbimento generalizzato, lassativi
contenenti magnesio.
La diarrea osmotica ha due importanti caratteristiche: in primo luogo, essa si arresta quando i pazienti
digiunano
in quanto essi non assumono elementi che saranno mal assorbiti ed osmoticamente attivi. Le feci sono
acquose, non contengono sangue e pus, ma possono contenere globuli di grasso o fibre carnee. In secondo
luogo l'analisi delle feci rivela un elevato gap osmolare, ascrivibile alla presenza nelle feci di agenti
osmoticamente attivi e/o non assorbiti.
DIARREA ESSUDATIVA
Le condizioni infiammatorie o infettive che determinano un danno a livello della mucosa intestinale
possono causare diarrea attraverso una serie svariata di meccanismi. Si determina sostanzialmente ma
perdita di sangue, muco e proteine del siero. L'entità di tale perdita dipende largamente dal grado di
danneggiamento. I1 danno alla mucosa e l'infiammazione ad esso associata possono interferire con
l'assorbimento, indurre la secrezione, ed influenzare la motilità. Tutti questi eventi contribuiscono
all'instaurarsi di diarrea (colite ulcerosa, shigellosi, amebiasi).
DlARREA ACUTA
La diarrea acuta è definita come una diarrea che dura meno di 4 settimane, ed è per lo più determinata da
microrganismi infettivi o tossine. Si tratta di un fenomeno autolimitantesi e, in assenza di sangue nelle feci,
può non essere diagnosticato. Se il paziente viene precocemente all'attenzione del clinico e presenta solo
una forma lieve di diarrea senza sintomi sistemici o sangue nelle feci, l'intervento appropriato è
l'osservazione
ed un accurato follow-up. In caso contrario, e sicuramente in presenza di sangue, le feci vanno esaminate
per accertare l'eventuale presenza di organismi infettivi ed iniziare l'appropriata terapia antimicrobica. Se
non vengono identificati tali organismi, va effettuata una sigmoidoscopia ed una biopsia.
Ulteriori eventuali analisi devono essere orientate dai risultati della sigmoidoscopia (ad es., se è sospettata
una malattia infiammatoria intestinale), dalla severità della diarrea, dallo stato immunitario del paziente, e
dalla eventuale presenza di tossicità sistemica.
DlARREA CRONICA
Diversamente da quanto si verifica nella diarrea acuta, nella cronica è poco comune l'eziologia infettiva. In
ogni caso, alcune infezioni parassitarie, come la giardiasi e le sindromi post-virali possono produrre le
condizioni per una diarrea cronica da malassorbimento.
La perdita di peso e l'evidenza di deficit nutrizionali suggeriscono una condizione di malassorbimento
causato da un processo patologico a livello dell'intestino tenue o del pancreas; quest'ultimo si associa di
solito ad un'anamnesi positiva per abuso di alcol e/o per pancreatite cronica. Una diarrea cronica
sanguinolenta suggerisce una malattia infiammatoria intestinale, in particolare una colite ulcerosa. Una
diarrea cronica senza evidenza di un disturbo nutrizionale o metabolico suggerisce un'intolleranza al
lattosio (comune); la sindrome del colon irritabile, in particolare quando associata a dolore addominale
(comune); una colite microscopica; un'incontinenza fecale; un eccessivo utilizzo di lassativi. L'eventualità
di un cancro del colon va sempre tenuta in considerazione. La presenza di grandi volumi di diarrea in
assenza di deficit nutrizionali con le caratteristiche di un processo secretorio, deve orientare verso la ricerca
di tumori producenti ormoni. Quando possibile,la terapia deve essere diretta specificamente verso la causa
sottostante. Quando non è possibile approntare alcun trattamento specifico, si possono tentare terapie
empiriche (ad es., antibiotici per una possibile iperproliferazione batterica o un infezione da G. lamblia,
colestiramina per malassorbimento di acidi biliari) e/o la somministrazione di agenti che riducono la
motilità (ad es., loperamide, difenolato e, in casi più gravi, analoghi della somatostatina a lunga durata
d’azione.
Iter diagnostico
Valutazione anamnestico clinica (con l'anamnesi di solito arrivi a un sospetto di diagnosi dell'80%)
Valutazione psicologica (perchè la sindrome dispeptica è caratteristica di alcune persone e non di altre dal
punto di vista dell'habitus psicologico)
Esame obiettivo
Esami strumentali
Esami funzionali ( secrezione e motilità)
Vie biliari (questo è un ccapitolo molto importante perchè molte volte si sottovaluta: il 30% dei colelitiasici
presenta sintomi dispeptici con o senza coliche. Non sempre la calcolosi della colecisti da dolore in
ipocondrio destro, ma dà sintomi di mal digestione: dice che digerisce male, che ha un peso in epigastrio
dopo che ha mangiato ed ha i calcoli) Il sintomo dispeptico talora rimane anche dopo l’intervento.
Fegato (epatite acuta sì: nausea, vomito e dispepsia, meno le epatiti croniche)
Stomaco IMP ricordare che solo nel 15/20% dei casi di ulcera ha una dispepsia, spesso presentano dolore
vero e proprio o sono asintomatici e il risultato è un pz con anemia sideropenica da perdita a causa
dell'ulcera gastrica. Anche le neoplasie dello stomaco possono dare dispepsia.
Duodeno (per lo più sono ulcere, stesso discorso dello stomaco, ma le neoplasie duodenali sono rare se non
i linfomi)
Neoplasie se del tubo digerente, è un sintomo precoce, se extra digerente è tardivo in questo caso fa parte
di una sindrome paraneoplastica da neoplasia in altra sede come da neoplasia polmonare e in questo caso
sarà una sintomatologia tardiva. Anche le neoplasie del colon possono dare dispepsia.
Stati febbrili e sistemici ci può essere il sintomo della dispepsia, come nella sintomatologia influenzale.
E' chiaro che di fronte a un paziente che lamenta una grave dispepsia devo ricordarmi questo elenco ed
escludere la causa organica, in seguito dire che si tratta di una dispepsia funzionale. Sarebbe opportuno
valutare anche questa con degli strumenti (vedremo dopo quali sono).
Dispepsie funzionali
Diciamo subito che per la funzione dello stomaco e del duodeno, essi vanno incontro ad una secrezione ed
ad una motilità per far progredire gli alimenti
1-Di tipo secretivo ( Ipocloridrico o ipercloridrico) cioè iposecretiva o ipersecretiva
2- Di tipo motorio: possiamo distinguere:
Alte : Da reflusso gastro esofageo per incontinenza del LES. (se non è ben coordinato con la deglutizione o
se è beante come nell'ernia iatale si può andare incontro a reflusso disturbi dispeptici ed esofagite)
Corpo-fondo : abbiamo 2 possibilità:
1) Ridotto o mancato rilasciamento recettivo ( senso precoce di ripienezza), lo stomaco, quando è vuoto, è
una cavità virtuale abbiamo solo un pò d'aria, 30-40 ml nel fondo, quando assumi alimenti c'è una
dilatazione del fondo gastrico per contenere Se non c'è questo meccanismo che avviene per un riflesso
vaso-vagale, da stimolazione di chemo-recettori, il pz appena mangia si sente pieno.
2)Motilità gastrica insufficiente a uno svuotamento progressivo ( noi vediamo che in questo caso il pz ha un
rallentato svuotamento digestione lunga e laboriosa ma non vomito. Si sente la digestione anche dopo
molte ore)
Basse 1) Da spasmo del giunto antro pilorico( qui senso di ripienezza e anche vomito)
2)Da rilasciamento del giunto antro pilorico ( non funziona bene ma è sempre aperto e che facilita il reflusso
del succo duodenale dal duodeno allo stomaco non è fisiologico, avremo gastriti da acidi biliari e non da
secrezione gastrica e diarrea post- prandiale).
Sistemi per valutare la funzione motorie dello stomaco: per dispepsie motorie.
Secretina: dalle cellule S, riduce sia l’attività contrattile che la velocità dello svuotamento gastrico.
CCK-Pz : (dalle cell. CCK ) ha un effetto discordante, generalmente inibente ma talora eccitante
( per competitività recettoriale con la gastrina con cui condivide gli ultimi 4 aminoacidi). Se agisce in modo
competitivo con la gastrina ha lo stesso effetto della gastrina --> aumenta la contrattilità gastrica, sennò la
inibisce. In entrambi i casi, però lo svuotamento risulta rallentato.(vedi prima per gastrina o per riduzione
contrattilità)
Secretina e CCK sono liberati dal duodeno vengono liberate per il chimo acido, l'acidificazione duodenale
porta a aumento di queste sostanze. Nei pz che prendono PPI e che non hanno acidità nello stomaco, non
avranno neanche la secrezione di secretina e CCK, mancandolo stimolo fisiologico dell'acidificazione
duodenale. Quindi questi pz avranno anche 1 deficit di secrezione di questi H, importanti per es per la
secrezione del pancreas esocrino.
La secretina induce la secrezione di H2O e bicarbonati del succo pancreatico, la CCK induce la secrezione
degli enzimi pancreatici. Presenta gli ultimi AA simili alla gastrina ---> compete con la gastrina o inibisce di
suo l'attività della gastrina.
Stenosi ipertrofica del piloro ( sia congenita che acquisita, secondaria ad ulcera)
Gastropatia ipocinetica ( o stasi gastrica). Somigliano all'atonia gastrica e sono situazioni in cui certi pz in
pieno benessere hanno un'alterazione acuta della motilità gastrica, con gastroparesi, gastrectasia, il pz
vomita, va incontro a disidratazione e se si prolunga nel tempo può dare mancato assorbimento ecc, ma di
solito si autolimita. Può essere idiopatica ,da incoordinazione o secondaria, neurogena o miogena
La vagotomia selettiva determina : visti i danni della precedente, hanno provato a fare questa, sezionando
solo i rami del vago che innervano il corpo-fondo dove ci sono le cellule che producono HCl, ma veniva a
mancare il rilasciamento recettivo soprattutto per liquidi---> svuotamento accelerato per i cibi liquidi, che
sono regolati dalla pressione vigente nel corpo fondo gastrico.
Sindromi post prandiali tardive (ipoglicemia) pz gastroresecati che dopo 2 ore dal pasto ho sudorazione
profuse anche fino al coma perchè il passaggio rapido di cibo dallo stomaco al piccolo intestino mi
determina liberazione soprattutto a livello basso del piccolo intestino di GLP1, ormone che stimola la
secrezione insulinica : per un rapido svuotamento gastrico.
Ulcere post anastomotiche
Finora abbiamo parlato delle dispepsie funzionali che dipendono da alterazioni della motilità gastrica, ma ci
sono anche quelle da alterata secrezione gastrica:
Secrezione gastrica
La secrezione gastrica (acqua, HCL, pepsinogeno, fattore intrinseco e altre sostanze) è sotto l’influsso di
sostanze stimolanti e inibenti che avvengono a 3 diversi livelli della digestione. In tutte queste 3 fasi
troviamo una stimolazione e una inibizione della secrezione gastrica. Ogni sogg normale nelle 24 ore
secerne circa 1,5 litri di succo gastrico, 2 litri di succo pancreatico e 3-4 di succo enterico--> notevole! E
vengono tutti riassorbiti a livello del colon per fortuna...
1-Fase cefalica. Stimolando centri corticali, limbici, ipotalamici e spinali si può avere sia stimolazione che
inibizione. Vista (pasticceria), odore,masticazione del cibo, attraverso la via vagale, stimolano la secrezione
clorido-peptica ( attraverso la stimolazione diretta delle ghiandole oxintiche mediante la liberazione di
acetilcolina, sia stimolando direttamente le cellule”G”) che non è che faccia bene...perchè è
un'ipersecrezione. Cmq vedremo dopo che ci sono anche sostanze inibenti la secrezione di HCl.
2-Fase gastrica. La secrezione di HCl viene provocata da 3 ordini di fattori diversi : chimici ( alcuni cibi,
peptoni che sono primi prodotti di degradazione delle proteine, alcol, ma anche sali biliari, determinano la
liberazione di istamina, che è l'ultimo mediatore per fare la secrezione di HCl a livello delle cellule del
fondo); meccanici (la semplice distensione gastrica da parte dei cibi determina la liberazione di gastrina via
vago-vagale); nervosi (la stimolazione vagale determina la liberazione di gastrina tramite la liberazione di
acetil-colina che poi darà la liberazione di istamina perchè sembra che sia l'ultimo mediatore).
La fase gastrica è la più importante!
Anche nella fase intestinale si ha secrezione acida!
Fase intestinale Si è visto negli animali che l’introduzione diretta di alimenti in digiuno provoca la
liberazione di sostanze che stimolano la secrezione clorido-peptica. Soggetti con ampie resezioni intestinali
presentano aumento della gastrina circolante e quindi della secrezione acida ( la gastrina è eliminata sia per
via renale ma anche per via intestinale, in questo caso l'aumento è dovuto sia per diminuita inattivazione di
gastrina sia per la mancanza di fattori inibenti)
Controllo delle cellule “ G “, sono le cellule che producono gastrina e che si trovano nell'antro-piloro, (si
trovano anche nel duodeno ma lasciamo perdere, si trovano anche nel pancreas endocrino, le isole
pancreatiche contengono cell alfa, beta, delta e cell indifferenziate che possono differenziarsi in cellule
producenti gastrina, motivo per cui i gastrinomi sono neoplasie secernenti gastrina in realtà siano per lo più
in sede pancreatica!)
Controllo della secrezione di gastrina:
La secrezione di gastrina è controllata da numerosissimi fattori sia stimolanti che inibenti e che possono
manifestarsi nelle 3 fasi!
Fattori stimolanti:
Nella fase cefalica : i fattori stimolanti sono meccanismi colinergici centrali, adrenalina
Nella fase gastrica: sostanze bombesino simili (la bombesina è un ormone gastro-intestinale), distensione
antrale, aumento Ph endoluminare, aminoacidi, peptoni.
Nella fase intestinale: bombesina è un ormone simile alla gastrina che stimola la secrezione clorido-peptica
durante il passaggio del cibo dallo stomaco all'intestino.
Altri fattori stimolanti: calcio ( ricorda il calcio che stimola le cellule G e la secrezione acida, 1 litro di latte
contiene 600 g di calcio, che aumenta la secrezione gastrica), magnesio, cortisonici, STH, ACTH, PRL,insulina.
Una volta il latte era usato come rimedio per l'ucera...in realtà il calcio aumenta la secrezione acida, tuttavia
il latte è ancora usato come rimedio, quindi vuole dire che tanto male non fa! Da una parte stimola le cellule
G, ma nel latte ci sono proteine che tamponano il pH acido che c'è aumentandolo, forse hanno la prevalenza
sul meccanismo mediato dal calcio.---> cmq non sarebbe indicato.)
Cortisonici: è nota la capacità del cortisone di dare ulcere gastro-duodenali, sia esogeno, cioè da farmaci, sia
chi ha un cortisone endogeno elevato, per capirci nel Cushing.
Insulina di per sè non stimola la secrezione clorido-peptica, ma le ipoglicemie che l'insulina determina
attivazione del nervo vago che aumenta la secrezione clorido-peptica.
Fattori inibenti: importanti perchè alla fine la secrezione clorido-peptica è un equilibrio tra fattori stimolanti
ed inibenti.
Nella fase cefalica : fattori inibenti sono la sostanza P che è un ormone gastro-intestinale presente anche a
livello cerebrale (= pain, perchè si è visto essere mediatore della trasmissione degli stimoli dolorosi, ma ha
anche molti effetti di tipo gastrico e della motilità ), VIP, noradrenalina.
Nella fase gastrica: importante perchè questa fase è il nocciolo della questione sia per i fattori inibenti che
stimolanti. La somatostatina (è un ormone prodotta normalmente dalle cellule delle isole pancreatiche ma
anche in abbondanza nello stomaco dove ha la capacità di inibire la secrezione clorido-peptica dello
stomaco, tanto che la somatostatina, o meglio l'octreotide (gli ultimi 8 aminoacidi della somatostatina
sintetizzati e in commercio) si usa nella terapia delle ulcere gastro-duodenali sanguinanti), VIP, diminuzione
Ph antrale
Nella fase intestinale: secretina (inibisce la secrezione), bulbogastrone ( detto così perchè si trova a livello
del bulbo in realtà si potrebbe chiamare EGF: epidermal growth factor e si trova nelle ghiandole del
Brunner intestinali), Tanto che nelle ulcere da FANS classicamente da indometacina, agiscono soprattutto a
livello delle ghiandole del Brunner e agiscono inibendo la secrezione del bulbogastrone---> inibiti i fattori
inibenti.
VIP,glucagone,GIP, SST, CCK, ceruleina
Visto che abbiamo parlato della gastrina come ormone principale, vediamo anche le azioni al di fuori della
secrezione clorido-peptica, che sono diverse:
Azioni della gastrina su vari organi
Esofago : Livelli elevati di gastrina rinforzano la contrazione del LES (aumenta il tono dello SEI)
Stomaco: Stimola : la secrezione acida,la secrezione peptica e la motilità antrale. Inibisce : la contrazione
dello sfintere pilorico.
Tenue : stimola la motilità
Pancreas: visto che assomiglia un pochino alla CCK stimolerà la secrezione alcalina, cioè acquosa
(moderatamente), e la secrezione enzimatica (fortemente)
Fegato: stimola (moderatamente) il flusso biliare e la contrazione della colecisti
Circolo : abbassa la tensione arteriosa.
Come vedete la gastrina ha anche molti effetti extra-gastrici.
Abbiamo visto prima la motilità gastrica e diversi metodi di indagine del funzionamento della motilità
gastrica, ora abbiamo visto la secrezione gastrica e vediamo i metodi per studiare la secrezione gastrica, cioè
vedere se un pz è normosecretivo, ipersecretivo o iposecretivo.
Esplorazione funzionale della secrezione gastrica
Si attua tramite “sondaggio gastrico” e ci permette di
1° determinare lo stato secretivo di un pz ulceroso (perchè la terapia dell'ulcera usata oggi è di ridurre la
secrezione peptica con gli antiH2, ma ci possono essere pz iposecretivi con un danno per lo più alla
barriera--> bisogna proteggere la parete dando prostaglandine (aumenti le difese!!)e non togliere l'acido
che sarà per lo più normale. Quindi di fronte a un paziente con ulcera gastrica andrebbe fatto prima uno
studio della secrezione per vedere se bisogna inibire la secrezione gastrica con antiH2 o proteggere la
parete.
2° dimostrare la presenza di iper-ipo o acloridria gastrica.
3° diagnosticare una sindrome di Zollinger-Ellison( ne abbiamo parlato prima, è il gastrinoma. Si può fare
diagnosi con questo esame, se i fai solo una TC e c'è solo un'iperplasia e non ancora un adenoma non la
vedi!)--->si studia bene con questo esame.
4° valutare l’efficacia di un'eventuale vagomia, ma lasciamolo perdere perchè oggi non si fa più.
Modalità nell’esecuzione dell’esame: paziente a digiuno, a letto sul fianco sx in modo che la grande
curvatura sia sul fianco sx, introduciamo un sondino naso-gastrico per 60 cm in modo da arrivare alla grande
curvatura dentro, la produzione di HCl si raccoglie nella grande curvatura e noi vi peschiamo col sondino. (in
un pz normale a digiuno al mattino troverai circa 50 cc di liquido). Una volta posizionato sng butti via il
liquido che trovi poi lo si tiene in sede per 1 ora senza fare nulla per vedere la secrezione basale di HCl (in
un ora circa 50-60 cc se nelle 24 ore è 1 litro e mezzo )
Poi stimoli la secrezione: la puoi fare in diversi modi, quello migliore è quello più vicino al fisiologico, cioè
con la gastrina.
Gli stimoli usati per l’esecuzione del test sono:
1° pentagastrina ( 6 micro grammi x Kg di peso)--> oggi si usa questa, ultimi 5 aa della gastrina.
2° istamina ( 40 micro grammi x Kg di peso) non si fanno più, dal punto di vista solo teorico.
3° insulina / 0,2 U xKg di peso) perchè determina ipoglicemia e aumento secrezione acida. (vedi prima, ma
non si usa).
Dopo la prima ora allora inietti gastrina e raccogli il succo gastrico per 1 altra ora. Quindi mandi in
laboratorio il succo gastrico nella prima ora basale e poi nella seconda ora. Come si valuta?
La valutazione dell’attività secretiva si esegue valutando la:
Portata acida che si esprime in mEq di HCL secreti in 1 ora.
Si possono determinare i seguenti parametri:
BAO ( basal acid output) valori normali 1-4 mEq/ora: Esprime la quantità di HCL secreta darante la prima
ora basale senza stimolazione, se iposecretivo ne avrà 0,5, se iper ne avrà di più.
MAO (maximal acid output) valori normali 20 +/- 6 mEq: esprime la quantità di HCl secreta durante la
prima ora dopo stimolazione.
Questi sono i due parametri principali. In realtà quando si raccoglie il succo per 1 ora, si fanno delle raccolte
ogni 15 min(cioè 4 raccolte da 15 minuti) e si valuta la secrezione acida dei quarti d'ora. Questo si fa
perchè spesso i soggetti con ulcera gastrica hanno un MAO praticamente normale cioè durante la prima ora
di secrezione, ma se vai a fare il PAO (cioè picco), durante l'ora di stimolazione il BAO è normale, ma se vai a
fare il PAO ho un picco molto più alto del normale. Per cui il PAO sembra essere il responsabile della
ipersecrezione cloridrica che non è ipersecretiva in assoluto ma relativa al quarto d'ora.
PAO ( peak of acid output) valori normali 22 +/- 6 mEq: esprime la media dei 2 valori acidi più elevati.
Il TAO lo lasciamo perdere perchè è relativo alla secrezione dopo stimolazione di insulina.
TAO ( total acid output) valori normali 23 +/-6 mEq: esprime l’intera secrezione cloridrica nelle 2 ore
successive alla stimolazione insulinica.
Ci possono essere anche sindromi dispeptiche con gastrina molto bassa. In questo caso avremo una gastrite
atrofica diffusa. La ipogastrinemia (gastrite atrofica diffusa) si associa sempre a ipoachilia.
Per quello che riguarda la fisiopatologia della dispepsia poi rimane il fatto che noi alla fine però ci troviamo
sempre davanti il nostro paziente dispeptico...
Come comportarsi davanti a 1 pz con sintomi dispeptici?
In generale:
Se uno riferisce sintomi dispeptici e sta male, ma arriva con una cartella enorme ed è passato da tanti
medici--> pensi ad una dispepsia funzionale, ma bisogna stare attenti se cambiano improvvisamente le
caratteristiche dei sintomi---> vale la pena di fare qualche esame...perchè anche chi ha la sindrome
dispeptica da tanto tempo può ammalarsi di una neoplasia del digerente...vanno comunque ascoltati!
importante cercare di vedere se questi disturbi anche in modo subdolo cambiano caratteristiche...per poter
un pò orientarci.
Se è da poco tempo che è comparsa la sintomatologia dispeptica---> pensi a una causa organica e fai tutte le
indagini viste nelle prime diapositive per valutare eventualmente la presenza di una neoplasia o qualcosa di
organico del digerente o extradigerente.
Quindi in linea generale valuta: recente/non recente con anamnesi
Se ci si decide per una dispepsia funzionale sarebbe bene fare comunque qualche esametto come il Breath
test con acido octanoico per vedere se ha uno svuotamento accelerato o lento perchè abbiamo visto come
le dispepsie motorie possono essere dovute sia a transito accelerato che ridotto.
Se è accelerato daremo alcuni farmaci sintomatici, sennò ne daremo altre!!
Se è una dispepsia su base secretiva: adesso normalmente si danno sempre gli inibitori di pompa protonica
(PPI), ma se è ipocloridrica possono far peggio!! Vanno bene nelle dispepsie ipercloridiche, ma se uno ha
una dispepsia ipocloridica come nella atrofia del corpo-fondo gastrico dovremo dare dell'acido cloridrico e
non i PPI! Infatti in commercio c'è l'acidoipepsina che sono soluzioni contenente acido e pepsina che è
quello prodotto dal fondo gastrico che, essendo atrofico, viene a mancare.
Se uno ha una dispepsia e ha la vitiligo non ci deve mai venire in mente di dargli i PPI ma acidoipepsina,
perchè la vitiligo è spesso associata a una gastrite atrofica.
Per la diagnosi c'è un kit chiamato gastropanel che determina alcune cose che possono interessare la
dispepsia in generale. Si possono mettere
La terapia: (praticamente non esiste, sono malati che girano per tanti medici e hanno provato molti farmaci.
Tra i farmaci più usati ci sono i procinetici, e fra questi è meglio il peridon (domperidone) rispetto alla
cloropropamide o plasil che può dare attivazione extrapiramidale (movimenti coreici!) meglio usarli a basso
dosaggio e non per periodi prolungati.
antisecretivi: stare attenti se c'è un'ipersecrezione.
Dare Acidoipepsina se c'è un'iposecrezione. (magari la farmacista vi guarda male se glielo chiedete perchè
non si vende più, ma esiste e ve lo può preparare)
Poi si stanno valutando altri farmaci per pz particolari con una spiccata sensibilità: magari patofobici: si può
mandarli dallo psicologo o provare con le benzodiazepine e sostanze psicotrope.
Alla fine se la dispepsia è funzionale il problema non si risolve, mentre se è organica bisogna stare attenti a
fare una bella diagnosi differenziale perchè si possono prendere delle cantonate.
CAUSE
Sebbene le cause precise della malattia infiammatoria intestinale rimangano al momento sconosciute,
grazie ai recenti progressi nella comprensione dei fattori genetici, immunologici ed ambientali alla base di
questa complessa sindrome, si sta iniziando a decifrarne I'eziologia. Allo stato attuale, la teoria più fondata
sulla patogenesi della malattia infiammatoria intestinale è quella basata sulla disregolazione dei normali
processi immunologici intestinali. Tale disregolazione dà luogo ad una risposta immune esageratamente
aggressiva,
nella maggior parte dei casi diretta verso la flora batterica intestinale dell'individuo stesso o verso altri
fattori ambientali sconosciuti.
Colite ulcerosa
La colite ulcerosa è caratterizzata da un'infiammazione cronica della superficie mucosa, che coinvolge il
retto (proctite) e si estende prossimalmente nel colon in maniera continua. La maggioranza dei pazienti
esibisce inizialmente diarrea , dolore addominale, urgenza alla defecazione, sanguinamento rettale, e
passaggio di muco dal retto. I pazienti presentano occasionalmente alcune manifestazioni extraintestinali
prima dello sviluppo dei sintomi intestinali.
Il decorso clinico tipico della malattia è costellato di esacerbazioni intermittenti, seguite da periodi di
remissione. I segni di peggioramento clinico includono lo sviluppo di dolore addominale, disidratazione,
febbre e tachicardia. Le caratteristiche cliniche come defecazione frequente, febbre, aumento della
frequenza cardiaca e sangue nelle feci, oltre al rilievo di anemia e di un'elevata velocità di
eritrosedimentazione, vengono utilizzate per stabilire il grado di severità della malattia.
COMPLICANZE PRINCIPALI
Anemia
L'anemia è causata dal sanguinamento significativo a livello del colon, cosi come dalla soppressione del
midollo osseo causata dalla condizione infiammatoria. I casi di emorragia massiva sono rari.
Morbo di Crohn
Può coinvolgere qualsiasi porzione del tratto gastrointestinale e, diversamente rispetto alla colite ulcerosa,
l'infiammazione del morbo di Crohn è transmurale, e la parete dell'intestino appare ispessita, fibrotica e
caratterizzata da restringimenti. La superficie mucosa può presentare un aspetto
“acciottolato"( cobblestoning),
correlato con l'edema, con ulcerazioni lineari. Possono svilupparsi fessurazioni profonde che possono dar
luogo a micro-perforazioni e alla formazione di tratti fistolosi. La malattia può avere una distribuzione
continua, ma spesso è caratterizzata dalle cosiddette skip lesion, con segmenti intervallari di tessuto
intestinale normale. I1 mesentere può presentare un’infiltrazione di grasso, conosciuto col termine di
grasso pericolico.
La malattia è spesso già presente per mesi o anni prima della diagnosi, e nei bambini l'unico segno evidente
può essere un ritardo della crescita.
La modalità di distribuzione del morbo di Crohn può essere di tre tipi principali:
La forma più comune è quella ileocecale, che coinvolge la porzione distale del piccolo intestino
(ileo terminale) ed il tratto prossimale del grande intestino: il morbo di Crohn ileocecale può
mimare molte altre patologie, tra cui l'appendicite acuta. I sintomi comuni includono dolore
addominale localizzato al quadrante inferiore destro, febbre, perdita di peso ed alcune volte la
presenza di una massa infiammatoria palpabile. L'infiammazione cronica, che conduce alla fibrosi
ed alla formazione di restringimenti del lume, può esitare in un'ostruzione intestinale parziale o
completa, che possono manifestarsi clinicamente con dolore e distensione addominale, nausea e
vomito. Siccome la vitamina B12 ed i sali biliari vengono assorbiti a livello dell'ileo terminale, il
morbo di Crohn ileocecale o la resezione dell'ileo terminale possono condurre ad un deficit di
vitamina B12 ma anche di altre vitamine liposolubili (A, D, E, e K), come risultato del
malassorbimento dei sali biliari.
La seconda modalità di distribuzione del morbo di Crohn è caratterizzata dal coinvolgimento
dell'intestino tenue, specialmente della porzione terminale dell'ileo. E’ possibile lo sviluppo delle
medesime complicanze, incluse le fistole, che possono formarsi tra differenti segmenti
dell'intestino, tra intestino ed epidermide, tra intestino e vescica, e tra intestino e vagina.
La terza modalità di presentazione è confinata a1 colon. Sebbene la malattia spesso risparmi il
retto, il 30-40% dei pazienti pub sviluppare un disagevole coinvolgimento della zona perianale, con
fessurazioni, fistole e ascessi. La diarrea è la conseguenza più frequente.
Le modalità di distribuzione rimanenti del morbo di Crohn sono rare (5%) e includono l'esofago, lo
stomaco ed il duodeno.
COMPLICANZE PRINCIPALI
Fistole
L'infiammazione transmurale può determinare un drenaggio spontaneo negli organi adiacenti adiacenti, o
può condurre alla formazione di ascessi attorno all'intestino o a livello di altri tessuti circostanti.
Carcinoma
Emorragia massiva
L'emorragia massiva è rara nel morbo di Crohn.
DIAGNOSI
I test di laboratorio non sono specifici e di solito riflettono uno stato infiammatorio (leucocitosi) e/o
un'anemia. L'anticorpo anticitoplasma dei neutrofili perinucleare (p-ANCA) è positivo ne170% circa dei casi
di colite ulcerosa, ma è raramente positivo nei pazienti con morbo di Crohn, mentre gli anticorpi anti-
Saccharomyces cerevisiae (ASCA) sono di comune riscontro nel morbo di Crohn ma sono rari nella colite
ulcerosa.
Questi test sierologici comunque non sono abbastanza sensibili o specifici da essere utilizzati di routine.
L'esame delle feci per la ricerca di uova e l'identificazione di eventuali parassiti, ed i test di identificazione
della tossina del Clostridium difficile e degli enterobatteri patogeni,vanno effettuati per escludere
l'evenienza di infezioni che mimano la malattia infiammatoria intestinale.
La colonscopia è fondamentale per la diagnosi e mostra alterazioni anatomopatologiche di entità variabile
in relazione al grado di severità della malattia.
Nel morbo di Crohn la radiografia dell'intestino rappresenta tradizionalmente il metodo d'indagine
migliore per l'esame del digiuno e dell'ileo, sebbene si stia facendo recentemente sempre maggior ricorso
all'endoscopia con
video-capsula.
La TAC permette di valutare l’ispessimento della parete intestinale, con l’infiammazione circostante,
nonché gli eventuali ascessi intra-addominali e le fistole.
La biopsia completa l’iter diagnostico.
MANIFESTAZIONI EXTRA-INTESTINALI
Sebbene sia la retto colite ulcerosa che il morbo di Crohn coinvolgano primariamente l'intestino, esse si
associano ad una serie di manifestazioni infiammatorie localizzate in altri organi; la manifestazione extra-
intestinale di più comune riscontro è l'artrite, di cui sono stati identificati due tipi principali. Il primo tipo
rappresenta una forma di artrite periferica, asimmetrica, sieronegativa, oligo-articolare, non deformante,
che
colpisce le grandi articolazioni (circa 20% dei pazienti). Questa forma di solito decorre parallelamente alla
malattia del grande intestino e perdura solo per poche settimane.
La seconda forma di artrite ha una localizzazione assiale, ed il suo decorso non corrisponde a quello della
malattia intestinale. Consiste di una sacro ileite e/o di una spondilite anchilosante.
Si registrano , inoltre, manifestazioni cutanee: pioderma gangrenoso ed eritema nodoso; complicanze
epatobiliari: colangite sclerosante primaria, colelitiasi, epatite autoimmune; complicanze oculari: uveite
ed episclerite; miscellanea: stati di ipercoagulabilità, anemia emolitica autoimmune, amiloidosi.
OPZIONI DI TRATTAMENTO
Nefropatie
A) Anamnesi
1. alterazioni della diuresi e della minzione:
poliuria: > 2.000 ml di urina/die, oliguria: < 500 ml di urina/die, anuria: < 100 (200) ml di urina/die;
pollachiuria: minzione frequente, tenesmo vescicale, spesso in caso di cistite; stranguria: minzione dolorosa
in caso di cistite e uretrite; disuria:
minzione difficoltosa/debole in caso di disturbi dello svuotamento vescicale (ad es. adenoma prostatico)
B) Reperti obiettivi
— pallore (ad es. anemia di origine renale)
— cute color caffelatte (anemia con deposito di cataboliti azotati in caso di uremia)
— fetore uremico
— edemi
— fibrillazioni muscolari, fascicolazioni alla percussione del muscolo (ad es. da ipopotassiemia)
— ipertensione
— soffio stenotico paraombelicale (ad es. per stenosi dell’arteria renale)
— sfregamento pericardico (ad es. uremia)
— toni cardiaci parafonici, stasi giugulare (ad es. a seguito di versamento pericardico in corso di uremia)
— tachipnea, rantoli (ad es. quale indice di edema polmonare alveolare nell’insufficienza renale con
ritenzione idrica)
— massa renale palpabile (ad es. tumore di Wilms, cisti renale, ecc.).
C) Reperti di laboratorio
I Esame delle urine
1. Aspetto: il contenuto urocromico dell’urina e, conseguentemente, l’intensità della normale colorazione
delle urine sono inversamente proporzionali al volume delle urine e direttamente proporzionali al loro peso
specifico:
— dopo scarso o mancato apporto idrico, colorazione ambrata delle urine con elevato peso specifico (fino
ad un massimo di 1.035 g/l) ed elevata osmolarità (fino a 1.200 mosm/kg)
— dopo carico idrico: urina limpida con peso specifico basso (fino a 1.001 g/l) con bassa osmolalità (fino a
50 mosm/kg).
Eccezione classica: diabete mellito: diuresi abbondante e colorazione chiara delle urine. Il peso specifico
tuttavia è abbastanza alto per effetto della glicosuria e aumenta anche in caso di proteinuria.
Reazioni delle urine: il pH delle urine può variare tra 4,8 e 7,6, a seconda dell’alimentazione:
— urina acida: nelle diete ricche di carne, in caso di acidosi, ecc.
— urina alcalina: nelle diete vegetariane, senza carne; quando l’urina è stata conservata troppo a lungo; in
caso di pielonefrite per effetto di germi che formano ammoniaca (Proteus); molto raramente nei casi
ereditari di ridotta estrazione urinaria di acidi (con acidosi metabolica ipercloremica).
2. Proteinuria:
nell’ultrafiltrato del rene sano compaiono solo proteine a basso peso molecolare, che vengono riassorbite
al 90% a livello del tubulo prossimale. Per proteinuria si intende un’eliminazione urinaria di proteine > 150
mg/24 ore, oppure una variazione qualitativa rispetto alla proteinuria fisiologica. Per microalbuminuria si
indica l’eliminazione di albumina in quantità di 30-300 mg/24 ore o di 20-200 mg/l (tipico sintomo precoce
di una nefropatia diabetica o ipertensiva). Nella donna una lieve proteinuria può essere simulata dalla
presenza di leucorrea.
Una lieve proteinuria riscontrata solo durante il giorno, mentre le urine notturne risultano prive di
albumina, depone per una proteinuria ortostatica (reperto generalmente privo di significato patologico,
soprattutto nei maschi giovani).
3. Glicosuria:
nel diabete mellito l’iperglicemia è tale da superare la normale soglia renale (corrispondente a una glicemia
di 160-180 mg/dl = 8,9-10,0 mmol/l); nella cosiddetta glicosuria renale (in particolari affezioni tubulari
renali) la soglia renale
è patologicamente più bassa (glicosuria con glicemia normale).
4. Sedimento:
a) Ematuria:
valore normale: fino a 5 emazie/μl = limite di sensibilità dello stick.
Nota: lo stick documenta l’azione perossidasica dell’emoglobina e della mioglobina,
non distingue tra ematuria, emoglobinuria e mioglobinuria; pertanto, in caso di stick positivo, eseguire
l’analisi microscopica del sedimento
— microematuria: > 5 emazie/μl, senza tuttavia alcuna colorazione rossa visibile dell’urina
— macroematuria: colorazione rossa visibile dell’urina dovuta alla presenza di numerose emazie
— analisi al microscopio a contrasto di fase:
• eritrociti dismorfici (con morfologia alterata) = indicativi di origine renale: eritrociti raggrinziti e con
spicule (acantociti)
• eritrociti isomorfi (con morfologia normale) = indicativi di origine postrenale.
Emoglobinuria
Conseguenza di emolisi intravasale (reazioni post-trasfusionali, crisi emolitica in caso di anemia emolitica,
emoglobinuria da marcia, ecc.).
Mioglobinuria
Dopo trauma muscolare.
b) Leucocituria: range di normalità fino a 10 leucociti/μl. Se il numero di leucociti nelle urine è tale da
avere un color giallo torbido, si parla di piuria. La leucocituria si riscontra soprattutto nelle infezioni delle vie
urinarie. La
presenza di cilindri leucocitari suggerisce l’origine renale dei leucociti, soprattutto in caso di pielonefrite.
Una leucocituria non accompagnata da batteriuria si può riscontrare in: infezioni in corso di trattamento
antibiotico, gonorrea, uretrite non gonococcica e post-gonococcica, tubercolosi, sindrome di Reiter,
nefropatia da analgesici, ecc.
c) Cellule di sfaldamento: Cellule di forma poligonale: origine soprattutto renale. Epitelio piatto: cellule
delle basse vie urinarie (senza significato clinico).
d) Cilindri: Si formano nei tubuli renali per precipitazione: sono dunque di origine renale.
Urinocoltura
Azotemia e creatininemia
— Creatinina
La creatinina si forma nel muscolo per catabolismo del creatinfosfato e viene filtrata dal glomerulo renale.
La concentrazione plasmatica della creatinina non dipende dall’alimentazione (fatto salvo per un eccessivo
apporto di carne) bensì solo dalla filtrazione glomerulare.
Nota: la creatinina supera i valori normali (1,1 mg/d = 97 μmol/l) solo quando la filtrazione glomerulare è
diminuita di oltre il 50%.
— Azotemia (urea)
L’urea rappresenta il prodotto finale del catabolismo proteico. La concentrazione plasmatica di urea
dipende da diversi fattori:
• renali: quantità di urea filtrata dal glomerulo e retrodiffusione di urea
• extrarenali: un maggior apporto proteico esogeno e l’aumento del catabolismo (febbre, ustioni,
cachessia) aumentano i valori dell’urea.
Solo quando il filtrato glomerulare scende al di sotto del 25%, viene superato il valore normale superiore
dell’urea plasmatica pari a 50 mg/dl (= 8,3 mmol/l).
III Determinazione della clearance
Clearance: volume plasmatico depurato dal rene da una determinata sostanza in un determinato intervallo
di tempo.
L’acqua costituisce approssimativamente il 60% del peso corporeo totale dell’uomo. Il potassio e il
magnesio costituiscono i principali intracellulari, mentre il sodio rappresenta il principale catione
extracellulare. Il fosfato e le proteine costituiscono i principali anioni intracellulari, mentre il cloro e il
bicarbonato rappresentano i principali anioni extracellulari. La pressione osmotica del plasma si correla al
numero di particelle presenti in soluzione.
La osmolalità è pari alla concentrazione di tutte le particelle osmoticamente attive per kg di acqua
(osmolarità per l di soluzione).
Valori normali: 280-296 mosmol/kg H2O.
Il mantenimento dell’isotonia o della isoosmolalità nel liquido extracellulare viene determinato
principalmente dalla concentrazione del Na+. Le variazioni degli anioni non hanno alcun effetto particolare
sull’isotonia, in quanto i due anioni principali nel liquido extracellulare, HCO3– e Cl–, possono sostituirsi a
vicenda per motivi di neutralità elettrica. Alterazioni
della concentrazione di K+, Ca++ e Mg++, non influiscono minimamente sull’isotonia, poiché le alterazioni a
carico di questi elettroliti non sono più compatibili con la vita, prima che la loro variazione di
concentrazione possa agire sull’osmolalità. Tuttavia alcune sostanze non elettrolitiche come il glucosio e
l’urea possono aumentare notevolmente l’osmolalità (coma diabetico, insufficienza renale).
EQUILIBRIO IDRO-ELETTROLITICO
Le variazioni della isovolemia e della isotonia sono collegate fra di loro. Le variazioni dell’isotonia sono
determinate più frequentemente da alterazioni della concentrazione di sodio (l’osmolarità del plasma
dipende principalmente dalla concentrazione di Na+); tuttavia anche gravi iperglicemie ed aumenti
dell’urea possono far aumentare sensibilmente l’osmolarità.
La regolazione del volume è prioritaria e più rapida rispetto a quella dell’osmolarità.
2. Ipervolemia:
Eziologia: insufficienza renale + iperidratazione.
Nota: l’ipervolemia acuta compare, di regola, solo quando si verificano contemporaneamente una
riduzione della funzione renale e un aumento dell’apporto di liquidi; infatti, un rene con funzione normale è
in grado di eliminare velocemente l’eccesso di liquidi.
Clinica:
— tosse, dispnea _ stasi polmonare, edema polmonare (rantolini umidi)
— aumento della pressione venosa centrale, stasi venosa (vene del collo e della base linguale), tachicardia,
aumento della pressione arteriosa
— cefalea, tendenza a convulsioni
— rapido aumento di peso
— emodiluizione.
Terapia:
— causale
— sintomatica
• posizione seduta con gambe abbassate (diminuzione della pressione idrostatica nei vasi polmonari)
• diuretico dell’ansa ad effetto rapido: furosemide 20-40 mg e.v. (somministrazioni ripetute)
• nell’edema polmonare inoltre diminuzione del pre-carico (nitroglicerina, salasso non cruento) e
respirazione assistita (PEEP) con O2 al 100%
• in caso di crisi ipertensiva: nitroglicerina ed altri antiipertensivi
• nell’insufficienza renale e iperidratazione: dialisi, calcolo del bilancio idrico e pesatura quotidiana.
a) Disidratazione isotonica
Definizione
Perdita isotonica di sodio e acqua extracellulare.
Eziologia
— Perdite renali:
• perdite renali primitive: fase poliurica dell’insufficienza renale acuta e cronica.
• perdite renali secondarie: terapia con diuretici, malattia di Addison.
— Perdite extrarenali:
• perdite intestinali: vomito, diarrea, fistole
• perdite dal comparto transcellulare (pancreatiti, peritoniti, occlusioni intestinali)
• perdite attraverso la cute: ustioni.
Clinica
Sintomi da ipovolemia: sete intensa, tachicardia, ipotensione, shock, oliguria.
Laboratorio
• aumento di ematocrito, emoglobina, proteine totali
• osmolalità plasmatica e natriemia normali
• aumento del peso specifico dell’urina (con funzione renale normale).
b) Disidratazione ipotonica
Definizione
Perdita di sali > perdita di acqua _ disidratazione extracellulare, edema intracellulare.
Eziologia
Come nella disidratazione isotonica (vedi sopra), ma con apporto eccessivo di acqua priva di sali.
Patogenesi
La diminuzione del volume extracellulare comporta, mediante secrezione di ADH, una ritenzione idrica
renale. L’iposodiemia comporta un aumento del liquido intracellulare con sintomi cerebrali.
Clinica
— sintomi da ipovolemia (come nella disidratazione isotonica) con marcata tendenza al collasso
— sintomi cerebrali: torpore psichico, psicosi, convulsioni.
Laboratorio
• emoglobina, ematocrito e proteine sieriche aumentate
• natriemia e osmolalità plasmatica diminuite
• Na+ urinario < 20 mmol/l in caso di perdite extrarenali
• Na+ urinario > 20 mmol/l in caso di perdite renali.
c) Disidratazione ipertonica
Definizione
Deficit di acqua libera con diminuzione del volume intra- ed extracellulare.
Eziologia
• mancato o insufficiente apporto idrico (sete)
• perdite di acqua da: cute (sudorazione), polmoni (iperventilazione), reni (coma diabetico, diabete
insipido), tratto gastro intestinale
• iatrogena (eccessivo apporto di liquidi osmo-attivi).
Patogenesi
Per effetto del gradiente osmotico si verifica abitualmente un deficit di acqua intracellulare con sintomi
relativamente modesti da ipovolemia.
Nella disidratazione ipertonica tutte le cellule perdono acqua, anche gli eritrociti che quindi diminuiscono di
volume; in questo caso, nonostante la disidratazione, l’ematocrito aumenterà relativamente poco.
Clinica
• sete intensa
• cute secca e grinzosa, mucose secche
• febbre
• torpore psichico, stato confusionale
• oliguria.
Nota: circolazione stabile relativamente a lungo!
Laboratorio
• ematocrito, emoglobina, proteine sieriche aumentati
• osmolalità plasmatica e natriemia aumentate
• osmolalità dell’urina aumentata nei pazienti con funzionalità renale normale
• osmolalità dell’urina diminuita (< osmolalità plasmatica) nel diabete insipido. Dopo somministrazione di
ADH l’osmolalità dell’urina aumenta nel diabete insipido centrale, ma non in quello nefrogeno.
IPERIDRATAZIONE
In base alla osmolalità plasmatica – ossia quasi sempre in base alla sodiemia – si distinguono 3 forme di
iperidratazione:
Eziologia
Eccesso relativo di liquidi e/o cloruro di sodio nei seguenti casi:
1. insufficienza renale
2. insufficienza cardiaca
3. ipoproteinemia:
— da perdita di proteine: sindrome nefrosica, enteropatia protidodisperdente
— da ridotto apporto: edema da denutrizione
— da ridotta sintesi dell’albumina: cirrosi epatica.
4. alterazione dei meccanismi di regolazione
— iperaldosteronismo secondario
— terapia con gluco- o mineral-corticoidi
— sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH) = sindrome di Schwartz-Bartter: cause:
• paraneoplastica (solitamente microcitoma)
• affezioni cerebrali
• affezioni polmonari
• ipotiroidismo
• iatrogena (ad es. citostatici)
Nota: nella SIADH non ci sono edemi.
Patogenesi
In base all’osmolalità o alla concentrazione plasmatica di Na+ si distingue fra iperidratazione isotonica,
ipertonica e ipotonica. Ciò dipende dal rapporto con cui vengono somministrati acqua e cloruro di sodio.
In caso di alterazioni della osmolalità (della sodiemia) si hanno pericolose alterazioni a carico del contenuto
idrico cerebrale:
— ipoosmolalità _ aumento di liquidi nel cervello fino all’edema cerebrale
— iperosmolalità _ sottrazione di liquidi dal cervello.
Clinica
— aumento del peso corporeo
— sintomi di ipervolemia:
• nel grande circolo: edema
• nel piccolo circolo: dispnea, stasi polmonare, edema polmonare
— evtl. versamento pleurico, ascite
— in caso di alterazioni rispetto all’osmolalità (sodiemia) normale si hanno inoltre sintomi neurologici:
cefalea, evtl. convulsioni, coma
— nell’iperosmolalità (ipersodiemia) la pressione è sovente aumentata, e piuttosto bassa nell’ipoosmolalità
(iposodiemia).
Laboratorio
• diminuzione di ematocrito, emoglobina, proteine sieriche.
Terapia
1) causale:
ad es. trattamento dell’insufficienza cardiaca, renale, ecc.
2) sintomatica:
— bilancio tra apporto e perdite, peso, controllo degli elettroliti
Nota: l’iposodiemia da iperidratazione (iposodiemia da diluizione) non deve essere confusa con una
carenza di sodio, e non va quindi trattata con l’apporto di sodio! In caso di insufficienza cardiaca con edemi,
cirrosi epatica con ascite, sindrome nefrosica e insufficienza renale, è di regola indicata la restrizione di
acqua e di cloruro di sodio (+ diuretici)
— diuretici:
• nell’iperidratazione non pericolosa senza segni di ipervolemia nel piccolo circolo: lenta disidratazione
controllando particolarmente il bilancio del potassio, ad es. associazione di un saluretico tiazidico ad un
saluretico risparmiatore di
potassio (al fine di evitare il più possibile una ipopotassiemia)
• nell’iperidratazione pericolosa con segni di ipervolemia nel piccolo circolo: somministrazione di un
diuretico dell’ansa a rapida azione, ad es. furosemide 20-40 mg e.v., ripetere la dose se necessario (per
ulteriori dettagli vedi Terapia
dell’ipervolemia)
— nell’iperidratazione dovuta ad insufficienza renale: dialisi.
EDEMA
Definizione
Accumulo patologico di liquido nello spazio interstiziale. Un edema generalizzato compare inizialmente
nelle regioni declivi: a livello della regione coccigea nel paziente sdraiato, simmetricamente a livello
malleolare e pretibiale nel paziente in grado di camminare.
Eziologia
1. aumentata pressione idrostatica nei capillari:
— generalizzata: insufficienza renale, insufficienza cardiaca destra (vedi anche Iperidratazione)
— localizzata: alterazione del deflusso venoso (flebedema): flebotrombosi, sindrome post-trombotica,
insufficienza venosa cronica.
2. diminuita pressione oncotica nel plasma secondaria ad ipoalbuminemia (< 2,5 g/dl):
— perdita di albumina: sindrome nefrosica, enteropatia essudativa
— apporto diminuito: edema da denutrizione
— diminuita sintesi di albumina: cirrosi epatica
3. aumentata permeabilità dei capillari:
— generalizzata: glomerulonefrite acuta post-infettiva, angioedema
— localizzata: edema allergico e infiammatorio, edema post-traumatico, malattia di Sudeck
4. diminuito drenaggio linfatico: linfedema
5. nelle donne pensare alle seguenti possibilità:
— edema indotto da diuretici: soprattutto donne che lavorano in strutture mediche o sanitarie, che
assumono di nascosto diuretici per dimagrire _ stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone
— edema ciclico (in genere pre-mestruale, talvolta periovulatorio)
— edema idiopatico (soprattutto donne in premenopausa)
— edema fattizio: da autoapplicazione, su base psicopatologica, di un laccio a un’estremità (fare attenzione
all’eventuale segno del laccio).
Diagnosi differenziale
• mixedema da ipotiroidismo: cute di consistenza pastosa; la pressione digitale locale non lascia il segno
della fovea (al contrario dell’edema vero, da imbibizione con acqua)
• lipoedema: gambe gonfie da depositi adiposi + linfedema; risparmia i piedi.
ANGIOEDEMA
Definizione
Edema acuto del tessuto connettivo profondo, generalmente localizzato a labbra, palpebre, lingua, faringe,
con pericolo di edema della glottide e rischio di soffocamento; tendenza alle recidive.
Eziologia
1. angioedema istaminergico e angioedema da orticaria (forme più frequenti)
— angioedema idiopatico
— angioedema da intolleranza; agente scatenante più importante: acido acetilsalicilico
— angioedema da ACE-inibitori
— angioedema causato da IgE = angioedema allergico
— angioedema da cause fisiche (pressione, vibrazione, freddo, luce)
2. angioedema da deficit di C1 -esterasi-inibitore (forma rara)
— angioedema ereditario:
deficit ereditario autosomico dominante del sistema del complemento:
• tipo I (più frequente): ridotta sintesi di C1-inibitore
• tipo II (più raro): sintesi di C1-inibitore funzionalmente inattivo
— angioedema acquisito:
• tipo I: in caso di linfoma maligno
• tipo II: da autoanticorpi anti-C1-inibitore.
Una forma particolare di angioedema è la «capillary leak syndrome», caratterizzata da edema generalizzato,
ascite e shock circolatorio (ad es. quale complicanza rara della terapia con interleuchina-2).
Terapia
• Causale: evitare le cause scatenanti, ad es. acido acetilsalicilico, ACE-inibitori, ecc.; allontanare eventuali
allergeni.
SODIO
Valore normale nel plasma: 135-145 mmol/l nell’adulto, 130-145 mmol/l nel bambino.
Iposodiemia
Definizione
Sodio plasmatico < 135 mmol/l negli adulti (< 130 mmol/l nei bambini).
Fisiopatologia
La sodiemia normale è fisiologicamente regolata dall’assunzione di acqua (senso della sete) e dalla sua
eliminazione (ormone antidiuretico, ADH). L’iposodiemia è solitamente la conseguenza di una ridotta
eliminazione renale di acqua dipendente dall’ADH;
2 cause:
a) stimolazione alla sintesi di ADH causata dall’ipovolemia e mediata dai barorecettori: ad es. cirrosi
epatica scompensata, insufficienza cardiaca scompensata, ipovolemia da altre cause
b) sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH).
c) con sodio e acqua normali (non edemi né sintomi da ipovolemia): deficit di glucocorticoidi, ipotiroidismo,
polidispia psicogena, farmaci che trattengono acqua, SIADH.
Ipersodiemia
Definizione
Sodio plasmatico > 145 mmol/l.
CLORURO
Valore normale nel plasma: 97-108 mmol/l.
Modifiche della concentrazione di cloruro plasmatico sono parallele a quelle del sodio. Alterazioni isolate
della concentrazione di cloruro nel plasma si hanno nelle alterazioni dell’equilibrio acido-base .
POTASSIO
Fisiologia
I valori normali di riferimento variano con l’età:
— nei bambini 3,2-5,4 mmol/l
— negli adulti 3,6-5 mmol/l.
L’apporto giornaliero di potassio ammonta, con alimentazione varia, a ca. 50-150 mmol/die; l’eliminazione
avviene per il 90% per via renale e per il 10% per via enterale. In caso di insufficienza renale viene eliminato
per compenso più potassio attraverso il colon. Solo il 2% del potassio totale è a livello extracellulare (Ke), il
98% si trova a livello intracellulare (Ki). Il rapporto Ki/Ke, che viene mantenuto tramite il trasporto attivo
(NA+/K+-ATPasi), determina il potenziale delle membrane.
Il potenziale delle membrane a riposo ammonta a ca. –85 mV, il potenziale soglia che provoca il potenziale
di azione è di –50 mV.
Fisiopatologia
• L’ipopotassiemia acuta provoca, con l’aumento del rapporto Ki/Ke, una diminuzione dell’eccitabilità
neuromuscolare; nel caso estremo si ha una paresi muscolare dovuta a blocco dell’iperpolarizzazione.
• Nelle turbe croniche del potassio i disturbi neuromuscolari sono minori, in quanto la modifica del potassio
extracellulare comporta una parallela modifica del potassio intracellulare (per cui il rapporto Ki/Ke si
rinormalizza). Nei pazienti con ipo- o iperpotassiemia cronica è dunque possibile che manchino modifiche
dell’ECG.
La distribuzione del potassio tra spazio intra- ed extracellulare dipende dai seguenti fattori:
1. equilibrio acido-base: nell’acidosi del liquido extracellulare si ha un afflusso di H+ nelle cellule con lo
scambio di potassio _ l’acidosi comporta una iperpotassiemia. Nel senso inverso l’alcalosi comporta una
ipopotassiemia
2. insulina ed aldosterone promuovono l’afflusso di potassio nelle cellule; pertanto è possibile trattare a
breve termine una iperpotassiemia con infusione di glucosio/insulina
3. la carenza di magnesio comporta una perdita di potassio dalle cellule cardiache e da quelle dei muscoli
scheletrici (inibizione della Na+/K+-ATPasi).
Nota:
— poiché il 98% del potassio è a livello intracellulare, la concentrazione nel plasma non è sufficientemente
rappresentativa del bilancio del potassio;
— pertanto, è necessaria l’ulteriore verifica a livello degli organi la cui funzione è dipendente dal potassio.
Nelle alterazioni acute della potassiemia è utile un ECG;
— con la misurazione del potassio nelle urine si può determinare se la perdita di potassio
sia a livello renale o enterale;
Ipopotassiemia
Definizione: potassio plasmatico < 3,6 mmol/l negli adulti (< 3,2 mmol/l nei bambini).
Eziologia
A) ipopotassiemia da mancato apporto o da perdita (alterazione del bilancio esterno)
1. ridotto apporto orale
2. perdite intestinali:
— diarrea, abuso di lassativi, fistole, vomito
— mucorrea (aumento della secrezione di muco enterale) nell’adenoma villoso
Nota: l’abuso continuo di lassativi costituisce la causa più frequente di un’ipopotassiemia
non chiara. Le giovani donne con disturbi non ben definiti (apatia, stipsi) devono essere interrogate circa
l’eventuale uso di lassativi! L’ipopotassiemia aumenta la stipsi
3. perdite renali:
— primitive, in corso di nefropatia:
• nefriti interstiziali croniche
• fase poliurica dell’insufficienza renale acuta
• acidosi tubulare renale
— secondarie:
• terapia con diuretici: è la causa più frequente di ipopotassiemia; pertanto in corso di terapia diuretica è
necessario aumentare l’apporto di potassio oppure associare un saluretico risparmiatore di potassio
• iperaldosteronismo primitivo o secondario
• pseudoiperaldosteronismo da abuso di liquerizia
• ipercortisolismo
• terapia con gluco- e mineralocorticoidi
• terapia con amfotericina B
Clinica
Le ipopotassiemie croniche sono per la maggior parte reperti casuali asintomatici nel quadro di un esame di
laboratorio. Tanto più rapidamente si manifesta una ipopotassiemia, tanto più accentuati sono anche i
sintomi:
— adinamia fino alla paresi, fascicolazioni alla percussione del muscolo
— stipsi, fino a ileo paralitico (anche paralisi vescicale)
— astenia sino alla areflessia
— ECG: appiattimento delle onde T, sottoslivellamento del tratto ST, onda U (l’onda U è più alta di T),
fusione TU, extrasistoli: la comparsa di extrasistoli durante la terapia con digitale pone sempre il sospetto di
ipopotassiemia o sovradosaggio di digitale.
Nota: l’ipopotassiemia aumenta i rischi di tossicità digitalica! Nel senso inverso la tollerabilità di una terapia
con digitale può essere migliorata mantenendo la concentrazione plasmatica del potassio (e del magnesio)
ai limiti superiori della norma
— nefropatia da ipopotassiemia: evtl. comparsa di una tubulopatia vacuolare con poliuria + polidipsia,
refrattaria all’ADH
(diabete insipido renale). Nell’ipopotassiemia cronica si può avere una nefrite interstiziale
— alcalosi metabolica.
Diagnosi
— anamnesi + clinica
— potassio nel plasma e nelle urine:
• potassio nelle urine > 20 mmol/l: perdita di potassio a livello renale
• potassio nelle urine < 20 mmol/l: perdita di potassio a livello enterale
— equilibrio acido-base
— in caso di ipertensione con ipopotassiemia considerare la possibilità della sindrome di Conn e della
stenosi dell’arteria renale.
Terapia
— Causale: eliminazione delle cause scatenanti, ad es. sospensione di lassativi, terapia con diuretici che non
interferiscono sul potassio.
— Sintomatica: apporto di potassio tenendo conto del pH
• alimentazione ricca di potassio (succhi di frutta, banane, ecc.)
• cloruro di potassio: equilibra sovente, accanto alla ipopotassiemia, anche l’alcalosi metabolica
concomitante.
Se somministrato per os in un soggetto con funzionalità renale normale non vi è alcun pericolo di
sovradosaggio: il cloruro di potassio sotto forma di compresse è
obsoleto in quanto si possono formare delle ulcere nell’intestino tenue; pertanto assunzione di potassio
durante e dopo i pasti con abbondante liquido (ad es. compresse effervescenti).
Parenterale: determinazione del deficit di K+ mediante nomogramma (tenendo conto del pH). Apporto di
potassio e.v. con controlli della potassiemia + monitoraggio dell’ECG.
Nota: 1 mmol di deficit di potassio plasmatico extracellulare corrisponde ad un
deficit di 100 mmol di potassio. Per via parenterale non somministrare più di 20 mmol/h (dosaggio
massimo giornaliero 3 mmol/kg peso corporeo). Diluire sufficientemente la soluzione di potassio in quanto
il potassio è tossico per la parete
dei vasi. Nell’ipopotassiemia e acidosi riequilibrare anzitutto il deficit di potassio; solo successivamente
correggere l’acidosi (in caso contrario, l’ipopotassiemia peggiora!).
Iperpotassiemia
Definizione
Potassio nel plasma > 5,0 mmol/l negli adulti (> 5,4 mmol/l nei bambini).
Eziologia
A) Alterazioni del bilancio esterno:
1. eccessivo apporto di potassio
Nota: in caso di normale funzione renale l’apporto orale di potassio non costituisce pericolo,
contrariamente a quanto avviene nell’insufficienza renale avanzata: in quest’ultimo caso, una
iperpotassiemia pericolosa per la vita può derivare dall’eccessiva
assunzione di frutta o del cosiddetto sale dietetico (a base di potassio).
Per via parenterale, in assenza di possibilità di controllo, non somministrare mai più di 20 mmol K+/h!
B) Alterazioni del bilancio interno (iperpotassiemia da distribuzione) dovute a spostamento del potassio
intracellulare a livello extracellulare.
1. acidosi, coma diabetico (carenza di insulina), grave intossicazione digitalica (blocco della Na+/K+-ATPasi
con fuoriuscita passiva di potassio nello spazio extracellulare)
C) Pseudoiperpotassiemia:
1. emolisi dopo prelievo di sangue:
spesso vengono riscontrati valori erroneamente alti di potassiemia, conseguenti ad emolisi artificiale (lunga
stasi, aspirazione rapida del sangue con aghi a lume stretto, centrifugazione ritardata)!
Clinica
Decorso spesso con pochi sintomi: non esiste alcun sintomo affidabile indice di iperpotassiemia!
— eventuali sintomi neuromuscolari: parestesie, “formicolio” attorno alla bocca, lingua
stopposa, sensazione di “seconda pelle”, spasmi muscolari.
— ECG:
• onda T a punta di notevole altezza
• disturbi di conduzione dello stimolo (blocco A-V, blocco di branca)
• flutter o fibrillazione ventricolare, asistolia.
Diagnosi
— escludere un’insufficienza renale (creatinina)
— equilibrio acido-base
— escludere la presenza di emolisi (aptoglobina, ecc.) o di miolisi (CPK, ecc.).
Terapia
A) Causale, ad es. sospensione di farmaci risparmiatori di potassio nell’insufficienza renale.
B) Sintomatica
1. interrompere l’apporto di potassio, sospendere gli alimenti ricchi di potassio (ad es. banane, frutta)
MAGNESIO
Contenuto complessivo di magnesio nell’organismo ca. 12,4 mmol (0,3 g)/kg di peso corporeo; fabbisogno
giornaliero: 15-20 mmol/die (36-48 mg/die).
Il magnesio si distribuisce nell’organismo in questo modo:
• 1% nel plasma (legato per il 30% all’albumina): concentrazione plasmatica normale: 0,65-1,05 mmol/l
• 67% nelle ossa
• 32% nella muscolatura scheletrica.
A livello intracellulare, il magnesio è legato soprattutto all’ATP (MgATP) ed è in equilibrio con gli ioni Mg++
liberi. Il magnesio è coinvolto nell’attivazione di numerosi enzimi, tra l’altro attiva la Na+/K+-ATPasi
influenzando la distribuzione del potassio. Inoltre il magnesio inibisce la messa a disposizione del calcio a
livello intracellulare («inibitore naturale
del calcio»).
Ipomagnesiemia
Definizione
Magnesiemia < 0,65 mmol/l.
Eziologia
1. Ipomagnesiemia primitiva: malattia autosomica-recessiva estremamente rara (con convulsioni
generalizzate).
2. cuore: extrasistoli ventricolari, maggiore sensibilità alla digitale, aumentata suscettibilità delle arterie
coronarie agli spasmi coronarici, evtl. con angina pectoris.
ECG: sottoslivellamento dell’ST, appiattimento dell’onda T, allungamento del QT
Diagnosi
— clinica (non tipica), ipomagnesiemia, dosaggio del magnesio urinario nelle 24 ore
— esclusione di una ipopotassiemia/ipocalcemia.
Terapia
1. Causale
Ipermagnesiemia
Definizione
Magnesiemia > 1,05 mmol/l.
Eziologia
Le cause più frequenti sono l’insufficienza renale e la terapia con antiacidi a base di magnesio. Più
raramente: rabdomiolisi, somministrazione di magnesio per via parenterale.
Clinica
Solitamente reperto di laboratorio asintomatico. In caso di concomitante ipocalcemia e/o iperpotassiemia
possono manifestarsi:
— debolezza muscolare, nausea, parestesia al volto
— ipoventilazione
— sonnolenza sino alla narcosi da magnesio
— ECG: allungamento del tempo P-Q, allargamento del complesso QRS.
Terapia
In caso di sovradosaggio parenterale di magnesio, il calcio e.v. funge da antidoto. In caso di
ipermagnesiemia e iperpotassiemia da insufficienza renale terminale: dialisi.
CALCIO
Valori normali nel plasma: calcio totale 2,2-2,7 mmol/l, calcio ionizzato 1,1-1,3 mmol/l.
Ipocalcemia
Definizione
Calcio plasmatico totale < 2,2 mmol/l, ionizzato < 1,1 mmol/l.
Eziologia
— con calcio ionizzato normale: ipoalbuminemia di qualunque origine
— con calcio ionizzato diminuito:
a) con livelli normali di magnesio:
• PTH basso, fosfato alto:
– ipoparatiroidismo
– fase transitoria dopo paratiroidectomia per iperparatiroidismo primitivo
• PTH alto, fosfato basso:
– deficit di vitamina D
– terapia con anticonvulsivanti
– pancreatite
• PTH alto, fosfato normale o aumentato:
– pseudoipoparatiroidismo
– rabdomiolisi
– iperalimentazione
– acidosi tubulare renale
– insufficienza renale cronica
Clinica
— tetania da ipocalcemia: crampi muscolari senza perdita di coscienza, spesso associati a parestesie,
laringospasmo, mano da ostetrico
— segno di Chvostek: la percussione del n. facciale nell’area della guancia provoca, in caso positivo, la
contrazione dell’angolo della bocca
— segno di Trousseau: dopo l’applicazione del bracciale per la misurazione della pressione
– alcuni minuti al valore della pressione arteriosa media – compare, in caso
positivo, la mano da ostetrico
— ECG: allungamento del QT.
Diagnosi differenziale
Tetania da iperventilazione (calcio totale normale, calcio ionizzato diminuito in seguito ad alcalosi
respiratoria). Terapia: tranquillizzare il paziente, farlo respirare in un sacchetto.
Terapia
1. Causale
2. Sintomatica
— nella tetania: calcio e.v.
— terapia a lungo termine: apporto orale di calcio, evtl. in aggiunta vitamina D
Ipercalcemia
Definizione
Calcio plasmatico totale > 2,7 mmol/l, ionizzato > 1,3 mmol/l.
Eziologia
1. tumori maligni: sono la causa più frequente (ca. 60% dei casi), soprattutto carcinoma bronchiale,
mammario e plasmocitoma
— ipercalcemia da osteolisi da metastasi ossee (ad es. nel carcinoma mammario) o da plasmocitoma.
— ipercalcemia paraneoplastica da produzione ectopica di peptidi analoghi al paratormone
(PTHrP) da parte del tumore (ad es. carcinoma bronchiale).
2. cause endocrine: iperparatiroidismo primitivo (20%), ipertiroidismo, insufficienza surrenalica
3. da farmaci: intossicazione da vitamina D o vitamina A, trattamento con tamoxifene, diuretici tiazidici o
scambiatori di cationi contenenti calcio, ecc.
4. immobilizzazione
5. sarcoidosi (sintesi nei macrofagi di 1,25(OH)2-D3)
6. forma transitoria dopo trapianto renale (iperfunzione delle paratiroidi nel corso dell’insufficienza
renale).
Clinica
1. Evtl. sintomi dell’affezione causale (ad es. affezione tumorale nota).
2. Sintomi da ipercalcemia: la metà dei pazienti non accusa sintomi specifici da ipercalcemia (reperto
occasionale da esame di laboratorio)
— sintomi renali: diabete insipido renale con poliuria/polidipsia, in caso di mancato
apporto idrico adeguato si giunge a disidratazine e anuria
— sintomi gastrointestinali: nausea, vomito, stipsi, raramente pancreatite
— sintomi cardiaci: aritmie, accorciamento del QT all’ECG
— sintomi neuromuscolari: adinamia, debolezza muscolare sino alla pseudoparalisi
— crisi ipercalcemica (pericolosa se calcemia > 3,5 mmol/l):
• poliuria, polidipsia
• vomito, disidratazione con iperpiressia
• manifestazioni psicotiche, sonnolenza, coma.
Diagnosi
1. dell’ipercalcemia: aumento della calcemia
Terapia
In caso di crisi ipercalcemica:
1. terapia causale
2. terapia sintomatica:
— misure generali:
• l’intervento terapeutico più importante è la diuresi forzata (5 l/die e oltre) indotta mediante infusione di
soluzione fisiologica e furosemide, con controllo del quadro idro-elettrolitico (apporto di potassio)
• sospendere l’apporto di calcio (ad es. nelle acque minerali); attenzione ai glicosidi cardiaci e ai diuretici
tiazidici!
• difosfonati: terapia di scelta nell’ipercalcemia da tumore. Meccanismo d’azione: inibizione dell’attività
degli osteoclasti. Ad es.: acido pamidronico 45-90 mg in infusione lenta, in caso di necessità ripetere a
distanza di 3-4 settimane.
Nota: la calcitonina ha un effetto troppo rapido
— ulteriori provvedimenti:
• i glucocorticosteroidi sono antagonisti della vitamina D_utilizzo in caso di ipercalcemia da vitamina D
(intossicazione da vitamina D, sarcoidosi); agiscono anche sull’ipercalcemia in corso di plasmocitoma
• emodialisi con soluzioni dializzanti prive di calcio, in caso di insufficienza renale.
EQUILIBRIO ACIDO-BASE
Fisiologia
Il mantenimento della concentrazione fisiologica di ioni idrogeno nel sangue e del pH a 7,37-7,45,
nonostante la continua azione di metaboliti acidi, avviene grazie a tre meccanismi di regolazione:
1. sistemi tampone
2. eliminazione polmonare di CO2
3. eliminazione renale degli ioni idrogeno.
L’organismo dispone di due sostanze tampone extracellulari e di due sostanze tampone intracellulari:
• extracellulari: bicarbonato (HCO3–) proteine plasmatiche
• intracellulari: fosfato (HPO4 – –) emoglobina
Il sistema bicarbonato/acido carbonico riveste la maggiore importanza. La CO2 è eliminata dal polmone e
l’escrezione di HCO3 – è regolata dal rene.
La regolazione renale dell’equilibrio acido-base è più lenta di quella respiratoria e coinvolge 3 meccanismi:
• riassorbimento del bicarbonato: poiché il bicarbonato viene consumato per neutralizzare gli acidi ed
eliminato come CO2 dal polmone, esso deve essere continuamente rigenerato dal rene. La anidrasi
carbonica gioca un ruolo importante. Per ogni
HCO3 – rigenerato viene secreto un H+ e per mantenere la neutralità elettroionica viene riassorbito Na+
• formazione di acido titolabile
• formazione di ioni ammonio, che servono per la neutralizzazione degli ioni idrogeno in eccedenza nel
lume tubulare.
Fisiopatologia
3 tipi di alterazioni nell’equilibrio acido-base:
1. alterazioni respiratorie causate da maggiore o minore espirazione di CO2.
2. alterazioni metaboliche dovute a modificazione della concentrazione di bicarbonato.
3. alterazioni miste, dalla combinazione di disturbi metabolici e respiratori.
Meccanismi di compenso
Al fine di mantenere costanti gli ioni idrogeno (isoidria), l’organismo compensa equilibrando le variazioni
della concentrazione del bicarbonato con opportune modifiche della concentrazione di CO2 e viceversa.
Nota: variazioni respiratorie vengono compensate a livello metabolico. Variazioni metaboliche vengono
compensate a livello respiratorio. Se, dopo attivazione dei meccanismi di compenso, il pH si trova entro i
limiti da 7,37 a 7,45 si parla di variazione compensata, altrimenti di variazione non compensata. Un pH
normale non è pertanto sinonimo di normale equilibrio acido-base, ma significa soltanto che i meccanismi
di compenso funzionano ancora.
Diagnosi
Valori normali del sangue arterioso:
ACIDOSI
Effetti generali dell’acidosi:
1. per effetto del passaggio intra-extracellulare di K+ si instaura una iperpotassiemia, che tuttavia scompare
eliminando l’acidosi (può addirittura trasformarsi in ipopotassiemia)
2. l’acidosi diminuisce la sensibilità della muscolatura liscia vasale alle catecolamine (ad es. nello shock
cardiogeno), mentre ha un effetto inotropo negativo sul cuore
5. poiché la barriera tra sangue/liquor è ben permeabile al CO2 (contrariamente agli acidi metabolici e al
bicarbonato), i disturbi respiratori provocano una variazione più rapida del pH del liquor rispetto ai disturbi
metabolici.
A) Acidosi metabolica
Eziologia
1. Acidosi da addizione:
— formazione endogena di acidi:
• chetoacidosi: precoma/coma diabetico (da -idrossibutirrato e acetoacetato), digiuno, etilismo
• acidosi lattica: eccesso di lattato nello shock, nell’ipossia, raramente quale complicanza di una terapia con
biguanidi, grave deficit di tiamina, ecc.
— apporto esogeno di acidi: intossicazione da salicilati, alcool metilico, glicole, ecc.
2. Acidosi da ritenzione:
— minore eliminazione renale di acidi:
• insufficienza renale
• acidosi tubulare distale (tipo I) con minore secrezione di ioni H+.
Clinica
Respiro (profondo) di Kussmaul (= meccanismo di compenso).
Diagnosi
— clinica + emogasanalisi
— HCO3– diminuito, per compenso diminuita anche pCO2
— pH normale (compensato) o diminuito (scompensato)
— in base ai dati di Cl– e gap anionico si hanno 2 quadri:
• acidosi ipercloremica con gap anionico normale: ad es. acidosi da sottrazione
• acidosi normocloremica con gap anionico aumentato: ad es. acidosi da addizione o ritenzione.
Nota: Cl– e HCO3 – costituiscono normalmente l’85% degli anioni nel plasma; il resto (proteinato, solfato,
fosfato, anioni organici) è considerato come gap anionico.
B) Acidosi respiratoria
Eziologia
Insufficienza respiratoria con ipoventilazione alveolare di varia patogenesi
Clinica
• ipoventilazione nell’ambito dell’insufficienza respiratoria
• astenia, disorientamento fino al coma.
Diagnosi
— clinica - emogasanalisi
— pCO2 aumentata, per compenso anche HCO3– aumentato
— pH normale (compensato) o diminuito (scompensato)
— pO2 diminuita.
ALCALOSI
Effetti generali dell’alcalosi:
1. per effetto del passaggio extra-intracellulare e della secrezione tubulare di K+, si instaura una
ipopotassiemia
3. il pH delle urine è quasi sempre alcalino, eccetto che nell’alcalosi metabolica da perdite extrarenali di
potassio: in tal caso il rene trattiene il K+ eliminando H+ (aciduria paradossa).
A) Alcalosi metabolica
Eziologia
1. perdita di succo gastrico acido (dovuto ad es. a vomito)
Clinica
• evtl. bradipnea (= meccanismo di compenso)
• evtl. tetania
• evtl. sintomi cardiaci: extrasistoli.
Diagnosi
— clinica + emogasanalisi:
— HCO3– aumentato, per compenso anche pCO2 aumentata
— pH normale (compensato) o aumentato (scompensato)
— in base all’eliminazione renale di Cl– dopo apporto di NaCl 0,9% si distinguono due tipi:
• eliminazione di cloruri nelle urine delle 24 ore < 10 mmol/l: perdita di succo gastrico, terapia con diuretici
_ alcalosi correggibile mediante infusione di soluzione di NaCl 0,9%
• eliminazione di Cl– nelle urine delle 24 ore > 20 mmol/l: eccesso di mineralocorticoidi_ alcalosi non
correggibile mediante infusione di soluzione di NaCl 0,9%.
B) Alcalosi respiratoria
Eziologia
Maggiore ventilazione alveolare:
• iperventilazione psicogena (più frequente!)
• iperventilazione compensatoria nell’ipossia
• disturbi cerebrali con iperventilazione
• altre cause rare: shock settico, encefalopatia epatica, ecc.
Clinica
• iperventilazione come sintomo causale
• evtl. tetania da iperventilazione con parestesie, tremore muscolare
• in casi pronunciati evtl. diminuzione della irrorazione cerebrale con irritabilità, disturbi di
concentrazione/coscienza.
Diagnosi
— clinica + emogasanalisi:
— pCO2 diminuita, per compenso anche HCO3 – diminuito
— pH normale (compensato) o aumentato (scompensato).
Nota: l’iperventilazione è presente sia nell’alcalosi respiratoria (= causa) che nell’acidosi metabolica (=
compenso).
L’iperventilazione con alcalosi respiratoria da causa psicogena compare in situazioni di completa salute.
Nota: in caso di alterazioni rapidamente reversibili (ad es. chetoacidosi diabetica) l’apporto di bicarbonato
va attuato con cautela. Infondere il bicarbonato lentamente e a piccole dosi _ rischio di ipopotassiemia!
Non aumentare il bicarbonato plasmatico a valori > 15 mmol/l
PIELONEFRITE ACUTA
La pielonefrite acuta è un’infezione del tratto urinario superiore, specificamente del parenchima renale e
della pelvi.
La definizione della Società Americana di Malattie Infettive è una coltura che mostra almeno 10000 unità
formanti colonie per mm3 e sintomi compatibili con la diagnosi.
Patogenesi:
la maggior parte delle infezioni parenchimali sono secondarie ad un’infezione batterica ascendente
dall’uretra e dalla vescica. In più dell’80% dei casi di pielonefrite acuta l’agente eziologico è l’E. Coli.
Nei pazienti anziani l’E. Coli è meno commune (circa il 60%) causa di pielonefrite acuta. L’aumentato uso di
cateteri in questi pazienti li predispone a infezione con altri Gram – come Proteus, Klebsiella, Serratia, or
Pseudomonas.
La batteriuria, che frequentemente è polimicrobica, si sviluppa in più del 50% dei pazienti che richiedono
cateterismo per più di 5gg e virtualmente in tutti i pz che richiedono catetere a permanenza per più di 1
mese.
Pazienti diabetici tendono ad avere infezioni causate anche da Klebsiella, Enterobacter, Clostridium, or
Candida.
Questi pz sono anche a rischio aumentato di sviluppare una pielonefrite enfisematosa (che è una malattia
necrotizzante con la produzione di gas intraparenchimale) o la necrosi papillare che può portare allo shock
e a insufficienza renale grave.
Diagnosi:
- esame delle urine
- urino coltura: positiva nel 90% dei pz con pielonefrite acuta e che i campioni per la coltura
dovrebbero essere ottenuti prima di iniziare la tp antibiotica
- segni e sintomi: febbre, brividi, dolore fianco, nausea, vomito, dolorabilità dell’angolo costo-
vertebrale
- sintomi suggestivi di cistite: disuria, pollachiuria e urgenza urinaria e dolore sovrapubico
- Trattamento:
nel pz ambulatoriale la terapia orale può risultare efficace, se non ci sono complicazioni, fino al 90% dei pz.
Il trattamento può essere eseguito con ciprofloxacina per via endovenosa o per via orale (il vantaggio di
questo antibiotico è che può essere assunto tranquillamente per via orale con un modesto ritardo
nell’insorgenza dell’azione).
Nella donne immunocompetenti si richiedono da 7 a 14gg di terapia; gli uomini di meno di 60 anni senza
ostruzione nè prostatite rispondono a un ciclo di 14gg di tp antibiotica.
Gli uomini che hanno un’infezione urinaria ricorrente possono richiedere un trattamento fino a 6 settimane,
se hanno una prostatite acuta 4 sett di durata…
Sono schemi molto americani…alcune cose sono più lunghe rispetto agli standard nostri.
Gli uomini con prostatite cronica prolungano il trattamento fino a 12 settimane.
L’urinocoltura di controllo va fatta almeno 1-2 settimane dopo aver finito la tp antibiotica
I pz che hanno una complicanza della pielonefrite acuta o che hanno alter malattie sottostanti o che non
rispondono alla tp ambulatoriale devono essere ospedalizzati.
Se il pz richiede ospedalizzazione, la linea guida raccomanda come inizio di tp antibiotica dopo
l’ospedalizzazione:
1) un fluorochinolone
2) un aminoglicoside con o senza associazione con ampicillina
3) cefalosporina a spettro esteso con o senza associazione con aminoglicosidico
In realtà noi tendiamo ad utilizzare di più o il chinolonico o la cefalosporina di III generazione perché gli
amino glicosidici hanno effetti collaterali sul rene non indifferenti. Il trattamento orale si può utilizzare non
appena il pz si sfebbra e migliora clinicamente e può quindi tollerarlo. Il trattamento ottimale per i pz
ospedalizzati è di 14 gg.
La pielonefrite acuta associata con stati di immunosoppressione risponde bene ad un periodo di
chemioterapia di 14-21gg con il fluorochinolone o con il Bactrim.
SINDROME NEFROSICA
Definizione
— grave proteinuria (> 3 g/die)
— ipoproteinemia
— edemi da ipoalbuminemia (quando albumina sierica < 2,5 g/dl)
— iperlipoproteinemia con aumento di colesterolo e trigliceridi.
Eziologia
1. Glomerulonefrite
Clinica
• 4 sintomi tipici della sindrome nefrosica
• clinica della malattia di base
• evtl. carenza di IgG acquisita con conseguente suscettibilità alle infezioni in caso di forte perdita proteica
• nello stadio avanzato sintomi da insufficienza renale
• frequenti complicanze tromboemboliche (perdita renale di antitrombina III).
Laboratorio
— elettroforesi sierica: albumina e gammaglobuline diminuite, con aumento relativo di 2- e -globuline
— in caso di insufficienza renale: aumento di azotemia, creatinina; riduzione della clearance della creatinina
— eventuale diminuzione di IgG e antitrombina III
— aumento di colesterolo e trigliceridi
— esame delle urine: il peso specifico dell’urina è elevato per effetto del contenuto albuminico.
Diagnosi
— clinica + laboratorio
— ecografia renale
— biopsia renale: per motivi diagnostici, terapeutici e di prognosi è necessario eseguire la biopsia renale
con esame istologico.
Terapia
1. Trattamento delle malattia di base, rimozione delle evtl. cause tossiche.
2. Terapia sintomatica:
a. Misure generali:
— evitare gli sforzi
— dieta povera di proteine (0,8 g/kg peso corporeo/die) e di NaCl (circa 3 g/die)
— terapia diuretica: associazione di un diuretico risparmiatore di potassio e di un tiazidico. In caso di edemi
e di scarsa risposta diuretica: associazione di un tiazidico a un diuretico dell’ansa; controlli del quadro idro-
elettrolitico (in
particolare, K+ e Na+).
In caso di complicanze tromboemboliche terapia con dicumarolici per via orale
— in caso di edemi gravi e pericolosi per la vita, aumento temporaneo della pressione colloido-osmotica
mediante infusione di una soluzione di albumina umana iperosmolare povera di sali
— in caso di infezione batterica, antibiotici + somministrazione di gammaglobuline. Vaccinazione contro
pneumococchi e virus influenzali
— terapia dell’ipercolesterolemia (inibitori dell’HMG-CoA-reduttasi)
— trattamento dell’ipertensione (già a valori ai limiti superiori della norma), in quanto questa danneggia
ulteriormente i reni. Valori ottimali: 120/80 mmHg. Vengono preferiti gli ACE-inibitori per il loro effetto
protettivo sul glomerulo.
In caso di insufficienza renale avanzata (clearance della creatinina < 30 ml/min) gli ACE-inibitori sono
relativamente controindicati.
INSUFFICIENZA RENALE
Sintomo tipico: riduzione della produzione di urina _ oligoanuria con aumento di azotemia e creatininemia.
Oliguria: < 500 ml urina/die
Anuria: < 200 ml urina/die.
Il 15% dei casi presenta diuresi normale o poliuria. In questi casi l’unico sintomo è rappresentato
dall’aumento nel plasma delle sostanze normalmente eliminate con le urine. In assenza della dialisi, l’IRA ha
un decorso verso l’uremia e l’exitus.
Eziologia
1. IRA prerenale (70-80% dei casi)
— danno renale circolatorio-ischemico da ipotensione, ipovolemia, shock di varia genesi.
Nota: non è sempre possibile accertare anamnesticamente lo shock. Spesso la sintomatologia dello shock è
transitoria oppure viene mascherata (ad es. non viene notata la caduta della PA durante la narcosi).
— danno renale tossico (alcuni autori lo considerano tra le cause renali di IRA); principali fattori scatenanti:
• farmaci: antiinfiammatori non steroidei = FANS (inibitori della sintesi di prostaglandine); ACE-inibitori;
antibiotici: aminoglicosidi, cefalosporine, inibitori della girasi, amfotericina B, ecc.; citostatici: cisplatino,
metotrexate, ciclosporina,
• mezzi di contrasto
• sostanze chimiche, ad es. glicole
• emolisi (incidente trasfusionale)
• rabdomiolisi: traumi («crush-syndrome»), abuso di farmaci, delirio da astinenza alcoolica, eccessivo sforzo
fisico, ipolipemizzanti (ad es. inibitori della HMG-CoA-reduttasi, fibrati).
2. IRA renale:
affezioni renali da cause diverse:
— nefropatie infiammatorie: sindrome di Goodpasture, nefrite interstiziale acuta da farmaci, infezione da
Hantavirus, ecc.
— nefropatie vascolari: occlusione dell’arteria o vena renale, vasculiti, ecc.
— sindrome emolitico-uremica (SEU) = sindrome di Gasser: è la causa più frequente di IRA in età infantile.
— ostruzione tubulare da precipitazione di catene leggere (in caso di plasmocitoma), urato (in caso di
iperuricemia), ossalato (ad es. in caso di intossicazione da glicole).
3. IRA postrenale: ostacoli al flusso urinario (localizzati dal bacinetto renale fino all’uretra = blocco urinario).
Clinica
All’esordio l’IRA non presenta sintomi significativi: successivamente compaiono rapidamente astenia,
nausea, torpore, ev. labilità neuropsichica. Poiché in taluni casi può mancare il sintomo principale
(oliguria) conviene sempre controllare accuratamente la funzione renale nelle affezioni predisponenti
all’IRA (bilancio idrico, azotemia e creatininemia,
esame delle urine).
4 Stadi dell’IRA:
1. lesioni renali (ad es. shock, nefrotossine)
Complicanze
1. Polmone:
— polmone da shock (ARDS) nell’ambito di uno shock che ha portato all’IRA
— fluid lung, edema polmonare da ipervolemia
— polmonite (ad es. dovuta a respirazione artificiale).
Diagnosi
1. anamnesi + clinica
2. quantità della diuresi
3. esami ematochimici: iperazotemia (evtl. stick rapido in caso di emergenza), ipercreatininemia, disturbi
elettrolitici, emogasanalisi
4. esami urinari: sedimento, proteinuria, peso specifico e osmolalità, urea, sodio
5. ecografia color-doppler: IRA: nefromegalia; IRC: piccoli reni grinzi; stasi nel bacinetto renale? calcoli?
mancato riempimento vescicale?
6. inoltre:
— radiografia del torace (fluid lung?)
— sospetto di trombosi dei vasi renali _ecografia color-doppler, angiografia
— sospetto di IRA postrenale _ parere dell’urologo
— esclusione di una GN rapidamente progressiva (diagnostica immunologica: ANCA, ecc.)
— esclusione di una infezione da Hantavirus; in età infantile esclusione di una infezione
3. Bilancio idroelettrolitico
— in caso di iperpotassiemia, somministrare resine a scambio ionico, ecc.
— in caso di acidosi metabolica bicarbonato di sodio (secondo il base-excess)
— apporto di liquidi per bilanciarne la perdita:
In aggiunta alle perdite, l’introduzione quotidiana di liquidi in caso di anuria dovrebbe ammontare a circa
600 ml
5. In caso di evtl. somministrazione di farmaci (ad es. antibiotici, digitalici), se ne devono adeguatamente
ridurre le dosi. Per il controllo ottimale della terapia, misurare la concentrazione ematica dei farmaci.
6. Trattamento dialitico
Eziologia
— nefropatia diabetica (circa 35% dei casi)
— danni renali da ipertensione (circa 25%)
— glomerulonefrite cronica (circa 10%)
— nefrite interstiziale, compresa la pielonefrite cronica (circa 5%)
— nefropatia policistica (circa 3%)
— nefropatia da analgesici (circa 1%)
— altre cause (6%): malattie del collagene (in particolare LES) e vasculiti, amiloidosi, mieloma multiplo, ecc.
— eziologia non chiara (circa 15%).
II. Stadio della ipercreatininemia compensata: aumento dei valori di creatininemia sino a 6 mg/dl (530
μmol/l), senza sintomi clinici di uremia.
III. Stadio della insufficienza renale pre-terminale (preuremia): creatininemia > 6 mg/dl; con valori > 8 mg/dl
(707 μmol/l)
compaiono i sintomi dell’uremia e si parla di ipercreatininemia scompensata.
IV. Insufficienza renale terminale (stadio uremico): creatininemia > 10 mg/dl (884 μmol/l); malgrado
l’attuazione
di una terapia conservativa, progressione delle manifestazioni uremiche. Trattamento sostitutivo con dialisi
e trapianto
Clinica dell’uremia
1. stadio di compenso iniziale: isostenuria, poliuria, nicturia, alterazioni del sedimento urinario
Diagnosi
1. clinica
2. esami di laboratorio
— valori ematici: iperazotemia, ipercreatininemia (il suo monitoraggio nel tempo consente di valutare il
decorso dell’insufficienza renale), clearance della creatinina diminuita, disturbi elettrolitici (da diuresi,
vomito, diarrea), acidosi metabolica (_ evtl. respiro di Kussmaul), anemia renale normocromica
— valori urinari: peso specifico intorno a 1.010 (isostenuria) - ammesso che non aumenti per effetto della
proteinuria o della glicosuria. Osmolalità < 600 mosmol/ kg, urea < 1 g/dl; evtl. glicosuria (diminuito
riassorbimento tubulare)
3. ecografia: nella pielonefrite/glomerulonefrite cronica, si riscontrano reni sclerotici a superficie irregolare
e con parenchima assottigliato. Presenza eventuale di cisti renali. In caso di ostruzione delle vie urinarie:
stasi nel bacinetto renale
Terapia
A) Conservativa
1. Trattamento della nefropatia di base
2. Diminuzione della ritenzione di sostanze azotate con dieta povera di proteine ma ricca in aminoacidi. La
restrizione proteica deve avvenire solo fino al raggiungimento del valore limite dell’equilibrio azotato
(l’apporto proteico deve
corrispondere alla perdita). Con una alimentazione normale bisogna garantire un apporto giornaliero di
proteine di 0,5 g/kg di peso corporeo. Una dieta ottimale deve mantenere intorno a 10 il rapporto
azotemia/creatininemia.
La creatininemia non viene influenzata dalla dieta povera di proteine. Una riduzione della creatininemia in
assenza di un aumento della clearance della creatinina depone per un decremento della massa muscolare
secondario a bilancio proteico
negativo (_ aumentare l’apporto proteico!).
La dieta iposodica è indicata in caso di ipertensione o edemi per effetto della ritenzione di sodio.
3. Aumento dell’apporto di liquidi (sino a 2-2,5 l/die) così da provocare una maggiore eliminazione di
composti azotati tramite l’aumento della diuresi a 2,5 l/ die. In tal modo è possibile ridurre l’azotemia ma
non la creatininemia.
Una volta assicurato il bilancio elettrolitico, una riduzione della diuresi può essere trattata con due
provvedimenti terapeutici:
— somministrazione di un diuretico dell’ansa (ad es. furosemide):
Invece del trattamento con diuretici dell’ansa ad alte dosi impiegato sino ad oggi, si preferisce ora associare
al diuretico dell’ansa un tiazidico. Questo blocco sequenziale del nefrone consente infatti di superare la
resistenza ai diuretici. Esso può però comportare una perdita di potassio e magnesio _ controllare gli
elettroliti!
— somministrazione di bicarbonato per correggere l’acidosi
Se nonostante questa terapia la diuresi continua a ridursi, sono allora esaurite tutte le possibilità di terapia
conservativa dell’insufficienza renale, e diviene quindi indicato il trattamento sostitutivo.
4. Controlli del bilancio idrico, elettrolitico e acido-basico con correzione dei relativi disturbi
La mancanza di sale rappresenta la causa principale di diminuzione della diuresi. L’apporto giornaliero di
NaCl si basa sulla perdita nelle urine.
5. Attenzione: tenere conto delle variazioni della farmacocinetica. In caso di insufficienza renale ridurre le
dosi di mantenimento (la prima dose rimane invariata) dei farmaci eliminati per via renale . Preferire i
farmaci il cui dosaggio resti
invariato anche in caso di insufficienza renale.
Indicazioni
— dialisi cronica in caso di insufficienza renale cronica; indicazioni all’inizio del trattamento:
• sintomi uremici
• ipertensione arteriosa difficilmente controllabile
• iperpotassiemia non controllabile
• iperfosfatemia grave
• anemia renale grave
• acidosi metabolica grave
• creatininemia > 8-10 mg/dl
• azotemia > 160-200 mg/dl
— insufficienza renale acuta
— intossicazione da veleni dializzabili o ultrafiltrabili
— ritenzione idrica da causa cardiaca.
Complicanze
— nello shunt: stenosi, trombosi, emorragie, infezioni, sepsi, sindrome da furto ematico (con dolori alle
dita), aneurisma, insufficienza cardiaca
— peritonite nella CAPD, e talvolta infezioni profonde dell’accesso, lungo il catetere (solitamente provocate
da germi cutanei: stafilococchi in oltre il 70% dei casi. Diagnosi: scarico di dializzato torbido, ricco di
leucociti; identificazione
del germe)
— in caso di assunzione di liquido incontrollata: ipervolemia ed ipertensione (pesarsi giornalmente)
— in caso di assunzione di potassio incontrollata iperpotassiemia pericolosa per la vita
— epatite B (vaccinazione profilattica attiva!) ed epatite C
— depositi di alluminio cerebrali (demenza da dialisi) ed ossei (attenzione agli antiacidi contenenti
alluminio)
— cachessia dovuta a catabolismo
— polineuropatia
— raramente amiloidosi con sindrome da tunnel carpale e artropatia amiloidosica (causa: aumentata
concentrazione della 2-microglobulina?)
— problemi psichici.
C) Trapianto renale
Pneumologia
Pneumopatie ostruttive
BPCO è un termine che include un gruppo di patologie polmonari che causano dispnea e che sono
caratterizzate da mutamenti strutturali nel polmone che portano ad una limitazione al flusso fissa o
progressivamente irreversibile.
Questo termine include l’enfisema, la bronchite cronica e le bronchioliti croniche, così come tutte le
patologie polmonari che hanno manifestazioni cliniche, radiologiche e fisiologiche comuni. Il termine
esclude altre cause di ostruzione al flusso, come la fibrosi cistica e le bronchi ectasie, che anche possono
causare irreversibile ostruzione al flusso, e l’asma.
Il fumo di sigaretta è la causa più frequente di BPCO; tuttavia contribuiscono altri fattori quali
l'inquinamento atmosferico, l'esposizione occupazionale alle polveri e ai vapori e le infezioni. Sebbene il
fumo di sigaretta sia una causa molto frequente, va sottolineato che solo il 20% dei fumatori sviluppa una
BPCO clinicamente significativa. Ciò suggerisce chela BPCO derivi da una suscettibilità a fattori ambientali
(ad es., il tabacco) che dipende da una predisposizione genetica.
CARATTERISTICHE CLINICHE
Dispnea cronica progressiva
DATI DI LABORATORIO
Riduzione dei flussi espiratori principalmente per una diminuzione della pressione di ritorno elastico, ma
anche per un’aumentata resistenza al flusso nelle piccole vie aeree. Ipossia ed Ipercapnia nelle fasi
terminali.
Enfisema
L'enfisema è un’entità clinica inclusa nel termine generale di BPCO. E’ una dilatazione permanente degli
spazi aerei che deriva da una distruzione del parenchima polmonare, in assenza di fibrosi. Tali alterazioni
esitano in un acino abnorme con una limitata capacità per gli scambi gassosi. L’enfisema può essere
classificato in centroacinoso e pan acinoso: l’enfisema centroacinoso, che colpisce la parte prossimale
dell’acino,è più comunemente correlato al fumo, mentre I'enfisema pan acinoso è osservabile nell'ambito
di un deficit di alfa1-antitripsina.
L'elastina è ritenuta il bersaglio principale delle proteasi polmonari, poiche I'assenza di alfa1-antitripsina
previene l'inattivazione dell’elastasi. Una eccessiva distruzione delle fibre di elastina porta ad una riduzione
del ritorno elastico del polmone. Dal momento che le elastasi, possono essere rilasciate nel polmone dai
neutrofili, macrofagi ed altre cellule immuni, anche l’infiammazione viene considerata un processo chiave
nello sviluppo dell’enfisema. L’infiammazione inoltre causa edema della mucosa e produzione di muco, i
quali portano entrambi ad un restringimento delle vie aeree. Anche gli stimoli neurogenici sono considerati
importanti nella patogenesi delle malattie ostruttive delle vie aeree. La via bronco costrittiva, che
normalmente serve a proteggere le vie aeree da agenti nocivi, in condizioni patologiche può contribuire
all'iperreattività delle vie aeree.
MANlFESTAZlONl CLINICHE
Generalmente, l'enfisema da fumo di sigaretta non si osserva nei pazienti con meno di 40 anni. L'enfisema
correlato all'esposizione cronica a1 tabacco si manifesta con dispnea lentamente progressiva, che in un
primo momento si presenta durante l'esercizio, ma successivamente progredisce negli anni fino ad essere
evidente anche a riposo. I pazienti affetti da enfisema possono lamentare intolleranza all'esercizio e
astenia; la malattia comporta peraltro anche perdita di peso, depressione e/o ansia dovuti ad aumento del
lavoro respiratorio. In alcuni casi può essere presente tosse cronica, secca o produttiva a seconda del grado
di coinvolgimento delle vie aeree.
Durante le fasi iniziali dell'enfisema, l’esame obiettivo può essere normale e ritardare la diagnosi. Quando
la patologia
progredisce, il polmone può risultare iperfonetico alla percussione e con l'auscultazione è possibile rilevare
alcuni ronchi, sibili o deboli crepitii. Nelle fasi più avanzate della malattia i pazienti mostrano evidente
aumento del lavoro
respiratorio, come risaltato dall'uso dei muscoli accessori, dalle labbra increspate e dalla perdita di peso.
Con il progredire della malattia, i volumi polmonari aumentano (iperinflazione) e il diaframma si
appiattisce; ciò rende l'escursione inspiratoria insufficiente. Il volume corrente si riduce e la frequenza
respiratoria aumenta, nel
tentativo di ridurre il lavoro respiratorio. A causa della perdita di vascolarizzazione delle pareti alveolari
distrutte, le pressioni polmonari aumentano (ipertensione vascolare polmonare), con sovraccarico del
ventricolo destro. Tali alterazioni, associate alla costrizione dei vasi polmonari prodotta dall'ipossiemia,
possono accelerare
lo sviluppo di insufficienza ventricolare destra, nota come cuore polmonare. I segni che caratterizzano
il cuore polmonare comprendono ritmo di galoppo, distensione delle vene del collo, reflusso epato-
giugulare ed edema degli arti inferiori.
DIAGNOSI
La spirometria, essendo in grado di rilevare una riduzione del FEV1, consente di individuare meglio queste
caratteristiche. La riduzione del FEV1 predomina rispetto alla riduzione della capacita vitale forzata (CVF)
portando ad una riduzione del FEV1/CVF%; la riduzione del FEV1 e del FEV1/CVF% è patognomonica della
limitazione del flusso aereo (CVF: massima quantità di aria che può essere espirata dopo un’inspirazione
normale; FEV1: volume espiratorio forzato in 1 secondo, che corrisponde a quella porzione di CVF che può
essere espirata nel primo sec).
La severità di malattia e la prognosi possono essere stimate in base al FEV1: un FEV1 intorno a 1L
(generalmente indica ostruzione severa).
I volumi polmonari vanno sempre misurati, poichè la limitazione al flusso di aria espirato e la diminuzione
del ritorno elastico portano ad iperinflazione del polmone, la quale viene evidenziata da un aumento del
volume residuo (quantità di aria che rimane nel polmone dopo espirazione massimale), della capacità
funzionale residua e anche della capacita polmonare totale (quantità di aria presente nei polmoni dopo
inspirazione massimale).
La perdita di superficie alveolare, insieme con l'ostruzione bronchiale e I'alterata distribuzione dell'aria
ventilata porta ad un deviazione o disarrangiamento del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q), che può
determinare ipossiemia (si crea uno spazio morto) . Le alterazioni negli scambi gassosi possono essere
evidenziate mediante emogasanalisi arteriosa.
Nelle prime fasi dell'enfisema, la radiografia del torace potrebbe essere inefficace nel rivelare anomalie
ma, nelle
fasi più tardive, l'esame radiografico mostra iperinflazione, iperdiafania, appiattimento del diaframma e
modificazioni bollose del parenchima polmonare. La TC consente una valutazione più dettagliata del
parenchima polmonare e delle strutture circostanti. L'elettrocardiogramma può mostrare segni di
sovraccarico del ventricolo destro. Gli esami ematologici possono evidenziare un'eritrocitosi nel contesto
di un'ipossiemia cronica, mentre un aumento della conta dei globuli bianchi pub suggerire un'infezione.
MANAGEMENT
Poiché non esiste una cura per l’enfisema, l’approccio migliore consiste nella sua prevenzione.
Una volta accertato l’enfisema, la terapia è diretta ed evitare le complicanze (ad es., infezioni), cercando di
aumentare il calibro delle vie aeree e di minimizzare gli effetti di un'ossigenazione non adeguata. I farmaci
utilizzati per diminuire l’ostruzione delle vie aeree includono i broncodilatatori, gli anti-infiammatori e i
mucolitici.
Il supplemento cronico di ossigeno attualmente è spesso adoperato in pazienti con enfisema avanzato e
legato a disturbi polmonari ostruttivi. I1 supplemento può rendersi necessario anche negli stadi iniziali in
presenza di un danno d'organo documentato o nei peggioramenti acuti della patologia.
In alcuni pazienti con patologia allo stadio avanzato, gli interventi chirurgici dovrebbero dimostrarsi
vantaggiosi. Di
questi, la bullectomia, l'intervento chirurgico per ridurre il volume polmonare (LVRS), e il trapianto dei
polmoni sono
tutti potenziali opzioni chirurgiche efficaci per pazienti scelti.
Bronchite cronica
La bronchite cronica spesso coincide con l'enfisema nel paziente con BPCO, ed è definita come una tosse
persistente
che ha come risultato la produzione di espettorato per più di tre mesi in ciascuno degli ultimi due anni. Il
fumo delle sigarette è la causa principale, sebbene anche l'esposizione a sostanze tossiche potrebbe avere il
suo ruolo. I risultati
patologici sono iperplasia delle cellule cilindriche, tappi di muco e fibrosi.
Al contrario dell’enfisema, la bronchite cronica è principalmente una malattia delle vie respiratorie e non
del parenchima polmonare.
Pertanto, le principali manifestazioni cliniche sono correlate alla limitazione del flusso aereo legato alla
resistenza delle vie aeree. La presentazione clinica del paziente con bronchite cronica è simile a quella
descritta per i pazienti con enfisema, ma un sintomo predominante è la produzione di espettorato.
Potrebbero essere presenti anche ricorrenti infezioni batteriche delle vie respiratorie. La diagnosi include
test di funzionalità polmonare e radiografia toracica in aggiunta a test di laboratorio standard.
Il trattamento include I'uso di broncodilatatori Per inalazione e corticosteroidi. Fisioterapia toracica per
favorire I'espettorazione. In pazienti selezionati, la terapia antibiotica continua con cicli alternanti di agenti
differenti (antibiotico-terapia a rotazione) potrebbe migliorare i risultati.
Bronchiolite cronica
La bronchiolite cronica è una malattia associata all'infiammazione, alla fibrosi, e alla distorsione delle
piccole vie aeree (bronchioli membranosi e respiratori) che portano alla limitazione delle vie aeree dovuta
all'aumento della resistenza delle vie respiratorie. Questi cambiamenti possono essere accompagnati da
iperplasia muscolare delle vie aeree.
Il fumo delle sigarette è la causa principale. La bronchiolite può anche essere riscontrata dopo esposizione
cronica alle polveri minerali collegate all'occupazione come silicio e amianto. Presentazione e valutazione
clinica simili a quelle descritte per la BPCO.
Bronchiectasia
La bronchiectasia è una dilatazione anomala dei bronchi che è la conseguenza di un’ infiammazione e di
cambiamenti
distruttivi permanenti negli strati elastici e muscolari delle pareti bronchiali. Questa malattia è di solito
causata da infezioni ricorrenti o croniche gravi.
I pazienti con bronchiectasia mostrano tosse cronica, espettorato abbondante e di cattivo odore (talora
con tracce di sangue), respiro corto, suoni toracici anomali e stanchezza.
La diagnosi si esegue mediante test di funzione polmonare, che mostrano vari gradi di ostruzione; l’RX
toracico può essere normale o mostrare dilatazione bronchiale, pareti ispessite, immagini a binario (cioè
pareti ispessite che non decrescono dai siti prossimali ai distali). La TC è più sensibile per la scoperta delle
vie aeree dilatate.
Fibrosi cistica
Malattia genetica autosomica recessiva; colpisce diversi organi. E’ il frutto di una mutazione di un singolo
gene che codifica un regolatore di conduttanza trans membrana della fibrosi cistica (CFTR), che è un canale
localizzato sulla superficie apicale delle cellule epiteliali. Questa imperfezione ha come risultato un
trasporto difettoso del cloro e un aumento dell’assorbimento del sodio nelle vie aeree e negli epiteli del
dotto, creando secrezioni spesse e viscose nei tratti respiratori, epatobiliari, gastrointestinali, e riproduttivi.
Le secrezioni spesse causano ostruzione del lume e distruzione dei dotti esocrini.
CARATTERISTICHE CLINICHE
Nei pazienti con la fibrosi cistica le vie respiratorie vengono colonizzate all'inizio dallo Staphylococcus
aureus o
Haemophilus influenme, seguiti dallo Pseudomonas Aeruginosa. L'infiammazione e l'infezione persistenti
causano distruzione della parete bronchiale e bronchiectasia. L’otturazione delle piccole vie respiratorie da
parte dei
muchi causa dilatazioni cistiche post-ostruttive e distruzione parenchimale.
Segue l'ostruzione progressiva del flusso aereo e la maggior parte dei pazienti muore di scompenso
respiratorio.
Questi pz possono presentare depositi salini sulla cute, tosse persistente, con o senza produzione di
espettorato, sibili, dispnea, inappetenza o deficit di crescita,feci grasse e voluminose, sterilità e/o
osteoporosi e diabete.
DIAGNOSI
I test di funzionalità respiratoria possono evidenziare diversi gradi di ostruzione, anche se non
uente udostruzione progressiva delle vie aeree. Le indagini radiologiche del torace possono risultare
normali
evidenziare delle bronchiectasie.
TRATTAMENTO
Il trattamento della fibrosi cistica comporta un'attenta rimozione delle secrezioni dall'albero bronchiale, un
supporto
nutrizionale compresa la terapia sostitutiva con enzimi pancreatici e la somministrazione di terapia
antibiotica, broncodilatatori e DNasi umano ricombinante aerosolizzato, che riduce la viscosità
dell'espettorato.
L’'unica possibilità di trattamento per i pazienti con fibrosi cistica allo stadio terminale è il trapianto di
polmone.
Asma
L'asma è un disturbo polmonare cronico caratterizzato dall'infiammazione, iperreattività e ostruzione
reversibile delle
vie aeree.
L'infiammazione delle vie respiratorie è considerata il principale meccanismo fisiopatologico responsabile
dell'asma.
L'asma è anche associato a1 rimodellamento della parete delle vie respiratorie che è caratterizzato da
iperplasia e ipertrofia delle cellule del muscolo liscio, edema, infiltrazione infiammatoria, e l'aumento della
deposizione delle componenti del tessuto connettivo come collagene di tipo I e III. I1 rimodellamento della
parete delle vie respiratorie porta ad una limitazione del flusso respiratorio irreversibile, che peggiora il
disturbo rendendo i farmaci broncodilatatori meno efficaci: il rimodellamento della parete delle vie
respiratorie rende anche molto più difficile distinguere questo disturbo dalla BPCO nella quale l'ostruzione
del flusso respiratorio è irreversibile.
MANlFESTAZlONl CLINICHE
La classica triade dei sintomi prevede respiro sibilante persistente, dispnea episodica cronica e tosse
cronica.
Spesso questi sintomi peggiorano di notte o durante le prime ore del mattino.
DIAGNOSI
La diagnosi dell'asma richiede una documentazione di iperreattività e ostruzione reversibile delle 'vie
respiratorie al
flusso. La limitazione del flusso dell’aria è facilmente rilevata se presente dalla spirometria.
Il test di bronco provocazione consiste nel fornire al paziente una dose a livello delle vie respiratorie di uno
stimolante con attività bronco dilatatoria; istamina, metacolina e aria fredda tra gli stimolanti più utilizzati.
Anche lo sforzo può essere usato per scatenare un attacco. La diagnosi dipende dalla dose dello stimolante
necessaria a provocare l’effetto.
Di ausilio anche rx toracico e analisi del sangue.
TRATTAMENTO
La terapia di mantenimento in tutte le forme di asma, escluse quelle lievi, si fonda sull’assunzione di
corticosteroidi per inalazione. I broncodilatatori, al lunga o breve durata d’azione sono aggiunti per il
controllo dei sintomi suppletivi.
Pneumopatie interstiziali
Le pneumopatie interstiziali rappresentano un gruppo di oltre 120 entità nosologiche distinte,
caratterizzate da un danno polmonare cronico diffuso e da un processo infiammatorio che di solito evolve
con un esito fibrotico irreversibile. Distinguiamo in questo macro gruppo le polmoniti interstiziali
idiopatiche; malattie
granulomatose; pneumopatie interstiziali legate al tessuto connettivo; pneumopatie interstiziali indotte da
farmaci; vasculite polmonare; entità distinte di origine sconosciuta che si manifestano come sindromi ben
definite, come sarcoidosi, granuloma eosinofilo, e linfangioleiomiomatosi.
In generale, le pneumopatie interstiziali sono caratterizzate da quattro manifestazioni, che insieme vengono
indicate
come sindrome da pneumopatia interstiziale: 1) sintomi respiratori come dispnea e tosse, 2) infiltrazioni
bilaterali
visualizzate all'esame radiografico del torace, 3) anomalie fisiologiche, tra cui la più frequente è quella
polmonare
restrittiva, 4) anomalie istologiche, caratterizzate da fibrosi ed infiammazione.
I sintomi respiratori nei pazienti con pneumopatia interstiziale sono di solito subacuti o cronici; alcuni
pazienti infatti ricevono una diagnosi dopo settimane, mesi o addirittura anni dall'insorgenza. Senso di
affaticamento, febbre e perdita di peso non sono infrequenti. Durante le fasi precoci della patologia i
sintomi si presentano sotto sforzo. Un'anamnesi accurata è di grande ausilio per la diagnosi.
I pazienti con pneumopatia interstiziale mostrano una ridotta espansione toracica durante I'ispezione. La
palpazione
percussione raramente rivelano modificazioni significative, ma l'auscultazione mostra crepitii velcro-simili
alle basi di entrambi i polmoni. L’evidenza di un’insufficienza cardiaca destra, distensione delle giugulari,
ritmo di galoppo, edema agli arti inferiori suggerisce ipertensione polmonare; l’insufficienza del ventricolo
dx è di solito il risultato dell’ipossiemia cronica.
Le pneumopatie interstiziali colpiscono l'interstizio del polmone in diverse localizzazioni. A seconda della
sede di
attività della malattia, le conseguenze possono variare. Specificamente, le malattie che interessano
I'interstizio che circonda
la parte distale degli alveoli conducono ad un quadro restrittivo con riduzione dei volumi polmonari. Al
contrario, le malattie
che interessano preferenzialmente I'interstizio vicino le parti piu prossimali dell'acino, in prossimità dei
bronchioli distali, possono dar luogo ad un quadro caratterizzata da volumi polmonari preservati e da
ostruzione fisiologica.
Normalmente, l'interstizio del polmone contiene pochi fibroblasti e pochi elementi del tessuto connettivo,
all'interno di una parete molto sottile che permette una diffusione efficace dei gas. Nella pneumopatia
interstiziale invece questo spazio si espande, con l'accumulo di fibroblasti e con la deposizione di una
matrice aberrante che aumenta la distanza tra lo spazio alveolare e le strutture vascolari, ritardando così - e
in alcuni casi impedendo - lo scambio gassoso. Questo ispessimento dell'interstizio rende conto della scarsa
ossigenazione e dell'aumentata rigidità del tessuto polmonare, che si manifestano come ridotta
compliance, riduzione dei volumi polmonari e incrementato lavoro respiratorio.
Versamento pleurico
Un versamento pleurico può essere dovuto sia a patologie benigne che maligne. La causa più comune è
rappresentata dall’insufficienza cardiaca congestizia. Sono comuni anche i versamenti parapneumonici,
che raramente evolvono in empiema. I processi neoplastici possono determinare versamento pleurico per
interessamento della pleura da parte del tumore primitivo o delle metastasi. Quando la causa non è
immediatamente evidente, è necessario prelevare liquido pleurico
per esaminarlo. Lo scopo di tale procedura è quello di determinare il meccanismo fisiopatologico alla base
del versamento. Le forze osmotiche ed idrostatiche risultano responsabili della formazione di un trasudato,
come si
osserva in corso di cirrosi, scompenso cardiaco congestizio e ipoproteinemia.
Un'alterata permeabilità vascolare, come si osserva in caso di infiammazione, infezione o neoplasia,
determina lo sviluppo di un essudato. In alcune condizioni (ad es., patologie tromboemboliche), il liquido
pleurico può essere sia un trasudato che un essudato. Per distinguere un essudato da un trasudato, occorre
che sia soddisfatto uno di questi tre criteri seguenti:
1) rapporto tra proteine nel liquido pleurico/proteine sieriche>0,5;
2) rapporto tra lattico deidrogenasi (LDH) sierica e LDH del liquido pleurico >0,6;
3) LDH nel liquido pleurico >200.
Se sono soddisfatti tutti e tre i criteri, si tratta di un versamento essudativo al 98%.
se viene identificato un essudato, allora è importante determinare se si tratti di un versamento complicato
o non complicato. Un versamento complicato si riferisce ad accumulo di liquido in conseguenza di
un'infezione, come osservato nell'empiema. In questo caso, è necessario eliminare il versamento e tale
rimozione si può ottenere mediante l'inserimento di un drenaggio per toracostomia. Un valore di pH <7,2
generalmente identifica un
versamento complicato; tuttavia, tale reperto non è specifico poichè anche una neoplasia maligna, l'artrite
reumatoide ed un trauma con lesione esofagea possono essere associati a ridotti livelli di pH.
Dopo aver completato l'esame precedentemente descritto ed aver registrato i reperti di laboratorio,
bisogna effettuare ulteriori indagini di laboratorio, in maniera selettiva, a seconda della presentazione
clinica della patologia. Studi
Microbiologici e citologici sono utili valutare un'infezione o uno stato di malignità. La presenza di pus
definisce
un empiema e la presenza di organismi evidenziati con la colorazione di Gram o con colture medie
definisce un'infezione dello spazio pleurico. La presenza di sangue nel versamento suggerisce la presenza di
un processo maligno, di un trauma, di tubercolosi, di una collagenopatia o di una tromboembolia. La
linfocitosi suggerisce una cronicità, ma potrebbe anche essere correlata alla tubercolosi o ad una patologia
linfoproliferativa.
Si riscontrano eosinofili con il sangue o l'aria nello spazio pleurico. I livelli di glucosio risultano ridotti (<20
mgldl) in corso di infezioni e patologia reumatica. Un elevato livello di amilasi potrebbe essere osservato in
corso di pancreatite. Livelli di trigliceridi superiori a 110 mgl/dl sono caratteristici del chilotorace.
Se necessario, potrebbe essere eseguita una biopsia della Pleura. I versamenti trasudativi sono
generalmente di piccole dimensioni e raramente richiedono un drenaggio per migliorare i sintomi. Al
contrario, i versamenti essudativi conseguenti ad infezioni necessitano di un drenaggio per evitare sepsi,
aderenze, fistole cutanee, ascessi polmonari e fistole bronco-pleuriche.
Pneumotorace
E’ l'accumulo di aria all'interno dello spazio pleurico. Quando la quantità di aria è significativa, determina
dispnea e pleurite. Un esame obiettivo potrebbe mostrare una riduzione dei rumori respiratori, iperfonesi,
escursione laterale limitata e deviazione tracheale verso il lato opposto. I1trattamento generalmente
richiede I'inserimento di un drenaggio per toracostomia e aspirazione.
Lo pneumotorace potrebbe presentarsi spontaneamente, soprattutto negli uomini giovani, alti e magri,
come conseguenza di una rottura di bolle apicali congenite. Per uno pneumotorace di lieve entità, potrebbe
essere indicata la semplice osservazione.
Pneumotoraci complicati si manifestano come conseguenza pneumopatie sottostanti, poiché lo sviluppo di
lesioni pseudocistiche a pareti sottili o di uno pneumatocele possono essere associati a pneumotorace.
Uno pneumotorace traumatico potrebbe verificarsi come conseguenza di una penetrazione o di un trauma
diretto e viene trattato con una toracotomia. Uno pneumotorace tensivo rappresenta l’accumulo di aria
nello spazio pleurico, che determina una pressione positiva. Poiché uno pneumotorace tensivo può
determinare una compromissione emodinamica, tale emergenza medica necessita di una immediata
decompressione. Tutti i pazienti con pneumotorace che stanno attuando una ventilazione meccanica
necessitano di un drenaggio toracico a causa del rischio di sviluppare uno pneumotorace tensivo.
Mesotelioma maligno
Compare, di solito, nei soggetti di età superore ai 55 anni, soprattutto negli uomini che sono stati esposti
all'asbesto nel passato. Il paziente potrebbe presentare dispnea, dolore toracico e perdita di peso; le
indagini toraciche mostrano la presenza di versamento e di massa a livello pleurico. La diagnosi richiede
una biopsia pleurica.
La chemioterapia e la radioterapia rappresentano le più comuni opzioni terapeutiche, ma la prognosi
globale è severa.
Patologie mediastiniche
11 mediastino comprende la porzione centrale del torace collocata posteriormente allo sterno,
medialmente alla superficie mediale dei polmoni, anteriormente alla parete toracica e delimitato
inferiormente dal diaframma e superiormente dall’ingresso toracico.
MEDlASTlNlTl
La mediastinite acuta è un processo infiammatorio rapidamente progressivo che compare quale esito di
trauma e
tumore necrotico o per cause iatrogene durante procedure invasive. L'infezione determina febbre, sepsi,
dolore ed enfisema sottocutaneo. Indagini diagnostiche strumentali toraciche potrebbero evidenziare
slargamento del mediastino, pneumotorace o idrotorace. Il trattamento prevede antibiotici, drenaggio
pleurico e svuotamento
mediastinico. La mediastinite cronica è una patologia lenta, progressiva che potrebbe essere idiopatica o
secondaria ad infezioni granulomatose quali tubercolosi e istoplasmosi Altre cause comprendono neoplasia,
radioterapia e raramente farmaci. La condizione di solito è indolore, ed il paziente resta asintomatico fino a
quando non restano coinvolte le strutture vascolari o neurologiche. La sindrome della vena cava superiore
potrebbe rappresentare una complicanza. In alcuni casi, la fibrosi progredisce inesorabilmente fino ad
occludere strutture vitali con esito fatale.
MASSE MEDIASTINICHE
A livello mediastinico possono svilupparsi masse sia di natura benigna che maligna. Le principali cause sono
rappresentate da neoplasie neurogene, timomi, cisti congenite, linfomi e tumori delle cellule germinali. La
mediastino scopia può utilizzata.
Infezioni polmonari
Le infezioni polmonari sono patologie frequenti: possono essere dovute a diversi microrganismi, inclusi
virus, batteri e funghi. I pazienti di solito manifestano sintomi respiratori, quali tosse produttiva, dispnea,
dolore toracico e, occasionalmente, emottisi. Altri sintomi meno specifici sono febbre, malessere
generalizzato e calo ponderale.
La presentazione potrebbe essere acuta (da giorni a settimane), come si osserva in corso di polmonite
batterica, oppure subacuta e cronica (da settimane ad anni), come nel caso della tubercolosi.
La diagnosi e la terapia dipenderanno dai dati clinici, radiografici e di laboratorio. Tra questi, la radiografia
toracica gioca un ruolo importante. Nei pazienti con polmonite si osserva un'opacità parenchimale.
Polmonite nocosomiale
Si manifesta 72 ore dopo l’ospedalizzazione. La ventilazione meccanica è il più comune fattore di rischio per
lo sviluppo di questo quadro. I batteri patogeni più comuni sono S. pneumoniae, Hemophilus influentiae e
Moraxella catharralis, specialmente quando l’infezione si manifesta nei primi 4 giorni dopo l’intubazione; in
un periodo successivo, l’infezione è più comunemente causata da Pseudomonas aeruginosa, S. aureus,
Legionella. La patogenesi si basa sulla colonizzazione dell’orofaringe e dello stomaco da parte di patogeni
virulenti e sulla successiva aspirazione di questi organismi nel tratto respiratorio inferiore.
Criteri clinici per la diagnosi scarsi e referti radiografici non specifici, mostrando generalmente infiltrati e
versamenti multi lobari. Diagnosi mediante lavaggio broncoscopico. Il trattamento si basa su chemioterapia
combinata penicillina g-lattamica antiPseudomonas o cefalosporina, associata ad un amino glicoside o un
chinolonico.
Cardiopatie Valvulopatie
Scompenso ventricolare sinistro
Shunt intracardiaco
Patologie polmonari Pneumopatie interstiziali
BPCO
Ipoventilazione alveolare
Ipossia-indotta
Collagenopatie Sclerodermia
LES
AR
Iatrogene Chemioterapia
Cocaina
Agenti anoressizzanti
L-triptofano
Sindrome tossica
Patologia polmonare trombo embolica Infezione da HIV
Altro Ipertensione portale
Schistosomiasi
La principale complicanza di tali disturbi è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare, che
viene definita come una pressione media dell'arteria polmonare superiore a 25 mmHg a riposo o superiore
a 30 mmHg durante I'esercizio fisico. L'ipertensione polmonare è provocata dalla riduzione dell'area della
sezione trasversa del letto
vascolare, che ne aumenta le resistenze. Le manifestazioni cliniche possono manifestarsi anche
tardivamente.
Tale insorgenza ritardata è legata al fatto che il sistema vascolare polmonare è un sistema ad alto flusso, a
bassa resistenza e ad elevata compliance, che è in grado di sostenere l'intera gittata del ventricolo destro
con minimi aumenti pressori, anche quando viene a mancare metà del sistema vascolare polmonare.
Patologie polmonari tromboemboliche
La patologia tromboembolica polmonare rappresenta solitamente una complicanza della trombosi venosa.
Le vene profonde dei sistemi femorale e popliteo delle estremità inferiori sono i distretti coinvolti con
maggiore frequenza, sebbene l'embolia polmonare possa essere causata anche dalla trombosi atriale
destra, ventricolare destra e delle estremità superiori. Pertanto, i fattori predisponenti all'embolia
polmonare sono gli stessi della trombosi venosa, ovvero stasi venosa, ipercoagulabilità e danno
endoteliale. Inoltre, sono da considerare come fattori
predisponenti anche le condizioni procoagulanti congenite o acquisite (ad es., deficit di proteina C attivata).
Ogniqualvolta un coagulo abbandona il circolo delle estremità inferiori, generalmente raggiunge il circolo
polmonare
dove può determinare un'ostruzione di una branca dell'arteria polmonare. Nel segmento polmonare
interessato si ha
un aumento del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q). Tale processo determina un aumento globale della
ventilazione dello spazio morto, che determina una riduzione inefficace della pressione parziale di anidride
carbonica nel sangue arterioso (PaC02). Inoltre, il flusso sanguigno viene deviato dal distretto ostruito ad
altre aree, comprese eventualmente quelle con basso rapporto V/Q, determinando quindi shunt
intrapolmonari ed ipossiemia. L'infarto polmonare dell'area distale rispetto all'occlusione risulta raro a
causa della sovrapposizione della circolazione polmonare, che comprende le arterie bronchiali.
PRESENTAZIONE CLINICA
La classica presentazione dell'embolia polmonare acuta comprende dispnea acuta associata a dolore
toracico, emottisi, ipossiemia severa e collasso circolatorio quale esito di uno shock. Comunque, più
spesso, la presentazione è subclinica e la dispnea lievemente aumentata durante lo sforzo e il dolore
toracico atipico potrebbero rappresentare gli unici sintomi della presentazione iniziale. Quindi, un'attenta
anamnesi è fondamentale. L'esame fisico potrebbe evidenziare alterazioni auscultatorie polmonari che
variano da rantoli isolati a diffusi. I versamenti pleurici potrebbero essere evidenziati alla percussione come
aree di ottusità. L’edema a carico delle estremità, soprattutto se
È asimmetrico, potrebbe far presupporre la presenza di una trombosi venosa.
La dorsiflessione del piede potrebbe causare dolore al polpaccio, come esito di allungamento dei muscoli
del polpaccio e delle vene profonde.
VALUTAZIONE
Nei casi severi, la determinazione del livello di gas nel sangue arterioso potrebbe evidenziare acidemia,
ipossiemia ed ipercapnia, ma lievi variazioni come una modesta alcalosi potrebbero rappresentare l'unica
alterazione. Una PaC02 normale in un paziente con tachipnea e presumibilmente iperventilazione indica la
presenza di spazio morto ed, in appropriate condizioni, potrebbe far presupporre la diagnosi.
Un livello aumentato di lattico deidrogenasi (LDH) potrebbe rappresentare il risultato di infarto tissutale,
ma anche tale indagine risulta insensibile e non specifica. Il D-dimero non è specifico, perché è aumentato
anche in
pazienti con alcune condizioni cliniche non correlate, quali scompenso cardiaco congestizio, patologie
croniche e patologie del tessuto connettivo. La principale utilità dei livelli plasmatici di D-dimero è
rappresentata dal suo valore predittivo negativo.
L'elettrocardiogramma potrebbe evidenziare tachiaritmie atriali o evidenza di sofferenza cardiaca. La
radiografia toracica risulta spesso normale, ma potrebbe mostrare atelettasia, infiltrati isolati o un lieve
versamento pleurico; in ogni caso non risulta sufficientemente sensibile per effettuare diagnosi di embolia
polmonare. Vengono utilizzate
come metodiche diagnostiche per la diagnosi di embolia polmonare: la valutazione V/Q, la TC del torace e
l'arteriografia polmonare.
L'arteriografia polmonare rappresenta il gold standard e dovrebbe essere presa in considerazione nei
pazienti che non presentano controindicazioni alla procedura, nel caso che altre indagini risultino inefficaci
e che sussista elevata probabilità di embolia polmonare. Le indagini di valutazione polmonare sono
associate ad indagini che valutano le vene profonde delle estremità inferiori quali la venografia e l'eco-
Doppler.
MANAGEMENT
L'embolia polmonare viene trattata con misure di supporto tese a garantire la funzionalità d'organo (ad es.,
ridistribuzione dei liquidi per ipotensione, ventilazione meccanica per insufficienza respiratoria). L'unico
modo meccanico per liberare un'arteria polmonare da un trombo è rappresentato dalla
tromboembolectomia chirurgica,una procedura ad elevata mortalità che richiede un elevato livello di
esperienza.
Di conseguenza, i trattamenti medici sono preferibili, e questi sono diretti a prevenire un ulteriore
fenomeno embolico o ad eliminare un trombo esistente. Per i pazienti senza principali controindicazioni
all'anticoagulazione (ad es., emorragia gastrointestinale, stroke emorragico) è raccomandata la terapia
anticoagulante con eparina a basso o a normale peso molecolare. L’utilizzo di farmaci trombo litici (ad es.,
streptochinasi, urochinasi) viene di solito riservato ai pazienti con elevato rischio di mortalità, quale esito di
collasso circolatorio provocato da ostruzione al flusso a livello dei grossi o multipli vasi polmonari.
Medicina interna
Prof. Sandri
24-04-08
NOZIONI DI REUMATOLOGIA
Vi darò alcune nozioni importanti di reumatologia per poter individuare quel paziente che deve essere
inviato da reumatologo. Pochi di voi faranno reumatologia, però ci sono alcuni segni che vi devono far
sospettare una malattia reumatica. Le malattie reumatiche sono numerossissime, la prima classificazione
italiana è del 1986 poi rivista nel 1998 con una nuova denominazione “malattie osteo-articolari e dei tessuti
connettivi”; questa classificazione prevede 13 gruppi con diversi sottogruppi:
CLASSIFICAZIONE 1998
1-ARTRITI PRIMARIE
2-CONNETTIVITI E VASCULITI
3-ARTRITI DA AGENTI INFETTIVI
4-ARTROPATIE MICROCRISTALLINE
5-ARTROSI
6-AFFEZIONI DOLOROSE NON TRAUMATICHE DEL RACHIDE
7-REUMATISMI EXTRAARTICOLARI
8-SINDROMI NEUROLOGICHE,NEUROVASCOLARI E PSICHICHE
9-MALATTIE DELL’OSSO
10-MALATTIE CONGENITE DEL CONNETTIVO
11-NEOPLASIE E SINDROMI CORRELATE
12-ALTRE MALATTIE CON POSSIBILI MANIFESTAZIONI REUMATICHE
13-MISCELLANEA
Questa classificazione prevede un grosso gruppo delle artriti primarie, un altrettanto importante gruppo di
connettiviti e vasculiti ecc… voi non dovete conoscere tutte queste patologie, più importante è sapere
quando sospettre una malattia reumatica, non importa quale. Il paziente riferisce generalmente:
ARTRALGIE - MIALGIE
DOLORE NOTTURNO
RIGIDITA’ MATTUTINA piuttosto prolungata (>30’)
Accanto a questi sintomi che definiamo prettamente reumatologici spesso ci sono associati febbre, perdita
di peso, astenia, anoressia; quando un paziente vi racconta che ha questi dolori da diverse settimane è
importante che il paziente venga inviato ad una valutazione reumatologica.
D.D. DOLORE
Noi dobbiamo distinguere un dolore meccanico da un dolore infiammatorio, le caratteristiche che li
differenziano sono poche ma fondamentali e sono:
Meccanico Infiammatorio
Rigidità Mattutina >30’ NO SI
Attenuazione con riposo SI NO
Riesacerbazione notturna NO SI
Riacutizzazione da sforzo SI NO
Segni di flogosi NO SI
Indici di flogosi NO SI
Impegno sistemico NO SI
Irradiazione Anatomica Diffusa
Riduzione motilità Asimmetrica Simmetrica
Quando vedete un paziente con una tumefazione a carico di 3 o più articolazioni, persistente da oltre 12
settimane, con dolore a carico di polsi e piccole articolazioni di mani e piedi e con una rigidità mattutina
superiore ai 30’ è probabile che questo paziente abbia una artrite all’esordio. Questi sono quei segni che un
medico di medicina generale deve rilevare per poter indirizzare il paziente ad una visita specialistica.
Quando dicevo artrite all’esordio, potrebbe essere qualsiasi cosa, sia artriti infiammatorie primarie,
esistono anche fasi nell’artropatia degenerativa, che è l’artrosi, che mimano benissimo una forma di artrite
reumatoide; poi c’è il gruppo delle connettivopatie. La diagnosi precisa non deve essere fatta da un non
specialista però più informazioni si danno e meglio è per lo specialista.
Anche un dolore apparentemente banale come quello del tunnel carpale (dolore alle prime tre dita della
mano, parestesie notturne, sensazione di gonfiore al risveglio (mono o bilaterale)) è importante
riconoscerlo perché il tunnel carpale non è una malattia, è un sintomo e da li devono partire una serie di
indagini perché nel 30% dei casi l’artrite reumatoide esordisce con segni clinici del tunnel carpale.
Spondiloartriti sieronegative
Sono un altro argomento molto importante,qualche anno fa tra queste patologie rientrava anche la
sindrome di Reiter, ma non la faccio rientrare in questo gruppo perchè Reiter era un nazista ad
Auschwitzche faceva le sperimentazioni sugli umani: iniettava delle sostanze di origine batterica / virale
(Coli, Yersinia) per dimostrare che facevano venire l’artrite reattiva. Rifiuto eticamente di usare questo
termine.
Le spondiloartriti sieronegative le possiamo dividere in 4 gruppi principali:
1. Artriti eteropatiche
2. Artriti psoriasiche
3. Artrite reattiva
4. spondilite anchilosante
Le spondiloartiti siero negative sono patologie infiammatorie che interessano:
- rachide cervicale
- colonna
- sacro – iliache:
- articolazioni periferiche.
Tipicamente per definirsi spondiloartriti devono interessare la colonna e le sacro – iliache.
Manovre diagnostiche: basta appoggiare le mani a livello delle sacroiliache per evocare il dolore o far
flettere in avanti il pz e valutare la distanza delle dita dal pavimento (poiché le sacroliliache entrano nella
mobilità del bacino). Altra manovra è il test di Schobert(?), ma questa è una manovra da specialisti che
richiede esperienza.
Artropatia psoriasica:
rientra tra le spondiloartriti. Quando vediamo un pz psoriasico con lesioni tipiche a livello ungueale, del
cuoio capelluto e dei gomiti con una tumefazione a un dito del piede, della mano o del ginocchio, potrebbe
essere un esordio di artropatia psoriasica
E’ importante che questi pz vedano presto uno specialista per evitare di arrivare quadri non più recuperabili
(RX) indipendentemente da qualunque tipo di terapia. Nell’RX sono evidenti erosioni multiple, lussazione
dell’articolazione, il polso non esiste quasi. Il pz ha una forte invalidità a cui si aggiungono comorbidità
importanti (il rischio di morte è più elevato e la qualità di vita è più scarsa rispetto ad altri pz).
Artrosi
" Malattia non infiammatoria delle articolazioni mobili, caratterizzata da deterioramento della cartilagine
articolare e da rimodellamento della giunzione osteocondrale e delle strutture adiacenti ".
Valgismo dell’alluce: da non confondere con un quadro infiammatorio, spesso è ereditario. Può essere
mono- o bi- laterale
Fenomeno di Raynauld
SCLERODERMIA
malattia estremamente invalidante, caratterizzata da un interessamento prevalentemente cutaneo. La cute
diventa dura e sottile; tipica è la facies sclerodermica, le pz non riescono nemmeno più a sorridere né a
mangiare (non riescono ad aprire la bocca) possono essere presenti teleangectasie al volto e calcinosi.
Pz con bocca secca che si sveglia di notte per bere, bruciore agli occhi (episclerite) e minima
tumefazione alle parotidi: può essere una Sindrome di Sjogren.
Eritema malare: LES, anche se frequenza non molto alta
Livedo reticularis: (pelle a mortadella) si ritrova frequentemente nel LES e nella sindrome da
anticorpi anti –fosfolipidi. In questi casi i pz possono andare incontro a fenomeni trombotici con
estrema frequenza, sia agli arti inferiori che cerebrali.
Rash eliotropo palpebrale: è uno dei segni cutanei caratteristici della dermatomiosite. Se il pz ha
anche gli enzimi muscolari mossi nel quasi 100% dei casi è affetto da dermatomiosite
Papule di gottron: a livello delle metacarpo – falangee e ungueale.Tipiche delladermatomiosite
Porpora: petecchie purpuree diffuse con associate soffusioni emorragiche; si ritrova
frequentemente nella crioglobulinemia HCV correlata ma anche in vasculiti di altro genere
(Schonlein Henoc, panarterite nodosa all’esordio)
Esami
Premessa:gli esami di laboratorio che interessano i reumatologi sono divisi in:
1. test di flogosi: valutano l’attività della malattia
2. test diagnostici: ad esempio fattore reumatoide, ANA, ENA… non sono specifici ma aiutano assieme
al quadro clinico
3. test di monitoraggio delle complicanze della malattia
1. Test di flogosi
Possono dare:
- indicazione sull’entità del processo infiammatorio,
- orientamento prognostico: pazienti che all’esordio hanno indici di flogosi elevati normalmente
hanno la prognosi peggiore.
- aiuto per valutare l’efficacia della terapia: se gli indici si spengono la trp è efficace, se rimangono
elevati dobbiamo cambiarla.
VES
Quando farla? Viene da alcuni contestato che “non serve a nulla”, questo è vero solo se è fatta in modo
casuale. Se c’è un quadro clinico che ci fa sospettare una malattia reumatologica ha un senso.
È fondamentale nel sospetto di polimialgia reumatica, tipica malattia dell’anziano caratterizzata da dolore ai
cingoli eaumento degli indici aspecifici di flogosi. I casi a VES e PCR normali sono rarissimi,1:100.
La VES ci permettevi distinguere patologie infiammatorie da non infiammatorie e nel follw-up rientra in un
indice composito detto disease activity score dove variazioni della VES indicano l’attività di malattia. Se, in
una malattia, la VES si spegne e il quadro clinico non presenta più sintomi possiamo definire la “remissione
della malattia”
PCR
Molto importante in diverse situazioni:
- nell’AR pz con PCR oltre i limiti hanno un quadro di malattia erosiva superiore agli altri.
- se ho un pz con lupus e PCR mossa devo pensare ad un fatto infettivo
C3/ C4
Importante
1. nel follow-up dell’attività del LES: se il consumo del complemento aumenta significa che la malattia
è molto attiva.
2. Nel follow-up della risposta terapeutica nelle connettiviti
Immunocomplessi circolanti(CIC)
Una volta venivano inviati pz sono perché con immunocomplessi alti, in realtà non significano nulla. Non
sono essenziali in nessuna condizione clinica, come indica anche l’OMS. Ormai li richiedono solo i nefrologi,
ma non servono a nulla
HLA – B27
Utili sono nel sospetto di spondiloartrite sieronegativa, non farlo senza significato, anche perché costa 450
euro!
3. Test diagnostici
Fattore reumatoide
Il FR classico e' rappresentato da una immunoglobulina della classe M in grado di agglutinare una
immunoglobulina della classe G (IgM anti IgG); in particolare è specifico per determinanti antigenici
del frammento Fc.
I test comunemente usati per evidenziare la presenza di FR sono il RA test (latex test) più sensibile e
il test di Waaler – Rose non viene più fatto perché molto costoso ma più specifico.
Il primo test è più sensibile e viene eseguito facendo reagire il siero in esame con particelle di lattice
rivestite da IgG umane.
Il secondo test è più specifico e viene eseguito facendo reagire il siero in esame con una quantità
fissa di emazie di montone sensibilizzate con IgG di coniglio.
La positività ha un senso quando vengono utilizzate dimensioni crescenti, cioè se ci da dei termini
quantitativi per esempio >20 o >50, non è utile la risposta segnata con dei +, ci sono laboratori che lo fanno
e non ha senso nemmeno chiederlo se la risposta è così.
Se una paziente ha un RA test pari a 80 U.I. (v.n. fino a 50) cosa penso? Che sia una artrite reumatoide? In
realtà il FR è positivo in tantissime patologie reumatiche per esempio:
Malattie reumatiche
Artrite reumatoide, Lupus, Sjogren, Connettivite mista, Polimiosite, Crioglobulinemia
Malattie infettive
TBC, Sifilide, Epatiti
Altro
Età, Cirrosi, Sarcoidosi, Waldenstrom
il FR è positivo nel 24% dei casi di A.R., nel 9% delle connettiviti e altro 67%, quindi non è specifico per A.R.,
però è un indice prognostico perche se molto alto all’esordio la prognosi è peggiore. Non va chiesto se non
vi è un forte sospetto di malattia reumatica e non va chiesto nel follow-up perché non c’è correlazione tra il
valore e la gravità
ANTICORPI ANTI-CITRULLINA
Gli anticheratina riconoscono un epitopo che contiene una forma di arginina chiamata citrullina
Un peptide sintetico circolare contenente citrullina (CCP -peptide citrullinato ciclico) è
maggiormente correlato all’AR
Circa il 70% dei pazienti con AR sono positivi per anti-CCP IgG, contro solo il 2%dei controlli molto
specifico e si alza molto precocemente
Il test anti-CCP non solo è estremamente specifico ma anche molto utile sotto il profilo diagnostico
anticorpi anti-CCP possono essere riscontrati molto precocemente nei soggetti affetti da artrite
reumatoide, in alcuni casi addirittura anni prima della comparsa dei primi sintomi
Gli anticorpi anti-CCP sembrano avere anche un elevato valore predittivo per lo sviluppo di lesioni
articolari erosive
La positività sia a FR che a questi anticorpi nella A.R. ci fa pensare ad una forma più grave e a prognosi
peggiore.
CELLULE LE
Un neutrofilo fagocita un nucleo di cellula omogeneo, è un test
vecchio, non va più richiesto però è stata la prima metodica per
diagnosi di LES
Diverse immagini dei test che utilizzano autoanticorpi (a solo letto le diapo, non le inserisco)
Anticorpi anti-nuclolare:
Frequente nella sclerodermia diffusa
Occasionalmente presente nel LES e nella sindrome di Sjogren
Anticorpi anti-RNP
Anti-RNP ad alto titolo sono caratteristici delle connettiviti miste, soprattutto se sono isolati
Anti-RNP sono visti frequentemente nel LES ma i titoli sono soprattutto bassi.
Anti-RNP possono essere visti nella SSP, miosite e raramente in altre patologie ANA+, sempre a
basso titolo
Anti-SSA
Gli anti SSA e gli anti SSB sono visti
nella sindrome di Sjogren primaria
nel LES
nella sindrome di Sjogren secondaria.
questi soggetti vanno seguiti bene in gravidanza Gli anti-SSA sono correlati al
lupus neonatale,
LE cutaneo subacuto
nel deficit omozigote di C2 associato a patologia LES-like
Anti-DNA
Gli anti DNA sono ristretti al LES
raramente si ritrovano nelle forme gravi di AR.
Gli antimitocondrio
sono associati con la
cirrosi biliare primitiva
sclerodermia
CREST
ANCA
C-ANCA (citoplasmatico) (anti PR3) sono fortemente suggestivi per Wegener
Modificazioni del titolo riflettono l’attività di malattia
P-ANCA (periferico)suggeriscono Churg-Strauss e micropoliangioite
P-ANCA si possono riscontrare in connettiviti (non individuano subset particolari )
P-ANCA (X-ANCA) nelle rettocoliti (50-70%) e nel Crohn (10-40%)
Soprattutto per il Wegener il titolo è importante per valutare gravità e decorso.
Per chi di voi farà l’ortopedico, se vi capita un paziente che si presnta con un versamento al ginocchio,
ricordatevi di chiedere sempre l’esame a fresco del liquido sinoviale perché può essere diagnostico; per
esempio la diagnosi di gotta la si fa trovando cristalli di urato nel liquido sinoviale e non valutando i livelli di
ac.urico nel sangue.
Terapia: non abbiamo tempo di trattrla, però tenete presente che se avete un paziente che fa farmaci di
fondo come metotrexate, immunosoppressori vari o i nuovi farmaci biologici e l’avete ricoverato per
qualunque motivo non dimenticate di segnalarlo al reumatologo perché magari il ricovero è dovuto ad una
complicanza del trattamento.
Sindrome metabolica
Fat distribution:
Nella sindrome metabolica così come nella obesità tutti i parametri peggiori sono correlati al grasso
viscerale; mentre in passato, si riteneva che il grasso sottocutaneo non fosse molto importante in campo di
metabolismo, in realtà oggi si stanno rielaborando questi concetti. Ultimamente è venuto fuori questo
nuovo parametro, l’ipertrofia dorso-cervicale, cioè il gibbo. Un recente articolo ha dimostrato il fatto che
persone in sovrappeso o con obesità con gibbo, hanno un enorme impatto sulla patologia epatica;cioè
questi soggetti hanno un peggioramento della fibrosi epatica che è indipendente da tutti i parametri della
sindrome metabolica. Quindi anche guardare se una persona ha il gibbo o meno può essere importante per
il fegato e per il metabolismo.
Criteri diagnostici per la sindrome metabolica:
Se almeno tre di questi parametri sono positivi si puo’ fare diagnosi di sindrome metabolica, secondo
questa classificazione.
I parametri rimangono gli stessi, circonferenza vita, glicemia a digiuno, pressione arteriosa trigliceridi sierici,
e HDL, cio’ che può cambiare a seconda della classificazione, sono i valori di cut off.
La sindrome metabolica è classificata nell’ ICD 9, diagnosi per cui gli ospedali vengono pagati, ed è 277.7 e
questo è molto importante perché vuol dire che quel paziente puo’ avere dei rimborsi, anche se non ci sono
ancora oggi terapie.
Con l’ultima classificazione descritta succede che il 50% di tutta la popolazione rientra nella diagnosi di
sindrome metabolica; quindi diciamo che bisogna essere prudenziali ad utilizzarla, perché se il 50% della
popolazione ce l’ha si fa fatica a descrivere come patologia.
Loro di solito usano i primi criteri del 2002.
Classificazione obesità
>18.5 sottopeso
18.5-24.9 normopeso
25-29.9 sovrappeso
30-34.9 obesità primo grado
35-39.9 obesità secondo grado
>40 obesità terzo grado
Non tiene conto del rapporto massa magra/massa magra..esempio: il palestrato con BMI alto non è che sia
obeso, perché il peso non è dovuto ad una eccessiva massa grassa, ma a quella magra.
Quindi è un parametro che deve comunque essere valutato attentamente, non è valido ed attendibile in
assoluto.
Valori limite dei lipidi sierici (stabiliti dal programma nazionale degli Stati Uniti...)
Questo per farci capire l’importanza della diagnosi di sindrome metabolica perché l’insieme di tutte quelle
patologie dette prima diabete, ipertensione,dislipidemia,obesità.. determina un rischio cardiovascolare e di
ictus che supera la somma dei rischi presi singolarmente..quindi l’impatto sulla mortalità della sindrome
metabolica..
L’ obesità è una delle condizioni della sindrome metabolica più importanti (lavoro del 2006)
E ormai si sa che la sindrome metabolica e l’obesità è associata ad un rischio aumentato di cancro che si ha
a tutti i livelli(studio di popolazione: 900.000persone studiate circa le eteroplasie a tutti i livelli dal New
England).
Terapia
La dieta mediterranea:
composizione della dieta che sembra avere un ruolo importante nella sindrome metabolica: l’oleato o acido
oleico ha un ruolo importante per il metabolismo perché sembra che non dia flogosi ai tessuti periferici.
Confrontando l’acido oleico,acido grasso monoinsaturo con il palmitato,polinsaturo,si vede che:l’acido
oleico si accumula molto di più nelle cellule, ma a parità di accumulo il danno cellulare è inferiore rispetto a
quello del palmitato e se si uniscono i due, il danno è intermedio,questo vuol dire che l’acido oleico ha un
ruolo protettivo, protegge dal danno indotto dal palmitato almeno a livello epatico.Quindi è preferibile
assumere acidi grassi monoinsaturi piuttosto che polinsaturi presenti nel burro..
CAUSE DI SPLENOMEGALIA:
Parlando di milza ingrandita in realtà bisogna distinguere 2 diverse situazioni:
● splenite settica o tumore spodogeno;
● splenomegalia
La discriminante tra queste 2 situazioni per l’esattezza non è tanto la dimensione della milza quanto il peso:
infatti se questo è al di sopra di 300 g si inizia a parlare di splenomegalia, se è al di sotto di tumore
spodogeno. Per le dimensioni invece si calcola che il volume della milza debba aumentare di circa 2-3 volte
prima che il suo polo inferiore diventi palpabile. L’entità della splenomegalia si esprime in cm dal margine
inferiore sinistro dell’arcata costale.
Il tumore spodogeno è una condizione che deriva dall’accumulo di detriti cellulari e cataboliti della milza. La
milza appare molle, al taglio non presenta follicoli linfatici e tale aspetto sarebbe causato da flogosi a livello
addominale ed extra addominale (classicamente salmonellosi, infezioni tossialimentari e polmoniti).
Le cause di una reale splenomegalia possono invece essere:
SPLENOMEGALIA INFIAMMATORIA:
Dovuta all’aumentata richiesta della funzione immunitaria splenica:
- acute e subacute: ascessi splenici, sepsi generalizzata, mononucleosi infettiva, endocardite
batterica subacuta;
- croniche: tubercolosi, sifilide, sindrome di Felty, artrite reumatoide, malaria, leishmaniosi,
tripanosomiasi, istoplasmosi, schistosomiasi, echinococcosi, sarcoidosi, berilliosi.
SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA:
Dovuta ad un anomalo flusso splenico o portale:
- cirrosi epatica;
- trombosi, stenosi, trasformazione cavernosa della vena porta;
- trombosi e altre forme di ostruzione della vena epatica o della vena splenica;
- scompenso cardiaco del cuore destro.
SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA:
Dovuta all’iperplasia del sistema reticoloendoteliale (da rimozione di eritrociti difettosi):
- anemie croniche: anemia falciforme, talassemia major, emoglobinopatie, anemie nutrizionali
O dovuta a immunoregolazione alterata:
- lupus eritematoso sistemico, collagenovasculopatie, porpore trombocitopeniche,
anemie emolitiche immunitarie, artrite reumatoide
O dovuta a emopoiesi extramidollare:
- mielofibrosi
SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA:
- malattia di Gaucher
- malattia di Niemann Pick
- malattia di Tangier
- amiloidosi
CISTI E NEOPLASIE:
- cisti vere: epiteliali, endoteliali, da parassiti;
- cisti false: emorragiche, sierose, degenerative, infiammatorie;
- linfangiomi, emangiomi;
- leucemie;
- morbo di Hodgkin;
- linfomi non Hodgkin;
- istiocitosi X;
- neoplasie metastatiche (il melanoma è la neoplasia primitiva più comune).
1) SPLENOMEGALIE INFIAMMATORIE:
Una splenomegalia infiammatoria acuta o subacuta si può verificare in associazione con numerosi
processi infettivi e infiammatori come espressione di un aumento della capacità di difesa di
quest’organo. La necessità di eliminare batteri, protozoi e cellule danneggiate può portare ad un
incremento nel numero delle cellule reticoloendoteliali spleniche e/o alla iperproduzione di anticorpi
con iperplasia linfoide.
Dal punto di vista anatomopatologico la milza si presenta di volume aumentato tra i 200 e i 400 g e di
consistenza molle. Al taglio la polpa rossa è mal trattenuta e i corpuscoli malpighiani sono poco visibili.
La microscopia ottica mostra congestione acuta della polpa rossa e follicoli linfatici iperplastici, con
notevole ingrandimento dei centri germinativi.
Di rado si riscontra la formazione di ascessi, mentre infarti splenici settici si possono associare con una
endocardite infettiva.
Una splenomegalia infiammatoria cronica si può verificare in situazioni flogistiche croniche, in malattie
immunitarie e nelle parassitosi. La milza arriva talvolta a pesare oltre 1000g e aumenta di consistenza.
Al taglio la polpa rossa è congesta e i corpuscoli malpighiani appaiono ben visibili. La microscopia ottica
dimostra iperplasia dei follicoli linfatici con grossi centri reattivi e sinusoidi ripieni di macrofagi; la polpa
bianca e quella rossa contengono inoltre numerosi macrofagi, plasmacellule, eosinofili.
b) sifilide:
La splenomegalia talvolta si verifica in associazione con la sifilide, in particolare se congenita, come
reazione infiammatoria interstiziale alla spirochetemia generalizzata.
Anche la sifilide terziaria comporta un incremento della milza sia per formazione di lesioni tipiche
(gomma luetica), sia per amiloidosi secondaria.
c) tubercolosi:
Esiste una rara forma (100 casi segnalati al mondo) di tubercolosi primaria alla milza senza
interessamento di altri distretti dell’organismo. Il quadro clinico è variamente caratterizzato da
splenomegalia, ematemesi, ascite, ittero, porpora; il quadro ematico invece può presentare anemia,
leucopenia o trombocitopenia, anche se va rilevato che la letteratura registra una casistica tutt’altro
che sparuta di splenomegalia tubercolare con policitemia.
La TBC può essere diagnosticata solo dopo splenectomia: si può rilevare una semplice iperplasia
reattiva aspecifica della polpa bianca, oppure si possono evidenziare noduli miliari o noduli caseosi a
seguito della diffusione ematogena della malattia. Possibile è il riscontro di calcificazioni intraspleniche.
Non è obbligatoria una positività marcata della intradermoreazione alla tubercolina.
d) malaria:
la malaria nelle zone tropicali è di sicuro una delle cause più comuni di splenomegalia. Questa è
ovviamente dovuta ad un aumento della distruzione delle emazie, ne consegue l’anemia riferibile
appunto al sequestro splenico e ad un incremento del volume plasmatico; normale è invece la massa
eritrocitaria anche quando si osserva una ridotta emivita delle emazie.
Leucopenia e trombocitopenia non sono sempre presenti.
e) leishmaniosi (kala-azar):
questo tipo di splenomegalia va tenuta presente soprattutto nelle regioni meridionali e insulari d’Italia,
oltre che nell’area asiatica. La leishmaniosi si manifesta con linfoadenomegalia, splenomegalia (la milza
può arrivare fino a 3 kg), movimento febbrile irregolare, deperimento grave e leucopenia.La diagnosi si
basa sul riscontro nel sangue periferico, nella milza ma soprattutto nel midollo di monociti e istiociti
farciti dal protozoo Leishmania Donovani fagocitato.
Ci sono poi altre infezioni quali la tripanosomiasi, l’istoplasmosi e la schistomiasi che possono dare un
quadro di splenomegalia. In particolare quest’ultima può anche interessare direttamente il fegato e
provocare una reazione cronica granulomatosa, seguita nel tempo da cicatrizzazione, fibrosi epatica e
quindi ipertensione portale.
f) sarcoidosi:
anche se la splenomegalia è presente solo nel 5-10% pei pazienti, l’angiografia celiaca e la biopsia
splenica dimostrano l’interessamento della milza nel 50-60% dei casi.. Un interessamento diffuso e
marcato può dare una splenomegalia superiore a 1000 g di peso. Istologicamente tutta la polpa
splenica appare disseminata di granulomi che si trovano nei vari stadi di proliferazione cellulare, di
fibrosi e di ialinizzazione. Pochi tuttavia sono i pazienti che manifestano trombocitopenia, anemia
emolitica, neutropenia, pancitopenia. Evento raro è la rottura della milza.
EZIOPATOGENESI:
una congestione venosa persistente o cronica può determinare l’ingrossamento della milza. La
congestione venosa può avere origine sistemica, essere causata da deviazioni del drenaggio venoso
portale o dovuto a processi ostruttivi venosi nelle vene porta o splenica.
● Una congestione venosa sistemica o centrale si riscontra negli stati di scompenso del cuore destro,
come può verificarsi nelle valvulopatie della tricuspide o della polmonare o in seguito a scompenso
cardiaco sinistro. Questa congestione passiva sistemica determina soltanto un modesto ingrossamento
della milza che raramente supera i 500 g.
● Una lunga congestione venosa della milza può essere causata da un’ostruzione intraepatica al
drenaggio venoso portale, infatti la causa più comune di splenomegalia congestizia è la cirrosi epatica.
La cirrosi avanzata dà come complicanze l’ipertensione portale e le sue conseguenze: in primis
l’emorragia da varici gastroesofagee e la splenomegalia con ipersplenismo, ma anche ascite,
encefalopatia epatica, peritonite batterica spontanea, sindrome epatorenale e carcinoma
epatocellulare. La diagnosi di malattia epatica cronica si basa appunto sul rilevamento di uno tra questi
segni clinici: splenomegalia, ascite, encefalopatia e/o varici esofagee (il cui sanguinamento è reso più
imponente dalla concomitante piastrinopenia indotta dalla splenomegalia). Tutti questi segni sono
dovuti, almeno in parte, allo sviluppo di circoli collaterali portosistemici di cui i più importanti sono
localizzati alla giunzione cardioesofagea (varici esofagee), al retto (emorroidi), nello spazio
retroperitoneale e al legamento falciforme del fegato (collaterali periombelicali o della parete
addominale→caput medusae).
● Una splenomegalia congestizia può anche essere dovuta ad ostruzione del tratto extraepatico della
vena porta o della vena splenica. Tale ostruzione venosa può essere dovuta a trombosi spontanea della
vena porta, che è di solito associata a una malattia ostruttiva intraepatica o può incominciare con
interessamento infiammatorio della vena porta, pileflebite, quale si ha in corso di infezioni
intraperitoneali. La trombosi della stessa vena splenica può essere provocata dalla compressione da
parte di tumori situati in organi adiacenti, per esempio un carcinoma dello stomaco o del pancreas.
CLINICA E LABORATORIO:
La splenomegalia congestizia determina fondamentalmente un ipersplenismo: l’aumento della
pressione venosa portale provoca deposizione di collageno nella membrana basale dei sinusoidi, che
appaiono dilatati per la rigidità della loro parete. Ne consegue squilibrio del flusso ematico tra i cordoni
e i sinusoidi, che prolunga l’esposizione delle cellule ematiche all’azione dei macrofagi dei cordoni,
provocandone una distruzione eccessiva.
Essendo poi associata a ipertensione portale, si accompagna frequentemente a episodi di emorragie da
rottura di varici esofagee.
L’esordio il più delle volte è insidioso, ma può anche essere acuto, caratterizzato da ematemesi, feci
picee, emorragie intestinali. Altre volte la sintomatologia è più sfumata: astenia, crampi addominali,
flatulenza, diarrea, subittero, febbricola, talvolta epistassi. L’anemia, dapprima modesta, è normocitica
e normocromica, poi con la comparsa di ripetute emorragie diventa microcitica e ipocromica. E’ sempre
presente leucopenia che interessa soprattutto i granulociti. Anche le piastrine si presentano diminuite
di numero, anche se non a tal punto da influenzare il tempo di sanguinamento.
ANATOMIA PATOLOGICA:
Una splenomegalia congestizia di lunga durata produce aumenti marcati del volume splenico (1000 g o
più); l’organo è duro e la sua consistenza diventa sempre maggiore quanto più a lungo dura il
fenomeno congestizio. Il peso può arrivare anche a 5000g.
Istologicamente si rileva la congestione e la dilatazione dei seni venosi e la ricca cellularità dei cordoni
splenici rappresentati da fibroblasti e cellule reticoloendoteliali proliferate.
In risposta a uno stato di ipossia locale di lunga durata si possono sviluppare focolai di ematopoiesi.
DIAGNOSI:
La diagnosi presuppone l’esclusione di tutte le numerose condizioni responsabili di anemia, leucopenia
e splenomegalia come anemie emolitiche, talassemia, leucemie aleucemiche. Come esami strumentali
è di aiuto alla diagnosi la splenoportografia o la RMN che possono mettere in evidenza o escludere una
eventuale ostruzione della vena porta a livello extraepatico o della vena splenica.
TERAPIA:
Il problema fondamentale è rappresentato dalle varici esofagee. Nel tentativo di ridurre l’ipertensione
portale una volta veniva praticata la splenectomia. Oggi constatata l’inutilità e le possibili conseguenze
dannose si preferisce ricorrere alla derivazione porta-cava o a interventi analoghi ( come il
posizionamento percutaneo del TIPS, shunt portosistemico intraepatico transgiugulare, per una
decompressione del flusso portale). Bisogna quindi sottolineare che una splenectomia senza shunt
chirurgico porto-sistemico può in realtà aumentare la pressione portale e condurre a trombosi della
vena splenica.
3) SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA:
In questi casi l’ipertrofia della milza, come già detto, sarà secondaria soprattutto a due fenomeni:
- eccessiva rimozione delle cellule ematiche dal circolo perché difettose;
- ematopoiesi extramidollare
E’ il caso di numerose forme di anemia, di alcuni casi di porpora trombocitopenica, come pure di
soggetti che fanno largo uso di Fenacetina. In quest’ultimo caso la splenomegalia verosimilmente è
secondaria ad emolisi marcata. Anche la splenomegalia associata a mielofibrosi o a policitemia può
venire classificata in questo gruppo. In particolare nella mielofibrosi il midollo osseo è completamente
distrutto e la milza assume una crescente funzione ematopoietica.
Per quanto concerne le dimensioni dell’incremento splenico, esso può essere davvero
importante solo nella β-talassemia major, in cui l’incremento pulpare è dovuto anche al
profilarsi più o meno marcato di una metaplasia midollare. Una grossa splenomegalia può
aversi anche nella emoglobinuria parossistica notturna e nell’anemia a cellule falciformi –che
incide prevalentemente nella razza nera- dove talora si va incontro a rottura e a fenomeni
regressivi-fibrotici della milza.
Per giungere alla diagnosi di splenomegalia da malattia emolitica, è di elementare importanza
la documentazione preliminare di segni generici di iperemolisi. E questi sono:
- anemia con reticulocitosi, policromatofilia e perfino normoblastosi del sangue periferico;
- iperplasia eritroblastica del midollo;
- reperto di una sopravvivenza accorciata degli eritrociti (documentabile con l’uso del Cromo
radioattivo);
- forte aumento della bilirubinemia indiretta con subittero e perfino ittero;
- ipersideremia, iperbilinia fecale ed urinaria.
Questi ultimi 2 segni clinici sono facilmente spiegabili col fatto che dall’emolisi dei globuli rossi si ricava
emoglobina da cui i macrofagi liberano due sostanze: un pigmento, la bilirubina, che in condizioni
normali attraverso il circolo portale raggiunge il fegato dove poi è eliminata con la bile; e il ferro che,
sempre in condizioni di normalità, giunto per via ematica nel midollo, serve per la sintesi di nuova
emoglobina durante la formazione di eritrociti. Se però la quantità di ferro circolante è superiore a
quella necessaria per la sintesi di emoglobina, come avviene in queste malattie emolitiche, esso viene
momentaneamente immagazzinato come ferritina o come emosiderina in tutto il sistema reticolo-
istiocitario sia della milza (e da qui la splenomegalia) sia di midollo rosso e di fegato.
La seconda tappa diagnostica è costituita dalla precisazione della malattia emolitica in atto, attraverso
la semeiologia laboratoristica e soprattutto il ricorso ad alcune prove specifiche come il test
dell’autoemolisi per la microsferocitosi o la determinazione dell’assetto emoglobinico per la β-
talassemia.
Altre malattie ematologiche non maligne che possono essere accompagnate da splenomegalia sono le
anemie megaloblastiche causate da carenza di acido folico o vitamina B12.
Sempre all’interno del grosso capitolo delle splenomegalie iperplastiche rientrano anche altre 2 entità
nosologiche:
- la splenomegalia idiopatica non tropicale: sono pazienti che presentano un notevole aumento
delle dimensioni spleniche, ipersplenismo, anamnesi negativa per l’esposizione a malaria o ad altri
parassiti. Il quadro clinico è variabile (astenia, febbricola, palpitazioni, talvolta ulcere al cavo orale e
agli arti inferiori), alcuni pazienti presentano un linfoma maligno ma il più delle volte il quadro è
quello di una iperplasia linfoide non neoplastica. Si è pensato a un processo autoimmune ma i dati
sono ancora incerti. La splenectomia sembra migliorare notevolmente la situazione di questi
pazienti. Tuttavia, con intervallo variabile, nei pazienti splenectomizzati spesso compare un linfoma.
- la sindrome splenomegalica tropicale (o della grande milza): si rileva nelle aree dove la malaria è
endemica, colpisce soprattutto gli adulti ed è caratterizzata da splenomegalia di dimensioni
variabili, assenza di malaria in fase attiva, saltuaria febbricola, pancitopenia.
La malaria sembra comunque rivestire un ruolo di particolare importanza nella patogenesi di questa
sindrome; si pensa infatti ad una abnorme risposta immunologica ad antigeni circolanti, espressione di
ripetute esposizioni al plasmodio malarico.
4) SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA:
Le tesaurismosi comprendono un gruppo di affezioni caratterizzate da un “ingorgo” dei lisosomi delle
cellule del sistema reticoloendoteliale con metaboliti non degradati a causa delle carenze
geneticamente determinate di uno o più enzimi lisosomiali. Ci sono circa 30 enzimi attivi
rispettivamente su:lipidi, carboidrati, proteine. La milza, al pari di midollo e fegato, presenta un alto
contenuto di cellule reticoloendoteliali che sono coinvolte nel processo di smaltimento. Di qui la
possibilità di una cospicua splenomegalia in corso di tesaurismosi.
Sono fondamentalmente malattie lisosomiali congenite, in cui manca l’enzima in grado di degradare
una determinata sostanza che finisce per accumularsi.Es:
MALATTIA DI GAUCHER: è una malattia autosomica recessiva causata da un accumulo di glucosio nella
cellula dovuto alla mancanza dell’enzima che lo metabolizza, la β-glucosidasi acida. Le diverse varanti
della malattia sono classificate sulla base della presenza o meno della neuropatia e sulla sua gravità. In
relazione invece all’interessamento splenico si può presentare in 2 forme anatomocliniche diverse: una
forma che compare immediatamente dopo la nascita, caratterizzata da epatosplenomegalia,
linfoadenomegalie, laringospasmo e spesso conduce a morte. La forma che caratterizza l’adulto si
presenta invece con epatosplenomegalia associata a fratture ossee per la presenza di una malattia
scheletrica cronica.
MALATTIA DI TANGIER: in questo caso nelle cellule si accumulano esteri di colesterolo. La patogenesi
risiede in un deficit della proteina trasportatrice ABC1, alterata captazione e/o fuoriuscita di colesterolo
dai macrofagi. Clinicamente è sempre caratterizzata da epatosplenomegalia, inoltre in più casi si
possono avere anche tonsille ipertrofiche e giallastre, opacità corneali e polineuropatia recidivante. A
differenza di Gaucher le cellule sono Pas negative.
MALATTIA DI TAY SASCH: caratterizzata da accumulo di gangliosidi per deficit della proteina β-
esosaminidasi. Circa 1 su 30 ebrei askenazi è portatore. La forma infantile è una malattia
neurodegenerativa fatale caratterizzata da macrocefalia, perdita delle capacità motorie e spot rosso
ciliegia all’esame retinico. La variante adulta è caratterizzata da debolezza motoria progressiva, disartria
e declino delle capacità intellettive.
MALATTIA DI NIEMANN-PICK: accumulo di sfingomielina per difetto della sfingomielinasi. Può esordire
precocemente, entro i 6 mesi di vita, con rapido deterioramento del SNC e grave epatosplenomegalia o
più tardivamente sempre con splenomegalia e possibile comparsa di cirrosi e sostituzione delle cellule
epatiche con cellule schiumose che sono presenti anche negli alveoli, nei vasi linfatici e nelle arterie
polmonari. Questo quadro porterà a morte in età adolescenziale.
LEUCODISTROFIA METACROMATICA: è una patologia di ambito pediatrico. E’ una cerebroside-
sulfatidosi, cioè una malattia che dà un accumulo di lipide solfato. La diagnosi può essere fatta
agevolmente mettendo del Blu di Toluidina su una carta da filtro contenente urina: si evidenziano
sostanze metacromatiche che non sono presenti in condizioni normali. Le forme della seconda infanzia
si manifestano dopo il 2^ anno di vita con una progressiva regressione dello sviluppo intellettivo ed è
fatale entro la prima decade di vita. Le forme adulte sono invece caratterizzate da disturbi
comportamentali e psicosi: queste varianti a esordio tardivo possono rispondere al trapianto di midollo
osseo.
AMILOIDOSI: è causata dalla deposizione di una sostanza proteica, fibrosa, insolubile nota come
amiloide principalmente negli spazi extracellulari di vari organi e tessuti dell’organismo, con
conseguente organomegalia soprattutto a carico di fegato, rene, milza e cuore. La splenomegalia è in
genere moderata e non si associa a leucopenia ed anemia. L’amiloide si deposita soprattutto nella
polpa bianca e le zone interessate assumono un aspetto opaco, vitreo.
5) CISTI E NEOPLASIE:
Un aumento di volume della milza può essere dovuto allo sviluppo di cisti epiteliali, endoteliali e da
echinococco, pseudocisti emorragiche, sierose, infiammatorie, o secondarie a colliquazione di aree
infartuate.
I tumori primitivi benigni e maligni della milza sono rari, entrambi possono provocare cospicue
splenomegalie. I tumori benigni più frequenti sono i linfangioni e gli emangiomi, spesso di tipo
cavernoso. Talvolta si hanno localizzazioni primitive di linfomi di Hodgkin o non Hodgkin, istiocitosi X o
sarcomi molli della milza. Infine sono possibili metastatizzazioni da carcinomi, ma bisogna specificare
che, benché quasi il 50% dei pazienti morti di carcinoma presentasse metastasi spleniche, queste di
solito si verificano come evento tardivo nel decorso della malattia e raramente causano una
splenomegalia clinicamente individuabile. La splenomegalia in un contesto di carcinoma metastatico è
in genere provocata da ipertensione portale secondaria a ostruzione da parte di depositi tumorali nel
fegato o altrove.
L’angiosarcoma è un tumore maligno primitivo, caratterizzato da rapida crescita, non dolente, evolve
frequentemente in rottura della milza.
SPLENECTOMIA:
Possono essere identificate 4 indicazioni per la splenectomia:
1) prima di tutto la splenectomia è un’importante opzione di trattamento per quei pazienti
con citopenie che minacciano la sopravvivenza, in cui la milza può essere responsabile della
persistenza della citopenia. Queste condizioni includono le anemie emolitiche, la
trombocitopenia immune, i disturbi mieloproliferativi e linfoproliferativi e disturbi come la
sindrome di Felty. Ovviamente una splenectomia per disturbi ematologici non è curativa,
ma può garantire un significativo miglioramento dei sintomi riducendo o eliminando la
necessità di trasfusioni; inoltre può migliorare la prognosi limitando il rischio di
complicanze, quali la sepsi o l’emorragia.
2) Una seconda indicazione per la splenectomia consiste nel verificarsi di un incidente
vascolare o traumatico che coinvolga la milza. La splenectomia può salvare la vita nel
contesto di una distruzione traumatica della milza e in caso di infarto splenico può fornire
un sollievo sintomatico, nonché una profilassi contro la distruzione spontanea della milza.
3) Una terza indicazione riguarda la compressione meccanica esercitata dalla milza ingrossata
su altri organi addominali. L’organo più spesso colpito è lo stomaco, con senso di sazietà
precoce e talvolta notevole perdita di peso. Meno frequentemente può verificarsi
l’ostruzione del sistema collettore renale sinistro.
4) Un’ultima indicazione per la splenectomia avviene per la diagnosi: in alcuni pazienti con
splenomegalia isolata, un attento esame tramite tecniche non invasive può non riuscire a
fornire diagnosi. In questi pazienti possono essere indicati una laparotomia esplorativa per
la splenectomia e biopsie diagnostiche dei linfonodi e del fegato.
PAZIENTE ASPLENICO:
La suscettibilità a un’infezione grave è una complicanza ampiamente riconosciuta della splenectomia.
Benché questo rischio sia amplificato per una splenectomia eseguita nell’infanzia o nella prima
giovinezza, rimane significativo nell’adulto. L’incidenza di infezioni gravi postsplenectomia è di circa
1.5% quando la splenectomia viene eseguita a seguito di trauma, mentre può essere maggiore in altre
condizioni, quali un morbo di Hodgkin trattato. Una grave infezione postsplenectomia può verificarsi
anche molti anni dopo l’operazione. Il tasso di mortalità è di circa il 50%.
Poiché in più della metà dei pazienti gli agenti infettanti sono gli Pneumococchi, la profilassi con
penicillina e la vaccinazione antipneumococcica sono state raccomandate per quei pazienti che
vengono sottoposti a splenectomia. L’evidenza suggerisce che queste modalità sono efficaci nel ridurre
l’incidenza di infezioni gravi nei bambini, ma non esistono ad oggi dati confrontabili per gli adulti.
La rimozione della milza determina caratteristiche modificazioni delle cellule ematiche, che sono
prontamente identificabili sullo striscio periferico. Queste modificazioni includono anomalie della forma
degli eritrociti, compresa la comparsa di cellule a bersaglio, acantociti e cellule frammentate. Gli
eritrociti possono contenere frammenti nucleari, detti corpi di Howell-Jolly; possono infine essere
osservati eritrociti nucleati. Dopo una splenectomia si verificano anche una leucocitosi transitoria e una
trombocitosi. In pazienti con anemia emolitica o disturbi mieloproliferativi può persistere marcata
trombocitosi.
01.03.2012
Prof.ssa Mussi
Integrazione delle sbobine del 7 e 21 marzo 2011
L'esame sarà soltanto su argomenti trattati a lezione
CADUTE e SINCOPE
I dati e le informazioni derivano dalle linee guida del 2009 della European Society of Cardiology (ESC),
quindi quanto di più nuovo abbiamo a disposizione.
Aggiornamento del 2011 delle linee guida del 2009, la modificazione più significativa è l'inserimento della
classificazione della sincope nel più ampio contesto delle perdite di coscienza transitorie (T-LOC); vengono
poi riconfermati i precedenti concetti delle linee guida 2009: è transitoria, T-LOC (transient loss of
consciousness); Causa: ipoperfusione cerebrale globale; Rapido onset; Ripresa rapida e spontanea.
Nel 2009 la necessità di rivedere le linee giuda è nata per sottolineare la necessità di trovare la CAUSA
della sincope per poter impostare un trattamento che dev'essere meccanismo-specifico. Bisogna
identificare il rischio cui va incontro un anziano colpito da sincope, che dipende spesso non dalla sincope
di per sé, ma dalle patologie sottostanti.
Con T-LOC totale o parziale, ma il cui meccanismo NON è l’ipoperfusione cerebrale globale.
→ Epilessia: è una perdita di coscienza dovuta ad un’alterata attività elettrica di una porzione di
encefalo, non da ipoperfusione transitoria;
→ Disordini metabolici come l’ipoglicemia: non è una sincope, poiché ciò che non arriva in
sufficienza al cervello è lo zucchero, non il sangue;
→ Intossicazioni: esempio da monossido di carbonio;
→ TIA carotideo e vertebro-basilare: anche se in passato era considerati sinonimi di sincope,
attualmente vi è una dimostrata distinzione tra i due; il TIA ha una sua sintomatolgia ma è dovuto
ad una causa LOCALE e non ad una ipoperfusione globale;
La sincope è data quindi da una ipoperfusione transitoria
e globale del tessuto cerebrale causata da una ipotensione
globale che a sua volta può essere schematicamente
ricondotta ad una riduzione delle resistenze vascolari
sistemiche o da una riduzione della portata cardiaca.
SINCOPE RIFLESSA
1. Sincope vasovagale:
Mediata da stress emotivo (vista del sangue, paura, dolore, indagini strumentali invasive), iperattività del
simpatico mediata da questi trigger specifici a cui fa seguito una risposta uguale e contraria del vago che
determina ipotensione e sincope.
2. Mediata dall’ortostatismo protratto (diverso da sincopi da ipotensione ortostatica!), quando stiamo in
piedi per molto tempo il sangue si accumula a livello degli arti inferiori, diminuisce la pressione a livello
del cuore e dei barocettori che attivano il simpatico per aumentare pressione e frequenza, dopo un lasso
di tempo variabile che è attivo il simpatico il sistema si sbilancia a favore del vago che determina la
sincope.
3. Sincope situazionale:
Tosse, Stimolo gastroenterico (dolore addominale, deglutizione, defecazione), Post-minzionale, Dopo
sforzo, Post-prandiale, Altro (risata …); è dato essenzialmente dalla manovra di Valsalva, aumenta la
pressione endoaddominale si attiva il vago e si ha bradicardia, ipotensione e la sincope.
4. Sincope da sindrome del seno carotideo
(5. Forme atipiche)
Alla base delle sincopi riflesse c'è quindi uno sbilanciamento del riflesso simpato-vagale e non una
patologia cardiaca, sono provocate da un lato dalla riduzione delle RVS per vasodilatazione e dall'altro da
una riduzione della portata cardiaca in seguito all'attivazione del vago.
Occupano una fetta importante dello schema, sono sempre date da due componenti:
una riduzione delle RVS e della portata cardiaca.
I trigger possono essere tre:
1. danno funzionale del sistema nervoso autonomo
2. danno strutturale del sistema nervoso autonomo
3. ritorno venoso inadeguato
Nelle nuove linee guida vediamo altre due definizioni altrettanto importanti:
La differenza fra le sincopi riflesse e quelle ortostatiche o disautonimche è che nelle prime il riflesso
simpato-vagale è normale e solo in alcuni casi si ha un disequilibrio e il pz perde coscienza, in quelle
disautonomiche avviene il contrario, il simpatico non si attiva e non c'è vasocostrizione e aumento della
frequenza con conseguente ipotensione.
Se ricordiamo la fetta di torta corrispondente, questa comprende le alterazioni primitive del SNA.
5. MSA è l’atrofia multisistemica che purtroppo è una di quelle malattie neurologiche che assomiglia
alla SLA anche per il fatto che non c’è terapia, quindi oggettivamente è una patologia selettiva del SNA
che ad un certo punto colpisce tutto il SNA. Il SNA guida il cuore ed i polmoni, quindi la prognosi di
questa patologia è infausta, è molto grave, ma fortunatamente anche rara.
6. Oltre a questa fra le alterazioni primitive del SNA abbiamo anche il Morbo di Parkinson; una delle
caratteristiche del Morbo di Parkinson è l’alterazione della sostanza nigra che è il primo problema che si
manifesta, ma questi pazienti vanno anche incontro ad un depauperamento del SNA. Il morbo di
Parkinson è da tenere bene a mente, perché è un danno clamoroso per l’anziano, perché di per sé lede
il SN in quanto malattia neurologica, inoltre i farmaci che si prendono per il Parkinson come la
Dopamina danno come effetto collaterale l’ipotensione ortostatica, quindi l’anziano cade e non si sa se
per un sovradosaggio di farmaco o per il Parkinson. Il Madopar dà anche delle alterazioni del
comportamento, delirium. Il paziente con Parkinson diventa disfagico, quindi non beve più e così
peggiora la sua ipotensione ortostatica. Infine il paziente con Parkinson cammina a base allargata ed ha
anche il freinage per cui ha un elevatissimo rischio di caduta, quindi bisogna correggere la
disidratazione ed i farmaci che sono gli unici fattori modificabili nel paziente con Parkinson in modo da
attuare dei metodi preventivi per fare in modo che il paziente non caschi per terra.
Queste sono le quattro caratteristiche fondamentali di chi ha la demenza a corpi di Lewy. Sono quelle
che servono nella pratica clinica, perché sapere che nelle autopsie avevano i corpi di Lewy è bellissimo
ma il vostro intervento non è più necessario!
Diabete. Nella neuropatia disautonomica diabetica le fibre sono molto sottili e senza guaina mielinica
per questo sono le prime che subiscono l'insulto iperglicemico anche se è una forma più subdola
rispetto a quella sensitiva.
Amiloidosi. L’amiloide è una sostanza che va a depositarsi dove non dovrebbe; ne abbiamo un esempio
clamoroso nell’Alzheimer, perché il primum movens della demenza di Alzheimer è proprio il deposito di
questi granelli di amiloide che non si scioglie che quindi rimane e depositandosi dà la neuro
degenerazione. La cosa che deve rimanere in mente è che se un paziente ha l’amiloidosi non l’ha
localizzata solo al cervello, ma dappertutto, allora è ovvio che la manifestazione più eclatante è a livello
cerebrale, ma se voi fate un ecocardiogramma a questi pazienti vedete un cuore iperiflettente,
l’ecocardiografista riscontra una ipereflessività del tessuto cardiaco perché nelle miofibrille del cuore si
deposita l’amiloide che dà questo tipo di immagine. L’amilodie si deposita anche a livello del SNA ed
avviene esattamente come nel diabete dove per prime vengono danneggiate le fibre più piccole, allo
stesso modo l’amiloide si deposita per prima nei nervi più sottili. È inoltre da ricordare che l’amiloide si
deposita nei vasi, quindi arriva in sede attraverso i vasi e quindi dà dei problemi al SNA causando
ipotensione ortostatica.
Quando c’è stata la prima divisione tra Alzheimer e demenza vascolare erano tutti convintissimi che
si trattasse di cose completamente diverse, poi facendo la TC a tutti i pazienti anziani si è visto che
una gran differenza tra chi aveva una diagnosi clinica di demenza di Alzheimer e vascolare non
c’era, perchè il 90% degli anziani hanno un quadro misto, quindi c’è stato un grande periodo di
tempo in cui si è visto che le due patologie sono quasi sovrapposte. Hanno trovato in chi ha la
demenza vascolare dei depositi di amiloide a livello dei vasi, quindi sembra che l’alterazione
vascolare sia anche caratteristica del morbo di Alzheimer anche se le caratteristiche cliniche delle
due patologie sono diverse. La prima differenza è l’andamento clinico: l’Alzheimer ha un
andamento progressivamente peggiorativo, mentre la demenza vascolare ha un peggioramento a
gradini, perché sono tanti piccoli ictus, però a livello istopatologico e strumentale delle grandi
differenze non ce ne sono; è per questo che la diagnosi del tipo di demenza si fa con la clinica e non
con gli esami strumentali.
Uremia. L’uremia dà: gastropatia, encefalopatia, si deposita sulla cute e fa venire prurito…allo stesso
modo si deposita a livello del SNA. I cristalli di urea che dovrebbe essere eliminata con le urine ed
invece rimane dove non dovrebbe essere, alterano anche il SNA, quindi in chi ha l’insufficienza renale e
fa la dialisi troverete l’ipotensione ortostatica per due motivi: chi fa dialisi una gran volemia non ce l’ha
per definizione, in secondo luogo perché ha danneggiato il SNA.
DEPLEZIONE DI VOLUME
Ipovolemia da disidratazione
Emorragia
Vomito
Diarrea.
Il vomito e la diarrea sembrano sintomi benigni e questo è vero se avete di fronte un paziente giovane; in
un paziente anziano non sono mai sintomi benigni, perché disidratano e perché con essi si perdono tutti
quegli elettroliti come il Na ed il K che tanto servono per gli enzimi e le cellule. In un anziano bisogna
ricordarsi che l’equilibrio è labilissimo, quindi a volte basta un giorno di diarrea per portare ad un quadro di
shock ipovolomeico e quindi al ricovero.
Facciamo un esempio pratico: pz in terapia con FANS perché ha tanto male, è un iperteso ed un bel giorno
si trova con 80/60 di PA e sviene, in PS si fa sempre l’esplorazione rettale perché potrebbe avere melena;
infatti in una certa percentuale dei casi se un paziente ha una sincope oltre a fargli un emocromo bisogna
anche fargli una esplorazione rettale, perché se non riferisce l’emissione di feci scure è sempre importante
andare a cercare se c’è melena oppure no.
Le linee guide (di cui dopo vedremo i principali punti) sono state definite non solo da cardiologi e neurologi,
ma anche da geriatri; ciò a sottolineare come la sincope sia una condizione di particolare interesse per
questo ambito.
Secondo le linee guida ESC – 2009 le prime azioni che si devono compiere su un paziente che arriva con
transitoria perdita di coscienze sono:
Anamnesi;
Esame obiettivo;
PA in clino- e ortostatismo;
ECG standard (nelle 12 derivazioni);
Questo iter deve esser seguito in ogni caso di reale o apparente perdita di coscienza (qui ancora non
possiamo usare il termine sincope, poiché include SOLO le ipoperfusioni cerebrali globali transitorie); è
importante non richiedere subito esami costosi (come TC e RMN), come primo step dobbiamo attenerci a
quanto riportato sopra. In questo modo possiamo già distinguere se il paziente ha avuto una sincope vera
oppure una perdita di coscienza non sincopale.
Perché nel paziente anziano non è semplice distinguere tra una sincope e un episodio non sincopale?
Come vediamo a lato l’anziano può avere tutte e tre queste condizioni, ognuna delle quali responsabile di
caduta:
13. Sincope;
14. Cause accidentali;
15. Problemi di andatura/equilibrio;
Epidemiologia:
La 5a causa di morte negli USA è la morte accidentale;
Le cadute rappresentano i 2/3 delle morti accidentali;
I 3/4 dei decessi dovuti a caduta accidentale avvengono negli ultra65enni;
Anziani a domicilio: 1/3 cade ogni anno, il 5% si frattura o viene ospedalizzato. Teniamo presente
che la popolazione anziana è molto numerosa in Italia, per cui il 5% è un numero molto elevato;
Anziani in struttura: l’incidenza di cadute è 3 volte maggiore poiché:
I soggetti sono più fragili: hanno un numero maggiore di patologie;
La segnalazione dell’evento è più frequente;
Tuttavia, una volta caduto, anche se non si è fatto male, un anziano ha una più alta probabilità di morire
per le conseguenze della caduta.
Perché è molto importante questo concetto? Perché la geriatria è la scienza dell’AUTOSUFFICIENZA, quindi
per il geriatra è meno grave che un anziano muoia, piuttosto che diventi non autosufficiente (parole testuali
della prof.). Al geriatra non interessa che un soggetto arrivi a 100 anni malato, con le piaghe da decubito,
allettato e non autosufficiente; al geriatra interessa che l’anziano sia autosufficiente e le cadute alterano
l’autosufficienza.
Torniamo alle linee guida: seguendo quei 4 step che prima abbiamo elencato, abbiamo la possibilità di
orientarci tra una sincope e un episodio non sincopale. Quando abbiamo stabilito che il paziente ha avuto
una sincope, possiamo fare una diagnosi suggestiva e indirizzarci verso una delle possibili cause:
8. Cardiaca;
9. Neuromediata;
10. Cerebrovascolare → in realtà questa causa non esiste più;
NB: si arriva ad una diagnosi certa di CAUSA nel 45% dei casi. Diagnosi certa significa che non si devono
fare ulteriori accertamenti.
Ambiente caldo
Dopo sforzo fisico
In seguito a sensazione di paura (forte emozione)
Per visione del sangue
Durante o dopo iniezione (ev o im)
In associazione ad intensa sintomatologia dolorosa
In ambiente affollato
→ In questi casi dobbiamo pensare ad una SINCOPE VASO-VAGALE CLASSICA, non sospetta, ma
certa. Quindi se abbiamo un paziente che ha anamnesi positiva per uno di questi elementi ed EO
neurologico negativo, prova della pressione ortostatica negativa ed ECG negativo siamo di fronte a
un caso di sincope vaso-vagale classica e non si devono fare ulteriori accertamenti (TC, RMN,
peraltro molto costosi).
Con la defecazione, con il vomito, con la minzione, con la tosse, con lo starnuto
Con la deglutizione
→ In questi casi dobbiamo pensare ad una SINCOPE SITUAZIONALE, anche qui certa, non
sospetta.
Se un pz ha l'anamnesi positiva per uno di questi eventi, l'ECG negativo, L'EO cardioogico e neurologico
negativo e la prova dell'ipotensione ortostatica negativa si fa diagnosi certa di sincope vaso-vagale o
situazionale senza altri accertamenti!
Se invece l'anamnesi è positiva per ipotensione ortostatica con prova positiva e sempre ECG negativo,
EO cardiologico e neurologico negativo si fa diagnosi e il pz va a casa!
Domanda: - La TC in un pz che cade va fatta? Sì ma per valutare le eventuali conseguenze, non nella flow
chart diagnostica.
- Ha senso fare un doppler dei tronchi sovraortici?
No perchè una stenosi delle carotidi potrà dare un TIA ma non una ipoperfusione cerebrale globale con
una perdita di coscienza transitoria, può essere chiesto nel caso in cui si senta un soffio ma non per una
sincope.
Per riassumere:
Sincope vasovagale
Iperattività del vago, che causa bradicardia ed ipotensione
Ipoafflusso cerebrale globale
Analisi degli eventi trigger: reazione di fuga
Meccanismo: iperattività del simpatico a cui risponde il vago con entità della risposta uguale e
contraria
Sincope situazionale
Iperattività del vago, che causa bradicardia ed ipotensione
Ipoafflusso cerebrale globale
Analisi degli eventi trigger: manovra di Valsalva
Meccanismo: iperattività del simpatico a cui risponde il vago con entità della risposta uguale e
contraria
SINTOMI PRODROMICI
I primi sono i sintomi che precedono la perdita di coscienza, sono sintomi di ipoperfusione cerebrale
globale, di pre-sincope, se il pz li riconosce può evitare la sincope, sdraiarsi e non cadere.
La nausea, bocca secca, sudorazione sono invece la conseguenza dell'attivazione del vago indicano quindi
un interessamneto del SNA.
La perdita di coscienza improvvisa, palpitazioni e dolore precordiale invece devono far pensare ad una
causa cardiaca da indagare.
Il delirium riferito dai famigliari prima della sincope è la conseguenza sempre dell'ipoperfusione
cerebrale globale.
Avevamo detto che è molto difficile nell’anziano stabilire se ha avuto una sincope, perché questo?
→ Circa il 30% dei soggetti anziani cognitivamente intatti (non dementi) non è in grado di ricordare cadute
documentate dopo tre mesi. C’è un’amnesia per la caduta.
→ Nel 50% dei casi non ci sono testimoni. Capiterà di frequente il paziente anziano che dice “mi sembra di
esser inciampato in un gradino”, quando in realtà questo non è contestualizzabile. Ci sono poi i casi in cui
arriva il “vecchietto con gli occhi a panda” e dice che è inciampato. Inciampare senza mettere le mani
avanti spesso è segno di perdita di coscienza.
→ Nel 40% dei soggetti con sindrome del seno carotideo (pazienti con una pausa di almeno 3 secondi
durante il massaggio del seno carotideo [MSC]) l’unico sintomo era la caduta o la caduta preceduta da
“dizziness”
→ Nel 20% dei casi di sincope durante Massaggio del Seno Carotideo il paziente non ricorda di avere perso
coscienza
Quando si fa il MSC ci sono dei pazienti che fanno delle pause “clamorose”, fanno un arresto, e questo
viene definito un MSC sintomatico ed è diagnostico per sindrome del seno carotideo.
Esiste anche l’ipotensione post-prandiale, ovvero una riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica nelle
due ore successive al pasto, concettualmente è simile all'ipotensione ortostatica.
L'anziano in seguito ad un episodio di sincope deve essere sottoposto ad una valutazione
multidimensionale geriatrica che consideri tutte le componenti bio-psico-sociali.
Stato Cognitivo:
Mini Mental State Examination, perchè se alterato l'anamnesi deve essere rivolta ad un famigliare.
Stato emotivo-affettivo:
Geriatric Depression Scale, per la valutazione della postfall anxiety syndrome
Comorbidità:
Cumulative Illness Rating Scale
Autosufficienza:
ADL e IADL, Activities of daily living (alzarsi, mangiare, la continenza...) e Instrumental activities of daily
living (fare la spesa, pulire...)
Se abbiamo un paziente con storia di sincope nel passaggio da clino- ad ortostatismo e facciamo diagnosi
con lo sfigmomanometro di ipotensione ortostatica sintomatica (possiamo riprodurre una presincope nel
passaggio da clino a ortostatismo)possiamo fare diagnosi di SINCOPE DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA.
Quando arriviamo a questa diagnosi CERTA non dobbiamo proseguire con inutili accertamenti.
I faramci che più frequentemente danno ipotensione ortostatica sono i nitroderivati e gli
antiparkinsoniani (Incidence of orthostatic hypotension as cause of syncope in emergency departments:
the EGSYS 2 Study)
Quindi fondamentale è MISURARE LA PRESSIONE in clino e ortostatismo.
Cos’è la dizziness?
Geriatria
19/03/2012
Prof. Mussi
IL DELIRIUM
è una manifestazione frequentissima nell'anziano, quindi oggi diamo le indicazioni diagnostico terapeutiche
per questa condizione.
Il primo a identificarla fu Ippocrate: se il paziente sta delirando non riconosce i suoi amici,e non può sentire
o capire, e questo è un sintomo mortale. Quindi Ippocrate aveva identificato sia le caratteristiche cliniche
che la gravità del problema delirium.
Il delirium è uno scompenso cerebrale acuto. Si fa diagnosi seguendo i criteri del DSM IV, manuale che
utilizzano gli psichiatri e che si utilizza anche in clinica, il quale da un'identificazione del delirium in quattro
punti.
Disturbo dello stato di coscienza (ridotta consapevolezza dell’ambiente) con ridotta capacità di fissare,
mantenere e spostare l’attenzione. Quindi lacaratteristica principale del delirium è il deficit di
attenzione
Alterazioni della sfera cognitiva (deficit di memoria, disorientamento temporo-spaziale, disturbi del
linguaggio) non giustificabili da una demenza preesistente o in evoluzione. Questo secondo punto è
uguale a quello che capita nella demenza.Vedremo successivamente che è possibile che un delirium
si manifesti in una persona demenza, e i due criteri distinguono il delirium dalla demenza sono i
seguenti:
Il disturbo si manifesta in un periodo di tempo breve (di solito ore o giorni) ed ha un decorso fluttuante nel
corso della giornata). Al mattino il paziente può essere assolutamente normale e verso sera inizia il
disorientamento spazio temporale e l agitazione psicomotoria
C’è evidenza dalla storia, dall’esame obiettivo, o da altri accertamenti che il disturbo è una diretta
conseguenza di una patologia medica in corso, di un’intossicazione da farmaci o da una sindrome di
astinenza. È uno dei punti più importanti nella diagnosi di delirium perché è insita la causa e la
terapia.
da questa definizione si capisce che non si puo' parlare di demenza perché questa non è data da qualcosa di
esterno.la stessa cosa vale per il farmaco
DIAGNOSI
ci sono moltissimi test per fare diagnosi di delirium, quello più facile più veloce e più riconosciuto in
letteratura è il CAM confusion assesmant method che si basa sui quattro criteri che abbiamo visto nel DSM
IV con l'unica differenza al primo posto mette l' insorgenza acuta e l'andamento fluttuante
1. Insorgenza acuta e andamento fluttuante
Dato acquisito di solito da un familiare: c’è stato un cambiamento acuto nello stato mentale del paziente
rispetto alla sua situazione di base? Il comportamento anormale varia durante la giornata, per esempio va
e viene o si modifica di intensità 0= no 1=sì
2. Perdita dell’attenzione
Il paziente presenta difficoltà nel concentrare la sua attenzione, per esempio è facilmente distraibile, non
riesce a mantenere il filo del discorso ecc.? 0= no 1=sì
3. Disorganizzazione del pensiero
Il pensiero del paziente è disorganizzato e incoerente, passa da un argomento all’altro senza filo logico, in
modo imprevedibile?
0= no 1=sì
4. Alterato livello di coscienza
0= vigile
1= iperallerta, letargia, stupor, coma
Il CAM è validato in tutti i reparti, nelle strutture protette, a domicilio etc. Quindi si può sempre utilizzare.
Il paziente con delirium apparirà in stato di:
Del paziente in stato di delirium si occupa il geriatra perchè aumenta esponenzialmente con l’aumentare
dell’età. Il delirium può colpire chiunque, anche pazienti giovani con patologie acute, che hanno assunto un
farmaco o che sono in astinenza da sostanze; ma chi si occupa di anziano non può non riconoscerlo perchè
dai 65 anni in avanti c’è una crescita esponenziale di questo problema.
STATO DI COSCIENZA E ATTENZIONE
La funzione attenzione, è una funzione particolarmente complessa e nel delirium viene alterato questo
pattern.
Il delirium dipende dal sistema colinergico, questo è importante conoscerlo perchè, nel momento in cui si
vanno ad identificare le cause, si vedrà che i farmaci con azione anti colinergica hanno un potere
deliriogenico. Questa ipotesi è stata esposta nel 1991 quando hanno antagonizzato l’ACH con dei farmaci,
anche in anziani non dementi, questi sviluppavano un deficit di attenzione e quindi un delirium. In più è
stato visto che i livelli sierici di farmaci che hanno attività anticolinergica correlano con l’insorgenza di
delirium e la sua severità, quando il delirium si risolve gli elevati livelli di anticolinergici diminuiscono.
Ridotte quote di zucchero e di ossigeno si associano a un ridotto rilascio sinaptico di ACH e ad un aumento
del glutammato. Ciò vuol dire che gli insulti a livello di due possibili cose che succedono nel delirium, come
l’alterazione del metabolismo glucidico e l’ipossia determinano alterazioni dei livelli di ACH ( l’unica cosa
che interessa alla prof è che il delirium è causato da un calo di acetilcolina).
Ci sono poi un’ipotesi dopaminergica, serotoninergica e gabaergica anche se meno accreditate. Da sapere il
concetto che l’aloperidolo è utilizzato nella cura sintomatica del delirium per la sua azione
antidopaminergica.
TIPI DI DELIRIUM
Esistono tre tipi di delirium
Il primo è il più facile da diagnosticare perchè il paziente è molto agitato e non si riesce a tenere calmo.
Molto più grave e difficile da individuare è il delirium di secondo tipo, in ospedale questo tipo di malati
“sfuggono” perchè non danno fastidio a nessuno e l’infermiere, a meno che non sia sensibilizzato sul
problema, fa fatica a riconoscerlo. Più o meno la prevalenza dei vari tipi è uguale.
DELIRIUM IPOATTIVO
I disturbi fluttuanti del comportamento vanno dall’agitazione psicomotoria al sopore
Questi sono i codici ICD-9, servono per compilare le SDO in fase di chiusura delle cartelle. Si devono
associare alle patologie che il paziente ha i codici ICD-9; il DRG è il diagnosis related group, che ci dice se
siamo stati “bravi”oppure no. Il concetto è che una polmonite ad esempio, è da dimettere entro 5 gg e se ce
ne impieghiamo 7 la direzione sanitaria si “arrabbia”. Sul delirio ci sono tantissimi codici ICD-9 perchè causa
tutti quei problemi visti precedentemente. Invece questi non sono molto utilizzati anche perchè la diagnosi
spesso non viene fatta.
Queste sono le prevalenze delle diagnosi di delirium, dal 2000 al 2003, nelle SDO. Sono molto più basse di
quelle viste in precedenza, questo perchè per il medico “medio” l’anziano è normale che “svalvoli” nel
momento in cui entra in reparto.
Il problema nasce dal PS
15. Solo 15-30% identificato in Pronto Soccorso
16. Solo 30-50% hanno segni/sintomi segnalati all’ammissione in reparto
17. Anche se i segni/sintomi sono stati segnalati, spesso sono misconosciuti (demenza, depressione)
Il deliruim va identificato nel momento in cui il paziente arriva all’attenzione del medico, la diagnosi
potrebbe anche essere fatta da un infermiere. Al massimo in PS ne viene identificato il 30%, il 30-50%
hanno segni o sintomi che potrebbero essere identificati dal medico di reparto come campanelli d’allarme,
in particolare questo vale per il delirium ipocinetico. Infine se anche i segni/sintomi sono stati segnalati,
spesso sono misconosciuti perchè vengono confusi con altri due quadri che fanno parte delle famose tre D
della geriatria, che sono demenza, depressione e delirium. Sono tre patologie completamente diverse.
quando invece si utilizza il CAM, la diagnosi cresce al
20,7%, il che vuol dire che basta cercarlo con lo strumento giusto per essere identificato
questo è uno studio multicentrico svolto dalla
geriatria di Modena insieme con altre geriatrie italiane, dove si è andati a vedere l’outcome surrogato, cioè
l’utilizzo di antipsicotici al bisogno all’interno del reparto di geriatria. L’antipsicotico al bisogno è per
definizione una contenzione farmacologica, perchè altrimenti non ci sarebbe altro motivo per prescrivere
un antipsicotico al bisogno. Quelli indicati nel grafico sono tutti pazienti senza diagnosi di delirium,
all’aumentare dell’età aumentava la prescrizione degli antipsicotici. Nella fascia d’età >85aa a domicilio le
prescrizioni erano sotto al 5% mentre subivano un picco al 9% durante l’ospedalizzazione, ciò vuol dire che
almeno il 9% di questi anziani ha sviluppato un delirium ipercinetico in reparto, in seguito al quale gli sono
stati somministrati antipsicotici al bisogno.
18. Il MMSE non consente la diagnosi di delirium e non distingue tra delirium e demenza
Questa diapositiva è stata inserita perchè spesso all’esame, alla domanda “come si fa a fare diagnosi di
delirium?” lo studente rispondeva: “con il MMSE”. Questo non è corretto.
Il MMSE serve per identificare un DEFICIT COGNITIVO, non dà però nessuna idea di quanto fluttuante ed
acuto sia il deficit cognitivo. Se però si fa il MMSE ad un paziente appena entrato in reparto e questo
prende 10(bassissimo), poi glielo si rifà alla dimissione e prende 30(massimo), si potrà dire che questo, era
un paziente che aveva un deficit cognitivo dovuto al delirium (paziente entrato per patologia acuta, risolta
durante la degenza e di conseguenza risolto il delirium, all’uscita ha un livello di coscienza normale) va
ricordato che al 2 punto del DSM-V il delirium è caratterizzato da: deficit di memoria, disturbo
dell’orientamento spazio temporale, afasia etc.. Ovvero tutti sintomi di deterioramento cognitivo, che nel
caso del delirium è acuto.
L’anamnesi è fondamentale, è per questo che va fatta immediatamente. Appena il paziente viene visto la
domanda da porre è: “com’era prima questo malato?”. Il punto chiave dell’anamnesi è capire com’era in
precedenza il paziente. Se il parente ci dice che sono già alcuni anni che il paziente è in quelle determinate
condizioni, ci orienteremo verso uno stato di demenza; mentre se il parente dice che non riconosce più il
paziente, che ha notato un cambiamento repentino nell’arco di poche ore, questo ci farà orientare su una
diagnosi di delirium.
Tutti i pazienti che si osservano soprattutto in area critica vanno sottoposti a screening cognitivo, perchè va
considerato alla stregua di un parametro vitale (cosa che purtroppo non ancora accade nei reparti di PS ed
emergenza urgenza).
Queste sono scale, per farci capire che questo è un problema davvero spinoso; sono nate tantissime scale
per identificare il delirium.
NEECHAM CONFUSION SCALE
1. PROCESSING (punti da 0 a 14)
attenzione ed allerta, risposta, riconoscimento, interpretazione,
azione, orientamento, memoria, contenuto del discorso
Questa è una scala interessante perchè mette al terzo punto l’alterazione dei parametri vitali fisiologici
perchè alla base del delirium c’è sempre una causa di tipo medico, farmacologico e quindi i parametri vitali
mi dicono se c’è qualcosa che non va a livello fisiologico.
DELIRIUM INDEX
Si basa sul rilievo di:
7. Alterata attenzione (da 0 a 3)
8. ragionamento disorganizzato (da 0 a 3)
9. livello di coscienza (da 0 a 3)
10. disorientamento (da 0 a 3)
11. compromissione della memoria (da 0 a 3)
12. alterata percezione (da 0 a 3)
13. disturbi motori (da 0 a 3)
Questa scala, in realtà, si valuta sui primi 5 item del MMSE e, a differenza del CAM, al settimo punto c’è la
segnalazione dei disturbi motori. Ci aiuta quindi a distinguere tra un delirium iper e un delirium ipocinetico.
(le scale non sono da sapere)
Qui si apre un capitolo che è d’importanza fondamentale. Il DSM-IV afferma che il delirium ha una causa
che bisogna identificare, perchè la cura del delirium è la cura della causa. Se la causa non viene identificata
non si guarisce il paziente da due malattie: la causa e il delirium.
In letteratura si sono sbizzarriti nel creare degli acronimi per tenersi in mente le cause di delirium
tutte le patologie acute o riacutizzazioni di patologie croniche possono
causare delirium. Le più frequenti sono le cause vascolari tra cui c’è l’ictus, questo può avere una
manifestazione completamente diversa rispetto a quella che ci si aspetta solitamente nel paziente giovane,
infatti si può manifestare solo col delirium. Le infezioni sono un’altra delle cause più frequenti di delirium,
se non si identificano il paziente va in sepsi. Anche la malnutrizione è causa di delirium. I farmaci sono
pericolosissimi nell’anziano, bisogna sempre ricordare la frase “start low go slow”, gli anziani vanno spesso
incontro ad effetti avversi e ad interazioni farmacologiche; un effetto avverso dei farmaci è il delirium. I
traumi. Le cause cardiache tra cui le aritmie e gli infarti che presentano nell’anziano, come unico sintomo,
un quadro di delirium. Tutte le riacutizzazioni delle malattie autoimmuni sono poco frequenti. I tumori,
soprattutto in fase terminale. Tra le patologie endocrine che possono causare delirium c’è il diabete
scompensato (ipo-iper glicemia) e le alterazioni della tiroide (ipo-iper tiroidismo), va fatto sempre un TSH in
chi presenta delirium.
quelli che in assoluto danno più frequentemente il delirium. Al secondo posto troviamo eye ed ears, ciò sta
a significare che se un paziente ci vede e ci sente poco ed in più viene messo in un ospedale, questo si
disorienta in brevissimo tempo. Abbiamo poi la bassa ossigenazione e quindi l’ischemia. La R di retention è
molto importante, si intende ritenzione sia urinaria che fecale; l’anziano con globo vescicale spesso non ci
chiama dicendo che non riesce ad urinare, ma si agita solamente; parallelamente la stessa cosa succede per
il paziente stitico. Di nuovo troviamo le infezioni; la disidratazione già menzionata sopra così come i
disordini metabolici.
in questo acronimo è stata aggiunta anche la “s” perchè una delle
manifestazioni dell’ematoma subdurale nei pazienti anziani è la confusione mentale acuta, ovvero il
delirium. Quando un paziente ha un delirium e ha l’anamnesi positiva per caduta la TAC va sempre fatta
perchè potrebbe avere un ematoma subdurale.
Sono stati fatti tantissimi studi sulle cause di delirium, ognuno dei quali ha identificato qualche causa
maggiore dell’altra.
alla prof è piaciuto molto questo, perchè ha semplificato un
po’ le cose. Sono stati identificati 4 fattori di rischio. Il primo è il fatto che il paziente ci veda poco, il
secondo è la presenza di patologie acute gravi (l’apache è un metodo di valutazione oggettiva della gravità
dei pazienti che arrivano in PS), il terzo punto è il fatto che ci sia un deterioramento cognitivo, quindi una
demenza sottostante è un fattore di rischio di delirium. Il quarto punto è la disidratazione. È stato visto che
se il paziente non ha nessuno di questi fattori ha un rischio di sviluppare delirium che è basso( incidenza
9%) mentre invece se ne ha 3-4 ha un rischio elevatissimo (incidenza 83%). Ciò significa che se abbiamo un
paziente anziano va sempre considerato ad alto rischio di delirium.
Delirium da farmaci
Antipsicotici triciclici (fenotiazine)
Antidepressivi triciclici (Nortriptilina)
Barbiturici
Benzodiazepine
Antistaminici
Antiparkinsoniani
Antidiarroici (difenossilato)
Miorilassanti, spasmolitici
Prodotti da banco per il trattamento sintomatico della tosse (Codeina)
Digitale
Narcotici (Meperidina, Morfina)
Prednisolone
Antibiotici (Cefalosporine, Chinolonici)
Il concetto che deve emergere è che ogni anziano è diverso da quell’altro. Quindi se gli diamo un farmaco a
volte non si hanno gli effetti che ci si aspetta come da proprietà del tale farmaco. Potenzialmente, qualsiasi
farmaco nuovo che si somministra ad un anziano, può causare delirium. Ovviamente ci sono farmaci a cui
stare maggiormente attenti. È stato detto precedentemente dell’ipotesi colinergica, tutti i farmaci che
hanno attività anticolinergica possono peggiorare il delirium. È per questo che succede che il medico di
guardia di notte, chiamato per un delirium ipercinetico e che non va a visitare il paziente e non ne identifica
la causa, somministra per telefono il TALOFEN ev (antipsicotico triciclico del gruppo delle fenotiazine dalla
potente attività anticolinergica) e il paziente invece che sedarsi si agita di più, il medico somministra altro
talofen, che essendo cardiotossico, manda il paziente in arresto cardiaco.
Stesso discorso vale per gli AD TRICICLICI.
La codeina quando si dà a dosaggio alto perchè c’è un paziente che ha la tosse, questa dà il delirium in circa
il 30% dei pazienti anziani.
Tra gli antibiotici bisogna fare molta attenzione hai CHINOLONICI, perchè sono epilettogeni e deliriogenici in
quanto agiscono direttamente come irritanti del SNC.
Bisogna indagare se l’anziano che ha il delirium ha da poco iniziato un nuovo farmaco, se questo si verifica
bisogna subito togliere il nuovo farmaco.
Il compito del medico è quello di capire la causa del delirium, non di sedare il paziente agitato.
Delirium post-chirurgico
Ipossia cerebrale perichirurgica
Ipotensione
Aumento di cortisolo da stress chirurgico
Uso di farmaci narcotici con attività anticolinergica
Dolore postchirurgico
Alterazioni idro-elettrolitiche
Queste sono le cause di delirium post-chirurgico. Questò è diventato più frequente dato che il numero di
anziani operati è maggiore rispetto al numero dei giovani. Chi fa un intervento chirurgico va in ipossia per la
perdita di sangue, per l’anestesia generale che fa sì che gli si riduca la pressione e tutta una serie di
parametri tali per cui arriva poco sangue al cervello. Questo avviene soprattutto per determinati interventi
chirurgici (frattura di femore, chirurgia addominale). Tra i farmaci deliriogenici era citato il cortisone, tutte
le situazioni da stress fanno aumentare il nostro cortisone ovvero il cortisolo, che quindi induce delirium.
Domanda: nella sindrome della sella vuota, se un paziente deve essere sottoposto ad intervento chirurgico,
come ci si dovrebbe comportare?
Se c’è una SDR della sella vuota non si ha davanti un paziente anziano, quindi bisogna fare tutta la terapia,
l’intervento chirurgico stando attenti nel post chirurgico al delirium. Il fatto è che in questa sindrome non ci
sono alternative terapeutiche quindi il delirium è “il male minore”.
Uno dei metodi più semplici in chirurgia per fare in modo che non venga il delirium al paziente è lasciare
vicini i famigliari. Purtroppo nei nostri reparti i famigliari vengono fatti uscire immediatamente di
conseguenza il paziente rimane da solo e si disorienta. Il paziente con frattura di femore non va lasciato da
solo perchè sicuramente farà il delirium.
Il DOLORE è una causa importantissima di delirium, ci sono dei pazienti che non sanno esprimere il loro
dolore a parole ma si agitano solamente, quindi spesso la vera terapia è l’antidolorifico.
Nel post operatorio si danno moltissimi liquidi a tutti, ma spesso ci sono degli squilibri di Na-K perchè non
vengono bilanciati bene nelle varie soluzioni somministrate. Il neurone che riceve una quota inadeguata di
Na-K va in insufficienza cerebrale acuta.
Per evitare il delirium post-chirurgico bisogna:
21. Correggere anemia
22. Evitare ipotensione
23. Evitare ipossiemia cerebrale
24. Compensare situazione emodinamica e respiratoria
25. Trattare precocemente le complicazioni:
infezioni delle vie urinarie
polmoniti
ritenzioni acute di urina
stipsi ostinata con fecalomi
L’ipotensione si evita somministrando fluidi, stando però attenti a non mandare in edema chi ha lo
scompenso cardiaco o accellerarlo in chi ha uno scompenso cardiaco latente.
Bisogna poi trattare precocemente le complicanze post chirurgiche: infezioni urinarie, polmoniti
nosocomiali, ritenzione acuta d’urina e stipsi da fecaloma. Il paziente allettato che fa un intervento
chirurgico, per definizione diventa stitico, bisogna quindi assicurarsi che vada di corpo
LE TRE D
Gli anziani possono averle tutte e tre contemporaneamente, il delirium si può poi anche associare a:
Nel delirium ipocinetico il paziente è allettato e ha frequentemente decubiti. I disturbi del sonno sono
molto importanti nel delirium ipercinetico perchè il paziente a casa non riesce più ad essere gestito dai
famigliari. Il paziente con delirium diventa incontinente, quindi viene cateterizzato. C’è poi il grandissimo
problema del caregiver, il quale non capisce il motivo per cui questo paziente a un certo punto non è più la
persona che aveva 24 ore prima, quindi è il medico che ha il compito di tranquillizzare il famigliare dicendo
che è una cosa normale nell’anziano e che una volta identificata la causa il delirium scompare.
questo è uno studio che mostra i pazienti con il delirium che
vanno incontro più facilmente a: incontinenza urinaria, cadute, piaghe da decubito e altre complicanze.
Cosa fare SEMPRE
Queste sono le cose da fare sempre in un paziente col delirium dal punto di vista diagnostico. Fare molta
attenzione al dolore, che in un paziente con delirium è molto difficile da identificare per l’impossibilità di
avere un colloquio. Si può utilizzare la scala VAS con le “faccine” che ci dice se il paziente può avere dolore
oppure no.
Il calcio, insieme al Na-K, è sempre coinvolto nei processi biochimici ed è quindi responsabile di delirium se
manca.
La TAC encefalo va considerata per l’ematoma subdurale.
Criteri clinici
Visto che il paziente è un essere BIO-PSICO-SOCIALE non si può non considerare la componente psicologica.
Ci sono dei quadri di delirium che sono dati da uno stress psicologico. Anamnesticamente si riesce trovare
una relazione causa effetto tra una delle condizioni elencate sopra e l’insorgenza di delirio.
La deprivazione sensoriale: se si pensa al paziente ospedalizzato, questo è un individuo che viene portato
via dal suo ambiente, quindi si disorienta; la luce poi in reparto difficilmente rispetta i ritmi circadiani del
paziente, spesso c’è troppo rumore, se il paziente vede poco spesso misinterpreta quello che gli capita
intorno e quindi manifesta il delirium.
la diagnosi differenziale è molto semplice in quanto il delirium è un evento ACUTO, mentre la demenza è
CRONICA.
In PS bisogna, oltre a controllare i parametri vitali, verificare il declino funzionale e mentale. La diagnosi di
delirium va fatta in PS. ( se in PS arriva un pz con deficit cognitivo, e lo si battezza come demente, questa
diagnosi compare nella diagnosi di PS e quindi questo paziente non se la “tira più via”).
Trattamento non farmacologico
do everything to make life easy for the patient.
29. Aiutare l’orientamento con grandi orologi e calendari
30. Assicurare una buona veduta dalla finestra
31. Ripetere regolarmente le informazioni
32. Massimizzare l’acuità visiva: occhiali, luce
33. Massimizzare l’acuità acustica: assicurarsi l’uso e la funzione di protesi, ridurre i rumori competitivi
34. Usare oggetti famigliari al paziente (foto che riguardano il paziente stesso)
35. Assicurare oggetti di riconoscimento adeguati per le stanze
Il trattamento non farmacologico è il più importante, bisogna fare qualsiasi cosa semplifichi la vita del
malato. Fondamentale riorientare il pz. Quando si studierà la demenza si farà la ROT( re-orientation
teraphy) che è un metodo per prevenire il declino cognitivo nel demente.
PROTOCOLLI
Questi sono due tipi di protocolli che hanno ridotto l’incidenza di delirium nei reparti in cui sono stati
utilizzati.
ORIENTATION PROTOCOL
36. Ripetere quotidianamente o meglio più volte al giorno la collocazione di luogo e di tempo in cui ci
si trova
37. Discussione di eventi correnti (lettura quotidiani, visione di fatti di attualità, ecc.)
38. Ricordi strutturati
39. Fatti che riguardano il paziente
SLEEP PROTOCOL
40. Strategie di riduzione del rumore degli spazi
41. Revisione dei tempi di medicazione e terapia
42. Riduzione dell’intervento farmacologico
43. Musica rilassante
44. Massaggio
Purtroppo quando si ha un pz agitato in reparto, qualcosa in acuto si deve fare. Il farmaco che c’è in tutte le
linee guida è l’ALOPERIDOLO (Serenase). Nascono con molta frequenza lavori in letteratura su nuovi
farmaci, ma comunque è preferito l’aloperidolo perchè ha un effetto minore sulla respirazione e sulla
pressione, quindi in acuto è più gestibile rispetto ad altri farmaci. Ricordarsi il concetto “start low and go
slow”, si parte con una dose di 2mg. L’emivita è molto lunga per cui può rimanere un effetto sedativo
strascico abbastanza importante. Peggiora gli effetti extrapiramidali nei pazienti con Parkinson. Bisogna
stare attenti alla sedazione prolungata per problemi di ab ingestis e di ulcere da decubito ( arrossamento
che persiste da più di 2 ore è già una piaga da decubito al 1°).
ALTRI FARMACI: tutto il gruppo dei farmaci antipsicotici atipici( risperidone, olanzapina, quetiapina); BDZ a
breve emivita lorazepam e alprazolam; trazodone (trittico) farmaco che nasce come anti depressivo
quadriciclico ma che ha anche un effetto sedativo blando andando a ridurre il delirium senza dare sedazioni
prolungate.
Questa è una review uscita da poco che è sulle linee guida NICE secondo cui il grande problema è il paziente
con demenza e delirium. In questo caso va bene qualsiasi cosa funzioni però va dato a basse dosi e per
periodi di tempo standard, se no diventa una contenzione farmacologica non giustificata.
Se si guarda il foglietto del risperidone,olanzapina e quetiapina non c’è indicazione a usarli per l’agitazione
psicomotoria, sono farmaci off label, li si utilizzano perchè nella pratica clinica si è visto che funzionano.
Fondamentale tutte le volte che si prescrive un farmaco, scrivere in cartella il proprio ragionamento clinico.
Ricordare che l’aloperidolo allunga il QT.
Un uomo adulto contiene circa 4-5 grammi di ferro, distribuito in diversi compartimenti.
- il 70% nei globuli rossi legato all'emoglobina
- il 10% nella mioglobina (che fissa l'ossigeno all'interno dei muscoli), nei citocromi (gli enzimi che
permettono la respirazione cellulare) e in altri enzimi contenenti ferro
- il 10-20% nella ferritina
- 0,1-0,2% è trasportato in circolo legato alla transferrina.
Ogni giorno l'uomo perde circa 1 milligrammo di ferro con la desquamazione delle vecchie cellule che
rivestono la pelle o l'intestino. Nella donna in età fertile, le perdite mestruali possono raddoppiare o anche
triplicare questa quota. La piccola quota di ferro che giornalmente viene perduta deve essere ricostituita
per mantenere l'equilibrio
Nel corso degli anni sono state studiate tutte le patologie correlate al ferro:
- 1500: CLOROSI o MORBO DELLE VERGINI (da carenza di ferro): era presente in giovani donne =
anemia ipocromica da mestruazioni; ci vollero circa 200 anni per capire che il ferro o estratti di ferri
potevano correggere questo problema.
Nel 1700 arrivò la terapia con pillole di solfato di ferro (ancor oggi utilizzate). Nel 1800 un medico internista
molto capace “Trusseau” pensò che fosse una malattia da isteriche quindi legate ad una patologia
psichiatrica.
- 1860: lo stesso medico presentò per la prima volta,durante una lezione, il caso di un ragazzo di 28
anni con pelle bronzea e fegato indurito;lo definì “diabete bronzino”.
Questa sindrome, dopo 20 anni,fù chiamata “emocromatosi” dall’anatomo patologo von Recklinghausen(lo
stesso della Neurofibromatosi) che su reperti autoptici notò come gli organi di questi soggetti fossero scuri
e pensò che la causa fosse l’eme che “cromatos =colorava” i tessuti. L’idea era sbagliata ma il nome è
rimasto.
ACQUISITE
- emodialisi
- Politrasfusioni
- Consuetudine alcolica
- Epatite virale cronica ed altre epatopatie(NASH = patologia da grasso): in queste patologie il ferro
si accumula solo nel fegato
- Parkinson e Alzheimer : ferro che si accumula nei nuclei della base
Nel corso della storia,il ferro è sempre stato fondamentale per la vita anche perché è l’unico che può
esistere in forma bi e trivalente.
FUNZIONI:
- permette alle attività enzimatiche di funzionare,fa da biocatalizzatore
- lega l’O 2 sull’Hb e quindi per la respirazione dei mitocondri
- serve per il collagene
- serve per la formazione del DNA
Ps: infatti ci sono sempre 4 gr di ferro presenti nel nostro corpo.
ERA PALEOLITICA: l’unico modo per poter mangiare era cacciare,quindi il ferro che entrava era il ferro
eminico della carne rossa; questo eme si trova solo negli alimenti di origine animale, in particolare nella
carne, in quanto presente nelle emoproteine muscolari .Viene assorbito più facilmente rispetto al ferro non
eme, ma è presente in quantità minore.
ERA NEOLITICA: c’è stato un cambiamento nell’alimentazione:si è passati ai vegetali e sono iniziati i primi
problemi perché il ferro andava estratto. Quest'ultimo è detto anche ferro inorganico o ferro sale e può
essere presente o sotto forma di ione ferroso (ione Fe 2+, bivalente), o sotto forma di ione ferrico (ione Fe 3+,
trivalente), i quali sono solubili rispettivamente a pH 7 e a pH minore di 3.
Le patologie genetiche ,come l’emocromatosi,sono insorte proprio in questo periodo perché davano un
vantaggio selettivo in quanto favorivano l’assorbimento e quindi erano molto sviluppate.
APPROFONDIMENTO SULL’ASSORBIMENTO
Gli alimenti ricchi di ferro vengono attaccati all'interno dello stomaco dai succhi gastrici, che facilitano la
dissociazione degli ioni del ferro dal resto del cibo (dissociazione che è peraltro favorita dalla cottura).
Con l'aiuto dell'acido ascorbico(Vit. C), tali ioni vengono subito ridotti a ioni ferrosi Fe 2+; è per questa
ragione che per assorbire meglio il ferro presente nei vegetali è consigliabile il consumo contemporaneo di
alimenti ricchi di vitamina C. Non tutti i composti possono essere dissociati dal ferro che contengono e
questa porzione del ferro alimentare, di cui costituisce la maggior parte, non viene assorbita.
Il ferro viene assorbito principalmente nell'intestino, in particolare nel duodeno. Gli enterociti sono in grado
di assorbire il ferro eme direttamente, in quanto l'intera molecola che lo contiene può attraversare la
membrana dell'enterocita (per poi rilasciare il ferro sotto forma di ione trivalente, in particolare dividendosi
in protoporfirina IX e Fe3+ libero). Al contrario, il ferro non eme può essere assorbito solo dopo essere stato
separato dalla molecola originaria e legato ad altre molecole, come zucchero o vit. C.
L'organismo è in grado di assorbire il ferro non eme bivalente(e non quello trivalente) la cui formazione è
favorita dal carattere basico dell'ambiente duodenale, dovuto ai succhi pancreatici. Di conseguenza, il ferro
trivalente, per essere assorbito, deve prima essere ridotto nella forma bivalente.
La riduzione può avvenire nello stomaco, favorita dall'acidità dovuta alla presenza dei succhi gastrici, o
nell'intestino, in cui viene ridotto dal citocromo duodenale B (o anche DCYTB), presente sul dominio apicale
delle cellule duodenali. Dopo la riduzione, un trasportatore di metalli divalenti (DMT-1) ne consente
l'ingresso nella cellula intestinale tramite un simporto Fe2+/H+.
L'assorbimento a livello della mucosa è influenzato dalla concentrazione di ferro già presente
nell'organismo: una carenza di ferro porta ad un aumentato assorbimento intestinale, mentre un
sovraccarico di ferro porta ad una diminuzione dell'assorbimento. Infatti:
- se vi è carenza di ferro, la sintesi di apoferritina è bassa, la proteina lega pochi atomi di ferro, e di
conseguenza quest'ultimo è libero di circolare nel sangue, legato alla propria proteina di trasporto
(la transferrina, oppure, nei granulociti, la lattoferrina);
- se vi è un sovraccarico di ferro nell'organismo, c'è una grande sintesi di apoferritina (che,
nell'epitelio intestinale può legare sino a 4.500 atomi di ferro, anche se normalmente si trova legata
a circa tremila atomi), impedendo, in questo modo, la circolazione di ferro libero nel sangue, dove
si potrebbe legare ad altre proteine inattivandole o provocandone disfunzioni.
Un altro meccanismo di regolazione avviene attraverso la mobilferrina: quest'ultima, se c'è carenza di ferro,
lo trasporta sino alla membrana basale dell'epitelio, ma, in condizioni di sovraccarico, lo lega alla ferritina.
Giunto presso la membrana basale, il ferro è trasportato nei capillari sanguigni dal complesso efestina-
ferroportina 1 che lo lega alla transferrina (la quale ha proprio il compito di trasportare il ferro nel sangue
Normalmente:
Transferrina:la proteina che trasporta il ferro all'interno dell'organismo, dai distretti in cui il ferro viene
assorbito (intestino) a quelli che lo utilizzano (in particolare il midollo osseo, dove vengono prodotti i globuli
rossi) o agli organi di deposito (in particolare il fegato).
In caso di necessità, il ferro dagli organi di deposito viene ceduto alla transferrina che provvede al suo
trasporto ai diversi tessuti.
Ogni molecola di transferrina può legare al massimo due atomi di ferro. La misurazione della saturazione
della transferrina è un esame molto importante per stabilire lo stato del ferro di un individuo. Infatti se
inferiore al 18% è indice di uno stato ferro-carenziale e se superiore al 50% è indice di un sovraccarico di
ferro e il ferro va dentro agli organi parenchimatosi come fegato,cuore,gonadi ,pancreas.
Il valore normale è del 30%.
IPERFERRITINEMIA
APPROFONDIMENTO:
Ferritina: è una proteina globulare che si trova principalmente nel fegato, nella milza, nel midollo osseo e
nei tessuti scheletrici e che può contenere fino a circa 4.500 ioni di ferro (in stato di ossidazione Fe 3+)
svolgendo quindi la funzione di deposito.
L'importanza di questa funzione è indicata dal fatto che la ferritina è presente in ogni forma vivente, dai
microrganismi all'uomo ed in tutte le cellule. La ferritina è come un guscio in grado di contenere fino a 4500
atomi di ferro e può prendere o cedere il ferro a seconda delle esigenze. La ferritina è anche presente nel
sangue in quantità proporzionali al ferro depositato ed è misurabile attraverso un esame specifico
eseguibile routinariamente..
Le subunità che compongono la struttura hanno un peso molecolare di 19 KDa (catena leggera L) e 21 KDa
(catena pesante H).
Il rapporto tra quantità di catene H e L varia a seconda del tessuto di provenienza della ferritina. La
preponderanza di catene leggere L è tipica delle macromolecole con ampia funzione di deposito mentre
quelle con preponderanza di catene H presentano una maggiore capacità di tamponamento dei radicali
liberi citoplasmatici con conseguente limitazione del danno intracellulare. La ferritina può essere glicosilata
prima di essere rilasciata in circolo (GF).
Generalmente la quota glicosilata è presente in circolo in una percentuale che oscilla tra il 50 e l'80
percento.I valori normali nell’uomo vanno da 20 a 300 ng/ml, mentre nella donna da 12 a 150 ng/ml. Un
incremento della ferritina sierica si può verificare anche nel corso di malattie infettive, processi
infiammatori acuti e cronici, neoplasie, abuso di alcool, necrosi epatocellulare.
Bassi livelli di ferritina (< 20 mcg/L) nel sangue indicano l'assenza di ferro nei depositi, condizione che
precede lo sviluppo dell'anemia.
Alti livelli di ferritina (> 200 mcg/L nella donna, > 300 mcg/L nell'uomo) indicano la possibile esistenza di un
sovraccarico di ferro
Quinidi la ferritina:
- Ferritina sierica e ferritina tissutale
- Proteina di deposito del ferro (H e L)
- Sintesi della ferritina risponde a stimoli infiammatori
- Ferritina sierica indice di depositi di ferro ma non solo…
I valori di ferritina variano moltissimo, sono influenzati dal sesso, dall’età (le donne in età fertile hanno un
valore più basso delle donne in menopausa), l’anziano comunque ha più ferritina del giovane, il giovane in
accrescimento tende a consumare più ferro e quindi avrà una ferritina più bassa. Quindi il sesso e l’età sono
degli indici importanti.
Dal punto di vista biochimico esistono varie ferritine (cardiache, epatiche), quella che misuriamo in circolo,
la siero ferritina, è una roba ancora diversa; oggi non è totalmente chiaro chi produca questo tipo di
proteina, se il macrofaco o la cellula parenchimale ed è comunque diventato un indice comune nella
diagnostica routinaria in tante patologie.
Come concetto storico, avere la ferritina alta significava avere il ferro alto, la ferritina bassa, il ferro basso
nei depositi, perché la ferritina esprime il ferro depositato nei tessuti.
In realtà questo accade in pochi casi, la ferritina è una proteina della fase acuta, come il fibrinogeno, la
PCR…quindi è sottoposta a regolazioni anche aspecifiche legate a processi infiammatori, neoplastici, è
purtroppo molto capricciosa.
La ferritina bassa è molto più fedele come indice di deposito di ferro indica poco ferro, valori di ferritina
alta sono molto più difficili da interpretare.
La ferritina non indica solo il deposito di ferro.
CAUSE EREDITARIE
Legate a problemi nel metabolismo del ferro:
- emocromatosi(da accumulo di ferro)
- anemie ereditarie da sovraccarico di ferro, le talassemie o altre patologie ematologiche
- iperferritinemia familiare: altra forme rarissima.
Questo è il capitolo delle forme ereditarie e va sempre chiesto al paziente se in casa ha solo lui questo dato
o anche altri componenti del nucleo familiarequesto mi permette di inquadrare se c’è una familiarità o
meno.
La maggior parte di queste patologie è autosomica recessiva, cioè difficilmente beccherete un altro
paziente affetto tra genitori o figli, più frequentemente sono fratelli o sorelle. Nelle patologie dominanti in
genere si riscontrano casi in tutte le generazioni.
- Sindromi metaboliche quadro molto frequente. La ferritine mia elevata è sovente in rapporto o
alla steatosi epatica o ad un diabete non compensato, anche se il link tra questi fenomeni non è
ancora stato ben capito.
- Infiammazioni croniche ci sarà ferritina alta e Ves alta.
- Neoplasie non solo quelle ematiche ma anche altre neoplasie possono dare l’aumento della
ferritina.
Bisogna dosare il ferro circolante, cioè la sideremia, e la transferrina, dividere l’uno per l’altro, moltiplicare
per 100 e avremo la saturazione. Il valore che viene fuori indica quanto ferro gira nel sangue, persone
normali hanno valori < 30-40%, dipende dall’età.
Diapo 7 ( non sono riuscita a copiarla)
Qui son stati messi dei valori soglia un po’ più alti perché si parla di popolazioni che possono avere anche
un problema clinico. La prima domanda da porsi è :ma il sangue ha più ferro dentro o non ha tanto ferro
dentro? Ad esempio non c’è emocromatosi che non abbia ferro in circolo prima di averlo nei tessuti.
Nell’emocromatosi non ci può essere la ferritina alta e la sideremia normale, il ferro viene dal sangue,
quindi prima deve aumentare lì e poi andrà sui tessuti.
Quindi la cosa più importante è fare una valutazione della saturazione della transferrina. In base alla tabella
di prima, dovete escludere questo tipo di problematiche: malattie infiammatorie in primis, neoplasie,
sindrome metabolica,malattie del sangue (ovviamente il ferro è centrale nell’emoglobina, nel globulo rosso
e se c’è qualcosa che non va si vede). Bisogna tenere in mente questo schema quando abbiamo di fronte un
paziente, naturalmente la clinica è sempre diversa dalla regola, però in percentuale questo schema ci da un
buon aiuto.
Anamnesi fisiologica
- Nato a termine, parto eutocico
- Sviluppo psicofisico nella norma
- Ha svolto il servizio di leva
- Buon mangiatore; beve vino ai pasti (1-2bicchieri/pasto); non fuma
- Ritmo sonnoveglia conservato
Esame obiettivo
- Facies composita
- Mucose normoirrorate
- Annessi cutanei secondo sesso ed età
- Lieve epatomegalia; milza nei limiti di norma
- Cuore: toni puri, pause libere
- Torace: modesti crepitii basali a dx
Al di là della lieve epatomegalia non ha nulla di rilievo ed è un diabetico.
Sono quindi ottime le sintesi epatiche: albumina 4,4 g/dl; transaminasi mosse; TG 450 mg/ml, Ch (290
mg/ml) al limite alto, quindi è un po’ dismetabolico.
La ferritina non può essere legata a questi valori perché è troppo alta, di solito in un dismetabolico non è
così alta, viaggiano sui 600-700.
Abbiamo un ferro basso soprattutto in relazione al fatto che è un uomo ed è giovane(nella donna lo trovate
spesso basso).
Il nostro paziente è poco saturato perché ha il ferro basso; il valore della transferrina come tale è molto
influenzato da due elementi:
1. Lo stato di nutrizione la transferrina è molto sensibile allo stato di nutrizione dell’individuo, è
influenzata dal cibo
2. Se un soggetto è fortemente anemico, è compensato, e trascrive di più, cioè aumenta. Nelle
anemie importanti tende ad essere più alto del normale.
Guardando questi dati si potrebbe pensare subito ad una Talassemia (per il MCV);non potrebbe essere
compatibile con una perdita di ferro cronica perché la ferritina è alta. A causa del ridotto volume globulare
pensiamo ad una anemia microcitica, il discorso della carenza è più limitato alla ferritina alta che alla
sideremia.
Questo quadro ci potrebbe stare con un’anemia da malattia cronica:c’è la sideremia bassa,la ferritina molto
alta e si stava tendendo all’anemia.
Chiaramente c’era in più il dato del MCV che indirizza fortemente verso un trait talassemico o comunque
una situazione microcitemica. Per farla breve,il pz aveva fatto sulla base del volume globulare, una analisi
delle catene globiniche ed una analisi genica ed era venuta fuori una delezione a livello della regione del
gene delta, ed aveva una Δ/β talassemia a bassa espressività. Il paziente proveniva anche da una zona
interessante, dalla Calabria.
ANEMIE MICROCITICHE : DIAGNOSI DIFFERENZIALE
SIDEREMIA
FERRITINA
TALASSEMIA
Definition
- The thalassaemias comprise a heterogeneous group of disorders of haemoglobin production
Normal haemoglobin production partially or completely suppressed due to defective synthesis of 1 or more
components of the globin chains
- Depending on the involved genes, the defect is classified as β-thalassaemia or α-thalassaemia)
- Under normal conditions, the red cells of the adult human contain approximately 98% HbA, traces
of HbF, and 2.0% HbA2
La talassemia è eterogenea, è dovuta ad un difetto delle catene globiniche , dipende dal gene coinvolto, c’è
l’α talassemia o la β talassemia. Il 98% della emoglobina che abbiamo normalmente è HbA, abbiamo delle
piccole tracce di fetale, che aumentano in caso di disordini talassemici, la HbA2 è circa il 2%.
L’elettroforesi dell’emoglobina aiuta molto nella diagnostica, perché ad esempio l’aumento dell’HbA2 del
7% è tipico del paziente col trait talassemico, cioè che è eterozigote per la mutazione della talassemia.
Il talassemico grave è di certe zone, e si riconosce ad occhio, i pazienti portatori sono davvero tanti ora,
specie con le immigrazioni anche dall’Asia che hanno tutte emoglobinopatie particolari comprese le alfa e
beta. Il test dell’elettroforesi dell’emoglobina lo hanno tutti i laboratori e va tenuto in mente.
Guardando alle catene β, ci sono vari tipi di delezione(tutto il gene, o altro); si può avere un fenotipo
diverso, dipende da che gene e quanto è compromessa la produzione di queste catene beta.
Si riconoscono due forme:
Molecular Basis
- Patients with β-thalassaemia major have inherited two β-thalassaemia alleles
- Located on each copy of chromosome 11
- Hypochromic, abnormally shaped red blood cells
- Contain significantly reduced amounts of haemoglobin than normal blood cells because of
diminished HbA synthesis
- Deposition of precipitated aggregates of free α-globin chains results in accumulation
- Damages erythrocytes, precursor cells in bone marrow
- Resulting anaemia so severe that patients usually require chronic blood transfusions
Dal punto di vista molecolare l’anomala composizione dell’Hb fa si che le catene alfa aumentino troppo e
precipitano,determinando una distruzione dei globuli rossi. In questo modo c’è sia anemia ipocromica con
alterazione anche della forma dei globuli rossi,sia accumulo di ferro dovuto alla rottura del GR.
Paradossalmente ,questi malati ammalano non per l’anemia ma per il ferro derivante dalle trasfusioni e
tutte la patologie sono legate all’accumulo di ferro(ma d’altro canto le trasfusioni sono necessarie per
sistemare la situazione midollare):cuore,fegati,ipogonadismo ecc.. come l’emocromatosi.
La differenza sta nel fatto che nell’emocromatosi è alterato l’assorbimento dalla nascita,mentre nelle
talassemie il problema è il sovraccarico di ferro da trasfusione.
I segni clinici della Thalassaemia Major:
Emergono intorno al 6° mese–2° anno(Infants protected by prenatal HbF production)
- Pallore
- Irritabilità
- ritardo nella crescita
- epato e spleno megalia per il tentativo del midollo di sopperire (eritropoiesi inefficace)
- cute scura: bronzini a causa del ferro dalle trasfusioni
- alterazioni del cranio:il midollo osseo va “a mille” per cercare di compensare
- -ittero dovuto anche al problema dell’emolisi.
Se non sono trattati la sopravvivenza è bassissima, sotto i 4 anni. Tipicamente, poiché hanno queste sedi di
eritropoiesi che risultano comunque inefficaci, hanno le ossa della teca cranica sovra espanse, facies tipica ,
che si riconosce anche sui trait. I trait talassemici hanno questo aspetto mongolico con protrusione degli
zigomi, della fronte e delle espansioni craniali delle ossa piatte che cercano di produrre più globuli rossi.
FORMA INTERMEDIA
La forma intermedia è più capricciosa, può essere totalmente asintomatica o severissima, questo dipende
dal tipo di difetto genico che c’è a monte. Le manifestazioni cliniche sono più severe nella forma Major
rispetto alla forma intermedia, le emoglobine sono diversamente rappresentate quella A2 è molto più
bassa nella forma grave e più alta in quella intermedia.
EPIDEMIOLOGIA
- Approximately 7% of the world’s population is a carrier of haemoglobin disorders1
- Between 300,000 and 500,000 infants are born every year with severe homozygous forms of the
disease1
- An overview of the global distribution of thalassaemias shows that in addition to the
Mediterranean countries in which they were first recognized, thalassaemias are frequently found in
Asia and the Far East2
- Population migration has led to spread of this condition with its morbidity and mortality2
È molto importante, si presenta più spesso in alcune aree anche se oggi con l’immigrazione le cose sono un
po’ cambiate.
Si continua ad avere un alto numero di nascite di pazienti con questo problema, per l’ignoranza e per la
scarsa profilassi che si fa soprattutto in zone endemiche.
L’area che interessa di più è l’Asia, il Middle East, il Far East e la zona del Mediterraneo è una zona legata
alle popolazioni fenicie che hanno portato in giro il gene talassemico mutato tanti secoli fa. Con le
immigrazioni si sta spostando, a livello globale del mondo questa linea rossa è quella dove va la beta
talassemia, il Cooley dal mediterraneo all’Asia. Poi ci sono altre forme più rare con mutazioni molto
diverse.
In Italia è frequente nella zona del ferrarese per le immigrazioni dalla Magna Grecia dei mercanti, in
Sardegna la prevalenza è altissima, poi tutta la zona del Sud Italia e della Sicilia. Le mutazioni sono più di
200, tipicamente in Sardegna il 70% dei pazienti ha sempre quella mutazione ( si è spostata da unici
progenitori), nelle altre parti è un po’ diverso. Il test genetico per questo motivo aiuta poco perché ci sono
troppe mutazioni, spesso si usa la clinica per fare la diagnosi.
A Modena il prof segue 50 persone con Cooley:prima dell’avvento dei chelanti,questi pz non arrivano a 20
anni a causa della cardiopatia da ferro.
COMPLICANZE
M. Cooley:tutte dovuta al sovraccarico di ferro
- problemi cardiaci
- Infezioni (blood transfusion, postsplenectomy)
- l’ipogonadismo, l’infertilità
- diabete mellito
- Ipotiroidismo
Iron Overload
1 unit of blood contains approximately 200–250 mg of iron1
Chronic transfusion-dependent patients have an iron excess of ~ 0.32–0.64 mg/kg/d2
With repeated infusions, iron accumulates
Signs of iron overload can be seen after anywhere from 10 to 20 transfusions, such as in thalassaemia
major patients2
Iron overload can lead to early mortality2
Ad ogni trasfusione che uno fa mette dentro 250 mg di ferro in un colpo, in genere noi ne assorbiamo 1-2
mg al giorno, quindi una quantità importante di ferro che entra. Vediamo casi anche di dopaggio da
trasfusione in soggetti che fanno sport e che usano emotrasfusione in modo eccessivo o il ferro. Il prof ha
avuto casi di cirrosi in pazienti che facevano sport.
L’anemia stimola l’intestino ad assorbire ferro, quindi paradossalmente c’è anche questo. Tendono ad
assorbire 2-4 mg in più al giorno per l’anemia e in più c’è quello dato dalla trasfusione.
TRATTAMENTO
β-Thalassaemia Major
- Il gold standard è:trasfusioni + chelanti
- Trapianto di midollo (BMT)
- HbF-inducing therapy
- Gene therapy—the future
Oggi si stanno cercando di combinare, tipo dare le pillole tutti i giorni di deferiprone e fare la pompa il
weekend; oppure altri schemi. È stato visto che la combinazione di questi farmaci riduce i problemi cardiaci
che sono quelli più gravi, quasi tutti i paz muoiono di insufficienza cardiaca e per cirrosi; l’ipogonadismo è
un problema ma la mortalità è legata alla miocardiopatia.
Le varie combinazioni oggi c’è il DEFERASIROX, un beverone che è preso una volta al giorno.
Questi farmaci sono interessanti perché problemi di sovraccarico di ferro si hanno non solo in queste
patologie gravi, ma anche in altre condizioni, alcolismo, epatiti virali. In futuro rimuovere il ferro dal fegato
sarà una strategia comune a tanti trattamenti.
Questa cosa ha cambiato la sopravvivenza e le complicanze:
- L’ipogonadismo è passato dal 64% al 14%
- Il diabete dal 15% allo 0,8%
- L’ipotiroidismo dal 16% al 4%
- La morte a 20 anni dal 5% all’1%
La forma Minor non manifesta la malattia, in genere si riconoscono questi paz o per una lievissima
bilirubina elevata indiretta ( quindi una lievissima emolisi) o perché hanno questo aspetto e tendono ad
avere un volume globulare sui 70 (hanno una lieve anemia che non richiede trasfusione). In genere la
intermedia ha una anemia tale da non richiedere trasfusioni e tendono ad avere una ferritina anomala, sui
500-600 perché hanno una emolisi sottostante.
Torniamo al nostro paziente, a cui hanno trovato una forma di talassemia β con un tipo di difetto Δ/β ed è
venuto da noi con questa diagnosi. La mutazione può spiegare tutti i vari aspetti che abbiamo visto?
Il paziente ha 12 g/dl di Hb, e non ha mai richiesto una trasfusione :come fa ad avere 2000 di ferritina
costante? O ha un tumore da qualche parte o sennò non è spiegabile con una talassemia senza trasfusioni(il
ferro alto e quindi la ferritina alta,gli verrebbe se fosse politrasfuso a causa della talassemia) . Se guardiamo
la clinica, l’ anemia è poca o assente come la splenomegalia i talassemici sintomatici sono splenomegalici,
o hanno delle anomalie a livello del midollo nel nostro pz la biopsia midollare è normale. Non ha
problemi cardiaci e non ha neanche accumulo cardiaco ( una risonanza a livello cardiaco non ha mostrato
alcun accumulo di ferro).
Quindi la ferritina così alta non viene giustificata dalla talassemia. Allora questa ferritina..esprime o no
ferro??
Per capirlo valutiamo:
- saturazione della trasferrina:in chi ha molto ferro dovrebbe essere alta,mentre in questo pz non lo
è.
- biopsia epatica
- RMN:perché il ferro è paramagnetico e nelle sequenze T2 gli organi pieni di ferro diventano neri
Anche il diabete non c’entra nulla, se è talassemico e non è trasfuso perché dovrebbe fare un diabete a 25
anni? Potrebbe avere una forte familiarità dal momento che anche suo fratello è diabetico.
Dal punto di vista biochimico abbiamo la ferritinemia e la saturazione della transferrina, ma ci possono
essere casi in cui c’è tanto ferro nei tessuti anche se la saturazione è normale. Bisogna allora andare sulle
Risonanza magnetica, poiché il ferro è paramagnetico, quando si accumula nei parenchimi è visibile perché
l’organo diventa nero ( si vedono bene nelle sequenze T2).
Alcune immagini: un fegato normale e un fegato in cui aumenta la quantità di ferro:appare nero per
sovraccarico. Questo è un quadro tipico dell’ emocromatosi perché in questo caso il ferro è solo dentro alle
cellule parenchimale(negli epatociti) e non nei macrofagi.
Il talassemico,invece,ha il GR che viengono distrutti nei macrofagi e il ferro sta lì, in più lo trasfondiamo noi
e aumentiamo la quota di GR e ferro che va dentro ai macrofagi tutti gli organi appaiono sovraccarichi di
ferro e quindi neri:il fegato,la milza per l’emolisi e il midollo appaiono neri.
L’emocromatosico,invece,riceve il ferro dalla trasferrina satura e lo mette SOLO negli epatociti. Il nostro
paziente infatti ha solo il fegato nero. Lui quindi ha tutto dell’emocromatosi tranne la saturazione bassa
della trasferrina. (ogni persona è fatta a suo modo!)
Biopsia epatica, oggi si fa eco-guidata, una volta con la percussione si andava a cercare il punto di massima
ottusità e si entrava con l’ago.
Bisogna sempre valutare se è necessario fare una biopsia o no(perché si rischia comunque l’emoperitoneo),
nel nostro caso forse non lo era perché già la risonanza aveva mostrato bene il quadro; tuttavia il paz aveva
le transaminasi alterate, quindi un problema epatico e non abbiamo capito di che entità.
La biopsia può avere un valore diagnostico se serve solo per la diagnosi o anche prognostico se si vuole
capire che malattia c’è sotto e a che punto è la malattia. In realtà nel nostro paziente ha sia un valore
diagnostico perché non ho ancora capito che malattia ha, ma anche prognostico perché il paziente è un
ipertransaminasemico.
L’altra cosa che non dice la risonanza è che questo nero voi lo vedete dappertutto, ma il fegato ha tanti tipi
cellulari e in base a dove va il ferro si può capire di che malattia si tratta.
La Presenza di ferro nel tessuto epatico è dimostrabile con la colorazione specifica di Perls
permette di differenziare:
- Emocromatosi genetica
- Emocromatosi secondaria (talassemia, emolisi, trasfusioni, porfiria cutanea tarda, ecc.)
Ad esempio nella Siderosi (presenza di ferro nel fegato) si fa la colorazione di Perls. Perls era un
anatomopatologo tedesco vissuto a fine ottocento che usò questa tecnica per vedere il ferro dentro i
tessuti; il ferro si vede in Blu, si chiama Blu di Prussia .
Le forme ereditarie che si chiamano emocromatosi hanno il ferro solo dentro agli epatociti, invece nelle
forme secondarie a emolisi o a trasfusione( come la talassemia), poiché il ferro viene dato dall’esterno,
viene prima preso dai macrofagi, cioè dalle cellule di Kupffer. Questo aspetto è molto importante quando si
fa una biopsia epatica perché permette di distinguere un paz che fa delle trasfusioni da uno che ha
l’emocromatosi.
Nell’emocromatosi il ferro entra quasi tutto negli epatociti, tipicamente nella forma HFE il ferro non solo
va negli epatociti, ma anche nelle zone periportali, perché arriva dall’intestino, dalla vena porta va al
centro di queste aree e si vede la vena centrale libera dal ferro ( gli epatociti sono rosa), mentre nelle zone
periportali c’è il ferro. Nell’emocromatosi non si vedono mai le Kupffer nere.
Nella beta-talassemia avanzata il ferro è abbondante nei macrofagi e negli epatociti di soggetti trasfusi
tutta la vita, quindi è un quadro misto.
Nel fegato si può poi colorare il collagene con il rosso ( silur-red?) per vedere se c’è fibrosi; il lato estremo
della fibrosi è la cirrosi con la presenza di setti( i noduli della cirrosi). Un’altra colorazione è quella di
Masson.
Il prof mostra il frustolo bioptico del paziente non è cirrotico, ha un quadro con zone periportali un po’
espanse, c’è un po’ di fibrosi, gli epatociti sono pieni di una roba gialla che prima di Perls si chiamava
Lipofuscina, dopo che Perls mise su la colorazione diventò questo.
Il paz ha ferro dappertutto, ma solo negli epatociti( questo no è compatibile con la talassemia). La quantità
di ferro ( prendendo il pezzo di fegato e misurando il ferro con l’assorbimento atomico),che di norma è
sotto i 50, nel nostro caso è 11000 microgrammi/grammo di peso secco.
A questo punto dobbiamo pensare a qualcos’altro perché la talassemia a cui era stato attribuito tutto non
c’entra nulla. Una forma importante è l’emocromatosi HFE.
EMOCROMATOSI
SEGNI:
- cute bronzina per la presenza eccessiva di ferro
- epatopatia
- artropatie
- cardiopatie
Triade:cirrosi,cute scura e diabete descritta da Trosseau!
Quando uno sospetta questa patologia (di solito perché trova un’alta saturazione della trasferrina) va a
cercare il gene HFE.
La forma più comune di emocromatosi al mondo(85%), è legata ad una mutazione singola di questo gene e
quindi della proteina che ne deriva (mostra la figura in cui si vede la proteina legata alla β2-microglobulina
che serve per portare in membrana tutte le proteine dell’HLA) . Si tratta di una proteina del sistema HLA .
Questo malattia è insorta tra 2500 e 1700 anni fa nel Nord Europa (zona celtica) da un singolo individuo.
Probabilmente dava un vantaggio soprattutto alle madri che avevano questa mutazione perché,soprattutto
in momenti di carestia, queste donne assorbivano più ferro dalla dieta e riuscivano a portare avanti le
gravidanze.
È una mutazione frequentissima, allo stato di eterozigosi, cioè un solo allele senza malattia, è molto
frequente; a Modena un soggetto su 33 ha questa mutazione. Lo stato omozigote è più raro, è più
frequente nel nord Europa (Irlanda, Normandia) e 1 su 10 sono portatori.(che non dà problemi perché è
una malattia AUTOSOMICA RECESSIVA). Inoltre su 10 omozigoti,solo 2 fanno la malattia,ma non si sa il
perché.
La mutazione principale di questa proteina è la H63D, oggi si può fare un test genetico, il paziente l’ha fatto
e non ha la mutazione principale, ma una mutazione secondaria che non ha alcun significato clinico in
eterozigosi
Quindi questo gene non c’entra, ma l’avevamo già escluso prima perché era strano che la saturazione della
transferrina fosse bassa, non alta come è in questi pazienti. Quindi c’è basso ferro in circolo ma alto ferro
nei tessuti.
Quando è alta la saturazione si fa il gene, se il gene è mutato si va avanti e si fa la diagnosi, se il gene non è
mutato ma la biopsia epatica è positiva,bisogna pensare a geni più rari associati a emocromatosi ,forme più
rare non HFE, molto meno conosciuti.
TERAPIA
Cosa si fa in caso di sovraccarico di ferro?
La terapia principe per togliere ferro nell’emocromatosico è il salasso, è una donazione di sangue
terapeutica, forzata.
Facendo un salasso posso eliminare 250 mg di ferro, normalmente si perdono 1-2 mg, con il mestruo
qualche mg in più, ma la quantità è molto bassa rispetto a quella del salasso. Il tipico paz con emocromatosi
fa salassi per tutta la vita, all’inizio sono molto frequenti (500ml, 450ml), poi quando la ferritina scende
sotto un livello soglia di 50mg ci si ferma.
All’inizio si fanno quindi 2 salassi a settimana per 4 mesi, poi si riducono fino a farne, nella fase di
mantenimento, 1 o 2 all’anno per tutta la vita. Le donne emocromatosiche fino alla menopausa sono
protette, dopo la menopausa cominciano i salassi perché si auto salassano una volta al mese e le gravidanze
comportano una perdita di ferro.
Il salasso è la prima terapia, ma nel nostro paz è stato un problema perché mal tollerava il salasso da 500
(perché aveva solo 12 di Hb a differenza degli emocromatosici che di solito hanno 1-16 e sono anche un po’
poliglobulici) quindi si facevano più bassi e c’è voluto più tempo.
NB:tutte questa scoperte però,non hanno ancora portato a progressi nella terapia..si fanno ancora i salassi!
Il prof crede che tra 10-15 anni si potrà usare questo ormone (epcidina):
- nelle anemie croniche: va abbassato
- nell’emocromatosi: va alzato
Il nostro paz sta facendo il deferiprone, non ha problemi di agranulocitosi, l’unico problema è che deve
prenderne diverse durante tutto il giorno; aveva iniziato la pompa ma ha avuto reazioni allergiche locali e
ha dovuto smettere e con il deferiprone sta andando giù il ferro epatico in modo abbastanza significativo.
Non si è mai anemizzato , ai controlli valutiamo emoglobina, piastrine e leucociti perché l’uno è l’effetto
collaterale del deferiprone, dall’altro lato non possiamo togliere troppo ferro altrimenti il paz si anemizza
ancora di più.
L’unica vera complicanza clinica in questi paz è che sviluppino un cancro del fegato. Il paz ha avuto ferro
alto nel fegato per anni, non è cirrotico, ma tutto quel ferro può portare alla carcinogenesi anche senza
passare dalla cirrosi epatica; ogni 6 mesi fa l’ecografia e l’alfa-fetoproteina.
Questo paz proveniva da Riace..da qui..il bronzo di Riace!!!, aveva una cute bronzina, tipica di chi fa
trasfusioni da tutta la vita o che ha qualcos’altro.
La lezione è molto simile a quella dell'anno precedente. Varia solo per alcun informazioni (in corsivo) e in
alcune cose per l'ordine seguito.
Nell'invecchiamento è normale perdere la memoria? Sì, anche il cervello invecchia perdendo parte delle
sue funzioni cognitive. Quindi è assolutamente normale avere un repertorio ridotto in alcuni compiti
cognitivi, ma non è normale diventare dementi → demenza = malattia.
Usciamo quindi dal problema dell'ageismo. Rimane quello di definire quando c'è un invecchiamento
centrale normale, quando invece si tratta di una perdita di memoria non benigna.
Ma i confini della differenza fra malattia e normalità non sono mai qualcosa di bene definito. Non esistono
neanche batterie di test così specifiche da permettere di ben definire se una persona ha un invecchiamento,
quindi un decadimento cognitivo età correlato o no.
In particolar modo la difficoltà non è tanto quella quando si riscontra una condizione di memoria di piena
normalità, ma quando c'è un deficit di memoria con un calo di performance magari non legato a serie di
attività legate a tutti i giorni, quindi quando non siamo nelle condizioni (vedi lezione precedente) da definire
una demenza, ma di fronte a una perdita di memoria con un calo di performance che non sappiamo bene
cosa porterà.
Per queste condizioni sono state date diverse definizioni e fatti diversi tentativi per catalogare questi
pazienti che possono rimanere in un'area grigia, hanno qualcosa che non va, non è proprio normalità non è
proprio malattia e non so bene se sia una condizione che rimarrà così.
Quindi diciamo criteri diagnostici della demenza rimangono senz'altro validi, poi ci sono criteri
assolutamente clinici. Sono criteri su cui si dibatte ancora molto.
DSM-IV:
La diagnosi di demenza è un processo complesso, dipende dalla presenza di deficit cognitivi multipli
caratterizzati da:
16. Compromissione mnesica.
17. Uno o più dei seguenti deficit cognitivi:
- Afasia
- Aprassia
- Agnosia
- Deficit del pensiero astratto e della capacità critica
I deficit 1 e 2 interferiscono significativamente nel lavoro, nelle attività sociali, e nelle relazioni con
gli altri con un peggioramento significativo rispetto al precedente livello funzionale.
I deficit non si manifestano solo nel corso di un delirium.
Dobbiamo valutare:
14. sintomi cognitivi: se no non possiamo fare diagnosi. Quindi bisogno di valutazione
neuropsicologica.
15. anamnesi
16. esame obiettivo generale e esame obiettivo neurologico (importante per escludere la presenza di
delirium che può alterare lo stato cognitivo pur in assenza di demenza)
17. perdita funzionale: parlare con la persona e il caregiver e sentire come sta a casa (cucina? Si fa il
letto? Fa la spesa? Le cose sono cambiate nell'ultimo periodo?)
18. rilevare la presenza di disturbi del comportamento che possono essere anche l'esordio nella
demenza anche se non caratteristici di quest’ultima, perchè comuni a moltissime malattie
psichiatriche.
19. esami strumentali: TC, esami del sangue...
Il geriatra applica quindi una valutazione multidimensionale attraverso un’analisi accurata della persona
anziana a più dimensioni:
- biologica: stato di salute, segni, sintomi, polifarmacoterapia.
- funzionale: disabilità.
- sociale: ambiente, relazioni, assistenza.
- psicorganica: stato cognitivo ed affettivo.
Lo scopo della valutazione multidimensionale geriatrica non è solo curare, identificando il trattamento più
adeguato, ma anche arrivare ad una presa in carico del paziente: analizzando quali sono le effettive
difficoltà giornaliere. Investigare non solo la condizione clinica ma anche l’aspetto sociale.
SINTOMI COGNITIVI:
Per quanto riguarda l’aspetto cognitivo, che rappresenta il cuore della valutazione psicogeriatrica,
per poter dire che una persona è demente dobbiamo identificare un deficit cognitivo, distinguendolo dal
deficit di memoria che è più specifico per la malattia di Alzheimer.
Alla base della neuropsicologia ci sono due teorie ancora oggi dibattute:
Teoria del riduzionismo: il cervello è diviso in aree altamente specializzate, preposte a
specifiche capacità mentali (abilità matematica , linguaggio, memoria..) che compiono il loro
lavoro in modo autonomo.
Teoria dell’olismo: il cervello funziona come un tutto unico, al suo interno ogni parte vale
l’altra infatti molte regioni corticali possono svolgere varie funzioni.
In realtà il cervello è in grado di usare entrambe le modalità.
Il cervello infatti presenta delle aree addette a specifiche funzioni cognitive, ma è anche vero che la
complessa organizzazione e strutturazione del cervello è in grado di vicariare la funzione di un’area nel caso
sia necessario.
È importante misurare perchè devo sapere come quel cervello funziona e attraverso il monitoraggio,
valutare se gli interventi che attua hanno o no un senso.
Appunto per integrare una valutazione delle funzioni esecutive, nelle batterie di test veloci viene di solito
usato un test per le funzioni frontali, pur non risultando completo per tutte le funzioni esecutive (che non
sono legate solo ai circuiti frontali).
Inoltre è stato costruito essenzialmente sulla base dei sintomi di patologie a esordio funzionale (come ad
esempio il Morbo di Alzheimer), in un soggetto affetto ad esempio da una patologia ad esordio disesecutivo
(come ad esempio il Morbo di Parkinson, demenze Frontotemporali, demenze vascolari) può non
evidenziare alcun deterioramento, se non a stadi molto avanzati della malattia. Questo è dovuto al fatto
che il MMSE test non valuta tutta un importante area di funzioni cognitive che sono le funzioni esecutive:
queste sono funzioni più complesse che si sviluppano più tardivamente nel bambino, sono funzioni che
riguardano l’ideazione, la pianificazione, il controllo inibitorio ed il comportamento sociale. Sono tutte
funzioni più articolate.
Inoltre va considerato che sempre maggiori evidenze hanno dimostrato che anche nella demenza di
Alzheimer possono esserci fin dall’inizio dei deficit delle funzioni esecutive, sottolineando ancora una volta
il limite di questo test.
La valutazione cognitiva viene fatta per valutare la presenza di funzioni cognitive alterate in rapporto a
quelle che possono essere le aree cerebrali colpite dalla malattia, questo ha un duplice significato:
diagnostico, perché la presenza di lesioni in determinate aree cerebrali mi orienta verso un tipo di demenza
piuttosto che di altre; funzionale, perchè la perdita di una determinata funzione cognitiva attiva una serie di
compensi che vengono proposti al paziente e/o al famigliare in modo da sopperire a questi deficit (esempio
di disprassia: aiutare il paziente a mangiare, vestirsi e lavarsi) cercando di garantire una qualità di vita
migliore.
[wikipedia: La disprassia (dal greco πράσσω = fare, quindi dis-prassia = incapacità di fare) è un disturbo che
riguarda la coordinazione e il movimento che può comportare problemi nel linguaggio. Si definisce come la
difficoltà di compiere gesti coordinati e diretti a un determinato fine. Ad esempio, il malato può presentare
delle difficoltà ad eseguire movimenti fini e complessi, come allacciarsi le stringhe delle scarpe]
Un altro aspetto molto importante da valutare in questo tipo di paziente è la DISABILITA’, che rappresenta
la l'incapacità di svolgere autonomamente le attività di vita quotidiana, la non autosufficienza, la perdita
della capacità di fare le cose.
L’ADL rappresenta uno degli strumenti di valutazione della funzione fisica più noti, soprattutto in ambito
riabilitativo. Fornisce un punteggio indicativo delle capacità del soggetto di alimentarsi, vestirsi, gestire
l'igiene personale, lavarsi, usare i servizi igienici, spostarsi dalla sedia al letto e viceversa,
deambulare in piano, salire e scendere le scale, controllare la defecazione e la minzioneLa minzione (dal
latino tardo minctio, e da mingere) è l'insieme degli atti fisiologici, volontari e involontari, che determinano
l'espulsione dell'urina raccolta nella vescica, attraverso l'uretra. .
Permette quindi di valutare il grado di disabilità su azioni di base per la vita quotidiana.
Queste capacità sono acquisite in periodo prescolare e vengono perse in maniera progressiva, secondo il
modello della retrogenesi: per cui le funzioni acquisite per prime vengono perse per ultime e si perdono
prima quelle più recentemente adottate.
Questo test ha un punteggio dicotomico 1 – 0: per cui o uno è capace di fare una cosa o non è capace ma ci
sono alcune domande più articolate, con differenti livelli di disautonomia. Però quando si deve valutare una
funzione complessa la modalità di valutazione con punteggio dicotomico può essere limitante, esempio:
una persona può essere assolutamente in grado di lavarsi da sola, però può non farlo mai perché ha paura
dell’acqua, ma la capacità di lavarsi c’è. In questi casi possono emergere dubbi su come comportasi: se
intendere la condizione come un’incapacità per il test e mettere una badante oppure cercare di agire sul
paziente stimolandolo o cambiando qualcosa nel bagno. Questo test ha un punteggio totale massimo di 6.
Questo test è molo simile all’ADL, ma cerca di superarne i limiti dando la possibilità di dare punteggi
differenti rispetto alla disabilità da valutare (esempio: la disabilità nella guida si muove in un range di 4
punti).
Un’altra forma di IADL più spesso somministrata utilizza domande che vengono poste in maniera più
aperta, meno vincolate: il paziente è in grado di lavare il bucato? Cucinare da solo?
Inoltre bisogna tenere conto che ci sono un gran numero di anziani che non hanno mai fatto nulla nella loro
vita (non hanno mai toccato una pentola o fatto il bucato) e non posso perdere due punti nel test, perché
non è che non sono in grado di farlo ma c’è ‘solo’ un grosso problema culturale alle spalle.
Questo test ha un punteggio totale massimo di 14.
Quindi la valutazione della disabilità è molto complessa ed è un punto delicatissimo, perchè da un lato
permette di fare diagnosi di demenza e dall’altro permette di renderci conto dei limiti e dei bisogni del
paziente.
Un altro aspetto che voglio sottolineare è che quando ci troviamo davanti ad un paziente che non riesce più
a fare il numero di telefono, a prendere un mezzo di trasposto, a stare dietro alle sue finanze, siamo già in
uno stadio di demenza conclamata.
Parliamo infatti del grosso problema della diagnosi precoce: perché da un lato ho uno strumento che mi
permette di fare diagnosi, dall’altro c’è l’esigenza di fare diagnosi precoce.
Questo è molto importante perché i farmaci che abbiamo a disposizione hanno la loro massima efficacia
nelle fasi iniziali della malattia.
Mentre invece molte volte succede d’identificare un deficit solo quando la malattia è già avanzata o
comunque conclamata, ed ha già fatto molti danni.
Quindi quello che manca, di fatto, sono degli strumenti più raffinati e sensibili in grado di tener conto di
quelle che sono le disabilità minori orientando in questo modo ad su una diagnosi precoce di demenza.
Esempio: ho avuto una paziente che percepiva la sua disabilità nascere dal fatto che non riusciva più a fare
delle riflessioni e/o concentrarsi sulla Bibbia all’università della terza età a cui si era iscritta. Non si può dire
“beh va beh ha 80 anni!”.
Perché l’anno scorso ci riusciva e quest’anno non ce la fa? Cos’è cambiato?. Questa paziente è arrivata
allarmata dal medico dicendo che qualcosa non funzionava, questa è disabilità!
Anche se la paziente ottiene il massimo ai test, questo mi permette di dire che c’è un deficit cognitivo che le
sta dando dei problemi nella vita di tutti i giorni.
Per questo motivo c’è l’esigenza di identificare delle scale di valutazione più sensibili che permettano di
identificare nelle fasi precoci questi tipi di deficit.
Un’ultima grossissima limitazione nella valutazione della disabilità è il fatto che tutte queste domande non
vengono fatte direttamente al paziente ma al suo caregiver: è colui che si prende cura del malato, che
rappresenta il punto di riferimento ma non è per forza un parente. Il caregiver è colui che progressivamente
si sostituisce sempre di più all’assistito. Lo stesso caregiver può passare momenti molto difficili sia in
termini di accettazione della malattia del famigliare sia per le difficoltà ed il peso del ruolo che ricopre.
A volte il caregiver od i famigliari non sono così affidabile nel riportare l’effettiva situazione che il paziente
ha in casa, ci sono famigliari che sostengono che i loro malati siano in grado di occuparsi di tutto in casa,
semplicemente perché ci vanno solo 10 min al giorno, perché non si rendono conto di quello che sta
succedendo o rifiutano il fatto che qualcosa stia cambiando.
Quando si fanno questo tipo di valutazioni mai perdere di vista il “Ma lo sapeva fare prima?” Se un soggetto
non ha mai cucinato, il fatto che ora non riesca a farlo perde molto significato.
È molto importante valutare anche la presenza dei disturbi del comportamento, non fanno parte dei criteri
diagnostici ma possono comunque essere presenti in caso di demenza, sono molto frequenti soprattutto in
alcune fasi di malattia ed in alcune demenze più di altre.
Se ci sono, tendenzialmente, vengono segnalati dai famigliari, perché sono quelli che spaventano un po’ di
più, sono gli aspetti considerati più allarmanti e disturbanti.
Scale come NPI tentano appunto di valutare la presenza o meno dei disturbi del comportamento ed il grado
di questo disturbo:
- allucinazioni,
- agitazione psicomotoria,
- ansia, depressione,
- aggressività,
- euforia,
- insonnia.
Si cerca di classificare la frequenza e l’intensità con cui si verificano, cercare di capire se ci sono delle
situazioni che possono scatenare tal comportamenti.
Per quanto riguarda i disturbi del comportamento è importante che siano caratterizzati nel modo più
preciso possibile, è importante usare un linguaggio appropriato sia per una comunicazione adeguata tra
medici sia perché i trattamenti sono differenti. Quindi il messaggio è che in questi casi bisogna fare sempre
l’NPI.
La forma non abbreviata del NPI è un testo di 14 pagine, dove per ogni singola categoria di disturbo ci sono
delle sotto-domande che guidano il medico ed il paziente nel cercare di capire cosa si intende per quel
determinato disturbo e se effettivamente il paziente ne è affetto. Anche questo normalmente si compila
parlando con i famigliari.
La demenza è una malattia che per quanto possa essere lenta rimane inesorabilmente progressiva, per cui
questi pazienti risultano sempre meno affidabili per quanto riguarda informazioni che concernono il loro
mondo interno, ad un certo punto la malattia si mangia anche la consapevolezza di essere malati.
SVEBA
Batteria composta da sei sub-test che indagano aspetti connessi alle funzionalità dei lobi frontali:
Esplora molte delle funzioni esecutive che coinvolgono i circuiti dei lobi frontali ma che comprendono
anche i circuiti dei gangli della base, valutando quindi la funzione di processore interno del cervello, cioè la
capacità d’interazioni tra le varie zone cerebrali.
Dovrebbe essere utilizzato sempre.
Questi test sono considerati importanti strumenti diagnostici al pari della misurazione della Pressione o Hb
glicata.
Il paziente non li dovrebbe vivere come un’interrogazione che crea ansia, anzi in alcuni casi il paziente può
essere aiutato:
Esempio[1]: se voglio testare l’orientamento spaziale del paziente gli posso chiedere in che regione si trova,
dandogli delle possibilità (come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte), perché magari non sa che
significato ha la parola regione.
Esempio[2]: se invece devo testare la memoria a breve termine dico tre parole al paziente (casa, pane,
gatto) dicendogli di ricordarsele perché poi saranno richieste, poi gli faccio eseguire un compito attentivo
(contare all’indietro) e gli richiedo le tre parole. Se il paziente non se le ricorda non gliele posso suggerire,
posso solo eventualmente dirgli che una delle tre parole era un animale. Se si ricorda allora il deficit non
sarà così grave come nel caso in cui non si ricordi proprio nulla. Queste sono tutte informazioni che mi
caratterizzano il disturbo di memoria.
Graduando il disturbo che ho davanti posso ottenere molte informazioni come identificare la presenza di un
deficit, che comunque da solo non mi fa diagnosi.
Inoltre questi strumenti sono estremamente importanti per poter comunicare tra medici.
È importante conoscere bene questi strumenti che abbiamo a disposizione: perché ci permette di
comprenderne il risultato o semplicemente capire se è il caso di usarli o meno, evitando di usare un metro
per misurare una cellula.
Quindi dopo questa lunga carrellate tra le varie scale di valutazione, vi rendete conto di come la diagnosi di
demenza è tutt’altro che semplice. Richiede molti passaggi, molto tempo, e molto banalmente deve esserci
la possibilità di avere un esame strumentale che ci permette di fare diagnosi, aspetto non è così scontato.
A questo punto vorrei sottolineare l’importanza di richiedere certi esami per arrivare ad una diagnosi certa
di demenza: non bisogna farsi scrupoli nel richiedere una TC solo perché un paziente è anziano. Ci sono
infatti condizioni (K cerebrali o ictus) che la diagnosi differenziale deve escludere.
La TC è un supporto importante non solo per la diagnosi di demenza ma anche per distinguere tra i vari tipi
di demenza.
Anche la dimensione temporale aiuta nella diagnosi di demenza: la valutazione nel tempo ed il
peggioramento caratterizzano una demenza piuttosto che un’altra.
Eseguire esami bioumorali e strumentali (monitoraggio pressione, Holter, TTT, ECG, TC, RMN, EEG, SPET,
PET…) è necessario a definire l’eziologia della demenza, ad escludere altre cause per i deficit cognitivi, a
valutare elementi patologici associati che possono peggiorare il quadro.
Molte forme metaboliche od organiche che possono dare dei deficit cognitivi devono essere esclusi:
ipertiroidismi, encefalopatia epatica.
Non esiste solo la demenza di Alzheimer ed è importante fare diagnosi differenziale tra le possibili
demenze perché le terapie cambiano.
La demenza ha un storia che dura anni e generalmente si fa diagnosi quando i sintomi iniziano a
manifestarsi, ma questo vuole dire che la malattia è presenta già da alcuni anni. La diagnosi si fa infatti in
media da 1-4 anni dall’inizio dei primi disturbi.
Quello su cui si sta cercando di lavorare è identificare dei fattori diagnostici che ci permettano di fare
diagnosi precoce. Questo è un obbiettivo purtroppo ancora lontano.
Non c’è ancora una grande chiarezza su quello che è il normale invecchiamento cerebrale: non ci sono studi
sufficientemente ampi ed articolati che ci possano spiegare cosa significa e cosa succede
nell’invecchiamento cerebrale.
Sicuramente il cervello invecchia con il passare del tempo, sicuramente c’è la perdita di alcuni tipi di
memoria e di funzioni cerebrali. Il problema è non cadere nel concetto di ageismo: non cadere nell’errore di
attribuire la causa della demenza all’età o considerarla normale solo perché uno è anziano. Tutti
invecchiamo ma non tutti diventiamo dementi.
La demenza è una malattia che deve essere identificata e curata, la difficoltà maggiore si ha soprattutto in
quelle forme borderline in cui c’è un iniziale deficit cognitivo ma in cui non si ha ancora disabilità ( INIZIALE
DEFICIT COGNITIVO NON ANCORA DEMENZA), quindi non so se il paziente è vecchio ma normale o è
demente. Ovviamente più cerco di anticipare la diagnosi più questo problema si presenta.
Inoltre bisogna essere cauti nel diagnosticare questo tipo di malattia perché dire ad una persona che è
demente non è equivalente a diagnosticargli una polmonite! La demenza ha una cura ma non si risolve, è
progressiva e porta a disabilità. Quindi la possibilità di intercettare precocemente pazienti con un maggiore
rischi di sviluppare demenza ci permetterebbe di iniziare subito il trattamento garantendo una migliore
qualità di vita.
Mi preme sottolineare il ruolo dei marcatori biologici nella diagnosi precoce di demenza: ci sono una serie
di studi volti ad identificare in maniera sempre più sensibile e specifica questi tipi di markers. Ne esistono
alcuni che però prevedono il prelievo di CSF (legge la slid):
Esame del LCS (10 pazienti con sintomi collegati all'Alzheimer e di altre 10 persone che non
mostravano segni caratteristici della malattia) esame di 17 gruppi di proteine. Tra queste in
particolare due, la cistatina C e la beta 2 microglobulina, sono collegate alla malattia di Alzheimer. I
risultati dello studio indicano che l'Alzheimer provoca cambiamenti nel cervello già da 10 a 20 anni
prima della comparsa dei sintomi (Odile Carrette 2008)
Rilevazione nel LCS dei biomarcatori tau totale, tau fosforilata e diminuzione beta-amiloide,
Metalloproteinasi di Matrice (MMP).
Test ELISA per rilevazione della proteina del tubo neurale (NPT) nelle urine.
Tomografia a emissione di positroni (PET) capace di predire l'invecchiamento cerebrale patologico
prima della sua manifestazione clinica tramite sonda chimica in grado di legarsi ai depositi di
placche e grovigli, in modo da poter individuare precocemente con neuroimmagine i loro siti di
accumulo anormale nel cervello (FDG-PET , BIP-PET)
Se l’esame del liquor è positivo possiamo fare diagnosi di demenza e nonostante non ci sia il farmaco
miracoloso la malattia viene curata (ma non guarita), il paziente non viene abbandonato.
Si dà una diagnosi infausta, senza di fatto avere un trattamento effettivamente efficace nel fermare o
rallentare la progressione della malattia.
Questi marcatori ci sono per l’Alzheimer ma non per altri tipi di demenza.
Un’altra possibilità è quella di utilizzare indagini strumentali come la PET, associandola a marcatori specifici
che permettono di identificare le aree di ridotto metabolismo, permettendo così di anticipare la diagnosi.
La Tomografia a emissione di positroni (PET) è capace di predire l'invecchiamento cerebrale patologico
prima della sua manifestazione clinica (Gary W. Small et al. , Jan. 2009) tramite sonda chimica in grado di
legarsi ai depositi di placche e grovigli, in modo da poter individuare precocemente con neuroimmagine i
loro siti di accumulo anormale nel cervello. La PET con BIP va ad analizzare la presenza l'amiloide.
Inoltre stanno diventando sempre più importanti sono gli studi fatti a livello del genotipo ApoE e di
mutazioni di PPS1 (presenelina), PPS2, APP (proteina precursore dell’amiloide).
La ricerca di queste mutazioni viene fatta soprattutto per l’identificazione di forme famigliari e di solito
l’identificazione della presenza di queste mutazioni dà un rischio aumentato di manifestare la malattia.
Per il genotipo ApoE quando presente in omozigosi nel genotipo epsilon4 aumenta il rischio di sviluppare lì
Alzheimer di circa 4 volte rispetto alla popolazione normale ed è la presentazione allelica più frequente
nell’Alzheimer di tipo sporadico.
Ribadisco che sulla base di queste evidenze non si può dire che una persona ha l’Alzheimer perché ha
questo tipo di presentazione allelica, ha soltanto un rischio aumentato di svilupparlo.
→ revisione dei criteri diagnostici e la proposta di un nuovo lessico alla luce di nuovi strumenti diagnostici.
Definirebbe come Ad prodromal quella malattia dove c'è un problema di memoria nel test, un problema di
posivitià dei miei biomarker ma non ho la demenza.
Oppure l'AD preclinical, io sono completamente asintomatico. Possono nella asintomatica con rischio per
Alzheimer avere dei biomarker positivi e nessun sintomo . Oppure possono essere presintomatico, dove non
ho niente, nessun sintomo, biomarker negativi, ma fattori genetici positivi.
→ questo porta a spunti interessanti: per esempio possono esserci ripercussioni a livello lavorativo, possono
esserci implicazioni per l'uso di terapia, di vaccini, che a breve saranno disponibili. Devo sapere a chi ha
senso fare un trattamento: ha senso fare un'immunizzazione e rimuovere le placche di beta-amiloide ad
una persona in fase preclinica o precoce, non quando ha già perso funzioni. Non saranno terapie che
restituiranno alla persona le funzioni che ha perso. es. se biomarker positivi in liquor.
Riflessioni: caso mai il collega in pronto soccorso può andare a scrivere come diagnosi “crisi ipertensiva in
paziente con Alzheimer”. → Per un soggetto di 60 anni lavoratore, magari per avvocato, un medico, può
essere un problema. Pensiamo poi allo scenario assicurativo: se non si ha una malattia ma si ha un fattore
di rischio?. Ha senso fare uno screening con costi elevatissimi (PET con BIP)?
Perchè succede questo? Ci sono pazienti con segni di Alzheimer e non hanno malattia, contro pazienti con
segni e forme particolarmente aggressive.
Perchè il nostro cervello funziona in modo diverso. Esiste una riserva cerebrale, esiste una riserva cognitiva.
ci sono persone che hanno deficit cognitivi lievi e rimangono così per anni e ci sono persone il cui deficit
cognitivo si conclama in qualcosa di più solo quando viene meno il compenso cerebrale, cioè quando si
arriva ad essere al di sotto di una certa riserva cognitiva perchè gli insulti cerebrali sono troppi. Questo è il
conclamarsi di una malattia progressiva
Se il paziente non evolve mai rimane con un deficit che non riesco a classificare in nessuna malattia.
Non va considerata solo la demenza di Alzheimer: non tutte le demenze progrediscono allo stesso modo.
Pensate solo alla demenza frontale, che esordisce con un quadro più di tipo comportamentale.
I sintomi della demenza (cognitivi e comportamentali) derivano dal fatto che alcune strutture cerebrali non
funzionano più come prima perché c’è una malattia degenerativa e/o vascolare alla base che compromette
il sistema neurotrasmettitoriale.
Nella demenza di Alzheimer i neurotrasmettitori coinvolti sono:
ACETILCOLINA (riduzione del tono colinergico).
DOPAMINA (riduzione del tono dopaminergico).
SEROTONINA (perdita di cellule del Nucleo del rafe, diminuzione del tono serotoninergico e quindi
deflessione tono dell’umore, aggressività, ansia, agitazione).
NORADRENALINA (perdita di neuroni noradrenergici del locus coeruleus, riduzione della
stimolazione NA della corteccia, depressione).
La loro disregolazione determina tutto quel corollario di sintomi cognitivi (soprattutto acetilcolina) e
comportamentali (soprattutto dopamina, serotonina e noradrenalina). Quindi c'è un correlato anche con il
tipo di disturbo.
Dicevamo prima: un paziente a cui viene diagnosticata una demenze non può, non deve, essere lasciato
“orfano”, cioè da solo e senza una terapia o meglio di una cura.
Mi raccomando la differenza tra malattia incurabile e inguaribile!! Anche l'Alzheimer, come il diabete o
l'ipertensione, non è guaribile, ma è curabile, cioè non può andare incontro a remissione totale, ma può
essere oggetto di cure che ne rallentino la (inevitabile) progressione.
Esistono dei farmaci, e soprattutto esiste la presa in carico da parte della famiglia e del caregiver, e del
medico curante.
La demenze è una malattia cronica, progressiva, che comporta sintomi pesanti, non autosufficienza, disturbi
del comportamento, e perciò comporta un'assistenza importante: deve esserci un'alleanza terapeutica tra
paziente-caregiver-medico.
Tutto ciò è importante da chiarire, perché se iniziamo una terapia (di qualsiasi tipo) e l'aspettativa è guarire
come si guarisce da una polmonite, allora nessuna terapia sarà efficace. Ho invece dei farmaci che ci
permettono di curare la malattia, di rallentare la sua progressione, di ridurre i disturbi del comportamento,
di ridurre la perdita cognitiva, ho tutta una serie di appoggi che tentano di vicariare le funzioni perdute.
Questo nell'ottica di un miglioramento della qualità di vita, di riduzione delle complicanze quando
entreremo in una fase tardiva e di riduzione dei ricoveri ospedalieri, di avere un paziente che è in grado di
stare a casa il maggior tempo possibile, ecc.
Tanto si può fare [e bla bla bla..], siamo contenti se anche solo il paziente non peggiora.
Se la demenza, come dicevamo anche la scorsa lezione, è una patologia multifattoriale, è importante però
ricordare che ci sono tanti fattori di rischio che la supportano che sono modificabili, oltre ad età e fattori
genetici non modificabili:
45. Livello di istruzione
46. Condizione socio-economiche
47. Fumo/alcol
48. Stile di vita (attività fisica, relazioni sociali..)
49. Dieta
50. Farmaci
51. Esposizione ambientale (collanti, pesticidi, solventi) e occupazionale (lavori manuali)
52. Fattori di rischio vascolare (ipercolesterolemia, ipertensione, FA, diabete…)
Anche fare “ginnastica cognitiva”, cercando di mantenere al mente il più possibile attiva, è assolutamente
utile, soprattutto nelle prime fasi della malattia di Alzheimer, per ridurre la
progressione.
Vediamo ora brevemente il trattamento della patogenesi della malattia,
perché queste verosimilmente saranno le terapie del futuro.
Sono stati elaborati tutta una serie di farmaci che intervengono in questa
catena attraverso:
11. riduzione della produzione: inibitori della β- e γ-secretasi
12. aumento della degradazione: antagonisti PPAR-γ (Rosiglitazone,
farmaco antidiabetico ora in fase III per l'Alzheimer)
13. modifica del trasporto attraverso la BEE: RAGE inibitori
14. riduzione dell’aggregazione: inibitori di aggregazione
15. aumento della rimozione: immunoterapia (il cosiddetto vaccino per
l'Alzheimer)
2) E' stata ideata una prima modalità di immunizzazione, attiva, volta
a stimolare il sistema immunitario a riconoscere e a eliminare la β-
amiloide.
Ci sono poi farmaci ad azione sulla proteina tau, l'altra proteina che si ritiene maggiormente implicata nella
patogenesi della malattia e che in qualche modo lega la demenza di Alzheimer alle forme di Parkinson
demenza, che sono tutte caratterizzate da alterazioni nella processazione della proteina tau (per questo
vengono dette taupatie).
Anche qui ci sono farmaci che inibiscono la produzione delle fibrille tramite l'inibizione della fosforilazione
della proteina tau. Ci sono studi su Litio e Acido Valproico in questo senso, come potenziali inibitori della
fosforilazione di tau.
Oltre a questi, vengono eseguiti studi su farmaci antiinfiammatori, antiossidanti, neuroprotettori, fattori di
crescita, e sulla terapia con cellule staminali (lo scenario del futuro quello di poter ricostruire ciò che dalla
malattia è stato distrutto); tutti volti a ridurre la progressione della malattia sopperendo ai danni,
proteggendo e recuperando ciò che resta.
Un altro problema importante è quello di trovare dei marcatori biologici non solo per la diagnosi ma anche
per monitorare l'efficacia delle terapie. Questo perché riuscire a valutare un miglioramento solo sulla base
dei test che si effettuano normalmente (es. MMSE) non è un modo preciso ed affidabile. Ad oggi si
utilizzano:
20. Riduzione della concentrazione dell’Abeta 1-40 e della β-amiloide 1-42 nel plasma o nel LCS
21. Frammenti di β-amiloide (1-16, 1-14, 1-15) per l’inibizione della gamma secretasi
Per quanto riguarda i farmaci che si utilizzano oggi, come vi dicevo sono tutti sintomatici, per i disturbi
cognitivi o per i disturbi del comportamento, e sono gli inibitori dell'acetilcolinesterasi (donepezil,
rivastigmina, galantamina) e la memantina, antagonista dei recettori NMDA.
L'efficacia di questi farmaci è valutata in termini di stabilizzazione di malattia e non ci sono grosse differenze
tra l'uno e l'altro.
I primi neuroni che vengono persi nel corso della malattia sono colinergici, per cui questi farmaci
suppliscono alla mancanza di Acetilcolina aumentandone la concentrazione intraencefalica. Sono però
farmaci soltanto sintomatologici; con il progredire della patologia, il tono colinergico viene del tutto a
mancare e i farmaci perdono di efficacia. Perciò è importante una diagnosi precoce e un inizio precoce
nell'utilizzo di questi farmaci.
Si sente ancora dire che sono farmaci che non servono a nulla; questo è vero se si cerca di guarire la
malattia, non di curarla. Purtroppo è vero che non sono i farmaci ideali e che vorremo avere farmaci molto
più efficaci. Sul Donepezil ci sono studi che affermano un suo ruolo anche nella neuroprotezione, però in
questo senso non c'è ancora nessuna certezza.
C'è una grande percentuale di non-responders 10-15 %, ma comunque hanno cambiato il corso della
malattia, aumentando il tempo libero da disabilità.
Il target non è il punteggio del Mini Mental, ma che il paziente sia il più autosufficiente, il più tranquillo, il
più gestibile possibile per la maggior parte del tempo. Quindi riuscire a stabilizzare il paziente.
Sono farmaci anche non più troppo costosi.
Un particolare divertente: questi farmaci, in particolare il Donepezil, sono stati utilizzati anche su volontari
sani e rientrano fra le cosiddette “smart drugs”, cioè quelle sostanze che vengono utilizzate per avere
rendimenti migliori ai test, agli esami, negli studi.
Un primo studio è stato fatto su piloti aerei, dimostrando una risposta ai compiti più rapida e precisa e
risultati migliori rispetto a coloro che non avevano assunto il farmaco. [leggendo meglio la slide, al
contrario di quello che dice lei, non si tratta di piloti di linea e/o di caccia, ma di semplici prove al
simulatore. Grazie al cielo!]
Gli stessi risultati si ottengono su giovani volontari sani. Putroppo i risultati nei malati di Alzheimer sono sì
positivi come indicano anche questi studi, ma non così significativi da poter dire che il malato recupera o
guarisce, interrompendo il decorso della malattia.
In ogni caso, non è questo un consiglio ad usarli... visto che ci sono importanti effetti collaterali, quali:
Gastrointestinali (dispepsia, vomito, diarrea) soprattutto
Cardiovascolari (bradicardia, ipotensione ortostatica, ipertensione arteriosa)
Insonnia, incubi notturni
Agitazione/tremori
Respiratori (broncospasmo)
Muscolari (crampi, ipertono incontinenza urinaria)
Controindicazioni:
Epilessia
Sincopi
BPCO /Asma
Anomalie della conduzione atrio-ventricolare
Memantina
Meccanismo d'azione completamente diverso. Agisce sui recettori NMDA (N-Metil-D-Aspartato) per il
glutammato ed è un antagonista non selettivo. Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio
del sistema nervoso centrale.
Nell'Alzheimer si è osservata una eccessiva concentrazione di glutammato, che non viene eliminato
permettendo un influsso aberrante di calcio all'interno delle cellule (fenomeno della cosiddetta
eccitotossicità). Succede che le cellule sono in una fase di depolarizzazione eccessiva, per cui ci saranno
anche problemi nella trasmissione degli impulsi nervosi.
Il fatto che il farmaco non sia un inibitore selettivo è una buona cosa perché quando la membrana inizia a
essere più depolarizzata rilascia il recettore lasciando quindi la possibilità al glutammato di aprire i canali
del calcio e quindi di depolarizzare la cellula in fase di attività sinaptica (in corso di parziale depolarizzazione
di membrana è attivo, ma il suo blocco viene rimosso in corso di depolarizzazione).
Inoltre sembra avere un effetto neuroprotettivo modulando l'attività della glicogeno-Kinasi-sintasi (GKS-3),
enzima coinvolto nella patogenesi dell'AD (fosforilazione tau, attività amiloidogenica).
La memantina è risultata efficace nel migliorare le capacità cognitive e funzionali dei pazienti con AD
moderata e severa in trattamento stabile con donepezil o in monoterapia.
Inoltre è considerata efficace anche sulle capacità cognitive di pazienti con demenza vascolare, mentre
mancano evidenze di un effetto positivo sullo stato funzionale.
Viene usata tantissimo anche in pazienti con disturbi del comportamento, con risultati utili.
Non ha problemi a livello cardiovascolare, quindi viene usato anche per coloro che non possono accedere
agli inibitori dell'aceticolinesterasi.
Negli USA è stata registrata per i casi di demenza moderata severa.
EFFETTI COLLATERALI
Cefalea
Sonnolenza
Stipsi
Ipertensione
Capogiro
Confusione
Allucinazioni
Psicosi
Affaticabilità
Vomito
Pancreatite
Trombosi venosa
Ha anche effetto a modi risvegli, in cui pazienti gravi hanno recuperato un buon contatto anche relazionale,
mentre pazienti a cui va messa di notte altrimenti durante il giorno il paziente dorme.
Sul monitoraggio dell'efficacia di questi farmaci si aprono delle diatribe. Se prima si diceva che ci sarebbe
bisogno di biomarker per valutare l'efficacia, diciamo che ci sarebbe bisogno anche di marker
neuropsicologici.
Teoricamente sarebbe consigliata la sospensione del farmaco se dopo 3 mesi non ha effetto, per cui
l'efficacia andrebbe valutata già dopo i primi 3 mesi; ma un miglioramento o un peggioramento dopo
questo periodo non sappiamo bene quanto sia indicativo.
In realtà non si tratta di sospensione vera e propria del farmaco, ma più spesso si tratta di rimozione della
rimborsabilità (nota 85 dell'AIFA): se il farmaco non è efficace, io dovrei quantomeno togliere la
rimborsabilità.
Sono farmaci che sono soggetti a piano terapeutico, non possono essere prescritti se non dal neurologo
specialista o dal geriatra specialista dell'unità di valutazione Alzheimer, che sono dei centri territoriali
ambulatoriali.
Strategie possibili che vengono consigliate in caso di effettivo peggioramento: switch therapy (cambiare
molecola), associare all'inibitore dell'Acetilcolinesterasi la memantina (in italia questa possibilità viene data)
.
Poi ancora:
- Antiinfiammatori (inibizione del danno dovuto alla risposta infiammatoria / inibizione diretta di
Bsecretasi?)
- Antiossidanti (vitamina E (alfa-tocoferolo) è in grado di ridurre la velocità di progressione della AD)
- Statine (legame tra colesterolo cellulare e cascata B-amiloide)
- Terapia ormonale sostitutiva (nessuna evidenza)
- Ginko biloba, iperico…( nessuna evidenza)
Ricordiamo che non esiste, come dicevamo anche prima, solo l'AD, ma anche altre forme di demenza, per
le quali siamo ancora più “orfani” di possibili terapie:
Demenza vascolare: prevenzione/trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari, riduzione
del danno ischemico (acido docosaesaenoico DHA). Anche qui tutto un fiorire di farmaci
antiossidanti per un miglioramento e un riduzione del danno.
Demenza corpi di Lewy: rivastigmina
Parkinson demenza: rivastigmina
Demenza fronto-temporale: SSRI
Se per AD andiamo male, per le altre andiamo anche peggio. Assenza di evidenza importnate.
Oltre alla terapia farmacologica c'è tutta una serie di cose da fare che non sono trascurabili o di poca
importanza (vedi anche slides). Ci sono evidenze:
-L’esercizio, mentale e fisico sono in grado di ritardare il declino funzionale
- terapie cognitive
- L’adattamento dell’ambiente alle capacità residue del paziente demente riduce i disturbi comportamentali
-I meccanismi di plasticità, di riorganizzazione e adattamento funzionale del sistema nervoso centrale
permettono un recupero delle funzioni perse in conseguenza della patologia degenerativa o vascolare
Avremo:
- Sintomi affettivi
- Sintomi neuropsichiatrici
- Disturbi neurovegetativi
- Comportamenti specifici
→ interventi non farmacologici sempre da preferire nel disturbo del comportamento. Alcuni rivolti al
paziente, altri rivolti ai famigliari.
Perchè si spinge tanto su questo? Perchè il farmaco dato all'anziano lascia tutta una serie di incognite:
diversa farmacocinetica (organi sono “vecchi” non funzionano più come dovrebbero), interazioni (in media
un paziente da 15-20 farmaci)...
Terapia farmacologica
Vengono comunemente utilizzati:
Antidepressivi
BDZ
Antipsicotici
Stabilizzanti umore
Inibitori dell’acetilcolinesterasi - memantina
Beta-bloccanti
Terapia ormonale
Altro concetto importante è racchiuso nella frase inglese Start slow, go slow…but go!!, cioè:
usare il dosaggio minimo efficace, monitorare gli effetti collaterali e rivalutare costantemente la terapia,
perché i BPSD non sono sempre costanti nella malattia.
Cosa molto importante è che i farmaci vanno adeguati al sintomo.
In realtà la maggior parte dei farmaci che prescriviamo, li usiamo out off-label
ANTIDEPRESSIVI
Gli SSRI rispetto agli altri farmaci hanno miro tossicità cardiaca, provocano minor ipotensione ortostatica
(insomma). Attenzione all'effetto opposto che possono provocare (mania), per cui bisogna togliere
l'antidepressivo, in realtà quindi qualche effetto comportamentale lo possono avere. Sicuramente sono più
sicuri dei farmaci più vecchi.
Attenzione inoltre a:
Stati maniacali soprattutto in pazienti con associati disturbi comportamentali (aggressività, agitazione)
Effetto anticolinergico
Sindrome serotoninergica
ANTIPSICOTICI
Utilizzati per
14. disturbi psichici: allucinazioni/deliri
15. disturbi comportamentali: aggressività verbale/fisica, agitazione, disinibizione
Inoltre ricordate che è importante valutare la durata del trattamento con antipsicotico, perché spesso non
è necessario un trattamento molto lungo e, come dicevamo prima, è importante rivalutare costantemente
la terapia perché i BPSD non sono costanti.
Negli anziani poi è maggiore il rischio di effetti indesiderati e la finestra terapeutica è molto ridotta, per cui
quando possibile è necessario cercare di scalare, ridurre, sospendere la terapia.
I neurolettici tipici (clorpromazina, tioridazina, promazina, clotiapina, aloperidolo) possono essere a bassa o
alta potenza:
alta potenza tipo aloperidolo: con un basso numero di mg ottengo l'effetto desiderato
(terminazione deliri e allucinazioni). Hanno lo svantaggio che tendono a dare delle sindromi
extrapiramidali.
bassa potenza tipo il Talofen®: devono essere dati a dosaggi molto più alti per togliere i disturbi
florido (allucinazioni..). Però sedano di più e impiegano molto tempo per dare l'effetto
extrapiramidale.
Gli antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina, clozapina, quetiapina) mostrano invece minori effetti
extrapiramidali. Hanno maggior efficacia e minor effetti collaterali.
In particolar modo la clozapina richiede una gestione particolare. Bisogna fare prelievi perchè può dare
psicosi. Quindi va monitorata. Perciò viene raramente utilizzata se non quando gli altri farmaci abbiano
fallito o ci sia la necessità di usarla in quanto è l'unica che abbia indicazione per i pazienti con malattia di
parkinson.
Ci sono stati studi sul fatto che gli antipsicotici atipici aumenterebbero il rischio di accidenti
cerebrovascolari. Altri studi non hanno confermato questi dati; da notare che non sono stati eseguiti su
quetiapina, per cui chissà...
BENZODIAZEPINE
Indicazioni: ansiolitici, ipnoinducenti.
Utilizzo: stati di agitazione, insonnia e parasonnie, sonniloquio, ansia, come miorilassanti.
Tutti vi diranno di non usarle nell'anziano per il rischio di effetti paradossi. E' vero, possono scatenare
delirium, possono non avere molta efficacia, però ricordate che per certi versi sono molto più sicure di
molti altri farmaci. Ricordate che come ipnoinducenti esistono anche altri farmaci (zolpidem, zopiclone e
simili).
Effetti collaterali: aumentato rischio di caduta, stati confusionali, allucinazioni, eccessiva sedazione
Inoltre attenzione ai problemi respiratori: depressione respiratoria soprattutto se anziano con BPCO e
ossigeno.
TRAZODONE (trittico)
Indicazione: depressione maggiore
Utilizzo: ipnoinducente, stati di agitazione, s. del tramonto, controllo dell’aggressività, dell’irritabilità,
antidepressivo inversione ritmo sonno-veglia
Basso dosaggio e frazionato nella giornata: utile come prima linea di trattamento
Effetti collaterali: ipotensione, iponatriemia,sedazione eccessiva, agitazione (effetto paradosso),
Tra tutti i farmaci di cui abbiamo parlato fino ad ora è tra quelli più sicuri. Anche rispetto l'iponatriemia: è
meno a rischio il paziente che prende trazodone rispetto a quello che assume SSRI.
Il discorso di molti di questi farmaci è che sono spesso prescrizioni “out of label”, cioè al di fuori delle
indicazioni classiche, con il grosso problema che sono pochi gli studi clinici affidabili eseguiti sugli anziani.
Il trazodone ne è appunto l'esempio. Nell'uso va quindi sempre motivato e spiegato al paziente e ai
famigliari il perchè della scelta.
Questo diventa molto importante quando si è in reparto dove purtroppo molte volte tali decisioni devono
essere prese, perchè a casa c'è una gestione troppo difficile del malato. Molto spesso i famigliari sono
impreparati per la gestione domiciliare.
Aspetto esteriore
Espressione del volto
Sguardo
Gesti psicologici
Gesti comunicativi
Posizione nello spazio
Contatto corporeo
Come abbiamo già detto, è importante sostenere, educare ed aiutare i familiari del paziente, cercando di
mettere in atto strategie ambientali.
Ad esempio: minimizzare l’impatto dei deficit sensoriali, modificare l’ambiente se necessario, impegnare il
paziente in attività quotidiane routinarie, ottimizzare la stimolazione sociale/fisica, ecc.
Fondamentale, ovviamente, è ricercare e trattare eventuali cause mediche e ambientali scatenanti.
IL CAREGIVER
E' un'importante risorsa, deve far parte della nostra alleanza terapeutica, deve essere informato sulla
nostra eventuale prescrizione farmaceutica perché la faccia rispettare al malato e anche perché sia alleato
con noi, perché cerchi con noi i risultati della terapia senza aspettarsi cose non possibili, perché sia attento
agli effetti indesiderati dei farmaci e ai peggioramenti della malattia.
Tenete presente che, come dicevo prima, mettersi il “vestito” del caregiver non è semplice.
Terapia medica
27 aprile 2012
Prof. Amedeo Lonardo
Il prof non ha lasciato la presentazione che era bella condita con tabelle ricavate da studi eseguiti in ambito
epatologico. Ho segnato il nome dell’autore, l’anno e la rivista quando mi era possibile, perciò li potete
rintracciare online se siete interessati; mentre al fine di comprendere l’argomento sono sufficienti i dati che
ha letto lui e che ho riportato nella sbobba.
CIRROSI
Etimologicamente: giallo. Si ritiene che Laennec l’abbia coniato; costui era un competente in malattie
dell’apparato respiratorio, colui che inventò lo stetoscopio. Studiando la TBC, si accorse che c’era dei fegati
enormi.
Anche il Morgani studiò la malattia, sistematizzando tutte le correlazioni anatomo-cliniche, inoltre dedicò
alcune sezioni del suo trattato alle principali società scientifiche europee.
Noi definiamo la Cirrosi come un’entità anatomo-clinica la cui eziologia è quanto mai varia; sostanzialmente
è una sindrome in cui il fegato presenta una ridotta capacità di risposta nei confronti dei vari agenti
eziologici che lo danneggiano, la sua reazione è sempre simile: steatosi, epatite, cirrosi ed epatocarcinoma
finale. Patologicamente assistiamo a un’alterazione sclero-nodulare con una sua peculiare progressione, sia
istologica che clinica, verso le principali complicanze:
- Ipertensione portale indissociabile dalla malattia cirrotica
- Trasformazione cancerosa questo è l’end-stage che si rende manifesto soprattutto al giorno
d’oggi in virtù della maggiore sopravvivenza di questi pazienti.
- Emorragie digestive
- Insufficienza epatocellulare
- Ascite
Istologicamente in un fegato normale osserviamo l’estremo ordine che esiste fra le strutture, in caso di
cirrosi invece osserviamo il completo sovvertimento delle stesse. In particolare osserviamo l’espansione del
tessuto cicatriziale, all’interno del quale non si riconoscono più i lobuli epatici bensì una nuova stuttura: il
nodulo. In virtù di questa forte espansione cicatriziale si osserva un’alterazione profonda della componente
sinusoidale, per cui gli scambi fra sangue e cellule epatiche diventano più difficili. La consistenza del fegato
diventa logicamente molto più dura e la resistenza al flusso ematico nel fegato è aumentata anche per
questa ragione.
Il nodulo rigenerativo è l’elemento istologico più importante, perché è da questo che in alcuni soggetti si
origina l’epatocarcinoma. Per la loro diagnosi ci è di aiuto l’individuazione di una neovascolarizzazione
arteriosa autonoma.
La cirrosi la possiamo considerare una sindrome perché il quadro clinico che presenta è abbastanza
uniforme nella popolazione degli ammalati, nonostante l’eziologia vari da soggetto a soggetto.
In seguito a uno studio italiano terminato nel 2001, è stata stilata una lista degli agenti eziologici che più
frequentemente sono implicati nel nostro paese:
- HCV 51%
- HCV + ALCOOL 15%
- ALCOOL 12%
- HBV
- HBV + ALCOOL 2,7%
- HBV + HCV 2%
- HBV + HCV + ALCOOL 1%
- AUTOIMMUNI 0,8%
- CIRROSI BILIARI PRIMITIVE
- EMOCROMATOSI
- WILSON
- STEATOSI NON ALCOOLICA
- CRIPTOGENICHE (ovvero in tutti i casi in cui le altre vengono escluse definitivamente)
Discussione sulla quantità di alcool/die epatolesiva: dipende da sesso, età, razza. In generale per l’uomo è
30gr/die, per la donna è 20gr/die. Questi valori corrispondono a poco meno di 3 unità alcooliche per
l’uomo e a poco meno di due per la donna. [1U.A. = 12gr etanolo 1 bicchiere 125ml di vino rosso circa, 1
birra 33cl circa, 1 cicchetto (40ml) superalcoolico circa]. Bisogna però considerare che non tutti quelli che
eccedono queste dosi vanno incontro a lesioni epatiche che poi portano a cirrosi; difatti c’è una grossa
variabilità individuale: per esempio a parità di esposizione all’alcool la donna è più a rischio di sviluppare
epatopatia dell’uomo, come è vero lo stesso per l’obeso nei confronti del normopeso a parità di sesso
(l’idea è che chi ha un alto BMI è già esposto a un rischio di natura metabolico ADDITIVO).
Breve discussione su un caso clinico riportato in aula: il paziente entra per ittero e ascite, transaminasi
elevate, bilirubina elevata, riscontro di trombosi portale ed ecostruttura epatica alterata per fibrosi
intraparenchimale. Il prof si sofferma sulla colestasi; è extra o intra epatica? Nel primo caso potrebbe
essere un tumore della testa del pancreas, un tumore di Klatskin, litiasi del coledoco; nel secondo
un’epatite acuta da virus, farmaco, autoimmune, wilson. Dall’aula si sollevano voci sulla necessità di
eseguire una paracentesi diagnostica nonostante l’ascite fosse di prima insorgenza: da eseguire una conta
cellulare, un esame microbiologico, un chimicofisico incluso il gradiente di albumina (vd.dopo).
[riporta lo stesso studio terminato nel 2001, condotto da un importante epidemiologo-epatologo italiano
“Stroffolini” in cui si riscontra un’aumentata età media di insorgenza della patologia, un aumento
dell’incidenza fra le donne, nonostante la malattia cirrotica rimanga molto più frequente fra gli uomini,
un’aumento delle diagnosi in classe A di Child-Pough, mentre la prevalenza del carcinoma rimane stabile]
CIRROSI COMPENSATA: quando il soggetto non presenta ittero, ascite, encefalopatia una persona che
sta sostanzialmente bene e in cui l’epatopatia viene riscontrata in modo quasi incidentale durante check-up
di laboratorio o durante gli esami preoperatori per altri motivi o per firmare una polizza assicurativa…
Ora viene osservato un lavoro di “JAMA” nel quale sono stati raccolti dati di letteratura su anamnesi, esame
obiettivo e valori di laboratorio. Per esempio:
- se un paziente è già diabetico il valore predittivo positivo è alto, come anche quello negativo
- se un paziente fa uso di alcool
- sintomi come prurito, stanchezza, anoressia (non ce l’ha data)
- distensione vene addominali, alti valori sia positivi che negativi
- Encefalopatia idem
- Ittero alto valore predittivo positivo, ma nessun valore predittivo negativo
- Splenomegalia alti entrambi:
- Trombocitopenia
- INR
- Ipoalbuminemia
- Iperttransaminasemia
- Iperbilirubinemia
- Ridotta conta leucocitaria
- Anemia
- Ecc..
Altro studio italiano (“Giannini”) in cui è stato studiato il rapporto fra numero di piastrine/diametro
bipolare della milza: se normalmente questo valore di attesta sui 12600, man mano che il valore diminuisce
diventa più forte il sospetto di cirrosi. Il pro di questo studio è rivolto soprattutto a cercare di rendere l’iter
diagnostico più preciso col minor impiego di mezzi, come per esempio la riduzione delle endoscopie se
questo valore al di sotto di un certo cut off risulta essere sufficientemente predittivo di malattia cirrotica;
sta di fatto però che saltano fuori dei bias, per esempio il valore delle piastrine non è relato soltanto alla
cirrosi, idem per il volume della milza; vedasi una trombocitemia essenziale.
Diagnosi differenziale nella splenomegalia: individuare i meccanismi con cui si sviluppa quindi elencare le
possibili condizioni.
- Malattie neoplastiche: trombocitemia essenziale, malattie mieloproliferative
- Emodinamiche (Ostacolo al deflusso venoso): cirrosi, trombosi portale, ipertensione portale,
trombosi splenica
- Infettive: mononucleosi, leishmaniosi, malaria, endocardite, tbc…
- Tesaurismosi
- Malattie emolitiche
FibroScan
Utilizzando un segnale ecografico misura la rigidità del fegato. Il limite di questa metodica è nella non
capacità di discriminare la componente dura/morbida: presenza di fibrosi contemporaneamente a presenza
di grasso, che riduce la rigidità. Altro limite è l’ipertransaminasemia, molto tipica dell’epatite B cronica.
Perciò risulta più utile nel monitoraggio di un paziente con già la diagnosi in mano, in particolare per quanto
riguarda la diagnostica precoce dell’epatocarcinoma.
Child-Pough score
Bilirubina, Albumina, INR, Ascite, Encefalopatia (gli ultimi due parametri sono piuttosto soggettivi).
Questo punteggio è importante per quanto riguarda la formulazione di una prognosi a lungo termine,
soprattutto perché esistono 3 classi statiche, mentre i cinque valori sono in continuo divenire. Sul momento
invece è ben più indicativo sapere se la cirrosi è compensata o meno: una volta i cirrotici scompensati
vivevano qualche mese, oggi di più ma comunque l’ipotesi trapianto è percorribile soltanto se c’è la
complicanza più temibile: l’HCC. Uno degli autori più importanti italiani in questo campo è “D’Amico” il
quale prende due parametri per determinare lo stato attuale della cirrosi: VARICI e ASCITE.
- COMPENSATA (asintomatico): stadio 1: NO VARICI, NO ASCITE
stadio 2: SI VARICI, NO ASCITE
- SCOMPENSATA (sintomatico): stadio 1: SI/NO VARICI, SI ASCITE
stadio 2: EMORRAGIA, SI/NO ASCITE
D’amico ha anche attribuito percentuali di pazienti che passano da uno stadio all’altro e mortalità per ogni
stadio (non si capisce però, ci voleva la presentazione).
I parametri di laboratorio importanti per determinare un rapido peggioramento del quadro cirrotico sono
quelli che variano più velocemente come INR e secondariamente COLESTEROLO (<100mg/dl) e ALBUMINA.
MELD SCORE
A differenza del child c’è bisogno di un calcolatore per poterlo calcolare: si immettono i valori di
BILIRUBINA, CREATININA E INR e lui pensa a calcolare il punteggio con un non bel specificato algoritmo.
Questo punteggio lavora in continuo e utilizza solo valori di laboratorio, sfuggendo così a quel bias di
soggettività cui era soggetto il Child. Ha comunque limiti: se il paziente è disidratato la creatinina peggiora,
se il paziente fa terapia anticoagulante l’INR aumenta.
L’utilità del Meld è che predice la sopravvivenza: punteggio 20 sopravvivenza 80% ; punteggio 37
sopravvivenza a poco più del 20%. Questo metodo di punteggio viene soprattutto usato nel malato
trapiantologico, cioè il trapianto viene preso in considerazione soltanto se la prognosi infausa è veramente
a breve termine.
Altro studio di D’amico e altri: che rischio additivo esiste se c’è un’infezione? Mortalità aumentata di 4
volte. Sembra che cambi proprio la storia naturale, che acceleri la progressione.
Quali sono le vie di infezione?
- Iatrogena: in paracentesi
- Traslocazione batterica spontanea: tramite i linfonodi mesenterici
In entrambi questi casi l’infezione si localizza nel liquido ascitico, nel cavo pleurico. Perché?
Mancano le immunoglobuline.
A questo punto i 4 stadi proposti da D’amico diventano 5: SEPSI elevata mortalità nell’immediato.
Da ricordare: la leucopenia nel cirrotico è ancor più pericolosa perché i GB hanno anche un deficit
funzionale, cosa che invece non accade per le piastrine nonostante la possibile trombocitopenia.
Ipertensione portale
La manifestazione più importante sono le varici esofago-gastriche, che possono anche presentarsi
solamente nello stomaco, anche nel solo antro pilorico, e sono quelle che se sanguinano peggiorano, e di
molto, la mortalità. Addirittura si possono anche formare fra la milza e il rene sinistro, prendendo il nome di
shunt spleno-renali spontanei (quelli non spontanei erano chirurgici). Le varici si trattano con sostanze
sclerosanti a base di trombina, con il plasma-coagulation (un pennellino con argon) o con l’endoscopic bend
ligation.
L’obiettivo diagnostico-terapeutico è la profilassi primaria: si screenano tutti pazienti per evitare il
sanguinamento. [Vd. L’articolo su GUT che parla di tutte le terapie e complicanze: 2011, Vol.60, Pag.412]
Se il paziente non ha varici non c’è bisogno di nessuna terapia, in genere l’endoscopia di screening è
ripetuta l’anno dopo. Se ci sono varici piccole considerare i betabloccanti non selettivi come il Propranololo
o il Nadololo; in caso di grosse varici sempre betabloccante e l’endoscopic bend ligation.
Dove fare la paracentesi?
O fianco destro o sinistro o ipogastrico.
Ascite
Ipertensione portale (Pre, post, epatica), ipoperfusione renale (che accompagna tutto lo spettro della
cirrosi), scompenso cardiaco, infezioni, ipoalbuminemia (malnutrizione, cirrosi, sindrome nefrosica, ustioni),
malattie peritoneali (infettive come tbc, neoplasie, chimiche, autoimmune come una polisierosite).
[Articolo su Hepatology di Runyon] Gradiente di albumina: differenza fra albumina plasmatica e albumina
nel liquido ascitico:
- <1,1 gr/dl il “filtro” fra il compartimento vascolare e quello peritoneale è compromesso
anatomicamente, verosimilmente non è correlato alla cirrosi e all’ipertensione portale
- >1,1 gr/dl la forza idrostatica ha permesso la fuoriuscita di liquidi dal compartimento vascolare,
verosimile ipertensione portale.
Trattamento: dipende dalla clinica, cioè se il versamento non interferisce con la vita del soggetto non si fa
nulla, nel caso invece che il soggetto sia dispnoico o disfagico la paracentesi si fa, eventualmente anche in
urgenza; se il quadro non è urgente il trattamento medico prevede restrizione sodica e diuretici (in questo
caso si usano gli antialdosteronici: è come se il rene nel cirrotico fosse diverso dal rene nel cardiopatico…
mah).
Quando l’ascite diventa refrattaria si passa alla paracentesi terapeutica (ripetuta più volte) e il TIPS (shunt
fra sovra epatica destra e porta per via trans giugulare).
Anche l’insufficienza renale insorta in un paziente cirrotico porta a peggioramento della prognosi,
analogamente a quanto succedeva in caso di infezione.
Encefalopatia
Per la diagnosi utilizzo la clinica in primis (flapping tremors, alterazione dell’umore e della vigilanza di cui il
paziente non si rende conto, poi la concentrazione dell’ammonio nel sangue (anche se non è proporzionale
al grado di compromissione, è più utile per monitorare l’efficacia della terapia), il number connection test
(unire i puntini) e l’EEG (sempre per l’efficacia di una terapia).
Terapia: igiene dell’alvo (clisteri, lattulosio, antibiotici non assorbibili come Rifaximina, utilizzata anche
come profilassi).
2 novità:
- Esiste una relazione sfavorevole con il diabete: è maggiore il rischio di encefalopatia e di morte per
encefalopatia
- Esiste un’encefalopatia subclinica, che sta venendo alla luce soprattutto in relazione alla
concessione dell’idoneità alla guida del malato cirrotico: questo paziente non si rende conto delle
variazioni dello stato di vigilanza perché è cronicamente intossicato e questo è chiaramente un
rischio per lui e per la società.
[da qui comincia una cavalcata per riuscir a finire l’ argomento in 15 minuti. Per mio modesto parere è
meglio lasciar perdere e leggerselo da altre fonti]
EPATOCARCINOMA
È prevalente nel sesso maschile. In generale tanti soggetti vengono colpiti, tanti ne muoiono. Negli ultimi
anni però la latenza fra i due eventi è stata aumentata dalle terapie attuali. Ma di cosa muore un malato di
epatocarcinoma?
Di cirrosi.
L’algoritmo diagnostico dipende sostanzialmente dalle dimensioni: il piccolo nodulino (<1cm) è da seguire
nel tempo, se aumenta si sottopone a imaging (TC/RM con MDC). Nel caso dell HCC il “comportamento”
vascolare è spesso tipico (wash out tardivo e ipervascolarizzazione periferica), quindi si passa subito alla
terapia; in caso invece di comportamento vascolare atipico si passa prima per la biopsia.
2 tipi di trattamento:
- Curativo: resezione, trapianto, trattamenti loco regionali ablativi (la radiofrequenza)
- Palliativo: chemioembolizzazione e sorafenib (ultima spiaggia)
Come differenziare i pazienti cui verrà somministrato l’uno o l’altro trattamento?
I pazienti con buon performance status, nodulino piccolo singolo, child classe A sono gli eletti per
trattamento curativo.
[screening: 1 esame - sorveglianza: sottopongo una coorte a screening ripetuti nel tempo]
La sorveglianza per l’HCC non è un’opzione clinica, cioè se in un paziente ho diagnosticato la cirrosi la
diagnosi precoce dell’HCC è lo standard assistenziale. Come si fa? ECO 2 volte all’anno.
Perché l’eco e non l’ AFP? Perché questa è poco specifica e poco sensibile (si può elevare anche in cirrosi
avanzata come in tumori anche di grosse dimensioni non muoversi più di tanto).
Da notare come nell’ HCC il flusso ematico epatico è principalmente arterioso (c’è proprio uno switch da
quello che avviene in un fegato normale). Inoltre il/i noduli sviluppano neovascolarizzazione arteriosa e
accumulano molto grasso.
Proseguendo con la nostra visita eseguiamo l’esame obiettivo che risulta nella norma. Inoltre la paziente
non fuma, beve con moderazione, non fa uso di contraccettivi ed è impiegata in una ditta di trasporti.
Peso kg 52; Altezza 166 cm;
La paziente mangia di tutto;
Gli esami bioumorali sono tutti nella norma, PA 126/80, fr. 72 R.
Il prof. ci dice che quanto ci riferisce la paziente è sufficiente per avanzare il forte sospetto diagnostico di
Emicrania. Se arriva una paziente con questa sintomatologia, la diagnosi di emicrania è praticamente
CERTA, perchè è una diagnosi essenzialmente clinica, soprattutto in una donna di 23 anni perfettamente
normale.
Gli accertamenti non ci fanno cambiare la diagnosi, ma ci servono per eventualmente avere nozioni in più e,
nel caso, impostare una terapia.
GENERALITÀ SULL’EMICRANIA
E’ una forma di cefalea caratterizzata da crisi dolorose solitamente di forte intensità e di durata variabile,
talora associata ad aura (il sintomo più frequente è quello di vedere scotomi scintillanti – l'aura è qualcosa
di estremamente sfuggente, che può esserci e non esserci e addirittura esistono casi di emicranie per anni
precedute da aura che improvvisamente sparisce) ed accompagnata da nausea, vomito (non
frequentissimi) e fotofobia, che invece è molto più comune.
La fisiopatologia dell’emicrania non è ancora chiarita, nonostante la malattia sia nota da millenni, si è capito
tuttavia che il dolore è legato a vasodilatazioni, specie dei vasi meningei e l’aura sembrerebbe in rapporto a
vasocostrizione.
Secondo alcune teorie, vi sarebbe, nelle fasi iniziali, la liberazione di peptidi vasoattivi (dalle cellule nervose
che innervano le meningi) che indurrebbero vasodilatazione ed infiammazione perivascolare.
Il ruolo della flogosi perivascolare, riconosciuto di recente, spiega l'estrema efficacia dei farmaci
antinfiammatori.
La visita oculistica è stata bocciata da qualcuno… però il prof fa notare che potrebbe svelare un glaucoma o
una neoplasia cerebrale, anche se quest’ultima dovrebbe dare una sintomatologia più marcata, la quale
tendenzialmente risulta più rapida nell’instaurarsi e nel progredire.
Nonostante questa considerazione il prof. sembra d’accordo nel definirla non strettamente necessaria, però
ci avverte che dobbiamo tenere presente che potrebbe svelare problemi visivi, possibili responsabili
dell’emicrania.
Rx seni paranasali può essere utile per svelare una sinusite, ma questa avrebbe dovuto presentarsi con
sintomi a carico delle vie aeree superiori, generalmente una rinorrea.
L’invio ad un centro cefalee è senz’altro una decisione saggia (tenuto, ovviamente, in considerazione che
non tutti gli ospedali hanno un centro cefalee, che può risultare dispendioso spostarsi se l'ospedale del
proprio paese non ne è dotato e, infine, che i centri cefalee d'Italia non possono farsi carico di 4 milioni di
emicranici!).
Il destino dei pazienti che soffrono di cefalea sarà quello di essere sempre più seguiti e trattati dai MMG,
che devono essere attrezzati. Finiranno al centro cefalee i casi gravi.
Escursus sul fatto che i cefalologi non sono degli specialisti, in quanto la scuola non esiste, sono il più delle
volte dei medici internisti che hanno approfondito i loro studi in questo campo. Questo è certamente un
problema.
Focaliziamoci ora su quelli che devono essere gli OBIETTIVI DEL MEDICO:
- Impedire che gli accessi emicranici si ripetano
- Ridurre la frequenza degli attacchi
- Far scomparire il sintomo dolore
- Diminuire il sintomo dolore
- Eliminare dalla dieta cibi che possano scatenare gli attacchi emicranici (alcuni formaggi, cioccolato,
altri cibi)
- Evitare l’eccessiva fatica fisica
- Ripararsi adeguatamente dal freddo (cappelli e guanti)
- Evitare di esporsi a calore eccessivo (cappelli estivi)
- Evitare la perdita di sonno, anche ricorrendo a sedativi
Queste norme comportamentali molte volte sono alla base del successo della terapia dell’emicrania, più dei
farmaci ai quali comunque dovremo ricorrere se necessario.
Antiinfiammatori
- Aspirina (1 g, fino a 5-6 g/die) dosaggio antalgico
- Paracetamolo (500 mg, fino a 3000 mg/die)
Antiinfiammatori + Metoclopramide (10 mg) molte volte con l’emicrania si presenta vomito
Antiinfiammatori + Caffeina (100 mg) caffeina è un vaso attivo e determina vasocostrizione
Antiinfiammatori + Ergotamina (1 mg) l’ergotamina anch’essa è un vaso attivo e si comporta come
l’ASA
Oppioidi
Triptani (Sumatriptan ed altri)
I triptani sono ormai il cardine della terapia dell’emicrania e vi sono diverse forme:
- Sumatriptan (Imigran) cps da 25-100 mg,
Spray nasale fiale da 6 mg
- Rizatriptan (Maxolt) cps da 10 mg
- Almotriptan (Almogran) cps da 12.5 mg
Di norma gli effetti collaterali sono più da temere in un paziente anziano rispetto ad un paziente giovane.
Possibilità
- Antiinfiammatori a dosaggi più alti
- Triptani (Sumatriptan, 50 mg/2 volte al di): La paziente è a basso rischio di eventi cardiovascolari
In definitiva cercate di avere poche idee ma chiare riguardo l’emicrania, perché di idee confuse ce ne sono
molte, quindi avere uno schema limitato ma chiaro a volte può aiutare.
DISSECAZIONE AORTICA
CASO CLINICO
Trattasi di un caso emblematico che ha colpito l'equipe medica del reparto di medicina interna di
Baggiovara e che rispecchia quanto è importante eseguire una buona anamnesi ed esame obiettivo
accurato, dato che in certe patologie e sindromi complesse queste componenti rivestono un ruolo decisivo
nel prendere decisioni corrette e rapidamente.
IN ANAMNESI
- il paziente riportava una cardiopatia ipertensiva con Fibrillazione Atriale parossistica in terapia
anticoagulante. Ad aprile 2009 veniva ricoverato in cardiologia a Baggiovara per parossismo della
fibrillazione ed era stato trattato con cardio-versione elettrica con ritorno al ritmo sinusale.
Cardio-versione elettrica: Si fa anche in condizioni di emergenza urgenza in ritmi defribillabili, usando una
intensità di 200joule, mentre quando si deve cardio-vertire un aritmia sopra-ventricolare si fa sedazione
con Midazolam e poi, con intensità pari a 80-100J, si tenta la cardio-versione.
Il paziente aveva anche un distiroidismo dislipidemico. Nel 2008 diagnosi di TVP e, tra le altre indagini
eseguite, l'ecografia dell'addome mostrava una ectasia a carico dell'aorta addominale.
ESAMI DI LABORATORIO
- anemia con ridotto Ht
- INR molto elevato
- piastrinosi spiccata, probabilmente reattiva a stato di flogosi.
- allungamento del tempo di Quick (faceva warfarin!)
- PCR elevata
- Non c'è incremento dei globuli bianchi.
Quando le infezioni sono a genesi virale e gram - non sempre c'è spiccato aumento dei leucociti e a volte
non c'è nemmeno aumento dei neutrofili. Inoltre bisogna considerare che gli anziani che non hanno difese
immunitarie molto attive, a differenza dei giovani.
La flogosi può essere collegata a eventuale processo infettivo.
EGA arterioso in PS. Ricordiamo che era un malato che aveva anche del dolore. pH come da alcalosi, pCO2
lievemente ridotta. Un soggetto che è anche ansioso per il suo stato di salute iperventila.
IMAGING DEL TORACE in PS.
Le strutture più importanti su cui concentrarsi sono coste, aia cardiaca, trachea, bolla gastrica, seni
costofrenici.
- Seni costofrenici lievemente impegnati.
- Non c'è ectasia del bottone aortico.
- Sono nella norma le strutture e la trama broncovascolare. Non c'è neanche la distribuzione apicale
del flusso, come si ritrova spesso in scompensi emodinamici. [potrebbero chiedere agli esami
interpretazione di una lastra del torace normale o patologica..]
- Ombra cardiaca un po' ingrandita.
- Addensamento retro cardiaco sinistro.
Il suo curante aveva visto giusto. Ha formulato l'ipotesi di un versamento consensuale a patologia flogistica
polmonare (focolaio) che giustifica anche gli esami che denotano flogosi.
ECG in PS.
- Frequenza: 130bpm in media, aritmico. Tachicardia,
- Complessi stretti, assenza di onde P, alterazione della ripolarizzazione in V2 e V3 (è un reperto
frequente)
Quando il ritmo è incrementato, il tempo di diastole è diminuito e la ri-perfusione coronarica di
conseguenza.
È un tipo di tachicardia sopraventricolare, una tachi fibrillazione atriale.
- Si vedevano le onde F.
Nelle fibrillazioni atriali, a parte che non c'è uno spazio costante tra i complessi ventricolari, c'è diversa
altezza e diversa ampiezza fra i complessi.
Tutte le persone di una certa età vanno incontro in generale a alterazione tipo fibrillazione atriale. Di solito
non sono particolarmente pericolose, fino a quando non sviluppano ritmi particolarmente frequenti.
In questo caso, il polso non è molto frequente dato che il cuore compensa in modo discreto alla fibrillazione
atriale. Se vi è una grossa discrepanza tra il numero di pulsazioni cardiache e il numero di pulsazioni
periferiche, vuole dire che il cuore non mantiene un circolo costante. Ecco perché le forme di tachi
fibrillazione atriale ad alta frequenza sono pericolose, perché non riesce a essere garantito il riempimento e
lo svuotamento del ventricolo sinistro.
Con digitale o altri farmaci cerco di ridurre la frequenza cardiaca e di conseguenza aumento le pulsazioni
efficaci periferiche.
Altro ECG
- Frequenza tra 75-80bpm.
- Intervalli RR di uguale ampiezza, individuabili le onde P.
- Ritmo sinusale.
Da questo fatto deduco che il paziente non aveva una fibrillazione atriale cronica, ma in parossismo. Un
soggetto con questo profilo ha più elevato rischio cardio-embolico rispetto a coloro che hanno fibrillazione
atriale cronica.
TC ENCEFALO S/MDC IN PS
Eseguita in PS, per dare una spiegazione alla sfumata sintomatologia neurologica.
Era negativa, non mostrava focolai emorragici ne lesioni ischemiche recenti.
IN REPARTO
Il paziente si presenta vigile e collaborante. È febbrile.
Pressione Arteriosa nella norma.
Di nuovo torna a presentarsi un ritmo di 123bpm aritmico.
La saturazione è nella norma e non è dispnoico.
A causa della polmonite, non si riesce a valutare bene l'obiettività cardiaca, si rilevano toni concitati in
successione aritmica. All'esame obiettivo del torace c'erano crepitazioni medio-basali, consensuali con
focolaio in sede retro cardiaca sinistra.
Addome non patologico.
Terapia confermata rispetto a domiciliare, tranne Warfarin, dato che il paziente era fuori dal target
terapeutico.
Si instaura terapia antibiotica con penicillina protetta (ampicillina+sulbactam 3gr, con triplice
somministrazione al giorno)
Il paziente è arrivato in reparto alle 18.00 e la sera il medico della notte è allertato dal personale
infermieristico perché il paziente non sta bene e lamenta dolore precordiale di tipo oppressivo, che si
allevia con la posizione seduta e reclinando il busto in avanti.
Questi erano sintomi già presenti a poussèes da una decina di giorni. Auscultando, il medico di guardia
coglie un rumore aggiunto da verosimile sfregamento pericardico.
IPOTESI
- Pericardite per la posizione antalgica che teneva, per l'esame obiettivo e perché dura da tanti
giorni.
- Richedere ecocardiografia?: ha avuto una TVP che potrebbe essere resistente a anticoagulante,
come spesso sono le forme di tromboemboliche para neoplastiche
- Richiedere emocolture: endocardite? Erano state richieste.
Il paziente stava bene il mattino dopo! Non presentava nessun sintomo di tipo specifico.
CONSULENZA CARDIOLOGICA
È stata richiesta dal medico che ha gestito il paziente durante la prima notte, che ha richiesto anche un
ecocardiografia.
Al mattino stava bene e l'esame obiettivo cardiaco era più semplice, dato che il cuore aveva un ritmo
normale. Veniva riscontrato questo soffio: rumore di Flint, da insufficienza aortica. È un rullio telediastolico.
[Questo alle ore 10.00 del mattino]
Si decide di fare immediatamente un ecocardiografia, anche se non con la sonda dedicata. Le sezioni di
destra sono ai limiti superiori, non francamente dilatate. La vena cava è ectasica, ma ancora collassabile con
gli atti del respiro. B
isognava infatti escludere la tromboembolia polmonare, che può causare una imponente dilatazione delle
sezioni di destra e immobilità della vena cava con gli atti respiratori. È stato individuato uno spazio eco-
privo compatibile con versamento pericardico.
Viene inviato in cardiologia per eseguire valutazione specialistica e ecocardiografia. Durante il tragitto il
paziente ha un'improvvisa perdita di coscienza con arresto cardio-respiratorio. Tentata Rianimazione
CardioPolmonare.
All'esordio, è stato rinvenuto un ritmo elettrico non defibrillabile con attività elettrica senza polso.
Somministrate 4 fiale di adrenalina, senza evidenza di un ritmo defribillabile. Durante la rianimazione, la
cardiologa eseguiva ecocardiografia con sonda delicata che documentava versamento ubiquitario.
Non riusciva a individuare la radice e l'arco aortico. Ha tentato una pericardiocentesi con accesso
sottoxifoideo, ma ha estratto solo pochi cc di liquido.
Ore 17.50: decesso per morte improvvisa.
Il paziente è morto in questo arco molto ristretto di tempo, in cui, nonostante non presentasse più i sintomi
caratteristici, l'iter diagnostico era stato mandato avanti velocemente.
Hanno chiesto alla famiglia di eseguire autopsia di questo malato, perché la causa della morte non era
chiara.
Hanno scoperto, mentre parlavano con i parenti, che questo paziente presentava, in anamnesi famigliare,
altri due morti improvvise di persone più giovani. Era importante anche per la famiglia capire come mai si
verificavano queste morti improvvise, quindi hanno accettato di eseguire l'autopsia.
DISSECAZIONE
Sviluppo di un lembo intimale che separa il lume vero dal falso lume e si può diffondere in senso
anterogrado, retrogrado e può dare fissurazione.
Può interessare i rami laterali con segni di ipoperfusione e tamponamento.
A seconda del tipo di dissezione esistono paradigmi terapeutici e procedure da eseguire.
1) Tipo A: ascendente
La mortalità si eleva ogni ora che passa ed è la più grave.
Le complicanze più frequenti conducono a morte e sono il tamponamento cardiaco e la dissezione delle
arterie coronarie.
Si ritrovano segni di ipoperfusione a livello del distretto cerebrale e cardiaco.
2) Tipo B
Decorso meno grave.
La terapia può essere anche solo medica.
Mortalità minore rispetto al tipo A.
Ipoperfusione a livello renale, splancnico e a carico degli AAII
FATTORI DI RISCHIO
- Ipertensione
- Tabagismo
- Malattie ereditarie come il Marfan (dove è presente anche suscettibilità a vizi valvolari, prolasso
mitralico fino a rottura delle corde tendinee dei muscoli papillari) e Ehlers-Danlos
- Caortazione aortica
- Difetti valvolari congeniti
- Ectasia aortica
- Sifilide terziaria
- Vasculiti
- Sostanze tossiche
- Dislipidemia
- Aorto-sclerosi
- Familiarità
Per tutti i pazienti inclusi in questa lista, è necessario uno screening per dilatazione aneurismatica dell'aorta
ascendente, soprattutto se è associata ipertensione o condizioni strutturali per cui il paziente è a rischio, è
utile effettuare un ecocuore annuale.
I pazienti con sindrome di Turner, per esempio, hanno tessuti estremamente fragili che possono alterarsi.
- La dissecazione di tipo B presentava valori ben diversi. È stata diagnosticata nel 38% con la
valutazione iniziale, molte diagnosi sono fatte post-mortem.
La mortalità è tempo-dipendente, dopo 24h e 48 h si eleva molto. Sono il 2,3% delle morti improvvise.
Ha un incidenza di 1/100.000.
- Il D-dimero non è specifico, anche se si può elevare. Non fornisce aiuto aggiuntivo al clinico.
TERAPIA
- La terapia medica fa solo da ponte all'intervento chirurgico nel tipo A.
Riduce la frequenza e la gittata, per ridurre il più possibile lo stress sulla parete del vaso.
La terapia tenta di prevenire la rottura e il tamponamento, l'insufficienza aortica massiva e la malperfusione
con sindrome compartimentale.
- Si propone, chirurgicamente, di eliminare la lesione, ricostruire l'aorta e correggere il vizio valvolare
associato (insufficienza aortica).
Immagine di repertorio in angio-TC. Si vede che il paziente era già stato trattato dato che si vedono le clips.
I precedenti trattamenti, le procedure interventistiche vascolari, come angio-TC con stent, bypass e protesi
endo-vascolari, elevano il rischio.
La dissecazione aortica è estremamente dolorosa, e il fatto che il paziente non presentasse questo dolore
così forte è stato un elemento confondente.
Sembrava una cosa di tipo più cronico, non acuto.
Nonostante questo, l'ipotesi del versamento pericardico è stata preso in considerazione.
MORBO DI ADDISON
CASO CLINICO
Questa lezione riguarda un caso molto interessante che abbiamo incontrato, anzi uno dei più interessanti
degli ultimi anni.
La storia di questo paziente, maschio di 78 anni, inizia nel 2009. Durante un viaggio all'estero ha un
episodio febbrile con nausea e vomito, prima alimentare poi di liquidi,molto importante tale che il paziente
non riesce nemmeno ad alimentarsi o bere. Oltre a questo quadro presenta un progressivo peggioramento
delle condizioni generali risultando obnubilato e poco reattivo agli stimoli, con un eloquio molto rallentato
e incapace di tenere una stazione eretta. Addirittura viene trovato sdraiato semisvenuto nella sua camera
d'albergo.
All’ esame obiettivo il paziente presenta un polso piccolo tachicardico, con estremità fredde e sudate.
Cosa avreste fatto voi se foste stati il medico dell'albergo all'estero?
Portato in ospedale.
Il paziente viene ricoverato in pronto soccorso dove vengono fatti diversi esami di primo livello: ECG;
pressione (85/60); 37,5 di febbre;
esami del sangue d'urgenza (alterazioni: leucocitosi, elettroliti alterati, glicemia bassa, creatinemia
aumentata); emogas venosa normale; rx torace ( esiti di pachipleurite calcifica, senza lesioni pleuro
parenchimali in atto).
I dati possono essere compatibili con qualcosa di infettivo associato a disidratazione. Di conseguenza viene
somministrata una glucosata ipertonica (due fiale), altri liquidi, una glucosata al 10%, fisiologica con
elettroliti, copertura antibiotica. Nel giro di qualche ora il paziente migliora nei parametri vitali, viene
ricoverato e trattenuto in osservazione.
A questo punto sono importanti i dati di anamnesi: il paziente ricorda gli esantemi infantili, ricorda che
all’età di 13 anni ha avuto una pleurite destra che si è risolta molto lentamente con febbre alta; nel 1980,
cioè a 49 anni, ha avuto un intervento chirurgico al polmone destro per svuotamento di una lesione
ascessuale, in seguito a quel intervento ricorda di avere assunto per un periodo prolungato una terapia a
base di streptomicina ed etambutolo ( indicazione forse per una pregressa patologia specifica).
Il paziente ha avuto un lungo periodo di benessere fino al momento dell'evento acuto non assumeva
nessun tipo di terapia però riferisce che da qualche tempo presentava un aumento della faticabilità , con
ridotta capacità di concentrazione, spesso senso di freddo alle estremità. Aveva quindi fatto degli esami di
controllo recenti su consiglio del medico di base e dei familiari prima della partenza per il viaggio e gli esami
erano tutti normali.
Durante il ricovero il paziente va incontro, nella notte, a una nuova puntata febbrile questa volta più alta
della precedente con la comparsa di un importante stato soporoso, non risponde più gli stimoli esterni (lo
stato di responsività in un ospedale straniero è più difficile da valutare), pressione 70/ 40. I medici,
visitandolo, dicono di aver individuato una sospetta rigidità nucale.
Gli accertamenti utili in questo caso sono: puntura lombare per una sospetta meningite, emocoltura,
controllo pressione, emocromo.
L'emocromo evidenzia: aumento globuli bianchi ,creatininemia ridotta ,sodio basso ma stabile, glicemia
aumentata di poco, la PCR non è tanto aumentata.
Viene eseguita la puntura lombare che si presenta senza alterazione della cellularità, delle proteine o del
contenuto di glucosio e anche l'esame microscopico è negativo.
Due dati non quadrano: il glucosio basso nonostante la soluzione glucosata, la PCR non è aumentata (come
ci si aspetterebbe in caso di una infezione batterica come per esempio una meningite).
Un altro dato importante da valutare, di fronte ad un caso del genere, sono i lattati (sono un indice di
ipoperfusione) che nel caso specifico sono normali.
Il paziente deve essere trasferito in un reparto di terapia intensiva dove vengono eseguiti di nuovo gli esami
culturali (urine, sangue, liquor) che risultano poi tutti negativi, viene posizionato un catetere venoso
centrale (un catetere a 4 vie: 2 per infusione di liquidi, 1 per il prelievo di sangue e una via per la sonda per
misurare la pressione venosa centrale, utile per valutare, di fronte ad una condizione di ipotensione, la
quantità dei liquidi in circolo).
Attraverso questo catetere si comincia ad assistere il paziente con : infusione continua di noradrenalina
(che è la terapia di questa ipotensione) ,somministrazione di liquidi (fisiologica e glucosata per ripristinare
l'equililibrio idrosalino e compensare la tendenza all'ipoglicemia), somministrazione di antibiotici,
monitoraggio della PVC. Viene iniziata la nutrizione parenterale ed inoltre viene posizionato un catetere
vescicale.
Nel giro di tre giorni il paziente migliora nettamente, la pressione ritorna ai valori accettabili, non ha più la
febbre, è più reattivo e vigile, collaborante, risponde agli stimoli, la colture sono negative, la terapia
endovenosa viene sospesa, gli esami tornano tutti nella norma.
Il paziente viene ricoverato di nuova nel reparto di medicina per la diagnosi della causa di questo evento
acuto.
Con questa clinica quali sono gli elementi più importanti da cui partire?
Tra tutte le ipotesi che vengono fatte quella che riesce a collegare gli elementi principali della storia clinica
(ipotensione e ipoglicemia) è l'ipocortisolemia.
In effetti i dati coerenti con il quadro sono l'iposodiemia, l'ipoglicemia e uno stato confusionale in corso di
stress acuto ( in questo caso l'episodio febbrile all'estero) che sono i segni tipici di insufficienza surrenalica
acuta.
Questa si dimostra con il dosaggio di ACTH ( per discriminare l'insufficienza in primaria o secondaria),
cortisolo urinario nelle 24h e aldosterone, ma soprattutto con il dosaggio della cortisolemia dopo test
stimolazione.
Infatti i primi esami risultano nella norma ( se non ACTH leggermente elevato), ma il test di stimolazione
con ACTH-analogo risulta alterato e questo dato è diagnostico per l'insufficienza surrenalica.
Vengono dosati anche gli ormoni tiroidei per escludere un coinvolgimento di altri ormoni ipofisari e un
ipotiroidismo subclinico che potrebbe dare un quadro simile. Quindi si arriva alla diagnosi di Morbo di
Addison.
Il paziente viene dimesso in sesta giornata con una terapia di tipo sostitutivo: Idrocortisone 20mg al mattino
e 10mg la sera (per simulare i picchi fisiologici). Un'altra cosa da valutare è il Fluoroidrocortisone come
associazione che agisce molto sulla pressione e ha minori effetti glucocorticoidei.
Viene consigliato un attento controllo glicemico ed un adeguata idratazione.
Viene esclusa l'eziologia autoimmune con un test specifico che risulta negativo e con ANA test negativo;
l'ipotesi infettiva viene esclusa per mancanza di febbre e colture negative (non è alta la procalcitonina che é
un marker che aumenta fedelmente in corso di infezione batterica); il test alla Tubercolina risulta positivo.
Viene eseguita una Tac: al torace si nota la pachipleurite calcifica; all'addome si nota l'ipertrofia del surrene
di sinistra e il surrene di destra é atrofico e parzialmente calcifico come da esiti di infezione specifica (dal
referto del radiologo).
Il paziente viene dimesso in terapia con Cortone (analogo dell’ Idrocortisone il quale non è in vendita in
Italia) e riprende la sua vita.
Dopo 2 anni (maggio 2011) il paziente fa un viaggio in treno e al suo ritorno presenta febbre alta e dispnea.
Il medico al domicilio somministra un antibiotico e paracetamolo. Nella notte al domicilio la febbre sale
ancora, si presenta uno stato confusionale e ipotensione. Il paziente viene portato in ospedale e ricoverato.
Gli esami indicano una leucocitosi (85% di neutrofili), PCR aumentata con gli altri dati nella norma.
Viene eseguita Rx torace, ECG, emocoltura, urinocoltura, coltura dell'espettorato, ricerca dell'antigene
urinario di legionella e pneumococco (paziente immunodepresso a contatto con l'aria condizionata).
Rx torace: un addensamento a dx più in alto rispetto alla zona della pachipleurite e un addensamento
basale a sx. Questo quadro ci fa pensare subito ad una polmonite. Viene iniziata la terapia antibiotica con
Beta-lattamina e Macrolide. Piperacillina e Tazobactam 4,5g x3 + Azitromicina 1fl.
Questa è una terapia da polmonite nosocomiale e il fatto che sia immunodepresso giustifica l'aggressività.
Inoltre la terapia prevede liquidi con soluzione glucosata e soprattutto adeguamento della terapia
sostitutiva con l'associazione di Metilprednisolone 40mg x2.
Il paziente migliora rapidamente sotto tutti i punti di vista ed in ottava giornata viene dimesso con una
terapia antibiotica con Cefixima (cefalosporina di terza generazione in monosomministrazione orale). La
diagnosi finale è quindi di polmonite a focolai multipli in paziente con Morbo di Addison.
Dopo due mesi di benessere, a partire dai primi giorni di settembre, il paziente presenta un improvviso
peggioramento delle condizioni generali con un quadro prevalentemente di tipo neurologico (i parenti
comunicano una difficoltà ad alzarsi in piedi, a muoversi, e a mantenere l'equilibrio, la palpebra dx non si
solleva e difficoltà nell'articolazione delle parole).
Poi presenta nausea, diminuzione dell'appetito, senza rigore nucale, non è presente tosse e non sono
presenti nemmeno disturbi urinari. I sintomi neurologici depongono per una sofferenza a carico della base
cranica.
Il paziente viene quindi ricoverato.
Gli esami sono sostanzialmente normali.
Esegue Tac addome e torace.
La visita neurologica indica deficit di coordinazione ma non di forza, disartria, nistagmo, Romberg positivo e
conferma una sofferenza a carico della base cranio da valutare con Tac. La TAC encefalo risulta negativa per
segni di ischemia che giustifichino il quadro.
Il paziente effettua anche il Quantiferon che risulta molto positivo. Il paziente viene idratato, riceve una
terapia antibiotica aspecifica e chiede di essere dimesso e viene programmata una RM encefalo e
rivalutazione neurologica.
Dopo 4 giorni il paziente peggiora nuovamente e nella notte del 25 settembre presenta un nuovo episodio
febbrile. Per questo motivo viene ricoverato di nuovo e fa una Tac addome e torace e una Tac encefalo che
indica un quadro di edema non presente in precedenza. Viene eseguita l'Angio-RM che non evidenzia
lesioni ischemiche.
Viene poi eseguita la RM con mdc.
Il mezzo di contrasto cambia radicalmente la situazione: quello che si vede sono numerose lesioni nella
base cranica, molto più diradate negli emisferi.
Il radiologo dice:
“Dopo somministrazione di m.d.c. si evidenziano numerosissimi tondeggianti foci di presa di contrasto
patologici di aspetto nodulare, omogenei e a bersaglio, distribuiti in più sedi, tra cui bulbo, ponte,
mesencefalo, emisferi cerebellari, talamo, corpo striato… del diametro massimo di circa 7-8 mm.
Concomita dubbio enhancement leptomeningeo in sede bulbare”
Cioè tutto appare dentro al cervello, molto poco l’interessamento delle meningi, forse a livello bulbare.
Questa alterazione si trova forse anche a livello del midollo allungato e anche del midollo spinale all’altezza
di C1-C2-C3-C4-C5-C6….è completamente impallinato!
Quindi che cosa facciamo a questo punto? Che cosa fareste? Scatenatevi!
- Antitubercolari via liquor
Direttamente intra liquor! Quindi fai una diagnosi di encefalite tubercolare. Ok.
- Rachicentesi
Prima cosa: stiamo correndo in maniera sbagliata secondo me, non so se siete d’accordo. Noi dobbiamo
imparare un metodo ed è difficile mettersi questa cosa nella testa. Bisogna cercare di non avere pregiudizi
ma di mettere in tasca tutte le cose che abbiamo per arrivare a una diagnosi. La prima cosa fondamentale è
che quest’uomo con questa storia estremamente complicata viene dentro per un problema cerebrale e
scopriamo che ha un impallinamento cerebrale e del midollo.
- io penso che magari potrebbero essere degli emboli settici perché il paziente si sia rifatto una
polmonite.
Cos’è che non ci sta con questo?
Non è un caso che ti abbia fatto vedere il caso di polmonite prima. La volta precedente che lui si è fatto la
polmonite aveva tutti i dati di una polmonite: la PCR alta, la leucocitosi, la febbre, mentre qui la febbre non
c’è e la PCR è normale. E’ vero che è sotto cortisone ma lui fa il suo dosaggio normale, sostitutivo.
E’ un’altra idea però il torace è negativo e proprio per questo dice facciamo un’altra TC.
Quindi l’infezione è probabile o no? PCR normale, non ha febbre, se avesse un impallinamento di quel
tipo lì…cavolo!
Tu quale esperienza hai in merito? Nulla! Quello che leggo. Deve essere un’idea, visto che abbiamo a
disposizione una cosa che abbiamo a disposizione una cosa che si chiama internet, vai a controllare e poi
magari dici: a me tubercolosi non sembra perché raramente da un quadro di questo tipo.
Altre idee?
- Tante piccole emorragie cerebrali
Va bene. Ma cos’è che non ci sta? Queste numerose lesioni sono tante, piccole e a margini ben delimitati.
Un’emorragia ha quel quadro lì?
- Cisticercosi
- Neuro toxoplasmosi. Lui non ha i gatti, li aveva una volta
- Aspergillosi
- Pneumocistis carinii
- Istoplasmosi
- Criptosporidium
- Criptococcus neoformans
- Poi tutti i virus:
- HSSV 6, HSSV 8
Quindi considerata l’ipotesi infettiva, quando abbiamo chiamato l’infettivologo, lui è andato in brodo di
giuggiole e ha dato tutta una sfilza di esami da fare che non vedeva l’ora e noi li abbiamo fatti tutti
ovviamente.
Ricapitolando ipotesi infettiva: ipotesi tubercolare ok, ma ci sono altre opzioni da considerare.
Il paziente è da considerare immunodepresso, si?
- Sclerosi Multipla
Cosa ne dite di una SM?
- Magari in passato, prendendo il cortisone l’ha sempre tenuta controllata ed è progredita quindi
asintomatica.
La sclerosi multipla in Risonanza da delle lesioni ipo- o ipercaptanti?
- Dipende dal grado di attività.
Ok. Ma di fronte ad un quadro del genere non ne troviamo neanche una in fase attiva? E’ un’ipotesi, giusta,
ma non la metto tra le più probabili.
- Forse per il fatto che sono perfettamente rotonde, non mi farebbe pensare a una vasculite.
Ok, non ti farebbe pensare come prima cosa a una vasculite, ma capisci che è un’ipotesi a cui pensare.
C’è almeno un’altra cosa che devi venirvi in mente.
- per quanto riguarda l’ipotesi vascolare, la PCR non dovrebbe essere mossa.
Effettivamente i valori (0.81) ci consentono di scartare l’ipotesi vasculitica.
Poi? Non vi viene nient’altro in mente? Che dite di un linfoma?
Dovete pensare anche ad un linfoma cerebrale.
Quindi siamo in fase di diagnostica differenziale, teniamo ben conto della storia del paziente, ma dobbiamo
fare la diagnosi di queste lesioni.
E’ certo che queste lesioni sono la causa della sintomatologia attuale del paziente? Assolutamente sì,
considerate la sede e la clinica non c’è alcun dubbio, ok?
Quindi teniamo presente la clinica, il quadro neurologico progressivo, non acuto, i vasi sono indenni e ci
sono pochi segni di flogosi, la TC total body recente è negativa.
Se ci fosse un tumore o una massa che provoca delle metastasi anche di un microcitoma si troverebbe
qualcosina con la TC. E l’ha fatta la settimana prima.
Quindi cosa parte? Partono tutti gli esami, anche se il radiologo ci aiuta molto.
Il radiologo infatti non ci descrive solo quelle cose lì ma si sbilancia.
Perché in casi del genere non si fanno solo gli esami, ma ci si parla: e quando il medico di Medicina Interna
comunica con l’infettivologo e con il Neuro radiologo spesso si arriva a pensarla giusta.
Il radiologo un po’ influenzato dai nostri discorsi dice che “i reperti sopra descritti sono di non univoca
interpretazione. Possono essere riferibili in prima ipotesi a patologia infettiva, parassitaria o fungina, non
escludibile una disseminazione miliare di TBC. Meno probabile una natura sostitutiva.”
L’ipotesi di una neoplasia è scartata completamente da radiologo.
“Comunque risultano necessari ulteriori esami laboratoristici e strumentali”
La diagnosi ancora noi in tasca non ce l’abbiamo e non c’è tempo da perdere perché questo paziente qua se
continua così tra un po’ potrebbe peggiorare gravemente.
Qual è un esame meno invasivo di quello che si pensa che potrebbe comunque darci delle notizie sul nostro
paziente?
- Biopsia dell’arteria temporale?
Sì, se pensi a una vasculite cerebrale come per esempio ad una arterite temporale di Horton complicata,
oppure ad una granulomatosi di Wegener, giusto per dire qualche nome. Si potrebbe fare una cosa così.
Bene
- con una broncoscopia si potrebbe…
- Un BAL
Un BAL cioè questo paziente ha questa storia, questa TC, ha questi dati. Ha un fungo? Non lo sappiamo, ma
il polmone è proprio così indenne? Perché in fin dei conti nessuno lo ha mai studiato.
Gli facciamo il lavaggio bronco alveolare: il BAL è un esame che può essere fatto al letto del malato. Infatti
lui fa un BAL al letto con ricerca di micobatteri, di nuovo miceti filamentosi, Pneumocistis carinii, Nocardia,
tutto quello che viene in mente all’infettivologo.
Che cosa salta fuori?
“Il BAL è positivo per lo Ziehl Neelsen ma è positivo per auranina-rodanina. All’esame colturale è positivo
per il Micobacterium Complex” quindi c’è una diagnosi positiva per una TUBERCOLOSI. La tubercolosi è
presente dentro al polmone in questo momento quindi in fase probabilmente attiva.
Tutte le altre sierologie risultano negative, l’autoimmunità è negativa e tutti i marcatori neoplastici sono
negativi.
La cosa interessante dal punto di vista epidemiologico è che questi micobatteri che vengono isolati dal BAL
sono sensibili a tutto: questo dato perché è importante? Perché probabilmente stanno a significare che
sono vecchi. Questa è l’interpretazione che è stata data con l’infettivologo, cioè quel famoso “sbatacchio”
che abbiamo visto prima era forse un segno iniziale di riattivazione di malattia tubercolare che è passata nel
polmone e forse è successivamente andata a livello cerebrale. I micobatteri moderni sono in genere
resistenti ad un solo dei farmaci antitubercolari, mentre quelli più vecchi sono frequentemente sensibili a
tutto, il che ci piace.
Che cosa facciamo allora a fronte di questa clinica, a fronte di questa storia, a fronte di questa situazione il
malato che fine fa? Dove va il malato? Rimane in Medicina Interna?
In seconda giornata, perché siamo in un paese strano: lui arriva Domenica mattina, noi facciamo tutti gli
esami e nel primo pomeriggio facciamo la RM con mezzo di contrasto. Il risultato dato dal mezzo di
contrasto attiva l’universo, al Lunedì’ mattina abbiamo fatto il BAL, al Lunedì pomeriggio abbiamo il
risultato con isolamento colturale di Micobatteri e al Lunedì sera il paziente viene trasferito in Malattie
Infettive.
Viene messo in Isolamento, è un paziente con la tubercolosi; viene messo un Catetere Venoso Centrale,
viene messa una nutrizione parenterale.
Tutto a dosaggio molto alto, perché l’ipotesi diagnostica è quella di una encefalite, o meglio considerando
che è interessato anche il midollo, ENCEFALOMIELITE DI ORIGINE TUBERCOLARE DI TIPO MILIARE. Il
dosaggio è molto elevato perché i farmaci devono passare quell’accidente della barriera ematoencefalica.
Se anche noi glieli spariamo dentro al liquor come suggeriva qualcuno di voi - perché evidentemente è un
accesso semplice che non da nessun tipo di problema, che possiamo fare tutti i giorni tranquillamente –
oppure gli mettiamo anche una derivazione come dice lui….
In più dobbiamo associare un’altra terapia molto importante, la terapia anti edema cerebrale: il paziente
deve fare.
- Desametasone
- Mannitolo
Il Desametasone è 25 volte più potente dell’Idrocortisone quindi lui con questa terapia si spara dei livelli di
Cortisone mostruosi perché in questo caso oltre a sostituirgli, direi egregiamente la sua insufficienza
surrenalica, lui deve avere anche l’effetto anti edema cerebrale perché probabilmente l’edema cerebrale è
legato alla situazione infiammatoria e questi Micobatteri, seppur non elevino molto la PCR, causano
comunque un effetto infiammatorio di edema cerebrale.
E, infatti, nel giro di 10 giorni il malato migliora tantissimo, tanto che riprende di nuovo conoscenza, questo
è un malato che rinasce ogni volta, ricomincia a fare le sue parole crociate, ricomincia a muoversi a
mangiare e finalmente poi viene dimesso.
2 cose vi volevo aggiungere: un malato di questo tipo deve fare dei controlli costanti di funzionalità renale
ed epatica perché i farmaci che fa causano un alto rischio di colestasi. La rifampicina è colestatico,
l’isoniazide è epatotossica, l’amikacina è nefrotossica, quindi è un malato che deve essere attentamente
monitorato.
Però, perché c’è un però, noi la diagnosi non l’abbiamo ancora fatta, la diagnosi è presuntiva basata su tutta
una serie di valutazioni cliniche e di dati di laboratorio, non abbiamo fatto una biopsia cerebrale, non siamo
andati a prendere l’agente eziologico: comunque sta facendo una terapia anti edema cerebrale che
comunque è una terapia sintomatica. La domanda è: è la terapia anti edema cerebrale che sta facendo
effetto o è la terapia antitubercolare? Perché comunque nessuno fa la puntura lombare e nessuno fa la
biopsia cerebrale, tanto meno.
La fanno solo quelli di Dottor House, dove tra l’altro le fanno gli specializzandi o addirittura quelli del sesto
anno, senza problemi…..
Cosa facciamo quindi molto importante? Il controllo della Risonanza a due settimane.
Il controllo della Risonanza a due settimane si commenta da se’: prima dopo
Quindi mi sembrava che il titolo Complicanze fosse giusto perché la tubercolosi ha provocato il Morbo di
Addison, il Morbo di Addison ha determinato una crisi surrenalica acuta, ha facilitato l’istaurarsi di una
polmonite e probabilmente questa terapia di cortisone va e vieni, va e vieni, ha facilitato la riattivazione
della Tubercolosi che non è andata a finire nel polmone, ma è andata a finire nel cervello.
La terapia con cui viene dimesso il paziente è terapia a 5 farmaci per os, che poi diventa a 4 perché
l’Amikacina viene sospesa dopo un mese, il Desametasone va a scalare progressivamente e poi dovrà fare
un controllo della RM a due mesi quindi magari poi vi saprò dire com’è finita e poi ovviamente dei controlli
di funzionalità epatica e renale.
Quali problemi ci possono essere, in questo paziente, in questa fase? Il paziente è a casa adesso.
- La compliance
La compliance è molto importante perché deve prendere tante medicine, che possono dargli fastidio allo
stomaco, che può dimenticare…poi cos’altro?
- I familiari non devono assumere una profilassi?
- Gli effetti di tutti i farmaci.
- Esiti
- La contagiosità
Sta facendo la terapia e i familiari fanno la profilassi
Questo malato non è considerato contagioso, anche se fa la terapia perché non tossisce, non espettora e
non ha delle caverne. Capito? Abbiamo trovato dei batteri nel BAL, forse li abbiamo trovati in tempo, prima
che facesse delle caverne. Se fosse sopravvissuto e non avesse avuto il problema cerebrale magari fra un
anno, veniva dentro con tutta un’altra problematica. Vedete come è paradossale la Medicina. Però non è
infettivo, tanto è vero che lui va a casa dopo essere uscito dall’isolamento, dopo 20 giorni che fa terapia. In
ogni caso i parenti fanno lo screening con la Tubercolina e sono tutti negativi. Essendo tutti negativi,
compresi i nipoti, è chiaro che la situazione è del tutto tranquillizzante.
Le complicanze neurologiche a medio termine: questo tipo di malati, essendo interessata la base cranica
possono, se non vengono trattati in maniera adeguata, possono sviluppare un idrocefalo (e allora si che
facciamo la derivazione) perché se la tubercolosi guarisce facendo una fibrosi chiude le cisterne della base
cranica. Sapete che lì c’è il liquor che viene prodotto e riassorbito per poi passare nei forami Luska e di
Magendie.
Diciamo che lui facendo il cortisone dovrebbe prevenire questa cosa, grazie all’effetto antiinfiammatorio.
Il problema della terapia a scalare dello steroide: lo steroide deve essere calato lentamente, molto
lentamente in questo malato in particolare, perché stiamo passando da uno steroide con un potere 25
volte più forte ad uno che vale 1. Dobbiamo fare uno scalare progressivo.
Controllare che i farmaci non abbiano effetto dannoso per il fegato e i reni.
Il diabete mellito è una sindrome cronica dovuta a carenza assoluta o relativa di insulina, associata a gradi
variabili di resistenza all'azione dell'insulina stessa da parte dei tessuti periferici e caratterizzata da
alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e proteico.
Non va dunque considerato il diabete come una malattia del solo metabolismo glucidico, difatti un
famosissimo ricercatore americano, Mc Kerry, diceva che il diabete è una malattia del metabolismo dei
grassi accompagnata da un aumentato livello di glucosio nel sangue, tutto questo per dire che si tratta di
una malattia che abbraccia a 360° tutte le alterazioni metaboliche.
Il diabete ha una prevalenza enorme, forse si tratta della malattia cronica più prevalente, in Italia e non solo
nel 2005 si aggirava intorno al 8% della popolazione
generale.
A destra è rappresentato il trend per le fasce di età,
questo argomento verrà poi ulteriormente approfondito
durante le lezioni di geriatria. È comunque evidente che
per quanto riguarda il DM di tipo II si tratti di una malattia
delle età più avanzate.
Altro concetto importante è che l’incidenza e la
prevalenza del diabete sono in continuo aumento con un
trend globale e che interessa le nazioni occidentali (stati
uniti, europa, giappone), ma che si prevede avrà un andamento esplosivo anche nei paesi in via di sviluppo
come africa, asia e oceania.
Classificazione:
16. Tipo 1
–A) Immuno-mediato
–B) Idiopatico
caratterizzato principalmente da un deficit di insulina
17. Tipo 2
–Con insulino-resistenza predominante (probabilmente si tratta del primum movens)
–Con deficit di secrezione insulinica predominante (necessaria affinché la malattia abbia la sua espressione
fenotipica)
18. Altri tipi specifici
19. Diabete gestazionale
Criteri per la diagnosi:
53. Sintomi classici (poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale…) + un occasionale valore di
glicemia ≥ di 200 mg/dl
oppure
54. Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl*
oppure
55. Glicemia alla 2a ora del test orale di tolleranza glucidica (OGTT) ≥ 200 mg/dl*
57. HB glicata > 6,5%
Il 126 non è un valore casuale, ma corrisponde a 7 mMol di glucosio (il cui peso molecolare è di 180), così
come 80 mg/dl corrisponde a 5 mMol.
Criteri diagnostici per il diabete gestazionale (li lascia per farci un piacere, ma non li illustra):
22. Sintomi classici (poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale…) + un occasionale valore di
glicemia > di 200 mg/dl
• oppure
23. Glicemia a digiuno > 126 mg/dl*
• oppure
24. Presenza di due o più delle seguenti alterazioni al test orale di tolleranza glucidica (OGTT)
effettuato con 100 g di glucosio*:
–glicemia basale ≥ 95 mg/dl
–glicemia alla 1a ora ≥ 180 mg/dl
–glicemia alla 2a ora ≥ 155 mg/dl
–glicemia alla 3a ora ≥ 140 mg/dl
Fattori predisponenti:
Per riassumere: esiste sicuramente una predisposizione di tipo genetico, il più delle volte si tratta di
analizzare e dosare una positività per autoanticorpi che possono portare alla distruzione della cellula
pancreatica e nel tempo all’ iperglicemia.
Sebbene relativamente raro (non più del 10% di tutte le forme di diabete tipo 1), colpisce con una certa
frequenza pazienti di origine africana o asiatica.
Ha le stesse caratteristiche chimiche e biochimiche del DM tipo IA, è presente insulinopenia e c’è tendenza
alla chetoacidosi, ma manca evidenza documentabile di autoimmunità. Probabilmente dipende dal fatto
che non si conoscono ancora i determinanti antigenici che determinano la risposta immunitaria.
Terapia DM tipo I:
Misure non farmacologiche per il trattamento del diabete: importanza soprattutto per il DM di tipo II
La dieta ha un ruolo fondamentale nel trattamento del diabete e della sindrome metabolica
Quantità e qualità degli alimenti influiscono sul peso corporeo e sul metabolismo glucidico e lipidico, con
effetti determinanti sul controllo del diabete, delle complicanze vascolari e della spettanza di vita.
-Devono rappresentare il 50-60% del fabbisogno calorico giornaliero come nella dieta di una persona
normale
-Sono da preferire alimenti a basso indice glicemico (carboidrati complessi come gli ademi, pane e pasta)
e/o ricchi in fibre; evitare gli zuccheri a rapido assorbimento
-Se il controllo glicemico è soddisfacente, e in assenza di obesità o ipertrigliceridemia, può essere
consentito l’uso di saccarosio in quantità limitata.
2. i grassi
-Devono rappresentare non più del 30% del fabbisogno calorico giornaliero (simile all'apporto consigliato
alla popolazione generle), di cui 1/3 costituito da grassi saturi (prevalentemente animali), e il rimanente da
altri grassi , fra cui da preferire i monoinsaturi (olio d’oliva) che vanno comunque assunti in quantità
limitate
-Il colesterolo dovrà essere assunto in quantità non superiore a 300 mg/die
3.sale ed alcool
-limitare il sale a meno di 6gr/die, parleremo anche del controllo della pressione arteriosa
-accettabile un consumo moderato di alcool ( 10gr/die nelle donne e 20gr/die negli uomini)se non sono
presenti patologie associate che ne controindichino l'uso come sovrappeso, ipertrigliceridemia, epatopatia
steatosica.
INSULINA
Actraphane 30
Premiscela
te
Humulin 30/70
La nefropatia diabetica è la principale causa di insufficienza renale cronica nella popolazione generale
La sua incidenza cumulativa a 25 anni dall’insorgenza del diabete è del 30-40%. Chi non ha sviluppato
nefropatia diabetica dopo 25 anni di diabete difficilmente la svilupperà in seguito perché ha sviluppato dei
meccanismi protettivi oppure perché geneticamente è avvantaggiato.
La nefropatia diabetica, nelle sue varie fasi, è un fattore di rischio di notevole importanza per malattia
cardiovascolare, di 2-3 volte più frequente nei pazienti diabetici con danno renale. La manifestazione
diabetica non coinvolge il rene solamente mediante l'interessamento glomerulare (la manifestazione
classica in questo caso è la Glomeruosclerosi Nodulare o Sindrome di Kimmelstiel e Wilson i cui si assiste ad
un accumulo di mucopolisaccaridi), ma interessa in minor modo la struttura midollare del rene (Necrosi
Papillare Acuta) e infine la Pielonefrite Acuta.
La neuropatia diabetica colpisce il 20-50% dei pazienti diabetici con durata del diabete maggiore di 15 anni.
Può interessare il sistema nervoso somatico provocando disestesia e dolore e/o quello autonomico,
interessa i vasa nervorum. Tra le conseguenze della neuropatia autonomica si segnalano l’ipotensione
ortostatica, la gastroparesi e l’impotenza.
Il piede diabetico è una complicanza soprattutto nel DM di II tipo, rientra comunque nelle complicanze
microangiopatiche. Combinazioni varie di neuropatia periferica e macroangiopatia contribuiscono alla
comparsa del piede diabetico che rappresenta la causa più comune (30%) di ospedalizzazione. Ulcere
trofiche del piede si sviluppano nel 7-15% dei pazienti diabetici.
EFFETTI DELLA PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE
I dati che ci presenta sono quelli del DCCT trial, molto importante e forse i primo trial che ha documentato il
beneficio clinico che può apportare la terapia intensiva insulinica. Questo studio ha confrontato un regime
di terapia convenzionale con un regime di terapia insulinica, in primo luogo si osserva come la Hb glicata si
mantenesse tra gli 8 e i 9 tra i pazienti trattati con terapia convenzionale e rimanesse intorno ai 6 tra i
pazienti trattati con regime intensivo. Nel trattamento intensivo inoltre si riscontravano livelli medi di
glicemia più bassi e oscillazioni della glicemia molto minori.
Il DCCT trial ha dimostrato in modo inequivocabile che il trattamento intensivo riduce e rallenta le
complicanze diabete, in special modo quelle microangiopatiche. Per esempio sia la incidenza che la
progressione della retinopatia sono sensibilmente ridotti nei pazienti che ricevevano l'insulina a regime
intensivo; ugualmente si osservano miglioramenti per la nefropatia (riduzione dell'albuminuria e della
microalbuminuria) e per la neuropatia diabetica sia dal punto di vista clinico (esame neurologico ed esame
della disautonomie) che strumentale (conduzione nervosa).
La prima stesura di questo studio risale al 1993, è stata poi riproposta nel 2000 andando a verificare lo stato
di salute dei pazienti a distanza di anni, valutando quale terapia avessero assunto a termine del primo trial
in accordo con il medico curante. Si è visto che gli effetti benefici che erano emersi alla fine del primo trial si
mantenevano anche a distanza di 4 anni dalla conclusione dello studio; questo per dire che l'efficacia di una
terapia protratta per 4-5 anni si riverbera anche negli anni successivi. Il messaggio è che c'è un memoria
del tipo di trattamento effettuato. Un altro studio che è uscito dalla casistica del DCCT e dalla casistica
successiva ha preso in esame lo spessore medio intimale sempre in pazienti diabetici di tipo I, questo studio
è la riprova che la distinzione tra complicanze microangiopatiche tipiche del DM tipo I e macroangiopatiche
più peculiari del DM tipo II non è da prendere alla lettera. Lo spessore medio intimale è un indice
prognostico importante per la predisposizione a sviluppare infarti o ictus; la prima osservazione che fa
questo trial è la differenza di spessore intimale tra pazienti diabetici e non sia negli uomini che nelle donne
a prescindere dal distretto analizzato (carotide comune o carotide interna). Il valore di intima media
thickness che si considera significativo al fine di un iniziale interessamento ateromasico è di 0,7mm di
spessore. Lo studio ha dimostrato che negli stessi sottogruppi di trattamento (intensivo vs convenzionale)
c'è un più lento peggioramento ateromasico; addirittura il dato combinato carotide comune carotide
interna sembra avvallare l'ipotesi che i soggetti in trattamento intensivo potessero avere una regressione
dello spessore intimale. Quindi la terapia intensiva insulinica è utile non solo nella prevenzione delle
complicanze microangiopatiche, ma anche come prevenzione di un marcatore che possiamo considerare
surrogato bensì affidabile di patologia dei grossi vasi.
ella metanalisi riportata sotto si riportano le evidenze dei vantaggi tra gli analoghi ricombinanti rapidi
rispetto l'insulina regolare, non tutti gli studi sono però concordi nel dire questo.
Un altro studio ha analizzato l'efficacia dell'insulina glargine associata alla lispro in un tria cross over di
pazienti con DM tipo I in cui lo stesso paziente utilizzava prima le insuline ricombinanti poi quella regolare o
viceversa. L'evidenza è che il controllo sia molto migliore con le insuline ricombinanti.
Un altro aspetto importante è quello della safety: l'analogo ricombinante proprio in virtù della sua breve
durata d'azione espone meno al rischio ipoglicemico post-prandiale tardivo, tra le insuline lete invece la
glargine sembra che induca meno ipoglicemie rispetto alle altre insuline lente o classiche. Per stabilire tutto
questo sono state confrontate le varie insuline in funzione di ipoglicemia sintomatica, notturna e severa.
In un altro lavoro ci si chiede se tutti i pazienti con DM tipo I e microalbuminuria dovrebbero ricevere
terapia con ACE inibitore indipendentemente dai valori di pressione arteriosa. Ci sono alcune evidenze che
in questi pazienti gli aceinibitori siano in grado di ridurre la progressione della nefropatia. Ci sono evidenze
che un altro tipo di terapia utilizzando i sartani (candesartan) impattando sul sistema RAAS possa prevenire
in maniera diretta o limitando la progressione della retinopatia, non però in modo molto eclatante.
Il messaggio è che anche nei pazienti non ipertesi farmaci che agiscano sul sistema RAAS possono prevenire
complicanze microangiopatiche non solo a livello renale, ma anche in altri distretti.
TENTATIVI DI PREVENZIONE DEL DM TIPO I
Un dei farmaci che stato utilizzato in prevenzione è la nicotinamide per il suo supposto effetto
immunomodulante, purtoppo però non ha dato dei risultati promettenti, l'andamento del paziente che
assume la nicotinamide infatti è assolutamente sovrapponibile a quello che assume il placebo.
Un altro tentativo è
stato fatto con
l'insulina per os: in
pazienti che abbiano
livelli particolarmente
elevati di
autoanticorpi anti
insula e un rischio a
priori elevato
l'effetto protettivo
sembra essere reale
ed importante.
Riassumendo gli
approcci del DM tipo
I si possono
scolasticamente
individuare in
prevenzione della
perdita della cellula e nella rigenerazione-mantenimento della popolazione delle cellule beta
pancreatiche (tra queste citiamo anche il trapianto di isole e di cellule staminali), poi ci sono altri approcci
meno incoraggianti con l'insulina e la nicotinamide. Infine ci sono farmaci come i DPD4 che iniziano ad
essere utilizzati adesso di cui ci parlerà la prossima volta, sono farmaci che agiscono sulla via del glp1 e
sembrano avere n azione protettiva proprio sul pancreas.
Nel 2010 è uscito uno studio (studio SHARP) che ha considerato l’associazione Ezetimibe + statina in
pazienti con insuffienza renale cronica, ossia pazienti che hanno un elevato rischio cardiovascolare.
Confrontando soggetti che ricevono solo la terapia usuale di supporto con i soggetti che ricevono
Sinvastatina 20mg + Ezetimibe 20mg, si vede che c’è stata una differenza significativa in termini di riduzione
di eventi cardiovascolari importanti.
Andando a vedere i sottogruppi degli eventi indagati, si riducono soprattutto gli strokes (ictus di tipo non
emorragico) e quelli correlati alle procedure di rivascolarizzazione; la significatività è invece minore per gli
eventi coronarici presi da soli, comunque nel complessol’end point cumulativo è a favore di un beneficio
se si assume Ezetimibe + statina.
!!!!! Vi sono delle indicazioni inoltre in cui l’Ezetimibe può essere usata da sola: si tratta di pazienti che
hanno avuto intolleranza a tutti i tipi di statine ( se abbiamo un paziente che è intollerante ad una statina di
solito se ne prova un’altra con un diverso profilo farmacologico).
Resta il fatto che l’impiego migliore dell’Ezetimibe resta quello in associazione con le statine.
Tra i farmaci a nostra disposizione e in particolare tra quelli più nuovi citiamo anche la NIACINA.
La niacina agisce a livello dei recettori dell’acido nicotinico in diversi tessuti; l’acido nicotinico in realtà è
un vecchio farmaco ipolipemizzante, ma è gravato da degli effetti collaterali importanti che ne precludono
un ampio utilizzo.
L’acido nicotinico vede il suo punto d’attacco nel recettore GPR 109A, che è un recettore accoppiato ad un
inibitore della protein chinasi, la cui funzione è quella di ridurre i livelli di AMPc (AMPc è un potente
attivatore delle lipasi ormono-sensibili; di solito i livelli di AMPc aumentano in caso di stimolazione da parte
di catecolamine e glucagone); per effetto invece dell’interazione della Niacina con il recettore dell’acido
nicotinico, diminuiscono i livelli di AMPc e di trigliceride lipasi, quindi si riduce la mobilizzazione degli acidi
grassi dai tessuti periferici al fegato.
Lo svantaggio però è che il recettore dell’acido nicotinico, oltre a trovarsi nelle cellule metabolicamente
attive lo possiamo trovare anche a livello delle cellule dendritiche e dei macrofagi della cute; in queti
tessuti, per effetto dell’acido nicotinico, vengono rilasciate delle prostaglandine (PGE2 e PGD) che
interagiscono a loro volta con dei recettori specifici e inducono una vasodilatazione importante.
Il motivo per cui la Niacina non ha mai avuto un impiego vasto in medicina clinica è proprio la elevata
incidenza di effetti collaterali di tipo cutaneo.
La niacina, oltre agli effetti diretti
sulla trigliceride lipasi e quindi
mediati dalla mobilizzazione di
grassi verso il fegato, ha anche la
capacità di attivare i
trasportatori ABCA1 (i
trasportatori ABCA1 sono quelli
che mediano il trasferimento di
colesterolo dalle cellule
perifierche alle LDL).
In altre parole, l’attivazione del
trasportatore ABCA1 significa
aumentata mobilizzazione di
colesterolo dalla periferia alle
HDL, vuol dire aumento dei livelli
di colesterolo HDL, ossia del
trasporto inverso del colesterolo dalla periferia al fegato.
RIASSUNTO DEGLI EFFETTI DELLA NIACINA SUL METABOLISMO DELLE LIPOPROTEINE:
– Inibizione parziale del rilascio degli acidi grassi liberi da parte del tessuto adiposo, con
conseguente riduzione della sintesi di TG a livello epatico
• La ridotta sintesi di TG diminuisce la sintesi di VLDL, precursore del C-LDL, e in
ultima analisi riduce il C-LDL
– Inibizione della sintesi dell’apo B, che è necessaria per la formazione delle particelle VLDL
e aumentato catabolismo delle VLDL
– Trasformazione della dimensione delle particelle LDL, da particelle piccole e dense a
particelle grandi e galleggianti
– Ridotta estrazione e catabolismo dell’apo A-1 dal C-HDL, con preservazione di struttura e
funzionalità proprie delle particelle C-HDL
– Attivazione dell’espressione del trasportatore di membrana del colesterolo ABCA1
Di fatto tutto questo si traduce in un effetto ipolipemizzante, in un calo del colesterolo LDL e dei trigliceridi
e delle VLDL; infine determina un significativo aumento delle HDL, che sono quelle che rivestono un ruolo
protettivo importante.
NB: nella diapositiva ABCA1 è l’effettore del trasporto del colesterolo dalla periferia alle HDL.
Ci sono alcuni studi che suggeriscono come l’associazione della Niacina ad una terapia con statine, possa
indurre una ulteriore protezione contro gli eventi cardiovascolari. La niacina, che è disponibile in
commercio con il nome commerciale di Tredaptiv e non è rimborsabile dal SSN, molto raramente si usa
come terapia di prima scelta e in monoterapia, ma si potrebbe proporre come terapia di associazione ad
una statina in un paziente che non raggiunga con la sola statina i target adeguati o che mantenga dei livelli
di HDL eccessivamente bassi.
Concludiamo l’argomento delle ipercolesterolemia con l’ultima categoria di FARMACI CHE AGISCONO SU
CETP (Colesteril esther transfer protein).
In condizioni normali CETP catalizza gli scambi lipidici tra le HDL e le VLDL: scambiando colesterolo
estrificato dalle HDL alle VLDL e scambiando trigliceridi dalle VLDL alle HDL.
L’effetto della CETP rende le HDL un po’ meno efficaci perché le impoverisce di colesterolo, quindi in linea
teorica dovrebbero ridurre il trasporto inverso del colesterolo dalla periferia al fegato e dall’altro arricchisce
le HDL in trigliceridi (e di conseguenza queste HDL ricche in trigliceridi vengono delipidizzate in maniera
patologica e possono diventare troppo piccole e troppo dense).
→ Per questo si è pensato di inibire CETP in modo da consentire un aumento delle HDL e una diminuzione
del rischio cardiovascolare.
Dal punto di vista qualitativo le HDL che aumentano sono le HDL “larghe”, senza un corrispettivo aumento
delle HDL “piccole” che sono quelle con un minore effetto protettivo dal punto di vista cardiovascolare.
In definitiva quindi il Torcetrapib determina un aumento in senso quantitativo e un miglioramento in senso
qualitativo del profilo delle HDL.
Per questo ci si aspettava da questo farmaco un effetto protettivo importante sugli eventi cardiovascolari e
sulla mortalità, ma nel 2007 è uscito un lavoro che è andato a misurare in termini di eventi quello che
succedeva dando il Torcetrapib a pazienti che avevano un alto rischio di eventi cardiovascolari: il trial è
stato interrotto prematuramente perché si aveva addirittura un aumento del rischio di morte ed eventi
cardiaci in pazienti che ricevevano questo farmaco, nonostatnte un aumento signifcativo dei livelli di HDL!
Insomma, la modificazione del profilo lipidico è stata come ci si attendeva e in senso migliorativo, ma si è
visto questo outcome negativo sulla sopravvivenza, probabilmente legato agli effetti del Torcetrapib sui
livelli di pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, e in modo corrispondente legato ad una riduzione
dei livelli di potassiemia e un aumento dei livelli di sodiemia.
Adesso, siccome la sperimentazione del Torcetrapib è stata interrotta, si stanno sperimentando nuove
molecole, come ad esempio il Dalacetrapib, per vedere se molecole diverse possono mantenere lo stesso
effetto di classe sulla inibizione delle CETP, senza gli effetti sgraditi sulla potassiemia e sulla pressione
arteriosa.
Di seguito sono descritti alcuni sistemi che consentono l’identificazione del rischio.
24. Età
25. Colesterolo totale
26. HDL
27. Pressione arteriosa sistolica e diastolica
28. Diabete
29. Fumo
Sommando i vari punteggi si ottiene un valore che, convertito in percentuale, esprime il rischio cioè la
probabilità del soggetto di incorrere in un evento cardiovascolare nei successivi 10 anni.
80
diabetico che ha già
60
avuto un infarto. Sono
rispettivamente queste
40 due linee colorate qua
Non diabetici senza precedente IMA
Diabetici senza precedente IMA nel mezzo, in alto il
20 Non diabetici con precedente IMA paziente non diabetico e
Diabetici con precedente IMA non cardiopatico,
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8
Anni
Haffner SM et al., N Engl J Med 1998; 339: 229-34
ovviamente se il paziente ha la sfortuna di essere diabetico e anche già cardiopatico e infartuato il rischio di
morire di complicanze cardiovascolari è estremamente elevato.
Questo ha portato a
definire il concetto di
diabete come equivalente
di malattia
cardiovascolare. Quando
il medico tratta un
paziente per molti versi si
appoggia a questo
assioma, che può avere
anche degli aspetti
discutibili, però è
abbastanza accettato che
il paziente diabetico sia
un paziente a rischio
elevato.
Questo concetto è anche recepito da quelle che vanno sotto il nome di carte di rischio (si utilizzano e ci
confronterete anche voi ben presto) che tengono in conto nella valutazione del rischio cardiovascolare
globale del nostro soggetto una serie di parametri fra cui sicuramente non mancano
l’età,
il colesterolo,
la pressione,
il fatto di essere o non essere fumatori e anche
il diabete che ha un impatto estremamente importante in maniera non controversa.
Se voi confrontate la scheda del paziente non diabetico e la scheda del paziente diabetico, il paziente
diabetico a parità di altre condizioni si trova in un livello di rischio cardiovascolare sicuramente più elevato
come è denotato dalla presenza di quadratini di colore diverso. Ci sono carte di rischio che valgono per
l’uomo e altre che valgono per le donne. Queste sono le carte di rischio del progetto cuore, a nostro avviso
il rischio cardiovascolare nelle donne è largamente sottostimato come si può vedere dalla presenza di tutte
queste caselline verdi, comunque anche in questa situazione si vede che il diabete conferisce un rischio in
più rispetto al fatto di non avercelo.
Questi sono dati di una casistica nostra del centro antidiabetico del policlinico dove abbiamo dovuto
documentare e confermare che le variabili che si riteneva essere a rischio per malattie cardiovascolari sono
certamente operanti anche nel diabete, quindi l’età, la pressione, il colesterolo HDL basso e assieme a
queste anche delle variabili che potremo definire specifiche per la malattia diabetica. Quindi a parità di
altre condizioni avere un diabete di durata più prolungata e avere un valore di emoglobina glicata più
elevato rappresentano delle condizioni a rischio specifico per avere un evento cardiovascolare. Questo noi
lo abbiamo visto confrontando pazienti che hanno avuto entro i 10 anni successivi alla prima visita un
evento cardiovascolare rispetto a pazienti che questo evento non l’hanno avuto.
In considerazione
di tutte queste
premesse che vi ho
fatto le linee guida
delle società
scientifiche (questa
è la linea guida
dell’ADA) si sono
poste dei target di
intervento, dei goal
terapeutici per
ridurre proprio
questo rischio
cardiovascolare nei
soggetti diabetici
in generale, non
necessariamente
anziano. Sono
ovviamente dei
goal di:
controllo
glicemico,
quello di
emoglobina glicata è 7,
di pressione arteriosa,
del profilo lipidico.
Nel paziente anziano questi valori possano anche essere discussi e modificati.
o La dieta certamente ha un ruolo fondamentale nel trattamento del diabete e della sindrome
metabolica. Quantità e qualità degli alimenti influiscono sul peso corporeo e sul metabolismo
glucidico e lipidico, con effetti determinanti sul controllo del diabete, delle complicanze vascolari e
della spettanza di vita.
Nel paziente anziano ancora una volta spesso ci troviamo di fronte a dei problemi particolari, magari le
condizioni generali del paziente, i problemi dentari, problemi masticatori, inappetenza orientano verso
alcune categorie di cibi che sono un po’ più appetibili e non sempre dal punto di vista nutrizionale questo è
l’ideale per il paziente. Ancora una volta ci troviamo davanti a degli ostacoli oggettivi che vanno presi in
considerazione. Teniamo sempre presente i benefici dell’attività fisica e della dieta, ma teniamo anche
presente il fatto che nel paziente anziano può essere molto problematico riuscire ad avere un’adesione ad
una corretta dieta, ad un corretto regime di attività fisica per motivi proprio oggettivi.
I capostipiti sono le sulfaniluree (secretagooghi) che agiscono sull’interferenza a livello dei canali del K+ e
hanno un azione di secrezione insulinica da parte della beta cellula pancreatica. Agiscono come induttori
della secrezione dell’insulina e hanno degli effetti molto marginali ed indiretti sulla resistenza o
sull’insensibilità dell’insulina stessa.
Le binguanidi, oggi l’unico farmaco è la metformina che hanno un meccanismo d’azione più variegato e
hanno un’azione sia a livello epatico sia a livello periferico sulla sensibilità all’insulina.
Gli inibitori della alfa-glucosidasi, l’acarbosio, che hanno invece un azione esclusivamente a livello del tratto
gastrointestinale, dove riducono l’assorbimento intestinale di glucosio.
I tiazolidinedioni o glitazoni, (oggi è rimasto solo il pioglitazone) che agiscono sulle cellule periferiche
soprautto sulle cellule adipose sulla sensibilità all’insulina.
Poi abbiamo dei farmaci più recenti che sono sempre dei segretagoghi, ma con caratteristiche molecolari
differenti dalla sulfaniluree che hanno un azione particolare, più rapida come insorgenza e più breve durata
d’azione.
A queste 5 categorie si aggiungono anche i farmaci che sono attivi sull’asse GLP1/DPP-IV.
Questa è la terapia farmacologica che precede l’insulina e voi la vedete elencata e schematizzata.
A livello dell’assorbimento gastrointestinale dello zucchero in questa fascia di farmaci adesso come
adesso l’acarbosio è praticamente l’unico rappresentato, ha un suo ruolo e un suo significato
nell’armamentario terapeutico, un problema non secondario e la sua non rimborsabilità dal
servizio sanitario (il paziente che vuole fare l’acarbosio lo deve pagare). Può essere associato alle
altre classi.
[Da wikipedia: L’acarbosio è il nome del principio attivo di indicazione specifica contro l’obesità, prodotto
dalle case farmaceutiche Bayer e venduto, con il brand Glicobase® e Glicobay®. L'acarbosio ritarda la
digestione e l'assorbimento di zuccheri alimentari in quanto è un inibitore dell'alfa-glucosidasi intestinale,
per tale meccanismo ha un effetto nel ridurre la glicemia post-prandiale. Riduce inoltre i livelli di trigliceridi,
di emoglobina glicata (HbA1) e la resistenza periferica all'insulina. È utilizzato come supporto contro le
forme di diabete]
Abbiamo delle opzioni che hanno un effetto segretagogo sulla β cellula pancreatica, le sulfaniluree
(i capostipiti) e le glinidi e più recentemente i farmaci che sono attivi sull’asse delle GLP1/DPP-IV-
(GLP1/DPP-IV- inhibitors).
Farmaci che agiscono più sul versante della sensibilità all’insulina a livello epatico come la
metformina
Farmaci che agiscono invece in maniera quasi esclusiva sull’insulino sensibilità a livello periferico e
siamo nell’ambito dei farmaci tiazolidinedioni o glitazoni.
gli inibitori dell’assorbimento (In. a-glucos.) hanno un Glitazoni 4 2262 26 sett-6 mesi -1.4 ± 0.2%
Glinidi 4 1182 12 sett-6 mesi -1.3 ± 0.6%
effetto leggermente più limitato e
per i glitazoni siamo sul 1,5 di riduzione.
Inzucchi SE, JAMA 2002
Questi sono dati medi e l’effetto tende ad essere più Uso combinato di metformina +
marcato nei pazienti più scompensati. Spesso in sulfonilurea
medicina quanto più li paziente è severo quanto più di < 8.0% 8-8.9% 9-9.9% > 10%
solito è efficace l’intervento terapeutico. 0
Variazione dal basale A1C (%)
-0.9
-1
-1.0 -1.5 -1.5
In linea di massima per la metformina e la -1.4 Gli/Met (n = 162)
-2.0
Metformina (n = 157)
glibenclamide se presi singolarmente in media siamo -2
-2.2
-2.3
-2.4
Gliburide (n = 143)
Sulfaniluree e metformina sono i due farmaci ipoglicemizzanti orali di prima scelta e sono anche i più
utilizzati. Da alcuni anni sono entrati nell’armamentario terapeutico anche gli tiazolidinedioni o glitazoni,
che agiscono mediante questo meccanismo molecolare preciso, sono degli agonisti del recettore PPAR-γ.
Essi agiscono sul GLP1 e sull’enzima che lo degrada che è la dipeptidil-peptidasi IV (DPP4).
Il GLP1 è un ormone gastrointestinale che a dispetto del suo nome (glucagon like peptide) ha un’azione
favorevole nel metabolismo glucidico e di un
eventuale trattamento del diabete.
L’azienda farmaceutica per risolvere questo problema ha agito valutando due alternative:
a) produrre degli analoghi che non venissero inattivati dalla dipeptidil-peptidasi IV, ad esempio
l’exenatide (e l’iraglutide) che è un congenere che non presenta il sito di attacco per
l’inattivazione proteolitica da parte dell’enzima, ed è un farmaco correntemente utilizzato;
l’unico inconveniente è che deve essere somministrato per via parenterale
b) l’altra opzione è agire con dei farmaci sull’enzima inattivante; sono i composti attualmente
disponibili in commercio, i gliptinici che inibendo la degradazione del GLP1 ne aumentano
l’efficacia, la biodisponibilità e di conseguenza gli effetti benefici.
I gliptinici possono essere somministrati per os. Esempi sono il vidagliptin e il sitagliptin. In realtà
in commercio vi sono altri analoghi tipo il saxsagliptin di sicuro.
PARENTESI DA Wikipedia
Le incretine sono ormoni prodotti a livello gastrointestinale e sono principalmente:
GLP-1 (Glucagon-like peptide 1), prodotto dalle cellule L dell'ileo/colon;
GIP (Glucose-dependent insulinotropic peptide), prodotto dalle cellule K del duodeno.
Questi ormoni, secreti dopo i pasti, specialmente il GLP-1, hanno la funzione di controllare la glicemia in
vari modi:
aumentando la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas;
diminuendo la secrezione di glucagone (antagonista dell'insulina) da parte delle cellule alfa del
pancreas;
rallentando la motilità e dunque lo svuotamento gastrico (rendendo più "soft" la curva glicemica
postprandiale) e diminuendo l'appetito.
Il GLP-1 è rapidamente (1-2 minuti) degradato a peptide inattivo (cioè è disattivato) dall'enzima DPP-4
(dipeptidil-peptidasi IV). Poiché la produzione di GLP-1 diminuisce col diminuire della glicemia e la sua
permanenza attiva è di soli 1-2 minuti il suo controllo sulla glicemia è calibrato e "al bisogno", evitando così
situazioni di ipersecrezione di insulina e conseguenti pericolose ipoglicemie. Inoltre pare che cellule beta
coltivate in vitro in presenza di GLP-1 perdurino integre più a lungo suggerendo un intervento protettivo
dell'ormone.
La terapia orale del diabete mellito di tipo 2 (DM2) ha nel suo armamentario molti farmaci tra cui
ricordiamo biguanidi, sulfaniluree e glitazoni.
Questi farmaci nel complesso hanno i più svariati effetti avversi che in una terapia prolungata come quella
necessaria per il DM2 possono risultare molto problematici. Fra questi l'ipoglicemia e l'aumento di peso
sono fra i più temibili. Per questo e altri motivi la ricerca nel campo della terapia orale del diabete non è mai
cessata e oggi la via delle incretine sembra promettente. In sostanza l'obiettivo è quello di ripristinare e
sfruttare l'azione "naturale" del GLP-1 che nei diabetici è deficitaria.
-Il secondo e più promettente è l'approccio consistente nell'inibire il DPP-4 evitando così la degradazione del
GLP-1. Tra le sostanze in grado di farlo sono state sintetizzate il Sitagliptin (Xelevia®, Januvia®), approvato
dall'FDA e il Vidagliptin, molecola ancora in studio di fase III. Entrambe queste molecole hanno dimostrato
in diversi studi la loro capacità di ridurre in modo considerevole l'emoglobina glicosilata ( HbA1c, parametro
per valutare il controllo della glicemia a lungo termine)(il Sitagliptin comporta una riduzione dello 0,70% di
Hb1Ac in associazione con Metformina in 24 settimane e dello 0,88% se associato con Pioglitazone) e senza
indurre in alcun modo aumento del peso (spesso
provocano addirittura riduzione del peso) e con
rarissimi casi di ipoglicemia. Un ulteriore punto di
vantaggio degli inibitori del DPP-4 è la loro
somministrazione orale. Gli effetti avversi più comuni
che si sono manifestati nei trial clinici sono stati
cefalea, nausea, sonnolenza, diarrea e infezioni del
tratto respiratorio superiore. I risultati sono molto
incoraggianti ma una conferma definitiva la daranno i
risultati postmarketing, specialmente riguardo agli
effetti collaterali.
Targhet lipidici
LDL al di sotto di 100, anche se secondo alcune linee guida recenti questi targhet potrebbero essere
ulteriormente abbassati.
Di solito il diabetico con
indicazione alla terapia
ipolipemizzante riceve
generalmente statine che
rappresentano il cardine per
questo tipo di terapia. Questo
soprattutto quando il disordine
prevalente è relativo a delle LDL
alte.
Un follow up di questo stesso studio, 10 anni dopo, ha fatto vedere come insistendo con l’approccio più
intensivo i risultati saltino fuori alla lunga.
Infarto miocardico, malattia cardiovascolare, morte da ogni causa, la significatività emerge quindi a
distanza. Il trattamento intensivo della glicemia può avere degli effetti protettivi sulla mortalità e sugli
eventi cardiovascolari.
Altro studio ci dice che la strategia di controllo glicemico intensivo abbassa ulteriormente i valori di HB
glicata e si accompagna ad una diminuzione relativa degli end points combinati di eventi macro e micro
vascolari.
Il rovescio della medaglia è rappresentato è alla comparsa di eventi non piacevoli (scompenso cardiaco di
nuova insorgenza o peggioramento se già presente).
Glitazioni hanno un effetto di poco superiore sulla glicata rispetto alle sulfaniluree come si vede da questo
studio (non molto però), innalza i livelli di colesterolo HDL, un effetto significativo nell’abbassare la PCR e
riduzione del volume della massa della placca ateromasica (dovuto probabilmente alla somma degli effetti).
Altro studio importanza di usare ACE inibitori e sartani per la protezione del rene nel paziente diabetico.
Lo studio 4S ha documentato l’importanza delle statine nel diminuire gli eventi cardiovascolari in pz ad alto
rischio.
Questo sia con sinvastatina che pravastatina. Altro studio ha utilizzato la torvastatina in una popolazione di
soli pz diabetici, con riduzioni di rischio addirittura superiori al 30%.
Anche con la fluvastatina gli effetti sono positivi. Sulla scorta di tutti questi studi, il targhet terapeutico di
HDL si potrebbe ulteriormente ridurre in pz a rischio elevato, a 70 mg/dL. Questi pz sono i pz che hanno già
avuto un evento cardiovascolare e che hanno anche il diabete o un altro fattore di rischio importante, o che
hanno la sindrome metabolica. Non è facile raggiungere il goal di 70, ma se si raggiunge può esserci un
vantaggio.
E per ultimo lo studio FIELD uno studio che ha utilizzato il fenofibrato in pz diabetici in cui si è andato a
vedere l’efficacia in termini di end points duri (quindi mortalità e di eventi) dove si è evidenziato un effetto
non eccezionale ma significativo nei confronti della prevenzione degli eventi cardiovascolari ed anche
rivascolarizzazione coronarica.
Un sottostudio pubblicato più recentemente ha mostrato dati interessanti e inaspettati su come l’utilizzo di
questo fibrato (che abbassa i Tg e alza le HDL) si siano documentati anche degli effetti a livello della
progressione di un evento microvascolare quale la retinopatia diabetica. Edema maculare, retinopatia
proliferativa e retinopatia in generale, con effetto protettivo di questo farmaco, che normalmente non
sembrerebbe avere degli effetti così diretti.
I dati dei 2 studi STENO hanno fatto vedere come un trattamento intensivo ad ampio raggio a 360 gradi, su
tutti i fattori di rischio curabili, quindi pressione, Hb glicata, colesterolo, trattamento con ACE inibitori e
aspirina, portasse a degli effetti assolutamente benefici nei confronti di un regime di terapia che potremmo
definire convenzionale. I dati sono stati confermati dal follow up a lungo termine dopo altri 5 anni.
Ricordo le norme non farmacologiche come i presidi di stile di vita, siano gli unici che riescono ad agire su
tutti questi fattori di rischio: peso corporeo, glicemia, pressione, profilo lipidico. Non c’è nessun altro
farmaco che è in grado di agire a 360° su queste componenti. Questo per stimolare il paziente su un
corretto stile di vita.
I valori di uptake di glucosio mediato dall’insulina è praticamente un indice di sensibilità all’insulina. Tende
a calare andando verso i 70 aa. I valori tendono a peggiorare nei soggetti che hanno livelli bassi di
deidropepiangiosterone (DHEA). Questo perché il DHEA ha effetti di modulazione sulla sensibilità
all’insulina. Non mi soffermo sulla casacata biochimica, ma vi ricordate il mediatore Glut4 responsabile
dell’internalizzazione del glucosio.
Altro fattore importante nell’anziano è l’IGF1 metabolita attivo (II messaggero del GH) che ha effetti trofici e
metabolici importanti; nell’anziano i livelli di IGF1 tendono a diminuire con il progredire dell’età.
La combinazione della riduzione di IGF1 e DHEA concorrono assieme alla modificazione dell’assetto
corporeo nell’anziano (sarcopenia, sostituzione della massa magra con la massa grassa che spesso è
associato ad un fenomeno infiammatorio).
I sintomi classici del diabete negli anziani: poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale, spesso nell’anziano i
sintomi classici non sono così chiari, possono essere attenuati, perché magari il paziente non è in grado di
riferirvi una poliuria o di rendersi conto dello stimolo della sete e di bere adeguatamente.
A volte la glicosuria può essere meno evidente. Spesso compaiono i sintomi da disidratazione.
Il coma iperosmolare può essere l’esordio ci un diabete di tipo II nell’anziano o cmq di sindrome
iperosmolare (magari hanno 800 di glicemia)
Si associa spesso alle altre disabilità dell’anziano, tra qui il declino cognitivo, una aumentata incidenza di
fratture.
Studi hanno paragonato l’insulina resistenza con il declino cognitivo: le due componenti rappresentano un
substrato comune nella sindrome della fragilità (di cui vi parleranno).
Esauribilità, scarsa attività fisica, scarsa velocità del cammino, riduzione della forza della presa, diminuzione
del peso corporeo non intenzionale, tutti questi parametri rientrano nella sindrome.
Iper e ipoglicemia possono essere fattori di peggioramento di tutti questi paramentri, con aumento della
mortalità e riduzione della qualità di vita. Tra loro cmq sono come un circolo vizioso.
Indice di comorbidità secondo Rozzini che classifica il pz anziano secondo presenza o meno di patologie
sintomatiche La classe IV ha espressione massima di coopatologia o gravità delle patologie associate.
Ecco quelle che vanno sotto il nome di carte di rischio (si utilizzano e ci confronterete anche voi ben presto)
che tengono in conto nella valutazione del rischio cardiovascolare globale del nostro soggetto una serie di
parametri fra cui sicuramente non mancano
l’età,
il colesterolo,
la pressione,
il fatto di essere o non essere fumatori e anche
il diabete che ha un impatto estremamente importante in maniera non controversa.
Se voi confrontate la scheda del paziente non diabetico e la scheda del paziente diabetico, il paziente
diabetico a parità di altre condizioni si trova in un livello di rischio cardiovascolare sicuramente più elevato
come è denotato dalla presenza di quadratini di colore diverso. Ci sono carte di rischio che valgono per
l’uomo e altre che valgono per le donne. Queste sono le carte di rischio del progetto cuore, a nostro avviso
il rischio cardiovascolare nelle donne è largamente sottostimato come si può vedere dalla presenza di tutte
queste caselline verdi, comunque anche in questa situazione si vede che il diabete conferisce un rischio in
più rispetto al fatto di non avercelo.
Si tende a sottostimare il rischio nelle donne
Questi sono dati di una casistica nostra del centro antidiabetico del policlinico dove abbiamo dovuto
documentare e confermare che le variabili che si riteneva essere a rischio per malattie cardiovascolari sono
certamente operanti anche nel diabete, quindi l’età, la pressione, il colesterolo HDL basso e assieme a
queste anche delle variabili che potremo definire specifiche per la malattia diabetica. Quindi a parità di
altre condizioni avere un diabete di durata più prolungata e avere un valore di emoglobina glicata più
elevato rappresentano delle condizioni a rischio specifico per avere un evento cardiovascolare. Questo noi
lo abbiamo visto confrontando pazienti che hanno avuto entro i 10 anni successivi alla prima visita un
evento cardiovascolare rispetto a pazienti che questo evento non l’hanno avuto.
Sono delle raccomandazioni specifiche per la cura e il trattamento del diabete nelle persone anziane
emesse annualmente dalla Società Italiana di Diabetologia e dall’Associazione dei Medici Diabetologi.
b) Gli obiettivi terapeutici di un paziente diabetico che sta bene sono gli stessi di un paziente non
anziano. Nel paziente invece “comorbido” gli obiettivi sono diversi e più stringenti.
Le linee guida degli standard terapeutici hanno recepito questi due punti nel senso di individuare dei target
diversi di Emoglobina Glicata a seconda delle condizioni generali del paziente.
Per questo un paziente anziano in condizioni generali e di abilità buone il valore di Hb glicata sarà
sostanzialmente lo stesso del paziente non anziano quindi con un target intorno al 7- 7,5. Questo per
evitare le complicanze d’organo.
Nel paziente anziano fragile o con pluripatologie (magari affetto da demenza) in cui il rischio di un controllo
glicemico intensivo probabilmente supera i benefici (perché il rischio di ipoglicemia è alto) è appropriato
ricercare un obiettivo un po’ meno ambizioso con valori di Hb glicata tra 7,5 e 8,5 , mantenere un
benessere soggettivo.
Nel paziente anziano questi valori possano anche essere discussi e modificati.
Va condotto con cautela soprattutto per quanto riguarda la Glibenclamide (in alcuni testi italiani e
anglosassoni è chiamata Gliburide), poiché è un farmaco che già di per se ha un’emivita lunga
soprattutto in caso di pazienti con insufficienza renale, e spesso l’anziano ha una condizione di
insufficienza renale (anche se non conclamata) Non esiste un anziano con filtrato glomerulrare di
90
• In questa categoria di farmaci ci sono anche le sulfaniluree Gliclazide, Glimepiride, Glipizide che
hanno un minore rischio di ipoglicemia poiché hanno un’emivita più breve e quindi una maggiore
maneggevolezza.
PARENTESI
Le Sulfaniluree si possono dividere in molecole di I ( Clorpropamide) e di II generazione
(Glibenclamide, Gliclazide, Glipizide, ecc). Queste due classi si disti nguono essenzialmente
per potenza e tollerabilità, pur condividendo lo stesso meccanismo d’azione, che consiste
nello sti molare la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del
pancreas (ovviamente solo nel caso in cui il pancreas sia ancora in grado di produrre
insulina).
CHIUSA PARENTESI
•Nel paziente in cui si ritiene opportuno utilizzare dei farmaci secretagoghi ci sono alcune evidenze
che suggeriscono di impiegare i Glinidi e/o gli inibitori della Dipeptidilpeptidasi-IV (che agiscono
come detto in precedenza sull’asse del GLP1 e che fra le altre cose sembrano avere un rischio di
ipoglicemia minore).
La repaglinide è quella più usata che ha un emivita che copre il pasto.
RACCOMANDAZIONI
Questo lo ritroviamo negli stessi standard/schemi di
monitoraggio.
Se in un soggetto anziano è indicata una terapia con
antidiabetici orali non è opportuno l’utilizzo della
clorpropamide (quest’anno 2012, dice di non
nominarlo perché crede non esista più) e della
glibenclamide.
Questi sono dei dati che fanno riferimento ad uno degli inibitori delle DPP4 di cui si accennava prima,
l’Alogliptin, farmaco che non è in commercio in Italia però per analogia le considerazioni che se ne possono
estrapolare sono valide anche per il Sitagliptin; questo farmaco presenta un’efficacia decorosa nel calare i
livelli di Hb glicata sia nel paziente giovane che nell’ anziano, accompagnata ad un’efficacia altrettanto
decorosa nel ridurre i livelli di glicemia a digiuno e a fronte di questo un’assenza di effetti collaterali sul
versante delle ipoglicemie sia nel giovane sia nell’anziano.
Facendo il confronto con il placebo, sia alla dose più bassa sia a quella più elevata, non si manifestano
eventi di ipoglicemia nè moderata nè severa. Da questo punto di vista i gliptidici sembrano farmaci
accompagnati da una relativa maneggevolezza.
La metformina è un farmaco che comporta il rischio di acidosi lattica, perché uno dei suoi effetti metabolici
è quello di orientare la glicolisi verso quella anaerobia a dispetto di quella aerobia, con il rischio
conseguente di lattoacidosi, da tener presente soprattutto per i pazienti con funzionalità renale
compromessa.
Le linee guida degli standard italiani suggeriscono che nei pazienti anziani con creatinina elevata non sia
raccomandabile l’uso di metformina; basandosi però su una valutazione a più ampio respiro ed anche
abbastanza realistica conviene ragionevolmente basarsi non sulla creatinina ma sul calcolo del filtrato
glomerulare (attraverso l’utilizzo delle formule di Cockroft o la MDRD; alcuni laboratori danno direttamente
assieme al valore della creatinina anche il calcolo del filtrato glomerulare presunto in base alle
caratteristiche anagrafiche del paziente).
PARENTESI
Queste formule forniscono una stima del VFG mediante la formula di Cockroft-gault e quella sMDRD
FORMULA DI COCKROFT
Clearance creatinina = (140 - età) x peso (Kg)
72 x creatinina (mg/dl)
Formula MDRD semplificata
Clearance Creatinina = 186 x Creatinina - 1,154 x età - 0.203 x K1 x K2
K1: razza bianca = 1,00; razza nera = 1,21
K2: maschio = 1,00; femmina = 0,742
Valori normali di VFG per età e sesso
Una volta calcolato il VFG di un singolo paziente e normalizzato per la superficie corporea standard, è
necessario confrontarlo con i valori che la tabella seguente propone come normali per età e per sesso.
Età Uomo Donna
(VFG ml/min/1.73mq) (VFG ml/min/1.73mq)
CHIUSA PARENTESI
Nel soggetto anziano in generale affermare che la metformina è controindicata è eccessivo, affermare
invece che la metformina va impiegata ad un dosaggio ridotto e tenendo sotto controllo la funzione renale,
la creatinina e ancora meglio il filtrato glomerulare è un opzione accettabile.
Spesso nei foglietti illustrativi del farmaco si trovano delle controindicazioni abbastanza generiche che
citano “controindicato nell’insufficienza epatica”, “nell’epatopatie” , in realtà in un paziente che sia solo
portatore di un’epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD Non-alcoholic fatty liver disease) la
metformina migliora alcuni parametri legati all’epatopatia stessa, quindi non rappresenta una
controindicazione.
• Aumento ponderale
I tiazolidindioni a differenza della metformina e delle sulfaniluree non hanno un’indicazione ad
essere associati all’utilizzo dell’insulina, ed è proprio in virtù di questo possibile/temuto sinergismo
di azione riguarda gli effetti collaterali della ritenzione idrica e dell’aumento ponderale
PRESSIONE ARTERIOSA
Se è vero che 130-80 può essere considerato il targhet ideale per la popolazione generale e per la
popolazione giovane, nel pz anziano, così come per l’Hb glicata anche questo targhet può essere situato
intorno ai 140-80. Il problema è che il soggetto anziano può avere una minor tolleranza alla riduzione dei
valori pressori maggior rischio di eventi sincopali, maggiori rischi di cadute. Va instaurato con gradualità ed
aggiustato nei dosaggi ancora più gradualmente.
Chi riceve ACE inibitori: controllo funzionalità renale e potassiemia (rischio aumento).
Chi riceve i diureti tiazidici: controllo potassiemia (rischio diminuzione) e sodiemia.
Importate la disidratazione! Già detto prima, il pz anziano può non sentire la necessità di bere e non
accorgersi della disidratazione.
Ricordatevi lo screening per l’incontinenza e la valutazione per quanto riguarda le problematiche oculari.
Nel
Nella valutazione del paziente anziano dovrebbero essere presi in considerazione anche i rapporti fra
insulino-resistenza e la fragilità delle condizioni geriatriche; il paziente anziano dovrebbe essere sempre
sottoposto ad una valutazione multidimensionale geriatrica che tenga conto anche delle comorbidità.
Il diagramma in basso rappresenta una flow chart abbastanza recente delle linee guida europee riferite alla
gestione e al trattamento del diabete nell’anziano.
Si rilevano i due target distinti di Hbglicata:
- 7 nell’anziano privo di comorbidità
- circa di 8 nel soggetto più fragile e a rischio di ipoglicemia.
Se con le adeguate norme inerenti un appropriato stile di vita non si riesce a raggiungere il target prefissato
si utilizzano inizialmente gli ipoglicemizzanti orali:
-nel paziente sovrappeso si inizia con la metformina
-nel paziente non in sovrappeso si può optare se partire con le sulfaniluree o con la
metformina a seconda delle caratteristiche del paziente (di solito se non si raggiunge il
target si aggiunge alla terapia l’altro farmaco dei due non utilizzato)
-si possono considerare in caso di insufficiente controllo farmacologico le altre opzioni
terapeutiche precedentemente citate: tiazolidindioni e gli inibitori delle DPP4 (questi ultimi
a rischio particolarmente basso per ipoglicemie)
Quando questi target non vengono raggiunti si parte con la terapia insulinica.
Quindi quest’ultima in un paziente anziano la si utilizza: (in parte il discorso vale anche per il pz non
anziano)
- se non si raggiungono gli obiettivi prefissati dopo aver provato gli ipoglicemizzanti orali
- Subito se: (pz critico o glicemia particolarmente scompensato)
o Glicemia a digiuno > 250 mg/dl
o Glicemia postprandiale > 300 mg/dl
o HbA1c > 10% (indice di scompenso grave)
o Chetonuria (indice di scompenso grave)
o Diabete sintomatico (perdita di peso, poliuria)
o Patologie acute che richiedano ospedalizzazione
o Storia pregressa di cardiopatia ischemica
o Patologie epatiche o renali avanzate (controindicazioni agli IGO)
L’INSULINA
Vari tipi di insulina sono attualmente disponibili, ed i più rilevanti sono:
– Insulina ad azione rapida
– Insulina ad azione intermedia
– Analoghi ricombinanti dell’insulina ad azione rapida (insulina lispro, insulina aspart); sono
quelli che vengono maggiormente utilizzati nella terapia iniziale.
– Analoghi dell’insulina ad azione lenta (insulina glargina)
per ciascuna di queste insuline si vede l’”Onset on action”(tempo di inizio degli effetti dopo la
somministrazione) , la durata d’azione, il picco.
In generale gli analoghi umani hanno un’insorgenza d’azione molto rapida, quindi sui 10-15 minuti, un picco
altrettanto rapido ed una durata d’azione significativamente diversa rispetto alle insuline regolari.
INDICAZIONE AD UTILIZZARE GLI ANALOGHI AD AZIONE RAPIDA nel paziente diabetico in generale e
nell’anziano a rischio:
- Rischio di ipoglicemie soprattutto nella fase postprandiale tardiva, questo concetto vale anche nel
soggetto non anziano; ci sono molti pazienti che utilizzano l’insulina umana regolare e riferiscono degli
episodi ipoglicemici prima di cena/pranzo; in questo caso “switchando” da un’insulina regolare ad un
analogo delle volte questa ipoglicemia tardiva si può risolvere.
Insulina Basale (Lantus) (da fare alla notte) + ipoglicemizzanti orali: rappresenta spesso la terapia
iniziale
Da 1 a 3 iniezioni di analoghi rapidi ai pasti + / - Ipoglicemizzante orale (questo via via che la
glicemia richiede più controllo)
Da 1 a 3 iniezioni di analogo bifasico
Schema basal-bolus: 1 insulina basale, di solito dopo cena, con i vari boli ai pasti, con o senza
supporto di terapia ipoglicemizzante orale (rappresenta lo step finale di formulazione terapeutica)
NPH o
Lenta
Col P C S Col P C S Col
Pasti Pasti
Effetto dell’insulina
Col P C S Col P C S
Pasti Pasti
Lo schema in basso a destra è il cosiddetto “Basal Bolus” in cui si vede la somministrazione alla sera di un
analogo lento (che potrebbe essere l’insulina gliargina) e di un analogo rapido ai tre pasti.
Il vantaggio di uno schema di questo tipo è quello di avvicinarsi alla fisiologia della secrezione insulinica in
rapporto ai pasti, ovviamente questo comporta dei problemi logistici di gestione poiché occorre effettuare
4 somministrazioni (punture) nell’arco della giornata.
CRITERI DI SCELTA DEL REGIME DI TERAPIA INSULINICA
Andamento delle glicemie nella giornata: se molto alte in fase post prandiale, si può usare insulina
al pasto più critico
Grado di compenso glicometabolico (se HbA1c > 9: meglio lo schema basal-bolus: se siam di fronte
ad una situazione molto scompensata è difficile pensare di farvi fronte con un’unica
somministrazione di insulina nell’arco della giornata)
Disponiblità e compliance da parte del paziente e dei caregivers (non è infrequente il caso del
paziente che non ha un familiare/una persona che lo può assistere)
Rischio d’ipoglicemie (minimo con basale)
Le opzioni meno invasive hanno dei vantaggi e degli svantaggi: se ci si limita ad utilizzare in associazione alla
terapia con ipoglicemizzanti orali un’insulina lantus alla sera occorre essere coscienti che il rischio di
ipoglicemie sarà minime ma allo stesso tempo sarà meno probabile avere un controllo ottimale.
Al contrario somministrando un’insulina rapida ai tre pasti e un’insulina basale alla sera può essere più alto
il rischio di ipoglicemie, la resa è migliore in termini di risultati ma richiesto un impegno maggiore al
paziente e al caregiver.
E’ un lavoro inerente alcuni pazienti ricoveranti presso una struttura protetta: l’analogo ricombinante
rispetto all’insulina umana si ritiene che abbia
- degli effetti più consistenti e prevedibili
- dei livelli di Hbglicata migliori o quantomeno equivalenti
- un controllo migliore dei livelli di glicemia post prandiali
- un ridotto rischio di ipoglicemia
L’articolo si dilunga anche sull’utilizzo delle “penne” con cui l’insulina viene somministrata e si sofferma
sulla questione che il raggiungimento del target dipende molto dalla capacità di collaborazione da parte del
paziente e dei familiari.
I dati specifici che fanno riferimento al paziente anziano e in struttura che abbiano confrontato l’insulina
umana con l’analogo ricombinante non sono molti, uno di questi è:
“Lispro insulin treatment in comparison with regular human insulin in type 2 diabetic patients living in
nursing homes”
Regular Lispro
Mean blood glucose (mg/dl) 166 ± 12 143 ± 9*
HbA1c (%) 8.5 ± 0.6 7.6 ± 0.5*
Triglycerides (mg/dl) 261 ± 40 218 ± 20*
Hypoglycemic episodes/wk 2.1 ± 0.2 1.6 ± 0.3*
Hyperglycemic episodes/wk 12 ± 1 8 ± 3*
A parità di altre condizioni si può correttamente ritenere che l’utilizzo di analoghi umani possa essere
preferito rispetto all’insulina regolare.
L’altro vantaggio è che quando si utilizza l’analogo si può somministrare immediatamente prima o a dopo il
pasto.
L’insulina umana regolare deve essere invece somministrata (il suo effetto inizia circa un’ora dopo la
somministrazione) una mezz’oretta prima del pranzo.
La possibilità di somministrare il farmaco a fine pasto è un vantaggio poiché la dose può essere adeguata
basandosi su quanto e se il paziente abbia mangiato.
SINTESI
La terapia insulinica va individualizzata paziente per paziente, tenendo presenti, in particolare, le
proprietà di farmacocinetica di ciascun preparato.
Gli schemi che consentono di ottenere i migliori risultati si basano su iniezioni multiple di insulina
(4-6 al giorno) in modo da coprire il fabbisogno postprandiale e garantire un’adeguata
insulinizzazione a distanza dai pasti e durante la notte
Occorre ulteriormente sottolineare, attraverso l’analisi dei dati presentati dallo Studio Accord, la necessità
di un approccio bilanciato tra aggressività terapeutica, il saper riconoscere gli obiettivi e minimizzare gli
effetti collaterali
Sono stati presi in esame un numero spropositato di pazienti (circa 10000 tutti affetti da diabete di tipo 2) e
trattati con regimi terapeutici mirati ad ottenere target diversi di Hbglicata.
Metà dei pazienti hanno ricevuto un regime di terapia molto più intensivo che in una percentuale più alta
dei casi prevedeva l’insulina e in una percentuale un po’ più alta prevedeva anche l’utilizzo di altri farmaci
(secretagoghi o glitazoni).
Lo scopo era che i due tipi di trattamento fossero titolati per raggiungere dei target diversi di Hbglicata.
Alla fine dello studio i soggetti sottoposti a terapia standard si situavano su livelli di Hbglicata 7,5, quelli con
terapia “intensiva” presentavano valori di Hbglicata di 6,5 circa.
I risultati di questo studio:
-un dato forse prevedibile (ma non con questa entità e importanza) è che le ipoglicemie
erano più incidenti (circa 3 volte di più) tra i pazienti del gruppo trattato con una terapia più
intensiva.
Questo dato vale sia per le ipoglicemie in generale sia per quelle che richiedevano
assistenza medica.
-nei soggetti trattati con il regime più aggressivo c’era un aumento della mortalità generale
(statisticamente significativo) e con un aumento del rischio di circa il 20 %.
‘-il dato più stupefacente è che anche la mortalità cardiovascolare fosse aumentata tra i pazienti trattati
con una terapia più intensiva.
Il dato, statisticamente significativo, presentava un rischio aumentato di circa il 35% di avere un evento
cardiovascolare fatale.
In altre parole gli eventi cardiovascolari che ci si prefigge di prevenire con un controllo adeguato del profilo
glicometabolico non sempre sono collegati ad un trattamento terapeutico più intensivo.
Quando il miglioramento del profilo glicometabolico provoca un aumento del rischio di ipoglicemie per il
paziente questo si può riverberare in un rischio maggiore per gli stessi eventi cardiovascolari. Questi ultimi,
nello studio sopracitato, erano probabilmente collegati alla presenza di ipoglicemie particolarmente
dannose per il miocardio.
Gli autori nel loro abstract concludono che a confronto con la terapia standard l’uso della terapia intensiva
per orientare l’Hbglicata verso livelli normali
-aumentava la mortalità
- non riduceva in maniera significativa gli eventi cardiovascolari maggiori.
Questi dati quindi identificano un pericolo non precedentemente riconosciuto legato all’eccessiva riduzione
dei livelli glicemici in pazienti diabetici ad alto rischio.
Quando si parla di terapia ipoglicemizzante il rischio di ipoglicemia e delle conseguenze ad essa connesse
devono essere sempre tenuti in considerazione soprattutto nel paziente anziano perché potenziale
portatore di plurimi fattori di rischio (che in possono agire sinergicamente nello scatenare l’ipoglicemia)
come ad esempio:
In questa carta la trasposizione visuale è più immediata rispetto alla carta precedente, c’è una divisione per
sesso, età, colesterolo totale, pressione sistolica, fumo.
E’ importante notare che il range di età si ferma a 65 anni e questo risulta un grave limite comune anche a
molte altre carte di rischio.
Oggi la carta di rischio maggiormente utilizzata è la carta del rischio cardiovascolare del “progetto cuore”
sviluppata dall’Istituto Superiore di Sanità.
In questa carta si ritrovano le componenti già viste in precedenza quali: età, fumo, pressione arteriosa
sistolica, valori di colesterolemia totale, diabete.
Tra i fattori di rischio trattabili delle malattie cardiovascolari nell’anziano, oltre al diabete già visto nella
lezione precedente, includiamo l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia che sono probabilmente i più
rilevanti ed i meglio trattabili.
L’IPERTENSIONE
Dal 1988 al 2004 c’è stato un aumento significativo nella prevalenza dell’ipertensione arteriosa.
L’Ipertensione è tuttora un problema che interessa in modo più rilevante le donne, le persone con più di 70
anni, i neri e i messicani, le persone con DM ed insufficienza renale.
Parlando di ipertensione nell’anziano si deve considerare l’ipertensione sistolica isolata che rappresenta
una variante dell’ipertensione tipica dell’età avanzata.
In una review di 3 anni fa pubblicata sul New England si evidenzia come l’andamento dei valori pressori si
modifica con l’avanzare dell’età ed in particolare, sia nell’uomo che nella donna, c’è un trend in aumento
della pressione sistolica più o meno lineare man mano che si va verso le decadi più avanzate mentre la
diastolica sembra quasi raggiungere un suo massimo intorno ai 50-60 anni per poi stabilizzarsi oppure può
tendere persino a calare a valori più bassi.
Nel grafico precedente si può anche osservare il differente andamento dei valori pressori nelle diverse
etnie, come già prima era stato detto.
Qui di seguito verranno trattati i fattori determinanti l’aumento della pressione differenziale (pulse
pressure) e quindi la presenza di ipertensione sistolica isolata:
in un articolo pubblicato su “Circulation” nel 2003 (vedi grafico pag seguente) si mette in evidenza come in
soggetti di sesso femminile (barre nere) e in soggetti di sesso maschile (barre bianche), considerando una
popolazione di soggetti ipertesi e confrontandola con una popolazione di soggetti normotesi, la pressione
differenziale centrale risulta significativamente aumentata negli ipertesi sia negli uomini che nelle donne e
sembrerebbe avere un impatto ancora più rilevante nel sesso femminile.
Nelle donne ipertese come anche negli uomini ipertesi si ha un significativo aumento anche
dell’impedenza.
Un altro elemento molto importante per la sua rilevanza fisiopatologia nella genesi dell’ipertensione
sistolica isolata (oltre a PP e impedenza) è quello della ridotta compliance aortica verosimilmente legata ad
una ridotta distensibilità dell’aorta stessa.
Sia nelle donne che negli uomini la compliance aortica prossimale risulta significativamente ridotta nel
soggetto iperteso (questo vale anche per la compliance arteriosa periferica anche se con delle differenze di
entità in quanto risulta qualitativamente minore).
Con l’avanzare dell’età c’è sempre un aumento del diametro aortico, come si vede nella fig di sn.
Nella fig di dx si nota come ci sia anche un aumento della rigidità di parete correlato con l’età.
Se consideriamo delle popolazioni con pulse pressure (PP) aumentata (linea nera tratteggiata) rispetto a
popolazioni che hanno la pressione differenziale più bassa (linea grigia continua), quello che si osserva è
che nel primo caso si ottiene una curva molto meno ripida rispetto alla seconda, come a dire che l’aumento
progressivo e costante del calibro dell’aorta nella popolazione anziana correlato con l’avanzare dell’età, è
meno presente in chi ha una pressione differenziale elevata (il diametro aumenta con l’età e tale aumento
risulta più ridotto nei soggetti con alta PP).
A sn si vede invece una proporzionalità più diretta tra le due popolazioni per quello che riguarda l’indice di
rigidità e spessore della parete aortica che quindi risultano aumentare con l’età e con l’aumento della PP.
In questo secondo grafico le barre bianche sono i soggetti con PP bassa, le barre nere rappresentano quelli
con PP alta. Si nota come il diametro della radice aortica tende ad essere più ridotto in chi ha la pressione
differenziale più alta al contrario di ciò che accade per l’indice di rigidità vascolare.
Nel disegno qui a lato, in basso è rappresentato il comportamento di un’aorta normale con una buona
distensibilità ed una buona compliance, ha una sua onda pulsatoria di propagazione che ritorna e
determina un’onda dicrota (così chiamata nel pulsogramma aortico e dei grossi vasi e qui indicata dalla
freccia), che si trova all’incirca alla fine della sistole.
Nel caso dei pazienti con ipertensione sistolica isolata si ha una velocità di propagazione molto più rapida
ed un ritorno dell’onda pulsatoria di ritorno altrettanto rapido arrivando a coincidere con l’apice della
sistole.
Questo da un lato determina un aumento dell’onda sistolica e quindi della pressione sistolica, dall’altro
riduce il ritorno e la pressione diastolica con conseguente aumento della pressione differenziale.
Tutto questo spiega il perché del manifestarsi dell’ipertensione sistolica nell’anziano.
In questo grafico sono illustrati i diversi profili di soggetti non trattati: circa i ¾ di soggetti risultano
normotesi, nell’ambito degli ipertesi circa la metà ha un’ipertensione sistolica isolata, l’altra metà ha
un’ipertensione sisto-diastolica e risulta molto più rara l’ipertensione diastolica isolata.
Sempre a tale riguardo, nel grafico che segue sono riportati i dati di variazioni morfologiche a livello di
rimodellamento ventricolare senza che emergano grandi differenze nell’ipertenzione diastolica rispetto alla
sistolica. Il profilo patologico prevalente è quello del rimodellamento concentrico a livello ventricolare che
prima ancora di determinare un’ipertrofia ventricolare vera e propria, può essere evidenziato in un
riscontro ecocardiografico.
Uno studio italiano ha rilevato un’aumentata morbilità cardiovascolare in relazione alla pressione sistolica
(per morbilità cardiovascolare in generale si intendono gli eventi cardiovascolari acuti).
Questo vale per tutti i parametri e modelli di misurazione della pressione sistolica sia che venga considerata
la misurazione clinica, a livello di ambulatorio, sia che venga considerata qualche altra modalità di
rilevazione della pressione ad esempio la pressione ambulatoria delle 24 ore (anche detto hoter pressorio),
perché c’è sempre un rapporto tra l’aumento della pressione sistolica e l’aumento della mobilità
cardiovascolare ma si nota che tale aumento è molto più marcato quando l’ipertensione è documentata
sulla base di una rilevazione in continuo il che vuol dire che la sola misurazione ambulatoriale della
pressione potrebbe anche non essere sempre sufficiente per definire il rischio di eventi cardiovascolari
legato all’ipertensione.
TRATTAMENTO:
Nella tabella sopra riportata si confronta l’impatto del trattamento e del placebo sulla morbilità
cardiovascolare in relazione alla pressione sistolica.
Nei vari istogrammi si confrontano i pazienti che nei vari studi clinici ricevevano trattamento con placebo
rispetto a quelli che ricevevano il trattamento attivo, per ciascuna di queste voci i pazienti sono stati
stratificati per categoria di rischio e nella voce CVD si identificano quelli che hanno già avuto un evento
cardiovascolare o cerebrovascolare.
A destra è riportato un indice frequentemente utilizzato per quantificare l’impatto o l’efficacia di una
terapia: NNT (number need to treat: numero di pazienti da trattare per avere la prevenzione di un evento)
Quanto più basso è il NNT tanto più il trattamento è efficace.
Parlare di trattamento implica il fatto è necessario che il medico dia quella che ritiene essere la terapia
giusta e che il paziente la assuma.
C’è un lavoro italiano fatto da cardiologi in collaborazione con medici di medicina generale dove sono stati
studiati i valori effettivi di aderenza alla terapia farmacologia per l’ipertensione.
I risultati non sono incoraggianti perché in pazienti che hanno una buona adesione alla terapia per almeno
l’80% del tempo esaminato, sono solo poco più dell’8% all’inizio e circa il 10% alla fine.
Il fatto stesso di essere anziani rappresenta un elemento di rischio per ricadere nelle fasce di adesione al
trattamento più basse.
Il paziente anziano più raramente presenta una elevata adesione al trattamento.
L’incidenza di eventi CV è minore nei pazienti con elevata adesione alla terapia.
Passiamo ad esaminare più nel dattaglio quali sono le evidenze presenti sulla documentata efficacia del
trattamento ed anche con quali farmaci questo è stato visto.
Questo studio è cominciato negli anni ’80 e, protraendosi per molti anni, ha dimostrato l’effetto protettivo
del clortalidone sulla mortalità cardiovascolare.
Il CLORTALIDONE è un congenere dei diuretici tiazidici anche se ha una struttura molecolare diversa da
quella tiazidica classica, attualmente di scarso utilizzo.
Lo studio INDIANA
Si tratta di una metanalisi del ’99 e sembra gettare qualche ombra di dubbio sugli effetti del trattamento
dell’ipertenzione sistolica nell’anziano sulla mortalità, concludendo che se c’è un effetto protettivo sugli
eventi cardiovascolari c’è anche l’assenza di effetto protettivo sulla mortalità totale.
Lo studio HYVET
HY= Hypertension
VET= Veterans
E’ uno studio sull’ipertensione nei veterani quindi condotto su soggetti ultraottantenni utilizzando
indapamide con o senza perindopril (i-ACE) come terapia.
Il grafico mostra l’effetto della terapia con indapamide sul calo della pressione sistolica più che della
diastolica, associato ad una riduzione dell’incidenza di tutti gli end-points considerati (end-point combinato
di stroke fatale o non fatale, morte cardiovascolare, scompenso cardiaco).
Con questo studio si è dimostrato l’effetto protettivo nei confronti di eventi cardiovascolari del trattamento
(indapamide con o senza perindopril).
Un altro aspetto importante che deve essere sottolineato parlando del trattamento dell’ipertensione
nell’anziano è il rapporto tra fattori di rischio classici e demenza perché sicuramente un paziente che ha
avuto ripetuti eventi cerebrovascolari potrà sviluppare una demenza di tipo vascolare ma è anche vero che i
fattori di rischio vascolari classici quali ipertensione, diabete, dislipidemia, attività fisica,…oltre ad essere
fattori di rischio per eventi cerebrovascolari documentati e successivo sviluppo di demenza, possono essere
ritenuti fattori di rischio correlati direttamente con la demenza e possono essere anche fattori di rischio per
una cerebrovasculopatia definibile sub-clinica che potrebbe essere associata alla presenza della demenza.
Lo studio HYVET è stato utilizzato anche per un’analisi dei possibili effetti protettivi sull’insorgenza di
demenza.
In questo caso, però, l’evidenza dello studio è stata più border-line: anche se si poteva riscontrare una
tendenza ad una minore incidenza di demenza nei soggetti trattati ma la differenza non era statisticamente
significativa.
Nello stesso studio è stata fatta anche una metanalisi prendendo in esame anche altri studi che avevano
utilizzato numeri consistenti di pazienti e mettendo insieme i vari risultati è emersa una significatività anche
se non eclatante con una riduzione di circa il 13% di insorgenza dei nuovi episodi di demenza in pazienti
trattati con terapia anti-ipertensiva.
Alcuni studi affermano l’esistenza di tale trattamento mentre altri hanno dato dei risultati più controversi.
Per esempio lo STUDIO ACCOMPLISH ha confrontato il trattamento con i-ACE (Benazepril) in associazione o
con l’amlodipina o con un diuretico tiazidico (idroclorotiazide).
Quello che si è visto è che a parità di riduzione dei livelli pressori sembra esserci un effetto protettivo
derivante dall’aggiunta di AMLODIPINA rispetto all’ idrocloritiazide.
Lo STUDIO LIFE è stato condotto per valutare gli effetti protettivi del LOSARTAN rispetto all’atenololo
dimostrando che il sartano può avere effetti protettivi in più rispetto al beta-bloccante.
Una recente review ha preso in esame tutte le varie evidenze senza però arrivare a conclusioni definitive
ma comunque può essere ritenuta un punto di partenza nella scelta della terapia.
Si è visto che per gli studi fatti verso placebo quindi verso farmaco inattivo, le evidenze risultano abbastanza
chiare almeno per quel che riguarda i farmaci i-ACE, perché si è visto che sia nei soggetti più giovani che in
quelli più anziani l’utilizzo dell’ i-ACE ha un effetto protettivo in termini di eventi cardiovascolari.
Per quanto riguarda il Calcio-antagonista nei confronti del placebo si è visto che può essere utilizzato con
beneficio nel paziente over-65.
Non sono emersi dati particolarmente significativi confrontando schemi di terapia più o meno intensivi.
Alla fine si può dire che non ci sono grossissime differenze tra le varie categorie di farmaci e questo vale sia
nei pazienti con meno di 65 anni che per quelli con più di 65 anni.
In linea di massima si può riscontrare una correlazione tra la riduzione della pressione sistolica e la
riduzione del rischio relativo per eventi cardiovascolari.
Si erano visti prima gli studi che sembravano suggerire gli aspetti protettivi dell’una o dell’altra categoria ma
quando questi studi sono stati messi insieme nelle metanalisi le differenze si sono attenuate.
Inoltre sempre da questa metanalisi la riduzione della pressione arteriosa risulta avere un impatto minore
sugli eventi cardiovascolari rispetto a quanto dimostrato in precedenza, pur restando sempre significativa.
• Costo Sicuramente i bloccanti dei recettori per l’angiotensina (ovvero i sartani), appena usciti in
commercio, avranno sicuramente un costo superiore rispetto ad un diuretico, ad un β-bloccante, ad
un ACE-inibitore: recentemente è scaduto il brevetto del Ramipril, quindi ha un costo irrisorio e, a
parità di altre considerazioni, anche valutare il costo può essere l’atteggiamento corretto.
Quindi teniamo conto del costo, della tollerabilità e dobbiamo inoltre considerare le caratteristiche del
singolo paziente in termini di patologie associate.