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1.1.1. Nel QV
I discorsi dei cc 13–17 del QV sono presentati come rivolti ai discepoli in privato. Nella
prima parte del Vangelo (1,19–12,36) non si trova quasi mai un simile insegnamento
«esoterico», se si eccettuano tre casi1:
– la conversazione con i discepoli presso il pozzo di Giacobbe: 4,31-382;
– la conclusione del discorso sul pane della vita: 6,60-713;
– il dialogo che si svolge al di là del Giordano dopo la notizia della malattia di Lazzaro:
11,7-16.
1.1.3 Bilancio5
Dal punto di vista della distribuzione del materiale i Sinottici contengono istruzioni private
ai discepoli lungo l’arco dell’intero ministero pubblico di Gesù. Tuttavia, si deve osservare
che anch’essi tendono a concentrare l’insegnamento privato di Gesù nei discorsi che
1 Tralasciamo il racconto della chiamata dei primi discepoli (Gv 1,37-51): esso costituisce semplicemente la
premessa perché ci possa eventualmente essere in seguito un momento privato di istruzione die suoi.
2 Un testo che ha punti di contatto con Gv 17 per il tema della missione.
3 Che potrebbe appartenere alla seconda edizione del vangelo.
4 Cf. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni III, 14-15.
5 Cf. DODD, L’interpretazione del Quarto Vangelo, 477-484.
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«Discorso d’addio»
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«Discorso d’addio»
b) La letteratura apocalittica9
Testamenti dei Dodici Patriarchi I Dodici Patriarchi
Enoc Enoc
4Esd Esdra
2Bar Baruc
Libro dei Giubilei Noè, Abramo, Rebecca e Isacco
d) Il mondo greco-ellenistico
Senofonte, Ciropedia 8,7,3-17 Ciro
Platone, Fedone Socrate
Il Fedone ha giocato un ruolo di matrice nella letteratura greco-ellenistica. Vi si ritrovano
tutte le caratteristiche del genere10.
e) Il NT
Lc 22,24-38 Gesù
At 20,17-38 Paolo
1Tm 4 Paolo
2Tm Paolo
2Pt Pietro
7 La fortuna del genere si prolunga bel oltre il periodo biblico: cf., per esempio, l’addio di Caritone ai suoi
monaci in L. CAMPAGNANO DI SEGNI (ed.), Cercare Dio nel deserto. Vita di Caritone, Qiqajon, Magnano 1990,
§§26-36.
8 Qualcuno aggiunge anche 1Sam 12 (Samuele); Tb 4 (Tobi).
9 Qualcuno aggiungerebbe Test. Mosè; Test. Giobbe; Asc. Isaia.
10 Cf. SEGOVIA, Farewell, 6 nota 6; ripreso da ZUMSTEIN, L’évangile II, 42.
11 Cf. E. CORTÈS, Los discursos de adiós de Gn 49 a Jn 13-17. Pista para la historia de un género literario
en la antigua literatura judía (Institución San Jerónimo 5), Herder, Barcelona 1976, 430 e soprattutto G.
SEGALLA, La preghiera di Gesù al Padre (Gv 17). Un addio missionario (SB 63), Paideia, Brescia 1983, 43-45.
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«Discorso d’addio»
12 THOMAS, Footwashing in John 13 and the Johannine Community, 65-66; cf. anche FABRIS, Giovanni,
754-757.
13 Cf. ROSSÉ, L’ultima preghiera, 19 il quale riassume BROWN, Giovanni, 715-720 («Il genere letterario
dell’ultimo discorso»).
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«Discorso d’addio»
– comanda (spesso) ai figli di amarsi l’un l’altro e raccomanda l’unità (non di rado);
– evoca il destino futuro dei figli, dove c’è posto per la venuta di tempi duri;
– invoca la pace e promette la gioia nell’altra vita;
– promette la vicinanza di Dio a quanti restano fedeli.
Conclusione: si può dire che Gv 13–17 ricalchi la forma generale di un discorso di addio.
– Nella «Introduzione» egli descrive la natura del genere letterario «discorso di addio».
Soprattutto indica i motivi e le formule stilistiche (di fatto collegate organicamente a tali
motivi) che caratterizzano il genere. Si tratta di formule non esclusive di questo genere: è la
loro compresenza in un medesimo contesto che risulta caratterizzante.
Motivi peculiari del genere
Essi sono meglio descritti col seguente trittico.
1. Il moribondo (o colui che sale al cielo) chiama i suoi per parlare loro.
2. Egli fa le sue esortazioni. Tra esse, colpisce – per la frequenza – l’allusione alle opere di
misericordia, alla carità, all’amore o alla unione fraterna.
3. Concludono il discorso alcune frasi sul futuro della comunità o la fine dei tempi.
Talvolta, fanno seguito al terzo motivo le ultime disposizioni funerarie.
Inoltre, si tenga conto che la struttura del trittico può variare: il secondo e il terzo motivo
possono scambiarsi nell’ordine e possono comparire mescolati.
Le formule stilistiche caratterizzanti
Sono formule rappresentative del genere, ma non esclusive di esso. La peculiarità sta nella
compresenza di vari tratti stilistici che, singolarmente presi, si trovano anche in altri tipi di
testi – ma mai tutti insieme –, e nella frequenza.
1. La presenza di un verbo indicante convocazione.
Il moribondo «chiama» i suoi.
2. La presenza di espressioni che indicano un ordine, un comando: chi parla dà direttive
morali e formula pressanti esortazioni.
Il moribondo «dà disposizioni testamentarie».
3. Il moribondo si rivolge ripetutamente ai suoi uditori con l’appellativo «figli miei».
Si tratta della formula stilistica più chiara di questo genere per la sua non necessaria,
abbondante presenza. Certo non siamo davanti ad una formula esclusiva di questo genere: la
troviamo pure nei testi sapienziali. Da lì fu presa.
4. Quasi sempre, laddove si danno disposizioni funerarie, troviamo espressioni come: morì,
si addormentò, fu sepolto accanto ai suoi padri. La formula non è fissa, ma l’idea della unione
con gli antenati dello stesso clan riveste un certo peso e certamente presenta una connessione
con l’esortazione all’unità presente nel corpo del discorso.
14 CORTÈS, Los discursos de adiós de Gn 49 a Jn 13-17. Le parti rilevanti per lo studio di Gv 13–17 sono
l’Introduzione (49-70), il c 6 (366-384), il c 7.5 (425-481), nonché la conclusione del c 7 (482-485) e la
conclusione generale (486-491).
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«Discorso d’addio»
2. Il midrash.
Si tratta del midrash di tipo haggadico, inteso come reinterpretazione o attualizzazione del
testo biblico.
3. La letteratura sapienziale.
Vista soprattutto come istruzione di un padre al figlio. Va ricordato il ruolo fondamentale
del padre per la nascita e lo sviluppo della ricca letteratura sapienziale.
Nella letteratura sapienziale di scuola, l’espressione «figli miei» è diventata sinonimo di
«discepoli miei»; in questa letteratura scolastica il consigliere-saggio si chiama «padre».
Un medesimo interesse si manifesta nella letteratura sapienziale e nei discorsi di addio:
istruire i figli in una certa verità.
15 Nonché uno dei procedimenti letterari che anche – ma non solo – i discorsi di addio utilizzano: la
pseudonimia.
16 SEGOVIA, Farewell, 6 note 6 e 8; ZUMSTEIN, L’évangile II, 42.
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«Discorso d’addio»
ultime volontà; svela l’identità del suo successore; si rivolge al gruppo radunato intorno a lui
per rendere conto della sua attività, per offrire consolazione e promesse, per maledire i
nemici, per svelare al tempo stesso il senso del passato e degli eventi futuri, per pregare in
favore dei suoi e benedirli.
I motivi classici del discorso di addio compaiono nel libro VIII della Ciropedia: annuncio
della morte; sguardo retrospettivo; attenzione rivolta a coloro che sopravvivono; regolamento
della successione; esortazione etica; preghiera di addio rivolta agli dei.
Il Fedone è la matrice: annuncio della morte incombente; ultime istruzioni per prendersi
cura delle persone in lutto; designazione del successore; preghiera di riconoscenza rivolta agli
dei; presa di congedo e consolazione prodigata agli intimi; sguardo retrospettivo sul passato,
insegnamento ed esortazioni valida per tutti nel futuro, testamento politico e filosofico.
Bisogna comunque guardarsi dal definire il genere in modo troppo stretto e soprattutto
bisogna guardarsi dall’ascrivere in modo troppo meccanico i discorsi d’addio giovannei a un
genere rigidamente codificato. Su tre punti principali i discorsi d’addio giovannei marcano
una distanza: la forma letteraria no è quella del monologo come sarebbe normalmente
richiesto dal genere, quanto piuttosto quella di un’alternanza tra dialogo e monologo; il
locutore non è semplicemente uno che sta per morire, ma il Figlio che torna al Padre da cui
proviene; sa da un lato il tono testamentario è evidente, dall’altro è pure sottolineata la
perdurante presenza di colui che si congeda.
Si deve pertanto concludere che Gv non si limita a riprendere il genere del discorso di
addio ma lo riconfigura secondo una modalità sua propria17.
Brown. «Il Gesù che parla qui trascende il tempo e lo spazio; è un Gesù già in cammino
verso il Padre»19. Tutta la serie di discorsi viene collocata nel contesto della realizzazione
ultima. Dal punto di vista drammatico, tali discorsi sono collocati «nella notte in cui fu
tradito», ma in realtà è il Cristo risorto e glorificato che sta parlando qui.
Il problema della particolare prospettiva temporale del discorso (la partenza di Gesù sta nel
futuro o nel passato?) va risolto in questa linea: il punto di vista personale dell’autore si
sovrappone al personaggio Gesù. Per l’evangelista e i suoi lettori il ritorno di Gesù al Padre è
avvenuto molto tempo prima. Poiché nel vangelo egli immagina Gesù che parla ai lettori, il
punto di vista di costoro è divenuto parte del contesto storico.
Fabris. «Le varie ipotesi di ricostruzione letteraria e redazionale del testo attuale
riconoscono che alla sua origine vi è una fonte o tradizione. Ma il testo stesso rivendica la
legittimità della rilettura e dello sviluppo coerente di questo nucleo originario in rapporto alla
mutata situazione della comunità e dei destinatari del vangelo. Il dono e l’invio del paraclito
da parte di Gesù e del Padre hanno lo scopo di garantire questa continuità nella nuova
condizione vitale di una comunità ormai separata dal Gesù storico ed estranea anche alle
attese di una sua venuta finale imminente»20.
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