Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Lauren Royal
Novelty Books
AMETHYST di Lauren Royal
Pubblicato da: Novelty Books, una divisione della Novelty Publishers, LLC, 848 N. Rainbow
Blvd, Suite 4390, Las Vegas NV 89107
ISBN-10: 1938907302
ISBN-13: 978-1-938907-30-2
Diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere usata, riprodotta o
trasmessa in alcun modo, elettronicamente o a mezzo stampa o altro, senza il consenso
scritto sia di Lauren Royal sia della Novelty Books, eccetto brevi citazioni incluse in articoli
di critica e commenti.
Londra, 1666
Londra
22 aprile 1661
“MI STATE DICENDO che avete fatto voi questo braccialetto? Una
ragazza? Questo negozio è Goldsmith & Sons, no?” Robert Stanley
arricciò il naso lentigginoso. “Dove sono i figli?”
Da dov’era, accanto al forno di pietra, la risata di Amethyst
Goldsmith attraversò il laboratorio. “Lady Smythe! Un’imitazione
perfetta.”
“Ben fatto, Robert.” Il padre di Amy sorrise mentre passava
davanti a entrambi ed entrava in negozio dall’apertura ad arco.
Gli occhi azzurro pallido di Robert scintillarono, ma restò in
carattere, portandosi una mano a coppa sull’orecchio. “Imitazione?
Imitazione, avete detto? Mi avevano fatto credere che questa fosse
una gioielleria di qualità. Mi aspetto pietre vere—”
“Basta!” Amy cercava di smettere di ridere. “Finirai per farmi
scottare.”
Lo sguardo di Robert si posò sulle mani di Amy. Mentre la
osservava versare un rivolo sottile di oro fuso in uno stampo di
gesso, la sua espressione divenne seria. “Mi piace Lady Smythe,”
borbottò. “Almeno lei compra le cose che faccio io.”
“Oh, Robert,” sospirò Amy. “Perché dovrebbe essere importante
chi ha realizzato un pezzo, purché vendiamo i gioielli?”
“Io sono un bravo orafo.”
“Siete un orafo eccellente,” confermò Amy. E anche se pensava
che avesse poca immaginazione, lo tenne per sé. “E che importanza
ha, comunque?”
“Voi siete una donna.”
Amy strinse i denti e batté leggermente lo stampo sul tavolo da
lavoro, immaginando l’oro che fluiva in ogni solco del suo disegno.
“Sono anche un’orafa,” disse sottovoce.
“Non importa.” Robert andò al suo tavolo e si lasciò cadere sul suo
sgabello, alzando il boccale di birra, una presenza costante in mezzo
ai suoi strumenti.
Ignorandolo, Amy prese il bulino e un pezzo di cera, con
l’intenzione di incidere un nuovo disegno mentre l’oro induriva. Il
laboratorio senza finestre sembrava soffocante—caldo, chiuso e
buio. Avvicinò la lanterna, ma la luce gialla artificiale fece ben poco
per risollevarle il morale.
Erano cinque anni che viveva e lavorava con Robert Stanley e
ancora lui non la capiva. Non riusciva a crederci. L’avrebbe sposato
tra due settimane e non riusciva a credere nemmeno a quello.
Una volta le era sembrato di avere una vita davanti a sé prima di
doversi sposare. Aveva rimandato, e rimandato, poi, la primavera
precedente, suo padre aveva annunciato che aveva ventidue anni e
che era ora.
Aveva fissato la data, e basta. Non importava che Robert
pensasse che il posto di una moglie fosse al piano di sopra a
rammendare i suoi vestiti; non importava che gli desse fastidio
quando i pezzi di Amy si vendevano più in fretta dei suoi e che lei
ricevesse più ordini di gioielli su commissione di quanti ne ricevesse
lui.
Non importava che lei non lo amasse. Non nel modo in cui una
moglie dovrebbe amare un marito. Non come nei romanzi francesi
che leggeva. Non come si era sentita cinque anni prima, al corteo
per l’incoronazione, quando gli occhi di smeraldo di
quell’aristocratico si erano fissati nei suoi.
Non aveva mai dimenticato quella sensazione.
Avrebbe imparato ad amare Robert, aveva detto suo padre. Ma
non era successo—non ancora perlomeno. Nemmeno per idea.
Amy sospirò e allontanò la treccia dal collo, massaggiando la pelle
calda. Si era ripromessa qualche dozzina di volte di parlare con suo
padre, ma le era sempre mancato il coraggio. Dalla morte di sua
madre, l’anno prima, durante la grande pestilenza, le sembrava di
poter sopportare tutto eccetto la disapprovazione di suo padre.
Quando l’oro si fu raffreddato, Amy lo tuffò in una bacinella
d’acqua accanto al tavolo di Robert. Strofinò i residui granulosi di
gesso, sentendoli sciogliere nelle mani, mentre guardava il bulino di
Robert che faceva volare le schegge di cera mentre scolpiva un
modello.
Fece una smorfia alla sua schiena curva. “Mi piacevate di più
come Lady Smythe.”
Robert si voltò e la fissò per un momento, poi di colpo si curvò. Il
suo voltò si trasformò, assumendo l’espressione di Lady Smythe.
“Siete sicura, madame?” Chiese con quel tono alto, un po’
tremolante. “Sento dire che prendete lezioni di ballo e parlate
fluentemente il francese. Che pretese. Io non sopporto le donne che
si occupano dei libri contabili, sapete. Proprio per niente.” La voce si
fece più profonda, tornando a essere la sua. “E nemmeno quelle che
fanno i gioielli.”
Amy trasalì. Tolse la fusione dall’acqua e la portò al suo tavolo per
spazzolare via i resti del gesso.
Robert si alzò e si mise dietro a lei, alzandole la testa con una
mano sotto il mento. “Ancora due settimane e sarete una vera
moglie.” La sua bocca discese su quella di Amy con poca grazia.
Il lieve odore della sua colazione le fece chiudere forte gli occhi e
pregare che il tormento finisse.
“Aprite le labbra, Amy,” le ordinò contro la bocca.
Amy non lo fece. Desiderò che Robert usasse uno di quei nuovi
spazzolini da denti d’argento che la zia Elizabeth aveva mandato da
Parigi.
Robert si decise ad alzare la testa. “Due settimane,” ripeté.
Gli occhi di Amy si aprirono di colpo e lo fissarono brucianti. “Papà
non vi permetterebbe mai di impedirmi di creare gioielli.”
Abbassando gli occhi, spazzolò più forte la fusione.
“Hugh Goldsmith non sarà qui per sempre.” La mano di Robert si
mosse per insinuarsi nel corpetto.
Lo sguardo di Amy corse al negozio per avvertirlo.
Staccandosi di colpo, Robert tornò al suo tavolo, alla sua birra.
“Almeno non potrà più minacciarmi di prendermi a botte per aver
sporcato la sua virginale figliola,” sbottò, alzando il boccale come per
un brindisi. “Due settimane,” aggiunse con un sogghigno.
Un sogghigno che una volta Amy aveva giudicato simpatico,
accattivante... ma che ultimamente la faceva sentire a disagio.
Si voltarono entrambi quando suonò il campanello sulla porta del
negozio. Amy si alzò e si tolse il grembiule. “Vado io.”
“C’è già vostro padre.” Le ricordò Robert. “Può pensarci lui.”
Amy non gli diede retta e si lisciò le ciocche di capelli umidi che
erano sfuggite alla treccia. Fermandosi per raddrizzare la sottana, si
stampò in volto un sorriso da commessa prima di andare nel negozio
fresco e luminoso, attraverso le porte a spinta.
“Un medaglione,” stava dicendo una giovane donna dall’altra parte
del bancone a L a un gentiluomo che voltava le spalle ad Amy.
Riccioli rosso scuro scendevano sulle spalle scandalosamente
nude della gentildonna; lo sfarzoso abito di broccato d’oro aveva una
scollatura molto più bassa di quanto il padre di Amy le avrebbe mai
permesso di indossare. L’amante dell’uomo? Negli anni dopo la
Restaurazione, la nobiltà aveva seguito l’esempio di Re Charles in
quanto a moralità, il che significava che ne aveva ben poca.
L’uomo alto si rivolse a Hugh. “Mia sorella vorrebbe un
medaglione,” spinse avanti la nobildonna, sua sorella, non la sua
amante. “Avanti, Kendra, guarda che cosa ti piace.”
Anche se il gentiluomo sembrava deciso a trattare con suo padre,
Amy si avvicinò, pronta a intervenire e a concludere la vendita. Hugh
le diede un’occhiata, poi sorrise. “Avete in mente uno stile, Lord...?”
“Greystone.” Con la schiena ancora rivolta ad Amy, l’uomo scosse
impaziente una mano. “Qualunque cosa le piaccia.”
Hugh si schiarì la gola. “Forse mia figlia può aiutarvi a decidere.
Per favore, Amethyst, mostra i medaglioni a Lord Greystone.”
Amy estrasse un vassoio dal bancone a vetro e lo posò invece
davanti alla sorella dell’uomo.
“Sono tutti così belli!” esclamò felice Lady Kendra. Quando chinò
la testa per guardarli da vicino, i bei riccioli rossi brillarono tanto da
rivaleggiare con il luccichio dei gioielli nel bancone.
La mano di Amy andò automaticamente alla propria testa, come
se potesse sistemarsi gli odiati capelli neri in una pettinatura più alla
moda della funzionale treccia. Resistendo al bisogno di sospirare,
sollevò un medaglione ovale con piccoli fiori incisi.
“Vedete i nastri d’oro che formano l’anello per appenderlo?” Come
le aveva insegnato suo padre, la voce era dolce e sicura, e rifletteva
sia la sua sicurezza nella qualità del pezzo sia la sua capacità di
venderlo. Aprì il medaglione e lo tese, passando la sguardo da Lady
Kendra a Lord Greystone. “È—”
Le mancò la voce.
“È-è... molto femminile,” balbettò, dicendosi che Lord Greystone
non poteva essere l’uomo che ricordava.
Ma poi gli occhi di smeraldo si fissarono sui suoi—come cinque
anni prima. Era l’uomo che ricordava, l’uomo che non era stata
capace di dimenticare...
Il nobiluomo del corteo dell’incoronazione.
Le sembrò che il cuore saltasse un battito e per un secondo pensò
che sarebbe annegata in quegli occhi; poi distolse lo sguardo, con
uno sforzo, guardando il medaglione che teneva in mano.
Lady Kendra allungò la mano per prendere il medaglione da Amy.
“Oh, guarda com’è bello, Colin.” Lo alzò avvicinandolo al corpetto e
girandosi per farlo vedere al fratello.
Sembrando quasi riluttante, Lord Greystone spostò lo sguardo sul
petto della sorella. “Non so se mi piace.”
“Notate le incisioni, milord,” si affrettò a dire Hugh. “Veramente di
altissima qualità.
Lord Greystone lo ignorò, riportando gli occhi su Amy. Quando i
suoi occhi si strinsero, Amy si scoprì a studiarlo a sua volta.
Lineamenti classici, simmetrici; un lungo naso diritto, i tratti scolpiti,
una minuscola fossetta sul mento. La carnagione appariva più
dorata di quanto fosse di moda.
Santo cielo, non aveva mai visto un uomo tanto bello.
Quando finalmente parlò, la voce dell’uomo, profonda e
armoniosa, le mandò un brivido nella schiena. “Avete un medaglione
con... le ametiste?”
Amethyst...
Fece per rispondere, ma le parole rifiutavano di uscire.
“No, milord, non ne abbiamo,” disse Hugh. “Ma gli smeraldi si
adatterebbero alla signora—”
“Sì,” lo interruppe Amy, ritrovando finalmente la voce. “Sì, abbiamo
le ametiste! Se potete aspettare solo un momento.” Afferrò l’anello
con le chiavi dalla cintura di suo padre, poi si voltò e corse nel
laboratorio.
“Perché tanta fretta?” Chiese Robert quando Amy infilò con forza
la chiave nella prima serratura del loro forziere di ferro.
“Ci sono dei clienti che aspettano.” Tolto il secondo lucchetto, si
inginocchiò sul pavimento e cominciò a ruotare le dodici manopole in
una sequenza complicata.
Robert si avvicinò, pulendosi le mani spigolose sul grembiule e
lasciando scie di pasta abrasiva grigia. “Che clienti?”
“Un gentiluomo e sua sorella,” rispose Amy mentre l’ultimo dei
chiavistelli scivolava al suo posto, permettendole di arrivare all’ultima
serratura. La aprì con la chiave più grande, poi alzò il coperchio e
frugò all’interno.
Fortunatamente il medaglione che cercava era nel vassoio in alto.
“Ah, eccolo.” Solo vedere il pezzo, l’oro luccicante, le gemme
scintillanti la fece sorridere.
Si alzò e tornò in negozio, e Robert la seguì, poi si appoggiò
all’arcata e fissò Lord Greystone con gli occhi azzurri diffidenti.
Bene, lo avrebbe semplicemente ignorato.
“L’ho trovato,” annunciò, porgendo il medaglione a Lord
Greystone. Aspettò la sua reazione mentre lasciava cadere l’anello
con le chiavi nel palmo della mano tesa di suo padre.
Lord Greystone sbatté gli occhi davanti al pezzo che aveva in
mano. “Bello. È veramente bello.”
Il cuore di Amy sembrò gonfiarsi. “Ci sono le ametiste, milord, e
anche i diamanti.”
“Lo vedo,” rispose Lord Greystone fissando il medaglione. “È
splendido.”
Le ci erano volute settimane per farlo, tante ore che riusciva a
vederlo anche a occhi chiusi. Nella parte superiore, un disegno a
intaglio di foglie con diamanti incastonati che circondavano un fiore
di ametista. Sotto, il medaglione a forma di rombo, incrostato di
ametiste e diamanti, il coperchio smaltato con delicate violette. Dal
fondo pendeva una luminosa perla barocca.
Lord Greystone guardò suo padre. “È notevole.”
“L’ho fatto io” Amy si sentì le guance in fiamme.
La bocca di Lady Kendra restò aperta per lo stupore. Lo sguardo
stupito di Lord Greystone passò da Amy a suo padre, che annuì
fiero, per tornare a Amy. “Non ci credo. Voi siete—”
“Una donna?” Amy sentì il tono di sfida nella propria voce.
Il sorriso di Lord Greystone era un po’ imbarazzato. “Come avete
fatto a imparare a creare una cosa del genere?”
Suo padre si schiarì la gola. “Non avevamo molto da fare durante
il Commonwealth, milord. Immagino che voi foste all’estero?”
Lord Greystone annuì.
“Beh, i gioielli non erano visti di buon occhio, eccetto qualche
pezzo da lutto. Ho avuto tempo in abbondanza per istruire Amy
nell’arte orafa.” Il padre di Amy le mise possessivamente una mano
sulla spalla. “È un talento naturale, ha fatto lei anche la smaltatura.”
“Devo—voglio dire Kendra—deve averlo.”
Hugh scosse la testa. “Temo non sia in vendita. Per Amy è un
ricordo.”
“Certo che è in vendita, Papà.” Amy guardò Lord Greystone con
occhi calcolatori. “Ma è molto costoso.”
“Me l’aspettavo. Lo prenderemo.”
Lady Kendra si voltò a guardarlo, con una ruga tra gli occhi verde
chiaro. “Sei sicuro, Colin?”
Colin abbassò gli occhi su sua sorella. “Non ti piace?”
“È splendido, ma...”
“Ho detto che ti avrei comprato qualunque cosa scegliessi per il
tuo compleanno. Voglio che lo abbia tu.” Tolse una borsa di monete
dalla giacca e la passò ad Amy. “Ecco, prendete il giusto.
Aggiungete una catenina, voglio che lo indossi subito.”
Sbalordita che lasciasse a lei decidere il prezzo, Amy maneggiò
maldestramente la borsa. Ne tolse qualche moneta, poi ancora
alcune. Il materiale era stato costoso e il pezzo aveva richiesto un
mucchio di lavoro—non voleva approfittare dell’uomo, ma non
voleva nemmeno svilire il suo lavoro e perderci.
“Papà?” Chiudendo la borsa, Amy mostrò a suo padre l’oro che
aveva preso.
Hugh annuì. “Va bene, Amy.” Intascò l’oro e mise una collana
d’oro sul bancone.
Mentre restituiva la borsa a Lord Greystone, lui le diede il
medaglione. Le sue dita le sfiorarono la mano e un brivido caldo la
attraversò. Le mancò un attimo il respiro; sperava che non se ne
fosse accorto nessuno.
Con fare indisponente, Robert tolse dalla tasca del grembiule un
pezzo di stoffa e si spostò dall’arcata per mettersi accanto a lei. Pulì
il vetro del bancone mentre lei infilava la catena nell’anello del
medaglione, e poi lo alzava per mostrarlo a Lady Kendra.
“Ooh,” esalò Lady Kendra. “Me lo mettete?”
Si voltò e Lord Greystone le alzò i capelli di modo che Amy
potesse agganciare il fermaglio.
Lady Kendra guardò Amy e poi toccò riverentemente il
medaglione. “Grazie di cuore. Ne farò sempre tesoro.”
“Grazie a chi?” La stuzzicò suo fratello con un sorriso.
“Grazie a te, Colin,” gli disse, voltandosi per abbracciarlo.
Amy si morse il labbro, sentendo una fitta inaspettata di invidia per
i lucenti riccioli rossi di questa donna e il suo abito scollato. Ma, più
di tutto, invidiava il modo in cui Lady Kendra stava abbracciando
Lord Greystone. Abbassò gli occhi sul banco, a evitare che Robert
potesse notare la sua espressione.
Lord Greystone guidò all’esterno sua sorella, poi si soffermò sulla
porta; sembrava stranamente riluttante ad andarsene.
“Potete...” le lunghe dita di una mano tamburellarono sulla coscia
muscolosa, poi si fermarono. “Potete realizzare un anello con
sigillo?”
La domanda era rivolta ad Amy, non a suo padre.
“Un anello con sigillo?” disse Amy accennando un sorriso. “Certo,
è semplice.”
Accanto a lei, Robert smise di pulire.
“Eccellente,” Lord Greystone fece una pausa, aggrottando un po’
la fronte. “Manderò un messaggero con un disegno dello stemma,”
disse dopo un attimo. “E l’indirizzo dove consegnarlo quando avrete
finito.”
Amy annuì, sentendo una breve fitta di delusione perché non
l’avrebbe rivisto. La mano di Robert riprese il suo deliberato moto
circolare sul piano di vetro.
“Vi ringrazio,” disse Lord Greystone. Poi sparì fuori dalla porta
nelle strade affollate di Cheapside.
Il campanello suonò di nuovo quando la porta si chiuse. Amy fissò
il legno solido finché suo padre si schiarì la voce.
“Non riesco a credere che tu abbia venduto il tuo medaglione,”
commentò. “Pensavo fosse il tuo pezzo preferito.”
“È vero,” gli rispose Amy, in tono sognante. “Ma posso farne un
altro.”
Sentiva le farfalle nello stomaco per la felicità, solo sapendo che
Lord Greystone aveva ammirato la sua abilità e che sua sorella
avrebbe indossato il suo medaglione. E presto lui avrebbe portato il
suo anello.
“Se volete il mio parere, è stata una’idea stupida,” commentò
Robert scuotendo la sua testa color carota. “Non troverete mai il
tempo di rifare il medaglione, con tutti gli ordini che ricevete.”
Amy e suo padre si guardarono perplessi.
“Inoltre, quell’uomo non mi piaceva,” aggiunse Robert. “Non mi è
piaciuto il modo in cui vi guardava.”
Amy abbassò gli occhi e passò accanto a lui per tornare nel
laboratorio. A lei era piaciuto il modo in cui la guardava Lord
Greystone, moltissimo.
"Ring-a-ring o'roses
A pocket full of posies
A-tishoo! A-tishoo!
We all fall down."
Un anello, un anello di rose,
Una tasca piena di fiori
Etciù, etciù
Caschiamo tutti giù
“COLIN! QUAGGIÙ!”
Dal punto lungo il costone dove lui e nove operai erano alle prese
con un enorme blocco di pietra calcarea, Colin guardò lungo il
sentiero in basso per vedere i suoi fratelli che scendevano dalla
carrozza e Kendra che si sporgeva a metà fuori dal finestrino,
agitando freneticamente la mano.
“Siete in anticipo,” disse loro un minuto dopo, scendendo lungo il
pendio. Si pulì il palmo delle mani impastate di polvere sui calzoni,
con la camicia che svolazzava nel vento leggero che soffiava
attraverso la cava di Greystone.
“In anticipo?” Suo fratello maggiore Jason si mise a ridere,
indicando il cielo.
Colin guardò in alto e poi a ovest, dove il sole stava quasi
tramontando. “Oh, scusate.” Scrollò le spalle. “Sono in piedi dalle sei
di stamattina. Nei boschi, nei campi... credo di aver perso traccia del
tempo.”
“Immagino che abbia anche perso il cappello?” Kendra lo fissò con
una smorfia semiseria di rimprovero. “Guardati, abbronzato come
uno zingaro!”
Colin si asciugò il sudore sulla fronte con il dorso della mano.
“Siete venuti a vedere i restauri o a discutere del mio aspetto?”
“A discutere del tuo aspetto.” Ford, il gemello di Kendra, rispose al
suo posto. “Ma sono curioso di vedere la tua nuova cucina. Tubi e
rubinetti... funzionano grazie a un effetto sifone o è semplice gravità?
Nel suo nuovo saggio, Isaac Newton dice che—”
“Santo cielo—come diavolo faccio a saperlo? Sono un fattore, non
un maledetto scienziato. Funzionano perché il muratore li ha
installati nel modo giusto.”
“Quello che io voglio sapere—” Jason si batté eloquentemente
sullo stomaco, “—è se troveremo del cibo in questa cucina.”
“Diavolo, sì,” disse Colin ridendo. “Sono sicuro che Benchley è
all’opera da stamane all’alba. Salite al castello e io vi raggiungerò
subito. Ci sono quattro cavatori con l’influenza e abbiamo ancora
due lastre da sollevare.”
ERA COSÌ.
Colin aveva una vasta esperienza e sapeva che non era normale,
nemmeno un po’. Ma era assurdo. Lui era fidanzato e Amy era una
cittadina comune, una donna che, da quel mattino, non possedeva
più niente.
Era stanco, ecco che cos’era. Era molto, molto stanco.
Se gli sembrava che il corpo stesse vibrando era solo perché era
stanco.
Dopo una buona notte di sonno si sarebbe sentito diversamente.
Sarebbe stato di nuovo se stesso, sotto controllo. Sarebbero andati
a Cainewood, avrebbero aspettato un paio di giorni finché le strade
fossero state sgombre, poi l’avrebbe portata a Dover e le avrebbe
pagato il viaggio attraverso la Manica. Non si sarebbero più rivisti.
Il suo orgoglio sarebbe rimasto intatto, per non parlare della
verginità di Amy.
Tornarono alla locanda e salirono stancamente le scale, per
trovare quattro piccoli corpi ammucchiati su ciascuno dei due letti, di
traverso, con Davis acciambellato nell’unica sedia, che russava
piano.
Colin rimase a bocca aperta.
“Che cosa vi aspettavate?” Sussurrò Amy. “Che si sdraiassero sul
pavimento e lasciassero a noi i letti? Direi che si sono sistemati
piuttosto bene.”
“Pensavo che avrebbero lasciato un po’ di ciascun letto a noi,” si
lamentò Colin a voce alta. “Diavoletti egoisti, vero?”
“Ssst, li sveglierete.”
“Mi piacerebbe che si svegliassero, così potrei risistemarli. Ma non
siete pratica di bambini, vero? Non li sveglierebbe nemmeno un
colpo di cannone.”
Nonostante il fatto evidente che i bambini continuavano a dormire,
Amy non riuscì a parlare a voce alta. “Non ho fratelli o sorelle, come
faccio a sapere come dormono i bambini?”
“Vado di sotto a prendere qualche coperta in più,” disse Colin,
facendo retromarcia.
Si fermò un attimo prima di sbattere la porta dietro di sé. Amy si
lasciò cadere contro la parete, chiedendosi che cosa gli aveva fatto
cambiare umore così di colpo.
Scivolò sul pavimento e aspettò, con le ginocchia tirate contro il
petto. Da sola, il dolore cominciò a tornare. Non voleva pensarci.
Avrebbe pensato al bacio...
Sentiva le labbra bruciare al ricordo.
Poi Colin tornò, con due coperte lise in mano. “È stato come
negoziare un trattato,” dichiarò, “E mi sono costate un bel po’.
Scommetterei che sono le loro coperte personali.” Le annusò
sospettoso. “Puzzano come lei.”
Amy arricciò il naso, ricordando la robusta moglie del locandiere, il
suo viso arrossato e i capelli unti.
Colin fece per passarle la coperta più piccola, poi guardò Davis,
sulla sedia e senza coperta.
“Diavolo,” borbottò tra sé e sé.
Non c’era niente da fare, avrebbe dovuto dividere la coperta con
Amy. Perché? Che cosa aveva fatto di male per meritarsi questa
tentazione?
Coprì Davis e gli rimboccò delicatamente intorno la coperta.
“Mi dispiace,” stese l’altra coperta sul pavimento e si sedette per
togliersi gli stivali. “È come temevo.”
“Come temevate?”
“Dovremo dividerci questa coperta,” le spiegò, irritato.
“È per quello che siete seccato?” Il volto di Amy aveva perso un
po’ della sua rigidità. “Gli estranei dormono spesso insieme quando
le locande sono piene. Ovviamente, di solito hanno un letto,” rifletté.
“E generalmente sono dello stesso sesso,” disse Colin,
enfaticamente.
“Oh.”
“Sì, beh, venite, allora, toglietevi le scarpe.” Colin si tolse la giacca
e la arrotolò per farne un cuscino. “Se sono come tutti gli altri, questi
bambini si sveglieranno all’alba.” E si sdraiò. Amy si tolse
lentamente le scarpe, poi lo raggiunse, sdraiandosi sull’orlo della
coperta e si sistemò su un fianco, lasciando attentamente un po’ di
spazio tra di loro. Colin ripiegò l’altra metà della coperta su di loro.
Le lacrime di Amy erano silenziose, ma Colin sentì la coperta che
tirava leggermente quando le sue spalle cominciarono a scuotersi.
“Dannazione,” mormorò sottovoce. Si voltò verso di lei e si sistemò
contro la sua schiena, come due cucchiai in un cassetto.
“Ssst,” sussurrò, anche se Amy non faceva nessun rumore. “Ssst,
va tutto bene. Ci sono qua io.”
Era perfetta contro di lui.
Le lacrime di Amy si fermarono e allungò una mano per prendere
quella di Colin e sistemarsela intorno alla vita. Rabbrividì ancora una
volta e poi restò ferma.
Tutto il corpo di Colin era duro come il marmo.
Il suo ultimo pensiero cosciente fu che Amy era fortunata che lui
fosse così esausto.
Dannatamente fortunata.
26 settembre 1666
Caro Robert
Forse avete già saputo che ho perso Papà e il negozio
nell’incendio. Sono distrutta. Ho perso tutto. Tutta la mia vita è
cambiata e temo che lo sia anche la vostra. Vi prego di perdonarmi,
ma non posso sposarvi—
AMY RESTÒ SENZA fiato quando finalmente capì che cosa stava
succedendo. Sputò la lumaca nel tovagliolo. “Colin Chase,” lo
accusò, “che cosa avete fatto a queste lumache?”
Asciugandosi le lacrime dagli occhi, Colin balbettò, “S-sale. E
zucchero.”
Amy sorrideva dicendosi che ci era cascata in pieno. Se lo
meritava, decise, cominciando a ridacchiare. “Che cos’altro. Che
cos’altro c’era?”
“Niente, lo giuro. Non vi piacevano fin dall’inizio, ricordate?” gli
brillavano gli occhi. “Oh, dimenticavo, non lo avete mai ammesso.”
“Lo ammetto; lo ammetto,” sbottò Amy continuando a ridere. “Odio
le lumache in carpione. Non mangerò mai più una di quelle orrende
creature finché vivo—con o senza la vostra ricetta speciale.”
Amy continuò a ridere, in parte perché lo scherzo era divertente e
in parte di sollievo perché le sembrava di aver appena superato
brillantemente un esame.
Non si poteva restare accanto a Colin Chase se non si era disposti
ad accettare uno scherzo.
Eppure... lui non stava veramente cercando di avvicinarsi a lei,
no? Lei avrebbe lasciato il paese il giorno dopo, dopotutto. Il piacere
che sembrava aver provato per la sua reazione e il motivo che gli
aveva attribuito dovevano essere solo un prodotto della sua fantasia.
“Avendovi estorto quell’ammissione,” dichiarò Colin, “proclamo lo
scherzo perfettamente riuscito.”
“Aspettate un momento, Lord Greystone. Siete stato obbligato a
mangiare due di quelle orride lumache, come me. Certamente uno
scherzo di qualità superiore non avrebbe richiesto al perpetratore di
soffrire come la vittima.”
“Osate criticare la qualità del mio scherzo?” Anche se spalancò gli
occhi, fingendo di essere oltraggiato, Colin non avrebbe potuto
essere più contento di Amy di quanto lo fosse in quel momento.
Era contento della sua reazione bonaria al suo scherzo. Contento
di essere tornato a suo agio in sua presenza. Contento del suo
spirito pronto, contento del suo colore acceso e di quegli incredibili
scintillanti occhi color ametista... nel complesso, era molto contento.
Pericolosamente contento.
“Signora Goldsmith, quali sono le vostre credenziali per ergervi a
giudice di uno scherzo?”
“Le mie credenziali sono ininfluenti. Il fatto è che ho visto lo
scherzo giocato a Kendra qualche giorno fa e mi hanno parlato del
finto assassinio di Benchley e degli altri scherzi che avete giocato
negli anni.” Alzò il mento. “Quindi dichiaro solennemente che questo
scherzo non è all’altezza dei vostri standard.”
Alzando un sopracciglio, Colin si avvicinò a un centimetro dal naso
di Amy. “Davvero?”
Amy ispirò il suo odore particolare e il cuore cominciò a batterle un
po’ più in fretta per la vicinanza. “Assolutamente. Senza alcun
dubbio—” smise di parlare quando la bocca di Colin si appoggiò
sulla sua, dando un taglio ad altre parole denigratorie, per non
parlare del rifornimento d’aria.
L’amichevole discussione fu dimenticata quando le labbra di Colin
coprirono le sue. I sensi di Amy fremevano per le sensazioni ora
familiari di piacere, e istintivamente si avvicinò alla fonte, aprendo le
labbra, invitante. Liscia e calda nella sua bocca, la lingua di Colin
mandava spirali di piacere nel suo corpo risvegliato.
Colin la fece stendere sul divano. Sapeva di agire in modo
irrazionale, si stava comportando irrazionalmente dal giorno in cui
era entrato nel suo negozio. Ma domani Amy se ne sarebbe andata
e lui avrebbe potuto essere razionale per tutto il resto della sua vita.
Inoltre non era possibile che loro due insieme potessero fare
scintille, come ricordava. Non era possibile.
È possibile, gli diceva la sua vocina interiore. È possibile e vero e
lei è bella e dolce e intelligente e... Sei un pazzo, Colin Chase, gli
diceva la voce, un pazzo se la lasci andar via.
Ma c’era una voce più forte, anche, la voce che Colin considerava
il suo onore e la sua logica. Superò l’altra, dicendogli che era
impegnato con una donna che rispondeva a tutti i requisiti.
Irrevocabilmente impegnato.
Avrebbero dovuto spedirlo a Bedlam, pensò per un attimo, mentre
le dita lavoravano febbrilmente per staccare la pettorina ricamata dal
corpetto di Amy. Poi si abbassò a catturare la sua bocca ancora una
volta, e le voci rimasero definitivamente zitte.
Presa dalle sue sensazioni, Amy notò appena la pettorina che
cadeva sul pavimento e un momento dopo, il corpetto era
magicamente slacciato e il suo seno sporgeva libero dai bordi, velato
solo dalla leggera sottoveste.
Le dita di Colin le stuzzicavano il seno attraverso il sottile tessuto
e i capezzoli si inturgidirono reagendo al suo tocco esperto. Un
brivido delizioso la percorse mentre gli passava le mani su e giù
sulla schiena. Sentendosi stordita, gli tolse la camicia dalla cintura
dei calzoni e insinuò le mani all’interno per sentire la pelle calda.
Colin si sedette e si tolse uno stivale. Senza la sua bocca e il
corpo vicino, Amy raccolse le idee e si rese conto di quello che stava
facendo Colin. “Colin—non qui!”
Colin si tolse l’altro stivale. “Sì, qui,” disse con la voce roca.
“Perché no?” Le calze seguirono gli stivali, gettate sul pavimento in
una pila disordinata.
“Non è... non c’è un letto!” Le guance di Amy erano macchiate di
rosso. Si doveva fare l’amore in una stanza da letto, no? I suoi
genitori, se mai l’avevano fatto— dovette ammettere con se stessa
che lei era una prova vivente del fatto—certamente non avevano mai
fatto l’amore nello studio. Ovviamente, loro non avevano uno studio,
ma non era quello il punto.
Mentre Amy si preoccupava della logistica, Colin le prese i piedi e
se li mise in grembo, poi le tolse le scarpe, aggiungendole al
mucchio di indumenti assortiti sul pavimento. Con un sorriso
diabolico, le tolse le giarrettiere e arrotolò sensualmente una calza,
con le dita che sfioravano la pelle lungo tutta la gamba. Alzandole il
piede, le tolse la calza e le diede un bacio da brividi sulla pianta del
piede.
Amy arricciò le dita quando la sensazione volò su per tutta la
gamba e oltre, diritta in quella parte che lui aveva risvegliato la sera
prima.
Rabbrividì e Colin ridacchiò.
“Non abbiamo bisogno di un letto, amore,” mormorò con voce roca
e appassionata, mentre le toglieva l’altra calza, con gli stessi
movimenti. “Questo divano andrà benissimo. O il pavimento—o la
scrivania, se è per quello.”
Vedendo la sorpresa di Amy, Colin rise di nuovo. “L’erba è
perfetta,” continuò scivolando lentamente sul suo corpo per
adagiarsi su di lei, “ma fa un po’ freddo fuori adesso. La vasca da
bagno è un posto meraviglioso. Non ho provato le scale... per ora.”
Piegò la testa per baciarle la gola, con la bocca calda che
accarezzava gli incavi. Amy rabbrividì di nuovo. Le labbra
continuarono fino all’orecchio e Amy sentì il suo fiato caldo mentre le
sussurrava, “No... penso che le scale non sarebbero comode.”
Sentendosi bruciare, sia dal tocco sia dalle immagini sensuali che
evocavano le sue parole, Amy girò la testa, per catturargli le labbra
con le sue.
Si baciarono senza fretta, con la bocca di Colin che esplorava
quella di Amy come se stesse cercando di memorizzare ogni angolo,
ogni piega. Amy si sentiva drogata e poi il tempo rallentò finché non
importò nient’altro che il suo sapore, il suo profumo, il suo tocco.
Con le dita tremanti, Amy gli slacciò la camicia e inserì le mani per
afferrargli le spalle. Il palmo accarezzò i muscoli duri poi scese sopra
il petto. Sentì il suo respiro farsi irregolare, come il proprio.
Imprecando sottovoce, Colin si alzò di colpo e si tolse la camicia
con un solo movimento fluido. Poi mise Amy in piedi e le spinse il
vestito giù dalle spalle e poi oltre i fianchi, finché il logoro tessuto
color lavanda si ammucchiò ai suoi piedi.
Fece un passo indietro per guardarla.
“La luce,” protestò debolmente Amy, indicando con un gesto della
mano le lampade a olio sotto le quali stava leggendo poco prima.
Fare l’amore seminascosti dalla luce tremolante del fuoco era una
cosa, ma certamente Colin non intendeva svestirla alla luce brillante
delle lampade?
“Siete bellissima alla luce,” le rispose Colin sottovoce. Lo sguardo
famelico, seducente, le percorreva il corpo. “Come un dipinto di Sir
Peter Lely.”
Amy si guardò sorpresa la sottile sottoveste, con le guance che si
coloravano di rosa. Lely era famoso per i suoi ritratti delle dame di
corte. Dame di corte nude.
Rassegnata al fatto che Colin non avesse intenzione di abbassare
la luce delle lampade rivelatrici, Amy si mise timidamente a studiarlo.
Anche se la stanza non era particolarmente calda, le spalle ampie
erano coperte da un lieve velo di sudore. La spolverata di pelo scuro
sul petto si stringeva verso la vita, sparendo nella cintura dei calzoni,
dove le sue lunghe dita erano all’opera per sciogliere i lacci. Colin
abbassò impaziente gli aderenti calzoni e se li tolse.
Gli occhi di Amy si spalancarono alla vista di lui, grande e pronto.
Certamente non era la stessa parte che aveva inserito la notte
prima, no? Ma anche se le guance scottavano al solo pensiero, il
suo corpo si mosse verso di lui come se avesse una volontà propria,
appoggiandosi al petto solido mentre una mano si chiudeva sul suo
calore vellutato.
Colin ansimò. Afferrò l’orlo della sottoveste, gliela sollevò sopra la
testa e la gettò via, mentre guidava Amy verso il divano e ricadeva
sopra di lei.
Il tessuto era ruvido sotto la sua pelle nuda, ma i sensi di Amy
erano fuori controllo; avrebbe potuto essere sdraiata sulle lenzuola
di lino più fine per quello che le importava. Era conscia solo di Colin,
il peso caldo, la bocca umida e bollente, il suo odore speziato, già
così familiare.
Le labbra di Colin giocavano sulla sua faccia, sul collo mentre le
mani erano dappertutto sul suo corpo, le braccia, le gambe, il seno,
l’addome. Dovunque la toccasse spire di desiderio correvano dalla
punta delle sue dita fino alla sua essenza, finché pensò che sarebbe
svenuta per l’attesa se non l’avesse toccata lì.
Poi, finalmente, finalmente le dita forti e insistenti le allargarono le
gambe e quando sentì la sua carezza intima, calda contro il suo
centro umido, pensò che sarebbe esplosa per il sollievo. Gli conficcò
le unghie nelle spalle.
“Oh, Colin,” esalò in un sussurro tremante.
“Oh, Cristo,” il tono di Colin era stridulo. Con un movimento agile,
la coprì e sprofondò nella sua stretta guaina.
Ad Amy sfuggì un gemito estatico.
Colin si bloccò. “Oh, amore,” sussurrò con un misto di
preoccupazione e desiderio, “è troppo presto? Fa troppo male?”
“No,” sussurrò sospirando Amy. “Santo cielo, no.”
Per un secondo, Amy si sentì le guance in fiamme per l’intimità
della domanda, per un altro secondo fu stupita che l’indolenzimento
fosse realmente sparito, completamente dimenticato e poi lo sentì
muoversi dentro di lei e non pensò più a nulla. Si arcuò contro Colin,
abbandonandosi al turbine di sensazioni.
Dapprima Colin si mosse lentamente, finché Amy cominciò ad
agitarsi sotto di lui in una frenesia di passione. Allora si mosse più in
fretta, assecondando ogni movimento del corpo di Amy che si
arcuava verso di lui, finché Amy fu sopraffatta da ondate di piacere.
Le braccia si strinsero intorno a lui, il respiro si fece tremante, e
quando sentì l’esclamazione di Colin, nel momento dell’orgasmo,
Amy fu inondata da una meravigliosa sensazione di completezza.
Sdraiata sotto il suo peso gradito, Amy si riempiva i polmoni con
grandi boccate d’aria, più appaganti del pasto più splendido. Colin le
coprì il volto e il collo di piccoli baci umidi, e Amy si meravigliò per il
senso di intimità che provava, così nuovo e perfetto.
“Amore dolce,” mormorò Colin. Non riusciva a smettere di
baciarla, fermarsi e riunire le idee. Perché farlo avrebbe comportato
ricominciare a pensare, pensieri che avrebbero confermato
com’erano perfetti insieme, pensieri che gli avrebbero detto che
avrebbe fatto il più grosso errore della sua vita se l’avesse lasciata
andare. Non poteva permettersi quei pensieri. Erano pensieri di un
uomo emotivo, e lui era una persona razionale.
Comunque, non poteva restare per sempre sopra di lei.
Quando alla fine scivolò di fianco, stringendola a sé sullo stretto
divano, Amy emise un piccolo suono, come se le mancasse. Si voltò
verso di lui, gli avvolse le braccia intorno alla vita e premette i seni
vellutati contro il suo torace, intrecciando le gambe con le sue.
Colin mormorò appagato. “Avete freddo?” Le chiese dolcemente.
Amy scosse la testa e si mosse contro di lui, cercando di
avvicinarsi ancora di più—e quasi facendolo cadere dal bordo.
Colin si riprese appena in tempo. “Non c’è proprio posto qui,
sapete,” le disse in tono scherzoso, alzando le sopracciglia di
qualche millimetro.
L’atmosfera cambiò. Amy si alzò su un gomito. “Ve l’avevo detto,”
ribatté bonariamente, “prima... prima...”
“Già,” la interruppe Colin, risparmiandole di dire a voce alta che
cosa avevano fatto. Alzandosi in piedi, le prese la mano e la tirò
accanto a sé. “Andiamo?” Le chiese, indicando la camera accanto.
Continuando a tenerla per mano, si diresse verso il corridoio.
Amy arrossì graziosamente nel trovarsi a camminare
tranquillamente accanto a un uomo, entrambi completamente nudi.
Colin non le lasciò molto tempo per meditare sulla stranezza della
situazione, comunque, dato che sembrava non riuscire a non
fermarsi ogni due passi per stringerla tra le braccia per un lungo,
lento bacio. Quando raggiunsero la camera, Amy si staccò e corse
verso il letto, tuffandosi sotto la trapunta.
“Brrr!” disse, con un brivido espressivo, fingendo di essersi
coperta per il freddo—senza riuscire a ingannare Colin nemmeno
per un secondo. Andò ad attizzare il fuoco e aggiunse un paio di
ceppi. Era un peccato che non sarebbero stati insieme abbastanza a
lungo perché Amy si sentisse a suo agio con lui, perché lui potesse
gioire nel vederla venire a patti con la sua stessa sensualità. Il
pensiero di Amy che si donava liberamente a un altro uomo, senza
imbarazzo o artifici, gli faceva stringere lo stomaco—ma sapeva,
vista la sua natura appassionata, che era inevitabile.
Avrebbe dovuto accontentarsi del ricordo di aver risvegliato per
primo la sua passione.
Dalla sicurezza del letto, Amy lo guardò audacemente, e le
piaceva più di quanto avesse immaginato possibile. Si sentiva una
persona completamente nuova, un’Amy completamente diversa.
Amethyst. Lo pronunciò mentalmente, il suono lungo ed elegante.
Amethyst Chase. Lady Greystone.
No, decise, lei era ancora Amy. ‘Lady Greystone’ non avrebbe mai
disegnato gioielli, non avrebbe mai avuto e gestito un negozio. Non
voleva—non poteva—permettersi di contemplare la possibilità di
qualcosa di permanente con Colin. Circostanze fortunate avevano
portato a queste brevi ore di beatitudine, ed era quasi ora di tornare
al mondo reale.
Ma doveva veramente strapparsi dal suo fianco così presto?
Sapeva perfettamente che non poteva durare, ma si erano appena
scoperti a vicenda. Cercò qualcosa, un’idea, un’idea qualunque, e
mentre lui saliva sul letto accanto a lei, la trovò. “Colin?”
Colin si voltò verso di lei, aspettando che parlasse. “Sì?”
L’idea le sembrò immediatamente stupida. Era impossibile credere
che lui l’avrebbe accettata.
Comunque... valeva la pena di tentare. “So che dobbiamo partire
domani, ma...”
“Ma...?”
“Pensate sia possibile portarmi a Londra?” Gli chiese in fretta,
prima di perdere il coraggio. “Non ho vestiti, niente, sapete e, beh,
mi ci vorrebbero solo un paio di giorni per comprare tutto quello che
mi serve, e poi—”
“Sarò lieto di accompagnarvi a Londra per un paio di giorni. Vi
troverò una chaperon e—”
“—preferirei non arrivare in Francia senza niente—”
“Amy.” Colin si chinò in avanti e le baciò la fronte. “Ho detto che
sarò lieto di accompagnarvi a Londra.”
“Oh.” Aveva funzionato. Non riusciva quasi a crederci. Ancora
qualche giorno con Colin—era un sogno che si avverava.
“Resteremo nella residenza dei Chase a Londra,” le disse Colin.
Il cuore di Amy galoppava per l’eccitazione. “Grazie,” mormorò.
“Sarà un piacere, amore.” Le alzò il mento per incollare le labbra
alle sue e Amy si sciolse tra le sue braccia.
CAPITOLO VENTINOVE
Era tutto lì. Niente ‘Cara Amy’. Niente, ‘Con amore Colin’. Amy si
ripeté che non c’era niente di sbagliato—Colin semplicemente non
era espansivo quando scriveva—ma sapeva benissimo che si stava
prendendo in giro da sola. Il Colin che aveva fatto l’amore con lei tre
volte durante la lunga notte era svanito.
Alzò gli occhi dal biglietto vedendo la carrozza che passava sotto
la saracinesca ed entrava nel piccolo viale circolare nella corte.
Quando Colin aprì la porta, Amy era in piedi accanto al suo baule,
con il libro in mano e il biglietto al sicuro.
“Buongiorno, milord,” gli disse, con tutta l’allegria che riuscì a
raccogliere.
Colin fece una smorfia al tono formale. “Buongiorno,” brontolò,
evitando di guardarla.
Sollevò il suo baule—con più attenzione di quanta ne avesse
usata prima di sapere che cosa contenesse—e lo portò nella
carrozza. Amy lo seguì lentamente. Colin le fece segno di salire e
tornò indietro per chiudere a chiave la porta, poi salì e si sedette
davanti a lei, e partirono.
“Colazione?” Le chiese, togliendo il cestino di Kendra da sotto il
sedile e mettendolo sul pavimento in mezzo a loro. Scelse una mela
e la lucidò sulla camicia prima di dare un morso.
Amy prese un’altra mela. Si aspettava che da un momento all’altro
Colin sorridesse e cominciasse a prenderla in giro o le indicasse i
punti interessanti della sua tenuta, ma il tempo passava e Amy si
rese conto che era sempre meno probabile.
Viaggiarono per un miglio circa in un silenzio imbarazzante, gli
unici suoni quelli delle ruote sulla strada fangosa piena di solchi, il
clip-clop costante degli zoccoli dei cavalli e lo sgranocchiare,
masticare e deglutire le mele succose. Colin prese un tovagliolo dal
cestino, vi appoggiò il torsolo e poi lo tese ad Amy perché facesse lo
stesso. I loro occhi si incontrarono, quelli di Amy inquisitori, quelli di
Colin socchiusi e indecisi.
Il tovagliolo con i torsoli ricadde nel cestino. “Ciò che è successo
non cambia nulla,” sbottò Colin. “Resto promesso a Priscilla.”
Amy lo fissò, seduto davanti a lei con il volto impassibile. Lacrime
spontanee minacciavano di traboccare dagli occhi.
Colin si piegò in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia
allargate, la testa nelle mani. “Non piangete, Amy,” disse, guardando
il pavimento. “Non credo che potrei sopportarlo.”
Amy sbatté gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. “So che siete
fidanzato. Non ho mai pensato che fosse cambiato nulla, milord. Ho
forse detto qualcosa che vi ha fatto pensare il contrario?”
“Beh, no...” Colin esitò poi si spostò accanto a lei e le mise un
braccio sulle spalle. “No, non avete detto niente.” Fissò fuori dal
finestrino. “Ma anche se mi piacerebbe passare ogni minuto con voi
a Londra c’è chi lo noterebbe e renderebbe miserabili le nostre vite.”
“Non conosco nessuno di importante a Londra.”
“E i vostri clienti?”
Amy si morse il labbro. Aveva ragione. Potevano non essere stati
amici, ma restava il fatto che conosceva una buona parte dell’élite di
Londra.
Forse stava suggerendo che dividessero la casa di Londra ma non
il letto? Avendo già ceduto la sua innocenza a Colin non riusciva a
pensare a vivere in castità con lui, anche solo per pochi giorni.
Perché avrebbe dovuto, comunque? Nella cerchia di Colin le donne
era promiscue. La gente avrebbe comunque pensato che andavano
a letto insieme, che lo facessero o meno.
“Ne varrebbe la pena,” gli disse, voltandosi nelle sue braccia, con
gli occhi che gli mandavano il messaggio che era troppo timida per
dire a parole. “Sarò a Parigi per il resto della mia vita, con tutta
probabilità. Quello che Londra pensa di me non significa niente.”
Colin si spostò per tutta la lunghezza della panchina, con le mani
sulle spalle di Amy mentre la fissava negli occhi. “Non sapete come
sarà la vostra vita, Amy.” Si mise le mani in grembo e la voce
assunse un tono neutro, piatto. “Vi installerò nella casa di città, ma io
non passerò le notti lì. Avrete a disposizione una carrozza e un
cocchiere. Vi farò sapere dove contattarmi quando avrete finito i
vostri acquisti.”
“Dove starete?”
“Dipende da chi c’è in città. Ma mi assicurerò che tutti sappiano
che non abiteremo nella stessa casa.” Prendendo già le distanze da
lei, si spostò sull’altro sedile.
Le implicazioni erano ovvie. Non avrebbe rischiato che qualcuno
scoprisse che erano stati intimi, dato che una relazione con
qualcuno come lei poteva solo essere imbarazzante per lui. Amy non
credette per un secondo che stesse proteggendo la sua reputazione.
Colin allungò le gambe e le incrociò, poi tornò a nascondersi dietro
il suo libro. Infelice, Amy si ritirò in un angolo della carrozza. Non
aveva senso continuare la discussione. Colin aveva perfettamente
chiarito le sue intenzioni e, in ogni modo, non aveva chiesto la sua
opinione.
Era così ingiusto!
Non gli aveva mai chiesto di restare con lui, nemmeno lo aveva
mai accennato—sapeva che la semplice Amy Goldsmith non
apparteneva al mondo di Lord Greystone. Aveva la sua vita e degli
obblighi cui tenere fede. Tutto quello che voleva, era ancora qualche
giorno con lui, qualche giorno ancora di felicità, qualche giorno
ancora in cui fingere di non essere sola al mondo.
Anche adesso, per distaccato che fosse, Amy non voleva altro che
allungare la mano e toccarlo, per perdersi tra le sue braccia.
Per quanto tentasse di essere freddo e imperioso, si era sciolto
quando le lacrime avevano minacciato di scendere. Doveva bastarle,
si disse. Il vero Colin era lì, da qualche parte, ovviamente confuso
come lei—se non di più.
Aprì il libro e lo tenne davanti al volto, fissando ciecamente la
pagina mentre si ricomponeva. Se voleva avere una qualche
speranza di riavere la loro intimità per un giorno o due, non ci
sarebbe riuscita piangendo o implorando.
Fece un respiro profondo e si sforzò di concentrarsi sulle parole
finché non fu presa dall’eccitante finale della lunga storia di Clélie.
Tre ore di silenzio dopo, proprio mentre attraversavano il London
Bridge, Amy finì il libro e, con un sospiro di soddisfazione, lo
appoggiò sul sedile.
Guardando fuori dal finestrino della carrozza, si meravigliò per i
cambiamenti che l’incendio aveva apportato alla sua città natale. Un
isolato dopo l’altro si era trasformato in un lotto vuoto e annerito.
Qua e là un camino o un forno di pietra annerita restavano in piedi
come lapidi funerarie tra i detriti. Eccetto il clip-clop dei cavalli e lo
scricchiolio e delle ruote, c’era un silenzio inquietante. Quando si
spostò più vicino al finestrino, le sfuggì un gemito angosciato.
Colin alzò la testa dal libro. “Non sarà così per sempre,” le disse
gentilmente.
Amy ascoltò attentamente. Qua e là si sentiva il raro rumore di
una costruzione in corso. “Qualcuno sta già ricostruendo,” osservò.
“Sì, ma è proibito finché i padroni non avranno tolto le macerie e
dimostrato il loro diritto alla terra. Ci vorrà tempo.”
Mentre viaggiavano lungo Fleet Street verso Chancery Road,
passarono finalmente nell’area che non era bruciata. Amy tirò un
profondo sospiro di sollievo sentendo gli odori familiari di Londra.
L’odore di catrame, di fumo degli incessanti fuochi di carbone, e la
puzza delle concerie erano coperti dal fetore invadente della fogna a
cielo aperto che la Fleet Street, comunemente chiamata la Discarica,
era diventata nei secoli. Anche se fetida e disgustosa la puzza era il
ricordo confortante di un’altra vita.
E il traffico! Carrozze, carri, uomini a cavallo, portantine, pedoni e
animali si spintonavano l’un l’altro nelle strade affollate. Dopo mesi
nella campagna tranquilla, le orecchie di Amy sembravano aggredite
da una cacofonia di venditori ambulanti che vendevano la merce
nelle loro carriole, nei carretti o semplici cesti, vantando la
superiorità della loro merce con grida cantilenanti.
Un uomo gridò. “Uccido ratti e topi!” e Amy sorrise.
“I ratti,” rifletté. “Come ho fatto a dimenticare i ratti?”
Colin le restituì il sorriso.
C’erano ladri, borsaioli e mendicanti dappertutto, ma anche artisti
di strada che cantavano le loro ballate per qualche pence. Amy vide
un volto familiare e si voltò, eccitata. “Oh, è Richardson, il
mangiatore di fuoco! Possiamo fermarci a guardarlo?”
Colin alzò le spalle e bussò sul tetto per indicare a Benchley di
fermarsi. Amy si sporse dal finestrino, con gli occhi sgranati mentre
Richardson masticava e ingoiava carboni ardenti, poi vetro fuso e,
come gran finale, si metteva un pezzo carbone ardente sulla lingua,
lo attizzava con un mantice per farlo fiammeggiare, ci cuoceva sopra
un’ostrica e ingoiava il tutto.
I pubblico esplose in applausi e Colin cercò nella sua borsa e
diede ad Amy una moneta da gettare dal finestrino prima di
proseguire.
Raggiunsero finalmente Lincoln’s Inn Fields, una zona
residenziale alla moda, che fiancheggiava una grande piazza
erbosa. Era più tranquillo, lì, ma solo in confronto ad altre zone di
Londra: lì vicino c’era il teatro di Lincoln’s Inn Fields, conosciuto per
gli spettacolari movimenti scenici, e la piazza era spesso teatro di
litigi e rapine, oltre ad essere un luogo per le esecuzioni pubbliche.
La carrozza si fermò davanti alla casa dei Chase, un edificio di
mattoni di quattro piani sul lato ovest della piazza. Amy scese e
guardò la facciata elegante. Gigantesche colonne ioniche
sostenevano un cornicione a sbalzo e i balconi. Sopra le alte finestre
rettangolari c’erano pannelli decorativi triangolari.
Colin scese dietro di lei e si stirò, sbadigliando.
“È palladiana,” mormorò Amy in tono meravigliato, “È stata
progettata da Inigo Jones?”
“Sì.” Colin andò verso il portone d’ingresso.
Amy lo seguì, con la fronte aggrottata. Tutta la sua gioia per
essere tornata nella City era smorzata dall’atteggiamento di Colin.
Dov’erano le sue solite ciarliere spiegazioni? A Colin piaceva
mostrare le case della sua famiglia e raccontare la loro storia.
Era tanto scontento di lei, allora?
L’interno della casa era impressionante quanto l’esterno. Le poche
residenze aristocratiche che Amy aveva visto erano rivestite di scuri
pannelli di legno in stile giacobita. Non questa casa, ed era come
paragonare il carbone ai diamanti. Lo sguardo andò all’ampia
scalinata che saliva con una curva aggraziata. Le pareti chiare,
intonacate, erano ornate di motivi classici con un festone scolpito
con fiori, frutta, nastri, palme e maschere.
Non vedeva l’ora di fare il giro di tutta quella magnifica casa.
Colin la spronò ad avanzare, verso i servitori che aspettavano in
fila.
“Questa è la signora Amethyst Goldsmith,” disse, in tono
abbastanza piacevole. “Resterà qui per qualche giorno. Ida?”
Una ragazza magrolina, con gli occhi azzurri si fece avanti. Avrà
avuto sedici anni. “Sì, milord?”
“Per favore, occupatevi delle necessità della signora Goldsmith.” I
riccioli biondi della ragazza rimbalzarono quando annuì, accettando
volentieri la responsabilità. Colin si rivolse ad Amy. “Io farò un
sonnellino. Vi suggerisco di fare lo stesso.”
E se ne andò, con le lunghe gambe che salivano i gradini a due a
due. Ida mostrò ad Amy la sua stanza e ripiegò le coperte sul letto.
Amy continuava a pensare alla casa, ma non si era aspettava di
visitarla da sola, pensava che Colin sarebbe stato accanto a lei, a
raccontarle tutta la sua storia.
Si sdraiò e quando si svegliò dal sonno irrequieto, Colin se n’era
andato. Mentre scendeva a cena, Ida disse qualcosa riguardo al
fatto che Lord Greystone fosse andato a cena da Lady Priscilla
prima di fare un’apparizione a un ballo o qualcosa del genere, ma
Amy la ascoltava con un orecchio solo.
Anche se aveva avuto quasi tutta la giornata per abituarsi all’idea,
continuava a non credere che Colin l’avesse lasciata da sola.
CAPITOLO TRENTA
I NUMERI SULLE porte erano troppo sbiaditi per poterli leggere nel
corridoio buio. Ma c’era solo una stanza che Colin stava cercando e i
singhiozzi inconfondibili di Amy lo condussero direttamente lì.
“Stanley!” Picchiò con entrambi i pugni sul legno marcio che lo
divideva dalla donna che amava e il suo rapitore. “Aprite! Subito!”
Si tolse la giacca e la gettò per terra. Arretrò di qualche passo, poi
corse verso la porta e sbatté contro con una spalla—la vecchia
serratura cedette, la porta si spalancò verso l’interno sbattendo
contro la parete, restando a malapena sui cardini.
Sorpreso, Robert rotolò via da Amy e scivolò verso la sponda del
letto, cercando con la mano per trovare la pistola sul pavimento.
Sbattendo gli occhi e piagnucolando, Amy si alzò sui gomiti, con lo
sguardo fisso su Colin sulla porta. Colin fece un passo avanti mentre
Robert si alzava, con una mano che teneva la cintura dei calzoni
slacciati e l’altra che stringeva la pistola. Un’espressione animalesca
induriva il volto insanguinato.
Colin fece un altro passo.
“State indietro, Greystone, bastardo!” La pistola vacillò mentre
Robert ruggiva, “Lei è mia.” Il cane era parzialmente alzato, la pistola
era pronta e ora Robert tirò l’otturatore.
Nella stanza si sentì un clic minaccioso.
Con una furia che gli bruciava in petto, Colin continuò ad
avanzare.
Il volto di Robert mostrò puro panico, oltre la ragione. Il braccio si
agitò all’impazzata mentre tirava il grilletto. La pistola sparò con un
rumore di tuono.
Amy emise un grido di terrore, ma Colin non trasalì nemmeno,
continuò ad avanzare. La pallottola si era conficcata da qualche
parte nella parete del corridoio. Robert era rimasto con una pistola
fumante in mano, e l’odore pungente della polvere da sparo tutto
intorno a lui.
Non c’era tempo sufficiente per ricaricare nemmeno per una
persona esperta e Robert aveva già dimostrato di non essere un
esperto. Gettò la pesante pistola contro la testa di Colin, che schivò
e poi, mentre rialzava la testa, tolse la spada dalla cintura con un
gesto abile, fluido.
Senza la falsa sicurezza datagli dalla pistola, Robert sembrò
ritirarsi su se stesso. Colin vide la verità nei suoi occhi: Robert
sapeva di non essere all’altezza del Conte di Greystone, lo aveva
saputo dal momento in cui Colin era entrato nel negozio, tre lunghi
mesi prima.
Robert indietreggiò verso la parete, con gli occhi pallidi vitrei di
terrore inchiodati sulla lama lucente di Colin.
Gettando la spada in un angolo, Colin si avvicinò a Robert con i
pugni chiusi. Afferrò le spalle dell’uomo più basso e lo staccò dal
muro, poi lo sbatté nuovamente contro con tutta la sua forza. Si sentì
un crac sonoro quando la testa di Robert sbatté contro il legno, e
quando Colin lo lasciò andare, Robert scivolò sul pavimento come
un sacco vuoto.
La lotta era finita prima ancora di cominciare.
Amy guardò in silenzio Colin che si chinava a recuperare lo
stocco. “Volete che lo uccida?” disse roco, respirando grandi boccate
d’aria mentre cercava di controllare la furia.
Amy scosse violentemente la testa, ancora muta. Colin restò
immobile per un momento, rendendosi conto della sorpresa negli
occhi increduli di Amy. Poi rimise la spada nella cintura e si spostò
verso il letto, allungando le mani verso di lei.
“Siete stato... siete stato colpito,” sussurrò Amy, cominciando a
tremare.
Colin si raddrizzò e guardò il punto che stava fissando Amy,
sorpreso. Aveva la camicia incollata alle costole da una macchia
scura, appiccicosa di sangue, ma non si stava allargando. “È solo un
graffio,” le disse. Non lo sentiva ancora—il vortice al calor bianco
delle sue emozioni escludeva qualunque sensazione di dolore.
Ebbe comunque la presenza di spirito di recuperare la giacca dal
corridoio e infilarsela, avvolgendosela strettamente intorno per
coprire il sangue prima di prendere in braccio Amy che continuava a
tremare. Con un ultima, sanguinaria occhiata alla forma immobile di
Robert, Colin la portò giù dalle scale e per strada.
CAPITOLO QUARANTASEI
FINE
MATERIALE AGGIUNTIVO
Nota Dell'Autrice
Continuate a Leggere L'anterprina di EMERALD
L'Autrice
La traduttrice
I libri di Lauren Royal (nell’edizione originale inglese)
NOTA DELL’AUTRICE
Caro lettore,
Quando leggo un romanzo storico, mi ritrovo sempre a chiedermi
cosa e chi (a parte personaggi ovvi, come il Re e la regina) possa
essere realmente esistito. Nel caso in cui i miei lettori abbiano la
stessa curiosità, penso che qualche informazione possa far piacere.
L’amante del Re, Barbara Villiers Palmer, Contessa di
Castlemaine (e dopo il periodo in cui ha luogo questa storia,
Duchessa di Cleveland) è un personaggio veramente esistito.
Amante di Re Charles a intermittenza per almeno dieci anni, gli
diede quattro figli maschi—tutti creati Duca—e una figlia femmina.
Charles concesse una pensione a vita di seimila sterline annue a
Barbara e tremila per ciascuno dei loro figli. Erano somme
esorbitanti all’epoca e più di quanto concesse a qualunque altra
amante o figlio, eppure doveva sapere che Barbara aveva altri
amanti—una lunga sfilza, incluso non solo parecchi cortigiani inglesi
e francesi, ma anche attori, commediografi, un Servitore della
Stanza da Letto Reale e perfino un funambolo.
Ho cercato di fare del mio meglio per ricreare la vibrante
personalità di Barbara basandomi sui resoconti dell’epoca. Non
dimenticherò mai la prima volta che lessi una delle sue prime
biografie, da studentessa, nella biblioteca della University of
California, a Irvine. Il libro, che aveva quasi trecento anni, aveva
troppo valore ed era troppo fragile per essere dato in prestito, ma
(incredibilmente!) me lo lasciarono toccare e leggere. Ricordo che mi
tremavano le mani—trovavo talmente incredibile che le parole di
qualcuno fossero arrivate fino a me dopo tutto quel tempo. Sono
passati parecchi anni, e ora ho diversi libri antichi nella mia
biblioteca di casa, ma li tocco ancora con riverenza—tale è il potere
e la persistenza della parola scritta.
Anche se Barbara Palmer diede a Re Charles più figli di
qualunque altra amante, tante donne divisero il letto del Re. Alla fine,
riconobbe nove figli maschi e cinque figlie femmine, e si presume
che ne avesse anche altri. Purtroppo, la regina Catharine non gli
diede mai un erede legittimo, ma, dopo tanto tempo, un discendente
di Re Charles è in linea per salire al trono, dato che i figli della
Principessa Diana discendono da Charles II e Barbara, attraverso
suo figlio Charles Fitzroy, Duca di Grafton, nato nel 1663.
Quanto a Frances Stewart, la bellissima cortigiana dalla testa
vuota di cui spettegolavano Barbara e Colin, Charles decise di
perdonarla per aver sposato il duca di Richmond e alla fine, riuscì ad
attirarla nel suo letto. Sfortunatamente, poco dopo lei si ammalò di
vaiolo e la risultante deturpazione del suo bel volto sembrò
raffreddare i bollori di Charles. Ma Charles aveva il cuore tenero e le
rimase amico. Prima che Frances fosse colpita dalla terribile
malattia, la sorella di Charles l’aveva descritta come ‘la donna più
bella del mondo’ e Charles aveva immortalato quella famosa
bellezza facendola posare come Britannia: Il volto e il torace di
Frances sono tutt’ora incisi sulle monete inglesi.
Il castello di Cainewood
Il mio castello di Cainewood prende spunto dal Castello Arundel,
nel Sussex. È stata la residenza dei Duchi di Norfolk e della loro
famiglia, i Fitzalan Howards fin dal 1243, eccetto un breve periodo
durante la Guerra Civile. Anche se la famiglia risiede ancora lì,
alcune parti di quella magnifica casa sono aperte al pubblico e
valgono una deviazione, se capitate da quelle parti.
Greystone è ispirato al Castello Amberley, anch’esso nel Sussex
occidentale. Charles II visitò il castello nel 1651 e nel 1685. L’allora
proprietario, Sir John Brisco, commemorò la seconda visita
commissionando un affresco di Charles e della regina Catharine,
che si può ancora vedere nella Queen’s Room, ora un ristorante
rinomato. Il castello è passato per molte mani ed è ora un lussuoso
albergo. Le pareti emanano lo spirito dei sogni e delle leggende, un
soggiorno lì è la materia di cui sono fatti i sogni. Vale veramente la
spesa.
Per la casa di città dei Chase, ho preso in prestito la Lindsey
House, ai confini di Lincoln’s Inn Fields. Attribuita allo stimato
architetto Inigo Jones, è la sola casa originale che resta nella piazza.
Prende il nome da Robert, terzo conte di Lindsey che comprò la
proprietà nel 1660 dalla famiglia di Sir Theodore Mayerne, che era
stato il medico di James I e Charles I. Da allora ci sono stati parecchi
occupanti illustri, incluso James Whistler che dipinse lì il famoso
ritratto di sua madre.
Per vedere le immagini e sapere qualcosa di più dei posti e delle
persone reali citate in Amethyst, visitate il mio sito
www.LaurenRoyal.com.
Spero che Amethyst vi sia piaciuto—grazie per averlo letto!
CONTINUATE A LEGGERE L’ANTEPRIMA DI:
EMERALD
SECONDO LIBRO DELLA TRILOGIA ‘GIOIELLI’
di LAUREN ROYAL
Chichester, Inghilterra
1 agosto, 1667
Leslie, Scozia
...continua