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«Discorso d’addio»

Il primo discorso d’addio.


Elementi di introduzione

1. L’insegnamento privato di Gesù ai discepoli:


un confronto tra il QV e i Sinottici
Istituiamo il confronto a due livelli: con quali modalità è presentato l’insegnamento privato
di Gesù ai suoi; quali contenuti caratterizzano l’istruzione che Gesù riserva ai suoi.

1.1. Collocazione nella trama

1.1.1. Nel QV
I discorsi dei cc 13–17 del QV sono presentati come rivolti ai discepoli in privato. Nella
prima parte del Vangelo (1,19–12,36) non si trova quasi mai un simile insegnamento
«esoterico», se si eccettuano tre casi1:
– la conversazione con i discepoli presso il pozzo di Giacobbe: 4,31-382;
– la conclusione del discorso sul pane della vita: 6,60-713;
– il dialogo che si svolge al di là del Giordano dopo la notizia della malattia di Lazzaro:
11,7-16.

1.1.2. Nei Vangeli sinottici


Presentiamo i tratti caratteristici di Mc e Lc offrendo un rapido confronto con il QV4.
Vangelo di Mc
– I dialoghi di Gesù con i discepoli punteggiano tutto il ministero: cf. le conversazioni
ambientate «in casa» (con oikos o oikia: 7,17; 9,28.33; 10,10) o «in privato» (kat’idian: 4,34;
9,28; 13,3). Da questo punto di vista Mc e Gv sono chiaramente distanti. Tuttavia, benché in
Mc non ci sia un impianto narrativo come quello di Gv (con una rigorosa distinzione
cronologica tra attività pubblica e insegnamento ai discepoli) la linea interna di demarcazione
è tracciata nettamente (già in 4,10-12): da un lato i discepoli, dall’altro «quelli di fuori».
– In Mc, l’ultima cena di Gesù coi discepoli è sì il luogo di istruzioni private (istituzione
dell’eucaristia), ma non siamo di fronte a vere proprie disposizioni per il periodo successivo
alla partenza di Gesù. Però, in Mc 13 l’ultimo (e in un certo senso l’unico) discorso di Gesù è
un discorso per i discepoli, che precede immediatamente il racconto della passione.
Vangelo di Lc
Qui è già visibile una forma embrionale di discorso di commiato: 22,24-38. Si tratta di un
insieme di detti relativi al tempo in cui i discepoli resteranno soli. Un influsso di questa
composizione lucana su Gv pare innegabile.

1.1.3 Bilancio5
Dal punto di vista della distribuzione del materiale i Sinottici contengono istruzioni private
ai discepoli lungo l’arco dell’intero ministero pubblico di Gesù. Tuttavia, si deve osservare
che anch’essi tendono a concentrare l’insegnamento privato di Gesù nei discorsi che

1 Tralasciamo il racconto della chiamata dei primi discepoli (Gv 1,37-51): esso costituisce semplicemente la
premessa perché ci possa eventualmente essere in seguito un momento privato di istruzione die suoi.
2 Un testo che ha punti di contatto con Gv 17 per il tema della missione.
3 Che potrebbe appartenere alla seconda edizione del vangelo.
4 Cf. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni III, 14-15.
5 Cf. DODD, L’interpretazione del Quarto Vangelo, 477-484.

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«Discorso d’addio»

immediatamente precedono la narrazione della passione (Mc 13: discorso «escatologico»


rivolto ai discepoli); oppure a includerlo in essa (Lc 22,24-38: parole che seguono la cena).
Sembra che Gv non abbia fatto che accentuare una tendenza che era già operante prima di lui.

1.2. Contenuti dell’istruzione di Gesù ai suoi


Dal punto di vista del contenuto i temi dei discorsi d’addio giovannei sono
fondamentalmente gli stessi dell’insegnamento privato dei sinottici. Elenchiamo otto aree per
l’istruzione sinottica (= Dodd): missione dei discepoli; precetti sulla condotta all’interno della
comunità cristiana; predizioni del tradimento di Giuda, del rinnegamento di Pietro e
dell’abbandono dei discepoli; avvertimenti sulla persecuzione; promesse di assistenza divina e
di aiuto da parte dello Spirito Santo; profezie della morte e resurrezione di Gesù; profezie sui
segni della fine; profezie sulla seconda venuta. Soltanto le profezie sui segni della fine non
hanno corrispettivo nel testo giovanneo. Per tutto il resto si trovano paralleli nel discorso di
addio di Gv 13–17.
Un’altra peculiarità dell’ultimo discorso giovanneo nel confronto con le istruzioni ai
discepoli dei sinottici consiste nel fatto che la distinzione tra profezie sulla morte e
resurrezione di Gesù e profezie sulla seconda venuta (netta nei sinottici) sembra scomparire in
Gv: il QV parla insieme della partenza di Gesù e della sua venuta.
«Si è pensato che l’ultimo discorso sia un sostitutivo giovanneo del discorso escatologico
sinottico. Con opportune modifiche questa tesi sfiora la verità. La sezione 15,18–16,4a
contiene materiale molto simile a quello che si trova nel discorso escatologico. Ma, ancora più
importante, il tema del ritorno di Gesù, che ricorre in molte forme nell’ultimo discorso, può
rappresentare una forma giovannea non apocalittica del tema della venuta del Figlio
dell’uomo che troviamo nell’apocalisse sinottica»6.

2. Il genere letterario «discorso d’addio»

2.1. Un modello letterario conosciuto


L’idea di proporre un discorso solenne, subito prima della morte di Gesù, fu probabilmente
suggerita all’evangelista da qualcosa di più di una pura reminiscenza storica.
Gli autori suppongono generalmente l’utilizzo da parte di Gv di un modello letterario
preciso per i cc 13–17. Questo modello è lo stampo secondo cui ha preso forma il materiale
discorsivo.
Gv utilizzò forse come base una primitiva liturgia cristiana dell’ultima cena? Racconto
della cena + discorso esoterico + preghiera (di intercessione). Per i più, Gv è stato più
verosimilmente spinto a collocare nel contesto dell’ultima cena questa imponente mole di
parole di Gesù ai suoi dalla conoscenza del genere letterario «discorso di addio»: nella
letteratura precedente al QV accade spesso che uomini importanti – nell’imminenza della
propria morte – pronuncino un discorso di congedo, il cui svolgimento segue alcune norme
consolidate. Questo genere è legato al problema della continuità tra gli inizi (il tempo del
fondatore) e il presente di chi scrive.
Si ricordi quanto accennato sopra circa il racconto dell’ultima cena nei vangeli sinottici: in
maniera diversa, sia Marco che Luca (che si avvicina di più a Giovanni) presentano già del
materiale discorsivo in coincidenza con la cena.

6 BROWN, Giovanni, 720-723 («L’ultimo discorso e l’escatologia»).

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«Discorso d’addio»

2.2. Esempi nella letteratura biblica ed extra-biblica


Esempi di questo genere letterario si trovano in vari contesti7.
a) L’AT8
Gen 47,29–49,33 Giacobbe
Deuteronomio Mosè
Gs 23(–24) Giosuè
1Re 2,1-10 Davide
1Cr 28–29 Davide
1Mac 2,49-70 Mattatia
Tb 14,3-11 Tobi

b) La letteratura apocalittica9
Testamenti dei Dodici Patriarchi I Dodici Patriarchi
Enoc Enoc
4Esd Esdra
2Bar Baruc
Libro dei Giubilei Noè, Abramo, Rebecca e Isacco

c) Il giudaismo di lingua greca: Flavio Giuseppe, Filone di Alessandria e lo Pseudo-Filone


Giuseppe, Ant. 4.8.45-47 Mosè
Pseudo-Filone, Ant. Biblicae

d) Il mondo greco-ellenistico
Senofonte, Ciropedia 8,7,3-17 Ciro
Platone, Fedone Socrate
Il Fedone ha giocato un ruolo di matrice nella letteratura greco-ellenistica. Vi si ritrovano
tutte le caratteristiche del genere10.

e) Il NT
Lc 22,24-38 Gesù
At 20,17-38 Paolo
1Tm 4 Paolo
2Tm Paolo
2Pt Pietro

2.3. Una preghiera alla fine di un discorso di addio


Un fattore di complicazione è costituito dalla presenza di una preghiera a conclusione del
discorso11. Questo elemento non è tanto frequente.

7 La fortuna del genere si prolunga bel oltre il periodo biblico: cf., per esempio, l’addio di Caritone ai suoi
monaci in L. CAMPAGNANO DI SEGNI (ed.), Cercare Dio nel deserto. Vita di Caritone, Qiqajon, Magnano 1990,
§§26-36.
8 Qualcuno aggiunge anche 1Sam 12 (Samuele); Tb 4 (Tobi).
9 Qualcuno aggiungerebbe Test. Mosè; Test. Giobbe; Asc. Isaia.
10 Cf. SEGOVIA, Farewell, 6 nota 6; ripreso da ZUMSTEIN, L’évangile II, 42.
11 Cf. E. CORTÈS, Los discursos de adiós de Gn 49 a Jn 13-17. Pista para la historia de un género literario
en la antigua literatura judía (Institución San Jerónimo 5), Herder, Barcelona 1976, 430 e soprattutto G.
SEGALLA, La preghiera di Gesù al Padre (Gv 17). Un addio missionario (SB 63), Paideia, Brescia 1983, 43-45.

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a) Di ambiente giudaico abbiamo quattro esempi di preghiera a conclusione di un discorso


di addio.
– La preghiera di Mosè come conclusione del suo discorso di addio (Pseudo-Filone).
Questo è il parallelo più evidente con Gv 17.
– La preghiera di Giosuè come conclusione del suo discorso di addio (Pseudo-Filone).
Più che una preghiera è un augurio e una benedizione.
– La preghiera di Giacobbe raccontata da Flavio Giuseppe.
La preghiera non è poi formulata e anche qui può trattarsi di un semplice augurio.
– La preghiera di Baruc nell’Apocalisse di Baruc.
Ha il tono di un discorso sapienziale. Non saremmo troppo lontani dalla vera natura di Gv
17.
b) Nell’AT una preghiera vera e propria alla fine di un discorso di addio la troviamo solo
in 1Cr 29,10-19. SI veda l’insieme di 1Cr 28–29.
Per il resto abbiamo al più delle benedizioni al termine di discorsi di addio: Gen 49; Dt 33.

2.4. Le caratteristiche del genere letterario


a) Una griglia in undici punti dello schema dei discorsi di addio si trova in Thomas12.
Sebbene non tutte le caratteristiche siano presenti in ciascun testo, resta vero che diversi
aspetti dei discorsi di addio si trovano abbastanza frequentemente da permetterci di discernere
i tratti che caratterizzano il genere.
Normalmente i discorsi di addio includono molti dei seguenti elementi.
1. Un uomo pio apprende che la morte è imminente.
2. Questa rivelazione lo porta a convocare i suoi discendenti, o i suoi seguaci, o la sua
famiglia.
3. Chi parla rivela che sta per andarsene.
4. Questa notizia suscita nei presenti dispiacere, angoscia, timore.
5. Spesso si fa riferimento alla storia di chi parla o alla storia della sua nazione.
6. In parecchi casi, il personaggio dà un supremo e definitivo insegnamento.
7. Questo insegnamento include, a volte, un invito all’amore reciproco e a conservare
l’unità.
8. Si formulano promesse e benedizioni relativamente al futuro.
9. Come pure si mette in guardia dalla disubbidienza, da falsi insegnamenti, persecuzioni e
cose simili.
10. Talvolta chi parla sfida l’uditorio a seguire o imitare il proprio esempio.
11. In alcuni casi il discorso di chiude con una preghiera.

b) I principali elementi di un discorso di addio che trovano paralleli in Gv 13–1713.


Il quadro generale.
Un grande personaggio riunisce insieme i suoi (che siano i figli, i discepoli o il suo popolo)
alla vigilia della sua morte, per dare loro delle istruzioni che li aiuteranno dopo la sua
scomparsa. In alcuni casi ciò accade – come in Gv – nel contesto di un’ultima cena.
Singoli motivi:
– colui che parla annuncia la sua imminente partenza;
– i presenti sono turbati;
– egli ricorda la sua vita passata;
– raccomanda di osservare i comandamenti di Dio (o le proprie istruzioni);

12 THOMAS, Footwashing in John 13 and the Johannine Community, 65-66; cf. anche FABRIS, Giovanni,
754-757.
13 Cf. ROSSÉ, L’ultima preghiera, 19 il quale riassume BROWN, Giovanni, 715-720 («Il genere letterario
dell’ultimo discorso»).

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– comanda (spesso) ai figli di amarsi l’un l’altro e raccomanda l’unità (non di rado);
– evoca il destino futuro dei figli, dove c’è posto per la venuta di tempi duri;
– invoca la pace e promette la gioia nell’altra vita;
– promette la vicinanza di Dio a quanti restano fedeli.
Conclusione: si può dire che Gv 13–17 ricalchi la forma generale di un discorso di addio.

c) L’indagine più accurata e, al tempo stesso, la presentazione più sobria delle


caratteristiche del genere letterario è quella di Cortès14.

– Nella «Introduzione» egli descrive la natura del genere letterario «discorso di addio».
Soprattutto indica i motivi e le formule stilistiche (di fatto collegate organicamente a tali
motivi) che caratterizzano il genere. Si tratta di formule non esclusive di questo genere: è la
loro compresenza in un medesimo contesto che risulta caratterizzante.
Motivi peculiari del genere
Essi sono meglio descritti col seguente trittico.
1. Il moribondo (o colui che sale al cielo) chiama i suoi per parlare loro.
2. Egli fa le sue esortazioni. Tra esse, colpisce – per la frequenza – l’allusione alle opere di
misericordia, alla carità, all’amore o alla unione fraterna.
3. Concludono il discorso alcune frasi sul futuro della comunità o la fine dei tempi.
Talvolta, fanno seguito al terzo motivo le ultime disposizioni funerarie.
Inoltre, si tenga conto che la struttura del trittico può variare: il secondo e il terzo motivo
possono scambiarsi nell’ordine e possono comparire mescolati.
Le formule stilistiche caratterizzanti
Sono formule rappresentative del genere, ma non esclusive di esso. La peculiarità sta nella
compresenza di vari tratti stilistici che, singolarmente presi, si trovano anche in altri tipi di
testi – ma mai tutti insieme –, e nella frequenza.
1. La presenza di un verbo indicante convocazione.
Il moribondo «chiama» i suoi.
2. La presenza di espressioni che indicano un ordine, un comando: chi parla dà direttive
morali e formula pressanti esortazioni.
Il moribondo «dà disposizioni testamentarie».
3. Il moribondo si rivolge ripetutamente ai suoi uditori con l’appellativo «figli miei».
Si tratta della formula stilistica più chiara di questo genere per la sua non necessaria,
abbondante presenza. Certo non siamo davanti ad una formula esclusiva di questo genere: la
troviamo pure nei testi sapienziali. Da lì fu presa.
4. Quasi sempre, laddove si danno disposizioni funerarie, troviamo espressioni come: morì,
si addormentò, fu sepolto accanto ai suoi padri. La formula non è fissa, ma l’idea della unione
con gli antenati dello stesso clan riveste un certo peso e certamente presenta una connessione
con l’esortazione all’unità presente nel corpo del discorso.

– Nella «Introduzione» Cortès descrive anche il probabile ambiente letterario che ha


generato questa forma letteraria.
Tre influssi gli paiono decisivi.
1. L’apocalittica.
Intesa come rivelazione fatta da Dio (direttamente o indirettamente) su qualunque tipo di
oggetto sconosciuto all’uomo, in particolare sul futuro. Funzione dell’apocalittica è consolare
con la speranza di un magnifico futuro, più o meno immediato.
L’apocalittica ci aiuta a comprendere soprattutto il terzo motivo del nostro genere15.

14 CORTÈS, Los discursos de adiós de Gn 49 a Jn 13-17. Le parti rilevanti per lo studio di Gv 13–17 sono
l’Introduzione (49-70), il c 6 (366-384), il c 7.5 (425-481), nonché la conclusione del c 7 (482-485) e la
conclusione generale (486-491).

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2. Il midrash.
Si tratta del midrash di tipo haggadico, inteso come reinterpretazione o attualizzazione del
testo biblico.
3. La letteratura sapienziale.
Vista soprattutto come istruzione di un padre al figlio. Va ricordato il ruolo fondamentale
del padre per la nascita e lo sviluppo della ricca letteratura sapienziale.
Nella letteratura sapienziale di scuola, l’espressione «figli miei» è diventata sinonimo di
«discepoli miei»; in questa letteratura scolastica il consigliere-saggio si chiama «padre».
Un medesimo interesse si manifesta nella letteratura sapienziale e nei discorsi di addio:
istruire i figli in una certa verità.

– Nel presentare Gv 13–17 Cortès si muove con cautela.


1. Da un lato, i cc 13–17 del QV non possono essere considerati un chiaro modello del
genere letterario «discorso di addio».
–> Mancano completamente il primo motivo e la formula stilistica ad esso collegata (un
verso di convocazione).
–> In tutti gli esempi del genere precedenti al QV, ci sono solo personaggi che si
congedano definitivamente. Il caso di Gesù è alquanto differente: non si tratta qui di un addio,
quanto piuttosto di un arrivederci.
In conclusione, Gv 13-17 non segue, su alcuni punti importanti, le norme del genere.
Inoltre, anche quando Gv espone temi tipici del genere la sua profondità teologica deborda di
molto i limiti dottrinali dei nostri discorsi di addio. In altre parole, alla luce di Gv 13–17 e con
un confronto ristretto a due o tre testi, nessuno potrebbe dedurre l’esistenza di un genere
letterario «discorso di addio».
2. D’altro canto, Gv 13–17 è un vero discorso di addio che segue regole e costumi del
genere non solo al livello dei temi che sviluppa (amore fraterno, unione fraterna), ma anche
delle modalità di presentazione (si tratta di «comandamenti»): la formula stilistica
comandare/comandamento appare di frequente in questi capitoli.
I temi che più si ripetono in questi capitoli appartengono, direttamente o indirettamente, al
nostro genere. Così, benché esse non abbiano sempre lo stesso significato che rivestono negli
altri discorsi del genere, questi capitoli sono pieni di raccomandazioni. Si comincia con una
esortazione ad imitare lo spirito di umiltà e di servizio che Gesù ha mostrato nel lavare i piedi;
si esorta alla fede, a rimanere in Gesù e a portare frutto. Si invita a non perdere la gioia.
Soprattutto, troviamo il comandamento nuovo e l’esortazione all’unità.
La prospettiva dominata dal futuro, l’invito all’amore fraterno e all’unione fraterna, il tema
dello scacciato (Giuda): tutto questo conviene perfettamente al genere dell’addio.
3. Bilancio conclusivo. Gv ci presenta le ultime parole di Gesù utilizzando la forma
letteraria «discorso di addio». Una forma perfettamente conosciuta da Gv, che però egli ha in
più punti modificato per poter trattare secondo tutta la sua ricchezza teologica della partenza
di Gesù: ciò che, nei nostri capitoli, manca del genere letterario si può spiegare per la
incidenza del fatto storico della partenza di quel personaggio preciso – e non di altri – sulla
redazione letteraria di Gv 13–17.
Se, da un lato, lo stampo letterario ha dato forma alle parole di Gesù, dall’altro, le
circostanze storiche precise di questo addio, hanno piegato la forma letteraria.

d) Segovia ripreso da Zumstein16


Sono tipici del genere un certo numero di elementi ricorrenti: l’uomo di Dio che sta per
morire riceve la rivelazione della sua morte imminente e la rende pubblica; formula le sue

15 Nonché uno dei procedimenti letterari che anche – ma non solo – i discorsi di addio utilizzano: la
pseudonimia.
16 SEGOVIA, Farewell, 6 note 6 e 8; ZUMSTEIN, L’évangile II, 42.

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ultime volontà; svela l’identità del suo successore; si rivolge al gruppo radunato intorno a lui
per rendere conto della sua attività, per offrire consolazione e promesse, per maledire i
nemici, per svelare al tempo stesso il senso del passato e degli eventi futuri, per pregare in
favore dei suoi e benedirli.
I motivi classici del discorso di addio compaiono nel libro VIII della Ciropedia: annuncio
della morte; sguardo retrospettivo; attenzione rivolta a coloro che sopravvivono; regolamento
della successione; esortazione etica; preghiera di addio rivolta agli dei.
Il Fedone è la matrice: annuncio della morte incombente; ultime istruzioni per prendersi
cura delle persone in lutto; designazione del successore; preghiera di riconoscenza rivolta agli
dei; presa di congedo e consolazione prodigata agli intimi; sguardo retrospettivo sul passato,
insegnamento ed esortazioni valida per tutti nel futuro, testamento politico e filosofico.

Bisogna comunque guardarsi dal definire il genere in modo troppo stretto e soprattutto
bisogna guardarsi dall’ascrivere in modo troppo meccanico i discorsi d’addio giovannei a un
genere rigidamente codificato. Su tre punti principali i discorsi d’addio giovannei marcano
una distanza: la forma letteraria no è quella del monologo come sarebbe normalmente
richiesto dal genere, quanto piuttosto quella di un’alternanza tra dialogo e monologo; il
locutore non è semplicemente uno che sta per morire, ma il Figlio che torna al Padre da cui
proviene; sa da un lato il tono testamentario è evidente, dall’altro è pure sottolineata la
perdurante presenza di colui che si congeda.
Si deve pertanto concludere che Gv non si limita a riprendere il genere del discorso di
addio ma lo riconfigura secondo una modalità sua propria17.

3. In quale prospettiva vanno letti i discorsi d’addio del QV


Zumstein. «La chiave ermeneutica del vangelo è data nei discorsi d’addio»18. Nei discorsi
di addio appare in piena luce la prospettiva che guida tutta la narrazione giovannea: una
retrospettiva che racconta la vicenda di Gesù secondo l’anamnesi post-pasquale.

Brown. «Il Gesù che parla qui trascende il tempo e lo spazio; è un Gesù già in cammino
verso il Padre»19. Tutta la serie di discorsi viene collocata nel contesto della realizzazione
ultima. Dal punto di vista drammatico, tali discorsi sono collocati «nella notte in cui fu
tradito», ma in realtà è il Cristo risorto e glorificato che sta parlando qui.
Il problema della particolare prospettiva temporale del discorso (la partenza di Gesù sta nel
futuro o nel passato?) va risolto in questa linea: il punto di vista personale dell’autore si
sovrappone al personaggio Gesù. Per l’evangelista e i suoi lettori il ritorno di Gesù al Padre è
avvenuto molto tempo prima. Poiché nel vangelo egli immagina Gesù che parla ai lettori, il
punto di vista di costoro è divenuto parte del contesto storico.

Fabris. «Le varie ipotesi di ricostruzione letteraria e redazionale del testo attuale
riconoscono che alla sua origine vi è una fonte o tradizione. Ma il testo stesso rivendica la
legittimità della rilettura e dello sviluppo coerente di questo nucleo originario in rapporto alla
mutata situazione della comunità e dei destinatari del vangelo. Il dono e l’invio del paraclito
da parte di Gesù e del Padre hanno lo scopo di garantire questa continuità nella nuova
condizione vitale di una comunità ormai separata dal Gesù storico ed estranea anche alle
attese di una sua venuta finale imminente»20.

17 ZUMSTEIN, L’évangile II, 43.


18 ZUMSTEIN, L’évangile II, 5.
19 BROWN, Giovanni, 696; cf. anche 700-701.
20 FABRIS, Giovanni, 766.

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