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“La professione si fonda sul valore, sulla dignità e sulla unicità di tutte le persone,
sul rispetto dei loro diritti universalmente riconosciuti e delle loro qualità originarie,
quali libertà, uguaglianza, socialità, solidarietà, partecipazione, nonché sulle
affermazioni dei principi di giustizia ed equità sociale.”
Gli autori ed i testi che stiamo prendendo in esame sono, a nostro parere,
estremamente importanti per noi assistenti sociali in quanto ci permettono di
analizzare e comprendere le basi della nostra professione osservandola attraverso le
lenti della filosofia politica.
Iniziamo con il considerare il contributo offertoci dalla piu’ importante filosofa
politica dei nostri tempi Martha C. Nussbaum studiando l’agile raccolta di suoi saggi
edita da Il Mulino, Giustizia sociale e dignità umana.
Fin dalle prime pagine leggiamo parole e concetti a noi familiari: disabilità, rispetto
della dignità della persona, considerazione sociale del lavoro di cura. Nussbaum ci
aiuta a capire il legame forte che accomuna le persone che vivono una condizione di
bisogno alle persone che forniscono loro le cure necessarie, e che spesso, anzi troppo
spesso, sono donne. Ascoltiamo direttamente dalla voce dell’Autrice: “ …se
annetteremo scarso valore o scarsa dignità alle persone in condizioni di dipendenza,
non saremo capaci di riconoscere dignità al lavoro di coloro che le vestono o le
lavano, cosi’ come non accorderemo a tale lavoro il riconoscimento sociale che
merita.”1
Dunque il punto è proprio questo, dalla scarsa considerazione delle persone deboli e
dipendenti da altri deriva la scarsa considerazione delle attività di cura siano esse
prestate da familiari che da professionisti (naturalmente includiamo tutti gli operatori
del sociale) e che in genere comunque coinvolgono donne. Quando allora sentiamo
1
Martha C. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana, Bologna, il Mulino, 2002, p.47
recitare il mantra secondo cui: nel sociale si guadagna poco, nel sociale si è
considerati sfigati tra gli sfigati, nel sociale non ci sono soldi, dobbiamo considerare
che abbiamo di fronte la sintesi della coalizione di almeno due pregiudizi, e cioè un
pregiudizio sulle possibilità e valore sociale dei disabili ed un pregiudizio di genere.
Con Nussbaum riflettiamo sui concetti che costituiscono le basi della visione
contrattualistica della società proposte da vari pensatori, quali John Locke, David
Gauthier, e sulla Teoria della Giustizia di John Rawls (a cui dedicheremo un
commento nella seconda parte di questa trattazione); l’idea base su cui questi Autori
fondano il contratto sociale definisce l’individuo come “libero, eguale, indipendente”
(Locke) che agisce in veste di cittadino come “membro normale e pienamente
cooperativo della società per tutta la vita in un’ottica di mutuo vantaggio di scambio”
(Rawls).
Visto da questa posizione un individuo che per ragioni temporanee o definitive non è
indipendente e produttivo diventa automaticamente un escluso, un elemento che non
ha pari dignità di cittadinanza, una voce di costo, un peso per una società che ha
nella competizione il proprio tratto distintivo. Di conseguenza, chi si occupa per
lavoro, o per obbligo, di persone fragili e/o disabili siede al loro fianco sul gradino
piu’ basso della considerazione sociale. Per lavoro in quanto assistenti sociali ,
operatori, educatori, insegnanti, sono normalmente sottopagati e sottostimati, per
obbligo poiché dalla sedimentazione culturale scaturisce una pressione sociale che
addossa il carico piu’ pesante dell’attività di cura alle famiglie, ma piu’ esattamente
alle donne. Comunque quasi tutte donne, a cui non è riconosciuto il valore del proprio
lavoro e del proprio impegno sia perché si occupano di “inutili” sia perché donne in
quanto tali cioè “esseri umani difettivi” (Aristotele).
A questo punto risulta evidente un interessante aspetto, infatti è proprio grazie al
lavoro intellettuale di un “essere umano difettivo”-l’autrice- che il pensiero
aristotelico si esprime nella piu’ attuale e convincente teoria filosofica la quale
utilizza l’approccio delle capacità e delle funzionalità nella definizione dei diritti
umani. Per completezza ricordiamo che questo approccio poggia su forti pilastri ,
Marx e Sen, tuttavia è attraverso l’elaborazione di Marha Nussbaum che si afferma
come punto di riferimento nella valutazione del livello di qualità della vita e della
dignità delle persone.
Attraverso lo studio e l’esperienza sul campo, Nussbaum raffina dieci capacità
fondamentali grazie alle quali è possibile “riconoscere un essere umano ad ogni
latitudine” (Aristotele); si tratta di capacità innate il cui sviluppo permette di
raggiungere una qualità di vita degna superando quel confine che distingue la
modalità di vita degli animali umani da quelli non umani.
Rileggendo per un momento l’Art. 5 del Codice deontologico degli Assistenti Sociali
troviamo il riferimento alle “qualità originarie” che possiamo leggere anche come
“capacità originarie”: ecco un buon punto di incontro su cui riflettere.
Cambia di molto la prospettiva, grazie all’ approccio delle capacità non si considera
semplicemente le risorse, le aspettative o l’autopercezione di sé, ma si parte dal
presupposto che ogni essere umano ha specifiche capacità e che è compito dello stato
far si che queste capacità possano effettivamente svilupparsi in funzionalità. Solo
osservando quello che le persone riescono effettivamente a fare ed a essere diventa
possibile capire cosa è necessario agire per far si che l’emancipazione verso una vita
degna sia reale. Lo sviluppo delle capacità ed il raggiungimento di funzionalità
trasforma un essere umano considerato inutile in una persona che vive con dignità in
una società piu’ giusta com’anche permette di elevare le donne dalla posizione di
sfruttamento nella quale da epoche remote si trovano. Le capacità innate quali Vita,
Salute, Integrità fisica, diventano punti cardinali dai quali deriva che un loro
disconoscimento, quando cioè non se ne permette lo sviluppo e l’effettivo esercizio,
si trasforma in una violazione dei Diritti Umani, di tutti gli esseri umani in ogni
Paese.
L’aspetto che Nussbaum aggiunge è l’evidente libertà di scelta che viene garantita
all’individuo nel momento in cui la consapevolezza delle proprie capacità si coniuga
con la concreta possibilità di esprimerle nei modi preferiti. Libertà vs paternalismo
ascoltiamo le parole della Nussbaum: “ Il paternalismo non ci piace proprio perché
c’è qualcos’altro che ci piace: la libertà di scelta di ciascuno nelle questioni
fondamentali…la libertà non è solo una questione di avere dei diritti formali, ma
richiede che vi siano le condizioni per esercitare quei diritti, e ciò implica la
disponibilità di risorse. Lo Stato che intende garantire con efficacia i diritti dei suoi
cittadini deve difendere molto di piu’ di questo scarno elenco di diritti fondamentali:
dovrà impegnarsi nella distribuzione della ricchezza, nell’accesso all’impiego, nel
godimento dei diritti locali, nella sanità e nell’educazione…Dovremo preferire una
interpretazione normativa transculturale che concentri l’attenzione sull’
empowerment e sulle opportunità, lasciando alle persone piena libertà di perseguire
i propri piani di vita una volta che queste opportunità siano state loro assicurate”.2
Su questo concetto espresso cosi’ chiaramente dall’Autrice pensiamo sia utile, per noi
assistenti sociali, richiamare l’Art 11. del Codice deontologico quale ulteriore punto
di incontro tra la nostra professione ed il pensiero filosofico della Nussbaum: “
L’Assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per
promuovere l’autodeterminazione degli utenti, la loro potenzialità ed autonomia, in
quanto soggetti attivi (…) .“
Un aspetto potrebbe apparire in contrasto con le piu’ diffuse teorie liberali ed emerge
chiaramente allorchè l’Autrice afferma che è lo Stato che deve assicurare le
fondamentali capacità correlate alla salute ed all’educazione ( posizione che
condividiamo), garantite cioè da quello Stato che molti vorrebbero minimo lasciando
la mano del mercato libera di agire, ma ben sappiamo che il mercato mira al
massimo profitto rigettando chi non “merita” e non “produce” .
Qui si esprime il concetto di liberalismo neoaristotelico, un liberalismo che accetta
l’intervento dello Stato, anche all’interno della famiglia, quando si tratta di difendere
i cittadini piu’ fragili, uno Stato che si preoccupa di compensare le diversità che
caratterizzano ogni specifica condizione umana, Don Lorenzo Milani scrisse che non
c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali, è uno Stato che
crea le condizioni affinchè i cittadini pienamente consapevoli possano esecitare
finalmente libere scelte, dimostrandosi effettivamente uno Stato liberale.
2
op.cit., pp. 66-67
Esaminiamo ora un altro autore:
Alaisdai MacIntyre e la sua opera Animali Razionali Dipendenti.
Nella prima parte del testo l’Autore si impegna a confutare le posizioni di numerosi
pensatori che, a partire da Cartesio, hanno dedicato studi approfonditi con i quali
stabiliscono una netta distinzione tra animali ed esseri umani.
MacIntyre dedica interi capitoli all’analisi di quei comportamenti che in realtà
accomunano – volendo usare un linguaggio aristotelico – animali umani ed animali
non-umani, utilizzando come oggetto di studio animali evoluti quali i delfini.
All’origine dell’idea, a nostro parere ammantata da un consistente velo di
supponenza, che gli esseri umani siano separati nettamente dal mondo animale ha
contribuito Cartesio, sentiamo come lo descrive MacIntyre: “ Cartesio valutava
erroneamente sia gli uomini sia gli animali non-umani. Ciò che lo portava a
ingannarsi era la sua idea che le nostre credenze circa i pensieri, i sentimenti e le
decisioni degli altri potessero essere interamente ricavate dal loro comportamento
esteriore e dal loro modo di esprimersi, in base ad un ragionamento.”3 Sottolineiamo
questo punto, per noi importante, come vedremo in seguito.
L’Autore, descrivendo i comportamenti dei delfini e dei cani è in grado di sostenere
la contiguità che con evidenza sussiste tra animali umani e animali non-umani:
capacità ( si ricordi quanto già scritto sull’importanza delle capacità ) di agire sulla
base di ragioni, capacità relazionali, il piacere che si trae dal compimento di
un’attività, l’abilità di correggere le proprie credenze sulla base di proprie percezioni
( Searle), sono elementi che emergono come punti di incontro anziché di
demarcazione tra esseri viventi che giustamente MacIntyre colloca all’interno di uno
spettro all’interno del quale l’uomo grazie all’uso del linguaggio ha maturato una
parziale trasformazione della della propria natura originale, restando tuttavia soggetto
animale con identità animale.
Questo è ciò che afferma MacIntyre: “ le relazioni di alcuni animali non-umani sono
pertanto visibilmente abbastanza piu’ vicine alle relazioni umane di quanto alcune
teorizzazioni filosofiche che ho discusso consentirebbero di pensare. In realtà, alcuni
esseri umani e alcuni animali non-umani perseguono i loro beni rispettivi in
compagnia e cooperazione gli uni con gli altri. E quanto noi intendiamo qui con beni
è precisamente la stessa cosa, per gli uomini, i delfini o i gorilla.”4
Prima di proseguire sul percorso proposto dal prof. MacIntyre riflettiamo sul motivo
per cui egli ha dedicato tempo ed energie per ristabilire filosoficamente la
appartenenza animale dell’essere umano e perché, a nostro parere, è cosi’ importante
per noi assistenti sociali questo lavoro di riflessione. Ripensiamo alle parole di
Cartesio precedentemente citate: se ci convinciamo che i pensieri, i sentimenti, le
decisioni degli altri possano essere interamente ricavate dal loro comportamento
esteriore e dal loro modo di esprimersi in base ad un ragionamento, e che in
mancanza di tali presupposti riteniamo di collocare tutto cio’ che non li soddisfa in
3
Alasdair MacIntyre, Animali razionali dipendenti, Milano, Vita e pensiero, 2001, p. 15
4
op.cit., p.61
una condizione sub-umana, come potremo affrontare la condizione, questa si, umana
caratterizzata da vulnerabilità e sofferenza nella quale tutti noi siamo esposti a periodi
piu’ o meno lunghi, anche definitivi, di disabilità che nei suoi vari gradi puo’ essere
anche totalmente invalidante o addirittura deformante? Pensiamo alle gravi forme di
paralisi cerebrale, demenze, esiti di incidenti gravissimi, tutte condizioni nelle quali
l’individuo si trova limitato o impossibilitato a comunicare esteriormente i propri
sentimenti attrraverso il linguaggio per noi “convenzionale”: che cosa dovremmo
allora concludere, che davanti a noi non è piu’ un essere umano, ma qualcosa di
meno, piu’ animale che uomo? Magari una semplice voce di costo?
Ma andiamo oltre.
MacIntyre ci aiuta a trovare una definizione di identità umana valida anche quando
certi tratti distintivi dell’evoluzione vengono a mancare: “ Non è soltanto, come ho
già detto, che i nostri corpi siano corpi animali con l’identità e le continuità dei
corpi animali. L’identità umana è in primo luogo, se non addirittura soltanto,
corporea e di conseguenza è un’identità animale, ed è in riferimento a questa
identità che le relazioni con gli altri sono parzialmente definite”.5
Evidentemente, riconoscere la sofferenza di colui che abbiamo difronte è importante
ma non sufficiente: è necessario anche essere consapevoli della dipendenza che essa
determina. Il disabile, attenzione: tutti noi lo siamo anche se in grado diverso ed in
tempi diversi, è dipendente da altri affinchè la propria disabilità non sia essa stessa
generatrice di limiti alle capacità di speranza ed immaginazione che caratterizzano
ogni essere umano ad ogni latitudine.
MacIntyre ci costringe a prendere coscienza del fatto che solo riconoscendo la nostra
condizione di reciproca dipendenza possiamo guadagnare l’indipendenza tipica di
quello che lui definisce “attore razionale indipendente” . L’assistente sociale ha di
che riflettere su questo punto, con l’aiuto dell’Autore: “…noi continuiamo ad avere
bisogno del sostegno degli altri nel nostro ragionamento pratico fino alla fine della
nostra vita (…) possiamo sbagliarci in qualsiasi momento nel nostro ragionamento
pratico a causa dell’errore intellettuale (…) ma possiamo anche sbagliarci a causa
di un errore morale: possiamo essere stati influenzati eccessivamente dalla nostra
antipatia per qualcuno, possiamo aver proiettato in una situazione qualche fantasia
che ci ha impedito di veder chiaro, possiamo non essere stati sufficientemente
sensibili alla sofferenza di qualcun altro, i nostri errori intellettuali sono spesso
radicati nei nostri errori morali. In entrambi i tipi di errori le migliori risorse di cui
disponiamo sono l’amicizia e la collegialità”.6
MacIntyre, dunque, sottolinea l’importanza delle relazioni alle quali viene correlata la
qualità della cura che come punto di partenza deve avere la consapevolezza che noi
potremmo essere al posto di chi soffre .
Altri termini, che rappresentano concetti forti, presenti nell’opera in esame sono
familiari all’assistente sociale, ad esempio comunità e rete. Il lavoro di comunità ed
il lavoro in rete sono oramai diventati cardini della professione e leggere MacIntyre
5
op.cit., p.10
6
op.cit., p. 94
offre l’opportunità di estrapolare questi termini dal gergo professionalmente asettico
attraverso una lettura filosofica .
Secondo l’interpretazione di McIntyre ogni individuo raggiunge il bene, cioè una
situazione per egli ottimale, nella misura in cui agisce nell’ambito della comunità un
rapporto di scambio, fin qui saremmo nei canoni della visione contrattualistica, egli
tuttavia va oltre: il pieno possesso delle virtu’ che caratterizzano una vita piena,
consapevole e partecipativa, è necessario accettare scambi sbilanciati, nei quali è
possibile dare molto piu’ di quanto si ha ricevuto, ma non solo: per ottenere occorre
essere disposti e pronti a dare anche a coloro da cui probabilmente non si riceverà
nulla in cambio: quello che l’Autore definisce “ virtu’ della giusta generosità”. E’ da
questo assunto che si gettano le fondamenta di una comunità felice nella quale anche
chi “non produce” - il bambino , l’anziano, il disabile - ha la possibilità ed il diritto di
vivere una vita piena, rispettato e riconosciuto come essere umano facente parte della
comunità a pieno titolo, parte del bene comune.
Nell’ultimo capitolo del testo che stiamo considerando troviamo ancora una volta un
termine che ricopre un ruolo importante nella nostra professione di assistenti sociali:
tutore. Oggi forse è preferibile parlare di amministratore di sostegno, figura introdotta
dalla legge 9 gennaio 2004 n.6, tuttavia la figura che MacIntyre tratteggia è
perfettamente calzante, egli sostiene la fondamentale importanza del tutore affinchè
chi non ha voce possa comunque avere un peso nella sfera pubblica: figura
importante, il tutore, sia per affrontare i problemi della quotidianità sia per interagire
con la politica attraverso la quale ampliare l’accesso alle opportunità di
emancipazione. Questi compiti vengono assolti in parte anche dalle associazioni di
volontariato di auto-mutuo- aiuto.
MacIntyre, a noi assistenti sociali ricorda la forma fondamentale di considerazione
umana:
“ Quello di cui qualcuno in estrema necessità ha bisogno qui e ora è cibo, bevanda,
vestiti e riparo. Ma quando queste necessità primarie sono state risolte, ciò di cui
coloro che si trovano nel bisogno hanno allora maggiormente necessità è di essere
ammessi o riammessi in una qualche posizione riconosciuta all’interno di una
qualche rete di relazionicomuni nelle quali essi vengono riconosciuti come
partecipanti a una comunità deliberativa, una posizione che consenta loro sia di
giustificare il rispetto degli altri sia la propria considerazione di sé”.7 Pensiamo ai
senza dimora ed ai processi di esclusione spesso celati da interventi solo
apparentemente di carattere sociale e/o caritatevole, in realtà finalizzati alla
“ripulitura” dei centri storici in nome del decoro e del marketing urbano. Al contrario,
in una comunità come San Marcellino8, ad esempio, - nella quale ai senza dimora si
insegnano arti raffinate grazie alle quali intraprendere un percorso di reinserimento
sociale - davvero trova aderenza il pensiero filosofico espresso dal prof. MacIntyre.
7
op. cit., p.126
8
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Alcune nostre considerazioni
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
SITOGRAFIA
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www.wikipedia.org