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AMETHYST

Lauren Royal

Traduzione di Mirella Banfi

Novelty Books
AMETHYST di Lauren Royal

Traduzione di Mirella Banfi

Pubblicato da: Novelty Books, una divisione della Novelty Publishers, LLC, 848 N. Rainbow
Blvd, Suite 4390, Las Vegas NV 89107

Originariamente pubblicato da: Penguin Putnam Inc.

ISBN-10: 1938907302

ISBN-13: 978-1-938907-30-2

Copyright © Lauren Royal 2001, 2012, 2013

Prima edizione italiana, agosto 2013

Copertina di Kimberly Killion

Formattazione di Typesetter For Mac

Diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere usata, riprodotta o
trasmessa in alcun modo, elettronicamente o a mezzo stampa o altro, senza il consenso
scritto sia di Lauren Royal sia della Novelty Books, eccetto brevi citazioni incluse in articoli
di critica e commenti.

Nota dell’editore: Questo è un lavoro di fantasia, nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti


sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualunque
somiglianza con persone, vive o morte, fatti o luoghi reali è puramente accidentale.
INDICE

Pagina del titolo


Sinossi
Dedica
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Epilogo
Materiale aggiuntivo
SINOSSI

Londra, 1666

Amethyst Goldsmith fabbrica gioielli favolosi, ma il suo futuro non è


brillante come i pezzi che crea. Anche se la tradizione dice che deve
sposare l’apprendista di suo padre, il suo cuore si ribella a questa
unione. Pochi giorni, e Amy sarà condannata a un matrimonio
opprimente, senza amore e non vede via d’uscita, finché il terribile
incendio del 1666 devasta Londra e la tragedia la fa finire tra le
braccia di un affascinante aristocratico che sa riconoscere un
diamante grezzo quando lo vede...

Colin Chase, il Conte di Greystone, ha già programmato tutto il suo


futuro. Sta cercando di riportare all’antica gloria il suo castello in
rovina e la sua tenuta, e la chiave di tutto è la sua futura,
ricchissima, sposa. Ma il Grande Incendio scombina i suoi piani,
scaricandogli addosso un grosso problema, nella persona della figlia
di un umile mercante, della quale, purtroppo, si innamora...

Primo libro della Trilogia Gioielli di Lauren Royal.


A mio marito, Jack,
perché non avrei potuto scrivere del vero amore
se non mi avesse mostrato che cosa significa.
PROLOGO

Londra
22 aprile 1661

L’ULTIMA VOLTA CHE Amethyst Goldsmith aveva visto il suo Re,


aveva cinque anni e lui era sul punto di essere decapitato. Ora,
dodici anni dopo, sperava sinceramente che suo figlio avrebbe avuto
più fortuna.
Si fece strada tra la folla, con i suoi genitori e sua zia che
mormoravano parole di scusa seguendola. “Qui, c’è posto!”
Trovando finalmente qualche centimetro di transenna libera, la
afferrò con entrambe le mani e si voltò per rivolgere loro un sorriso
vittorioso. “Venite, sta cominciando!”
Hugh e Edith Goldsmith la raggiunsero, scuotendo la testa davanti
alla tenacia della figlia. La sorella di Hugh, Elizabeth, si insinuò
dietro di loro. Ignorando i borbottii degli spettatori cui rubava il posto,
Amy allargò i piedi per riuscire ad avere un po’ più di spazio davanti
a sé. “Robert, qui!”
Robert Stanley le tirò la lunga treccia mentre si insinuava accanto
a lei. Amy gli rivolse un sorriso; Robert era divertente. Anche se era
arrivato solo la settimana prima per diventare l’apprendista di suo
padre, Amy sapeva da anni che avrebbe dovuto sposarlo. Finora
andavano d’accordo, anche se il ragazzo era rimasto sorpreso nello
scoprire che lei era un’orafa molto più brava di lui. Sorpreso e non
proprio contento, sospettava Amy. Ma gli sarebbe passata.
Poteva essere una ragazza, ma il suo talento era un dono di Dio e
non avrebbe mai rinunciato al suo mestiere. Robert doveva imparare
ad accettarlo.
Con un sospiro di piacere, Amy sfregò le suole delle scarpe sui
ciottoli levigati. “Guardate, mamma! È tutto così pulito e splendente.”
Respirò a fondo l’aria fresca, sbattendo gli occhi alla forte luce del
sole. “La pioggia è cessata... perfino il tempo sta salutando il ritorno
della monarchia in Inghilterra! Avete mai visto tanta gente? Ci deve
essere tutta Londra.”
“Non possono essere tutti londinesi,” sua madre agitò una mano,
indicando la folla sui tetti, la gente accalcata alle finestre e i balconi
sovraccarichi. “Penso che molti siano venuti dalla campagna.”
Dall’alto scese lentamente una manciata di petali di rose che
atterrarono sulla testa scura di Amy come fiocchi di neve profumati.
Lei li scosse via, ridendo. “Guardate tutti quegli arazzi e gli
striscioni!”
“Guardate solo tutto quel vino sprecato,” borbottò Robert
accennando al fiume fragrante che scorreva nella strada in un
canaletto aperto.
Amy aprì la bocca per protestare, poi decise che stava
sicuramente scherzando. “Calmatevi, Robert! Dovete essere
contento che Re Charles sia incoronato domani. Dodici anni di
governo di Cromwell sono stati più che sufficienti, ora abbiamo di
nuovo la musica e il ballo.” Aveva voglia di ballare, di allargare le
sottane di satin bordò e piroettare, ma la calca rendeva impossibile
la manovra, quindi si accontentò di una piccola riverenza. “Abbiamo
bei vestiti, e il teatro—”
“E il bere, le carte e i dadi,” aggiunse Robert.
“Anche quello,” confermò Amy, voltandosi ad ammirare la fila di
nobili a cavallo in parata dalla Torre al palazzo di Whitehall. Tutti quei
gioielli e le piume e il pizzo! Toccando i festoni di nastro che
adornavano il suo abito nuovo, si spinse più forte contro la
transenna, desiderando di potersi unire al corteo.
“Dove hanno trovato tutte quelle piume di struzzo, in Inghilterra?”
Si chiese a voce alta, scoppiando a ridere.
Sua zia rise con lei, mettendole affettuosamente un braccio sulle
spalle. “Dove trovi tutta quell’energia, bambina? Devi venire a Parigi.
Lo zio William ed io abbiamo bisogno del tuo sorriso felice.”
Con uno slancio di simpatia, Amy le mise in braccio intorno alla
vita, stringendo. La zia Elizabeth aveva perso i suoi tre figli l’anno
prima, per il vaiolo.
“Il suo talento ci serve qui,” protestò il padre di Amy, dando
bonariamente un colpetto a sua sorella. “Il tuo negozio dovrà farne a
meno.”
“Ah, Hugh, come sei egoista!” lo rimproverò zia Elizabeth. “Tenere
per te il talento di mia nipote, solo a tuo vantaggio.” Rivolse un
sorriso malizioso a suo fratello. “Nessuna meraviglia che ci siamo
trasferiti in Francia per evitare la concorrenza!”
Amy sorrise. La zia Elizabeth e lo zio William erano stati costretti a
trasferire il loro negozio quando il commercio era crollato durante gli
anni del Commonwealth, la Repubblica. Ma in Francia il loro negozio
era prosperato, erano diventati gioiellieri della corte francese e non
sarebbero mai tornati in Inghilterra. “Sono contenta che siate venuta
per l’incoronazione, Zietta. Non sarebbe stata la stessa cosa senza
di voi.”
“Non me la sarei mai persa,” dichiarò Elizabeth. “Il vecchio
Cromwell mi ha cacciato dall’Inghilterra e adesso la mia casa è
altrove. Ma com’è vero Iddio, nessuno qui è più felice di me.”
“Ascoltate!” Gridò Amy. Verso di loro arrivava un allegro frastuono,
che indicava il passaggio di Sua Maestà in mezzo al corteo.
“Ascoltate! Sta arrivando Re Charles! Ecco il suo seguito!”. Il rumore
aumentò mentre la fanteria del Re marciava davanti a loro, con i
pennacchi rossi e bianchi che contrastavano con quelli di suo
fratello, il Duca di York, le cui guardie erano completamente vestite
di bianco e nero.
Di colpo, il rumore divenne assordante. Amy afferrò la mano della
madre. “È lui, mamma,” sussurrò. “Re Charles II.” Risplendente al
sole, il cavallo reale catturò il suo sguardo. “Oh, guardate la sella
intarsiata, le perle e i rubini—guardate i nostri diamanti!”
Ad Amy non piacevano i cavalli—a dire il vero la terrorizzavano—
quindi non prestò la minima attenzione all’animale in sé. Ma trecento
dei diamanti della sua famiglia scintillavano sulle staffe e sulle
borchie d’oro, tra i dodicimila prestati al Re per l’occasione.
“Oh, Papà,” disse senza fiato, “Vorrei aver disegnato io quella
sella.”
La mano di zia Elizabeth si strinse all’improvviso sulla spalla di
Amy. “Re Charles sta guardando me,” dichiarò ad alta voce.
Il padre di Amy sbuffò. “Sei sempre stata una civetta, sorella.”
Lo sguardo di Amy guizzò dall’abbagliante cavallo al suo
Cavaliere. Con un ampio sorriso sotto i baffi sottili, l’alto Re salutava
la folla. L’abito di tessuto d’argento faceva capolino sotto il manto
color cremisi foderato di ermellino. Rubini e zaffiri scintillavano sulle
fibbie d’oro delle scarpe e sulle giarrettiere adornate di nastri
d’argento. I lunghi riccioli neri lucenti gli scendevano sul petto,
incorniciando un volto che sembrava più vecchio dei suoi trent’anni;
risultato, immaginava Amy, delle sofferenze patite durante l’esilio e
dell’esecuzione del suo amato padre.
Ma gli occhi neri erano attenti e luminosi—e sensuali. Alcune
donne intorno a Amy andarono in deliquio, ma lei si limitò a fissarlo,
desiderando con tutta se stessa che il Re la guardasse. E quando lo
fece, gli rivolse un sorriso radioso. “No, zietta, sta guardando me.”
Prima ancora che la sua famiglia smettesse di ridere, il Re era
passato, di colpo come era arrivato. Dietro di lui arrivò un cammello
con i panieri e un ragazzo delle Indie Orientali che gettava perle e
spezie alla folla. E poi gentiluomini e gentildonne, altri costumi
luccicanti, altri stalloni addobbati, altri soldati, tutti rivestiti d’oro e
argento e delle gemme più preziose.
Ma niente di questo importava ad Amy, perché c’era un nobiluomo
che cavalcava verso di lei.
Non era stata la ricchezza del suo abbigliamento a catturare il suo
sguardo, in realtà era vestito piuttosto semplicemente. L’abito di
velluto nero era profilato solo con una passamaneria d’oro, il
cappello a tesa larga aveva solo una piuma bianca. Non indossava
una parrucca arricciata alla moda, ma i suoi capelli neri scendevano
in onde lucenti fino alle spalle.
Occhi profondi color smeraldo si fissarono su Amy, concentrando
l’attenzione su di lei mentre guidava il cavallo nella sua direzione. Il
castrato dal lucido mantello nero respirò vicino a lei, ma Amy non
ebbe paura, perché l’uomo la faceva sentire al sicuro con il suo
penetrante sguardo verde. Sembrava che potesse leggerle
nell’anima. Amy arrossì, in tutti i suoi diciassette anni nessun uomo
l’aveva mai guardata in quel modo.
Le rese omaggio togliendosi il cappello. Agitata, Amy si voltò e si
guardò attorno, sicura che stesse salutando qualcun altro. Ma tutti
ridevano o chiacchieravano o osservavano il corteo; non c’era
nessuno che lo stesse guardando. Voltò la testa e l’uomo sorrise
mentre passava, un lampo bianco che la fece sciogliere dentro. Amy
rimase a fissare il punto dove era sparito, per molto tempo dopo che
l’uomo fu scomparso dietro la curva.
“Amy?” Robert la tirò per una mano.
Amy si voltò e lo fissò negli occhi: azzurro pallido, non verde. Non
la facevano sciogliere dentro, non le facevano sentire niente.
Robert sorrise, mostrando i denti un po’ storti. Non l’aveva mai
notato veramente, prima. “È finito,” le disse.
“Oh.”
Il sole tramontò mentre camminavano verso casa, a Cheapside,
passando accanto a gente che festeggiava nelle strade. Suo padre
si fermò ad aprire la porta. Di sopra, un’insegna di legno dondolava
piano nella brezza. Un falò lì vicino illuminava l’immagine di un falco
e lettere dorate annunciavano il loro negozio GOLDSMITH & SONS,
JEWELLERS – Goldsmith & Figli, Gioiellieri.
Ci fu all’improvviso un lampo brillante e un “Ooooh” dalla folla
quando i fuochi d’artificio illuminarono il cielo. Amy si affrettò ad
attraversare il negozio e salì di corsa le scale per andare in balcone.
Guardando verso il Tamigi, vide le grandi scie luminose, sentì il
rumore dei razzi che si alzavano nel cielo, l’odore di zolfo nell’aria.
Era il più grande spettacolo che l’Inghilterra avesse mai visto e le luci
e i suoni la riempirono di sensazioni meravigliose.
Se solo la vita avesse potuto essere eccitante come lo spettacolo
di fuochi d’artificio.
Quando svanì l’ultima scia, ascoltò i frammenti di canzoni e le
risate fragorose che riempivano l’aria. Le coppie passeggiavano a
braccetto. Robert uscì sul balcone e si avvicinò.
La voce era sommessa accanto a lei. “È un giorno che non
dimenticherò mai.”
“Non lo dimenticherò nemmeno io,” rispose Amy, pensando
all’uomo sul destriero nero, l’uomo con gli occhi di smeraldo.
Robert le alzò il volto, chinando la testa per darle un bacio lieve,
casto, sulle labbra. Era il loro primo bacio; avrebbe dovuto sentire i
fuochi di artificio.
Ma Amy non sentì niente.
CAPITOLO UNO

Cinque anni dopo


24 agosto 1666

“MI STATE DICENDO che avete fatto voi questo braccialetto? Una
ragazza? Questo negozio è Goldsmith & Sons, no?” Robert Stanley
arricciò il naso lentigginoso. “Dove sono i figli?”
Da dov’era, accanto al forno di pietra, la risata di Amethyst
Goldsmith attraversò il laboratorio. “Lady Smythe! Un’imitazione
perfetta.”
“Ben fatto, Robert.” Il padre di Amy sorrise mentre passava
davanti a entrambi ed entrava in negozio dall’apertura ad arco.
Gli occhi azzurro pallido di Robert scintillarono, ma restò in
carattere, portandosi una mano a coppa sull’orecchio. “Imitazione?
Imitazione, avete detto? Mi avevano fatto credere che questa fosse
una gioielleria di qualità. Mi aspetto pietre vere—”
“Basta!” Amy cercava di smettere di ridere. “Finirai per farmi
scottare.”
Lo sguardo di Robert si posò sulle mani di Amy. Mentre la
osservava versare un rivolo sottile di oro fuso in uno stampo di
gesso, la sua espressione divenne seria. “Mi piace Lady Smythe,”
borbottò. “Almeno lei compra le cose che faccio io.”
“Oh, Robert,” sospirò Amy. “Perché dovrebbe essere importante
chi ha realizzato un pezzo, purché vendiamo i gioielli?”
“Io sono un bravo orafo.”
“Siete un orafo eccellente,” confermò Amy. E anche se pensava
che avesse poca immaginazione, lo tenne per sé. “E che importanza
ha, comunque?”
“Voi siete una donna.”
Amy strinse i denti e batté leggermente lo stampo sul tavolo da
lavoro, immaginando l’oro che fluiva in ogni solco del suo disegno.
“Sono anche un’orafa,” disse sottovoce.
“Non importa.” Robert andò al suo tavolo e si lasciò cadere sul suo
sgabello, alzando il boccale di birra, una presenza costante in mezzo
ai suoi strumenti.
Ignorandolo, Amy prese il bulino e un pezzo di cera, con
l’intenzione di incidere un nuovo disegno mentre l’oro induriva. Il
laboratorio senza finestre sembrava soffocante—caldo, chiuso e
buio. Avvicinò la lanterna, ma la luce gialla artificiale fece ben poco
per risollevarle il morale.
Erano cinque anni che viveva e lavorava con Robert Stanley e
ancora lui non la capiva. Non riusciva a crederci. L’avrebbe sposato
tra due settimane e non riusciva a credere nemmeno a quello.
Una volta le era sembrato di avere una vita davanti a sé prima di
doversi sposare. Aveva rimandato, e rimandato, poi, la primavera
precedente, suo padre aveva annunciato che aveva ventidue anni e
che era ora.
Aveva fissato la data, e basta. Non importava che Robert
pensasse che il posto di una moglie fosse al piano di sopra a
rammendare i suoi vestiti; non importava che gli desse fastidio
quando i pezzi di Amy si vendevano più in fretta dei suoi e che lei
ricevesse più ordini di gioielli su commissione di quanti ne ricevesse
lui.
Non importava che lei non lo amasse. Non nel modo in cui una
moglie dovrebbe amare un marito. Non come nei romanzi francesi
che leggeva. Non come si era sentita cinque anni prima, al corteo
per l’incoronazione, quando gli occhi di smeraldo di
quell’aristocratico si erano fissati nei suoi.
Non aveva mai dimenticato quella sensazione.
Avrebbe imparato ad amare Robert, aveva detto suo padre. Ma
non era successo—non ancora perlomeno. Nemmeno per idea.
Amy sospirò e allontanò la treccia dal collo, massaggiando la pelle
calda. Si era ripromessa qualche dozzina di volte di parlare con suo
padre, ma le era sempre mancato il coraggio. Dalla morte di sua
madre, l’anno prima, durante la grande pestilenza, le sembrava di
poter sopportare tutto eccetto la disapprovazione di suo padre.
Quando l’oro si fu raffreddato, Amy lo tuffò in una bacinella
d’acqua accanto al tavolo di Robert. Strofinò i residui granulosi di
gesso, sentendoli sciogliere nelle mani, mentre guardava il bulino di
Robert che faceva volare le schegge di cera mentre scolpiva un
modello.
Fece una smorfia alla sua schiena curva. “Mi piacevate di più
come Lady Smythe.”
Robert si voltò e la fissò per un momento, poi di colpo si curvò. Il
suo voltò si trasformò, assumendo l’espressione di Lady Smythe.
“Siete sicura, madame?” Chiese con quel tono alto, un po’
tremolante. “Sento dire che prendete lezioni di ballo e parlate
fluentemente il francese. Che pretese. Io non sopporto le donne che
si occupano dei libri contabili, sapete. Proprio per niente.” La voce si
fece più profonda, tornando a essere la sua. “E nemmeno quelle che
fanno i gioielli.”
Amy trasalì. Tolse la fusione dall’acqua e la portò al suo tavolo per
spazzolare via i resti del gesso.
Robert si alzò e si mise dietro a lei, alzandole la testa con una
mano sotto il mento. “Ancora due settimane e sarete una vera
moglie.” La sua bocca discese su quella di Amy con poca grazia.
Il lieve odore della sua colazione le fece chiudere forte gli occhi e
pregare che il tormento finisse.
“Aprite le labbra, Amy,” le ordinò contro la bocca.
Amy non lo fece. Desiderò che Robert usasse uno di quei nuovi
spazzolini da denti d’argento che la zia Elizabeth aveva mandato da
Parigi.
Robert si decise ad alzare la testa. “Due settimane,” ripeté.
Gli occhi di Amy si aprirono di colpo e lo fissarono brucianti. “Papà
non vi permetterebbe mai di impedirmi di creare gioielli.”
Abbassando gli occhi, spazzolò più forte la fusione.
“Hugh Goldsmith non sarà qui per sempre.” La mano di Robert si
mosse per insinuarsi nel corpetto.
Lo sguardo di Amy corse al negozio per avvertirlo.
Staccandosi di colpo, Robert tornò al suo tavolo, alla sua birra.
“Almeno non potrà più minacciarmi di prendermi a botte per aver
sporcato la sua virginale figliola,” sbottò, alzando il boccale come per
un brindisi. “Due settimane,” aggiunse con un sogghigno.
Un sogghigno che una volta Amy aveva giudicato simpatico,
accattivante... ma che ultimamente la faceva sentire a disagio.
Si voltarono entrambi quando suonò il campanello sulla porta del
negozio. Amy si alzò e si tolse il grembiule. “Vado io.”
“C’è già vostro padre.” Le ricordò Robert. “Può pensarci lui.”
Amy non gli diede retta e si lisciò le ciocche di capelli umidi che
erano sfuggite alla treccia. Fermandosi per raddrizzare la sottana, si
stampò in volto un sorriso da commessa prima di andare nel negozio
fresco e luminoso, attraverso le porte a spinta.
“Un medaglione,” stava dicendo una giovane donna dall’altra parte
del bancone a L a un gentiluomo che voltava le spalle ad Amy.
Riccioli rosso scuro scendevano sulle spalle scandalosamente
nude della gentildonna; lo sfarzoso abito di broccato d’oro aveva una
scollatura molto più bassa di quanto il padre di Amy le avrebbe mai
permesso di indossare. L’amante dell’uomo? Negli anni dopo la
Restaurazione, la nobiltà aveva seguito l’esempio di Re Charles in
quanto a moralità, il che significava che ne aveva ben poca.
L’uomo alto si rivolse a Hugh. “Mia sorella vorrebbe un
medaglione,” spinse avanti la nobildonna, sua sorella, non la sua
amante. “Avanti, Kendra, guarda che cosa ti piace.”
Anche se il gentiluomo sembrava deciso a trattare con suo padre,
Amy si avvicinò, pronta a intervenire e a concludere la vendita. Hugh
le diede un’occhiata, poi sorrise. “Avete in mente uno stile, Lord...?”
“Greystone.” Con la schiena ancora rivolta ad Amy, l’uomo scosse
impaziente una mano. “Qualunque cosa le piaccia.”
Hugh si schiarì la gola. “Forse mia figlia può aiutarvi a decidere.
Per favore, Amethyst, mostra i medaglioni a Lord Greystone.”
Amy estrasse un vassoio dal bancone a vetro e lo posò invece
davanti alla sorella dell’uomo.
“Sono tutti così belli!” esclamò felice Lady Kendra. Quando chinò
la testa per guardarli da vicino, i bei riccioli rossi brillarono tanto da
rivaleggiare con il luccichio dei gioielli nel bancone.
La mano di Amy andò automaticamente alla propria testa, come
se potesse sistemarsi gli odiati capelli neri in una pettinatura più alla
moda della funzionale treccia. Resistendo al bisogno di sospirare,
sollevò un medaglione ovale con piccoli fiori incisi.
“Vedete i nastri d’oro che formano l’anello per appenderlo?” Come
le aveva insegnato suo padre, la voce era dolce e sicura, e rifletteva
sia la sua sicurezza nella qualità del pezzo sia la sua capacità di
venderlo. Aprì il medaglione e lo tese, passando la sguardo da Lady
Kendra a Lord Greystone. “È—”
Le mancò la voce.
“È-è... molto femminile,” balbettò, dicendosi che Lord Greystone
non poteva essere l’uomo che ricordava.
Ma poi gli occhi di smeraldo si fissarono sui suoi—come cinque
anni prima. Era l’uomo che ricordava, l’uomo che non era stata
capace di dimenticare...
Il nobiluomo del corteo dell’incoronazione.
Le sembrò che il cuore saltasse un battito e per un secondo pensò
che sarebbe annegata in quegli occhi; poi distolse lo sguardo, con
uno sforzo, guardando il medaglione che teneva in mano.
Lady Kendra allungò la mano per prendere il medaglione da Amy.
“Oh, guarda com’è bello, Colin.” Lo alzò avvicinandolo al corpetto e
girandosi per farlo vedere al fratello.
Sembrando quasi riluttante, Lord Greystone spostò lo sguardo sul
petto della sorella. “Non so se mi piace.”
“Notate le incisioni, milord,” si affrettò a dire Hugh. “Veramente di
altissima qualità.
Lord Greystone lo ignorò, riportando gli occhi su Amy. Quando i
suoi occhi si strinsero, Amy si scoprì a studiarlo a sua volta.
Lineamenti classici, simmetrici; un lungo naso diritto, i tratti scolpiti,
una minuscola fossetta sul mento. La carnagione appariva più
dorata di quanto fosse di moda.
Santo cielo, non aveva mai visto un uomo tanto bello.
Quando finalmente parlò, la voce dell’uomo, profonda e
armoniosa, le mandò un brivido nella schiena. “Avete un medaglione
con... le ametiste?”
Amethyst...
Fece per rispondere, ma le parole rifiutavano di uscire.
“No, milord, non ne abbiamo,” disse Hugh. “Ma gli smeraldi si
adatterebbero alla signora—”
“Sì,” lo interruppe Amy, ritrovando finalmente la voce. “Sì, abbiamo
le ametiste! Se potete aspettare solo un momento.” Afferrò l’anello
con le chiavi dalla cintura di suo padre, poi si voltò e corse nel
laboratorio.
“Perché tanta fretta?” Chiese Robert quando Amy infilò con forza
la chiave nella prima serratura del loro forziere di ferro.
“Ci sono dei clienti che aspettano.” Tolto il secondo lucchetto, si
inginocchiò sul pavimento e cominciò a ruotare le dodici manopole in
una sequenza complicata.
Robert si avvicinò, pulendosi le mani spigolose sul grembiule e
lasciando scie di pasta abrasiva grigia. “Che clienti?”
“Un gentiluomo e sua sorella,” rispose Amy mentre l’ultimo dei
chiavistelli scivolava al suo posto, permettendole di arrivare all’ultima
serratura. La aprì con la chiave più grande, poi alzò il coperchio e
frugò all’interno.
Fortunatamente il medaglione che cercava era nel vassoio in alto.
“Ah, eccolo.” Solo vedere il pezzo, l’oro luccicante, le gemme
scintillanti la fece sorridere.
Si alzò e tornò in negozio, e Robert la seguì, poi si appoggiò
all’arcata e fissò Lord Greystone con gli occhi azzurri diffidenti.
Bene, lo avrebbe semplicemente ignorato.
“L’ho trovato,” annunciò, porgendo il medaglione a Lord
Greystone. Aspettò la sua reazione mentre lasciava cadere l’anello
con le chiavi nel palmo della mano tesa di suo padre.
Lord Greystone sbatté gli occhi davanti al pezzo che aveva in
mano. “Bello. È veramente bello.”
Il cuore di Amy sembrò gonfiarsi. “Ci sono le ametiste, milord, e
anche i diamanti.”
“Lo vedo,” rispose Lord Greystone fissando il medaglione. “È
splendido.”
Le ci erano volute settimane per farlo, tante ore che riusciva a
vederlo anche a occhi chiusi. Nella parte superiore, un disegno a
intaglio di foglie con diamanti incastonati che circondavano un fiore
di ametista. Sotto, il medaglione a forma di rombo, incrostato di
ametiste e diamanti, il coperchio smaltato con delicate violette. Dal
fondo pendeva una luminosa perla barocca.
Lord Greystone guardò suo padre. “È notevole.”
“L’ho fatto io” Amy si sentì le guance in fiamme.
La bocca di Lady Kendra restò aperta per lo stupore. Lo sguardo
stupito di Lord Greystone passò da Amy a suo padre, che annuì
fiero, per tornare a Amy. “Non ci credo. Voi siete—”
“Una donna?” Amy sentì il tono di sfida nella propria voce.
Il sorriso di Lord Greystone era un po’ imbarazzato. “Come avete
fatto a imparare a creare una cosa del genere?”
Suo padre si schiarì la gola. “Non avevamo molto da fare durante
il Commonwealth, milord. Immagino che voi foste all’estero?”
Lord Greystone annuì.
“Beh, i gioielli non erano visti di buon occhio, eccetto qualche
pezzo da lutto. Ho avuto tempo in abbondanza per istruire Amy
nell’arte orafa.” Il padre di Amy le mise possessivamente una mano
sulla spalla. “È un talento naturale, ha fatto lei anche la smaltatura.”
“Devo—voglio dire Kendra—deve averlo.”
Hugh scosse la testa. “Temo non sia in vendita. Per Amy è un
ricordo.”
“Certo che è in vendita, Papà.” Amy guardò Lord Greystone con
occhi calcolatori. “Ma è molto costoso.”
“Me l’aspettavo. Lo prenderemo.”
Lady Kendra si voltò a guardarlo, con una ruga tra gli occhi verde
chiaro. “Sei sicuro, Colin?”
Colin abbassò gli occhi su sua sorella. “Non ti piace?”
“È splendido, ma...”
“Ho detto che ti avrei comprato qualunque cosa scegliessi per il
tuo compleanno. Voglio che lo abbia tu.” Tolse una borsa di monete
dalla giacca e la passò ad Amy. “Ecco, prendete il giusto.
Aggiungete una catenina, voglio che lo indossi subito.”
Sbalordita che lasciasse a lei decidere il prezzo, Amy maneggiò
maldestramente la borsa. Ne tolse qualche moneta, poi ancora
alcune. Il materiale era stato costoso e il pezzo aveva richiesto un
mucchio di lavoro—non voleva approfittare dell’uomo, ma non
voleva nemmeno svilire il suo lavoro e perderci.
“Papà?” Chiudendo la borsa, Amy mostrò a suo padre l’oro che
aveva preso.
Hugh annuì. “Va bene, Amy.” Intascò l’oro e mise una collana
d’oro sul bancone.
Mentre restituiva la borsa a Lord Greystone, lui le diede il
medaglione. Le sue dita le sfiorarono la mano e un brivido caldo la
attraversò. Le mancò un attimo il respiro; sperava che non se ne
fosse accorto nessuno.
Con fare indisponente, Robert tolse dalla tasca del grembiule un
pezzo di stoffa e si spostò dall’arcata per mettersi accanto a lei. Pulì
il vetro del bancone mentre lei infilava la catena nell’anello del
medaglione, e poi lo alzava per mostrarlo a Lady Kendra.
“Ooh,” esalò Lady Kendra. “Me lo mettete?”
Si voltò e Lord Greystone le alzò i capelli di modo che Amy
potesse agganciare il fermaglio.
Lady Kendra guardò Amy e poi toccò riverentemente il
medaglione. “Grazie di cuore. Ne farò sempre tesoro.”
“Grazie a chi?” La stuzzicò suo fratello con un sorriso.
“Grazie a te, Colin,” gli disse, voltandosi per abbracciarlo.
Amy si morse il labbro, sentendo una fitta inaspettata di invidia per
i lucenti riccioli rossi di questa donna e il suo abito scollato. Ma, più
di tutto, invidiava il modo in cui Lady Kendra stava abbracciando
Lord Greystone. Abbassò gli occhi sul banco, a evitare che Robert
potesse notare la sua espressione.
Lord Greystone guidò all’esterno sua sorella, poi si soffermò sulla
porta; sembrava stranamente riluttante ad andarsene.
“Potete...” le lunghe dita di una mano tamburellarono sulla coscia
muscolosa, poi si fermarono. “Potete realizzare un anello con
sigillo?”
La domanda era rivolta ad Amy, non a suo padre.
“Un anello con sigillo?” disse Amy accennando un sorriso. “Certo,
è semplice.”
Accanto a lei, Robert smise di pulire.
“Eccellente,” Lord Greystone fece una pausa, aggrottando un po’
la fronte. “Manderò un messaggero con un disegno dello stemma,”
disse dopo un attimo. “E l’indirizzo dove consegnarlo quando avrete
finito.”
Amy annuì, sentendo una breve fitta di delusione perché non
l’avrebbe rivisto. La mano di Robert riprese il suo deliberato moto
circolare sul piano di vetro.
“Vi ringrazio,” disse Lord Greystone. Poi sparì fuori dalla porta
nelle strade affollate di Cheapside.
Il campanello suonò di nuovo quando la porta si chiuse. Amy fissò
il legno solido finché suo padre si schiarì la voce.
“Non riesco a credere che tu abbia venduto il tuo medaglione,”
commentò. “Pensavo fosse il tuo pezzo preferito.”
“È vero,” gli rispose Amy, in tono sognante. “Ma posso farne un
altro.”
Sentiva le farfalle nello stomaco per la felicità, solo sapendo che
Lord Greystone aveva ammirato la sua abilità e che sua sorella
avrebbe indossato il suo medaglione. E presto lui avrebbe portato il
suo anello.
“Se volete il mio parere, è stata una’idea stupida,” commentò
Robert scuotendo la sua testa color carota. “Non troverete mai il
tempo di rifare il medaglione, con tutti gli ordini che ricevete.”
Amy e suo padre si guardarono perplessi.
“Inoltre, quell’uomo non mi piaceva,” aggiunse Robert. “Non mi è
piaciuto il modo in cui vi guardava.”
Amy abbassò gli occhi e passò accanto a lui per tornare nel
laboratorio. A lei era piaciuto il modo in cui la guardava Lord
Greystone, moltissimo.

COLIN SALÌ NELLA loro carrozza trovando Kendra seduta, con le


braccia conserte. “Perché ci hai messo tanto?”
Colin si sedette di fronte a lei e guardò fuori dal finestrino. La porta
della gioielleria era chiusa, quindi non poteva vedere la ragazza di
nome Amethyst, con quei lunghi capelli intrecciati di nastri. Gli
prudevano le dita dalla voglia di disfare quella treccia.
“Ho ordinato un anello con sigillo,” le rispose.
“Tu cosa?”
Colin si faceva la stessa domanda. Sapeva di comportarsi in modo
insolito, ma in tutti i suoi ventotto anni non aveva mai incontrato
qualcuno come la ragazza che aveva fatto quello splendido
medaglione. Aveva voluto che lo portasse sua sorella, e aveva
voluto anche qualcosa che lei avesse fatto per lui. “Mi serviva un
anello con sigillo.”
Kendra gli diede un’occhiata francamente incredula. “Non potevi
nemmeno permetterti il medaglione.” Scosse la testa luminosa. “È
successo qualcosa in quel negozio.”
“Non è successo niente,” le rispose, anche se sapeva benissimo
di mentire. Aveva notato il modo in cui lo sguardo di ametista della
ragazza era attratto dal suo. L’aveva sentito anche lei—
quell’attrazione intensa, innegabile. Ricordando, sorrise tra sé.
Faceva bene all’ego di un uomo, anche se non ne sarebbe mai
potuto scaturire niente.
Sfortunatamente la sua sorellina era diabolicamente osservante,
un fatto che a volte poteva essere maledettamente scomodo. “Ho
solo pensato che fosse un bel gioiello, e volevo che lo avessi tu.”
“Santo cielo, Colin, sei tu quello che predica sempre di
risparmiare...”
Colin spense mentalmente la voce di Kendra, pensando invece
alla possibilità di attirare quella piccola affascinante gioielliera nel
suo letto.
“... pianificare il futuro...”
Era completamente tabù, ovviamente. Non era una vedova, né
un’attrice, né una donnina facile, e nemmeno un membro altolocato
della licenziosa corte di Re Charles.
“E poi hai ordinato un anello. Tu non porti mai gioielli!”
Una donna per bene della classe mercantile, non sarebbe mai
andata a letto con nessuno al di fuori del matrimonio. E Colin Chase,
Conte di Greystone, non aveva intenzione di sposare qualcuno
appartenente a un ceto inferiore al suo.
“In primo luogo non riesco a credere che abbia comprato questo
medaglione.”
Oltre a tutto, era già fidanzato con la donna perfetta.
“Mi piace, però.”
Mentre passavano davanti al negozio, Colin guardò fuori dal
finestrino. Non sarebbe mai tornato. Era stato un flirtare innocuo,
niente di più. Non ricordava l’ultima volta in cui aveva messo piede in
una gioielleria, e...
No, non c’era nessuna ragione per tornare.
“Grazie, Colin. Mi piace veramente.”
Colin sbatté gli occhi e guardò Kendra. Sua sorella stava
sospirando, fissando il medaglione e toccandolo con fare
possessivo.
Oh, le piaceva.
“Ne sono lieto. Andiamo a comprare a nostro fratello quel
telescopio per cui sta sbavando?”
“Sei sicuro? Ford ne sarà entusiasta.” Kendra saltellò sul sedile,
poi si sistemò le gonne come se si fosse ricordata di essere
un’adulta. “Può essere un regalo anche da parte mia? Qualche volta
mi fa impazzire con le sue ossessioni scientifiche, ma è il mio
gemello, e mi piace vederlo felice.”
Colin rivolse un sorriso affettuoso a sua sorella, sperando che
l’uomo che finalmente lei avesse acconsentito a sposare avesse più
energia di lui. “Sì, può essere anche da parte tua. Ora, dove credi
che potremmo trovare un marchingegno simile?”
CAPITOLO DUE

"Ring-a-ring o'roses
A pocket full of posies
A-tishoo! A-tishoo!
We all fall down."
Un anello, un anello di rose,
Una tasca piena di fiori
Etciù, etciù
Caschiamo tutti giù

“STATE FERMA PER favore.”


Amy chinò la testa per guardare la sarta, inginocchiata ai suoi
piedi, che stava riprendendo l’orlo del suo abito da sposa. “Mi
dispiace, Signora Cholmley,” disse, tirando su col naso. Le sfuggì
una lacrima, che finì sulla mano dell’anziana donna.
La signora Cholmley alzò gli occhi, con la preoccupazione
evidente nei gentili occhi nocciola. “Vi ricorda la vostra povera
mamma, vero? I bambini che giocano di fuori, voglio dire.”
Amy annuì, sbattendo gli occhi per respingere le lacrime. Si
concentrò sull’ampia sottana di pizzo color lavanda del vestito,
contando i nodi d’amore, piccoli fiocchi di satin cuciti lenti su tutto il
vestito, uno per ciascuno degli ospiti del matrimonio, che li
avrebbero staccati e conservati per ricordo. Cinquantotto,
cinquantanove—
“È solo un gioco, mia cara. Pensate che sappiano che cosa
stanno cantando?” La sarta allungò sovrappensiero la mano per
prendere altri spilli, parlando tra sé e sé, per quanto poteva capire
Amy. “Le rose, l’eruzione cutanea; mazzetti di fiori per addolcire l’aria
putrida. L’anello è... il segno della pestilenza, ovviamente.” Sospirò.
“Il mio Edgar ne aveva uno, non rosato, ma nero e pieno di pus. Ha
urlato tanto quanto il medico l’ha inciso. Oddio, lo sento ancora nei
miei sogni. Voltatevi, per favore.”
Sospirando anche lei, Amy obbedì. Fissò fuori dalla finestra, il
cielo grigio di fumo per tutto il carbone bruciato.
“E la vostra mamma. Aveva anche lei il segno?”
Lo sguardo di Amy si spostò sulla testa grigia della signora
Cholmley. “Che cosa?”
“Il segno della pestilenza.”
Questa donna non avrebbe mai smesso di chiacchierare? Amy
strinse i pugni. “Non lo sappiamo. Al primo segno di febbre, ci ha
implorato di andare a Parigi e restare con la zia Elizabeth. La voce di
Amy si abbassò a un sussurro. “Io ero a Parigi. Non so che cosa le è
successo. So solo che non c’è più.”
“Difficile rendersi conto che è passato un anno. A me sembra ieri
che hanno pitturato quella croce rossa sulla mia porta. Casa dopo
casa marcata per la quarantena e sorvegliata dalle guardie, per tutta
la strada. Pensavo proprio di andare al creatore, proprio così. E le
ruote del carretto dei morti che sferragliavano... ‘Portatefuori i vostri
morti! Portate fuori i vostri morti!” La Signora Cholmley rabbrividì e
continuò a puntare gli spilli. “Il mio Edgar è stato sepolto in una fossa
comune. Anche vostra madre?”
Amy chiuse gli occhi, mordendosi il labbro. “È quello che
pensiamo. Non abbiamo trovato una tomba.” Nessun posto dove
portare un fiore, nessun posto dove andare a parlare con la mamma,
per dirle del matrimonio imminente e dei suoi dubbi.
L’odore pesante, dolciastro dei corpi in decomposizione era
rimasto nell’aria per settimane a Londra dopo il ritorno di Amy da
Parigi. Aveva letto nella London Gazette che era morto un londinese
su cinque. Ma era successo mesi prima e Londra aveva già ripreso
la sua attività frenetica.
La signora Cholmley pareva aver esaurito le chiacchiere. Oltre la
finestra, le voci dei bambini erano svanite, sostituite dai soliti suoni di
una Londra indaffarata. Asciugandosi le lacrime dalle guance, Amy
ascoltava. Ruote che scricchiolavano, grugniti di animali, il baccano
familiare delle lamentele, le urla e le grida cantilenanti dei venditori.
Aprì gli occhi. La puzza che ricordava dei corpi in decomposizione
diventò l’odore del tessuto nuovo inamidato. A un tocco gentile sul
ginocchio da parte della signora Cholmley, si voltò di nuovo.
Le dita si muovevano sui nodi d’amore sul vestito, avrebbe voluto
strappare subito quei piccoli fiocchi—o, meglio ancora, togliersi
l’intero vestito e farlo a brandelli. Altri dieci giorni e sarebbe diventata
la moglie di Robert.
Dieci giorni! Sembrava impossibile.
Erano sei mesi oramai che suo padre faceva programmi per il
matrimonio, e lei non aveva fatto niente per fermarlo. Gli aveva dato
qualcosa da pensare, dopo la morte della moglie, e Amy non aveva
trovato la forza di opporsi. Era sembrato tutto così lontano.
Ma ora il giorno del suo matrimonio era quasi arrivato. Ogni
mattina si svegliata sperando che fosse solo un brutto sogno.
Doveva trovare il coraggio di annullare il matrimonio prima che fosse
troppo tardi. Subito.
“Non avete ancora finito?” Chiese alla sarta, più seccamente di
quanto avesse inteso.
La signora Cholmley sospirò e si alzò, raddrizzando le giunture
artritiche. “Tutto fatto,” disse, sorridendole con simpatia e facendo
sentire Amy ancora più in colpa. “Ah, le sposine nervose.”
Affaccendandosi amabilmente, le tolse l’abito da sposa. La
cameriera di Amy tolse l’abito color pervinca dal guardaroba.
Sottogonna, abito, pizzi, pettorina, calze, scarpe... vestirsi sembrò
durare un’eternità. Poi Amy scese nel corridoio verso la stanza di
Hugh. Più si avvicinava più forte le batteva il cuore e più lentamente
trascinava i piedi.
Si fermò sulla soglia e fissò la schiena di suo padre, colpita, come
sempre, da come sembrasse vuota la stanza senza la presenza di
sua madre. “Papà?”
Hugh si voltò di scatto, alzandosi. “Che c’è, bambolina?”
Un dolore familiare, sordo, strinse il cuore di Amy quando il suo
sguardo cadde sulla miniatura di Edith, sulla cornice ovale d’oro
nelle mani sciupate dal lavoro di suo padre. “Era adorabile, vero?”
“Sì.” Hugh sorrise al ritratto. “Tu hai il suo mento delicato e i suoi
splendidi occhi color ametista.”
“E i vostri indomabili capelli neri.” Hugh non reagì alla gentile
presa in giro. “A volte, Papà... a volte penso che se si potesse
consumare un ritratto guardandolo, l’immagine della mamma
sarebbe scomparsa dalla tela mesi fa.”
Hugh alzò gli occhi, rivolgendole un sorriso spento. “Abbiamo
condiviso un amore raro, bambolina.”
Era l’apertura perfetta; non poteva farsela sfuggire, doveva trovare
il coraggio. Alzò il mento. “Papà, io... io ho sempre sognato un
amore—”
“Hai visto gli orecchini di rubini che tua madre indossava per
vedere l’Enrico V, la settimana prima che lei—lei—”
Amy incrociò le braccia, con la compassione e l’impazienza che
facevano a gara dentro si lei. Vinse l’impazienza. “Papà, ho bisogno
di parlare con voi.”
“Voglio solo vederli,” disse suo padre, burbero.
Amy conosceva i suoi umori, non c’era modo di discutere quando
le voltava la schiena. Decisa a dire la sua, sollevò le sottane e lo
seguì giù per i due piani di scale, dentro al laboratorio.
Mentre cominciava ad aprire il forziere, Amy si mise un grembiule
e si sedette al suo tavolo da lavoro. Più per calmarsi che per
combinare qualcosa, aprì il foglio di carta che Lord Greystone le
aveva mandato e lo lisciò contro il tavolo. Fissò il disegno mentre si
faceva forza per affrontare di nuovo l’argomento.
L’ultimo chiavistello scivolò al suo posto con un clic, e sentì Hugh
che apriva il coperchio e cominciava a togliere i vassoi per arrivare
alla sua collezione privata, in fondo. Tirò vicino una candela per
studiare lo stemma dei Greystone, mentre ascoltava i leggeri suoni
metallici che faceva suo padre frugando tra secoli di tesori.
Doveva solo dirlo. “Papà—”
“Mmm... mi è sempre piaciuto questo pezzo.”
Esasperata, Amy si voltò a guardare suo padre che si sedeva sui
talloni e teneva in mano un pendente, che scintillava alla luce della
lanterna.
Attirata nonostante l’umore tetro, Amy si alzò e si avvicinò a lui.
“Fatemelo vedere. Chi l’ha fatto?”
“Il tuo bisnonno, un maestro con lo smalto. Guarda.”
“Ahh...” Amy studiò il pezzo, un tritone, il torace composto da una
singola grande perla barocca. La coda era un arcobaleno smaltato di
colori, con gemme incastonate. Il tritone indossava una collana e
braccialetti in miniatura e aveva un minuscolo scudo e una sciabola..
tutto l’elaborato pendente era alto meno di dieci centimetri, incluse le
tre perle che pendevano in fondo. “È meraviglioso. Adesso lo
ricordo.”
“È stato ispirato dal libro di disegni di Erasmus Hornick.” Hugh
aveva ancora quel libro prezioso, un volume antico, rilegato in cuoio,
che veniva da Norimberga e che Amy quasi aveva paura di toccare.
“Ma la lavorazione è tutta sua. Ha superato se stesso con questo
pezzo. In quasi cent’anni nessuno nella famiglia è mai riuscito ad
avere il coraggio di venderlo.”
“Ne sono lieta.”
Hugh rimise a posto il pezzo e si chinò sul forziere, riprendendo la
sua ricerca degli orecchini di rubini. Era tranquillo. Forse...”
“Papà—”
“Il tuo talento viene da lui, sai. Generazione dopo generazione. È
un dono—e un dovere.”
Amy deglutì e fece un respiro profondo. “Papà, Io—”
“So che cosa stai per dire, Amy.” Le sue ginocchia scricchiolarono
mentre si alzava. “Pensi che non sappia come ti senti? Sono solo
nervi. Tutte le spose ne soffrono.”
Amy gli rivolse uno sguardo ferito, stupita che avesse sempre
saputo che desiderava cancellare il matrimonio, eppure avesse
scelto di non fare niente. Il suo stesso padre.
Tornò al suo tavolo da lavoro e mise in una morsa attaccata al
tavolo l’anello di Lord Greystone.
“Hai una responsabilità. Qui, in questo negozio, la nostra gente ha
lavorato per generazioni, per te. Tu non puoi fare di meno per i tuoi
stessi figli. E non puoi farlo da nubile.”
Amy sentì i passi di suo padre e poi il leggero tintinnio mentre
appoggiava gli orecchini sulla superficie del tavolo.
I rubini a forma di pera, rosso sangue, erano incastonati con un
pavé di diamanti a forma di lunghe aggraziate gocce. Il cuore di Amy
mancò un battito ricordando sua madre che protestava che erano
troppo eleganti, ma che poi aveva tenuto alta la testa quella sera a
teatro, per farli ammirare in tutto il loro splendore.
“La vita è fragile, bambolina,” La voce di Hugh si ruppe “Voglio
vederti sistemata prima che capiti qualcosa anche a me.”
I rubini sembravano ammiccare alla luce della candela, un ricordo
toccante di sua madre e delle sue speranze. Le si chiuse la gola per
l’emozione. Dovette sforzarsi per far uscire le parole. “Non vi
succederà niente Papà.”
Distogliendo gli occhi dagli orecchini, Amy cercò in un cassetto
una stecca di cera da intaglio e ne scaldò un’estremità sulla fiamma
della candela, poi la strofinò sull’anello.
“Questa famiglia ha accumulato oro, monete e gemme per secoli
—secoli, Amy—assicurandosi che nessun Goldsmith potesse soffrire
di un momento di insicurezza. Il negozio non ha venduto quasi
niente durante il Commonwealth. Avremmo forse potuto vivere come
abbiamo fatto—con i servitori e bei vestiti e buon cibo in tavola—
senza l’eredità lasciataci dai nostri antenati?”
Amy si bloccò, con uno strumento dalla punta tagliente in mano.
“No.” La parola era diretta all’anello di Lord Greystone, la lucentezza
ottenuta con tanta fatica oscurata dalla cera e dalle lacrime che le
offuscavano la vista.
“E ora che i bei tempi sono tornati, lavoriamo tutti i giorni per
rimpiazzare quello che siamo stati obbligati a usare. È responsabilità
mia, e un giorno sarà la tua.”
Con i colpi veloci e sicuri dell’artista, Amy tracciò l’immagine
rovescia dello stemma nella cera, poi alzò il bulino. Il mormorio di
Robert che serviva due clienti arrivava dal negozio attraverso l’arco,
ma il silenzio di Amy e Hugh si caricò di tensione.
Hugh sospirò. “Questi matrimoni—è così che funziona nel nostro
mestiere. Voglio la tua parola che Goldsmith & Sons continuerà.
Voglio la tua promessa.”
“Non succederà niente alla Goldsmith & Sons.”
Amy cominciò a intagliare, incidendo meticolosamente sottili nastri
d’oro dalla superficie del sigillo. Sentiva lo sguardo di suo padre su
di lei e sapeva che voleva una risposta, non un rifiuto. Una risposta
su Robert.
L’attrezzo rallentò mentre Amy si concentrava sull’anello—e
l’uomo cui era destinato. Un’immagine sfocata delle belle fattezze di
Lord Greystone le aleggiava nella mente. L’aveva solo guardata con
quegli occhi color smeraldo e lei si era sentita tutta calda e sapeva
che non sarebbe mai, proprio mai, stato così con Robert.
Si affrettò a finire, mise il bulino sul tavolo e alzò l’anello alla luce
della candela, studiando lo stemma a rovescio, cercando eventuali
imperfezioni.
“Promettimelo,” insistette suo padre. “Hai un dono che non può
essere sprecato, un dovere verso il tuo sangue. Promettimelo.”
Amy fece gocciolare un lucente grumo di ceralacca sul foglio da
disegno e vi premette sopra l’anello. Fece un’impronta perfetta dello
stemma dei Greystone, ma Amy non provò la solita ondata di
soddisfazione.
Sospirando, si voltò a cercare gli occhi azzurri, preoccupati, di suo
padre. “È Robert, Papà. Lui... non mi capisce.”
“Non c’è bisogno che ti capisca. Gli sei stata promessa anni fa, e
lui sa qual è il suo posto. È un figlio minore, è fortunato—molto
fortunato—a sposarsi in una famiglia ricca, con la futura moglie
come unica erede. Senza di te, Robert non ha niente. E lo sa. È
l’uomo giusto per te. L’uomo giusto per la Goldsmith & Sons.”
Nemmeno suo padre la capiva. “Mi fa paura quando mi tocca.”
“Non sai niente del talamo nuziale, bambolina. Non ti spaventerà
per molto.”
Con le lacrime che le bruciavano in fondo agli occhi, Amy
raddrizzò la schiena. “Vuole che smetta di fare gioielli.”
Una breve, aspra risata seguì quella dichiarazione. “In questo
momento, quell’uomo si sente impotente. Quando il suo
apprendistato sarà finito, sarà tutta un’altra cosa. Non vorrà fare a
meno degli introiti che portano le tue creazioni.”
Prese gli orecchini di rubini e si voltò per riporli. Amy lo vide che
fissava i gioielli e poi si inginocchiava per metterli in fondo al forziere,
teneramente. Le dita di Amy si chiusero strette intorno all’anello di
Lord Greystone mentre le lacrime cominciavano a sgorgare e prima
di riuscire a fermarsi, cadde in ginocchio accanto a lui.
“Papà, guardatemi. Guardatemi!”
Gli afferrò strette le mani, con l’anello intrappolato nel groviglio
delle loro dita.
“Papà, ricordate, mi avete detto che avrei trovato un amore come
il vostro e della mamma? Avete promesso, ma non è successo! Io
non amo Robert!” Sentì sfuggire una lacrima che rotolò sulla guancia
mentre i suoi occhi disperati imploravano quelli addolorati del padre.
“Se gli succedesse qualcosa, io non fisserei il suo ritratto, non—”
“Basta!” Hugh si alzò talmente di colpo che Amy ricadde
all’indietro. Non aveva mai alzato la voce con lei. Ora, con tutta la
sua paura, la sua solitudine, le urlò contro: “Io amavo tua madre—la
amo ancora—e lei non c’è più! Non riesco a lavorare—fisso il suo
ritratto—l’amavo tanto! Meglio che tu e Robert teniate la testa a
posto. Non come me!”
Le sue spalle si curvarono e la voce si ridusse a un sussurro roco.
“Non come me.”
Amy lo guardò tirare un respiro tremante mentre allungava la
mano per aiutarla a rialzarsi. “Mi dispiace, bambolina.” Chiuse gli
occhi e poi li riaprì mentre si passava una mano malferma tra i
capelli neri in disordine. “Che siamo arrivati a queste parole dure...
mi dispiace. Ma c’è di più nella vita oltre all’amore. Sarà meglio per
te in questo modo. Devi vedere il quadro generale. Tradizione,
continuità... è così che la nostra corporazione è sopravvissuta per
secoli.
Gli spigoli duri del pesante anello mordevano il pugno chiuso di
Amy. Represse le lacrime. Come la maggior parte degli accordi di
fidanzamento, il suo non era vincolante fino alla consumazione. Il
denaro non era ancora passato di mano. Ci doveva essere un altro
modo per lei di preservare la loro azienda. “Certamente c’è un altro
gioielliere...”
“Il nostro ambiente è ristretto. Gli altri hanno cominciato il loro
apprendistato una decade fa. Molti sono morti durante la pestilenza.
Queste unioni vengono decise per i discendenti, e tu hai ventidue
anni. Lo sa il cielo che sono stato paziente, ma il tuo futuro è stato
fissato tanto tempo fa.” Si mosse e mise un braccio sulle spalle di
Amy, stringendola, come per convincerla a capire, ad accettare la
realtà della vita. “Robert è un buon orafo, un brav’uomo. Non puoi
avere tutto, Amy.”
Non puoi avere tutto. Le parole echeggiavano nella testa di Amy,
riassumendo il suo destino. Era incastrata, proprio come un insetto
nell’ambra.
Liberandosi dall’abbraccio di suo padre, Amy raccolse uno
straccio carico di una polvere rossastra e strofinò indifferente
l’anello, una lucidatura finale a mano per farlo brillare. Lo sentiva
solido tra le mani, questa cosa che aveva creato con niente più che
metallo grezzo e un elusivo, innato talento. Non avrebbe mai potuto
rinunciare a creare gioielli. Era nata per quello.
Il suo sguardo percorse il laboratorio disordinato. Attrezzi, pezzi di
cera scartata e pezzi di gioielleria semifiniti ricoprivano ogni
superficie disponibile. Un sottile velo di polvere rossastra copriva la
superficie del tavolo e le macchiava la punta delle dita.
Era questo il suo posto. E se suo padre diceva che era anche il
posto di Robert, allora era così che doveva essere.
Il fuoco sotto il forno crepitò e Amy sbatté gli occhi, poi si tolse con
le nocche l’ultima traccia di lacrime dagli occhi.
Non puoi avere tutto.
“Promettimelo, Amy. Promettimi che la Goldsmith & Sons non
finirà con te.”
“Ve lo prometto.”
“Ti voglio bene, bambolina,” disse sommessamente Hugh.
Voleva solo quello che era meglio per lei. Mentre si girava tra le
sue braccia, l’anello le scivolò dalle dita e cadde rumorosamente sul
pavimento di legno.
“Vi voglio bene anch’io, Papà,” disse Amy.

PASSÒ PARECCHIO TEMPO prima che si chinasse a raccogliere


l’anello e ancora più tempo prima che Robert entrasse e la trovasse
che lo fissava.
“State ancora lavorando a quel dannato anello?”
Amy alzò gli occhi, ma non riuscì a raccogliere l’energia nemmeno
per irritarsi.
“È finito,” disse. “Lo farò consegnare in mattinata.”
CAPITOLO TRE

“COLIN! QUAGGIÙ!”
Dal punto lungo il costone dove lui e nove operai erano alle prese
con un enorme blocco di pietra calcarea, Colin guardò lungo il
sentiero in basso per vedere i suoi fratelli che scendevano dalla
carrozza e Kendra che si sporgeva a metà fuori dal finestrino,
agitando freneticamente la mano.
“Siete in anticipo,” disse loro un minuto dopo, scendendo lungo il
pendio. Si pulì il palmo delle mani impastate di polvere sui calzoni,
con la camicia che svolazzava nel vento leggero che soffiava
attraverso la cava di Greystone.
“In anticipo?” Suo fratello maggiore Jason si mise a ridere,
indicando il cielo.
Colin guardò in alto e poi a ovest, dove il sole stava quasi
tramontando. “Oh, scusate.” Scrollò le spalle. “Sono in piedi dalle sei
di stamattina. Nei boschi, nei campi... credo di aver perso traccia del
tempo.”
“Immagino che abbia anche perso il cappello?” Kendra lo fissò con
una smorfia semiseria di rimprovero. “Guardati, abbronzato come
uno zingaro!”
Colin si asciugò il sudore sulla fronte con il dorso della mano.
“Siete venuti a vedere i restauri o a discutere del mio aspetto?”
“A discutere del tuo aspetto.” Ford, il gemello di Kendra, rispose al
suo posto. “Ma sono curioso di vedere la tua nuova cucina. Tubi e
rubinetti... funzionano grazie a un effetto sifone o è semplice gravità?
Nel suo nuovo saggio, Isaac Newton dice che—”
“Santo cielo—come diavolo faccio a saperlo? Sono un fattore, non
un maledetto scienziato. Funzionano perché il muratore li ha
installati nel modo giusto.”
“Quello che io voglio sapere—” Jason si batté eloquentemente
sullo stomaco, “—è se troveremo del cibo in questa cucina.”
“Diavolo, sì,” disse Colin ridendo. “Sono sicuro che Benchley è
all’opera da stamane all’alba. Salite al castello e io vi raggiungerò
subito. Ci sono quattro cavatori con l’influenza e abbiamo ancora
due lastre da sollevare.”

“DIO, CHE SILENZIO.” Kendra si fermò prima di scendere dalla


carrozza nella piccola corte interna di Greystone. “Ascoltate.”
Qualche richiamo d’uccello, belati lontani, un leggero fruscio
proveniente dagli alberi che si ergevano a sentinella intorno al
piccolo viale circolare. “Sembra che non ci sia nessuno in casa.”
“Non c’è nessuno in casa,” le ricordò Jason. “Colin ha solo la
compagnia di Benchley finché i restauri non saranno più avanti, ed
probabilmente è in cucina.”
“Andiamo a vedere in cucina,” li sollecitò Ford. “Quei tubi—”
“Quel cibo—”
“Gli stomaci dei Chase!” Kendra rise mentre andavano verso il
portone che conduceva ai modesti alloggi di Greystone. “Non posso
dire di essere sorpresa che Colin abbia restaurato la cucina per
prima.”
“Un uomo deve pur mangiare,” dichiarò Ford.
“Potrei nutrire un intero villaggio con quello che voi tre riuscite a
ingurgitare in un giorno. Guardate... la porta è socchiusa.” Con la
mano sulla maniglia, Kendra si fermò e si voltò a guardare la loro
carrozza che passava sotto il cancello del barbacane, diretta alla
scuderia di Colin. “E il ponte levatoio è abbassato.”
Gli occhi verdi di Jason brillarono mentre tratteneva una risata.
“Probabilmente non viene alzato da un centinaio di anni. A che
servirebbe? Non c’è niente in questo vecchio posto che possa
interessare a qualcuno.”
“C’è qualcosa che non va.”
“Eccola, come il solito salta alle conclusioni.” Ford spinse la porta
spalancandola ed entrò nella semplice entrata quadrata. “Buon Dio,
che cosa c’è sul pavimento?”
“Cosa?” Kendra fece un passo indietro.
“Ahi!” Jason spostò in fretta il piede che gli aveva schiacciato.
“Perché insisti a portare quei dannati tacchi alti?” Passò in mezzo ai
due gemelli. “Hanno versato qualcosa, ecco tutto.”
Chinandosi a toccare una delle chiazze scure, strofinò la sostanza
tra le dita, poi annusò e si voltò lentamente verso gli altri.
“È sangue.”
“Sangue?” Squittì Kendra.
“Non farti prendere dal panico.” Jason sogghignò. “Scommetterei
che è solo uno degli scherzi di Colin.”
Kendra fece un altro passo indietro. “Sangue vero? Uno scherzo?”
Ford mise una mano sulla spalla della sorella. “Forse Benchley ha
macellato qualcosa di fuori e non ha notato che stava ancora
sanguinando quando l’ha portato dentro. Guarda, le gocce
continuano sotto la porta verso la sala grande, verso la cucina. Mi
domando che cosa sia. Spero che sia un maialino.”
Anche la porta della sala grande era socchiusa. Jason li guidò
dentro la stanza sventrata, senza soffitto, con il pavimento di pietra
bucherellato e ancora costellato di palle di cannone arrugginite
rimaste dopo l’ultimo assedio di Cromwell.
“Come può non aver notato che gocciolava?” La voce di Kendra
era solo un sussurro, lo sguardo inchiodato alla traccia di sangue.
“Stava uscendo a fiotti, a giudicare dall’aspetto.” Seguì i suoi fratelli,
camminando con cautela. “Un maialino!” esclamò, alzando la voce.
“Direi una mucca, piuttosto. Non ho mai visto tanto—”
“La maniglia...” all’altra estremità della sala, Jason aveva allungato
una mano per aprire la porta e poi l’aveva ritirata in fretta. “È coperta
di sangue.”
Kendra si morse il labbro. “Forse è meglio se aspettiamo Colin.”
“Non dire stupidaggini.” Jason diede un calcio alla porta con lo
stivale e quella si aprì, con un prolungato cigolio.
Attraversarono il breve corridoio, seguendo impronte di sangue
che zigzagavano. “Non mi piace,” borbottò Kendra, camminando
cautamente ed evitando accuratamente le macchie rosse.
Si fermarono all’entrata della cucina. “Benchley?” Ford si passò
una mano tra i capelli castani ondulati. “Benchley, siete lì,
buonuomo?”
“Sembra di no,” disse senza necessità Jason.
Kendra puntò il dito verso uno dei due pozzi incassati. “Oh mio
Dio.”
Ford le diede un’occhiataccia. “Che c’è adesso?”
“Non sentite il gocciolio?”
“Gocciolio?” Jason si diresse verso il pozzo, poi allargò di colpo un
braccio. “Restate indietro!”
“Che c’è?” chiese Kendra, senza fiato. “Che cos’è?”
“Questo non è uno scherzo. Ford, vai a cercare Colin, subito!”
Nonostante l’avvertimento di Jason, Kendra si precipitò avanti, poi
emise un urlo lacerante prima di voltarsi in fretta nascondendo il
volto contro il petto.
“È morto, è morto, è morto,” ansimò. “Benchley è morto. Oh mio
Dio, Benchley è morto!”
Invece di andare a cercare Colin, Ford mise le braccia intorno a
entrambi, con il respiro affannoso, anche se non riusciva a emettere
un suono.
Schiacciata tra i fratelli, Kendra voltò la testa e aprì appena un
occhio, solo per essere sicura. Piegato in due all’altezza della vita
sopra la barra trasversale che attraversava tutto il pozzo, c’era il
valletto di Colin, con gli abiti striati di rosso. Altro sangue gocciolava
dalla massa bagnata dei suoi capelli prematuramente grigi,
suscitando un’eco quando colpiva l’acqua molto più in basso.
A quella vista raccapricciante, Kendra emise un gemito e nascose
immediatamente di nuovo la faccia.
Finché, con un’inquietante subitaneità, dietro di loro scoppiò una
folle risata.
CAPITOLO QUATTRO

I FRATELLI DI COLIN lo fissarono, ammutoliti, mentre si avvicinava


a lunghi passi e si sporgeva sopra il pozzo.
Da sotto risuonò una voce lamentosa. “La schiena mi sta
uccidendo. Aiutatemi a risalire, vi prego.”
Kendra sbatté le palpebre, con il colore che le arrossava le
guance. “Delinquente! È stato uno scherzo veramente cattivo!”
“Ma bello,” ammise Ford con una risatina imbarazzata. “Ti sei
superato, Colin.”
“Un vero macello, ma ne valeva la pena,” ammise allegramente
Colin. Si allungò sopra il pozzo per sollevare Benchley. “Se aveste
potuto vedere le vostre facce.”
La camicia del valletto era incollata alla sua figura bassa e
asciutta. “Vado a ripulirmi,” disse con il massimo della dignità. Con la
schiena diritta come un fuso alzò il naso a becco e uscì dalla stanza
con andatura impettita.
“Sbrigatevi a tornare,” gli gridò dietro Jason. “Stiamo morendo di
fame!”
I fratelli aspettarono che Benchley fosse fuori portata d’orecchi
prima di scoppiare in grandi risate.
Jason appoggiò entrambe le mani sul grande tavolo di legno, con i
lunghi capelli neri che gli nascondevano il volto. “Non riesco a
credere di esserci cascato,” brontolò. “L’avevo anche detto,
all’inizio...” Guardò Colin. “Per Dio, alla tua fidanzata dispiacerà di
esserselo perso.”
“Sciocchezze!” Kendra respinse l’idea. “Avrebbe detto che era un
infantile spreco di tempo.”
Ford annusò un piatto coperto. “Maialino,” mormorò, nascondendo
un sorriso mentre andava verso un lavandino e toccava un rubinetto
di bronzo.
Con gli occhi che brillavano di malizia, Kendra si rivolse a Colin.
“Tu e Lady Priscilla Snobs avete fissato la data?”
“Lady Priscilla Hobbs ed io non abbiamo ancora deciso.” Colin
ispezionò gli scaffali, cercando qualcosa da usare per pulire. “Non
ha intenzione di trasferirsi a Greystone finché è in queste
condizioni.”
“Gravità,” dichiarò Ford aprendo il rubinetto e poi richiudendolo.
Ripeté il gesto con evidente soddisfazione. “Sicuramente gravità.”
Kendra annuì indifferente e tornò a rivolgersi a Colin. “Priscilla
potrebbe vivere a Cainewood con noi.”
“Non credo. Questa famiglia è un po’ troppo, uh, vivace per
Priscilla.” Lasciò cadere un mucchio di stracci sulla pozza di sangue
più grande, dandole dei colpetti con lo stivale. “È figlia unica, sapete
—abituata alla pace e alla tranquillità.”
“Vuoi dire che è una snob. Altrimenti—”
“Kendra!” gli occhi verde foglia di Jason fissarono quelli più chiari
di sua sorella. “Lady Priscilla è una donna perfettamente amabile. E
ancora più importante, per Colin, oltre a tutto, è carina, titolata e
l’unica erede di un’enorme fortuna. Se le ci vorrà un po’ ad adattarsi
a noi, dovremo semplicemente accettarlo.” Poi si rivolse a Colin.
“Come va il resto dei restauri?”
“Lentamente.” Colin alzò gli occhi. Era accucciato sul pavimento e
toglieva l’ultima traccia di sangue. “Il mio studio e una camera sono
finiti, abbastanza perché Benchley ed io possiamo restare qui e
lavorare. Ma per Priscilla...”
Alzando una mano ai baffi sottili, Jason lisciò prima un lato e poi
l’altro. “Immagino che Priscilla richieda un piccolo esercito di
servitori, una suite adeguata e un paio di sale da ricevimento, come
minimo.” Diede un’occhiata di avvertimento a Kendra. “D’altra parte,
non vorrà aspettare che sia restaurato l’intero castello, no?”
Colin scosse veementemente la testa. “Oddio, no.” C’era una
quantità enorme di lavoro da fare; il castello era vuoto dal 1643,
quando i seguaci di Cromwell avevano distrutto la sala grande.
“Temo che ci vorrà un quarto di secolo prima che sia completamente
restaurato.”
“Vedete quel tubo di piombo?” Ford indicò la parete di pietra.
“Scommetto che c’è una cisterna sul tetto. Questo secondo rubinetto
controlla il flusso in uscita—il fiume Caine è a valle da qui, vero?”
sorrise, con gli occhi blu che brillavano soddisfatti. “Gravità.”
“Affascinante,” disse Jason asciutto.
Alzandosi lentamente, Colin rigirò sul dito il suo nuovo anello,
pensando all’enormità del compito che aveva davanti. “Priscilla
desidera sposarsi e metter su presto famiglia. Ancora qualche
stanza...” Sospirò. “È tutto dannatamente così costoso e sto
spendendo più in attrezzature agricole e bestiame che per i restauri.
La tenuta non potrà generare un introito decente finché non sarà in
ordine.”
“Povero Colin.” Kendra gironzolò per la cucina, facendo scorrere
una mano lungo le mensole dei tre immensi camini. “Suppongo di
non poterti rimproverare perché desideri Priscilla e la sua enorme
fortuna, ma perché non affretti un po’ le cose?” Si mise davanti a
Colin, che stava accendendo le candele per tenere lontano il buio
che avanzava. “Non potresti comprometterla, o roba del genere?”
“Kendra!” La rimproverò Jason.
Ford fece un verso di derisione, e distolse l’attenzione dai tubi.
“Comprometterla? Alla corte di Re Charles? E che cosa immagini
che comporterebbe?” Andò a spezzare un pezzo di pane dalla forma
appena sfornata che Benchley aveva posato sul tavolo. “Temo che la
parola compromettere sia andata fuori moda con i cavalieri nelle
scintillanti armature—o almeno con Cromwell.”
Affondò i denti nel pane bianco fine, parlando mentre masticava.
“Colin potrebbe farsela sul tavolo da gioco nel palazzo di Whitehall e
dubito che qualcuno lo noterebbe—se non per spingerli da parte per
continuare a giocare.”
Quando fece per prendere dell’altro pane, Kendra gli schiaffeggiò
via la mano. “Non sono scema.” Spesso si lagnava che a causa
dell’esasperante diligenza dei suoi tre fratelli, doveva essere l’unica
vergine rimasta, a corte. “Stavo cercando di dirlo delicatamente, ma
quello che volevo dire è, perché non metterla semplicemente
incinta?”
Colin aveva tenuto a freno la lingua durante la tirata di Ford—i fatti
erano fatti, dopotutto—ma questo andava oltre la sua sensibilità di
gentiluomo. “Non riesco a credere che tu possa suggerire una cosa
del genere.”
“Io non riesco a credere che tu non ci abbia pensato. Sono sicura
che l’abbia fatto, in effetti, e semplicemente non lo vuoi ammettere!”
Con le labbra tirate per l’irritazione, Kendra aggiunse. “Tu e il tuo
onore. Se Priscilla Snobs avesse la metà del senso dell’onore che
ha uno qualunque di voi, si metterebbe l’orgoglio sotto i piedi,
sposerebbe l’uomo che teoricamente ama e lo aiuterebbe a
ricostruire la sua casa. Potrebbe permettersi di vivere
semplicemente per alcuni mesi; non la ucciderebbe. Oppure
potrebbe trasferirsi da noi, o vivere nella casa di città.”
Colin diede un’alzata di spalle, rassegnato. “Abbiamo discusso
tutte le possibilità.” Uno per uno, tolse i calici dallo scaffale e li mise
sul tavolo. “La casa di città ha continuamente gente che va e viene,
non è un posto per viverci veramente—”
“A me piace vivere lì.” Kendra prese alcuni tovaglioli e cominciò a
piegarli a triangolo. “Londra è eccitante.”
“Beh, Priscilla la pensa diversamente. È una persona molto
tranquilla. A me piace, sai. Sono stato trascinato per mezzo mondo
per la maggior parte della mia vita e ora voglio solo restare in un
posto tranquillo, con la mia tranquilla famiglia.”
Kendra raddrizzò il quarto triangolo, poi alzò gli occhi. “Ti annoierai
fino alle lacrime in men che non si dica.”
“Direi che Kendra ha ragione.” Aggiunse Ford. “Sembra che
l’attrattiva principale di Priscilla, a parte la suddetta enorme fortuna,
sia il suo talento per far addormentare qualcuno—”
“Basta!” La parola uscì dalle labbra di Colin come un tuono. Il suo
sguardo percorse il tavolo, soffermandosi a turno su ognuno dei
fratelli. “Forse non ho ancora fissato la data, ma sposerò Priscilla
Hobbs e non ho intenzione di accettare che ne discutiate in questo
modo. A me piace. Mi piace il suo aspetto, il suo contegno, mi piace
il suo ambiente familiare e, sì, mi piace il suo titolo e la sua fortuna.
È esattamente quello che cercavo e non permetterò a nessuno di voi
di rovinarlo!”
Ci fu uno dei rari momenti di silenzio nella famiglia Chase. Colin
pensò che avessero addirittura smesso di respirare, l’unico
movimento sembrava essere la luce delle candele che tremolava
sulle pareti di pietra imbiancate.
“Torno subito,” borbottò dopo un minuto, poi si affrettò lungo il
corridoio verso la dispensa.
Anche se ci mise un po’ a scegliere una bottiglia di vino, c’era
ancora silenzio quando tornò. Jason strusciava i piedi in evidente
imbarazzo, Ford disegnava cerchi infiniti sul tavolo con un dito e
Kendra sembrava stesse esaminandosi le scarpe.
Colin si sentiva quasi dispiaciuto per loro.
“Colin?”
“Sì, Kendra?”
“Tu la ami?”
Colin sospirò, impaziente e si mise a togliere il tappo. “I nostri
genitori erano innamorati, e qual è stato il risultato, per noi? Erano
due persone appassionate, vero? Tanta passione l’uno per l’altro, e
per la monarchia... noi siamo nati dalla loro passione, non perché
volessero dei figli.” Guardò fisso Kendra, con gli occhi che
sembravano bruciare. “No, Kendra, non amo Priscilla, ma mi piace.
E penso che sia meglio così.”
Riempì i calici, con il rumore del vino che riempiva i bicchieri
innaturalmente alto nell’atmosfera tesa.
Jason bevve cautamente un sorso, poi rimise il calice sul tavolo,
con un velo di tristezza sul volto. “Ci hai pensato parecchio, vero?”
Colin alzò il mento. “Sì.”
Jason scosse la testa, in modo quasi impercettibile. “Non era
veramente così, sai. I nostri genitori—tutti noi—siamo stati vittime
dei tempi. Io mi sono sentito molto amato da bambino. Durante i
combattimenti mi mancavano terribilmente e sono certo che noi
mancassimo a loro. Dannato Cromwell!” sbatté il pugno sul tavolo,
facendo sobbalzare la bottiglia e oscillare il vino nei calici.
“A me mancano adesso,” disse sommessamente Kendra. “Mi
mancheranno sempre.”
“Bene,” disse Colin, poi si fermò, interrotto dal ritorno improvviso di
Benchley.
L’ometto entrò in cucina, sbuffando, con i capelli appena lavati che
gocciolavano acqua sul pavimento di pietra.
“Milord, dovete venire!” Nella mano tremante di Benchley
ondeggiava una lanterna; Colin si lanciò ad afferrarla prima che
cadesse sul pavimento. Sono uscito dalle mura per gettare l’acqua,
e—Gesù, dovete vederlo!”
“Vedere che cosa?” Chiese Colin, ma stava parlando alla schiena
di Benchley che usciva di corsa.
Lo seguirono attraverso il castello buio e fuori sulle mura merlate.
La campagna sembrò innaturalmente silenziosa mentre i cinque
guardavano verso Londra. Sul bordo del nero cielo notturno, un
bagliore luminoso, rosso, si stagliava all’orizzonte.
Il sussurro di Kendra infranse il silenzio, “Che cos’è?”
“Un incendio,” dichiarò Jason cupamente. “E sembra vasto.”
“Londra va a fuoco?” La voce di Kendra era piena di paura.
“Sembra vicino.”
Jason le mise una mano sulla spalla. “Non preoccuparti, Kendra,
non arriverà fin qua. È che la notte è così buia che sembra illuminare
il cielo,.”
“Ma sembra enorme. Il palazzo di Whitehall potrebbe stare
bruciando, o St. Paul—o la nostra casa! Oh, Dio, e se fosse in
fiamme la nostra casa?”
Alla luce fioca della lanterna, Jason guardò Colin sopra la testa
della sorella.
“Dobbiamo andare ad aiutare,” dissero insieme.
“Ford, vieni anche tu.” Continuò Jason. “Colin, hai dei cavalli in
più? Carrington riporterà Kendra a casa con la carrozza.
Muoviamoci.”
CAPITOLO CINQUE

COLIN SI FERMÒ un momento per chinarsi ad accarezzare il collo


coperto di schiuma del suo ombroso castrato, mentre Jason e Ford
cavalcavano davanti a lui. “Va tutto bene, ragazzo,” mormorò, anche
se sapeva che le sue parole sarebbero state inghiottite dal caos che
li circondava.
“Colin!” Anche se erano appena riusciti a farsi strada per le vie di
Londra, la voce di Jason era già roca per il fumo e la cenere. “Stai
con noi o ti perderemo!”
Normalmente buie e deserte di notte, le vie di Londra erano
illuminate da una spaventosa incandescenza e da una folla infinita di
umanità senza più un posto dove vivere. La pelle di Colin pizzicava
per il calore mentre avanzava lentamente tra la gente, gli animali e le
macerie. Fiocchi di cenere scendevano lentamente, punteggiando i
suoi vestiti e i capelli. Stringendo gli occhi per vedere nella caligine,
cercò i suoi fratelli in mezzo al caos.
Eccoli, le loro figure familiari accanto a una presenza imperiosa su
un enorme stallone nero: Re Charles con suo fratello, James, Duca
di York. Colin vide il Re frugare in una borsa gettata sulla spalla e poi
lanciare una manciata di ghinee agli uomini al lavoro, incoraggiandoli
nei loro sforzi per creare una barriera tagliafuoco. Le monete d’oro
luccicavano alla luce baluginante dell’incendio, come sospese
nell’aria spessa, piena di fumo.
“Buon Dio,” disse Colin senza fiato, raggiungendo i fratelli. “Da
dove cominciamo?”
“Questo è un posto buono come qualunque altro,” Jason si voltò
nella sella, cercando un posto sicuro dove lasciare i cavalli. I fratelli
si voltarono a guardarlo quando sentirono la sua esclamazione.
Con le mani strette sulle redini, Colin riusciva solo a fissare il
terribile splendore della cattedrale di St. Paul in fiamme.
“Buon Dio!” Mormorò.
“Ero lì la settimana scorsa.” Ford avvicinò il cavallo a quello di
Colin, scuotendo incredulo la testa. “Lady Tabitha ed io—abbiamo
inciso i nostri nomi nel piombo sul tetto.”
“Ora sono cancellati,” disse Jason cupo. “Insieme a sei secoli di
altre firme.” Il metallo fuso scorreva in rivoli ardenti, la magnifica
cupola di St. Paul si innalzava come una torcia dal mare di fiamme
creato da migliaia di case che bruciavano tutte insieme.
Jason si riscosse, poi toccò Colin sulla spalla. “Vieni, c’è del lavoro
da fare.”
Videro Re Charles che smontava e gettava le redini a uno stalliere
in livrea, che guidò l’enorme cavallo verso un’area recintata
provvisoria, affollata di aristocratiche cavalcature.
“Ecco, quello è un buon posto,” gli occhi di Jason si illuminarono di
sollievo. Lasciarono i loro cavalli, insieme a una congrua quantità di
monete per garantirsi che li avrebbero rivisti, e si diressero a piedi
verso Warwick Lane, facendosi largo tra la folla della gente che
combatteva il fuoco.
Una fila di gente con secchi si spezzò e si riformò includendoli e
prima che sapesse che cosa stava succedendo, Colin stava
ricevendo secchi pieni da Ford e ficcandoli tra le mani di Re Charles.
A quanto sembrava, Re Charles e suo fratello avevano passato la
notte guadando trincee con l’acqua alle caviglie e sguazzando nel
fango e nell’acqua; le loro sete e i pizzi erano fradici, pieni di
fuliggine e bruciacchiati.
“Da quando siete qui, sire?” Urlò Colin mentre il Re si voltava a
prendere un secchio.
“Abbiamo disceso il fiume ieri a mezzogiorno,” Charles si voltò per
passare il secchio, poi si girò di nuovo verso Colin, “Saremmo venuti
domenica, ma il Lord Mayor mi ha assicurato che non era niente.”
“Niente? Lo abbiamo visto da Greystone!”
“Se ricordo bene, le parole di Bludworth sono state: ‘Nooo,
potrebbe spegnerlo una donna con una pisciatina!”
Sua Maestà sbuffò di disgusto, con un accenno di stanco
divertimento, poi uscì dalla fila quando James gli ficcò in mano un
badile.
I regali fratelli trotterellarono via nel fumo. L’incendio stava dando
a Charles la sua prima opportunità, come Re, di fare l’eroe in prima
persona—e lui stava recitando la sua parte superbamente, meditò
stancamente Colin, passando avanti un altro secchio.
“Aiuto!” Il grido, sottile e angosciato, arrivò sopra le urla dei
lavoratori. “Aiuto! Il mio fratellino!”
Una mano tirava i calzoni di Colin che abbassò gli occhi su una
faccia giovane e sporca. “Dov’è tuo fratello?” Chiese.
“In una casa che sta bruciando!” Il ragazzo gli afferrò la mano e lo
tirò fuori dalla fila—un fatto reso possibile solo dalla sua
disperazione, visti il suo metro e mezzo scarso contro il quasi metro
e novanta di Colin.
Il secchio successivo atterrò nella terra, inzuppando gli stivali di
Colin e schizzando fango sul volto spaventato del ragazzo. “Dove?”
Ripeté Colin.
“P-Paternoster Row!” Il ragazzo partì come un razzo, con i capelli
castani che svolazzavano mentre la sua figura magra attraversava la
confusione di gente e animali Con Colin alle calcagna. Girando
l’angolo e fermandosi con uno scivolone, il ragazzo indicò una
finestra in alto.
Dietro il vetro sporco si intravedeva un volto pallido. Le dita del
bambino si aggrappavano disperatamente alla finestra.
Dannata sfortuna, il ragazzino era intrappolato in una delle poche
case in quel vecchio quartiere che vantava effettivamente i vetri alle
finestre. Il pianterreno era avvolto dalle fiamme. Ne usciva un fumo
nero, che ammantava la strada, un tipico vicolo stretto e sudicio con
le case alte che si inclinavano l’una verso l’altra fino quasi a toccarsi.
Colin esaminò la situazione. Le fiamme saltavano da un tetto
all’altro, divorando tutto quello che trovavano, e si stavano
avvicinando.
Senza un pensiero cosciente, passò di corsa davanti a un’altra
casa in fiamme, verso una terza che sembrava deserta ma ancora
intatta. Aprì la porta con un calcio e corse su per i due piani di scale,
uscendo sul balcone.
Le case erano appiccicate l’una all’altra. Fu facile saltare sul
balcone della casa accanto e poi ancora un altro salto, fino ad
arrivare sotto la finestra dove c’era il ragazzino.
“Stai indietro!” Gridò al faccino terrorizzato.
Arrampicandosi sulla ringhiera del balcone, Colin si allungò fino al
piano di sopra per cercare di rompere la finestra con la spada. Il
bambino scomparve nella stanza piena di fumo, ma l’elegante lama
dello stocco non era all’altezza del vetro spesso, irregolare.
Si lasciò cadere sul pavimento del balcone e si voltò, disperato,
sollevato di vedere Jason e Ford tra la folla che si era raccolta per
strada.
“Un sasso!” gridò e l’attimo dopo arrivò un pezzo di roccia; lo
prese al volo e lo gettò contro la finestra con un unico gesto fluido.
Una passata con la lama dello stocco ripulì l’infisso da quasi tutti i
vetri. Lasciò cadere la spada e si tolse la giacca, gettandola sopra la
cornice prima di saltare per afferrare il davanzale con le mani e
tirarsi su fino a entrare.
Il bambino biondo era accucciato contro una parete, con gli occhi
grandi per il terrore. Alimentato dall’aria che entrava dalla finestra
rotta, le fiamme rombavano. Il fuoco sembrava vivo, un mostro
orrendo venuto a divorare tutto sul suo cammino.
I polmoni di Colin bruciavano mentre raccoglieva il bambino sotto
un braccio e saltava fuori dalla finestra. Atterrarono duramente sul
balcone, rotolando in un groviglio di braccia e gambe, con la giacca
di Colin arrotolata intorno a un piede. Le fiamme li seguirono, viticci
arancio, bianchi e blu che serpeggiavano attraverso la finestra,
minacciando la struttura di legno dove erano rannicchiati.
Colin liberò l’indumento e lo gettò ai suoi fratelli, oltre la ringhiera.
Si rimise in piedi, tirando su anche il bambino e rimise la spada nel
fodero. Sotto il balcone, parecchi uomini restavano in attesa, con
una trapunta tesa rigida tra le loro mani.
“Adesso saltiamo!” Gridò al bambino sopra il ruggito delle fiamme.
“No!” Il bambino si dimenò sfuggendogli di mano. “No! No!”
Lo afferrò di nuovo. Dannato momento per aver paura dell’altezza,
ma comunque...
Lo sguardo di Colin si concentrò sulla trapunta. Tre piani, il suo
considerevole peso più quello del bambino—non c’era una
possibilità su mille di sopravvivere comunque.
Fiamme ardenti gli sfioravano la schiena, ondate di fumo nero gli
toglievano il fiato. Con gli occhi pieni di lacrime cercò il volto di
Jason, molto più in basso.
“Una fune!” Tuonò, con le parole che gli laceravano la gola
dolorante.
Il tempo passava mentre osservava i suoi fratelli discutere con un
uomo intento a fissare i suoi beni. Alla fine, rinunciarono e si
limitarono a strappare la fune dal carretto carico, con Ford che tirava
mentre Jason minacciava con la spada il tizio ostinato.
Un momento dopo, un’ancora di salvezza serpeggiò verso l’alto,
tirata da Jason in un ampio arco.
Con le dita tremanti, Colin la legò al montante del balcone e tirò
forte. Sollevò il bambino sulla schiena, gridando “Tieniti forte!” e
scesero a tutta velocità verso terra. Scivolando nel fango, Colin
afferrò il bambino e rotolò via dal pericolo mentre il balcone cadeva
sulla strada, atterrando con un tonfo potente e una pioggia mortale
di scintille.
Salvi per il momento, Colin e il bambino restavano sdraiati,
aggrovigliati, tossendo come se dovessero espellere i polmoni.
“John” Il fratello del bambino corse avanti e lo abbracciò. “Oh,
Johnny, pensavo di sicuro che eri morto!”
Il bambino scoppiò in lacrime. Il ragazzino più grande lo cullò
mentre, uno per parte, Jason e Ford aiutavano Colin a rimettersi in
piedi e gli rimettevano la giacca.
Lo tirarono lontano dalle fiamme minacciose mentre Colin a sua
volta tirava i ragazzini dietro di sé.
“Do-dove sono i vostri genitori?” Gracchiò tra un colpo di tosse e
l’altro.
Il ragazzo più grande scosse la testa. “Non lo sappiamo,” gridò
sopra il frastuono assordante. “Ci hanno detto di aspettare, ma è
stato—” alzò il volto annerito verso il cielo “—ieri, forse.” Il fumo era
così denso che sembrava fosse il crepuscolo, ma il sole era sorto, e
dava alla città una luminosità ultraterrena.
Il ragazzo smise di camminare. Tenendo stretto a un fianco il
fratellino che piagnucolava, si tolse i capelli castani disordinati dalla
faccia e fissò Colin con occhi imploranti “Milord, potete aiutarci?”
“Io...” Stupefatto, Colin guardò Jason e Ford, che alzarono le
spalle.
“Potete aiutarci, per favore?” Senza aspettare una risposta, il
ragazzino afferrò la mano del fratello, tirandoselo dietro mentre si
faceva strada deciso nella ressa.
Lo sguardo di Colin era incollato alle fragili schiene dei ragazzini.
“Ci vediamo a Cainewood!” gridò ai suoi fratelli prima di seguirli.
Rincorse i ragazzini attraverso la confusione crescente
dell’incrocio con Friday Street, dove i due si infilarono in uno spazio
tra due edifici. Altri sette bambini erano rannicchiati lì, la maggior
parte in lacrime.
“Davis!” gridarono alcuni all’unisono, correndo ad abbracciare il
ragazzino più alto. Tirarono il piccolo John in mezzo a loro, una
piccola isola di cameratismo nella miseria.
Il cuore di Colin si strinse. Questi bambini avrebbero potuto essere
lui vent’anni prima, e Jason e Kendra. Erano gente comune, non
aristocratici, e molto probabilmente si erano semplicemente persi,
non erano stati abbandonati.
Ma la sensazione di disperazione era la stessa.
Davis si allontanò dal gruppo e tornò da Colin. “Viviamo tutti a
Ludgate,” spiegò senza fiato. Anche se era alto per la sua età, il
ragazzino non poteva avere più di dieci o undici anni. “Abbiamo
aspettato là insieme, ma i nostri adesso non ci troveranno più.
Abbiamo dovuto spostarci, verso Warwick, poi abbiamo trovato
quella casa vuota a Paternoster, poi qui... ma mio fratello non
arrivava. Oh, vi ringrazio, milord.” Cadde in ginocchio nel fango.
“Avete salvato la vita a mio fratello.”
Colin accarezzò distrattamente la testa del ragazzino, sporgendosi
per guardare la strada. “Già, e sarà una gran cosa se poi bruceremo
comunque tutti,” mormorò. “Viene da questa parte. Aspettate qui,
torno subito.”
Si lanciò davanti a un carro che avanzava lentamente, con il fondo
coperto da un guazzabuglio di articoli domestici. Con il palmo delle
mani di Colin tese e premute contro il muso dei cavalli, il carro si
fermò in fretta.
“Ehi!” gridò il carrettiere. “Che diavolo pensi di fare?”
“Voglio questo veicolo,” Colin si affiancò al carro e saltò su, di lato
all’uomo che scosse indignato la sua testa calva e lucida.
“Questa gente mi ha pagato argento sonante per salvare le sue
proprietà. Sono diretto a Moorfields, all’accampamento dei rifugiati.”
L’accento dell’uomo indicava che veniva dalla campagna, senza
dubbio venuto a Londra ad aiutare le vittime dell’incendio a scappare
—e farci dei bei soldi. Un semplice carro di colpo diventava una
risorsa preziosa e questo carro era robusto.
“Argento, diavolo. Io pagherò in oro.” Colin tolse una borsa dalla
giacca strappata e ne tolse una ghinea. Saltò di nuovo in strada e
cominciò a scaricare il carro, sentendo una fitta di senso di colpa per
il suo sdegnoso disprezzo verso i beni di altri. Ma gli venne in mente
una riga di una poesia di Dryden: ‘And thus the child imposes on the
man. E così il fanciullo prevale sull’uomo.’
Certamente la vita di quei bambini aveva la precedenza sui beni di
una persona.
Il carrettiere morse la moneta e poi la intascò, scendendo da
cassetta per osservare Colin con occhi increduli.
Colin li lanciò un’altra ghinea. “Queste per i tuoi pulciosi cavalli. E
ce n’è un’altra se mi aiuti a scaricare. Il fuoco avanza.”
Una rapida occhiata verso le fiamme e l’uomo cominciò a gettare
fuori roba dal fondo, senza curarsi di ingombrare ancor più la strada.
Afferrò la terza moneta, poi partì di corsa verso Cheapside,
sparendo tra la massa miserabile di gente rimasta senza casa.
I bambini salirono sul bancale del carro, i loro volti erano una
maschera di sollievo sotto la fuliggine rigata dalle lacrime. Ondate di
calore arrivavano alle spalle di Colin, incitandolo a muoversi.
Si tolse la giacca, troppo calda, e si alzò in piedi sulla panca,
staccandosi la camicia umida e grigiastra dal corpo mentre cercava
di guardare a ovest attraverso il fumo. Priscilla viveva in quella
direzione e anche la sua casa di città era da quella parte, in Lincoln’s
Inn Fields. Grazie a Dio, quella zona sembrava intatta. Il fuoco si
dirigeva a nord; ovest era la direzione migliore per uscire da Londra.
Ed era fuori Londra che Colin intendeva andare, fuori—e a casa di
suo fratello Jason, Cainewood. Non aveva senso cercare le famiglie
dei bambini fintanto che l’incendio non fosse stato spento, e
probabilmente ci sarebbero voluti giorni. E non c’era posto per loro a
Greystone.
Si sedette e prese le redini. Il traffico era incredibile e si
muovevano a passo di lumaca. Un quarto d’ora dopo avevano
percorso un isolato di Friday Street e svoltavano verso Cheapside.
Solo tre o quattro isolati, un po’ più lontano dal fronte del fuoco e poi

“No, Papà!” La voce superò il ruggito della folla, una voce
stranamente familiare, anche se Colin non credeva di averla mai
sentita gridare. Le dita andarono istintivamente al suo anello. “Papà,
non potete!”
Voltò di scatto la testa. Eccolo: Goldsmith & Sons. E la ragazza,
Amethyst.
Tirò le redini mentre il padre della ragazza la spingeva per strada,
facendola inciampare, con le fiamme che rimbombavano nel negozio
dietro di loro. Seguì un piccolo baule, poi l’uomo agitò
selvaggiamente le mani e rientrò di corsa. Colin lo vide salire le
scale—scale già avvolte dal fuoco—prima che una vampata di
calore chiudesse di colpo la porta.
“Papà!” Il gemito della ragazza era una coltellata al cuore di Colin.
“Davis, afferra!” Abbaiò, gettando le redini al ragazzo. Saltò giù dal
carro, evitando agilmente il traffico che si incrociava mentre andava
dalla ragazza, che si affrettava per strada nella direzione che le
aveva indicato suo padre, senza progredire di molto, appesantita dal
baule che trascinava nel fango.
Si voltarono entrambi di scatto quando sentirono un tonfo
possente. La ragazza emise un urlo angosciato quando il tetto della
sua casa crollò, mandando in cielo una colonna di scintille,
straordinariamente visibili anche alla luce del giorno.
“Papà!” la ragazza lasciò cadere il baule e corse indietro verso la
porta. L’insegna dorata del negozio crollò al suolo, ma lei sollevò le
gonne e la saltò, senza mancare un passo. Colin la raggiunse
proprio mentre lei afferrava la maniglia e poi tirava indietro la mano
di colpo, fissandosi il palmo, dove la pelle si stava già sollevando,
rossa, infiammata. Tenendosi la mano, si piegò in avanti, noncurante
della fuliggine e della cenere che le piovevano sulla testa.
“Papà!” Il grido era diventato un gemito.
Fumo nero sbuffava da sotto la porta e roteava intorno alle sue
sottane ingrigite. Lei non si muoveva. Le fiamme sfiorarono le
finestre del negozio. Per l’amor del cielo, le fiamme l’avrebbero
consumata tra un attimo e lei non si muoveva.
Colin le afferrò la mano intatta e la tirò verso il carro.
“No!” La ragazza si strappò dalla sua presa e corse indietro verso
la porta, avvolgendosi le sottane intorno alla mano per isolarla
mentre cercava nuovamente di afferrare il metallo bruciante della
maniglia.
Colin non riusciva a credere ai suoi occhi accecati dal fumo. La
prese per la vita e la tirò verso di sé.
“No!” La ragazza sbatté contro di lui e immediatamente cercò di
divincolarsi. “C’è mio padre là dentro—devo salvarlo!”
La vernice sulla porta si gonfiava, si contorceva, faceva le bolle.
Da un momento all’altra le assi si sarebbero incendiate. Eppure lei
lottava contro le braccia di Colin, tentando di colpire la porta con la
spalla, cercando chiaramente di abbatterla.
Posandole entrambe le mani sulle spalle, Colin la trascinò indietro,
un metro... due... tre.
“No! Lasciatemi andare!” La ragazza riuscì a girarsi. Il calore li
colpiva a ondate brucianti. “No!”
“Sì!” Colin la voltò di nuovo verso di sé e, disperato, la diede uno
scossone, per farle entrare un po’ di buonsenso in testa. “Dovete
andarvene!”
“Devo salvarlo!” A testa bassa, gli diede un calcio negli stinchi. Ma
Colin resistette, urtato dal torrente di gente in fuga, trascinandola
verso il carro mentre lei si dimenava. “Lasciatemi andare!”
A denti stretti, Colin si fermò e le prese il volto tra le mani,
obbligandola a guardarlo. “È morto!” ruggì per farsi sentire sopra il
rumore assordante. “È salito sulle scale e il tetto è crollato! Ora
venite, prima di morire anche voi!”
Uno sguardo vitreo di disperazione cominciò a velare gli occhi
color ametista mentre crollava tra le sue braccia. Colin la raccolse e
corse verso il vagone.
Dopo averla gettata sulla panchetta davanti, accanto a Davis, fece
per salire. La ragazza si alzò di colpo. “Il mio baule!” Urlò, indicando
l’oggetto poco appariscente. Era per terra a un metro dal negozio,
con le fiamme che strisciavano nella sua direzione. Ma un’occhiata
alla sua faccia lo convinse che avrebbe dovuto salvarlo, o lei
avrebbe cercato di farlo da sola.
“Vai!” Gridò a Davis, dando una manata sulla groppa al cavallo
vicino a lui per enfatizzare l’ordine. Davis alzò le redini e il carro si
mosse, avanzando lentamente lungo la strada.
Il calore era incredibile. Una finestra scoppiò mentre correva
indietro verso il negozio, spargendo vetri e lasciando sfuggire nuvole
di fumo che gli bruciarono nuovamente i polmoni. Tossendo, con le
lacrime che scendevano sulle guance, si abbassò per raccogliere il
baule.
Fulmini e saette, come faceva un baule così piccolo a pesare
tanto? Lo lasciò cadere e poi, afferrando una maniglia, lo trascinò
rumorosamente lungo la strada piena di solchi fino al carro che
procedeva lentamente. Fece segno ai bambini di tirarsi indietro e
riuscì a sollevarlo sul bancale del carro, poi fece il giro e salì a
cassetta, prendendo le redini da Davis che si affrettò a raggiungere
gli altri di dietro.
“Siete ferita?” Faticava a parlare con la gola irritata. “Amethyst?”
come l’aveva chiamata suo padre? “Amy?”
Sentendo il suo nome, Amy alzò gli occhi vitrei, dapprima confusa,
poi incredula.
“Lord Greystone?”
Prima che Colin potesse rispondere, Amy gli gettò le braccia al
collo e scoppiò in lacrime.
Colin le mise un braccio attorno, prima cauto e poi stringendo un
po’. I singhiozzi squassavano il corpo sottile. Sentiva le lacrime
bollenti che gli bagnavano le spalle attraverso la camicia.
Passarono lunghi minuti angoscianti. Superarono diversi isolati
prima che Amy riuscisse a frenare le lacrime e ad alzare lentamente
gli occhi arrossati per guardarlo.
Ombre scure le segnavano la pelle delicata sotto gli occhi. Il fuoco
infuriava da domenica ed era probabile che non dormisse da giorni.
“Mi dispiace,” le disse.
Amy annuì, miseramente.
“Dove posso portarvi?”
Tirando su con naso, Amy scosse la testa con veemenza. “Da
nessuna parte,” disse, con un sussurro tremante. Gli occhi si
riempirono nuovamente di lacrime che minacciavano di traboccare.
“Non ho nessuno.”
Turbato, Colin tornò a guardare la strada. Nessuno? Non poteva
essere vero, certamente conosceva qualcuno che potesse ospitarla.
Suo padre era morto, vero—l’aveva visto con i suoi occhi—ma sua
madre? Un parente? Un vicino?
La sentì tirare un sospiro tremante, appoggiata a lui. Dandogli
un’occhiata esausta, appallottolò la giacca che Colin si era tolto per
farne un cuscino e si sdraiò sulla panchetta, con le ginocchia strette
al petto, come un bambino piccolo. Meno di un minuto dopo,
respirava lentamente, col ritmo calmo del sonno.
Colin continuava a procedere, scostandole senza accorgersene i
capelli ingarbugliati dal volto, lasciando correre lo sguardo sulla
morbidezza del suo corpo dormiente, allungato sul sedile. Sentì una
sensazione vagamente allarmante entrargli nello stomaco e fermarsi
lì mentre svoltava sulla Lothbury diretto a ovest.
CAPITOLO SEI

“MI STA TOCCANDO.”


Strofinandosi gli occhi secchi, brucianti, Colin diede un’occhiata
alle sue spalle, ai bambini sul bancale del carro.
“Lui mi sta guardando in modo strano.”
Colin strinse i denti e riportò l’attenzione sulla strada, dove
sembrava ci fossero tutti gli abitanti di Londra, e tutti davanti a lui.
Una comoda passeggiata in carrozza da Londra al castello di
Cainewood normalmente durava cinque ore, ma il sole stava
tramontando e dopo sei ore non avevano percorso nemmeno un
quarto della strada.
Avrebbero potuto arrivare più in fretta a piedi, pensò, irritato.
“Non smette di canticchiare.”
“Ahi!”
Doveva trovare un posto dove fermarsi prima che scoppiasse una
guerra. Era un’ora che si fermava a tutte le locande lungo la strada e
mandava Davis a chiedere se c’era posto. Colin stava cominciando
a credere che tutte le stanze del regno fossero occupate.
Quando Davis uscì dall’ultima scuotendo la testa, Colin pensò per
un attimo di passare la notte all’aperto. Ma anche se faceva caldo,
c’era un venticello insistente e tremava al pensiero di cercare di
mettere comodi nove bambini, senza nemmeno una coperta.
Nove bambini e Amy Goldsmith.
Diede un’occhiata al suo volto sudicio. Amethyst Goldsmith—chi
l’avrebbe mai detto? Aveva lasciato il suo negozio due settimane
prima deciso a non tornarci, a non comprare mai più un gioiello, a
non rivederla mai più e invece gli era—letteralmente—caduta tra le
braccia.
Santo cielo, era incredibile! Che cosa aveva fatto per meritarselo?
Amy si era mossa nel sonno e ora la sua testa era appoggiata alla
sua gamba. Era sicuro che sarebbe diventata bordò per l’imbarazzo
se l’avesse saputo. Era così diversa dalle donne della sua cerchia,
ed era qualcosa di più della mancanza di sofisticazione. C’era una
freschezza, un ottimismo in quei chiari occhi innocenti—non violati
dalla guerra civile, dagli anni del Commonwealth, la Restaurazione—
tutte le calamità che avevano giocato un ruolo prominente nella
formazione di Colin e dei suoi conoscenti.
Per la decima volta, si permise di toccarla, ringraziando Dio che
fosse viva. Passò il dorso delle dita sulla linea delicata del mento e
lungo il collo aggraziato, poi fece scorrere il palmo della mano lungo
il braccio. Le sollevò la mano, prendendola delicatamente per il
polso sottile. Quando Amy si mosse, la lasciò andare,
appoggiandola nuovamente sulla curva del fianco.
Mormorando qualcosa di incoerente, Amy piegò un po’ il corpo
sottile poi riprese a dormire. Le lunghe ciglia scure sembravano
mezzelune piumose sulle guance rigate dalle lacrime.
Colin distolse lo sguardo e fissò la strada congestionata. Perché
un tocco innocente lo... turbava tanto? La sua fidanzata, Priscilla,
era la donna perfetta per lui, eppure, quando la toccava—o
addirittura quando faceva l’amore con lei,—non si sentiva mai così.
Era più abituato a Priscilla, decise, più a suo agio. Non avrebbe
dovuto toccare Amy in quel modo—in effetti non avrebbe osato se
fosse stata sveglia. Era il fascino del proibito, ecco tutto.
Inoltre lui non cercava la passione nel matrimonio. L’aveva detto a
sua sorella proprio la sera prima.
Santo cielo, era solo un giorno che la sua famiglia era venuta a
trovarlo a Greystone? Si sentiva lontano secoli dall’uomo
spensierato che aveva fatto quello scherzo. Gli sembrava di non
dormire da settimane.
Si fermò a un’altra locanda e mandò Davis a indagare. Rumori di
una zuffa e un urlo lacerante arrivarono dal carro. Lo stomaco
brontolò rumorosamente e Colin prese una decisione.
Si sarebbero fermati lì. Per mangiare, almeno.
Erano fortunati—più o meno. Davis tornò di corsa a riferire che
c’era posto nella locanda. Una stanza, a essere precisi. Con due
letti. Per undici persone.
Beh, era un tetto, e Colin era incline a pensare che probabilmente
non ci sarebbe stato nient’altro disponibile tra lì e Cainewood.
Mandò Davis a fissare la stanza prima che si fermasse qualcun altro.

AMY MANDÒ GIÙ un boccone di pasticcio di carne con un sorso di


birra, lasciando che il chiacchiericcio ansioso dei bambini la cullasse.
Incastrata sulla panca tra una bambina di cinque anni e un ragazzino
di sei, teneva gli occhi sul piatto evitando di guardare negli occhi
Lord Greystone, seduto dall’altra parte del tavolo.
Non aveva nessuna voglia di parlare—e se avesse potuto
scegliere, non sarebbe nemmeno stata sveglia. Era riuscita a
passare le ultime poche ore nell’oblio, dimenticando il tempo.
Sognando.... mani calde che la accarezzavano... la confortavano.
Ora che era cosciente, si sentiva in colpa per quei sogni, quando il
padre era morto.
Un’improvvisa fitta di dolore per la perdita la sopraffece, e dovette
lottare per tenerla dentro. Non poteva pensarci adesso—era troppo
recente e lei era troppo esausta.
“Pane, Amy?” la voce morbida di Lord Greystone disturbò i suoi
pensieri.
Lentamente, alzò gli occhi su di lui. “No, grazie.”
“Formaggio?”
“Non ho fame, veramente.” Vedeva Lord Greystone che scrutava il
suo pasticcio appena toccato, quindi ci infilò il cucchiaio.
“Dovete mangiare.” La dichiarazione era distaccata, ma la voce
sembrava piena di preoccupazione. “O vi ammalerete.”
Quando Amy lasciò cadere il cucchiaio e abbassò nuovamente gli
occhi, Lord Greystone si schiarì la voce e si alzò. “Porto di sopra i
bambini. Restate per un po’ e finite la cena. Mi aspetterete qui,
vero?”
Amy alzò il mento e annuì.
“Tornerò a prendervi,” le promise e se ne andò, con i bambini in
fila dietro di lui.
Amy giocherellò con il cibo per il quarto d’ora seguente,
spezzando il pasticcio, tenendo maldestramente il cucchiaio nella
mano sinistra. Cercò di mangiare qualche boccone, ma la carne era
diventata fredda e le si fermava in gola, quasi soffocandola. Bevve
ancora un po’ di birra e spinse lontano il piatto; non aveva fame già
in partenza, ma Lord Greystone aveva insistito a metterle davanti il
cibo.
Quando finì la birra, fissò la venatura del legno del tavolo e svuotò
la mente finché, con la coda dell’occhio, vide Lord Greystone che
scendeva le scale.
Si era lavato, si era tirato indietro i capelli, messo la giacca. Era un
po’ strappata, ma l’aveva spazzolata, togliendo la cenere e la
fuliggine. Si intravedeva la camicia grigiastra sotto il davanti
slacciato. Aveva bisogno di rasarsi, ma sembrava forte e maschio—
ed era lì.
Osservandolo mentre andava in cucina attraverso la porta a
spinta, Amy si passò le dita tra i capelli aggrovigliati. Si era tolta lo
sporco dalla faccia prima di mangiare e aveva sciolto la treccia
arruffata, ma non aveva trovato niente per spazzolarsi i capelli. La
loro stanzetta non aveva uno specchio—era sicura di essere un
mostro.
Non che le importasse.
CAPITOLO SETTE

COLIN ARRIVÒ DALLA cucina camminando a ritroso, con due


ciotole piene di liquido in mano, alcune strisce di tessuto
drappeggiate su un braccio e un barattolo di miele incastrato tra il
mento e la spalla.
Appoggiò tutto sul tavolo e si mise cavalcioni sulla panca accanto
ad Amy, indicando il piatto con la testa. “Finito di mangiare?”
“Sì.”
“Posso dare un’occhiata a quella mano? Dovremmo veramente
pulirla.”
“Immagino di sì.” Rispose Amy, porgendogli la mano.
Colin si chiese se sarebbe riuscito a farla uscire da quello stato
quasi catatonico. Doveva decidere che cosa fare con lei, ma non gli
sarebbe stata molto d’aiuto se avesse insistito a rispondergli a
monosillabi.
Le guardò la mano e fece una smorfia. “Ahi!” disse, rabbrividendo
per finta.
“Non è così male.”
“Abbastanza.” Le mise delicatamente la mano in una delle ciotole.
“La lasceremo a mollo per qualche minuto, va bene?”
Le lunghe ciglia nere di Amy si abbassarono mentre guardava la
ciotola. “Che cos’è?”
Colin sorrise distrattamente. “Panna.”
“Panna? Volete dire, dal latte?” Scosse leggermente la testa
facendo scintillare i capelli scuri alla luce tremolante. Le onde
luminose scendevano fino in vita e, durante tutta la cena, Colin non
era riuscito a staccare gli occhi.
“Perché la panna?”
“Uh?” Colin si riscosse. “Buona domanda. Non mettono tutti la
panna sulle bruciature?”
“Credo di no,” ponderò Amy, aggrottando le sopracciglia. Poi il
volto si rilassò. Alzò l’indice della mano sinistra, come per fare una
dichiarazione importante. “Burro. Nella mia famiglia noi mettiamo il
burro sulle scottature.”
“Noi usiamo sempre la panna,” dichiarò Colin, “E il miele. Ho
sentito dire che il burro non va bene.”
“Non è quello che ho sentito io,” disse dubbiosa Amy.
“Beh, come vi sembra?”
Amy fece una pausa, riflettendo, poi chinò la testa di lato. “Un po’
meglio, mi sembra.”
“Visto?” Il sorriso di Colin era trionfante.
Amy restituì il sorriso; il suo era timido e piuttosto triste, ma era
comunque un sorriso. Colin si congratulò con se stesso.
“Dovrebbe bastare.” Amy trasalì quando le prese la mano, ma
Colin finse di non notarlo. Mentre la teneva sopra la ciotola,
osservando i rivoletti di panna che scorrevano via, l’aria tra di loro
era satura di domande non fatte. La mano smise di gocciolare e
Colin la risciacquò nella ciotola con l’acqua.
Amy chiuse gli occhi e Colin la vide rilassarsi, lasciando la mano
molle mentre lui la faceva scorrere nell’acqua, poi la toglieva
voltandola.
“Mmm...” Tamponò delicatamente il palmo con una delle strisce di
tessuto. “Ora è pulita e un po’ meno rossa.” La alzò per fargliela
vedere. “Che ne pensate?”
Amy aprì in fretta gli occhi. “Va bene.”
Ma aveva una smorfia sul volto e più Amy guardava la mano più
Colin la sentiva irrigidirsi. Non che potesse biasimarla. Le vesciche
raggrinzite erano infiammate.
“Dobbiamo asciugarla perfettamente.” Tamponò nuovamente la
mano, cercando di non farle male. “Ecco, ora il miele...” Aprì il
barattolo, affondò il cucchiaio e poi fece sgocciolare la densa
sostanza sul palmo ferito, spalmandola delicatamente con un dito.
Amy restò seduta in silenzio mentre Colin le avvolgeva una
striscia di tessuto pulito intorno alla mano ripiegandone un capo
all’interno e poi si sciacquava le dita nella ciotola.
“Davis sta sorvegliando i piccoli.” Asciugandosi i palmi sui calzoni,
Colin si alzò in piedi. “Vi piacerebbe fare una passeggiata?”
Senza aspettare la sua risposta, le prese il gomito.

LA STRADA DAVANTI alla locanda era rumorosa, piena di un fiume


infinito di gente che scappava da Londra. Un sentiero ben battuto
dietro alla locanda portava alle basse colline, e fu lì che la guidò
Lord Greystone.
Era una notte senza nuvole, il vento ne aveva spazzato ogni
brandello oltre l’orizzonte e Amy riusciva a malapena a intravedere il
suo profilo, scuro alla luce lunare. Aiutata da quelle che sembravano
milioni di stelle, i suoi occhi si adattarono all’oscurità. Quando le
linee del volto di Colin divennero più distinte, Amy decise che i suoi
lineamenti erano così perfetti, così simmetrici, da superare il confine
tra attraente e bello.
Poi, senza preavviso, Colin si fermò e si voltò verso di lei. I suoi
occhi magnetici sembravano bruciare nei suoi, e Amy decise che
forse, dopo tutto, non era bello.
Era troppo intenso per poterlo definire così.
Rigirandosi l’anello d’oro sul dito—l’anello che aveva fatto lei—
Lord Greystone si schiarì la voce e distolse gli occhi.
“Come va la mano?”
“Non troppo male.”
“Siete destra o mancina?”
“Destra.”
“Ci vorrà un po’ prima che possiate scrivere, allora.”
“Immagino di sì,” rispose Amy con una scrollata di spalle.
Lord Greystone sospirò, con le dita di una mano che
tamburellavano sulla coscia. “Amy...”
La voce sembrava seria. Lei non aveva voglia di discutere. Non
ancora, non quella sera. Forse il giorno dopo. Oppure, se Dio era
giusto, forse questo era tutto un orribile sogno e il giorno dopo lei si
sarebbe svegliata a Cheapside.
Prese forza dalla presenza di Lord Greystone, ma desiderava
essere di nuovo nella locanda, seduti fianco a fianco, con boccali e
boccali di birra a stordirla, senza dire niente. Se lui avesse insistito a
parlarle, avrebbe dovuto assicurarsi che la conversazione restasse
fissa su argomenti sicuri.
Quando le dita smisero di tamburellare, Amy respirò in fretta.
“Siete... siete molto bravo con i bambini.”
“Grazie.” Sembrava sollevato. “Quel ragazzo, Davis, è di enorme
aiuto.”
“Perché ...lo state facendo? Aver cura di questi bambini, voglio
dire. È una cosa bella, ma...”
“Ma perché sto portando in giro bambini mentre ogni altro uomo
abile è ancora a Londra, a combattere il fuoco?” Lord Greystone la
condusse a una collinetta, dove aveva visto un antico muretto di
pietre in rovina. Si sedette in un punto basso. “È difficile da credere,
ma ho sempre provato una specie di... simpatia, suppongo si possa
dire, per i bambini perduti o abbandonati. Forse sarei stato più utile
combattendo il fuoco, ma—”
“No, assolutamente.” Amy si sollevò per sedersi sul muro, girando
il volto per guardarlo. “I bambini avevano bisogno di voi. Sono in
migliaia a combattere il fuoco, uno in più non avrebbe fatto
differenza.”
Lord Greystone esitò, poi alzò le spalle. “So come si sentono quei
bambini. Quando ero giovane, i miei genitori mi lasciavano spesso.
La maggior parte del tempo, in effetti. E mi sentivo solo e impaurito,
sempre. Non ero un ragazzo molto coraggioso,” ammise
mestamente.
“Vi lasciavano?” Amy non riusciva nemmeno a concepire una
fanciullezza simile; i suoi genitori non l’avevano mai lasciata
nemmeno per un giorno.
Fino a oggi, si rese conto all’improvviso.
Sentì una breve, forte fitta di dolore, poi la respinse giù, in fondo,
come a rimettere nella scatola il pupazzo a molla di quei nuovi
giocattoli.
Si morse il labbro. Lord Greystone la stava osservando. Finché
avesse continuato a fargli domande, non avrebbe dovuto pensarci.
“Perché... come potevano fare una cosa del genere?”
Colin piegò la testa di lato. “Erano appassionati Realisti. Cavalieri.
Il Re e la nazione venivano per primi. Noi, i miei fratelli e mia sorella
ed io, venivamo talmente dopo da non contare, quasi.”
“Ma... dove vi lasciavano?”
“Oh, con altre famiglie Realiste. Non erano crudeli—non ci
abbandonavano realmente. Ma a un bambino... beh, sembrava che
lo facessero. A me sembrava così, comunque.” Fece una pausa,
rigirando ancora l’anello. “Mio fratello Jason—ha due anni più di me
—vede le cose diversamente. Ma lui era più grande quando è
cominciata la guerra.”
“E vostra sorella?”
“Kendra e il suo gemello, Ford, erano così giovani che non credo
ricordino una vita diversa. Hanno ventidue anni—la vostra età,
credo?”
Amy annuì.” E ora?” Chiese. “Come la pensano adesso? I vostri
genitori, voglio dire. Lo rimpiangono?”
“Sono morti. Alla battaglia di Worcester, quindici anni fa.”
Anche i suoi genitori erano morti, proprio come sua madre e suo
padre. “Oh.” Amy fece per parlare, ma non riuscì a dire nient’altro.
Fraintendendo la sofferenza di Amy per compassione, Lord
Greystone si affrettò a rassicurarla. “Non c’è bisogno di rattristarsi.
Era l’ultimo atto di resistenza di Charles contro Cromwell e i miei
genitori non se lo sarebbero perso per niente al mondo. Allora io ero
un robusto tredicenne, al sicuro con dei Realisti esiliati in Olanda.
Non mi mancavano più tanto, visto che non c’erano comunque mai.”
Sospirò, fissando le colline infinite. “La vostra famiglia era Realista,
Amy? Durante la guerra, voglio dire.”
“No,” rispose lentamente Amy, fermandosi mentre pensava a
come spiegarlo. “Voglio dire, non eravamo nemmeno non-Realisti.
Non eravamo—niente, immagino. Papà ha sempre cercato di
continuare a lavorare, senza tener conto di quello che succedeva.”
Con sua sorpresa, parlare di suo padre scatenò un’ondata di
emozioni. Gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime. “Mi
dispiace,” sussurrò, imbarazzata perché non riusciva a controllarsi.
“Non dovete scusarvi. Che foste o meno Realisti, non vuol dire
niente. A me sembra un’ottima tattica di sopravvivenza.”
Amy non riusciva a rispondere. Aveva la gola chiusa e una lacrima
calda le rotolò sulla guancia, cadendo sulle mani serrate.
“Amy? Dov’è vostra madre?” Indagò Lord Greystone.
Ingoiare il nodo che aveva in gola, Amy rispose con voce
tremante. “È morta. Di peste, l’anno scorso. Si è ammalata e noi
siamo dovuti partire. Siamo andati in Francia ed io non l’ho più
rivista.”
“Mi dispiace,” disse sommessamente Lord Greystone. Si spostò
sul muretto e le mise un braccio sulle spalle. “Mi dispiace
veramente.”
La sua voce era bassa e compassionevole ma Amy non era
pronta ad accettare di essere confortata.
“Io...” le dita di Colin si strinsero sulla spalla. “Non capisco. Vostro
padre, perché è tornato dentro. Quando il negozio era in fiamme.”
Traboccavano lacrime lente, silenziose, non una tempesta come
quando l’aveva trovata. Le bruciavano negli occhi e tracciavano
sentieri bollenti sulle guance. Era così stanca.
“Voleva prendere il ritratto di mia madre.” Si asciugò le lacrime con
il dorso della mano sana.
“Un ritratto?” Riusciva a sentire Lord Greystone accanto a lei, che
scuoteva la testa incredulo.
“Doveva avere quel ritratto. Una miniatura. Passava ore e ore a
fissarla. Forse—forse non voleva veramente vivere senza di lei.”
Disse con un lampo di comprensione che le ferì profondamente il
cuore. “Ora non ho più nessuno. Sono sola.”
Colin saltò giù dal muretto e rimase in piedi davanti a lei,
prendendole il volto tra le mani. “Non siete sola, Amy.”
“Sì—sì. I miei genitori sono morti... la mia casa non c’è più.”
Beh, c’era Robert, le ricordò una vocina in fondo alla mente.
Ma non c’era più nessuno che la obbligasse a sposarlo, adesso.
“Dovete avere una famiglia, da qualche parte?”
“Solo mia zia Elizabeth.” Le parole erano solo un sussurro, che
usciva a fatica dalla gola stretta. “Vive a Parigi. L’anno scorso
quando stavo da lei ero infelice.”
“Vostra madre era appena morta,”, le rammentò gentilmente Colin.
“Sareste stata infelice dovunque.” Con lui in piedi e lei seduta sul
muretto, erano alti uguali. Gli occhi di Colin cercarono quelli grigio
scuro di Amy, l’ametista cancellata dall’oscurità. “Non è tanto male.”
Traboccarono altre lacrime e Amy lo vide aggrottare la fronte.
“Vorrei non essere viva,” sussurrò, abbassando la testa per
sfuggire al suo sguardo penetrante.
Colin le alzò il volto e asciugò le guance umide con i pollici. “Non
ditelo, mai,” le disse con la voce resa burbera dall’emozione. “È bello
essere vivi. Non ditelo mai più.”
Con un gesto violento, Lord Greystone la attirò a sé e la tenne
stretta. Amy sentì la guancia di Colin contro la sua, ruvida di barba
ma calda e vitale. Strofinò quasi impercettibilmente il volto contro il
suo, sentendosi in contatto con qualcuno per la prima volta da che
suo padre era sparito nell’inferno ruggente che una volta era casa
sua.
“Oh cielo,” sussurrò.
Nelle braccia di Colin si sentiva al sicuro, lontana dalla realtà ostile
e avrebbe voluto restare così per sempre. Respirò a fondo il suo
odore, fumo e sano sudore maschile, misto a un leggero residuo di
sapone fragrante. Alzò lentamente le braccia e gliele mise intorno al
collo, con le dita che scivolavano tra i capelli.
Rendendosi vagamente conto che i suoi tentativi di confortarla
stavano avvicinandosi un po’ troppo alla scorrettezza, Colin cercò di
tirarsi indietro. Ma Amy scese dal muretto con lui, scivolando lungo il
suo corpo finché i piedi furono sull’erba, con la testa sotto il suo
mento, il volto premuto contro il petto, le lacrime che inzuppavano la
stoffa.
Dio santo! Nonostante la sua evidente, lancinante tristezza, Colin
non riusciva a fare a meno di pensare quanto fosse piacevole averla
tra le braccia.
Poi smise del tutto di pensare. Quando Amy alzò il volto verso di
lui, la strinse ancora un po’, chinò la testa e appoggiò la bocca sulla
sua.
Il rumore in sottofondo dei viaggiatori che passavano, i grilli sulle
colline, il vento che soffiava... svanì tutto come per magia.
Esistevano solo loro due.
La carezza divenne più intensa e le sue labbra aprirono quelle di
Amy, inviandole un fremito per tutto il corpo. Da qualche parte, in
fondo alla mente, Amy provò meraviglia per le nuove sensazioni,
perché il suo bacio non assomigliava per niente a quelli che aveva
tollerato da Robert.
Era sopraffatta dal modo in cui la bocca di Lord Greystone si era
impadronita della sua. Il suo bacio era come una pozione magica—
faceva sciogliere il suo corpo e offuscare la consapevolezza di sé.
All’improvviso, non ricordava più chi fosse o se avesse qualche
problema.
La lingua di Colin invase la sua bocca cercando la sua, e sapeva
di birra, ma era più dolce, ed era stupefacente e meraviglioso. Si
appoggiò a lui, felice della sensazione del suo corpo duro contro la
propria morbidezza, e le mani di Colin scesero lungo la schiena, poi
giù, sui glutei, e la tirarono ancora più vicina.
Le sfuggì un piccolo suono di piacere.
Che riportò Colin alla realtà. Lasciò cadere le mani e si allontanò
dalla sua bocca. Che cosa stava facendo? Sedurre una ragazza
innocente, approfittare del suo dolore e della sua solitudine, della
sua vulnerabilità, il suo immenso bisogno di sentirsi viva e in contatto
con qualcuno? Non era quel tipo di uomo—si era sempre vantato di
essere freddo e logico, di non essere preda delle emozioni.
E certamente un gentiluomo. Sapeva che c’erano regole diverse
per le donne della classe sociale di Amy rispetto alle dame
promiscue dell’alta società. Era disgustato di se stesso.
Amy lo fissò, stordita, con le ginocchia molli.
“Mi dispiace,” le disse.
Non sembrava Lord Greystone, pensò Amy. La sua voce era roca,
e sembrava dispiaciuto—sembrava addirittura che si vergognasse.
“Vi dispiace?” Ad Amy girava ancora la testa. Lei non era
dispiaciuta, nemmeno un po’. Non aveva mai immaginato che una
persona potesse farla sentire diversa, come se fosse in un posto e in
un tempo differente, e aveva desiderato che quella sensazione
durasse per sempre.
E, a meno che si sbagliasse, anche lui si era sentito così.
Altrimenti non l’avrebbe baciata in quel modo. Oppure sì? Doveva
ammettere di essere ignorante in materia.
“Vi dispiace?” Ripeté.
“Beh, non esattamente,” rispose Colin con quella strana voce
roca, annaspando per trovare le parole. “È solo che... non avrei
dovuto farlo... approfittarmi in quel modo. Non che non lo volessi—
oh, santo cielo!” Fece un passo verso di lei mettendole le mani sulle
spalle e tenendola a distanza di braccio, chiaramente esasperato.
“Siete una giovane donna di buona famiglia ed io ho la
responsabilità di mandarvi da vostra zia nelle stesse condizioni in cui
vi ho trovato.”
Il giorno prima Amy sarebbe stata d’accordo con lui. Ma quel
giorno, sola al mondo e dopo aver assaggiato la sensazione di stare
tra le sue braccia, non era sicura di niente.
“Milord—”
“Colin,” la interruppe, con l’ironia nella voce. “Una volta che avete
avuto la lingua di un uomo nella vostra bocca, potete chiamarlo con
il suo nome di battesimo.”
Amy arrossì furiosamente, lieta della protezione dell’oscurità. Ma
si ripeté mentalmente il nome. Colin. Non aveva mai chiamato un
nobiluomo con il suo nome di battesimo e avrebbe dovuto suonare
sbagliato. Ma ora pensava Colin, e la faceva sentire calda
dappertutto.
“E se stavate per dirmi che non era importante,” continuò Colin, “vi
sbagliate. È molto importante.”
“Ma—”
“Niente ma, Amy. È tardi e siamo entrambi stanchi. Abbiamo
davanti a noi un lungo viaggio fino a Cainewood, domani mattina.
Andiamo a dormire un po’.”
Le prese la mano sana e la tirò verso la locanda. Amy lo seguì
riluttante. Non c’era modo di discutere con lui, sembrava.
La mano le sembrava fremere, annidata in quella di Colin. Lei e
Robert si erano tenuti per mano e lei non aveva mai provato niente,
niente del tutto. Anche con la sua limitata esperienza, sapeva che la
sensazione che provava non poteva essere normale.
Era lo stesso anche per lui?
CAPITOLO OTTO

ERA COSÌ.
Colin aveva una vasta esperienza e sapeva che non era normale,
nemmeno un po’. Ma era assurdo. Lui era fidanzato e Amy era una
cittadina comune, una donna che, da quel mattino, non possedeva
più niente.
Era stanco, ecco che cos’era. Era molto, molto stanco.
Se gli sembrava che il corpo stesse vibrando era solo perché era
stanco.
Dopo una buona notte di sonno si sarebbe sentito diversamente.
Sarebbe stato di nuovo se stesso, sotto controllo. Sarebbero andati
a Cainewood, avrebbero aspettato un paio di giorni finché le strade
fossero state sgombre, poi l’avrebbe portata a Dover e le avrebbe
pagato il viaggio attraverso la Manica. Non si sarebbero più rivisti.
Il suo orgoglio sarebbe rimasto intatto, per non parlare della
verginità di Amy.
Tornarono alla locanda e salirono stancamente le scale, per
trovare quattro piccoli corpi ammucchiati su ciascuno dei due letti, di
traverso, con Davis acciambellato nell’unica sedia, che russava
piano.
Colin rimase a bocca aperta.
“Che cosa vi aspettavate?” Sussurrò Amy. “Che si sdraiassero sul
pavimento e lasciassero a noi i letti? Direi che si sono sistemati
piuttosto bene.”
“Pensavo che avrebbero lasciato un po’ di ciascun letto a noi,” si
lamentò Colin a voce alta. “Diavoletti egoisti, vero?”
“Ssst, li sveglierete.”
“Mi piacerebbe che si svegliassero, così potrei risistemarli. Ma non
siete pratica di bambini, vero? Non li sveglierebbe nemmeno un
colpo di cannone.”
Nonostante il fatto evidente che i bambini continuavano a dormire,
Amy non riuscì a parlare a voce alta. “Non ho fratelli o sorelle, come
faccio a sapere come dormono i bambini?”
“Vado di sotto a prendere qualche coperta in più,” disse Colin,
facendo retromarcia.
Si fermò un attimo prima di sbattere la porta dietro di sé. Amy si
lasciò cadere contro la parete, chiedendosi che cosa gli aveva fatto
cambiare umore così di colpo.
Scivolò sul pavimento e aspettò, con le ginocchia tirate contro il
petto. Da sola, il dolore cominciò a tornare. Non voleva pensarci.
Avrebbe pensato al bacio...
Sentiva le labbra bruciare al ricordo.
Poi Colin tornò, con due coperte lise in mano. “È stato come
negoziare un trattato,” dichiarò, “E mi sono costate un bel po’.
Scommetterei che sono le loro coperte personali.” Le annusò
sospettoso. “Puzzano come lei.”
Amy arricciò il naso, ricordando la robusta moglie del locandiere, il
suo viso arrossato e i capelli unti.
Colin fece per passarle la coperta più piccola, poi guardò Davis,
sulla sedia e senza coperta.
“Diavolo,” borbottò tra sé e sé.
Non c’era niente da fare, avrebbe dovuto dividere la coperta con
Amy. Perché? Che cosa aveva fatto di male per meritarsi questa
tentazione?
Coprì Davis e gli rimboccò delicatamente intorno la coperta.
“Mi dispiace,” stese l’altra coperta sul pavimento e si sedette per
togliersi gli stivali. “È come temevo.”
“Come temevate?”
“Dovremo dividerci questa coperta,” le spiegò, irritato.
“È per quello che siete seccato?” Il volto di Amy aveva perso un
po’ della sua rigidità. “Gli estranei dormono spesso insieme quando
le locande sono piene. Ovviamente, di solito hanno un letto,” rifletté.
“E generalmente sono dello stesso sesso,” disse Colin,
enfaticamente.
“Oh.”
“Sì, beh, venite, allora, toglietevi le scarpe.” Colin si tolse la giacca
e la arrotolò per farne un cuscino. “Se sono come tutti gli altri, questi
bambini si sveglieranno all’alba.” E si sdraiò. Amy si tolse
lentamente le scarpe, poi lo raggiunse, sdraiandosi sull’orlo della
coperta e si sistemò su un fianco, lasciando attentamente un po’ di
spazio tra di loro. Colin ripiegò l’altra metà della coperta su di loro.
Le lacrime di Amy erano silenziose, ma Colin sentì la coperta che
tirava leggermente quando le sue spalle cominciarono a scuotersi.
“Dannazione,” mormorò sottovoce. Si voltò verso di lei e si sistemò
contro la sua schiena, come due cucchiai in un cassetto.
“Ssst,” sussurrò, anche se Amy non faceva nessun rumore. “Ssst,
va tutto bene. Ci sono qua io.”
Era perfetta contro di lui.
Le lacrime di Amy si fermarono e allungò una mano per prendere
quella di Colin e sistemarsela intorno alla vita. Rabbrividì ancora una
volta e poi restò ferma.
Tutto il corpo di Colin era duro come il marmo.
Il suo ultimo pensiero cosciente fu che Amy era fortunata che lui
fosse così esausto.
Dannatamente fortunata.

AMY SEGUIVA SVOGLIATAMENTE Colin che stava spingendo i


bambini verso il carro. Si appoggiò a una fiancata e li guardò
arrampicarsi dietro, chiedendosi dove avrebbe trovato l’energia per
arrampicarsi anche lei. Le sembrava di non aver dormito nemmeno
un attimo quella notte; eccetto qualche sonnellino lunedì mattina e il
sonnecchiare irrequieto nel carro in movimento il giorno prima, era
sveglia da quasi tre giorni.
“Teneteli d’occhio, per favore,” le chiese Colin.
Amy annuì, guardando la sua larga schiena e il passo sicuro
mentre tornava nella locanda. Grazie al cielo c’era lui...
Chiudendo gli occhi, scosse la testa nel vano tentativo di
schiarirsela. Doveva pensare, fare un programma. Anche se era più
facile lasciare che fosse lui a prendersi cura di lei, non poteva far
affidamento su Colin. Era un conforto troppo invitante, ma illusorio.
Per lui, lei non significava niente.
I suoi pensieri riandarono alla notte appena passata. Come aveva
potuto chiedergli di lui e del suo passato come se tutto fosse
normale, come se suo padre non fosse appena morto? E, buon Dio
del cielo, lo aveva veramente baciato? Non meritava di essere felice,
mai più.
Aprì gli occhi vedendo Colin che tornava, con il suo baule in bilico
su una spalla, che borbottava.
“Che diavolo c’è qui dentro?” Lo appoggiò sulle assi del carro con
un tonfo sordo.
“Tutto quello che possiedo,” gli rispose Amy con un sussurro rotto,
lo sguardo fisso sulle assicelle di legno, le cinghie di cuoio, le finiture
di ottone.
Buon Dio, dentro c’era il lavoro di una vita di suo padre.
Colin spinse il baule sotto la panca, con un orribile rumore
raschiante. Di colpo, le si chiuse la gola e le sembrò di non riuscire
più a respirare. Il dolore sembrava lievitare dentro di lei. Sentì un
peso sullo stomaco, un pugno chiuso intorno al cuore. Gli occhi si
riempirono di lacrime bollenti, accecanti.
Stava crescendo e minacciava di travolgerla e questa volta non
riuscì a fermarlo.
Barcollò verso la panca ma non riuscì a sedersi diritta, quindi si
lasciò cadere sulle assi e si coprì il volto con le mani. Poi lo lasciò
crescere e uscire, il dolore e le lacrime e i grandi, laceranti
singhiozzi.
Respirava a fatica, grandi sorsate isteriche. Colin le accarezzò i
capelli, ma Amy gli allontanò la mano, pur sapendo che avrebbe
potuto ferire i suoi sentimenti. I bambini erano silenziosi; riusciva a
sentire i loro sguardi impietositi. Non le importava. Suo padre era
morto. Non lo avrebbe mai più visto, mai più toccato, mai più sentito
la sua voce.
Il movimento del carro la fece barcollare, ma le lacrime non
volevano fermarsi. Senza parlare, Colin le ficcò in mano un
fazzoletto. Dopo un momento era fradicio e stropicciato.
Il mondo si ritirò lasciando solo una miserabile massa di dolore.
Suo padre era morto; la sua casa non c’era più; non aveva nessun
parente vicino, nessun parente, eccetto una zia in un paese
straniero.
Era colpa di suo padre. Quando era tornato nella casa in fiamme,
le aveva tolto sia un padre sia la sua vita.
Dannazione a lui, pensò. Che sia dannato!
Mettendosi seduta di colpo, ansimò e si coprì la bocca come se
avesse detto le parole a voce alta.
Sentì lo sguardo di Colin, la sua compassione, ma non serviva.
Quando Colin le tolse la mano dalla bocca e intrecciò le dita con le
sue, Amy si sollevò sulla panca e si appoggiò a lui, chiudendo gli
occhi. Le lacrime scendevano lente, disegnando nuovi percorsi sulle
guance arrossate. La testa le pulsava; gli occhi bruciavano, caldi e
gonfi. Ma nessun dolore fisico poteva paragonarsi all’angoscia che
aveva dentro.
Aveva augurato a suo padre di andare all’inferno e, per un
secondo, era quello che aveva veramente voluto.
CAPITOLO NOVE

IN PIEDI DI FIANCO al vagone, con una mano possessiva sopra il


suo baule, Amy guardava stordita Lady Kendra che prendeva per
mano due bambini e li portava verso l’enorme portone di Cainewood.
Il viale di ghiaietto scricchiolava sotto i suoi piedi. “Non riesco a
crederci, Colin.” Lady Kendra si voltò sui gradini per contare i piccoli.
“Nove bambini! Deve essere stata una bella faticata.”
Si fermò sulla soglia, squadrando pensierosa Amy. “Anche se
sembra che ti abbiano aiutato.”
Colin non reagì, ma Amy gli rivolse uno sguardo colpevole e si
morse il labbro, sapendo che era stata tutt’altro che di aiuto. Non era
stata nemmeno una compagnia decente. Avevano viaggiato per
buona parte della giornata e lei non aveva pronunciato due parole in
croce.
Ma non aveva tempo di pensare a sé, non con il castello di
Cainewood davanti a sé in tutto il suo antico splendore.
Gli alloggi formavano una U intorno al prato ben curato della corte
interna. Guardò in alto, e poi ancora più su: quattro piani.
“Novantotto stanze,” disse Colin avvicinandosi, come se le avesse
letto nella mente. “La maggior parte è chiusa. Jason ha anni di
restauri davanti a sé.” Indicò i segni delle cannonate sulle alte mura
merlate. “Cromwell ha saccheggiato due volte questo posto.”
Oltre il liscio prato verde della corte interna, si innalzava
maestosamente una torre, rovinata dal tempo. “Il torrione originale,”
spiegò Colin. “Credo che risalga al 1138. Cainewood appartiene alla
mia famiglia, eccetto il periodo del Commonwealth, dal 1243.”
“Oh...” Sorpresa, Amy si voltò a fissare i lineamenti fieri all’ombra
della cortina di mura merlate. Un’enorme cortina di mura. A parte il
palazzo di Whitehall, era la struttura più grande che Amy avesse mai
visto.
E la sua famiglia viveva qui...
L’idea stessa era impressionante. Quasi inconcepibile. Nel suo
negozio e poi alla locanda, Colin era sembrato quasi una persona
normale.
Colin si spostò, a disagio, sotto il suo sguardo fisso e Amy distolse
gli occhi, imbarazzata.
Poi indicò di nuovo. “Oltre il torrione, quella è la lizza, è il campo
dove si svolgevano le giostre e tornei. Inutilizzato da secoli. Jason
non si preoccupa di tenerlo in ordine.” Il suo gesto indicava la
vegetazione, inselvatichita e alta fino alle caviglie.
Però, un campo per i tornei... Amy riusciva a immaginare gli
antichi Cavalieri, su cavalli lucenti, che giostravano, con le lance
tenute alte. Stava leggendo un libro di storia medievale—e lo aveva
lasciato sul comodino. Doveva essere bruciato—
“Venite, Amy.” La sua voce morbida la distolse da quei pensieri.
“So che siete stanca. Venite dentro e potrete riposare.”
Accompagnò gli ultimi bambini sulle scale e le indicò di seguirli
attraverso il massiccio portone. Il sole stava calando e Amy si
aspettava che l’entrata sarebbe stata quasi buia. Ma c’era un
candeliere che pendeva dal soffitto a volta, fiammeggiante di
candele che riempivano di luce la stanza di pietra chiara.
In soggezione, Amy si mosse verso le snelle colonne che
marciavano appaiate lungo il centro della sala alta tre piani. In fondo
c’era un’elaborata scalinata di pietra. A intervalli lungo il parapetto di
marmo grigio, bestie araldiche scolpite che tenevano degli scudi che
mostravano riquadri diversi del...
“Il blasone della famiglia Chase,” disse piano Amy.
“Come avete...?” Colin appoggiò il baule, guardandola stupito.
“Oh, avete inciso quei simboli sui lati del mio anello.”
Amy sorrise tra sé, ammirando i forzieri di ferro appoggiati alle
pareti di pietra, alternati a pesanti sedie scolpite di legno di noce. Gli
arazzi arricchivano e addolcivano l’effetto.
“È impressionante, vero?” Colin si schiarì la gola. “Noi, uh, una
volta eravamo piuttosto ricchi,” disse, imbarazzato. “Prima della
guerra, cioè.”
Amy guardò la balconata che percorreva tutta la larghezza della
sala. “Non ho mai visto niente del genere,” ammise. “È magnifico. La
lavorazione...”
“La mia casa, Greystone, non è niente del genere, ve lo assicuro.”
Amy non rispose. Principalmente perché il suo sguardo era
tornato in fondo alle scale e si era posato su Lady Kendra. Dalla
cima della testa perfettamente acconciata, con i riccioli rosso scuro
allargati ai lati con l’aiuto del filo di ferro, alle scarpine imbottite che
spuntavano dalla sottana di satin verde menta, Lady Kendra era
l’immagine della perfezione.
Amy si guardò, mortificata. Le sue sottane stropicciate, macchiate
di fumo erano state color lavanda lunedì, ma ora sembravano
decisamente grigie. Poteva solo immaginare come sembrassero la
sua faccia e i capelli, sporchi e in disordine. Avrebbe voluto
sprofondare nel pavimento.
“Kendra, ricorderai la signora Amethyst Goldsmith?” A quelle
parole Amy fece un sorrisino. Solo le prostitute e le ragazze pre-
adolescenti erano chiamate ‘signorina’, e alla luce del suo
comportamento della sera prima, si riteneva fortunata che Colin non
la considerasse in nessuno dei due modi.
Lady Kendra aggrottò leggermente la fronte. “Non sono sicura...”
“Hai incontrato la signora Goldsmith il mese scorso a Londra,” le
ricordò Colin. “È lei che ha creato il tuo medaglione.”
“Oh, certo!” il volto di Lady Kendra si illuminò al ricordo. Scrutò
Amy più attentamente, poi sorrise. “È che non mi aspettavo di
vedervi qui.”
Pensando che era più probabile che la sorella di Colin non
l’avesse riconosciuta sotto tutta quella sporcizia, Amy la prese
immediatamente in simpatia. “Siamo in due, Lady Kendra.
Nemmeno io mi aspettavo di venire qua.”
La risata di Lady Kendra risuonò allegra per tutta la sala.
“Immagino proprio di no,” ammise. “E, per favore, chiamatemi
Kendra—solo Kendra. Posso chiamarvi Amethyst, vero?”
“I miei amici mi chiamano Amy,” rispose Amy speranzosa. Aveva
terribilmente bisogno di amici.
“Amy, allora. Immagino che vi piacerebbe fare un bagno?”
“Oh, sì,” sospirò Amy, grata.
“E qualcosa da mangiare,” intervenne Colin. “Non mangia da due
giorni,” spiegò a Kendra.
Amy scosse leggermente la testa. Non era sicura che sarebbe
riuscita a mangiare. “Veramente, voglio solo dormire.”
“Cioccolata calda, allora,” insistette Colin.
Amy annuì, accettando.
“Con un po’ di brandy,” aggiunse Colin deciso. “E della zuppa.”
Amy sospirò. “Forse un po’ di zuppa. La cioccolata sembra una
buona idea.”
Il brandy sembrava una buona idea. Il brandy e il letto. Era pronta
a scommettere che i letti, lì, sarebbero stati morbidi e comodi.
“Bene, salite, allora.” Colin indicò le scale. “Tutti quanti, in effetti,”
dichiarò, alzando la voce e avvicinandosi a grandi passi ai bambini
ammucchiati in fondo alla sala, che sussurravano tra di loro. “Un
bagno per tutti, come prima cosa. Poi la cena, poi a letto.
Si sentirono dei lamenti, a quell’annuncio. “Non potremmo solo
lavarci un po’?” Davis parlò per tutto il gruppo. “Non dovremo fare
proprio un bagno, vero?”
Mentre saliva le scale, Amy sorrideva tra sé. Sapeva che a casa,
Davis probabilmente faceva due bagni l’anno, se mai li faceva. La
pulizia era considerata un invito alle infezioni.
“Oh, sì, invece,” dichiarò fermamente Colin. “Kendra, due per
volta. E acqua calda pulita per ogni bagno.”
Dietro di lei, Amy sentì i mormorii sorpresi dei bambini. Un uso
così generoso dell’acqua era inaudito nella City. Incontrò lo sguardo
divertito di Kendra, poi vide il volto della sua nuova amica assumere
un’espressione fintamente seria.
“Avverti la cuoca di preparare la cena—abbondante,” disse,
guardando la testa scura di suo fratello. “Poi, per l’amor del cielo,
vieni su e dammi una mano. Non mi sonoofferta io di fare la
bambinaia.”
CAPITOLO DIECI

“LE SCUDERIE ERANO laggiù,” disse Colin, indicando una


direzione attraverso la finestra senza vetri dell’antico torrione.
I bambini, raccolti intorno a lui, allungavano il collo per guardare
fuori. Sentì tirare la gamba dei calzoni e guardò in basso. Il sole di
mezzogiorno entrava nella vecchia torre senza il tetto e danzava
sulla chioma rossa riccioluta del ragazzino.
Il ragazzino piegò la testa di lato. “C’erano i cavalli e le carrozze?”
Colin sorrise: “No, in quell’edificio il signore teneva i suoi falchi. Le
scuderie sono state distrutte dai Roundhead durante l’assedio del
1643.”
“È quando hanno fatto i buchi nel pavimento?” Chiese un altro
ragazzo.
“Proprio così,” rispose Colin al bambino, un robusto ragazzetto
con le guance come mele. “Ma lo rende ancora più divertente per
giocare a nascondino e per fare le cacce al tesoro, no?”
Il ragazzo e Colin si scambiarono un sorriso, poi il ragazzino
ridivenne serio. “Quando possiamo tornare a casa?”
“Sì, quando?” Gli fece eco un altro.
“Oggi?” Gli occhi azzurri della ragazzina più piccola sembravano
così speranzosi nel suo visino angelico.
Gli piangeva il cuore per tutti loro. Colin le tolse un ricciolo dalla
fronte. “Non oggi, Mary, ma presto, spero.” Quando un silenzio pieno
di delusione sembrò permeare le pareti di pietra, Colin sospirò,
rigirando l’anello. “Molto presto.”
“Vivevate in questo torrione quando eravate un ragazzo?”
Colin ridacchiò, guardando gli occhi castani della ragazzina che
aveva fatto la domanda. “Santo cielo no—quanti anni credi che
abbia?” Quando la ragazzina arrossì, Colin le arruffò i lisci capelli
color lino. “Nessuno vive qui da secoli. L’edificio è aperto alle
intemperie da prima che io nascessi. Vi piacerebbe vedere il
cammino di ronda?”
Il suono di qualcuno che si schiariva la voce risuonò dalla porta.
Colin si voltò, sorpreso.
“È ora di cena,” annunciò Kendra.
Colin la guardò aggrottando la fronte. “Da quanto sei qui?”
“Vogliamo un’altra storia,” Chiese la vocina di un biondino. Il
fratellino di Davis, se non ricordava male. Dopo una notte di sonno e
senza tutta la cenere e la fuliggine sembrava un bambino diverso.
“Quella non era una storia inventata,” disse al ragazzo, poi guardò
Kendra. “Stavo solo spiegando un po’ di storia.”
“Adesso è ora di mangiare,” disse fermamente Kendra. “Lord
Greystone vi racconterà un’altra storia più tardi.”
“Davvero?”
“Sì, esatto.” Kendra rivolse un sorriso malizioso a Colin. “Tu li hai
portati qui, tu sei responsabile per il loro intrattenimento. Devi loro
una storia prima di dormire, almeno.” Fece un cenno ai bambini.
“Venite, dovete lavarvi prima di mangiare.”
“Ma ho promesso di mostrare loro il cammino di ronda,” protestò
Colin.
“Oh, va bene, ma in fretta. Sai come diventa di cattivo umore la
cuoca quando i suoi manicaretti diventano freddi.”
Colin richiamò i ragazzi, conducendoli poi nella tromba delle scale
e giù per gli stretti gradini verso un passaggio a volta. I bambini
corsero fuori, lungo la sommità delle mura merlate, gridando
entusiasti.
“Non andate troppo lontani, e state attenti,” gridò loro Colin.
“Testa di legno,” lo rimproverò Kendra. “Quando mai hai visto un
bambino stare attento?”
“Mai,” ammise Colin, con un sorrisetto impacciato.
Si voltarono entrambi a guardare fuori. Appoggiando le braccia sul
cornicione, guardarono oltre il fiume Caine e i campi e i boschi vicini.
Come la maggior parte dei castelli medievali, il torrione di
Cainewood era stato costruito su un enorme cumulo di terra. Dal
cammino di ronda si poteva vedere per miglia in tutte le direzioni.
“Sei stato meraviglioso con i bambini,” disse Kendra a bassa voce.
“Ricordo quando giocavo nel torrione—era così divertente. Volevo
solo farlo rivivere un po’ per loro.”
Kendra sospirò malinconica. “Io non ho mai potuto giocare nel
torrione.” La guerra era cominciata prima che lei nascesse ed
essendo ben conosciuta come Realista, la sua famiglia si era
trasferita in alloggi meno riconoscibili. Tristemente, anche quello alla
fine non aveva impedito a Cromwell di sfogare la sua collera sulla
loro casa.
“Lo so, Kendra.” Colin mise una mano su quella di Kendra, sopra
la sommità dell’antico muro. C’era pace lì. I giorni della guerra erano
finiti da tempo, grazie a Dio.
“Come sta Amy?” Chiese all’improvviso Kendra.
“Sta ancora dormendo. Sedici ore.”
“Era esausta.” Kendra gli diede un’occhiata di sbieco. “Ti ho visto
scuoterla mentre passavo davanti alla sua stanza.”
“Senza successo. Si svegliava al massimo per qualche secondo,
poi ripiombava nel sonno.” Scrollò le spalle. “Pensavo volesse
mangiare qualcosa. Ha mangiato solo un paio di cucchiai di brodo,
anche se la tazza della cioccolata era vuota.”
“E la mano?”
“Vesciche, ma non si vedono le strie rosse di un’infezione.
Ringraziamo Dio almeno per questo. Avere a che fare con un ospite
in lutto è già abbastanza—non mi sento all’altezza di avere a che
fare con qualcuno con la febbre.” Fissò in lontananza. “Le ho
cambiato le bende, ho applicato del miele fresco. Credo che guarirà
senza conseguenze.”
Kendra esitò. “Ti piace, vero?”
“È una ragazza piena di talento,” rispose cautamente Colin,
tenendo gli occhi fissi su un campo lontano.
“Voglio dire che ti piace veramente. Sei attratto da lei.”
“No, non è vero.”
Kendra sbuffò poco signorilmente. “Ricordo quel giorno nel suo
negozio. E ho visto il modo in cui parli di lei, in cui la guardi, come te
ne prendi cura. E l’hai messa nella Stanza d’Oro.” La splendida
stanza era normalmente riservata agli ospiti d’onore. “Colin...”
“Sono fidanzato,” dichiarò in tono fermo.
“Ma—”
“Niente ma, Kendra. Io—”
“Ti odio quando lo dici!”
Colin la fissò cupo. “Come stavo per dire, so che non ti piace
Priscilla, ma ho intenzione di sposarla. E sventolarmi davanti una
cittadina comune senza un soldo, per quanto attraente sia, non
cambierà la situazione.”
“Ma perché? Ti ho visto con Priscilla—non la ami, si capisce.”
“Non ho bisogno di amarla, te l’ho già detto. È ricca, è carina, è—”
“Gelida.”
Colin la ignorò, “—titolata—”
“Come se ci importasse di queste cose. Noi siamo titolati e che
cosa ci ha portato? Niente. Eravamo dei poveracci sul Continente,
trascinati da Parigi a Colonia, a Bruxelles, Bruges e Anversa—
dovunque vagabondasse Re Charles. Non avevamo una casa,
nessuno cui importasse veramente di noi. Sono le persone che
contano. I titoli sono inutili.”
“Ah, ma è qui che ti sbagli. Quel titolo ci ha dato da mangiare, ci
ha permesso di seguire la corte, li ha obbligati a tenerci con loro. Era
tutto quello che avevamo, l’unica cosa di valore che ci hanno dato i
nostri genitori. I miei figli non avranno niente di meno—e molto di
più.”
“Sei un Conte, per l’amor del cielo. Senza la guerra e la
restaurazione potrei capire. Come secondogenito, se non ti sposassi
bene dovresti vivere della generosità di Jason, o comprare una
commissione nell’esercito, o scegliere la Chiesa.”
Fu la volta di Colin di sbuffare. “Non quello, te lo garantisco.
Vedrai un Chase sul pulpito il giorno in cui il diavolo si stabilirà in
paradiso.”
“Su questo hai ragione,” ammise Kendra con un sorriso. “Va bene.
Ma Charles era in debito con i nostri genitori, e ti ha concesso il
titolo. I tuoi figli lo erediteranno. Non hai bisogno di sposare un
titolo.”
Colin strinse i denti, poi parlò in tono fermo. “Loro avranno un titolo
da entrambe le parti, non conosceranno un solo giorno di
insicurezza.”
“Che mucchio di scempiaggini! Lo stai usando come scusa per
evitare di voler bene a qualcuno—qualcuno come quell’adorabile
ragazza addormentata nella stanza degli ospiti. È quello che c’è
dentro che conta—ai Chase non interessano i titoli.”
“A questo Chase sì.”
Con le guance arrossate, Kendra batté un piede. “Oh, sei talmente
testardo!”
“Non più di te, sorellina. È un tratto di famiglia.”
“Pfui!” Kendra incrociò le braccia e si voltò, guardando verso
l’esterno.
“Pfui!” Colin fece lo stesso gesto, scimmiottandola.
Kendra scoppiò a ridere.
Ma Colin era già distratto. “Santo cielo!” esclamò. “Non riesco a
credere di non essermene accorto prima.”
Kendra strinse gli occhi, cercando qualcosa degno di nota. “Che
c’è? Non vedo niente.”
“Esattamente. È Londra, che non brucia.”
E anche se sopra Londra aleggiava ancora una nuvola di fumo
nero, sembrava si stesse alzando, e sotto non c’erano più fiamme
visibili.
“Oh!” La voce di Kendra salì di un’ottava per la felicità. “Ford e
Jason stanno già venendo a casa, ci scommetto.”
“Ed io posso riportare i bambini a Londra come prima cosa domani
mattina. Speriamo solo che non sia troppo difficile localizzare le loro
famiglie.”
“E Amy? Riporterai anche lei a Londra?”
“Ovvio.” Sbottò.
Si sentì sollevato quando Kendra non fece commenti sulla sua
irritazione. “Vieni,” disse Kendra, “è ora di cena. Possiamo dare la
bella notizia ai bambini.”
Colin fece strada scendendo dalla torre. Una volta nella corte
interna, i bambini corsero avanti, facendo rumorosamente a gara a
chi arrivava per primo all’entrata.
Attraversando il prato con passo più tranquillo accanto a Kendra,
le cui scarpine alla moda a tacco alto non incoraggiavano la corsa,
Colin si fermò di colpo.
“E adesso, come diavolo faccio a trovare una storia, me lo dici?
Nessuno ha mai trovato il tempo di raccontare a me le fiabe quando
ero piccolo, te lo garantisco.”
“Oh, penserai a qualcosa,” Kendra gli rivolse un sorriso radioso.
“Io ho una fiducia completa e totale in te, Colin Chase.” Poi scappò
attraverso il prato.
CAPITOLO UNDICI

COLIN ASSICURÒ GENTILMENTE la benda e appoggiò la mano di


Amy sulla trapunta. Sembrava piccola e delicata appoggiata lì, con
tutto il resto di lei sepolto sotto le coperte. Aveva saltato il pranzo e
ora la cena... si guardò alle spalle, nel caso sua sorella lo stesse
osservando, poi, sentendosi stupido, scosse nuovamente la spalla di
Amy.
Niente.
Le appoggiò la mano sulla fronte. Ancora fresca, e dal lento
abbassarsi e alzarsi del suo petto si vedeva che stava respirando.
Appoggiò due dita sul collo per controllare il polso. Forte e regolare.
Le accarezzò la guancia con le nocche, poi aprì l’orologio da
taschino. I ragazzi stavano aspettando quella dannata storia che lui
—no, Kendra—aveva promesso. Una storia, poi, la mattina
seguente, li avrebbe riportati a Londra. Certo Amy sarebbe stata
sveglia.
Ed entro domani sera la sua vita sarebbe tornata alla normalità.
Sospirando, diede un’ultima lunga occhiata ad Amy, poi uscì in
corridoio. La porta si chiuse alle sue spalle con un leggero clic e
Colin andò nella sala di soggiorno.
I ragazzi lo aspettavano sul tappeto nero e salmone, seduti con la
schiena rivolta al fuoco. Stanchi dopo il parapiglia dei due giorni
appena passati, le pance piene del buon cibo della cuoca, lo
guardarono entrare con le palpebre che si stavano già abbassando.
Il loro chiacchiericcio morì appena Colin si sedette di fronte a loro
in una delle poltrone di velluto color salmone. Kendra era seduta
dall’altro lato, in una poltrona gemella, con la testa china sul suo
ricamo.
Il castello era freddo e pieno di correnti d’aria la sera. Kendra si
avvicinò un po’ di più al fuoco e infilò l’ago nel tessuto. Colin trovava
divertente vederla impegnata in un’attività così femminile. Non era
proprio nel suo carattere, ma immaginò che Kendra ritenesse il
ricamo un’occupazione adatta a una dama che trascorreva la serata
circondata da bambini.
Sperava che si infilzasse l’ago nel dito.
I bambini si agitarono impazienti. “Milord, che storia sentiremo
stasera?” Chiese Davis.
Colin alzò gli occhi al soffitto intagliato, ma dall’alto non arrivava
nessun aiuto. I ritratti dei suoi antenati lo guardavano dalle pareti
della stanza, aspettando che si dimostrasse un buon intrattenitore di
bambini.
Quando lo sguardo gli cadde sul ritratto appena commissionato
del suo Re, arrivò l’ispirazione. “Questa sera, ascolterete la storia
della Quercia Reale,” annunciò.
I ragazzi si spostarono in avanti, ansiosi di ascoltarlo. Kendra alzò
gli occhi congratulandosi con un sorriso.
“Dopo la battaglia di Worcester,” cominciò Colin, “il nostro Re,
Charles II, sopportò molte avversità mentre fuggiva dai suoi nemici.”
“Voi c’eravate?” Lo interruppe il fratellino di Davis.
“No, avevo solo tredici anni allora. Ma mia madre e mio padre
erano là.”
Colin non ritenne necessario dire loro che erano entrambi morti in
quella battaglia. Erano già abbastanza preoccupati per i loro stessi
genitori.
“Per quasi sei settimane, Re Charles si nascose, cercando di
scappare,” continuò. “A volte si nascondeva con persone di alto
rango e a volte con quelle di basso rango. Era stato dichiarato un
fuorilegge, vedete, e gli davano la caccia per ucciderlo. Ma il popolo
lo vedeva ancora come il suo legittimo sovrano e rischiava
volontariamente la vita per salvarlo.”
“Davano la caccia al nostro Re?” La ragazzina con i capelli color
lino sembrava dubbiosa. “Per davvero?”
“Sì, certamente. Cromwell lo voleva proprio eliminare.” Quando la
ragazza annuì, Colin continuò. “Charles cavalcò in tutta fretta,
allontanandosi dalla scena della sua sconfitta, in compagnia di pochi
fedeli amici. Ogni volta che arrivavano a portata d’orecchi di
qualcuno parlavano in francese, per evitare di essere scoperti. I suoi
amici lo portarono a una fattoria sperduta dove vivevano cinque
fratelli, di nome Penderel. C’era la pena di morte per chiunque
osasse nascondere il Re, e avevano offerto una grossa ricompensa
a chiunque lo avesse tradito, ma a questi onesti contadini non
interessavano né le minacce né la ricompensa.”
“Quant’era la ricompensa?” Chiese Davis.
“Mille sterline.”
“Mille sterline?” Davis sgranò gli occhi. “Siete sicuro?” Mille
sterline erano una cifra enorme in assoluto, più di quello che un
operaio poteva guadagnare in tutta la sua vita.
“Ne sono certo,” gli assicurò Colin. “Charles si tagliò i suoi famosi
riccioli neri di modo che nessuno potesse riconoscerlo. I Penderel lo
vestirono come loro, con i vestiti che appartenevano al più alto dei
fratelli perché il Re è alto quasi un metro e novanta.”
“Come voi?” Chiese la piccola Mary, guardando Colin come se
fosse l’uomo più alto che avesse mai visto.
Colin annuì solennemente, nascondendo un sorriso. “Sì, Charles
ed io siamo quasi esattamente alti uguali. Dovette indossare le sue
calze, dopo aver eliminato i risvolti eleganti, perché i suoi piedi erano
così grandi che non riusciva a trovarne che gli andassero bene. E i
pesanti stivali da campagna che gli diedero erano troppo piccoli,
quindi era obbligato ad andare in giro tutto il giorno soffrendo
moltissimo.”
“Ahi!” Disse il ragazzino con le guance come mele.
“Già. In effetti, il ricordo di Re Charles di quegli stivali è così forte
che oggi ha la più grande collezione di scarpe in tutto il paese, ogni
paio fatto esattamente su misura.”
Un paio di ragazzino ridacchiò. Colin guardò Kendra, che stava
ancora sorridendo al suo ricamo. Da quello che poteva vedere, non
aveva ancora dato un punto.
“Poi che cos’è successo?” Chiese una vocina impaziente. La
ragazzina aveva lunghi capelli scuri e grandi occhi grigi e Colin si
rese conto con una fitta che gli ricordava Amy. Per un attimo, si
chiese come sarebbe stata una bambina di Amy.
Bandì in fretta quel pensiero. “Sto giusto arrivando alla parte più
interessante. Un giorno, mentre il Re era nella foresta con i fratelli,
arrivarono i soldati di Cromwell. Charles si arrampicò in fretta su una
quercia e si acquattò tra le foglie.”
“Per quanto tempo è restato là?” Chiese Mary.
“Più di ventiquattro ore, tutto un giorno e una notte. I soldati erano
sicuri di aver visto più uomini, quindi continuavano a cavalcare
avanti e indietro cercandoli.”
“Quanti soldati?” Chiese Mary.
Colin scrollò le spalle. “Non lo so, tesoro.”
“Quanti?” Insistette.
Messo alle strette, Colin guardò Kendra, che alzò gli occhi,
mordendosi il labbro per non ridere.
Niente da fare da quella parte.
“Sette,” annunciò alla fine. “Sono sicuro che erano sette.”
Quando la bambina sorrise soddisfatta, Colin allungò una mano e
le arruffò i luminosi riccioli d’oro. “Charles dormì per un po’
sull’albero. Quando si svegliò, i soldati erano direttamente sotto di lui
e stavano dicendo quanto sarebbero stati contenti quando l’avessero
catturato. Charles tratteneva il respiro, sperando che non lo
notassero là in alto.”
Sentire i versi meravigliati dei bambini gli diede un ridicolo senso
di soddisfazione.
“Finalmente, il giorno dopo, i soldati se ne andarono e lui poté
scendere in tutta sicurezza.” Sentì i bambini che sospiravano di
sollievo. “Quell’albero, in ricordo del buon servizio che aveva reso al
Re, fu poi chiamato Quercia Reale e se mai andrete a Boscobel
potete vederlo,” disse a mo’ di conclusione.
“Poi che cos’è successo?” Chiese un ragazzo. “Come ha fatto a
scappare?”
Colin guardò di nuovo Kendra, che però continuava a sorridere al
suo ricamo. “Sì, Colin,” disse parlando a un fiore ricamato dalla
strana forma. “Che cos’è successo dopo?”
“Pfff,” disse Colin, desiderando di essere più vicino a lei per
poterle dare un calcio. “I fratelli temevano che i Roundhead
sarebbero tornati non trovando Charles altrove, quindi lo spostarono
in un'altra casa, a qualche miglio di distanza. Dovettero anche
trovargli un cavallo perché non poteva camminare tanto con i piedi
doloranti. Gli stivali, ricordate?”
Nove piccole teste annuirono.
“Si nascose in uno scompartimento segreto in quella casa, sapete
quelli che avevano costruito per nascondere i preti cattolici, ed era
proprio stretto e scomodo là dentro.”
“Perché il Re è così alto,” disse la piccola Mary.
“Esattamente. Charles doveva arrivare a Bristol per prendere una
nave e fuggire dall’Inghilterra,” continuò, “ma non poteva viaggiare
con i vestiti del contadino, dato che non capita spesso che i
contadini vadano in giro. Quindi lo vestirono da servitore e trovarono
una donna Realista, Lady Jane, che viaggiasse con lui a cavallo,
fingendo di essere la sua padrona. Decise di farsi chiamare William
Jackson, e inventarono una storia, dicendo che stavano andando a
un matrimonio.”
“Il matrimonio di chi?” Chiese Mary.
Kendra si lasciò sfuggire una risata soffocata.
Colin pensò in fretta. Si guardò intorno. “Lord Cornice e Lady
Chimneypiece.”
Avrebbe giurato che Kendra stesse soffocando. Non che non lo
meritasse.
Si schiarì la voce. “Charles e Lady Jane recitarono per tutta la
strada fino a Bristol. Un giorno il cavallo di Charles perse un ferro e
mentre teneva la zampa della giumenta per il fabbro, chiese all’uomo
se fossero arrivate notizie, dopo la battaglia.”
Gli occhioni azzurri di Mary era rotondi come piattini. “E l’uomo
che cos’ha risposto?”
“Disse a Charles che alcuni dei Realisti erano stati trovati e
arrestati, ma che non avevano ancora trovato Charles Stuart. I
Roundhead chiamavano Stuart il Re.”
“Allora il fabbro era un Roundhead,” dedusse Davis. “Charles non
aveva paura di parlare con lui?”
“Non Charles. Ma Lady Jane stava morendo di spavento. E che
cosa pensate che abbia detto il nostro buon Re, allora?”
“Che cosa?” Chiesero i bambini in coro.
“Ha detto al fabbro, ‘Se quella canaglia di Charles Stuart viene
catturato, si merita di essere impiccato, più di tutti gli altri.”
“Nooo!” esclamò Davis.
“Certo che sì. Charles era contento della sua battuta, ma Lady
Jane avrebbe voluto morire.”
“Non la biasimo,” disse la ragazzina dai capelli scuri. “Proprio per
niente.”
“Nemmeno io,” aggiunse Kendra, alzando un sopracciglio. “Quello
scherzo mi ricorda quelli dei miei fratelli.”
“Lasciami finire,” la rimproverò Colin. “Lady Jane respirò più
tranquilla quando finirono di mettere il ferro e poterono andarsene.
Ma a Bristol dovevano avere una delusione. Non c’era una nave in
partenza per la Francia per un mese intero. Così Charles dovette
nascondersi di nuovo in campagna finché finalmente trovarono una
nave che li potesse portare in Francia. La nave si chiamava
Surprise, ma è stata ribattezzata Royal Escape.”
Si alzò. “E questa è la fine della storia. È ora di andare a letto,
bambini. Domani mattina abbiamo un lungo viaggio per arrivare fino
a Londra.” Fletté le spalle e si stiracchiò.
Arrivarono degli applausi dalla porta dietro di lui. Si voltò e vide i
suoi fratelli, con i volti e i vestiti neri per la fuliggine dell’incendio di
Londra.
“Bentornati!” Kendra balzò in piedi per salutarli, con il ricamo che
scivolava a terra senza cerimonie. Li abbracciò a turno. “Vi è piaciuto
il nostro cantastorie?”
“Attenta al tuo abito, abbiamo entrambi proprio bisogno di un
bagno,” la ammonì Jason. Fece un cenno esagerato in direzione di
Colin. “Mi sarebbe piaciuto partecipare al matrimonio Cornice-
Chimneypiece. Peccato che fossimo troppo giovani.”
“Colin è stato sicuramente all’altezza della situazione,” disse
Kendra. “L’ho praticamente obbligato—da brava sorella,
ovviamente.” Quando Colin sbuffò, Kendra gli rivolse un sorriso
innocente. “Che cosa ti ha fatto pensare a quella storia in
particolare?”
“Stai scherzando? Dobbiamo aver sentito Charles che la
raccontava un centinaio di volte, sul Continente. Era praticamente il
nostro intrattenimento serale.” Guardò Jason e Ford. “Avete riportato
Ebony con voi, spero.”
“Stiamo entrambi bene,” disse Jason strascicando le parole.
“Grazie per averlo chiesto.” Si rivolse a Ford. “Com’è gentile a
chiedere di noi prima di pensare al suo cavallo.”
Ford fece spallucce. “Non è che abbiamo passato tre giorni a
lottare contro le fiamme, esponendoci al pericolo di muri che
crollavano e detriti—”
“No, niente del genere,” concordò Jason. “Niente che si possa
paragonare al pericolo di raccontare una storia a un branco di
ragazzini.”
“Oh, non è tutto quello che ha fatto. Non ne sapete nemmeno la
metà.” Kendra indicò con gli occhi dove dormiva Amy, al piano di
sopra e Colin si avvicinò, deciso a darle una gomitata nelle costole.
Con una risata, Kendra lo schivò. “Portiamo a letto i bambini. Voi
due andate a lavarvi e poi ci rivedremo qui, con qualcosa da
mangiare.”
CAPITOLO DODICI

AMY SI SVEGLIÒ al suono di voci basse lì vicino. Tenne gli occhi


chiusi—non aveva intenzione di far capire a nessuno che era
cosciente, non ancora—ma anche così capiva dal colore all’interno
delle palpebre che era arrivata mattina.Finalmente.
Si era svegliata diverse volte durante la notte interminabile e si era
avvicinata alla superficie della consapevolezza, prima sentendo il
leggero crepitio del fuoco, poi la dolorosa sensazione di bruciore nel
palmo della mano destra. E poi aveva ricordato—e si era obbligata
immediatamente a sprofondare di nuovo nel sonno. A tornare
dov’era la settimana prima, dove non era sola al mondo e la sua sola
preoccupazione era l’imminente matrimonio.
Una volta aveva sentito una presenza nella stanza e aveva aperto
gli occhi, appena una fessura, guardando tra le ciglia e vedendo
Colin che la osservava, il profilo scuro contro la luce tremolante del
fuoco. Aveva richiuso gli occhi ed era rimasta perfettamente
immobile, fingendo di dormire finché non se n’era andato. Colin
aveva sospirato pesantemente prima di chiudere la porta alle sue
spalle.
Che tipo di sospiro era stato? Si era chiesta vagamente mentre
ripiombava nei suoi sogni agitati. Un sospiro di preoccupazione, o di
esasperazione?
Certo in quel momento sembrava esasperato.
“Dannazione,” lo aveva sentito dire. “Voglio portarla con me. Devo
chiudere questa faccenda. Ho del lavoro da fare.”
“Beh, non è possibile,” aveva risposto una voce maschile, in tono
ragionevole. Ford o Jason, pensò Amy. Quindi erano tornati. “Dovrai
riportare indietro i bambini senza di lei. Non puoi trascinarla in giro
per la campagna in questo stato, no?”
“Certo che no!” Esclamò seccamente Colin.
“Ssst!” Li invitò un’altra voce maschile. L’altro fratello,
presumibilmente. “Potrebbe essere malata, sapete, se sta dormendo
così a lungo.”
Amy sentì il rumore di un paio di passi, poi un palmo caldo
premuto contro la fronte che restò lì per qualche secondo. Colin.
Doveva essere lui. “Non è calda,” sentì che diceva, la sua voce era
più vicina, adesso. “Le ho controllato di nuovo la mano ieri sera. Non
c’è infezione.”
Amy sentì un tuffo al cuore al pensiero di Colin che si prendeva
cura di lei mentre dormiva. Forse avrebbe dovuto far capire che era
sveglia...
No! L’avrebbe portata via, spedita in Francia, e lei non era ancora
pronta ad andare. La zia Elizabeth era gentile, ma aveva soffocato
Amy con tutte le sue premure dopo la morte di sua madre. Non
poteva ancora affrontarla; le serviva un po’ di tempo per pensare,
per ritrovare un po’ di pace.
Meglio fingere di dormire.
“Non sarà semplice trovare una chaperon a Londra in questo
momento.” Amy sentì Kendra che lo faceva notare ai fratelli. “E non
puoi semplicemente sbatterla su una nave da sola.”
“Vero,” ammise Colin con riluttanza.
“Sarà meglio che tu parta,” gli consigliò Kendra. “Il carro è già
carico e i bambini ti stanno aspettando. Amy non si sveglierà per
magia, e anche se lo facesse, le ci vorrebbe troppo per prepararsi.
Non mangia da due giorni.”
“Diciamo quattro,” borbottò Colin. Le voci si allontanarono,
accompagnate dai passi. “Immagino che tu abbia ragione.”
“Vedrai, quando tornerai sarà pronta,” Amy dovette sforzarsi per
sentire Kendra prima che le voci svanissero completamente.
Magicamente, Amethyst Goldsmith si svegliò nel’attimo in cui il
carro di Colin passò rumorosamente sul ponte levatoio.
CAPITOLO TREDICI

“SONO TORNATO PER portarla a Dover e metterla su una nave, e,


dannazione, è quello che farò.”
Dopo tre giorni passati a piangere, a pensare e a guarire, Amy
aveva avvicinato Kendra quel pomeriggio e le aveva timidamente
chiesto di unirsi alla famiglia per il pasto serale. Le era sembrato di
essere pronta per un po’ di contatto umano. Ma ora che Colin era a
casa non ne era più tanto sicura.
Era nel corridoio fuori dal salotto, impietrita, ad ascoltare. I Chase
facevano un baccano incredibile. Amy e i suoi genitori raramente
avevano urlato tra di loro, ma questa famiglia sembrava usare gli urli
come normale mezzo di comunicazione. Anche quando avevano
discusso di lei, di fianco al suo letto, rifletté, avevano urlato
sussurrando.
Questa sera non erano così circospetti.
“Gliel’ho promesso, Colin!” Sentì guaire Kendra. “Le ho promesso
che avrebbe potuto restare finché fosse pronta.”
“Pronta? Che cosa diavolo dovrebbe voler dire? Se è sveglia, è
pronta.”
“Non sono proprio sicuro che sia sveglia,” si inserì un’altra voce
maschile, che sembrava parecchio divertita. “Se ne va in giro come
un fantasma.”
Amy trasalì. Era questo che pensavano di lei?
“Non è vero!” Kendra si affrettò a difendere Amy. “Suo padre è
appena morto, per l’amor del cielo. E le ho fatto una promessa.”
“Accidenti alle tue promesse! Io devo tornare a Greystone. Avrei
dovuto già essere là una settimana fa.”
“Jason?” Dal tono della voce di Kendra, Amy immaginò che stesse
guardando il fratello con un’espressione implorante.
“I Chase non fanno promesse alla leggera.” Jason: la voce della
ragione.
“Accidenti anche a te!”
“Sono d’accordo con loro, Colin. Promesse a parte, non è in
condizioni di viaggiare.” Quindi anche Ford era dalla sua parte.
“Accidenti a tutti e tre! Non mi interessa chi è d’accordo con chi. Io
l’ho portata qui ed io la porterò via, quando diavolo deciderò io!”
“Le ho fatto una promessa!”
“Mi sembri uno di quei nuovi orologi a cucù, Kendra. ‘Le ho fatto
una promessa. Le ho fatto una promessa.’ Beh, puoi fare il cucù
tutte le volte che vuoi, ma io non cambierò idea. Partiremo domani
mattina. Dov’è adesso? Hai detto che sarebbe scesa a cena.”
Amy fece un passo indietro nel corridoio.
“Il tuo arrivo probabilmente l’ha fatta scappare!” Urlò Kendra.
“State entrambi comportandovi come bambini!” Amy sentì Jason
che urlava mentre si allontanava dalla stanza. “Colin. Questa
faccenda non ti riguarda più. Domani mattina tornerai a Greystone.
Ford ed io ci occuperemo del viaggio della signora Goldsmith
appena sarà pronta. Kendra, vai a prenderla. Ci vedremo in sala da
pranzo tra mezz’ora.
Amy salì di corsa le scale ed era seduta rigida sulla sponda del
letto quando arrivò Kendra.
La sua amica restò sulla porta, con una smorfia sul volto. “È quasi
ora di cena. Non... non avrete intenzione di indossare quel vestito,
vero?”
Amy si guardò le sottane. L’abito color lavanda era stato lavato e
stirato mentre dormiva, ma c’erano dei piccoli buchi dove erano
atterrate le faville e puntini grigi dove la fuliggine l’aveva macchiato
in permanenza. Erano tre giorni filati che lo indossava.
Il volto si fece di fiamma. “Non ne ho altri,” disse, abbassando la
testa.
“Aspettate un momento.” Kendra fece per uscire, poi riapparve
sulla porta. “Oh, Colin è tornato.” Scomparve di nuovo, gridando
“Jane!” mentre andava.
Chiedendosi che cosa avesse in mente, Amy fece passare la
mano lungo la colonna dorata del letto per la milionesima volta da
quando si era svegliata in quella splendida stanza qualche giorno
prima. Non era la preziosità dell’oro che le toglieva il fiato, perché
l’oro era così tenero e malleabile che lei poteva martellarne una sola
oncia e ottenere cento piedi quadri di foglia d’oro. Ma quel letto
meravigliosamente scolpito le sembrava un gigantesco, squisito
gioiello, e—con una nuova fitta di dolore—desiderò di poterlo
mostrare a suo padre.
Tutto l’arredamento di quella stanza era dorato, di marmo o di
broccato d’oro. Ad Amy sembrava di vivere nella stanza da letto
della regina Catharine.
Nell’aria si diffuse una fragranza floreale. Amy strisciò le scarpe,
rovinate dal fumo, sul ricco tappeto a disegni marroni, panna e oro.
A casa, i pavimenti erano stati di legno lucidato. La sua famiglia
aveva posseduto due preziosi tappeti orientali, ma quello più grande
era appeso a una parete, quello più piccolo copriva un tavolo. Prima
di arrivare a Cainewood non aveva mai pensato di poter camminare
effettivamente su una cosa così costosa come un tappeto.
Kendra tornò portando Jane, una giovane cameriera bruttina con
un sorriso gentile e una bracciata di vestiti. Kendra ne prese uno
giallo dal mucchio e lo avvicinò alla guancia di Amy. “No,” mormorò
buttandolo da parte. Il secondo era color pesca. “Troppo pallido.”
Jane gliene porse un altro, di satin color borgogna. “Perfetto,”
dichiarò Kendra.
Prima che Amy potesse protestare, le avevano tolto il suo vestito e
infilato quello di Kendra sulla testa. Il vestito profumava di rose.
Sistemandosi il vestito, Amy aspirò voluttuosamente il profumo
inebriante, pensando che i Chase vivevano proprio una vita diversa.
Non era la sua vita, comunque. La sua vita non le sarebbe mai
sembrata completa senza la gioia di lavorare con l’oro e i gioielli per
creare dei pezzetti di bellezza eterna.
Jane le allacciò il corpino, attaccò la pettorina e raccolse la
sopraggonna per mostrare una sottogonna rosa conchiglia. Estrasse
la sottoveste dai tagli nelle maniche, attraversati da nastri rosa a
intervalli regolari. Poi fece sedere Amy davanti a uno specchio ovale,
dalla cornice dorata e cominciò a darsi da fare con i suoi capelli.
“Non riesco a capire come farmi la treccia,” Amy cercava di alzare
la sottoveste bordata di pizzo per coprire la profonda scollatura
dell’abito. “La nostra cameriera di solito intrecciava dei nastri.”
“Oh, adesso sono di moda i riccioli.” Kendra agitò una mano.
“Avete deciso che cosa volete fare?”
Che cosa voleva fare? Amy fissò il proprio riflesso. Senza suo
padre a obbligarla, una cosa che non avrebbe fatto era sposare
Robert Stanley. Avrebbe dovuto scrivergli presto per dirglielo.
“Non lo so.” Restò seduta immobile mentre Jane usava il ferro
arricciacapelli. “Andrò a Parigi, immagino, dove mia zia e mio zio
hanno una gioielleria.” Giocherellò con un flacone sul ripiano di
marmo del tavolo da toilette. “Ho promesso a mio padre che non
avrei mai rinunciato al mio mestiere... e i gioielli sono la mia vita.
Non so fare altro.”
“Beh, non dovrete andarvene finché non vi sentirete pronta. Ve
l’ho promesso io.”
“Grazie.” Incontrò lo sguardo di Kendra nello specchio. “Siete una
buona amica.”
Jane legò un nastro rosa nei capelli di Amy e fece un passo
indietro per vedere il risultato del suo lavoro. “Che ne pensate?”
Allungò una mano e sistemò un ricciolo.
“Bella!” Esclamò Kendra.
Amy fissò il suo riflesso, toccando le labbra con un dito. Le labbra
che Colin aveva baciato. Forse, solo forse, avrebbe trovato un uomo
—un altro gioielliere—in Francia. Un gioielliere che le avrebbe fatto
battere il cuore come Colin Chase.
“Non abbiamo tempo per i cosmetici,” disse Kendra con un
sospiro. “Siamo già in ritardo.”
CAPITOLO QUATTORDICI

“DOVE SONO TUTTI?" Ford si versò un secondo calice di vino.


“Kendra e Amy posso capirle, le donne ci mettono sempre una vita a
prepararsi. Ma Colin—”
“Parlando di Colin...” Jason tamburellò le dita sul tavolo di
mogano. “Penso che Kendra stia complottando per accoppiarlo con
Amethyst Goldsmith.”
“Eh?” Ford scosse la testa. “E perché mai dovrebbe farlo?”
“Accidenti se lo so. La signora Goldsmith non ha niente da offrire,
dal punto di vista monetario. È già dubbio se un mercante
benestante potrebbe far fronte a tutti i bisogni di Greystone, e ora il
negozio della sua famiglia è bruciato fino alle fondamenta, quindi la
questione è chiusa.”
Ford sorseggiò il vino. “La ragazza è una bellezza rara.”
“E questo cosa cavolo c’entra?” Jason alzò il calice. “So che
Priscilla non è proprio ai primi posti della lista delle persone preferite
da Kendra, ma che lei faccia pressioni per un matrimonio così—” si
fermò e bevve una sorsata di vino. “Colin, eccoti qui.”
“Hai trovato le famiglie dei bambini?” Chiese Ford.
“Sì—e no.” Colin si sedette. “Sembra che la più piccola, Mary, sia
un’orfana. I suoi genitori sono entrambi morti durante la pestilenza.
L’avevano presa in casa dei vicini, ma ora che non hanno più un
tetto...” scrollò le spalle. “L’ho riportata qua con me.”
Il calice di Jason colpì il tavolo con un rumore sordo. “Non avrai
l’intenzione di tenerla?”
“Priscilla non l’accetterebbe mai.” Aggiunse Ford.
Colin gli lanciò un’occhiataccia. “No, non ho intenzione di tenerla.”
Si rivolse a Jason. “Speravo potessi trovarle una casa nel villaggio.”
“Penso di sì,” Jason alzò una mano e si accarezzò i baffi,
pensieroso. “Ma non potevi mandarla a un orfanotrofio a Londra?”
“Immagino che avrei potuto.” Colin si chinò per prendere il
decanter del vino. “Le autorità si stanno occupando di questi
problemi. Ma non me la sono sentita di lasciarla in mezzo a quel
caos. L’area di Moorfields è un disastro. L’erba è costellata dalle
suppellettili cui la gente non vuole rinunciare, in mezzo alla cenere
—”
Quando entrarono Kendra e Amy, Colin si fermò a metà della
frase, fissandole.
Jason si schiarì la gola e diede un calcio a suo fratello sotto il
tavolo. “Colin?”
“Mmm, sì.” Colin lasciò cadere la mano e il decanter ricadde sulla
superficie del tavolo. Sbatté le palpebre e sembrò tornare in vita.
“Buona sera, Amy.”
“Buona sera,” mormorò Amy, senza riuscire a guardarlo.
“Non volete sedervi?” Jason agitò una mano e un servitore
cominciò a servire la zuppa mentre altri due tiravano indietro due
sedie ai lati opposti del tavolo rettangolare, all’estremità dove si
erano seduti i fratelli Chase.
Kendra scivolò astutamente nella sedia vicino al suo gemello, non
lasciando altra scelta ad Amy se non quella di sedersi accanto a
Colin. Mentre si sedeva, Colin le sorrise gentilmente e le posò per un
istante la mano sul braccio.
Come per prendere un pezzo di dolce, Kendra si chinò verso
Jason. “C’è una corrente che scorre tra quei due,” gli sussurrò in un
orecchio. “bisognerebbe essere idioti per non notarla.”
“Ti ho sentito,” la avvertì Colin.
Amy sembrava semplicemente assente.
“Colin mi stava giusto parlando della restituzione dei bambini alle
loro famiglie.” Disse Ford, un po’ troppo allegramente. “Sembra che
ci fosse una confusione del diavolo laggiù.”
“Si stanno organizzando, in qualche modo,” ribatté Colin,
appoggiando il cucchiaio. “Charles ha ordinato di utilizzare gli edifici
pubblici per immagazzinare i beni dei senzatetto e ha fornito tende
militari e pane, tutto gratuitamente. Era quasi impossibile trovare
qualcuno ma stanno organizzando delle aree per le persone
disperse. Ho aspettato là finché tutti i bambini avessero trovato la
loro famiglia—tutti eccetto Mary, cioè.”
Sulla fronte di Kendra apparve una piccola ruga. “La ragazzina
con i riccioli d’oro che non smetteva mai di fare domande?”
Colin annuì. “E gli enormi occhi azzurri.” Occhi che erano tristi
come quelli di Amy adesso. “L’ho riportata con me. E se avessi uno
scellino per ogni domanda che ha fatto per strada, sarei in grado di
restaurare Greystone domani stesso.”
Kendra sorrise. “E la nostra casa in città?” Si mise in bocca un
cucchiaio di dolce; Kendra mangiava sempre per primo il dessert,
dicendo che forse, dopo, non avrebbe avuto più posto.
“La nostra casa è salva—la zona di Lincoln’s Inn Fields non è mai
stata in pericolo. L’incendio si è fermato appena prima di Chancery
Lane ed Essex House. Le parti bruciate sono ancora così calde,
comunque, che nessuno vi si può avventurare. È cominciato a
piovere oggi pomeriggio, comunque—immagino che servirà a
qualcosa.”
“Ha piovuto solo per qualche minuto.” Kendra guardò le finestre
con i vetri a losanga. “Non credo che sia servito a molto.”
“Magari ha piovuto di più a Londra.” Disse Colin con un’alzata di
spalle. “Anche se, con tutta quella gente senza tetto, forse
dovremmo sperare di no...”
La mente vagò, e smise di parlare. Dalla direzione di Amy gli
arrivava un leggero profumo di rose. Era difficile concentrarsi con lei
così vicina.
L’aveva lasciata afflitta e addormentata, era rimasto sorpreso
quando nella sala da pranzo era entrata la vecchia Amy. No, non
esattamente la vecchia Amy. Questa Amy era silenziosa, non
animata. Era una specie di Amy kendrizzata, con indosso un abito
che riconobbe come uno di quelli di Kendra, con i capelli costretti in
lungi riccioli, alla Kendra.
Ma si sentiva comunque attratto da lei. L’abito, che su Kendra non
era mai sembrato proprio giusto, su Amy era magnifico. Forse un
paio di centimetri troppo corto, e un po’ tirato sul seno, ma il color
borgogna scuro era perfetto per lei. Nonostante gli evidenti tocchi di
Kendra, la mancanza di gioielli era il tratto più evidente che la
separava dalla vecchia Amy. Quello e il suo riserbo. Sembrava
mangiare quasi in stato di trance.
Avrebbe voluto abbracciarla stretta e farle tornare la luce negli
occhi,
“E Charles?” Chiese Ford.
Forse, se avesse avvicinano la sedia di qualche centimetro,
sarebbe riuscito a sfiorarle il braccio.
No, troppo palese.
Forse, se avesse solo mosso il piede sotto il tavolo...
Ford sbatté il suo calice sul tavolo. “Colin? Come se la sta
cavando il Re?”
Jason diede un altro calcio a Colin.
“Ahi!” Colin sbatté le palpebre. Che cosa gli aveva chiesto Ford?
“Oh, Charles. Santo cielo, è il suo momento di gloria. Non aveva
molto tempo per chiacchierare, però.”
Si abbassò per massaggiarsi la caviglia, decidendo che si era
meritato il calcio. Che cosa aveva questa donna che lo costringeva a
concentrarsi su di lei, trascurando tutto il resto? Perché continuava a
pensare di toccarla?
Grazie a Dio sarebbe partito per Greystone il giorno dopo.
Prima di diventare del tutto un animale.
CAPITOLO QUINDICI

AMY MANGIAVA LA ZUPPA, lasciando che la conversazione


fluisse intorno a lei. Il ronzio era rasserenante, confortevole. Come
gli strati di flanella che proteggevano i gioielli, il chiacchiericcio della
famiglia la proteggeva dai suoi stessi pensieri.
“Sei andato a trovare Charles a Whitehall?” Chiese Kendra a
Colin.
La domanda fece uscire Amy dalla sua trance.
A Whitehall? Ripeté le parole in silenzio. Questa famiglia era in
rapporti stretti con sua Maestà? Diede un’occhiata dubbiosa a Colin,
poi si rimproverò da sola.
Perché avrebbe dovuto sorprenderla? Vivevano in un castello,
dopo tutto. Jason era un Marchese, Colin un Conte, Ford
qualcos’altro... un Visconte, ecco. Titoli concessi da Charles, le
aveva detto Kendra, spiegando l’insolita situazione.
Colin si agitò accanto a lei. “No, Charles è andato a Moorfields.
Era a cavallo, nel bel mezzo della folla disperata, con le rovine di St.
Paul sullo sfondo e fili di fumo che salivano dalle macerie della City.
Le storie del suo eroismo durante l’incendio si sono diffuse in fretta e
quelli che non ne sono stati testimoni sono entusiasti di lui come gli
altri. Ha giurato sulla grazia di Dio che si sarebbe preso particolare
cura dei Londinesi, con degli eccezionali piani per la ricostruzione.
Ho sentito grida di incitazione e applausi... il vecchio Charles è un
uomo popolare, di questi tempi.”
Raccontata dalle vibranti parole di Colin, Amy riusciva a
raffigurarsi la scena: il suo Re, in sella al suo cavallo, che parlava ai
suoi sudditi adoranti. Si stava facendo la storia, lì, e Amy amava la
storia.
Sospirò di soddisfazione.
“Come sono quei piani?” Chiese Jason. “Ha dato qualche
dettaglio?”
“Ha emesso un proclama: tutte le nuove costruzioni devono
essere fatte secondo un piano generale, di modo che Londra possa
—vediamo se riesco a ricordare le sue parole— ‘apparire al mondo
più come purificata dal fuoco nel suo percorso verso la bellezza e la
grazia che consumata da esso’ e ‘nessuno, assolutamente nessuno,
dovrà pensare di costruire una casa o un edificio, grande o piccolo,
che non sia di mattoni o di pietra.’ Non so se ho riferito le parole
esatte, ma in ogni modo il succo era quello.”
Amy sorrise tra sé alla descrizione precisa di Colin; era stata la
stessa cosa quando le aveva mostrato il castello. Date, parole... un
uomo che prestava attenzione ai dettagli.
Un dettaglio di cui era sicura era che non la voleva qui. Aveva
praticamente detto che non vedeva l’ora di liberarsi di lei. Eppure
avrebbe potuto giurare di sentire un certo calore emanare da lui, un
calore che le faceva desiderare di gettarsi tra le sue braccia.
Era a dir poco sconcertante.
“A me sembra un buon piano,” commentò Ford.
Colin annuì.” Charles ha anche decretato che le strade siano più
larghe, di modo che le case da un lato non possano essere
incendiate da quelle dall’alta parte. Sta nominando Christopher
Wren... vediamo... ‘Vice Ministro e Primo Architetto per La
Ricostruzione dell’intera Città’.” Sorrise al titolo roboante. “Wren è
incaricato di preparare il progetto di viali e piazze e strade diritte.”
“Charles ha fatto un annuncio ufficiale?”
“Mi ha parlato di Wren in privato. Non è ancora ufficiale, Wren
dovrebbe avere i progetti pronti da sottoporre oggi e poi faranno un
annuncio ufficiale.”
“Una nuova Londra, che rinasce dalle ceneri,” mormorò Amy,
fissando uno degli enormi arazzi della stanza, ma cercando invece di
immaginare come sarebbe stata questa nuova abbagliante città.
Colin si voltò a guardarla. “Che cosa avete detto?”
“Niente,” bisbigliò Amy, con le guance in fiamme.
Colin esitò, poi si schiarì la gola e si rivolse agli altri. “Sapevate
che il progetto di Wren per il restauro di St. Paul è stato accettato
dalla commissione proprio due settimane fa?”
“E ora St. Paul è bruciata fino alle fondamenta,” disse Jason
scuotendo tristemente la testa. “Se non l’avessi visto con i miei
occhi, non avrei mai creduto che una distruzione simile fosse
possibile.”
“Due terzi di Londra non ci sono più,” si lagnò Colin, “e più della
metà della gente è senza una casa. Miracolosamente sembra che ci
siano state solo otto vite perse.” Mise una mano sul braccio di Amy.
“Mi dispiace che vostro padre sia stato una delle vittime.”
Il tocco di Colin distolse in fretta Amy dalla sua visione,
riportandola nel mondo reale. Annuì, senza riuscire a guardarlo negli
occhi. Non era giusto! Solo otto morti e suo padre uno di loro...
Con il cucchiaio a metà strada verso la bocca, Amy si fermò,
inghiottì il nodo che si era formato in fretta nella sua gola e lottò per
non piangere. Era una battaglia persa. Si alzò di colpo. Il cucchiaio
cadde rumorosamente nella ciotola quando lo lasciò cadere.
“Scusatemi,” disse con la voce roca, correndo fuori dalla stanza.

“IDIOTA!” KENDRA GETTÒ il cucchiaio sulla tavola. “Era la sua


prima cena in compagnia.”
“Che cos’ho detto?”
“... mi dispiace che vostro padre sia stato una delle vittime,” lo
scimmiottò Ford con la voce in falsetto. “Diavolo, Colin, e secondo te
sono io quello che non ha tatto.”
“Ho detto che mi dispiaceva,” protestò debolmente Colin. Rigirò
l’anello sul dito, ascoltando i passi di Amy che si attutirono quando
raggiunse la cima delle scale e girò nel corridoio.
“Lasciate in pace Colin,” disse Jason. “È già abbastanza confuso
così.”
“E questo cosa diavolo dovrebbe voler dire?” Chiese Colin.
“Solo che sei attratto dalla signora Goldsmith e non hai ancora
deciso che cosa vuoi fare al proposito.”
“Cosa?” Esclamò Ford, sorpreso.
Kendra sbuffò, alzò gli occhi al soffitto a volta, poi si concentrò sul
gemello. “Tu non ti accorgi mai di niente. Se qualcosa non può
essere pesata o misurata, allora proprio non riesce ad attirare la tua
attenzione.”
Colin strinse i pugni. “Non sono per niente attratto da Amethyst
Goldsmith—”
“Stai mentendo solo a noi o anche a te stesso?” Kendra lo fissò
con uno sguardo pungente.
“È un relitto,” dichiarò fermamente, stringendo le labbra.
“E allora?” Chiese Kendra.
“Allora io partirò domani mattina, molto probabilmente prima che si
alzi, e uno di voi si accerterà che arrivi in Francia, dove recupererà in
pace e non vedrà mai più uno di noi. Ecco tutto.”
“Ma, Colin—” Fece per dire Kendra.
“Lascia perdere, Kendra.” Jason guardò a turno i fratelli, a
significare che la conversazione era finita. Poi, dato che il cibo era la
tipica panacea dei Chase per le situazioni più spiacevoli, suonò per
chiamare i servitori. “Io sono pronto per l’arrosto. E voi?”
CAPITOLO SEDICI

AMY SI MORSE il labbro e aggiunse un altro foglio accartocciato


alla piccola montagna di carta che cresceva sul tavolino da toilette
dorato nella sua stanza.
Perché non riusciva a scrivere le cose giuste?
Piegò la mano. Anche se le vesciche erano guarite, a volte le
faceva ancora male, se la usava troppo a lungo. Ancora un tentativo.
Intinse la penna nell’inchiostro.

26 settembre 1666
Caro Robert
Forse avete già saputo che ho perso Papà e il negozio
nell’incendio. Sono distrutta. Ho perso tutto. Tutta la mia vita è
cambiata e temo che lo sia anche la vostra. Vi prego di perdonarmi,
ma non posso sposarvi—

“Posso entrare, Lady Amy?” Piccole dita le batterono su una


spalla.
Alzò gli occhi e vide due grandi occhi azzurri su un viso innocente
incorniciato da riccioli d’oro. “Penso lo abbia già fatto, Mary.” Con un
sorriso, appoggiò la penna sul tavolino e fece sedere la bambina
sulle sue ginocchia. “Ma non chiamarmi Lady, tesoro. Amy andrà
benissimo.”
“Sembrate una dama.”
“Oh, ma è solo perché indosso un vestito di Lady Kendra.”
Quando la bambina saltò giù dalle sue ginocchia, Amy lisciò il
satin verde mela dell’abito preso in prestito. Guardò Mary che
vagava verso il letto e si arrampicava sui gradini, poi fece una
smorfia quando la vide allargare le braccia e, con un urletto di
piacere, gettarsi a faccia in giù sul costoso copriletto di broccato.
“Anch’io indosso un vestito di Lady Kendra,” dichiarò Mary, con le
parole attutite dal tessuto dorato.
“Vero!” Il vestito pendeva largo sulla figuretta sottile di Mary ed era
decisamente fuori moda. Ma Mary era entusiasta del suo nuovo
guardaroba. Kendra aveva trovato un vecchio baule pieno dei suoi
vestiti da bambina, e Mary ne aveva indossato uno diverso tutti i
giorni dal suo arrivo. “Ed è un bellissimo vestito. Allora, Mary, tu sei
una dama?”
“Nooo!” Mary ridacchiò e si rotolò sulla schiena. “Siete sicura di
non essere una dama? Vivete in questo bel posto.”
“Non proprio.” Lo sguardo di Amy vagò per la splendida stanza
dorata. “Prima dell’incendio ho vissuto per tutta la mia vita a Londra.”
“Come me?” La bambina si sedette e indicò se stessa con il
pollice—un pollice, notò Amy, che sembrava essere stato succhiato
di recente.
“Proprio come te. A Cheapside.”
“La mia casa era a...” la piccola aggrottò la fronte cercando di
ricordare. “Ludgate.”
“Ludgate Hill? Allora vedi, eravamo quasi vicine di casa.”
I piedini di Mary ondeggiavano avanti e indietro dalla sponda del
letto. “E la vostra mamma e il vostro papà sono morti, come i miei.”
Amy annuì pazientemente. Chiunque li sentisse per caso non
avrebbe mai indovinato che avevano già avuto la stessa
conversazione almeno una dozzina di volte. “Sì, anche la mia
mamma e il mio papà sono morti.”
“E non torneranno più.”
“No.” Amy si morse il labbro. “Non torneranno più. Ma io penso a
loro continuamente, quindi il loro ricordo continua a vivere.”
Mary saltò giù dal letto. “Quanti giorni sono passati?” Una manina
afferrò un pettine d’argento dal tavolino. “Quanti giorni
dall’incendio?”
“Quanti giorni erano ieri, Mary?”
“Mmm...” si passò il pettine tra i riccioli. “Venti-qualcosa?”
“Ventuno.” Amy le prese il pettine e Mary si voltò di modo che
potesse districarle i riccioli biondi. “Quindi oggi quanti giorni sono
passati dall’incendio?.
La bambina alzò un ditino, poi un altro. “Due. Ventidue.” La voce
era fiera.
“Molto bene, ventidue giorni.” Il pettine faceva un gradevole
rumore frusciante mentre lo passava e lo ripassava tra i capelli di
Mary.
“La mia mamma è morta di peste. Quanti giorni sono passati da
allora?”
“Oh, tesoro. Non te lo so dire.” Amy sospirò. “Tanti.”
“Più di cento?”
“Più di trecento.”
Gli occhi di Mary riflessi nello specchio si spalancarono. “Oh, è
veramente tanto.”
“Certo.” Amy la fece girare e mise un ricciolo d’oro dietro un
orecchio rosato. “E, dentro, fa un po’ meno male ogni giorno, vero?”
“Forse, un pochino.” Il labbro inferiore di Mary tremò per un attimo,
poi raccolse la lettera di Amy e la fissò senza capire. “A chi state
scrivendo?”
“A un uomo che conoscevo.” Amy rimise a posto il pettine. “In
effetti, penso di aver finito.”
Prese la lettera dalla manina di Mary. Andava bene così. Era
brusca, ma le sembrava di non riuscire a trovare le parole giuste, per
quanto provasse.
Forse Robert sarebbe stato sollevato. Forse pensava che il suo
valore come moglie fosse inferiore dopo la perdita del negozio.
Sarebbe stato libero di sposare un’altra, libero di trovare qualcuno
che avesse le caratteristiche che lui voleva in una moglie.
Se fosse riuscito a trovare un’altra ereditiera da sposare, nel
commercio.
Amy alzò la penna, la intinse nell’inchiostro e mise un punto dopo
l’ultima parola che aveva scritto. Vi prego di perdonarmi, ma non
posso sposarvi. Il pollice di Mary finì in bocca mentre guardava Amy
firmare: Amethyst Goldsmith, molto corretto e formale.
Dopo aver asciugato l’inchiostro con la sabbia, piegò la lettera.
Scrisse il nome di Robert e l’indirizzo di suo padre sul retro, poi la
mise da parte, senza aggiungere l’indirizzo del mittente. Ecco fatto.
E Robert non sarebbe stato in grado di trovarla.
“E questa?” Il pollice di Mary uscì con uno schiocco dalla bocca e
Mary sventolò un’altra lettera. “Questa per chi è?”
“Mia zia a Parigi. Presto mi trasferirò là e vivrò con lei. Ma non
troppo presto, spero.” Amy strinse a sé la bambina, respirando il suo
profumo infantile, confortante. “Mi piace restare qui con te.”
“Anche a me piace stare qui.” Un sospiro uscì dalle labbra rosee
della bambina. “Ma mi piacerebbe avere una mamma.”
Amy girò Mary per guardarla negli occhioni azzurri. “Lord
Cainewood ti troverà una nuova mamma molto presto. Lo ha
promesso, ricordi.”
La bambina annuì.
“E i Chase non fanno promesse alla leggera.”
“Cosa?” Mary aggrottò la fronte.
“I Chase mantengono sempre le loro promesse.”
A quanto pareva, per Mary era sufficiente. Sventolò ancora la
lettera. “Che cosa avete detto a vostra zia?”
“Le ho raccontato quanto sono triste per mio padre.” Amy si alzò e
andò a guardare fuori dalla finestra a losanghe. Sotto, una
domestica si affrettava attraverso la corte interna, con un cesto di
biancheria, lasciando le sue impronte sull’erba umida. “A volte aiuta
a sentirsi meglio scrivere della propria tristezza.”
“Come se io scrivessi una lettera alla mia mamma?”
Sulla parete accanto a lei, Amy passò il dito intorno all’ovale
dorato che incorniciava il ritratto di una donna. Forse la nonna di
Colin. O la bisnonna. Sembrava che gli abiti appartenessero al
secolo precedente. “Certo che puoi scrivere una lettera alla tua
mamma. Potrebbe farti sentire meglio.” Né lei né Mary avevano
ritratti con i quali ricordare i loro antenati.
Quando si voltò a guardarla, gli occhi della bambina erano
pensierosi. “Io non so scrivere.”
“Ti piacerebbe se scrivessi io la lettera per te?”
Mary annuì, speranzosa. “Va bene.”
Amy tornò al tavolo da toilette e, sedendosi, mise un foglio pulito
sulla superficie di marmo. “Che cosa vorresti dirle?”
Mary si avvicinò e fissò il foglio rigato, sospirando piano.
“Cara mamma. Ti voglio bene mamma. Mi manchi mamma.”
Lentamente, Amy intinse la penna e scrisse, con la gola che si
chiudeva penosamente mentre le parole si trasferivano sulla pagina.
“Qualcos’altro?” Chiese, con la gola chiusa.
“È tutto quello che riesco a pensare,” disse seria la bambina.
“È una lettera perfetta.” Amy baciò la testolina riccioluta. “Ti
piacerebbe firmare con il tuo nome?”
Mary annuì in fretta e Amy la sollevò in grembo, dandole la penna.
Con un’espressione di completa incredulità sul volto, Mary la infilò
nell’inchiostro, schizzando la pagina, poi scribacchiò qualcosa che
Amy prese per una firma. Per buona misura, Mary aggiunse un
cuore un po’ storto e una coppia di figure filiformi che Amy pensò
potessero essere Mary per mano a sua madre. Aveva paura a
chiedere se fosse o meno così.
“Ecco, tesoro, puoi piegarla.”
Mary lo fece e anche se i bordi non erano ben allineati,
certamente non importava. “La mamma la riceverà in cielo?” Chiese.
“Se le dai un bacio, la riceverà immediatamente.”
La ragazzina increspò le labbra e baciò delicatamente la lettera,
lasciando un piccolo segno umido. Amy immaginò che fosse
esattamente il modo in cui baciava sua madre. Abbracciò stretta la
bambina e quando Mary si voltò tra le sue braccia e le premette le
labbra sulla guancia, si sentì sciogliere.
“La mamma ha ricevuto la mia lettera?”
Amy si toccò il punto umido sulla guancia, lottando per non
piangere. “Sono sicura di sì.”
“Anche se è ancora qui?”
“Anche così. C’è un servizio postale speciale per il cielo.”
La bambina annuì. Erano così fiduciosi, i bambini. “La mamma mi
risponderà?”
“Nei tuoi sogni, tesoro,” le promise Amy, e aveva bisogno anche
lei di crederci. “Quando andrai a dormire stasera, la tua mamma
verrà a trovarti in sogno e ti ricorderà quanto ti vuole bene.”

“NON SONO MAI stata in una carrozza elegante.” Mary rimbalzava


sul sedile di pelle. “Va adagio. Perché non siamo andati a cavallo?”
“Alla tua amica Amy non piacciono i cavalli,” disse Jason.
“Avremmo dovuto lasciarla a casa.”
“No, voglio Amy.” Mary saltellò su e giù in braccio a Amy, che la
tenne stretta mentre la bambina chiedeva a Jason. “Mi avete
veramente trovato una mamma?”
Jason si spostò di lato per allungare le gambe nell’abitacolo.
“Certamente, Miss Mary.”
Il pollice di Mary scivolò in bocca, poi ne uscì lentamente. “Perché
vuole una bambina?”
“Ha perso suo marito l’anno scorso e ha bisogno di qualcuno cui
voler bene.”
“Se suo marito si è perso,” disse Mary, “perché non lo cerca?”
Amy soffocò una risata. “È morto, tesoro. In un incidente al
mulino.”
“Oh.” le gambe della bambina oscillarono avanti e indietro, dando
calci agli stinchi di Amy finché questa non abbassò una mano per
fermarle. “Perché la gente grande dice che ha perso qualcuno? Non
possono dire semplicemente che è morto?”
Jason allungò una mano e le tirò un ricciolo. “Mamma mia, sei
piena di domande!”
“Avrò fratelli o sorelle?”
“Temo di no. I signori Bradford non hanno mai avuto bambini loro.”
Jason si lisciò i baffi e poi sorrise. “Ecco perché lei desidera tanto
una bambina.”
“Mi vorrà bene?”
“Come potrebbe non volerti bene?” Jason le fece il solletico sotto il
mento. “E tu vorrai bene a lei, te lo prometto, Mary.”
“E i Chase non fanno promesse alla leggera.” Citò solennemente
Mary.
Jason restò a bocca aperta per la sorpresa. “Che cosa hai detto?”
“Significa che mantenete sempre le vostre promesse. Me l’ha
detto Amy.”
“Oh.” Jason e Amy si scambiarono un sorriso sopra la testa della
bambina. “Beh, ha ragione, sai.”
“Amy ha sempre ragione.” Mary allungò il collo per guardare fuori
dal finestrino della carrozza. “È quello il villaggio? Ooh, carino.”
Amy seguì il suo sguardo. “Molto più bello di Londra, vero? E più
pulito.”
“E ha anche un buon odore. Tutte le case hanno i fiori.”
Mary guardava, rapita, mentre passavano davanti a parecchie
case e poi si fermavano davanti a un piccolo cottage bianco con il
tetto di paglia. Il cocchiere non aveva ancora finito di aprire la porta e
abbassare i gradini che Clarice Bradford corse loro incontro, con una
bambola nuova di pezza in mano.
Mary si precipitò giù dai gradini e direttamente nelle sue braccia
tese.
Per un lungo momento, si tennero strette. Poi si allontanarono un
po’ per darsi una bella occhiata. Clarice allungò le dita tremanti per
accarezzare i riccioli luminosi di Mary.
Guardò Jason, che era sceso dalla carrozza con Amy e veniva
verso il cortiletto ordinato del cottage. “Oh, è bellissima, milord.”
La testa di Mary si alzò e poi scese lentamente mentre esaminava
la lucida crocchia di trecce castane in cima alla testa di Clarice, gli
occhi grigi nel bel volto, il semplice abito beige e le semplici scarpe
nere che sbucavano da sotto le gonne. “Siete bella anche voi,
mamma.”
Gli occhi grigi si riempirono di lacrime di gratitudine. Clarice era
una donna attraente, ma in quel momento era veramente bella.
“Avete fatto questa bambola per me?”
“Solo per te. Sono stata sveglia tutta la notte a lavorare per
prepararla.” Troppo eccitata per dormire, immaginò Amy. Il giorno
prima, quando lei e Jason avevano avvicinato Clarice chiedendole
se se la sarebbe sentita di avere una figlia, la donna era stata grata
fino alle lacrime.
“Grazie, mamma. È bella, anche. La chiamerò Amy.” Mary strinse
al petto la bambola mentre guardava il cocchiere e la scorta che
portavano il baule di Kendra nel cottage di Clarice. Gli occhi azzurri
si spalancarono. “Posso tenere tutti quei vestiti?”
“Con i complimenti di Lady Kendra.” Le rispose Jason sorridendo.
“E...” Avvicinandosi, Amy tolse qualcosa dalla tasca. “Lord
Cainewood mi ha dato il permesso di lasciarti questo, come ricordo
del tempo che abbiamo passato insieme. Spero che ti aiuterà a
ricordarti di me.”
Il pettine d’argento cesellato luccicò al sole quando Mary lo prese,
fissandolo come se fosse uno dei gioielli della corona di Re Charles.
“Oh, milady—voglio dire Amy. Vi ricorderò sempre.”
Amy si inginocchiò sull’erba, e gli occhi le si riempirono di lacrime
quando le braccia di Mary le si avvolsero intorno al collo. La strinse
forte.
Quando Amy si alzò, Jason arruffò i riccioli di Mary. “Ti serve
altro?”
“No,” Mary lo guardò, poi spostò lo sguardo sulla sua nuova
mamma, si affrettò a mettersi di fianco a Clarice e le prese la mano.
“Sono a casa, adesso.”
E lei, quando sarebbe stata a casa, si chiese Amy.
CAPITOLO DICIASSETTE

KENDRA SI PRECIPITÒ nella biblioteca e si appoggiò al grande


globo, senza fiato. “Amy,” ansimò, “È Colin.” Fece una pausa per
riprendere fiato. “È qui. Che cosa facciamo?”
A Amy sembrò che le avessero dato un pugno nello stomaco.
“Santo cielo,” sussurrò. “È venuto a portarmi via, vero?”
Alzò gli occhi verso il soffitto scolpito, con gli occhi che
percorrevano il disegno intricato mentre la mente cercava di negare
l’evidenza. “Non c’è niente da fare,” disse alla fine, riportando lo
sguardo su Kendra. “Sono fortunata che sia restato lontano così a
lungo—”
“Voi state bene qui, non voglio che ve ne andiate.”
Le parole di Kendra riscaldarono il cuore di Amy. Si alzò e
abbracciò Kendra, come una sorella. “Grazie per averlo detto; non
sapete quanto significhi per me.” Tirò su col naso, per mandare
indietro le lacrime. “Ho apprezzato ogni minuto degli ultimi due mesi,
ma questo non è il mio posto. Ho un’altra vita.”
Kendra aggrottò la fronte, preoccupata. “Una vita a Parigi?”
“Non è poi così male,” disse Amy ricordando Colin che glielo
diceva fuori dalla locanda, dopo l’incendio. Tanto tempo prima,
sembrava, ma ora lo credeva anche lei. “Per quanto mi piaccia stare
qui, mi prudono le dita dalla voglia di impugnare un bulino o la cera,
di fondere e lucidare e incidere.”
Strinse i pugni, poi li aprì mentre lo sguardo cadeva sul tappeto
rosso e seguiva le strisce d’oro che lo decoravano, per tutta la
lunghezza della lunga e stretta biblioteca fino al camino. Kendra
restò in silenzio mentre Amy fissava le fiamme lontane, lottando
contro la sensazione di essere sradicata ancora una volta.
Ma sapeva che era l’unico modo. Robert doveva aver ricevuto la
sua lettera e aver accettato la sua decisione a quel punto... e se non
era così, beh, non l’avrebbe mai trovata in Francia. Avrebbe lavorato
nel negozio di zia Elizabeth mentre si preparava ad aprirne uno suo.
Aveva giurato che la Goldsmith & Sons non sarebbe morta con lei
e intendeva onorare il giuramento.
Il suo baule raccoglieva polvere nell’angolo della stanza che aveva
preso in prestito, con tutta la sua eredità dentro. Abbastanza gioielli
da rifornire un piccolo negozio, più oro per pagare l’attrezzatura—oro
che avrebbe doverosamente rimpiazzato appena fosse stata in
grado. Non avrebbe mai impoverito la fortuna dei Goldsmith. Come
le generazioni prima di lei, aveva un obbligo morale.
Kendra sospirò. “Se ve ne andrete, mi mancherete.”
Il tono triste fece uscire Amy dalla sua trance e sorrise maliziosa a
Kendra. “Mi nasconderò qui finché Colin ripartirà. Su nella balconata
—nessuno guarda i libri là in alto eccetto me. Potreste farmi avere
del cibo di nascosto e dirgli che sono andata a Parigi.”
La risata di Kendra echeggiò nella biblioteca a due piani. “Giuro,
per un minuto ho pensato che foste seria.” Si rilassò e si appoggiò
contro la rete di ottone che copriva le ante degli scaffali, poi guardò
Amy. “State scherzando, vero?”
“Santo cielo Kendra!” Amy le rivolse un sorrisino malinconico.
“Avete mai sentito niente di più ridicolo?”
“Scoprirò che cosa vuole Colin.”
Amy le toccò il braccio. “Sappiamo entrambe che cosa vuole
Colin.”
“Colin non sa che cosa vuole Colin,” dichiarò sarcasticamente.
“Vedrò che idee riuscirò a ficcargli in testa.” E con quella
dichiarazione sibillina, uscì dalla stanza.
Amy si lasciò cadere sulla sedia. Il libro di storia davanti a lei era
sembrato affascinante qualche minuto prima, ma ora aveva perso
tutto il suo fascino. Lo spinse da parte e appoggiò la testa sullo
splendido tavolo a mosaico, sentendo le tessere fredde sotto la
guancia. Le sarebbe mancata quella famiglia, ma sapeva che la sua
vita era destinata a seguire un altro percorso.
Risentì suo padre che diceva: Non puoi avere tutto.
Sospirò e si alzò per andare a prepararsi per la cena. Se si fosse
affrettata, magari avrebbe avuto il tempo di fare una passeggiata e
riflettere. Ma nel profondo del suo cuore sapeva che non c’era niente
su cui riflettere.
Ecco, il suo tempo era finito. Colin voleva che se ne andasse e
questa volta ci avrebbe pensato lui.
Non aveva più scuse.

JASON AVEVA UN mucchio di scuse.


Nel bel mezzo di una discussione urlata con i suoi fratelli, Colin
non diede nemmeno un’occhiata a Kendra quando entrò nella sala di
soggiorno. “È ancora qui? Non riesco a crederci!”
“Non è passato poi tanto tempo,” dichiaro Jason con calma.
“Nove settimane! Non dirmi che non si è ripresa abbastanza in
nove settimane.”
“Non gliel’ho chiesto,” ammise Jason. “Sembra che stia bene,
comunque.”
Colin si precipitò accanto al camino, dove il fratello stava
tranquillamente appoggiato alla mensola di pietra. “Non gliel’hai mai
chiesto?”
“L’ho appena detto, no. Sono stato piuttosto occupato in queste
ultime settimane.”
“Tu sei stato occupato?” Colin strinse i pugni. Non era stato facile
allontanarsi da Amy, ma l’aveva fatto, calcolando che non lo avrebbe
mai più tentato. “Troppo occupato per prenderti un giorno o due per
consegnarla come promesso?”
Jason scrollò le spalle. “Con la fine del raccolto, Ford ed io siamo
stati in giro a raccogliere gli affitti. È quel periodo dell’anno, sai.”
“Sì, lo so,” disse Colin a denti stretti. La nonchalance di Jason non
migliorava il suo umore. “Io sono stato occupato. A occuparmi del
raccolto, curare il bestiame, sovraintendere alla cava, a lavorare sui
dannati libri contabili—e tutto con il solo Benchley come aiuto. Tu
avevi Ford e un battaglione di operai e servitori, e non hai trovato il
tempo di —”
“Amy si è occupata dei libri contabili per me,” lo interruppe Jason.
“Immagino che aiuterebbe volentieri anche te. È piuttosto
riconoscente, lo sai.”
Colin andò verso una delle poltrone imbottite color salmone e si
lasciò cadere, sconfitto. “Si è occupata dei tuoi libri contabili,” disse
con voce atona.
“Ah, sì,” si vantò Kendra, “Ed è molto più svelta di quanto lo sia
mai stato Jason. Dice che si è addirittura quasi messa alla pari.”
“È un miracolo,” ammise Colin, “Comunque, com’è successo?”
Glielo avrebbero detto comunque, quindi tanto valeva collaborare.
“Le stavo mostrando i ritratti nella galleria,” spiegò allegramente
Kendra, “e la porta dello studio di Jason era aperta. Lui l’ha invitata a
entrare per guardarsi attorno, lei gli ha chiesto su che cosa stava
lavorando ed ecco fatto. Teneva lei i libri contabili per il negozio di
suo padre.” Kendra sorrise in un modo che fece digrignare i denti a
Colin. “È così intelligente, Colin, non lo crederesti mai.”
“Oh, lo crederei e come.” Ancora un’altra cosa da aggiungere alle
scintillanti qualità di Amethyst Goldsmith.
“È diventata una grande amica della piccola Mary.” Jason prese la
poltrona accanto a quella di Colin. “Avresti dovuto vederla con quella
bambina. È una madre nata.” Si sedette e allungò le lunghe gambe,
incrociandole alle caviglie. “Ho trovato una casa per Mary nel
villaggio, con la vedova di uno dei miei uomini che è rimasto ucciso
in un incidente al mulino.”
“Bene.” Meraviglia delle meraviglie, suo fratello aveva
effettivamente fatto uno delle cose che gli aveva chiesto. “Grazie per
essertene occupato.”
“Piacere mio.”
Con uno scintillio negli occhi, Kendra si rivolse al gemello, fino ad
allora taciturno, per farsi aiutare.
“Stavamo parlando dell’ottima educazione di Amy.” Aggiunse
generosamente Ford. “Si interessa alle scienze—” Ford si lamentava
continuamente che nessuno nella loro famiglia condividesse la sua
passione per la scienza “—anche se preferisce la storia. Passa ore e
ore in biblioteca.”
“Ah sì?” Colin incrociò le braccia e fisso Jason. “Quando hai
intenzione di portarla a Dover? Hai intenzione di portarla a Dover,
vero?”
“Dovrebbe restare qui,” protestò Kendra. “È intelligente e dolce e
servizievole ed è una buona amica e non ha nessuno—solo una zia
—e si è adattata perfettamente a tutta la famiglia.” Kendra si fermò
per riprendere fiato e raddrizzò le spalle. “Dovresti sposarla, Colin.
Noi tutti pensiamo che sia meravigliosa.”
Colin se l’aspettava. “Allora potete sposarla tutti voi.” Suggerì,
alzandosi per uscire. “Vado a lavarmi.”
“Aspetta!” Gridò Kendra.”
Colin si voltò: “Aspetta tu,” replicò in tono feroce. “Sposerò Lady
Priscilla Hobbs, oppure qualcuno se l’è dimenticato?” guardò Ford.
“Vuoi Amy in famiglia. Sposala tu.”
Gli occhi azzurri di Ford si spalancarono al semplice
suggerimento. “Io non sono pronto a sposarmi!”
Imperterrito, Colin si rivolse a Jason. “Sposala tu allora. Sembra
piacerti averla intorno.”
“Io—io non sono attratto da lei,” farfugliò il solitamente flemmatico
Jason. “Lei è—è una contabile!”
“Esattamente.” Colin girò sui tacchi e salì in camera sua,
scuotendo la testa.
A volta i suoi familiari erano più un problema che altro.
Specialmente Kendra. Dovresti sposarla, Colin.
Pfui! Kendra gliel’avrebbe pagata. Quella sera stessa. L’avrebbe
pagata cara. Un bel bagno caldo lo avrebbe calmato e gli avrebbe
ispirato qualche buona idea.
CAPITOLO DICIOTTO

“STATE DIFENDENDO il castello?”


Colta alla sprovvista, Amy si voltò vedendo Colin incorniciato
dall’arco della tromba delle scale nel torrione. Era vestito in modo
casuale, calzoni e una camicia bianca ampia e i capelli erano ancora
bagnati dal bagno appena fatto.
L’ultima volta che lo aveva visto era stato mentalmente e
fisicamente esausto. Ora le ombre scure sotto gli occhi erano
sparite. Sembrava rilassato e riposato, il corpo asciugato dal sano
lavoro manuale.
Strinse le mani sull’inferriata della finestra del torrione.
“Difendendo il castello?” Ripeté.
Il sorriso di Colin arrivò fino agli occhi di smeraldo. “È qui che
vivevano le guardie del castello, e voi stavate guardando dalla
finestra.”
“Oh.” Amy arrossì, sentendosi stupida per non aver colto il
riferimento. Che cosa c’era in lui che le toglieva la capacità di
connettere? “Stavo solo... riflettendo.” Guardò fuori dalla finestra,
cercando un commento più attinente. “Come facevano a vedere? Le
finestre sono così strette.”
“Era il sistema migliore per evitare le frecce, nei tempi passati.”
Colin si mosse verso di lei, poi si fermò di colpo. Amy pensò di aver
visto una smorfia attraversare il volto abbronzato. “In verità qui
vivevano e immagazzinavano le armi. Una volta c’era un altro piano
dove facevano a turno, giorno e notte, a fare la guardia attraverso le
aperture del parapetto tutto intorno.”
Amy alzò gli occhi guardando il cielo, striato di colori dal sole che
calava. immaginò le guardie che camminavano avanti e indietro,
rumorose nelle loro armature. Le parole di Colin sembravano farle
rivivere altri posti, altre epoche.
Gli diede un’occhiata di soppiatto. I capelli neri lucenti erano
sciolti, tanto per cambiare, tagliati giusto all’altezza delle spalle, facili
da gestire anche se forse non tanto alla moda. Era strano, ma il
colore che detestava su se stessa sembrava perfetto per lui.
Si era auto convinta che la sua reazione al suo bacio, quell’unica
volta che ora sembrava tanto lontana, era stata solo il prodotto del
suo dolore, un metodo per sfuggirgli. Ma, di colpo, si rese conto che
si stava prendendo in giro. Sembrava che tutte le volte che lo
vedeva l’attrazione fosse più forte.
Si avvicinò di un passo. “Riesco a visualizzare i cavalieri quassù,
quando ne parlate.”
“Un’immagine romantica, ma non erano cavalieri addobbati per
una battaglia.” Colin fece un passo indietro e si appoggiò al muro,
incrociando le caviglie e le braccia. “Erano gente normale, per la
maggior parte. Ogni vassallo del Signore—tutti gli uomini cui era
concesso l’uso della sua terra—aveva l’obbligo di passare parte
dell’anno come membro del corpo di guardia del castello.”
“Mi stavo chiedendo come fosse vivere qui.”
“Beh, Kendra mi ha mandato a cercarvi per la cena, ma posso
farvi fare il mio famoso giro turistico mentre scendiamo.”
Amy rise, un suono felice che si allontanò nella notte mentre la
guidava verso la scala e scendevano di un livello.
“È difficile immaginare vivere in un posto così primitivo come il
torrione, ai nostri giorni,” le parole di Colin fluttuavano verso di lei,
“ma nel dodicesimo secolo, avrebbe contenuto i migliori alloggi
residenziali per il Signore. In quei giorni, altri vivevano nelle piccole
torri inserite nelle mura del castello, mentre il resto della gente
viveva in case costruite contro la superficie interna della mura
esterne.”
Quando uscirono al piano inferiore, Amy andò a una finestra da
dove si poteva vedere la corte interna. “Nessuna meraviglia che sia
così grande,” disse, immaginando centinaia di persone indaffarate.
“Il castello era come una piccola città e questo torrione era il
massimo del lusso in quanto ad alloggi.” La raggiunse alla finestra,
sfiorandole il braccio. “C’era un recinto, dove tenevano tutti gli
animali.” Quando si avvicinò ancora un po’, Amy cominciò a sentire
le farfalle nello stomaco. “Soldati, operai specializzati, servitori e le
loro famiglie—risiedevano tutti all’interno delle mura del castello.”
Amy si sentì di colpo la testa leggera. Non era proprio che le
parole di Colin entrassero da un orecchio per uscire dall’altro, ma
faceva fatica a concentrarsi.
“Parlatemene ancora.” Lo pregò.
“La saracinesca, quel portone di legno con i rinforzi di ferro, là, sul
barbacane, era sempre chiusa, non solo di notte, come adesso. Il
ponte levatoio veniva alzato solo quando qualcuno aveva bisogno di
uscire o entrare.”
Quando Colin smise di parlare, Amy si voltò a guardarlo. Colin la
fissò negli occhi. “Questa era la stanza da letto del Signore.”
“Oh.” Amy arrossì furiosamente.
“Era decorata con splendidi arazzi, e i letti erano drappeggiati da
metri e metri di tende che si potevano chiudere per tenere dentro il
calore. Letti enormi, di modo che nelle notti più fredde potesse
dormirci l’intera famiglia, tutti stretti per tenersi caldi.”
Anche se le parole di Colin erano semplicemente informative, la
sua voce era profonda e roca, come se...
No, era tutta la sua immaginazione. Non le aveva chiesto come
stava, o nient’altro di natura personale. Doveva smettere di
prendersi in giro. Era venuto solo per portarla a cena.
E per portarla via.
Beh, non era il caso di rimuginare su un argomento così
deprimente. “La cena sta aspettando?” Gli chiese.
Per un attimo, Colin sembrò sorpreso, poi, quando rispose, le sue
parole furono asciutte. “Immagino di sì. Dovremmo andare.”
Amy lo seguì sulla scala a chiocciola, ma quando Colin si diresse
verso la corte, lei rallentò. Nonostante tutto, non si sentiva ancora
pronta a dividerlo con la sua famiglia.
“A che cosa serviva questa stanza?”
Colin esitò prima di voltarsi. “Era la stanza di soggiorno principale
per il Lord e la sua famiglia.” Era tornato a essere la guida turistica,
la voce istruttiva, niente di più. “Qui mangiavano, con il cibo che
arrivava portato dai servitori dalle cucine del castello. I figli del Lord
facevano lezione qui e qui la famiglia riceveva i visitatori e faceva
giochi di società. C’erano montagne di cibo e vettovaglie nelle
dispense sotterranee, in caso di assedio.”
Amy fece passare le dita sull’antico muro. “Avete una casa
meravigliosa, milord.”
Colin scrollò le spalle. “È di Jason, in effetti.”
Amy camminò intorno alla stanza circolare, passando una mano
sulla pietra ruvida. “Riesco a immaginare il Lord e la sua famiglia
vivere qui. Credete che fossero felici?”
“Immagino di sì.” Colin ridacchiò. “I Chase sono sempre stati
gente allegra e chiassosa, a quanto mi dicono.”
Amy si fermò, sorpresa. Ma certo, era la sua la famiglia che viveva
lì da quattrocento anni; non le era venuto in mente prima. Erano
aristocratici da tutto quel tempo. Proprio come i suoi erano orafi da
un numero immemorabile di anni. Era un pensiero intrigante, e triste,
che poneva l’accento sulle molte ragioni per cui non avrebbero mai
potuto stare insieme.
“Ci stanno sicuramente aspettando, adesso,” disse Colin,
interrompendo le sue riflessioni. “Andiamo?”

QUANDO COLIN E AMY arrivarono nella sala da pranzo, trovarono


la famiglia seduta agli stessi posti della sera precedente, prima che
lei se ne andasse, e loro due furono obbligati a sedersi ancora
accanto.
Colin non ne fu sorpreso.
Si sedette e servirono la cena. La conversazione era vivace, come
sempre, ma quella sera lui non partecipava. Era talmente conscio
della presenza di Amy che avrebbe potuto giurare di sentire il calore
che emanava dal suo corpo. Gli ci era voluta tutta la sua forza di
volontà per non toccarla nel torrione.
Sembrava diversa, quella sera. Indossava un vestito diverso,
verde scuro, che ricordava di aver visto su Kendra durante un
ricevimento lì a Cainewood l’anno prima. I capelli erano arricciati...
Erano i suoi occhi, decise di colpo. Lo scintillio dell’ametista era
tornato.
Nessuno avrebbe pensato di descrivere questa donna sicura di sé
come ‘un relitto’, adesso. Rideva e scherzava con sua sorella e i
suoi fratelli, scambiando battute con loro come se fosse cresciuta in
una grande famiglia rumorosa.
La sua grande famiglia rumorosa, in effetti.
Colin era stupefatto. Amy era tutto ciò che aveva immaginato che
fosse: bella, animata, di talento, intelligente, spiritosa... e
sicuramente troppo a suo agio con i suoi fratelli. Quando Amy rise di
nuovo, Colin strinse i pugni sotto il tavolo. Si obbligò a guardare il
suo piatto e non lei. Amy poteva mandare un uomo al manicomio. O,
ancor peggio, poteva spingerlo a una vita di dissolutezza.
L’avrebbe messa su una nave diretta in Francia—il giorno dopo.
Era chiaro che Jason e Ford non avevano intenzione di farlo in tempi
ragionevoli e doveva essere fatto—prima era meglio era.
“Che ne pensate, Colin?” Chiese Amy, distogliendolo dai suoi
pensieri.
“Scusate?” Non aveva minimamente seguito la conversazione.
“Amy ti ha sfidato a una partita a picchetto dopo cena,” gli spiegò
Ford.
“Gliel’ho insegnato il mese scorso,” si lamentò Kendra, “e già non
reggo il suo confronto.”
“Sono stanco, stasera.” Colin non aveva nessuna voglia di
confrontarsi in una partita di carte, specialmente non con Amy.
Inoltre, aveva un piano da seguire. “Voglio rilassarmi e ascoltarti
suonare il clavicordio, Kendra.”
“Ho suonato ieri sera.”
“Non per me. Per favore,” la pregò. “Sono stato rinchiuso nella mia
fortezza dimenticata da Dio per settimane, senza un intrattenimento
civilizzato...”
“Oh, va bene. Non hai bisogno di fingere di essere così triste.”
Kendra sembrava irritata, ma i suoi occhi brillavano. Le dava una
gioia immensa essere apprezzata.
CAPITOLO DICIANNOVE

LA PRIMA NOTA stonata passò praticamente inosservata, con tutti


che cantavano a voce alta una canzone allegra e le agili dita di
Kendra che volavano sulla tastiera. Poi suonò un’altra nota
sbagliata, e un’altra...
Si fermò un attimo, poi riprese.
Kendra sbagliava raramente. Era stata un’allieva diligente, aveva
suonato per ore e ore quand’erano in esilio, discepola volonterosa di
dame annoiate che cercavano un modo per passare il tempo.
Proprio come gli uomini avevano preso Colin e i suoi fratelli sotto la
loro ala, insegnando loro la scherma finché avevano imparato alla
perfezione parate e stoccate, le signore avevano addestrato Kendra,
con risultato che era una musicista esperta, il che rendeva i problemi
di quella sera particolarmente irritanti.
Quando risuonarono altre tre note stonate in meno di un minuto,
Kendra si fermò di colpo e scosse la testa, come per schiarirsela.
“Che c’è?” la prese in giro Ford. “Troppo vino del Reno, stasera?”
“Non bevo mai troppo, Ford, e tu lo sai bene.”
“Ah, già, dimenticavo. Quello è un problema di Amy. Mezzo
bicchiere e finisce sotto il tavolo.”
Amy ridacchiò.
Colin la guardò di colpo, poi riportò lo sguardo su suo fratello.
Santo cielo, la sua famiglia sapeva molto più di lei di quanto avrebbe
mai immaginato. Si era veramente scavata una nicchia, la piccola
strega.
Era ancora più deciso a portarla via il giorno dopo, prima che si
insinuasse ancora più in profondità.
“Sei stanca, Kendra?”
“No, non sono stanca,” Kendra, chiaramente irritata. “Ricomincerò
da capo.”
E ricominciò da capo, e suonò esattamente le stesse note stonate.
Sbatté i pugni sulla tastiera, esasperata.
“Gli occhi vi danno fastidio?” Le chiese Amy.
“No, e comunque potrei suonare questo pezzo a occhi chiusi.”
“Potremmo semplicemente fare conversazione, stasera,” suggerì
Jason. “È tanto che non stiamo tutti insieme.”
Kendra sospirò impaziente, “No, so di poter suonare questo pezzo
—l’ho fatto centinaia di volte.”
Attaccò la tastiera con nuovo vigore, suonando le stesse note
sbagliate.
Le stesse note sbagliate.
Balzò in piedi e alzò il coperchio dello strumento. Mezzo secondo
dopo lo chiuse sbattendolo e si voltò di colpo, puntando un dito
accusatore verso Colin.
“Tu! Tu e i tuoi dannati scherzi. Hai idea di quanto tempo mi ci
vorrà per accordare nuovamente questo strumento?”
“Per quanto tempo ti ci voglia, te lo sei meritato, sorellina. ‘dovresti
sposarla,’ già, davvero.”
“Sposare chi?” Chiese Amy.
“Niente,” disse in fretta Colin, con l’attenzione concentrata su
Kendra. “Ci sei cascata come una pera cotta, vero?”
“Già,” ammise Kendra con un sorriso sarcastico.
“Che cosa sta succedendo?” Ford si avvicinò al clavicordio, alzò il
coperchio e sbirciò all’interno, poi scoppiò a ridere.
“Che c’è?” Chiese Amy, “Che cos’è successo?”
“Lui—lui—ha allentato alcune corde.” Riuscì a dire Ford tra uno
scoppio di risa e l’altro. “Guardate.”
Amy andò a controllare lo strumento. Anche se non sapeva niente
di musica, quello che Colin aveva fatto era evidente. Una mezza
dozzina di corde a caso erano notevolmente più lente delle altre.
“Visto?” Ford premette un tasto e un plettro colpì una corda tirata,
poi premette il tasto corrispondente a una corda lenta. Il suono fu
così discordante che Amy scoppiò involontariamente a ridere.
Era così bello, ridere senza ritegno. Non riusciva a fermarsi, la
risatina si trasformò in una risata incontrollabile.
Contagiosa. Colin si unì alla risata, e poi Ford e Jason, e alla fine
anche Kendra, finché tutti ridevano solo perché tutti gli altri lo
stavano facendo. Uno per uno si fermarono, con solo qualche
occasionale risatina, tutti eccetto Amy, che si afferrò al clavicordio
per non cadere mentre rideva e rideva, non sapeva nemmeno più lei
perché.
Le facevano male i fianchi e le scendevano le lacrime sulle
guance.
Ford le mise una mano sulla spalla. “Pensa che tu sia divertente,
Colin.”
Amy arrossì, ma Colin si limitò a sorridere. “Apprezzo una donna
che ammira i miei scherzi.”
Il volto di Amy si colorò ancora di più. “Io—torno subito,” con un
singhiozzo tra due scoppi di risa.
Doveva riprendere il controllo.
Uscendo dalla stanza, zigzagò attraverso i corridoi, ridendo, e
scese le scale, appoggiandosi ogni tanto alla parete. Devono
credere che sia ubriaca, pensò—ma lei sapeva bene che non era
così. Era solo stordita dalla vicinanza di Colin, intensificata dalla
sensazione di benessere che le dava essere circondata da gente
ridente che si amava.
Forse la sua famiglia non aveva gridato, ma non avevano mai
nemmeno riso insieme.
Ridere la faceva quasi sentire la nausea e si strinse lo stomaco e
le costole doloranti. In fondo alle scale guardò l’alto portone di legno,
con gli occhi velati di lacrime. La corte interna, appena fuori, la
attirava, l’aria frizzante della notte era esattamente quello che le
serviva. Barcollò attraverso il salone e uscì, continuando a ridere e
quasi inciampò nei gradini di fuori, crollando sull’erba bagnata, come
un mucchietto di stracci.
Mentre le risatine diminuivano, si riempiva i polmoni di deliziosa
aria fredda. Dopo un po’ si sedette, asciugandosi le lacrime dalle
guance tra un singulto e l’altro. Mise le mani dietro di sé sull’erba, si
chinò all’indietro e guardò il cielo, godendo della sensazione dell’aria
gelida sul volto accaldato.
Colin uscì nella corte e si accucciò accanto a lei.
“La famiglia ha deciso che toccava a me controllarvi,” disse
ironico, “Va meglio adesso?”
“Uh-uh.” Amy guardava una nuvola scura che stava lentamente
coprendo la luna. “Mi dispiace. Mi sono resa ridicola.” Singhiozzò
ancora, più forte di quanto le sarebbe piaciuto. “Scusatemi.”
“Non serve scusarsi,” dichiarò cavallerescamente Colin. “E non vi
siete nemmeno resa ridicola. Al contrario, siamo tutti felici che
abbiate ritrovato il vostro spirito.”
In silenzio, Amy continuò a guardare le nuvole che si
ammassavano, ombre scure nel cielo stellato. Un altro singhiozzo.
“Vi porterò a Dover, domani,” disse sommessamente Colin
accanto a lei. “Mi dispiace che Jason e Ford non abbiano trovato il
tempo di farlo.”
Di colpo, l’aria le sembrò fredda invece che rinfrescate. Rabbrividì
e si sedette diritta, piegando le gambe sotto di lei. “Non era un
problema. Sono stata bene qui.”
Attraverso la finestra, si sentivano le tenui risate della famiglia.
Amy sentì una fitta di dolore al pensiero di lasciarli tutti; si era perfino
abituata alle loro inevitabili discussioni. Ma era stato solo un caso
che avesse avuto il lusso di far parte di quella famiglia per un po’, e il
suo tempo era finito.
Rabbrividì di nuovo.
“Avete freddo?”
“Un po’.”
Colin si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle, tirandola
vicino a sé. “Vi ammalerete qui fuori. Dovremmo rientrare.”
Il calore penetrava nel suo corpo, riscaldandola tutta. Non si
sarebbe mossa per niente al mondo. “Fra un attimo,” prese tempo.
Colin le strinse la spalla. “Come va la mano?”
“Bene.” Parlava a bassa voce, temendo che si staccasse da lei. “È
guarita settimane fa.”
Colin le prese la mano per esaminarla alla luce della luna. “Mmm,”
mormorò, strofinando il suo palmo caldo contro il dorso. “Vero.”
Da sopra, risuonarono altre risate. Di colpo le dita le avvolsero la
mano e poi si intrecciarono con le sue e poi, con sua somma
sorpresa, Colin portò le loro mani unite alle labbra e le tenne lì.
Amy si morse il labbro e chiuse gli occhi. Quando sentì Colin che
si spostava e si inginocchiava davanti a lei, li aprì trovandolo a solo
qualche centimetro di distanza.
“E voi come state, Amy?” le chiese in tono sommesso, cercando
una risposta sul suo volto.
“Sto meglio,” sussurrò Amy, sopraffatta dalla sua intensità. “ Molto,
molto meglio.”
“È un bene,” rispose Colin e poi, in fretta, prima che uno o l’altro
potesse pensarci, la attirò a sé, la strinse forte e abbassò la bocca
sulla sua.
Amy fu sbalordita della propria reazione. Le braccia salirono alle
spalle e poi intorno al collo di Colin; le dita si insinuarono tra i folti
capelli setosi. Per quanto fosse inesperta, le sue labbra si aprirono,
invitandolo a entrare.
Quando la fece sdraiare sull’erba umida e profumata, la bocca di
Colin si spostò lentamente e Amy sentì la sensazione inebriante,
umida delle labbra contro il suo collo inarcato. Colin si allungò, per
metà sopra di lei. Aveva dormito accanto a lui nella locanda, ma
questa volta era diverso e il suo corpo sembrava in fiamme in
centinaia di punti dov’era in contatto con quello di Colin.
Le sembrava che le girasse la testa e tutto quello che riusciva a
pensare era che sperava che non smettesse mai. Alzò la testa per
pronunciare il suo nome con la voce strozzata prima che le sue
labbra risalissero a baciarle la bocca, con ancora più passione,
questa volta. La sua bocca aveva il gusto del vino del Reno, ma,
sotto sotto, sapeva solo di Colin. Un sapore unico, delizioso che
sapeva che avrebbe cercato per tutto il resto della sua vita.
La bocca di Colin sembrava calda ed esigente, i baci umidi sul suo
mento e la sua gola e finalmente tra i seni scoperti dalla profonda
scollatura dell’abito preso in prestito. Amy annusò i suoi capelli, il
suo profumo, che non sapeva più di fumo, ma era caldo e pulito e
virile. La lingua di Colin tracciò una linea di brividi dal seno su per il
collo e Amy mormorò il suo nome, senza fiato.
Colin si allontanò, si sedette, imprecando sottovoce. “Mi dispiace,”
sospirò, passandosi una mano tra i capelli in disordine.
Ovvio che gli dispiacesse. Lei non gli piaceva; voleva solo liberarsi
di lei. Quello che Amy non riusciva a capire era come potesse
baciarla in quel modo, visto che non la voleva.
Non si fidò a parlare. Invece si sedette e si prese la testa tra le
mani. Ma non pianse. Si sentiva troppo morta dentro per piangere.
“Sono fidanzato, sapete,” disse Colin all’improvviso.
Amy alzò gli occhi, stupita. Non lo sapeva—nessuno aveva
pensato a informarla.
“Si chiama Priscilla Hobbs,” continuò Colin. “Lady Priscilla Hobbs.
Suo padre è un Conte—sarà la madre perfetta per i miei figli. Oh, ed
è anche molto carina,” aggiunse, in tono poco convincente.
“Perché me lo state dicendo?” Gli chiese Amy confusa.
“Sto solo cercando di spiegarvi perché... non posso farvi la corte.”
Umiliata, Amy lo attaccò. “Farmi la corte? Per un bacio? Che idea
assurda!” La voce si alzò di un’ottava, tanto era agitata. “Non mi
aspetterei mai che mi sposaste—avete tentato in ogni modo di
liberarvi di me.”
“Non è vero,” protestò Colin.
“È più che vero,” lo contraddisse Amy, ma la rabbia stava già
scemando. La situazione era quello che era.
Non era adatta a lui e non c’era niente che potesse fare al
riguardo.
“Amy,” disse Colin, alzandosi sulle ginocchia per guardarla in
volto.
Quando Amy istintivamente si mosse all’indietro, sul volto di Colin
apparve un lampo di delusione. Amy abbassò la testa, togliendosi un
immaginario filo d’erba dalla gonna.
“Mi dispiace,” mormorò Colin.
Restarono a lungo in silenzio. Poi Amy lo guardò fisso negli occhi.
“Quando mi toccate,” gli confessò a bassa voce, “Provo
sensazioni che non avevo mai pensato di provare. Non so se è lo
stesso anche per voi. Quello che so è che non importa. Il vostro
posto è qui, tra i nobili, e il mio è in Francia, a lavorare a un banco
da gioielliere.”
Una maschera imperscrutabile scese sul volto di Colin. Esitò, poi
si alzò lentamente e tolse l’erba dai calzoni.
“Sarà meglio che dormiamo un po’,” disse con una voce priva di
emozioni. “Ho intenzione di partire presto.”
Le sue lunghe gambe lo portarono ai gradini e attraverso la porta
senza esitazione. Amy fece un respiro profondo e si alzò,
chiedendosi se le gambe l’avrebbero sorretta.
CAPITOLO VENTI

COLIN IMPRECÒ A LUNGO, dando un calcio alla fiancata della


carrozza per sottolineare la sua irritazione.
“Milord, dovremo fermarci qui,” concluse Benchley.
“Ah, davvero?” la voce di Colin era carica di sarcasmo.
“Immaginavo che saremmo riusciti a trascinarci fino a Dover su tre
ruote.”
Benchley normalmente stava il più possibile eretto, per
compensare la sua scarsa statura, ma ora le spalle si curvarono e
sembrò restringersi.
“Le mie scuse,” si affrettò a dire Colin. Anche se aveva intenzione
di assumere altri servitori nel prossimo futuro—appena fossero
disponibili gli alloggi per loro a Greystone—per ora Benchley era il
suo valletto, cocchiere, cuoco e cameriere, tutto in una sola persona.
Non meritava l’ira fuori luogo di Colin. “Dannazione, sono veramente
seccato, ecco tutto.”
“Vi capisco, milord. Prenderò uno dei cavalli e tornerò con una
ruota e un carradore per installarla. Voi due potete restare qui
tranquilli e mangiare quello che ha inviato Lady Kendra. Tornerò in
un battibaleno.”
“Dannazione, non credo proprio.” Colin indicò rabbiosamente il
cielo. “La bufera si scatenerà da un momento all’altro.”
Nemmeno a farlo apposta, qualche fiocco di neve cominciò a
scendere dalle nuvole.
Benchley si tolse un fiocco di neve dal naso a becco. “Temo che
abbiate ragione, milord. Non credo che riuscirò a trovare un
carradore che se la senta di venire con questo tempo.”
Le nuvole che avevano cominciato ad ammassarsi la sera prima
sembravano inequivocabilmente minacciose, a quel punto. La sua
famiglia aveva cercato di convincere Colin a rimandare il viaggio, ma
lui era stato irremovibile. Intendeva mettere Amy su una nave diretta
in Francia, e intendeva farlo proprio quel giorno.
Dannazione alla ruota rotta.
Il pensiero di passare dell’altro tempo con Amy, in una carrozza
gelida che non andava da nessuna parte era scoraggiante. L’unica
cosa più fredda del tempo era l’atteggiamento di Amy. Avevano
trascorso la prima breve parte del loro viaggio nel silenzio più totale,
seduti diagonalmente negli angoli opposti della carrozza, ciascuno
con il naso sprofondato in un libro.
Passare il pomeriggio rinchiuso con lei, lì dentro, era impensabile.
“Pagate il carradore tutto quello che ci vuole.” Si frugò in tasca,
sbatté qualche moneta nella mano di Benchley. “Grazie a Dio siamo
vicini a Greystone. Porterò là la signora Goldsmith con l’altro cavallo.
Quando la ruota sarà a posto, venite là e ci rimetteremo per strada.”
Colin aiutò Benchley a staccare uno dei due bai e lo mandò via
con una manata sulla groppa del cavallo. Poi salì in carrozza e si
sedette davanti a Amy, chiudendo la portiera per non far entrare
l’aria gelata.
Amy alzò gli occhi dal libro che stava sforzandosi di leggere nella
luce che moriva. “Sì?” gli chiese in tono gelido.
“La ruota è rotta.”
“Lo avevo già immaginato.” Amy chiuse il libro. “Ho sentito tutto
quello che avete detto, incluse le imprecazioni.”
“Benchley è andato a cercare aiuto,” spiegò Colin comunque.
“Andremo a Greystone con l’altro baio e lo aspetteremo là.”
“Quanto dista Greystone?”
“Circa un miglio e mezzo.”
“Andrò a piedi.”
“No,” dichiarò Colin.
“Io non salirò su nessun cavallo.”
Sapeva che era arrabbiata con lui, ma perché doveva contraddirlo
ogni sacrosanta volta?
“Non posso permettervi di andare a piedi. Sta nevicando e non
avete un mantello. Gelereste prima di arrivare a metà strada.”
“Sta nevicando?” Con un’occhiata scettica, Amy strofinò un
finestrino, togliendone la condensa con il pugno. Sbirciò fuori, si
avvolse meglio la coperta intorno e tornò nel suo angolo. “Nevica.”
Colin guardò fuori dall’oblò che aveva creato.
“Dannazione, sta peggiorando più in fretta di quando mi
aspettassi.” L’espressione beffarda di Amy lo fece andare in collera.
“Non è colpa mia se siamo stati sorpresi dalla neve a Novembre. Per
l’amor del cielo, non vediamo la neve così a sud da tre anni. Come
diavolo potevo supporre che sarebbe successo?”
“Faceva comunque freddo. Avreste potuto aspettare un tempo
decente prima di insistere—”
“Ho le mie ragioni per affrettarmi.”
“Perché? Per liberarvi di me una volta per tutte?”
“No,” rispose Colin troppo in fretta. Amy aveva colpito troppo
vicino al segno. “Mi dispiace che sia successo.”
La risposta di Amy fu un’occhiata gelida.
“Ho già detto che mi dispiace per il modo in cui vi ho trattato.”
Amy continuò a tenere la bocca chiusa.
Colin strinse i pugni, cercando di controllare il tono della voce.
“Dobbiamo arrivare a Greystone e alla velocità in cui vi state
muovendo, ci sarà una vera bufera di neve prima ancora che
scendiamo dalla carrozza.”
La maschera di ghiaccio di Amy cadde e lei si ritirò ancora di più
nel suo angolo. “Non posso andare a cavallo.”
“Cosa?” Colin aprì i pugni e strofinò le mani sulle cosce. “Perché
no?”
“Non ho mai cavalcato un cavallo,” gli confessò con voce
strozzata. “Non ci riesco, non posso proprio farlo.”
“La gente va continuamente a cavallo.”
“Gli altri.”
“Non siete mai stata a cavallo. Che cosa vi fa pensare che non vi
piacerà?”
“Non ho mai detto che non sono mai stata su un cavallo. Ho detto
che non ho mai cavalcato un cavallo. Papà una volta mi ha messo
su un cavallo, a Hyde Park, quando avevo otto anni. Ero così in alto
e questa cosa sotto di me si muoveva, e ho cominciato a urlare
finché mi hanno tirato giù. Ho giurato che non sarei mai più salita su
un cavallo.”
Colin non riusciva a credere alle sue orecchie. Dovevano
muoversi, e subito. “Non avete più otto anni, Amy.”
“Non ci riesco. Non ci riesco proprio. Quell’animale pesa dieci
volte più di me, e ha un cervello tutto suo—potrebbe disarcionarmi, o
correre sotto un albero e farmi colpire in testa da un ramo, o—”
“Ora state parlando a vanvera.” Le prese la mano e la tirò.
Liberando in fretta la mano, Amy si rannicchiò ancora di più nel
suo angolo e si strinse bene intorno la coperta. “Mi dispiace. Se non
posso camminare, aspetterò semplicemente qui. Ho una coperta, un
libro, del cibo. Sono pronta ad aspettare finché tornerà Benchley.
“Questa bufera potrebbe durare fino a domani mattina.” Cercò di
farle capire Colin, anche se sperava vivamente che non succedesse.
“Verrete con me, e verrete a cavallo. Vi terrò io. Andrà tutto bene.”
Spalancò la portiera, le afferrò la mano da sotto la coperta, la fece
alzare e la tirò giù dalla carrozza in un sola mossa.
Fissandolo infuriata, Amy rabbrividì sotto la sua coperta mentre
Colin staccava il cavallo. Ogni tanto la guardava di soppiatto, con
l’irritazione che si trasformava velocemente in divertimento.
Inimmaginabile, una donna adulta spaventata da un animale docile.
Certamente una volta che fosse stata a cavallo avrebbe visto che
non era poi così spaventoso.
Quando il cavallo fu libero, le fece segno di avvicinarsi. “Vi
suggerisco di mettervi cavalcioni—vi sentirete molto più sicura che
con una sella all’amazzone.”
“Sella all’amazzone?” Gli diede un’occhiata accusatoria. “Non c’è
la sella.”
“Su, salite,” disse allegramente Colin, unendo le mani per darle un
appoggio e aiutarla a salire.
“Voi per primo.”
“Amy,” le disse con un sorriso esasperato, “se salgo per primo non
sarò in grado di aiutarvi.”
Amy sbuffò, poi serrò la mascella e salì sulle sue mani, alzando
goffamente la gamba.
E quasi ricadde dall’altra parte.
Il suo strillo sembrò assordare Colin mentre si precipitava a
raddrizzarla. Finalmente seduta, gli occhi sgranati per la paura, Amy
arricciò il naso. “Ha un odore terribile.”
Aveva le gonne rialzate, in disordine e l’espressione sul suo volto
era così comica che Colin dovette mordersi la lingua per impedirsi di
ridere.
“È caldo,” riferì Amy, “e pizzica. E sembra molto vivo.” Il cavallo
fece un piccolo passo indietro e Amy urlò.
“Va tutto bene,” cercò di tranquillizzarla Colin. “Non va da nessuna
parte.”
Tornò alla carrozza, brontolando tra sé.
“Do-dove state andando?” Gli gridò dietro Amy. “Tornate qua! Non
potete lasciarmi da sola su una bestia viva!”
Colin si chinò dentro la carrozza per prendere il cesto di cibo.
“Stavo solo prendendo il nostro pranzo.”
Salito agilmente in groppa dietro di lei, Colin teneva il cestino in
una mano e Amy saldamente contro di sé con l’altra. Il braccio
faceva praticamente un giro completo intorno alla sua vita.
“Meglio?”
Amy annuì. Colin aspettò che si rilassasse appoggiandosi a lui,
poi spronò il cavallo, a passo lento verso Greystone.
Si mossero—per ben cinque metri.
“Fermo!”
Colin non si fermò. “State andando bene, Amy.”
“No! Voglio dire, dobbiamo tornare indietro!” Si voltò, cercando di
guardarlo in faccia. “Abbiamo lasciato il mio baule nella carrozza!”
Colin tirò le redini, imprecando sottovoce. “Oh no. Non ci
trascineremo dietro quel dannato baule fino a Greystone. Sarà
ancora lì quando torneremo.”
“No—deve venire con me,” insistette Amy, sembrando nel panico.
Alzò la testa girandosi a guardarlo e colpendolo sul mento. “Lo
prenderò io stessa, se serve.” Per sottolineare la sua minaccia si
chinò di lato come se fosse decisa a scivolare giù.
Colin la tenne stretta. “Che cosa diavolo c’è in quel dannato baule
che lo rende così importante?”
Amy strinse i denti. “Tutto quello che possiedo.”
La stessa risposta che gli aveva già dato una volta. Colin era
sicuro che gli stesse nascondendo qualcosa, ma poi vide i suoi occhi
che si riempivano di lacrime e si ritrovò a smontare da cavallo. Mise
a terra il cestino e tornò verso la carrozza.
“Grazie mille,” gridò Amy alle sue spalle.
Era la prima frase gentile che gli aveva detto in tutta la mattina.
Non aveva proprio idea di come avrebbe fatto a trasportare Amy, il
baule e la cena su un cavallo solo, ma immaginava che ne sarebbe
valsa la pena, se avesse spinto Amy a comportarsi gentilmente.
Sentì un altro strillo mentre saliva sulla carrozza. “Si sta
muovendo! La bestia sta per scappare!”
“Tirate le redini,” urlò Colin.
“Le cosa? Oh, santo cielo, si sta chinando in avanti! Mi rotolerà
sopra e mi schiaccerà, lo so!”
Allarmato, Colin scese dalla carrozza. Il cavallo si era mosso, sì, di
un metro al massimo. Con la testa bassa, masticava tutto contento
un ciuffo d’erba sul bordo della strada.
“Dio del cielo, proprio,” Colin sollevò il baule e tornò da lei.
“Salvami.”
“Che cosa avete detto?”
“Ho detto che spero siate contenta che stia salvando il vostro
baule.”
Quando sollevò il piccolo ma pesante baule sulla schiena del
cavallo, la povera bestia voltò la testa e lo guardò con aria afflitta.
Colin sospirò. Faceva fatica a credere fino a che punto fosse
disposto ad arrivare per placare Amethyst Goldsmith.
“Va bene.” La guardò. “Ora spostatevi indietro di modo che possa
cavalcare davanti a voi.”
“Davanti a me? Come farete a tenermi?”
“Non posso tenere voi e contemporaneamente tenere in equilibrio
il baule, Amy.”
Amy strinse le ginocchia intorno al cavallo, come se si aspettasse
che Colin la trascinasse giù. “Terrò io in equilibrio il baule.”
Colin guardò il pesante baule, tamburellando le dita sulla coscia.
“Non credo. Ovviamente possiamo lasciare qui il baule...”
“No.” Amy capitolò. “Mi sposterò io.”
Indietreggiò lentamente finché Colin fece segno che bastava.
Tenendo una mano sul baule, si abbassò a raccogliere il cesto di
Kendra. Ecco, dovrete portare questo.”
Amy lo guardò dubbiosa ma lo prese e, saggiamente, restò zitta.
Continuando a tenere in equilibrio il baule con una mano, Colin
riuscì a montare a cavallo senza darle un calcio in faccia, un’impresa
che lui riteneva meritasse la sua eterna ammirazione.
Amy non sembrò nemmeno accorgersene.
“Tenetevi a me.”
“Non riesco a vedere davanti,” si lamentò Amy. “Riesco solo a
guardare in basso. E la terra è molto lontana.”
“Se preferite cavalcare davanti, possiamo lasciare qui il baule,”
suggerì Colin con tutta la gentilezza che riuscì a raccogliere.
“No, no... andrà tutto bene. Aspettate un attimo, però.” Spinse il
manico del cestino oltre il polso in modo da riuscire a circondargli la
vita con entrambe le braccia. “Sono pronta,” annunciò.
“I miracoli non finiscono mai,” borbottò Colin. Spronò il cavallo,
diviso tra andare lentamente e gelare o muoversi in fretta e
spaventare a morte Amy.
Impietosito, scelse il freddo.
Ma avrebbe giurato di sentire il cuore di Amy che batteva forte
contro la sua schiena, anche se erano isolati dal suo mantello, la
coperta di Amy ed entrambi gli strati di abiti. Le mani di Amy, strette
intorno alla sua vita, avevano le nocche bianche per la tensione.
“Santo cielo,” disse, “avete una presa mortale. Il manico del
cestino mi è entrato nel fianco.”
“Mi dispiace.” Le braccia di Amy si allentarono, di un centimetro,
poi si strinsero di nuovo quando il cavallo sbuffò.
“Tutto bene lì dietro?” Chiese Colin con un sospiro.
Non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto se non fosse stato
così.
CAPITOLO VENTUNO

“STO BENE,” MORMORÒ Amy a denti stretti. Si chiese quanto


tempo ci sarebbe voluto per percorrere un miglio e mezzo. Le
sembrava già un’eternità. “Ma i fiocchi di neve mi fanno il solletico al
naso.”
“Sentitevi libera di lasciarmi andare e toglierli.”
Amy scosse violentemente la testa.
“Sembra ancora molto lontana la terra?”
“Ho gli occhi chiusi.”
Era l’unico modo in cui sarebbe riuscita a sopportarlo. Perfino
premuta contro la schiena calda di Colin si sentiva insicura. Aveva il
cuore che batteva come un tamburo, e le gambe stavano per
perdere sensibilità tanto le stringeva intorno al corpo irsuto della
bestia. Era ridicolo, e lo sapeva—perfino i bifolchi erano a loro agio
su un cavallo.
Ma ripeterselo non le impediva di tremare.
“Freddo?” Le chiese Colin, che a quanto pareva la sentiva
tremare.
“Sì.” Meglio lasciarglielo pensare che dirgli qual era il vero motivo.
“Vi avevo avvertito che avremmo dovuto andare in fretta.”
Quando il cavallo accelerò, Amy emise un guaito e Colin faticò per
raddrizzare il baule, imprecando sottovoce. Se mai Amy avesse
avuto bisogno di un’ulteriore conferma di quanto poco fosse adatta
al suo mondo, l’aveva ottenuta.
Risoluta a restare calma finché la tortura fosse finita, strinse gli
occhi e cominciò a cantare a bassa voce. Forse quando la canzone
fosse finita sarebbero stati a Greystone.
“I tell thee, Dick, where I have been; Where I the rarest things
have seen; Oh, things without compare! Such sights again cannot be
found; In any place on English ground; Be it at wake or fair.”
“Te lo dico io, Dick, dove sono stata; dove ho visto le cose più
rare; oh, cose senza paragone! Spettacoli che non si possono più
trovare; in qualunque posto sul suolo inglese, sia a una veglia o a
una fiera.”
“Avete una bella voce,” le disse Colin, girando la testa, in tono
divertito.
Stava ridendo di lei. Aveva la tentazione di spingerlo giù da
cavallo, se solo fosse riuscita a superare la paura e a lasciarlo
andare.
Invece continuò a cantare.
“At Charing Cross, hard by the way; Where we, thou know'st, do
sell our hay; There is a house with stairs. And there did I see coming
down; Such folk as are not in our town; Forty at least, in pairs.'"
“A Charing Cross, per la strada; sai, dove vendiamo il nostro fieno;
c’è una casa con le scale. E lì ho visto scendere; gente come non se
ne vede nella nostra città; quaranta, almeno, a coppie.”
“Ballata per un Matrimonio,” commentò Colin. “È stata scritta da
Sir John Suckling, sapete. Ha combattuto accanto a mio padre
durante la guerra.”
Amy continuò con altre due strofe.
“Si dice che lo sposo fosse Lord Broyhill e la sposa Lady Margaret
—”
“Se conoscete la canzone,” lo interruppe Amy, abbastanza irritata
da parlare con lui, “il meno che potete fare è cantarla con me.”
Ma Colin non cantò. C’erano quindici strofe nella Ballata per un
Matrimonio e Amy le cantò tutte cinque volte prima che il cavallo
finalmente si fermasse.
“Siamo arrivati,” disse Colin con un sospiro di sollievo esagerato.
“Credo che il manico del cestino abbia lasciato una tacca
permanente tra le mie costole.”
“Grazie al cielo.” Amy spalancò gli occhi, sbattendoli alla luce.
“Volevo dire grazie al cielo che siamo arrivati, non per le vostre
costole.”
Si sentì una risatina. Colin le tolse le mani dalla sua vita e mise
una mano indietro. “Vi aiuto a scendere.”
Quando atterrò sulla terra solida, le ginocchia di Amy quasi
cedettero. Fece un respiro profondo e si guardò attorno. Si trovò in
un viale circolare in una corte modesta, racchiusa su tre lati da una
cortina di mura merlate. Gli alloggi del piccolo castello costituivano il
quarto lato. L’intera struttura sarebbe potuta stare in un angolo di
Cainewood.
Amy era incantata.
Colin saltò giù da cavallo e appoggiò il baule di Amy sul terreno
innevato. Indicò la sua casa. “Non è proprio come Cainewood,
vero?”
“No, per niente,” gli rispose Amy seria. “È molto più bello.”
“Più bello?” Chiese Colin incredulo.
Amy lo osservò mentre guardava le parti in rovina delle mura e la
grande stanza senza soffitto che dominava l’edificio. Seguì il suo
sguardo, vedendo pietre antiche segnate dal tempo, con storie da
raccontare e un edificio dalle dimensioni perfette per una famiglia
felice.
“Sì, è molto più accogliente. Cainewood è bello, ma non riesco a
immaginare perché qualcuno debba voler effettivamente vivere là.”
“Cercate di spiegarlo alla donna con cui sono fidanzato,” borbottò
Colin, portando il cavallo a uno dei pali lungo il viale.
Con il cestino ancora in mano, Amy tornò verso l’entrata e fissò,
meravigliata, la massiccia saracinesca di quercia. Fuori dalle mura
vide che il fossato era vuoto e che lo era da tempo. Sul fondo
cresceva un’erba simile a muschio, leggermente spolverata di neve.
“Un tempo il fossato era riempito dal fiume Caine.” La voce di
Colin, lì vicino, la fece sobbalzare. Colin indicò il fiume in lontananza.
“Scorre dalla costa oltre Cainewood fino a qua. In effetti il permesso
per la costruzione delle mura merlate è stato accordato da Re
Riccardo II per proteggere Greystone dai pirati che risalivano il fiume
Caine dal mare. In origine, era stato costruito da un vescovo.”
Amy sentiva i suoi amati libri di storia che prendevano vita tra
queste mura. “È da molto tempo della vostra famiglia?”
“Per niente. I suoi proprietari erano Realisti e sono morti senza
eredi. Charles lo ha assegnato a me dopo la Restaurazione.”
Accanto all’entrata c’era una torre in rovina, e Amy guardò giù al
suo interno—molto in basso.”
“L’oubliette,” le spiegò Colin. “Era chiusa da una pesante
inferriata.” La voce sembrava profonda e misteriosa come la fossa. “I
miscredenti venivano gettati dentro... e qualche volta dimenticati.”
Rabbrividendo di colpo, Amy si strinse intorno la coperta.
Con un grugnito, Colin si mise il baule sulla spalla. “Venite dentro,
dovrebbe essere più caldo.” Le fece segno di seguirlo lungo un
breve corridoio con una semplice porta di quercia alla fine.
Aprì la porta ed entrò, piegandosi per appoggiare a terra il baule.
Amy lo seguì giusto in tempo per vedere che lo spingeva contro la
parete con un piede.
“Ecco.” La guardò risentito. “Non ho proprio voglia di tornare
indietro con quel baule, ve lo assicuro.”
Le gambe di Amy stavano ancora tremando anche se non lo
avrebbe mai ammesso. Appoggiò il cestino sul pavimento. “Non ho
intenzione di risalire a cavallo.”
“Benchley non può portare qua la carrozza con un solo cavallo.”
“Allora andrete voi a cavallo con lui e tornerete con la carrozza. In
questo modo non dovrete trasportare il baule a cavallo.” Gli fece
notare.
“Vero,” concesse Colin, un po’ brusco. Senza guardarla in faccia,
andò a mettere un po’ di legna sul camino sulla sua destra.
Il vestibolo era piccolo e quadrato, con un soffitto di travi di quercia
a vista. Una scalinata di quercia saliva lungo la parete dal lato
opposto all’entrata. A sinistra, Amy vide una porta ad arco. Si
avvicinò e provò la maniglia.
“È chiusa a chiave,” disse Colin alzandosi in piedi. “Oltre la porta
c’è la sala grande, cui al momento manca metà del tetto.”
Amy annuì, voltandosi verso di lui. Dietro il fuoco bruciava,
illuminando la stanza in penombra. Le ombre danzavano sulle pareti
di pietra imbiancate, senza ornamenti. Il pavimento di pietra era
liscio per i secoli di uso e in centro c’era un tappeto orientale con le
frange.
“È qui che dormite?” Chiese Amy. Sapeva che la casa era in
massima parte ancora da restaurare e intere famiglie dormivano in
una stanza di queste dimensioni, o più piccole. Forse aveva un
pagliericcio che portava qua di notte.
“Santo cielo no,” Colin rise e raccolse il cestino. “Non sono messo
così male. Venite da questa parte.”
Amy lo seguì attraverso un arco aperto e lungo un corridoio. Colin
si fermò davanti a una porta sulla sinistra.
“Questa, provvisoriamente, è la mia camera,” spiegò. “Appena
sarà completato il tetto della sala grande, restaurerò il resto degli
alloggi.”
Amy entrò nella camera austera. Aveva un portacatino di legno,
un tavolo da toilette con uno specchio e un grande letto con accanto
un tavolino e, ai piedi, una cassapanca. Intagliate con un disegno
elaborato, le colonnine del letto sostenevano un baldacchino color
panna, intonato alle coperte e alle pareti intonacate. Un camino di
pietra grigia richiamava la pietra che incorniciava le tre finestre.
Amy andò a guardare da una finestra e ansimò, sorpresa.
“State guardando dietro la sala grande.” La voce di Colin arrivava
dall’altra parte della stanza, dove si era fermato, appoggiato allo
stipite della porta. “Ufficialmente, è chiamata la Corte alta. La parte
principale da dove siamo entrati era chiamata la Corte bassa.”
Amy guardò quello spazio segreto, parzialmente nascosto da una
leggera coltre di neve appena caduta. Quando fosse arrivata
primavera, quando il freddo fosse finito, avrebbe contenuto un
magnifico giardino. Appoggiando i gomiti sull’ampio davanzale, Amy
appoggiò il mento sulle mani e guardò rapita. Cresciuta in una
Londra affollata, il pensiero di un giardino privato chiuso dentro le
mura era paradisiaco.
“Io la chiamerei la Corte segreta.”
Dalla porta arrivò una bassa risata. “È esattamente come la
chiamo io, dentro di me.”
Amy non ne fu sorpresa. Era il nome perfetto per questo posto
perfetto. “Come ci arrivate?”
“Attraverso il mio studio, la porta accanto.”
Allontanandosi dalla finestra, Amy lo seguì nel corridoio. Lo studio
conteneva una grande scrivania di legno dalla superficie graffiata e
una sedia comoda; un lungo, semplice divano tappezzato con un
tavolino basso davanti e qualche rozzo scaffale con qualche libro e
un mucchio mastri e documenti.
“Benchley dorme qui,” disse indicando il divano.
Ma Amy aveva occhi solo per la porta a vetri a due battenti al
centro esatto della parete posteriore. Andò immediatamente ad
aprirla e uscì nel cortile, senza curarsi dell’aria gelida e della neve
che cadeva.
Colin si voltò per accendere il fuoco, dandole ogni tanto
un’occhiata. Rise quando la vide togliere la neve dalle piante per
vedere che cosa c’era sotto. Che creatura meravigliosa era, facile
alla rabbia, ma tanto facile da compiacere. Ora che era uscita dal
bozzolo del suo dolore, era come una bellissima farfalla, e gli si
strinse il cuore al pensiero di non poterla catturare.
Finito con il fuoco, Colin si voltò per scaldarsi la schiena alle
fiamme, osservando Amy che si muoveva in fretta nella sua corte
privata... la corte che Priscilla non aveva nemmeno notato durante la
sua unica visita alla sua futura casa.
Si riscosse. Priscilla rappresentava tutto quello che richiedeva in
una moglie. Lui non era un uomo da lasciare che l’attrazione fisica
governasse la sua vita—non lo aveva mai permesso, e non aveva
intenzione di cominciare adesso.
Non sarebbe stato logico.
Il suo fidanzamento era la soluzione ideale. E non solo era legato
da una promessa formale, ma aveva speso parte della dote di
Priscilla per i restauri. Non vedeva via di uscita e sarebbe stato folle
a pensarci.
Amy aveva ragione: loro due erano inadatti e la questione non era
più semplice o più complicata di così.
Sporse la testa dalla porta per far sapere ad Amy che sarebbe
andato a sistemare il cavallo e che sarebbe tornato subito. Quando
Amy si spazzolò la neve dai vestiti e tornò dentro, con le guance
rosse e tremando, non solo era tornato, ma aveva svuotato il cestino
di Kendra e messo in tavola il loro pranzo—pollo freddo, pane,
formaggio e una bottiglia di vino.
Tutto era stato nitidamente diviso e messo su tovaglioli di stoffa,
quello di Colin sulla scrivania, quello di Amy sul tavolino di fronte al
divano. Colin chiuse la porta dietro ad Amy e si sedette alla
scrivania.
“Fame?”
“Sì, sono affamata, anche se deve essere ancora presto.” Amy
raccolse il suo cibo e lo portò sul tappeto davanti al camino. Guardò
Colin attraverso le ciglia folte, dove goccioline di neve sciolta
brillavano alla luce del fuoco. “È molto più caldo qui. Non volete
unirvi a me per un picnic?”
Colin sapeva che se l’avesse raggiunta sarebbe stato per molto di
più di un semplice picnic.
Si sentiva molto più al sicuro dietro la scrivania. “Sono abituato a
cenare io qui, e Benchley lì,” disse, indicando il tavolino.
“Io non sono Benchley,” gli fece notare Amy.
Colin le rivolse un’occhiata. “L’ho notato.”
Un lieve rossore salì alle guance di Amy, e Colin era fin troppo
conscio di come fosse bella alla luce del camino, magica nel
baluginio di colori. Il suo corpo si irrigidì.
“Credete che tornerà presto?” Gli chiese Amy.
“Chi?”
Amy socchiuse gli occhi, guardandolo un po’ incerta. “Benchley.”
“Ah, lui. Lo spero, certo,” disse, guardando fuori dalla finestra.
La tempesta stava crescendo di intensità, accidenti a lei. Benchley
avrebbe fatto meglio a tornare in fretta. Voleva chiudere quel capitolo
della sua vita—senza ulteriori incidenti.
Tornò a guardarla con un sospiro. “Io sono un vero disastro in
cucina. Presumo che sappiate cucinare?”
“Non ho mai provato. Abbiamo sempre avuto una governante che
cucinava. Avete delle provviste, immagino?”
“Ovviamente,” le rispose irritato. “Io vivo qui, sapete.”
“Ovvio.”
Amy sorrise, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse
felice. Il piano di Colin di scaricarla a Dover per il momento era stato
sventato—nonostante la sua speranza che Benchley arrivasse
presto non era probabile che succedesse, visto il tempo. Era
sopravvissuta alla cavalcata e ora era sola con Colin nel suo
incantevole castello, probabilmente per tutta la notte...
Le sembrava di avere appena ricevuto un rinvio dell’esecuzione...
Magari l’avrebbe baciata ancora.
CAPITOLO VENTIDUE

COLIN SI ALZÒ, dopo aver passato le ultime ore a gambe


incrociate sul pavimento, davanti al tavolino, giocando a picchetto
con Amy. “Allora qual è il verdetto?”
Amy scribacchiò ancora per qualche secondo prima di alzare gli
occhi. “Ho vinto... ma per meno di cento punti.”
“E questo dovrebbe farmi sentire meglio?” Sorrise all’espressione
preoccupata del volto di Amy. “Avete vinto tutte e tre le partite.”
“Ma voi avete vinto cinque mani.”
C’erano sei mani in ogni partita, il che voleva dire che lui aveva
vinto cinque mani su diciotto.
Beh, almeno non era stato umiliato completamente. In passato si
era dimostrato un buon giocatore di carte. Era fuori esercizio; non
aveva il tempo per passare ore giocando a carte come molti altri
cortigiani —per non parlare dei soldi.
Non era poi così distratto dalla sua vicinanza, dalla sua
intelligenza pronta, dalla sua risata gioiosa, dalle dolci curve che il
modesto vecchio vestito color lavanda non riusciva a nascondere.
No. Era stanco, era stato sfortunato. Aveva fame.
Dannazione, aveva fame. Dove diavolo era finito Benchley?
Stanco di aspettare, allungò la mano per prendere il mantello.
“Ho giocato piuttosto spesso,” disse Amy, continuando nei suoi
sforzi di salvare il suo ego.
“Pensavo aveste appena imparato.”
“Beh, ho imparato di recente, ma ho giocato spesso.”
Colin si mise il mantello sulle spalle. “Vedo.” In effetti aveva visto
parecchio. Ad esempio che Amy non era il tipo di donna che lo
avrebbe lasciato vincere solo per farlo sentire meglio. Gli piaceva.
“Copritevi, adesso,” le disse, porgendole la coperta. Quando Amy
si alzò, gliel’avvolse intorno alle spalle, irritato con se stesso quando
notò il leggero profumo di rose che sembrava emanare da lei
quando si muoveva.
Voltandosi, prese una lampada a olio dalla mensola del camino e
la accese.
“Usciamo?” Chiese Amy, seguendolo in corridoio.
“Per modo di dire.”
Si fermò per aprire la porta che conduceva alla sala grande e Amy
lo seguì dentro. Illuminando la strada, la portò verso la parete,
muovendosi sotto la sporgenza creata dal nuovo parziale tetto. Le
prese il gomito per guidarla intorno alle palle di cannone arrugginite.
“Speravo di finire questo tetto prima che arrivasse il freddo,” gridò,
per superare il rumore del vento che stava aumentando, facendo un
baccano d’inferno. “Ora, se quest’inverno si confermerà nevoso,
potrei restare a Cainewood per la maggior parte del tempo. Non sarà
possibile fare progressi con questo tempo.” Un’occhiata attraverso
l’apertura del tetto gli fece scuotere la testa alle nuvole minacciose.
“Dannato tempo.”
Dovettero affrontare la neve per arrivare a una porta al centro
della parete in fondo. Una volta dentro, Colin la chiuse in fretta, lieto
del benedetto silenzio.
“Dispensa,” spiegò, portando Amy lungo un breve corridoio con
due porte sui lati. Arrivarono in una grande cucina.
Amy sembrò giustamente impressionata. “Mio Dio, è stata
restaurata in modo perfetto.”
“Sporge dalla cortina di mura,” indicò Colin.” Suppongo che
rendesse il castello abbastanza vulnerabile quando è stato costruito,
ma è stata una decisione saggia come precauzione contro gli
incendi.”
Fiero delle migliorie che aveva apportato, Colin le mostrò i forni, i
camini con gli spiedi e i lavandini con i rubinetti e i becchi di ottone.
Quando Amy ebbe espresso la giusta ammirazione per la cucina,
Colin la condusse lungo un lungo passaggio in disuso verso sinistra.
“Questo era il garderobe originale,” spiegò. “Era sospeso sopra il
fossato, una bella innovazione per quel tempo. Vista la posizione,
però, tutti dovevano attraversare la sala grande e la cucina per
usarlo.”
Amy sbirciò nelle latrine di legno grezzo. “Sono lieta di essere
venuta a visitare il castello ora e non allora.” Aveva già usato il
nuovo garderobe, due latrine gemelle con tutte le comodità
moderne, e lo aveva dichiarato la ritirata più lussuosa che avesse
mai visto. Avevano i water closet, appena importati dalla Francia, e
le tubazioni che arrivavano fino al fiume Caine.
“Continuerò a usare quello vicino al vostro studio, grazie tante,” gli
disse. “Fa freddo, qui.”
“Già, davvero. Andiamo a cercare la nostra cena e poi torneremo
indietro.”
Tornando sui loro passi attraverso la cucina e verso la sala
grande, Amy seguì Colin in un locale a volta sulla sinistra, una
dispensa ben rifornita di cibo, anche se non c’era una grande
varietà. Passandole la lampada, Colin prese un cestino e lo riempì
con una piccola forma di formaggio, alcune carote, mele e un
barattolo di...
“Che cosa sono?” Chiese Amy, un po’ allarmata.
“Lumache in carpione.”
“Lumache in carpione? State scherzando, vero?”
“No, sono deliziose.”
“Penso che le assaggerò,” disse Amy dubbiosa. “Ma devo dire che
hanno un aspetto disgustoso. Gli diede un’occhiata, studiandolo.
“Voi aristocratici mangiate le cose più strane.”
Colin rise e la condusse nella cantina a volta dall’altra parte del
corridoio. Le pareti erano coperte di rastrelliere ma c’erano solo
poche bottiglie di vino, e Colin ne scelse in fretta una. Vedendo Amy
che si guardava intorno, cercò di vedere la cantina con gli occhi di
lei. Sparpagliati in giro c’erano grandi barili vuoti e due lunghi, antichi
tavoli di legno erano piazzati al centro della stanza a volta.
“Fatemi indovinare,” suggerì Amy, “qui servivano da bere.”
“Era la buttery.”
“La stanza del burro?”
“Beh, non è dove tenevano il burro, ma è così che si chiama,
buttery. Avevate indovinato giusto la prima volta—questa stanza era
dedicata a preparare e servire i beveraggi. ‘Butt’ è un antico termine
per bottiglia.”
Amy lo seguì fuori dalla buttery e nella sala grande. “Come fate a
sapere tante cose dei vecchi castelli?”
Colin diede un’alzata di spalle. “Mi hanno sempre interessato. Ho
passato i primi anni della mia vita a Cainewood e il resto della mia
infanzia in una successione di vecchi castelli pieni di correnti d’aria
nel continente. Facevo un sacco di domande, e ho letto un mucchio
di libri.”
Le fece cenno con la testa di aprire la porta, facendo una smorfia
quando Amy ricevette in faccia una ventata carica di neve gelida. La
spinse avanti e lei tenne alta la lampada per illuminare la strada.
“In molti, se avessero ricevuto queste terre, avrebbero costruito
una casa nuova e lasciato andare in rovina il castello, come cimelio
per far giocare i loro bambini,” gridò Colin, sopra il rumore del vento
che faceva turbinare la neve. “Probabilmente sarebbe costata meno
e certamente sarebbe stata più facile da riscaldare.
Quando arrivarono dall’altra parte, Amy aprì la porta e entrarono
nel foyer, riscaldato dal fuoco che danzava nel camino. Colin chiuse
la porta e il rumore del vento scomparve.
Colin appoggiò il cestino e la bottiglia di vino sul pavimento di
pietra, poi si voltò per chiudere a chiave la porta. “Solo Dio sa
perché sto restaurando questo posto, non ha molto senso.” Si voltò
a guardare Amy. “Ma ha trecento anni e mi sembra un peccato
lasciarlo semplicemente andare in rovina. Le pareti sono spesse e
solide—è una bella casa e...” alzò le spalle e le sorrise. “A me piace
vivere qui.”
“È il romantico che c’è in voi, Lord Greystone,” gli disse
sommessamente.
Romantico? Nessuno aveva mai accusato Colin Chase di essere
romantico. Bello, sì, avrebbe dovuto essere sordo per non aver
sentito le dame esaltare le sue doti fisiche. Gli piaceva pensare di
essere un buon amante, oltre ad avere altre virtù. Ma romantico?
Mai.
Studiò gli occhi di ametista, senza riuscire a credere che dicesse
sul serio. Ma era chiaro che Amy era sincera.
Ovviamente non lo conosceva bene.
Colin si schiarì la gola, rompendo il silenzio e la tensione tra di
loro. “Folle, più probabilmente.”
Amy scosse la testa, sorridendo. Lo sguardo di Colin si posò sulle
sue guance, rosate dal freddo e sulle labbra, rosse e un po’
screpolate. I riccioli, tanto ben acconciati dalla cameriera di Kendra
quella mattina, erano stati scomposti dal vento e le ricadevano
intorno al volto...
Oddio, voleva baciarla. Fece un passo avanti.
Amy si leccò le labbra. “Quelle lumache in carpione sono
veramente commestibili?”
Colin scosse la testa per liberarla da quei pensieri assurdi. “Sono il
massimo. Anche se mi sono appena reso conto di aver dimenticato
di portare dei cucchiai dalla cucina.”
“Non serve affrontare un’altra volta il freddo. Posso benissimo
dividere il coltello con voi.” Le luccicarono gli occhi. “Dopo tutto sono
solo la semplice figlia di un mercante.”
Lanciata la sua frecciata, Amy si chinò per prendere la bottiglia di
vino. Alle sue spalle, Colin la guardava irritato. Come faceva a
sapere che pensava a lei in quel modo? Kendra, probabilmente,
l’impicciona di famiglia.
Ma era un bene che Amy glielo avesse ricordato—perché con
tutto quel parlare di romanticismo era stato sul punto di dimenticare
chi e che cos’era lui.
Tenendo stretto al petto la loro cena, si voltò e si affrettò lungo il
corridoio verso la relativa sicurezza della sua scrivania.
CAPITOLO VENTITRE

IL TORRIONE ERA costruito di pietra color lavanda, tagliata in


blocchi perfettamente rettangolari, tenuti insieme senza giunture
apparenti a formare la torre più alta al mondo. Le finestre ad arco
aggiungevano un tocco aggraziato a un pianerottolo e mentre saliva
la scala a chiocciola Amy si fermò a guardare fuori.
Feroce, terrificante... il drago che soffiava fuoco si muoveva
lentamente avvicinandosi sempre più, con il suo passo pesante che
faceva tremare la terra. Amy saliva e saliva, con una fitta lancinante
al fianco, ma non arrivava mai alla cima.
Là c’era Papà. Doveva arrivare da lui.
Il drago emise un ruggito assordante, e soffiò il fuoco giallo e blu
attraverso una finestra. Amy si schiacciò contro una parete mentre le
fiamme la superavano salendo nella scala stretta, in una spessa
colonna bruciante, verso la cima dove l’aspettava Papà.
Quando sembrava che né le gambe né i polmoni ce la facessero
più nemmeno a farle fare un altro passo, finalmente raggiunse la
cima—ma Papà era già in fiamme. Era uno scheletro, semi-sdraiato
su una sedia, con in mano il ritratto nella sua cornice ovale, i piedi
ridotti a ossa appoggiati su un poggiapiedi. Le fiamme uscivano dalle
cavità degli occhi dello scheletro e tra le costole nude. Il fumo nero si
alzava dalle ossa verso il cielo in un’alta colonna.
La cenere grigia pioveva sulla pietra color lavanda. Il ruggito del
drago scosse la torre. I suoi occhi luccicanti fissarono i suoi, poi il
drago piegò la testa e respirò fuoco nella tromba delle scale. Rosse
e gialle e arancio le fiamme si precipitavano verso l’alto, verso di lei,
lasciando una scia bruciata, diritta fino alla sua mano destra. Ora la
mano bruciava, luminosa, e il fuoco cominciava a risalire sul
braccio...
Amy urlava per chiedere aiuto, ma non arrivava nessuno.
La mano si era ridotta alle sole ossa, e la carne si stava staccando
in fiamme dal braccio, e il fuoco stava risalendo verso la spalla. Amy
urlò con tutta la voce che aveva in corpo...

SEMBRAVA CHE CI fosse qualcuno nel castello che stava


aggredendo Amy nella stanza accanto.
Con il cuore che martellava, Colin saltò su dal divano, si gettò i
calzoni sul braccio, afferrò il coltello dalla scrivania e lo stocco dal
pavimento. Con le armi pronte, si precipitò nella stanza dove Amy si
stava dibattendo selvaggiamente nel letto.
Da sola.
Faceva fatica a immaginare quali demoni potevano causare un
incubo simile.
Gettò le armi in un angolo e si mise i calzoni, saltellando da un
piede all’altro mentre attraversava la stanza. Tirando i lacci, si lanciò
su letto con una forza che quasi fece cadere Amy dall’altra parte.
“Amy, svegliatevi!” la scosse freneticamente. “È solo un sogno.
Svegliatevi!”
Una voce preoccupata risaliva nella tromba delle scale. Qualcuno
stava venendo a salvarla. Qualcuno stava arrivando, dopo tutto.
“Svegliatevi! Va tutto bene!”
La voce era più vicina, proprio all’orecchio, la mano di qualcuno si
era appoggiata alla spalla che bruciava. No—no, forse non stava
bruciando...

AMY SENTÌ LE PROPRIE urla e lottò per uscire dalla nebbia,


tornare alla realtà, con le urla che diventavano profondi, laceranti
singhiozzi.
“Ssst, è finito.” Colin la strinse tra le braccia. La trapunta, che Amy
aveva gettato via durante l’incubo, scivolò sul pavimento. Amy gli
avvolse le braccia intorno e premette il volto bagnato sul torace
caldo. Colin le accarezzò la schiena attraverso la sottile sottoveste
con un movimento lento, rassicurante, continuando a mormorare
parole tranquillizzanti.
Dopo un po’ Amy si calmò abbastanza da staccarsi. Con un lungo
sospiro tremante si sedette e si fissò la mano destra, incredula.
“Stava bruciando...”
“Fa male?”
Amy scosse la testa, ricordando sia il dolore vero della vecchia
ferita sia il dolore del sogno, mille volte più forte. Ma la sensazione
adesso era solo il formicolio del ricordo che sbiadiva e la mano era a
posto, non le dita scheletriche che si era quasi aspettata di vedere.
“No, non fa per niente male.” Lasciò cadere la mano sul letto,
continuando a fissarla alla luce del fuoco morente. “Mi dispiace di
avervi svegliato.”
“Ho pensato che vi stessero aggredendo.” Colin rise incerto e si
alzò. “Sono corso dentro con il coltello in mano, pronto a difendervi,
senza niente indosso. Non credo proprio che sarei stato un grande
guerriero.”
“Oh.” Amy alzò gli occhi, fissandogli il petto, che sembrava
abbronzato alla luce tremolante del fuoco. Gli occhi si spalancarono
quando si rese improvvisamente conto che anche lei in quel
momento non aveva molto di più indosso.
La parte superiore del suo corpo abbronzato non aveva altro che
una sottile cicatrice bianca, guarita da tempo, un taglio diagonale
attraverso il braccio sinistro. Amy si chiese brevemente che cosa
l’avesse causato, ma era troppo distratta per pensarci troppo. Le
cadde lo sguardo sui piedi nudi. A quanto pareva non indossava
nient’altro, oltre a un paio di calzoni troppo aderenti per essere alla
moda e anche quelli, non poté fare a meno di notare, solo
parzialmente allacciati.
In un istante dimenticò il suo sogno. Le guance si imporporarono e
tirò in basso l’orlo della camicia, che si era rialzato mentre si
dibatteva. Ma vedeva dalla faccia di Colin che come minimo era un
tentativo inutile, che era servito solo ad attirare ancor più la sua
attenzione allo stato di deshabillé in cui si trovava.
Amy si spostò e lo sguardo di Colin vagò verso le gambe nude.
“Freddo?” Le chiese. Andò dall’altra parte del letto per recuperare
la trapunta, facendo grande mostra di scuoterla per poi lasciarla
cadere sopra di lei. La coperta sembrò accarezzarla appoggiandosi.
Amy desiderò che fossero le mani di Colin.
Colin si sedette sulla sponda del letto. “Volete parlarmi del vostro
sogno?”
Amy scosse energicamente la testa. “No, non voglio
assolutamente pensarci. Si spostò per sdraiarsi e si rannicchiò nelle
coperte. “Però vi dispiacerebbe restare qui un momento? Potremmo
parlare di qualcos’altro.”
“Resterò finché lo vorrete,” le assicurò Colin, prendendole la
mano. “Di che cosa volete parlare?”
La sua mano era calda e confortante. Amy alzò le spalle. “Di
qualunque cosa.”
“Vi piacerebbe parlare di quanto vi piacciono le lumache in
carpione?” Suggerì Colin con un sorriso canzonatore.
“Mi sono piaciute,” protestò Amy, anche se entrambi sapevano
che non era vero. Ne aveva coraggiosamente assaggiata una,
l’aveva perfino ingoiata senza sputarla, ma da quel momento in poi il
suo appetito era svanito.
Ma in quel momento il suo stomaco brontolava. “È rimasta
qualche mela?” Gli chiese.
Il sorriso di Colin era troppo scaltro. “Penso di sì.”
Uscì, tornando dallo studio con una lucida mela rossa. Quando
Amy si sedette e allungò una mano per prenderla, Colin la tirò
indietro per gioco. “Affamata, eh?” sorridendo, gliela mise in mano e
poi andò alla finestra.
Amy ne prese un morso e masticò lentamente. Lo guardava
osservare fuori dalla finestra nella notte, le gambe allargate, le mani
allacciate dietro la schiena.
“Sta ancora nevicando forte,” le disse Colin. “Mi sa che saremo
bloccati qui per tutto domani.”
“Mmm-hmm,” rispose Amy, masticando un succoso boccone di
mela. Il frutto era dolce, lei era comoda e poteva pensare a cose ben
peggiori che essere bloccata lì con Colin Chase per un altro giorno e
una notte.
“Dovrei occuparmi della contabilità, domani, visto che sono qui.”
“Mmm-hmm.” Amy diede un altro morso.
“Voi che cosa farete?” Si voltò per guardarla in faccia.
Amy masticò e deglutì prima di rispondere. “Posso leggere,
tentare di preparare la cena. Aiutarvi con la contabilità.” Prese un
altro grosso morso.
“Non ho bisogno di aiuto.”
Amy alzò le spalle. “Esplorerò il vostro castello, allora.”
“Temo che non ci sia molto da scoprire.” Colin andò vicino al
fuoco, aggiunse un ceppo prendendolo dal cestino e smosse la
brace con un attizzatoio dal manico di legno. “È piccolo, e freddo e
umido.”
“Niente che possa fermarmi.”
Colin tornò accanto al letto e rimase in piedi a guardarla con un
sorriso ironico, i denti bianchi come la neve di fuori. “Immagino che
un po’ di freddo e di umidità non possano fermare qualcuno come
voi. Purché non ci sia di mezzo un cavallo.”
Sorridendo, Amy gli porse il torsolo della mela e scivolò sotto le
coperte.
Colin mise il torsolo sul tavolino accanto al letto. “Meglio?”
“Molto.” Amy si spostò un po’ sotto la trapunta, mettendosi
comoda.
“Bene.” Con un cenno distratto della testa, Colin si girò verso la
porta.
“No, non andatevene ancora.” Amy batté sul letto accanto a lei.
“Avete detto che vi sareste fermato finché lo avessi voluto.”
Con apparente riluttanza, Colin si voltò e si sedette lentamente.
Amy gli prese la mano. Colin si irrigidì; Amy vide i muscoli che si
tendevano sotto la pelle abbronzata.
L’incubo era completamente dimenticato. La mela era nello
stomaco, la stanza era calda, il letto morbido e la sua mano
sembrava fremere in quella di Colin. Mentre guardava il suo profilo
alla luce tremolante del fuoco, desiderava baciarlo, lo desiderava da
morire. Solo un’altra volta. Ancora solo una volta prima che la
mettesse su una nave e lei uscisse dalla sua vita per sempre.
Gli strinse la mano, e Colin si voltò a guardarla negli occhi.
Il cuore di Amy batteva forte. Colin le studiò il volto e la mano
libera salì a toglierle una goccia di succo di mela dall’angolo della
bocca. La mano si attardò, le nocche accarezzarono la guancia.
Stava per baciarla, Amy lo sapeva.

“SANT’IDDIO.” MOROMÒ COLIN. La pelle di Amy era morbida


come un petalo e gli occhi pozze scure di desiderio. Non riuscì a
fermarsi.
L’avrebbe baciata solo una volta—un bacio per augurarle
buonanotte—e poi se ne sarebbe andato.
Quando Amy chiuse gli occhi, le accarezzò le labbra con le sue,
una carezza leggera come un sospiro. Le sfuggì un leggero suono, e
le braccia di Amy salirono intorno al suo collo, tirandolo giù di nuovo
verso la sua bocca. Amy insinuò le dita tra i suoi capelli, le labbra
erano dolci e appassionate.
“Amy,” gemette Colin, cedendo, con la bocca che chiedeva
qualcosa che Amy sembrò fin troppo felice di dare. La lingua di Colin
tracciò il disegno pieno delle sue labbra, cercando di entrare.
Quando Amy glielo permise, il sangue ribollì, reagendo alla sua
dolcezza vellutata. Avrebbe giurato che Amy avesse smesso di
respirare.
Interruppe il contatto e Amy aprì gli occhi, viola scuro nella scarsa
luce, poi tirò un lungo respiro tremante. Usando ogni grammo di
volontà che gli restava, Colin si tirò indietro.
“Non posso farlo,” disse roco.
Amy gli passò le mani sui muscoli della schiena e si sollevò per
dargli un bacio caldo, umido, nell’incavo del collo, poi ricadde sui
cuscini, con gli occhi che lo interrogavano.
Lo stava seducendo, la piccola strega.
“Amy,” disse Colin, sedendosi diritto. “Non è giusto.”
“No?” Chiese Amy, stordita. I suoi sensi stavano ancora fremendo
e impulsivamente gli fece scorrere una mano sul petto nudo, caldo e
muscoloso, con una spolverata di ruvidi peli scuri. Muscoli ben
definiti si contraevano sotto le sue dita curiose. “A me piace baciarvi.
Che c’è di sbagliato?”
“Non posso baciarvi e fermarmi lì.” Le spinse via la mano. “Siete
mezza nuda nel mio letto, per l’amor del cielo. E vi voglio, tutta.”
Sbalordita, Amy lo fissò, senza parole. Mai, in tutte le volte che
aveva riflettuto su quell’argomento, aveva immaginato che Colin
potesse aver voglia di fare l’amore con lei.
La detestava, no? O almeno lei non gli piaceva—non era altro che
un fastidio, un inconveniente di cui doveva sbarazzarsi. Sembrava
gli piacesse baciarla, per qualche motivo inspiegabile, ma...
“Mi dispiace, Amy”
Questo le sciolse la lingua. Si alzò sui gomiti. “Potreste per favore
smetterla di dire che vi dispiace tutte le volte che mi baciate?!”
“Mi dispiace.” Colin le rivolse un sorriso innocente e Amy scoppiò
a ridere, senza riuscire a fermarsi,
Qualche secondo dopo, il sorriso di Colin si trasformò in una
smorfia. “Amy?”
Amy ridiventò immediatamente seria. “Che c’è?”
“Capite quello che vi sto dicendo?”
Lieta che la semioscurità nascondesse il suo rossore, Amy annuì.
“E siete d’accordo che sarebbe sbagliato?”
Amy esitò, poi sperò che lui non avesse notato l’esitazione.
Sapeva che cosa voleva sentirle dire, ed era quello che era stata
educata a credere.
“Sì, sarebbe sbagliato.”
Colin l’aveva notato. Scosse la testa, sorpreso che Amy ci avesse
messo tanto a rispondere. “Allora capirete perché non posso baciarvi
ancora,” disse, intendendo chiarire la sua posizione una volte per
tutte. Ma quando la luce lasciò gli occhi di Amy, si trovò ad affrettarsi
a rassicurarla. “Anche se, com’è vero Iddio, non mi è dispiaciuto
nemmeno una volta di averlo fatto.”
Con un altro cenno di assenso, Amy ricadde sui cuscini. Colin si
alzò e le rimboccò la coperta, freddo ed efficiente. “Buona notte,
allora,” le disse, andando alla porta.
“Restate. Per favore.” Qualcosa nella sua voce lo fece voltare.
“Non vi toccherò nemmeno, lo prometto. Dormite qui questa notte.
Ho-ho paura che avrò nuovamente quell’incubo.”
Colin non era sicuro di riuscire a resistere un’altra notte dormendo
accanto a Amethyst Goldsmith. O, meglio, era sicuro che non ci
sarebbe riuscito.
“Non sognerete più. E se lo farete, io sarò nella stanza accanto.
“Non potete essere sicuro che non rifarò quel sogno! Lo rifarò, ne
sono certa. Per favore.”
Sembrava sinceramente spaventata, e le sue implorazioni gli
arrivarono diritte al cuore.
Dannazione.
Forse sarebbe riuscito a restare sdraiato accanto a lei solo finché
si fosse addormentata. Se se ne fosse andato subito dopo, lei non lo
avrebbe mai saputo. “Molto bene. Solo, non toccatemi,” con
un’occhiata fintamente severa.
“Lo prometto,” disse Amy con un sorriso dolce—così dolce che
Colin ci ripensò immediatamente. Contro ogni logica, girò intorno al
letto e si mise sotto le coperte dall’altra parte, vicino alla sponda
quanto poteva senza cadere dal letto, voltandole la schiena.
“Buona notte,” gli augurò dolcemente Amy.
“Buona notte,” rispose Colin con un sospiro.
CAPITOLO VENTIQUATTRO

COLIN DOVEVA ESSERSI addormentato, pensò Amy mezz’ora


dopo. Non si era mosso una sola volta in tutto quel tempo. Ora lei
poteva spostarsi, non tanto da toccarlo—non sarebbe venuta meno
alla sua promessa—ma solo un po’ più vicino, e poi magari si
sarebbe addormentata.
Si spostò lentamente verso il centro del letto, e Colin non si
mosse. Il suo respiro restò profondo e lento. Dal suo corpo emanava
calore, un calore che la attirava, stuzzicandola. Sentì un brivido di
eccitazione percorrerla, al pensiero di toccarlo.
Stava dormendo—non lo avrebbe mai saputo—e sarebbe stato
così rassicurante.
Si girò, un millimetro per volta, finché alla fine sfiorò il suo corpo
immobile. La sua pelle sembrava più calda di quanto avesse
immaginato, e la sua vicinanza non era poi così rassicurante come
aveva pensato. Al contrario, le faceva rizzare i sottili peli sulle
braccia.
Lo stava toccando, ma non veramente. Non abbastanza. Non
riuscì a resistere e si appoggiò con tutto il corpo contro la sua
schiena. Era così gradevole. Quando Colin restò immobile, il braccio
di Amy scivolò lentamente intorno alla sua vita—
Lo sentì boccheggiare. Oh Dio, era sveglio.
“Ammyy...” ringhiò minaccioso.
Togliendo in fretta il braccio, Amy si voltò sulla schiena. Anche se
il fianco sfiorava ancora quello di Colin, non lo sentì protestare.
Passarono un paio di minuti. Il fuoco disegnava figure danzanti
sotto le sue palpebre serrate e Amy restava sdraiata rigida accanto a
Colin, desiderando che dicesse qualcosa, o facesse qualcosa...
Voleva che si voltasse e la baciasse.
L’aveva avvertita che i baci avrebbero probabilmente portato a
qualcosa di più, ma mentre mezz’ora prima era rimasta sorpresa,
ora, ogni fibra del suo era conscia della sua presenza accanto a lei,
ed era curiosa.
Come sarebbe stato? I romanzi francesi che aveva letto lo
facevano sembrare misterioso e meraviglioso, e se l’avesse fatta
sentire anche solo lontanamente come la facevano sentire i baci di
Colin, era piuttosto propensa a volerlo provare. Non avrebbe fatto
male a nessuno. Non avrebbe mai più rivisto Colin e se perdere la
verginità era il prezzo da pagare per rubare ancora qualcuno dei
suoi baci sensuali, forse era disposta a pagare quel prezzo.
Inoltre, non credeva veramente che lui non potesse baciarla senza
andare oltre. La sola idea era assurda. Gli uomini flirtavano e
baciavano continuamente le donne, senza che succedesse
nient’altro.
Forse la odiava veramente. Forse era il suo modo educato di
rifiutare di baciarla senza ferire i suoi sentimenti. Forse la trovava
così ripugnante che non sopportava l’idea di toccarla... dopo tutto le
aveva fatto promettere di non toccarlo con un dito, e poi le aveva
praticamente ringhiato contro quando l’aveva fatto.
Doveva saperlo. E c’era solo un modo per scoprirlo.
Aspettò ancora qualche minuto e poi rotolò di nuovo contro di lui,
pigramente, come se lo stesse facendo nel sonno. Il braccio strisciò
lentamente intorno...
Colin si voltò di colpo, atterrando a metà sopra di lei, la bocca che
cercava la sua e trovava il bersaglio. Dal fondo della sua gola saliva
un suono roco. Il suo bacio sembrava punitivo e arrabbiato, ma Amy
rispose lo stesso e dopo un minuto Colin alzò la testa.
Amy aprì gli occhi trovandolo che la fissava intensamente. “Vi
avevo avvertito, Amy,” le disse.
Con un veloce cenno di assenso, Amy lo tirò ancora verso di sé.
Aprendo le labbra, si sollevò per andare incontro al suo bacio.
Una curiosa sensazione di desiderio la invase quando la bocca di
Colin si chiuse ancora una volta sulla sua. Smise di pensare. Un
attimo prima stava pensando che ovviamente lui poteva fermarsi;
l’attimo dopo non gliene importava niente. Voleva che la baciasse
per sempre—e le conseguenze?
All’inferno le conseguenze, pensò.
Poi smise di pensare del tutto. Le sembrava di essere in grado
solo di sentire—sentire la carezza imperiosa delle sue labbra; sentire
la lingua che le invadeva la bocca, morbida e insistente; sentire il
corpo di Colin, duro lungo tutto il suo.
Quando prese fiato, il suo odore particolare la stordì. Lo
scoppiettio del fuoco si allontanò, lasciando il posto al rumore del
sangue che le scorreva nelle vene. Baci delicati, umidi le sfioravano
gli occhi, il naso, le guance. Colin le mordicchiò il lobo dell’orecchio,
facendola rabbrividire dalla testa ai piedi.
Poi si staccò, con gli occhi scuri che la fissavano. “Siete sicura?”
le chiese con un sussurro soffocato.
Amy si sentì il cuore in gola. Oh, no, non poteva cambiare idea
adesso, non poteva lasciarla, adesso. Incapace di dire di sì a voce
alta, Amy gli afferrò le spalle, stringendolo forte, senza parlare.
Colin abbassò la testa, ma non prima che Amy vedesse il
desiderio nei suoi occhi. La baciò di nuovo, procurandole una
sensazione di vuoto in fondo allo stomaco. Amy sentiva il cuore di
Colin che batteva forte contro il suo seno, capiva che anche lui
provava le stesse sensazioni. Era quello che voleva. Aveva
desiderato sapere che cosa provasse veramente lui per lei.
Ed ecco la risposta.
Eppure non voleva che si fermasse.
Le dita di Colin accarezzarono un seno attraverso il sottile tessuto
della sua sottoveste, e la punta diventò un bocciolo duro e sensibile.
Il suo corpo si arcuò involontariamente verso quello di lui e Amy
gemette, con il respiro che diventava stranamente irregolare.
“Vi piace, mmm?” mormorò Colin contro la sua bocca.
Con le guance in fiamme, “Mmm” fu l’unica risposta che Amy
riuscì a dargli. Strinse con le mani i folti capelli e lo baciò
disperatamente, spingendosi contro la sua mano, con il corpo che
chiedeva qualcosa cui non riusciva a dare un nome.
Con carezze lievi con un sospiro, la mano di Colin si mosse verso
il basso, scivolando oltre la vita. Amy si irrigidì quando le dita
tracciarono la curva del fianco.
La voce di Colin la tranquillizzava, un sospiro roco. “Ah, dolce
Amy.” Le sfiorò la bocca e la sua mano la stuzzicò leggermente
attraverso il tessuto, poi più fermamente, tracciando la linea dove le
cosce si univano.
Da quelle dita sembrava emanasse calore, un calore che la
invase. Amy sentiva il corpo fremere, o forse era lei, non ne era
sicura. O forse non era né l’uno né l’altro, era tutto nella sua testa.
La testa che sembrava galleggiare.
“Dolce,” ripeté Colin, con il respiro caldo nel suo orecchio.
“Nessuno vi ha mai toccato lì prima?”
Il volto di Amy arrossì, e anche tutto il resto del corpo—la pelle
fremeva. “N-no,” rispose sussurrando.
“È bello, vero?”
Amy gemette piano e sentì Colin che sorrideva contro le sue
labbra. Prima di capire che cosa stesse succedendo, Colin le aveva
abbassato la sottoveste e aveva appoggiato la bocca calda sul seno
nudo, succhiando delicatamente, passando la lingua appena un po’
ruvida sulla punta sensibile.
Che sensazione meravigliosamente scandalosa. Lo facevano tutti
gli uomini? Amy aveva sempre pensato che fare l’amore fosse
baciarsi, abbracciarsi e accoppiarsi, non... assaggiarsi.
Santo cielo, era indescrivibile.
Colin passò all’altro seno, spostando lì la bocca bollente mentre
l’aria raffreddava l’area bagnata che aveva abbandonato. Delirante
per le nuove sensazioni, Amy si mosse contro di lui. Aveva il fiato
corto, le mani che continuavano ad accarezzare i duri muscoli della
schiena di Colin. Non riusciva a credere di star veramente
comportandosi in un modo così lascivo, ma le sembrava di non
riuscire a smettere.
Non voleva smettere.
Colin le tracciava baci umidi sulle spalle e il collo, dappertutto ma
non sulla bocca, finché Amy gli afferrò la testa, obbligandolo. Colin
rise trionfante sulla sua bocca, un suono profondo, pieno di piacere.
Si mise in moto in fretta, sedendosi, con la coperta appoggiata
sulle spalle. Le tolse in fretta la sottoveste e Amy aprì di colpo gli
occhi quando sentì l’aria gelida sulla pelle. Rabbrividì, per il freddo o
per la realtà strabiliante di Colin che la fissava come fosse affamato
—non lo sapeva esattamente.
Colin respirò rumorosamente. “Siete,” disse lentamente,
adorandola con gli occhi, “la creatura più bella che abbia mai visto.”
Chinandosi, passò lentamente le mani sulla sua pelle, sfiorando
appena il seno e i fianchi, facendole venire la pelle d’oca. Amy
sentiva il cuore che batteva quasi dolorosamente, ma quando cercò
di distogliere lo sguardo, Colin le prese il volto tra le mani e la fissò
negli occhi.
Portando con sé la coperta, si abbassò, catturando nuovamente la
sua bocca per un bacio divorante mentre insinuava una mano tra le
gambe di Amy e le allargava delicatamente. La punta delle dita
scorreva sensualmente sull’interno delle cosce, e Amy cominciò a
tremare. Quando sfiorò i riccioli che nascondevano la sua parte più
segreta, Amy boccheggiò, sorpresa e meravigliata.
“Sst,” mormorò Colin, nella sua bocca aperta. Concentrandosi su
un bacio lungo e profondo, fece scivolare un dito nella sua stretta
apertura.
Da qualche parte, in fondo alla mente stordita dalla passione, Amy
era scandalizzata. Non riusciva a credere che stesse permettendo a
un uomo di toccarla proprio lì, figurarsi muovere il dito dentro e fuori
dal suo corpo, come stava facendo lui adesso, lentamente. Non
poteva essere una cosa giusta... o sì? Si chiese confusamente da
dove venisse l’impressione di bagnato ma la sensazione era così
deliziosa che proprio non le importava.
Il pollice di Colin trovò un punto meraviglioso e ondate di
eccitazione la attraversarono, prendendola alla sprovvista. Lo strinse
più forte, le sembrava che il cuore dovesse esplodere se qualcosa,
non sapeva che cosa, non fosse successa presto. Pensava che
sarebbe impazzita per il piacere.
Colin la lasciò e Amy si sentì abbandonata e trattenne il fiato
mentre lui si toglieva i calzoni. Quando rotolò ancora verso di lei, gli
buttò nuovamente le braccia al collo e lo tenne stretto, sfidandolo
silenziosamente a lasciarla ancora.
Colin rise, un suono di gola, profondo, un suono roco, un po’
strozzato, poi mosse una mano alla cieca per prendere quella di
Amy, guidandola sulla sua carne rigida. Sopraffatta dalle nuove
meravigliose sensazioni, Amy non si stupì. Le dita si chiusero intorno
a lui e spalancò gli occhi.
“Funzionerà, Amy,” sussurrò Colin, baciandole gli occhi finché si
chiusero, prima uno e poi l’altro. Stupita della sua stessa audacia,
Amy mosse un po’ la mano, per scoprirlo.
Caldo, vellutato...
Con un forte sospiro, Colin inserì un ginocchio tra le sue e Amy le
sollevò istintivamente per avvolgerlo. Oddio, gli sembrava così
giusto essere lì, sopra il suo corpo. Si premette contro di lei, e Amy
trattenne il fiato, ma Colin restò lì, fermo, pronto, aspettando...
Che cosa? Un mugolio risuonò in fondo alla sua gola,
sorprendendo anche lei, poi, involontariamente, Amy si sollevò per
andargli incontro.
Colin gemette piano. “Non voglio farvi male, amore,” riuscì a dire a
denti stretti, “Ma solo questa volta—”
Amy mugolò qualcosa, ma non aveva veramente percepito le sue
parole, solo la parola amore. Sapeva che non voleva dire niente, non
poteva voler dire niente—era solo il tipo di cose che gli uomini
dicevano alle donne al culmine della passione—ma provò un tuffo al
cuore solo a sentirlo.
Continuando a pensarci, si irrigidì quando Colin spinse. Le si
fermò il respiro in petto.
Colin si fermò e si alzò sui gomiti, mormorando parole senza
senso, solo suoni confortanti. La baciò piano sulla fronte e poi le
fece scorrere le dita tra i capelli scomposti, sistemandoli sul cuscino.
Lentamente il dolore diminuì, sostituito da una sensazione di
meraviglia crescente alla pienezza pulsante dentro di lei.
Sentiva una pressione incredibile che si irradiava dal punto dove
Colin era unito a lei.
Colin la baciò sulla fronte e poi giù, lungo il naso, e poi si fermò
teneramente sulla sua bocca. La lingua scivolò dentro mentre, sotto,
i suoi fianchi cominciavano a muoversi a un ritmo lento.
Il sangue di Amy scorreva sempre più veloce nelle sue vene.
Stava arrampicandosi sempre più in alto, in cima alla torre. Solo che
questa volta non c’era un drago, niente fuoco, ma quando raggiunse
la cima esplose in milioni di stelle scintillanti. Sembravano uscire dal
centro del suo essere come i fuochi d’artificio più abbaglianti,
attraversare tutto il suo corpo teso, fino alla punta delle dita, brillanti
scie di sensazioni che le percorrevano le vene, in ondate di piacere
che superavano la più sfrenata immaginazione.
Sentì Colin pulsare dentro di sé e il fiotto caldo del suo orgasmo.
Crollò su di lei, con il torace caldo e scivoloso contro il suo, la
schiena che si tendeva mentre respirava forte. Le mani di Amy erano
dappertutto, cercavano di sentirlo tutto in una volta mentre tirava
lunghi respiri tremanti.
“Non lo sapevo,” ansimò Amy meravigliata. “Non lo sapevo.”
Colin si rialzò sui gomiti. “Come avreste potuto?”
Il suo sorriso, orgoglioso, felice ed erotico tutto allo stesso tempo,
la fece fremere di nuovo. Tenendola stretta a sé, Colin rotolò,
appoggiandosela al petto. Amy gli sorrise, finché vide il sorriso di
Colin che svaniva.
“È stato un errore,” disse, forte e chiaro e poi, con un sussurro
così basso che Amy dovette sforzarsi per sentire, “Ma non dirò che
mi dispiace.”
“No, niente scuse.” Amy aveva ancora i sensi in fiamme e si
sentiva stranamente tremolante, come se le ginocchia potessero
cedere, se si fosse alzata. Ma le vertigini erano un piccolo prezzo da
pagare per l’incredibile meraviglia di essere stata tutt’uno con Colin.
Cercò le parole. “È stato... ricordate i fuochi d’artificio, la sera di
tanti anni fa, per il corteo dell’incoronazione?”
“Sì...” Amy lo vide riflettere sulla sua domanda, con una piccola
ruga che si formava tra le sopracciglia.
Non capiva.
“Oh, è stato così, Colin—è stato esattamente così. Grandi scie
luminose...”
Il volto di Colin si schiarì e le disse gentilmente. “Lo so.”
“Possiamo farlo ancora?” Gli chiese, entusiasta.
A quel punto Colin rise, una grande risata tuonante che la fece
quasi rimbalzare dal suo petto. Amy appoggiò il volto sulla sua
spalla, con le guance in fiamme. Avrebbe pensato che era lasciva, a
chiedere di rifarlo?
“No, amore. Penso di no. Anche se ne fossi in grado, immagino
che sarete troppo indolenzita per riprovarci per un giorno o due.”
Amy si rilassò un po’. Anche se non capiva proprio tutto quello che
intendeva dire non sembrava la disapprovasse.
Oltre a tutto, l’aveva chiamata ancora amore.
E anche se era sicura che non significasse niente, sentirlo era
sufficiente a far sparire ogni preoccupazione.

IMPRECANDO TRA SÉ e sé, Colin accarezzava i capelli di Amy.


Amore, l’aveva chiamata. Maledizione.
A che cosa diavolo stava pensando?
Non stava pensando, ovviamente. Non stava pensando, proprio
per niente. Il termine affettuoso gli era scappato di bocca, senza
pensarci.
Non era mai stato ‘innamorato’ e anche se nessuno lo faceva
sentire come questo scricciolo di ragazza, non voleva dire che la
amasse. La conosceva appena, nonostante fossero passate
settimane. Inoltre l’amore non faceva parte dei suoi piani.
L’amore era pericoloso. Rendeva la gente vulnerabile, troppo
aperta al dolore per l’eventuale perdita o l’abbandono.
Fortunatamente, Amy sembrava non aver notato, né reagito al suo
scivolone. Comunque avrebbe dovuto essere più cauto in futuro.
Amy si rannicchiò contro di lui, che respirò il suo profumo pulito,
dolce, con ancora una traccia del profumo di rose dal suo bagno di
quella mattina a Cainewood. Olio di rose e qualcos’altro...
l’inebriante odore muschiato del loro rapporto.
Gli si strinse il cuore al ricordo ancora fresco di Amy che tremava
tra le sue braccia. Il suo respiro affrettato, il cuore che batteva forte, i
suoi gemiti appassionati. Tutto per lui. Non era perché fosse
addolorata, non perché cercasse di sfuggire ai ricordi—lo aveva
desiderato. Il sangue gli rombò nelle vene a quel pensiero—al
pensiero di loro due insieme.
Ma nel suo intimo, sapeva che era solo una coincidenza, una
combinazione unica di paura, curiosità e attrazione che aveva
portato Amy nelle sue braccia questa unica preziosa volta. Non era il
tipo di donna che avrebbe accettato di vivere la sua vita come
amante di un uomo, per quanto amata
Fece scorrere le dita nei riccioli d’ebano che gli ricadevano sul
petto e sospirò, ricordante la prima volta che l’aveva vista, come
aveva desiderato di vedere i suoi capelli sciolti, come avrebbe voluto
poterci giocare, proprio come in quel momento. Le scostò una ciocca
dalla fronte e la baciò, lì, con riverenza.
Amy stava dormendo, e respirava tranquilla e senza problemi. Lo
fece sorridere.
La fece scivolare giù da lui, mettendola su un fianco e si accoccolò
intorno a lei, protettivo. Il piano di andarsene quando si fosse
addormentata era fallito, dimenticato.
Sperava che nevicasse ancora forte la mattina dopo.
CAPITOLO VENTICINQUE

AMY SI GUARDÒ allo specchio, sorpresa di vedere la stessa solita


faccia. Dopo la notte appena passata, non avrebbe dovuto cambiare
qualcosa?
Imbarazzata, si guardò intorno per assicurarsi di essere sola, poi
lasciò cadere il lenzuolo in cui si era avvolta e diede un’occhiata
critica al proprio corpo... non era cambiato niente nemmeno lì. Colin
le aveva portato la colazione a letto, quella mattina, poi aveva
nuovamente rifiutato il suo aiuto, sparendo nel suo studio.
Sospirò. Neanche lì era cambiato niente.
Si lavò in fretta usando il catino e facendo un inventario mentale
mentre sciacquava via le tracce della notte. Nonostante la
sensazione insistente che qualcosa avrebbe dovuto essere diverso,
si sentiva esattamente la stessa. L’unico ricordo sembrava essere un
lieve ma persistente indolenzimento tra le gambe.
Un indolenzimento delizioso... un indolenzimento che cominciò a
fremere, irradiandosi per tutto il corpo. Il cuore mancò un battito
quando ricordò esattamente come l’aveva toccata Colin la notte
prima, ogni minima cosa che aveva fatto per farla sentire in quel
modo meraviglioso. Sentì il volto in fiamme anche se non c’era
nessuno che la vedesse. Riscuotendosi, cercò la sottoveste tra le
coperte.
Le lenzuola erano macchiate. Dio del cielo, non poteva lasciarle
così. Si infilò la sottoveste, e si guardò attorno, cercando un posto
dove trovare la biancheria pulita. La stanza non aveva armadi, solo
la cassapanca ai piedi del letto. Alzò il pesante coperchio e ne uscì il
profumo di Colin.
Amy respirò a fondo, con un sorriso che le sfiorava le labbra.
Dentro, i vestiti erano piegati con cura. Gli abiti erano più scuri di
quanto dettasse la moda corrente—verde scuro, blu oltremare,
marrone—i tessuti fini, le decorazioni semplici e di buon gusto.
Uno era di velluto nero con la passamaneria dorata che
luccicava... era lo stesso che aveva portato per il corteo
dell’incoronazione? Le sue camicie erano bianchissime, di cambrì
finissimo, morbido al tatto, un tessuto costoso. Ne scosse una e se
la mise davanti, ridendo quando vide che le arrivava oltre le
ginocchia.
La ripiegò accuratamente e la rimise a posto, poi cercò sotto le
cravatte bordate di pizzo, lunghe calze e più fazzoletti di quanto un
uomo potesse consumare in una vita intera. Con enorme sollievo
trovò delle lenzuola sul fondo. E, sopra, un libriccino rilegato in pelle.
Lettere dorate sulla copertina rossa le identificavano come
Esperidi, di Robert Herrick. All’interno, con una bella calligrafia
fluida:
“Marzo 1649. Poesie per mio figlio, il sognatore. La tua mamma.”
Colin un sognatore? Le labbra di Amy si curvarono a quel
pensiero.
Aprì il libro a una pagina a caso. “To the Virgins, to Make Much of
Time—Alle vergini, perché facciano buon uso del loro tempo.” Beh il
titolo non era più tanto adatto, dopo la notte scorsa—arrossì
pensandoci—ma...
Gather ye rosebuds while ye may,
Old Time is still a-flying;
And this same flower that smiles today
Tomorrow will be dying.

Cogliete le rose finché potete,


Il Vecchio Tempo ancora vola,
E lo stesso fiore che oggi sorride,
Domani sarà morto.
Bello vivere così. Sorridendo, Amy rimise a posto il libro e cambiò
le lenzuola. Piegando quelle macchiate e lasciandole sopra la
cassapanca. Ansiosa di esplorare il castello, si affrettò a finire di
vestirsi.
Un giro al pianterreno non rivelò niente di interessante. Strette
feritoie attraverso la cortina di mura lasciavano entrare poca luce,
rendendo buie e umide le stanze non ancora restaurate. Quello che
restava dei mobili era coperto di teli, incrostati con abbastanza strati
di polvere da scoraggiare chiunque a sbirciare sotto.
Si fermò davanti alla porta dello studio di Colin, raffigurandoselo
dentro che si dava da fare sui suoi libri mastro. Sperava che stesse
soffrendo terribilmente, anche se in verità non aveva la minima idea
se avesse o meno attitudine per quel tipo di lavoro. C’era tanto che
non sapeva di lui, doveva ammetterlo.
E tanto che invece sapeva.
Con le ginocchia molli al pensiero, si appoggiò alla porta,
sentendosi per metà imbarazzata e per metà sfrontata a pensare
quelle cose. Era sorprendente e peccaminoso e meraviglioso allo
stesso tempo.
Raddrizzando le spalle, andò verso l’entrata, dove la scalinata di
quercia, meravigliosamente restaurata rinnovò le sue speranze di
trovare qualcosa di più interessante al piano di sopra. Mentre saliva
lentamente le facevano male i muscoli in posti dove non sapeva di
averne. Non sapeva se quei muscoli stessero lamentandosi per aver
dovuto andare a cavallo o per l’attività inusuale nel letto di Colin...
ma arrossì di nuovo quando il corpo indolenzito le ricordò la seconda
attività. Come aveva già fatto un centinaio di volte, quel giorno. E
non era ancora mezzogiorno.
Si sedette di colpo sull’ultimo gradino in cima. Era un bene che
Colin avesse rifiutato il suo aiuto, le sembrava di essere
completamente incapace di concentrarsi di qualcosa per più di due
secondi prima di ricominciare a ricordare. Prima di ricominciare a
desiderarlo di nuovo, a dire il vero.
Vide il suo baule, al piano di sotto, ancora accanto al muro, dove
l’aveva spinto Colin. Tutto quello che le restava della sua famiglia
era racchiuso lì dentro.
Chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie. Santo cielo, che cosa
avrebbero pensato i suoi genitori dopo la notte passata? Se fossero
stati lì e lei avesse confessato loro i suoi modi peccaminosi,
l’avrebbero guardata disapprovando? Oppure l’avrebbero
abbracciata dicendo che le volevano bene... anche se non le
dispiaceva nemmeno un po’ per quello che aveva fatto...
“Oh, Papà!” Il suo sussurro aspro riempì l’entrata mentre sollevava
le gonne e si precipitava dabbasso a prendere il baule, poi lo
trascinava facendolo strisciare sul pavimento di pietra fino in
camera. Prese la chiave dall’orlo del vestito mentre stava ancora
chiudendo la porta alle sue spalle.
Cadendo in ginocchio, aprì la serratura con le mani tremanti e aprì
il coperchio. Sollevò il vassoio in cima e lo lasciò cadere sul
pavimento, scartando la scatola di gemme sciolte senza un solo
pensiero. Perché sotto il vassoio c’era il vero tesoro: pezzi di suo
padre avvolti in piccoli riquadri di flanella bianca, pezzi della sua
anima per sempre scolpiti nei suoi capolavori.
Infilò le mani nel baule, riempiendo entrambi i pugni con i gioielli,
poi si spostò sul letto, lasciando ricadere i gioielli tra le dita aperte...
ricordando.
CAPITOLO VENTISEI

ESALANDO UN LUNGO sospiro, Colin si prese la testa fra le mani.


Il piano della scrivania era coperto di ricevute, di libri contabili pieni
di numeri che aveva passato la mattina a fissare con gli occhi vacui.
In effetti, si era scoperto incapace di concentrarsi su una cosa
qualsiasi quella mattina—niente, eccetto Amethyst Goldsmith.
Rigirò distrattamente il pesante anello d’oro sul dito. Era ovvio che
non avrebbe combinato niente quel giorno. Un’occhiata fuori dalla
finestra lo convinse che non sarebbe riuscito a consegnare al molo
la sua distrazione, almeno non subito.
La bufera si stava calmando, ma la neve cadeva ancora fitta e i
cumuli erano alti. Lo stomaco che brontolava gli ricordò che
mezzogiorno era già passato e che Amy aveva promesso di
preparare da mangiare.
Uscendo dallo studio senza preoccuparsi di mettersi il mantello,
Colin infilò la testa in ciascuna delle stanze vuote dabbasso, poi si
precipitò attraverso la gelida sala grande per andare in cucina.
Aveva preparato il fuoco la mattina presto, sperando che avrebbe
ispirato Amy a preparare qualcosa di caldo.
Ma non era da nessuna parte. Un’occhiata veloce nella dispensa e
nella buttery gli dissero che non era nemmeno lì. Non c’era niente
che bolliva nella pentola né una qualche prova che avesse fatto
qualcosa.
Si era persa? No, Greystone era troppo piccolo per perdersi.
Ferita magari? Era una possibilità. Nonostante gli anni e i soldi spesi
per il restauro, la struttura era ancora in pessime condizioni; avrebbe
potuto inciampare e distorcersi una caviglia, o peggio.
Si mise a cercarla, cupo, tornando nella sala grande e alla neve
incessante.
Una volta nell’atrio, guardò le scale e ricordò la biblioteca. Ovvio,
pensò. Sollevato. Ford gli aveva parlato delle innumerevoli ore che
Amy aveva passato nella biblioteca di Cainewood. Doveva aver
scoperto la sua biblioteca e aver perso la cognizione del tempo,
dimenticandosi completamente del pranzo.
Fece i gradini a due a due, corse sul retro del livello superiore e si
precipitò attraverso la porta delle biblioteca.
No—non era nemmeno lì. Né c’era mai stata. Non era stato
spostato un solo granello del considerevole strato di polvere; i titoli
sulle file ordinate di libri oscurati dalla sporcizia come sempre.
Amy non poteva aver trovato questa stanza e averla lasciata
indisturbata. Era completamente contro natura per lei ignorare una
stanza piena di libri, anche se polverosi e trascurati.
Non era nemmeno in nessuna delle altre stanze di sopra. Il cuore
cominciò a battere forte, immaginandola di nuovo bloccata da
qualche parte, braccia o gambe rotte, magari nella neve gelata o sul
fondo dell’oubliette. Avrebbe dovuto accompagnarla in giro per il
castello e offrirsi di aiutarla a preparare il pranzo.
Che cosa gli era passato per la testa?
Aveva solo cercato di allontanarsi da lei per un po’, ecco tutto.
Stava fingendo che lei non avesse nessun effetto sulla sua vita, che
poteva mettersi al lavoro come il solito, nonostante la sua presenza.
Aveva sperato che qualche ora di separazione avrebbe infranto
l’incantesimo che lei gli aveva espertamente tessuto intorno.
Tutto inutile—era sotto il suo incantesimo, esattamente come
sempre e ora lei poteva essere ferita, grazie alla sua negligenza. Si
diede dello stupido. Era affidata a lui, come minimo avrebbe dovuto
chiederle di restare in camera con un libro mentre lavorava.
La camera. Non aveva nemmeno guardato lì. Forse era
veramente in camera con un libro. Mentre si precipitava giù dalle
scale, la immaginò rannicchiata nel letto, persa nel mondo della
letteratura o magari stava facendo un pisolino—la notte era stata
breve per entrambi. Non poteva certamente biasimarla se aveva
perso la nozione del tempo.
Bussò piano sulla porta, temendo di svegliarla e al contempo
tenendo che non ci fosse.
Non ci fu risposta.
“Amy?” Chiamò, con la voce attutita dalla pesante porta di quercia.
“Amy, siete lì?”
Bussò più forte. “Amy?”
Con la tenue speranza che fosse dentro, profondamente
addormentata, spinse la porta.
Restò a bocca aperta davanti allo spettacolo che gli si presentò
davanti.
C’erano gioielli luccicanti ovunque. Amy era inginocchiata sul
pavimento accanto al suo baule—quel dannato pesantissimo baule
che aveva insistito per portarsi dietro dappertutto. Nessuna
meraviglia. Quella dannata cosa era piena d’oro e gemme e di Dio
sa che cos’altro.
Colin imprecò sottovoce. “Perché non mi avete risposto?”
“Io—non lo so. Mi avete sorpreso.”
“Ero preoccupato a morte per voi. Dovevate preparare da
mangiare e non riuscivo a trovarvi.
“Io... mi dispiace, ho dimenticato.” Amy guardò fuori dalla finestra,
ma il sole era nascosto dalle nuvole cariche di neve e non lasciava
capire che ora fosse. “È molto tardi?”
“Non ha importanza,” borbottò Colin, con la rabbia che cominciava
a crescere mentre sfumava la sorpresa e l’inganno di Amy
cominciava ad apparirgli chiaro. “Santo cielo, ho suggerito di lasciare
il baule in carrozza per la notte. Perché non mi avete detto che cosa
conteneva?”
“Mi... mi hanno insegnato a non fidarmi di nessuno.” Abbassò la
testa con gli occhi che si riempivano di lacrime. “Mi dispiace. Avrei
dovuto dirvelo. Vi ho trattato male, mentre voi siete sempre stato
onesto con me.”
Colin si inginocchiò accanto a lei, tormentato dal senso di colpa
perché le stava causando altra angoscia, sapendo di essere stato
tutt’altro che onesto con lei—diavolo, non era onesto nemmeno con
se stesso quando si trattava di lei.
“Capisco.” Le disse piano.
Quando Amy lo guardò, con gli occhi di ametista brillanti di
speranza e di lacrime, il cuore di Colin fece una capriola.
Amy era ancora emotivamente fragile, in un modo che gli faceva
venire voglia di prenderla tra le braccia e proteggerla dal mondo.
Invece la toccò, un tocco leggero sul braccio e le sorrise, un sorriso
comprensivo che si allargò mentre arrivano a un’intesa silenziosa e
Colin vide i suoi occhi che si schiarivano.
Le passò le dita lungo il braccio e il volto di Amy si colorò di rosa,
poi lei distolse gli occhi, agitata, e cominciò a raccogliere i gioielli.
Colin le afferrò la mano, fermando i suoi sforzi concitati. “Posso
vedere alcune dei vostri pezzi?”
Amy lo guardò, sorpresa. “Certo.” Il suo volto si illuminò di piacere
quando gli passò il pezzo che aveva in mano, una grande spilla di
diamanti, da pettorina.
“È straordinario.” Al centro c’era un enorme diamante rettangolare,
tagliato a smeraldo, circondato da diamanti rotondi incastonati in
ramoscello con foglie d’oro. Lo rigirò in mano per ammirare il modo
in cui le gemme catturavano la luce.
“Papà aveva comprato la gemma centrale da un commerciante di
Anversa, poi l’aveva messa da parte per quasi dieci anni prima di
montarla.” Ora non era più agitata e le parole fluivano sicure. Colin si
rese conto che le mancava il suo mestiere. “Non lo mostrava quasi
mai a nessuno. Non credo che volesse veramente separarsene.”
“È un peccato che non sia mai stato portato e goduto.”
“Io ho fatto degli spilloni da portare insieme.” Frugò nel baule per
qualche secondo e ne tirò fuori una mezza dozzina di lunghi spilloni
d’oro, ciascuno con in cima una foglia d’oro con un diamante tagliato
a rosetta. Li lasciò cadere sull’altro palmo di Colin. “Sarebbero stati
così belli tra i capelli di una dama, con la spilla intonata. Ho sempre
pensato che un giorno sarebbero appartenuti a qualcuno
importante.”
“Sono di qualcuno importante anche adesso,” disse Colin,
scherzando solo un po’.
Ma il cuore di Amy le splendette negli occhi. Avrebbe dovuto stare
più attento.
Facendo attenzione e non pungerla con gli spilloni, le restituì i
gioielli e la guardò avvolgerli in due dei tanti rettangoli di flanella
sparsi in giro.
Era tornata silenziosa. Colin si spostò, sedendosi sul letto, dove
luccicava una pila di gingilli. “C’è qualcosa che avete fatto voi?”
“Oh, molte cose.” Balzò in piedi per sedersi accanto a lui, frugando
tra i gioielli finché trovò un cammeo ovale, color corallo e glielo porse
timidamente.
Colin sorrise guardandolo. Incastonato in una treccia d’oro,
l’incisione mostrava il profilo di una bella e giovane donna.
Indossava una minuscola collana di filo d’oro intrecciato con un
piccolo pendente di diamanti, come se penzolasse nella sua
scollatura.
Colin strinse gli occhi di colpo e lo guardò più attentamente.
“Assomiglia a voi,” le disse sorpreso e Amy fece una risatina.
“Papà diceva la stessa cosa. Allora non ci credevo, ma poi anche
la mamma l’ha confermato e altri e alla fine ho deciso che dopo tutto
dovevo essere io. Anche se giuro che non intendevo incidere il mio
ritratto. Guardate, ha i capelli sciolti ed io non ho mai portato i capelli
in quel modo.”
“Eppure li portate sciolti, da quando c’è stato l’incendio. Perché
avete cambiato stile?”
“Non ho mai imparato a farmi la treccia da sola.” Amy ci pensò un
attimo, con una smorfia sul viso. “Sembrano più adatti alla mia vita di
adesso. Mi sento una persona diversa.” Alzò le spalle. “Li portavo in
una treccia per ragioni pratiche—non avrei potuto lavorare con i
capelli che ondeggiavano in giro, a intralciare. E non ho fatto molti
gioielli negli ultimi mesi, vero?”
“No, certamente no,” confermò Colin con un sorriso ironico. “A me
piacciono sciolti, comunque. Nel vostro negozio... mi sarebbe
piaciuto sciogliere quella treccia.”
“Davvero?”
Colin si schiarì la voce. Ora, perché mai se lo era lasciato
sfuggire? “Adesso vi assomiglia veramente tanto, comunque,” si
affrettò a dire, sperando di sorvolare sul commento avventato. Tenne
il cammeo tra l’indice e il pollice, guardando alternativamente Amy e
il suo ritratto. La somiglianza era indiscutibile. “Posso tenerlo?” Le
chiese, sorprendendo anche se stesso.
Amy arrossì di piacere. “Oh, sì. Mi piacerebbe che l’aveste voi. E
qualunque altra cosa vogliate,” aggiunse, indicando la pila sul letto.
Colin rise, felice della sua generosità perché non sapeva che cosa
avrebbe detto se Amy gliel’avesse rifiutato.
Voleva veramente quel cammeo.
“No, grazie, basterà questo.”
“È un piacere per me.”
Il calore nella sua voce lo affascinò. Sembrava genuinamente
felice di regalargli quel gioiello. Si chiese se Amy avesse idea di
quanto significasse per lui.
Il cammeo era solo un pezzo del virtuale tesoro in gioielli.
Guardando oltre la pila sul letto, aggiungendo mentalmente tutti
quelli sparsi sul pavimento e tutti quelli che erano rimasti nel baule,
Colin giunse alla conclusione che il baule era stato quasi pieno. Era
un tesoro per cui un pirata non avrebbe esitato a uccidere.
Scosse la testa, dandosi dello stupido per non essersi reso conto
del contenuto del baule, impressionato al contempo per l’abilità di
Amy a nasconderlo. Più la conosceva, più la ammirava. Aveva un
istinto di autoconservazione ben radicato.
Mise da parte il cammeo e cercò tra i gioielli sul letto finché
qualcosa colse la sua attenzione—una spilla a forma di fiocco,
incrostata di piccoli rubini, zaffiri, smeraldi e diamanti. “Questo è un
pezzo molto grazioso. L’avete fatto voi?”
Amy annuì. “Sì. Ci sono molti pezzi simili qui. Si chiamano gale e
sono molto popolari. Penso che saremmo stati tutti capaci di farle a
occhi chiusi.” Sorrise al ricordo. “Penso che dovrei regalarla a
Kendra. E dovremmo scegliere qualcosa anche per Jason e Ford.” Il
volto si illuminò al pensiero. “Sono stati tutti così gentili con me—
perché non ci ho pensato prima?”
“Perché li avreste sorpresi a morte.” Quando Amy rise, Colin si unì
a lei. “Ciononostante, non è necessario,” le assicurò. C’era la
probabilità che Amy dovesse vivere dei suoi gioielli nei mesi e negli
anni a venire, non avrebbe dovuto regalare le sue cose.
“Voglio farlo.” Si lasciò cadere sul pavimento, e si mise subito a
frugare nel baule, cercando i regali perfetti.
“No.” Colin le mise una mano sul braccio.
Amy lo scosse via. “Insisto.” Le gemme luccicavano mentre
frugava, completamente concentrata sui gioielli. “È stata una terribile
mancanza di buone maniere da parte mia. Devo ringraziarli per
l’ospitalità.”
Colin rinunciò a discutere. In quanto a testardaggine, Amy faceva
il paio con i Chase, doveva ammetterlo.
Dopo parecchie ricerche e battibecchi scherzosi, si erano
accordati su un’aigrette per Ford. Di tutti i fratelli era quello che
amava di più vestirsi elegantemente e la spilla alla moda sarebbe
stata benissimo sul suo cappello.
Jason era tutta un’altra storia. Amy insistette a scegliere un
grande orologio da taschino con il quadrante smaltato e un
coperchio traforato con un enorme zaffiro al centro e otto più piccoli
intorno.
“È troppo!” protestò Colin. “Oltre a tutto Jason ha già un orologio.”
“L’ho visto. È piccolo e senza coperchio. Il Marchese di
Cainewood dovrebbe togliersi dal taschino un orologio importante
per guardare l’ora. Papà aveva in mente qualcuno come Jason
quando l’ha fatto.”
“Questo è un bell’orologio grande,” Colin indicò un altro esemplare
con un semplice coperchio inciso.
“Voglio che abbia questo. Mi ha aperto la sua casa, Colin—”
“Non gli ho lasciato molta scelta,” la interruppe Colin, ironico.
“Non vuol dire niente. È stato meraviglioso con me e questo è il
meno che possa fare. Oltre a tutto, quello l’ha fatto Robert. Voglio
che ne abbia uno fatto da mio padre.”
“Robert?”
“Robert Stanley. Il nostro apprendista.”
“Il vostro apprendista?” Rigirandosi l’anello, Colin ricordò di colpo il
giovanotto insolente dai lineamenti spigolosi appoggiato all’arcata
del laboratorio della Goldsmith & Sons. “Volete dire quel tipo dai
capelli rossi?”
Amy gli lanciò un’occhiata. “Lo ricordate?”
Occhi diffidenti azzurro chiaro. Lo ricordava bene.
Questo decise la questione. Non solo Amy non accettava
discussioni, ma Colin non voleva che nessuno della sua famiglia
avesse niente fatto da quell’apprendista. Si sentiva a disagio solo a
pensare a quell’uomo.
Amy stava già riavvolgendo gli altri gioielli. Colin mise l’orologio da
taschino con le altre cose che aveva scelto e cominciò ad aiutarla.
“Che cosa gli è successo? Lo sapete?”
“A chi?”
“All’apprendista, Robert,” non gli piaceva nemmeno pronunciare il
suo nome.
Le mani di Amy si fermarono un attimo. “Non ne ho idea. È andato
a combattere l’incendio e non l’ho più rivisto.” Giocherellò con un
pezzo di flanella. “Avrei dovuto sposarlo.”
“Davvero?” Nessuna meraviglia che Robert fosse sembrato così
ostile. Gli venne in mente l’immagine di Amy che baciava quel pel di
carota lentigginoso. Gli dava la nausea e la domanda gli uscì di
bocca prima di riuscire a pensare. “Lo amate?”
“No.” Amy si irrigidì visibilmente mentre piegava la flanella intorno
a un braccialetto. “Aveva combinato mio padre il matrimonio. In
mancanza di un figlio maschio, gli serviva qualcuno per gestire il
negozio e conosceva gli Stanley da sempre.” Si spostò accanto al
baule per riporre il braccialetto, poi tornò accanto al letto. “I
documenti del mio fidanzamento sono bruciati nell’incendio. È l’unica
cosa buona che ne è scaturita.”
Colin lasciò andare il respiro che non si era reso conto di aver
trattenuto. Solo perché non poteva avere Amy, non voleva dire che
qualche idiota come Robert potesse prenderla.
Eppure doveva sposarsi... una donna doveva sposarsi. “Non si
aspetta che lo sposiate comunque?”
“Non ha importanza.” Si mise un anello con un topazio sul dito e
poi lo tolse. “Non lo avrei mai sposato di mia spontanea volontà.”
“E i registri della chiesa?” Le ricordò Colin. “Potrebbe pensare di
usarli per obbligarvi a tener fede alla promessa.”
Amy alzò le spalle, continuando a fissare l’anello. “Siamo stati
promessi durante il Commonwealth.”
Colin annuì. I Puritani consideravano il matrimonio un affare solo
della coppia e dello stato, che non coinvolgeva Dio. Durante il
governo di Cromwell i matrimoni erano celebrati dal Giudice di Pace
e non occorreva una cerimonia per le promesse di matrimonio.
Colin alzò un torchon di perle. “Eppure dovrete sposarvi, Amy.
Con questi gioielli potreste comprare un titolo—”
“E sposare un nobile?” L’anello con topazio le cadde dalla mano
sul letto, e gli occhi fissarono brucianti quelli di Colin. “No. Allora non
potrei mai rimettere in piedi la Goldsmith & Sons.”
“No, ovviamente no.” Accarezzò distrattamente la pesante collana
di perle. “Ma sarete in Francia, non a Londra.”
“Aprirò un negozio là. Non subito, più avanti.”
“Ma—”
“Niente ma, Colin.” Sorrise all’uso delle parole che di solito usava
lui, poi tornò seria. “Sì, sono una femmina. E un’orafa. E ho
promesso a mio padre che non avrei permesso che la Goldsmith &
Sons morisse con me. No, era più di una promessa—un giuramento.
E la nostra vera ultima conversazione.”
Era un piano ridicolo.
Non erano... affari suoi.
Divorato da questi pensieri, giocherellava con la collana,
ammirando il modo in cui i colori cremosi si intonassero e la
dimensione delle perle digradasse lungo i fili. I piccoli clic delle perle
risuonavano forti nel silenzio.
“Questa collana deve valere una fortuna.” Disse Colin.
Amy annuì. “Le perle hanno raddoppiato di valore durante la mia
vita, e il prezzo sta ancora crescendo. Vi piacerebbe averlo? Il
fermaglio è bello, ma non so chi l’ha fatto, quindi per me non ha un
valore particolare.”
Colin guardò il fermaglio, delicata filigrana incrostata di zaffiri e
diamanti. Non voleva niente, eccetto il cammeo. “Non mi sognerei
mai di portarvelo via. So che Re Charles e la sua cerchia amano
mettersi addosso gioielli simili, ma nessun uomo nella mia famiglia si
farebbe trovare morto con indosso una collana di perle.”
Non poteva regalarlo a Priscilla—non se la sarebbe mai sentita di
regalarle qualcosa tolta ad Amy.
“Inoltre...” Non riusciva a credere che lo stava dicendo—stava
dando validità al suo piano ridicolo. “Vi servirà venderlo per aprire il
negozio. Un’impresa simile sarà piuttosto costosa—”
Amy alzò le spalle. “Ho l’oro.”
“L’oro?”
“Sul fondo.” Indicò con la mano il baule. “La mia famiglia accumula
monete d’oro da sempre. Era—” esitò un attimo, “—un segreto.
Ecco. Ora lo sapete.” Il sorriso improvviso e disarmante di Amy lo
incantò. “È il motivo per cui mio padre non si è mai preoccupato
quando il commercio si è ridotto quasi a zero durante il
Commonwealth. C’è anche qualche lingotto d’oro—da usare per la
fabbricazione, sapete. Non abbiamo mai fuso le monete.”
Di soppiatto, sperava, Colin spostò alcuni dei gioielli nel baule,
rivelando una pila di monete d’oro, molte delle quali vecchie e
butterate; ne intravide una datata 1537. Calcolando lo spessore delle
pareti del baule arrivò alla conclusione che c’era una fortuna in
monete d’oro. Un’enorme, incredibile fortuna.
Restò senza parole. Come, Amy era ricca! Ancora più ricca di
Priscilla, o almeno più ricca di Priscilla almeno fino alla morte del suo
sanissimo padre.
Guardò Amy che avvolgeva i suoi gioielli, facendo con calma una
pila di pacchetti bianchi, circondata dall’oro, diamanti... ricchezze
incredibili. Ma quello che sentiva per lei non aveva niente a che fare
con la ricchezza o la sua posizione e tutto con il modo in cui solo
guardarla gli scaldava il sangue nelle vene. Il bisogno che aveva di
questa ragazza era illogico, emotivo...
Pericoloso. Non era il caso di pensarci.
Ricominciò ad aiutarla, a tutta velocità. Il baule avrebbe dovuto
essere chiuso e nascosto. Anche se era cresciuto circondato da
cose belle e costose, dopo l’inizio della guerra la sua famiglia non
aveva mai avuto molta liquidità. Tutto quest’oro, così in mostra, lo
metteva a disagio.
Misero l’ultimo pezzo in cima e Amy raccolse il vassoio su misura,
rimettendolo a posto con un gesto plateale. Poi prese una lunga
scatola di pelle nera che pareva avesse gettato sotto il letto.
“Le pietre,” disse, rispondendo alla sua muta domanda. Aprì il
coperchio incernierato e gli mostrò un’unica ordinata fila di pacchetti
di carta. Togliendone uno, aprì le pieghe precise e gli mise in mano il
contenuto.
Colin si meravigliò per le due pietre sciolte, identiche. “Diamanti?”
tirò a indovinare.
“Sì, che aspettano di diventare qualcosa di bello. Orecchini, forse.”
Riprese i diamanti, con le dita che volavano mentre ripiegava la
carta con uno schema complicato. Anche dopo averglielo visto fare
Colin dubitava che sarebbe riuscito a fare un pacchetto così perfetto
partendo da un semplice rettangolo di carta.
Amy rimise a posto il pacchetto e ne prese un altro, aprendolo e
mostrandogli un centinaio di minuscoli diamanti. “Melée, si
chiamano,” gli spiegò. “Circa cinque carati in tutto, con una media di
cinquanta pietre per carato.” Il mucchietto di pietre scintillava sulla
carta e Colin si abbassò a guardare. Invece di passarglieli, però,
Amy richiuse il pacchetto. “Se dovessimo rovesciarli, sarebbe
impossibile trovarli in questo tappeto.” Gli spiegò in tono di scusa.
Rimise a posto il pacchetto e cercò tra la dozzina e più. Su ogni
pacchetto, Colin vide dei numeri per lui senza senso in una
calligrafia minuta e precisa. Con un sorriso e un cenno della testa,
Amy ne tirò fuori uno e lo aprì, mostrandogli un enorme rubino rosso
sangue.
Suggestivo, brillava di luce propria. Colin non era un esperto di
gemme, ma era certo di non aver mai visto una perfezione simile.
Allungò la mano per prenderlo.
“Mio padre stava lavorando a un disegno per questo rubino
quando—” Amy deglutì, “—quando è morto. Voleva farne il pezzo
centrale di una collana. Ci sono venti carati di diamanti identici qui
dentro che aveva intenzione di incastonare insieme.”
“È bello,” rispose Colin gentilmente. Esaminò il rubino, alzandolo
alla luce prima di rimetterlo nella carta nel palmo della mano di Amy.
Gli si confuse la mente pensando come una giovane donna potesse
possedere tanto.
“Sì, hanno un grande valore,” ammise Amy, “anche se non ci ho
mai veramente pensato. Non si possono usare facilmente per
comprare qualcosa, come l’oro.” Ripiegò la carta e rimise il
pacchettino nella scatola. “Erano solo lì. Alcuni sono nella mia
famiglia, ad aspettare la montatura perfetta, da più di cento anni.”
Togliendo un altro pacchetto, ne versò il contenuto nella mano
aperta di Colin, che andò alla finestra, muovendo il palmo di modo
che la ventina di diamanti scintillasse alla luce riflessa dalla neve.
“Brillano così...” mormorò. Una miriade di colori sottilmente diversi,
andavano da un bianco purissimo a un giallo leggero ma distinto.
“Circa mezzo carato ciascuno. Non ben assortiti. Finiranno in
pezzi diversi.”
Colin chiuse il pugno sulle pietre scintillanti. “Sono belli... non
riesco a crederci... Amy, c’è un valore enorme qui.” Aggrottò la
fronte, confuso. “La vostra famiglia... possedevate tanto. Eppure
vivevate sopra il vostro negozio...”
Amy si avvicinò, porgendogli la carta. Colin versò le pietre,
un’abbagliante cascata di gemme costose.
“Non eravamo—non sono—un’aristocratica. Nessuno si aspettava
che vivessimo nel lusso. Se la gente avesse saputo ciò che
avevamo, lo avrebbe rubato.” Piegò il pacchetto e lo rimise nella
scatola, chiudendo il coperchio.
“Ma—”
“Vivevamo bene.” Sorrise alla sua confusione. “Ho sempre avuto i
vestiti migliori e abbiamo sempre avuto una cameriera e una
governante. Mangiavamo bene e non abbiamo mai dovuto preparare
noi i pasti o fare le pulizie. La mamma collezionava delle cose—cose
inutili ma carine—figurine e vasetti che la facevano sorridere.
Avevamo libri, andavamo a teatro—l’oro era un’assicurazione, per
non doverci mai preoccupare. È stato raccolto da tante generazioni
che mi sembra che non sia mio, veramente... come se lo avessi solo
in custodia per qualcun altro.” Si avvicinò al baule e rimise la scatola
al suo posto.
“Ma è vostro, Amy. È tutto vostro.”
In silenzio, Amy si inginocchiò per chiudere a chiave il baule, poi lo
raggiunse di nuovo accanto alla finestra. Guardarono entrambi la
neve che cadeva piano. La bufera stava passando e questa sarebbe
probabilmente stata la loro ultima notte insieme.
“Avete ragione,” disse dolcemente Amy. “È tutto mio. Ma negli
ultimi due anni ho imparato che quello che conta sono le persone
che hai attorno. Il denaro non è importate.”
“Lo è se non ce l’hai.” Ribatté amaro Colin, pensando agli anni che
aveva passato faticando per rimettere in sesto la tenuta e restaurare
la sua casa, rimandando il matrimonio e i suoi programmi di avere
una famiglia.
“Lo scambierei tutto—fino all’ultimo pezzo,” sussurrò Amy, “per
riavere i miei genitori.”
Colin sentì un colpo al cuore. Aveva ragione, ovviamente.
Voltandosi verso di lei, le prese il volto tra le mani e glielo alzò
gentilmente per guardarla negli occhi. “Lo so,” sussurrò in risposta.
“So che lo fareste.”
La stanza era silenziosa. La neve cadeva senza far rumore fuori
dalla finestra, il crepitio del fuoco e il loro respiro erano gli unici
suoni. Gli occhi di Amy si scurirono mentre lo guardava, e Colin si
abbassò per catturarle le labbra.
Amy sentì la sua anima lacerata che guariva tra le braccia di
Colin. Il suo bacio era lento e carezzevole. Le mani scesero dalle
guance ai lati del collo, alle spalle e dietro la schiena, dove Amy
sentì i palmi caldi che la premevano contro il corpo forte di Colin.
Un lunghissimo, sognante, dolcissimo momento dopo le loro
bocche si divisero e Amy gli appoggiò la testa sul petto. Sotto il suo
orecchio, il cuore batteva forte e sicuro. Colin le accarezzava i
capelli con movimento dolci, senza fretta, e se li arrotolava tra le
dita, quasi come se gli piacessero, pensò Amy pigramente.
Il suo sguardo corse ai gioielli che luccicavano sul letto. La gala,
l’aigrette, l’orologio da taschino... il cammeo. Il pensiero che l’avesse
Colin la faceva sentire tutta calda dentro.
Lo avrebbe tenuto come un tesoro come lei sperava? A distanza
di anni, l’avrebbe guardato ricordando la passione che avevano
condiviso? Lo sperava. Se Colin provava anche solo una briciola
delle emozioni che stava provando lei, sospettava che le avrebbe
ricordate per tutta la vita, come lei.
Quando alla fine si allontanò, Amy fu sorpresa e sollevata di
scoprire che, in qualche momento tra la rivelazione del suo segreto e
il bacio che avevano condiviso, il suo senso di disagio era sparito.
“Vi devo un pranzo,” gli ricordò con un sorriso. “Ve la sentite di
assaggiare il mio primissimo stufato?”
“Con un contorno di lumache in carpione?” Le chiese Colin con un
sorriso diabolico.
Amy gemette e uscì dalla stanza da letto.
CAPITOLO VENTISETTE

CANTICCHIANDO SODDISFATTA, Amy spostò diagonalmente il


suo alfiere verso il Re di Colin.
“Scacco,” annunciò.
Colin fece fatica a non sorridere. Dopo due partite era chiaro che
Amy prediligeva un gioco riflessivo, di tattica, mentre lo stile di Colin
era veloce e aggressivo. Ma questa volta si era impegnato, aveva
programmato le sue mosse in anticipo. Sapeva esattamente che
cosa sarebbe successo da quel momento in poi.
Mosse il Re di una casella; poi, con la partita in mano, rivolse i
pensieri a qualcosa di molto più interessante: architettare lo scherzo
perfetto.
Il cavallo di marmo grigio di Amy ricadde con un clic deciso contro
la scacchiera bianca e nera. “Scacco.”
Mentre la mano di Colin scattava a salvare il suo Re, decise che si
sarebbe offerto di preparare la cena. Da solo nella dispensa era
sicuro di riuscire a organizzare una burla divertente.
Ahh... sì.
Amy sorrise, fiduciosa, e spostò l’alfiere. “Scacco.”
Colin riuscì a rispondere dopo un’occhiata veloce e alzò un
sopracciglio. Anche se gli faceva piacere scoprire di essere più
all’altezza di Amy a scacchi che a picchetto, non c’era motivo di
sbatterle in faccia la vittoria imminente.
Mise al suo posto il Re con un colpetto, minacciando il cavallo di
Amy, che guardò pensierosa la scacchiera e poi arretrò lentamente il
cavallo, allentando la pressione sul Re di Colin.
Colin si strofinò le mani, tutto allegro. Ora controllava la partita.
Mosse in fretta una delle sue torri verde giada, minacciando quella
grigia di Amy, che non aveva più scelte—o muoveva la torre o
l’avrebbe persa, Colin la vide bloccarsi—aveva visto la situazione.
Da qualunque parte andasse sarebbe stata sconfitta in due mosse—
scacco matto dell’alfiere.
Amy alzò gli occhi, sorpresa, con un sorriso ironico sul volto, poi
allungò la mano, prese il suo Re e lo rovesciò sulla scacchiera.
Colin allungò la mano sopra la scacchiera per offrire la consueta
stretta di mano del vincitore, anche se pensava che un bacio
sarebbe stato un modo migliore di ammettere la sconfitta. “Bella
partita.”
“Facciamo tre su cinque?”
Colin sorrise. “Credo che ci fossimo accordati per due su tre.” Il
sottile margine di una partita rendeva più dolce la vittoria. “Devo
andare a prendere qualcosa per la cena?” Alzandosi, guardò
l’orologio sulla mensola del camino. “Una cena di mezzanotte, a
quanto pare.”
“Vi aiuto io.” Si offrì Amy.
“No, tocca a me.” Si mise il mantello prima che Amy potesse
insistere. “Guardate se riuscite a finire quel libro. Avevate detto che
non avreste sopportato che lo riportassi a Jason senza sapere come
finiva.”
Prendendo il libro, il decimo volume di Clélie, di Madeleine de
Scudéry, Amy sorrise e si mise comoda.
A quanto sembrava, non sospettava nulla.
Colin si affrettò a uscire prima che cambiasse idea.

COLIN RIENTRÒ FISCHIETTANDO, distogliendo Amy dalle


avventure di Clélie.
Non l’aveva mai sentito fischiettare. Anche se era bravo, le
sembrava un po’ troppo allegro, anche per qualcuno che aveva
appena vinto a scacchi.
“Che c’è da essere così allegri?”
“Oh, niente.” Continuando a fischiettare, Colin spostò la
scacchiera dal tavolo e mise al suo posto la cena leggera. “Mi
dispiace, non abbiamo pane,” disse, scusandosi per la scelta
inconsueta. Vino, arance, salmone affumicato, piccole gallette e un
altro barattolo di quelle disgustose lumache in carpione.
Amy fece una smorfia a quelle stupide cose marroni. “Non ne
avete avuto abbastanza?”
“Mai,” le rispose Colin, continuando a fischiettare.
Il libro di Amy restò aperto, ignorato, mentre Colin versava il vino
in due calici. Era felice per qualcosa, pensava Amy—probabilmente
perché il giorno dopo si sarebbe finalmente sbarazzato di lei. La
neve aveva smesso di cadere un paio d’ore prima.
Porgendole un calice, Colin si abbassò a baciarle la testa. Amy
sorseggiò il vino, guardandolo di soppiatto. Non si stava
comportando come un uomo che non sopportasse la sua presenza
—la situazione era a dir poco incomprensibile.
“Vi piace?”
“È buono.” Accettando una galletta con il salmone, Amy se la ficcò
in bocca, chiuse il libro e lo mise sul tavolo.
“È Madeira.” Colin bevve anche lui un sorso di vino poi sollevò il
bicchiere per un brindisi. “Il vino preferito di Re Charles.”
Masticando lentamente, Amy lo studiava con la coda dell’occhio.
Dietro alla conversazione leggera, senza importanza, percepiva in
Colin un’allegria che quasi non riusciva a contenere.
C’era in ballo qualcosa.
D’altra parte, si disse, non lo conosceva poi così bene.
Conosceva il suo corpo, certo. Passò lo sguardo sui calzoni
aderenti, la camicia bianca, slacciata con indifferenza a mostrare la
parte superiore del suo torace abbronzato. E sotto quella camicia,
ricordava...
“Dove vi siete fatto quella cicatrice?” Gli chiese all’improvviso.
“La cicatrice?”
“Sul braccio, quella lunga cicatrice bianca—”
“Oh, quella cicatrice.” Colin si sedette accanto a lei, mettendo
dell’altro salmone sulle gallette. “Non la noto quasi più.” Come se la
ferita non avesse avuto nessuna importanza, scosse disinvolto la
mano con la galletta. “È una vecchia ferita che mi sono fatto durante
una lezione di scherma—avevo circa sedici anni.”
“Ha fatto male?”
“Diavolo, sì.” Mangiò un pezzo di galletta e la mandò giù con un
sorso di vino. “Qualcuno ci ha versato sopra del brandy—è stata la
parte peggiore—e poi mi hanno versato altro brandy giù in gola. E mi
hanno ricucito con ago e filo.”
“Mio Dio! Non riesco nemmeno a immaginarlo.” Amy bevve
deliberatamente un sorso di vino, per farsi forza o cancellare
quell’immagine—non ne era sicura. “Ed era solo un allenamento...
non vi ha fatto arrabbiare?”
Colin si ficcò in bocca il resto della galletta e masticò lentamente,
riflettendo. “No,” disse alla fine, con un sorrisetto ironico, “mi ha fatto
diventare il miglior dannato spadaccino di tutta l’Europa. Mi sono
assicurato che non sarebbe mai più successo.”
Amy ci pensò. Come Colin sembrasse determinato a trasformare
in vantaggio ogni svantaggio che la vita gli riservava. L’aveva fatto
con la sua deludente infanzia, decidendo di comportarsi molto
meglio con la sua famiglia. L’aveva fatto con la sua tenuta fatiscente,
lavorando incessantemente per trasformarla in qualcosa di valore.
Credeva che il duro lavoro e la dedizione—sia che fossero
innumerevoli ore di scherma o lavorare la terra con le sue stesse
mani—fossero il modo migliore per ottenere i suoi fini. E non si
aspettava che le cose belle della vita gli fossero servite su un piatto
d’argento.
Un atteggiamento simile era da ammirare.
Colin, d’altra parte, aveva smesso completamente di pensare. Il
barattolo di lumache sul tavolo attirava il cento per cento della sua
attenzione. Quelle lumache lo chiamavano, praticamente lo
pregavano di aprire il barattolo per recitare la loro parte nello
spettacolo di quella sera.
Si considerò un vero modello di pazienza mentre aspettava di aver
spazzolato la quinta galletta prima di prendere il barattolo e toglierne
il coperchio.
“Pronta per una di queste?” Chiese in tono innocente.
Amy alzò la galletta mangiata a metà. “Non ancora,” disse, con la
bocca piena di pesce.
Con un’alzata di spalle, Colin intinse con nonchalance il cucchiaio
nel barattolo, raccolse una lumaca e se la mise in bocca.
Pur sapendo che cosa l’aspettava non era preparato al saporaccio
del suo intruglio. Si sforzò di mantenere il volto composto, mentre
mandava giù la lumaca con un lungo sorso di vino, più che in fretta
che poteva. Se Amy fosse riuscita a fingere che queste lumache le
piacevano, era la miglior attrice che avesse mai conosciuto.
Amy finì la sua galletta e ne preparò un’altra e poi un’altra ancora.
Alla fine, quando Colin dubitava che sarebbe riuscita a ingoiare un
altro boccone, Amy annunciò. “Sono pronta.”
“Per che cosa?” La fissò con un’espressione confusa, innocente.
“Per una lumaca, ovviamente,” sbottò Amy.
“Ah, ne volete una?” Reprimendo un sorriso, prese col cucchiaio
una lumaca, guardando il liquido che gocciolava nel barattolo... bene
era impossibile capire che cosa aveva combinato. Colin si leccò le
labbra.
"Ecco,” le offrì la lumaca muovendo il suo cucchiaio verso la bocca
di Amy, con la finta generosità di un uomo che si deve privare del
suo boccone preferito.
Quando Amy aprì la bocca, le mise delicatamente la lumaca sulla
lingua. Pur facendo una smorfia costernata, Amy riuscì a ingoiarla.
Poi si affrettò a lavar via il sapore svuotando il calice di vino.
Riempiendo nuovamente il calice con finta indifferenza, Colin
cercava di contenere il suo divertimento. “C’è qualcosa che non va?”
Le chiese, aggrottando la fronte con finta preoccupazione.
“Aveva—aveva un sapore un po’ diverso. Non credete che possa
essere un barattolo andato a male?”
Colin si stava divertendo come un matto. “No, fanno tutti parte
della stessa partita. Forse, semplicemente, non vi piacciono le
lumache in carpione.”
“No, no. Mi piacciono,” insistette Amy. “Ma questa aveva un
sapore diverso. Provatene una e vedrete.”
“Ne ho già mangiata una,” le ricordò Colin. “Era normale.
Provatene un’altra.”
Amy si mise la mano sullo stomaco. “Per favore, mi sentirei meglio
se ne provaste un’altra voi prima.”
Non c’era niente da fare. Doveva mangiare un’altra lumaca o
rinunciare allo scherzo—e si stava divertendo troppo per ammettere
la burla.
Fece un respiro profondo prima di infilarsi una lumaca in bocca e
ingoiarla senza masticare.
“È perfetta,” dichiarò “Deliziosa, in effetti. Forse ce n’era una
guasta nel barattolo.” Ne prese un’altra e passò ad Amy il cucchiaio.
“Ecco provatene un’altra.”
Mentre Amy si muoveva a passo di lumaca, avvicinando il
cucchiaio alla bocca, Colin bevve un lungo sorso di vino,
sciacquandosi la bocca per toglierne il saporaccio.
Sollevato, si voltò a guardarla ansiosamente.
Il volto di Amy stava lentamente diventando rosso. Quando ebbe
un conato di vomito, Colin scoppiò a ridere.
CAPITOLO VENTOTTO

AMY RESTÒ SENZA fiato quando finalmente capì che cosa stava
succedendo. Sputò la lumaca nel tovagliolo. “Colin Chase,” lo
accusò, “che cosa avete fatto a queste lumache?”
Asciugandosi le lacrime dagli occhi, Colin balbettò, “S-sale. E
zucchero.”
Amy sorrideva dicendosi che ci era cascata in pieno. Se lo
meritava, decise, cominciando a ridacchiare. “Che cos’altro. Che
cos’altro c’era?”
“Niente, lo giuro. Non vi piacevano fin dall’inizio, ricordate?” gli
brillavano gli occhi. “Oh, dimenticavo, non lo avete mai ammesso.”
“Lo ammetto; lo ammetto,” sbottò Amy continuando a ridere. “Odio
le lumache in carpione. Non mangerò mai più una di quelle orrende
creature finché vivo—con o senza la vostra ricetta speciale.”
Amy continuò a ridere, in parte perché lo scherzo era divertente e
in parte di sollievo perché le sembrava di aver appena superato
brillantemente un esame.
Non si poteva restare accanto a Colin Chase se non si era disposti
ad accettare uno scherzo.
Eppure... lui non stava veramente cercando di avvicinarsi a lei,
no? Lei avrebbe lasciato il paese il giorno dopo, dopotutto. Il piacere
che sembrava aver provato per la sua reazione e il motivo che gli
aveva attribuito dovevano essere solo un prodotto della sua fantasia.
“Avendovi estorto quell’ammissione,” dichiarò Colin, “proclamo lo
scherzo perfettamente riuscito.”
“Aspettate un momento, Lord Greystone. Siete stato obbligato a
mangiare due di quelle orride lumache, come me. Certamente uno
scherzo di qualità superiore non avrebbe richiesto al perpetratore di
soffrire come la vittima.”
“Osate criticare la qualità del mio scherzo?” Anche se spalancò gli
occhi, fingendo di essere oltraggiato, Colin non avrebbe potuto
essere più contento di Amy di quanto lo fosse in quel momento.
Era contento della sua reazione bonaria al suo scherzo. Contento
di essere tornato a suo agio in sua presenza. Contento del suo
spirito pronto, contento del suo colore acceso e di quegli incredibili
scintillanti occhi color ametista... nel complesso, era molto contento.
Pericolosamente contento.
“Signora Goldsmith, quali sono le vostre credenziali per ergervi a
giudice di uno scherzo?”
“Le mie credenziali sono ininfluenti. Il fatto è che ho visto lo
scherzo giocato a Kendra qualche giorno fa e mi hanno parlato del
finto assassinio di Benchley e degli altri scherzi che avete giocato
negli anni.” Alzò il mento. “Quindi dichiaro solennemente che questo
scherzo non è all’altezza dei vostri standard.”
Alzando un sopracciglio, Colin si avvicinò a un centimetro dal naso
di Amy. “Davvero?”
Amy ispirò il suo odore particolare e il cuore cominciò a batterle un
po’ più in fretta per la vicinanza. “Assolutamente. Senza alcun
dubbio—” smise di parlare quando la bocca di Colin si appoggiò
sulla sua, dando un taglio ad altre parole denigratorie, per non
parlare del rifornimento d’aria.
L’amichevole discussione fu dimenticata quando le labbra di Colin
coprirono le sue. I sensi di Amy fremevano per le sensazioni ora
familiari di piacere, e istintivamente si avvicinò alla fonte, aprendo le
labbra, invitante. Liscia e calda nella sua bocca, la lingua di Colin
mandava spirali di piacere nel suo corpo risvegliato.
Colin la fece stendere sul divano. Sapeva di agire in modo
irrazionale, si stava comportando irrazionalmente dal giorno in cui
era entrato nel suo negozio. Ma domani Amy se ne sarebbe andata
e lui avrebbe potuto essere razionale per tutto il resto della sua vita.
Inoltre non era possibile che loro due insieme potessero fare
scintille, come ricordava. Non era possibile.
È possibile, gli diceva la sua vocina interiore. È possibile e vero e
lei è bella e dolce e intelligente e... Sei un pazzo, Colin Chase, gli
diceva la voce, un pazzo se la lasci andar via.
Ma c’era una voce più forte, anche, la voce che Colin considerava
il suo onore e la sua logica. Superò l’altra, dicendogli che era
impegnato con una donna che rispondeva a tutti i requisiti.
Irrevocabilmente impegnato.
Avrebbero dovuto spedirlo a Bedlam, pensò per un attimo, mentre
le dita lavoravano febbrilmente per staccare la pettorina ricamata dal
corpetto di Amy. Poi si abbassò a catturare la sua bocca ancora una
volta, e le voci rimasero definitivamente zitte.
Presa dalle sue sensazioni, Amy notò appena la pettorina che
cadeva sul pavimento e un momento dopo, il corpetto era
magicamente slacciato e il suo seno sporgeva libero dai bordi, velato
solo dalla leggera sottoveste.
Le dita di Colin le stuzzicavano il seno attraverso il sottile tessuto
e i capezzoli si inturgidirono reagendo al suo tocco esperto. Un
brivido delizioso la percorse mentre gli passava le mani su e giù
sulla schiena. Sentendosi stordita, gli tolse la camicia dalla cintura
dei calzoni e insinuò le mani all’interno per sentire la pelle calda.
Colin si sedette e si tolse uno stivale. Senza la sua bocca e il
corpo vicino, Amy raccolse le idee e si rese conto di quello che stava
facendo Colin. “Colin—non qui!”
Colin si tolse l’altro stivale. “Sì, qui,” disse con la voce roca.
“Perché no?” Le calze seguirono gli stivali, gettate sul pavimento in
una pila disordinata.
“Non è... non c’è un letto!” Le guance di Amy erano macchiate di
rosso. Si doveva fare l’amore in una stanza da letto, no? I suoi
genitori, se mai l’avevano fatto— dovette ammettere con se stessa
che lei era una prova vivente del fatto—certamente non avevano mai
fatto l’amore nello studio. Ovviamente, loro non avevano uno studio,
ma non era quello il punto.
Mentre Amy si preoccupava della logistica, Colin le prese i piedi e
se li mise in grembo, poi le tolse le scarpe, aggiungendole al
mucchio di indumenti assortiti sul pavimento. Con un sorriso
diabolico, le tolse le giarrettiere e arrotolò sensualmente una calza,
con le dita che sfioravano la pelle lungo tutta la gamba. Alzandole il
piede, le tolse la calza e le diede un bacio da brividi sulla pianta del
piede.
Amy arricciò le dita quando la sensazione volò su per tutta la
gamba e oltre, diritta in quella parte che lui aveva risvegliato la sera
prima.
Rabbrividì e Colin ridacchiò.
“Non abbiamo bisogno di un letto, amore,” mormorò con voce roca
e appassionata, mentre le toglieva l’altra calza, con gli stessi
movimenti. “Questo divano andrà benissimo. O il pavimento—o la
scrivania, se è per quello.”
Vedendo la sorpresa di Amy, Colin rise di nuovo. “L’erba è
perfetta,” continuò scivolando lentamente sul suo corpo per
adagiarsi su di lei, “ma fa un po’ freddo fuori adesso. La vasca da
bagno è un posto meraviglioso. Non ho provato le scale... per ora.”
Piegò la testa per baciarle la gola, con la bocca calda che
accarezzava gli incavi. Amy rabbrividì di nuovo. Le labbra
continuarono fino all’orecchio e Amy sentì il suo fiato caldo mentre le
sussurrava, “No... penso che le scale non sarebbero comode.”
Sentendosi bruciare, sia dal tocco sia dalle immagini sensuali che
evocavano le sue parole, Amy girò la testa, per catturargli le labbra
con le sue.
Si baciarono senza fretta, con la bocca di Colin che esplorava
quella di Amy come se stesse cercando di memorizzare ogni angolo,
ogni piega. Amy si sentiva drogata e poi il tempo rallentò finché non
importò nient’altro che il suo sapore, il suo profumo, il suo tocco.
Con le dita tremanti, Amy gli slacciò la camicia e inserì le mani per
afferrargli le spalle. Il palmo accarezzò i muscoli duri poi scese sopra
il petto. Sentì il suo respiro farsi irregolare, come il proprio.
Imprecando sottovoce, Colin si alzò di colpo e si tolse la camicia
con un solo movimento fluido. Poi mise Amy in piedi e le spinse il
vestito giù dalle spalle e poi oltre i fianchi, finché il logoro tessuto
color lavanda si ammucchiò ai suoi piedi.
Fece un passo indietro per guardarla.
“La luce,” protestò debolmente Amy, indicando con un gesto della
mano le lampade a olio sotto le quali stava leggendo poco prima.
Fare l’amore seminascosti dalla luce tremolante del fuoco era una
cosa, ma certamente Colin non intendeva svestirla alla luce brillante
delle lampade?
“Siete bellissima alla luce,” le rispose Colin sottovoce. Lo sguardo
famelico, seducente, le percorreva il corpo. “Come un dipinto di Sir
Peter Lely.”
Amy si guardò sorpresa la sottile sottoveste, con le guance che si
coloravano di rosa. Lely era famoso per i suoi ritratti delle dame di
corte. Dame di corte nude.
Rassegnata al fatto che Colin non avesse intenzione di abbassare
la luce delle lampade rivelatrici, Amy si mise timidamente a studiarlo.
Anche se la stanza non era particolarmente calda, le spalle ampie
erano coperte da un lieve velo di sudore. La spolverata di pelo scuro
sul petto si stringeva verso la vita, sparendo nella cintura dei calzoni,
dove le sue lunghe dita erano all’opera per sciogliere i lacci. Colin
abbassò impaziente gli aderenti calzoni e se li tolse.
Gli occhi di Amy si spalancarono alla vista di lui, grande e pronto.
Certamente non era la stessa parte che aveva inserito la notte
prima, no? Ma anche se le guance scottavano al solo pensiero, il
suo corpo si mosse verso di lui come se avesse una volontà propria,
appoggiandosi al petto solido mentre una mano si chiudeva sul suo
calore vellutato.
Colin ansimò. Afferrò l’orlo della sottoveste, gliela sollevò sopra la
testa e la gettò via, mentre guidava Amy verso il divano e ricadeva
sopra di lei.
Il tessuto era ruvido sotto la sua pelle nuda, ma i sensi di Amy
erano fuori controllo; avrebbe potuto essere sdraiata sulle lenzuola
di lino più fine per quello che le importava. Era conscia solo di Colin,
il peso caldo, la bocca umida e bollente, il suo odore speziato, già
così familiare.
Le labbra di Colin giocavano sulla sua faccia, sul collo mentre le
mani erano dappertutto sul suo corpo, le braccia, le gambe, il seno,
l’addome. Dovunque la toccasse spire di desiderio correvano dalla
punta delle sue dita fino alla sua essenza, finché pensò che sarebbe
svenuta per l’attesa se non l’avesse toccata lì.
Poi, finalmente, finalmente le dita forti e insistenti le allargarono le
gambe e quando sentì la sua carezza intima, calda contro il suo
centro umido, pensò che sarebbe esplosa per il sollievo. Gli conficcò
le unghie nelle spalle.
“Oh, Colin,” esalò in un sussurro tremante.
“Oh, Cristo,” il tono di Colin era stridulo. Con un movimento agile,
la coprì e sprofondò nella sua stretta guaina.
Ad Amy sfuggì un gemito estatico.
Colin si bloccò. “Oh, amore,” sussurrò con un misto di
preoccupazione e desiderio, “è troppo presto? Fa troppo male?”
“No,” sussurrò sospirando Amy. “Santo cielo, no.”
Per un secondo, Amy si sentì le guance in fiamme per l’intimità
della domanda, per un altro secondo fu stupita che l’indolenzimento
fosse realmente sparito, completamente dimenticato e poi lo sentì
muoversi dentro di lei e non pensò più a nulla. Si arcuò contro Colin,
abbandonandosi al turbine di sensazioni.
Dapprima Colin si mosse lentamente, finché Amy cominciò ad
agitarsi sotto di lui in una frenesia di passione. Allora si mosse più in
fretta, assecondando ogni movimento del corpo di Amy che si
arcuava verso di lui, finché Amy fu sopraffatta da ondate di piacere.
Le braccia si strinsero intorno a lui, il respiro si fece tremante, e
quando sentì l’esclamazione di Colin, nel momento dell’orgasmo,
Amy fu inondata da una meravigliosa sensazione di completezza.
Sdraiata sotto il suo peso gradito, Amy si riempiva i polmoni con
grandi boccate d’aria, più appaganti del pasto più splendido. Colin le
coprì il volto e il collo di piccoli baci umidi, e Amy si meravigliò per il
senso di intimità che provava, così nuovo e perfetto.
“Amore dolce,” mormorò Colin. Non riusciva a smettere di
baciarla, fermarsi e riunire le idee. Perché farlo avrebbe comportato
ricominciare a pensare, pensieri che avrebbero confermato
com’erano perfetti insieme, pensieri che gli avrebbero detto che
avrebbe fatto il più grosso errore della sua vita se l’avesse lasciata
andare. Non poteva permettersi quei pensieri. Erano pensieri di un
uomo emotivo, e lui era una persona razionale.
Comunque, non poteva restare per sempre sopra di lei.
Quando alla fine scivolò di fianco, stringendola a sé sullo stretto
divano, Amy emise un piccolo suono, come se le mancasse. Si voltò
verso di lui, gli avvolse le braccia intorno alla vita e premette i seni
vellutati contro il suo torace, intrecciando le gambe con le sue.
Colin mormorò appagato. “Avete freddo?” Le chiese dolcemente.
Amy scosse la testa e si mosse contro di lui, cercando di
avvicinarsi ancora di più—e quasi facendolo cadere dal bordo.
Colin si riprese appena in tempo. “Non c’è proprio posto qui,
sapete,” le disse in tono scherzoso, alzando le sopracciglia di
qualche millimetro.
L’atmosfera cambiò. Amy si alzò su un gomito. “Ve l’avevo detto,”
ribatté bonariamente, “prima... prima...”
“Già,” la interruppe Colin, risparmiandole di dire a voce alta che
cosa avevano fatto. Alzandosi in piedi, le prese la mano e la tirò
accanto a sé. “Andiamo?” Le chiese, indicando la camera accanto.
Continuando a tenerla per mano, si diresse verso il corridoio.
Amy arrossì graziosamente nel trovarsi a camminare
tranquillamente accanto a un uomo, entrambi completamente nudi.
Colin non le lasciò molto tempo per meditare sulla stranezza della
situazione, comunque, dato che sembrava non riuscire a non
fermarsi ogni due passi per stringerla tra le braccia per un lungo,
lento bacio. Quando raggiunsero la camera, Amy si staccò e corse
verso il letto, tuffandosi sotto la trapunta.
“Brrr!” disse, con un brivido espressivo, fingendo di essersi
coperta per il freddo—senza riuscire a ingannare Colin nemmeno
per un secondo. Andò ad attizzare il fuoco e aggiunse un paio di
ceppi. Era un peccato che non sarebbero stati insieme abbastanza a
lungo perché Amy si sentisse a suo agio con lui, perché lui potesse
gioire nel vederla venire a patti con la sua stessa sensualità. Il
pensiero di Amy che si donava liberamente a un altro uomo, senza
imbarazzo o artifici, gli faceva stringere lo stomaco—ma sapeva,
vista la sua natura appassionata, che era inevitabile.
Avrebbe dovuto accontentarsi del ricordo di aver risvegliato per
primo la sua passione.
Dalla sicurezza del letto, Amy lo guardò audacemente, e le
piaceva più di quanto avesse immaginato possibile. Si sentiva una
persona completamente nuova, un’Amy completamente diversa.
Amethyst. Lo pronunciò mentalmente, il suono lungo ed elegante.
Amethyst Chase. Lady Greystone.
No, decise, lei era ancora Amy. ‘Lady Greystone’ non avrebbe mai
disegnato gioielli, non avrebbe mai avuto e gestito un negozio. Non
voleva—non poteva—permettersi di contemplare la possibilità di
qualcosa di permanente con Colin. Circostanze fortunate avevano
portato a queste brevi ore di beatitudine, ed era quasi ora di tornare
al mondo reale.
Ma doveva veramente strapparsi dal suo fianco così presto?
Sapeva perfettamente che non poteva durare, ma si erano appena
scoperti a vicenda. Cercò qualcosa, un’idea, un’idea qualunque, e
mentre lui saliva sul letto accanto a lei, la trovò. “Colin?”
Colin si voltò verso di lei, aspettando che parlasse. “Sì?”
L’idea le sembrò immediatamente stupida. Era impossibile credere
che lui l’avrebbe accettata.
Comunque... valeva la pena di tentare. “So che dobbiamo partire
domani, ma...”
“Ma...?”
“Pensate sia possibile portarmi a Londra?” Gli chiese in fretta,
prima di perdere il coraggio. “Non ho vestiti, niente, sapete e, beh,
mi ci vorrebbero solo un paio di giorni per comprare tutto quello che
mi serve, e poi—”
“Sarò lieto di accompagnarvi a Londra per un paio di giorni. Vi
troverò una chaperon e—”
“—preferirei non arrivare in Francia senza niente—”
“Amy.” Colin si chinò in avanti e le baciò la fronte. “Ho detto che
sarò lieto di accompagnarvi a Londra.”
“Oh.” Aveva funzionato. Non riusciva quasi a crederci. Ancora
qualche giorno con Colin—era un sogno che si avverava.
“Resteremo nella residenza dei Chase a Londra,” le disse Colin.
Il cuore di Amy galoppava per l’eccitazione. “Grazie,” mormorò.
“Sarà un piacere, amore.” Le alzò il mento per incollare le labbra
alle sue e Amy si sciolse tra le sue braccia.
CAPITOLO VENTINOVE

RECUPERANDO IL SUO libro dallo studio, Amy trascinò il suo


baule verso il portone d’ingresso e si sedette sopra a guardare
attraverso la stretta finestra. Aprì il biglietto e lo rilesse. Amy, diceva
nella, nella grafia decisa di Colin,

Sono andato con Benchley a riprendere la carrozza. Per favore,


preparatevi a partire. Faremo colazione sulla strada per Londra.
Greystone

Era tutto lì. Niente ‘Cara Amy’. Niente, ‘Con amore Colin’. Amy si
ripeté che non c’era niente di sbagliato—Colin semplicemente non
era espansivo quando scriveva—ma sapeva benissimo che si stava
prendendo in giro da sola. Il Colin che aveva fatto l’amore con lei tre
volte durante la lunga notte era svanito.
Alzò gli occhi dal biglietto vedendo la carrozza che passava sotto
la saracinesca ed entrava nel piccolo viale circolare nella corte.
Quando Colin aprì la porta, Amy era in piedi accanto al suo baule,
con il libro in mano e il biglietto al sicuro.
“Buongiorno, milord,” gli disse, con tutta l’allegria che riuscì a
raccogliere.
Colin fece una smorfia al tono formale. “Buongiorno,” brontolò,
evitando di guardarla.
Sollevò il suo baule—con più attenzione di quanta ne avesse
usata prima di sapere che cosa contenesse—e lo portò nella
carrozza. Amy lo seguì lentamente. Colin le fece segno di salire e
tornò indietro per chiudere a chiave la porta, poi salì e si sedette
davanti a lei, e partirono.
“Colazione?” Le chiese, togliendo il cestino di Kendra da sotto il
sedile e mettendolo sul pavimento in mezzo a loro. Scelse una mela
e la lucidò sulla camicia prima di dare un morso.
Amy prese un’altra mela. Si aspettava che da un momento all’altro
Colin sorridesse e cominciasse a prenderla in giro o le indicasse i
punti interessanti della sua tenuta, ma il tempo passava e Amy si
rese conto che era sempre meno probabile.
Viaggiarono per un miglio circa in un silenzio imbarazzante, gli
unici suoni quelli delle ruote sulla strada fangosa piena di solchi, il
clip-clop costante degli zoccoli dei cavalli e lo sgranocchiare,
masticare e deglutire le mele succose. Colin prese un tovagliolo dal
cestino, vi appoggiò il torsolo e poi lo tese ad Amy perché facesse lo
stesso. I loro occhi si incontrarono, quelli di Amy inquisitori, quelli di
Colin socchiusi e indecisi.
Il tovagliolo con i torsoli ricadde nel cestino. “Ciò che è successo
non cambia nulla,” sbottò Colin. “Resto promesso a Priscilla.”
Amy lo fissò, seduto davanti a lei con il volto impassibile. Lacrime
spontanee minacciavano di traboccare dagli occhi.
Colin si piegò in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia
allargate, la testa nelle mani. “Non piangete, Amy,” disse, guardando
il pavimento. “Non credo che potrei sopportarlo.”
Amy sbatté gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. “So che siete
fidanzato. Non ho mai pensato che fosse cambiato nulla, milord. Ho
forse detto qualcosa che vi ha fatto pensare il contrario?”
“Beh, no...” Colin esitò poi si spostò accanto a lei e le mise un
braccio sulle spalle. “No, non avete detto niente.” Fissò fuori dal
finestrino. “Ma anche se mi piacerebbe passare ogni minuto con voi
a Londra c’è chi lo noterebbe e renderebbe miserabili le nostre vite.”
“Non conosco nessuno di importante a Londra.”
“E i vostri clienti?”
Amy si morse il labbro. Aveva ragione. Potevano non essere stati
amici, ma restava il fatto che conosceva una buona parte dell’élite di
Londra.
Forse stava suggerendo che dividessero la casa di Londra ma non
il letto? Avendo già ceduto la sua innocenza a Colin non riusciva a
pensare a vivere in castità con lui, anche solo per pochi giorni.
Perché avrebbe dovuto, comunque? Nella cerchia di Colin le donne
era promiscue. La gente avrebbe comunque pensato che andavano
a letto insieme, che lo facessero o meno.
“Ne varrebbe la pena,” gli disse, voltandosi nelle sue braccia, con
gli occhi che gli mandavano il messaggio che era troppo timida per
dire a parole. “Sarò a Parigi per il resto della mia vita, con tutta
probabilità. Quello che Londra pensa di me non significa niente.”
Colin si spostò per tutta la lunghezza della panchina, con le mani
sulle spalle di Amy mentre la fissava negli occhi. “Non sapete come
sarà la vostra vita, Amy.” Si mise le mani in grembo e la voce
assunse un tono neutro, piatto. “Vi installerò nella casa di città, ma io
non passerò le notti lì. Avrete a disposizione una carrozza e un
cocchiere. Vi farò sapere dove contattarmi quando avrete finito i
vostri acquisti.”
“Dove starete?”
“Dipende da chi c’è in città. Ma mi assicurerò che tutti sappiano
che non abiteremo nella stessa casa.” Prendendo già le distanze da
lei, si spostò sull’altro sedile.
Le implicazioni erano ovvie. Non avrebbe rischiato che qualcuno
scoprisse che erano stati intimi, dato che una relazione con
qualcuno come lei poteva solo essere imbarazzante per lui. Amy non
credette per un secondo che stesse proteggendo la sua reputazione.
Colin allungò le gambe e le incrociò, poi tornò a nascondersi dietro
il suo libro. Infelice, Amy si ritirò in un angolo della carrozza. Non
aveva senso continuare la discussione. Colin aveva perfettamente
chiarito le sue intenzioni e, in ogni modo, non aveva chiesto la sua
opinione.
Era così ingiusto!
Non gli aveva mai chiesto di restare con lui, nemmeno lo aveva
mai accennato—sapeva che la semplice Amy Goldsmith non
apparteneva al mondo di Lord Greystone. Aveva la sua vita e degli
obblighi cui tenere fede. Tutto quello che voleva, era ancora qualche
giorno con lui, qualche giorno ancora di felicità, qualche giorno
ancora in cui fingere di non essere sola al mondo.
Anche adesso, per distaccato che fosse, Amy non voleva altro che
allungare la mano e toccarlo, per perdersi tra le sue braccia.
Per quanto tentasse di essere freddo e imperioso, si era sciolto
quando le lacrime avevano minacciato di scendere. Doveva bastarle,
si disse. Il vero Colin era lì, da qualche parte, ovviamente confuso
come lei—se non di più.
Aprì il libro e lo tenne davanti al volto, fissando ciecamente la
pagina mentre si ricomponeva. Se voleva avere una qualche
speranza di riavere la loro intimità per un giorno o due, non ci
sarebbe riuscita piangendo o implorando.
Fece un respiro profondo e si sforzò di concentrarsi sulle parole
finché non fu presa dall’eccitante finale della lunga storia di Clélie.
Tre ore di silenzio dopo, proprio mentre attraversavano il London
Bridge, Amy finì il libro e, con un sospiro di soddisfazione, lo
appoggiò sul sedile.
Guardando fuori dal finestrino della carrozza, si meravigliò per i
cambiamenti che l’incendio aveva apportato alla sua città natale. Un
isolato dopo l’altro si era trasformato in un lotto vuoto e annerito.
Qua e là un camino o un forno di pietra annerita restavano in piedi
come lapidi funerarie tra i detriti. Eccetto il clip-clop dei cavalli e lo
scricchiolio e delle ruote, c’era un silenzio inquietante. Quando si
spostò più vicino al finestrino, le sfuggì un gemito angosciato.
Colin alzò la testa dal libro. “Non sarà così per sempre,” le disse
gentilmente.
Amy ascoltò attentamente. Qua e là si sentiva il raro rumore di
una costruzione in corso. “Qualcuno sta già ricostruendo,” osservò.
“Sì, ma è proibito finché i padroni non avranno tolto le macerie e
dimostrato il loro diritto alla terra. Ci vorrà tempo.”
Mentre viaggiavano lungo Fleet Street verso Chancery Road,
passarono finalmente nell’area che non era bruciata. Amy tirò un
profondo sospiro di sollievo sentendo gli odori familiari di Londra.
L’odore di catrame, di fumo degli incessanti fuochi di carbone, e la
puzza delle concerie erano coperti dal fetore invadente della fogna a
cielo aperto che la Fleet Street, comunemente chiamata la Discarica,
era diventata nei secoli. Anche se fetida e disgustosa la puzza era il
ricordo confortante di un’altra vita.
E il traffico! Carrozze, carri, uomini a cavallo, portantine, pedoni e
animali si spintonavano l’un l’altro nelle strade affollate. Dopo mesi
nella campagna tranquilla, le orecchie di Amy sembravano aggredite
da una cacofonia di venditori ambulanti che vendevano la merce
nelle loro carriole, nei carretti o semplici cesti, vantando la
superiorità della loro merce con grida cantilenanti.
Un uomo gridò. “Uccido ratti e topi!” e Amy sorrise.
“I ratti,” rifletté. “Come ho fatto a dimenticare i ratti?”
Colin le restituì il sorriso.
C’erano ladri, borsaioli e mendicanti dappertutto, ma anche artisti
di strada che cantavano le loro ballate per qualche pence. Amy vide
un volto familiare e si voltò, eccitata. “Oh, è Richardson, il
mangiatore di fuoco! Possiamo fermarci a guardarlo?”
Colin alzò le spalle e bussò sul tetto per indicare a Benchley di
fermarsi. Amy si sporse dal finestrino, con gli occhi sgranati mentre
Richardson masticava e ingoiava carboni ardenti, poi vetro fuso e,
come gran finale, si metteva un pezzo carbone ardente sulla lingua,
lo attizzava con un mantice per farlo fiammeggiare, ci cuoceva sopra
un’ostrica e ingoiava il tutto.
I pubblico esplose in applausi e Colin cercò nella sua borsa e
diede ad Amy una moneta da gettare dal finestrino prima di
proseguire.
Raggiunsero finalmente Lincoln’s Inn Fields, una zona
residenziale alla moda, che fiancheggiava una grande piazza
erbosa. Era più tranquillo, lì, ma solo in confronto ad altre zone di
Londra: lì vicino c’era il teatro di Lincoln’s Inn Fields, conosciuto per
gli spettacolari movimenti scenici, e la piazza era spesso teatro di
litigi e rapine, oltre ad essere un luogo per le esecuzioni pubbliche.
La carrozza si fermò davanti alla casa dei Chase, un edificio di
mattoni di quattro piani sul lato ovest della piazza. Amy scese e
guardò la facciata elegante. Gigantesche colonne ioniche
sostenevano un cornicione a sbalzo e i balconi. Sopra le alte finestre
rettangolari c’erano pannelli decorativi triangolari.
Colin scese dietro di lei e si stirò, sbadigliando.
“È palladiana,” mormorò Amy in tono meravigliato, “È stata
progettata da Inigo Jones?”
“Sì.” Colin andò verso il portone d’ingresso.
Amy lo seguì, con la fronte aggrottata. Tutta la sua gioia per
essere tornata nella City era smorzata dall’atteggiamento di Colin.
Dov’erano le sue solite ciarliere spiegazioni? A Colin piaceva
mostrare le case della sua famiglia e raccontare la loro storia.
Era tanto scontento di lei, allora?
L’interno della casa era impressionante quanto l’esterno. Le poche
residenze aristocratiche che Amy aveva visto erano rivestite di scuri
pannelli di legno in stile giacobita. Non questa casa, ed era come
paragonare il carbone ai diamanti. Lo sguardo andò all’ampia
scalinata che saliva con una curva aggraziata. Le pareti chiare,
intonacate, erano ornate di motivi classici con un festone scolpito
con fiori, frutta, nastri, palme e maschere.
Non vedeva l’ora di fare il giro di tutta quella magnifica casa.
Colin la spronò ad avanzare, verso i servitori che aspettavano in
fila.
“Questa è la signora Amethyst Goldsmith,” disse, in tono
abbastanza piacevole. “Resterà qui per qualche giorno. Ida?”
Una ragazza magrolina, con gli occhi azzurri si fece avanti. Avrà
avuto sedici anni. “Sì, milord?”
“Per favore, occupatevi delle necessità della signora Goldsmith.” I
riccioli biondi della ragazza rimbalzarono quando annuì, accettando
volentieri la responsabilità. Colin si rivolse ad Amy. “Io farò un
sonnellino. Vi suggerisco di fare lo stesso.”
E se ne andò, con le lunghe gambe che salivano i gradini a due a
due. Ida mostrò ad Amy la sua stanza e ripiegò le coperte sul letto.
Amy continuava a pensare alla casa, ma non si era aspettava di
visitarla da sola, pensava che Colin sarebbe stato accanto a lei, a
raccontarle tutta la sua storia.
Si sdraiò e quando si svegliò dal sonno irrequieto, Colin se n’era
andato. Mentre scendeva a cena, Ida disse qualcosa riguardo al
fatto che Lord Greystone fosse andato a cena da Lady Priscilla
prima di fare un’apparizione a un ballo o qualcosa del genere, ma
Amy la ascoltava con un orecchio solo.
Anche se aveva avuto quasi tutta la giornata per abituarsi all’idea,
continuava a non credere che Colin l’avesse lasciata da sola.
CAPITOLO TRENTA

COME RICHIESTO DALLA danza, Priscilla fece un grazioso inchino


e puntò in avanti una scarpina dalla punta quadrata, chiacchierando
sopra la musica sommessa del lento minuetto. Con l’impazienza che
aumentava di minuto in minuto, Colin si chiedeva che diavolo lo
avesse preso per accompagnarla al ballo di Lady Carson. Detestava
quegli affari.
E perché non aveva mai notato prima quanto fosse pettegola
Priscilla?
Era affettata quanto il minuetto. Forse, se l’avesse fatta finire
contro quella matrona laggiù, che assomigliava al pavone ripieno
sulla tavola del buffet, forse sarebbe stata zitta.
“Excusez-moi!” La matrona lo inchiodò con uno sguardo.
“Le mie scuse, madame.” Colin arricciò il naso al profumo
stucchevole che emanava dal corpo mal lavato della donna. Ma il
suo piano aveva funzionato. Priscilla aveva smesso di blaterare di
Lady Tizia e Lord Caio e aveva riportato l’attenzione su di lui.
“Colin, dovreste stare più attento.”
Colin le rivolse un sorriso innocente. “Buon Dio, mia cara, ma
state veramente benissimo stasera.” Era vero. I capelli biondi
chiarissimi lunghi fino alle spalle splendevano alla luce delle
candele. La sua figura era alta e slanciata più che procace, ma
aveva un portamento regale e l’abito di satin avorio accentuava la
sua pallida bellezza. Esattamente l’opposto dei colori di Amy.
Si diede una scossa. Che diavolo gli era venuto in testa?
“Oh, grazie,” Priscilla sorrise al complimento, ma nessun rossore
macchiò la sua carnagione. Sedata e corretta, sempre, non
arrossiva mai. Diversamente da Amy, che—
“Colin, mi avete sentito?”
“Stavo ammirando la vostra carnagione. Siete bella e perfetta
come una bambola di porcellana.”
“Oh.” Priscilla si concentrò sul passo seguente. “Stavo dicendo
che Lady Beauchamp—”
“Ssst.” Le passò due dita sul mento perfetto e lungo la guancia.
Quando lei si ritrasse, Colin fece una smorfia e aggiunse
mentalmente alla sua lista: era anche fredda e dura come una
bambola di porcellana.
Avrebbe dovuto lavorarci un po’.
Fecero entrambi il passo scivolato in avanti nel ritmo a tre quarti.
“Come stavo dicendo, Lady Beauchamp—”
“Non pensate che potremmo parlare di qualcosa un po’ più
interessante?”
“Interessante?” Il piedino tracciò un mezzo cerchio.
“Interessante. Moralità e valori—ma non nel contesto dell’ultimo
scandalo. Politica. Letteratura. Arte.” La matrona-pavone gli lanciò
un’altra occhiataccia, e lui guidò Priscilla in mezzo alla folla di
ballerini ingioiellati. “Che ne pensate della commedia di questa
sera?”
“L’abito di Lady Scarsdale era orribile. Erano vestite meglio le
ragazze Orange. E avete visto la parrucca del Conte? Aveva i
pidocchi. Non riesco a credere di aver dovuto dividere il palco con
loro.”
La musica finì e Priscilla si guardò attorno. “Lady Whitmore è
arrivata. Ho una cosa da dirle.”
“Prego.” Con un enorme sospiro di sollievo, la spedì fuori dalla
pista da ballo.
Doveva trovare un modo per porre fine a quella perpetua abitudine
a spettegolare prima che lo facesse impazzire. Forse uno scherzo
istruttivo...
“Ah... sì. Sorrise quando colse lo sguardo di una vecchia amica
dall’altra parte della stanza. Barbara Palmer, Contessa di
Castlemaine e negli ultimi sei anni l’amante di Re Charles.
Barbara aveva una natura appassionata sia dentro sia fuori la
stanza da letto. Una complice perfetta, avrebbe sicuramente
apprezzato uno scherzo tanto quanto lui.
Mentre si avvicinava a Barbara non poteva fare a meno di
ammirare i suoi capelli color Tiziano, e gli occhi blu scuro che
avevano contribuito non poco a farne la favorita di Charles. “Milady
Castlemaine.” Con un breve inchino, le prese il braccio e la allontanò
dal gruppo che la circondava. Barbara era sempre al centro di una
folla. Erano tutti ben consci che godeva della confidenza del Re e,
cosa ancora più importante, si dilettava di politica.
A un certo prezzo, ovviamente.
“Greystone!” Gli occhi di Barbara brillavano di piacere. “Avete tutta
la mia gratitudine per avermi salvato. Dove vi siete nascosto tutte
queste settimane?”
“Alcuni di noi devono lavorare, sapete,” le disse scherzosamente
Colin. Allontanandola ancora un po’ dalla massa, abbassò la voce.
“Mi stavo chiedendo... vi piacerebbe aiutarmi a fare uno scherzetto a
Priscilla?”.
“Uno dei vostri famosi scherzi? A Lady Priscilla?” la risata
musicale di Barbara risuonò nel salone da ballo. “Ci sto! Che cosa
avevate in mente?”
“Beh...” Aveva una mezza idea... di colpo arrivò l’ispirazione. “Vi
dispiacerebbe fingere di essere incinta?”
“A che servirebbe?”
“Ho scoperto che Priscilla è una terribile pettegola—”
“E lo scoprite solo adesso? Per l’amor del cielo, io lo so da anni.”
“Beh, stavo pensando di dirle che siete nuovamente incinta—il
figlio di Charles, ovviamente—ma di non riferirlo a nessuno. Lei
ovviamente lo dirà a tutti, e alla fine qualcuno si congratulerà con
voi. Poi—questa è la parte che potrebbe non piacervi—poi voi
scoppierete in lacrime dicendo di aver perso il bambino, e Priscilla
sarà mortificata per aver diffuso la voce.”
“Mi piace!” esclamò Barbara. “È uno scherzo così cattivo!”
Colin si preoccupò. Non era il caso di umiliare Priscilla; voleva
solo darle una lezione. “Le pensate veramente?” Le chiese.
“No, in effetti no,” ritrattò Barbara.
Colin la guardò attentamente.
“Praticamente ogni dama presente diffonderebbe quella voce,” si
affrettò a rassicurarlo. “Non penseranno niente di male di Priscilla.
Inoltre saprà da chi è partita la diceria. Ho una richiesta, però. Dopo
dovremo dire alla povera anima davanti alla quale scoppierò in
lacrime—e a Lady Priscilla, ovviamente—che non ero effettivamente
incinta.” Si portò una mano ai capelli tizianeschi per sistemarseli.
“Non ho mai perso un figlio, sapete.”
“Vero. Mi accerterò che anche tutti gli altri lo sappiano.”
“Oh, non sarà necessario. Farà solo bene alla mia reputazione se
la gente penserà che Charles è tornato nuovamente da me. Tornerà,
sapete.”
“Certo che tornerà,” la rassicurò Colin. “Lo fa sempre.”
“Si è reso talmente ridicolo con Frances Stewart.”
Non era una novità per Colin. Una ragazza alta, dalle proporzioni
perfette, di circa otto anni più giovane di Barbara, Frances era
arrivata a corte quasi quattro anni prima e Re Charles era follemente
innamorato di lei da allora. Era un amore non corrisposto, però,
perché Frances era una delle creature più rare: una cortigiana casta.
“Non riesco a sopportarla,” disse Barbara. “Se ne va in giro con
quell’abito da uomo reso di moda dalla regina—come se io potessi
indossare una cosa del genere dopo aver dato cinque figli a Sua
Maestà.”
“Andiamo, quell’abito è ridicolo. E comunque nessuno può
competere con voi in quel vestito.” Diede un’occhiata significativa
alla profonda scollatura.
“Grazie,” gli disse Barbara, come se quel complimento le fosse
dovuto. “Charles ha scritto una poesia su di lei, sapete, “Oh, allora io
penso che non esista un inferno peggiore di amare troppo,” citò
Barbara, con una voce sdolcinata. Poi sbuffò. “E comunque lei non
ha intenzione da andare a letto con lui.”
“C’è chi pensa che sia un po’ sempliciotta a insistere a restare
virtuosa,” la consolò Colin.
“Oh, è una zuccona, d’accordo. Il suo passatempo preferito è
giocare a moscacieca e costruire castelli con le carte da gioco.
Grammont ha detto che è praticamente impossibile per una donna
avere più bellezza e meno spirito.”
“Allora non è una vera rivale per voi,” le assicurò Colin. Individuò
la sua promessa sposa che attraversa il salone. “Priscilla sta
venendo da questa parte. Allora, siete d’accordo con il mio piano?”
“Sì, sarà divertente. Vi stupirò con la mia esibizione.”
“Molto bene, allora. Non vedo l’ora.” Camminò con nonchalance
verso Priscilla, sperando che non avesse notato quanto tempo
aveva passato a parlare con Barbara.
Dopo aver socializzato un po’, ballò con Priscilla, felice degli
sguardi invidiosi degli altri uomini presenti. Priscilla era alta e
aggraziata tra le sue braccia e, una volta tanto, non stava
spettegolando. Alla fine del ballo, fu contento di notare che non
aveva pensato ad Amy addirittura per parecchi minuti.
Uscendo dalla pista da ballo disse in tono indifferente, “Ho sentito
stasera che Barbara aspetta il sesto figlio di Sua Maestà.”
“Ve l’ha detto lei?” Priscilla era più animata del solito, il suo
interesse era stato risvegliato dalla possibilità di un gustoso
pettegolezzo.
“No, è stato qualcun altro. Non dovete dirlo a nessuno, però,
perché non l’ha ancora nemmeno detto a Charles.”
“Oh, certo,” disse Priscilla, un po’ troppo in fretta. “Ma da chi
l’avete saputo?”
“Ho giurato di tenere il segreto. Ho chiacchierato un po’ con
Barbara per vedere se se lo sarebbe lasciato sfuggire, ma non ha
detto una parola.”
“Non sembra enceinte.” Priscilla diede un’occhiata dubbiosa a
Barbara, circondata da un nuovo gruppo di parassiti.
“Secondo la mia fonte, ha appena avuto la conferma. Non si
dovrebbe vedere ancora.”
“Certo. Non sono molto esperta, visto che non ho avuto figli—
ancora.”
Priscilla sapeva che Colin desiderava parecchi figli; non aveva
nascosto l’importanza che dava alla famiglia. E lei non aveva fatto
discussioni, si rammentò Colin. Era decisamente la persona giusta
per lui.
“Vi piacerebbe un po’ di vino speziato?” Le chiese, sapendo che
non sarebbe stato in carattere per lui continuare a discutere ancora
di quel pettegolezzo.
“No, grazie,” rifiutò gentilmente Priscilla. “Non ho sete.”
Colin non si fece ingannare dalla sua scusa. Priscilla non vedeva
l’ora di tornare dalle sue amiche. Comunque, a lui piacevano
tremendamente i propri scherzi, specialmente l’attesa, e non era
ancora pronto a lasciarla andare.
“No, insisto.” La tirò verso la tavola dei rinfreschi e le diede una
coppa di vino. Prendendone una per sé, le afferrò saldamente il
gomito. “Andiamo in giardino per un po’?”
“Si gela là fuori,” protestò Priscilla, chiaramente impaziente.
Colin sorrise dentro di sé. “Solo per un minuto. Fa bestialmente
caldo qui dentro.
Su quel punto Priscilla non poteva discutere. Tra i camini accesi
da entrambi i lati del salone da ballo, le centinaia di candele che
bruciavano nei candelieri sopra di loro, e gli ospiti gomito a gomito, si
faceva fatica a respirare.
Priscilla andò con lui, riluttante, anche perché Colin se la trascinò
fisicamente dietro, guidandola attraverso la folla e all’esterno.
“Ahh!” Colin inalò profondamente l’aria fresca. “È piacevole qui,
no?”
Priscilla svuotò la coppa e incrociò le braccia in modo poco
signorile. Era un gesto inconsueto per lei e Colin ne fu contento:
forse stava diventando più umana. “Ho finito. Posso rientrare
adesso?”
Non ancora.” Colin la attirò più avanti nel giardino formale, verso
un basso muretto. Appoggiò entrambe le coppe e si appoggiò
all’indietro, poi mise le braccia intorno alla vita di Priscilla e la attirò a
sé. Ignorando la sua espressione sorpresa, si chinò—solo un po’, si
rese conto, momentaneamente sorpreso da quel promemoria della
statura di Priscilla, per baciarla. Ma la sua bocca era calda nella
notte fredda, e lui era contento che questa statuaria ereditiera fosse
sua, quindi passò un po’ prima che si rendesse conto che Priscilla
non gli stava restituendo il bacio, in effetti cercava di allontanarsi,
con il palmo delle mani appoggiato sul suo petto.
“Colin—non qui.”
“Perché? Non c’è nessuno che ci veda.”
“Non è corretto. E non c’è nessuno perché nessun altro è tanto
pazzo da uscire con questo tempo.”
“Vi terrò calda io.” Anche se un po’ smontato dalla reazione di
Priscilla, le rivolse un sorriso stringendola a sé. Non era la più
appassionata delle donne, ma non aveva mai resistito alle sue
avance. Era stata disponibile a dividere il suo letto. Nessuna a corte
era casta, dopo tutto —eccetto quell’aberrazione di Frances Stewart.
Ma Priscilla aveva sempre maniere impeccabili e corrette e Colin
si rese conto, sorpreso, che non aveva mai cercato di rubare un
momento sensuale con lei, che ogni azione aveva avuto il suo
momento e il suo posto. Ma non aveva dubbi che, col tempo, lei
avrebbe imparato a godere di un bacio rubato o due.
Priscilla si lasciò andare tra le sue braccia, senza resistere ma
senza nemmeno partecipare e Colin decise che la sua prima lezione
di sensualità era finita. La voltò e camminò con lei verso il salone,
con il braccio appoggiato sulle sue spalle. Fu contento quando il
braccio di Priscilla gli circondò la vita mentre superavano la soglia.
In un attimo, Priscilla sparì. Aveva visto Lady Crowhurst dall’alta
parte della stanza e gli disse che doveva proprio parlare con lei, e
Colin la lasciò andare. Ridacchiò tra sé quando vide le labbra che
formulavano la parola ‘Barbara’.
Meno di cinque minuti dopo, Colin avrebbe giurato che ci fosse un
ronzio nuovo nella stanza mentre le signore pettegole si affrettavano
a diffondere la nuova ghiotta chiacchiera. E alla fine, fu Priscilla
stessa che non resistette ad avvicinare Barbara.
Aspettò educatamente che fosse libera. “Milady Castlemaine,”
disse, tirandola da parte. “Vorrei congratularmi con voi.”
Colin si avvicinò, nascondendosi dietro a una colonna.
Barbara recitò la sua parte alla perfezione. “Davvero?”
“Mi hanno confidato in segreto che presto regalerete a sua Maestà
un altro figlio.”
Il volto di Barbara si fece triste.
“C’è qualcosa che non va, milady?” Vedendo il panico di Priscilla,
Colin dovette soffocare una risata. “Mi sbaglio?”
Lente lacrime scesero dagli occhi blu di Barbara—che attrice!
Disperata, Priscilla la afferrò per le spalle. “Oh, milady, va tutto
bene? Non volete il bambino?”
“L’ho perso la settimana scorsa,” piagnucolò Barbara, con le
lacrime che scendevano sinceramente. “Un bambino minuscolo,
perfettamente formato... oh, mi si spezza il cuore al solo pensiero...”
Si afferrò il petto ed emise un grande singhiozzo, poi corse via dal
salone da ballo, salendo l’ampia scalinata e continuando a piangere.
Priscilla la seguì nell’atrio e osservò la sua fuga. Stava ancora
guardando la scalinata quando Colin arrivò dietro di lei.
“C’è qualcosa che non va, Priscilla?”
Lei si voltò immediatamente, con una ruga preoccupata che le
segnava la bella fronte. “Oh, Colin, ho fatto il peggiore degli errori.
Pensavo di congratularmi con Lady Castlemaine, e ho scoperto che
ha abortito. Ora è terribilmente sconvolta, e tutti pensano che sia
incinta. Che cosa devo fare?”
“Perché mai tutti dovrebbero pensare che Barbara sia incinta?” Le
chiese con uno scintillio negli occhi.
“Gliel’ho detto io!” Guaì Priscilla. “E loro lo hanno detto agli altri,”
“Priscilla! Avevate promesso” Esclamò Colin, con finta incredulità.
“Volete dire che intendevate veramente dire quello che avete
detto?” Protestò Priscilla. “Perché me l’avete detto se era un
segreto?”
“Volete dire che non mi posso fidare di voi? Non dovrei mai dirvi
niente se non voglio che lo sappiano tutti?”
“Sì! Voglio dire no! Oh, Colin, non dovrei essere così pettegola,
vero?”
Colin sorrise—semplicemente non riuscì a resistere. La scena
stava svolgendosi ancor meglio di quanto avesse sperato.
“Perché state sorridendo?” Gli chiese Priscilla. “Ho rovinato tutto!
Non le sono mai veramente piaciuta—ci invitava alle sue feste solo
per via di mio padre e ora mi odierà. Non saremo più i benvenuti da
nessuna parte.”
“Andiamo, Priscilla, sapete che non è vero. Barbara non mi
toglierebbe mai dalla sua lista degli ospiti. Siamo stati in esilio
insieme—sono uno dei suoi migliori amici. Inoltre Charles per me è
come un fratello maggiore. Non le permetterebbe mai di snobbarci.”
Aveva ragione, Priscilla lo sapeva. I rapporti di Colin con il Re
erano la principale ragione per cui suo padre aveva accettato
quell’unione. Durante la guerra Lord Hobbs era rimasto a guardare
e, di conseguenza, non aveva perso le sue terre, ma non aveva
nemmeno guadagnato il favore di Charles.
“Immagino che abbiate ragione,” disse Priscilla piagnucolando.
Proprio in quel momento, Barbara scese dalle scale, con gli occhi
asciutti e sorridendo da un orecchio all’altro. Colin le diede
un’occhiata e scoppiò a ridere. Priscilla fissò Colin, poi Barbara, e
poi guardò di nuovo Colin, sbottando a dire. “Che cosa sta
succedendo qui?”
Colin riuscì appena a balbettare. “Io—noi—io—”
Lo salvò Barbara—quasi. “Quello che Colin vuole dire, mia cara, è
che vi abbiamo imbrogliato.”
“Imbrogliato?” Le graziose sopracciglia di Priscilla si aggrottarono
per la confusione. “Volete dire che non avete abortito?”
“Non ero incinta, tanto per cominciare,” ridacchiò Barbara. “Colin
ha creduto bene di dimostrare come si diffondono i pettegolezzi.”
Priscilla li fissò furiosa, a bocca aperta.
“Era uno scherzo,” concluse fiaccamente Barbara.
“Solo uno scherzo,” confermò Colin.
“Uno scherzo?” Ripeté Priscilla incredula. “A me?” Gli picchiò il
ventaglio chiuso sul braccio. “Come avete osato farmi uno scherzo!”
Colin si strofinò automaticamente il braccio, anche se non gli
aveva fatto veramente male. Nel dargli quel colpo Priscilla aveva
messo lo stesso, scarso, entusiasmo che metteva in tutto il resto. “Io
faccio scherzi a tutti.”
“Non a me, Colin Chase. Sono stupidi e infantili ed io non li
accetto.”
“Non pensate che sia stato divertente?” La risata di Colin morì.
“Non trovate divertente che vi conosca abbastanza bene da creare
una trappola in cui sareste sicuramente caduta?”
“No, non lo trovo per niente divertente.” Priscilla si rivolse a
Barbara. “E voi? Trovo difficile capire perché vi siate resa complice
del suo inganno—ora pensano tutti che siate incinta.”
“Non importa.” Barbara sventolò una mano, indifferente.
“Probabilmente sarò incinta prima che tutti scoprano il contrario.
Sembra che io sia sempre incinta,” si lamentò.
Colin rise. “Siete un’amica, Barbara.”
“C’è chi non sarebbe d’accordo,” gli fece maliziosamente notare
Barbara.
Colin annuì, con un sorrisino sulle labbra. In tanti erano caduti in
rovina per mano di Barbara Palmer. Fortunatamente, loro due erano
amici da troppo tempo e lui la conosceva troppo bene per
commettere il tipo di errore che gliel’avrebbe messa contro.
Priscilla smise alla svelta di lamentarsi quando si rese conto che
né Colin né Barbara erano minimamente dispiaciuti di averla presa a
bersaglio del loro scherzo.
“Per favore, fate venire la carrozza,” chiese con calma.
“Cosa?” disse Colin, “La serata è appena cominciata.”
“Dimenticheremo quello che è successo. Confido che non si
ripeterà. Voglio tornare a casa, subito.”
“Avete perso il gusto per i pettegolezzi, Lady Priscilla?” Le chiese
Barbara con voce dolce.
La frecciata non sfiorò nemmeno Priscilla. “Mi sento solo
affaticata. Colin?” Gli prese il braccio e lo condusse via.
Colin si voltò a guardare Barbara, alzando le spalle, impotente.
Barbara rise e lo salutò con la mano prima di rientrare nel salone.
Con tutta la buona volontà, Barbara non riusciva a capire che cosa
trovasse Colin in Priscilla, anche se supponeva non importasse.
Priscilla era ricca, e questo bastava. Non era obbligatorio amare il
proprio coniuge, e Dio sapeva quanto Barbara disprezzasse il
proprio. Le alleanze matrimoniali venivano strette per il vantaggio di
entrambe le parti, e si poteva sempre prendersi un amante.
O due o tre.
CAPITOLO TRENTUNO

“HO IL MAL DI TESTA,” Priscilla alzò il mento elegante e con


calma chiuse la porta in faccia a Colin.
E adesso?
Distratto dal suo scherzo aveva dimenticato di mettersi in contatto
con qualcuno al ballo per farsi offrire un alloggio. Senza sapere che
cosa fare, tornò alla carrozza. Non aveva intenzione di presentarsi
da qualche amico inaspettato ospite. E nessuno sarebbe stato in
caso a quell’ora, comunque; era troppo presto perché un rispettabile
uomo di mondo fosse già a casa.
Quando Benchley aprì lo sportello, Colin sospirò. Avrebbe potuto
andare al palazzo di Whitehall, dove la corte restava sveglia fino alle
ore piccole scommettendo e giocando a biliardo, ma non era
dell’umore giusto.
“Porco diavolo,” disse a volte alta, e diede istruzioni a Benchley di
tornare alla casa dei Chase. Nessuno sapeva che Amy era lì, pensò,
razionalmente, mettendo da parte le preoccupazioni espresse
qualche ora prima.
Mentre si metteva comodo, i pensieri tornarono alla strega dagli
occhi di ametista che si era fatta strada nel suo letto e nel suo cuore.
Ecco qualcuno che apprezzava il suo umorismo. Gli passò nella
mente l’immagine di Amy che rideva più forte quando era proprio lei
il bersaglio dello scherzo. Le guance arrossate, le labbra rosee
leggermente aperte...
Scosse la testa per cancellare l’immagine. Sapeva fin dall’inizio
che la richiesta di Amy di passare qualche giorno a Londra era solo
un pretesto per restare più a lungo con lui. Ma, diavolo, anche lui
non era pronto a lasciarla.
Non avrebbe mai dovuto accettare—aveva capito che era un
errore nell’attimo in cui le parole ‘sarò lieto di accompagnarvi a
Londra,’ erano uscite dalla sua bocca. Ora sarebbero stati soli nella
casa di città, soli ma circondati dall’intera corte di Charles, pettegola
e impicciona.
Dannazione, era proprio stata una pessima idea.
Beh, cosa fatta capo ha. E, per fortuna, a quell’ora Amy sarebbe
stata addormentata. Sarebbe entrato di soppiatto, una buona notte
di sonno e sarebbe uscito di nuovo prima che lei si svegliasse.
Dove sarebbe andato, nelle prime ore del giorno quando tutti quelli
che conosceva stavano smaltendo gli stravizi della sera prima?
Avrebbe trovato qualcosa da fare per divertirsi. Magari avrebbe fatto
colazione con Priscilla—era sicuramente andata a letto abbastanza
presto da essere pronta ad avere compagnia la mattina.
Entrò in casa in silenzio e si infilò nel suo studio per versarsi un
brandy prima di salire le scale. Non c’era bisogno di svegliare i
servitori—era perfettamente in grado di prepararsi da solo per
andare a letto. Perfino una conversazione sottovoce avrebbe potuto
svegliare Amy, ed era l’ultima cosa che voleva.
Camminando in punta di piedi davanti alla sua porta, quasi si
soffocò con un sorso di brandy quando sentì il suono inconfondibile
di una donna affranta che piangeva tutte le sue lacrime. Dannazione,
era ancora sveglia.
Si fermò, con le dita che tamburellavano sulla coscia mentre
ascoltava. Poi posò la mano sulla maniglia, e la tirò indietro, quasi
come se gli avesse bruciato le dita.
Sapeva fin troppo bene a che cosa avrebbe portato il tentativo di
confortarla. Meglio lasciare che piangesse fino a liberarsene una
volta per tutte, decise. Non era il caso di prolungare l’agonia o di
farle venire mente l’idea che le cose potessero andare in modo
diverso.
Stringendo i denti, passò davanti alla stanza di Amy ed entrò nella
sua. Sfortunatamente riusciva ancora a sentire Amy attraverso la
parete e chiudere la porta non servì a eliminare il rumore. Si diede
dello stupido per aver permesso a Ida di mettere Amy nella stanza
adiacente alla sua, ma non pensava che avrebbe trascorso lì la
notte, quindi non aveva nemmeno pensato di interferire.
Non serviva tentare di dormire finché Amy non si fosse appisolata.
I singhiozzi attutiti di Amy gli arrivavano diritti al cuore e non sarebbe
mai riuscito ad addormentarsi ascoltando un promemoria così
toccante della sua colpa. Slacciò la cintura della spada e la gettò su
letto, accese il fuoco cercando di non fare rumore, poi si sedette
nella poltrona accanto al camino e sorseggiò il brandy.
Era colpa sua. Era un essere debole e spregevole, aveva
permesso alle emozioni di averla vinta sulla testa—aveva preso
quella povera innocente ragazza spietatamente, senza nessuna
intenzione onorevole. E poi l’aveva abbandonata.
Ma era sembrato così giusto... lei era sembrata così giusta...
Anche se il brandy gli scendeva caldo in gola, non riusciva a
scegliere il groppo che sentiva in petto. Svuotando il bicchiere, lo
appoggiò sul tavolino accanto alla poltrona e fissò il fuoco, rigirando
l’anello.
Chiedendosi da quanto stesse piangendo in quel modo, cercò di
immaginarsela: i capelli in disordine, gli occhi rossi e cerchiati, il
volto gonfio, con i segni lasciati dal cuscino dove lo aveva premuto
per attutire quei singhiozzi strazianti.
Non era una bella immagine.
Forse poteva andare da lei, calmarla, scusarsi. Non era probabile
che fosse molto affascinante in quel momento, così patetica, né
sarebbe stata in vena di romanticismo. Si alzò, si tolse la giacca e il
farsetto, per poterla abbracciare più facilmente—e si fermò.
Chi stava prendendo in giro?
Aveva bisogno di una distrazione. Finì silenziosamente di
spogliarsi, si infilò una vestaglia e uscì a piedi nudi dalla stanza, con
l’intenzione di andare in biblioteca.
Ma quando passò davanti alla stanza di Amy, la sentì gemere.
Basso e risonante, il suono gli spezzò in due il cuore. Era già dentro
la stanza prima di riuscire a formulare un pensiero coerente.
Amy era un lungo bozzolo sotto la trapunta pesante, con la testa
nascosta sotto le coperte. Si inginocchiò accanto al letto. “Amy?”
“Colin?” Il gemito cessò immediatamente e Amy sbirciò fuori dalle
coperte, poi si sedette. Alla luce del fuoco sembrava bella—e per
niente come se l’era raffigurata. Il volto era rosato e bagnato di
lacrime, sì, ma nemmeno lontanamente il disastro gonfio che aveva
immaginato quando l’aveva sentita attraverso la parete.
“Che—che cosa ci fate qui?” Guardò oltre la sponda del letto,
vedendo lo stato di deshabillé di Colin, che si alzò, stringendo la
cintura della vestaglia.
Lo sguardo di Amy scivolò ai piedi nudi di Colin e poi lentamente
risalì fino al suo volto. Tirò su col naso, asciugandosi le lacrime con
un movimento impaziente. “Da quanto siete rientrato?”
“Da abbastanza tempo.”
“Eravate...?”
“Nella stanza accanto.”
“Oh, Dio. Allora mi avete sentito.” Si buttò all’indietro sul
materasso, tirandosi le coperte sul volto che stava rapidamente
imporporandosi. “Andate via per favore.”
Il corpo di Amy scivolò verso quello di Colin quando il suo peso
fece abbassare la sponda del letto.
“Andate via!”
Colin non se ne andava.
Amy restava sdraiata rigida, apparentemente desiderando che se
ne andasse—oppure che magicamente potesse sparire lei, finché
Colin le tolse la coperta dal volto. “Mi dispiace,” squittì Amy, con gli
occhi che si riempivano nuovamente di lacrime.
“A voi dispiace?” Le chiese Colin incredulo.
Non riusciva a crederci. L’aveva abbandonata e lei chiedeva
scusa.
“Stavo... crogiolandomi nella mia tristezza, credo si possa dire.
Io... non ero mai stata da sola prima di stanotte. Dall’incendio, voglio
dire. Non completamente da sola, dove fossi sicura che nessuno mi
sentisse. Da quando è morto mio padre.” Tirò ancor su col naso e
poi emise un lungo sospiro. “Pensavo di essere sola...”
Colin lasciò uscire un sospiro di sollievo, quasi divertito. Eccolo lì,
certo della sua suprema importanza nella vita di Amy, pieno di sensi
di colpa per averla ferita, e lei non stava pensando per niente a lui.
“Non è niente di cui vergognarsi.” Le asciugò gentilmente le
lacrime fresche. “Ed io che pensavo che foste affranta perché vi
avevo lasciata da sola,” scherzò. “Le lacrime erano probabilmente
proprio quello che vi serviva. Mi dispiace di avervi interrotto.”
“Mi stavo solo auto-compiangendo,” disse Amy, con gli occhi
bassi.
Le credeva, quasi. Ma c’era qualcosa nella sua voce...
E non lo guardava negli occhi.
Le alzò il mento, obbligandola a fissarlo. “È tutto?”
Amy annuì. “Anche se avrei voluto che foste qui con me,” ammise
sommessamente.
Aveva gli occhi grandi e fiduciosi, che si scurivano in quel modo
affascinante che lo attirava a lei, inesorabilmente. Senza pensare, si
chinò a baciarla, con la bocca che si muoveva gentilmente sulla sua,
come a chiedere silenziosamente scusa.
Sembrava così... naturale.
Quando si staccò, la voce di Amy scese a un sussurro. “Perché
siete tornato?”
“Non sono riuscito a stare lontano,” le confessò con la voce roca,
capendo che era vero nell’attimo in cui pronunciò le parole. “Non ho
mai fatto altri programmi. Non riuscivo a pensare a voi nella mia
casa ed io da tutt’altra parte. Ma questo non significa—”
“Ssst.” Amy gli mise una mano sulle labbra. “Non ditelo. So che
siete promesso, Colin Chase, ed io ho il mio destino. Permettetemi
di avervi solo per un’altra notte.”
Lo stesso identico suo pensiero. Per lui era impossibile restare
alla larga da lei quando era così vicina. Assolutamente impossibile.
Non sarebbe mai stato capace di resistere alla sua attrazione,
mai.
“Quattro,” la corresse. “I negozi domani sono chiusi, ma potrete
ordinare qualche vestito lunedì, li farete consegnare martedì e la
mattina successiva partiremo. Avremo quattro notti. E non lo saprà
nessuno.”
“Ma Lady Priscilla non—”
“Ssst,” la ammonì, imitando il gesto di Amy e mettendole le dita
sulle labbra. “Ci penserò io. Non preoccupatevi.”
Quattro notti.
In verità non aveva idea di come avrebbe fatto a tenere nascosta
la relazione a Priscilla e a tutti gli altri, ma avrebbe trovato un modo.
CAPITOLO TRENTADUE

“QUATTRO NOTTI,” CONFERMÒ solennemente Amy. Quattro


notti. Quattro notti in più di ciò che aveva mai avuto il diritto di
sperare o di meritare.
Come per sigillare un patto segreto, Colin le alzò la mano
baciandone il dorso, poi, con i suoi occhi di smeraldo fissi nei suoi, la
voltò e baciò il palmo, con le labbra calde e tenere.
Gli occhi di Colin scintillarono suggestivamente e la lingua uscì a
stuzzicare la pelle sensibile. Amy chiuse gli occhi mentre le
sensazioni cominciavano a fluire su per il braccio e a invaderle il
corpo.
Colin si infilò sotto la trapunta e si allungò accanto a lei. La prese
tra le braccia e la tenne vicina mentre abbassava lentamente la testa
per baciarla.
Amy si sentiva galleggiare su una nuvola soffice, comoda, cullata
dalla dolce pressione della bocca di Colin. Insinuò la mano sotto la
vestaglia ed esplorò la schiena ampia, scendendo lungo il braccio. Lì
c’era la cicatrice; le sue dita tracciarono il segno come se potesse
farla sparire, insieme a tutti i dolori dell’infanzia.
Assaporando la sensazione della pelle calda, liscia, scese con il
palmo verso il fianco, poi si fermò quando si rese conto che Colin
non indossava niente sotto la vestaglia. Audacemente—sembrava di
sua spontanea volontà—la mano si spostò trovandolo pronto.
Irrigidendosi a quel tocco intimo, Colin respirò pesantemente nella
bocca di Amy, che sentì il suo sapore caldo, di brandy mentre le
lingue si accarezzavano. Il bacio di Colin divenne impetuoso e
possessivo e Amy cominciò a respirare in fretta, in sincrono con lui.
La sua camicia da notte sparì magicamente e per lunghi, dolci
minuti Colin giocò con il suo corpo, accendendole i sensi con l’abilità
di un maestro. Ogni intima carezza delle sue dita, ogni scia lasciata
dalle sue labbra accresceva il desiderio che pulsava dentro di lei,
incidendo profondamente il suo ricordo nella sua memoria e nel suo
cuore, tanto che Amy seppe che avrebbe sempre portato con sé una
parte di lui, anche divisi da un continente e dal solco incolmabile tra
due vite che non avrebbero mai dovuto incrociarsi.
Amy respirava in fretta, ansimando e allungò le mani verso i
fianchi di Colin, pregandolo silenziosamente di entrare in lei, e
diventare una cosa sola.
Ma Colin non ubbidì alla sua preghiera disperata. Al contrario si
girò, trascinandola con sé, finché Amy fu sdraiata sopra di lui,
tremante di eccitazione, mentre lui le passava il palmo caldo delle
mani sulla schiena e sui glutei.
Quando Colin abbassò le mani per spostarle le ginocchia,
mettendosela cavalcioni nel modo più stranamente intimo, Amy
spalancò gli occhi “Colin?” Sussurrò, non sapendo bene nemmeno
lei che cosa chiedere.
“Ssst, amore,” mormorò Colin. “Ci sono molti, molti modi e sono
tutti meravigliosi.” E le sollevò i fianchi, guidandola finché fu dentro di
lei.
Mentre Amy si abbassava sopra di lui, sentì un brivido delizioso
per tutto il corpo, e una parte di lei si meravigliò della sua capacità
ad accogliere questa dura, profonda penetrazione.
Con un po’ di incitamento e istruzioni da parte delle mani Colin sui
suoi fianchi, Amy cominciò a muoversi sperimentalmente contro di
lui. All’inizio si spostò titubante, poi più in fretta quando scoprì,
apprezzandola, la sua libertà di movimento.
Le lunghe ciocche dei suoi capelli ricadevano libere sul petto di
Colin, una carezza sensuale sul suo corpo teso. Colin la tirò verso di
sé, avvicinando la bocca per un lungo profondo bacio. Ma Amy
voleva che fosse veloce, non lento, questa volta. Si sentiva
selvaggia, e accarezzò con la bocca le guance ruvide, gli mordicchiò
la spalla con i denti.
Con una risata di gola, Colin la spinse via, per poterle toccare il
corpo bollente con le mani curiose, accarezzarle il seno inturgidito e
poi vagare su tutta la schiena, una lunga scia calda di sensazioni.
Il sangue pulsava forte nelle vene di Amy mentre Colin si spingeva
dentro di lei e lei si muoveva per andargli incontro, ancora e ancora.
Con gli occhi sfuocati guardò il suo volto. Scuro e lucido nella luce
tremolante del fuoco, una maschera d’estasi che la portò al limite del
piacere. Poi lo sentì pulsare dentro di lei, e la sua vista si annebbiò
mentre esplodeva di passione, incontrollata e gioiosa. Salì sempre
più in alto e sentì il cuore che scoppiava insieme di amore e
disperazione.
Le mani di Colin scivolarono sulle sue braccia, abbracciandola
stretta e Amy incollò le labbra alla sua bocca e si lasciò cadere.
Colin continuò a baciarla per un lungo minuto, poi si premette la
guancia di Amy sulla spalla. Restò immobile, con la sua lieve
fragranza di rose che gli placava i sensi e ascoltando il respiro di
Amy, affrettato come il suo. Nel silenzio, sentiva il cuore di Amy che
batteva forte, per lui. E fu momentaneamente preso da un profondo
senso di tristezza per ciò che era e per quello che non poteva
essere.
Dopo un po’ Amy alzò la testa, con una mano che scostava i
lunghi capelli d’ebano dal volto, e lo fissò senza parlare. Gli occhi
erano viola scuro, traboccanti di un miscuglio complicato di
passione, incredulità e dolore.
Un dolore incredibile, incredibile.
Colin spinse nuovamente la testa di Amy contro il petto. Non
voleva guardare in quegli occhi angosciati, non ancora. “Ssst,
amore,” le sussurrò tra i capelli. “Non pensateci. Abbiamo ancora tre
notti. Sono un’eternità.”
Non è vero, pensò Amy. Ma doveva bastare. Era tutto quello che
avrebbe mai avuto.
Colin si mosse dentro di lei, una promessa squisita dove i loro due
corpi erano ancora uniti.
“Non pensate,” le ripeté e poi continuò, assicurandosi che non
potesse farlo, con le mani e la bocca e il corpo e il potere incredibile
che aveva a disposizione—il potere di due anime fatte per diventare
una sola.
CAPITOLA TRENTATRE

SENTENDO DELLE VOCI in corridoio, Colin aprì appena un occhio.


Dalla finestra entrava la luce del giorno.
Accidenti, aveva dormito troppo.
Ora il personale era già in piedi e sarebbe stato difficile tornare
nella sua stanza senza farsi notare, ed era imperativo che lo facesse
se voleva tenere alla larga i pettegolezzi. La rete di pettegolezzi dei
servitori a Londra era una realtà; se l’avessero colto lì con Amy, la
notizia avrebbe fatto il giro di Londra prima di sera.
Restò immobile, aspettando il momento migliore per saltare giù
dal letto e scappare.
Un momento. Emise un gemito e si massaggiò le tempie doloranti.
Quelle non erano le voci dei servitori che chiacchieravano passando
davanti alla porta durante i loro compiti quotidiani, le voci era più alte
e molto più familiari. Le voci di Jason, e di Ford e di Kendra.
Maledizione!
Maledetta sfortuna. Aveva pensato di poter passare i giorni e le
sere con Priscilla e le notti con Amy. Ma adesso sarebbe stato più
difficile, forse perfino impossibile mantenere segreta la presenza di
Amy.
O forse... ah sì. La mente correva e Colin esalò lentamente il
respiro che non si era reso conto di trattenere da quando aveva
riconosciuto le voci. Alla sua famiglia Amy piaceva. Non sapevano
che fosse andato a letto con lei a Greystone.
Potevano fungere da copertura—sì, era stata a Cainewood dopo
tutto, e la consideravano un’amica.
Avrebbe funzionato—purché non lo cogliessero a introdursi di
soppiatto nella stanza di Amy di notte. Quello non lo avrebbero mai
approvato.
Le voci svanirono. Colin scese dal letto e si infilò in silenzio la
vestaglia, guardando Amy che continuava a dormire. La streghetta
sembrava un angelo adesso, con le guance appena rosate, i capelli
d’ebano come un’aureola intorno alla testa.
Si chinò e le sfiorò le labbra con un bacio, poi andò alla porta in
punta di piedi e appoggiò l’orecchio.
Tutto libero.
Aprì la porta di qualche centimetro, lieto che non scricchiolasse.
Pronto a correre fino alla porta accanto, verso la sicurezza, fece un
respiro profondo e la spalancò—trovandosi davanti il volto stupito di
Kendra.
Fece un passo indietro e sbatté la porta chiudendola.
“Colin?” attraverso il legno sentì la voce attutita di Kendra. “Sei
tu?”
Colin si diede dello stupido. In un secondo netto aveva combinato
un disastro. Perché diavolo non era uscito tranquillamente in
corridoio, come se non ci fosse niente di strano? Avrebbe potuto
trovare una scusa plausibile perché era nella stanza di Amy.
Ora sembrava colpevole, esattamente com’era, senza alcun
dubbio.
Kendra martellò sulla porta. “Colin? Che cosa ci fai lì dentro?”
Con una mano sulla maniglia, Colin restò inchiodato sul posto, con
lo sguardo fisso su Amy che aveva cominciato a muoversi irrequieta
sotto le coperte, cercando di svegliarsi.
I passi si avvicinarono. “Che diavolo?”
Colin si appoggiò alla porta. Dannazione, adesso c’era anche
Jason.
“Colin è lì dentro,” Sentendo il tono compiaciuto di Kendra, Colin le
avrebbe allegramente tirato il collo. “E si sta nascondendo. Con
Amy.”
Non c’era niente da fare. Con un’ultima indugiante occhiata ad
Amy, aprì la porta e uscì. Richiudendo la porta alle sue spalle si
appoggiò contro, come per proteggerla. “Ssst!”
“Che cosa stavi facendo lì dentro?” Sibilò Kendra in tutta risposta.
Colin sussurrò, in modo convincente sperava, “Amy aveva un
incubo, stavo solo controllandola.”
“Davvero?” Kendra mise le braccia conserte. “Allora perché hai
richiuso la porta quando mi hai visto?”
Colin aggrottò la fronte in quella che sperava fosse un’espressione
sorpresa. “Eri tu allora? Amy stava gridando di nuovo, quindi sono
rientrato.”
“Fesserie! Pensi che io possa cascarci? Io non ho sentito
assolutamente niente. La faccenda mi sembra sospetta.”
“E sono affari tuoi?” Sbottò Colin, sulla difensiva. “Non ti devo
nessuna spiegazione, sorellina.”
“Amy è un’amica e se ti sei approfittato di lei, è mio dovere
accertarmi che tu faccia la cosa giusta con lei, Colin Chase!”
Entrambi avevano smesso da un pezzo di sussurrare. Jason si
mise in mezzo e affrontò Kendra. “Se Colin dice che stava solo
controllandola, dovrai accettare la sua parola.”
Ah! Un po’ di lealtà maschile. Colin sorrise.
Finché Jason non si voltò per affrontare lui. “Che ci fa Amy qui?
Pensavo stessi accompagnandola a Dover.”
“Voleva comprare un po’ di cose prima di partire. Ha perso tutti i
vestiti nell’incendio.”
“Ed è tutto?”
“Sì, dannazione! Ho passato la serata con Priscilla, al noioso ballo
di Lady Carson.” Colin strinse con forza la cintura della vestaglia. “È
ridicolo, non devo dare spiegazioni a voi due.” Si allontanò, andando
verso la sua stanza e aveva la mano sulla maniglia quando la porta
di Amy si aprì.
“Colin?”
Colin si voltò in fretta. Amy era incorniciata nella porta semiaperta,
coperta solo da un lenzuolo, con i capelli in disordine, le labbra
ancora rosate e gonfie di baci, l’espressione addormentata e
confusa. Adorabile.
Colin inorridì a quella vista.
La guardò implorante, sperando vanamente che stesse al gioco.
“Amy! Non stavate sognando di nuovo, vero?”
“Sognando?” Stringendo il lenzuolo con una mano, Amy si tolse i
capelli dagli occhi con l’altra. “Come?”
Colin si sentì stringere le stomaco quando Kendra e Jason si
scambiarono un’occhiata d’intesa. Ma non era ancora pronto ad
ammettere la sconfitta. “L’incubo. Il motivo per cui sono venuto a
controllarvi.”
“L’incubo?” Amy sbatté gli occhi.
Quando Colin le diede un’occhiataccia, esasperato, Amy spalancò
gli occhi assonati. “L’incubo, ah, sì. Voglio dire no.” Abbassò gli occhi
e le guance diventarono rosse. “È finito, adesso... vi ringrazio per
esservi preoccupato.”
Con le nocche bianche, Amy si strinse intorno il lenzuolo e arretrò,
chiudendo la porta.
La mano di Kendra si mosse in fretta e impedì alla porta di
chiudersi. Diede una lunga occhiata significativa a Jason prima di
rivolgersi ad Amy. “Sono sorpresa di trovarvi qui,” disse
allegramente. “Colin ha detto che avevate bisogno di vestiti?”
“Sì,” Amy diede un’occhiata di scuse a Colin prima di rivolgersi a
sua sorella. “E voi che cosa ci fate qui?”
Kendra le prese il braccio. “Siamo venuti a Londra per gli acquisti
di Natale. Veniamo sempre in questo periodo,” le disse,
trascinandola nella sua stanza. “Posso entrare? Vi aiuterò a vestirvi
e parleremo.”
La porta si chiuse dietro di loro.
Con l’intenzione di fare una fuga veloce, Colin aprì la porta della
sua stanza ma suo fratello lo afferrò per una spalla, facendolo
voltare verso di sé. “Beh?”
“Beh cosa?”
“Smettila, Colin. Non riuscirai a cavartela così facilmente con me.”
Jason strinse le labbra sotto i baffetti. “Sappiamo entrambi che cos’è
successo in quella stanza, in quel letto.”
“E allora?” Era inutile continuare a fingere. “Siamo entrambi adulti.
Tempo tre giorni sarà fuori dalle nostre vite per sempre. E non ti
permetterò di fare anche a lei lo stesso interrogatorio.”
“Sono un gentiluomo, non farei mai una cosa del genere,” gli
assicurò Jason freddamente. “Diversamente da te.”
“E questo che cosa dovrebbe voler dire?”
“Solo che dovresti fare la cosa giusta con quella donna e
sposarla.”
“Ci siamo già passati,” ringhiò Colin.
“Le cose erano diverse, allora. Era solo un suggerimento. Ora
insisto.”
“Vai al diavolo.” Colin fece una pausa e respirò a fondo per
calmarsi. “Ho altri programmi. So che ti aspetti che il nome dei
Chase sia al di sopra di ogni sospetto, e mi dispiace di averti deluso.
Ammetto l’errore, ma non intendo pagarlo per tutto il resto della mia
vita.”
“Presumo che non continuerai a commettere lo stesso errore ora
che siamo qui noi?” Chiese severamente Jason.
Colin strinse i pugni. “Non sono affari tuoi.”
“Temo di sì, invece,” ribatté Jason. “Amy è in casa mia, sotto la
mia protezione. E non è una sgualdrinella. È una meravigliosa
ragazza di buona famiglia che non merita di essere trattata in questo
modo.”
“Trattata come?” esplose Colin. “È stata trattata molto bene, se
vuoi saperlo. Credimi, non si è lamentata.” Abbassò la voce,
temendo che Amy potesse sentirlo. “Diversamente da te, lei non si è
mai aspettata che la sposassi. Nel caso lo abbia dimenticato, sono
fidanzato—e ho già speso parte della dote di Priscilla, per l’amor del
cielo. Mi dispiace di non essere all’altezza dei tuoi standard, ma ho
deciso. Spero che riuscirai a perdonarmi per aver imbrattato il nome
di famiglia.”
“Certamente, sei mio fratello.”
“Sono lieto che la veda in questo modo.” Stringendo i denti, Colin
si voltò verso la porta.
“Ma le vogliamo tutti bene,” mormorò Jason, sottovoce.
Colin fu preso da una tale irragionevole furia che gli sembrò di
vedere una nebbia rossa davanti agli occhi. Piroettando, fissò suo
fratello negli occhi. “Beh, io no!” la sua voce era bassa e pericolosa.
“Visto che tutti le volete tanto bene, perché non ve ne occupate voi?
Fate in modo che arrivi in Francia questa volta, però. Preferirei non
dover avere ancora a che fare con lei.” Entrò nella sua stanza. “E
fammi un favore. Fai avvertire Priscilla che sono tornato a
Greystone. Ho del lavoro da fare.”
Sbatté la porta e le diede un calcio, poi saltellò in giro tenendosi
l’alluce dolorante. Porco diavolo, che cosa gli stava succedendo?
Non era mai stato una testa calda, sbattere le porte e dare calci non
era da lui. E anche se la sua famiglia era sempre stata rumorosa e
polemica, recentemente le sue discussioni con loro erano sempre
meno amichevoli e più acrimoniose.
E ora, in un momento di rabbia incontrollata, aveva gettato via le
sue ultime tre notti con Amy.
Dannazione.
Doveva andarsene o rischiare di sembrare ancora più pazzo di
quanto fosse. E non poteva nemmeno dirle addio. Un’occhiata al suo
volto e sapeva che gli si sarebbe spezzato il cuore, e avrebbe
rinunciato ad andarsene.
Si vestì in fretta e se ne andò, dandosi mille volte dello stupido,
dell’esaltato, del pazzo e del codardo.
Nessuna donna aveva mai avuto un tale effetto su di lui, e
intendeva accertarsi che non succedesse mai più.
CAPITOLA TRENTAQUATTRO

KENDRA FECE UN PASSO indietro, guardandola attentamente


mentre Amy piroettava nel suo abito color zaffiro e panna. “È
favoloso!”
Non assomigliava assolutamente ai vestiti da giorno che Amy
aveva avuto intenzione di ordinare, il satin luccicante dell’abito dalla
profonda scollatura era messo in risalto da un ampio collare di pizzo
color vaniglia, arricchito di perle luminescenti. Lo stesso pizzo
ricadeva sui polsi dalle maniche a tre quarti. La sopraggonna color
crema era divisa e raccolta dietro e mostrava la sottogonna color
zaffiro ricamata di perle.
“Mi fa sentire carina,” ammise Amy, “anche se continuo a non
credere che sia riuscita a convincermi a ordinarlo. Non ho proprio
idea di dove lo indosserò.”
Nelle ultime due settimane l’amicizia con Kendra era progredita ed
erano diventate più intime.
“Colin ti porterà a un ballo—”
“No.” Anche se la sua iniziale reazione alla scomparsa di Colin era
stata di dolore e rabbia, nelle ultime due settimane Amy si era
rassegnata. “Colin non vuole avere niente a che fare con me; l’ha
chiarito perfettamente. E certamente non in pubblico.”
“Cambierà idea. Fidati di me. Conosco mio fratello. È testardo, ma
non è stupido.”
Le dita di Amy sfiorarono la fila di perle cucite sulla gonna. “Colin
ed io non abbiamo niente in comune e lo sappiamo entrambi,
Kendra. Io sono destinata a essere un’orafa in Francia. Non è solo
quello che voglio, è quello che devo fare.” Lisciò il lucido satin, poi si
voltò verso la sarta in un fruscio di seta. “Slacciatemi, per favore,
Madame Beaumont.”
Amy era rimasta sconvolta scoprendo che il negozio della signora
Cholmley era bruciato fino alle fondamenta e che la sarta non si
trovava da nessuna parte. Grazie alla passione del Re per tutto
quello che era francese, le sarte francesi erano molto in voga.
Kendra aveva insistito che Amy ordinasse il suo guardaroba da
Madame Beaumont, la modiste più ricercata di Londra.
Le dita agili della sarta slacciarono il vestito e Amy ne uscì. “L’orlo
va bene.” Si rimise l’abito giallo burro che aveva preso in prestito da
Kendra. “Sarà pronto per lunedì?”
“Certainement. Insieme a tutto il resto.” Madame Beaumont la fece
voltare per stringerle i lacci sulla schiena.
“Grazie.” Amy guardò Kendra con intenzione. “Sai se Jason è
libero martedì per accompagnarmi a Dover?”
“Non ne ho la più pallida idea, ma comunque non importa.”
Amy si guardò allo specchio, sistemandosi i lunghi riccioli
indomabili. “E questo cosa significa?”
“Devi ancora comprare le calze, i guanti e nastri, per non parlare
delle scarpe per tutti questi vestiti.” Dichiarò allegramente Kendra.
“Poi voglio che mi aiuti con le compere di Natale. Non sarai pronta a
partire ancora per settimane, forse addirittura fin dopo Natale.”
“Oh, no.” Amy scosse la testa, ricordando il piano originale di Colin
di assicurarle un guardaroba entro un giorno o due. Madame
Beaumont ci aveva messo dodici giorni a creare i suoi vestiti e solo
dopo molte preghiere e aumentando il prezzo.
“Oh, sì. Non avevi assolutamente niente da mettere; ci vuole
tempo per equipaggiarsi correttamente. Inoltre mi sto divertendo
troppo per mandarti per la tua strada. È come avere una sorella.”
“Colin sarebbe furioso.”
“Che vada all’inferno! Se non fosse così ostinato—”
“Santo cielo, Kendra! Non ricominciamo.”
“Solo se la smetti di parlare di andartene così presto.”
“Beh... avevo dimenticato le calze e le scarpe... forse resterò
un’altra settimana.” Amy smise di sistemarsi i capelli e si voltò per
guardare Kendra negli occhi. “Ma non di più. Colin ed io... non
succederà mai. E sono seria.”
“Certo,” confermò Kendra, un po’ troppo in fretta.
Il campanello alla porta suonò annunciando una nuova cliente.
Amy e Kendra si prepararono a uscire mentre Madame Beaumont si
affrettò ad andare a salutare la nuova arrivata. La sua voce
melodiosa arrivò fino al salottino di prova. “Bonjour, Lady Priscilla.”
“No, non può essere...” borbottò Kendra sottovoce.
“Il vostro vestito è pronto per la prova finale,” la voce dall’accento
pesante di Madame aumentò di volume mentre si avvicinava al
salottino. “Lo prenderò subito dal retro. Il salottino di prova sarà
libero tra un attimo.” La tenda si aprì e Madame entrò.
“Mesdemoiselles? C’è altro che posso fare per voi?”
“Stavamo giusto uscendo,” le assicurò Amy.
La sarta rimise la testa nel negozio. “Un moment, Lady Priscilla,
s’il vous plaît.” Si affrettò ad attraversare il salottino per andare nel
retro del negozio, mormorando “Merci, mesdemoiselles,” mentre
passava.
“Per favore, fate che sia un’altra Priscilla,” sussurrò Kendra, con la
mano sulla tenda.
“Di che stai parlando?” sussurrò Amy di rimando.
Kendra si bloccò e la fissò. “Lady Priscilla.”
“Lady Priscilla?”
“La Lady Priscilla di Colin.”
“Oh...”
Amy non era del tutto sicura di aver voglia di incontrare l’illustre
Priscilla, ma non ebbe molta scelta, dato che Kendra la afferrò per il
braccio e la tirò nel negozio.
“Lady Priscilla.” Amy non aveva mai sentito Kendra parlare con
voce così mielosa, né aveva mai visto un sorriso tanto falso sul suo
volto. “È un piacere vedervi.”
“Lady Kendra.” La voce di Priscilla era sofisticata e indifferente,
come se incontrasse conoscenti dovunque andasse e niente
potesse sorprenderla. Si chinò e sfiorò le guance di Kendra con un
bacio; un bacio informale tra due dame era de rigueur quando si
incontravano. “Non sapevo che foste in città. È tornato anche Colin?”
“Oh no. Sapete come la pensa sulla City,” disse significativamente
Kendra.
“Sì, ma è rimasto solo un giorno il mese scorso.”
“È molto occupato a Greystone. Forse dovreste andare a trovarlo
là.” Il suggerimento di Kendra suonava sincero, anche se aveva
detto ad Amy che Priscilla detestava la rustica casa di Colin. “Sono
sicura che sarebbe contento di vedervi.”
“Buon Dio, non nello stato in cui è quel posto. Anche se potrei
prendere in considerazione un invito a Cainewood.” Il freddo
sguardo grigio di Priscilla si spostò su Amy. “Chi abbiamo qui?”
“Scusatemi, ho dimenticato di presentarvi,” disse cortesemente
Kendra. “Questa è la signora Amethyst Goldsmith. Amy, ti presento
Lady Priscilla Hobbs.”
Amy vide Priscilla che la esaminava e poi la scartava... non titolata
e insignificante. “Sono lieta di fare la vostra conoscenza,” disse
Priscilla con un lieve cenno della testa.
Amy aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì niente. Solo
vedere Priscilla la rendeva muta. Santo cielo, se Priscilla era l’idea di
Colin della perfezione...
Titolo a parte, Amy ne era l’antitesi più completa. Priscilla era alta
mentre Amy era minuta, pallida mentre lei era rosea, piatta dove lei
aveva le curve, fredda mentre lei era emotiva. I capelli di Priscilla
erano biondi, corti e perfettamente acconciati, mentre quelli di Amy
erano scuri, lunghi e indomabili.
E quelle erano solo le differenze più ovvie.
Amy non aveva mai creduto che fosse possibile odiare una
virtuale sconosciuta. Si sentiva un triste esempio di essere umano,
ma non riusciva a farne a meno. Se avesse creduto nella
stregoneria, le avrebbe sicuramente lanciato il malocchio.
Kendra le diede discretamente di gomito. “So-sono lieta di fare la
vostra conoscenza,” Riuscì a dire.
Le belle sopracciglia arcuate di Priscilla si unirono per la sorpresa.
“La signora Goldsmith è una vostra amica?” guardò direttamente
Kendra, come se Amy non fosse lì, e Amy desiderò che fosse
proprio così.
“È stata nostra ospite fin dall’incendio. Ha perso la sua famiglia e il
loro negozio di oreficeria.”
“Il loro negozio?” L’espressione di Priscilla mostrava esattamente
ciò che pensava del fatto che i Chase fossero in amicizia con un
mercante, ma irradiava anche un’indulgenza irritata—come se fosse
risaputo che i Chase erano piuttosto eccentrici.
“Conosciamo Amy da un po’,” dichiarò Kendra, sulla difensiva. Le
luccicarono gli occhi mentre le dita si spostavano al centro della
scollatura, dove aveva appuntato il gioiello a forma di fiocco
regalatole da Amy. “La nostra famiglia ha parecchi dei loro gioielli.
Specialmente Colin.”
“Colin?” Priscilla aggrottò la fronte. “Colin non mi ha mai regalato
gioielli.”
Anche se sapeva che la sua amica stava deliberatamente
fuorviando Priscilla—Kendra doveva sapere che Colin aveva
comprato solo il medaglione per lei e l’anello per sé—decise di stare
al gioco. “Posso assicurarvi che Colin ha spesso comprato gioielli,
dato che ha sempre chiesto il mio aiuto per sceglierli.”
“Bene, allora forse Lord Greystone sta aspettando il nostro
matrimonio per regalarmeli,” disse Priscilla storcendo il naso.
“Forse.”
Quell’unica parola era una sfida, ma sembrava che Priscilla
avesse deciso di non intenderla a quel modo, dato che guardò
direttamente oltre Amy dove la sarta stava aspettando con le tende
aperte. “Madame Beaumont, siete pronta?”
“Certainement, milady.”
“È stato un piacere vedervi, Kendra,” disse Priscilla mentre
andava nel salottino di prova.
Non rivolse un saluto ad Amy, che evidentemente non era degna
di quel segno di cortesia.
“È stato un piacere conoscervi, Lady Priscilla,” disse apposta,
anche se poco sinceramente Amy. Ma la tenda si chiuse prima che
Priscilla potesse rispondere, sempre che quella fosse la sua
intenzione.
Amy pensava di no.
“Che donna scortese,” sussurrò a Kendra. “È quella la promessa
sposa di tuo fratello?”
“In tutta la sua gloria,” Kendra prese il braccio di Amy mentre
uscivano in strada.
“Immagino sia stata una brutta giornata per lei,” suggerì Amy,
cercando una scusa possibile per il comportamento di Priscilla.
“Ne dubito. Io la chiamo Priscilla Snobs, sai.” Sorrisero entrambe
prima che Kendra continuasse. “Fa infuriare Colin.”
“Mi chiedo che cosa veda in lei.”
“Non sei l’unica.”
Vedendole arrivare, il cocchiere di Jason si affrettò ad aprire lo
sportello. “Vorremmo visitare il New Exchange, ora,” lo informò
Kendra prima di salire nella carrozza di legno e pelle di suo fratello.
Il cocchiere la prese per il gomito per aiutarla a salire. “Come
desiderate, milady.”
Amy la seguiva lentamente, continuando a pensare a Priscilla.
Non aveva saputo che cosa aspettarsi, ma Priscilla si era dimostrata
un esemplare così perfetto dell’alta società che qualunque sogno
latente Amy potesse ancora avere era stato spazzato via. Nemmeno
un’enorme, palpitante attrazione avrebbe potuto portare Colin a
scambiare un tale esempio di aristocratica per la semplice Amy
Goldsmith.
Non avrebbe sposato Colin, che lui la volesse o no, ma il pensiero
era comunque deprimente. Mentre rimuginava, quasi non sentì la
voce che la chiamava dalla strada. La voce sorpresa, fin troppo
familiare.
“Amy? Amy! Siete proprio voi?”
“Vorrei che si sbrigassero a ricostruire il Royal Exchange,” si
lamentava Kendra dall’interno della carrozza. “Era mille volte meglio
del New Exchange.”
Amy esitò solo un momento prima di correre e salire in carrozza.
Chiuse lo sportello prima che l’attonito cocchiere avesse la
possibilità di farlo.
“Che cosa sta succedendo Amy?”
“Ssst, non pronunciare il mio nome a voce alta.” Tirò la tendina sul
finestrino, maledicendo il pesante traffico che ingombrava
perennemente le strade di Londra. “Oh, perché non ci muoviamo?!”
La carrozza balzò in avanti mentre si dirigeva verso il centro della
strada affollata, ma era troppo tardi. Bang! Bang! Un pugno colpì lo
sportello e il cocchiere tirò le redini.
“Amy! So che siete lì dentro!”
“Ehi!” Il cocchiere saltò in strada con un tonfo. “Tenete le mani
lontano dalla carrozza di Lord Cainewood.”
Da una fessura tra le tendine, Amy vide i capelli color carota ma
non le serviva una conferma. Aveva lavorato con lui per cinque anni,
avrebbe riconosciuto ovunque la voce di Robert Stanley.
“Non mi importa un accidenti di chi è la carrozza!” lo sentì urlare.
C’è Amethyst Goldsmith lì dentro e devo parlare con lei.”
Amy si morse il labbro. La portiera si aprì e il cocchiere chiese.
“Signora Goldsmith, conoscete quest’uomo?”
Amy decise di fingere di essere sorpresa. “Robert!” Saltò giù dalla
carrozza e abbracciò l’uomo lentigginoso, un abbraccio poco
entusiasta ma che sperava fosse convincente dato che non era mai
stata troppo affettuosa con lui. “Sono così contenta di vedere che
state bene—mi chiedevo cosa vi fosse successo,” disse
enfaticamente.
Ed era vero, in un certo senso. Robert aveva fatto parte della sua
vita per molto tempo; era sollevata di vederlo sano e salvo.
“La vostra lettera non diceva dove foste,” disse Robert dubbioso,
allontanandola. “Almeno lo avete detto a vostra zia Elizabeth? Le ho
scritto per cercare di scoprirlo ma non ho ancora ricevuto la sua
risposta.”
“Sì, le ho scritto,” rispose lentamente Amy. Oddio... non le era
venuto in mente che Robert avrebbe contattato sua zia. L’avrebbe
trovata perfino a Parigi. Non aveva mai pensato che fosse così
intraprendente.
No, si corresse, aveva sempre saputo che Robert era intelligente,
anche se poco fantasioso. La verità era che aveva fatto del suo
meglio per non pensare a lui e a quello che avrebbe fatto.
“Mi dispiace,” gli disse ora, ed era sincera. “Avrei dovuto cercarvi
per discuterne. Non connettevo. Ero... addolorata. Devastata.” Fece
un respiro profondo. “Voi che cosa avete fatto?”
Robert trascinò i piedi sul terreno fangoso. “Vi stavo cercando.
Aiutando un po’ mio padre. Bevendo con i miei vecchi amici al King’s
Arms, per la maggior parte del tempo.” Aveva messo su peso negli
ultimi tre mesi da che l’aveva visto l’ultima volta.
All’improvviso, Robert la afferrò per le spalle. “Lo giuro, non riesco
a credere di avervi trovata. Pensavo che non vi avrei più rivista.”
Quando Amy non rispose, Robert smise di parlare,
apparentemente riflettendo,. “Avreste mai cercato di trovarmi?” Le
chiese in tono sospettoso.
Amy abbassò gli occhi. Voleva che la lasciasse andare, ma Robert
le teneva le spalle in una morsa. Emanava un leggero rancido odore
di birra; Amy quasi se lo sentiva in bocca. “Ovviamente. Sono-sono
appena arrivata in città.” Disse, evasiva, “sono stata da amici, in
campagna.”
“Amici? Amici che non conosco?”
Amy alzò la testa e gli diede un’occhiata sfrontata. “C’è parecchio
che non sapete di me, Robert.”
“Me ne sto accorgendo,” replicò Robert, togliendole le mani dalle
spalle e incrociando le braccia sul petto. “La data del nostro
matrimonio è già passata, come sapete. Dovremo fissarne un’altra.”
Amy lo fissò. “Non avete letto la mia lettera?”
“Data del matrimonio?” Emergendo dall’angolo in ombra della
carrozza, Kendra sporse la testa. “Amy?”
Amy si voltò verso di lei, grata; questo parlare di matrimoni le dava
la nausea. “Kendra, questo è Robert Stanley. Robert, la mia amica
Lady Kendra.”
Robert fece un breve inchino a Kendra. “È questa la vostra
amica?” Chiese seccamente ad Amy. “Quella da cui stavate?”
“Sì.”
“Bella carrozza,” disse, come se fosse un crimine possederne una.
“È di mio fratello,” spiegò Kendra.
“Lord qualcosa?”
“Il Marchese di Cainewood.”
Robert sbatté le palpebre, sorpreso, come se stesse cercando di
ricordare qualcosa, poi scosse la testa. Tornò a rivolgersi ad Amy.
“Allora... quando volete che ci sposiamo?”
“Mai.” rispose Amy a bassa voce.
“Siete stata promessa a me.” La voce di Robert era bassa e
profonda e quasi più sommessa di quella di Amy.
Troppo sommessa.
Anche se lo fissava come sfidandolo, Amy tremava dentro di sé.
Non voleva ferirlo, ma doveva fargli capire che non aveva nessuna
intenzione di diventare sua moglie. “Mio padre è morto. È cambiato
tutto per me. E—” alzò il mento “—non sono più obbligata a
sposarvi.”
“Dannazione Amy, dovevate essere mia. Ho aspettato e aspettato.
Anche il negozio doveva essere mio, ma non c’è più. Le scorte...” gli
occhi di Robert si illuminarono. “Dove sono le scorte?”
Amy deglutì a vuoto. “Io non voglio sposarvi, Robert.”
Robert la guardò minaccioso, con gli occhi azzurro chiaro che
lampeggiavano. “Dove sono le scorte?”
“Non le ho.” Ad Amy tremò la voce ma non era proprio una bugia.
Non le aveva con sé.
“Non vi credo. Sono tornato a guardare ma non ne ho trovato
traccia. Niente metallo fuso, niente diamanti nella cenere. E i
diamanti non bruciano.” Si avvicinò di un passo. “Dove sono, Amy?”
“Non le ho,” ripeté tremante Amy. “Ora devo-devo andare.” Si voltò
per salire in carrozza.
Robert la afferrò per il braccio, facendola piroettare e stringendola
dolorosamente. “Le scorte sono mie. Ho lavorato cinque anni per
averle. Dove sono?”
Amy fece una smorfia e diede un’occhiata preoccupata a Kendra,
facendola entrare in azione. Kendra si piantò saldamente sulla soglia
della carrozza. “Lasciatela stare!” Urlò con tutto il suo fiato. “Lei non
le ha!”
Visibilmente sorpreso dallo scatto, Robert si rivolse a Kendra. “Voi
restatene fuori. Non sono affari vostri.”
Gli occhi si Kendra si socchiusero sprezzanti. Scese dalla
carrozza in un lampo, stringendo un pugno che poi sbatté con forza
in faccia a Robert. “Lasciatela stare, ho detto!”
Robert spalancò gli occhi pallidi e lasciò andare il braccio di Amy
per afferrarsi la mascella che si stava rapidamente arrossando.
Con un sorriso di trionfo, Kendra afferrò la mano appena liberata
di Amy. “Non per niente ho tre fratelli!” informò chiunque ascoltasse,
poi saltò in carrozza, tirandosi dietro Amy.
Amy sporse la testa, dando un’occhiata sdegnosa a Robert.
“Cinque anni? La mia famiglia ha lavorato cinque secoli per quei
gioielli. Avete imparato un mestiere e vi abbiamo sempre pagato un
giusto salario, oltre al vitto e all’alloggio. Non vi devo niente e non
avrete niente di più, Robert Stanley!”
Sbatté lo sportello e chiuse il chiavistello.
Robert cominciò a battere con entrambi i pugni. “Vi sbagliate,
Amethyst Goldsmith. Avrò quelle scorte e anche voi. Aspettate e
vedrete!”
Dentro la carrozza buia, Amy si piegò sulla panchetta, coprendosi
la testa con le mani per non sentirlo. Dopo quella che le sembrò
un’eternità, il veicolo si scosse e cominciò a muoversi.
Amy si raddrizzò. “Mi dispiace per quello che è successo,” si
scusò, massaggiandosi il braccio. Era sicura di avere il segno delle
dita di Robert.
“Non mi capita tutti i giorni di poter far pratica di boxe.” La risata di
Kendra era un po’ incerta. Si strofinò il pugno ammaccato. “Santo
cielo, com’è rimasto sorpreso!” Aprì le tendine e la luce del sole
riempì l’abitacolo. “Stai bene, Amy?”
Amy annuì, malinconica. “Non riesco a credere che bestia sia
stato! E pensare che l’ho quasi sposato.” Rabbrividì.
“Non mi hai mai detto di essere fidanzata.”
“Volevo dimenticarlo. Non ho mai voluto sposarlo, fin dall’inizio—
ha fatto tutto mio padre.”
“È così... non va proprio bene per te.” Kendra sembrò riflettere.
“Sembra quasi che possa avere un sorriso attraente, quando non è
arrabbiato, ma è basso, grassoccio... molliccio. Non riesco a
immaginarti con lui. Invece, tu e—”
“Mi ha sempre fatto un po’ paura,” Amy interruppe le riflessioni di
Kendra. Ha vissuto con noi per gli ultimi cinque anni, come
apprendista, ma il nostro matrimonio è stato deciso quando eravamo
bambini.”
“Ma ti piaceva, almeno un po’”
“All’inizio, finché non ho imparato a conoscerlo. Aveva delle idee
precise su cosa voleva in una moglie, idee che non andavano
d’accordo con le mie. Comunque avrei potuto finire peggio e mio
padre era molto insistente.” Rabbrividì di nuovo. “Non lo sposerò
mai, specialmente non dopo questa scena.” Dichiarò con veemenza.
“Mai, mai, mai.”
Kendra la guardò preoccupata. “Tua zia non si aspetterà che lo
sposi, vero?”
Amy ci pensò un attimo. La zia Elizabeth era una donna
affettuosa, un tipo materno che voleva vedere felici tutti quelli che le
stavano intorno. E non le era mai veramente piaciuto Robert. “No,”
rispose alla fine. “No. Non credo che lo farebbe. E nemmeno mio
zio.”
“Quindi non hai niente di cui preoccuparti. Robert non sa dove
trovarti mentre stai con noi—”
“E presto me ne sarò andata. Molto presto.” Più presto era meglio
era, pensò cupamente.
Il suo tempo in Inghilterra era veramente alla fine.
Kendra si chinò per toccarle la mano, poi sorrise maliziosa.
“Cinque secoli?”
L’umore di Amy migliorò. “Beh, forse ho esagerato, ma solo un
po’.” Quando guardò Kendra negli occhi, scoppiarono entrambe a
ridere.
CAPITOLO TRENTACINQUE

IL CERVELLO IMBEVUTO di alcool di Robert stava cercando di


dirgli qualcosa. Circondato dai suoi compagni di bevute al King’s
Arms stava bevendo troppo e mangiando troppo poco. Aveva la
nausea, eppure qualcosa in fondo alla mente stava cercando di
venire a galla.
Kendra. Kendra. Bevve un altro sorso. Non c’era...
Sì! Quel bastardo di Greystone aveva una sorella di nome Kendra.
Erano venuti in negozio una sola volta, ma il modo in cui
quell’uomo aveva guardato Amy, e il rossore di Amy gli bruciavano
ancora nella memoria. Non aveva prestato attenzione alla sorella,
ma poteva benissimo essere la stessa donna.
Si massaggiò la mascella dolorante. Questa Kendra, con il suo
pugno di ferro, non assomigliava molto a Greystone. Aveva i capelli
rosso scuro mentre quelli di Greystone erano neri e anche gli occhi
erano di un verde più chiaro. Era minuta e il bastardo era alto—così
alto che Robert si era sentito intimidito, anche se Greystone lo aveva
ignorato.
Beh, anche la sorella lo intimidiva. Adesso.
Sì, doveva essere sua sorella. Strinse gli occhi iniettati di sangue,
cercando di visualizzarli meglio insieme. Avevano la stessa struttura
del viso, ne era sicuro, e la stessa forma degli occhi. Ed entrambi
avevano la stessa arrogante sicurezza.
Ed entrambi erano ‘amici’ di Amy.
Amy. La bella, elusiva Amy. Aveva promesso di sposarlo. Per
cinque lunghi anni era stato seduto al banco di suo padre, con la
promessa di avere, col tempo, Amy e la sua ricchezza.
Quel momento era arrivato. Amy era a Londra. Se non avesse
accettato di andare con lui volontariamente, l’avrebbe obbligata.
C’era un posto di cui aveva sentito parlare, le chiese ‘privilegiate’
dove un uomo poteva sposare una donna senza le pubblicazioni,
senza licenza.
Senza il suo consenso.
Si rivolse all’uomo accanto a lui, uno dei tanti che passavano la
serata in quella taverna popolare della classe media. “Ehi,” gli disse,
sorprendendosi per la sua stessa voce incerta, “conosci una chiesa
privilegiata? Non troppo lontano da qui?”
“St. Trinity, nella Minories,” rispose l’uomo.
“Un altro posto è St. James, a Duke’s Place,” aggiunse un uomo
seduto dall’altra parte del tavolo. “Sono le uniche due, penso.
Affermano di essere fuori dalla giurisdizione dell’arcivescovo di
Londra e di poter seguire le proprie regole. Mia sorella si è sposata a
St. James.”
“Contro la sua volontà?”
“Noo! Aveva solo fretta. Ha ottenuto anche un certificato pre-
datato, così il bambino non sarebbe risultato in anticipo.”
Robert annuì, digerendo l’informazione. Sia Duke’s Place sia la
Minories erano vicine, appena fuori dalle antiche mura romani. “Non
servirà una licenza o altro?”
“Noo! Solo due corone per il curato e un paio di testimoni.”
Nessun problema, pensò Robert, immaginando il tesoro di
monete, oro e gioielli che lo aspettava dopo il matrimonio.
Lo stomaco si strinse, protestando contro l’ennesimo sorso di
birra. Gli dispiaceva che si dovesse arrivare a tanto, gli dispiaceva
che non lo sposasse di sua spontanea volontà. Ma era sua e una
volta compiuto il fatto, si sarebbe abituata all’idea. Sarebbe venuta
nel suo letto e avrebbe avuto i suoi figli. Prima o poi. Era sempre
stata un tipo freddo, comunque—non si era mai aspettato molto da
lei—sessualmente.
E quando fosse stata sua, tutto quello che lei possedeva sarebbe
stato suo.
Guardò i suoi due compagni di bevute. “Qualcuno di voi ha sentito
parlare di Lord Greystone?”
“No, mai sentito,” biascicò l’uomo accanto a lui.
“Noo,” l’uomo davanti a lui scosse la testa.
“Ehi,” disse a voce alta e biascicata. “Qualcuno conosce un Lord
Greystone? Colin qualcosa?”
“Chase,” rispose qualcuno. “Colin Chase.” L’uomo indossava una
lunga parrucca arricciata ed era vestito un tantino più alla moda della
media dei clienti del King’s Arms; Robert credette che potesse
conoscere Colin Chase, o almeno sapere chi fosse.
“Ha un fratello? Il Marchese di qualcosa?”
“Cainewood. Il Marchese di Cainewood. Jason Chase.”
“Giusto.” E Amy viaggiava sulla carrozza di Cainewood, con la
sorella di Cainewood. Quadrava tutto.
Compiaciuto dei propri poteri di deduzione, Robert fece una pausa
per ingollare un altro sorso e si passò la manica sulla bocca.
“Qualcuno sa dove vive Cainewood. Sono pronto a pagare—” ruttò
fragorosamente “—dieci scellini a qualcuno che mi mostri dove
abita.”
Si sentirono strisciare le panche sul pavimento mentre gli uomini si
alzavano, tutti impazienti di intascare dieci scellini per un lavoro così
facile. Ma Robert non era tanto ubriaco da non rendersi conto che la
maggior parte di loro non avrebbe riconosciuto la casa dei
Cainewood dal London Bridge.
“Voi,” disse. Si alzò traballante e indicò l’uomo che aveva risposto
alle sue domande. “Voi. Venite.”
Facendo segno all’uomo di seguirlo, barcollò verso la porta e uscì
in strada. Il suo compagno si appoggiò al muro mentre Robert si
fermava per vomitare nel canale di scolo, col vomito che aggiungeva
ben poco alla quantità di rifiuti già presenti.
Robert si alzò, si passò la manica sulla bocca ed emise un rutto
rumoroso. “Così va meglio, andiamo.”
Scuotendo la testa disgustato, l’uomo gli fece comunque da guida.
Dieci scellini erano sempre dieci scellini.
CAPITOLO TRENTASEI

AMY SI SVEGLIÒ di colpo, lottando contro una mano che le copriva


la bocca—una mano sporca, che puzzava di birra, sudore e vomito.
Le fece venire un conato.
“Sst,” le sibilarono all’orecchio. “Un suono e vi ucciderò. Lo giuro.
Ho un coltello.”
Amy si bloccò al suono della voce di Robert, ma non gli credette
nemmeno per un secondo. I suoi strumenti da orafo erano la cosa
più vicina a un’arma che Robert avesse mai maneggiato. Non
avrebbe saputo che cosa fare con un coltello serio nemmeno se
qualcuno si fosse avvicinato e glielo avesse messo in mano.
Dimenò le braccia, graffiandogli il volto e scalciò forte. Robert le
cadde addosso goffamente, inchiodandole le gambe sotto le sue più
pesanti. Amy gli avvolse intorno le braccia e gli affondò le unghie
nella schiena.
“Dannazione, Amy, non volevo che andasse così,” sussurrò
Robert. Il suo corpo la teneva schiacciata sul letto mentre Robert
cercava qualcosa nella stanza buia. Qualcosa cadde e rotolò sul
pavimento. “Dannazione,” brontolò Robert, alzandosi su un gomito.
Nella testa di Amy esplose il dolore. Un attimo prima stava
lottando per la sua vita, e l’attimo dopo tutto divenne nero.

ROBERT SI TIRÒ SU, sbuffando per l’esercizio inconsueto. Il


pesante candelabro ricadde sul pavimento quando si lasciò cadere
in ginocchio e cercò la candela sotto il letto. Quando la trovò, corse
al camino per accenderla ed esaminare Amy.
Un rivolo di sangue le scorreva dallo scalpo verso la fronte. Per un
attimo, Robert fu preso dal panico mentre cercava il polso, senza
sapere dove trovarlo. Le premette l’orecchio sul petto, sentì il cuore
che batteva e il petto alzarsi e abbassarsi lentamente e
regolarmente. Grazie a Dio. Morta, sarebbe stata inutile.
Doveva sposarla per mettere le mani sulla sua fortuna.
Strappò lunghe strisce dal lenzuolo e gliele avvolse una intorno
alla testa, a mo’ di improvvisato bendaggio, ne usò una per
imbavagliarla e una terza per legarle insieme le mani. Sperando che
cooperasse e camminasse una volta sveglia, le lasciò i piedi liberi.
La avvolse maldestramente in una delle coperte, poi la afferrò
sotto le braccia e trascinò giù dal letto la sua forma afflosciata. Non
aveva tenuto conto del peso morto. La minuscola Amy sembrava
pesante come un cavallo. Fermandosi due volte per riavvolgerle
attorno la coperta, la trascinò verso la finestra aperta, dove li
aspettava una scala.
Con uno sforzo notevole, sollevò il corpo inerte sopra la spalla e si
sporse, cercando la scala con un piede malfermo. Mantenendo a
stento l’equilibrio, scese un gradino per volta, più che sollevato
quando il vetturino gli venne incontro a metà strada e gli tolse il peso
dalle spalle.
Il cocchiere scaricò Amy sul sedile e Robert montò in carrozza.
“Sai dove andare,” ringhiò sottovoce, rimandando l’uomo a cassetta
con un cenno.
Si insinuò accanto a Amy e cercò di riprendere fiato mentre la
carrozza percorreva scricchiolando le strade silenziose.
La lampada laterale gettava una luce giallastra all’interno sul volto
immobile di Amy. Grazie al cielo la ferita era superficiale, la benda
era macchiata ma il sangue aveva cessato di scorrere. Le avvolse
meglio intorno la coperta, poi si lasciò cadere contro il lato della
carrozza, sollevato ed esausto.
È mezzanotte e tutto va bene, le parole risuonarono nella nebbia
spessa e umida. Tre quarti d’ora dopo, la carrozza senza
ammortizzatori procedeva rimbalzando lungo la Aldgate e in Duke’s
Place, fermandosi davanti a St. James.
La porta era aperta, essendo una chiesa, ma non c’era nessuno
all’interno. Robert camminò verso l’altare, con i passi che
echeggiavano sul pavimento di pietra nella chiesa deserta. C’erano
candele votive accese in giro per il santuario, che tremolavano
contribuendo all’atmosfera inquietante.
Robert non era mai stato in una chiesa vuota. A dire il vero, da
che ricordava non era mai stato in una chiesa. Secondo lui si doveva
goder la vita e ci sarebbe stato tutto il tempo da vecchi per i rimpianti
e la penitenza.
Rabbrividì.
“C’è qualcuno?” gridò, quasi aspettandosi che la figura sulla croce
guardasse giù e gli rispondesse. Ma non successe nulla,
ovviamente. Il santuario era silenzioso, eccetto il rumore del suo
respiro che sembrava sempre più forte man mano che aumentava la
sua agitazione.
Quel posto gli dava i brividi. Tutti sapevano che i preti venivano
sepolti sotto il pavimento di queste chiese, e, di colpo, Robert fu
certo che uno dei loro fantasmi fosse sul punto di apparire e
afferrarlo. Si voltò e corse per la navata, e fuori dalla porta.
“Non c’è nessuno, qui,” gridò al vetturino, come se fosse colpa
sua.
Il cocchiere alzò le spalle. “È sabato sera.”
In effetti era domenica mattina oramai, ma Robert non si prese la
briga di correggerlo. Inoltre, che cosa succedeva se qualcuno aveva
bisogno di un prete il sabato notte? Dovevano essere disponibili, da
qualche parte. “Portami a St. Trinity, nella Minories,” ordinò, prima di
saltare nella carrozza e chiudere lo sportello con un calcio.
Il vetturino alzò nuovamente le spalle, poi bevve un sorso del
brandy che portava con sé contro il gelo dell’inverno. Non gli
interessava se quell’uomo sprecava il suo tempo. Robert gli aveva
promesso di pagarlo per tutta la sera e lui gli aveva chiesto tre volte
quello che guadagnava di solito per una notte e lo aveva preteso in
anticipo.
St. Trinity era appena a re strade di distanza, troppo vicino per
Robert, che non si era ancora ripreso dall’ultima sosta. Le strade
vuote contribuivano al suo disagio. I londinesi restavano in casa di
notte e si avventuravano all’aperto solo se era strettamente
necessario e di solito con la scorta di un servitore e di un portatore di
torcia per illuminare la strada. L’atto del 1661 ordinava ai cittadini di
appendere lampade all’esterno delle loro case nelle notti buie, ma
nessuno lo rispettava; le strade non illuminate e piene di nebbia
erano paurose, e Robert si sentiva nervoso e tremava.
Dovette farsi forza per scendere dalla carrozza e camminare
lentamente fino alle massicce porte della chiesa.
All’interno, St. Trinity assomigliava molto a St. James. I piedi di
Robert strisciavano sul pavimento quando attraversò la soglia e il
cuore gli tambureggiava in petto mentre ispezionava le pareti che
sembravano tremolare nell’ombra. Quando si aprì una porta dall’altra
parte Robert sobbalzò, emettendo un gridolino.
Un uomo florido, quasi calvo mise la testa nel santuario e sorrise.
“Sentitevi libero di pregare qui, figliolo. I problemi sembrano più
piccoli quando li dividete con nostro Signore.”
Il curato uscì nel santuario e Robert vide che era grassoccio e in
forma, chiaramente ben nutrito e curato, diversamente da tanti altri
che lavoravano nelle parrocchie. A quanto pareva il curato di una
chiesa privilegiata godeva di una posizione altamente lucrativa.
Quell’uomo non faceva per niente paura.
L’intero ambiente sembrò farsi più luminoso e Robert tirò un
sospiro di sollievo. “Sono venuto per sposarmi, Padre.”
L’ecclesiastico sembrò contento. “Ah, vedo. E avete bisogno di un
—chiamiamolo così —un certificato ‘speciale’?”
“No, la data non conta. La ma signora è... riluttante.”
“Questo non è un problema mio. Fanno tre corone.”
“Ho sentito dire che ce ne volevano due.”
“Due e mezzo, allora. Speciale per voi.”
“Affare fatto.” A dire il vero, Robert avrebbe pagato dieci corone e
anche più, e volentieri, per assicurarsi Amy e la sua ricchezza.
Si voltò verso la porta, intendendo andare immediatamente a
prendere Amy e farla finita. Sperava con tutto il cuore che sarebbe
stata sveglia o che comunque al curato non importasse.
“Ci vedremo lunedì mattina, allora,” gli disse il curato.
“Lunedì?” Robert si voltò di colpo. “Io—non possiamo farlo
adesso?”
Il Prete sorrise, mostrando i grandi denti irregolari. “Si avvicina il
Sabbath, figliolo. Non ci saranno matrimoni fino a lunedì.”
“Ma...”
“Portate con voi due testimoni e una pistola—quest’ultima
accelererà le cose.” Ammiccò a Robert. “Ho altri cinque matrimoni
lunedì, quindi venite presto, altrimenti dovrete mettervi in coda.
Buona sera.” Scomparve, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando
lì Robert, a bocca aperta.
Dove diavolo poteva trovare una pistola? E, cosa ancora più
difficile, che dove avrebbe fatto con Amy fino a lunedì? Si diede dello
stupido, a voce alta, per aver agito senza un piano, poi si mise la
mano davanti alla bocca. Sicuramente imprecare nella casa del
signore era più grave che imprecare altrove.
Si precipitò verso la porta.
Il cuore gli batteva talmente forte che gli ci volle qualche momento
per notare che lo sportello della carrozza a nolo era aperto e che
sentiva qualcuno che correva per strada.
Amy era scappata.
CAPITOLO TRENTASETTE

AMY CORREVA PIÙ forte che poteva, tenendo stretta davanti a sé


la coperta, con le mani legate. La coperta sbatteva dietro di lei,
svolazzando nella brezza, e non le forniva nessun calore. Ma la
teneva stretta, sapendo che avrebbe potuto impedirle di gelare più
tardi, se non avesse trovato un rifugio.
A ogni passo, la testa le rimbombava dolorosamente. Correva per
la strada piena di immondizia, inciampando sui sassi e sui detriti.
Una scheggia le si infilò nel piede nudo, ma la notò appena.
Cominciava a sentire una fitta al fianco quando svoltò l’angolo di
Whitechapel, ma notò appena anche quella. Era troppo preoccupata
per il rumore di passi che sentiva avvicinarsi—i passi di Robert,
certamente dato che non si vedeva nessun altro in quella notte grigia
e nebbiosa.
Si infilò nello stretto spazio tra due edifici e si accucciò, cercando
senza successo di portarsi la coperta sulla spalle tremanti. La
camicia da notte che le aveva prestato Kendra era praticamente
inutile contro il freddo dell’inverno.
Robert le passò davanti correndo, sbuffando pesantemente,
un’ombra scura nella nebbia. Amy trattenne il fiato e si appiattì
contro uno dei muri, cercando di rendersi invisibile.
Quando l’eco dei passi svanì, Amy respirò di nuovo. La puzza di
rifiuti che marcivano le permeava le narici, dandole la nausea. Si
sforzò comunque di restare immobile, premuta contro la pietra ruvida
e fredda per quello che le sembrarono ore, ma che sapeva essere
solo minuti.
Ascoltava, mentre il freddo le penetrava nelle ossa. Sentì un
bambino piangere, le voci alte, arrabbiate, di una coppia, il suo
stesso cuore che le batteva in petto.
I passi non tornarono.
I minuti passavano. Amy aveva sempre più freddo; doveva trovare
un riparo, e presto. A piedi nudi, con solo una sottile camicia da
notte e la coperta, imbavagliata e con i polsi legati, doveva essere
un bello spettacolo. Ciononostante qualcuno l’avrebbe certamente
aiutata, accolta per la notte, se solo fosse riuscita ad arrivare alla
loro porta. La coppia che litigava era la scelta migliore—per lo meno
sapeva che erano a casa ed erano svegli.
Non era una scelta che la attirasse, ma non era nella posizione di
essere schizzinosa.
Aspettò ancora qualche agonizzante minuto mentre il cuore
rallentava, il respiro tornava più regolare e i brividi aumentavano
sempre di più. Alla fine, convinta di essere riuscita a scappare,
decise di uscire.
Un respiro profondo creò intorno a lei una nuvoletta nell’aria
gelida. Si staccò dal muro e zoppicò fino all’angolo dell’edificio. Gli
occhi si erano adattati alle strade non illuminate di Londra, sporse la
testa e guardò da entrambi i lati, senza vedere niente che la
allarmasse, anche se non riusciva a vedere molto lontano, nella
nebbia.
Pensò alla coppia litigiosa che viveva dall’altra parte della strada
stretta, verso Whitechapel, sulla destra. Il giallo nebbioso di una
finestra illuminata era più o meno al posto giusto per confermare la
sua stima.
Facendosi forza per lasciare il suo gelido rifugio, contò. Uno, due,
tre... ora.
Si lanciò per la strada, dirigendosi verso la luce confortante alla
finestra. All’improvviso un rumore sferragliante tagliò la coltre di
nebbia mentre una carrozza arrivava a tutta velocità dall’angolo della
strada. Con un gemito di paura, attutito dal bavaglio che aveva sulla
bocca, Amy lasciò cadere la coperta in mezzo alla strada e, arrivata
dall’altra parte, svoltò a sinistra, correndo nella direzione opposta a
quella della carrozza.
Non servì a niente. Prima ancora che la carrozza si fermasse
cigolando, Robert era saltato fuori e l’aveva raggiunta.
Uno strattone feroce alla camicia da notte la fece ricadere sulle
ginocchia. Fermò la caduta con i gomiti e i polsi legati. Insensibile
per il freddo e il colpo, quasi non si accorse delle nuove sbucciature.
Un momento dopo, Robert si buttò sopra di lei, forzandola a faccia in
giù nel fango e togliendole il fiato.
“Dannazione e morte!” Gridò. “Pensavate veramente di potermi
sfuggire?”
Anche se non fosse stata imbavagliata e senza fiato, Amy non
avrebbe risposto.
L’oscurità si stava nuovamente chiudendo su di lei.

IL SOLE DEL MATTINO lottava per illuminare la stanza attraverso


una finestra coperta di sporcizia. Sbattendo le palpebre nella luce
scarsa, Amy cercava di svegliarsi. Anche se era da sola e senza
bavaglio, le mani erano ancora legate insieme. Sotto la coperta lisa
e sporca, i piedi erano legati alle colonnine del letto.
Rimase ferma, facendo un inventario. Le faceva male la testa, le
ginocchia e i gomiti bruciavano, il suo corpo era rigido e indolenzito,
con lividi dappertutto. Aveva bisogno di un vaso da notte, ma quello
poteva aspettare.
Pesta ma intera, era decisa a combattere con Robert fino al suo
ultimo respiro.
I gomiti sbucciati avevano formato una crosta che si apriva
quando si muoveva. Si leccò le labbra secche, sentendo il sapore
metallico del sangue agli angoli dove il bavaglio aveva sfregato fino
a tagliarle. Provò i legacci intorno ai polsi, girandoli. Sfregavano
orribilmente e la pelle era rossa e abrasa. Ma, con pazienza e
usando i denti era sicura che sarebbe riuscita a slegare le strisce di
tessuto. Questa volta, però, prima di muoversi doveva avere un
piano.
La stanza non dava nessuna indicazione su dove si trovasse. La
finestra era talmente coperta di sporcizia che non si vedeva niente di
fuori. Ombre scure contro i vetri le dicevano che comunque aveva le
sbarre. La semplice stanza conteneva solo il letto sudicio, un rozzo
tavolo e due sedie su un pavimento sporco di legno. Un fuoco
misero emanava poco calore e una grande quantità di fumo, in un
camino annerito che avrebbe avuto bisogno di una bella pulita da
parecchio tempo.
Non ricordava com’era arrivata lì. Pensava di essere a
Whitechapel quando aveva fatto il tentativo fallito di scappare, ma
ora poteva essere a un giorno di distanza per quanto ne sapeva.
Avrebbe dovuto aspettare il ritorno di Robert per cominciare a
pensare alla fuga.
Chiudendo gli occhi, pregò per l’oblio del sonno.
CAPITOLO TRENTOTTO

COLIN SI ABBASSÒ sulla sella, con le mani che stringevano forte


le redini, il foglio di carta stropicciato in mano. Non era possibile
leggerlo mentre gli zoccoli di Ebony divoravano le miglia di strada
fangosa, ma le parole scribacchiate da Ford erano incise nella sua
mente.
Amy è sparita. Vieni immediatamente.
Il cuore gli batteva forte da quando aveva messo gli occhi sulla
nota criptica. Non aveva perso tempo ed era partito immediatamente
per Londra, con la sua fervida immaginazione che inscenava ogni
possibile evento, da Amy che aveva deciso di partire per conto suo,
ad Amy che giaceva morta in un fosso, con un colpo di pistola al
petto.
Il vento lo frustava mentre galoppava, pregando un Dio cui si
rivolgeva raramente, eccetto nella forma non particolarmente
corretta di un’imprecazione o due tra le sue preferite. Fece le
promesse più mirabolanti, contrattando con l’Onnipotente perché
Amy tornasse sana e salva. Sarebbe andato a messa tutte le
domeniche (non lo faceva nessuno). Avrebbe dato tutte le sue
ricchezze ai bisognosi (che ricchezze?), in qualche modo avrebbe
persuaso Priscilla a sposarlo immediatamente, e non avrebbe mai
più rivolto un pensiero ad Amethyst Goldsmith.
L’ultima promessa era la più improbabile di tutte.
Erano mesi oramai che combatteva con se stesso. Era una
battaglia persa. Mentre volava attraverso le porte della City, uno
sperone colpì un carretto di verdura. Si voltò sulla sella, vedendo
limoni e carciofi che piombavano sulla strada fangosa, gridò delle
scuse al venditore... e finalmente ammise che non sarebbe riuscito a
essere felice senza Amy.
La verità era che importava poco se si erano divisi per sua scelta
o per le azioni di un criminale senza volto. Il pensiero di trascorrere i
suoi anni a Greystone senza di lei—sia che lei stesse invecchiando
con sua zia, sposata a un altro uomo, o fredda in una tomba, lo
faceva stare male fisicamente. Era destinata a lui.
Era innamorato di lei.
Maledizione, che cos’era successo? Quell’ammissione veniva da
un posto oltre la ragione e la logica. Con la testa che girava, cercò di
respirare, giurando a Dio e a se stesso che l’avrebbe riportata a
casa. Dopo di che avrebbero trovato un qualche tipo di accordo.
Priscilla avrebbe capito.
Capito che cosa, beh, non lo sapeva ancora...
Ebony era coperto di schiuma prima che Colin arrivasse a
Lincoln’s Inn Fields, ma Colin si limitò a gettare le redini a uno
stalliere invece di spazzolare lui stesso il cavallo come avrebbe fatto
di solito dopo una dura cavalcata. Spalancò la porta d’ingresso e
corse nel foyer di marmo, senza badare al fango sugli stivali.
“Jason! Ford! Kendra!”
“Colin, grazie a Dio sei qui.” Kendra apparve dal corridoio e si
gettò tra le sue braccia. “Siamo preoccupati a morte.”
“Jason non è a casa.” Ford si precipitò giù dalle scale. “È partito
questa mattina presto, prima che scoprissimo—”
“Scoprissimo cosa?” Colin si staccò le braccia di Kendra dal collo
e la allontanò. “Dimmi che cosa sai, subito,” ordinò.
Kendra si morse il labbro. “Ieri Amy ed io siamo state da Madame
Beaumont. Quando siamo uscite—”
“—Amy si è imbattuta in un uomo di nome Robert, e hanno avuto
una terribile discussione.” Finì per lei il suo gemello.
Colin alzò una mano. “Robert Stanley?”
“Non ricordo il suo cognome,” disse Kendra, “ma era l’apprendista
di suo padre ed era fidanzato con Amy.”
“Robert Stanley,” riuscì a dire Colin a denti stretti. “Continua.”
Kendra fece un respiro profondo e gli indicò le scale. “Quando
Amy gli ha detto che non aveva intenzione di sposarlo, lui ha perso il
controllo. L’ha afferrata e l’ha minacciata—”
“—e Kendra gli ha dato un pugno in faccia.” Ford si fermò sul
pianerottolo. “Riesci a immaginare la scena?”
Gli occhi di Kendra si accesero come fuoco verde. “È una
faccenda seria, Ford. Ed è stata una mossa stupida da parte mia.
Amy è sparita.”
“Poi che cos’è successo?” Sbottò Colin.
Kendra svoltò nel corridoio. “Lui è rimasto sorpreso, e dolorante,
spero. In ogni caso ha lasciato andare Amy, siamo saltate in
carrozza e ci siamo allontanati.”
“Ma non—” Ford si fermò, con la mano sulla maniglia della porta di
Amy, “—prima che lui affermasse che avrebbe avuto i gioielli di Amy
e anche lei. Sembra che fosse sincero.” Aprì la porta.
Colin fu colpito da una ventata di aria fredda.
Momentaneamente stordito, si avvicinò alla finestra aperta e
guardò fuori. Sotto, c’era una scala appoggiata al muro. Si voltò. Il
fuoco si era spento da un bel po’ e a giudicare dalla temperatura
gelida della stanza, la finestra era rimasta aperta per parecchio
tempo. Le lenzuola erano sul pavimento e mancava la coperta.
“Abbiamo lasciato tutto come lo abbiamo trovato,” sussurrò
Kendra. “Guarda.”
Colin seguì il gesto di Kendra. Gocce di sangue punteggiavano le
lenzuola.
Si lasciò cadere sul materasso. Un profumo di rose—il profumo di
Amy—aleggiava nell’aria. “Pensate che l’abbia portata via?”
Kendra si inginocchiò ai suoi piedi e gli appoggiò la testa sul
ginocchio. “È l’unica spiegazione. Amy non se ne sarebbe mai
andata senza dircelo. E il sangue... potrebbe essere morta. Oh,
Colin.”
Colin accarezzava distrattamente con una mano i riccioli rossi
mentre con l’altra tracciava le macchie rosse sul lenzuolo. Sangue. Il
sangue di Amy. Aveva lo stomaco in subbuglio e gli sembrava di non
riuscire a pensare chiaramente.
Ford camminava avanti a indietro. “Come sempre, Kendra, stai
saltando alle conclusioni. Ci sono solo poche gocce di sangue qui e
niente verso la finestra—dubito che fosse ferita seriamente, tanto
meno assassinata. Perché poi quel tizio avrebbe voluto ucciderla?
Hai detto che voleva sposarla.”
“Ma lei non era d’accordo,” piagnucolò Kendra. “Ve lo ripeto, era
furioso.”
“Guardate qui. “Ford indicò il baule di Amy nell’angolo della
stanza. Non ha preso i gioielli, no?”
“No...”
“Forse vuole solo persuaderla a sposarlo.”
“Ferendola? Per l’amor del cielo, Ford, pensa. L’ha portata via. Se
non è morta, ovviamente intende chiedere un riscatto, i suoi gioielli o
i nostri soldi.”
Con una violenta scossa della testa, Colin tornò in sé. Si alzò e
andò alla finestra, chiudendola con un colpo forte. “Dubito che
intenda chiedere un riscatto. Non può essere sicuro che
pagheremmo—non siamo nemmeno imparentati.” Il cervello di Colin
correva come un cavallo impazzito. In realtà non sapeva nemmeno
lui se era sollevato o allarmato che il rapitore di Amy sembrasse
essere il suo ex-promesso sposo, piuttosto di qualche pazzo
criminale. “Sei sicura che lui sappia dove sono i gioielli?”
“No.” Kendra si alzò lentamente. “No. Amy non ha ammesso di
averli, in effetti.”
“È quello che pensavo.” Ford diede un’occhiata significativa al
baule. “Altrimenti non lo avrebbe lasciato qui.”
Kendra batté il piedino. “Va bene, ci inchiniamo alla tua logica
scientifica. Che cosa pensi che sia, allora?”
“Io penso che intenda comprometterla, immaginando che lo
sposerà una volta compiuto il misfatto. A quel punto, la fortuna di
Amy sarà sua.”
“Non è possibile!”
“Cresci, Kendra. Succede continuamente.”
“Non è possibile comprometterla; non è nemmeno verg—”
“Questo Robert non lo sa, vero?” Ford piegò la testa, dandole
un’occhiata condiscendente.”
Kendra arrossì. “Ma—”
“Ford ha ragione.” La voce di Colin aveva un tono di comando.
I gemelli si voltarono a guardarlo.
Viste le circostanze, gli scenari di morte violenta che aveva
immaginato sembravano improbabili. D’altra parte, le conclusioni di
Ford su uno stupro seguito da un matrimonio forzato sembravano
spaventosamente possibili.
Colin respirò a fondo per impedirsi di vomitare all’idea. Con i pugni
stretti lungo i fianchi, andò alla porta, poi si voltò per guardare i suoi
fratelli. “Restate qui, nel caso ci sbagliamo e arrivi una richiesta di
riscatto. Io tornerò. Con Amy.”
CAPITOLO TRENTANOVE

IL CIGOLIO DI UNA chiave che girava in una serratura arrugginita


mise subito all’erta Amy.
Era ora.
Robert si infilò nella stanza e chiuse la porta, attento a girare la
chiave prima di voltarsi a guardarla. I suoi pallidi occhi azzurri la
fissavano mentre si faceva scivolare lentamente la chiave nella
tasca dei suoi calzoni a sbuffo. Se solo fosse riuscita a prendere
quella chiave, sarebbe già stata a metà strada. Ma per il momento
era impossibile.
Pazienza, si ricordò Amy, sforzandosi di respirare lentamente e
ritmicamente.
Robert sembrava in pessime condizioni. La camicia era strappata,
i calzoni color daino erano stropicciati e sporchi. I capelli gli
pendevano in ciocche scomposte e le lentiggini sul volto erano
nascoste da un sottile strato di sporcizia. Già, pensò Amy, proprio lei
poteva dare giudizi. Vestita solo con una camicia da notte strappata,
pesta e ammaccata, non era al meglio del suo aspetto nemmeno lei.
“Come state?” Le chiese Robert.
La risposta di Amy fu una smorfia sprezzante. Nonostante la
ferma decisione presa di non farlo agitare, non riusciva a costringersi
a conversare con lui come se la situazione fosse normale.
“Molto bene, allora. State male?”
“No.”
“Siete ferita?”
“Non sono in pericolo di vita.”
“Bene,” disse Robert, avvicinandosi al caminetto, gettò un altro
ciocco sul fuoco, poi si pulì le mani sui calzoni sporchi. “Ho alcune
commissioni da fare. Volevo solo vedere come stavate prima di
uscire.” Andò alla porta.
Amy non poteva lasciarlo andare così in fretta. Non sapeva niente
che potesse aiutarla a formulare un piano,. “Dove sono?” Sbottò.
Robert esitò poi si voltò. “In una locanda,” gli rispose lentamente.
“Ma dove?”
“Non importa. Starete qui fino a domani.”
“E poi?”
“Ve lo farò sapere dopo. Quando sarò pronto.”
Per che cosa? Le parole le si fermarono in gola; sapeva che
sarebbe stato inutile chiedere. “Aspettate!” lo chiamò quando fece
per andarsene. “Io ho bisogno... sapete... di usare il vaso.”
Robert strinse le labbra, ma si avvicinò al letto e frugò sotto,
tirando fuori un vaso sbeccato e polveroso. Quando alzò l’orlo della
coperta, Amy spostò i polsi legati per fermarlo.
“Robert, no!” Avrebbe preferito restare in un letto bagnato piuttosto
di farsi aiutare in quella faccenda.
“Pensavate sinceramente che vi avrei slegato?”
“Solo le mani, per favore. Vi prometto che non tenterò di fare
niente.”
Robert la fissò, con il suono del suo respiro pesante che le
riempiva le orecchie mentre si spostava sul letto. “Molto bene,” disse
Robert alla fine. “Ma solo le mani.”
Le scorticò nuovamente i polsi mentre li slegava, ma Amy strinse i
denti e tenne a freno la lingua. Fece scivolare il vaso da notte sotto
la coperta e si allontanò di un passo, girando la schiena e aspettò.
Mortificata, Amy mormorò. “Dovete uscire.”
Robert si voltò di colpo. “Oh no... no... niente da fare.”
“Per favore. Non potete farmi una cosa del genere Robert!” Amy
pensò in fretta. “Mi dispiace di aver litigato con voi ieri,” mentì.
“Sono-sono sicura che riusciremo a trovare un accordo. E—e non
possiamo veramente cominciare in questo modo se vogliamo essere
felici insieme.”
Gli occhi di Robert sembravano frugarle dentro. Amy sostenne il
suo sguardo, quasi a costringerlo a crederle.
Il fuoco scoppiettò nel camino.
“Aspetterò di fuori, ma solo per due minuti,” le disse alla fine e aprì
la porta. “Poi tornerò dentro, che siate pronta o no.”
Quando si tolse l’orologio dalla tasca, Amy riconobbe la cassa
incrostata di rubini su cui Robert aveva lavorato per ore, quando
ancora la vita era normale. Con uno sguardo significativo, aprì il
coperchio e uscì in corridoio, sbattendo la porta dietro di sé.
Ispirata da questa minaccia, Amy finì in tempo da record.
Chinandosi a metà fuori dal letto, mise il vaso sul pavimento, stava
chiedendosi se avrebbe avuto il tempo di slegarsi le caviglie quando
Robert rientrò. Amy si raddrizzò di colpo.
“Finito?”
Amy annuì, muta. Robert le legò nuovamente i polsi, stringendo
forte i nodi, dimostrandole in silenzio il potere che aveva su di lei, poi
sbirciò i suoi piedi sotto la coperta.
Ad Amy batté forte il cuore al pensiero che avrebbe potuto
scoprire il suo inganno.
Quando arrivò alla porta, Robert si voltò a guardarla. “Sapete, non
sono proprio il babbeo che credete che sia. Ma lo imparerete, col
tempo”
Si voltò e uscì, chiudendo a chiave la porta.

COLIN MARCIÒ DECISO fuori dalla loro casa, con lo stomaco in


rivolta per l’ansia e la frustrazione. Amy-Amy-Amy-Amy-Amy,
continuava a ripetere nella mente, senz’altro risultato che l’inizio di
un forte mal di testa.
Doveva trovarla, ma dove? Londra era piena da scoppiare di
edifici e gente e Robert poteva averla portata dovunque.
Presumendo che fosse proprio Robert ad averla rapita. E
presumendo che fossero ancora a Londra. L’enorme numero di
possibilità era sconvolgente.
Appoggiandosi alla parete della scuderia mentre sellavano il suo
cavallo, Colin si obbligò a calmarsi e a pensare chiaramente. Fece
lunghi profondi respiri, massaggiando la stella sulla fronte di Ebony
con un ritmo tranquillizzante.
Robert. Come poteva trovare Robert?
Quell’uomo doveva avere una famiglia da qualche parte. E doveva
essere una famiglia di gioiellieri, senza dubbio. Robert era stato
l’apprendista di Hugh Goldsmith e se Colin ricordava bene come
funzionava il sistema delle corporazioni, gli apprendistati erano
concordati tra le famiglie, praticamente dalla nascita. Avrebbe
scommesso che il padre di Robert era del mestiere.
Doveva solo trovare il sig. Stanley padre.

ROBERT TORNÒ PARECCHIE ore dopo, con il volto lentigginoso


pulito, i capelli arancione bagnati che si arricciavano leggermente
sulle punte. Indossava un abito marrone immacolato, con i grandi
polsini della giacca bordati in azzurro ghiaccio, i pantaloni larghi
adornati di fiocchi azzurri. Quando entrò, slacciò il mantello lungo
fino alle ginocchia e lo piegò sullo schienale di una sedia, mostrando
una cravatta inamidata, candida, bordata di pizzo e assicurata con
una spilla di diamanti. Il cappello a tesa larga aveva una piuma di
struzzo e un nastro ingioiellato. Se lo tolse e lo gettò sul tavolo di
legno malconcio con un gesto spavaldo.
“Sono pronto.”
Amy lo guardò dubbiosa. Era chiaramente vestito per
un’occasione importante. Sembrava quasi attraente in quell’abito
elegante. Alzò la testa per ispezionarlo più da vicino. “Pronto per che
cosa?”
“Per il nostro matrimonio.”
Esterrefatta, Amy lasciò ricadere la testa sul cuscino sporco. Ne
uscì uno sbuffo di polvere che le riempì le narici facendola tossire.
Come poteva pensare che avrebbe accettato di sposarlo adesso,
dopo averla rapita con la forza? Non riusciva proprio a capirlo.
Questa non assomigliava proprio alla sua idea di corteggiamento.
Quando Amy non rispose, Robert continuò, senza perdere
l’allegria. “Ovviamente oggi è domenica, quindi dovremo aspettare
fino a domani. Ma ho deciso di prepararmi prima, dato che non ho
intenzione di lasciarvi nemmeno un attimo. Mi rende nervoso.”
Quindi era bloccata lì con lui. Beh, questo non le avrebbe
certamente facilitato la fuga, che Amy era più che mai decisa a
tentare. Durante le ultime ventiquattro ore aveva deciso che oltre ad
avere una insospettata capacità di violenza, Robert era
evidentemente anche pazzo.
Sul volto di Robert apparve un’ombra di disagio. Mosse le spalle,
irrequieto prima di lasciarsi cadere su una sedia. “Non avete
intenzione di dire niente?”
“Non ho intenzione di sposarvi,” disse Amy senza mezzi termini.
In tutta risposta, Robert si alzò, mise una mano dietro la schiena e
tolse una pistola dalla cintura dei calzoni, mettendola sul tavolo.
Piano, ma Amy sentì il leggero rumore metallico. “Sì, mi sposerete.”
Amy era quasi sicura che non avrebbe usato la pistola contro di lei
—o contro chiunque altro, se era per quello. Dubitava che sapesse
come caricarla, per non parlare di sparare. Ma a quanto pare non
era stata capace di nascondere la sua apprensione perché Robert si
sedette con un sogghigno soddisfatto sul volto.
“Abbiamo un appuntamento a St. Trinity domani mattina,” le
spiegò. “Ho due testimoni che ci aspetteranno là. Vi legherò e vi
coprirò con il mio mantello. Il proprietario, qui, crede già che siate
malata; non penserà a niente quando vi porterò fuori e in chiesa.”
St. Trinity era nella Minories. Se aveva in programma di portarla là
dovevano essere ancora nella City o almeno da qualche parte a
Londra. Era una notizia gradita.
Robert avrebbe dovuto lasciarla una volta o l’altra, almeno per
ordinare del cibo e forse sarebbe riuscita a slegarsi, stordirlo quando
fosse rientrato, rubare la chiave e scappare, perdendosi in quel
meandro di strade che costituivano Londra. Avrebbe preso il
mantello per coprire la camicia da notte...
“... consegneranno il vestito e le scarpe entro un’ora,” stava
dicendo Robert. Quindi avrebbe avuto qualcosa da indossare. Le
cose sembrava migliorassero. “Ho preso accordi per farci
consegnare da mangiare.” Accidenti. Ecco che spariva la sua
ragione per uscire. “Avete fame?”
“Non importa. Non mi siederei a tavola con voi in ogni caso.”
“Avete ragione. Resterete in quel letto.”
Si fissarono malevoli. Robert distolse per primo gli occhi.
Amy continuò a fissarlo. “Non ci sono state le pubblicazioni.”
“Non importa. È una chiesa privilegiata. Ne avete sentito parlare,
presumo?”
Amy annuì brevemente. “Non dirò ‘lo voglio’.”
“Oh, lo direte.” Prese la pistola e la agitò per enfatizzare le sue
parole. “Dubito che al curato importi quello che direte, comunque.
Purché riceva il suo malloppo.”
Aveva una risposta per ogni sua obiezione. Ciononostante, da
qualche parte, nel profondo, Amy era sicura che avrebbe trovato una
soluzione.
L’alternativa era troppo orribile da prendere in considerazione.
CAPITOLO QUARANTA

“NON SO DOVE SIA, milord, mi dispiace.”


“Pensateci, signor Stanley. Per favore,” lo pregò Colin. “Devo
trovarla. Io-io la amo.”
Ecco, lo aveva detto, a voce alta, a un altro essere umano.
Purtroppo la sua confessione, anche se difficile, non sembrò fare
un’impressione molto profonda sul padre di Robert. “Sono sicuro che
la ama anche Robert, milord.” Disse cautamente James Stanley.
Era una versione più vecchia, molto più grassa, di Robert, risultato
della stessa vita sedentaria dietro a un banco di gioielliere.
Sembrava abbastanza affabile, un po’ come Robert. Eppure, la
semplice somiglianza tra i due uomini aveva destato l’immediata
antipatia di Colin.
Era gelosia? Se era così, era un’emozione intollerabile, diavolo!
“È stata promessa a Robert da quando erano bambini,” continuò il
Sig. Stanley con un tono di voce ragionevole. Vengono dallo stesso
ambiente. Possono costruire una vita insieme. Voi che cosa potete
offrirle?”
“Questi non sono affari vostri.”
Il volto di James Stanley diventò un libro chiuso, la linea sottile
delle sue labbra indicavano la sua mancanza di volontà a cooperare.
Colin sospirò, abbassando la testa. Fissò il banco vuoto attraverso
il vetro. Il negozietto era chiuso, visto che era domenica, ma Colin
aveva bussato alla porta finché il Sig. Stanley era sceso.
Fino a quel momento, Colin era stato fiducioso, la sua ricerca
durava oramai da mezza giornata. Cheapside era ancora in cenere;
nessuno accanto alle rovine della Goldsmith & Sons sapeva
qualcosa di Robert Stanley. Ma sulla Strand, casa di oltre cinquanta
gioiellerie per gli ultimi due secoli, aveva avuto fortuna: il nome e
l’indirizzo del vecchio Stanley.
Zigzagando con Ebony per il traffico del pomeriggio di Londra,
Colin aveva continuato a sperare. Contava su una buona
combinazione di ingegno e pura determinazione per trovare Amy in
questa città di oltre duecentocinquantamila abitanti, e si era convinto
che James Stanley conoscesse i programmi di suo figlio.
Ma a quanto pareva il Sig. Stanley non li conosceva, o non voleva
rivelarglieli. E ora Colin se lo era inimicato con quel commento a
caldo, privo di tatto. Si diede dello stupido; non sapeva nemmeno lui
che cosa gli aveva preso da quando aveva trovato Amethyst
Goldsmith fuori dal suo negozio in fiamme.
Nel vetro del bancone vide il riflesso dei suoi occhi verdi socchiusi.
Aveva la mascella tesa, la bocca distorta, minacciosa. Sbatté le
palpebre, sorpreso per il suo atteggiamento ostile. Immaginava che
nemmeno lui avrebbe mandato un uomo simile contro il proprio
figlio.
Deciso a riprendere un po’ di autocontrollo, obbligò le proprie
labbra a dividersi in un sorriso rigido, pieno di denti e tornò a
guardare James Stanley. “Voglio solo assicurarmi che sia quello che
vuole Amy. Io non le farei mai del male, fisicamente o in altro modo.”
“Nemmeno Robert le farebbe del male,” Sbottò il vecchio.
Colin alzò la testa, fissando Stanley nei gelidi occhi azzurri, così
simili a quelli di Robert. “C’era del sangue sulle lenzuola, Signor
Stanley.” Le parole furono calme, pacate. Dentro di sé, Colin stava
ribollendo, ma quest’uomo era la sua unica speranza di ottenere
qualche informazione e non poteva permettersi di dimostrare la sua
collera.
James Stanley sbatté gli occhi, e ansimò, dimostrando la sua
sorpresa. “Onestamente, non so dove sia,” disse dopo qualche
momento. “Non si confida con me. Ma passa le sue ore libere al
King’s Arms, a Holborn.”
ROBERT SPINSE IL CUCCHIAIO tra le labbra di Amy, ma incontrò i
suoi denti serrati. “Dannazione, Amy, dovete mangiare. Non voglio
che sveniate domani in chiesa.”
“Slegatemi e mangerò da sola. Altrimenti...” Alzò le spalle.
Robert lasciò cadere il cucchiaio nella ciotola. Ragù di funghi,
rigaglie e ostriche schizzarono in giro, macchiando la sovraccoperta.
“Fate come volete. Vi lascerete imboccare quando avrete
abbastanza fame.”
Mai, pensò Amy. Non gli avrebbe mai dato quella soddisfazione.
Robert si alzò dal letto, andò alla finestra e strofinò il pugno sul
vetro sporco, cercando di guardare di fuori. Poi, rinunciando, si gettò
su una delle sedie di legno, con le gambe tese in avanti in un goffo
tentativo di sdraiarsi.
Gli occhi attentamente socchiusi di Amy seguivano ogni suo
movimento. Robert si stava annoiando, stufo di aspettare. Bene.
Forse si sarebbe stancato a sufficienza da pensare di uscire per un
po’.
Robert sbadigliò, rumorosamente, senza preoccuparsi di coprirsi
la bocca. Amy fece una smorfia alla vista dei denti storti, chiedendosi
come avesse mai avuto lo stomaco di lasciarsi baciare.
Robert sbadigliò di nuovo. Era incoraggiante. Se si fosse
addormentato, avrebbe avuto l’opportunità di slegarsi. Strinse
leggermente i denti, non vedeva l’ora di usarli per allentare i legacci.
Bussarono alla porta, e Robert sobbalzò.
“Era ora,” ringhiò, alzandosi per aprire.
Un uomo spinse una grande scatola tra le braccia di Robert.
Frugandosi in tasca, Robert prese una moneta e la sbatté sul palmo
dell’uomo, poi si voltò e chiuse la porta con un calcio. Appoggiò la
scatola sul tavolo. “Volete vederlo?”
Senza aspettare la sua risposta, Robert tolse il coperchio alla
scatola e ne tolse un vestito azzurro ghiaccio. Scuotendolo, lo alzò
davanti a sé. “Visto? È intonato al mio vestito,” le fece notare con
uno stupido sorriso.
Era evidentemente contento di sé, e gli era tornato il buonumore.
E perché no? Rifletté Amy. Aveva programmato tutto fino all’ultimo
dettaglio e tutto procedeva alla perfezione.
“Sembreremo degli sposi perfetti,” si vantò Robert.
Amy fece un versaccio. Avere gli abiti intonati era l’ultima cosa
nella sua lista di priorità. Però doveva ammetterlo, Robert aveva
buon gusto.
Come aveva fatto a procurarsi quell’abito così bello in poche ore,
e di domenica? Il satin era ricamato con piccoli fiori e foglie
d’argento e piccoli gruppi di perle suggerivano grappoli d’uva. Robert
lo stese in fondo al letto e appoggiò sopra le scarpine azzurre
coordinate. Sembrava potessero andarle bene.
Amy si rincuorò. Con un abito simile poteva fermare una carrozza
a nolo senza che il vetturino sospettasse che non aveva i mezzi per
pagarlo. Un altro problema risolto.
Si permise un mezzo sorriso—solo mezzo, perché Robert non
sospettasse.

L’INSEGNA SULLA TAVERNA per il ceto medio ondeggiava piano


nel vento leggero, con le parole ‘King’s Arms’ dipinte con vernice
fresca brillante. Colin entrò.
La clientela era seduta in gruppetti conviviali ai lunghi tavoli di
legno con le panche. Erano in genere gruppi di gente benestante
anche se non aristocratica—mercanti ed avvocati, architetti e editori,
raccolti per scambiarsi notizie e trovare compagnia alla fine di una
giornata di lavoro. Molti bevevano caffè, un mezzo noto per
combattere la sonnolenza e stimolare lo spirito, e la stanza allegra
era piena del ronzio di conversazioni animate e del leggero profumo
del fumo di tabacco. Colin riusciva facilmente a immaginare che un
titolato o due si fermasse in quest’ambiente caldo e amichevole
quando aveva voglia di abbassarsi a mischiarsi alla gente comune.
Da dietro il bancone, il proprietario alzò gli occhi e poi si affrettò ad
avvicinarsi. Notando la spada e gli speroni di Colin, il tessuto fine e il
taglio della sua giacca, lo riconobbe immediatamente per quello che
era.
“Posso aiutarvi, milord...”
“Greystone. Sto cercando un uomo che mi dicono frequenti questo
locale, un certo Robert Stanley.”
Gli occhi scuri, intelligenti del proprietario ispezionarono la sala.
“La vostra informazione è corretta. Ma non c’è adesso.”
“Forse qualcuno sa dove potrebbe essere?”
“È possibile. Normalmente si siede là—la gente è abitudinaria,
sapete.”
Indicò un tavolo al centro della stanza, affollato di giovanotti
gioviali con boccali di birra sul tavolo. La conversazione cessò
quando Colin si avvicinò.
Fece del suo meglio per mettere un sorriso anche nella voce oltre
che sul volto. “Sto cercando Robert Stanley.”
Per un momento ci fu silenzio, i volti attorno al tavolo erano cauti e
sospettosi. “È forse nei guai?” Chiese lentamente un uomo.
“Ultimamente è stato—”
Smise di parlare quando l’uomo accanto a lui gli diede una forte
gomitata nelle costole.
Il sorriso lasciò il volto di Colin. Studiò il tavolo, concentrandosi
uno per uno sugli amici di Robert. “È una questione di una certa
urgenza. Sembra che il Sig. Stanley abbia rapito una signora di
nostra conoscenza. Sono disposto a pagare per l’informazione.”
L’amicizia a quanto pare arrivava solo fino a un certo punto. Colin
non sapeva se fosse per la serietà dell’accusa o l’offerta di denaro,
ma gli uomini si risvegliarono di colpo.
“Sono settimane che sta cercando la sua promessa sposa. È lei?
Forse è andata con lui spontaneamente.”
“Ha pagato qualcuno per farsi indicare la residenza del Marchese
di Cainewood.”
“Ieri, ha chiesto dove trovare una chiesa privilegiata. Gli ho parlato
della St. Trinity, nella Minories.”
“Io gli ho detto che mia sorella si è sposata a St. James.”
Chiese privilegiate. Un matrimonio forzato. Colin avrebbe voluto
prendersi a calci da solo per non aver pensato a quella possibilità.
Avrebbe potuto risparmiare ore chiedendo semplicemente dov’erano
quelle chiese e andare direttamente lì.
Bene, l’intuizione di Ford, anche se non completamente corretta,
aveva portato alla verità. Colin respirò.
Era sulla pista giusta.
“Qualcuno di voi potrebbe dirmi dov’è il sig. Stanley adesso?”
Gli uomini scossero la testa. “È da ieri che non lo vediamo,”
aggiunse uno di loro.
“Dove si trova St. James?”
“A Duke’s Place.”
“Grazie, signori.” Colin frugò nella borsa e lanciò una manciata di
monete sul tavolo. Se ne andò di corsa, senza dire un’altra parola.
Le due chiese in questione erano appena fuori dalle mura delle
città, e Amy era stata rapita la notte prima. Se Robert Stanley aveva
fatto i conti giusti, forse era già sua moglie.
CAPITOLO QUARANTUNO

ROBERT ERA APPOGGIATO precariamente sulle gambe posteriori


della sedia di legno scassata e si puliva i denti con un’unghia.
“Allora... siete pronta a parlare?”
Continuando a fissarlo, Amy rabbrividì. Sperava che cadesse e si
spaccasse la testa. “Volete dire discutere qualcosa? Come se
abitaste ancora nella casa di mio padre e ci fosse qualcosa tra di
noi?”
“Io vi voglio bene, Amy.”
“Sembrate perfino sincero.” Alzò i polsi legati, la pelle arrossata e
abrasa. “Avete un modo insolito di dimostrarlo.”
Robert si chinò in avanti e le gambe anteriori della sedia toccarono
il pavimento con un tonfo. “È per il vostro stesso bene. Siamo
destinati a stare insieme e voi vi rifiutate di cooperare. Dopo che
saremo sposati—a avrete avuto un figlio mio—sarete d’accordo.”
Non avrebbe mai avuto un figlio da lui, giurò mentalmente Amy—
mai. Avrebbe preso mille purghe, piuttosto. Si sarebbe gettata dalle
scale. Qualunque cosa servisse.
“Dove sono i gioielli?” Chiese Robert all’improvviso.
Amy lo fissò senza battere ciglio. “Non li ho.”
“Questo è ovvio. E una sfortuna, perché mi piacerebbe scegliere
qualche pezzo per completare il vostro abito di nozze, domani.” Le
rivolse un sorriso faceto, che svanì in fretta. “Non importa.
Riappariranno appena saremo sposati, no?” Si alzò dalla sedia, si
avvicinò al letto e si chinò sopra di lei. “No?”
Amy gli sputò in faccia.
Robert rimase sospeso su di lui per un momento, incredulo. Poi la
sua mano si mosse in fretta e le diede uno schiaffo, facendole
voltare la testa.
Ad Amy vennero le lacrime agli occhi, ma non voleva piangere.
Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla ridotta a un fascio
tremante di nervi.
“Questo è stato un errore,” dichiarò Robert a denti stretti. “Volete
tentare di nuovo?”
Amy scosse appena la testa.
“Molto bene allora,” si voltò e si lasciò cadere di nuovo sulla sedia,
allungando le gambe e incrociandole alle caviglie. “Ora, prima avete
detto che vi dispiaceva che avessimo litigato e che avreste voluto
rimediare. Stavate mentendo?”
Amy non rispose.
“Stavate mentendo?”
Amy voltò la testa. “Non vi sposerò.” Sussurrò rivolta alla parete.
“Cosa? Che cosa avete detto?”
“Non vi sposerò, Robert Stanley!” Amy stava quasi urlando. “Non
ora, non domani, né mai!”
Sapeva che era la cosa sbagliata da fare; avrebbe dovuto agire
come se fosse consenziente e aspettare di avere una possibilità di
scappare. Ma la ribelle in lei prese il sopravvento; non riuscì a farne
a meno.
Robert balzò in piedi e si chinò ancora sopra di lei. “Oh, sì che lo
farete. Sono un figlio minore. Non ci sono eredi di orafi in fila per
sposarmi. Se non avrò voi non avrò niente. Quella pistola—” indicò
la pistola sul tavolo, “—garantirà che mi sposerete.”
In quel momento sembrava abbastanza infuriato da usarla.
“Non osereste—” mormorò Amy.
“E, come assicurazione,” continuò lui, con gli occhi pallidi che
splendevano folli, “Ho tutte le intenzioni di prendere la vostra
verginità questa notte.” Fece una pausa, leccandosi le labbra
carnose mentre rifletteva sull’idea. “Ah, sì. Una promessa di
matrimonio consumata vale tanto quanto un matrimonio, no?”
Amy riuscì ad appoggiarsi ai gomiti. “I documenti del nostro
fidanzamento sono bruciati nell’incendio. Sarebbe la vostra parola
contro la mia. Mia zia Elizabeth giurerà che suo fratello non mi
avrebbe mai promessa a un tipo come voi.”
Robert sembrò preso in contropiede per un attimo. “Posso sempre
rovinarvi per chiunque altro, no? Non avrete altra scelta che sposare
me, poi.”
“Arrivate tardi, Robert Stanley.” Ribatté Amy, senza riflettere. “Un
altro ha già avuto quell’onore.”
Lo fissò torva, risoluta, pur sapendo quanto quell’ammissione lo
avrebbe fatto infuriare.
Robert saltò sul letto, e si accucciò sopra di lei con le mani ai lati
della sua testa. “Chi è stato?” Spingeva le mani sul cuscino a ogni
parola, per sottolinearle. “Chi è stato?”
Amy non osava dirglielo.
“Chiunque sia stato, lo ucciderò. Lo giuro. Voi siete mia.” Il
materasso continuava a rimbalzare, punteggiando le sue parole,
facendole aumentare il mal di testa che prima si era attenuato, fino a
farlo diventare un dolore lancinante.
Gli occhi pallidi di Robert si strinsero mentre ringhiava in fondo alla
gola. “È stato Greystone, vero? Quel bastardo.”
Evidentemente la paura sul volto di Amy era tutto quello che gli
serviva come conferma, alzò il pugno e lo sbatté verso di lei, ma
Amy era pronta e tirò via la testa in tempo.
“Robert!” Urlò. “Che cosa siete diventato? Guardatevi!”
E, miracolosamente, lui lo fece. Tenendosi in mano il polso che
aveva ammaccato contro il materasso lo fissò come se fosse un
corpo estraneo. Poi scese lentamente dal letto e andò al tavolo.
Si sedette, lasciò cadere la testa sulla superficie con un tonfo e
rimase lì, perfettamente immobile.
Amy lasciò andare il fiato che aveva trattenuto. Stava tremando
dalla testa ai piedi.
Doveva andarsene da lì prima che la violentasse. Represse un
singhiozzo alla semplice idea, alla possibilità che lui violasse il suo
corpo, spingendosi dentro di lei. Le sembrava un atto
completamente diverso da quello che aveva compiuto con Colin, e
non credeva di poter sopportare il disgusto e l’umiliazione.
Robert sollevò la testa dal tavolo. Respirava ansimando. “Vi è
piaciuto, vero?” Le chiese con un basso sussurro minaccioso. “La
fredda, corretta Amethyst Goldsmith.”
Amy trasalì, ma non rispose. Guardava fissa i freddi occhi azzurri,
preparandosi a reagire se l’avesse aggredita un’altra volta.
I minuti passavano in silenzio. Lo sguardo di Robert rimaneva
incollato a lei. La sua espressione stava diventando dura e risentita.
“Farete meglio a pregare di non avere in pancia il suo bambino,”
dichiarò in un tono completamente privo di emozione. “Perché se
così fosse, giuro che lo ucciderò.”
Un brivido gelido percorse la schiena di Amy.
“Robert Stanley,” continuò lui. “Non alleverà il figlio di un altro
uomo.”
CAPITOLO QUARANTADUE

COLIN ARRIVÒ A ST. JAMES, la prima chiesa fuori Aldgate proprio


mentre si stava concludendo la funzione serale.
La congregazione era scarsa. La religione non era più molto in
auge da quando Charles e la sua corte di scarsa moralità
governavano a Londra e nessuno, eccetto alcuni commercianti e
contadini si preoccupavano di andare in chiesa, eccetto quando era
obbligatorio, per i battesimi, matrimoni e funerali. Non essendo
un’eccezione alla norma, Colin si agitò impaziente, rigirandosi
l’anello sul dito mentre il curato finiva il suo noioso, lunghissimo
sermone.
Nell’attimo in cui i parrocchiani cominciarono a uscire, Colin si
avvicinò al pulpito, aprendosi la strada a spallate per la fretta.
“Scusatemi, Padre,” lo chiamò quando era a metà della navata.
“Avete sposato una coppia ieri—lui una testarossa e lei piccolina con
i capelli neri e—”
“Volete esaminare i registri dei matrimoni, figliolo?”
Colin fece una smorfia sentendo il divertimento nella voce del
curato; chiaramente l’uomo era abituato ai corteggiatori innamorati
cui avevano rubato la sposa da sotto il naso.
Il curato gli mostrò il registro, c’erano nove registrazioni datate il
giorno precedente—nessuna di loro un Robert o una Amy.
“Li avete visti?” Insistette Colin. “Forse sapete dove—”
“Non è venuto nessun altro a farsi sposare ieri. Forse sono andati
a St. Trinity?”
Colin era già fuori dalla porta.
Il registro dei matrimoni a St. Trinity aveva registrato undici
cerimonie, e il cuore di Colin sembrò dilatarsi in petto mentre
controllava la lunga lista. Quando raggiunse la fine senza vedere i
nomi che cercava, barcollò fino a una panca in prima fila e si lasciò
cadere.
“Avete trovato quello che cercavate?” Gli chiese gentilmente il
curato grassoccio.
“No, ed è un sollievo. Non si sono sposati qui, e non si sono
sposati a St. James.” Amy non era ancora sposata. Colin crollò sulla
panca, con il polso che tornava al solito ritmo.
Finché non gli venne in mente qualcosa.
Si alzò di colpo. “C’è qualche altro posto a Londra dove qualcuno
può sposarsi—ah—in fretta, senza licenza?”
Gli amici di Robert ne avevano raccomandati due, ma—
“No.” Il curato sogghignò, palesemente contento di dividere la sua
pratica lucrativa con solo un altro ecclesiastico. “Non a Londra. In
campagna, vicino a Oxford...”
Colin esalò un lungo respiro. “Troppo lontano. Si sono mossi tardi
ieri sera.”
Il curato si passò la lingua sui denti storti, riflettendo. “Questa
coppia, ieri sera tardi. Non è che lui avesse i capelli rossi, vero?”
Il cuore di Colin mancò un battito. “Sì, e lei è piccolina, capelli
scuri—”
“Non ho mai visto la donna. L’uomo ha detto che lo aspettava di
fuori e che probabilmente sarebbe stata... riluttante, credo sia il
termine che ha usato.”
Grazie a Dio. Dopo aver abbandonato Amy nella residenza di città
senza nemmeno dirle addio, una piccola, insicura, parte di Colin si
chiedeva se il sangue potesse venire da un banale incidente, se
Amy potesse voler sposare Robert, date le circostanze.
“Li aspetto qui domani mattina.”
“Devo trovarli stasera. Lei potrebbe essere ferita...”
Il Prete rifletté. “Devono essere qui vicino, dato che aveva in
programma di tornare sul presto. Forse in una locanda qui vicino.
Potreste tentare a Fenchurch Street.”
“Grazie, Padre.” Colin era così sollevato che aveva voglia di
baciare il grasso curato calvo, ma pensò che non fosse corretto, con
un uomo di Dio. Invece, lasciò cadere una moneta nella cassettina
mentre usciva.
Il curato si affrettò ad andare a prenderla appena la porta si
chiuse. Argento. I grossi denti storti brillarono alla luce della candela
mentre si metteva la moneta in tasca.
Poteva aver perso l’introito di un matrimonio, ma non importava
molto. Oltre millecinquecento coppie impazienti ogni anno trovavano
la strada del suo altare.

NON ERA ARRIVATA nessuna richiesta di riscatto.


Un fuoco scoppiettante riscaldava il salotto, ma il nodo nello
stomaco di Kendra rifiutava di sciogliersi. Ford era seduto accanto a
lei e le teneva la mano e avrebbe potuto darle conforto se il continuo
camminare su e giù di Jason non l’avesse fatta ammattire.
Si morse la guancia, tormentando la carne morbida con i denti.
Non riusciva ad allontanare la sensazione di aver almeno un po’ di
colpa. Avrebbe dovuto andare a controllare Amy molto più presto.
Avrebbe dovuto prendere più seriamente le minacce di Robert.
Continuava a rivedere nella mente la scena del giorno prima,
cercando un indizio su che cosa potesse aver programmato Robert.
Di colpo impallidì e si sedette diritta. “Mi sono appena ricordata
qualcosa,” mormorò.
Jason smise di camminare. “Che cosa?”
“Robert ha detto che passava il suo tempo a bere al King’s Arms.
Forse qualcuno là—”
“Oh, questa è un’informazione veramente utile,” la schernì Ford. “
Il King’s Arms.” Sbuffò. “Ce ne devono essere due dozzine in città,
almeno. Per non parlare del King’s Head e altre parti assortite del
suo corpo—metà delle taverne e locande hanno adottato un nome
nuovo dopo la Restaurazione.”
Kendra si alzò. Piantando i piedi con un atteggiamento di sfida, si
mise le mani sui fianchi. “Non posso più restarmene qui ad
aspettare,” dichiarò.
Lo sguardo di Ford andò a Jason, come per chiedere a lui, e
Jason alzò le spalle. “Immagino che non faccia male chiedere in
giro,” disse con un sospiro.
Kendra era già fuori dalla porta, con i fratelli al seguito.
CAPITOLO QUARANTATRE

MENTRE IL SOLE scompariva, la finestra sporca si scurì fino a


diventare nera. Amy si sforzava di restare sveglia. Ne andava della
la sua vita. Se si fosse addormentata e avesse dormito fino al
mattino, le sue probabilità di scappare si sarebbero ridotte a niente.
E la vita come moglie forzata di Robert Stanley non valeva la pena
di essere vissuta.
La sua sola speranza era che si addormentasse lui, abbastanza
profondamente da permetterle di slegarsi e prendergli la chiave dalla
tasca. Si era appisolato un paio di volte, ma si era sempre svegliato
di colpo, con i suoi freddi occhi sospettosi che la cercavano.
Non aveva detto una parola dopo averla minacciata di uccidere il
suo bambino.
Aspettando per ore che Robert cedesse al sonno, le sue emozioni
ribollivano. La rabbia aumentava per la sua capacità di controllarla
solo perché era più grosso e più forte. Altri giovani uomini tiravano di
scherma, si allenavano con i coltelli e le pistole, passavano ore a
boxare per perfezionare le loro capacità. Non Robert. Passava le
sue ore libere bevendo, giocando e andando a donne, e il suo fisico
molliccio lo dimostrava. Eppure quel corpo non allenato pesava il
doppio di lei e aveva una forza folle che rendeva lei praticamente
impotente.
Amy restava ferma, cercando di non farsi notare per quanto
possibile per evitare la sua ira, sentendosi alternativamente furiosa,
ribelle, disperata, determinata e frustrata. E tra un’emozione e l’altra,
cercava di calmare il polso irregolare, dicendosi di pensare ai
momenti belli del passato e a quelli che sarebbero arrivati, quando in
qualche modo fosse riuscita a togliersi da quella situazione
impossibile.
Più che altro pensava a Colin.
Si mise le mani legate sull’addome come a proteggerlo. Era
possibile? Non aveva mai preso in considerazione quella
conseguenza ipotetica quando era tra le braccia di Colin. E lui?
Aveva sentito che c’erano cose che le donne potevano fare per
prevenire una gravidanza, ma i dettagli non erano chiari. C’erano
cose che potevano fare anche gli uomini? E Colin lo aveva fatto?
Anche se imbarazzata per la sua ignoranza, Amy pensava di no. Era
sembrato troppo emotivamente coinvolto per preoccuparsi di
prendere delle precauzioni.
Contò all’indietro con attenzione. Erano passati sedici giorni dalla
prima volta che era andata a letto con lui. Il suo flusso mensile
sarebbe dovuto arrivare il venerdì precedente, ma non si era
preoccupata quando non era arrivato; il suo corpo era notoriamente
irregolare.
Era troppo presto per saltare alle conclusioni, ma comunque... il
suo cuore batté più in fretta al pensiero. Anche in quel momento, il
figlio di Colin poteva essere al sicuro dentro di lei. Non pensò
nemmeno per un momento che potesse essere una femmina. Nella
sua mente, il suo corpo conteneva una piccola, esatta, replica di
Colin Chase.
Ora aveva una ragione in più per assicurarsi di scappare. Se fosse
stata tanto fortunata da concepire il figlio di Colin, lo avrebbe amato
per tutta la vita. Avrebbe messo su il suo negozio di oreficeria e
avrebbe allevato il loro bambino a Parigi.
Avrebbe avuto per sempre un pezzo di Colin.
Sorrise, un sorriso lento e segreto, prima di ricordare in che
situazione si trovava e guardò Robert dall’altra parte della stanza.
Stava dormendo, con la testa che ciondolava da una parte, la bocca
aperta e rilassata. Respirava a fondo e lentamente.
Grazie Dio,
Con il cuore che batteva forte per l’eccitazione, si portò i polsi alla
bocca e tastò il nodo. I denti scivolarono dal nodo stretto e
sbatterono con un suono che sembrò fortissimo nella stanza
silenziosa, ma Robert non si mosse e lei continuò a lavorare sul
nodo, allentandolo poco per volta.
Mezz’ora dopo le facevano male le braccia per averle tenute
alzate tanto a lungo, aveva le labbra screpolate e indolenzite per
averle strofinate contro il tessuto imbevuto di saliva, ma le mani
erano libere.
Si liberò in fretta dei legacci alle caviglie e si alzò con le gambe
tremanti. Dopo una ventina di ore sdraiata sulla schiena, le ginocchia
minacciavano di piegarsi sotto di lei, ma Amy rifiutò di cedere alla
debolezza. Obbligando il suo corpo a ubbidire, prese il vestito
azzurro ghiaccio dai piedi del letto e lo passò sopra la testa,
trattenendo il fiato quando il satin frusciò mentre ricadeva. Arrotolò le
maniche della camicia da notte sotto quelle dell’abito, tirò i lacci per
chiuderlo sul petto e attaccò a casaccio la pettorina. Poteva finire di
vestirsi quando fosse stata fuori, al sicuro.
Infilando i piedi nelle scarpine abbinate, un po’ larghe, ma
potevano andare, andò in punta di piedi da Robert. Il cuore le
batteva tanto forte che era quasi convinta che il rumore lo avrebbe
svegliato.
Benedicendo in silenzio i poteri superiori che avevano decretato la
moda dei pantaloni larghi con tasche profonde, si accucciò dietro di
lui e inserì la mano in una tasca. Al primo tentativo trovò una
fiaschetta di polvere da sparo, alcune palle e pezzettini tessuto, ma
niente chiave.
Si fermò un momento, sorpresa che Robert fosse pronto a usare
la pistola. Quando tolse la mano, Robert fece un respiro roco,
profondo, inspirando con un sonoro russare e Amy restò immobile
per due minuti buoni prima di osare cercare nell’altra tasca.
Quando le dita si chiusero sulla pesante chiave fredda, riuscì a
malapena a contenere la contentezza. Era a un passo dalla libertà.
Ricordandosi di muoversi senza far rumore nonostante la fretta, si
alzò in piedi. Vide la pistola sul tavolo. Luccicava alla debole luce del
fuoco, il calcio riccamente intarsiato di filo d’argento, avrebbe potuto
essere l’opera di un ottimo gioielliere. Pensò per un attimo di
prenderla, ma l’abito non aveva tasche e comunque non aveva la
minima idea di come fare a sparare. Distogliendo a fatica gli occhi,
andò alla porta in punta di piedi.
La chiave girò nella serratura con un orribile cigolio ma Amy non
guardò indietro.
Corse nel corridoio in penombra, pieno di polvere.
Una delle scarpine troppo grandi minacciò di uscire, facendola
inciampare e barcollare. Sentì di colpo un rumore di passi, poi uno
strappo e per la seconda volta in due giorni, si ritrovò in ginocchio. Il
considerevole peso di Robert atterrò sulla sua schiena e lei cadde in
avanti.
“Gesù santo,” le sibilò all’orecchio. “Pensavo aveste imparato la
lezione a questo punto. La strattonò per farla alzare, con una mano
che saliva a coprirle la bocca e attutire il suo urlo imminente. Amy si
guardò disperatamente intorno, ma non c’era nessuno che potesse
aiutarla.
Il freddo acciaio della canna della pistola le premette sul lato del
collo. Avrebbe dovuto prenderla.
CAPITOLO QUARANTAQUATTRO

COLIN AVEVA CONTROLLATO le otto locande più vicine a St.


Trinity ma non aveva trovato traccia di Amy.
La sua delusione era un dolore fisico, una pesantezza nel petto,
aumentati da un senso di disastro imminente. Arrivare fino a quel
punto, attraversare avanti e indietro la città, un indizio dopo l’altro e
poi...
Niente.
E da qualche parte Amy stava... cosa? Dormendo, soffrendo,
spaventata, maltrattata? Beh, era ancora domenica, quindi anche se
avesse lasciato Londra, era quasi sicuro che non fosse sposata.
Ancora.
Forse era sulla pista sbagliata. Forse avrebbe dovuto tornare a
casa del padre di Robert, oppure al King’s Arms e chiedere se
qualcuno aveva sentito qualcosa di Robert nelle ore precedenti.
Voleva ricominciare a fare il giro e aveva appena slegato Ebony
quando un lucore giallastro in fondo alla strada colse il suo sguardo,
penetrando nella fitta nebbia. A quest’ora, in questo ambiente, dove i
cittadini non potevano permettersi il lusso di tenere le candele
accese a mezzanotte, dove la gente per bene andava a letto con il
buio e si alzava all’alba, la luce poteva significare una sola cosa: una
taverna.
Saltò in groppa a Ebony e cavalcò lungo la strada buia e vuota
verso la luce. Stanco e sconsolato, Colin riuscì a raccogliere solo
una briciola di speranza di poter arrivare in fondo alla sua ricerca.
Mentre si avvicinava la luce che usciva dalla finestra sporca illuminò
un’insegna che diceva ‘The Cat and Canary’, Il Gatto e il Canarino, e
un’occhiata al piano superiore gli assicurò che, in effetti, c’erano
delle stanze da affittare.
Colin assicurò Ebony sotto una rozza tettoia dall’altra parte della
strada, poi si prese un po’ di tempo per ringraziarlo dei suoi servigi e
della sua compagnia con un secchio di acqua stagnante e una
forcata di fieno. Dopo tutto, con tutti i posti che c’erano a Londra,
non c’era ragione di credere che Amy fosse lì.

ROBERT SPINSE AMY nella stanza e la gettò sul letto. Puntò la


pistola nella sua direzione con una mano tremante mentre cercava
di chiudere a chiave la porta con l’altra.
“Per favore, Robert.”
“State zitta. Non voglio sentire più niente da voi.” Girò
freneticamente la chiave, con le mani maldestre. “Che siate dannata,
Amy. La pagherete. Vi giuro che la pagherete.”
Riuscì finalmente a chiudere la porta e si voltò, con gli occhi folli,
ispezionando la stanza. Con una risata sinistra e uno scatto del
polso, gettò la chiave tra le fiamme del camino.
“Ecco,” le disse. “La riprenderò domani mattina, quando la cenere
sarà fredda. Fino ad allora non ne avremo bisogno, no?”
Amy si tirò indietro finché la schiena premette contro la testata
sporca del letto. Tirò su le ginocchia e le strinse al petto.
Robert alzò un braccio e le puntò nuovamente contro la pistola.
“Sdraiatevi!” abbaiò, agitando follemente la pistola.
Amy si lasciò cadere sul materasso, rannicchiata ed emise un
gemito mentre il panico le chiudeva la gola. Piagnucolò di nuovo
mentre guardava Robert che passava la pistola nella mano sinistra
per aprire la fibbia della cintura con la destra.
Chiuse stretti gli occhi, come se facendolo potesse bandire dal
mondo Robert, la sua pistola e la sua cintura. Si aspettava di sentire
da un momento all’altro la sferzata lacerante della cintura sulla pelle.
Invece sentì Robert che si gettava sopra di lei, appiattendola
contro il materasso. La pistola cadde sul pavimento di legno con un
tonfo sonoro e Amy si voltò sotto di lui, con l’intenzione cercare di
prenderla. Ma Robert le premette le spalle contro il letto con le mani
carnose e la testa scese sulla sua, bloccandole la visuale e
l’accesso all’arma.
Premette le labbra sulle sue, maltrattandole crudelmente la bocca,
finché Amy sentì il sapore metallico del sangue. Alzò le mani per
respingerlo ma senza successo, era semplicemente più forte e più
pesante di lei. La obbligò ad aprire i denti, inserendole in bocca la
lingua scivolosa. Amy la morse forte, ma Robert sembrò non notarlo
nemmeno, nemmeno quando il suo sangue caldo, salato, le fluì in
bocca.
Ebbe un conato di vomito. E desiderò che l’avesse picchiata.
Una vita dopo, con Amy inchiodato sotto il peso del suo corpo,
Robert si alzò sui gomiti, e, con la bocca finalmente libera, Amy urlò.
Robert rise selvaggiamente. “Non arriverà nessuno,” la derise.
“Pensano tutti che stiate delirando. E li ho pagati bene. Sarete mia
dopo questa notte,” ringhiò. “Nessun altro vi toccherà mai più.”

COLIN SPINSE LA PORTA della locandache si aprì con un cigolio


prolungato, mostrando un interno incrostato di sporcizia accumulata
da anni. Entrò e si guardò attorno. Era veramente un peccato che
l’incendio non fosse arrivato fin lì, pensò disgustato. Era proprio quel
tipo di esca per gli incendi di cui Londra doveva liberarsi.
L’aria era piena della puzza nauseante di cibo rancido. Alcuni
uomini malmessi e dall’espressione cupa erano seduti a conversare
a un tavolo. Non c’era un proprietario in vista. Tutto intorno c’era
silenzio.
Colin non riusciva a immaginare Amy in un posto simile, anche
come ostaggio di Robert. Si voltò per uscire, ma si ritrovò a
guardarsi alle spalle a disagio. Dopo un momento, si rivolse al
gruppetto eterogeneo al tavolo. “Scusatemi, ma c’è qualcuno al
piano di sopra?”
La risposta fu un misto di alzate di spalle e grugniti che Colin
prese per una negazione. Uno degli uomini alzò la faccia gonfia,
mostrando la sua sorpresa di trovare qualcuno della classe di Colin
in quella taverna.
Colin si concentrò su di lui. “Sto cercando qualcuno...”
“Chiunque stiate cercando voi sarebbe a Leadenhall Street,” disse
l’uomo, inclinando la testa verso la strada dall’altra parte, dietro la
rozza tettoia dove Colin aveva ritirato Ebony. “Cercate alla Rose 'n'
Crown.”
“Vi ringrazio molto,” rispose Colin, andando verso l’entrata. Non
riusciva ad aspettare un minuto di più per uscire da quel posto
deprimente.
A metà strada verso la porta, sentì un tonfo da sopra. Gli si gelò il
sangue. Si voltò di colpo. “Siete certo che non ci sia nessuno di
sopra?”
Avrebbe giurato di aver sentito un grido attutito. Gli uomini non
reagirono, uno di loro si alzò lentamente con le gambe della sedia
che strisciavano sul pavimento di legno.
“Non c’è nessuno di sopra,” dichiarò, passando la mano sudicia
sui capelli disordinati che avrebbero potuto essere gialli se non
fossero stati così unti.
Un urlo. Isterico. Insistente. L’ansia fece accelerare il polso a Colin
e gli sembrò che il cuore gli esplodesse in petto. Notando la rozza
scala in fondo, si avvicinò.
L’uomo dai capelli gialli si mosse in fretta intorno al tavolo e lo
bloccò. Prese un lungo coltello arrugginito dalla cintura e lo brandì in
faccia a Colin, “Non potete salire.”
Da sopra risuonò un altro grido. La mano di Colin andò all’elsa
della spada... e poi alla borsa. Estrasse una ghinea d’oro e la gettò
sul tavolo, con gli occhi che fissavano quelli dell’uomo.
“Stanza sei,” borbottò l’uomo, voltandosi a raccogliere la moneta e
provarla con denti. “Terzo piano.”
Colin si precipitò sulla scala traballante.

ROBERT STRAPPÒ UN LATO della pettorina di Amy e diede uno


strattone ai lacci. Divise il corpetto e le liberò il seno lacerando il
fragile tessuto della camicia da notte, poi li afferrò con entrambi le
mani, avvicinandoli.
I pallidi occhi azzurri brillavano come quelli di un pazzo. Sbatté le
labbra.
Si avventò sul seno, succhiando e mordendo la carne sensibile,
senza far caso agli urli di Amy. Né si fermò quando lei gli afferrò la
cravatta e gli tirò i capelli. Il fiato di Robert era pesante e la puzza di
birra stantia e vecchio vomito si diffondeva nell’aria intorno a loro.
Robert inserì una mano tra i loro corpi, cercando disperatamente
di slacciarsi i calzoni.
Amy gli graffiò il volto, lunghi graffi sanguinanti sulle guance. Ma
invece di fermarsi, Robert ringhiò e afferrò le voluminose sottane
dell’abito da sposa, ammucchiandole intorno alla vita insieme alla
camicia da notte.
Anche se aveva pensato di non poter avere più paura di così, la
sensazione dell’aria fredda sulle estremità fece aumentare il volume
delle inutili urla di Amy. Quando Robert spinse un ginocchio tra le
sue gambe allargandole, la sua angoscia fu così acuta da sovrastare
qualunque dolore fisico.
CAPITOLO QUARANTACINQUE

I NUMERI SULLE porte erano troppo sbiaditi per poterli leggere nel
corridoio buio. Ma c’era solo una stanza che Colin stava cercando e i
singhiozzi inconfondibili di Amy lo condussero direttamente lì.
“Stanley!” Picchiò con entrambi i pugni sul legno marcio che lo
divideva dalla donna che amava e il suo rapitore. “Aprite! Subito!”
Si tolse la giacca e la gettò per terra. Arretrò di qualche passo, poi
corse verso la porta e sbatté contro con una spalla—la vecchia
serratura cedette, la porta si spalancò verso l’interno sbattendo
contro la parete, restando a malapena sui cardini.
Sorpreso, Robert rotolò via da Amy e scivolò verso la sponda del
letto, cercando con la mano per trovare la pistola sul pavimento.
Sbattendo gli occhi e piagnucolando, Amy si alzò sui gomiti, con lo
sguardo fisso su Colin sulla porta. Colin fece un passo avanti mentre
Robert si alzava, con una mano che teneva la cintura dei calzoni
slacciati e l’altra che stringeva la pistola. Un’espressione animalesca
induriva il volto insanguinato.
Colin fece un altro passo.
“State indietro, Greystone, bastardo!” La pistola vacillò mentre
Robert ruggiva, “Lei è mia.” Il cane era parzialmente alzato, la pistola
era pronta e ora Robert tirò l’otturatore.
Nella stanza si sentì un clic minaccioso.
Con una furia che gli bruciava in petto, Colin continuò ad
avanzare.
Il volto di Robert mostrò puro panico, oltre la ragione. Il braccio si
agitò all’impazzata mentre tirava il grilletto. La pistola sparò con un
rumore di tuono.
Amy emise un grido di terrore, ma Colin non trasalì nemmeno,
continuò ad avanzare. La pallottola si era conficcata da qualche
parte nella parete del corridoio. Robert era rimasto con una pistola
fumante in mano, e l’odore pungente della polvere da sparo tutto
intorno a lui.
Non c’era tempo sufficiente per ricaricare nemmeno per una
persona esperta e Robert aveva già dimostrato di non essere un
esperto. Gettò la pesante pistola contro la testa di Colin, che schivò
e poi, mentre rialzava la testa, tolse la spada dalla cintura con un
gesto abile, fluido.
Senza la falsa sicurezza datagli dalla pistola, Robert sembrò
ritirarsi su se stesso. Colin vide la verità nei suoi occhi: Robert
sapeva di non essere all’altezza del Conte di Greystone, lo aveva
saputo dal momento in cui Colin era entrato nel negozio, tre lunghi
mesi prima.
Robert indietreggiò verso la parete, con gli occhi pallidi vitrei di
terrore inchiodati sulla lama lucente di Colin.
Gettando la spada in un angolo, Colin si avvicinò a Robert con i
pugni chiusi. Afferrò le spalle dell’uomo più basso e lo staccò dal
muro, poi lo sbatté nuovamente contro con tutta la sua forza. Si sentì
un crac sonoro quando la testa di Robert sbatté contro il legno, e
quando Colin lo lasciò andare, Robert scivolò sul pavimento come
un sacco vuoto.
La lotta era finita prima ancora di cominciare.
Amy guardò in silenzio Colin che si chinava a recuperare lo
stocco. “Volete che lo uccida?” disse roco, respirando grandi boccate
d’aria mentre cercava di controllare la furia.
Amy scosse violentemente la testa, ancora muta. Colin restò
immobile per un momento, rendendosi conto della sorpresa negli
occhi increduli di Amy. Poi rimise la spada nella cintura e si spostò
verso il letto, allungando le mani verso di lei.
“Siete stato... siete stato colpito,” sussurrò Amy, cominciando a
tremare.
Colin si raddrizzò e guardò il punto che stava fissando Amy,
sorpreso. Aveva la camicia incollata alle costole da una macchia
scura, appiccicosa di sangue, ma non si stava allargando. “È solo un
graffio,” le disse. Non lo sentiva ancora—il vortice al calor bianco
delle sue emozioni escludeva qualunque sensazione di dolore.
Ebbe comunque la presenza di spirito di recuperare la giacca dal
corridoio e infilarsela, avvolgendosela strettamente intorno per
coprire il sangue prima di prendere in braccio Amy che continuava a
tremare. Con un ultima, sanguinaria occhiata alla forma immobile di
Robert, Colin la portò giù dalle scale e per strada.
CAPITOLO QUARANTASEI

A UNA SOLA STRADA di distanza dalla malridotta Cat and Canary,


la lussuosa Rose and Crown sembrava distante un mondo. Anche
Amy sembrava distante un mondo.
“Ho freddo, Colin,” sussurrò mentre la posava delicatamente sul
letto.
Colin accese un gran fuoco nel camino, poi scese a chiedere che
preparassero un bagno. Quando tornò trovò Amy rannicchiata in una
poltrona, che fissava le fiamme.
Preoccupato, diede un’occhiata al letto.
“Sono stata legata al letto...” mormorò Amy rispondendo alla sua
muta domanda.
Colin si tolse la spada e la appoggiò sul tavolino, poi sollevò Amy,
si sedette al suo posto sulla poltrona e se la mise in grembo. In
silenzio, osservarono insieme le fiamme. Colin la teneva stretta, con
la testa contro il suo petto.
Colin affondò la bocca tra i riccioli in disordine e rimasero così per
molto tempo, senza muoversi, eccetto la bocca di Colin che si
muoveva sui capelli di Amy. I suoi baci erano gentili, lenti e caldi.
Possessivi, dolci. Non sensuali ma gentili. Il cuore di Colin sembrava
scoppiare di tenerezza per il miracolo di riaverla tra le braccia.
I servitori portarono una vasca nella stanza e la riempirono con
secchi e secchi di acqua fumante, profumata con olio di rose.
Lasciarono una saponetta profumata, insieme a un pettine e a una
spazzola e grandi asciugamani di lino.
Rimasti di nuovo soli, Colin si alzò e rimise in piedi Amy. Le spinse
il vestito azzurro giù dalle spalle e glielo fece scivolare lungo il corpo.
L’abito frusciò mentre si raccoglieva sul pavimento, uno scintillio
pallido alla luce del fuoco. Le tolse la camicia da notte strappata
passandola sopra la testa.
“Avrei dovuto ucciderlo,” sussurrò, guardandola. Le ginocchia e i
gomiti erano sbucciati e pieni di croste, i polsi e le caviglie abrasi e
infiammati. Un livido viola le segnava una guancia; il sangue secco
la fronte, le labbra ammaccate e gonfie, i capelli una massa
attorcigliata che le ricadeva sulla schiena.
Aveva pensato che non l’avrebbe più rivista. Era bellissima.
Prendendole la mano, la condusse alla vasca da bagno e la aiutò
a stendersi nell’acqua fragrante. Amy si lasciò andare al calore
rilassante, appoggiando la testa sul bordo. Con gli occhi semichiusi
guardò Colin che si toglieva la giacca, rabbrividendo quando vide la
camicia macchiata di sangue.
“È solo un graffio,” le ricordò Colin, con la voce bassa e sicura. Si
voltò perché Amy non lo vedesse fare una smorfia quando staccò il
tessuto dalla ferita e si tolse la camicia. Ma era solo un graffio, solo
una lieve escoriazione che non avrebbe nemmeno richiesto dei
punti. Bruciava, ma non tanto da non poterla ignorare.
Mezzo centimetro più a destra—il pensiero fece mancare un colpo
al cuore di Colin. Una costola rotta, forse frammenti di osso che
bucavano il polmone. Avrebbe fatto un macello e certamente non gli
avrebbe permesso di muoversi in fretta, anche se non l’avesse
ucciso sul colpo. Bene, non era successo. Era stato fortunato—
molto, molto fortunato—e non le avrebbe mai detto come se la
fossero cavata per un pelo.
Si inginocchiò accanto alla vasca, immerse un asciugamano
nell’acqua e tamponò la ferita finché fu pulita.
“Guardate, Amy,” Si voltò verso la luce. “Non è niente.” Amy
allungò le dita, timorosa, toccandolo leggermente e quando Colin
non si mosse, si appoggiò di nuovo alla parete della vasca con un
cenno affermativo.
Con un panno morbido, Colin la lavò lentamente e teneramente.
Lavò il sangue, la sporcizia e, sperava, i ricordi.
Amy non disse una parola e lui nemmeno. Fu il bagno più
impersonale che Colin avesse mai fatto a una donna, eppure, al
contempo, il più personale. Il panno scorreva sopra il seno morbido,
la pancia bianca, tra le cosce.
Quando la sua pelle d’avorio risplendette pulita alla luce del fuoco,
Colin le lavò i capelli con il sapone profumato e le versò secchi
d’acqua giù per la schiena. La sua eccitazione, a lungo negata,
crebbe fino a far male, ma il suo volto restò impassibile, il suo tocco
niente più che metodico.
Era la cosa più difficile che avesse mai fatto.
Con una mano nella sua, la aiutò ad alzarsi. L’acqua scivolò lungo
le forme aggraziate di Amy, lasciando goccioline che luccicavano
sulla pelle ammaccata.
Colin strinse i denti e chiuse un attimo gli occhi. Le ferite
sembravano solo superficiali, niente che non sarebbe guarito in
pochi giorni al massimo. Ma era comunque furioso, si sentiva in
qualche modo responsabile per le sue sofferenze, per i danni fatti al
suo perfetto giovane corpo.
Non avrebbe mai dovuto lasciarla.
Non l’avrebbe lasciata mai più, se lo ripromise mentre Amy usciva
dalla vasca e lui la asciugava. La camicia da notte era rovinata e
l’abito azzurro strappato sulla schiena, quindi la avvolse in un
asciugamano asciutto, deglutendo a vuoto quando le infilò il bordo
tra i seni.
Tirò una sedia accanto al fuoco e drappeggiò i lunghi capelli di
Amy sullo schienale. Poi si sedette dietro di lei, spazzolandoli per
asciugarli. Canticchiava a bocca chiusa mentre lavorava, una dolce
ninnananna che sua madre gli cantava prima della guerra civile.
La luce del fuoco giocava con la seta nera dei capelli di Amy, e
Colin desiderò di potervi affondare le dita, avvolgerli nelle mani e
tirarle indietro la testa per divorarle la bocca. Ma ordinò alle sue
mani di continuare con i sistematici colpi di spazzola e al suo corpo
traditore di ignorare la stimolazione sensuale che provocava quel
semplice gesto.
“Sono così belli...” sussurrò una volta, suo malgrado, fermandosi
per strofinare i capelli tra le mani. Amy si bloccò, come se fosse
sorpresa, e Colin avrebbe giurato che avesse smesso di respirare
per qualche secondo. Ma non disse niente e Colin continuò con il
suo compito.
Accarezzò l’idea di tenerla come amante, installarla nel suo amato
castello e costruire a Priscilla la casa moderna che desiderava. Ma,
dentro di sé sapeva che non avrebbe mai funzionato. E sognò a
occhi aperti di prendere Amy in moglie, di vivere con lei
apertamente, senza finzioni.
Ma le vecchie certezze erano difficili da superare.
Quando i capelli furono asciutti e lucenti, Colin si alzò e Amy con
lui. Si voltò con un sorriso gentile. “Grazie,” sussurrò. “Mi sento
molto meglio ora.”
“Ne sono lieto.” Era così vicina che Colin sentiva il calore del suo
corpo. “Riuscite ad affrontare il letto, adesso?”
Amy annuì, con un sorriso vacillante ma determinato. “È un altro
letto.”
“Sì, è vero.” La condusse al letto e alzò un angolo delle coperte;
Amy si tolse l’asciugamano e scivolò tra le lenzuola. Lo seguì con lo
sguardo quando Colin versò l’acqua dalla brocca per risciacquare la
macchia di sangue dalla sua camicia e poi si spostò al camino per
stenderla ad asciugare. Il cuore di Colin sembrò calmarsi quando
vide la sua espressione pacifica, sonnolenta. Quando i suoi stivali
colpirono il pavimento con due tonfi sordi, Amy chiuse gli occhi.
Colin si spogliò e spense le candele, poi scivolò nel letto accanto a
lei.
“Amy?”
“Mmm?”
Doveva saperlo. “Robert ha... voglio dire...”
Amy si voltò per guardarlo in faccia, aprendo gli occhi per cercare i
suoi alla luce del fuoco. “No,” sussurrò. “Siete arrivato giusto in
tempo. Come per magia.”
Il corpo di Colin affondò nel materasso quando la tensione che
non aveva saputo di avere lo lasciò.
Amy gli toccò il volto con le dita leggere come piume. “Ci siete
sempre stato solo voi, Colin. Solo voi.”
Se non lo avesse saputo prima, in quel momento Colin seppe con
certezza che Amy era destinata a essere sua. Sembrava che più
tentava di ignorare la verità più la verità insistesse a venire a galla.
Ingoiò il groppo che aveva in gola, incapace di reagire alla sua
candida ammissione.
“Non riesco ancora a credere che siate qui.” Gli occhi di Amy si
illuminarono mentre gli accarezzava la guancia con la punta delle
dita. “Era buio in quel corridoio—così buio che una volta abbattuta la
porta, riuscivo a vedere solo la vostra sagoma nell’apertura. Ma
sapevo che eravate voi. Lo sapevo, ma non riuscivo a crederlo.
Avevo pregato che le mie urla attirassero qualcuno per aiutarmi, ma
non avrei mai immaginato che l’aiuto sareste stato voi.” Le dita si
fermarono. “Sto sognando?”
Colin alzò una mano e intrecciò le dita con quelle di Amy. “No,”
riuscì a dire. “Non state sognando.”
“Eravate lontano—a Greystone—e poi all’improvviso eravate lì.
Esattamente quando avevo bisogno di voi. Proprio come durante
l’incendio.”
La meraviglia nella sua voce, la completa fiducia che implicavano
le sue parole gli fece mancare il fiato.
“Ci sarò sempre quando avrete bisogno di me,” le disse
semplicemente. “Sempre.”
Le strinse forte la mano e poi attirò la sua testa sulla spalla. Amy
chiuse gli occhi e appoggiò il suo corpo piccolo e morbido contro di
lui. Colin le accarezzò la pelle di seta sentendo che cominciava a
respirare ritmicamente, con il corpo che si rilassava nel conforto del
sonno a lungo negato.
Il peso della sua testa sulla spalla. Il calore del suo fiato sul collo,
la morbidezza del suo seno—era il paradiso.
Eppure gli sembrava di essere all’inferno.
Anche se il cuore gli diceva che era così, sembrava impossibile
ammettere che la pura essenza di Amy—la sua innata bontà, la sua
forza e intelligenza, la sua passione per la vita—compensavano più
che ampiamente qualunque manchevolezza legata al suo stato
sociale. Sarebbe stata una madre meravigliosa, un giorno; il suo
calore e la sua compassione avrebbero creato un porto sicuro che
nessun pedigree poteva fornire; ora lo capiva. Il legame che sentiva
tra di loro—come se lei esistesse solo per lui—si sarebbe esteso ai
loro figli naturalmente, come la passione che scuriva i suoi occhi di
ametista.
Eppure ricordava un altro legame forte: quello di un ragazzino con
suoi genitori. E ricordava la pena lacerante dell’abbandono.
Come aveva fatto a succedere proprio a lui? Lui era razionale,
determinato. Aveva un programma.
Lui non voleva amare nessuno.
CAPITOLO QUARANTASETTE

C’ERA UN KING’S ARMS a meno di tre isolati dalla casa dei


Chase. I pochi clienti ancora lì non avevano mai sentito parlare di
Robert Stanley, ma il locandiere indirizzò Kendra e i suoi fratelli a un
altro King’s Arms, che a sua volta li indirizzò a un terzo.
Il posto era deserto, ma una cameriera esausta era ancora nel
retro a scopare il pavimento e confermò loro che avevano in effetti
trovato il ritrovo di Robert Stanley. Ringalluzzita al suono del suo
nome, li informò che le voci dicevano che fosse scappato con il suo
amore, diretto o a St. James o a St. Trinity.
“Non ci sono matrimoni di domenica,” gli occhi di Kendra
luccicarono eccitati. “Forse non arriviamo troppo tardi. Andremo e
avvertiremo—”
“Oh, no,” La interruppe Jason con una voce tesa e secca che
proibiva ogni possibile discussione. “Non ha senso andare a cercarli
stasera. Domani mattina andrà benissimo.”
“Ma—”
“Ascolta, Kendra,” le disse più gentilmente. “Siamo preoccupati
per Amy quando te, ma io conosco quel quartiere—non è un posto
da visitare a sera tardi, con la nebbia. Il curato sarà a letto da un bel
po’, comunque. Andremo domani mattina presto.”
Mortificata, l’entusiasmo di Kendra evaporò. Era così bello fare
qualcosa di positivo. Comunque sapeva che era inutile discutere—
Jason aveva ragione. “Voglio andarci presto,” annunciò, “prima che
qualcuno si possa sposare.”
“Sarà così. Ci andremo all’alba.”
“Promesso?”
“Promesso.”
Ford le mise un braccio sulla spalla per confortarla e uscirono
dalla taverna, con Kendra rassegnata a una notte insonne mentre
aspettava.

COLIN FU SVEGLIATO da un caldo, delizioso bacio sulla bocca.


Aprì pigramente gli occhi. Alla luce incerta dell’alba, vide il volto di
Amy a pochi centimetri dal suo, il suo fiato dolce che lo accarezzava.
“Colin, fatemi dimenticare la sensazione del suo tocco,” sussurrò
prima di abbassare ancora una volta la bocca sulla sua.
Com’era possibile resistere a un invito così celestiale?
Le restituì dolcemente il bacio, attento ai suoi lividi, all’inizio, ma
dimenticandoli in fretta. La preoccupazione per la sua anatomia
pesta e ammaccata e il suo fragile stato mentale fu respinta in un
angolo quando il suo corpo rispose a quello di Amy con una volontà
tutta sua.
Girandola lentamente, le tolse i capelli dalla fronte e le prese il
volto tra le mani. I suoi occhi frugarono quelli di Amy, cercando il suo
permesso e la sua approvazione, ma quello che brillava dalla
profondità di ametista era un amore così profondo, così incrollabile
che per un attimo Colin fu colto di sorpresa. Restò senza fiato e
sbatté gli occhi, ma quando li riaprì quell’espressione era ancora lì.
Amore incondizionato e risoluto.
Le mani di Amy gli accarezzarono la schiena e lei gli sorrise
dolcemente, incoraggiandolo. Con un gemito sommesso, Colin coprì
le labbra aperte con le sue. La sua lingua fece razzia della bocca
calda di Amy con un abbandono incosciente finché rimasero
entrambi senza fiato.
Quando Colin interruppe il contatto, sentì il cuore di Amy che
batteva contro il suo nella stanza silenziosa. Si chinò per baciarle
l’incavo della gola e mosse lentamente la mano per accarezzarle il
seno.
Amy scosse la testa. “Subito,” gli disse, con la voce tremante e
incerta, “Venite dentro di me, adesso, per favore.”
Le semplici parole gli fecero bollire il sangue. Non aveva mai
sentito una preghiera così sensuale. Era un uomo portato a fare
l’amore con calma, in modo giocoso, ma in questo caso era più che
disposto a obbedire.
La coprì e scivolò dentro il suo corpo caldo con una sola veloce
spinta. Il gemito di piacere di Amy cancellò dalla sua mente ogni
idea di autocontrollo e il suo corpo prese il sopravvento, stabilendo il
ritmo meraviglioso che li legava insieme, corpo e anima.
Amy gettò un grido, tenendolo stretto, e il cuore di Colin fece un
balzo. In quel momento capì con sbalorditiva chiarezza che non
avrebbe mai rinunciato a lei. Né la voleva solo in parte.
Aveva tentato di proteggere il proprio cuore—tentato e fallito. Ora
stava scoppiando d’amore e non poteva più negarlo nemmeno per
un attimo.
Si spinse ancora una volta dentro di lei e la dolce sensazione di
Amy che tremava intorno a lui gli mandò scie di fuoco lungo i nervi,
avviluppando il corpo in un’esplosione di piacere.
Un po’ dopo, quando il cuore rallentò, Colin si alzò sui gomiti e le
scostò dal volto i capelli arruffati con le mani che tremavano. Le sue
labbra le sfiorarono le palpebre, la fronte calda, l’orecchio rosa come
una conchiglia. “Amy, io ti amo,” le sussurrò.
Amy respirava affannosamente. “Co-cosa?”
Colin le baciò una guancia morbida e la punta del naso prima di
sfiorarle l’altro lobo con la lingua,. “Ti amo,” mormorò, con la voce
roca e malferma.
“No, non è possibile, non possiamo.”
Colin alzò la testa di scatto. Lei non voleva sposarlo? “Ma l’ho
visto nei tuoi occhi, pensavo che—”
“Ti amo anch’io,” sussurrò appassionatamente Amy, stringendolo
tra le braccia, schiacciandolo contro di lei. “Ti amo. È solo che—”
“Ssst.” Colin le toccò le labbra con la punta delle dita. “Non l’ho
mai detto a una donna, sai.” Ammise con mesto candore. “Hai
sconvolto tutta la mia vita, Amethyst Goldsmith.”
Contrariamente alle sue parole, si sentiva immensamente
contento di sé e del suo mondo. La baciò con tutta la tenerezza che
sentiva nel cuore, completamente in pace con se stesso per la prima
volta da mesi.
“Dimmelo di nuovo,” lo pregò, con un sorriso nella voce.
“Ti amo,” le disse semplicemente e fu più facile di quanto avesse
mai pensato possibile.
Quando si spostò, scivolando via, ad Amy sfuggì un breve suono,
come se le mancasse qualcosa. “Oh...”
Sorridendo, Colin si sdraiò accanto a lei e appoggiò la testa a una
mano. “Tornerò,” le promise, rivolgendole il suo miglior, devastante
sorriso.
“Mmm,” rispose Amy, con un sorriso dolce, intimo come un bacio.
“Non metterci troppo,” gli disse sussurrando maliziosa, poi arrossì,
chiaramente compiaciuta per la sua stessa audacia.
Con sua somma sorpresa, il corpo di Colin rispose
immediatamente. Quando aprì la bocca per parlare, le parole furono
roche per la rinnovata passione.
“È già passato abbastanza tempo?”

ERA ANCORA BUIO e nebbioso quando Kendra e Ford lasciarono


Jason e un servitore davanti alla chiesa di St. James, ancora
deserta, lieti della conferma che non erano arrivati troppo tardi—
perlomeno in questa chiesa.
I gemelli dagli occhi assonnati proseguirono per St. Trinity,
esultando quando la trovarono vuota.
Entrarono e si sedettero su una panca in fondo ad aspettare,
facendo riposare i corpi stanchi e chiacchierando a bassa voce.
Arrivò una coppia, con due testimoni al seguito, e poi un’altra, la
donna palesemente incinta, i due gruppi rimasero separati sul fondo
del santuario, aspettando agitati che cominciassero le rispettive
cerimonie.
La luce aumentò costantemente, attraversando le antiche finestre
piombate e proiettando macchie di colori brillanti sulle pareti e sul
pavimento della chiesa. Dopo un po’ si aprì una porta in fondo ed
entrò un curato grassoccio. Si diede da fare in giro, accendendo
qualche candela per poi girarsi per rivolgersi alla piccola folla.
Sorrise soddisfatto quando vide gli assembramenti. “Allora, chi
sono i primi?”
“Noi, padre.” Kendra si alzò, tirando Ford per la mano e
trascinandolo con lei lungo la stretta navata.
“Dove sono i vostri testimoni?” Chiese il curato quando i gemelli
furono davanti a lui.
“Ma—” balbettò Ford, “ma lei è mia sorella!”
I denti storti dell’uomo sparirono mentre il sorriso si trasformava in
una smorfia. “Giovanotto, mi rendo conto che siamo conosciuti per la
nostra, ah, tolleranza, qui a St. Trinity, ma la chiesa proibisce
espressamente—”
“Santo cielo!” La risata di Kendra risuonò per tutto il santuario.
“Non siamo qui per sposarci. Padre, siamo qui per scoprire se
qualcun altro si è sposato qui sabato. Speriamo di riuscire a
impedire il matrimonio se non ha già avuto luogo.”
“Beh, allora perché non l’avete detto subito?” Chiese
stizzosamente il curato. “Di chi state chiedendo?”
“Amy—Amethyst—Goldsmith e Robert Stanley”
Il curato spalancò gli occhi. “Io dico, non ricordo l’ultima volta in cui
ci sia stato tanto interesse per un matrimonio. Perché—”
“Allora sono già sposati?” A Kendra sembrò che il cuore le
scendesse nello stomaco.
“No, non che io sappia.” Quando Kendra respirò di sollievo, il
curato sorrise. “Credo siano stati qui sabato sera, comunque e ieri
un gentiluomo alto con i capelli scuri—”
“Nostro fratello,” dissero i gemelli all’unisono.
L’uomo robusto li guardò entrambi pensieroso. “Sì, potrebbe
essere. In ogni caso, il futuro sposo aveva in programma di ritornare
questa mattina e vostro fratello, ieri sera, è andato a cercarlo nelle
locande sulla Fenchurch Street.”
“Grazie, grazie di cuore.” Kendra diede una moneta all’uomo.
Il suo sorriso radioso doveva essere contagioso perché i denti
storti del curato riapparvero, anche se il suo sguardo stava già
spostandosi alle altre coppie. “Allora, a chi tocca?”
Kendra e Ford uscirono sui gradini della chiesa, dove decisero che
Ford sarebbe rimasto lì, nel caso Robert e Amy dovessero farsi vivi,
mentre Kendra avrebbe preso la carrozza per andare a prendere
Jason.
Kendra arrivò a St. James trovando Jason che camminava
nervosamente avanti e indietro davanti alla chiesa. Si avvicinò alla
carrozza. “Allora?”
“Non sono ancora sposati,” disse Kendra sorridendo. “Ma lui ha in
programma di sposarla oggi, a St. Trinity. Jason...”
“Che c’è?” Jason salì in carrozza e chiuse lo sportello.
“Spero che non ti dispiaccia, ma ho chiesto a Carrington di
dirigersi a Fenchurch Street. Il curato ha detto che Colin stava
cercandoli nelle locande in quella zona ieri sera. Penso che possa
essersi stancato e abbia dormito in una di quelle.” Jason cominciò a
protestare, ma Kendra alzò una mano, affrettandosi a finire. “Non
potremmo controllare un paio di locande, per favore? Non posso
restare semplicemente seduta ad aspettare.”
“Ma hai detto che aspettano Robert e Amy in chiesa.”
“È veramente presto. Inoltre ci penserà Ford se dovessero
arrivare.”
“Non si può discutere con te una volta che ti sei messa in testa
qualcosa, vero?” Borbottò Jason.
Per la mezz’ora successiva, camminò doverosamente lungo la
Fenchurch, controllando alcuni dei posti più probabili, mentre la
carrozza lo seguiva lentamente.
Kendra rimpianse immediatamente la deviazione. Aspettando in
carrozza divenne sempre più impaziente mentre guardava Jason
entrare e uscire. Notò l’insegna in una vetrina—Mr. Farr’s Tobacco
Shop—che vantava ‘il miglior tabacco di Farr’. Qualche negozio più
in là c’era un’altra insegna, di un concorrente, “Far Better Tobacco
than the Best Tobacco by Farr,” ‘un tabacco molto migliore del
miglior tabacco di Farr’.” Sorrise, ma era perlopiù annoiata e
irrequieta e continuava a chiedersi che cosa stesse succedendo in
chiesa.
Uscendo dalla settima locanda, Jason si precipitò verso la
carrozza, con il volto deciso. Lo sportello si spalancò mentre si
avvicinava.
“Kendra, è—”
“—una perdita di tempo. Potrebbero essere arrivati a St. Trinity,
oramai. E per quanto mi fidi di Ford, non vorrei proprio perdermi la
scena. Dovrebbe essere meglio di Shakespeare.”
Stanco com’era, Jason non poté fare a meno di sorridere. “Sei
speciale, lo sai, Kendra?”
“Sono tua sorella.” Gli diede un colpetto sulla spalla. “Vieni.”
Prima di salire, Jason ordinò al cocchiere di svoltare in Mark Lane
e tornare alla chiesa di St. Trinity. Ma stavano viaggiando da meno di
due minuti quando Kendra cominciò a battere sul soffitto della
carrozza. “Ferma! Ferma!”
“Che diavolo—”
“Quello è Ebony! Là, sotto quella tettoia. Colin è là!”
Scese dalla carrozza prima che le ruote si fermassero. Jason
emise un lamento mentre la seguiva di fuori. “Andiamo, Kendra, non
tutti i cavalli con una stella bianca in fronte possono essere Ebony.”
Ma lo era.
Nitrendo piano mentre si avvicinavano, Ebony abbassò la testa
cercando un bocconcino nelle tasche di Jason.
“Colin deve essere lì.” Kendra indicò la dubbia taverna chiamata
Cat and Canary.
“Non credo proprio,” Jason scosse la testa. “Colin non starebbe
mai in un posto del genere, anche se fosse stanchissimo.”
“Dove allora?”
Jason indicò la parete dietro la tettoia. “Là dietro c’è Leadanhall
Street. E una bella locanda, se non mi sbaglio.”
CAPITOLO QUARANTOTTO

POCHI MINUTI DOPO Kendra e Jason bussavano alla porta della


stanza numero tre della locanda Rose and Crown. Aprì Colin,
insonnolito e a piedi nudi, con i calzoni slacciati, la camicia di fuori, i
capelli in disordine e uno sciocco, soddisfatto sorriso incollato sulla
faccia.
Non avendo bisogno di altre prove per indovinare che avrebbe
trovato Amy nel suo letto, Kendra gli passò davanti. Non sapeva se
essere emozionata di vedere Amy seduta contro i cuscini, o inorridita
vedendo che la sua amica aveva una trapunta stretta sotto il mento
per coprire le sue nudità.
“Amy è qui, Jason!” gridò.
Jason spinse indietro Colin e lo seguì nella stanza, chiudendo la
porta con un po’ più di forza di quanto fosse necessario. “L’hai
proprio fatta, stavolta.”
Il sorriso di Colin era contagioso. “Lo so, l’ho trovata. Non riesco
quasi a crederci nemmeno io.” Si infilò la camicia nei calzoni. “Sono
stato un buon segugio, vero? Ehi, come avete fatto a trovarci?”
“Non è quello che intendevo dire,” ringhiò Jason. “Ancora una
volta hai—”
Spostando Jason con la spalla, Kendra prese il suo posto davanti
al suo ostinato fratello. “Quello che vuole dire, è che adesso dovrai
sposarla, tu—”
“Ho tutte le intenzioni di farlo,” disse Colin, con la testa abbassata
mentre si allacciava i calzoni.
Le parole erano tranquille e sommesse—talmente sommesse che
Kendra non le sentì nemmeno.
Ma Amy sì. Emise un piccolo grido di sorpresa. Matrimonio! Colin
aveva detto di amarla, ma non aveva mai menzionato...
No, non avrebbe mai funzionato. Si sentì stringere lo stomaco e gli
occhi si appannarono per le lacrime, ma i fratelli erano troppo
occupati a parlare tra di loro per notarlo.
“Perché stai sorridendo, idiota?” Inveì Kendra. “Non potevi
semplicemente portarla a casa nostra, vero. Ancora una volta hai—”
Jason spinse da parte Kendra con il fianco e si mise davanti a lei,
un muro che impediva ad Amy di vedere Colin. “Hai veramente fatto
un disastro, questa volta, Colin Chase.” Di solito quello più pacato, la
voce di Jason sembrava contenere una rabbia inconsueta. “Non
potevi lasciarla—”
“Jason, Kendra. Ho detto che ho intenzione di sposarla.”
Anche se Amy non riusciva a vedere Colin, sentiva il sorriso nella
sua voce. Si stava godendo quella scenetta. E non aveva frainteso
la prima volta—aveva veramente intenzione di sposarla.
Seguì un lungo silenzio, Kendra e Jason apparentemente
ammutoliti per lo stupore. Poi Kendra si voltò a guardare Amy. “È
vero?”
Era vero? Amy si strinse nelle coperte. Santo Dio, non poteva
sposarlo. Suo padre non l’avrebbe mai perdonata.
"Io—no. No.” Amy scosse lentamente la testa, poi più in fretta
mentre le lacrime cominciavano a scendere. “No.”
“Cosa?” Colin si avvicinò al letto e la fissò dall’alto. “Ti ho detto la
notte scorsa—”
“—che mi amavi.” Le faceva male guardarlo. Si infilò le coperte
sotto le braccia e abbassò gli occhi, tirando un filo allentato nel
tessuto. “Ti amo anch’io, ma non posso sposarti, Colin. Non posso.
Devo rimettere in piedi la nostra attività—te l’avevo già detto. Ho
giurato di farlo. E tu hai detto che la moglie di un pari non può gestire
un negozio. Quando eravamo a Greystone hai detto se avessi
sposato un aristocratico non avrei mai potuto riaprire le Goldsmith &
Sons.” Alzò gli occhi. “L’hai detto, Colin—ti ho sentito.”
“Certo che l’ho detto!” Colin aprì la bocca come per aggiungere
qualcosa, ma poi restò lì, ammutolito e con la faccia rossa.
“E tu sceglieresti un negozio al posto di mio fratello?”
Completamente sbalordita, Kendra si avvicinò. “Rispetto a diventare
una Contessa?”
“Non è una questione di scelte!” Amy si asciugò rabbiosamente le
lacrime. Perché questa gente non riusciva a capire? “Io sono nata in
una famiglia di artigiani. Mi hanno affidato una fortuna. Non posso
semplicemente consegnare l’eredità dei Goldsmith a un marito—
appartiene alle generazioni future dei Goldsmith & Sons.”
“Non te la prenderò, Amy. Hai la mia parola.”
“Cosa?” Fu la volta di Jason di sembrare sbalordito. Le labbra si
assottigliarono sotto i sottili baffi neri. “Avevi proprio ragione a dire
che sono fatti l’uno per l’altra, Kendra. Sono entrambi,
assolutamente, completamente pazzi.”
Colin fece un respiro profondo. Poco per volta, il volto tornò del
suo colore normale. “Devi sposarmi,” disse con calma.
“C’è qualcosa che non va con il tuo udito?” Quante volte sarebbe
riuscita a rifiutare senza cedere? Ogni volta che lo respingeva, le
costava un pezzetto del cuore. “Ho detto che non posso sposarti.
Non posso.”
“Devi.”
“Ho detto—”
“Robert è ancora là fuori. Dannazione, Amy, avrei dovuto
ucciderlo.” Sembrò disgustato di se stesso. “Ti troverà, Amy. Anche
a Parigi. Ti troverà e cercherà ancora di obbligarti a sposarlo. Forse
la prossima volta avrà successo, o forse finirà solo per ucciderti,
invece. Poi potrà appellarsi per avere la tua ricchezza sulla base
della promessa di matrimonio...”
Amy impallidì. Si portò le mani alle guance.
Dio del cielo, Colin aveva ragione.
“—se mi sposi, darti la caccia non gli porterebbe nessun
vantaggio.”
“Perché la mia fortuna, allora apparterebbe legalmente a te.”
“Solo legalmente.”
Amy si trovò prigioniera del suo sguardo di smeraldo. “È destinata
all’attività,” sussurrò.
“È destinata ai tuoi discendenti. Come un’assicurazione, no?”
Amy annuì.
“La avranno.”
“Colin,” lo interruppe Jason. “Come farai a restaurare Greystone?”
“Lentamente,” disse seccamente Colin senza nemmeno dare
un’occhiata a suo fratello. “La mia nuova sposa non pretende di
vivere nel lusso.”
“Ma—”
“Stai zitto.” Facendolo tacere con un gesto della mano, Colin si
inginocchiò accanto al letto e prese la mano di Amy tra le sue. “I tuoi
discendenti avranno la tua eredità,” ripeté. “Ora... mi vuoi sposare?”
Amy lo fissò, i lineamenti che adorava sfocati per le lacrime.
Sposare Colin Chase—il desiderio più grande ed egoista—così
egoista che non aveva nemmeno osato prenderlo in considerazione.
Ma aveva ragione lui—aveva poca scelta. Poteva sposare lui o
Robert, o togliersi la vita.
Perdonatemi, Papà. Implorò mentalmente, poi annuì. Le mani di
Colin si strinsero sulle sue, quasi dolorosamente e le alzò per
sfiorarle con un bacio. Amy provò una sensazione inconsueta e
inaspettata, la sensazione di appartenere a qualcuno che non
provava da tanto tempo.
Le girava già la testa quando Kendra emise un urlo di gioia e si
gettò sul letto, quasi spostando la trapunta accuratamente
rimboccata. Abbracciò Amy tanto stretta da ricordarle tutti lividi e le
ammaccature, ma non le importava. Era così bello sapere che
avrebbe fatto nuovamente parte di una famiglia, e quando Kendra
disse enfaticamente, “Oh, Amy, adesso sei proprio, veramente mia
sorella,” Amy fu così felice che pensò che il cuore potesse
esplodere.
“Bel lavoro, Colin.” Jason gli diede una pacca sulla schiena,
raggiante. “Sei finalmente tornato in te. Beh, in parte, almeno,”
aggiunse sottovoce.
Kendra si allontanò da Amy. “Sei stato un tale idiota,” disse a
Colin. “Ero pronta a strozzarti.”
Colin restava lì, sorridendo come un imbecille. Jason si avvicinò al
letto e si chinò a baciare Amy su entrambe le guance. “Benvenuta
nella nostra famiglia,” le disse con calore e Amy lo avrebbe
abbracciato se non fosse stata in un tale imbarazzante stato di
deshabillé. Le si riempirono comunque gli occhi di lacrime. Sbatté gli
occhi per liberarsene e Jason si raddrizzò e si schiarì la gola.
“Lo faremo a Cainewood,” disse a Colin.
Colin si era appena infilato calze e stivali. “Faremo cosa?” Chiese
perplesso.
Kendra emise un verso poco signorile. “Il matrimonio,
ovviamente.” Guardò Jason. “Non è ancora completamente in sé. Un
matrimonio in primavera... dovremo cominciare immediatamente a
programmarlo.”
“Oh, no.” Colin parlò con un tono che non ammetteva repliche.
“Niente matrimonio in primavera. Ci sposeremo oggi.”
“Non puoi,” gli disse Kendra. “Non hai la licenza, e non sono state
fatte le pubblicazioni.”
“Amy avrebbe dovuto sposarsi questa mattina a St. Trinity e così
sarà. C’è un pazzo in libertà. E anche se non fosse così, non
aspetterò un minuto più del necessario per sposarla.”
Quando la fissò negli occhi, qualunque obiezione Amy potesse
avere sullo sposarsi in un posto scelto da Robert Stanley sparì in un
istante.
Colin la voleva, ed era tutto quello che importava.
“Ma...” Kendra non era tipo da lasciarsi dissuadere facilmente, e si
rivolse ad Amy. “Vuoi un vero matrimonio, no, Amy? Con gli invitati e
un abito da sposa e ballare per ore dopo la cerimonia?”
Amy scosse lentamente la testa. Aveva programmato un grande
matrimonio una volta, con una quantità di invitati e un abito coperto
di nodi d’amore ed era stata tristissima. Un matrimonio semplice,
quello stesso giorno, anche a St. Trinity le sembrava perfetto.
E prima di sera sarebbe stata la moglie di Colin...
Non le sembrava ancora vero. Era troppo bello per essere vero.
Non puoi avere tutto. Le sembrava di sentire ancora suo padre che
glielo diceva—e aveva avuto ragione. Ma non aveva veramente
scelta. La gioia le scoppiò in petto e si strinse le braccia intorno,
incredula e felice.
Ora che era tutto sistemato, Colin passò alle cose concrete. Si
avvicinò al camino e raccolse l’abito azzurro ghiaccio da dove
l’aveva lasciato cadere. Frusciò mentre lo scuoteva, dicendo.
“Accidenti, è strappato.”
Amy si sentì gelare.
“Fammi vedere,” Kendra prese l’abito. Nessuno notò che Amy era
impallidita. “È solo una cucitura, sono sicura che qualcuno dabbasso
può ricucirlo in un attimo.”
“No.” La parola era quasi un piagnucolio. Tre paia di occhi verdi
preoccupati si incollarono su Amy rannicchiata nel letto. “Avrei
dovuto sposare lui con quel vestito. Non ho intenzione di indossarlo.”
Colin allargò le braccia e si guardò attorno nella stanza, come se
si aspettasse che si materializzasse un altro abito da sposa.
“Non lo indosserò,” ripeté Amy a denti stretti.
Colin lasciò cadere le braccia, le dita cominciarono a tamburellare
sulla coscia mentre fissava l’abito in mano a Kendra. L’azzurro
ghiaccio che contrastava con quello di lei, verde brillante. Poi le dita
si fermarono e il volto si illuminò. “Kendra, perché non vi—”
Prima che finisse di parlare, Kendra arrotolò l’offensivo indumento
e lo gettò nel caminetto.
L’abito prese fuoco con un forte vampata, mandando scintille in
giro per la stanza. Colin la guardò, incredulo. “Perché l’hai fatto?
Stavo per suggerire—”
“Una tipica soluzione maschile—che ci scambiassimo i vestiti.
Povero pazzo. Posso assicurarti che Amy non vuole quel vestito
nella stessa città e tanto meno accanto a lei indosso a una testimone
del suo matrimonio.” Scuotendo la testa e fingendo di essere
esasperata, Kendra si rivolse ad Amy. “Gli uomini possono essere
così stupidi a volte. Sei sicura di voler sposare questo individuo?”
La risatina di Amy riportò il sorriso sul volto di Colin, che si inchinò
verso Kendra. “Servitor vostro, milady. E dato che sei così
intelligente, aspetto le tue istruzioni su come risolvere questo
problema.” Si chinò a raccogliere la camicia da notte stracciata e
sporca, lasciandola penzolare da due dita. “Immagini che possa
indossare questa?”
La risatina di Amy fu coperta dalla fragorosa risata di Jason.
Kendra sbuffò. “No, non credo proprio. Ma ho un piano.”
“Informaci, te ne prego, stiamo tutti morendo di curiosità.”
Kendra fece un respiro profondo. “Tu, Colin Chase dovrai
aspettare qualche ora per il tuo matrimonio. Credi di riuscirci?”
Colin alzò un sopracciglio, apparentemente riservandosi di
decidere.
Sua sorella continuò in tono autoritario. “È lunedì quindi gli abiti di
Amy sono pronti da Madame Beaumont. Andrò a prenderli e li
porterò qua. Tu andrai a casa, ti darai una sistemata e tornerai con
un abito adatto. Guardati—hai la camicia strappata.”
“È stata una pallottola,” disse Colin sarcastico.
“Una pallottola?”
“Non è niente, solo un graffio,” le assicurò Colin con un gesto
noncurante.
“Colin—” fece per dire Jason.
“Non è niente. Amy?”
“Non è niente,” disse Amy accennando un sorriso.
Adorava quella famiglia rissosa.
Colin tornò a guardare Kendra. “Continua.”
“Beh, comunque non ti radi da due giorni!”
“Mi scuso per il mio aspetto offensivo,” disse Colin strascicando le
parole, “Sono stato un po’ occupato.”
“Beh, ammetto che abbiamo le prove del fatto che tu sia stato
occupato,” ribatté Kendra guardando significativamente Amy.
Amy era stata così occupata a godersi la loro discussione e a
bearsi del calore della loro accettazione che aveva quasi dimenticato
la situazione in cui si trovava. Ora che era al centro della loro
attenzione si sentì arrossire dalla punta dei piedi fino ai capelli.
Colin sorrise con orgoglio maschile ma Jason ebbe pietà di lei.
“Ora che hai messo nell’imbarazzo più completo la sposa di Colin,”
disse a Kendra, “Hai finito?”
“Sì,” borbottò Kendra, “Scusa Amy.”
“Colin, sembri aver dimenticato un enorme ostacolo a questo
matrimonio affrettato.” Il tono di sfottò bonario era sparito dalla voce
di Jason che guardò serio Colin.
“Quale?” Colin alzò una mano e contò gli immaginari impedimenti
piegando le dita. “A quanto pare c’è un vestito che aspetta Amy, e
abbiamo stabilito che ho bisogno di rasarmi e cambiare la camicia...
cosa? Che c’è?”
“La semplice faccenda che sei promesso a un’altra?”
“Ah, già.”
Il cuore di Amy mancò un battito.
“Eh, già.”
“Immagino di non poterla avvisare per lettera dopo il matrimonio?”
“No, non credo proprio che soddisferebbe il mio senso di
correttezza.”
“Infatti non lo pensavo.” Colin fece una pausa, fissandosi gli stivali
per un momento, mentre Amy tratteneva il fiato. “Beh, non c’è niente
da fare,” disse dopo un momento. “Andrò immediatamente a casa di
Priscilla e spiegherò tutto. Non credo che possano obbligarmi a
portarla all’altare.”
“Speriamo che Lord Hobbs sia d’accordo con te. C’è la faccenda
della dot—”
“Ssst.” Con un’occhiata furtiva ad Amy, Colin alzò una mano. “Non
avrà scelta. È un avvoltoio freddo e calcolatore, ma non avrà la
meglio su di me.”
Amy ricominciò a respirare quando Colin sorrise. “Potete
immaginare qualcuno che diventi volontariamente suo genero?”
Chiese allegramente. “O, cosa ancora più incredibile, sposare sua
figlia, che è una tale—”
“Snob?” suggerì Kendra.
“Esattamente.”
Jason diede una pacca sulla spalla a Colin. “Sei ancora deciso a
fare tutto oggi?”
Colin ignorò suo fratello, sorridendo invece ad Amy.
“Assolutamente.”
Guardandolo negli occhi, Amy si sentì sciogliere.
“Devo venire con te?” Si offrì Jason.
“No. Penso di avere effettivamente voglia di tarpare le ali a
quell’avvoltoio.”
Il sorriso di Colin si allargò, raggiungendo gli occhi e Amy si
sciolse ancora un po’.
“Bene, allora. Kendra ed io andremo a prendere gli abiti di Amy e
ci vedremo a casa. Poi torneremo qua insieme.”
Preoccupato, Colin distolse a fatica lo sguardo da Amy. “Aspetta
un attimo—non possiamo lasciare qui Amy da sola. Quella canaglia
di Stanley è ancora in giro—un errore che rimpiango sempre di più
ogni minuto che passa.”
“Farò salire uno dei servitori a fare la guardia alla porta.”
“Mandane due,” disse Colin. “E Amy dovrà anche fare colazione.”
Jason annuì. “Va bene.” Prese la spada di Colin dal tavolo e gliela
gettò. “Dovrò annullare un paio di appuntamenti, ma penso che il tuo
matrimonio abbia la precedenza.”
Colin afferrò la spada e la agganciò, sorridendo malizioso. “Ne sei
certo? Non vorrei essere responsabile di aver scompaginato i tuoi
programmi.”
“Sono sicuro.” Gli occhi dei fratelli si incontrarono, verde foglia
lucente l’uno, smeraldo l’altro. Jason si avvicinò per chiudere Colin in
un forte abbraccio. “Dio, pensavo che questo giorno non arrivasse
mai. Un Chase, sposato.”
“Doveva succedere prima o poi,” disse Colin, con la voce un po’
rotta. “Andiamo?”
Accettò la giacca che gli porgeva Kendra, buttandosela sulla
spalla, poi andò da Amy e le sfiorò la fronte con un bacio. Con il
cuore che batteva come un tamburo per la sua vicinanza e
rendendosi conto che sarebbe stato suo, tutto suo, da quel momento
in poi, Amy rischiò di lasciar andare la coperta per alzare le braccia e
mettergliele al collo, abbassandogli la testa per un bacio.
Restarono così per un lungo, dolce minuto, finché sentirono Jason
tossicchiare.
"Riposati un po’, amore,” il tono di Colin era più allusivo delle
parole. “Non ho intenzione di lasciarti riposare molto stanotte.”
Sua sorella restò senza fiato. “Co-lin!”
“Oh, smettila, Kendra. È stata una tua idea fin dall’inizio.”
Amy si raggomitolò nel letto, ad ascoltare il verso esageratamente
offeso di Kendra, la risata contagiosa di Jason e i passi affrettati di
Colin mentre uscivano per preparare il matrimonio. La sua famiglia—
quasi.
La porta si chiuse dietro di loro, ma Amy riuscì a sentire
l’esclamazione di Kendra attraverso la parete. “Oh mio Dio—
abbiamo dimenticato Ford!”
CAPITOLO QUARANTANOVE

COLIN SI APPOGGIÒ alla mensola del camino nell’enorme salotto


di casa Hobbs, rigirandosi l’anello e facendosi forza per affrontare
Priscilla.
Rompere il fidanzamento era sembrata una cosa così semplice al
Rose and Crown. Ma ora che era lì, sospettava che sarebbe stato
molto più difficile.
Priscilla sarebbe stata infelice, anche se più che altro per
l’umiliazione, se non si sbagliava di grosso. Colin era perfettamente
conscio che Priscilla provava ben poco vero affetto per lui. Si chiese
se fosse addirittura capace di provare sentimenti profondi.
Il padre sarebbe stato furioso. Lord Hobbs aveva cercato in lungo
e in largo un genero con i contatti di Colin, gettando sua figlia tra le
braccia di ogni candidato promettente. Non avrebbe accettato
allegramente di veder rovinati i suoi piani.
Sentendo dei passi pesanti sul parquet fuori dalla stanza, Colin si
mise diritto e raddrizzò la giacca stringendola in vita, nella speranza
di nascondere lo strappo nella camicia. Strinse i denti quando Lord
Hobbs entrò da solo. Era un uomo, alto, pallido, decisamente il
padre di sua figlia, anche se lui aveva una personalità un po’ più
animata—che aveva sempre irritato tremendamente Colin.
“Lord Hobbs, avevo chiesto di vedere Priscilla.”
“Mia figlia non è a casa al momento, pensavo potessimo bere
qualcosa insieme mentre la aspettiamo. Re Charles—” Hobbs si
interruppe e guardò criticamente Colin, prendendo nota del suo
aspetto sgualcito. “Mio Dio, Greystone, sembrate un tipo proprio
poco raccomandabile. Avete combattuto un duello o cosa?”
“Qualcosa del genere,” borbottò Colin, strofinandosi la guancia
ruvida. “Quando tornerà Priscilla?”
“Lo sa Dio. È fuori a far compere con alcune amiche, e spendendo
i miei soldi come se non ci fosse un domani, senza dubbio.” Versò
del Madeira in due calici e ne diede uno a Colin con una gioviale
pacca sulla spalla. “Sono contento che diventi un problema vostro
tra poco.”
Colin non poteva aspettare che tornasse Priscilla. Amy lo stava
aspettando. “È quello che sono venuto a discutere. Mi dispiace che
non ci sia Priscilla, ma forse è meglio che parli con voi, in ogni caso.”
“Riguardo alle abitudini spenderecce di Priscilla? Suppongo che le
metterete dei limiti, ma non ne sarà molto contenta—”
“No, signore. Riguardo al matrimonio.” Colin prese un sorso di
vino e lo deglutì lentamente. “Voglio rompere il fidanzamento.”
“Voi cosa?”
Colin non mangiava da due giorni. Il Madeira gli bruciò la gola e fin
giù nello stomaco e il coraggio arrivò con l’alcool. “Voglio annullare il
fidanzamento,” ripeté fermamente. “Vostra figlia ed io—non siamo
adatti. Non stiamo bene assieme.”
“Non state bene insieme? Voi avete bisogno dei suoi soldi ed io
dell’orecchio del Re per ottenere la licenza di sviluppare le mie terre
fuori Londra. E’ una combinazione perfetta.”
“Io non amo vostra figlia, signore.”
“Pfui. E che importa? Fatevi un’amante. Mia figlia non è la più
affettuosa delle donne—pensate che non l’abbia notato? La mia
opinione su di voi non cambierà.” Hobbs mise un braccio sulle spalle
di Colin e lo tirò vicino. “Un’affettuosa, vogliosa ragazza nella City e
una bella ereditiera in campagna—che altro potrebbe desiderare un
uomo, eh?”
Il fiato caldo, alcolico, di Hobbs investì Colin e lo costrinse a tirarsi
indietro per non vomitare. Quell’uomo gli dava fisicamente la
nausea. Colin compiangeva Priscilla—non era colpa sua se lui non
l’amava—ed era infuriato con Hobbs per il modo spietato in cui
trattava sua figlia.
Spregevole avvoltoio.
Fece un respiro profondo e si allontanò dall’uomo. “Sposerò
un’altra questo pomeriggio,” disse a bassa voce.
Hobbs strinse i denti e il suo respiro divenne affannoso.
“Lascereste Priscilla per un’altra donna? La mia Priscilla? Dopo una
formale promessa di matrimonio? Dopo averla rovinata?”
Nonostante la gravità della situazione, Colin sentì l’assurdo
desiderio di ridere. “Rovinata?” Disse incredulo. “È una barzelletta?”
Gli occhi gridi di Hobbs si scurirono per la rabbia. “Non tutti
condividono la mancanza di moralità del nostro buon Re, giovanotto.
Priscilla è stata educata—”
“Credete sinceramente che fosse vergine quando è venuta nel mio
letto?”
Il ruolo di padre oltraggiato non si adattava a Hobbs; Colin vide la
verità negli occhi dell’uomo, e ne aveva avuto abbastanza dei suoi
modi pomposi. “Dopo aver tentato di affibbiarla a metà dei realisti in
Inghilterra?”
“Voi... voi...”
“Non c’è un insulto che possiate rivolgermi che riesca a farmi
cambiare idea.” Con una calma esteriore che non sentiva dentro,
Colin appoggiò il calice sul tavolo, allargò le gambe e incrociò le
braccia. “Che cosa ci vuole per ricompensarvi, Lord Hobbs?” La
mano di Colin si mosse verso la spada. “Potete avere il mio sangue,
se può placare il vostro senso dell’onore, ma vi avverto: non intendo
sacrificare la mia vita per liberarmi da questo fidanzamento.”
Gli occhi dell’uomo più anziano corsero allo stocco di Colin, poi si
socchiusero, subdoli. “Sono certo che potremo trovare un modo più
civile di sistemare questa faccenda, Greystone.”
“Che cosa volete?”
“Un’udienza privata con Sua Maestà.”
Era solo un’udienza—a Colin sarebbe costata solo qualche minuto
del suo tempo. Charles l’avrebbe concessa se gliel’avesse chiesta
Colin.
Ma lo faceva infuriare il fatto che dovesse chiederla.
“Vi farò avere la vostra udienza. Vi farò avere dieci udienze.
Potrete avere un appuntamento fisso—”
“Solo un’udienza. Purché possiate garantire che ne risulterà la mia
licenza.”
Colin si fermò. Quella era tutta un’altra cosa. Anche se Hobbs si
era professato neutrale durante tutta la guerra, c’erano voci che
fosse segretamente un sostenitore di Cromwell. Il Re non vedeva di
buon occhio i responsabili della decapitazione di suo padre; Charles
non si limitava a ignorare Hobbs, provava una vera avversione per
lui. Non era più solo una richiesta, avrebbe voluto dire chiedere a
Charles un favore speciale.
Ma Charles doveva parecchi favori ai Chase. E la licenza non
sarebbe costata niente al Re—al contrario, avrebbe probabilmente
spremuto tasse esorbitanti a Hobbs. Lo irritava che uno sciacallo
intrigante come Hobbs vincesse, ma non sarebbe stato un problema.
Annuì: “Consideratelo fatto.”
Hobbs non sorrise. Si sedette al tavolini da scrittura intarsiato e
fece segno a Colin di sedersi davanti a lui. “Mi aspetto la restituzione
dei miei fondi entro la settimana, ovviamente.”
Questa era la parte che Colin temeva. “Non posso farlo, signore.
Non ho i fondi. Sono stati usati per i restauri.”
“Allora niente da fare. Siete stati legalmente promessi e voi avete
accettato parte della dote. Certamente non vi aspettate—”
“Restituirò tutto. Solo—” Colin tirò il fiato, “—datemi un po’ di
tempo.”
Hobbs lo fissò con uno sguardo gelido. “Firmerete un pagherò.
Otto percento di interesse, con il saldo dovuto prima che vediamo il
1668.”
Un anno. Un anno. Se avesse bloccato i restauri, se i campi
avessero prodotto un ottimo raccolto, se la cava fosse stata più che
produttiva, se le pecore avessero prosperato...
Era un terribile azzardo.
Colin immaginò Amy che lo aspettava alla locanda e gli si
appannò la vista. Avrebbero avuto la sua eredità. Ma aveva
promesso che non l’avrebbe toccata.
“Sto aspettando la vostra risposta,” insistette Hobbs. “A meno che
preferiate fingere di non essere mai entrato qua oggi.”
Colin si riscosse. “Firmerò.”
Hobbs non perse tempo a tirar fuori carta, penna e inchiostro.
Scrisse in fretta un breve contratto, che Colin firmò, con un peso
sullo stomaco, lo scricchiolio della penna che risuonava come una
campana a morto. Hobbs sgocciolò della cera accanto alla firma e
Colin impresse il suo sigillo, ricordando il giorno in cui l’aveva
ordinato ad Amy. Come era uscito quel giorno, aspettandosi di non
rivederla più.
Hobbs sparse la sabbia sull’inchiostro, poi la spolverò via e
arrotolò il contratto. “Se non pagherete, che Dio mi sia testimone, vi
farò rinchiudere nella prigione di Newgate così in fretta che vi girerà
la testa. Nevicherà all’inferno il giorno in cui vi concederò
misericordia.”
Anche se non si sarebbe mai arrivati a tanto—Hobbs si sarebbe
prima impossessato di Greystone—il pensiero della squallida
prigione, infestata dai parassiti, fece salire la bile in gola a Colin.
Respinse l’immagine. Avrebbe trovato il modo di ripagare il suo
debito. Qualunque sacrificio richiedesse, alla fine ne sarebbe valsa
la pena.
Hobbs ripose il rotolo in un cassetto, si versò un altro calice di vino
e lo svuotò in un sorso. “Ho vinto io, sapete.” Si passò una mano
sulla bocca. “Avrò la mia licenza, e ho ancora mia figlia”
“Da vendere al miglior offerente? All’uomo che può offrirvi la
prossima voce nella vostra agenda?”
“È a quello che servono le figlie. Lo capirete quando avrete le
vostre.”
Colin lo ignorò, appoggiando disgustato il calice di Madeira.
“Chi è?” Chiese di colpo Hobbs.
“Non è importante. Non ha niente a che vedere con il fatto che non
amo vostra figlia.”
“Amore, ah! Siete un uomo debole, Greystone—è fortunata mia
figlia a liberarsi di voi.”
L’espressione di Hobbs sfidava Colin a reagire all’insulto, ma Colin
si fece forza e lo ignorò di nuovo. “Porgete i miei saluti a Priscilla e le
mie sincere scuse.”
“Starà bene. Perderà la faccia per un po’ ma le passerà. Le
ricorderò quanto poco le piaceste, voi e la vostra rustica famiglia,
come credo li chiamasse.”
Quella frase avrebbe dovuto ferire Colin, ma non fu così. Sentì
solo un grande sollievo e l’impulso irresistibile a scappare.
Si alzò. “Prendo congedo, allora.”
Con enorme sorpresa di Colin, Hobbs gli tese la mano. “È stato un
piacere fare affari con voi, Greystone.”
“Niente rancori?”
Hobbs alzò le spalle. “È meglio così.”
“Esattamente,” mormorò Colin, con una stretta di mano poco
sentita. Rabbrividì al pensiero di quanto poco fosse mancato che
diventasse il genero di quell’uomo. Chiedere un favore a Charles e
avere un debito mostruoso erano poca cosa, veramente, per aver
evitato il più grosso errore della sua vita.
E se non avesse più rivisto la faccia di quell’avvoltoio, sarebbe
stato contento.
CAPITOLO CINQUANTA

CON KENDRA AL SEGUITO, Madame Beaumont si precipitò nella


stanza e andò alla finestra a spalancare gli scuri. “Alzatevi,
Mademoiselle. Dobbiamo preparavi pour le mariage.”
Amy si sedette, sbattendo gli occhi per svegliarsi. Trasalì quando
Madame le prese il mento, girando il suo povero volto ammaccato
da una parte e dall’altra per esaminarlo alla luce del primo
pomeriggio.
“Mon Dieu!” Esclamò, scuotendo la testa, “abbiamo un sacco di
lavoro da fare. Fece un cenno verso la porta. “Entrate, entrate.”
Entrarono due servitori che portavano una grossa cassa di legno.
Madame indicò il punto in cui la voleva, poi li fece uscire con un
cenno impaziente della mano.
Kendra frugò nella grossa cassa. Ne tolse una vestaglia color
pesca con un magnifico bordo di pizzo. Un sorrisino le aleggiava
sulla bocca mentre aiutava Amy a scendere dal letto e a mettersi
l’indumento, legandoglielo in vita come si potrebbe fare con una
bambina.
Mentre Kendra faceva sedere Amy al tavolo da toilette. Madame
prese una scatola di legno dalla cassa. Tenendola per la maniglia di
ottone cesellato, la portò da loro e aprì il coperchio con un gesto
plateale. Dentro c’erano spazzole, matite, barattoli, bottiglie, vasi e
scatolette piene di misteriose polveri colorate e creme, che Madame
dispose sul tavolino.
“Ora...” disse Madame, alzando un sinistro arnese di metallo.
Nel suo negozio di oreficeria, Amy aveva usato qualcosa di simile
per raccogliere le gemme sciolte. Tirò indietro la testa quando
Madame le alzò il mento e si chinò minacciosa a ispezionarla dalle
parti della fronte.
“Oh, charmante,” disse entusiasta, Madame. “Perfettamente
arcuate. Guardate.” Come se Amy non fosse altro che una bambola,
Madame le voltò la testa verso Kendra, poi lasciò cadere l’attrezzo
sul tavolo.” Niente da strappare.” Dichiarò.
Amy guardava Kendra a bocca aperta. Strappare?!
Madame si mise al lavoro, consultandosi con Kendra di tanto in
tanto, e Amy si rilassò, visto che sembrava non stessero per
apparire altri strumenti di tortura. Le due donne chiacchieravano
eccitate dell’imminente matrimonio e di Colin che aspettava di sotto,
nel bar, ‘probabilmente bevendo fino a essere sbronzo,’ secondo
Kendra.
Amy si morse il labbro. “Non ho mai usato cosmetici.”
“No?” Usando una zampa di lepre, Madame incipriò il volto di
Amy.
“No. Mio padre... voglio dire, per i mercanti... non è considerato
accettabile...”
Davanti ai loro sorrisi vaghi, Amy lasciò perdere. Sarebbe mai
riuscita a inserirsi nel loro mondo?
Diede un’occhiata di soppiatto allo specchio, poi lanciò un urletto.
“Oddio! I lividi sono spariti!” si toccò il volto con le dita, meravigliata.
“E anche le occhiaie.”
“È la Cipria delle Principesse.” Madame le tolse le dita dal volto e
applicò ancora un po’ di cipria per riparare il danno.
“Cipria delle Principesse?” Amy si strinse le mani in grembo per
impedire loro di tremare. Le figlie dei mercanti non usavano cipria
creata per le principesse.
“È chiamata così perché quattro principesse, la cui grandebeauté
è nota in tutta Europa, l’hanno usato con tanto successo da aver
preservato un’aria giovanile fino a settant’anni di età.”
“Settant’anni?” Kendra toccò le inesistenti zampe di gallina intorno
ai suoi occhi. “Devo procurarmene un po’.”
Madame si girò per applicare un po’ di cipria alle guance di
Kendra. “Potete procurarvela da Madame Elizabeth Jackson, vicino
a Maypole nella Strand, per sei pence al pacchetto.”
Amy fissò il suo riflesso. Suo padre sarebbe stato deluso, se fosse
stato lì? Stava rinnegando le sue promesse, ma lui le aveva voluto
bene... le avrebbe veramente proibito di amare Colin?
“È un affare anche al doppio del prezzo.” Il viso di Kendra apparve
dietro a quello di Amy nello specchio. Aggrottò la fronte vedendo la
carnagione appena incipriata, poi sorrise. “Andrò a trovare Elizabeth
Jackson domani. Verrai anche tu, Amy?”
Amy scosse lentamente la testa, stringendo le labbra per
nascondere il tremolio rivelatore.
“Certo che no, che stupida sono.” Il sorriso di Kendra si fece più
ampio. “Vorrai restare con Colin, no?” Passò a Madame una matita
di kohl.
Con Colin. Che pensiero meraviglioso, magico. “Sì,” rispose Amy,
sorpresa di quanto risuonasse chiara e sicura la sua voce.
Voltando Amy verso di lei, Madame le sottolineò gli occhi con il
kohl e le scurì le ciglia e le sopracciglia con un sughero bruciato.
“Oh, vi ho mandato qualcosa negli occhi?” Preoccupata, Madame
Beaumont si chinò, controllando Amy. “Je le regrette. Mi dispiace.”
“Va tutto bene,” Amy sbatté gli occhi, cercando di nascondere le
lacrime, dispiaciuta perché le sembrava di non riuscire a controllarsi.
Guardò ancora di soppiatto lo specchio. “I miei occhi sembrano
enormi,” disse preoccupata. “Forse non piacerò a Colin con la faccia
dipinta.”
“Stupidina,” disse Kendra. “Io mi aspetto di dovergli pulire la bava
dal mento.”
Madame Beaumont staccò un foglio di carta rossa di Spagna da
un libriccino e la passò leggermente sulle guance di Amy.
“Colin ha parlato con Priscilla?” Chiese esitando Amy a Kendra.
“No, ha parlato con suo padre.”
“E?” Amy guardò Madame che prendeva un vasetto. “Che cos’è
successo?”
“Ssst,” la interruppe Madame. Applicando una pomata alle labbra
di Amy.
Kendra fece spallucce. “Non lo so esattamente, ma va tutto bene.
Non chiedergli niente. È piuttosto furioso. Continua a borbottare di
avvoltoi, sciacalli, e roba del genere.”
Amy stava per farle un’altra domanda, ma Madame la prese per le
spalle e la girò completamente verso lo specchio.
Amy si guardò con gli occhi che brillavano. “Sono-sono bella,”
mormorò, guardando meravigliata le parole che uscivano dalle sue
labbra lucide.
“No,” la corresse Kendra. “Sei magnifica. Sei sempre stata bella.”
Si chinò ad abbracciare Amy. “La mia bellissima sorella—riesci a
crederci?” Si asciugò gli occhi, tirando su col naso, e anche Amy si
asciugò una lacrima. “Oh, ci rovineremo le facce. Forza, il vestito!”
Mentre Madame prendeva il vestito dalla cassa, Amy si alzò in
piedi, stordita, tremando da capo a piedi, tormentata da tanti pensieri
eppure eccitata davanti all’incredibile miracolo del matrimonio con
Colin. Madame e Kendra non sembrarono notarlo mentre le
toglievano la vestaglia e le infilavano dalla testa una sottoveste
nuova, attente a non rovinare il trucco appena applicato.
Poi venne l’abito color zaffiro e avorio che Amy aveva pensato di
non avere occasione di mettere. Nell’attimo in cui le lisciarono il satin
sui fianchi, i suoi dubbi sparirono. Stava per succedere. Dio del cielo,
sarebbe stata una Contessa prima che finisse quella giornata.
“Mie. Spero che ti vadano bene.” Interrompendo le sue riflessioni,
Kendra le tese le calze e un paio di scarpe col tacco alto, alla moda.
Con un sorriso distratto, Amy si infilò le calze e si mise le scarpe,
barcollando sui tacchi alti mentre Madame lisciava le maniche e
sistemava il girovita finché fu soddisfatta. Riportò Amy al tavolo da
toilette e le mise un fazzoletto nella bassa scollatura per proteggere
il delicato pizzo tempestato di perle mentre incipriava il collo e il
decolté di Amy per uniformarli al volto.
Un ferro arricciacapelli era stato messo a scaldare di fianco al
fuoco e Madame si mise al lavoro sui capelli di Amy. “Dovreste
veramente tagliarli se volete essere à la mode,”
Con il bordo della mano contro il collo di Amy, la sarta indicò la
lunghezza preferita, appena sotto il livello delle orecchie.
Ricordando la sensazione delle mani di Colin che le
accarezzavano i capelli, Amy impallidì e raccolse le sue lunghe
ciocche in entrambi i pugni. Madame ridacchiò. “Forse non oggi.”
“A Colin non piacerebbe,” dichiarò Amy decisa, e fu tutto. Le mani
abili di Madame avvolsero, intrecciarono e arricciarono e poco dopo i
capelli di Amy erano acconciati in una parvenza dello stile alla moda,
lunghi riccioletti ai lati e, sulla nuca, uno chignon intrecciato con
nastri color zaffiro.
“Niente filo di ferro.” Madame accarezzò la folta massa di riccioli.
“Non è giusto.” Kendra fece il broncio. “Io ho bisogno dei sostegni
di filo di ferro e anche di falsi riccioli.”
“Ora sei tu la stupidina,” disse Amy. “Che cosa non darei per quel
colore rosso intenso. E hai idea di quanto tempo ci voglia per
asciugare i miei?”
“Mon Dieu, Mesdemoiselles,” disse Madame schioccando la
lingua. “Dobbiamo lavorare tutte con quello che Dio ci ha dato, e
siete entrambe adorabili.” Frugò con la punta delle dita in una
scatoletta di nei finti. “Cuori, stelle, fiori... che ne pensate?”
“Cuori,” decise Kendra. “Sono per un matrimonio, dopo tutto.”
“Niente nei. Sono già abbastanza dipinta così. Colin non mi
riconoscerà nemmeno.”
Kendra sbuffò. “Non è che sia dipinta come un’attrice. Un neo?”
“Non è una trattativa.” Amy si mise a ridere. “Niente nei.”
“Madame?”
Madame prese Amy per il gomito, la fece alzare e la guidò al
centro della stanza. Amy restò rigida con un palo mentre Madame le
girava intorno, guardandola dalla testa ai piedi. La sarta si allontanò
di qualche passo, con gli occhi socchiusi mentre contemplava la sua
creazione.
“La sua carnagione è impeccabile,” disse a Kendra.
“Che differenza fa?” Chiese Kendra. “I nei finti sono di moda, non
servono più solo a nascondere un foruncolo o le cicatrici del vaiolo.”
“È una sposa perfetta, n'est-ce pas?” Madame portò Amy allo
specchio tra le due finestre. “Guardate.”
Amy si guardò allo specchio, pietrificata. Tutti i segni dei
maltrattamenti erano nascosti. Velati dai cosmetici, il volto, il collo e
le spalle apparivano candidi e perfetti. Il pizzo color vaniglia
scendeva dalle maniche a coprirle i polsi e nascondendo le
antiestetiche abrasioni.
Il lucido satin color zaffiro scintillava, le perle alla scollatura e sulla
sottogonna brillavano. Grossi riccioli a spirale le scendevano sulle
spalle e, di colpo, il color ebano le sembrò perfetto per lei. Con
enorme sollievo notò che non sembrava troppo truccata, grazie
all’abilità di Madame, sembrava se stessa, solo valorizzata.
Incontrò gli occhi di Kendra nello specchio e si sorrisero.
Avrebbe continuato a guardarsi per sempre, ma Madame diede a
entrambi una piccola spinta. “Lo sposo sta aspettando. Allez-y!” E le
congedò con un cenno aggraziato della mano.

LA CONVERSAZIONE DEI fratelli Chase verteva giù da un po’ sul


tempo infinito che serviva alle donne per prepararsi.
Colin aprì un’altra bottiglia di vino delle Canarie. “Io scommetto
che hanno del cibo nella stanza.”
“Cibo?”
“Cibo. Le donne non mangiano mai molto di fronte a noi, eppure si
lamentano sempre di come si sentono sazie dopo pochi bocconi. La
mia teoria è che facciano portare di nascosto del cibo nel loro
spogliatoio.” Colin fece una pausa per ingollare il vino dalla bottiglia
verde. “Mentre noi siamo qui fuori ad aspettare e a morire di fame,
loro stanno mangiando e ridendo di noi.”
Ford ridacchiò. “Da quanto ipotizzi che succeda?”
“Dall’alba dei tempi, almeno.”
Jason si accarezzò i baffetti. “E hanno mantenuto il segreto per
secoli?”
“È una grande cospirazione—ogni donna deve giurare di
mantenere il segreto fin dalla culla.” Colin parlava con solennità, ma
lo scintillio negli occhi tradiva il suo divertimento. Abbassò la voce e
si chinò verso il centro del tavolo. “Abbiamo sempre preso in giro
Kendra perché mangia il dessert prima del resto. Beh, succede
perché ha già—”
Un’apparizione che scendeva dalla scala attirò l’attenzione di
Colin, interrompendo il suo discorso. Una visione color avorio e
zaffiro, Amy scendeva verso di lui come fluttuando. Gli mancò il fiato
chiedendosi come avesse mai potuto pensare di rinunciare a lei.
Il corpetto dell’abito aderiva come una seconda pelle, mettendo in
risalto la vita sottile. Le sottane si allargavano sopra i fianchi,
ricordandogli le curve seducenti che nascondevano. Vestita di satin
e pizzo, nastri e perle, le mancavano solo alcuni dei suoi splendidi
gioielli per sembrare in tutto e per tutto la Contessa che stava per
diventare.
Non che fosse importante, ovviamente.
Avrebbe potuto essere vestita di tela di sacco e l’avrebbe sposata
comunque.
CAPITOLO CINQUANTUNO

QUANDO SCESE LE SCALE della locanda con Kendra, Amy vide


Jason dare una gomitata a Colin, che si alzò lentamente in piedi.
“Dio del cielo,” sussurrò Amy, senza rivolgersi a nessuno in
particolare. Era semplicemente l’esemplare maschile più magnifico
che avesse mai visto. Una volta, tanti mesi prima, nel suo negozio,
Amy si era meravigliata per il suo bell’aspetto, ma quell’impressione
iniziale, da allora, era stata sostituita dalla consapevolezza di quel
complesso miscuglio, fatto di cuore e intelletto che, per lei, era Colin.
Ora, vedendolo vestito per il suo matrimonio—il loro matrimonio, la
meraviglia tornò impetuosa.
Il bel volto era rasato di fresco e i capelli appena lavati
scendevano ondulati sulle spalle. Ma era il suo abito formale che lo
aveva trasformato agli occhi di Amy—un abito di velluto nero che le
ricordava quello che aveva trovato nella cassapanca ai piedi del suo
letto a Greystone.
Considerando i gusti semplici di Colin, l’abito strizzava l’occhio alla
moda, con i calzoni più ampi di quanto gli piacesse, anche se non
erano quelle gonne divise che chiamavano ‘calzoni gonnella’ che
erano tanto di moda. Dove l’abbigliamento di un dandy avrebbe
richiesto nastri, risvolti e spalline, l’abito di Colin era rifinito con
passamaneria dorata. La camicia ampia, candida era bordata di
pizzo ai polsi arricciati. Identico pizzo adornava la cravatta che
scendeva dal colletto del corto farsetto, con il cammeo nella cornice
d’oro di Amy che la teneva a posto. L’anello sigillo che aveva fatto
per lui era il suo unico altro gioiello.
Anche se Jason e Ford erano vestiti in modo simile, Amy aveva
occhi solo per Colin. Quando lui si mosse verso di lei, Amy si
accorse che indossava scarpe—scarpe, non stivali!—con il tacco, la
linguetta alta e uno stretto fiocco rigido.
Amy non riusciva quasi a credere che questo modello di
perfezione maschile fosse sul punto di essere suo. Le mancava il
fiato, le girava la testa e quasi inciampò in fondo alle scale, ma Colin
era lì e la prese tra le braccia.
“Proibito svenire, adesso,” scherzò. “Posso anche sembrare un
pavone, ma ti assicuro che sono lo stesso uomo che hai accettato di
sposare.”
Vestito dalla testa ai piedi in bianco e nero non assomigliava
proprio a un pavone. “No... è...”
“Che assomiglio a un dandy dalla testa vuota, senza dubbio.
Questi sono i miei vestiti di corte.” Lasciando andare Amy, Colin
diede un’occhiata alle scale. “Mi ha obbligato lei a indossarli.”
La risata di Kendra arrivò fino a loro. “Nessuno può obbligarti a
fare qualcosa, Colin Chase. Anche se Dio sa che ho tentato.”
“Inoltre,” dichiarò Amy, “Stavo per dire che sei incredibilmente
bello.”
Il volto di Colin divenne rosso sotto l’abbronzatura, mostrando
l’imbarazzo per il complimento fatto in pubblico. Si afferrò i lati dei
calzoni ampi, fingendo irritazione. “Non aspettarti che mi vesta così
molto spesso. Un uomo non può muoversi con tutto questo tessuto
che gli pende intorno.”
“Immagino che Amy sia d’accordo,” aggiunse Ford, “Perché sono
sicuro che ti preferisce senza tessuto addosso.”
Una risata generale accolse in commento, e Amy arrossì fino ai
capelli—anche se stava pensando esattamente la stessa cosa.
Avvicinandosi, Colin le passò il braccio dietro la vita e la fissò negli
occhi. “Esattamente quello che penso io,” mormorò, con la voce roca
così bassa che lo sentì solo lei. “Anche se sei incredibilmente
splendida con quell’abito, non vedo l’ora di togliertelo.”
Le guance di Amy divennero ancora più rosse.
Qualcuno tossicchiò e Amy si sciolse dall’abbraccio di Colin.
Jason le fece un cenno. “Amy, sorellina, in assenza di tuo padre,
posso avere l’onere di accompagnarti all’altare?”
Per l’ennesima volta da quando era cominciato quel giorno
incredibile, la gola di Amy si chiuse per l’emozione. Anche se
l’assenza dei suoi genitori la rattristava, era, oh, così lieta di essere
stata accettata in quella meravigliosa famiglia.
Annuì in silenzio.
“Bene, che cosa stiamo aspettando, allora?” Il sorriso di Jason era
caloroso e comprensivo mentre le offriva il braccio. Con un sorriso e
un fruscio delle sottane di satin, Amy scivolò davanti a Colin e prese
a braccetto il quasi cognato.

AMY NON RICORDAVA i particolari del suo matrimonio, dal


momento in cui erano entrati a St. Trinity (il curato aveva alzato un
pesante sopracciglio e, rivolto a Colin aveva detto, “Valeva
veramente la pena di darle la caccia”), fino al momento in cui le
consegnarono la pergamena arrotolata che la dichiarava
ufficialmente Amethyst Chase, Contessa di Greystone, il tempo era
passato, irreale, come una sequenza di immagini irreali.
Oh, ricordava di aver detto ‘lo voglio’ e di aver sentito il ‘lo voglio’
di Colin tuonare sicuro nel santuario. Ricordava Colin che le metteva
all’anulare un freddo cerchietto di metallo, e ricordava il suo lungo
bacio, che la legava a lui per sempre, il suo sapore dolce misto a
quello del vino delle canarie che aveva bevuto mentre l’aspettava.
Dopo un po’ Jason aveva dato un colpetto sulla spalla a Colin e lui
aveva lasciato andare Amy con riluttanza, e ricordava anche quello.
Ma le parole del curato—il mormorio incessante che legava insieme
questi avvenimenti—erano avvolti nella nebbia.
Alla cerimonia seguì un banchetto nuziale preparato in tutta fretta
nella casa dei Chase. La sala da pranzo formale era piena di risate,
dal pavimento intarsiato fino al soffitto affrescato.
I ritratti degli antenati osservavano gli eventi dalle pareti che
davano sulla tavola imbandita. Vassoi d’argento con un maialino da
latte, un arrosto di manzo, e anatra ripiena di ostriche e cipolle,
portati fumanti in tavola, circondati da ciotole di piselli, cavolfiori,
lattuga, granturco, patate e riso speziato allo zafferano e noci tritate.
Il profumo del pane fresco, appena sfornato e del burro
solleticarono il naso di Amy. La sua coppa fu riempita più volte con il
punch a base di chiaretto corretto col brandy, noce moscata,
zucchero e succo di limone. Mentre la svuotava per un brindisi dopo
l’altro, Amy si inebriava di risate e compagnia, per non parlare della
quantità di alcool senza precedenti che aveva consumato.
Al centro della tavola c’era la torta nuziale, con la glassa bianca
decorata di violette candite e rose (nel bel mezzo dell’inverno!), che
Kendra insistette che tagliassero e servissero immediatamente per
celebrare il loro matrimonio. Amy e Kendra mangiarono la loro
porzione, mentre gli uomini la misero da parte per mangiarla dopo.
Colin alzò un sopracciglio, fissando a turno uno dei fratelli. “Visto?”
Disse loro, con un tono ricco di significati nascosti. “È esattamente
come avevo detto...”
Ford e Jason risero, mentre Kendra e Amy si scambiavano uno
sguardo perplesso. Poi i vassoi andarono avanti e indietro sulla
tavola, i piatti si riempirono, ci furono altri brindisi e lo strano
commento venne dimenticato.
Amy non riuscì a mangiare più di qualche boccone del
meraviglioso festino. Aveva lo stomaco sottosopra per l’insieme di
eccitazione, stanchezza e un po’ di ebbrezza. Inoltre, la pressione
della gamba di Colin contro la sua sotto il tavolo le teneva i pensieri
occupati altrove.
La conversazione turbinava intorno a lei. Amy non prestava molta
attenzione, ma notò la reazione di Kendra quando Colin annunciò
che sarebbero partiti. Non era per nulla contenta di vedersi rubare la
nuovissima sorella così presto.
“Non puoi!”
“Col cavolo che non posso. Se pensi che abbia intenzione di
passare la mia prima notte di nozze con la mia sorellina che aspetta
fuori dalla porta...”
“Ma hai solo Ebony. Certamente—”
“Puoi prendere in prestito la mia carrozza,” offrì gentilmente
Jason.
“Ti ringrazio, ma ho mandato a prendere la mia carrozza questa
mattina.”
“Ma—ma—”
Colin sorrise quando sua sorella si mise a balbettare.
“Amy non ha vestiti!”
“Ha un baule pieno di vestiti che hai ritirato tu da Madame
Beaumont proprio questa mattina.”
“Non ha scarpe, calze e niente camicie da notte,” ribatté Kendra,
compiaciuta.
“Tu puoi certamente prestarle un paio di scarpe e qualche paio di
calze.” Colin rivolse alla sorella un sorriso malizioso. “E certamente
Amy non avrà bisogno di camicie da notte.”
La sua previsione si rivelò corretta. Amy ricordava come in sogno
di essere stata rannicchiata nella carrozza di Colin, con la testa
contro la sua spalla. Poi, erano a Greystone nel suo—nel loro—letto,
senza nemmeno uno spillo addosso. Ma non aveva freddo. C’era un
bel fuoco nel camino, e il fiato di Colin era caldo sul collo dove stava
strofinando il naso per svegliarla.
“Hai dormito abbastanza?” Le sussurrò e poi, con manovre
abilmente calcolate, procedette a tenerla sveglia finché l’alba non
colorò il cielo.
Non che lei intendesse lamentarsi.
A giudicare dal sole che brillava attraverso la finestra, doveva
essere pomeriggio. Amy si stiracchiò sotto le coperte, felice. Passò
la mano sull’incavo dove aveva dormito Colin, immaginando di poter
sentire il suo calore e annusando l’odore particolare che aveva
lasciato. Non aveva motivi di preoccuparsi per la sua scomparsa—
era suo marito, ora.
Il pensiero le portò un sorriso sulle labbra e una visione di lei in
piedi accanto a lui nella vecchia chiesa. Zaffiro e avorio, nero e
bianco. Non erano stati intonati. Era stato perfetto.
No...
No, non era stato perfetto. Nello stomaco di Amy sembrò formarsi
un vuoto inquietante.
Che cosa aveva fatto?
Aveva fatto un voto e ne aveva infranto un altro. Non sarebbe mai
stata in grado di rimettere in piedi la Goldsmith & Sons, ora. Oddio,
suo padre l’avrebbe mai perdonata? Si sarebbe mai perdonata?
Generazioni di artigiani, tutti che finivano con lei, per il suo egoismo.
Avrebbe dovuto sposare volontariamente Robert—allora non
sarebbe successo niente di questo. Non importava che la sola idea
le facesse rivoltare lo stomaco; avrebbe avuto il conforto della
Goldsmith & Sons, del suo mestiere, di sapere che aveva fatto la
cosa giusta.
Non aveva nemmeno fatto un favore a Colin. Che cosa aveva
detto? Dannazione, avrei dovuto ucciderlo. Invece l’aveva sposata
per salvarla da Robert. E ora era incastrato con una donna comune
come moglie, mentre lei sapeva che aveva desiderato una donna
titolata.
Ma la amava veramente? Amy si rannicchiò nel letto e chiuse
stretti gli occhi. Dietro le palpebre danzarono strane forme, che le
diedero le vertigini. Il punch al chiaretto della sera prima non andava
d’accordo con il suo stomaco.
Rimase ferma per qualche minuto, tenendosi strette le ginocchia
al petto, svuotando la mente, obbligandosi a respirare piano e a
fondo e a calmare il battito del suo cuore.
Dopo un po’, si sentì in grado di pensare più chiaramente.
Cosa fatta capo ha, pensò. Avrebbe dovuto seppellire in fondo il
senso di colpa. Il suo amore per Colin era talmente grande che
certamente sarebbe andato tutto bene. Non aveva avuto scelta.
Nessuna alternativa accettabile.
Aprì gli occhi, allungò le gambe e rotolò sulla schiena, guardando
il baldacchino color avorio. C’era un bel fuoco nel camino di pietra
grigia. La luce chiara del sole entrava dalla finestra. Un lampo
brillante, viola saettò dalla mano appoggiata alla coperta.
Si sedette, respirando in fretta. Con tutta l’eccitazione che c’era
stata, non aveva trovato il tempo di guardarlo la sera prima, ma
l’anello era magnifico: una grande ametista a forma di cuore,
circondata da piccole perle e diamanti dal taglio a brillante,
incastonati in una cornice di filigrana delicata che ricordava il miglior
artigianato del sedicesimo secolo.
Dove era riuscito Colin a trovare un simile capolavoro, in così
poco tempo? Agitò le dita, guardando il gioco di luce dell’ametista
viola scuro e dei vecchi diamanti. Diciotto carati, l’oro assottigliato
dal tempo e dall’uso ma ancora di un giallo ricco. Splendido, eppure
in qualche modo... estraneo... non aveva mai indossato gioielli che
non fossero stati fatti da un membro della sua famiglia.
Si tolse l’anello.
Quando la sentì ridere, Colin apparve sulla soglia, con un sorriso
radioso sul volto.
“Buon pomeriggio, dormigliona, che c’è di tanto divertente?”
La luce del sole ricavò bagliori dall’ametista nel palmo della mano
di Amy. “Questo,” disse, con le risatine che le impedivano di parlare.
“Quest’anello.”
Il sorriso di Colin scomparve, sostituito da un’espressione offesa.
“Era di mia nonna,” mormorò, cupo. “Pensavo...”
La risata di Amy morì quando si rese conto che pensava che lei
stesse denigrando quel magnifico gioiello. Afferrando la trapunta e
avvolgendosela attorno, Amy saltò giù dal letto e corse da lui. “No, è
magnifico,” gridò. “Ma, guarda—guarda all’interno.”
Colin prese l’anello. “L’interno?” Chiese senza capire.
“Sì, lì—lo vedi?”
Colin socchiuse gli occhi, guardando il minuscolo marchio.
“Un’aquila?”
“Un falco. E le lettere GSJ.”
“Allora...”
“Goldsmith & Sons, Jewellers. Non ricordi il falco sulla nostra
insegna? Colin, questo anello è stato fatto da qualcuno della mia
famiglia!”
Colin alzò in fretta la testa, poi tornò a guardare incredulo l’anello.
“Sei sicura? C’è anche la testa di un animale di qualche tipo
stampigliata.”
“Una testa di leopardo. Significa che l’oro è stato saggiato nella
Goldsmith’s Hall a Londra. È per quello che lo chiamano
‘hallmarking’ e la testa di leopardo è iscritta in un cerchio—un antico
marchio usato prima del 1519. Colin, questo anello deve avere più di
centocinquanta anni.”
“Sapevo che era vecchio, ma—”
“È molto vecchio. Ed è meraviglioso. Guarda la filigrana.” Prima
che Colin potesse guardare la filigrana o qualunque altra cosa, Amy
gli riprese l’anello e se lo infilò al dito. Stendendo il braccio, lo
guardò con aria di possesso. “Come ha fatto a sopravvivere così a
lungo? La maggior parte del nostro lavoro consisteva nel disegnare
nuove montature per vecchie gemme; la gente alla moda fa rifare i
gioielli ogni due o tre anni.”
“La nonna non è mai stata un tipo alla moda. Aveva dato l’anello a
Jason—altrimenti sarebbe stato venduto anni fa per finanziare la
lotta contro Cromwell. Ha un qualche valore?”
“Molto. Le belle ametiste grandi sono rare—la chiamano il Gioiello
dei Re. Ma è la lavorazione che è importante per me... mi chiedo chi
l’abbia fatto? Il mio bis-bis-bisnonno?” Amy sembrava sprizzare di
felicità mentre guardava l’anello e poi suo marito. “Oh, Colin, è il più
bell’anello nuziale al mondo!”
Gli occhi di Colin si illuminarono. Si avvicinò, passando le mani
sotto la coperta per circondarle la vita. “Sono contento che ti piaccia,
amore,” mormorò con voce roca prima di baciarla. “E sono d’accordo
con la tua opinione circa la rarità e il valore di un’Ametista.”
Le grandi mani erano calde sulla sua schiena e Colin la baciò a
lungo, fermandosi solo quando la trapunta scivolò dalle spalle di
Amy e lei si scostò per chinarsi in fretta a recuperarla.
Colin gliela avvolse intorno. “Benchley ha pronto il pranzo. Quanto
ci metti a vestirti? A meno che tu non voglia prima, uh, il dessert?”
“È Kendra che mangia il dessert per primo.”
Colin le rivolse un sorriso malizioso, “Non è quello che intendevo.”
Si chinò verso di lei e la sua lingua tracciò il contorno delle labbra di
Amy, mandandole una fitta di desiderio per tutto il corpo. Quando si
allontanò, gli occhi di Colin la fissarono con intenzione.
Sulle guance di Amy bruciavano due macchie rosa, ciononostante
mormorò. “Oh, il dessert sarebbe gradito.”
Questa volta quando cadde la coperta, Amy non si chinò a
raccoglierla.
Mentre Colin la portava sul letto, Amy si diceva che era
impossibile che qualcosa di così perfetto fosse sbagliato.
Non lo avrebbe permesso.
CAPITOLO CINQUANTADUE

COLIN ENTRÒ NELLA stanza da letto, attento a mantenere neutra


la sua espressione. “Vieni di sopra con me, tesoro?”
Il riflesso di Amy nello specchio del tavolo da toilette rivelò la sua
sorpresa. “Di sopra?” Ripiegò la lettera che aveva appena scritto alla
zia Elizabeth con la notizia del suo matrimonio. “Mi hai detto per tre
settimane che è pericoloso salire. Inoltre non dobbiamo partire per
Cainewood?”
“La vigilia di Natale può aspettare ancora per qualche minuto.”
Sforzandosi di non sorridere, la prese per mano e la condusse lungo
il corridoio verso la scala.
Amy lo seguì. “Quando restaureremo il piano superiore?”
“Non lo so. Ho bloccato tutti i restauri. La tenuta ora è quasi
autosufficiente e poi—”
Si voltò quando la sentì fermarsi. Amy parlò sommessamente,
come sforzandosi. “Colin, ho un baule pieno d’oro.”
“Sì, ce l’hai.” Scese uno scalino, rigirandosi l’anello. “Ti ho
promesso che non lo avrei toccato.”
“Ma—è tuo. Legalmente è tuo.” Le dita di Amy andavano avanti e
indietro sulla ringhiera di quercia. “Tu... avresti preso la dote di
Priscilla, no?”
Colin notò la piccola esitazione. Spendere quel denaro l’avrebbe
distrutta. Avrebbe distrutto il loro matrimonio. Avrebbe distrutto il suo
amore per lui.
“Priscilla era diversa,” disse cautamente. “Era un accordo
commerciale,” disse a voce bassa. “Aspetteremo, vedremo che cosa
succede. Se non ti importa vivere in questo modo per ora—”
“Io potrei vivere così per sempre,” disse in fretta Amy.
Molto in fretta, pensò Colin. Troppo in fretta.
Mentre le sfiorava le labbra con un bacio delicato, gli passò per la
mente un’immagine inquietante di Lord Hobbs.
Non aveva tutto quel tempo.

AMY SEGUÌ COLIN lungo il corridoio, preoccupata per il suo


improvviso cambio di umore. Ciò che aveva visto nei suoi occhi
l’aveva turbata. Era sembrato così spensierato quando era venuto a
prenderla—che cos’era successo per deprimerlo?
Era strano e inquietante scoprire che lo stato mentale di Colin
influiva sul suo. Sembrava che lei non potesse essere felice se non
lo era anche lui.
L’amore era più complicato di quanto avesse mai immaginato.
Il passo di Colin si fece più leggero quando raggiunse la fine del
corridoio. Nonostante gli avvertimenti ricevuti, Amy non aveva visto
né tavole marce né buchi nel pavimento. Colin si fermò davanti a
una robusta porta ad arco e mise una chiave nella serratura.
Dopo aver aperto la serratura con forte scricchiolio, estrasse la
chiave, prese la mano di Amy e gliel’appoggiò sul palmo. Il metallo
era caldo, manteneva ancora il calore del suo corpo. Amy chiuse la
mano e lo guardò.
“Entra. È tua.” La invitò, indicando la porta e qualunque cosa ci
fosse oltre.
La porta si aprì con un cigolio di protesta per il disuso quando Amy
la spinse. La stanzetta aveva un camino di marmo scolpito, un lungo
divano imbottito in centro e c’era una pesante scrivania di legno
scuro che apparteneva al secolo precedente. Ma la cosa migliore
erano i libri, una moltitudine di libri che ricoprivano le pareti dal
pavimento al soffitto.
“Una biblioteca...”
L’umore di Amy migliorò immediatamente e la sensazione di
disagio sparì come tendeva a fare per la beatitudine di essere
sposata a Colin. Se veramente si amavano l’un l’altro, doveva
bastare.
Sarebbe bastato.
“È tua,” ripeté Colin. “Un posto tutto per te, come lo studio è il mio.
Anche se spero che mi lascerai entrare ogni tanto, sai, per prendere
in prestito un libro.”
Ammiccò ad Amy che però accennò solo un sorriso al suo
tentativo di umorismo e poi si spostò alla finestra e guardò la corte
segreta. Le piante erano quasi tutte spoglie per il freddo e la breve
nevicata del mese prima, ma sarebbe stata splendida in primavera.
E la piccola biblioteca era perfetta; riusciva a immaginarsi
rannicchiata davanti al fuoco con una pila di libri al suo fianco.
“Ti piace?” Dietro di lei la voce di Colin era calorosa e felice, come
se già sapesse la risposta. La sua voce le fluiva sopra e intorno,
facendole vibrare il corpo per la contentezza e il desiderio fisico per
lui che era sempre lì, appena sotto la superficie.
Si voltò a guardarlo. “È la cosa più meravigliosa che mi abbiano
mai regalato. Eccetto forse il mio anello.”
“La arrederemo come vorrai. Benchley l’ha pulita per me. Non so i
libri—probabilmente non li tocca nessuno da decine di anni.”
Amy si avvicinò agli scaffali e passò un dito lungo la spina verde
scuro di un volume. Quando lo tolse il dito era macchiato di polvere
e aveva lasciato una striscia notevolmente più lucida del resto sulla
copertina. Ma non importava; pulire e organizzare i libri sarebbe
stato un compito gradito.
Si era sentita piuttosto inutile come contessa nelle tre ultime
settimane.
“È meravigliosa,” disse, voltandosi a guardarlo. Il sole invernale
entrava dalla finestra e sembrava creargli un alone intorno, pieno
delle brillanti particelle di polvere della stanza appena spazzata.
Amy si sentì morire. “Oh, Colin. Io non ho niente per te. E questo
—questo—” indicò disperata la stanza “—è così tanto.”
Colin si mosse per stringerla tra le sue braccia calde e forti. Con il
volto a pochi centimetri dal suo, Amy si perse nei suoi occhi di
smeraldo. “Non mi serve nessun regalo da te, tesoro,” le disse Colin,
con la voce bassa e un po’ roca. “Sei tu il mio regalo di Natale. Sei
tutto quello che voglio e molto più di quanto meriti. Inoltre come
avresti potuto prendermi qualcosa? Non ti ho lasciato sola un
attimo.”
Colin le sorrise, un sorriso che su Amy aveva un effetto
devastante. Di colpo, lei si rese conto di avere un regalo per lui.
Sorrise tra sé e sé. Le baluginò un’idea. Un malizioso scherzo di
Natale.
Le sarebbe servito l’aiuto di Kendra...
Colin la baciò, con la bocca calda ed esigente e tutti i piani che
stava formulando svanirono, sostituiti, come sempre, dalle
sensazioni travolgenti che Colin riusciva a scatenare con un
semplice tocco.
Ma non si limitò a un tocco. Fecero l’amore sul divano—
“battezzando” la stanza, come lo definì maliziosamente Colin, e
disturbando anni di polvere accumulata.
Dopo, Colin le fece passare un dito lungo il naso, come aveva
fatto Amy con il libro. Ridendo, decise che avevano bisogno di un
bagno, e si spostarono al piano inferiore, per lavarsi a vicenda
nell’enorme vasca. Benchley aveva attaccato i cavalli e aspettava da
mezz’ora buona quando uscirono e salirono in carrozza per recarsi a
Cainewood.
La strada era dura e asciutta quel giorno e la carrozza sfrecciò
verso Cainewood a tempo di record. Oltre agli indumenti per un
breve soggiorno, nei loro bauli c’erano pacchettini—regali di Natali,
gioielli che avevano scelto la sera prima. Il cuore di Amy batteva
come un tamburo per l’eccitazione al pensiero del piacere di ognuno
di loro nel ricevere i regali, specialmente la sorpresa che stava
programmando per Colin.
Prima di rendersene conto, arrivarono al villaggio e bussarono alla
porta del cottage bianco di Clarice Bradford. Venne ad aprire la
piccola Mary, con Clarice alle calcagna. La bambina sembrava ben
nutrita, aveva le guance rosa e si buttò tra le braccia di Amy con un
urlo di gioia.
“Oh, milady—voglio dire Amy! Non sapevo se vi avrei rivisto!”
Amy si inginocchiò per restituire l’abbraccio, poi si tirò indietro. I
grandi occhi azzurri della bambina brillavano di felicità e non solo per
aver rivisto una vecchia amica. Era felice con Clarice—avevano
avuto bisogno l’una dell’altra.
Proprio come lei e Colin erano destinati a stare insieme.
“Sono una Lady, adesso, Mary. Riesci a crederlo? Ho sposato il
fratello di Lord Cainewood. Lord Greystone, lo ricordi?” Amy si alzò e
mise il braccio intorno alla vita di Colin.
“Certo che lo ricordo.” Mary tirò indietro la testa per guardarlo. “Mi
avete salvato perché potessi diventare la bambina della mamma.”
Amy dovette saltar via quando la bambina si lanciò verso Colin,
saltando in alto e avvolgendogli le braccia intorno al collo e le gambe
intorno alla vita. “Oh, milord, grazie!”
“Non so trovare le parole per dirvi quanto vi sono grata,” Clarice
chinò la testa e fece una riverenza. Allungò le braccia per prendere
sua figlia, ma Colin spostò Mary su un fianco, sostenendola con un
braccio mentre stringeva la mano a Clarice.
“È stato un piacere per me.” Sorrise a Mary, togliendole i riccioli
biondi dal volto e toccandole il nasino con un lungo dito. “Sono
veramente contento di vedere Mary così felice.”
“Non più felice di me di averla qui.” Clarice allungò ancora le
braccia e questa volta Colin le passò Mary. “Grazie, milord.”
Abbracciò stretta sua figlia, con le lacrime che facevano brillare i
begli occhi grigi.
“Ti ho portato qualcosa, Mary. “Amy le tese un pacchettino avvolto
in un tessuto brillante e legato con un nastro rosa. “Per Natale.”
“Per me? Oh... che cos’è?”
“Aprilo e vedrai.”
Clarice la mise a terra e Mary annaspò con il nastro finché Colin le
prese il pacchetto e lo sciolse per lei. Quanto il tessuto si aprì, Mary
ansimò.
“È veramente per me?” Senza aspettare una risposta, prese il
medaglione d’argento e se lo portò alle labbra. “Oh, milady, grazie!”
Amy lo aveva appeso a uno stretto nastro nero. Clarice prese la
mano di Mary togliendogliela dalla bocca e la voltò per legarle il
nastro intorno al collo. “Un cuore.” Sorrise ad Amy. “A Mary
piacciono i cuori. Ed è inciso in modo così grazioso. È bellissimo,
milady.”
“L’ho fatto tanto tempo fa,” Amy prese il nastro rosa dalla mano di
Colin e lo legò tra i riccioli di Mary. “Quando ero ancora una ragazza,
a Londra.”
“Ho qualcosa da darvi anch’io.” Mary si precipitò nel cottage.
Clarice allargò le mani, sorpresa, ma Mary tornò in un attimo,
tenendo in mano un pezzo di carta. “Per voi,” disse, consegnandolo
ad Amy, i cui occhi si riempirono di lacrime quando guardò il disegno
di Mary. Il cottage. Un sole sorridente. E due figure filiformi con un
cuore storto tra di loro. “La tua mamma vorrà certamente tenerlo.”
“Tenetelo voi,” disse semplicemente Clarice.
Amy si chinò ad abbracciare Mary con affetto. “Lo terrò per
sempre.”
Grazie, mimò Clarice con le labbra, sorridendole. “Volete entrare e
mangiare con noi un po’ del dolce di Natale?”
“Io avrei proprio bisogno di nutrimento,” dichiarò Colin, facendoli
ridere tutti.

TORNATI NELLA LORO carrozza e sulla strada per il castello, Amy


si chinò a prendere le mani di Colin. “Non è stato meraviglioso?”
“Sì, delizioso. Ero veramente affamato.”
“Tu e il tuo stomaco,” ridendo, Amy cercò di ritirare le mani, ma
Colin le teneva strette. “Volevo dire Mary e com’è felice.”
“Oh,” disse Colin con un sorriso innocente. Le strinse le dita e
arcuò un sopracciglio. “Spero che mi darai una bambina proprio
come Mary.”
Amy guardò significativamente la sua testa scura e poi liberò le
mani per sedersi e alzare una ciocca dei suoi capelli d’ebano.
“Penso proprio di no, per quanto possa tentare.”
Colin scoppiò a ridere. “Non intendevo bionda; voglio dire dolce.
Certamente potete regalarmi una dolce bambina? Dovremo darci da
fare.”
“Perché finora non lo abbiamo fatto?” Ribatté Amy nascondendo
un sorriso.
Mentre passavano attraverso i cancelli ed entravano nella strada
privata per Cainewood, Colin borbottò sottovoce, “E addio al sogno
di darci da fare...”
“Scusa?”
Colin prese la mano di Amy e se la tirò in grembo. “I nostri giorni di
solitudine sono finiti—per non parlare delle nostre notti.”
Amy si mise a ridere. “Non sarà poi tanto male! Certamente
avremo del tempo da passare da soli. E la famiglia...”
Amy non vedeva l’ora di passare del tempo con la sua nuova
famiglia.
“La famiglia. Quella famiglia rumorosa, chiassosa, impicciona,
dispettosa...” le tolse i capelli dalla nuca e si chinò a darle un bacio
per ogni parola, “Polemica, infantile, chiacchierona, cocciuta—”
Amy si voltò. Appoggiò appena la bocca sulla sua, di modo che
Colin sentisse muoversi le sue labbra. “Affezionata, generosa,
entusiasta.” Lo baciò piano. “Giocherellona, premurosa, viva.” Un
altro bacio, un po’ più intenso. “Intelligente, amabile—”
Colin si tirò indietro, fingendosi sorpreso. “Santo cielo, siamo
davvero così meravigliosi?”
“Beh, loro sì. Non sono molto sicura di te.” Le ruote della carrozza
sferragliarono sul ponte levatoio e Amy si appoggiò indietro per
aprire le tendine mentre passavano attraverso il barbacane ed
entravano nella corte interna. “Oh, Colin, guarda.”
Tutto intorno alla corte interna ghirlande di edera adornavano le
antiche mura. Sopra ogni porta e ogni finestra c’era un grande fiocco
rosso, con i nastri festonati di agrifoglio e alloro.
“È bello.”
“Aspetta di vedere l’interno,” le promise Colin misterioso. “Kendra
si supera in questo periodo dell’anno.” Ma stava sorridendo, suo
malgrado chiaramente preso dallo spirito natalizio.
All’interno, la monotona sala grande di pietra color avorio era
punteggiata di rosso e verde. Fogliame invernale e nastri rossi
intrecciati intorno alla ringhiera grigia salivano sulle scale e
decoravano tutto il balcone. Centinaia di candele di cera, sistemate a
intervalli regolari aspettavano di essere accese quando fosse scesa
l’oscurità. C’erano festoni di tessuto dorato tra le colonne, tenuti a
posto da enormi fiocchi rossi.
Amy si fermò sulla soglia, sbalordita da tanto splendore e Colin
colse l’occasione per baciarla, allungando poi una mano per togliere
una bacca dal vischio.
“Ah, i nostri sposini.” Gridò Kendra, scendendo le scale. “Grazie al
cielo siete arrivati. Il nostro vischio è stato terribilmente trascurato
quest’anno.”
“Possiamo rimediare subito.” Colin diede ad Amy un altro lieve
bacio e tolse un’altra bacca.
Qualche momento dopo apparvero i fratelli. Entrambi baciarono
sonoramente Amy e il vischio perse altre due bacche. Poi Kendra
reclamò un bacio da Colin, anche se un po’ più fraterno, e colsero
un’altra bacca.
“Oh, così va meglio,” sorrise Kendra guardando in alto. “Di questo
passo sarà spoglio prima di sera!”
CAPITOLO CINQUANTATRE

“EHI, SIAMO QUI!”


Amy guardò in basso dal cammino di ronda, vedendo Kendra che
agitava freneticamente un braccio e Jason e Ford che trasportavano
una lunga sega. Colin rise alla sua occhiata interrogativa. “Vieni,
amore, andiamo a tagliare il Ceppo di Natale,” le disse, facendole
segno di seguirlo.
Di ottimo umore, tutti e cinque arrancarono fuori dalle mura del
castello per andare nella foresta vicina. Ci furono le solite bonarie
discussioni, quando ciascuno di loro pretese di aver scoperto il
tronco più grande. Nel bosco profumato risuonavano risate
scherzose finché Jason, come sempre il pacificatore, si tolse il
mantello e rabbrividì stoicamente mentre lo usavano come
improvvisato mezzo di misurazione.
Fu l’albero di Amy a vincere. Con le guance rosa per la gioia della
vittoria, guardò gli uomini Chase che si dedicavano allo sforzo virile
di tagliarlo. Quando alla fine l’albero cadde con un tonfo che risuonò
nella foresta e grandi urrah da parte di tutti, ne tagliarono un grosso
pezzo dalla parte più spessa, che Amy squadrò incredula, pensando
che non avevano portato né un carro né un cavallo.
“Come faremo a riportarlo a Cainewood?” Chiese a Jason.
“Ce la caveremo.” Sotto i mantelli, Jason e Ford avevano entrambi
una fune arrotolata in vita, che svolsero e legarono intorno
all’enorme ceppo, creando sei maniglie con cui trascinarlo. “Tu e
Kendra ce la fate a portare la sega?”
“Certo, ma il ceppo deve essere proprio così grande?”
“La tradizione dice che l’anno sarà buono se lo teniamo acceso
fino alla Dodicesima Notte.” Ford grugnì piano mentre stringeva un
nodo. “Più grande è meglio è.”
“Ma non ci starà nel camino.”
La risata di Colin risuonò tra gli alberi. “Non essere così
apprensiva, tesoro, lo abbiamo già fatto una volta o due.”
“Mmm.” Con il naso all’aria, Amy andò ad aiutare Kendra con la
pesante sega. “Sei tu quello che lo deve portare, non io.”
Kendra si incamminò con Amy, in tutta fretta, mentre gli uomini,
dietro di loro arrancavano con il ceppo. “È tutto pronto,” le sussurrò.
“Quando sarà il momento, verrà una cameriera nella tua stanza e ti
scorterà in una stanza al piano di sotto, dove ci saranno diversi
servitori pronti ad aiutarti.”
“Non vedo l’ora,” disse Amy con un sorriso complice. “Grazie!”
“Non vedo l’ora nemmeno io.”
Nonostante il gelo nell’aria, gli uomini erano coperti da un velo di
sudore quando alla fine riuscirono a trascinare il ceppo fino davanti
alla porta. Servì l’aiuto di altri tre uomini per portarlo oltre la soglia e
nella sala grande.
“Attenti al pavimento!” Li avvertì Kendra. “È appena stato lucidato.”
In effetti, i servitori non avevano ancora finito: in fondo dall’altra
parte stavano ancora spandendo il latte che, asciugando, avrebbe
fatto splendere il pavimento. Dal pavimento di legno fino all’elaborata
struttura di travi a vista del soffitto l’immensa sala pullulava di operai.
Spolveravano i quadri, pulivano le tappezzerie per poi riappenderle
alle pareti di pietra. I servitori chiacchieravano eccitati mentre
portavano all’interno antichi tavoli a cavalletto con file dopo file di
grandi piatti di legno e posate.
“Che cosa sta succedendo?” Chiese Amy, con un occhio agli
uomini che stavano inserendo a fatica l’enorme ceppo nel camino.
Kendra incrociò le braccia e batté un piede, critica. “Colin non ti ha
raccontato niente del Natale a Cainewood?”
“Per l’amor del cielo, Kendra,” le gridò Colin dall’altra parte della
stanza. “Siamo sposati da tre settimane. Pensi che abbiamo passato
il tempo a parlare delle tradizioni di famiglia?”
Amy si sentì arrossire, ma gli altri risero tanto da farla sorridere.
“C’è una festa stasera?”
“Domani. Tutti i dipendenti del castello, i mezzadri e gli abitanti del
villaggio verranno per il pranzo di Natale, e ci saranno regali per
tutti.” Kendra agitò una mano, entusiasta. “Non è favoloso? Io adoro
il Natale!”
Amy rise. “Anch’io adoro il Natale. Mi è mancato durante il
Commonwealth.”
“Possa Cromwell arrostire all’inferno.” Kendra si pulì la lingua e
sputò. “Perfino pronunciare quel nome... puah. Undici anni senza il
Natale... guarda Amy, c’è stato!” esclamò battendo le mani.
Il ceppo era entrato nel camino con spazio da vendere. I fratelli si
comportarono incredibilmente bene, e lanciarono ad Amy solo
qualche occhiata trionfante.
“Me l’avevate detto!” Esclamò lei per loro con una risatina, e la
loro risata risuonò per tutta la sala cavernosa.
“Cibo,” Colin si pulì il palmo delle mani sui calzoni. “Dopo tutto
quel lavoro, un uomo ha bisogno di cibo.”
“Ci aspetta la cena di Natale,” annunciò Kendra.
In contrasto alla sala grande, la sala da pranzo privata della
famiglia sembrava piccola intima e piena di profumi che fecero
venire l’acquolina in bocca ad Amy. Colin le riempì il piatto con
tacchino costellato di chiodi di garofano, pasticcio di Natale dello
Yorkshire, fondi di carciofo e patate in crosta, torta di spinaci e uno
dei nuovi panini francesi. Kendra cominciò con una fetta di
cheesecake alle mandorle, una fetta di torta di zucca e una sfoglia
alle mele.
“Kendra, Kendra,” Jason emise un sospiro bonario. “Torta di zucca
quando in tavola c’è un pasticcio dello Yorkshire?” Ne prese un
boccone, la pesante crosta ripiena di un misto di tacchino, oca,
pernice, piccione, lepre e beccaccia che navigavano nel burro.
“Quando crescerai?”
“Buttered ale?” Chiese dolcemente Kendra, ignorandolo mentre
versava un mestolo della bevanda cremosa dall’enorme vaso da
punch inghirlandato d’edera che dominava la tavola. Vi appoggiò
sopra un quadratino di toast marroncino e passò la coppa ad Amy.
“Grazie,” Amy annusò la birra calda, con uova sbattute, zucchero,
spezie e la polpa di mele arrostite. Quando ne prese un sorso, la
riscaldò fino alle ossa. “È così bello, qui,” disse pensando ai Natali
passati nell’unica stanza che la sua famiglia aveva usato per
cucinare, mangiare e passare il tempo insieme. “Un mondo diverso.
Guardate la luce del fuoco che si riflette nelle finestre.”
“Non è niente in confronto alla luce nei tuoi occhi.” Colin prese un
altro panino, “O al colore delle tue guance,” aggiunse con una risata.
Quando tutti si furono riempiti con l’ultimo boccone possibile,
tornarono nella sala grande, facendo a gara a che si lamentava di
più per la propria ingordigia. Lì accesero il Ceppo di Natale e
cantarono le tradizionali canzoni natalizie, con Kendra che si
accompagnava al clavicordio, che era stato spostato nella sala
grande per quell’occasione.
I cinque sembravano sparire nell’enorme stanza, ma erano al
caldo e felici, raggruppati da una parte con il fuoco che bruciava
allegramente. Quando non trovarono più canzoni da cantare,
aprirono i loro regali.
La faccia seria di Jason si divise in un enorme sorriso quando vide
la sua spilla da cravatta, e se la mise immediatamente. Kendra si
infilò un anello con smeraldo al dito, dichiarando che era il suo
gioiello preferito. Ford sparì al piano di sopra dopo aver aperto il suo
regalo, ritornando con la nuova fascia ingioiellata che adornava un
cappello alla moda a tesa larga, che portò per il resto della serata.
Amy non avrebbe potuto essere più contenta.
Il regalo di Kendra per Amy fu un assortimento di scarpe, calze,
nastri e camicie da notte—queste ultime così trasparenti che Amy
arrossì quando aprì la scatola. Colin la fece alzare in piedi e la
obbligò a mostrarle una a una, dichiarando alla fine che, tutto
sommato, forse le avrebbe permesso di indossare le camicie da
notte, purché la scelta si limitasse a quelle.
Il suo sorriso disarmante e lo sguardo di apprezzamento le dissero
che non le avrebbe tenute addosso per molto.
Jason aveva confezionato i libri di storia che Amy aveva lasciato
impilati sul tavolo a mosaico in biblioteca e Amy se li strinse al petto
entusiasta. Ford le regalò una selezione di saponette, oli da bagno e
profumi francesi che fecero chiedere a Colin a voce alta perché mai
un regalo del genere arrivasse da suo fratello—finché Amy gli diede
un pugno scherzoso nello stomaco. Colin si piegò in due, per le
risate, non certo per il dolore, e Amy non ricordava quando si fosse
divertita tanto.
Aperti tutti i regali, un procedimento lungo, dato che ogni singolo
regalo doveva essere passato in giro e debitamente ammirato,
Jason ordinò che portassero il porridge alle prugne.
Amy emise un gemito. “Non riuscirei a mangiare nemmeno un
altro boccone.”
“Oh, ma devi assaggiarlo.” Kendra ne prese una bella cucchiaiata
e la mise nella ciotola di Amy. “Nascosti nel porridge ci sono degli
piccoli oggetti che predicono come sarà l’anno che verrà.”
Nella ciotola di Colin c’era il primo premio, un penny d’argento,
che prediceva una fortuna imminente. “Ho già avuto abbastanza
fortuna per una vita intera,” dichiarò in tono cavalleresco, con lo
sguardo fisso su Amy.
Gli altri risero mentre Amy diventava lentamente rossa.
“Oh, no,” Jason si tolse dalla bocca un anello, alzando gli occhi al
cielo mentre lo leccava per pulirlo. “Questo è sicuramente di
Kendra.”
Risero tutti di nuovo.
“Che cosa significa?”
“È un presagio di matrimonio,” spiegò Kendra. “Ah, il ditale!” si
infilò il ditale, rivolgendo a tutti un sorriso angelico. “Una vita di
beatitudine.”
“Quando entrerai in convento?” ridacchiò Ford.
Kendra gli tirò il ditale in testa e lui si piegò in due, lamentandosi
forte e a lungo, come se il dolore fosse fortissimo.
“Beh, alla faccia delle predizioni,” disse Colin quando Ford smise
di fare la recita.
“Grazie al cielo.” Amy mise da parte la sua ciotola.
“Non hai intenzione di finirlo?”
Amy scosse la testa. “Ho mangiato abbastanza,” disse a bassa
voce. “In effetti, non mi sento molto bene.” Kendra alzò gli occhi e
Amy ammiccò di nascosto. “Penso che dovrei andare a letto,” disse
a Colin, che scattò immediatamente in piedi e le appoggiò la mano
sulla fronte. “Non hai la febbre,” riferì palesemente sollevato. “Ma se
non ti senti bene devi certamente andare a letto.”
“Ma i giochi...” Protestò Ford.
“Che giochi?” Chiese innocentemente Amy, finendo la frase con
un piccolo colpo di tosse a effetto.
“Facciamo sempre dei giochi alla vigilia di Natale, sciarade e roba
simile, fino alle ore piccole.” Afferrandole la mano, Colin fece alzare
Amy e le mise un braccio sulle spalle protettivo, dicendole. “Sì, ma
era prima che uno di noi si sposasse. La tua salute è più
importante.”
Fece per accompagnarla alla porta.
“Devi restare qui e giocare, Colin. È solo stanchezza, ne sono
sicura e poi ho mangiato troppo e ho bevuto troppo—anche se era
tutto delizioso.” Amy sospirò, leggiadra e si mise una mano
sull’addome.
Sfortunatamente, Colin dimostrò di essere fin troppo sollecito. Il
meglio che riuscirono a fare, fu convincerlo ad accompagnarla a letto
e poi tornare per i giochi di società.
La svestì lui stesso, le fece indossare una delle nuove camicie da
notte e poi fece un passo indietro per vedere l’effetto.
Fischiò piano. “Sicura di non star bene, amore?”
“Piuttosto sicura.” Tossicchiò ancora una volta, afferrandosi lo
stomaco. “Vai, adesso, per favore, prima che faccia una figuraccia
davanti a te.” Salì sul letto, lamentandosi piano per dimostrare di non
star bene. “Potresti mettermi accanto il vaso da notte prima di
scendere?”
“La nausea non è qualcosa di cui vergognarsi,” le assicurò Colin.
Depose il vaso da notte sul comodino con un piccolo tonfo. “Sei
sicura che non vuoi che resti?”
“Assolutamente sicura. Vai a divertirti.” Quando Colin esitò come
se non fosse completamente convinto, Amy aggiunse. “Se mi
lascerai riposare un po’, Colin, da sola, quando tornerai tra qualche
ora sono sicurissima che mi sentirò meglio.”
“Beh...”
“Molto meglio,” ripeté significativamente Amy.
Vide gli occhi di Colin che si illuminavano prima di girarsi con un
gemito e tirarsi le coperte sulla testa.
CAPITOLO CINQUANTAQUATTRO

MEZZ’ORA DOPO L’INIZIO delle sciarade, Colin e i suoi fratelli


furono interrotti dal maggiordomo che annunciava la consegna
inaspettata di una cassa. Si affrettarono tutti all’entrata per vedere di
che cosa poteva trattarsi.
La cassa era enorme, più alta di Colin, e c’era il suo nome scritto
all’esterno. Non c’era nessuno indicazione della provenienza o del
mittente.
“Pensate che sia un regalo di nozze?” Chiese, avvicinandosi.
“Aprila e vedrai.” Suggerì Jason.
L’esuberanza nella voce di Jason fece voltare in fretta Colin.
“Viene da te, allora?”
“Non è quello che ho detto, aprila e basta.”
“Devi trattarsi di un mobile. Un bel pensiero, Jason, ma troppo
generoso, e, oltre a tutto, non ho un posto dove metterlo, per ora.”
Colin ci pensò un momento. “Bene, ma dovrebbe esserci anche
Amy. Forse adesso si sente meglio. Vado a controllare.”
“Lasciala dormire,” disse Kendra. “Si sentiva malissimo, potresti
svegliarla e non è il caso.”
“Non so che cosa fare, allora.” Colin si rigirava l’anello. “Forse è
meglio aspettare domani mattina.”
“È indirizzata a te, non Amy," disse Kendra. “Lei potrà vederlo
domani mattina. Aprila per favore—altrimenti lo farò io. Voglio vedere
che cosa contiene.”
“Beh...”
“Vado a prendere degli attrezzi,” si affrettò a dire Ford, correndo
via prima che Colin potesse protestare.
Non che anche lui volesse veramente aspettare—era curioso
almeno quanto Kendra.
Un minuto dopo Ford era di ritorno e insieme tolsero la parete
anteriore della cassa—solo per trovare all’interno un’altra cassa.
Smontarono le tre pareti rimanenti, senza trovare nessun indizio sul
contenuto. La nuova cassa non aveva nessuna scritta.
“Deve essere fragile,” fece notare Colin, un po’ incerto. “Stiamo
più attenti nell’aprire quest’altra.”
La seconda cassa non rivelò altro che un’altra cassa leggermente
più piccola nascosta all’interno.
Colin diede un’occhiata di traverso ai fratelli e si mise all’opera in
silenzio per aprirla. Quando apparve una quarta cassa, senza scritte,
sorrise alla profusione di legname che ingombrava il foyer. “Che
diavolo sta succedendo qui?”
“Noi non ne sappiamo assolutamente niente.” Protestò Kendra.
“Stavamo facendoci gli affari nostri, giocavamo alle sciarade,”
Aggiunse Ford.
“Aprila, dai,” disse Jason.
Colin alzò le spalle, cercando di nascondere un sorriso. Adorava
gli scherzi, anche quando erano diretti a lui. “Penso che aspetterò
fino a domani mattina, dopo tutto,” disse in tono blando, voltandosi
per andarsene.
Kendra si lanciò verso di lui, afferrandogli la camicia, “Colin
Chase, tu aprirai questa cassa, subito. Io—io sto morendo di
curiosità.”
Colin si voltò, guardandola con un’espressione innocente. “Beh,
allora, immagino di non poterne fare a meno. Non vorrei che morissi
per colpa mia.”
Risero tutti e Colin smontò la cassa, per nulla sorpreso quando
trovò una quinta cassa all’interno. Questa però aveva una grande
scritta, IL CONTE DI GREYSTONE, in grosse lettere maiuscole.
“Dovrebbe essere. Al Conte di Greystone,” fece notare Colin ai
fratelli. “Qualcuno non sa scrivere.”
I fratelli si limitarono ad alzare le spalle.
“Non può contenere il Conte di Greystone,” insistette Colin,
fissando i loro volti impassibili. “Sono io il Conte di Greystone, e
ovviamente non sono in quella cassa. Non sono nemmeno sicuro
che ci starei,” aggiunse ripensandoci.
Si sentì un colpo di tosse uscire dalla cassa.
Colin si voltò in fretta. “Che diavolo...”
Il coperchio era incernierato. Lo aprì e Amy si alzò lentamente,
adorabile in un abito color pesca, con un sorriso smagliante sulle
labbra e negli occhi.
“Tu! Uh—ma non stavi poco bene?” balbettò Colin.
“Ti sembro malata?”
“No, ma non sembri nemmeno il Conte di Greystone.”
Colin sentì ridere dietro di lui e si voltò, confuso. Kendra chinò la
testa da un lato. “Non ti piace il tuo regalo di Natale, Colin?”
Un sorriso divertito gli curvò le labbra e Colin tornò a guardare
Amy. “Sei adorabile, ma non sei un regalo, tesoro. Sei già mia.” La
afferrò sotto le braccia, sollevandola senza sforzo fuori dalla cassa.
“È stato un bel trucco però,” ammise mentre la rimetteva in piedi.
“Anche se avete sbagliato la scritta.”
“No, la scritta era giusta,” disse Amy.
Colin rimase in silenzio, con le sopracciglia aggrottate, confuso.
“La scatola contiene il prossimo Conte di Greystone.”
Colin sentiva gli occhi di tutti su di lui, ma il suo cervello rifiutava di
funzionare. Aveva la testa completamente vuota. Si chinò,
guardando dentro la cassa vuota.
“Conteneva il prossimo Conte di Greystone, voglio dire,” chiarì
Amy. “Non è più nella cassa.”
Colin sbatteva stupidamente gli occhi.
“Dovrai aspettare per vederlo, comunque—circa sette mesi,
secondo i miei calcoli.”
Il cuore di Colin mancò un battito, poi due.
“È dentro di me, Colin,” concluse dolcemente Amy.
La bocca di Colin si aprì, poi si chiuse, e poi lui emise un urlo di
gioia mentre la sollevava e la faceva volteggiare intorno. Jason e
Ford ridevano entrambi mentre Kendra aveva gli occhi lucidi di
lacrime.
Di colpo, Colin rimise a terra Amy con estrema cautela “Ti ho fatto
male?” Le chiese preoccupato. “A uno di voi?”
“No, non siamo così fragili. Anche se è una bella cosa che io non
soffra di nausee.”
Ford ridacchiò. “Già, l’avresti ricevuto direttamente in faccia!”
“Ford!” gridarono contemporaneamente Jason e Kendra.
“Perdonalo,” disse Jason ad Amy. “È un selvaggio, senza rimedio.”
“Io penso che Ford sia divertente,” dichiarò Amy tra le risatine. “E
piuttosto bello, anche.”
“Beh, Colin, temo che la luna di miele sia finita.” Il sorriso di Jason
smentiva la serietà del suo tono di voce.
“Scusa?”
“Amy ti ha fatto uno scherzo. Sta già sfidando la tua abilità
nell’inventare scherzi.”
Colin guardò la sua sposa, con il cuore gonfio di emozione. “Au
contraire,” disse lentamente. “La luna di miele sta appena
cominciando.” La sollevò tra le braccia, portandola come si farebbe
un bambino addormentato, con le braccia sotto le spalle e le
ginocchia. Stringendosela al petto, si avviò verso le scale.
“Aspetta!” Gridò Kendra. “I giochi!”
“Andate avanti voi, bambini,” disse Colin girando la testa. “Noi
abbiamo i nostri giochi da fare.”
CAPITOLO CINQUANTACINQUE

COLIN CHIUSE LA PORTA con un calcio e depositò delicatamente


Amy sul letto. Il timore che le vide negli occhi gli fece stringere lo
stomaco. “Sei veramente contento?” Gli chiese Amy con la voce
sottile. “Voglio dire, è così presto... e forse avrei dovuto dirtelo prima,
in privato...”
Amy distolse gli occhi, fissando il baldacchino sopra di lei.
“Oh, tesoro, come puoi dubitarne?” Colin si chinò sul letto e le
voltò il viso verso di sé con un dito. “Una famiglia... un bambino...”
Amy respirò di nuovo e gli rivolse un sorriso tremante. “Un figlio,”
gli disse, “Non so come, ma ne sono sicura, Colin.”
A Colin non interessava se fosse un maschio o una femmina.
Comunque fosse, gli si stringeva la gola pensando al loro bambino
che cresceva dentro di lei. Ma sapeva che non era il caso di
discutere con una donna incinta. “Un figlio,” ripeté, trattenendo un
sorriso. “Da quanto lo sai?”
Le dita di Amy giocherellarono con una ciocca di capelli. “Penso
che debba essere successo proprio la prima volta, a Greystone. Ho
pensato che fosse possibile quando ero... bloccata in quell’orribile
stanza con-con Robert.” Alla smorfia di Colin, si affrettò ad
aggiungere. “È stato quel pensiero che mi ha fatto andare avanti,
che mi ha fatto lottare.”
“Ma non hai detto niente.”
“Era troppo presto, appena due settimane,” si difese Amy. “Inoltre
non ti avrei mai intrappolato in quel modo, costringendoti a
sposarmi.”
No, Amy non l’avrebbe fatto, confermò Colin in silenzio. Era troppo
onesta per usare quell’espediente.
Avrebbe voluto poter dire lo stesso di se stesso.
Amy sapeva che non erano destinati a sposarsi, ma lui l’aveva
manipolata tirando in ballo la minaccia di Robert. E guardate un po’
dove era finito: era felice oltre quanto aveva creduto possibile, ma
quei giorni erano contati. Un anno—un prezioso anno—per pagare il
debito a quell’avvoltoio.
Intrecciò le dita con quelle di Amy. Aveva sempre avuto ragione:
sposarsi per amore era illogico. Un errore, ma un errore che non
riusciva a rimpiangere—per ora.
“Continua,” le disse stringendole la mano.
Amy respirò a fondo. “Quando ne sono stata convinta—e non
chiedermi come, lo sapevo e basta—non sapevo come dirtelo. Non
ero sicura se saresti stato contento. Dopo tutto, è così presto... il
bambino arriverà presto, prima che siamo sposati da nove mesi...” si
affrettò a dire, poi si morse il labbro. “Ma volevo farti un regalo per
Natale e questo era tutto ciò che avevo.” La bocca si curvò in un
piccolo sorriso. “Dato che non vuoi prendere i miei diamanti e l’oro.”
“La mia Amethyst è la gemma più preziosa di tutte,” disse Colin
scherzoso. “Perché dovrei volere qualcosa che impallidirebbe al
confronto?” Le sfiorò le labbra con un bacio.
“Allora sei davvero, veramente felice per il bambino? Non sei
irritato perché arriverà troppo presto?” Amy si rannicchiò vicino a lui,
appoggiando tutto il corpo. “Perché, che Dio mi perdoni, io non
riesco a dispiacermi di averlo concepito. Voglio questo figlio più di
qualunque altra cosa al mondo,” finì con un sospiro.
Che cosa aveva fatto per meritarla? E come—diavolo, come—
avrebbe fatto a mantenere la sua promessa e salvare anche
Greystone?
Gli occhi di ametista irradiavano ancora preoccupazione. “Sono
più che contento,” le assicurò. “Sono pieno di gioia... felice...
incantato... esultante...” un bacio punteggiava ognuna delle parole e
la voce diventava roca. “Estatico... ebbro...”
“Penso che quello sia dovuto alla crema di birra,” ridacchiò Amy.
“No, sei tu,” protestò Colin.
Amy arrossì e si schiarì la gola. “Bene, ora che mi hai
tranquillizzato, potremmo anche scendere e unirci agli altri per i
giochi.” Contraddicendo le sue parole, Amy si premette contro Colin,
con le dita che esploravano maliziose la sua pelle.
Colin rise, con il suono che nasceva in fondo al petto. “Penso
proprio di no,” disse deciso, tenendola in ostaggio con un braccio
“Ma non ho mai avuto una grande famiglia con cui fare dei giochi.”
Colin le strofinò il collo con il naso, sorridendo quando sentì il
battito di Amy che accelerava.
La lingua tracciò una scia fino all’orecchio. “Ho dei giochi molto più
interessanti da insegnarti,” le sussurrò. “Ma prima devo fare
conoscenza con mio figlio.”
“Tuo figlio. Ma non nascerà ancora per molti mesi.”
“Non vuol dire niente.” Appoggiandosi ai gomiti, Colin cominciò a
slacciare la pettorina ricamata sul davanti dell’abito. “Farò comunque
conoscenza con lui.”
Lasciò cadere la pettorina sul pavimento e le slacciò il corpetto,
posando piccoli baci umidi su ogni centimetro di pelle che esponeva.
Il corpo di Amy sembrava si stesse sciogliendo sotto di lui. “Buon
Dio,” mormorò. “È come se la tua bocca stesse mandando un
messaggio a...”
Colin sorrise con la bocca sopra il seno. “Dove, amore mio?”
“Mmm,” Amy respirava in fretta. “Mmm... non importa.”
Con una risatina, Colin aprì il corpetto. Il seno di Amy era sempre
stato piacevolmente pieno, ma adesso non sembrava forse
particolarmente rigoglioso? Non ne era sicuro, velato com’era dal
tessuto diafano della sottoveste. Sollevandola un po’, le abbassò
l’abito sulle spalle e poi in vita. Lo stomaco di Amy era piatto come il
solito, vide, meravigliato, passando una mano sul tessuto fine.
Di colpo, il cuore sembrò librarsi in aria. Anche se sperava
sinceramente di non dover mai spendere la sua eredità, ora, grazie a
questo miracolo, avrebbe avuto per sempre qualcosa che la legava
a lui. Il loro bambino... certamente Amy sarebbe rimasta con lui per
sempre, per amore di loro figlio, anche se avesse perso Greystone o
avesse dovuto usare il suo oro per salvarlo.
Gesù, era dannatamente fortunato ad averla. Fu sopraffatto dal
desiderio di vederla nuda, di toccare quel corpo che ospitava suo
figlio, di sentire la sua pelle liscia contro di lui. Con le mani
impazienti, le tolse l’abito e la sottoveste, poi le scarpe e le calze.
Tolti in fretta i propri vestiti, si chinò sopra di lei, passandole le dita
tra i capelli scuri e sistemandoli artisticamente sui cuscini prima di
avvicinarsi per un bacio ardente.
“Ahh,” disse, con un lungo sospiro. “È da questa mattina che non ti
posso toccare come si deve.”
“Come non si deve, vuoi dire,” disse Amy ridendo, sentendosi
spensierata per la prima volta da che aveva capito di essere incinta.
Colin sorrise, quel sorriso diabolico che le procurava un tuffo al
cuore. “È dannatamente scomodo avere la famiglia intorno.” La sua
voce severa non la ingannò. “Ti avevo avvisato.”
Amy alzò la testa per avere un altro bacio. Colin aveva un sapore
dolce e speziato: Crema di birra, porridge alle prugne e Colin, tutto
mischiato insieme. “Ha i suoi vantaggi,” gli rispose, guardando la
luce del fuoco che giocava sui suoi lineamenti perfetti. Il corpo di
Colin contro il suo sembrava caldo e virile in modo impossibile,
pensò beata.
“Quali vantaggi?”
“Ad esempio...” le dita di Colin giocherellavano sul seno sensibile
di Amy, facendole perdere la concentrazione. “Sono piuttosto utili
nell’organizzare gli scherzi.”
“Vedo.” Colin le appoggiò la grande mano sul seno, stringendo
sperimentalmente, quasi a misurarne l’aumento di peso.
“Sono... una compagnia interessante, a tavola,” riuscì ad
aggiungere Amy.
“Davvero?”
“Mmm-hmm.”
Il pollice di Colin stava strofinando il capezzolo turgido con un
moto circolare che mandò in giostra i sensi di Amy. Poi abbassò la
testa scura e la bocca calda prese il posto del pollice, e la
discussione si fermò di colpo quando il corpo di Amy reagì con una
sensibilità ancora maggiore.
Amy mise le mani sul nastro che legava i capelli di Colin, lo slegò
e lo gettò da parte. Quando la lingua di Colin passò all’altro seno, il
bocciolo rosato si inturgidì all’istante. Amy gli teneva la testa
prigioniera, con le dita tra le ciocche del colore della notte mentre lui
succhiava e leccava. La mordicchiò, più delicatamente del solito, ma
il seno, turgido per la gravidanza, reagì, mandandole sensazioni
ardenti fino al centro del suo essere.
Quando riportò la bocca sulla sua, il cuore di Amy sembrò
espandersi per l’emozione. Lo toccò dovunque potesse arrivare, il
petto muscoloso, i fianchi lisci, la superficie dura della schiena. La
sensazione della sua pelle contro il palmo delle mani era divina: era
caldo, grande e solido, muscoloso ma al contempo liscio come la
seta.
Le dita di Colin sfiorarono i morbidi riccioli tra le cosce di Amy, poi
entrarono più in fondo, accarezzandola finché non fu umida. Infilò un
dito, esplorandola con un’abilità paradisiaca che la fece contorcere
per l’eccitazione e le strappò un singhiozzo.
“Adesso,” lo pregò, con la voce bassa e roca, una voce che quasi
non riconobbe. La mano di Amy scese per circondarlo. “Adesso, per
favore.”
Allargò ancora un po’ le gambe, ansiosa di riceverlo. Ma anche se
si mosse sopra di lei, Colin continuò a scivolare verso il basso,
finché il mento e le guance ruvide strofinarono la pancia morbida.
“Sei lì, piccolino?” La sua voce riverberava nel corpo di Amy “Sono
tuo padre.” Le labbra si muovevano sullo stomaco di Amy, il fiato
caldo e umido. Amy gemette, un po’ per la frustrazione della
gratificazione che non arrivava, e un po’ felice per la tenerezza che
Colin dimostrava per il loro bambino. Abbassò le mani e lo afferrò
impaziente per le spalle.
“C’è tua madre che mi vuole adesso,” si vantò Colin con suo figlio,
con una bassa risata soddisfatta. “Ma prima ti voglio dire... che ti
vogliamo bene.”
“Colin...” Amy sentiva la sua bocca calda e umida sulla pelle. La
voleva sulla bocca, voleva sentire il suo peso sul proprio corpo,
bruciava dal desiderio di sentirlo profondamente dentro di sé.
“Addio, per ora,” mormorò Colin proprio quando Amy aveva deciso
che non poteva sopportare questo incontro padre-figlio nemmeno un
minuto di più. “Ci sentiremo presto.”
Colin alzò la testa. Il fiato caldo passò sopra il punto bagnato che
le aveva lasciato sulla pancia. Amy aprì gli occhi, e lo guardò,
cercando di capire perché stesse esitando.
Gli occhi che la fissavano erano verdi, profondi e insondabili e
pieni di emozioni che le parole non avrebbero mai potuto rendere.
Colin respirava affrettatamente, mentre restava lì sospeso e Amy
sentiva la sua forza vitale pulsargli nelle vene, che corrispondeva al
pulsare insistente tra le sue gambe.
Poi Colin si mosse verso il basso invece che verso l’alto.
Le labbra sfiorarono la pelle sensibile all’interno delle cosce, prima
una e poi l’altra, lasciando una scia di baci ardenti al seguito. Caldo,
umido, il suo respiro passò sopra i suoi posti più segreti. Amy restò
immobile, sicura che Colin potesse sentire il suo cuore battere,
finché...
Lui la toccò con la punta della lingua.
Leggermente, all’inizio, poi con più forza. Incredibilmente morbida
e intima, gentile e ritmica, la sua carezza era quasi insopportabile.
Amy sentiva le ginocchia molli, il polso che correva, le mani e i piedi
che fremevano.
Non aveva mai saputo che succedessero cose del genere tra un
uomo e una donna, non lo avrebbe mai concepito nel più fantastico
dei sogni, ma non lo avrebbe fermato per niente al mondo.
La lingua di Colin era calda, scivolosa e appena un po’ ruvida,
abbastanza da sentire ogni movimento con un’estenuante
sensibilità. Amy quasi non respirava mentre Colin la leccava
lentamente—lento da impazzire—lungo la sua fessura pulsante.
Contorcendosi sotto di lui, Amy gridò il suo nome in modo così
sfrenato che dentro di sé, nel suo profondo, si sorprese per la sua
stessa reazione. E che cosa le stava facendo, per l’amor di Dio,
questa... questa cosa incredibile.
Doveva essere peccaminoso.
Ma tutto tra Colin e lei sembrava incredibilmente perfetto, come se
fossero una cosa sola, ogni minuscola particella dei loro corpi e delle
loro anime. Il suo cuore aveva sempre saputo che erano destinati
l’uno all’altro, anche se la testa le diceva il contrario.
Tremò incontrollabilmente, alzando i fianchi per avvicinarsi di più,
finché fu sopraffatta da una tremante esplosione di gioia e da un
piacere irreprimibile. Colin rispose al suo grido con un gemito di
piacere e alzò la testa, fermandosi per un lungo, tormentoso
momento prima di scivolare sul suo corpo e sistemare i suoi fianchi
nella culla delle sue gambe.
Quando Colin affondò in lei, Amy emise un lungo, basso gemito.
Sembrava così giusto, come il paradiso, sentirlo nel suo corpo che le
si riempirono gli occhi di lacrime di meraviglia.
Poi Colin la baciò, con la bocca famelica e insistente e Amy sentì il
proprio sapore sulle sue labbra. Colin si muoveva contro di lei con
un ritmo antico come il tempo e Amy gli andava incontro. Lo sentiva
trattenersi, sentiva il suo respiro irregolare mentre si sforzava di
mantenere il controllo, il battito del suo cuore contro il proprio.
E poi, con un gemito di resa, Colin si lasciò andare e Amy lo sentì
pulsare dentro di lei, con il suo seme caldo che si versava nel suo
grembo, dove il loro bambino era nascosto al sicuro. Arcuando la
schiena, Amy gli afferrò i glutei, tirandolo più profondamente dentro
di sé, mentre le sue contrazioni esplodevano, unendosi e fondendosi
alle sue finché non poté più dire dove uno di loro finisse e
cominciasse l’altro.
Lunghi minuti dopo, quando ricominciarono a respirare più
lentamente e i cuori non battevano più come tamburi, Amy emise un
sospiro appagato. “Mi piace quel nuovo gioco.”
“Allora dovremo far pratica, amore mio, finché saremo perfetti.”
“Mmm.” Amy si mosse sotto di lui, sentendosi languida e
seducente. “Colin?”
“Mmm?”
“Posso farlo io a te?”
Era una domanda diretta, ma Colin gemette e Amy sentì il suo
corpo irrigidirsi in risposta. “Lady Greystone, voi mi ucciderete,”
mormorò nella curva del suo collo. “Mi farai morire Amy.”
Smise di parlare tanto a lungo che Amy fu sul punto di parlare,
perplessa.
“Ma morirò felice.”
CAPITOLO CINQUANTASEI

Sei mesi dopo

COLIN FECE SCORRERE il coltello sotto il sigillo rosso e lesse in


fretta la breve missiva.
Dannazione, proprio quello di cui non aveva bisogno.
Massaggiandosi le tempie, lasciò cadere la pergamena sopra i libri
contabili e i registri che coprivano la superficie graffiata della sua
scrivania—libri contabili e registri che negli ultimi giorni aveva
forzatamente dovuto abbandonare. Oltre le mura del castello
immaginò le colline, verde tenero per i germogli delle semine
primaverili. Anche se era troppo lontano per sentire, avrebbe giurato
di poter distinguere in lontananza il belato delle pecore, il tonfo sordo
di un albero abbattuto, il vago rumore della cava—tutti lavori che non
voleva che proseguissero senza la sua supervisione.
La tenuta aveva bisogno di lui, dannazione.
Erano passati sei mesi, e lui non aveva messo da parte nemmeno
la metà dell’importo del suo debito con Hobbs.

LA PORTA SI APRÌ appena. “State facendo un pisolino, milady?”


“Ah.” Amy alzò gli occhi dal libro mentre la sua bionda e
prosperosa cameriera entrava nella stanza. “La mia pancia è
talmente grossa e prude talmente che non riesco a trovare una
buona posizione, per quanto tenti.”
Come se avesse sentito la sua lamentela, suo figlio si rigirò,
facendo sporgere pugni, ginocchia, gomiti e piedi, tutto
contemporaneamente, sembrava.
Gli occhi azzurri da gatta di Lydia si socchiusero mentre
contemplava le protuberanze che si spostavano nell’addome della
sua padrona. “Oddio, sembra scomodo.”
Amy rise e appoggiò il libro. “A volte mi convinco di essere incinta
di una piovra umana, o almeno di un acrobata molto abile.” Si diede
una spinta per alzarsi. “Avevi bisogno qualcosa?”
“Il signore ha detto che ha una faccenda da discutere. Vi aspetta
nello studio. Lydia fece scorrere gli abiti nell’armadio di Amy.
“Accipicchia, milady, non avete niente di decente di mettervi che
possa andar bene con quella pancia grossa come un pallone.”
“Santo cielo, Lydia. Non mi serve mettermi elegante per andare a
vedere mio marito!” Ridendo, Amy entrò nella porta accanto, lo
studio di Colin.
La porta era socchiusa e sentiva la voce di Benchley. “Fernew
chiedeva quando sarebbe arrivata la nuova trebbiatrice.”
“Ho annullato l’ordine.”
Sentendo la voce cupa di Colin, Amy si fermò, con la mano sulla
maniglia.
“Voi—”
“L’ho annullato. Fernew dovrà farne a meno. Digli che è solo fino
all’anno prossimo.”
Il tono di sconfitta nella sua voce fece stringere lo stomaco di Amy.
“E il mulino?”
Amy si ritrasse sentendo Colin sospirare. “Dovremo ripararlo, non
c’è niente da fare. Fai ordinare le parti a Jenner; dovrei tornare per
aiutarlo prima della consegna. Non è il caso di pagare altra gente
quando non è necessario. C’è altro Benchley?”
“No. No, milord.”
Amy fece un salto indietro quando Benchley aprì la porta, le fece
un cenno di saluto e si avviò verso il foyer.
Quando i suoi passi svanirono lungo il corridoio, Amy entrò nella
stanza. Colin era piegato sopra una pergamena e scuoteva la testa.
Lei si morse il labbro, esitante.
Un altro problema finanziario che non poteva risolvere, per aver
sposato lei?
“Ah, Amy.” Colin alzò la testa e le rivolse un sorriso distratto.
“Vieni, tesoro.”
Amy si avvicinò, sorridendogli quando Colin le passò una mano
sulla pancia sporgente, come se volesse imprimersi nella memoria la
sua forma arrotondata e cercando di sentire segni di movimento.
“Charles vuole vederci,” le disse, alzando gli occhi dalla pancia
con un’espressione di disgusto appena velato. “Domani sera.”
“Charles?” Amy guardò il foglio che aveva in mano. Aveva un
grosso sigillo rosso, spezzato ma comunque impressionante.
“Charles chi?”
“Charles. Il Re.”
Il cuore di Amy si fermò un attimo prima di continuare al galoppo.
Certo, sapeva che Colin era intimo del Re, che ora lei era una
Contessa e che ci si aspettava che si muovesse nei circoli di corte.
Ma lì a Greystone, nel loro piccolo castello mezzo in rovina, quella
possibilità le era sembrata molto lontana. “Ma... perché?”
“Chi lo sa? Forse è irritato perché non ho chiesto il suo permesso
prima di sposarti.”
Amy si appoggiò alla scrivania, sentendosi improvvisamente
debole. “Il suo permesso?”
Colin sospirò, gettando la convocazione sulla scrivania con uno
scatto del polso. “Come pari del regno, un’antica legge dice che ho
l’obbligo di ottenere l’approvazione del Re. Ma non la chiede
nessuno, in effetti—nemmeno il suo stesso fratello James prima di
sposare in segreto Anne Hyde.” Si strofinò la fronte con il palmo
delle mani, come se gli fosse venuto di colpo un gran mal di testa. “È
arcaico; sono sicuro che nessuno abbia chiesto il permesso da
secoli. Comunque, Charles ed io una volta eravamo molto amici.”
Socchiuse gli occhi, che assunsero una sfumatura scura, vitrea.
“Non so.”
“Non puoi mandargli un biglietto? Dirgli che sei occupato e che io
sono incinta?”
La risata di Colin fu immediata; gli occhi si schiarirono e si
voltarono verso di lei, verde smeraldo lucente. “No, non possiamo
solo mandargli un biglietto, amore.” Le prese la mano e la fece
sedere sulle ginocchia. “Quando il Re chiama, si risponde.
Dobbiamo andare a Whitehall, temo.” Rimase in silenzio per un
minuto, con le dita che giocherellavano tra i lunghi riccioli d’ebano.
“Partiremo domani mattina presto, per arrivare alla nostra casa di
città a mezzogiorno. Potrai fare un pisolino prima dei festeggiamenti
serali.”
“Sono sicura che non riuscirò a dormire nemmeno un attimo,
stanotte.” Amy si lamentò piano, spostando la mano per coprire il
punto in cui loro figlio stava facendo notare la sua protesta, con un
calcio particolarmente violento.
“Non c’è niente di cui preoccuparsi. Charles è un tipo affabile.”
“Ma ci sarà tutta quella gente...” immaginò orde di dame snelle,
tutte vestite all’ultima moda. E altezzosi Lord, pieni di festoni e
gioielli, che guardavano dall’alto in basso le sue forme rigonfie.
“Ne conosci già alcuni,” le ricordò pazientemente, “dal negozio.”
“Come clienti. Oh, Colin, guardami! Rimpiangerai di avermi
sposato, lo so!”
Le dita di Colin si fermarono tra i suoi capelli e disse,
sommessamente. “Non rimpiangerò mai, mai di averti sposato,
Amethyst Chase. Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.”
Quando le mani si spostarono dietro la nuca e Colin la tirò a sé
per sfiorarla con un bacio, Amy quasi gli credete. “E sei bella, bella
come sempre. Lo giuro.” La baciò di nuovo, questa volta a lungo, un
bacio vero, con la bocca calda e possessiva, e allora Amy gli
credette.
Per quasi due secondi.
CAPITOLO CINQUANTASETTE

“E QUANDO HARRY MI bacia...” Lydia rabbrividì suggestivamente.


“Oh, non so proprio come spiegarlo.”
“Ooh, la la?” suggerì Madame Beaumont, dando gli ultimi tocchi al
viso di Amy.
Lydia scoppiò a ridere. “Ooh, la, la, esattamente.”
“Ooh, la la?” echeggiò Amy distrattamente.
Madame Beaumont la aiutò ad alzarsi in piedi. “Siete lontana
migliaia di miglia, milady.”
“Cosa? Ah... sì. Temo abbiate ragione.” Sospirando, Amy
appoggiò sul tavolino la collana di ametista che aveva portato da
Greystone. Le gemme viola scuro, a goccia, brillavano sul legno
scuro del tavolo, invitandola a prenderle di nuovo in mano. Chiuse le
mani e si sforzò di sorridere. “Stavo sognando a occhi aperti, di cera
e bulini.”
“Pourquoi?”
“Lady Greystone una volta era un’orafa,” spiegò Lydia,
nascondendo un sorrisino.
“Ah, capisco.”
Sembrava che Madame non capisse per niente, ma non sembrava
comunque né sorpresa né critica. Amy diede una breve stretta alla
mano della donna più anziana. “Non so come ringraziarvi per essere
venuta.” Avendo ricevuto il suo disperato appello tramite un corriere
solo il giorno prima, quella mattina Madame l’aveva aspettata nella
residenza di città dei Chase, con un vestito pronto. “Mi avete salvato
la vita.”
“State certamente esagerando.” Le labbra della sarta si curvarono
in un sorriso divertito mentre toglieva ad Amy la vestaglia e passava
teneramente il palmo della mano sul suo addome.
Amy sobbalzò, poi si rilassò. Recentemente aveva notata che tutti
pensavano di avere il diritto di toccarla, come se il suo corpo, da che
si era ingrossato con il bambino fosse diventato una proprietà
pubblica.
Madame le infilò una sottoveste di pizzo nuova, e Lydia tese il
vestito. “Io non esagero mai.” La cameriera bionda ridacchiò. “Oddio,
il mio Harry è così virile.”
“E ditemi, Lydia, dove avete trovato questo amoureux?” Madame
appoggiò il ferro arricciacapelli al calore della brace ardente nel
camino. “Questo paragone di mascolinità?”
Amy sorrise. “Nella nostra scuderia. Colin l’ha assunto di recente
per sollevare Benchley da alcuni dei suoi compiti. È l’uomo dei tuoi
sogni, vero, Lydia?”
“Mmm,” mormorò Lydia, evasiva. Nascondendo il volto, si
affaccendò a sistemare l’abito sulla sporgenza della pancia di Amy.
“A letto, sì, ma... non tutto è perfetto, in Harry.”
La sarta spinse Amy sulla sedia e si mise all’opera sui suoi capelli.
“Avete parlato dei vostri problemi al vostro amoureux?”
Lydia raccolse qualche indumento qua e là nella stanza,
sospirando mentre piegava la vestaglia. “Ho tentato, ma presumo
che dovrei tentare di nuovo.”
“Ti auguro buona fortuna,” Amy si guardò nello specchio
aggrottando la fronte. “Agli uomini non interessa discutere i nostri
problemi. Pensano sempre di sapere che cosa sia meglio per tutti.”
Gli occhi di Madame incontrarono i suoi nello specchio; le mani si
misero a intrecciare i capelli più in fretta.
“È vero,” disse Amy, sulla difensiva. “Quando parlavo a Papà del
mio matrimonio, lui non prendeva assolutamente in considerazione i
miei sentimenti.”
“Non tutti gli uomini sono così.” Le dita di Madame afferrarono e
tirarono i capelli. “Non il mio François.”
“Certamente non il Conte?” Il volto di Lydia apparve accanto a
quello di Madame nello specchio, con l’espressione sorpresa. “Voi vi
confidate con lui. Il Conte vi ama tanto.”
La amava davvero? Amy si morse il labbro. Era inutile confidarsi
con Colin, comunque. Lui aveva messo in chiaro prima che si
sposassero che una Contessa non avrebbe mai potuto gestire un
negozio. Era anche diventato sempre più chiuso e distratto negli
ultimi mesi.
Le altre due donne la stavano ancora fissando. “Oh, immagino che
abbiate ragione. È solo una delle mie stupide idee.”
“È incinta,” disse Madame, con conoscenza di causa.
“Questo non mi rende tonta,” sbuffò Amy.
Lydia annuì, ignorando il suo scatto. “Ho visto cinque diverse
dame durante cinque diverse gravidanze. Erano tutte così.”
“Pfui.” Guardandosi le braccia incrociate, Amy notò il seno messo
in mostra dalla profonda scollatura dell’abito viola. “Santo cielo,”
sussurrò, con le mani che salivano a coprire il seno nudo.
La risata di Madame risuonò nella stanza. “Sarete la dama di corte
più modesta. Aspettate e vedrete.”
Con un po’ di fortuna, quello spettacolo sfacciato avrebbe distratto
l’attenzione dal punto vita un po’ troppo alto per essere di moda. Ma
Amy si sentiva audace e imbarazzata allo stesso tempo. Sperava
che Madame avesse ragione.
“Voila.” Madame legò l’ultimo nastro tra i capelli di Amy.
Mentre Amy si guardava nello specchio del tavolino da toilette,
Lydia le allacciò la collana di ametista intorno al collo. Ad Amy
prudevano le dita dal desiderio di fare ancora qualcosa del genere.
Toccò la gemma da venti carati che pendeva tra i seni. Poi guardò la
sua lucentezza scintillante nello specchio.
“Milady? Devo metterveli io?” Chiese Lydia mostrandole gli
orecchini della parure.
“Santo cielo, no.” Amy respirò a fondo, buttò fuori il fiato e si
agganciò gli orecchini ai lobi. Scuotendo la testa per farli ondeggiare
sotto il pavé di diamanti che copriva il perno, Amy sorrise.
“Così va meglio,” Lydia mise un semplice braccialetto di ametiste e
diamanti al polso sinistro di Amy, intonato il suo anello nuziale di
ametista. La cameriera si tirò indietro e sorrise. “Accipicchia, se non
sembrate una dama perfetta. Vado a dire a milord che siete pronta.”
“Venite, guardate se la vostra Lydia non stava dicendo la pura
verità.” Prendendola per mano, Madame aiutò Amy ad alzarsi e la
condusse allo specchio tra le finestre.
Il viola profondo dell’abito scintillava mentre Amy si avvicinava allo
specchio, quasi illuminando il suo riflesso. La sarta aveva compiuto
ancora una volta la sua magia. Una sopraggonna di tessuto dorato
era raccolta ai lati da fiocchi d’oro, mentre piccoli fiocchi d’oro le
scendevano lungo le maniche ampie. La sottogonna viola brillava
con centinaia di stelle d’oro.
Da dietro si sentì un fischio di apprezzamento. Amy si voltò a
vedere Colin appoggiato allo stipite, con lo sguardo fisso alla sua
profonda scollatura. Amy si sentì le ginocchia molli, vedendolo,
perfino dopo sei mesi di matrimonio.
Era virile da morire. Si sarebbe mai abituata? Pensava di no. Non
in sei mesi, o sei anni o sessanta...
“Sarai la donna più bella a Whitehall,” le disse dolcemente.
“E tu l’uomo più bello.”
Colin rise. Era vestito, prevedibilmente, con lo stesso abito di
velluto nero che aveva portato al loro matrimonio, identico fino al
particolare del cammeo appuntato sul pizzo della cravatta. I capelli
scuri erano sciolti e gli ricadevano ondulati fino alle spalle.
Amy sentì un groppo in gola per l’emozione. Era così fortunata ad
averlo. Il loro matrimonio era più che meraviglioso e non aveva
motivo di rimuginare pensieri malinconici, specialmente in un giorno
come quello.
Si avvicinò a Colin e gli mise le braccia al collo, intrecciando le dita
sulla nuca. Sentì Madame che si affaccendava nella stanza, ritirando
i cosmetici, ma i suoni sembrarono affievolirsi quando Colin avvicinò
le labbra alle sue,
Il bacio era dolce, e Amy cercò di tirarlo più vicino, ma Colin si
staccò, sorridendo.
“Più tardi, tesoro. Non vorrai rovinare lo splendido capolavoro di
Madame Beaumont.”
Amy arrossì, dando un’occhiata di soppiatto a Madame. Ma la
sarta stava deliberatamente guardando altrove.
“Andiamo?” Colin le mise un braccio intorno alla vita, portandola
fuori dalla stanza.
Stava veramente andando al palazzo di Whitehall per essere
presentata al re e alla regina d’Inghilterra? Lei, Amy Goldsmith, figlia
di un mercante?
Non sembrava possibile.
“Perché sei così silenziosa, tesoro?” Colin interruppe i suoi
pensieri. “Non sei preoccupata per stasera, vero?”
“Un po’, forse. Ma...”
Le faceva male il petto per il bisogno di dirlo a qualcuno, e diede
un’occhiata a Colin, come per valutare la situazione. Ma poi sentì le
vecchie parole, Non puoi avere tutto, e, oddio, non riuscì a capire se
fosse la voce di suo padre o quella di Colin.
“Non è niente.”
“Che cos’è?” Colin tamburellava sulla coscia con le dita di una
mano.
“Santo cielo, Colin.” Sforzandosi di sorridere, Amy lo tirò verso la
porta prima che potesse farle altre domande. “Sai come sono volubili
le donne incinte!”
CAPITOLO CINQUANTOTTO

AMY TREMAVA, IN FILA fuori dalla Sala di Ricevimento, con un


misto di eccitazione e di puro terrore che la faceva rabbrividire. Colin
le strinse più forte la mano e la guardò con simpatia. “Sono solo
persone, tesoro,” sussurrò.
Oh, ma che persone magnifiche erano! Davanti a lei c’era una
dama con un abito di satin color magenta scuro tempestato di perle,
con uno strascico bordato d’ermellino così lungo che Amy era
obbligata a restare a tre metri di distanza da lei. Si voltò a sbirciare
la dama dietro di lei che indossava uno splendido vestito turchese
rivestito di pizzo d’argento, poi si girò in fretta, e si portò la mano alla
bocca. Oddio, il seno della donna stava in pratica cadendo fuori dalla
scollatura e si vedevano le areole!
Colin ridacchiò. Si portò la sua mano alla bocca e premette le
labbra calde sul dorso.
Amy alzò gli occhi, rivolgendogli un sorriso tremante. Era
circondata da uomini con lunghe parrucche arricciate. I loro abiti di
satin e velluto erano talmente pieni di nastri e pizzi da rivaleggiare
con quelli delle signore. Le dita erano ricoperte da gemme sgargianti
e i colli adornati da fili e fili di costose perle. Eppure era sicura che
Colin fosse l’esemplare maschile più stupendo entro venti miglia da
Whitehall.
Avanzarono lentamente, finché di colpo fu il loro turno di essere
annunciati. L’usciere gonfiò il petto e fece un respiro profondo. “Il
Conte di Greystone. La Contessa di Greystone.”
Quando entrarono nella Sala di Ricevimento, la folla di spettatori
nella galleria sopra di loro si chinò in massa. Le teste si voltarono ad
adocchiare i nuovi arrivati. Amy sentì un mormorio indistinto arrivare
dalla folla di dame e cavalieri in fila lungo il corridoio.
Scivolando lungo l’interminabile navata al braccio di Colin, Amy
fissava diritto davanti a sé. “Che cosa stanno dicendo tutti?” Gli
chiese a bassa voce, cercando di non muovere le labbra.
Con un sorriso tranquillo, Colin inclinò la testa verso di lei. “Stanno
dicendo, ‘ah... le voci erano giuste. Lord Greystone ha piantato in
asso Lady Priscilla per una bellezza non comune’.”
“Ssst!” Amy arrossì e fece una risatina. “Ci stanno guardando
tutti.”
“Ovvio. Vedi quelle dame che parlano dietro i ventagli? Stanno
dicendo. ‘E’ un tale peccato che il Conte non sia più disponibile, ma
per lo meno la sua splendida dama è impegnata e quindi fuori gara’.”
Amy quasi inciampò. “Io non sono mai stata in gara!” Lo
rimproverò. “Ero solo la figlia di un mercante.”
“Tsk. Si stanno illudendo, comunque. Puoi anche essere fuori gara
per il matrimonio, ma alla corte di Charles, si presume che tutti siano
sempre disponibili per un affaire d’amour. Danno per scontato che le
mogli siano infedeli quanto i mariti; gli uomini qui pretendono fedeltà
solo dalle loro amanti.”
“Non tutti gli uomini, spero.” Amy guardò Colin con una scintilla
negli occhi.
Colin alzò un sopracciglio sorridendo diabolico. “Oh, forse ne è
rimasto qualcuno che non cede.”
Nonostante la sua ansia, Amy sorrise, ma il sorriso svanì quando
la sua attenzione fu attirata davanti, dove le Loro Maestà erano
sedute ad aspettarla.
I troni erano messi uno accanto all’altro su una piattaforma
rialzata, incorniciata da un baldacchino festonato di velluto rosso,
ricoperto d’oro e d’argento. Ma non fu la magnificenza dell’ambiente
a impressionare Amy.
Fu il Re stesso.
Era la figura più affascinante che Amy avesse mai visto. Sua
Maestà era seduto diritto sul suo trono, e la sua statura faceva
sembrare la regina una nanerottola. Aveva le lunghe gambe tese
negligentemente in avanti.
E anche se aveva giù raggiunto l’età avanzata di trentasette anni,
nei suoi lunghi, lucenti capelli neri non c’era traccia di grigio. Il volto
era snello con piccoli baffi arricciati sopra una bocca generosa,
sensuale.
La prospettiva di incontrarlo per davvero era terrificante.
La donna dall’abito magenta si alzò e si spostò, facendo frusciare
lo strascico dietro di lei. Quando Charles alzò la testa, i suoi occhi
neri dalle palpebre pesanti si fissarono su Amy. Un sorrisino gli sfiorò
le labbra e il cuore di Amy si fermò per un attimo.
Colin la tirò avanti. Si avvicinò con il passo sicuro di un uomo che
saluta un vecchio amico, mentre i piedi di Amy esitavano sul
tappeto. Quando raggiunsero la pedana e Colin posò un ginocchio a
terra, Amy distolse a fatica lo sguardo da Re Charles e fece una
profonda riverenza.
Poi guardò i grandi, liquidi occhi castani della regina Catharine di
Braganza.
I lineamenti olivastri della regina Catharine erano più gradevoli che
belli. Piccola e scura, con un naso lungo e la fronte alta, sembrava
molto, molto straniera. Sorrise ad Amy, mettendo in mostra i piccoli
denti un po’ sporgenti.
“Lady Greystone,” le disse, con la bella voce melodiosa
dall’accento portoghese. Gli occhi erano gentili, come se capisse il
nervosismo di Amy. Guardarono il Re per un momento e anche se il
loro era un matrimonio combinato, Amy pensò che la regina
sembrava molto innamorata di suo marito.
Catharine era vestita in giallo pallido, una scelta poco azzeccata
che non faceva nulla per la sua carnagione naturalmente olivastra.
Tese la mano sottile ad Amy perché la baciasse, sorridendo
benevolmente a lei e alla sua pancia arrotondata. C’era forse una
traccia di invidia nell’espressione di benvenuto di Catharine?
Purtroppo, in cinque anni di matrimonio, la regina non era stata in
grado di regalare a Charles nessun bambino reale. Si parlava
costantemente della possibilità che Charles la mettesse da parte per
sostituirla con una regina che non fosse sterile.
Era coraggiosa e gentile e Amy decise che le piaceva molto.
“Ah, Lady Amethyst Chase, Contessa di Greystone,” sentì che
diceva Re Charles. “È un piacere fare finalmente la vostra
conoscenza, mia cara.” Le tese la bella mano e Amy si avvicinò per
baciarla. “Un piacere,” ripeté il Re, tenendole la mano un momento
più del necessario.
“Il piacere... è mio, Vostra Maestà,” rispose Amy quando ritrovò la
voce. Gli occhi di Charles si fermarono sul suo volto, trasmettendolo
un caldo benvenuto, e Amy decise che, dopo tutto, non era così
terrificante.
“Vi è andata proprio bene, Greystone,” disse Charles, con la sua
parlata lenta e ammiccando a Colin.
“Allora non siete... dispiaciuto?”
“Dispiaciuto, Colin?”
“Ho pensato, quando ho ricevuto la convocazione...”
“Santo cielo! Che idea. No, vi ho chiesto di venire per tutt’altro
motivo. Più tardi, quando tutta questa—fece un gesto impaziente—
sceneggiata sarà finita, ne discuteremo.”
Amy sorrise tra sé. Colin le aveva detto che Charles era
notoriamente intollerante alle cerimonie di corte e che le considerava
una perdita di tempo. Preferiva restare tra la sua gente e cercava di
essere disponibile, in modo casuale, il più spesso possibile, in luoghi
pubblici come i parchi.
Il loro dialogo incuriosì Amy, ma almeno la fece sentire più sicura
riguardo al rapporto di Colin con il Re. Non sembrava che Charles
fosse minimamente irritato con lui. Con un’altra riverenza e un
veloce inchino, Amy e Colin lasciarono il posto a quelli dietro di loro
nella coda.
Colin la portò in mezzo alla folla. “Non è stato così difficile, vero?”
“Sopravvivrò, credo.” Amy piroettò lentamente, ammirando lo
splendore che la circondava. La sala di ricevimento era illuminata da
centinaia di candele nelle applique sulle pareti e da servitori in livrea
con in mano torce fiammeggianti. Vestiti con tutti i colori
dell’arcobaleno, dame e cavalieri risplendevano nella luce
abbagliante. “Guarda! Paillettes, pelliccia, perle, gemme, nastri,
passamaneria, ricami... sia sugli uomini sia sulle donne!”
“Si capisce quali sono le donne, comunque. Sono quelle che si
stanno sventolando con quelle assurde creazioni dipinte.”
Amy rise. “Certamente non si può riconoscere il sesso da chi
indossa le gemme.” Ornamenti di tutti i tipi luccicavano dai colli,
polsi, vita, dita e orecchie. Vedendoli, Amy strinse i pugni, frenando il
desiderio onnipresente di creare gioielli.
Una dama alta, pallida, emerse dalla folla per picchiettare Colin
sul braccio con il ventaglio chiuso. Colin sobbalzò e si voltò,
chiedendosi brevemente perché fosse sorpreso di vederla lì. Lieto
che Amy fosse assorbita da tutta quella stravaganza, allontanò la
donna di qualche passo.
“Priscilla.”
“Greystone,” disse lei freddamente. “A che dobbiamo l’onore della
vostra presenza a corte? Avevo l’impressione che aborriste questo
tipo di riunioni.”
“Sono stato convocato da Charles,” disse, tranquillamente,
rifiutandosi di abboccare all’amo. “Avete ricevuto la mia lettera di
scuse? Mi dispiace—”
“Beh, a me no,” lo interruppe. “Mi sta corteggiando Buckhurst,
adesso—anche se non ho ancora deciso se lo voglio o no.”
Come se fosse lei a poter decidere, pensò Colin. Suo padre non
avrebbe mai accettato Lord Buckhurst. Un demonio attraente, e
popolare—Priscilla senza dubbio si crogiolava nella celebrità riflessa
—Buckhurst era uno degli ‘Spiriti allegri’, o ‘L’allegra banda’, come
venivano chiamati.
Gentiluomini di spirito che rallegravano la società con i loro poemi,
commedie e libri sardonici e spesso volgari. Erano tollerati a corte
perché Charles li trovava divertenti, ma non avevano potere.
Buckhurst non era certamente quello che Hobbs cercava in un
genero.
“Vi auguro ogni felicità con lui,” le disse Colin.
Priscilla sorrise compiaciuta.
Amy si guardò attorno, notando che Colin non era più al suo
fianco. Riconobbe Priscilla con un moto di sorpresa e fu ancora più
sorpresa di non essere né preoccupata né minimamente gelosa.
Vedendoli insieme fu certa che Colin non amava Priscilla né l’aveva
mai amata.
Si avvicinò a loro e, con un sorriso caloroso, Colin si spostò per
includerla.
“Lady Priscilla, posso presentarvi, mia moglie Amethyst—”
“Amethyst,” ripeté Priscilla sottovoce, con gli occhi socchiusi
mentre cercava di ricordare qualcosa. “Amethyst.” Di colpo, i suoi
occhi grigi si spalancarono. “Voi!” esclamò.
“È un piacere rivedervi, Lady Priscilla.”
Colin le guardò sorpreso. “Voi... vi conoscete?”
Priscilla non rispose. Era rimasta a bocca aperta per l’incredulità.
“Ci siamo incontrate una volta, da Madame Beaumont,” spiegò
Amy, afferrando il braccio di Colin in una silenziosa dimostrazione di
possesso. “Prima che ci sposassimo.”
Priscilla ritrovò finalmente la voce. “Non ci credo,” sbottò.
Colin appoggiò una mano sopra quella di Amy. “Che cosa non
credete, Priscilla?”
“Non credo che abbiate rotto il nostro fidanzamento per sposare
lei.” Esclamò Priscilla, come se Amy non fosse presente.
Era proprio una pessima abitudine, pensò Amy.
“Come, lei non è—” farfugliò Priscilla, “È solo—è—”
“Mia moglie,” disse secco Colin. “E una Contessa. La Contessa di
Greystone. Una tenuta non molto grande, con un affascinante
castello medievale. Lo ricordate, vero?”
Priscilla lo fissò per un momento, con gli occhi così gelidi che Amy
quasi si aspettava che il braccio di Colin diventasse di ghiaccio sotto
le sue dita. Poi Priscilla alzò il mento perfetto, si voltò e se ne andò.
Non aveva fatto tre signorili passi che Amy e Colin scoppiarono a
ridere. Amy era sicura che Priscilla li sentisse, ma non le importava.
“Credo che chiederà a Buckhurst di far venire immediatamente la
carrozza,” disse Colin, con soddisfazione. “Questa sera avrà
sicuramente il mal di testa.”
“Davvero?”
“Potrei scommetterci, basandomi sulla mia esperienza. E questa
volta sono perversamente contento di esserne la causa.” La prese
per mano. “Andiamo, stanno cominciando le danze.”
I musicisti stavano accordando gli strumenti in fondo alla stanza e
le presentazioni erano finite, Re Charles scese dalla pedana e diede
il segnale che cominciasse la musica.
Fece il primo ballo con Catharine, come consuetudine. Era una
courante, lenta e seria, una danza pantomima che alludeva al
corteggiamento.
Amy guardava meravigliata, incapace di credere di essere lì, in
quel momento, a guardare il Re d’Inghilterra ballare con la regina.
Charles si muoveva con una grazia rara per una persona così alta e
faceva una bellissima figura. In effetti, era proprio ben fatto e,
essendo appassionato di tutti i tipi di sport, non aveva un grammo di
grasso sulla sua persona.
L’aria successiva fu una contraddanza inglese, pochi semplici
passi eseguiti da molte coppie in doppia fila. Colin la tirò nella fila ed
ecco—stava ballando a Whitehall Palace. Amethyst Goldsmith, figlia
di un mercante. Incredibile.
Quando la fila delle dame passò davanti a quella degli uomini,
sentì lo sguardo di Charles su di lei.
Dopo la contraddanza ci fu una branle, una danza di gruppo con
dei movimenti a pendolo, molta corsa, scivolamenti e saltelli. Era
troppo energica per Amy nelle sue condizioni, quindi Colin la
condusse fuori dalla pista da ballo.
“Greystone!” La voce era chiara e sicura. Amy si voltò a guardare
la donna seducente e sensuale cui apparteneva. Gli occhi blu scuro
della donna erano incastonati in un volto classico, incorniciato da
riccioli color tiziano.
“Milady Castlemaine.” Colin era palesemente felice di
quell’incontro. “Amy, questa è Barbara, la Contessa di Castlemaine.
Barbara, mia moglie Amethyst.”
Allora era quella l’amante di lungo corso del Re. “Sono lieta di fare
la vostra conoscenza,” disse Amy con un piccolo inchino, imitando
perfettamente il comportamento delle dame e dei cavalieri intorno a
lei.
Colin osservava Barbara che guardava Amy dall’alto in basso,
annuiva approvando e poi si chinava per il bacio obbligatorio. “Sono
lieta anch’io di conoscervi,” le rispose Barbara, con il massimo del—
poco—calore che riservava alle donne.
Colin sorrise tra sé e sé. Predatrice nata, il fascino di Barbara era
riservato agli uomini.
“Dov’è la vostra rivale stasera, Barbara?” Colin usò la sua
considerevole altezza per dare un’occhiata in giro nella stanza.
“La mia rivale?” il tono di Barbara suonava quasi offeso, come se
ritenesse assurdo che qualcuno potesse rivaleggiare con la
celebrata Contessa di Castlemaine. Ma stava sorridendo, a
conferma del suo buonumore.
“Frances. La Belle Stewart.”
“Frances? Non avete sentito? Mio Dio, Greystone, perché vi
nascondete in campagna in quel modo. Vi perdete tutto il
divertimento.”
“Sentito cosa? È malata?”
“Solo nella testa. La sciocchina ha sposato di nascosto Richmond
in aprile, fuga d’amore, pensate. Charles è livido. Non sopporta di
vederla, a corte o altrove.”
“Ma perché?” Chiese asciutto Colin. “Certamente una cosa così
poco importante come un matrimonio non gli impedirà di
corteggiarla.” Allo stesso tempo, mise il braccio intorno alle spalle di
Amy per tirarsela vicino.
“Se si trattasse di chiunque altra avreste ragione.” Barbara passò
lo sguardo da Colin a Amy, “Quasi chiunque altra,” si corresse in
fretta.
Colin accennò un mezzo sorriso. “Ma non Frances?”
“Non Frances. Si è comportata con correttezza nauseante—fino al
punto di restituire i gioielli che le aveva regalato Charles. Riuscite a
immaginarlo?”
Tra tutti quanti, rifletté Colin, Barbara era quella che proprio non lo
avrebbe immaginato. “Forse dà semplicemente più valore a un
anello matrimoniale, che ai vantaggi di essere l’amante del Re.”
Suggerì.
“Pfui!” Solo Barbara poteva sbuffare in modo così regale. “Come
se non si potessero avere entrambe le cose!” La voce di Barbara si
abbassò di colpo. “Volete sapere la vera ragione per cui Frances non
ha mai onorato il letto del Re con la sua presenza?” Fece segno a
entrambi di avvicinarsi e, quando le tre teste si unirono, mormorò,
come stesse rivelando una cospirazione. “Non le piace farlo. Era
terrorizzata prima di sposarsi, e adesso lo trova disgustoso. Alla
faccia dell’abilità del Duca di Richmond!”
Amy spalancò incredula gli occhi a quella rivelazione e Barbara
scoppiò a ridere. “Dall’espressione sul volto della vostra sposa,
Greystone, scommetterei che non avete nessuna delle
manchevolezze di Richmond!”
Per quanto tentasse, Colin non riuscì a non ridere all’osservazione
di Barbara, e dopo qualche momento per assorbire il significato delle
parole di Barbara, Amy si unì a loro, con le guance in fiamme.
“Ah, Colin,” gli occhi azzurri di Barbara erano vividi di malizia.
“Vedo che finalmente avete trovato qualcuno con il senso
dell’umorismo.”
Amy chinò la testa di lato, con un’espressione un po’ sorpresa.
“È una vecchia storia, mia cara,” le spiegò Barbara con un gesto
indifferente della mano. “Ma permettetemi di essere la prima a darvi
il benvenuto a corte. Fa piacere vedere una faccia nuova nella folla.
Stiamo tutti così stufi l’uno dell’altro!”
Colin era felicissimo. Era l’approvazione più squillante che avesse
mai sentito Barbara accordare a un’altra donna e prometteva
veramente bene per l’accettazione di Amy in società.
Arrivò un cortigiano che cercava di accattivarsi l’appoggio di
Barbara e lei se ne andò, alzando gli occhi al cielo.
Amy si rivolse a Colin. “Non sapevo che fossi un amico di Lady
Castlemaine.”
“Come ha detto Barbara, tesoro, è una cerchia ristretta. Tutti
conoscono tutti.”
“Ma sembrava che tu la conoscessi particolarmente bene,” gli fece
notare Amy con la voce che rivelava un inconfondibile tocco di
gelosia.
“È quello che stai pensando?” Gli scaldava il cuore scoprire Amy
così gelosa della sua persona. “Io? E Barbara Palmer?” Finse di
rabbrividire, come se il solo pensiero di dividere il letto con una
creatura simile fosse repellente.
Amy scoppiò a ridere. “Da quanto tempo la conosci?”
“Ci siamo conosciuti in esilio, e lei aveva solo quindici anni quando
si è messa con Lord Chesterfield. È passata direttamente da lui a
Charles, con—qualche sovrapposizione, immagino, dato che la sua
figlia più grande, anche se riconosciuta da sua Maestà, assomiglia in
modo eclatante a Chesterfield.” La voce di Colin assunse un tono
melodrammatico. “Quindi, come vedi, non ho mai avuto nessuna
possibilità con lei.” Sospirò teatralmente.
“Oh, mio Dio,” disse Amy. “Che scandali succosi si possono
scoprire venendo a corte!”
“Vi state divertendo, mia cara?”
La voce era risonante e impressionante—era Re Charles, che
parlava con lei. Si voltò e lo guardò incredula. Alto come Colin, o
forse un po’ di più, era ancora più straordinario da vicino di quanto lo
fosse stato sul trono. Amy sorrise e annuì, l’unica risposta che riuscì
a dare in quel momento.
“Amy è un po’ sopraffatta, temo,” rispose Colin per lei.
“Non è vero,” ribatté Amy, ritrovando la voce. “Mi sto divertendo
moltissimo, Vostra Maestà.”
Charles le sorrise, con i denti bianchi che brillavano sotto i sottili
baffi neri. “E siamo così lieti di avervi qui, Lady Greystone. Una
faccia nuova, e una faccia così bella, oltre a tutto.”
Amy arrossì—in modo gradevole, sperava. Comunque, con sua
costernazione, sembrava aver perso tutto il suo spirito. “Grazie,
Sire,” fu tutto quello che riuscì a dire.
“Il prossimo ballo è un minuetto. Forse lo conoscete?”
Amy ricordò Robert che derideva le sue lezioni di danza.
L’elegante minuetto era abbastanza compassato perfino per una
mucca incinta. “Oh, sì. È uno dei miei balli preferiti.”
Colin le diede discretamente di gomito. Prima di venire a corte, le
aveva spiegato che erano le dame a dover chiedere al Re di ballare,
non viceversa. E lei aveva doverosamente preso nota
dell’informazione. Ma non si era mai aspettata di doverla usare.
Sua Maestà voleva forse suggerire che voleva ballare quel
minuetto con lei?
Amy guardò Colin, che le fece un cenno impercettibile.
“Vorreste—vorreste ballare il minuetto con me, Vostra Maestà?”
balbettò Amy.
Re Charles dimostrò di essere un ballerino superbo. Mentre la
guardava negli occhi, Amy si rese conto, sorpresa, che nonostante il
suo aspetto fosse ben lontano da quello classico inglese, era l’uomo
più palesemente sensuale che avesse mai incontrato. Non
meravigliava che avesse già procreato otto bastardi reali
riconosciuti, più, si diceva, un numero indeterminato di figli non
riconosciuti.
Charles possedeva molti talenti, non ultimo la misteriosa capacità
di mettere a suo agio quelli intorno a lui. Quando riportò Amy da
Colin, lei stava ridendo con lui come se fossero amici da anni.
“Non dirmi che ti sei innamorata anche tu di lui,” scherzò Colin.
Girandola in modo che entrambi guardassero Charles, le avvolse le
braccia intorno da dietro. “Non saresti la prima e certamente non
sarai l’ultima,” la avvertì, con la facilità di un uomo che non si
preoccupava di offendere un vero amico, nonostante il suo rango.
Le guance di Amy diventarono rosse, perché Colin stava dicendo
il vero: era già per metà innamorata di Re Charles, non c’era niente
da fare. Il suo fascino era troppo potente per resistergli e la
prospettiva di un’amicizia con il Re d’Inghilterra, anche se platonica,
era troppo ghiotta per passarci sopra.
Charles rise alla battuta. “Non preoccupatevi, Greystone, la vostra
prodezza con la spada è leggendaria e qualcosa mi dice che non
portereste le corna con grazia.”
Colin baciò la testa di Amy. “Né io né Lady Castlemaine,” rispose
con un sorriso d’intesa.
Charles gettò indietro la testa, ridendo fragorosamente. “Avete
proprio ragione. E non ho intenzione di farmi infilzare da nessuno dei
due!”
Anche se nessuno avrebbe mai osato sfidare il Re per un torto,
vero o immaginato, risero assieme all’assurdo scenario. Poi il Re
tornò serio, prese Colin per il braccio e lo tirò da parte. “Venite nel
mio laboratorio con me. Ho qualcosa di importante da mostrarvi.”
“Certamente. Amy?”
“Va tutto bene, Colin.” In effetti il Duca di Buckingham stava già
venendo verso di lei. Sembrava che Barbara avesse ragione.
I cortigiani anelavano a qualcosa di diverso e avendo ballato con
Charles, la sua popolarità era un fait accompli.
CAPITOLO CINQUANTANOVE

CON LE MANI DIETRO la schiena, il Re camminò deciso attraverso


la Long Gallery, con una dozzina dei suoi amati spaniel che
uggiolava intorno a lui e a Colin.
“Ho bisogno un favore, Greystone.”
“Qualunque cosa, Charles. Sapete che dovete solo chiedere.”
Sua Maestà ispezionò il corridoio buio. “Aspettate finché saremo
nel laboratorio. È l’unica stanza in tutta Whitehall dove so di poter
restare da solo.” Si fermò con una smorfia sul volto davanti alla
soglia della Camera da letto reale. “Santo cielo, come hanno fatto ad
arrivare qua prima di me?”
Con un sospiro, si fece strada in mezzo a un gruppetto di
cortigiani che si raccoglievano lì giorno e notte, facendo a gara
senza vergogna a chi potesse fargli anche il minimo dei favori.
“Volete le pantofole, sire?”
“Un mattone caldo per il vostro letto?”
“Una tazza di cioccolata?”
“No. No, grazie. No.” Fece segno a Colin di seguirlo, con gli
spaniel che si precipitavano dietro di loro. “Svelto, entra nel
laboratorio prima che qualcuno si offra di tenermi il vaso da notte.”
Colin rise mentre chiudevano la porta alle loro spalle, al sicuro dai
cortigiani strepitanti e dai cani che abbaiavano. “E perché no? Ho
sentito dire che è quello che fanno per Louis alla corte francese.”
“Non sono Louis Quatorze,” disse seccamente Charles, “Posso
pulirmi il culo da solo, grazie.”
Dopo la confusione delle aree pubbliche, il laboratorio sembrava
silenzioso in modo inquietante. Colin guardò la moltitudine di
attrezzature, “Ford andrebbe in brodo di giuggiole qua dentro,” disse,
prendendo un appunto mentale di procurargli un invito.
Re Charles annuì distrattamente. Il ticchettio fuori sincrono della
sua collezione di orologi accentuava il silenzio. Colin si appoggiò a
un ripiano, quasi rovesciando un telescopio. Mentre si voltava in
fretta per raddrizzarlo, Charles sospirò.
“Sono sicuro che avrete sentito dell’imbarazzante situazione con
gli Olandesi.”
“Ero in campagna, non sulla luna,” rispose Colin, tentando di
alleggerire l’atmosfera.
Il Re sembrava così serio.
Solo due giorni prima le ostilità con gli olandesi si erano inasprite,
con risultati disastrosi. Aiutati dalla mancanza di fondi per la difesa e
dalla mancanza di interesse da parte del governo inglese, gli
olandesi avevano risalito il fiume Tamigi, bruciato tre dei più grandi
vascelli della Marina Reale ed erano tornati in mare con l’orgoglio
della flotta inglese, l’ammiraglia Royal Charles, a rimorchio, come
premio. Era, fino a quel punto, il momento più umiliante del regno di
Charles.
Il giorno prima, Charles e suo fratello James erano stati sulla
scena, a sovraintendere l’affondamento di navi nel Tamigi e nei suoi
rami laterali per bloccare un secondo attacco, ma era stato troppo
poco e troppo tardi.
Nessuno aveva fatto commenti sul duro lavoro di Charles per la
difesa del Tamigi. Al contrario, tutta Londra parlava di come avesse
passato la notte della catastrofe a cena con suo figlio Monmouth, in
compagnia della sua amante Castlemaine, e di come avessero
trascorso la serata dando la caccia a una falena per tutta la stanza.
Stava patendo la sua esagerata reputazione di cercare il piacere
invece della responsabilità. La guerra con gli Olandesi doveva finire,
e presto.
“Il primo passo verso la pace è staccare Louis dagli Olandesi,”
spiegò Charles, rivelando il suo piano. “Con i francesi come nostri
alleati, gli Olandesi saranno obbligati a negoziare un trattato.”
“Perché Louis dovrebbe schierarsi dalla nostra parte?” Chiese
Colin. “Perché è vostro cugino?”
“Non ci si può basare sulle parentele in politica estera. Al
momento, Louis desidera i loro territori più di quanto desideri le
nostre colonie.” Charles tolse un filo dalla giacca di velluto. “Non ha
vere e proprie divergenze con noi. In effetti, il mio regno ha visto una
sola battaglia tra di noi e Louis ne è uscito vincitore in modo
talmente netto che deve essere incline alla cooperazione, adesso.”
Colin aggrottò la fronte, confuso. “Non ho sentito parlare di
combattimenti con la Francia,” disse, cauto. Camminò in giro per la
stanza, passando la mano sopra ai microscopi, magneti e pompe ad
aria.
“È stata una battaglia sociale,” ammise Charles con un sorriso.
Cominciò a camminare avanti a indietro. “Dopo l’incendio, ho
cominciato a stancarmi di tutti i fronzoli complicati con cui ci
adorniamo a corte. Piume, parrucche, pizzi, volant, nastri, catene... è
piuttosto ridicolo, non sei d’accordo?”
Colin non poteva essere più d’accordo, come si vedeva dal suo
abbigliamento di corte, decisamente sotto tono. Ma dato che era
stato Charles a importare quella moda esagerata dal continente, un
uomo prudente non poteva essere troppo pronto ad assentire. “Si
potrebbe vederla così.”
“Lo scorso ottobre, ho disegnato per me un costume più sobrio.
Una lunga giacca nera, tagliata qui e là a mostrare la camicia
bianca, con un gilè aderente in tinta. Piuttosto pratico, pensavo.”
“E?” Colin non riusciva a capire che cosa c’entrasse con la guerra
olandese, o una supposta guerra con la Francia, o qualunque altra
guerra.
“Beh, Louis ne ha sentito parlare e ha immediatamente vestito tutti
i suoi camerieri nella mia nuova uniforme. Temo che il nuovo stile sia
stato sepolto da un uragano di risate,” si lamentò Charles. Smise di
camminare e si voltò verso Colin. “Un attacco a sorpresa, una
vittoria netta.”
Colin dovette sforzarsi per non ridere. Louis XIV, il così detto ‘Re
Sole’ aveva giocato uno scherzo di una tale monumentale virtuosità
da far diventare Colin verde di invidia.
Che colpo da maestro!
“Immagino che sia meglio così,” disse cupamente Charles. “Anche
se, ovviamente, la corte ha seguito il mio esempio, ho poi sentito
dire che si sentivano tutti dei dannati pinguini.”
Risero entrambi, e fu un sollievo per Colin, visto che stava
comunque per esplodere.
Quando le ultime risatine finirono e sul volto del Re riapparvero le
rughe della preoccupazione, Colin chiese cautamente. “E che cosa
posso fare io per voi?”
Charles si avvicinò di un passo. “Ho bisogno che portiate una
lettera a mia madre a Parigi. Non posso corrispondere direttamente
con Louis, solleverebbe dei sospetti.”
L’ultima cosa che Colin voleva era lasciare Amy, incinta e
vulnerabile, per andare in Francia, un posto pieno di tristi ricordi
della sua infanzia. Detestava la Francia. E c’era la questione del
debito—che cosa sarebbe successo alla produttività della tenuta
senza lui a sovraintendere i lavori?
Fece un lento, profondo respiro e alzò gli occhi dal pendolo con
cui stava giocherellando. “Perché io? Perché non Buckingham, o
Arlington, o Lauderdale? Una simile missione fa parte dei loro
compiti. Io non faccio parte dello spionaggio reale.”
“Esattamente. Se mandassi uno di loro sul continente lo
seguirebbero certamente. È imperativo che queste trattative
rimangano segrete—se gli olandesi sospettassero il mio progetto,
presenterebbero dei contro argomenti a Louis prima ancora che lui
possa prendere in considerazione il mio piano.”
“Ma ci deve essere qualcun altro. Qualcuno con un incarico
governativo di minore importanza, qualcuno che nessuno
noterebbe.”
“Perché tutta questa riluttanza?” Charles gli rivolse un sorriso
scherzoso. “I Chase non hanno mai esitato a esaudire le mie
richieste prima d’ora.” Poi, serio, mise una mano sul braccio di Colin.
“Mi dispiace ma ho riflettuto attentamente e siete il candidato
perfetto. Nessuno farà domande su una vostra visita a mia madre;
siete sempre stato molto vicino a Henrietta Maria, quasi un figlio
adottivo. E nessuno farà domande se lei visiterà Louis. È il suo
nipote preferito, dopo tutto.”
Il piano era impeccabile, eccetto che Colin non ne voleva far parte.
Si spostò, risistemando alcune bottiglie di composti chimici. “È un
brutto momento per lasciare Amy.”
Era sembrata così malinconica ultimamente, ma aveva sempre
preteso che tutto andasse bene.
“Ah, vedo,” reagì Charles, con quella genuina simpatia che era
parte integrante del suo fascino. “Non ci sarà bisogno che restiate a
lungo; nessuno se lo aspetterebbe, con un figlio in arrivo. Solo
attraversare la Manica, una breve visita e indietro. Tre settimane, un
mese al massimo.”
Colin alzò una bottiglia di un torbido liquido verde. Un mese. Un
mese del tempo prezioso che gli restava prima di essere obbligato a
deludere Amy... prima che tutto andasse a catafascio.
“Amy starà bene,” gli disse Charles. “La rimanderò a Greystone
con una scorta reale. Voglio che partiate domani.”
La bottiglia tintinnò ricadendo sul ripiano mentre Colin alzava di
colpo la testa. “Domani?”
“È veramente importante,” disse solennemente Charles.
“Perché non Jason?” Chiese a casaccio Colin, cercando un
possibile sostituto.
“Jason non andrebbe mai in vacanza in Francia senza portare i
gemelli. Sanno tutti che li porta dappertutto—cercando di essere il
padre che non hanno mai avuto, immagino. Lasciarli a casa sarebbe
fuori carattere e portarli lo renderebbe troppo visibile.”
“Ford, allora.”
“Ford era un bambino al tempo della Restaurazione. Mia madre
non lo riconoscerebbe nemmeno dopo tutti questi anni.”
“Non pensate che la gente troverà un po’ sospetto che io lasci
Amy in questo momento?”
“Nessuno di quelli che spiano i nostri movimenti vi conosce bene.
Dovete ammetterlo, avete sempre tenuto un basso profilo, per
essere un cortigiano. La vostra riluttanza mi ha veramente colto di
sorpresa. Un matrimonio felice è un’eccezione di questi tempi, dopo
tutto.”
Colin rimase in silenzio. Sconfitto. La sua famiglia era sempre
stata presente quando gli Stuart avevano avuto bisogno di loro, e
viceversa. Quando gliel’aveva chiesto, Re Charles aveva concesso
la licenza a Lord Hobbs senza nemmeno battere un ciglio del suo
regale occhio.
Ma Colin era diviso. Non poteva portare Amy per mare, incinta di
sette mesi e non poteva lasciarla a casa... non poteva.
Charles gli mise una mano sulla spalla e disse sommessamente.
“Vi sto chiedendo, Colin, come vostro monarca e come vostro amico,
di farlo per me.”
Non aveva scelta.
CAPITOLO SESSANTA

DALL’ALTO DEL SUO naso a becco, Benchley guardò Amy in piedi


sul margine della cava di pietra di Greystone.
“Milady, non credete di avere visto abbastanza?”
Amy ispezionò ancora una volta il cantiere, sorridendo alla vista
dei cavatori che punteggiavano le pareti a gradini. I colpi dei loro
martelli risuonavano nell’aria mentre lavoravano sotto il sole caldo.
Vide una grossa lastra di pietra cominciare a staccarsi dalla parete e
aggiunse mentalmente il suo valore ai libri contabili di Greystone.
“Sta andando bene,” mormorò soddisfatta. Camminando
attentamente sul terreno sconnesso, scese lentamente e tornò al
calessino a due posti.
Benchley la seguiva lentamente. “Nelle vostre condizioni non
riesco a capire perché stiate trascinandovi in giro per tutta la tenuta.
Adesso vi porto a casa.”
“Stupidaggini, sono incinta, non malata. Non ho ancora controllato
le pecore.”
Cercò di arrampicarsi sul sedile, poi scoppiò a ridere, tendendo
una mano per farsi aiutare. “Dio del cielo, credo di aver raddoppiato
il girovita in queste tre settimane da che Colin è partito per la
Francia. Mi stavo chiedendo se mi riconoscerà al suo ritorno.”
Vedendo gli occhi sgranati di Benchley, non riuscì a resistere a
sbalordirlo ancora di più. “Mi stavo anche chiedendo come farà un
bambino di queste dimensioni a uscire, ma Lydia mi assicura che
funzionerà.”
Le punte delle orecchie di Benchley divennero rosse. Raccolse le
redini e schioccò la lingua al cavallo.
“Cerco di non pensarci troppo,” aggiunse Amy allegramente.
“Un piano eccellente,” riuscì a malapena a dire Benchley con gli
occhi fissi davanti a sé.
Nei trenta minuti di viaggio dalla cava appollaiata su un’altura da
una parte della tenuta ai pascoli che costeggiavano l’altro confine,
Amy rifletté su quello che aveva visto. Anche se era solo una piccola
parte degli introiti di Greystone, la piccola cava da cui aveva ricevuto
il nome stava rendendo bene. Pile alte fino al cielo di legna appena
tagliata nelle abbondanti foreste della tenuta aspettavano di essere
vendute. I raccolti sembravano abbondanti, anche se sperava che
Colin fosse a casa per la mietitura—lei non aveva la minima idea di
cosa fare al riguardo.
Aveva aggiornato i libri mastro, lieta di scoprire che Greystone era
autosufficiente con un certo margine. Sembrava che in autunno ci
sarebbe stato un piccolo utile. Si chiese perché Colin sembrasse
preoccupato; non se ne rendeva conto?
Non vedeva l’ora che fosse a casa per poterglielo dire. Le
mancava tremendamente, il suo sorriso rassicurante e la sensazione
paradisiaca delle sue braccia intorno a lei, specialmente quando era
sola di notte, nel loro grande letto. Le mancava più di quanto le
mancasse lavorare con l’oro e i diamanti.
Dio, quanto lo amava. Appena fosse tornato a casa glielo avrebbe
detto—un milione di volte. Forse mancava anche a lui. Forse era
stato veramente felice...
Il calessino si fermò. Mentre Benchley andava a cercare il pastore,
Amy scese goffamente e si appollaiò cautamente sulla bassa
recinzione e spostò le gambe dall’altra parte. Mentre camminava
lentamente attraverso il pascolo, l’erba alta dell’estate sembrava
ondulare sulle dolci colline. Il profumo dolce le sollecitava il naso.
C’era silenzio, rotto solo occasionalmente dal belare di una pecora.
Quando un agnello arrivò zampettando e le spinse la testa contro le
sottane, Amy allungò la mano per fargliela leccare.
“Lady Greystone?”
“Sì.” Amy si voltò e sorrise al pastore. Non un ragazzino dalle
guance come mele come nelle filastrocche infantili, ma un uomo
adulto, molto più alto di lei. “Spero che le pecore stiano bene?”
“Io...” alzando una mano segnata dal tempo, l’uomo si tolse il
berretto e si strofinò la pelata. “Sapete qualcosa di pecore, milady?”
“No. No, veramente no. Ma—”
“Quel giovincello, lì, ha la Lingua Blu.” Diede un calcio a un sasso
e si rimise il berretto tirandolo giù fino alle sopracciglia. “Mi dispiace,
milady.”
“Vi dispiace?” Amy guardò l’animaletto peloso che le strofinava la
mano col naso. “Lingua blu?”
“È una malattia. Si gonfiano il naso e le labbra, dalla bocca esce
sangue e—”
“Muco,” finì Amy per lui, pulendosi la mano nella gonna.
“Milady!” Benchley si affrettò a togliersi di tasca un fazzoletto e a
ficcarglielo in mano.
Il pastore si inginocchiò per aprire la bocca dell’agnello. “Vedete?”
“Lingua Blu.” Amy fece un respiro profondo e appallottolò il
fazzoletto appiccicoso. “O bluastra, comunque. Che cosa significa?”
fece passare le dita nella spessa lana dell’animale. “Gli animali sono
tutti malati? Riusciremo certamente a tosarli quando sarà il
momento?”
L’uomo si alzò lentamente. “Quelli ancora vivi.” Con un sorriso
triste, accarezzò l’agnellino sulla testa. “Più della metà di quelli
malati è già morta e altri si ammalano ogni giorno.”
“Come?” Amy si sentì morire. L’utile che aveva calcolato
dipendeva dall’introito previsto per la lana. Aveva previsto una
produzione in linea con quella dell’anno prima. “Non potete far niente
per farli stare meglio?”
“Non conosco nessun trattamento.” L’uomo era agitato, si tolse e
si rimise il berretto. “Lord Greystone, lui si tiene al corrente delle
ultime idee, ma se n’è andato a Londra e non è ancora tornato.”
“Sapeva di questo problema?” Forse era per quello che Colin era
sembrato tanto malinconico.
“No. È partito prima che cominciasse. Si diffonde in fretta.”
“Oh,” disse Amy, assente. “Grazie.”
“Milady.” Il pastore si inchinò toccandosi il berretto. Non si sarebbe
mai abituata a quella deferenza, pensò vagamente mentre lo
guardava allontanarsi, con l’agnellino alle calcagna.
“Oddio,” disse sottovoce, tornando al calesse. “Colin adesso sarà
veramente infelice.”
“Scusate milady?” Benchley alzò una mano per aiutarla a salire.
“Niente, Benchley. Stavo solo parlando da sola.”
Si sentiva il cuore pesante al pensiero del ritorno di Colin. Ora,
invece di salutarlo con una buona notizia, avrebbe dovuto riferirgli di
una sicura perdita di introiti e la necessità di sostituire del bestiame
costoso.
Non riusciva a sopportarlo, pensò mentre si lasciava cadere sul
sedile. Veramente non poteva sopportarlo. Dopo tutti gli anni che
Colin aveva trascorso a lavorare questa terra, ora, dover sopportare
il peso suo e del bambino che stava per arrivare, più i problemi
finanziari inaspettati... beh non era giusto.
Colin si meritava di meglio. Dopo tutto quello che aveva fatto per
lei, non c’era niente che lei potesse fare per lui?
Incrociò le mani sulla sporgenza dello stomaco.
Accidenti se non c’era!
CAPITOLO SESSANTUNO

COLIN GUARDÒ NUOVAMENTE il foglio accartocciato, poi il


cartello stradale. Quai de la Tournelle. Ed ecco lì il negozio. Joaillerie
Talbot.
Per essere esuli dall’Inghilterra, i Talbot erano certamente riusciti a
finire in un posto lussuoso. In vetrina, al posto d’onore, c’era una
targa con la patente di Louis XIV.
“Eccolo,” disse, rimettendosi in tasca il foglio. Davanti
all’espressione indifferente del vetturino, pronunciò un frettoloso
‘Merci’ e gli mise in mano alcune monete.
Spinse la porta, ma il negozio era chiuso. Erano già passate le
sei? Colin si portò soprappensiero la mano alla giacca, cercando
l’orologio, poi si bloccò, ricordando.
Quei dannati briganti gliel’avevano preso. Che viaggio era stato—
un disastro dopo l’altro. Non sarebbe mai dovuto tornare in quel
paese odioso.
Prese la manica di un pedone che passava. “Excusez-moi,
monsieur. Avez-vous l'heure exacte?”
L’uomo passò oltre come se non l’avesse visto. Quei dannati
Parigini non ti degnavano nemmeno di uno sguardo. Colin non
vedeva l’ora di tornare a casa. Non importava se la traversata
sarebbe stata altrettanto dura al ritorno com’era stata all’andata—
poteva vomitare l’anima ed esserne contento.
Picchiò sulla porta. E poi continuò a picchiare e a picchiare.
Passarono cinque minuti prima che una donna piccolina, attraente,
di mezz’età, premesse il naso contro la vetrina.
“Il est six heures et quart, Monsieur,” gli disse in tono di
rimprovero, indicando il cartello che indicava l’orario di apertura.
“Ho bisogno di parlare con voi,” gridò Colin attraverso il vetro.
“Santo cielo, siete inglese!” esclamò la donna, andando ad aprire
la porta. Lo fece entrare. “Venite, venite! Non ho niente da mostrarvi,
ma—”
“Volevo vedere voi, non i gioielli, Madame. Siete Elizabeth Talbot,
suppongo?” La donna fece un cenno di assenso con la testa scura,
chiaramente incuriosita. “Sono Colin Chase—”
“Conte di Greystone e il marito della mia Amy,” finì lei per lui. La
gioia le illuminò gli occhi azzurri. “Avrei dovuto immaginarlo. Nelle
sue lettere Amy vi ha descritto come tremendamente bello.”
Colin si sentì bruciare le guance. “Madame Talbot—”
“Dovete chiamarmi Zia Elizabeth,” gli disse, abbracciandolo.
Dopo un momento imbarazzante, Colin la abbracciò a sua volta,
sentendo un contatto umano per la prima volta da settimane.
Elizabeth sorrise quando si staccò. “Venite di sopra a prendere
una tazza di tè?”
“Tè?”
“Oh, so che è una prelibatezza spaventosamente costosa, ma una
noiosa Marquise me ne ha regalato una scatola quando le ho
disegnato un collare di diamanti per il suo barboncino. Questi
Francesi!” Aggiunse con una risatina mentre Colin la seguiva sulle
scale.

“SONO COSÌ CONTENTA che abbiate pensato di venirmi a


trovare,” disse Elizabeth, dopo aver appeso un bollitore sul fuoco.
“Ma non mi avete portato la mia Amy, vero?” disse con finta
disapprovazione, allungando il collo come se pensasse che Colin
avesse nascosto sua nipote dietro la schiena. “No, vedo che non
l’avete fatto. Dovrò accontentarmi di voi.” Prese due tazze di
porcellana, studiandolo con la testa piegata di lato mentre le
appoggiava su un vassoio. “Oddio, siete proprio piacevole da
guardare. Siete accettabile, dopo tutto.”
Colin scoppiò a ridere, poi le rivolse uno dei suoi sorrisi. Avrebbe
giurato che la donna stesse flirtando con lui.
“Andiamo in salotto?” Gli porse il vassoio, passando davanti a lui
con un fruscio di gonne. Un leggero profumo di gelsomino la
seguiva. “Siete qui su incarico del Re?”
Mentre la seguiva, Colin quasi lasciò cadere il vassoio. “Come...”
La risata musicale di Elizabeth riempì l’aria. “Sareste sorpreso di
quanto so di voi, ragazzo mio.” Sorrise divertita prendendogli il
vassoio e appoggiandolo sul tavolo, per poi indicargli una sedia.
“Com’è andata?”
“Non bene, all’inizio,” disse Colin con cautela. Quanto sapeva
quella donna? “Durante il viaggio da Calais la mia diligenza è stato
fermata dai briganti.”
Sedendosi con grazia, Elizabeth alzò un sopracciglio, “Non un
inizio benaugurante.”
“A dir poco.” Colin si sporse in avanti. “Dato che avevo pochi
contanti, quelle dannate canaglie hanno preso il mio anello—l’anello
che mi aveva fatto Amy.” Strofinò il punto dove lo portava di solito,
sempre più infuriato tutte le volte che ci pensava. “Avrei voluto
infilzarli con la spada, ma erano in tre, con le pistole ed io ero da
solo—”
“Amy penserebbe che ve la sareste cavata con tutti e tre.”
“Sì, Amy lo penserebbe.” L’espressione della donna gli strappò un
sorriso. “In ogni modo, io so che non è vero e nessuna delle altre
vittime sembrava disposta ad aiutarmi.”
Restarono in silenzio per un po’, ognuno dei due aspettando che
parlasse l’altro. Elizabeth si lisciò le sottane. “E Henrietta Maria?
Com’è andata con lei?”
Colin restò a bocca aperta. “Che cosa vi ha scritto Amy?”
“Niente di cui preoccuparsi. Solo che dovevate visitare la madre
del Re con questioni di affari. Senza particolari.” Elizabeth piegò la
testa sulla spalla. “Li conosce?”
Colin annuì.
“Allora sa come tenere la bocca chiusa. E in quanto a scrivere di
voi... sapete com’è quando si è giovani e innamorati e si cercano
scuse per dire—o scrivere—il nome del proprio amato.”
“Non credo di saperlo,” disse ironicamente Colin. “Immagino di
non essere mai stato contemporaneamente giovane e innamorato.”
Si alzò, andando al camino. “In ogni modo, la regina vedova ha
pensato bene di non essere in casa. Ho girato i pollici per dieci
giorni, aspettando il suo ritorno. E dopo tutto quel tempo, non sarei
stato sorpreso se si fosse rifiutata di dare seguito alla richiesta di suo
figlio, ma, fortunatamente, quella è una delle poche cose che è
andata bene.”
Giocherellò con la statuetta di una pastorella sulla mensola, la
gonnellina rosa infiocchettata gli ricordava Henrietta Maria, che,
sperava, fosse per strada verso Versailles per visitare suo nipote.
“E poi?” la zia di Amy lo fissò con uno sguardo acuto. “Andiamo,
ragazzo, sputate il rospo. Sono sicura che non avreste fatto tutta
questa strada per venire a trovare una vecchia signora solo per il
gusto di farlo.”
“Vecchia signora? Ora siete voi che andate a caccia di
complimenti. Non mi ingannate, zia Elizabeth!”
“E voi non potete ingannare me. Siete preoccupato per qualcosa e
non cercate di negarlo.”
A disagio sotto il suo sguardo scaltro, Colin andò alla finestra e
scostò la tenda di pizzo. Guardò l’affollata strada parigina. “Madame
—zia Elizabeth—sono venuto a chiedere un favore.”
“Qualunque cosa, ragazzo mio.”
“Se poteste trovare un po’ di tempo per accompagnarmi a
Greystone per una visita, ve ne sarei più che grato.” Lasciò cadere la
mano e il pizzo ritornò a schermare la finestra. “Come certamente
sapete, Amy partorirà presto il nostro primo figlio e la vostra
presenza renderebbe tutto molto più facile.”
Si voltò lentamente a guardarla, sorpreso lui per primo dal
desiderio di confidarsi con qualcuno per la prima volta da che
ricordasse. Ma non riusciva a trovare le parole per cominciare.
Elizabeth si alzò e si avvicinò a lui. Il suo profumo di gelsomino gli
ricordò qualcuno... sua madre?”
Elizabeth sorrise. “Sospetto che abbiate bisogno di qualcosa più
forte del tè per questa discussione. Posso convincervi a portarmi
fuori a cena? Con William lontano, ad Anversa, sono stufa di
mangiare da sola.” Gli sfiorò il braccio con una mano, e alzò un
sopracciglio. “Che ne dite della Tour d’Argent?”
“Il ristorante La Tour d’Argent? Senza prenotazione? Ho sentito
dire che si sfidano a duello per ottenere un tavolo lì.”
“Non preoccupatevi, ragazzo mio, non dovrete usare la spada per
ottenere la vostra cena.” Gli occhi di Elizabeth scintillarono. “La
moglie del proprietario desidera da tempo un braccialetto che ho in
vetrina... sono sicura che troveremo un accordo.”

“ANGUILLE DES BOIS, madame.” Con un gesto plateale, il


cameriere appoggiò il piatto di peltro davanti a Elizabeth. “Et pour
vous, Lord Greystone,—” Colin sorrise alla pronuncia sincopata del
proprio nome, dando dei punti all’uomo per aver tentato “—Poule
d'Afrique.”
Il profumo saporito delle prelibatezze arrivò al naso di Colin, ma
non riuscì ad allettarlo. Sospirò mentre il cameriere si allontanava.
“Come vi stavo dicendo, Amy non è felice. Ne sono certo, anche se
dice il contrario. Temo che sia perché ha infranto il suo giuramento
per sposare me, e—”
“Il suo giuramento?” Tra gli occhi azzurri di Elizabeth si formò una
ruga.
“Aveva promesso a suo padre—il vostro defunto fratello...”
Elizabeth annuì, a indicare che non era troppo fragile per
discuterne.
“Gli ha fatto una promessa,” spiegò Colin. “Di continuare le
tradizioni della Goldsmith & Sons. Per salvare l’eredità per le
generazioni future. C’è di più e a sentir lei, sembra un questo
giuramento firmato con sangue. È triste e non c’è una dannata cosa
che io possa fare.”
“Niente?” le sue dita ingioiellate giocherellarono con il calice di
peltro. “Proprio niente?”
“Non senza rinunciare a lei.” La sua voce si incrinò e Colin guardò
nel piatto, tagliando lentamente un pezzetto di faraona. “Non può
gestire un negozio e vivere con me a Greystone. E sembra che io
non riesca a farla felice là.” La pietanza deliziosa avrebbe potuto
essere segatura per quanto lo attirava. Masticò e inghiottì, poi tornò
a guardare Elizabeth. “Pensavo che l’amore bastasse, ma non
sembra così. Non per lei.”
“Colin—”
“È colpa mia, non sua,” disse a denti stretti. Non riuscì a
ricomporsi nemmeno con un sorso di vino. “L’ho manipolata per
convincerla a sposarmi—l’ho indotta con l’inganno a dirmi di sì
perché non riuscivo a sopportare di perderla.” Bevve un altro sorso
di vino. “Ho sbagliato. Terribilmente. Ho sempre saputo che un uomo
nella mia posizione non può permettersi il lusso di sposarsi per
amore, ma ho perso la testa per vostra nipote. Ora è tutto un
dannato disastro.”
Elizabeth mangiò un bocconcino di anguilla, e aspettò.
Colin guardò fuori dalla finestra che era accanto al loro tavolo. La
Senna risplendeva di un bagliore arancio nel tramonto. Gli ultimi
raggi di sole si riflettevano sulle spire di Notre Dame, facendogli
lacrimare gli occhi. “C’è dell’altro...”
“Sì?” Mormorò Elizabeth
“Amy vi ha informato che ero fidanzato con un’altra?”
“Sareste sorpreso—” fece per dire Elizabeth.
“—di ciò che sapete di me,” Colin finì la frase per lei, voltandosi a
guardarla. “Beh, scommetto che non sapete che devo una fortuna al
padre della signora—non lo sa nemmeno Amy. E il debito scade alla
fine dell’anno.”
Le delicate sopracciglia di Elizabeth si arcuarono. “E...”
“Non sono in grado di pagarlo.” Strinse i pugni sotto la tavola.
“Dannazione, non posso pagarlo. Sarò obbligato a usare l’eredità di
Amy per evitare di perdere Greystone. Colin stava respirando a
fatica. “Per Dio, Amy mi odierà sul serio, allora.”
“Davvero?” mormorò Elizabeth. Colin guardò le mani delicate
mentre Elizabeth sistemava le posate. Mani da gioielliere, come
quelle di Amy. “State chiedendo ad Amy di rinunciare a tutto quello
che è—che l’ha resa la donna che amate. Rinuncereste a tutto per
lei?”
“Rinunciare a Greystone? Se si trattasse di Greystone o Amy?” Se
il calice fosse stato di cristallo invece che di peltro si sarebbe rotto
tanto lo stava stringendo. Lo appoggiò al tavolo, per evitare di
versare il vino sulla tovaglia candida. “Nel mio mondo la gente si
aspetta... per l’amor del cielo, il Re mi ha concesso questa proprietà,
il titolo. Come faccio a deluderlo? Che cosa posso offrire ai miei figli?
Sono cresciuto senza una casa. So che cosa vuol dire.”
“Da quanto so della vostra storia, siete anche cresciuto senza
amore... e qual è stata la cosa peggiore?”
Sotto la finestra, una barca passava lentamente. Le risate allegre
dei passeggeri entrarono dagli scuri aperti, confondendosi con il
ronzio delle conversazioni che riempivano l’elegante stanza
illuminata dalle candele.
Lui era mai stato così spensierato?
Se avesse dovuto scegliere tra Greystone e Amy, che cosa
avrebbe scelto?
Gli si strinse lo stomaco. Diavolo, si trattava di Greystone o Amy.
Doveva scegliere.
“Non prenderò l’oro di Amy,” esclamò, chiedendosi vagamente se
sembrasse più sorpreso lui o Elizabeth. “Se lo facessi, la perderei.
Emotivamente, anche se decidesse di restare. Quindi non lo
prenderò, ecco tutto.” Con un gesto conclusivo, infilzò un pezzo di
pollo e se lo mise in bocca. “Ecco.”
La reazione di Elizabeth fu tranquilla e ponderata. “Siete sicuro di
dover arrivare a tanto?”
“Sì, le ho dato la mia parola. Non posso tradirla.” Si spostò sulla
sedia. “Sì.”
Penso proprio di no, disse Elizabeth senza emettere un suono, o
era lui che lo aveva immaginato. Ma i lineamenti della donna si
addolcirono e lei alzò il calice in un brindisi.
“Bene, ragazzo mio, quando partiamo per l’Inghilterra?”
CAPITOLO SESSANTADUE

COLIN SPORSE LA TESTA dalla carrozza, sorpreso per


l’inconfondibile rumore di costruzioni in corso. Il suo sguardo seguì il
viale circolare mentre scendeva lentamente sul ghiaietto.
Sopra la sala grande, un nuovo tetto di ardesia brillava al sole.
Con le ginocchia improvvisamente molli, Colin si appoggiò alla
carrozza. Oh Gesù, se Amy aveva speso i suoi pochi risparmi per un
tetto nuovo, pensando di fargli una bella sorpresa...
Ma no, non importava. Non ora che aveva deciso di rinunciare
comunque a Greystone.
Si distrasse quando Amy sbatté il portone e si lanciò verso di lui,
correndo per quanto glielo permetteva il pancione.
“Mio Dio, Colin, sono così contenta che sia a casa!”
Si buttò tra le sue braccia, e la pancia sporgente rimbalzò contro
le sue forme solide. Con una risata un po’ tremolante, Colin allungò
le braccia per tenerla in piedi, poi la strinse a sé, affondando il naso
nei suoi capelli profumati di rose. “Mio Dio, quanto mi sei mancata.”
Amy si tirò indietro, con un sorriso radioso sul volto, poi si buttò di
nuovo tra le sue braccia, come se dovesse convincersi che era
veramente lì.
Con un tono tra l’ilare e il lamentoso, e la ghiaia che scricchiolava
sotto i suoi piedi mentre si spostava, Colin alla fine chiese. “Che
cosa sta succedendo qui?” Indicando il tetto.
Il sorriso di Amy si fece più ampio, poi ansimò guardando dietro
Colin. “Zia Elizabeth?”
Quando sua zia scese dalla carrozza, Colin fece anche lui un
sorrisino. “Sembra che avessimo entrambi delle sorprese, tesoro.”
“Oh Colin! Zia Elizabeth!” quando Amy emise un gridolino di
piacere, abbracciando entusiasticamente sua zia, il sorriso di Colin
diventò sincero.
Amy era una tale gioia... come aveva mai potuto pensare di tradire
la sua fiducia, anche solo per un momento. Lei valeva qualunque
sacrificio, purché continuasse a fidarsi di lui. E continuasse ad
amarlo.
Tutto di un colpo, le vecchie paure svanirono. Lì, nuovamente con
Amy, sembrava che sposarsi per amore fosse la cosa migliore che
avesse fatto per se stesso e i suoi figli, quali che fossero le
conseguenze.
Dovunque fossero finiti a vivere sarebbero stati felici, perché
sarebbero stati insieme.
Amy lo tirò per mano. “Aspetta di vedere l’interno! Hai notato le
nuove finestre mentre arrivavi? Le stanze al pianterreno sono pronte
per l’arredamento e la suite al piano di sopra è quasi—”
Smise di parlare quando Colin non si mosse.
Non riusciva a muoversi.
Si sentiva inchiodato al terreno. Non voleva vedere tutte le
migliorie, la sua casa restaurata come aveva sognato, solo per
doverla consegnare a Hobbs.
L’avvoltoio.
Indietreggiò e si sedette sul gradino della carrozza. “Amy, tesoro...
dammi un minuto per abituarmi.”
“C’è di più! Ho comprato altre pecore e la trebbiatrice. E il mulino è
a posto.”
Colin strinse forte gli occhi.
“Colin?” Amy gli scosse il braccio. “Colin, stai bene?” Amy fece
una risatina nervosa. “Sono io quella che dovrebbe teoricamente
sentirsi svenire in questi giorni.”
“Sto bene,” sussurrò. “Hai speso tutto?”
“Tutto?” La risata risuonò nel cortile. “Hai idea di quanto valgono
quei diamanti? O di quanto oro può contenere un baule?”
Colin spalancò gli occhi di colpo. “Diamanti? Oro?”
Perché Amy riusciva sempre a farlo sentire così ottuso?
La risata di Amy svanì poco per volta nella pesante aria estiva.
“Pensavi che avrei usato i soldi di Greystone?” Gli chiese
lentamente. “Senza chiedertelo prima?”
“Io..” Colin si alzò, ma aveva le ginocchia molli. “Allora stai
dicendo—”
“Voglio che lo abbia tu, Colin. Voglio che tu sia felice.” La sua
mano si mosse sopra la protuberanza del loro bambino. “L’oro
doveva significare sicurezza per mio figlio, no?” I suoi occhi di
ametista brillavano pieni di lacrime mentre lo fissava. “Che cosa ci
può essere di più sicuro di un titolo nobiliare e di acri di terra? La
ricchezza sarà lì, nelle messi piantate nel suolo fertile, nelle mura di
pietra del castello e nelle lastre di ardesia del tetto della sala grande.
Avrei dovuto rendermene conto mesi fa.” Le sfuggì una lacrima che
scivolò lungo la guancia. “Mi dispiace.”
“A te dispiace?” La mano di Colin si alzò ad asciugare quella
singola lacrima, calda contro i polpastrelli. Gli sembrò che gli si
oscurasse la vista. La avvicinò a sé, tenendola stretta.
Per restare in piedi.
Era lei quella incinta—diavolo, non poteva essere lui a svenire.

CON UN’ESPRESSIONE INDECIFRABILE, Colin si avvicinò al loro


letto la mattina dopo e consegnò ad Amy una lettera decorata con il
sigillo fin troppo familiare. Amy sentì una fitta allo stomaco mentre
sorvolava righe e righe di nitida scrittura svolazzante, frutto di anni e
anni di insegnamento, per arrivare in fondo, dove c’era la firma: “Il
vostro affezionato amico, Charles R.”
“Dio del cielo,” gemette Amy. La pergamena frusciò quando la
lasciò cadere sul letto. “Non un’altra convocazione, un altro favore.”
La risata di Colin rimbombò nella stanza. “Leggila, pigrona.” Andò
alla finestra e aprì le tende. “È solo una lettera che dice che tre giorni
fa, a Breda, è stato firmato un trattato con gli olandesi, e che mi
ringrazia per i servizi resi all’Inghilterra.”
Amy sbatté gli occhi contro il sole che aveva invaso la stanza.
“Grazie al cielo!” Quando Colin si avvicinò per baciarla sulla fronte,
Amy gli rivolse un sorriso birichino. “Ti avrei gettato nell’oubliette
prima di lasciarti andare questa volta. Sei stato lontano sei
settimane... e non abbiamo ancora fatto l’amore.” Rise allo scintillio
famelico nei suoi occhi. “Non ricordo di essere andata a letto.”
“Ti sei addormentata a metà di una frase ieri sera. Sei rimasta
sveglia a sentire la mia mancanza, per tutte queste settimane?”
Quando si chinò per baciarla di nuovo, i denti le mordicchiarono il
labbro inferiore, facendole accelerare il polso. Poi gemette piano.
Colin sorrise contro la sua bocca. “Non ho ancora avuto
l’opportunità di ringraziarti per aver diviso la tua eredità—”
“Non ce n’è bisogno—”
“—e per aver salvato Greystone.”
“Salvato Greystone?” Amy si alzò a fatica. “Forse ho reso le cose
un po’ più facili per te, ma a lungo termine Greystone se la sarebbe
cavata comunque benissimo. È una bella tenuta.”
“Una bella tenuta, sì.” Colin si sedette sul letto e le prese le mani.
“Ma sarebbe stata la bella tenuta di Lord Hobbs.”
“Di Lord Hobbs?”
“Gli devo dei soldi. Dalla dote di Priscilla, con scadenza a fine di
quest’anno. A quel punto ci sarebbe stata la prigione di Newgate per
me o Greystone per lui.” Rise un po’ mesto. “Codardo come sono,
temo che il castello di Greystone sarebbe finito a Lord Hobbs.”
“Ma c’era sempre l’oro.”
Colin la zittì con un bacio. “Ti avevo promesso che non lo avrei
mai toccato, tesoro.”
Era disposto a rinunciare a tutto per lei.
Le si riempirono di colpo gli occhi di lacrime. “E i Chase non fanno
promesse alla leggera,” mormorò Amy, sentendo nella sua testa la
voce di Jason che lo diceva. A Cainewood, quasi un anno prima.
Sembrava fosse passata una vita.
“No, mai alla leggera,” confermò Colin, “Specialmente alle persone
che amano. Ora, riposati un po’ mentre faccio un giro della tenuta.”
Ancora un bacio, le labbra morbide di Colin che si attardavano
sulle sue.
“Stasera,” le promise con la voce tesa mentre indietreggiava verso
la porta, guardando la pancia con malcelata apprensione.
Sorridendo, Amy accarezzò il pancione. “Stasera.”
Con una mano sullo stipite, Colin si fermò. “Sei felice?”
“Felice?” Chiese Amy, confusa. “Non sono mai stata più felice in
vita mia.”
In quel momento era vero. Il sorriso rimase sul suo volto per molto
tempo dopo che i passi di Colin erano svaniti nel corridoio.
Colin la amava.
CAPITOLO SESSANTATRE

“DOVRESTI RIPOSARTI, BAMBINA,” Elizabeth entrò nello studio e


si sistemò sul divano. “Il tuo momento è vicino.”
“Ho sentito il bisogno improvviso di riordinare questa scrivania.”
Amy si mise a dividere la montagna di ricevute ingiallite che aveva
trovato nel cassetto in fondo, poi ne alzò una. “Questa è datata
1660, l’anno in cui Re Charles ha concesso Greystone a Colin. Mio
marito è segretamente un lazzarone.” Sorrise. “Inoltre, non sono tipo
da riposare, lo sapete.”
“Tuo zio William dice la stessa cosa di me. La maledizione dei
Goldsmith, la chiama.”
Il foglio cadde svolazzando sulla scrivania. “La maledizione dei
Goldsmith,” ripeté Amy sussurrando, non pensando all’etica del
lavoro, ma alla sua maledetta promessa.
La maledizione dei Goldsmith.
“Che cos’hai detto, mia cara?”
“Niente. Non è niente.”
Rimasero in silenzio, si sentiva solo il fruscio della carta. Amy
sentiva lo sguardo di Elizabeth seguirla mentre si spostava avanti e
indietro, archiviando le ricevute.
“Che cosa c’è che non va, bambina?” Le chiese alla fine Elizabeth,
con la voce piena d’amore.
Gli occhi si Amy si riempirono di lacrime. Le emozioni erano così
vicine alla superficie in quei giorni; o era felicissima o sprofondava
nella disperazione; sembrava non ci fossero mezze misure.
“Non lo so, Zietta.” Appoggiò entrambi i palmi sulla scrivania,
fissando la grana del legno. “Ero così felice questa mattina.”
“Non ha niente a che fare con il giuramento che hai fatto a tuo
padre, vero?”
Amy vide una lacrima cadere con un tonfo sulla superficie graffiata
della scrivania di Colin. “Come fate a saperlo?”
“Colin.” Dalle labbra di Elizabeth sfittì un lungo sospiro. “Ma non
ne hai discusso con lui, vero?”
Amy scosse la testa.
“Per l’amore del cielo, bambina, come fai a permettere alla
promessa fatta a un morto di impedirti di essere felice?”
“Mi ha detto che non posso avere tutto,” disse Amy con una
vocina triste.
“Colin?” Elizabeth era incredula.
“No, l’ha detto Papà.”
“O Dio Onnipotente. Mio fratello era tante cose, ma di certo non si
può dire che fosse di larghe vedute.”
Amy sobbalzò al crampo improvviso. “Eppure è vero,” le rispose
quando cessò il dolore. “Adesso sono con Colin e ho già tantissimo.
Devo imparare a convivere con il fatto che non posso avere tutto.”
“Baggianate. Hugh non poteva certamente prevedere il tuo futuro.
È morto, Amy. Il negozio non c’è più.” La voce si fece più dolce. “Sei
una Contessa, bambina. Se tuo padre fosse qui oggi, pensi
veramente che ti negherebbe la sua benedizione?”
“Non lo so.” Amy si lasciò cadere sulla sedia di Colin. “La
Goldsmith & Sons era tutto per Papà.”
Sospirando, Elizabeth si alzò. “Tu puoi avere tutto, se solo ascolti
il tuo cuore. Devi solo parlarne con Colin—”
“Di questo? Mi ha già detto—”
“Lui non è tuo padre. Parlane con lui. Puoi mantenere il tuo
giuramento—magari non alla lettera, ma nello spirito, bambina. Puoi
rispettarne lo spirito, se solo ti avvicini a tuo marito con fiducia. Lui
se lo merita, Amy.”
Girò intorno alla scrivania e si chinò per dare un bacio ad Amy su
entrambe le guance. “Pensaci. Ora, io sono una vecchietta che ha
viaggiato per molte miglia e penso di aver bisogno di un pisolino.”
Tirando su col naso, Amy riuscì a rivolgerle un sorriso tremante.
“Santo cielo, Zietta. Una vecchietta, davvero!”
Un altro crampo. Ma questo non significava che il bambino stesse
arrivando. Non era possibile—Colin era uscito e aveva in
programma di passare tutta la giornata a ispezionare la tenuta.
Oltre a tutto, erano quasi otto settimane che aveva i crampi,
oramai, e finora non avevano mai voluto dire niente.

GREYSTONE ERA UN ALVEARE di produttività. Colin cavalcò


verso i campi ai confini della proprietà, certo che le pecore e le
messi sarebbero state in condizioni perfette, come il legname e la
cava. Amy era un sovraintendente eccezionale. Brava quasi quanto
lo era come orafa.
Orafa...
Si guardò le mani sulle redini di Ebony, la striscia di pelle bianca
che indicava il punto dove aveva portato l’anello col sigillo. Dopo tutti
quei mesi, si sentiva quasi nudo senza. E Amy...
Amy avrebbe potuto fargliene un altro.
Sorrise tra sé, ricordando il suo orgoglio per il suo mestiere, la
luce nei suoi occhi quando gli aveva mostrato i tesori nel suo baule.
La sua gioia quando aveva scoperto l’origine del suo anello nuziale.
Le dita che accarezzavano sovrappensiero la collana che aveva
portato al palazzo di Whitehall.
Le avrebbe certamente fatto piacere fargli un altro anello.
Tirò le redini quando se ne rese conto di colpo.
Dannazione, che idiota era stato! Ad Amy mancava il suo mestiere
—ce l’aveva nel sangue, parte di lei come i suoi occhi di ametista e il
suo sorriso pronto. Gli avrebbe fatto un altro anello, e poi...
Santo cielo, sapeva come farla contenta.
Colin voltò Ebony verso il castello e lo spronò al galoppo. Il resto
della proprietà poteva aspettare. Non vedeva l’ora di guardare il
volto di Amy mentre glielo diceva.
L’espressione distratta, triste sarebbe sparita dai suoi occhi. Gli
avrebbe gettato le braccia al collo, baciandolo su tutta la faccia in
quel suo modo esuberante e lui le avrebbe restituito ogni bacio, ogni
carezza.
Altro che stasera. Se avesse cavalcato in fretta, avrebbe potuto
averla nel suo letto entro un’ora o due. Forse era ancora lì, a
riposare. Ad aspettare.
Dannazione, sperava di riuscire a trovare un modo, con quel
pancione...
CAPITOLO SESSANTAQUATTRO

“MILADY,” LA CHIAMÒ Lydia dalla porta dello studio. “Il pranzo è


pronto.”
Con uno sforzo tremendo, Amy aprì gli occhi e i pugni.
“Milady?” Gli occhi di Lydia si spalancarono fino a essere due
cerchi rotondi azzurri. “È il bambino?”
“No.”Amy si appoggiò contro la scrivania. “È solo un altro di quei
piccoli crampi che sto avendo da un po’.”
“Ne siete sicura?” Lydia si avvicinò. “Mi sembra... diverso.”
“Sì, ne sono piuttosto sicura.” Sbottò Amy, con il volto impassibile
nonostante il suo addome fosse contratto nel crampo più doloroso
che avesse avuto fino a quel momento.
Santo cielo, sembrava che una fascia metallica la stesse
spremendo.
“Ne sono piuttosto certa,” ripeté a denti stretti. “Ma credo che
pranzerò in camera mia. Vorrei fare un pisolino.” Si avviò verso la
stanza.
“Milady,” gridò Lydia, con la voce allarmata. “State camminando
come un’anatra.”
Amy si voltò in fretta. “Non sto camminando come un’anatra. Non
c’è niente che non vada con le mie gambe. Sono solo le sciocchine
incinte che camminano dondolando come le anatre, solo per attirare
la simpatia degli altri.”
Era contenta che non ci fosse nessuno in corridoio a vederla,
perché era davvero impossibile arrivare nella sua stanza senza
camminare dondolando. Cadde goffamente sul letto, ma prima di
potersi mettere comoda, un liquido giallo pallido, dall’odore
dolciastro, zampillò fuori da lei.
Sapeva che cosa significava. Lydia le aveva riferito ogni dettaglio
del parto delle cinque precedenti padrone, con il massimo del
melodramma, spaventandola a morte. Poi, la notte precedente, la
zia Elizabeth le aveva spiegato tutto in modo tranquillo,
chiarificatore. Amy non sapeva a che cosa credere, ma una cosa era
certa. Quando si rompevano le acque, il bambino stava nascendo.
Su questo non c’erano dubbi.
Lacrime bollenti traboccarono dagli occhi chiusi mentre si
rannicchiava nel letto. Il bambino non poteva nascere proprio ora.
Colin non sarebbe tornato ancora per ore. E non gli aveva ancora
parlato; la zia Elizabeth aveva ragione—doveva parlare con lui.
Doveva fidarsi di lui.
Non era pronta per quel bambino.
Il fatto che suo figlio fosse pronto, che la zia Elizabeth avesse
detto che sarebbe arrivato quella settimana, o la prossima, era
irrilevante.
Quando un’altra contrazione al calor bianco la colpì, gemette per il
dolore e la frustrazione. Di colpo, Lydia si precipitò nella stanza, con
il vassoio del pranzo in mano.
“Lo sapevo!” Esclamò, fissando la macchia di bagnato sulle
lenzuola. Lasciò cadere immediatamente il vassoio e Amy si
sarebbe messa a ridere se ne fosse stata in grado.
Ma arrivò un’altra contrazione. “Non uscirà adesso,” riuscì a dire a
denti stretti. “Non glielo permetterò. Terrò le gambe strette.”
“Ma, milady—”
“Il mio corpo non può tradirmi in questo modo,” rispose
bruscamente Amy. Non si era mai sentita così impotente. Decisa a
porre fine a quella pazzia, riuscì a mettersi seduta mentre il dolore si
attenuava.
Poi la verità le piombò addosso, con un’esplosione di rabbia e di
inevitabilità, e ricadde sui cuscini.
“Questo bambino arriverà che io voglia o no,” piagnucolò. “Non c’è
niente che possa fare per fermarlo. Niente!”
Il volto di Lydia sembrava offuscato, attraverso il nuovo velo di
lacrime brucianti. “Manda Benchley a cercare Colin,” disse a voce
bassa, chiudendo gli occhi. E sveglia zia Elizabeth dal suo pisolino.
Svegliala subito.”
“L’ho già fatto,” disse Lydia, inginocchiandosi per rimettere tutto sul
vassoio. Quando Amy riuscì ad aprire gli occhi, Lydia si corresse.
“Svegliare vostra zia, volevo dire.”
La zia Elizabeth arrivò in quel momento, scavalcando i piatti rotti e
assumendo il comando.
“Ho caldo e sono sudata,” si lamentò Amy e la zia Elizabeth tolse
le coperte.
“Sono gelata.” Disse Amy tremando, e la zia Elizabeth rimise le
coperte.
Amy sentiva la nausea, era sicura che avrebbe vomitato, poi
dimenticò la nausea quando la sonnolenza la sopraffece. Si svegliò
di colpo quando arrivò un’altra contrazione e il ciclo ricominciò
un’altra volta. E la zia Elizabeth continuava a parlarle, rassicurante,
tranquilla.
“Siete così gentile e servizievole, signora Talbot,” disse
febbrilmente Lydia, “Lady Greystone è fortunata.”
Amy aprì gli occhi per il tempo necessario di darle un’occhiataccia,
“Oh, cielo,” disse Lydia senza fiato, con gli occhi che si
spalancavano. “Milady, riesco a vederlo!” Si avvicinò e fissò tra le
gambe di Amy, ma ad Amy non importava più abbastanza da essere
imbarazzata. “È un cerchietto della misura di uno scellino, coperto di
capelli neri viscidi.”
Amy fece una smorfia, un po’ per il dolore e un po’ perché non
aveva mai sentito niente che suonasse così disgustoso.
“Zitta, Lydia,” la ammonì zia Elizabeth, allungando il collo per
vedere il volto di Amy oltre la protuberanza della pancia. “È la testa
del tuo bambino, tesoro. È pronto per nascere.”
Zia Elizabeth fece segno a Lydia di avvicinarsi e le ordinò di tenere
la mano di Amy.
“Spingi ora, Amy,” la incoraggiò, “spingi più forte che puoi.”
Amy prese alla lettera le sue parole. Spinse con tutta la forza che
riuscì a raccogliere, non desiderando altro di farla finita con
quell’orribile faccenda.
“Ahi!” Lydia cercò di togliere la mano, ma Amy strinse ancora più
forte.
Quando il dolore smise e Lydia riprese la mano massaggiandosi le
dita, Amy si sentì in colpa. Poi ricominciò e Lydia si chinò sopra di
lei, togliendole i capelli dalla fronte e chiocciando amichevolmente.
“Smettila di toccarmi!” sbottò Amy. Le sembrava di essere
intrappolata in un’altalena di emozioni, incapace di controllarsi.
Quando il dolore fu al culmine, strinse nuovamente la mano di Lydia,
e non le importava assolutamente nulla che le stesse facendo male.
Una piccola parte di lei era sbalordita dal suo stesso
comportamento, ma non abbastanza da cambiarlo.
Riposò, respirando affannosamente, poi spinse, poi riposò e
spinse di nuovo. Spinse finché fu sicura che le sue budella
sarebbero fuoriuscite sulle lenzuola, ma suo figlio restava
testardamente incastrato nel suo grembo.
Quando il bisogno di spingere diminuiva, chiudeva gli occhi, ma le
lacrime continuavano a scendere.
“Spingi, Amy, spingi,” Gridò zia Elizabeth.
Oh no, stava ricominciando, così presto. Le lacrime di frustrazione
di Amy scendevano più in fretta. Era tutto così ingiusto. Le unghie
erano conficcate nel palmo della mano che non stava stringendo
quella di Lydia.
“Questo non è il posto per voi,” sentì zia Elizabeth dire
fermamente. “Versatevi un brandy e aspettate nello studio.”
Le parole erano sconcertanti, ma gli occhi di Amy erano chiusi e
lei si stava concentrando a spingere.
“No,” ribatté una profonda voce maschile. “Devo parlare con Amy.”
Amy spalancò di colpo gli occhi. “Colin?” riuscì a dire tra un gemito
e l’altro.
Colin esitò, respirava pesantemente come se avesse corso. Diede
un’occhiata a zia Elizabeth e poi tornò a guardare Amy.
“Voglio solo che tu sia felice, amore.” Con le dita che
tamburellavano su una coscia, guardò nel punto in cui era fisso lo
sguardo di Lydia. Sgranò gli occhi prima di concentrarsi nuovamente
sul volto di Amy. “Ho qualcosa che devo chiederti, dirti. È importante
per me.”
Quando il dolore si attenuò, Amy accennò di sì. “Vieni, parla.”
“Mi manca il mio anello.” Si mosse verso di lei, sorridendo e
strofinando distrattamente il punto dove lo portava di solito. “Pensi di
potermene fare un altro?”
“Colin, non adesso,” ringhiò zia Elizabeth.
Anche se il dolore per il momento si era fermato, Amy temette che
le scoppiasse il cuore. “Tu... tu vuoi che ti faccia un anello?”
“Possiamo costruire un laboratorio. Pensavo vicino alla cucina—”
“Oh, Colin!” Le si riempirono gli occhi di lacrime per l’ennesima
volta quel giorno. “Come facevi a saperlo? È che—”
Il dolore la colpì di nuovo, e gli afferrò la mano, chiudendo gli
occhi, spingendo, spingendo, spingendo. Suo figlio stava arrivando,
sentiva la testa che allargava l’apertura del suo corpo.
Era un miracolo.
“Insegnerai il tuo mestiere ai nostri figli?” Le chiese Colin. “Il tuo
sangue, il tuo sangue da orafa, scorre nelle vene di questo bambino
quanto il mio.”
“Il vostro sangue scorrerà presto se non ve ne andate,” lo avvertì
Elizabeth.
“No, non andartene,” ansimò Amy, stringendogli la mano,
“E se non ti dispiace vivere in modo semplice—”
“Non mi importa! Te l’ho già detto,” guaì Amy mentre il dolore si
attenuava.
“Allora risparmieremo per rimpiazzare la tua eredità. E un giorno,
un figlio minore che non potrà ereditare il titolo aprirà il più bel
negozio di Londra. Essere un orefice sarà molto meglio di essere un
soldato e un prete.”
“Un figlio minore?” lo schernì Lydia, asciugando la fronte di Amy.
“Santo Dio, pensate che ne avrà un altro dopo tutto quello che ha
passato?”
“Se poteste stare zitti tutti quanti per un momento,” li interruppe zia
Elizabeth, “questo bambino sta per nascere.”
“Colin,” mormorò Amy.
Aveva tante cose da dirgli, ma il bisogno di spingere la distrasse.
“Amy, è il momento,” la incoraggiò zia Elizabeth. “Spingi.”
Spinse forte e poi più forte, e ancora più forte e il suo bambino si
affacciò al mondo.
“È un miracolo,” riuscì a dire con la voce strozzata. “Tutto.” Poi
rise, felice, con le lacrime che rigavano le guance. E il pianto del loro
bambino aggiunse il suono più dolce a tutta quella confusione
emotiva.
Colin si mosse verso i piedi del letto, guardando incredulo il frutto
dei suoi lombi che veniva pulito e avvolto in una coperta. La zia
Elizabeth appoggiò il fagottino sull’addome di Amy, aprì a metà la
copertina e usò due strisce di tessuto pulito per legare in due punti il
cordone.
Poi Colin toccò per la prima volta la carne della sua carne,
tenendo fermo il bambino mentre la zia Elizabeth tagliava il cordone
ombelicale pulsante.
“È un miracolo,” sussurrò Amy tra sé e sé. Il suo prezioso
bambino. Il piano meraviglioso di assicurare che la Goldsmith &
Sons rinascesse, il suo amore per Colin e—il miracolo più grande di
tutti, quello di Colin per lei.
Tutto quanto—un miracolo
Colin le consegnò il fagottino caldo. Amy tenne il bebè urlante
contro il petto, con il timore di schiacciarlo ma senza volerlo lasciare.
Mai.
Guardò Colin negli occhi, con lacrime di gioia fresche che
scendevano per conto loro. “Ti dispiacerebbe molto,” disse
timidamente, “se lo chiamassimo Hugh, come mio padre?”
Il suono affettuoso della risata di Colin la fece sorridere “Se è così
importante per te, faremo così, tesoro,” disse continuando a ridere,
“ma temo che le altre ragazzine potrebbero prenderla in giro.”
“Le altre ragazzine?” Amy sbatté gli occhi, confusa. “Questo
bambino è una bambina? Una bambina? Impossibile.” Aprì un
pochino la coperta, con un’occhiata di traverso a Colin. “Sarebbe
proprio da te giocarmi uno scherzo del genere.”
Ma eccola lì, perfetta, con le piccole dita rosa, e Amy strappò via
la coperta e tenne la sua bambina urlante contro la propria pelle,
cullandola istintivamente.
“Come ho fatto a pensare che potesse essere un maschietto?” Si
chiese di colpo. “È sempre stata una bambina. Questa preziosa
bambina è mia.”
Sua figlia si tranquillizzò, accoccolata contro il corpo familiare di
Amy, con l’orecchio sul suo petto, ad ascoltare il battito che l’aveva
cullata per nove lunghi mesi.
Elizabeth fece un cenno a Lydia ed entrambe uscirono in silenzio
dalla stanza.
“Posso insegnarle a creare gioielli?” Chiese Amy, guardando
Colin.
La sua risposta era nei suoi occhi, che la fissavano, immobili.
“Non sembrerà... sconveniente?”
Colin sorrise, il suo vecchio sorriso diabolico che le faceva cantare
il cuore. “Stai cercando di convincermi a non farlo?”
“No.” Amy fece un profondo respiro. “È... è solo troppo bello per
essere vero. Papà diceva che non potevo avere tutto, ma non è
vero. Io ho tutto.”
“Beh, io no,” disse Colin senza espressione, senza però riuscire a
nascondere la contentezza nella sua voce.
Amy non si preoccupò nemmeno per un attimo. “Hai me,” gli fece
notare, “E la nostra bellissima bambina. E Greystone—”
Smise di parlare quando gli occhi di Colin diventarono quel verde
scuro che la faceva sciogliere dentro.
“Tutti i giorni in cui siamo stati lontani,” le disse con quella
sconvolgente voce roca che aveva aspettato di sentire per sei
settimane, “Sognavo di fare l’amore con te. È stato l’unico pensiero
che mi ha fatto andare avanti, minuto dopo minuto, ora dopo ora,
giorno dopo giorno. E adesso...”
Scrollò le spalle e quell’unico movimento espressivo conteneva
tutta la frustrazione accumulata di un amore inappagato.
No, non poteva fare l’amore con lei, pensò Amy, non subito.
Ma presto... presto.
E, “Puoi baciarmi,” lo invitò, con le labbra che già fremevano
all’idea di quella talentuosa bocca tanto desiderata sulla sua.
Colin lo fece, meticolosamente.
Quando si staccò, la loro bambina aprì gli occhi che guardarono
sfuocati i suoi genitori per la primissima volta.
I suoi occhi di smeraldo erano esattamente come quelli di Colin,
che le toccò una manina, con il cuore che si rifletté negli occhi
quando le piccole dita si avvolsero sul suo.
“Che gioiello meraviglioso,” mormorò.
Amy lo guardò negli occhi, con il cuore gonfio di gioia per quel
momento di intimità condivisa. Aveva ragione. Di tutti i gioielli che
aveva creato, la loro bambina era il più prezioso.
“Jewel,” sussurrarono insieme.
EPILOGO

Sei anni dopo

JEWEL SI CALÒ DALLA scala che aveva appoggiato al muro. In


silenzio, di modo che sua madre non la sentisse. Poi si infilò nella
stanza—con attenzione—perché la porta era aperta solo quel tanto
che bastava a un folletto di sei anni di passare.
Saltellò, attraversando la cucina e fermandosi solo un attimo per
afferrare una crostatina calda dal mucchio appena sfornato, poi
passò nella sala grande e lungo il corridoio che portava allo studio.
Esitando, si pulì le briciole dalla boccuccia rosata e si tolse i capelli
d’ebano dal volto a forma di cuore. Poi mise la manina sulla maniglia
e spinse, precipitandosi nella stanza.
“Papà, venite, presto! La mamma si è scottata!”
Colin saltò via dalla scrivania. “Oh Gesù,” disse senza fiato. Jewel
ritornò sui suoi passi, questa volta correndo dietro al padre. Doveva
affrettarsi per stargli dietro.
“Mio Dio, fa’ che non sia grave,” sussurrò Colin. La fornace nel
laboratorio poteva arrivare a temperature così incredibilmente alte.
“Per favore, fa’ che non sia grave.”
La porta del laboratorio era leggermente socchiusa. La spinse per
aprirla—e splash—gli cascò addosso un diluvio di acqua gelida.
Dietro di lui, Jewel si lasciò andare a risatine isteriche. Sua moglie
si voltò a guardarlo, bulino in una mano e il modello di cera di una
anello nell’altra.
“Te l’ha fatta!” disse Amy. “Di nuovo.” Vedendo Colin in piedi sulla
porta, fradicio, con i capelli incollati sulla testa e che pendevano sulle
spalle in lunghe ciocche bagnate, scoppiò a ridere anche lei.
Colin allungò una mano per tirare nella stanza la sua figlioletta che
continuava a ridacchiare. Scuotendo violentemente la testa le inondò
di goccioline di acqua fredda la testa e le spalle. “Jewel Edith
Chase,” disse con finta severità, “Questa faccenda sta andando fuori
controllo.”
“Ve lo dovevo, Papà, per la limonata.”
La settimana prima, Colin aveva promesso a Jewel un bicchiere di
limonata fresca dopo una vigorosa lezione di scherma, ma la
bevanda che le aveva dato era stata concentrata e senza zucchero.
La smorfia sul volto della bambina era stata impagabile.
Colin ridacchiò, assaporando il ricordo. “Quella era per il fieno,”
protestò. “E comunque, come ci sei riuscita?”
“Non ve lo dico. Ora siamo pari.”
“Col cavolo che siamo pari.”
“Colin.”
I dolci tentativi di Amy di limitare le imprecazioni di Colin in
presenza dei loro bambini generalmente non servivano a molto e lei
lo sapeva. Colin sorrise tra sé, poi socchiuse gli occhi guardando
Jewel. “Non è già passata l’ora di andare a letto, signorinella?”
“La mamma ha detto che avrei potuto colare il mio anello stasera.”
Amy scoppiò a ridere. “Bel tentativo, Jewel, ma hai passato la
serata a mettere in bilico il secchio d’acqua.”
Colin si inginocchiò e abbracciò sua figlia. “Potrai colare il tuo
anello domani.”
“Se vado a letto adesso, mi racconterete una storia?”
“Che cos’è questa, una trattativa?” Si lamentò Colin.
“Che cos’è una ‘trattavita’?
“Una trattativa è quando—”
“È quando tu fai gli occhioni dolci a tuo padre—” anche gli occhi di
Amy brillavano di malizia “—e lui fa tutto quello che vuoi.”
Fu il turno di Colin di protestare. “Amy!”
“Raccontatemi una storia, per favore,” lo pregò Jewel, con gli
occhi scintillanti di speranza. Quegli occhi color smeraldo che erano
esattamente come i suoi. Amy aveva ragione; non riusciva a negare
niente a sua figlia quando lo guardava in quel modo. “Per favore,
papà, raccontatemi di quando siete andato in Francia per il Re e la
carrozza è stata fermata dai braganti.”
“Briganti.”
“Sì, va bene. Per favore, raccontatemela.”
Quegli occhi. “Come vuoi. Preparati per andare a letto e verrò tra
un po’ a raccontarti la storia.”
“Può ascoltarla anche Hugh?”
Il fratellino di Jewel, Hugh, era un robusto ragazzino di quattro
anni che seguiva dappertutto suo padre come fosse la sua ombra. Il
prossimo Conte di Greystone.
E poi, ovviamente, c’era Aidan. Colin guardò il bambino che
dormiva in un angolo del laboratorio. A sei mesi, aveva ancora
bisogno stare vicino ad Amy. E avrebbe imparato il suo mestiere; il
suo futuro era lì.
“Papà...” riportò lo sguardo su Jewel. “Per favore, Papà. A Hugh
piacciono le vostre storie—lo sapete.”
“Molto bene, tesoruccio,” gli occhi di smeraldo brillarono di nuovo
e il cuore di Colin si sciolse ancora un po’. Avrebbe mai superato la
meraviglia per questi preziosi esseri affidati alle sue cure? “Ora vai.
Arriverò subito,” le disse con un sospiro.
Jewel se ne andò, saltellando in cucina come se non avesse
nessuna preoccupazione al mondo. Il che era vero. Colin sperava di
mantenere le cose così ancora per molto, molto tempo.
Chiudendo la porta chiese a sua moglie. “Hai visto com’è stata
ingegnosa?” Le chiese, impressionato per la creatività di sua figlia.
“Guarda come ha collegato il manico del secchio alla maniglia con
una fune, di modo che non mi colpisse in testa cadendo dalla cima
della porta. Brillante, veramente brillante.” Scosse lentamente la
testa, ammirato. “Nostra figlia è talmente incredibile.”
Solo Colin poteva associare l’intelligenza a uno scherzo ben
eseguito, rifletté Amy, alzandosi dal banco di lavoro. Era convinta
anche lei che la loro bambina fosse un genio, ma la sua opinione era
basata sull’abilità di Jewel nella lettura e nella sua sete di
conoscenza.
“Lo so che cos’ha fatto.” Amy tolse i capelli bagnati dal volto di
Colin e gli mise le braccia in vita. “Io ero lì, stavo lavorando.”
“E glielo hai lasciato fare comunque.”
“Ovvio, lo meritavi dopo quella limonata. Oltre a tutto lei crede che
non l’abbia notata nessuno. È stata zitta come un topolino, ed io le
ho voltato la schiena per tutto il tempo.”
“Quindi sei complice del crimine,” la accusò Colin, con quel sorriso
devastante cui Amy non riusciva a resistere, anche dopo tutti quegli
anni.
“Immagino che si possa dire così.”
“Il che mi ricorda. Com’è riuscita a fare quel trucco del fieno? Tu
devi saperlo.”
Amy lo sapeva. Con l’aiuto di Benchley, che da tempo Jewel
aveva stregato tanto da farne un complice sempre disponibile,
avevano piazzato una tavola contro il guardaroba aperto e avevano
stipato dietro una montagna di fieno, poi avevano chiuso quasi
completamente la porta, tolto la tavola e chiuso a forza l’armadio.
Quando Colin l’aveva aperto per appendere la camicia a un gancio,
si era trasformato in un covone umano.
Guardandolo dal letto, Amy aveva riso fino a star male. Jewel era
corsa dentro, ululando di gioia, e ingaggiando Colin in una lotta che
si era trasformata in un’esplosione di fieno profumato per tutta la
stanza. Quando Jewel era tornata a letto, Colin aveva tolto i fili di
fieno dai capelli di Amy, uno a uno passandoglieli sul corpo...
Amy scosse la testa per schiarirsela. No, non aveva il diritto di
rivelare i segreti di Jewel. “Non ne ho idea,” disse evasivamente,
“Jewel non si confida con me.”
Ma Benchley sì, si disse. Benchley si vantava continuamente delle
imprese di Lady Jewel. Con tutti, eccetto che col padre di Jewel,
cioè.
Benchley era fin troppo leale.
“Ne sei proprio sicura?” Le chiese Colin, con la bocca sulla sua.
“Certo.”
Colin strinse le braccia, e le labbra divennero più pressanti e
calde. Amy aprì la bocca e la lingua di Colin si tuffò, esplorandola
possessivamente. Le ginocchia di Amy si trasformarono in gelatina e
sentì il sangue che scorreva più veloce, diffondendo la deliziosa e
familiare sensazione in tutto il corpo, specialmente in quella parte
che era riservata a lui.
La mano di Colin scese ad afferrare le gonne, poi fu sotto e le sue
dita lì. Amy pulsava, in modo insopportabile e se le braccia di Colin
non l’avessero sostenuta, sarebbe sicuramente scivolata sul
pavimento.
Il bacio divenne più intenso, deciso, e proclamava al mondo che
lei era solo sua.
I sensi di Amy erano sovraccarichi e il cuore le batteva così forte
che era sicura che Colin potesse sentirlo. Si chiese vagamente
come potesse sentirsi così, lei una donna adulta di ventinove anni,
con tre figli. Ma dentro di sé non si sentiva un giorno più vecchia di
quando Colin l’aveva baciata la prima volta, tanti anni prima. E i suoi
baci le facevano esattamente lo stesso effetto, forse un po’ di più.
“Ammyy...” mormorò Colin sulla sua bocca.
“Mmm”
La mano di Colin si fermò e staccò la bocca. Ma la strinse più forte
contro il suo corpo duro, con l’altra mano sulla schiena. “Com’è
riuscita Jewel a fare quello scherzo del fieno?”
Le sue labbra sfioravano stuzzicanti quelle di Amy, la sua mano
era una promessa calda sotto le gonne.
E lei quasi glielo disse...
“Lord Greystone?” Sentirono bussare forte alla porta.
Colin saltò via con un gemito. “Sì?”
Lydia aprì la porta e infilò la testa proprio mentre Amy si lisciava le
sottane, con le guance rosse per eccitazione e l’imbarazzo.
“Lady Jewel dice che le avete promesso una storia?”
“Ah... sì. Lo ho promesso una storia, vero?”
Anche se Lydia manteneva la faccia impassibile, Amy nascose un
sorriso. Sapeva che Colin e lei avevano un matrimonio poco
convenzionale. Colin aveva imposto regole ferree a ogni nuovo
servitore. Non si aprivano le porte chiuse quando Lord e Lady
Greystone erano in casa. Non importava dove portasse la porta, se
in camera o nella dispensa, prima si doveva bussare—o rischiare di
rimpiangerlo dopo.
Quando Lydia si affrettò a tornare dalla bambina, Colin mugolò di
nuovo. Amy sapeva che l’avrebbe seguita—non avrebbe mai deluso
la sua preziosa Jewel.
I Chase non facevano promesse alla leggera.
“Continueremo dopo,” promise Colin prima di andare da sua figlia.
La sua voce roca, profonda, aveva un tono di sfida e Amy sapeva
che si stava riferendo all’episodio del fieno e a quello che senza
dubbio considerava un nuovo ingegnoso modo per indurla a
confessare quello che sapeva al riguardo.
Ma con il corpo che fremeva ancora, Amy scelse di interpretare le
sue parole in tutt’altro senso.
“Continueremo dopo.” Ancora per molto, molto, molto tempo.
Per sempre.

FINE
MATERIALE AGGIUNTIVO

Nota Dell'Autrice
Continuate a Leggere L'anterprina di EMERALD
L'Autrice
La traduttrice
I libri di Lauren Royal (nell’edizione originale inglese)
NOTA DELL’AUTRICE

Caro lettore,
Quando leggo un romanzo storico, mi ritrovo sempre a chiedermi
cosa e chi (a parte personaggi ovvi, come il Re e la regina) possa
essere realmente esistito. Nel caso in cui i miei lettori abbiano la
stessa curiosità, penso che qualche informazione possa far piacere.
L’amante del Re, Barbara Villiers Palmer, Contessa di
Castlemaine (e dopo il periodo in cui ha luogo questa storia,
Duchessa di Cleveland) è un personaggio veramente esistito.
Amante di Re Charles a intermittenza per almeno dieci anni, gli
diede quattro figli maschi—tutti creati Duca—e una figlia femmina.
Charles concesse una pensione a vita di seimila sterline annue a
Barbara e tremila per ciascuno dei loro figli. Erano somme
esorbitanti all’epoca e più di quanto concesse a qualunque altra
amante o figlio, eppure doveva sapere che Barbara aveva altri
amanti—una lunga sfilza, incluso non solo parecchi cortigiani inglesi
e francesi, ma anche attori, commediografi, un Servitore della
Stanza da Letto Reale e perfino un funambolo.
Ho cercato di fare del mio meglio per ricreare la vibrante
personalità di Barbara basandomi sui resoconti dell’epoca. Non
dimenticherò mai la prima volta che lessi una delle sue prime
biografie, da studentessa, nella biblioteca della University of
California, a Irvine. Il libro, che aveva quasi trecento anni, aveva
troppo valore ed era troppo fragile per essere dato in prestito, ma
(incredibilmente!) me lo lasciarono toccare e leggere. Ricordo che mi
tremavano le mani—trovavo talmente incredibile che le parole di
qualcuno fossero arrivate fino a me dopo tutto quel tempo. Sono
passati parecchi anni, e ora ho diversi libri antichi nella mia
biblioteca di casa, ma li tocco ancora con riverenza—tale è il potere
e la persistenza della parola scritta.
Anche se Barbara Palmer diede a Re Charles più figli di
qualunque altra amante, tante donne divisero il letto del Re. Alla fine,
riconobbe nove figli maschi e cinque figlie femmine, e si presume
che ne avesse anche altri. Purtroppo, la regina Catharine non gli
diede mai un erede legittimo, ma, dopo tanto tempo, un discendente
di Re Charles è in linea per salire al trono, dato che i figli della
Principessa Diana discendono da Charles II e Barbara, attraverso
suo figlio Charles Fitzroy, Duca di Grafton, nato nel 1663.
Quanto a Frances Stewart, la bellissima cortigiana dalla testa
vuota di cui spettegolavano Barbara e Colin, Charles decise di
perdonarla per aver sposato il duca di Richmond e alla fine, riuscì ad
attirarla nel suo letto. Sfortunatamente, poco dopo lei si ammalò di
vaiolo e la risultante deturpazione del suo bel volto sembrò
raffreddare i bollori di Charles. Ma Charles aveva il cuore tenero e le
rimase amico. Prima che Frances fosse colpita dalla terribile
malattia, la sorella di Charles l’aveva descritta come ‘la donna più
bella del mondo’ e Charles aveva immortalato quella famosa
bellezza facendola posare come Britannia: Il volto e il torace di
Frances sono tutt’ora incisi sulle monete inglesi.
Il castello di Cainewood
Il mio castello di Cainewood prende spunto dal Castello Arundel,
nel Sussex. È stata la residenza dei Duchi di Norfolk e della loro
famiglia, i Fitzalan Howards fin dal 1243, eccetto un breve periodo
durante la Guerra Civile. Anche se la famiglia risiede ancora lì,
alcune parti di quella magnifica casa sono aperte al pubblico e
valgono una deviazione, se capitate da quelle parti.
Greystone è ispirato al Castello Amberley, anch’esso nel Sussex
occidentale. Charles II visitò il castello nel 1651 e nel 1685. L’allora
proprietario, Sir John Brisco, commemorò la seconda visita
commissionando un affresco di Charles e della regina Catharine,
che si può ancora vedere nella Queen’s Room, ora un ristorante
rinomato. Il castello è passato per molte mani ed è ora un lussuoso
albergo. Le pareti emanano lo spirito dei sogni e delle leggende, un
soggiorno lì è la materia di cui sono fatti i sogni. Vale veramente la
spesa.
Per la casa di città dei Chase, ho preso in prestito la Lindsey
House, ai confini di Lincoln’s Inn Fields. Attribuita allo stimato
architetto Inigo Jones, è la sola casa originale che resta nella piazza.
Prende il nome da Robert, terzo conte di Lindsey che comprò la
proprietà nel 1660 dalla famiglia di Sir Theodore Mayerne, che era
stato il medico di James I e Charles I. Da allora ci sono stati parecchi
occupanti illustri, incluso James Whistler che dipinse lì il famoso
ritratto di sua madre.
Per vedere le immagini e sapere qualcosa di più dei posti e delle
persone reali citate in Amethyst, visitate il mio sito
www.LaurenRoyal.com.
Spero che Amethyst vi sia piaciuto—grazie per averlo letto!
CONTINUATE A LEGGERE L’ANTEPRIMA DI:

EMERALD
SECONDO LIBRO DELLA TRILOGIA ‘GIOIELLI’
di LAUREN ROYAL

Chichester, Inghilterra
1 agosto, 1667

“Jason, non puoi ucciderlo.”


Jason Chase si fermò di colpo e si liberò con uno strattone dalla
mano di suo fratello Ford che lo teneva per il braccio. “Per Dio, no.
Ma mi farò dire perché l’ha fatto e lo consegnerò alla giustizia, fosse
l’ultima cosa che faccio.”
“Non ti ho mai visto così—”
“Perché non ho mai visto niente di simile alla piccola dolce Mary
immobile come una morta. O i vestiti strappati di sua madre e il suo
volto tumefatto mentre continuava a ripetere il nome di Goeffrey
Gothard come una cantilena.” Tremante di rabbia, Jason si lisciò con
le mani i sottili baffetti neri. “Gli abitanti del mio villaggio,” fissò Ford
negli occhi. “Sono sotto la mia responsabilità.”
“Hai tappezzato il regno di manifesti.” Gli occhi azzurri di Ford
sembravano confusi, come se non sapesse come affrontare questo
nuovo lato del fratello maggiore. “La ricompensa farà in modo che lo
catturino.”
“Sarei perfettamente soddisfatto di consegnarlo io stesso alla
giustizia.”
Jason continuò a camminare lungo la East Street, dove si trovava
il Market Cross con il suo tetto a volta, proprio nel centro dell’antica
città romana cinta da mura. Era la struttura più elaborata di tutta
l’Inghilterra... ma la bellezza del suo disegno contrastava con il male
in agguato all’interno.
Un male che Jason intendeva affrontare.
I commercianti che si stavano scambiando posta e notizie sotto la
volta, si fermarono a guardarli. Jason riconobbe i fratelli Gothard
dalla descrizione che gli avevano fatto gli abitanti del villaggio:
Geoffrey, alto a magro, con un atteggiamento quasi elegante; Walter,
basso e scavato. I passi di Jason rimbombavano mentre camminava
attraverso le arcate aperte, con suo fratello al seguito. Dietro di loro,
la gente sembrava sgorgare dai quattro angoli della città, accorrendo
per non perdersi lo spettacolo.
Walter Gothard indietreggiò come un coniglio spaventato.
Jason si fermò con un clic degli speroni e fissò Geoffrey Gothard,
furioso. “Verrete con me dal magistrato,” disse seccamente, con un
tono di comando nella voce che sorprese perfino lui.
Gothard si limitò a fissarlo. Per un breve momento, Ford sembrò
sbalordito, poi fece un passo indietro, facendo segno alla folla di
allontanarsi.
La mano di Jason andò all’elsa della spada. “Subito, Gothard.”
Lo sguardo dell’altro uomo restò duro e risoluto. “Il più intimo e
caro dei miei nemici,” disse strascicando le parole, con un tono
insolente.
Una battuta che Jason riconobbe da Shakespeare. Quell’uomo
aveva una certa istruzione quindi—in effetti, il suo portamento era
aristocratico, e i suoi indumenti, anche se stropicciati dopo giorni di
uso, erano di buona qualità e di buon taglio.
La confusione si mischiò con la rabbia nello stomaco di Jason.
“Perché dovreste definirmi vostro nemico?”
Lo sguardo di Gothard percorse Jason dalla testa ai piedi. “Siete il
marchese di Cainewood, no?”
“Sì.” Jason parlava a denti stretti. Desiderava solo andare a casa,
tornare alla sua tranquilla routine, tornare alla sua tenuta, alla sua
vita. Ma tutto quello cui riusciva a pensare era la piccola Mary dai
capelli d’oro che lo seguiva in giro per il villaggio, chiedendogli una
caramella, con gli occhi azzurri birichini che irradiavano fiducia.
Occhi azzurri che forse non si sarebbero mai più aperti.
E lì c’era l’uomo che l’aveva picchiata, all’ombra della pietra chiara
della struttura gotica sopra di loro.
“Non ho fatto niente per attirare la vostra ira—non ci siamo mai
incontrati.” Jason strizzò gli occhi per vedere meglio l’uomo
nell’ombra. Gothard e suo fratello erano pallidi, con il tipo di pelle
che bruciava e si spelava al sole—e sembrava che ultimamente vi
fossero stati esposti a lungo. “Arrendetevi e consegnatevi a me.”
Gli occhi azzurri dell’uomo divennero di pietra, risentiti. Jason
sbatté gli occhi. Gli sembrava di conoscere quegli occhi.
Forse si erano già incontrati.
“Andate al diavolo, Cainewood.”
Jason raddrizzò le spalle, ricordandosi il motivo per cui era lì. Per
la giustizia, per l’onore. Le domande potevano aspettare, per il
momento.
Contò lentamente fino a dieci, concentrandosi sulla guglia che
sormontava la vecchia cattedrale normanna dall’altra parte del prato.
Sentiva un’enorme responsabilità e la mano si strinse sull’elsa della
spada.
Suo padre se lo sarebbe aspettato da lui. Difendere ciò che era
suo, sostenere le cose giuste—senza badare al prezzo.
Estrasse deliberatamente lo stocco dal fodero.
“Che siate dannato.” Gothard estrasse la sua spada con uno
stridio che ruppe il silenzio. “Sistemeremo la faccenda, qui, subito.”
Jason si avvicinò di un passo, ruotando lentamente la punta dello
stocco, poi fece un affondo sibilante con un movimento rapido che
fece sussultare la folla. L’ombra sottile della lama baluginò sul
pavimento di pietra.
La sua mano libera tremava appoggiata al fianco.
Con un ruggito, Gothard si lanciò e nell’aria estiva risuonò il primo
rumore di ferro su ferro.
La vibrazione scosse il braccio di Jason. Con i muscoli tesi, si girò
e parò, attaccò e poi schivò. Il cuore batteva forte; il sangue
pompava furiosamente nelle vene.
Come la maggio parte degli uomini della sua classe, aveva avuto
buoni insegnanti di scherma e aveva passato ore interminabili
allenandosi—ma questo non era un gioco. E il suo avversario era
bravo quanto lui.
Le due lame cozzavano con intento mortale all’ombra del Market
Cross.

Leslie, Scozia

“Sposata? Non ho intenzione di sposarmi!”


Le ultime note delle cornamuse che avevano suonato al funerale
stavano ancora echeggiando nelle orecchie di Caithren Leslie
quando si trovò ad affrontare l’avvocato di famiglia, dall’altra parte
della scrivania di suo padre. Come se non fosse stato sufficiente
seppellire suo padre proprio quel giorno, ora anche questo.
Incredibile.
“Vi ho sentito male?”
Lachlan MacLeod sospirò e si passò la mano tra i capelli
brizzolati. “Non c’è niente che non funzioni nelle vostre orecchie,
Miss Caithren. Leslie è tutta di Adam... cioè, salvo che decidiate di
sposarsi entro l’anno. Allora la porzione maggiore, la dote di vostra
madre, tornerà a voi e a vostro marito. In questo caso, voi dovrete
provvedere a vostro fratello, ovviamente. Le terre vincolate al titolo
non sono sufficienti per mantenere un uomo.”
“Almeno non nello stile cui è abituato Adam.” Aggiunse
seccamente suo cugino Cameron.
“Dio non voglia che mio fratello metta Leslie al primo posto, invece
della ricerca del suo piacere,” disse Cait, mulinando soprappensiero
una delle trecce biondo scuro. Sono cinque anni che non viene a
casa per più di una breve visita.” Chiuse gli occhi per un momento,
poi si concentrò sull’avvocato. “Non è possibile.”
“Purtroppo sì, Miss Caithren, ve l’assicuro.” Le mani artritiche di
MacLeod impilarono le carte sulla scrivania. “Anche se è raro che
una figlia possa mantenere il titolo, non è senza precedenti. I
desideri di vostro padre resisteranno a qualunque opposizione.”
“Nay, non è quello che intendevo.” Caithren fissò la superficie
della scrivania di suo padre. Era sempre stata coperta d carte che
riflettevano gli avvenimenti nell’indaffarata tenuta di Leslie. Ora era
pulita. Troppo pulita e il suo cuore piangeva a quella vista. “Mio
padre mi ha detto che se Adam non avesse cominciato a rigare
diritto un giorno Leslie sarebbe stata mai. Questa parte non mi
sorprende.” Guardò Cameron, per farsi forza, sentendosi un po’
meglio quando i loro occhi nocciola si incontrarono. Era sempre
stato il suo pilastro. “È la faccenda del matrimonio che non ha
senso.”
Prendendola per le spalle, Cameron la spinse gentilmente
dall’altra parte della stanza e in una poltrona di pelle marrone. Si
appollaiò sul bracciolo e guardò speranzoso l’avvocato. “Forse se
leggeste di nuovo quella piccola parte di testamento. Non credo che
Cait lo abbia sentito proprio bene.
MacLeod sfogliò il documento, poi si schiarì la voce. “—Sono
veramente dispiaciuto per questa richiesta, cara figlia, ma la mia
speranza è che tu arrivi a capire la mia posizione. Poiché hai già
ventuno anni—” L’avvocato si interruppe tirandosi il lobo
dell’orecchio. “L’ha scritto l’anno scorso, capite, prima di—”
“Aye, quando ero solo una bambina.” Caithren incrociò le braccia
e accavallò le gambe. Sotto una gonna nera, senza ornamenti, la
gamba di sopra dondolava su e giù come un pendolo mentre
parlava. “Ora, avendo raggiunto la tarda età di ventidue anni,
immagino di essere una zitella fatta e finita—”
“—Dato che hai già ventuno anni,” si affrettò a finire MacLeod, “—
sto cominciando a preoccuparmi per il tuo futuro. Inoltre ho
promesso alla cara Maisie sul suo letto di morte che ti avrei vista al
sicuro, sposata. Poiché stai sentendo queste parole, a quanto pare
non ho vissuto abbastanza a lungo da compiere l’impresa. Caithren,
amore mio, non puoi non ammettere di avere una certa vena di
testardaggine e indipendenza, e di non avermi in questo modo
lasciato altra via per assicurarmi che i desideri di tua madre siano
rispettati. So che farai la cosa giusta per tua madre, me stesso e la
tua vita piuttosto di veder cadere Leslie nelle mani incompetenti di
tuo fratello. Per favore perdona la mia doppiezza e sappi che è per il
tuo stesso bene.”
Il silenzio riempì il piccolo studio. Il picchiettio della pioggia sui
vetri risuonava innaturalmente forte contro la finestra. Caithren fissò
il soffitto a travi.
La mano di Cameron le sfiorò il braccio. “Mi dispiace, cara È
difficile per te, lo so.”
“Papà stava soffrendo. È una benedizione che se ne sia andato.
Non è quello che mi hanno detto tutti oggi?”
Ma nonostante avesse deciso di aver pianto abbastanza, la gola
sembrava chiudersi dolorosamente e qualcosa nei suoi occhi le
stava offuscando la vista.
Sbatté forte le palpebre. “Non ho intenzione di sposarmi.”
Cameron si alzò, altissimo, accanto a lei. Si asciugò il palmo delle
mani contro il blu e verde del kilt del clan dei Leslie che aveva
indossato per il funerale. “Mai?”
“Mai,” gli assicurò Cait. Si strinse le braccia intorno al corpetto
stringato, come abbracciandosi.
“Ma—ma ti hanno corteggiato in tanti,” balbettò Cam, facendosi
passare la mano tra i capelli diritti, color del grano. “Certamente ci
deve essere qualcuno...” si fermò un istante, poi si concentrò.
“Duncan. Forse potresti prendere in considerazione Duncan? Ha
della terra anche lui e le ragazze del villaggio parlano in
continuazione del suo bell’aspetto—”
“È uno stupido.” Quando Caithren si alzò, Cameron fece un passo
indietro, come per difendersi. “Non sarebbe meglio di Adam, per
Leslie. E non lascerebbe mai me, o nemmeno te, se è per quello,
avere voce nella gestione di Leslie.”
“James, allora. James non è uno stupido.”
“Aye, hai ragione. Ma a James non interessa la terra. Ha sempre il
naso sepolto nei libri. Anche lui non sarebbe meglio di Adam.”
Cameron si avvicinò alla finestra, guardando la pioggia battente.
“Ci deve essere per forza qualcuno.” La voce rimbalzava dal vetro
irregolare. “Che vita vivresti, allora? I tuoi genitori erano così felici...
non vuoi anche tu la stessa cosa?”
Caithren si avvicinò a lui e insieme guardarono le nuvole grigie
che fluttuavano lentamente sopra le dolci verdi colline, da
generazioni dimora della loro famiglia. Oltre un muretto di pietra, i
pony che lei e Cameron stavano allevando brucavano in un campo
vicino, agitando le lunghe code. I mezzadri lavoravano in lontananza
—gente che conosceva bene quanto i suoi parenti.
Viveva in quella casa fortificata da tutta la vita, quella casa che
assomigliava a un minuscolo castello turrito. Suo padre l’aveva
costruito per sua madre—aveva sempre trattato sua madre come
una regina. L’amore supera le ragioni della mente, mormorava
sempre sua madre mentre camminava sul sentiero che la portava a
casa, il cuore comanda sempre sulla testa. Ma l’aveva detto con una
risata e arrossendo di piacere.
Aye, la mamma era stata molto amata. Ma era comunque stata
proprietà di un uomo.
“Per quanto Papà la amasse, mia madre non aveva niente che
potesse dire suo. Io voglio essere indipendente, libera di gestire
Leslie—con te, nel modo in cui lo facciamo da quando si è ammalato
mio padre. Insieme. Un marito otterrebbe la mia proprietà con il
matrimonio, e nessun uomo ti permetterebbe di essere un socio alla
pari.” Tracciò con un dito il percorso zigzagante di una goccia di
pioggia che scendeva sul vetro. “Non realizzeremmo mai i nostri
grandi programmi. Perfino il mio stesso amato padre ha complottato
per manipolarmi dalla tomba. Tutti gli uomini sono uguali.”
“Non tutti, Cait.”
Quando si voltò a guardarlo, gli occhi di Cait avevano un’aria di
sfida.
“Forse non tutti,” ammise. “Tu no.” Girandosi ancora verso la
finestra seguì un’altra goccia di pioggia... due... tre.
Poi il cuore le saltò in petto, a un pensiero improvviso. “Tu!” si girò
di colpo a guardarlo. “Sposerò te! Leslie avrebbe comunque dovuto
essere tua—quante volte l’ho ripetuto?”
Cameron la fissò incredulo. “Io? Sei pazza? Siamo parenti.”
“Primi cugini. La chiesa non lo approverebbe mai.” La voce di
MacLeod arrivò severa dall’altra parte della stanza.
Caithren l’aveva completamente dimenticato.
Cameron stava ancora farfugliando accanto a lei.”Inoltre. io... io ti
voglio bene, ma non in quel modo. Più come una sorella.”
“Lo sapevo già.” Caithren si fermò per tirare il fiato. “Ed il mio
amore per te è lo stesso. Non mi sono mai aspettata di sposarmi,
tanto meno per amore.” Si sentì un groppo in gola e l’eccitazione
lasciò posto al senso di sconfitta. “Non ci sono speranze.”
Le dita giocherellarono distrattamente con le stringhe del corpetto
mentre tornava da MacLeod, con gli occhi pieni di lacrime. “Non c’è
un altro modo? Devo sposarmi o vedere Adam che prende tutto?”
“Beh...” L’avvocato la fissò per un momento, poi distolse lo
sguardo.
“Aye? A che cosa state pensando?” Sbattendo il palmo delle mani
sulla scrivania, Caithren si chinò verso di lui. “Avete un’idea, vero?”
MacLeod alzò gli occhi verso il cielo. “Possa tuo padre perdonarmi
per aver eluso i suoi piani.” Respirò a fondo e raddrizzò il farsetto di
lana fine. “Se convincerete vostro fratello a cedervi i suoi diritti—”
Il cuore di Caithren galoppava. “Funzionerebbe? Un documento
simile sarebbe legalmente vincolante?”
“Non vedo perché no. Non sarebbe firmato sotto costrizione e poi,
chi dovrebbe impugnarlo? Presumo che in cambio di un generoso
appannaggio per il suo mantenimento, Adam non vedrà l’ora di
rinunciare alle sue responsabilità. Se conosco vostro fratello—”
“Aye, lo conoscete,” disse Cameron, confermando ironicamente le
parole dell’avvocato. Si avvicinò a Cait. “Anche se manterrebbe il
titolo. Sir Adam Leslie, baronetto. Non che lo meriti.”
“Non mi interessa, ma è tutto quello che interessa a lui, quindi
dovrebbe funzionare.” Caithren si voltò per riflettere. “Devo andare
da Adam.” Si voltò di colpo a guardare suo cugino. “Le mie lettere
sembra che non gli arrivino mai, e potrebbe partire presto per
l’India.”
“India?” disse sorpreso Cameron. “Sai dov’è adesso?”
“È arrivata una lettera proprio ieri.” Caithren si affrettò ad andare
alla scrivania e prese un foglio di pergamena. “L’ha spedita il primo
di agosto, da Chichester.” Lesse in fretta l’unico foglio. “Dice che è in
compagnia di due amici e che stanno andando a West Riding, vicino
a Pontefract, dove Lord Scarborough lo ha invitato a caccia. Poi a
Londra per il matrimonio di Lord Darnley, il trenta. E spera di essere
a casa per Hogmanay, l’ultimo dell’anno, ma che stanno parlando di
un viaggio in India.” Alzò gli occhi. “Dovrebbe essere ancora a
Scarborough. Pontefract è circa a metà strada per Londra, no? Non
è così lontana.”
“Andrò io.”
“Nay, Cameron. Devo essere io a chiederlo direttamente ad
Adam.”
“Non ti fidi di me, per chiedergli di firmare un pezzo di carta?”
Caithren fu dispiaciuta per l’espressione ferita sul volto del cugino.
“Non sarebbe la stessa cosa, se venisse da te.” Mettendo da parte la
lettera, gli mise una mano sul braccio. “Io gli voglio bene, sai, ma lo
vedo anche per quello che è.”
La mano di Cameron coprì la sua e gliela strinse. “Allora ti
accompagnerò, Cai—”
Caithren si scostò. “Nay, c’è bisogno di te qui. Il raccolto si
avvicina.” Alzò una mano per arginare le sue proteste. “Potrai
accompagnarmi fino a Edimburgo, e mettermi sulla diligenza, ma poi
dovrai tornare a Leslie, al tuo posto. Posso occuparmi io di Adam.”
Una piccola fitta di timore le strinse lo stomaco, ma Caithren la
ignorò. “Possiamo assumere una chaperon a Edimburgo. Potrai
sceglierla tu personalmente, se ti farà sentire meglio.”
Quando Cameron abbassò le spalle, Caithren capì di avere vinto.
Cameron le prese il mento con una mano e le alzò il volto. “Non c’ò
modo di discutere con te, vero, dolce Cait?”
“Nay, e non c’è mai stato.” Si alzò sulla punta dei piedi per dargli
un bacio sulla guancia. “Penso che sia quasi ora che lo impari,
cugino.”
Cameron scosse ironicamente la testa, poi sorrise, studiandola.
“Sai, penso che tu possa avere ragione-“
“Aye?”
“Probabilmente non esiste un uomo che ti voglia prendere in
sposa, ragazza testarda.”
“Vattene!” gli diede una manata scherzosa. “Sai che cosa ci diceva
sempre la mamma.”
“Non vedo l’ora di sentire questa.”
“Ha freens and ha life.”
“I buoni amici riempiono la vita,” mormorò Cameron.
Caithren lo fissò negli occhi. Tutto quello che le restava da amare
erano Cameron e la tenuta di Leslie.
Non aveva intenzione di perdere né l’uno né l’altra.
“Sei un buon amico, Cameron. Il migliore. Leslie sarà in buone
mani.”

...continua

Troverete altre notizie su Lauren Royal e i suoi libri sul sito


www.LaurenRoyal.com
L’AUTRICE

LAUREN ROYAL ha deciso di diventare una scrittrice in terza


elementare, dopo aver vinto un concorso con il tema “Perché la mia
mamma è la migliore”, ma ha passato quattordici anni della sua vita
come presidente della sua catena di gioiellerie prima di scrivere il
suo primo libro. Da allora, i suoi libri sono stati nella lista dei
bestseller in tutto in mondo e hanno vinto premi quali il Golden Quill
e il Booklist's Top 10 Romance of the Year.
Lauren vive nel sud della California, con il marito, tre figli e un
gatto che perde continuamente il pelo, e continua a pensare che sua
madre sia la migliore.
Lauren ama il contatto con i suoi lettori. Potete inviarle un’e-mail
all’indirizzo: Lauren@LaurenRoyal.com oppure tramite la sezione
"Keep in Touch" del suo sito www.LaurenRoyal.com; oppure ancora
tramite la traduttrice: mirella.banfi@alice.it
LA TRADUTTRICE

“QUANDO NON STO leggendo, passo il mio tempo libero


traducendo I libri che mi sono piaciuti, per dare anche ad altri la
possibilità di leggerli in italiano. Potete contattarmi al mio indirizzo e-
mail: mirella.banfi@alice.it. Sarò felice di rispondervi (e di correggere
tutti i refusi che mi segnalerete!).”
I libri di Lauren Royal
(nell’edizione originale inglese)

The Jewel Trilogy


Amethyst
Emerald
Amber
Forevermore (a Jewel Trilogy novella)
The Flower Trilogy
Violet
Lily
Rose
The Temptations Trilogy
Lost in Temptation
Tempting Juliana
The Art of Temptation

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