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con una lettura certamente diversa da quella che qui proponiamo (il «po-
pulismo» di Machiavelli, come detto da Strauss per questo capitolo, viene
ripreso da P. A. RAHE, Against Throne and Altar. Machiavelli and Political
Theory under the English Republic, Cambridge, Cambridge University Press,
2008, pp. 53 ss.). Per le questioni trattate in questo saggio è utile rinvia-
re, in particolare, alle voci della Enciclopedia Machiavelliana, diretta da G.
SASSO e G. INGLESE, Roma, Treccani, 2014, su Virtù (di A. CAPATA) e Ari-
stotele (di P. FALZONE), con i rispettivi rinvii alla bibliografia specifica. Per
l’uso di plebe e di popolo, ma in particolare nelle Istorie fiorentine, cfr. J.-C.
ZANCARINI, Gli umori del corpo politico: «Popolo» e «plebe» nelle opere di Ma-
chiavelli, in La lingua e le lingue di Machiavelli, a cura di A. PONTREMOLI, Fi-
renze, Olschki, 2001, pp. 61-70. Mi sono naturalmente avvalso, per i Dis-
corsi, del commentario di L. J. WALKER (The Discourses of Niccolò Machiavel-
li, 2 voll., London, Routledge, 1955; 1970) e delle edizioni e delle note di
commento di G. INGLESE (Milano, Rizzoli, 1984), C. VIVANTI (Torino, Ei-
naudi, 1997) e F. BAUSI (Roma, Salerno, 2001).
3 Per la sostituzione di «savio» con «prudente» si veda infra. «Savio», inve-
ce, è un attributo spesso riferito da Machiavelli al principe, nell’opera omo-
nima. La nozione di virtù in Machiavelli non può essere qui sviluppata;
tuttavia, anche per richiamare il senso più ampio del termine, e con più fre-
quenti corrispondenze con le riflessioni antiche di quanto si è soliti am-
mettere, conviene ritenere, in particolare, l’elogio delle «virtuose qualita-
di» nella dedica dei Discorsi e i riferimenti, in quest’opera, ai vizi: tra cui
l’ingratitudine (I XXIX, XXX) – nata dall’avarizia e dal sospetto (I XXIX) –
la superbia, la crudeltà e la lussuria (III XX), il dispregio e l’odio (III XXII).
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4 Sono gli esempi ricordati da F. BAUSI, e dagli altri commentatori dei Dis-
corsi.
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timo domandarsi se, tra gli «scrittori» tutti qui accomunati, non
vi sia qualcuno che osservi le decisioni e le azioni del popolo sen-
za indugiarsi nei suoi difetti. L’autore dei Discorsi, in questo mo-
mento, si presenta nella veste di lettore e giudice di storici, non
di storico egli stesso, e smentisce affermazioni che sono da tutti
ribadite. Se non si trova solo in questa posizione, allora la sua cri-
tica manca di universalità. Non siamo informati su quali altri
scrittori, che parlano della moltitudine ma non sotto forma nar-
rativa, potevano essere inclusi tra i suoi denigratori. Ma di uno fra
loro sappiamo che ha potuto, almeno per un momento, ammira-
re la saggezza popolare.
Il rapporto tra Machiavelli e Aristotele è una questione assai
discussa e non sarebbe possibile ora riprenderla, nonostante la
pertinenza di un tale tema ad un incontro dedicato al lessico mo-
rale. Più limitatamente, le pagine seguenti intendono offrire
qualche commento a margine delle note affermazioni machiavel-
liane sulla virtù del popolo – un’etica popolare e politica –, sen-
za, però, trascurare l’importanza del precedente aristotelico nella
valutazione della superiorità morale e intellettuale degli uomini
quando collettivamente intervengono nell’ambito delle decisioni
politiche.
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La sequenza dei capitoli finali del primo libro dei Discorsi sem-
bra essere determinata non tanto dagli argomenti trattati, ma dal-
la lettura dei passi di Livio, seguiti sempre in successione. Ma un
tema, in particolare, domina l’attenzione dell’autore: la natura del
popolo o della moltitudine. In un primo momento, non solo so-
no menzionati episodi ripresi dalla narrazione liviana, ma in più
si accetta dallo storico il giudizio sugli attori e sulla natura della
politica: «la plebe insieme è gagliarda, di per sé è debole»5. Livio
5 Discorsi I LVII.
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6 Discorsi I XXIX. Il pretesto per parlare in questo capitolo del «vizio» del-
l’ingratitudine, nel popolo e nel principe, è la comparazione tra Atene e
Roma: una comparazione che va a discapito della città greca, e conduce ad
una conclusione in cui si vede con favore il carattere popolare, almeno equi-
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solo per poco tempo rimaniamo di questa opinione, che vede alla
pari singoli e molti in quanto soggetti politici: l’autore si appre-
sta invece a sottolineare, nei paragrafi seguenti, che non solo è le-
cito parlare dell’anima popolare, come parliamo dell’anima dei
singoli individui, ma che nel popolo l’anima ha dei tratti propri
ed è spesso di segno opposto rispetto a quella che osserviamo in
ognuno di noi, preso di per sé. Con l’equiparazione fatta tra il po-
polo e il principe nei sentimenti, passioni e virtù, Machiavelli ha
concluso una prima confutazione di «tutti gli scrittori». Ma in
questo capitolo in difesa della virtù del popolo, l’autore prepara
nuove e diverse conclusioni.
Conviene ricordare, vista l’attenzione per le decisioni e azioni
popolari, che il termine ‘democrazia’ non fa parte del vocabolario
di Machiavelli. Questo neologismo trovava allora poca accoglien-
za a Firenze, a ragion veduta. Mentre con Moerbeke e altri prima
di lui, le traduzioni aristoteliche avevano arricchito il latino di for-
me greche e avevano creato un linguaggio quasi esoterico per una
nuova ‘provincia’ – diciamo, adoperando un altro neologismo, la
riflessione politica –, già con la traduzione della Politica aristoteli-
ca preparata dal Bruni questi vocaboli erano aborriti, in favore di
formule propriamente latine, quindi adeguate anche al volgare.
Non lo stesso è parlare di politica in testi che trattano di città o di
stati (status), e non di polis. Così anche appaiono cose assai diverse,
da un lato, riprendere, in latino o in volgare, la parola ‘democra-
zia’, dall’altro, ricorrere di forma consonante al popolo e al gover-
parato a quello dei principi. Uno lavoro più particolareggiato sulla psico-
logia e sulla morale popolare nei Discorsi dovrebbe iniziare almeno da qui.
In effetti, i capitoli del primo libro si alternano tra, da un lato, i consigli
all’agire politico dei capi politici e, dall’altro, le descrizioni dell’anima del
popolo, temi distinti e intersecanti. Uno studio così ampio sull’immagine
del popolo, che tenesse conto complessivamente del primo libro dei Dis-
corsi, non sarebbe possibile in queste pagine, e dovrebbe comunque sfuggi-
re alla tentazione di trovare, in questi vari «discorsi», la coerenza che ci si
aspetterebbe da un trattato politico-morale.
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9 Sulla superiorità del popolo nella scelta dei magistrati cfr. anche Discorsi III
XXXIV.
10 Gli esempi di Atene e Roma sono ricordati ancora più enfaticamente («ma-
ravigliosa cosa... maravigliosissima...») in Discorsi II II, dove si riprende an-
che la distinzione tra bene comune e bene privato (vedi infra), riconducen-
do però la discussione non al confronto tra le forme di governo, ma alla dif-
ferenza tra antichi e moderni.
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tre quella del principe richiede «il ferro» (si ricordi la metafora
delle Leggi platoniche, dove alle parole ricorre il medico libero di
uomini liberi, agli ordini i medici servili di uomini servili).
Quando si vive sotto il popolo «sciolto» si teme il futuro, e cioè,
il tiranno; quando invece si è sotto «principi cattivi», si teme il
presente. Se mancasse altro a connotare come democratico questo
capitolo, siamo condotti all’estremo della valutazione morale del
popolo e dei principi: le azioni violente del popolo sono dirette a
chi attenta al «bene commune», quelle del principe a chi invece
può occupare il suo «bene proprio».
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11 Principe VI: «la natura de’ populi è varia ed è facile persuadere loro una co-
sa, ma è difficile fermargli in quella persuasione». Si veda anche la lettera
a Guicciardini (X, 1525), dove si parla del re che non è «savio» e dei po-
poli che «sono vari et sciocchi; nondimeno, così fatti come sono, dicono
molte volte che si fa quello che si doverebbe fare».
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statua antica (un altro parametro per la scrittura della storia e del-
la politica) si può scoprire, alle volte, la cattiva fattura, così anche
dalla lettura degli antichi, che si diceva in principio trascurata,
non sempre si possono trarre delle lezioni: quegli autori non han-
no saputo, o meglio, potuto fare emergere la verità dai loro rac-
conti e dalle loro osservazioni. E quale verità: trattasi del giudi-
zio sul popolo, proprio quando si cerca di considerare, davanti ai
futuri governanti, i vantaggi di attribuire al popolo stesso il po-
tere sulla città.
Sarebbe rischioso, però, proseguire su aspetti di così vasta por-
tata nelle pagine ristrette di questo saggio. Ad essi accenniamo
soltanto a margine di un commento e soprattutto di un richiamo
all’importanza delle considerazioni finali di questo capitolo dei
Discorsi, il cui oggetto esplicito sono tutti gli (altri) scrittori. Co-
me abbiamo visto, il limite della loro osservazione si fa notare in
quello che dicono dei movimenti dell’anima e delle virtù del po-
polo. In altre parole, una analisi morale e politica che si rivela al
contempo falsa e insincera.
«Una cosa da tutti gli scrittori accusata» viene difesa da Ma-
chiavelli solo «con le ragioni». Questo scritto, i Discorsi, si pone
contro tutti gli altri che hanno trattato della stessa materia, del
«vivere politico». Le ragioni, apportate ora e mai prima, fanno ta-
cere le autorità antiche. L’attacco è tanto più forte perché si fon-
da sulla stessa materia storica da cui gli antichi stessi traevano le
loro lezioni. Ma esso appare tanto più persuasivo perché, alle ra-
gioni adoperate per difendere la virtù del popolo, aggiunge una
giustificazione per l’apparente ignoranza dei loro osservatori.
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Si è spesso accettato, in ossequio alle affermazioni dei Discorsi,
che nella letteratura precedente non si trovano difese, almeno al-
trettanto enfatiche, della saggezza popolare. Ma è necessario qui
opporre, a questo convincimento, una eccezione. La ritroviamo
nei momenti in cui, nel terzo libro della Politica, Aristotele dis-
corre su chi debba essere kyrios nella città – a chi spetti avere il
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que est non studiosus vir, tamen contingit, cum convenerint, esse meliores illis, non
uti singulum, sed ut simul omnes... Bruni: Nam si plures sint, quorum unusquis-
que non sit studiosus, tamen fieri potest ut in unum convenientes omnes meliores sint
quam illi, non ut singuli, sed ut omnes...
14 Politica III 1281b4-5. Moerbeke: multis enim existentibus unumquemque par-
tem habere virtutis et prudentiae… Bruni: Nam cum plures sint, unusquisque par-
tem habet virtutis, ac prudentiae…
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17 Per la discussione sul rapporto tra Machiavelli e Aristotele possiamo qui ri-
cordare soltanto alcuni saggi, nell’ampia bibliografia: G. SASSO, Machiavel-
li e gli antichi e altri saggi, 4 voll., Milano-Napoli, Ricciardi 1987-1997
(spec. vol. 1, ma non solo sulla Politica aristotelica); M. MARTELLI, I detta-
gli della filologia, in Tra filologia e storia (2001), a cura di F. BAUSI, Roma,
Salerno, 2009, pp. 307-309; C. GINZBURG, Machiavelli, l’eccezione e la rego-
la, in «Quaderni storici», CXII, 2003, pp. 195-213; G. INGLESE, Per Ma-
chiavelli, Roma, Carocci, 2006, p. 84 e p. 243, n. 154; G. PEDULLÀ, Ma-
chiavelli in tumulto, Roma, Bulzoni, 2011, pp. 293 ss.; G. GIORGINI, Ma-
chiavelli e i classici, in La filosofia politica di Machiavelli, a cura di G.M.
CHIODI e R. GATTI, Milano, Franco Angeli, 2015, pp. 117 ss. (pp. 102-
128); e la voce a cura di P. FALZONE per l’Enciclopedia Machiavelliana. Per il
riferimento alla tirannide (Discorsi, III, 26), si veda M.C. FIGORILLI, Ma-
chiavelli moralista, Napoli, Liguori, 2006, p. 27 (su cui torneremo infra).
18 Alcune interpretazioni sono state riportate da J. DUNBABIN, The Reception
and Interpretation of Aristotle’s Politics, in The Cambridge History of Later Me-
dieval Philosophy, a cura di N. KRETZMANN, A. KENNY e J. PINBORG, Cam-
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26 Ecco il testo di Egidio Romano, nel De regimine principum (III, pars 2, cap.
4, nell’edizione romana citata, p. 458): nam plures oculi plus vident quam
unus, et plures manus plus possunt quam una, et plures intellectus superant unum
in cognoscendo. Già Alberto Magno commentava queste pagine aristoteliche
nel senso del consiglio al principe.
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27 «Le crudeltà della moltitudine sono contro a chi ei temano che occupi il
bene commune; quelle d’un principe sono contro a chi ei tema che occupi
il bene proprio». Cfr. anche Discorsi II II: «perché non il bene particulare,
ma il bene comune è quello che fa grandi le città» Cfr. ARISTOTELE, Politi-
ca III 1279a28-32.
28 Discorsi III XXVI: il riferimento ai tiranni potrebbe derivare da un volga-
rizzamento di PETRARCA, De remediis II 81: cfr. FIGORILLI, Machiavelli mo-
ralista, cit., p. 27.
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