1. Cfr. Biblioteca Marucelliana di Firenze (BMF), ms. B III 52, cc. 65v-66v. Sugli in-
teressi linguistici di Varchi rimando all’introduzione di A. Sorella in BENEDETTO VAR-
CHI, L’Hercolano, ed. crit. a c. di ANTONIO SORELLA, pres. di PAOLO TROVATO, Pescara,
Libreria dell’Università 1995, 2 voll. Cfr. inoltre UMBERTO PIROTTI, Benedetto Varchi e
la questione della lingua, «Convivium», XXVIII (1960), pp. 524-52; CARLO BASCETTA,
Tutte le cose, «Lingua nostra», XXX, 2 (giugno 1969), pp. 37-38; MICHAEL T. WARD,
Benedetto Varchi and the Social Dimension of Language, «Italica», LXVIII (1991), 2,
pp. 176-94. Importante lo studio di ILARIA BONOMI, Giambullari e Varchi grammatici
nell’ambiente linguistico fiorentino, in La Crusca nella tradizione linguistica e letteraria
italiana, Atti del Congresso Internazionale per il IV Centenario dell’Accademia della
Crusca (Firenze, 29 settembre-2 ottobre 1983), Firenze, Accademia della Crusca 1985,
pp. 65-79. Interessanti note dedicate al Varchi in NICOLETTA MARASCHIO, Il pensiero
linguistico del Cinquecento italiano, «Vox Romanica», 57 (1998), pp. 101-16. La Mara-
schio ha anche pubblicato recentemente il frammento della grammatica toscana com-
posta per Lorenzo Lenzi risalente al periodo padovano: NICOLETTA MARASCHIO, La
‘gramatica toscana’ inedita di Benedetto Varchi, in L’Accademia della Crusca per Giovan-
ni Nencioni, Firenze, Le Lettere 2002, pp. 115-129 (dal ms. Biblioteca Medicea Lau-
renziana, Segniano 11, cc. 183r-193r ; copie anche in Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze, Conventi Soppressi J II 46 e Magl. VIII 1397). Sul rapporto tra Varchi e Sal-
viati in merito alle questioni linguistiche cfr. ancora NICOLETTA MARASCHIO, Lionardo
Salviati e l’Orazione in lode della lingua fiorentina e de’ fiorentini autori’, in Studi di sto-
ria della lingua italiana offerti a Ghino Ghinassi, Firenze, Le Lettere 2001, pp. 187-205.
Per una lettura delle teorie di Varchi nel panorama più ampio della linguistica rinasci-
mentale rimando al capitolo di MIRKO TAVONI, La linguistica rinascimentale, in Storia
della linguistica, a c. di GIULIO C. LEPSCHY, Bologna, Il Mulino 1990, vol. II, pp. 169-
312; si vedano anche CLAUDIO MARAZZINI, Il secondo Cinquecento e il Seicento, Bolo-
gna, Il Mulino 1993, pp. 153-158; ID., La speculazione linguistica nella tradizione italia-
na. Le teorie, in Storia della lingua italiana, a c. di LUCA SERIANNI e PIETRO TRIFONE,
vol. I, I luoghi della codificazione, Einaudi 1993, pp. 231-329, in part. sull’Hercolano
pp. 267-73.
138 ANNALISA ANDREONI
8. LUIGI CLASIO, Lettera scritta al Sig. Abate Giovan Battista Zannoni Secondo Biblio-
tecario della Libreria Magliabechiana sopra alcuni Opuscoli mss. di Benedetto Varchi, che
esistono nella Libreria del Sig. Marchese Cav. Giuseppe Pucci, in Opuscoli inediti…, pp.
28-46 (anche in Collezione d’opuscoli… vol. I, pp. 78-96), cit. alle pp. 30-2. Nella lettera
allo Zannoni Clasio scriveva inoltre, a proposito di altri manoscritti varchiani: «Il primo
ms. contiene due lezioni già pubblicate nella Raccolta delle lezioni del Varchi, fatta dai
Giunti in Firenze nel 1590 e sono la prima e la terza sulla Poetica a pag. 593 e 628. No-
mino questo ms. perché la prima lezione è scritta di mano d’Alessandro Allori figlio di
Cristofano, che quantunque assai più giovane del Varchi, siccome nato circa il 1535 era
nulladimeno suo grandissimo amico; onde il Varchi medesimo a lui indirizza il Sonetto
Caro Alessandro mio, che al primo fiore. E siccome l’Allori era assai culta persona, come
apparisce dal suo Dialogo sull’arte del disegnare, stampato in Firenze nel 1590, potrebbe
la di lui corretta copia essere un giorno di qualche utilità a chi volesse intraprendere la
ristampa della Lezioni del Varchi divenute già molto rare. […] Le due del primo ms.
sembrano copie fatte dopo la recita, accennandovisi l’anno e il giorno, in cui furono re-
citate nell’Accademia Fiorentina» (pp. 29-45). Credo di poter identificare questo mano-
scritto con l’Ashb. 674, vol. II, della Biblioteca Laurenziana di Firenze, che contiene la
prima lezione sulla poesia alle cc. 39r-60r e la terza alle cc. 69r-104r. Vi si legge infatti,
depennata, all’inizio della prima lezione, la nota di possesso di Alessandro Allori. La li-
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 141
breria di Giuseppe Pucci fu acquistata nel 1840 da Guglielmo Libri che, dopo averla
per alcun tempo data in custodia a Gino Capponi e dopo alcuni tentativi di vendita an-
dati a vuoto, la vendette a Lord Ashburnam nel 1847 (cfr. la Relazione alla Camera dei
Deputati e Disegno di legge per l’acquisto di codici appartenenti alla Biblioteca Ashbur-
nam descritti nell’annesso Catalogo, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati 1884,
p. 2). Il codice Ashb. 674 fu segnalato da BERNARD WEINBERG, Nuove attribuzioni di
manoscritti di critica letteraria del Cinquecento, «Rinascimento», 1952 (III), pp. 245-59
che, senza metterlo peraltro in relazione con quello segnalato dal Clasio, evidenziava
una nota di mano posteriore la quale ipotizzava l’autografia di Varchi, invece evidente-
mente da escludersi. Ma sulla tradizione manoscritta e a stampa di questi testi tornerò
nell’edizione delle lezioni varchiane, alla quale attendo.
9. Una descrizione del ms. in ANTONIO DANIELE, Sperone Speroni, Bernardino Tomi-
tano e l’Accademia degli Infiammati di Padova, «Filologia veneta», II (1989), pp. 1-55.
142 ANNALISA ANDREONI
10. Cfr. in proposito ANNALISA ANDREONI, Benedetto Varchi all’Accademia degli In-
fiammati. Frammenti inediti e appunti sui manoscritti, di prossima pubblicazione su
«Studi Rinascimentali».
11. Lettera di M. Benedetto Varchi tratta da un ms. esistente nella Libreria del Sig.
Marchese Cav. Giuseppe Pucci (lettera sulla grammatica), in Opuscoli inediti…, pp. 82-
92 e in Collezione d’opuscoli…, vol. II, pp. 46-56.
12. Per una analisi cfr. BONOMI, Giambullari e Varchi…, p. 77.
13. BONOMI, Giambullari e Varchi…, propende, pur in assenza di prove precise, per
una datazione bassa della ‘lettera’.
14. Lezione di Benedetto Varchi, nella quale si ragiona dei tempi dei verbi: letta da lui
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 143
Ora per somma gentilezza del Ch. Sig. Piovano Antonio dell’Ogna Retto-
re del Seminario Fiorentino ho avuto la sorte di trascrivere da un Codi-
cetto della Libreria del suddetto Seminario due altre Lezioni del medesi-
mo Varchi, che senza dubbio appariscono di quella prima sorelle. Il Codi-
ce è composto di soli 24 fogli o carte, e non contiene che queste due Le-
zioni, la prima delle quali in questo Volume si pubblica, l’altra che ha per
titolo, Discorso sulle lingue, si riserba al Volume seguente: ed esse Lezioni
hanno i pentimenti di mano del Varchi, come gli ha l’altra della Pucciana,
già resa pubblica colle stampe15.
tici, infine tratterà di tutti i tempi nelle tre lingue, la greca, la lati-
na e la volgare. In realtà, per prima cosa, egli svolge una premessa
di carattere generale, sui verbi personali e impersonali, sulle dia-
tesi attiva, media e passiva, e sul numero singolare, duale e plura-
le. Dopo ciò, con la formula di passaggio «ma venghiamo oggimai
agli avvertimenti promessi», fornisce cinque ‘avvertimenti’ nei
quali svolge un confronto fra le tre lingue a proposito della ric-
chezza delle forme – e il toscano viene giudicato meno ricco per-
ché deve ricorrere alle forme composte con l’ausiliare –, delle dif-
ferenze nella declinazione – in particolare della presenza nel gre-
co dell’aumento e del raddoppiamento –, dell’uso di medesime
voci per persone e modi diversi e della presenza di verbi difettivi.
Lo scritto si interrompe qui, senza essere neppure arrivato a trat-
tare di che cosa siano i tempi, e si conclude con le parole: «Ma
venghiamo oramai alla promessa principale, nella quale per cagio-
ne delle cose dette potremo essere e più brevi, e meglio intesi».
Nella Lezzione seconda, dopo il proemio, sono ripresi, quasi
con le stesse parole, gli intendimenti già dichiarati nel Discorso
sopra le lingue:
L’intendimento nostro è (come nella precedente lezione si disse) favellare
di tutti i tempi, de i verbi così greci, e latini, come Toscani, con quella se
non brevità, certamente agevolezza, che saperremo maggiore. Ma per che
queste tre lingue si come hanno molte cose somiglianti l’una a l’altra, così
n’hanno ancora molte dissomiglianti, per ciò havemo pensato di dovere
alcuni avvertimenti porre, innanzi, che a trattare particolarmente de’ tem-
pi venghiamo, ma prima, che tali avvertimenti poniamo, è se non necessa-
rio, senza dubbio utilissimo ragionare per maggiore chiarezza di tutti i
verbi generalmente.
Anche in questo caso Varchi annuncia di voler trattare di tutti i
tempi, come promesso, e di voler anteporre degli ‘avvertimenti’,
ma a ciò egli premette una breve introduzione sui verbi in gene-
rale. In questa premessa tratta di nuovo, ma più distesamente,
dei verbi personali e impersonali, delle diatesi, delle coniugazio-
ni, dei modi, dei numeri e delle persone. Gli ‘avvertimenti’ sono
qui in numero di sette. I primi due sono aggiunti ex novo, ma
dal terzo in poi ripetono quasi con le stesse parole quanto già
detto negli avvertimenti del Discorso sopra le lingue: svolgono un
confronto fra le tre lingue sulla forma attiva e passiva, sulla mi-
146 ANNALISA ANDREONI
nore ricchezza del Toscano che deve ricorrere alle forme compo-
ste con il verbo essere nel perfetto e nel piuccheperfetto, sulle
differenze nella declinazione, per cui il greco, diversamente dal
latino e dal toscano, non solo muta le desinenze ma impiega
l’aumento e il raddoppiamento, e infine sull’uso di voci uguali
per varie persone e sull’esistenza di verbi difettivi. A questo
punto Varchi prende congedo, poiché il tempo a disposizione è
scaduto. Anche in questa lezione dunque manca la trattazione
particolare dei tempi, anzi alla fine Varchi promette ancora una
volta di svolgerla nella lezione successiva:
E so ben, anch’io, che queste sono cose basse, e che s’apparano tra i pri-
mi principii nelle squole. Ma qualunche siano, bisogna intendere la mate-
ria de i tempi, della quale (per non infastidire hoggi più lungamente l’hu-
manissime cortesie vostre, le quali humilmente ringrazio) vedremo di for-
nire la domenica vegnente senza alcun fallo.
17. Cfr. ANNALISA ANDREONI, Questioni e indagini per l’edizione delle Lezioni accade-
miche, in Benedetto Varchi nel quinto centenario della nascita (1503-1565), Atti del Con-
vegno di Firenze, 16-17 dicembre 2003, di prossima pubblicazione.
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 147
18. «Laonde devendo io, per ubbidire a chi, e come doveva, ragionare d’alcuna cosa
in questo luogo, e conoscendo, che niuno può ornatamente, favellare, il quale prima
correttamente non favelli, il che è solo ufizio (come s’è più volte detto) del grammati-
co, presi donche a trattare de’ tempi di tutti i verbi, nella cognizione de’ quali non
picciola parte consiste della Grammatica, la qual materia, Uditori benignissimi, col-
l’aiuto, e favore prima di Dio, e poscia di voi c’ingegnaremo finalmente di spedire og-
gi» (Lezione di M. Benedetto Varchi estratta da un ms. della Libreria del Sig. March.
Cav. Giuseppe Pucci…., pp. 51-2).
19. BMF, ms. B III 52, c. 73r.
148 ANNALISA ANDREONI
Varchi sono già state più volte esaminate20. In questa sede con-
verrà sottolineare che la Lezzione seconda qui pubblicata è di
particolare interesse perché Varchi, negando la possibilità di
«succiare col latte l’eloquenza» – con un’espressione già utilizza-
ta nell’orazione Nel pigliare il consolato – proponeva l’esempio
del Bembo e accusava i fiorentini del tempo di essersi allontanati
dalla «dolcezza et purità del Boccaccio», «propietà e leggiadria
del Petrarca», ma anche dalla «gravità et grandezza di Dante»:
Ma che vo io essempi tanto antichi, e tanto lontani ricercando, quasi non
havessimo ne’ nostri giorni veduto (per tacer gli altri) il R.mo Mon.re M.
Pietro Bembo, il quale di dottrina hebbe pochi pari, d’eloquenza pochis-
simi e di giudizio nessuno, havere sì altamente scritto e sì dottamente, an-
cora che Viniziano, della gramatica Fiorentina? […] Ma ben so, che noi
(mentre diamo a credere di succiare insieme col latte l’eloquenza, e che il
cielo di Toscana, standoci noi con le mani a cintola, la ci debba infondere
mentre dormiamo) semo tanto nello scrivere da quella dolcezza, e purità
del Boccaccio, da quella propietà21 e leggiadria del Petrarca, e finalmente
da quella gravità e grandezza tralignati di Dante, che molti dei forestieri,
quando degli scritti nostri così di prosa leggono come di versi, si pensano
fermamente con gran biasimo e vergogna di noi, o che questa non sia
quella Firenze, nella cui lingua scrissero quei tre primi padri e maestri no-
stri o che se pure quella è, habbia la sua favella (come ancora a Roma ad-
divenne) mutata22.
20. La Lezzione seconda è stata di recente esaminata, sotto il profilo del modello
grammaticale adottato nella classificazione dei modi e dei tempi, da MARASCHIO, Il
pensiero linguistico…, che la confronta con le opere grammaticali di Leon Battista Al-
berti, Claudio Tolomei, Pierfrancesco Giambullari, Giorgio Bartoli, Leonardo Salviati.
21. Depennato: ‘castità’.
22. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. VI 168, cc. 252-3.
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 149
avventura la mia dalla loro dottrina, pensavano che io di cose troppo più
alte e più malagevoli che queste non sono trattare dovessi.
nanza che sarebbe stata ribadita alcuni anni più tardi, in occa-
sione della pubblicazione dell’edizione veneziana Pietrasanta dei
Sonetti (1555), in una situazione difficile come quella della guer-
ra di Siena e nonostante l’aperta militanza antimedicea del Casa.
In quell’occasione, infatti, Varchi avrebbe affidato a Giorgio
Benzone il compito di dedicare a suo nome al monsignore una
raccolta poetica che, sotto la marca tipografica di Torrentino,
aveva poco prima personalmente offerto a Francesco de’
Medici24.
24. Converrebbe forse approfondire meglio la questione della doppia dedica, che mi
sembra tuttavia indicativa di un atteggiamento molto libero da parte di Varchi e direi
anche di un tentativo di smarcarsi dalla tutela medicea, riallacciandosi alla linea politi-
co-culturale di Bembo e della Casa.
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 151
Lezzione seconda
Il proemio
Tutti coloro che mai operarono o nell’arti o nelle scienze cosa al-
cuna perfettamente hebbero sempre, dottissimo e prudentissimo
Consolo, ingegnosissimi e virtuosissimi Accademici e voi tutti,
nobilissimi e cortesissimi ascoltatori, dinanzi a gli occhi, per re-
gola e maestra dell’opere loro, la maestra e la regola di tutte le
cose, cioè la natura, l’ordine della quale è che dalle cose prime e
meno perfette a l’ultime e più perfette si saglia e proceda di ma-
no in mano. Laonde tutti coloro che edificare vogliono gettano
la prima cosa i fondamenti, senza i quali vana sarebbe e del tutto
inutile ogni fatica, spesa e industria loro. Anzi, quanto più disi-
dera ciascuno di fare edifizii o maggiori o più durevoli, tanto fa i
fondamenti e migliori e più gagliardi. Similemente coloro i quali,
con incredibile lode loro e ineffabile utilità nostra, furono delle
scienze ritrovatori instituirono, l’ordine della natura giudiziosa-
mente seguendo, che quelle arti, le quali meritamente sono chia-
mate liberali, dalla gramatica incominciare si devessero, la quale
altro non è propiamente che una, non dico nè arte nè scienza,
ma facultà, la quale come correttamente favellare si debba n’in-
segna. Nè intendo in questo luogo più della gramatica greca o
Latina che della Toscana, ma di tutte generalmente, percioché
tutte le lingue hanno la lor gramatica e in tutte è necessario, a
chi saperla vuole, impararla, se già non credessimo, uditori giu-
diziosissimi, quello essere vero che alcuni usano di dire e cioè
che le lingue le quali si favellano, non nelle squole da’ maestri nè
25. Copia con correzioni autografe Varchi. Ho rispettato la grafia (ma ho reso l’usci-
ta ij con ii) mantenendo generalmente le oscillazioni tra scempie e doppie e tra scri-
zione unita e staccata (ho tuttavia generalizzato la scrizione unita nei casi delle con-
giunzioni cioé, perché, perciò, benché, conciosiaché, percioché, nonché). Ho sciolto le
poche abbreviazioni, ho modernizzato l’uso delle maiuscole, degli accenti, degli apo-
strofi (ho adottato però l’accento grave nella congiunzione negativa nè, che rispecchia
l’antica pronuncia aperta della vocale, testimoniata dallo stesso Varchi, cfr. VARCHI,
L’Hercolano…, p. 745) e dell’interpunzione.
152 ANNALISA ANDREONI
1. Del Genere
I generi o vero disposizioni de i verbi sono cinque a novero,
perché ciascuno verbo è necessariamente o attivo o passivo o
neu(257)tro o comune (che i Greci chiamano medio, cioè mez-
zo) o diponente. Dove notaremo che per attivi intendiamo in
questa materia tutti quei verbi che attivamente si diclinano, cioè
così gli attivi come i neutri, e per passivi tutti quegli che passiva-
mente si diclinano, cioè passivi, comuni e diponenti.
2. Della Congiugazione
Quello uffizio che fanno le diclinazioni ne’ nomi fanno ne’
verbi le congiugazioni, le quali appresso i Latini sono quattro,
amâre, vidêre, lègere, audîre, onde hanno i Toscani senza alcun
dubbio le loro cavate: amare, vedere, leggere, udire. Appresso i
Greci sono tredici secondo l’uso comune e secondo Teodoro
due. Noi per hora le faremo tre, perché tutti i verbi greci forni-
scono o in o grande coll’accento grave, e questi si chiamano da
loro baritoni o vero gravisoni, cioè d’accento grave, o in o pur
grande, ma collo accento circonflesso, e questi si chiamano cir-
conflessi, o in questa sillaba mi, chiamati da loro per cotale ca-
gione i verbi in mi. Dove notarete che noi favellaremo principal-
mente de i tempi de i verbi baritoni o vero gravisoni, benché
trattandosi di questi si viene a trattare ancora di tutti gli altri,
conciosiacosaché l’intendimento nostro è dichiarare in questo
ragionamento la forza de’ tempi, non delle persone che ne’ tem-
pi si truovano.
3. Del Modo
I modi appresso tutte le lingue sono cinque, il primo de’ quali
è chiamato da’ Latini indicativo, cioè mostrativo, e da’ Greci difi-
nitivo e da altri narrativo; il secondo imperativo, cioè comandati-
vo; il terzo ottativo, cioè disiderativo, il quarto soggiuntivo o vero
congiun(258)tivo, il quinto e ultimo, il quale nel vero non è pro-
piamente modo, si chiama infinito cioè indefinito e indetermina-
to. De’ quali solo il primo è necessario appresso i filosofi, gli altri
non sono tanto per isprimere la verità, quanto per mostrarne le
varie disposizioni e diversi effetti degli animi nostri.
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 157
Avvertimento primo
La prima cosa che mi pare di dovere avvertire è che io ho di
sopra favellato e disotto favellarò secondo i gramatici principal-
mente e non secondo i loici nè secondo i filosofi, perché altra-
mente di troppo harei fallato e in troppe cose, conciosiaché, per
tacer dell’altre, il verbo amare non significa azzione, cioè fare se-
condo la verità, ma passione, cioè patire; per la medesima cagio-
ne toccare, gustare, odorare, udire, vedere e altri molti non sono
verbi attivi (come tutti i gramatici dicono) ma passivi, come ne
pruova il Filosofo nel secondo libro dell’Anima, perché se l’in-
telletto, ricevendo le forme e spezie de gli intelligibili, si chiama
patire, onde prese il nome di passibile, molto più il senso, rice-
vendo le spezie e le forme de’ sensibili, si chiamarà patire, onde
così intendere come sentire non azzione veramente significano,
ma passione. (263) Nè per questo sono da dovere essere ripresi i
gramatici perché, oltra che altramente considera le cose il gra-
matico, altramente il filosofo, a lui non istà trattare delle cose ma
delle parole e delle parole non se sono vere o false, che questo è
ufizio del loico, ma se sono congrue o incongrue (come dicono i
medesimi filosofi) cioè se concordano o discordano e in somma
se mancano di quei duoi vizii che soli al gramatico s’aspettano,
cioè barbarismo e solecismo.
Avvertimento secondo
Avvertiremo secondariamente che se bene i verbi sono di cin-
que maniere secondo i gramatici, non sono però secondo la ve-
rità di più che di due, cioè o attivi o passivi, perché ne’ neutri,
ne’ comuni e ne’ deponenti, sempre vi si trova necessariamente
o azzione o passione. Bene è vero che l’azzione è di due maniere,
perché alcuna passa in altrui, come si vede nel verbo uccidere e
infiniti altri, e alcuna rimane in colui che la fa, come si vede nel
verbo vivere e infiniti altri, ma i gramatici così Greci come Latini
per più agevolezza e maggiore distinzione gli divisero in cinque
sorti, come s’è detto, dove i Toscani non hanno se non tre, attivi,
passivi e neutri. Nè sia alcuno che creda, perché io ho detto che
i verbi comuni si chiamano da i Greci medii, che i latini habbia-
no i medii come i Greci, perché i comuni appresso i Latini sono
LA LEZZIONE SECONDA SULLA GRAMMATICA 161
batto, tu batti, colui batte. Dove si vede che tutte e tre cotali voci
in tutte queste tre lingue sono varie e diverse l’una dall’altra,
nell’ultime sillabe non terminando in uno modo medesimo tutte,
anzi tutte diversamente terminando e similmente mutandosi i
tempi se mutano ancora le voci, come si vede diclinando in gre-
co tuvptw, e“ tupton, tevtufa, etetuv
j feon, e“ tuya, tuvyw, e in la-
tino verbero, verberabam, verberavi, [verberavi] verberaveram,
verberabo, cioè in toscano io batto, io batteva, io ho battuto, io
battei, io haveva battuto, io battarò. Dove è da notare che i Greci
nel diclinare i loro verbi mutano non solamente l’ultima sillaba,
ma ancora la prima e talvolta quella del mezzo, dove i Latini non
mutano mai se non l’ultime, lasciando stare quelle del mezzo e le
prime in un modo medesimo, se non se ne’ preteriti perfetti
molte volte, perché fa[c]cio fa nel tempo che è corso feci et do fa
d[i]edi e così in molti altri, ma riserbano non di meno la prima
consonante, eccetto che in alcuni verbi anomali, cioè fuori di re-
gola e che non servano niuna delle quattro coniugationi, come si
vede nel verbo eo, io vo, che nel preterito perfetto fa ivi, io an-
dai, e così di tutti gli altri cotali. I Toscani ordinariamente non
mutano mai se non l’ultima sillaba, eccetto che in alcuni verbi o
anomali, come andai da vo, ben(270)ché andare, per dirne il ve-
ro, vien più tosto dalla voce antica ando che da vo o contratti
(verbi contratti chiamo hora quegli che sono abbreviati dalle lo-
ro prime voci, come vo da voglio e fo da faccio e altri tali), onde
il verbo do fa nell’aoristo, o vero tempo che corse, diedi, mutata
la vocale, e così in alcuni altri così fatti. Ma riserbano almeno la
prima consonante senza mai mutarla in altre lettere o aggiugner-
vi dinanzi cosa alcuna il che non fanno i Greci, i quali spessissi-
me volte in tutti i preteriti o le mutano mediante l’accrescimento
temporale o v’aggiungono il sillabico, come è notissimo a chi
mai diclinò greco, la qual cosa quanto aggiugne alla lingua loro
di varietà tanto le scema di chiarezza.
Avvertimento quinto
Tutti i gramatici, così i Greci come i Latini, dicono che le lor
lingue hanno nel diclinare i verbi alcuni tempi chiamati da essi
congiunti e noi gli potremmo chiamare pregni o vero doppii,
perché servono per due tempi, essempii grazia questa voce ama-
166 ANNALISA ANDREONI