“El gran tema de Don Quijote de la Mancha es la ficción, su razón
de ser, y la manera como ella, al infiltrarse en la vida, la va modelando, transformando”. Con queste parole Mario Vargas Llosa riassume, ineccepibilmente, l’essenza del capolavoro di Miguel de Cervantes Saavedra. L’opera si impone, in poco tempo, come caposaldo della letteratura spagnola prima, e di quella mondiale poi, plasmando così le basi per il romanzo moderno. Modernità che già ritroviamo nell’opera stessa, nel suo spirito ribelle, ironico, folle, che porta il protagonista a combattere per un mondo migliore, anche al costo di sbagliare, di combattere contro esseri inesistenti, fino ad impazzire e rendersi ridicolo . Cervantes si prende il lusso di rompere e criticare fortemente la tradizione dei romanzi cavallereschi, vero obiettivo dell’invettiva dell’autore e parte centrale dell’opera. Egli reputa la letteratura cavalleresca “di seconda mano”, non fedele alla realtà , eccessivamente artificiosa. Ed è questo il motivo principale che porta Cervantes a realizzare questo romanzo. Già dal prologo e dal primo capitolo, l’autore mette le cose in chiaro: con un’ironia pungente e velata instaura un rapporto narratore-lettore fondamentale per il prosieguo del racconto, facendogli credere che la voce narrante sia reale, a differenza della materia trattata, totalmente fittizia. Nel prologo (fondamentale) il narratore/autore fa sapere che il lettore non incontrerà elementi della letteratura cavalleresca, ma l’entrata in scena dell’amico del narratore, vero deus ex machina, sarà decisiva, in quanto gli consiglierà di inserire questi elementi perché soltanto in questo modo avrebbe realizzato un’invettiva degna di nota. Uno delle caratteristiche di Alonso Quijano, poi Don Quijote, è proprio il suo grande interesse per la letteratura dei cavalieri, che si tramuterà in follia, quindi una repentina perdita di senno, che lo porterà a vivere saltuariamente in una realtà parallela, non condivisa dal suo fido scudiero e compagno d’avventure paradossali Sancho Panza, personaggio identificato come coprotagonista. Egli assume un ruolo altrettanto fondamentale poiché funge da “traduttore” e “catalizzatore” di Alonso tra il mondo reale e quello fittizio nel suoi momento di follia. Quest’ultima verrà vista come una vera e propria malattia da parte dei conoscenti di Quijano, i quali cercheranno in tutti i modi di “curare” l’infermo, tra cui bruciando i suoi libri di cavalleria, ma senza successo. Don Quijote impazzisce perché i dogmi cavallereschi, da lui tanto ricercati, non trovano riscontro nella realtà ed offre in questo modo molteplici chiavi di lettura. Il lettore proverà verso la follia compassione, ilarità e si identificherà in essa, in quanto non permanente. Il romanzo quindi tende ad inglobare più strati, una volta scoperto uno, ne ritroviamo subito un altro. Dunque la perdita della lucidità rappresenta chiaramente la visione metaforica del mondo, in cui la finzione diventa identità , quasi come si arrivasse ad una giustificazione della pazzia, perché identificata come realtà . Finzione che va a modellare e trasformare la vita del cavaliere errante.