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I Edizione digitale: luglio 2018

Copyright © Anna Nicoletto


Tutti i diritti riservati.
AVVERTENZE
 
 
Questo racconto è un’opera di fantasia, a meno che anche voi come me
non crediate che i personaggi vivano di vita propria da qualche parte a
metà tra le pagine del libro e la testa e il cuore di chi legge.
 
L’e-book narra il dodicesimo capitolo del libro “Gli effetti collaterali
dell’amore” dal punto di vista del personaggio maschile, James.
Essendo un punto centrale della narrazione, per non incappare in
grossi spoiler se ne consiglia la lettura dopo il romanzo “Gli effetti
collaterali dell’amore”.
 
Buon ritorno in questa storia.
E grazie.
 
Anna
 
 
 
 

Uno
 

«E così è la tua prima volta in Colorado?»


Tizia Numero Tre fa scivolare i capelli sulla spalla e si sporge verso di
me, appoggiando una mano sul mio avambraccio.
È la terza volta che mi tocca casualmente le braccia e, quattro mesi fa,
non avrei esitato a cogliere ogni esplicito segnale per trasformare la teoria
dei suoi approcci in piacevole pratica battezzando il maggior numero
possibile di superfici verticali presenti in questa casa fantastica.
«Ehm. Esatto» rispondo.
È circondata dalle sue amiche, ma secondo qualche legge del gruppo
che non conosco, loro stanno zitte e lasciano il One Woman Show a lei.
D’istinto, vago con lo sguardo nella sala alla ricerca del motivo per cui
la cosa non ha alcun effetto fisico o mentale su di me.
Kate è dall’altra parte del salone, di fronte alla vetrata, e sta brindando
assieme a Tom. Indossa un vestito rosso da cerimonia e inclina appena la
testa, ridendo a una battuta del mio migliore amico.
E, Dio, è bellissima.
Così bella che vorrei attraversare la stanza, prenderla per mano e
convincerla in ogni modo a mollare la farsa del “siamo impegnati ma non
troppo” e darci una possibilità seria, concreta.
«E poi ci sarà anche la Denver Parade of Lights! Non puoi perderla!»
continua la ragazza davanti a me.
Con la coda dell’occhio, vedo Tom che allunga un calice alla mia
ragazza e brinda con lei, poi la prende sottobraccio e le stampa un bacio
sulla tempia. Se questo non fosse il suo matrimonio e se io non fossi
assolutamente certo che tra loro c’è solo una splendida amicizia, giuro che
mi starei preoccupando.
Per fortuna, non è questo il caso.
E se anche lo fosse… ah, già, sono così idiota che da mesi recito la
parte del finto menefreghista. Mi domando quanto ancora potrò reggere
in queste condizioni, se ogni volta che lei è vicina il cuore combatte per
spaccarsi in due e rivelarle tutto il casino che c’è dentro.
Cerco di ascoltare, quantomeno per educazione, la lunga lista di eventi
che Miss Associazione Turistica sta presentando, quando sento una mano
infilarsi tra il mio bicipite e il torace.
«Ciao.»
Il profumo di Kate mi colpisce prima ancora della sua voce ed è per
questo che, non appena lei si alza sulle punte per darmi un bacio sulla
guancia, io la anticipo e mi volto, rubandogliene uno lieve sulle labbra che
la lascia stordita per qualche secondo.
Se qualcuno ancora non l’ha capito, io sono di questa donna.
E se lo capisse anche la donna in questione, diciamo che avrei esaurito
le richieste del decennio.
«Ciao» rispondo, facendo passare il braccio attorno alla vita di Kate e
attirandola a me. «Christy mi stava raccontando quali cittadine visitare nei
dintorni. Sembra che ci siano una montagna di eventi natalizi da non
perdere.»
«Ma davvero?»
«Già. Le stavo dicendo che purtroppo non saremo in Colorado, visto
che ripartiamo domani per Las Vegas.»
Colpo basso.
Tizia Numero Tre si imbroncia, ma non ci posso fare niente.
«Allyson ha annunciato che stanno per cominciare i balli» continuo,
rivolgendomi alla mia ragazza. «Ti va di fuggire da qualche parte?»
Lei annuisce. «Certo.»
Saluto velocemente le ragazze e la prendo per mano. Il ranch dei
genitori di Allyson è gigantesco e ogni angolo trasuda clima natalizio.
Imbocco una porta di servizio per scappare dal caos del ricevimento
nuziale. Percorriamo un corridoio infinito e in fondo finalmente troviamo
un salotto deserto, con una vetrata pazzesca che si affaccia su una distesa
di staccionate e campi imbiancati.
La musica della festa arriva attutita, ci richiude in una bolla solo nostra.
Mi siedo su una delle quattro poltrone di pelle, reclino la testa e allento
il nodo della cravatta. Due secondi più tardi, Kate si adagia sulle mie
gambe e io trattengo il fiato, ripetendomi almeno una decina di volte che
devo assolutamente dimenticare il pensiero che come un tarlo mi si è
insinuato dentro da quando Tom e Ally hanno annunciato il loro
matrimonio.
Vietato.
Bollino rosso.
Follia pura.
«Allora, sei sopravvissuta o l’esperienza ti ha traumatizzata?»
«Voto per “traumatizzata”. E tu?»
Ecco, ottimo…
«Puoi giurarci» mi costringo a rispondere. Poi, per non pensare, faccio
scivolare le mani lungo la sua schiena, su e giù. Kate mi bacia il collo,
piccoli baci che mi spezzano il respiro uno dopo l’altro, come soldatini
mandati in guerra per farmi fuori.
L’ho già persa questa guerra, Kate.
L’ho persa non appena ti ho incontrata.
«Kate» deglutisco. «Se continui, non garantisco per l’incolumità del tuo
vestito. E prima o poi dovremmo uscire da qui, sarebbe imbarazzante.»
Oppure continua pure, a tuo rischio…
«Per me o per te?»
Sorrido. «Spudorata. Lo sapevo sin dalla sera in cui ci siamo conosciuti.
Tu vuoi uccidermi.»
Altri piccoli baci.
Altri pensieri che non dovrei avere.
«Almeno è una buona morte. Credo la migliore.»
Di colpo, Kate si irrigidisce e io mi accorgo che la suoneria del suo
cellulare sta suonando, nella pochette.
«È il tuo telefono?» le domando.
«Lascialo suonare.»
«Potrebbe essere importante.»
La piccola strega mi distrae tracciando la linea della mia bocca con la
punta delle dita. «Non lo è.»
«Come…»
«Suoneria personalizzata. Niente di che.»
Brutto segno.
«È tuo padre? Potresti rispondergli» suggerisco, pur sapendo che
questo è un argomento vietato tra noi. «È quasi Natale, in fondo.»
«Sai cosa gliene frega a lui, del Natale.»
«In teoria nemmeno a te interessa. Ma solo nella teoria» azzardo. Oggi
mi sento particolarmente avventato. «Ho visto come ascoltavi Ally quando
raccontava la sua tradizione. E come osservavi i suoi cuginetti rincorrersi
mentre si litigavano gli addobbi attorno al camino. Sembravi persa chissà
dove. Da te non era così.»
«Da me non era Natale nemmeno il giorno di Natale, figurarsi il mese
precedente.»
So che la sua famiglia è un mezzo disastro, ma il suo dolore immeritato
mi provoca comunque una fitta a tradimento. «Kate…»
«Non sono mica traumatizzata. E mio padre è pure un tradizionalista: è
cattolico, onora le feste e ogni anno va alla Messa di mezzanotte con mia
madre e metà del suo consiglio di amministrazione, tra cui mio fratello.»
«Cioè, tu sei sempre stata l’unica in famiglia a non essere coinvolta?»
«La mia famiglia era un’altra.»
Il flash di quando me ne ha accennato la prima sera, della confidenza
improvvisa, dei baci accesi dai quali tutto è cominciato, scatena un misto
di eccitazione e dolcezza che mi manda in confusione.
«Tua nonna» mormoro.
«Sono cresciuta con lei. Da piccola, perché così i miei genitori
potevano lavorare senza avermi tra i piedi. E poi, per scelta. Avevamo la
nostra routine. La mattina di Natale mi faceva trovare i biscotti Brutti e
Buoni con una tazza di cioccolata calda.»
«Biscotti… cosa?»
Sorride. «Mentre li sgranocchiavamo, ci scambiavamo i regali. C’erano
delle regole, non potevamo comprarci qualsiasi cosa altrimenti era troppo
facile. Massimo trenta euro di budget, perché così eravamo costrette a non
stupire con effetti speciali dati dal prezzo. E poi erano vietate le cose
impersonali: mutande, accappatoi…»
«Le mutande mi sembrano piuttosto personali.»
Mi lancia un’occhiataccia. «E la terza regola: niente regali doppi. Le
applicavamo solo noi due, i miei e mio fratello nemmeno lo sapevano. Il
giorno di Natale li raggiungevamo più tardi nella casa dei miei genitori.
Mia madre organizza ogni anno un pranzo per pochi intimi, quelle trenta
o quaranta persone che a Natale preferiscono leccare il culo al signor
Marte invece che stare con la propria famiglia.»
Non ci credo.
«Scusa?»
«Sì, in effetti non è detto che ce l’abbiano, una famiglia.»
«Scusa?»
«Te l’ho detto: Natale in casa Marte non è un Natale desiderabile. Tu
quando torni dai tuoi?»
«Alla sera della vigilia, riparto non appena atterriamo a Los Angeles.
Mi fermo quattro giorni.»
Fosse per me, quest’anno salterei la tradizione e resterei a East
Hollywood con lei, ma mia madre mi ucciderebbe se non mi presentassi a
casa per Natale. E ciò mi riporta alla folle idea che mi ha bruciato il
cervello un mese fa. E che, almeno in parte, c’entra con il motivo per cui
le dico: «Potresti… be’, puoi venire anche tu, magari.»
Kate mi fissa come se le avessi appena lasciato una granata disinnescata
tra le mani.
«No che non voglio, James. Non ti farei mai una cosa simile solo per
sentirmi meno sola.»
Incasso il colpo come faccio sempre: dissimulando e silenziando la voce
maligna che mi sta sussurrando: “Di quante prove hai bisogno per capire
che non siete allo stesso punto? Che non lo sarete mai?”.
Ovviamente, la ignoro.
Col cazzo che mi arrenderò adesso, non esiste proprio.
«A Los Angeles non c’è la neve del Colorado o la magia di New York»
ribatto, alla ricerca di un’altra strada per convincerla.
«C’è la pista sul ghiaccio a Pershing Square.»
«Wow, una meraviglia moderna» la prendo in giro, sfiorandole la
schiena. «Ally e Tom saranno in luna di miele, Rafael se ne torna in New
Mexico. Io vado a Thousand Oaks con Maggie. Non mi piace pensarti in
solitudine in quel buco di appartamento.»
Dimmi che vieni.
«E l’alternativa è pensarmi circondata dai tuoi familiari?» Sul suo viso
affiora un po’ di esitazione, che lei si affretta a cancellare subito. «Va bene
così, Jay. Non morirò per quattro giorni da sola, anche se uno di quelli è il
Natale. Non voglio scombinare i tuoi piani.»
Pensa se lo avesse voluto, porca miseria!
«Mi sa che per quello è un po’ tardi. Ciò che ci aspettavamo e dove
siamo arrivati sono due punti abbastanza lontani.»
Dimmi che sei anche tu dove sono io.
Ma lei non dice niente.
Appoggia il mento sulla mia spalla, si stringe forte a me. La intrappolo
tra le braccia e me la tengo addosso, respiro l’aria attraverso la sua pelle.
C’è qualcosa di disperato in noi, che ci diamo tormento con la stessa
facilità con cui ci offriamo anche il necessario per lenirlo. Forse ha ragione
Tom, ne usciremo a pezzi. Però intanto la neve cade indisturbata fuori
dalla vetrata e ci abbraccia, ci unisce in un momento che non
dimenticherò mai.
Non importa cosa accadrà dopo, questo ricordo resterà sempre e solo
nostro.
Due
 

 
«Ma che cazzo? Possibile che non ci siano?»
Controllo ancora una volta l’orologio, prima di avventarmi di nuovo tra
gli scaffali della pasticceria.
La risata di Tom mi raggiunge beffarda alle spalle. «Jay. Prendi fiato e
calmati. Mi stai preoccupando.»
«Ah, io ti sto preoccupando?»
Lui non smette di sorridere. «Sì, tu, cretino! Non ti ho mai visto così
fuori di testa come oggi. Se questo è l’effetto che ti fanno i matrimoni, sei
messo peggio del previsto.»
Sto per ribattere che io non sono assolutamente agitato, ma poi mi
ricordo che sto sclerando nella rifornitura di dolci italiani di Denver, così
mi mordo la lingua e viro su una risposta più ad ampio raggio.
Punto un dito verso il giaccone di Tom. «Stronzo.»
Di nuovo, lui ride. «Ah, sarei io lo stronzo?»
Il matrimonio gli ha fatto bene, è talmente luminoso che potrebbe
passare per radioattivo.
«Accidenti a te! In meno di un anno sei riuscito a convincere una tipa
come Allyson a sposarti. E sappiamo tutti che razza di concorrenza
avessi.»
Tom alza le sopracciglia. «E cosa c’entra questo con il fatto che mi hai
buttato giù dal letto dopo la prima notte di nozze per trascinarmi in una
pasticceria siciliana?»
«A buttarti giù dal letto è stata la tua dolce mogliettina, in modi che
non voglio sapere» preciso. «E comunque, non abbiamo molto tempo
prima che le damigelle finiscano di impacchettare i bagagli.» Ricontrollo
l’orologio. «Porca puttana, mi sono scordato di nuovo il nome di quei
biscotti! È impossibile tenerlo a mente» borbotto, ricominciando a
setacciare la corsia.
Tom mi ferma per un braccio. «Jay, sta’ calmo. È carino che tu stia
facendo una sorpresa per la Marte, davvero, ma…»
Si acciglia e si blocca di colpo.
Aspetto che riprenda a parlare, ma lui non dice niente e io temo che
abbia cominciato a leggermi nel pensiero.
Trascorre qualche secondo, in cui non facciamo che fissarci senza
proferire parola, in uno strano silenzio interrotto dai rumori della
pasticceria.
«Cosa non mi stai dicendo?» chiede lui, alla fine.
Merda!
«Niente.»
Tom schiocca la lingua. «Oh, sei il mio testimone di nozze. Non puoi
mentirmi, è contro il regolamento!  Quindi, cosa non mi stai dicendo?»
Ficco le mani dentro le tasche dei jeans e guardo dappertutto tranne
che verso di lui.
«Jay, parla» sgrana gli occhi. «Parla e dimmi che i biscotti non sono
solo l’inizio di una grande cazzata.»
Alzo la testa.
«I biscotti sono solo l’inizio di una grande cazzata.»
Lui sbianca. «No.»
«Ti ricordi cosa ti ha detto Kate, quando le hai chiesto se le andava di
essere la tua testimone?»
«Mi ha detto che sono un idiota e un pazzo, ma che mi vuole bene lo
stesso.»
Scuoto una mano per aria. «No, intendo, quando le hai detto che Ally
ci portava tutti a Vegas.»
Tom ci pensa un attimo.
«Mi ha detto… che sono un idiota e un pazzo, e poi mi ha chiesto se
volevo ancora sposare Ally dopo aver saputo della scorribanda tra casinò,
robe kitsch e preti vestiti da Elvis, ma non vedo come questo… non vedo
come… come…»
Sbatte le palpebre.
Una, due, tre volte.
«No.»
Ecco, sta realizzando.
Sta realizzando ciò che ogni persona realizza non appena metti nella
stessa frase “Las Vegas” e “la mia ragazza”.
Tom alza le braccia, fa cadere i palmi delle mani sulla fronte e li fa
scivolare sugli occhi, coprendosi la faccia. «Oh, cazzo.»
Stringo appena le labbra. «Già.»
«Oh. Cazzo.»
«Lo hai già detto» gli faccio notare.
Lui apre le dita delle mani a ventaglio.
«Non lo stai pensando per davvero. Non è possibile.»
Abbasso la fronte, colpevole. «Ehm, in realtà… sì.»
«Cioè, giusto per evitare fraintendimenti: è il mio primo giorno di
matrimonio, siamo venuti di nascosto in una pasticceria a quindici miglia
dal ranch perché Caterina ti ha raccontato che mangiava questi biscotti
con sua nonna a Natale e tu devi assolutamente comprarli per farle una
sorpresa, e in realtà la sorpresa è che stanotte tu chiederai alla mia specie
di migliore amica di sposarla?»
«Proprio così.»
«Grandioso. E il tuo piano comprende mandarla in crisi iperglicemica
per convincerla?»
«Se tu ci sei riuscito con Allyson, non vedo perché io non dovrei
riuscirci con Kate.»
«Oh, io Ally l’ho presa per sfinimento! Tu non hai tempo per questa
tecnica e una come Kate non si lascerà mai intortare da una pseudo-
dichiarazione da ubriachi.»
«Ho intenzione di rimanere completamente sobrio.» Mi chino davanti
allo scaffale, ignorando l’agitazione che mi esplode dentro e continuando
a cercare. «Se mai il piano dovesse funzionare, non voglio che succeda
perché lei non sa quello che sta facendo.»
Anche Tom si accuccia accanto a me, senza proferire parola.
Credo sia sotto shock.
«Sai che c’è una probabilità abbastanza consistente che ti vada male,
vero?» dice, dopo un po’.
Lo so eccome.
«Kate è abbastanza matta da assecondarmi, se mi propongo in un
modo che non la terrorizzi» cerco di convincerlo. Oppure cerco di
convincere me, non lo so. «Se non lo faccio adesso, se non ci provo
neanche…» Prendo fiato. «Tom, lei tra due mesi torna a casa.»
Il mio amico mi poggia una mano sulla spalla, nel suo sguardo passa un
moto di comprensione. «Lo so.»
Restiamo a fissare la parete di biscotti per qualche minuto, come due
scemi incastrati tra gli scaffali. Non so a cosa pensa lui. Forse pensa che è
fortunato a non avere più questi problemi, ad aver trovato qualcuno che
lo vuole a tal punto da impegnarsi in un “per sempre” senza esitazioni,
senza giochetti, senza sotterfugi.
Io penso che questa follia potrei farla solo per lei.
La voglio per tutto il tempo che abbiamo e anche per quello che non
abbiamo. Ho giocato sporco fino ad adesso e non ho intenzione di
smettere, non finché mi resta qualcosa a cui aggrapparmi.
«Se dessi retta alla ragione, adesso dovrei dirti che ti stai cacciando in
un casino» dice a un certo punto Tom. «Ma quando mai ho dato retta alla
ragione?»
Poi ha un’illuminazione: allunga il braccio destro e afferra un sacchetto
trasparente, me lo allunga. «Io tifo per voi.»
Si alza e mi porge la mano. Ci avviamo alla cassa in silenzio e sempre in
silenzio usciamo dal negozio.
«Di’ la verità» riprende a parlare, mentre gira la chiave nel quadro alla
macchina. «Te la stai facendo sotto?»
Mi scappa un mezzo sorriso. «Al solo pensiero.»
Annuisce. «Ma ne vale la pena. Sai quanto sarai felice, quando lei ti
avrà risposto di sì?»
Appoggio la testa sul finestrino, mentre il Range Rover che ci ha
prestato il neo suocero di Tom affronta le strade innevate del Colorado.
Stasera sarà la sera più difficile degli ultimi quattro mesi, e io attualmente
mi sento un funambulo in equilibrio precario sopra la tempesta.
«Come non lo sono stato mai.»
Tre
 
 

 
Siamo al nastro bagagli del McCarran, quando il telefono di Kate suona
di nuovo. È dal ricevimento di Tom e Ally che la sua famiglia la cerca, ma
lei ancora non ha ancora risposto.
Egoisticamente, penso che sia un bene che i suoi genitori siano
dall’altra parte del mondo. Se suo padre sapesse cosa ho in programma
per sua figlia stasera, credo che manderebbe una squadra d’assalto per
bloccarmi fisicamente.
Invece, a pochissimi giorni dal Natale, Kate è con noi all’aeroporto di
Las Vegas. Si rigira il telefono tra le mani e io leggo nei suoi gesti nervosi
tutta la sua indecisione, la spaccatura che si porta dentro e che si ritrova a
dover gestire da sola. Alla fine, avvicina il telefono all’orecchio e si
allontana.
Non riesco a farne a meno: la seguo con lo sguardo, guidato da un filo
invisibile che mi ha annodato il cuore in modo così subdolo che non me
ne sono neanche accorto.
Una delle damigelle mi tira per un braccio per fare un selfie di gruppo.
Tom abbraccia la sua dolce metà da dietro e io mi stringo per entrare
nell’inquadratura. Dopo qualche scatto, le ragazze si definiscono
soddisfatte e io torno a controllare Kate, che vaga avanti e indietro in un
angolo del McCarran.
«Ehi.» Tom mi si affianca. «Tutto bene?»
«Non ho cambiato idea» lo anticipo.
«Oh, su quello non avevo dubbi.» Lancia un’occhiata a Kate. «Suo
padre?»
Faccio di sì con la testa. Le labbra di Tom si assottigliano in una
fessura. «Sai, vero, che la sua famiglia è una specie di istituzione?»
Certo che lo so.
Anche se Kate parla pochissimo di loro – e pochissimo è arrotondato
per eccesso – non mi vergogno di ammettere che, non appena l’ho
conosciuta, ho cercato i famosi Marte su Internet.
Kate è l’erede di un’azienda con un fatturato da capogiro. Cifre che la
mia famiglia non vedrà mai, né in questa né nelle prossime vite.
Eppure non farei mai a cambio con lei considerato che, da quando è
arrivata in California, non si sono praticamente sentiti. Ha telefonato a
suo fratello solo una volta, quando ha scoperto che suo padre le aveva
tagliato ogni fondo per costringerla a tornare in Italia.
È chiaro che il signor Marte non conosca minimamente sua figlia.
Ed è anche chiaro che dovrei mandargli un biglietto di ringraziamento
visto che, a causa sua, da quel giorno lei si è trasferita da me.
Tom mi sventola una mano davanti alla faccia.
«Oh, ci sei? Cristo, sei fuso da far paura! Stai per metterti a vomitare
cuori?» 
«Da che pulpito, quando sei con Ally ti trasformi in un coglione
patentato.»
Tom ridacchia. «Cosa ci vuoi fare, è l’amore! E comunque, sembra che
la tua donna non se la stia passando tanto bene.»
Volto di scatto la testa verso Kate.
È sempre in angolo, ma adesso è ferma e sta piangendo. Cerca di non
farlo in modo plateale, è discreta mentre si asciuga le lacrime. Il mio piede
si muove in automatico in avanti, le mie braccia sentono l’impulso
viscerale di aprirsi per consolarla.
«Suo padre le ha mandato dei biglietti aerei in business class per farla
tornare a casa per Natale» mi blocca la voce di Tom. «Lo sapevi?»
Intontito dalla portata della notizia, scuoto la testa.
«Gliel’avevo detto di dirtelo… ma quella testa dura non mi ascolta mai.
Mai, porca miseria. Non che avrebbe fatto differenza. Quando Caterina
prende una decisione, farle cambiare idea è impossibile.»
Quanto ha ragione.
«Perché non me lo ha detto?» chiedo invece.
«Tento di indovinare? Forse perché andarsene in questo momento è
l’ultimo dei suoi pensieri? Forse perché là non c’è più niente per lei?»
Tom abbassa la voce. «Senti, Jay. Io sono amico di tutti e due. Voglio un
casino di bene a entrambi. Per cui te lo devo chiedere.»
«Chiedermi cosa?»
«Che… lo so che non sono affari miei, ma… perché non giochi a carte
scoperte? Perché non glielo dici, che starle vicino ti riduce a un ammasso
di nostalgia con le gambe per quello che vuoi e che non hai con lei?»
Aggrotto la fronte. «Dovrei dirglielo?»
«Sì! Sì, dovresti proprio.»
«Ma l’hai vista?» La indico con la mano. «Lei è… è…»
Kate si asciuga ancora le lacrime e io non resisto più. Mi avvicino a
passi corti, osservandola mentre si ricompone con un contegno
disarmante.
«Non voglio parlarne» mi anticipa, infilando il telefono in tasca.
Mi rabbuio. «Non avrei dovuto insistere, ieri.»
«Non sarei dovuta uscire dal canale del parto, ventidue anni fa» ribatte,
scrollando le spalle.
«Ma, se non l’avessi fatto, oggi non saresti a Las Vegas con un ragazzo
che non vede l’ora di farti vedere le meraviglie della Strip.»
Malgrado tutto, le strappo un sorriso. «Anche questo è vero.»
Allunga una mano per afferrare la mia. È un tocco semplice, banale,
che mi fa interrogare su come così poco possa trasformarsi nel centro del
mio mondo. I nostri palmi si uniscono, le dita si intrecciano.
«Cos’abbiamo in programma per oggi?» mi domanda, stringendo la
presa.
Io, te, un per sempre.
Ti basta?
Quattro
 
 

 
Quando ho creduto che niente sarebbe stato più difficile dell’ultimo
esame di Meccanica Avanzata, era chiaro che non avevo considerato
l’eventualità in cui mi trovo adesso.
Il ristorante dell’albergo in cui i nostri amici ci hanno portato è
pazzesco, eppure la magnificenza del posto non sortisce alcun effetto né
su di me, né su Kate. Io perché sono un concentrato di impazienza e
panico, e lei perché… perché è triste. Di una tristezza sottile, silenziosa,
che ti devasta.
Seduta accanto a me, si rigira il calice di vino tra le mani,
sorseggiandolo appena. L’ho controllata per tutta la sera, e per tutta la
sera ha bevuto pochissimo e mangiato anche meno. Non m’importa che
suo padre sia ricco e intoccabile, il contenuto ignoto della telefonata di
oggi pomeriggio in aeroporto me lo fa odiare a prescindere.
Mi domando se, con lei in questo stato, fingere come se niente fosse e
attuare il mio piano sia una vigliaccata.
Certo, sembra abbastanza lucida da dirmi di no e mandarmi al diavolo,
ma è evidente che oggi non sia il suo giorno fortunato dell’anno e forse
prenderla in contropiede in un momento di debolezza è ancora peggio
che farlo mentre è brilla e spensierata.
La voce di una delle damigelle interrompe i miei pensieri, proponendo
di andare allo spettacolo di magia. Da lì si innesca una breve discussione
su come occupare il resto della serata e, mentre le ragazze decidono, Tom
alza le sopracciglia in un muto canale di comunicazione, chiedendomi se è
tutto a posto, se sono deciso.
Dio, sì che lo sono.
Precisamente, lo sono da quando lui ha preso i biglietti per portarci a
Las Vegas, trentasei giorni fa.
L’idea di propormi a Kate è nata in palestra, tra un turno
dell’allenamento e l’altro, mentre Tom mi comunicava che lui e Ally si
sarebbero sposati e che avrebbero festeggiato nella città del peccato.
Allacciavo la cintura nera sul kimono e boom, eccola lì, l’immagine di me e
Kate che ci giuriamo amore eterno e altre promesse infattibili.
Ovviamente sapevo che era una follia.
Stavamo insieme da due mesi e mezzo. Era da pazzi anche solo
immaginarlo, figurarsi prenderlo in considerazione.
Ed è per questo che ho aspettato che l’idea si esaurisse
spontaneamente, così come era venuta, come quei fuochi d’artificio che
danno spettacolo finché possono e poi si spengono nell’accettazione
riservata alle cose che non durano.
Notizia dell’ultima ora: il fuoco è ancora acceso, si è trasformato in un
incendio e ora brucia, brucia me e tra poco brucerà anche lei.
Appoggio la forchetta sul piatto ormai vuoto e la osservo. Kate
nasconde la tristezza nel silenzio, la affoga in fondo, dove spera che
nessuno la trovi.
È inutile, vorrei dirle. Io la vedo eccome.
«Noi non veniamo» me ne esco, mettendole una mano sul ginocchio.
«Abbiamo programmi.»
Kate arriccia le labbra. «Ah, sì?»
Amore, non ne hai idea.
Pian piano, la comitiva si alza dal tavolo. Percorriamo un tratto
dell’albergo assieme agli altri e li salutiamo davanti alla porta aperta del
casinò. Nel trambusto di musica e chiacchiere Tom mi stringe la spalla in
velocità, il suo modo per dirmi che tra amici pazzi ci si intende.
Quando gli altri sono entrati nel casinò, mi interrogo su quale sia il
modo migliore per fare quello che voglio fare.
«Usciamo?»
«Fa freddo» tentenna lei.
«Aria natalizia, cosa vuoi di più?»
Il mio tentativo di farmi strada tra il suo scetticismo non va a segno con
un grande punteggio, ma almeno lei non si rifiuta. Mi rifila un poco
convinto «Okay» e si infila il parka. Io la imito mal celando la fretta che si
acuisce quando attraversiamo le porte automatiche, sul marciapiede
affollato della Strip.
Sotto Natale la cattedrale nel deserto potrebbe essere identificata da
qualche UFO a milioni di chilometri di distanza, da quanto risplende. Gli
alberghi hanno aumentato la loro potenza luminosa e a loro si sono unite
anche le palme affacciate sulla strada, un ammasso di luci colorate che
svettano verso il cielo.
È tutto così esagerato che quasi mi pento di averlo scelto come sfondo
per chiederle di diventare mia, ma la mancanza di alternative me lo fa
rivalutare e piacere comunque.
Fermo Kate in mezzo alla Promenade, prendendole la mano. «Stai un
po’ meglio?»
«Non tanto.»
Sforza un’espressione che urla “non preoccuparti per me”. Non solo
fallisce miseramente, ma mi impone di stringerla nel disperato tentativo di
farla stare bene di nuovo.
Kate affonda la faccia nel mio giaccone e io me la tengo addosso. È
quando alzo lo sguardo sopra la sua testa che noto l’ingresso di una delle
molte cappelle kitsch che offrono i servizi di cui ho bisogno.
E, a questo punto, se non è un segno questo proprio non saprei come
altro definirlo.
Le poso un bacio sui capelli. «Cosa ne pensi delle terapie d’urto?»
«Che sono la terza migliore invenzione dopo la ceretta laser e i
programmi di salvataggio delle password che mio fratello mi ha fatto
installare» sussurra, con gli occhi chiusi.
Ma che?
«Okay, lo prendo come un ragionevole incoraggiamento.»
«Incoraggiamento per cosa?»
Incoraggiamento perché sto per dire addio, in base a come vanno i
prossimi minuti, alla vita per come la conosco oppure alla dignità.
Il cuore salta in gola quando sciolgo l’abbraccio.
Non ho la percezione di comandare il mio corpo. Sta facendo tutto da
solo, mentre io osservo con un nodo allo stomaco le mani che si staccano
dalla sua schiena e le gambe che si piegano e il baricentro che si sbilancia
verso il basso, tirato senza pietà dal ginocchio che si posa a terra.
Kate apre gli occhi e sbatte le palpebre, ci impiega un attimo per
inquadrare quello che sta succedendo.
Le sono solidale, perché con il rumore assordante del cuore nelle
tempie non ci capisco niente neanch’io.
«James?»
Il sangue si paralizza nelle vene e poi riprende a correre come un fiume
impazzito.
Ci siamo.
Cazzo, ci siamo.
Sperando che non si accorga di quanto la cosa mi metta in agitazione, le
prendo la mano e mi guardo attorno. Attirato dalla mia posa, un gruppo
di persone si ferma attorno a noi, la nuova attrazione di una città nata per
stupire.
L’asfalto sotto il ginocchio, il freddo che mi pizzica il viso, la sua mano
tra le mie dita rendono tutto così reale.
Sta succedendo.
Mi sento morire.
Mi sento più vivo che mai.
«James? Espliciti le tue intenzioni, per favore?» dice Kate, inclinando
la testa.
La folla si sta accalcando attorno a noi e già così è di buon aiuto: sarà
difficile fuggire a gambe levate per lei, con il muro di persone a
circondarci.
«Senti, se hai perso qualcosa per terra posso aiutarti a cerc…»
«Tesoro, amore, luce dei miei occhi.»
La folla si zittisce e qualcuno emette un rumoroso sospiro di
ammirazione.
Kate, invece, si scioglie nella sorpresa. «Sei pazzo?»
Non ha ancora realizzato quanto sono pazzo, in generale e soprattutto
di lei.
«Non insultarmi mentre ti apro il mio cuore di fronte a testimoni»
forzo una risata. «Un po’ di romanticismo, cazzo.»
«Ah, sì? Quale romanticismo?»
«Questo.»
Un vuoto assurdo colonizza lo spazio tra i polmoni e io non so se
andare alla disperata ricerca di ossigeno o restare immobile in una lunga
apnea.
Ignorando ogni segnale di buonsenso, prendo una boccata d’aria e non
so con quale faccia tosta intono: «È UNA NOTTE BEEELLISSIMA E NOI STIAMO
CERCANDO QUALCOSA DI STUPIDO DA FARE…»
D’un tratto tutto ciò che si trova al di là del mio raggio distretto diventa
confuso, senza consistenza.
La mia attenzione si incolla su Kate, sulle sue esclamazioni in italiano
che non decifro, sulla sua mano con cui si copre la faccia e io non capisco
se sia un “sì, oddio, vai avanti” oppure un “che cazzo stai facendo?
Fermati prima di schiantarti brutalmente”. Ma ormai sono in ballo, quindi
rinuncio a capire, rinuncio ai salvagenti e ai piani di riserva e mi butto e
corro verso quello che sarà.
Dal pubblico improvvisato si alza un fischio di incoraggiamento.
«EHI PICCOLA, SARÀ PER QUELLO SGUARDO O È LA MUSICA, NON IMPORTA
PERCHÉ CREDO PROPRIO DI VOLERTI SPOSARE!»
L’ho detto.
Cristo, l’ho detto.
E ora che l’ho detto, diventa tutto più facile. Adesso è una discesa, una
senza cinture di sicurezza, ma pur sempre una discesa.
«CONOSCO UNA PICCOLA CAPPELLA SU UN VIALE» grido, tra le luci dei
cellulari che fluttuano nell’aria, «tipo questa qui alle mie spalle, è anche
vicina e ci risparmiamo la strada…»
Dal pubblico improvvisato si alza un coro di risatine.
«DÀI RAGAZZA, NON LO SAPRÀ NESSUNO a parte quelli che ci stanno
fotografando e filmando!»
Lei sbatte ripetutamente le palpebre.
«Non puoi farlo sul serio…»
«Guardami mentre non posso» la provoco. «COSA IMPORTA DELLE
CERTEZZE, NELLA MIA TASCA HO DUE SOLDI, POSSIAMO USARE QUELLI ASSIEME A
DUE BICCHIERI DI TEQUILA, anche se per te faccio un’eccezione e prendo le
gelatine alcoliche, e vorrei continuare con la canzone ma non mi ricordo
più le parole, quindi spero che tu mi faccia finire presto e ANDIAMO,
PICCOLA, NON DIRE NO…»
D’un tratto qualcuno della folla mi viene in aiuto facendo partire Marry
You sul cellulare. Potrei baciarlo in bocca, anzi, potrei baciare in bocca
tutti quelli che stanno battendo le mani a ritmo della musica, pensando di
essere il pubblico di un qualche programma dei canali secondari.
«POTRAI ROMPERE CON ME DOMANI, NON TE NE FARÒ UNA COLPA PERCHÉ
SARÀ STATO DIVERTENTE!»
Kate non fa niente per mascherare la sorpresa, eppure non sembra del
tutto schifata. Non lo sembra.
«Non puoi, accidenti, non puoi…»
«E invece sì, perché» mi schiarisco la gola, prima di gridare: «LASCIAMI
DIRE, SENZA DOPPI FINI, SOLO PERCHÉ A NATALE SI DICE LA VERITÀ, PER ME TU
SEI UNICA E TI AMERÒ FINCHÉ NON SARAI UNA SPLENDIDA MUMMIA BENDATA!»
Non ho più parole, o fiato, o vergogna.
Sono inginocchiato nel mezzo di un marciapiede a regalarle ogni
centimetro cubo di dignità rimasta. Le offro tutto quello che posso, tutto
quello che ho, qui in un angolo squallido di mondo, con le nostre mani
ancora unite.
E per un attimo mi sembra che lei lo veda. Per un attimo soltanto,
anche lei sa che questa cosa ha le sembianze di un gioco ma la consistenza
della realtà.
Glielo leggo in faccia, glielo leggo addosso.
Per un istante restiamo a scrutarci in bilico.
Poi Kate fa quello che speravo.
Ride.
Ride gettando la testa indietro, di pancia, di cuore. Ride restituendo un
senso a un giorno di tristezza nera.
«Cioè, dopo le canzoni ricicli pure i pezzi dei film sdolcinati?»
«Maggie mi ha rovinato guardando un milione di volte Love Actually. È
l’unica dichiarazione che conosco.» Domo il tremolio che mi sta
scuotendo fino ai piedi. «DI’ SOLO LO VOGLIO, DIMMELO ADESSO PICCOLA E
LO FAREMO!»
Dimmelo, ti prego.
«Kate?» La voce incrinata non è più in grado di nascondere quanto
sono agitato. «Il pubblico aspetta.»
Lei riempie il suo sguardo di sfida.
«Ricordatelo, quando ripenserai a questo momento e ti chiederai chi te
l’ha fatto fare.» Poi urla a favore del pubblico: «Amore mio, ti amo. Ti
amo quando la mattina ti svegli con l’alitosi. Ti amo quando le tue tazze
sporche macchiano il tavolo di caffè. Ti amo anche quando ti chiedo di
fare l’amore ma tu non hai voglia!»
«Questo non è ver…»
«Prenderemo una casa e adotteremo un gatto, perché cosa vuoi che sia
un po’ di allergia di fronte all’amore incondizionato? Ti amo così tanto
che non vedo l’ora di darti i quattro figli che desideri e non importa se
dopo diremo addio alla libertà, alla passione e al sesso rumoroso: amerò
anche il nostro futuro platonico, perché so che è quello che vuoi da me!»
Non so se baciarla o ucciderla.
«Malvagia.»
«Quindi, amore, la mia risposta è sì.»
La folla esplode in un applauso.
Io resto fermo per qualche secondo, sommerso dalla sensazione più
liberatoria e potente che mi abbia travolto.
Ha detto di sì.
Okay, per lei è per finta, ma ha detto di sì.
Mi alzo di scatto e non posso che prenderla per i fianchi, trattenerla.
L’impertinente mi rivolge una smorfia. «Sei contento?»
Non ne hai idea.
«Provocatrice che non sei altro.»
«Oh, allora non se ne fa niente? Che peccato.»
Le vado ancora più vicino, la sovrasto. «Dovresti saperlo ormai, io al
gioco del rilancio non perdo.»
«Questo è un problema, perché non perdo nemmeno io.»
«E allora vorrà dire che vinceremo tutti e due.»
Con uno strattone la attiro a me, la tengo stretta. La spiazzo con un
bacio che comincia subito a mille, un vortice di impetuosità e scommesse
perse in partenza.
Quando smetto di baciarla, sono carico di adrenalina. La folla ci incita
a entrare nella cappella e coronare il nostro sogno d’amore, e io sono
grato che lo facciano perché davvero non saprei cos’altro inventarmi per
travestire i miei desideri in prevedibilissime bugie di poco conto.
Per solidarietà qualcuno ci segue per curiosare all’interno, mentre io
trascino Kate oltre la soglia della cappella.
L’interno è pacchiano ai limiti dell’orrendo e, quando vedo il dipinto
che fa il verso a qualche pittore famoso, mi piange il cuore a sapere che, se
riesco a convincerla a prendere la licenza matrimoniale, questo sarà il
massimo che avremo.
«Okay, la terapia d’urto ha funzionato» mi richiama all’ordine Kate.
«Ora possiamo smettere.»
Certo.
Credici pure, se ti fa piacere.
«Dopo che mi hai detto di sì? È solo per finta, Kate.»
«Tu che dici, quel tizio di cui non ricordo il nome avrà detto la stessa
cosa a Britney Spears prima di incastrarla nelle loro ventuno ore di vita
coniugale?»
E ora tocca alla parte davvero difficile.
Dubito davvero di avere molte chance, ma arrivato a questo punto
sarebbe un peccato mortale non tentare il tutto per tutto.
«Per farlo vero, serve una licenza matrimoniale. Non è sufficiente
presentarsi qui. E ventuno ore non mi bastano nemmeno per cominciare
la luna di miele.»
«Pervertito.»
«Perché? Dicono che il sesso della prima notte di nozze sia fantastico.»
«E chi ti ha elargito una tale perla di saggezza? Bresso?» scherza.
«Comunque, a me le cose finte non piacciono. Sappiamo tutti quanto
deludente sia fingere in certi ambiti.»
Trattengo il fiato. «Stai cercando di spaventarmi?»
«Non funziona?»
«Neanche un po’. Anzi, hai ragione: a farlo finto sono capaci tutti. Hai
mai pensato di sposarti sul serio?»
«Tu sì?» aggrotta la fronte.
Oh, amore, pensi di essere in una cappella nuziale per mero caso?
«Mai, prima di due secondi fa» mento senza pudore.
«Ecco, io invece non ci ho pensato in generale e mi piacerebbe
mantenere il proposito.»
«I buoni propositi sono fatti per andare in pezzi.» Indico la soglia con
un cenno del capo. «Sai in quanto tempo si divorzia, in California?»
Scuote la testa. «Trenta giorni?»
«Un po’ di più, ma chi se ne importa. Tanto lo chiederemo già
dopodomani.»
«Tu e il romanticismo siete un’entità unica e indivisibile. E il mio era un
discorso ipotetico, non una proposta.»
«Devo mettermi di nuovo in ginocchio? Potrei rifarlo, è stato
divertente.» Mi volto verso la folla e ora sì che mi gioco tutto. «Signori,
scusate ma le cose vanno per le lunghe: andiamo a recuperare una licenza
matrimoniale!»
«Ma che…»
I fischi di congratulazioni ci sommergono. Qualche tizio mi batte sulla
spalla, qualcuna stringe la mano a Kate mentre la trascino fuori. Ho già
studiato l’ubicazione del Clerk Bureau negli scorsi giorni, so già dove
dobbiamo andare, ma fingo comunque di cercare l’indirizzo sul cellulare.
«Sei morto. Morto e sepolto, accidenti. Cosa ti salta in mente?»
Mi salta in mente che la amo.
«Ti faccio mia in modo perbene per stanotte, e poi sarà quel che sarà.»
«E questo sarebbe farlo perbene?»
No, Kate. Questo è farlo a tradimento.
Ma è anche l’unico modo che conosco.
«Sei a Las Vegas. Quando ti ricapita? Non sei curiosa di provare?»
Lei allarga gli occhi, finge di non essere appena arrossita.
«Lo sei» noto con un filo di sorpresa extra. «Sei curiosa di farlo. Bene.
Wow, be’, mi fa piacere perché io una pazzia del genere non la farei con
nessun’altra.»
Mi blocca con una mano. «Prima di decidere, ho due richieste.»
«Sentiamo.»
«Se ti riproporrai in futuro, a chiunque intendo, non lo farai in questo
modo barbaro.»
«Dubito che succederà, ma accordato.»
«E, seconda: stanotte voglio dormire a destra, domattina voglio usare la
Jacuzzi da sola per un’ora e in generale quando ti dico che voglio un
massaggio alla schiena, tu molli tutto e mi fai un massaggio alla schiena.
Tutto vuol dire qualsiasi cosa, Nikon compresa.»
Soffoco un ghigno. «Stai trattando le condizioni, temporanea futura
signora Thomas?»
«Non è colpa mia se quelle mani le sai usare bene, temporaneo futuro
signor Marte.»
«Quindi ti ho strappato un altro sì?»
«Be’, in teoria, ma…»
«La teoria mi basta. Andiamo?»
Kate si tortura le mani l’una con l’altra, tentenna. «Okay» conclude alla
fine, dopo chissà quale disputa interiore.
Oh, Dio.
Credo di aver capito male.
«Quindi lo facciamo» ripeto, per sicurezza. «Sul serio.»
Lei alza le spalle. «Perché no? A stare ferma mi sto congelando. Non
sono venuta negli Stati Uniti per ghiacciarmi. Milano a dicembre mi
avrebbe soddisfatta con una temperatura più benevola.»
Infatti, è venuta negli Stati Uniti per cambiarmi la vita.
La sollevo tra le braccia, pregandola in silenzio di lasciarmi ricambiare
il favore stravolgendole la sua.
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