Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Dizionario dell'Ebraismo K-Z
Dizionario dell'Ebraismo K-Z
Dizionario dell'Ebraismo K-Z
Ebook1,313 pages25 hours

Dizionario dell'Ebraismo K-Z

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

«Ebraismo» è il termine che definisce la vita religiosa di Israele, il popolo eletto di Dio. Il Dizionario dell’Ebraismo K-Z (che segue la pubblicazione del tomo A-I) intende tenere insieme l’intera storia multimillenaria della tradizione religiosa che si richiama ad Abramo, presentandola in modo globale, in tutte le sue diramazioni e componenti, per così dire «da Adamo ai giorni nostri» e non solo per quel periodo pur centrale, difficilmente delimitabile, che va dalla cattività babilonese all’alto Medioevo. L’Ebraismo, in tutte le sue varietà, designa dunque lo stile di vita seguito dal popolo ebraico per circa tremilatrecento anni, da quando cioè Dio scelse Abramo, il padre di Israele, tra tutte le nazioni. L’Ebraismo comporta l’osservanza rigorosa della Torah, una parola che significa «insegnamento» e che si riferisce all’insieme della Bibbia ebraica, ma soprattutto al Pentateuco (i primi cinque libri). La Torah si presenta in due forme, una scritta e l’altra orale, derivate dall’alleanza che Dio stabilì con il suo popolo di Israele attraverso Mosè, intorno al 1200 a.C.
LanguageItaliano
PublisherJaca Book
Release dateJan 22, 2021
ISBN9788816802490
Dizionario dell'Ebraismo K-Z
Author

Mircea Eliade

Mircea Eliade (1907-1986), formatosi come filosofo e storico delle religioni all’Università di Bucarest, insegnò Storia delle religioni all’École des Hautes Etudes di Parigi e all’Università di Chicago. È considerato uno degli storici delle religioni più importanti del Novecento. Famoso per i suoi studi sulle religioni indiane e lo sciamanesimo, Eliade è noto anche come scrittore di romanzi e racconti, pubblicista, saggista, autore di letteratura diaristica e memorialistica. Tra le sue opere ricordiamo Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi e Mefistofele e l’androgine pubblicate in Italia dalle Edizioni Mediterranee.

Read more from Mircea Eliade

Related to Dizionario dell'Ebraismo K-Z

Related ebooks

Religion & Spirituality For You

View More

Related articles

Reviews for Dizionario dell'Ebraismo K-Z

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Dizionario dell'Ebraismo K-Z - Mircea Eliade

    A cura di

    Mircea Eliade

    DIZIONARIO

    DELL’EBRAISMO

    (K-Z)

    © 1993, 2003

    Editoriale Jaca Book SpA, Milano

    The Encyclopedia of Religion diretta da Mircea Eliade

    Edizione Tematica Italiana curata da

    Dario M. Cosi, Luigi Saibene, Roberto Scagno

    © 2020

    Editoriale Jaca Book Srl, Milano

    tutti i diritti riservati

    Prima edizione

    settembre 2020

    Testi di:

    Robert T. Anderson, David Altshuler, Gershon C. Bacon, Moshe Barasch, Jack Bemporad, David Berger,

    David Biale, Gerald J. Blidstein, Baruch M. Bokser, Ben Zion Bokser, Eugene B. Borowitz, Shalom Carmy,

    James H. Charlesworth, Robert Chazan, Mark R. Cohen, Martin A. Cohen, James L. Crenshaw, Joseph Dan,

    Shlomo Deshen, A. Stanley Dreyfus, Barry L. Eichler, David Ellenson, Shifra Epstein, Seymour Feldman,

    Lawrence Fine, Michael Fishbane, Steven D. Fraade,Tikva Frymer-Kensky, Jane S. Gerber,Yehoshua Gitay,

    Rod M. Glogower, Robert Goldenberg, Judah Goldin, David Goodblatt, Arthur Green, Blu Greenberg,

    Moshe Greenberg, Samuel Greengus, Frederick E. Greenspahn, Edward L. Greenstein, Ithamar Gruenwald,

    Joseph Gutmann, Walter Harrelson, Warren Zev Harvey, Delbert R. Hillers, Lawrence A. Hoffman,

    Moshe Idel, Louis Jacobs, Leon A. Jick, Abraham J. Karp, Peter S. Knobel, Barry S. Kogan, David Kraemer,

    Benny Kraut, Daniel J. Lasker, Baruch A. Levine, Richard Libowitz, Murray H. Lichtenstein,

    Charles S. Liebman, Steven M. Lowenstein, David Marcus, Ivan G. Marcus, Paul R. Mendes-Flohr,

    Michael A. Meyer, Philip E. Miller, Stuart S. Miller, Jody Elizabeth Myers, Leon Nemoy, Jacob Neusner,

    David Novak, Raphael Patai, F.E. Peters, Gary G. Porton, Aaron Rakeffet-Rothkoff, David M. Rhoads,

    Ellis Rivkin, Miriam Rosen, Herbert Rosenblum, Norbert M. Samuelson, Marc Saperstein, Jonathan D. Sarna,

    Nahum M. Sarna, Jack M. Sasson, Raymond P. Scheindlin, Lawrence H. Schiffman, Ismar Schorsch,

    Harold M. Schulweis, Steven S. Schwarzschild, Robert M. Seltzer, Bernard Septimus, Albeck Shalom,

    Moshe Shokeid, Laurence J. Silberstein, S. David Sperling, Shaul Stampfer, Michael Stanislawski,

    David Stern, Daniel M. Swetschinski, Frank Talmage, S.D. Temkin, Samuel Terrien, Isadore Twersky,

    Ellen M. Umansky, E.E. Urbach, John Van Seters, Moshe Weinfeld, R.J. Zwi Werblowsky, Jack Wertheimer,

    Robert R. Wilson, David Winston, Arnold Jacob Wolf, Walter S. Wurzburger, Tzvee Zahavy, Steven J. Zipperstein

    Traduzioni di:

    Pier Giorgio Borbone, Emanuela Braida, Maria Sita Demichelis,

    Gaia Lembi, Corrado Martone, Paolo Melis, Marzia Pierluigi.

    Ha collaborato alla revisione Pier Giorgio Borbone

    Copertina e grafica

    Break Point / Jaca Book

    Redazione Jaca Book

    Impaginazione Elisabetta Gioanola

    eISBN 978-88-16-80249-0

    Editoriale Jaca Book

    via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/4856151

    libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

    Seguici su

    INDICE

    Sigle e abbreviazioni

    Avvertenza

    La tradizione religiosa dell’ebraismo,

    di Lawrence E. Sullivan

    DIZIONARIO DELL’EBRAISMO (K-Z)

    Elenco delle voci del presente volume

    Elenco delle voci del primo volume

    SIGLE E ABBREVIAZIONI

    Ab Abacuc

    Abd Abdia

    Ag Aggeo

    Am Amos

    Ap Apocalisse

    ‘Arakh. ‘Arakhin

    At Atti degli apostoli

    ‘A.Z. ‘Avodah zarah

    Bar Baruc

    B.B. Bava’ batra’

    Bekh. Bekhorot

    Ber. Berakhot

    Beṣ. Beṣah

    Bik. Bikkurim

    B.M. Bava’ meṣi‘a’

    B.Q. Bava’ qamma’

    Col Lettera ai Colossesi

    1 2 Cor Lettere ai Corinzi

    1 2 Cr Libri delle Cronache

    Ct Cantico dei cantici

    D Deuteronomista (fonte del Pentateuco)

    Dem. Dema’i

    Dn Daniele

    Dt Deuteronomio

    E Elohista (fonte del Pentateuco)

    Eb Lettera agli Ebrei

    ‘Eduy. ‘Eduyyot

    Ef Lettera agli Efesini

    1 2 3 En. Libri di Enoc

    ‘Eruv. ‘Eruvin

    Es Esodo

    Esd Esdra

    Es. Rab. Esodo Rabbah

    Est Ester

    Ez Ezechiele

    Fil Lettera ai Filippesi

    Fm Lettera a Filemone

    Gal Lettera ai Galati

    Gb Giobbe

    Gc Lettera di Giacomo

    Gd Lettera di Giuda

    Gdc Giudici

    Gdt Giuditta

    Ger Geremia

    Gio Giona

    Giṭ. Giṭṭin

    Gl Gioele

    Gn Genesi

    Gn. Rab. Genesi Rabbah

    Gs Giosuè

    Gv Giovanni

    1 2 3 Gv Lettere di Giovanni

    Ḥag. Ḥagigah

    Ḥai. Ḥallah

    Hor. Horayot

    Ḥul. Ḥullin

    Is Isaia

    J Yahwista (fonte del Pentateuco)

    Jid. Jiddish

    Kel. Kelim

    Ker. Keritot

    Ket. Ketubbot

    Kil. Kil’ayim

    Lam Lamentazioni

    Lc Luca

    Lv Levitico

    Ma‘as. Ma‘aserot

    Ma‘as. Sh. Ma‘aser sheni

    1 2 Mac Libri dei Maccabei

    Mak. Makkot

    Makh. Makhshirin

    Mc Marco

    Meg. Megillah

    Me‘il. Me‘ilah

    Men. Menaḥot

    Mi Michea

    Mid. Middot

    Miq. Miqva’ot

    Ml Malachia

    Mo‘ed Q. Mo‘ed qatan

    Mt Matteo

    Na Naum

    Naz. Nazir

    Ne Neemia

    Ned. Nedarim

    Neg. Nega‘im

    Nid. Niddah

    Nm Numeri

    Ohal. Ohalot

    ‘Orl. ‘Orlah

    Os Osea

    P Sacerdotale (fonte del Pentateuco)

    Par. Parah

    Pes. Pesaḥim

    Prv Proverbi

    1 2 Pt Lettere di Pietro

    Q Ponte ipotetica dei Vangeli sinottici

    Qid. Qiddushin

    Qin. Qinnim

    Qo Qohelet (Ecclesiaste)

    Rab. Rabbah

    1 2 Re Libri dei Re

    R. ha-Sh. Ro’sh ha-shanah

    Rm Lettera ai Romani

    Rt Rut

    Sal Salmi

    1 2 Sam Libri di Samuele

    San. Sanhedrin

    Sap Sapienza

    Shab. Shabbat

    Shav. Shavu‘ot

    Sheq. Sheqalim

    Sifre Dt Sifre Deuteronomio

    Sir Siracide (Ecclesiastico)

    Sof Sofonia

    Sot. Sotah

    Suk. Sukkah

    Ta‘an. Ta‘anit

    Tarn. Tamid

    Tb Tobia

    T.B. Talmud Babilonese

    Tem. Temurah

    Ter. Terumot

    Ṭev. Y. Ṭevul yom

    1 2 Tm Lettere a Timoteo

    TM Testo Masoretico

    Ṭoh. Tohorot

    T.P. Talmud Palestinese (o di Gerusalemme)

    Ts Tessalonicesi

    Tt Tito

    Uqṣ. Uqṣin

    Yad. Yadayim

    Yev. Yevamot

    Zav. Zavim

    Zc Zaccaria

    Zev. Zevaḥim

    AVVERTENZA

    Il presente Dizionario dell’Ebraismo si riferisce all’intera storia multimillenaria della tradizione religiosa che si richiama ad Abramo, presentandola in modo globale, in tutte le sue diramazioni e componenti, per così dire «da Adamo ai giorni nostri». È stato altresì deciso, per indicarla nel suo insieme, di ricorrere al termine «Ebraismo» (e derivati), riservando il più diffuso e per certi versi più scientifico termine «Giudaismo» (e derivati) per quel periodo centrale, difficilmente delimitabile, che va grosso modo dalla cattività babilonese all’alto Medioevo.

    Le singole voci e sottovoci del Dizionario riportano spesso rimandi ad altre voci, contenute nello stesso Dizionario.

    Nella traslitterazione dell’ebraico si è rinunciato a rendere la qualità delle vocali e si è semplificata la resa delle consonanti sin e samekh, traslitterate entrambe con s (sibilante sorda; la sibilante sonora è rappresentata in ebraico da zayin, z). Le vocali ṣere e segol sono trascritte entrambe come e, discostandosi dall’edizione originale americana che adotta prevalentemente la pronuncia ashkenazita ei. Fanno eccezione le citazioni di titoli in bibliografia. In certi casi, in particolare per i nomi propri, si è preferito adottare le grafie invalse nell’uso comune, anche in relazione allo specifico ambito culturale e storico. Si troverà perciò, per esempio, Yiṣḥaq per «Isacco» in ebraico, ma anche Yitzhaq e Isaac. L’adozione di questa traslitterazione comporta, in particolare, che il nome divino sia qui trascritto nella forma Yahweh, diversamente dalla forma Jahvè adottata nei precedenti volumi.

    Un ringraziamento va alla dott.ssa Alessia Piana per la sua collaborazione alla revisione delle bozze; un particolare ringraziamento va inoltre al prof. Pier Giorgio Borbone dell’Università di Pisa per la consulenza prestata nel corso di tutto il lavoro di redazione, soprattutto per quanto riguarda i problemi di traslitterazione e di uniformazione delle varie voci.

    TRASLITTERAZIONE DELLE LETTERE EBRAICHE

    ADOTTATA NEL PRESENTE VOLUME

    LA TRADIZIONE RELIGIOSA DELL’EBRAISMO

    di LAWRENCE E. SULLIVAN

    INTRODUZIONE

    Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio

    Ebraismo è il termine che definisce la vita religiosa di Israele, il popolo eletto di Dio. Esiste anche un’altra definizione, giudaismo, a partire dall’epoca del ritorno degli ebrei in terra di Israele dopo l’esilio babilonese. L’ebraismo, in tutte le sue varietà, è lo stile di vita seguito dal popolo ebraico per circa tremilatrecento anni, da quando cioè Dio scelse Abramo, il padre di Israele, tra tutte le nazioni. Il popolo ebraico discende quindi da Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Lia e Rachele, Bila e Zilpa.

    L’ebraismo comporta l’osservanza rigorosa della Torah, una parola che significa insegnamento e che si riferisce all’insieme della Bibbia ebraica, ma soprattutto al Pentateuco (i primi cinque libri). La Torah si presenta in due forme, una scritta e l’altra orale, derivate dall’alleanza che Dio stabilì con il suo popolo di Israele attraverso Mosè intorno al 1200 a.C.

    La cultura ebraica ha dato frutti abbondanti nel campo delle idee, delle scienze, delle professioni e delle arti, lasciando un segno impressionante nella storia umana, oggi come nei millenni passati. In tutto il mondo ci sono circa 17 milioni di ebrei; di essi, più di 7 milioni vivono in Nord America, più di 3,7 milioni in Israele, e circa 3,5 milioni in Europa e negli stati dell’ex Unione Sovietica.

    Fuori dalla comunità ebraica pochi conoscono le sue ricche e varie tradizioni religiose, e questa ignoranza ha avuto conseguenze negative nelle relazioni tra ebrei e non ebrei. In tutta la loro storia gli ebrei hanno sopportato i peggiori fraintendimenti e le persecuzioni più dure solo in quanto ebrei: un popolo che vive secondo le proprie tradizioni religiose ed è fedele all’alleanza con Dio, che lo distingue. Aprendo un libro sull’ebraismo, è bene che i lettori ricordino che poco più di 70 anni fa dal 1937 al 1945, in Europa ci fu un tentativo sistematico di sterminare completamente il popolo ebraico, usando tutta la potenza e la furia del moderno stato nazionale. C’è un bisogno pressante di conoscere meglio l’ebraismo.

    La vita religiosa ebraica è straordinaria e spicca nella storia dell’umanità. Rendersi conto di come gli ebrei abbiano continuamente dato nuove forme al loro modo di vivere in funzione della fedeltà al Dio che li ha scelti, distoglie da un pregiudizio cieco e porta a un giudizio vero, capace di arricchire.

    I COMANDAMENTI

    Le mitswot (termine plurale, comandamenti) sono fondamentali per la vita e l’identità degli ebrei come singoli e come comunità. Anche le mitswot sviluppate nel corso dell’insegnamento rabbinico derivano la loro autorità e la loro forza feconda da Dio (Deuteronomio 17,9-11): tutti i comandamenti discendono dalla Torah che Dio ha rivelato. I rabbini hanno enumerato circa 613 comandamenti dati al popolo eletto nella Torah, compreso il decalogo trasmesso a Mosè sul monte Sinai. Tra essi vi sono anche sette mitswot universali date a tutta l’umanità ai tempi di Noè. Poiché tutta la vita va vissuta secondo il comando di Dio, molte norme della halakhah (la legge rabbinica) sono considerate mitswot. Vi sono momenti della vita ebraica segnati in modo particolare da importanti mitswot: la circoncisione dei maschi; la preghiera; il rispetto del sabato come giorno sacro; i rapporti sessuali e il matrimonio; lo studio della Torah; il cibo e la dieta; la mezuzah (una scatoletta che contiene brani biblici scritti a mano su pergamena) posta sulla soglia e sulle porte interne delle case ebraiche; le feste (chagim); la tsedaqah, una parola che significa letteralmente rettitudine o integrità e che si riferisce specificamente all’elemosina, all’astensione dalla maldicenza e al conforto di chi è in lutto.

    FONDAMENTI BIBLICI

    La vita religiosa di Israele è radicata nella vita e nella storia del popolo ebraico. Esso compare dapprima come un insieme di tribù nomadi che si spostano nelle regioni settentrionali del deserto arabo, all’ombra e ai margini di grandi potenze come Egitto, Sumer, Accad e Fenicia.

    La vita del popolo ebraico, che comincia con la chiamata di Abramo dopo il 2000 a.C., è raccontata nella Bibbia ebraica. Il Pentateuco (i primi cinque libri) fu compilato dopo la distruzione del Tempio nel 586 a.C., come reazione alla cattività babilonese (586-538 a.C.). Il popolo di Israele tornò dall’esilio tra il 538 e il 515 a.C. e in questo periodo – come in quello successivo (538-333 a.C.) – fu composta la maggior parte della Bibbia ebraica come noi la conosciamo, attingendo a varie fonti. Il Pentateuco, detto anche Torah di Mosè, riproduce quindi il modello d’esperienza dell’esilio e ritorno alla propria terra, esperienza vista dal popolo d’Israele anche come sofferenza causata dall’allontanamento da Dio, ma seguita dalla riconciliazione con la ripresa del giusto rapporto con Lui. In questa luce, la Bibbia ebraica narra la storia dell’Esodo dall’Egitto degli Israeliti, guidati da Mosè, intorno al 1260 a.C., l’insediamento delle dodici tribù in Canaan e l’istituzione di una monarchia, retta prima da Saul e poi da Davide, appartenente alla tribù meridionale di Giuda. Quest’ultimo fece di Gerusalemme un centro religioso, dove installò l’Arca dell’Alleanza e dove suo figlio Salomone (961-922 a.C.) costruì il maestoso Tempio. Più tardi la nazione si divise in due regni: Israele al nord e Giuda al sud. Il primo fu conquistato dagli Assiri (nel 722 a.C.); il secondo dai Babilonesi (nel 587 a.C.), e il Tempio di Salomone fu distrutto. Il modello dell’esilio e ritorno, ben radicato ai tempi di Esdra (450 a.C.), diede forma a un’incessante ricerca sul modo migliore di osservare le condizioni di alleanza che Dio aveva stabilito quando aveva dato la terra al popolo eletto. Uno dei risultati di questa continua indagine fu la copiosa e multiforme letteratura religiosa ebraica, compresa la traduzione in greco della Torah (250-200 a.C.).

    Il fatto che nella Torah si trovino metodi per una ricerca e per uno sviluppo progressivo del pensiero religioso significa che le tradizioni della Torah sono aperte e sono responsabilità storica di ogni nuova generazione. Definire la Torah come una continua indagine cambia la natura del modo di leggere la Bibbia: questa, infatti, non solo racconta la storia del popolo ebraico e del suo rapporto con Dio, ma è anche una storia che riguarda l’intima capacità rivelatrice dell’esistenza nel corso del tempo. L’essere eterno di Dio entra in rapporto vitale con le sue creature finite, che esistono nel tempo. Dio rivela i suoi fini nel mondo del tempo attraverso i cambiamenti e le lotte del suo popolo nella storia, specialmente per mezzo degli atti di salvezza unici e irripetibili, che svelano la sua legge e i suoi insegnamenti. I personaggi chiave della Bibbia ebraica – Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Neemia – appaiono in circostanze particolari di grande significato: il giardino dell’Eden, il diluvio universale, l’esodo dall’Egitto, la cattività in Babilonia, la ricostruzione del Tempio. Dio rivela Sé stesso nel fare meraviglie, come quando fece uscire il suo popolo dall’Egitto con mano potente (Deuteronomio 6,21). Il passato veniva riletto e registrato nella Bibbia alla luce delle meraviglie di Dio nella storia. Promettendo di essere fedele al suo popolo e chiedendogli con insistenza di saper intendere il significato del suo volere in ogni circostanza, generazione dopo generazione, Dio trasforma la vita di chi lo cerca con fedeltà in una manifestazione della sua volontà e in un evento nella storia della salvezza.

    LA DIASPORA

    Diaspora significa dispersione, e si riferisce al modo in cui gli ebrei si trovarono gettati, come semi, fuori dalla terra di Israele. I primi racconti ebraici narrano di persone che servono Dio vivendo lontano dalla terra di Israele, tra adoratori di altre divinità. Fu l’esperienza di Abramo, nell’epoca tarda di Sumer, e di Mosè in Egitto, quando fu chiamato a condurre il popolo eletto verso quella Terra Promessa in cui non mise mai piede.

    Nel 587 a.C. Gerusalemme cadde, e per gli ebrei cominciò la cattività di Babilonia. Alcuni tornarono nella loro terra cinquant’anni dopo, ma altri rimasero e formarono una comunità ebraica nella società babilonese. Quando Alessandro Magno conquistò il mondo due secoli più tardi, gli ebrei si dispersero ancor più in tutto il suo impero, andando a vivere, per esempio, ad Alessandria d’Egitto. Là studiosi ebrei tradussero la Bibbia in greco. Altri emigranti si stabilirono in Antiochia, a Roma e in altre città del mondo greco-romano. Nel mondo ellenistico, gli ebrei mantennero la loro fede formando comunità (in greco sinagoghe) che studiavano e osservavano la Torah, sostenevano il Tempio di Gerusalemme, obbedivano alle decisioni del Sanhedrin – l’assemblea dei capi religiosi del popolo ebraico – e, se possibile, andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme. Intellettuali ebrei come Filone di Alessandria (20 a.C.-50 d.C.) interpretarono la filosofia greca e romana alla luce della propria religione, e viceversa. Dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e la sua distruzione nel 135 d.C., per gli ebrei iniziò un periodo di dispersione ancora maggiore in tutto il mondo.

    Il modo di vivere degli ebrei riflette l’esperienza della diaspora. Per esempio, oltre a usare le principali lingue letterarie (ebraico, greco e latino) e i numerosi linguaggi delle terre abitate dalle minoranze ebraiche, si sono sviluppati linguaggi caratteristici, scritti con i caratteri dell’alfabeto ebraico, ma con una struttura originatasi dalle lingue delle diverse terre in cui gli ebrei vivevano, come il giudeo-arabo, il giudeo-persiano, il ladino e lo yiddish. Diverse influenze si manifestano nelle pratiche dell’ebraismo. Per esempio, dopo una lezione di studio del Talmud, per tradizione si recita il qaddish (santificazione, preghiera affinché Dio torni al suo popolo e nel suo tempio) in aramaico e non in ebraico per ricordare l’epoca del Secondo Tempio, in cui l’aramaico era la lingua di uso comune, e il periodo rabbinico.

    Spesso gli ebrei portarono contributi significativi alle società in cui vivevano, eppure vi rimasero come minoranze, soggette a un trattamento da parte del potere e del popolo influenzato dall’incomprensione e dall’odio aperto. I loro diritti vennero fortemente limitati da leggi repressive e in molte occasioni furono massacrati, come accadde a York nel 1190 e durante la peste del 1348. Nonostante i momenti di fertile interazione con i non ebrei, essi divennero frequente bersaglio di ingiustizie, espulsioni e persecuzioni. Furono espulsi formalmente dalla Spagna nel 1492 e dal Portogallo nel 1497; in conseguenza di ciò, gli ebrei di quelle regioni, chiamati sefarditi, si dispersero nel Vicino Oriente, in Nord Africa, in Olanda, in Europa settentrionale e in Sud America. Analoghe espulsioni subirono gli ebrei dell’Europa centrale, detti askenaziti, che dalla Lituania (1495) e dalla Germania (1348-1350) furono costretti a spostarsi in Polonia.

    Nel giro di sette anni, dal 1938 al 1945, sei milioni di ebrei furono deliberatamente uccisi solo perché ebrei; un terzo della popolazione ebraica nel mondo fu sterminato. Se e come il significato di un simile evento possa essere colto alla luce dell’elezione di Dio è oggetto di seria considerazione e dibattito nell’ebraismo di oggi.

    Tematiche messianiche di vario genere – dalla redenzione politica al rinnovamento spirituale – si riflettono nel Sionismo, il movimento che in tempi moderni ha facilitato il ritorno degli ebrei in Palestina. Attraverso secoli di diaspora, gli ebrei nutrirono la speranza di tornare in Israele. Nel XIX secolo questa speranza, basata sulle Scritture, si fuse con la nascita del nazionalismo e trovò espressione negli scritti di Moses Hess e Theodor Herzl. Nel 1896, in risposta al crescente antisemitismo, Herzl pubblicò Lo stato ebraico e nel 1897 organizzò un congresso sionista. Lo stato nazionale di Israele fu fondato nel 1948.

    L’ELEZIONE E IL RITO

    Il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo (Deuteronomio 7,6). La scelta di Abramo da parte di Dio fu rinnovata con i suoi discendenti, il popolo di Israele, nel corso della storia. Fedeli alle promesse divine, i segni dell’elezione appaiono in tutta la storia di Israele. Il Signore risparmiò la vita dei primogeniti di Israele quando i primogeniti di tutte le altre stirpi in Egitto furono visitati dalla peste e dalla distruzione. Il Signore decise di liberarli dalla schiavitù in Egitto; scelse di rivelare loro la sua natura, il suo nome e la sua volontà sul monte Sinai; acconsentì a fondare un regno a Gerusalemme e fece di quella città una luce per le nazioni, che splendeva come la lampada di un santuario nel mondo-tempio che egli aveva creato. Fu il Signore a rinnovare la sua elezione di Israele dopo l’esilio, come testimoniano la ricostruzione del Tempio e il rinnovamento dell’alleanza.

    Gli ebrei religiosi riconoscono sé stessi come un popolo fuori dal comune a causa dell’elezione e della Torah, espressione della volontà del Dio che servono: non un’impersonale forza della natura, né un principio primo della filosofia, ma una personalità divina dal nome rivelato, fonte di ogni santità e giustizia, che creò ai primordi un universo buono e ordinato e rivelò nel tempo i suoi comandamenti per insegnare come vi si debba agire. Soprattutto, gli ebrei sono un popolo fatto uscire dall’ordinario dal solo e unico Dio che li scelse per nome in maniera singolare. Dio strinse con loro una relazione speciale, un patto di alleanza vincolante per entrambe le parti. Per reverenza, gli ebrei non usano pronunciare il nome di Dio rivelato a Mosè: YHWH o in ebraico doppia yod (yy). Esso invece viene pronunciato non come è scritto, ma per convenzione Adonai, Mio Signore.

    L’ebraismo ha sempre cercato il senso del fatto di essere oggetto di una scelta. In certi periodi, gli ebrei rimasero fedeli alla propria elezione distanziando la loro comunità dai rischi di corruzione dovuti ai contatti con le religioni circostanti. Altre volte, come in Europa dal XII al XVIII secolo d.C., le maggioranze di gentili (cioè i non ebrei) obbligarono gli ebrei a vivere in ghetti circondati da mura, i cui cancelli venivano chiusi di notte. Come oggi gli ebrei debbano mantenere i tratti distintivi che ne segnalano l’elezione è per loro un interrogativo di interesse non solo religioso. Le diverse risposte a questa domanda hanno, in parte, generato differenti branche dell’osservanza religiosa. L’ebraismo non è anzitutto un insieme di credenze: gli ebrei, per esempio, non recitano un credo comune. Esiste una generale tendenza all’apertura della mente e alla discussione delle diverse interpretazioni. La religione ebraica pone piuttosto l’accento su pratiche concrete per osservare la volontà di Dio: il rito, le usanze (minhag) e una vita regolata dalla Torah. L’ebreo osservante accorda azioni necessarie alla vita quotidiana a un’esistenza di pratiche religiose, in linea con l’intenzione di Dio quando scelse Israele: elevare ogni aspetto dell’esistenza al livello della santità, santificarlo unendolo alla Sua volontà.

    Uno strumento fondamentale per consacrare il mondo è il calendario religioso, che comincia con Rosh ha-sha- nah, il Capodanno, alla fine di settembre. I primi dieci giorni dell’anno sono dedicati alla penitenza e alla meditazione; il decimo giorno si chiama Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, e sottolinea il pentimento e il perdono. In autunno Sukkot, la Festa delle capanne, ricorda il periodo in cui Israele vagava nel deserto e nello stesso tempo celebra con un ringraziamento la fertilità della terra. A metà inverno, nella Festa di Chanukkah (dedica), che dura otto giorni, detta anche Festa delle luci, gli ebrei celebrano la purificazione rituale del Tempio di Gerusalemme nel 165 a.C., dopo che la rivolta dei Maccabei ottenne la libertà religiosa. Ogni notte si accende una candela in più sul candeliere a otto bracci (chanukkiyyah), per commemorare il miracolo di quando una piccola ampolla d’olio bastò a illuminare il Tempio per otto notti. Più avanti, alla fine dell’inverno o all’inizio della primavera, l’allegra festa di Purim (sorti) celebra la vittoria degli ebrei di Persia su Haman, consigliere del re nemico: la megillah (rotolo) del libro di Ester viene cantata nella sinagoga, accompagnata da gran strepito e fracasso, specialmente ogni qual volta viene menzionato Haman. L’anno religioso si rinnova a primavera nella Pasqua, in ebraico Pesach, che commemora la liberazione del popolo di Israele dalla prigionia in Egitto. La celebrazione principale consiste in un pasto rituale in cui la famiglia e gli amici leggono e commentano la storia della liberazione di Israele. La riunione della Pasqua ricorda anche il simposio che si teneva nell’antica Grecia, dove i filosofi (letteralmente amanti della saggezza) si riunivano attorno a una mensa per affrontare e approfondire argomenti di grande importanza. Shavuot (settimane) è una festa che cade 50 giorni dopo Pesach e commemora la consegna della Torah a Mosè sul Sinai. Oltre a queste festività, molti ebrei osservano digiuni di almeno cinque giorni all’anno, specialmente nel Tish’a be-Ab (il 9 del mese di Ab), che commemora il giorno in cui i Babilonesi distrussero il Primo Tempio e i Romani distrussero il Secondo. L’intento principale nella vita liturgica è di osservare il comandamento di ricordare e non dimenticare gli interventi salvifici di Dio per Israele.

    Il dibattito attuale sull’elezione e sull’osservanza è animato dall’aumentare del numero di matrimoni tra ebrei e non ebrei e dalle spinte verso la secolarizzazione nella società moderna. Sul tema dell’elezione e del suo significato l’indicibile evento dello sterminio proietta la sua ombra pesante.

    LE FONTI DELLA TORAH: LA LEGGE, L’INSEGNAMENTO E L’OSSERVANZA

    Vi sono differenti visioni della TORAH, che esprime la volontà di Dio per il popolo ebraico. Secondo una di esse, si tratta di una tradizione tramandata in una catena ininterrotta da Mosè a Giosuè, agli anziani e ai profeti ebrei, a capi come Esdra e Neemia della metà del V sec. a.C., fino ai primi rabbini menzionati nel Talmud. Un’altra visione della Torah, a volte definita liberale, pensa che la tradizione si sia sviluppata nel tempo, mescolando la fedeltà al passato con la creatività legata alle mutevoli circostanze del presente e del futuro. Queste differenti opinioni a proposito della rivelazione e della trasmissione della Torah riconoscono entrambe che vi sono alcuni aspetti autorevoli della Torah che prevalgono su altri. I ventiquattro libri della Bibbia ebraica sono ripartiti in tre sezioni: la Torah (il Pentateuco o primi cinque libri), i Neviim (i Profeti) e i Ketuvim (Scritti o Agiografi). La Torah scritta è rappresentata dai primi cinque libri della Bibbia, detti anche la Legge di Mosè. Verso la metà del V sec. a.C. la lettura della Torah scritta era una componente fondamentale del culto pubblico (Neemia 9,3). La Torah comprende anche insegnamenti orali di natura legale e non legale, oltre a metodi di sviluppo continuo della tradizione della Torah stessa.

    Accanto alla Bibbia, il testo classico dell’ebraismo è il TALMUD, fonte autorevole di tradizione e testo base dell’ebraismo rabbinico. Si tratta di una raccolta di commenti rabbinici alla Mishnah (tuttavia, poiché esamina meno di 40 dei 63 trattati della Mishnah, il Talmud non commenta tutti e sei gli ordini in cui essa è divisa). Esistono due Talmud, entrambi scritti in aramaico: il Talmud Yerushalmi (cioè Talmud di Gerusalemme o Palestinese) fu composto alla fine del IV sec. d.C.; il Talmud Babilonese, più lungo e più ambizioso, venne compilato sul finire del V sec. d.C. ed è il più autorevole. Il Talmud si divide in due ampi settori principali: la halakhah (che tratta della legge, del rituale e delle consuetudini), e l’aggadah (che tratta di teologia, etica, narrativa e folklore).

    La MISHNAH è una raccolta di norme in sei parti, con 63 suddivisioni, formatasi in un vasto arco di tempo, che alcuni fanno adirittura risalire al Vicino Oriente di un’epoca precedente l’organizzazione finale della Bibbia e che arriva fino II sec. d.C. La tradizione ne attribuisce la compilazione a rabbi Giuda il Principe, patriarca della comunità ebraica in Palestina. La sua autorevolezza consiste nell’essere una rivelazione parallela al Pentateuco: la Mishnah descrive sé stessa (nel trattato Abot, che raccoglie i detti dei rabbini più antichi) come un’espressione della Torah rivelata sul Sinai e trasmessa in forma orale dal tempo di Mosè fino alla trascrizione. Il suo messaggio: dietro a tutte le manifestazioni gerarchiche, visibili nella grande catena dell’esistenza nel mondo, sta il vero, unico e solo Dio. In pratica, la Mishnah è una fonte autorevole dell’insegnamento e dello studio rabbinico nell’ebraismo tannaitico, o rabbinico antico. Il modo in cui nella Mishnah vengono presentate la santità e la santificazione riflette le tradizioni dei sacerdoti e dei leviti radicate nella liturgia e nel calendario del Tempio, elaborate dai rabbini in chiave filosofica dopo che il culto fu interrotto, in seguito alla distruzione del Tempio da parte dei Romani.

    Molti altri scritti, troppi per elencarli qui, influenzarono la tradizione ebraica; ne citiamo alcuni: il commento alla Bibbia e al Talmud di Shelomoh ben Isaac, conosciuto come Rashi (1040-1105); due opere del filosofo Moses ben Maimon, noto come Maimonide o Rambam (1135-1204): il Mishneh Torah, un codice che organizza la legge ebraica e comprende argomenti fondamentali per la fede, come le condizioni necessarie per l’era messianica, e la Guida dei perplessi, che rielabora la teologia ebraica alla luce di Aristotele. Più tardi rabbi Joseph Caro (1488-1575) compilò lo Shulchan arukh, Tavola imbandita, un codice di leggi e riti che divenne il testo di riferimento, comprendente gli usi tipici dell’ebraismo sefardita, cioè spagnolo e del Vicino Oriente. Rabbi Moses Isserles (1525-1572) lo completò con l’aggiunta delle usanze dell’Europa centrale e orientale (ebraismo askenazita).

    IL PROFETA, IL SACERDOTE, IL MAESTRO

    La forma, la funzione e gli accenti spirituali dell’autorità che guida e governa la vita religiosa della comunità ebraica sono cambiati nel tempo. Il profeta, il sacerdote e il rabbino (maestro) rappresentano i cambiamenti dell’autorità che segnano le varie epoche dell’ebraismo.

    Il PROFETA. I profeti biblici hanno parlato in nome di Dio per cambiare il modo di vivere le questioni terrene. Apparvero diversi tipi di profeti, specialmente tra l’VIII e il VI sec. a.C., quando svolsero un ruolo centrale in Israele. Gruppi di profeti erranti di cui la Bibbia non ci dice il nome, associati al re Saul e alla sua follia, cadevano in estasi indotte con la danza e la musica. Altri profeti, come Elia o Natan, sfidarono i re con discorsi drammatici che mettevano in dubbio la loro moralità. Altri profeti ancora, come Amos, Geremia e Isaia, composero scritti che analizzavano l’ingiustizia, l’iniquità, l’abuso di potere, la decadenza e l’ipocrisia religiosa. I profeti insistevano su una vita di osservanza genuina dei comandamenti di Dio, specialmente quello che ordina agli uomini di stabilire la giustizia, la pietà e la santità su tutta la terra, e ai re di perseguire il benessere anche dei più deboli. Vi furono a volte profeti coraggiosi che annunciarono la decisione di Dio di colpire con calamità e sconfitte da parte di nazioni nemiche il suo popolo ribelle, allo scopo di istruirlo (Amos 3,2). Gli Assiri saccheggiarono il regno del Nord (Israele) nel 722 a.C. e il babilonese Nabucodonosor esiliò i capi del regno del Sud (Giuda) nel 587 a.C. Nel corso di queste distruzioni, prigionie ed esili, i profeti dichiaravano con fermezza che la parte di Israele rimasta fedele sarebbe stata liberata e difesa.

    Il SACERDOTE. Quando Esdra lo scriba, ricondotti a Gerusalemme circa millesettecento ebrei babilonesi dopo la cattività, raccolse il popolo per rinnovare la vita spirituale della comunità, lesse loro un libro della legge. Il popolo giurò di osservarne le norme di santità e di mettere al centro della propria rinnovata vita spirituale i sacerdoti del Tempio. Si cominciò una nuova forma di convivenza sociale dove il potere passava ai sacerdoti, una funzione radicata nell’antico Israele. E ancora oggi possono essere tracciate linee di discendenza di sacerdoti (kohen, pl. kohanim). Il sommo sacerdote fu dichiarato discendente di Zadok, il sacerdote in carica al tempo del re Davide. Il sommo sacerdote, ci viveva nel Tempio a Gerusalemme, guidava sia lo stato sia la vita religiosa della nazione. Questa si incentrò fortemente sul Tempio e sul calendario delle festività e dei digiuni e, soprattutto, sui sacerdoti – i leviti – e gli scribi che svolgevano nel Tempio le loro mansioni. I sacerdoti e gli scribi del Tempio affrontarono un enorme sforzo letterario, specialmente nel V sec. a.C., copiando e ordinando gli scritti dei profeti, vecchi e nuovi, e componendo opere bibliche complete che espandevano, rivedevano e aggiungevano materiale raccolto da numerose fonti e generi letterari. Più avanti, nel I sec. a.C., le scuole degli scribi avrebbero dato origine alle dotte scuole farisaiche con i loro rabbini, i farisei, che, a loro volta, con opere di insegnamento, scrittura e indagine legale avrebbero guidato la vita ebraica per i millenni successivi alla distruzione del Tempio.

    Il RABBINO. Dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., l’autorità si spostò dai sacerdoti del Tempio, che presiedevano i riti sacrificali, agli insegnanti (i rabbini), che dirigevano lo studio della Torah. A loro volta, le sinagoghe dove gli ebrei si riunivano per studiare sotto un rabbino divennero i centri del culto. In effetti i testi talmudici composti nel IV e V sec. d.C. organizzano ed elevano lo studio a tal punto da trasformare l’indagine umana in una forma di culto e l’interpretazione della legge in un’estensione della rivelazione di Dio. Sotto l’autorità rabbinica gli ebrei fusero l’indagine rigorosa con la pia devozione, dando luogo a uno svolgimento unitario di vita religiosa, che si mantiene vitale e a fuoco dopo duemila anni.

    IL MESSIANISMO

    I detti profetici che si riferivano originariamente ai re dell’antico regno di Giuda generarono riflessioni riguardanti il messia, il re giusto che Dio avrebbe scelto per rovesciare i malvagi oppressori e governare gli ebrei e il mondo intero con giustizia e pietà. La parola ebraica mashiach significa il consacrato. Nella Bibbia il titolo indicava i re, i sommi sacerdoti o coloro che ottenevano cariche elevate. Dalla cattività babilonese in poi, messia prese a designare soprattutto colui che avrebbe liberato dall’oppressione, dall’esilio, dalla sofferenza e dall’umiliazione il popolo eletto di Dio. Agendo come un potente guerriero, il re messianico avrebbe condotto il suo popolo eletto in battaglia, e avrebbe anche assunto le autorevoli funzioni di profeta, sacerdote e maestro. Di pari passo, nel corso della storia biblica divenne sempre più chiaro il valore della sofferenza, specialmente grazie alla predicazione dei profeti.

    Dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., il titolo di messia si riferì a colui che avrebbe riunito gli ebrei dispersi nella diaspora. In che modo esattamente questa salvezza sarebbe stata ottenuta è stato oggetto di grandi discussioni e passioni: il messia sarebbe stato una figura politica che avrebbe elevato il popolo eletto al di sopra dei suoi nemici in tutto il mondo, o sarebbe stato una guida spirituale che avrebbe rinnovato la purezza e la forza morale del popolo eletto? La dimensione delle sue opere sarebbe stata nazionale, mondiale o addirittura cosmica? Dio stesso sarebbe intervenuto direttamente come agente messianico nella storia umana, per creare condizioni di libertà, ordine morale e felicità, oppure il messia sarebbe stato un capo umano? Le trasformazioni operate dal messia avrebbero creato un mondo mai visto prima o avrebbero ripristinato una condizione già esistita, ad esempio, ai tempi del re Davide? L’era messianica sarebbe effettivamente sorta in questo mondo o solo dopo la sua fine?

    Poiché l’avvento dell’era messianica è annunciato da prove, persecuzioni e sofferenze, e poiché gli ebrei hanno spesso affrontato simili circostanze nella storia, in nessuna epoca è mancato chi si autoproclamava messia. Il cristianesimo cominciò come un movimento ebraico che dichiarava Gesù il messia. Poco dopo, nel 133 d.C., Bar Kokhba (figlio della stella) fu proclamato messia e capeggiò una rivolta, sostenuto da rabbi Aqiva, una delle principali autorità religiose del tempo. I Romani risposero con la forza, scatenarono numerose rappresaglie e proibirono l’osservanza delle norme religiose ebraiche. L’impresa messianica più radicale e vasta ebbe luogo nel XVII sec., quando Sabbetai Zevi (1626-1676), un giovane cabalista di Smirne, in Turchia, si dichiarò messia a ventidue anni. Cacciato dai rabbini furiosi, andò a Salonicco, Costantinopoli, in Palestina e al Cairo prima di tornare a Gerusalemme in pompa magna, finché non venne esiliato. Nathan di Gaza (1643-1680), allora ventenne, fece la parte di Elia, il profeta che la tradizione riteneva avrebbe annunciato la venuta del messia. Sabbetai Zevi tornò a Smirne in trionfo nel 1665. Da lì il suo movimento si diffuse in tutta l’Europa. Nel 1666, sotto minaccia di morte e tortura da parte delle autorità turche ad Adrianopoli (oggi Edirne), si convertì all’islam. Quelli tra i suoi seguaci che non abbandonarono la sua causa cercarono di giustificare la sua apostasia elaborando la teoria del peccato sacro, secondo la quale la Torah sarebbe stata portata al suo compimento messianico solo tramite azioni che avrebbero potuto apparire immorali in superficie ma, a causa dell’intenzione e del significato profondo, avrebbero portato la redenzione.

    Negli ultimi decenni del XX sec., molti seguaci del rabbi chassidico Menachem Mendel Schneersohn, noto come il rebbe dei Lubavitcher, pensavano che egli potesse essere il redentore messianico. Egli cercava di rinnovare il fervore religioso e l’osservanza incoraggiando i propri seguaci a insegnare e praticare l’ebraismo negli ambienti secolari, per convincere gli ebrei meno osservanti a tornare alla religione. Con la sua famiglia emigrò dall’Europa dell’Est a New York, dove morì il 12 giugno 1994, all’età di novantadue anni. Allora si creò l’aspettativa che egli potesse guidare il popolo eletto nel suo ritorno in Terra Santa. Tra alcuni suoi seguaci c’è ancora una grande speranza che egli ritorni in qualche modo dalla tomba per farlo.

    MISTICISMI: MERKABAH, QABBALAH, CHASSIDISMO

    MERKABAH. Oltre alla legge e all’osservanza, l’ebraismo vive intense esperienze mistiche. Il misticismo della Merkabah si basa su visioni straordinarie. Durante il viaggio mistico, il visionario visita le hekhalot, sette palazzi o sale dove vivono esseri paradisiaci, e contempla il trono e il carro di Dio. Là il viaggiatore mistico incontra Metatron, un angelo dalle caratteristiche umane, identificato col personaggio biblico Enoch. Tutti i discendenti della linea che va da Adamo a Noè muoiono, eccetto Enoch, che viene preso da Dio (Genesi 5,18-24) e, secondo la tradizione, innalzato al rango di angelo. Intorno a Metatron-Enoch si focalizza molta letteratura mistica e apocalittica. La maggior parte dei testi della mistica delle hekhalot si situa tra il III e il VI sec. d.C., benché alcuni aspetti del misticismo della Merkabah risalgano al II sec. a.C.

    QABBALAH, che significa tradizione, è un’altra forma di misticismo ebraico. La parola si riferisce a una speciale tradizione mistica sottratta al pubblico insegnamento. I cabalisti ritenevano che, benché Dio fosse privo di limiti (en-sof) nel corso della creazione, a causa di una rottura dei vasi (shevirat ha-kelim) che contenevano la materia primordiale dell’oscurità e della luce (il bene e il male), si fosse verificato un arretramento o contrazione (tsimtsum) di Dio su sé stesso. La Qabbalah mira a superare le divisioni fondamentali e a ripristinare – a ogni livello del cuore, dell’anima e del mondo – l’unità che esisteva in principio tra tutte le realtà. Questa idea fu potentemente espressa da Abraham ben Samuel Abulafia (1240-1291), un cabalista sefardita che cercava l’unione con Dio, e da Mosè di León (1250-1305), che scrisse il Sefer haZohar (Libro dello Splendore), il più noto libro della Qabbalah, dove si incoraggia una lettura allegorica della Bibbia, che scopra i significati mistici dei nomi e delle lettere. L’obiettivo di curare le lacerazioni e di ripristinare l’unità è chiamato tikkun ed è in accordo con gli altri due propositi della Qabbalah: la qavvanah (contemplazione tramite la meditazione); e la devekut (stringersi a Dio in un’unione mistica col divino). Ciascuno di questi scopi serve come mezzo per gli altri due. Isaac Luria (15341572) e il suo discepolo Hayim Vitale organizzarono le idee cabalistiche in un sistema elaborato.

    La Qabbalah si sintonizza sulla dimensione mistica della grammatica, dei numeri, dei nomi, delle tonalità e di altri simili aspetti che si trovano negli scritti rivelatori. Le lettere dell’alfabeto rivelano i comandamenti e i nomi di Dio al livello dello scritto, e nello stesso tempo rivelano Dio e gli esseri paradisiaci sul piano dell’esperienza mistica. La letteratura delle hekhalot e il Sefer Yetsirah (Libro della Creazione, scritto intorno al III o IV sec. d.C.) fornirono ai cabalisti le basi della visione del mondo: dieci sfere, sefirot (corrispondenti tra l’altro, secondo alcuni, ai dieci comandamenti) costituiscono l’universo. Ogni sfera contiene i suoi modi di essere. Prese tutte assieme, le sefirot contengono tutte le possibili forme di vita di questo universo. Le sefirot (e le realtà al loro interno) sono connesse vicendevolmente tramite ventidue sentieri (corrispondenti alle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico). Proprio come lettere e numeri possono venire combinati e ricombinati in riferimento a tutto ciò che costituisce la realtà, così anche i mistici possono accedere ai poteri di trasformazione dei numeri, delle lettere, dei nomi e dei simboli per entrare in contatto con le realtà che essi significano. Scoprendo il mistero dei testi delle Scritture, il cabalista svela la luce divina nascosta nelle parole e nelle lettere. Le ricombinazioni di lettere visibili corrispondono a cambiamenti interiori che illuminano l’intero essere del mistico in estasi. In questo modo, ogni uomo diventa un microcosmo che riproduce al proprio interno il macrocosmo del mondo. Gli uomini possono diventare tutt’uno con ogni cosa, incluso l’essere divino. Alcuni cabalisti ritengono che esistano diversi universi spirituali che si sostengono vicendevolmente: 1) l’atsilut (emanazione) costituito da dieci sefirot che, messe assieme, formano il mitico uomo Adam Kadmon; 2) la beriyah (creazione), con i sette palazzi mistici (hekhalot) e la Merkabah; 3) la yetsirah (formazione) dove vivono tutte le schiere degli angeli; 4) la asiyah (lavorazione) che è il modello perfetto, normalmente invisibile, del mondo visibile agli umani. Gli ultimi anni del XX secolo testimoniano una rinascita dell’interesse per la Qabbalah e un certo entusiasmo per le esperienze mistiche fondate sugli insegnamenti e la pratica cabalistici.

    CHASSIDISMO. Nella Polonia del XVIII secolo Israel ben Eliezer (nato intorno al 1700), comunemente noto come Baal Shem Tov o più semplicemente Besht, promosse un attivo movimento religioso chiamato Chassidismo (dalla parola chassid significa uomo pio). Quando i principali rabbini nell’Europa orientale, come Elia di Vilna, condannarono il Chassidismo perché non si concentrava sul Talmud e sull’ascetismo, i chassidim costituirono le proprie sinagoghe. Ignorarono i rabbini ufficiali e si fecero guidare dagli tsaddiqim (gli uomini retti). Gli tsaddiqim si abbassano dalle loro estasi al livello della loro comunità per il suo bene: usando straordinari poteri ottenuti durante paradisiache ascese, essi fanno miracoli a vantaggio degli altri. Il Chassidismo si è diffuso in tutto il mondo ebraico, ed è piuttosto influente in Europa, Nord America e Israele. Il Chassidismo sottolinea che Dio è ovunque, e focalizza la vita spirituale sulla gioia che proviene dall’unione con Dio (devequt). L’ascesa dell’anima alla luce divina di Dio (aliyat ha-neshamah) può avvenire nelle attività più ordinarie, persino quando si mangia o si dorme. Benché i chassidim usino esprimersi in canti e danze spettacolari, sono convinti che rivolgere la mente all’unione con Dio trasformi qualunque azione fisica in gesto religioso.

    LO SPETTRO DELL’OSSERVANZA

    Le pratiche religiose ebraiche cambiano secondo le regioni, la famiglia e il ramo dell’ebraismo cui si appartiene. Le usanze coprono tutti gli aspetti della vita, dallo strappare fili d’erba e gettarseli dietro le spalle al termine di una visita al cimitero, fino a non indossare scarpe di cuoio o a coprire gli specchi durante la settimana di lutto (shiva) dopo un decesso. Le usanze regolano i saluti, l’abbigliamento e la preghiera. Le regole di comportamento si intensificano il sabato e nelle feste.

    La kasherut è l’insieme delle prescrizioni alimentari: alcuni cibi sono proibiti, altri vanno preparati e serviti in modo corretto. La Bibbia collega le regole alimentari alla santità: Sarete per me un popolo santo; perciò non mangerete carne presa da animali selvatici. Il Talmud dettaglia la complessità della kasherut in un trattato speciale chiamato Chullin. Vi sono regole sulla macellazione rituale (shechitah) sull’ispezione dell’animale e dei suoi organi interni (bedikah) e sulla preparazione della carne (per renderla kasher). In genere, oggi gli ebrei conservatori e ortodossi osservano le regole della kasherut. Gli ebrei riformati lasciano spazio al giudizio personale.

    Il XVIII secolo vide cambiare il rapporto tra ebrei e non ebrei. La dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789, durante la Rivoluzione Francese, fu un segno importante del cambiamento: tutti gli uomini, inclusi gli ebrei, erano uguali di fronte alla legge. Nonostante le battute d’arresto e l’antisemitismo, gli ebrei sempre più si trovarono di fronte a decisioni sul tipo di rapporto che avrebbero voluto instaurare tra la loro vita sociale e religiosa e quella dei non ebrei.

    Nel 1843 a Francoforte in Germania, e verso il 1870 in America, l’Ebraismo Riformato introdusse nuove forme di religiosità, di osservanza e nuovi testi. L’Ebraismo Riformato pone l’accento sull’unità di religione ed etica, lottando per la pace, contro la povertà e per la giustizia sociale. Gli insegnamenti della Torah devono rimanere alla base della vita dell’ebreo riformato, ma – e questa è l’importante novità che apre le porte al cambiamento – devono essere adattati ai bisogni delle varie epoche. Altre opere e tradizioni interpretative, come il Talmud, perdono invece d’importanza. Oggi alcuni ebrei riformati credono che la loro eredità non vada vissuta con pratiche manifestamente religiose; l’ebraismo andrebbe piuttosto rivisitato affinché lo spirito delle pratiche religiose storiche conduca a principi etici, verità psicologiche, indicazioni politiche e saggezza, insomma a valori universali, e trasformi la società civile in un mondo giusto, pacifico e sano, che promuova il bene comune.

    L’Ebraismo Conservatore fu fondato da leader come Sabato Morais e Solomon Schechter, entrambi del Seminario Teologico Ebraico di New York (aperto nel 1886), per conservare le tradizioni messe da parte dalle iniziative della Riforma. Nel 1918 Mordecai Kaplan fondò a New York una sinagoga che sarebbe stata il centro del Ricostruzionismo, un movimento originato dagli impulsi dei Conservatori, che tuttavia adotta una filosofia religiosa più liberale, antropocentrica e naturalistica.

    Coloro che osservano la tradizione discutono se e quali concessioni vadano fatte alla modernità in merito all’educazione, al rapporto con lo stato, all’organizzazione familiare e persino alle regole sull’igiene personale e sull’abbigliamento. L’Ortodossia, associata alla fondazione, nel 1896, della Isaac Elchanan Yeshivah (oggi Yeshivah University), è una branca consistente dell’ebraismo moderno, anche se è nata dopo i rami Riformato, Ricostruzionista e Conservatore. Gli ortodossi moderni accolgono ogni conquista culturale che non sia espressamente vietata dall’insegnamento rivelato di Dio. Altri ortodossi rifiutano questa posizione. Altri ebrei rifiutano l’Ortodossia, sostenendo che sia antidemocratica e anti-intellettuale, ostile alla scienza e alla storia.

    Comunque, la vita religiosa più tipica dell’ebraismo non viene irreversibilmente erosa dalla società moderna. Al contrario, molti ebrei (e alcuni non ebrei), le cui famiglie non erano abituate all’osservanza stretta, riscoprono i valori dell’osservanza religiosa; ciò avviene, ad esempio, negli USA, quando i ragazzi escono di casa per frequentare college laici, dove riscoprono vivaci pratiche tradizionali tramite istituzioni ebraiche come le Hillel house presenti nei loro campus.

    Oggi c’è un vivace fermento della cultura ebraica a ogni livello, una ricerca del significato della Torah. Nonostante le differenze, tutti i rami dell’ebraismo comprendono molteplici forme di risposta alla rivelazione di Dio e all’elezione. Essi aderiscono con forza all’alleanza fatta con Mosè sul monte Sinai mantenendo la Torah e si aggrappano saldamente alle promesse messianiche fatte al re Davide sul monte Sion. Mantenendo la Torah e vivendo nella speranza della salvezza promessa, gli ebrei sanno di collaborare con Dio alla redenzione del mondo.

    DIZIONARIO DELL’EBRAISMO

    (K-Z)

    K

    KAGAN, YISRA’EL ME’IR

    Yisra’el Me’ir Kagan (circa 1838-1933), noto anche come Ḥafeṣ Ḥayyim; rabbino, autore di testi di etica e talmudista. Nato a Zhetel, in Polonia, Yisra’el Me’ir Kagan (o ha-Kohen) manifestò in giovane età attitudine allo studio e il padre decise di dedicare la sua vita a sviluppare le doti del figlio. Egli portò Yisra’el, decenne, a Vilnius, dove studiò il Talmud e subì l’influenza del movimento Musar, il cui scopo era quello di rivitalizzare la vita etica nella cornice dell’Ebraismo tradizionale. [Vedi MUSAR, MOVIMENTO]. Sposatosi all’età di diciassette anni (cosa normale per la sua cerchia), egli si trasferì a Radun, città da cui proveniva la moglie. In un primo momento, con il sostegno della moglie, che gestiva una drogheria, si dedicò allo studio. In seguito fu per un breve periodo il rabbino della città ma, scopertosi inadatto a quella carica, la abbandonò.

    All’età di ventisei anni, Kagan assunse l’incarico di maestro di Talmud a Minsk e nel 1869 ritornò a Radun, dove aprì una yeshivah. Pochi anni dopo pubblicò il suo primo libro, Ḥafeṣ ḥayyim (Cercatore di Vita), il cui titolo è l’epiteto con cui divenne noto. Si tratta di un imponente lavoro sulla gravità dei peccati di pettegolezzo e maldicenza, considerati violazione della legge ebraica. Il suo interesse per la morale attrasse numerosi studenti e gli procurò una posizione guida nello sviluppo dell’Ebraismo ortodosso nell’Europa orientale.

    Le convinzioni messianiche indussero Kagan ad approntare nella sua yeshivah un programma in cui gli studenti che discendevano da famiglia sacerdotale studiavano intensivamente le leggi relative al Tempio, in modo da essere pronti alla sua ricostruzione. Egli pubblicò anche una compilazione di leggi e dei testi sul servizio nel Tempio. Alla fine del secolo iniziò a pubblicare un commento sulle parti dello Shulḥan ‘arukh (un codice modello della legge ebraica) che trattavano i riti, le cerimonie, le feste. Questo commento, noto come la Mishnah berurah (Insegnamento chiaro), che comprendeva le deliberazioni dei legislatori posteriori alla stesura dello Shulḥan ‘arukh divenne un testo autorevole.

    Dopo aver trascorso gli anni della prima guerra mondiale in Russia, nel 1921 Kagan fece ritornò in una Polonia nuovamente indipendente, dove ristabilì la sua yeshivah. Ormai anziano, fu attivo all’interno dell’Agudat Yisra’el (l’organizzazione mondiale dell’Ebraismo ortodosso) e, nel periodo tra le due guerre, fu probabilmente il rabbino più influente in Polonia. Il suo ascendente era dovuto non tanto alla sua intelligenza quanto alla sua assoluta onestà, alla sua modestia e al suo carisma.

    BIBLIOGRAFIA

    La prima biografia completa, ancora valida e affascinante, benché manifestamente agiografica, è M.M. Yoshor, Saint and Sage, New York 1937. Una trattazione più recente, con un apparato accademico, per quanto di carattere ancora piuttosto agiografico, è L.S. Eckman, Revered by All, New York 1974. Almeno uno dei lavori di Kagan è stato tradotto in inglese: cfr. L. Oschry (trad.), Ahavath Chesed. The Love of Kindness as Required by G-D, New York 1976, 2a ed. riv.

    SHAUL STAMPFER

    KALISCHER, ṢEVI HIRSCH

    Ṣevi Hirsch Kalischer (1795-1874), rabbino, teorico del messianismo e attivista. Kalischer trascorse la sua intera esistenza nel distretto di Posen, in Prussia.

    Ricevette una solida istruzione nella letteratura talmudica e, da solo, affrontò lo studio della filosofia ebraica. Grazie al sostegno finanziario della moglie, condusse una vita dedicata al servizio della comunità e al sapere. Tra le sue opere compaiono commenti alla legge ebraica, esegesi della Bibbia e della Aggadah di Pasqua, nonché studi filosofici che si proponevano di riconciliare religione e ragione. Nei suoi scritti messianici egli dimostrò che l’Ebraismo favoriva i tentativi di accelerare l’arrivo dell’era messianica. Storicamente, questa posizione venne accettata da un numero esiguo di autorità religiose; la tradizione rabbinica dominante considerava l’attivismo messianico alla stregua di una ribellione verso Dio.

    Muovendo dalla presupposizione razionalista secondo cui Dio dirige il corso della storia verso l’era messianica senza abrogare le leggi naturali, Kalischer asserì che la partecipazione umana al processo di redenzione era essenziale. Egli sostenne che le profezie bibliche, se interpretate secondo l’ideologia dell’attivismo messianico, indicavano che l’era messianica sarebbe giunta per tappe successive. A uno stadio non miracoloso, in cui gli Ebrei avrebbero ripopolato e reso produttiva dal punto di vista agricolo la Terra Santa, sarebbe seguito uno stadio miracoloso in accordo alle altre caratteristiche descritte nelle profezie bibliche. Lo stadio miracoloso avrebbe avuto inizio nel momento in cui gli Ebrei avessero ristabilito il loro intimo legame con Dio offrendo sacrifici sull’altare ricostruito a Gerusalemme.

    Nel 1836, incoraggiato dall’interesse europeo verso il ritorno degli Ebrei a Sion e dall’insistenza del rabbinato ortodosso affinché si mantenessero nella liturgia preghiere per la restaurazione del culto sacrificale, Kalischer scrisse ad Anschel Mayer Rothschild e ad altri numerosi influenti rabbini proponendo l’acquisto del Monte del Tempio e studiando la possibilità di ripristinare il culto sacrificale. Molti dei capi ebrei rifiutarono il loro sostegno quando capirono che per Kalischer il rinnovo del sacrificio non era solo un’idea accademica ma faceva effettivamente parte di un piano messianico. Dal 1860 egli si accorse che concentrandosi unicamente sullo sviluppo agricolo della Palestina avrebbe ottenuto più vasti consensi; egli era ancora convinto che il rinnovo del sacrificio e altri eventi messianici ne sarebbero naturalmente derivati. Il mutamento di tattica ha indotto alcuni storici a considerare erroneamente Kalischer come un sionista piuttosto che come un messianico.

    Gli scritti e le attività di Kalischer contribuirono effettivamente a legittimare l’attivismo messianico, e gli Ebrei religiosi che consideravano lo Stato di Israele come un passo verso l’era messianica hanno adottato la sua enunciazione di questa ideologia.

    BIBLIOGRAFIA

    L’unica esaustiva disamina dell’ideologia messianica di Kalischer è il mio Seeking Zion. The Messianic Ideology of Ẓevi Hirsch Kalischer, 1795-1874, Ph.D. Diss. University of California 1985. Esso comprende anche una completa bibliografia degli scritti di Kalischer e della letteratura critica sulla sua opera. Un’edizione critica dell’opera maggiore di Kalischer, Derishat Ṣiyyon, Lick 1862, e la maggior parte dei suoi scritti messianici sono raccolti in I. Klausner (cur. e intr.), Ha-ketavim ha-ṣiyyonim shel ha-Rav Ṣevi Hirsch Kalischer, Jerusalem 1947.

    JODY ELIZABETH MYERS

    KAPLAN, MORDECAI

    Mordecai Kaplan (1881-1983), rabbino americano, autore e capo religioso; creatore della teoria dell’Ebraismo ricostruzionista e fondatore dell’omonimo movimento. Figlio di Rabbi Israel Kaplan, uno studioso talmudico, Mordecai Menachem Kaplan nacque a Švenčionys, in Lituania, l’11 giugno 1881. La famiglia lasciò l’Europa orientale nel 1888, approdando negli Stati Uniti nel luglio del 1889. L’insegnamento dei tradizionali argomenti ebraici venne impartito a Kaplan da istitutori privati mentre frequentava la scuola pubblica a New York City. Compì il suo corso di studi al City College di New York e alla Columbia University e fu ordinato rabbino al Jewish Theological Seminary of America. Nel 1909, dopo un certo periodo come segretario e rabbino del Kehillath Jeshurun, una comunità ortodossa, Kaplan tornò al Jewish Theological Seminary, dove prestò servizio per più di cinquant’anni: come direttore (poi decano) del Teachers Institute, di recente istituzione, fino al 1945, e come professore di omiletica e filosofia della religione fino al pensionamento nel 1963.

    Al di là dei ruoli come esponente di spicco del rabbinato conservatore e nel movimento sionista e come artefice di importanti contributi nel campo dell’educazione ebraica, la maggior realizzazione di Kaplan è la formulazione del Ricostruzionismo, che divulgò attraverso lezioni e pubblicazioni, la principale delle quali fu Judaism as a Civilization (1934; Philadelphia, 1981). Kaplan elaborò le sue idee come risposta alla sua personale perdita di fede nel concetto tradizionale di rivelazione (Torah mi-Sinai, «La legge dal Sinai»), conseguenza degli studi svolti con il biblista iconoclasta Arnold Ehrlieh. Tentando di rifondare una personale cosmologia, Kaplan attinse tanto ai filosofi e ai sociologi occidentali, quanto a fonti ebraiche, utilizzando le scoperte sociologiche di Émile Durkheim, la filosofia pragmatica di John Dewey e William James, e il pensiero teologico di Matthew Arnold unitamente al sionismo spirituale di Aḥad ha-‘Am (pseudonimo di Asher Ginsberg). Questa sintesi fece di Kaplan una figura singolare tra i pensatori ebrei del XX secolo: uno studioso che cercava di combinare la scienza moderna con l’affermazione dell’Ebraismo.

    Il nucleo centrale del pensiero di Kaplan è la definizione dell’Ebraismo come «una civiltà religiosa in evoluzione». Contrapponendosi a coloro che miravano al mantenimento della vita ebraica solo attraverso la conservazione della religione, egli argomentò che una civiltà ebraica che includeva in essa una terra, una lingua e una letteratura, costumi, leggi, tradizioni popolari, arti e una struttura sociale trascendeva la religione. Kaplan propose anche un radicale mutamento dell’idea di Dio. Preferendo l’uso del termine divinità, negò il concetto di un Dio antropomorfo e personale che interviene nella storia umana, sostenendo un’idea funzionale di Dio come sorgente di creazione nell’universo, Potenza che genera una salvezza a cui il popolo ebraico è stato a lungo particolarmente sensibile. Questi cambiamenti concettuali irritarono l’ortodossia ebraica, creando una divisione ulteriormente inasprita tanto dagli sforzi di Kaplan di spostare il centro dell’interesse e dell’autorità dal testo rivelato per via divina al popolo ebraico stesso, quanto dalla sua giustificazione della trascendenza della legge ebraica (halakhah) e del costume (minhag) quando queste fonti non soddisfacevano più i bisogni del popolo ebraico. Kaplan si distinse dai suoi colleghi conservatori per il modo in cui faceva uso di risorse extratradizionali; il suo approccio continuò a differenziarsi da quello dell’Ebraismo riformato grazie ai suoi sforzi di conservare le forme tradizionali pur fornendole di un nuovo contenuto. Kaplan pensò anche di modernizzare la struttura organizzativa ebraica. Riconoscendo alle culture della Diaspora una forza eccezionale, sostenne che gli Ebrei emancipati vivevano in due civiltà e che, nella maggior parte delle occasioni, la cultura generale (non ebraica) esercitava un’influenza assai rilevante sulla persona. Nel tentativo di contrastare la spinta verso la totale assimilazione, Kaplan sostenne con forza il massimo sviluppo delle opportunità perché l’individuo svolgesse il suo compito all’interno dell’ambiente ebraico. Il luogo di queste attività doveva essere la sinagoga, che Kaplan aveva in animo di trasformare da una semplice sala di preghiera in una moderna istituzione, centro di culto, studio e svago. Raccogliendo attorno a sé sostenitori di queste idee, Kaplan diresse la creazione, nel 1918, della prima comunità di questo tipo, e del primo centro sinagogale, il Jewish Center nel West Side di Manhattan. La responsabilità della direzione laica per la pratica ortodossa ebraica e il carattere stesso di Kaplan generarono ben presto difficoltà che lo indussero a dimettersi dal Centro nel 1922. Kaplan fondò poi la Society for the Advancement of Judaism, che funzionò da allora come laboratorio vivente per i suoi esperimenti nell’ambito del culto, come l’inserimento delle donne nel minyan (numero legale per la preghiera) e la creazione di bat miswah come rito di passaggio delle giovani donne equivalente al bar miṣwab.

    Quando curò la pubblicazione del Sabbath Prayer Book (1942), Kaplan mantenne la struttura del servizio tradizionale, ma sostituì le affermazioni relative alla risurrezione dei morti con la dichiarazione che Dio ricordava i viventi. Analogamente le preghiere per la ricostruzione del Tempio e la venuta del Messia vennero abolite in favore del ricordo della fede di coloro che avevano praticato il culto nel Tempio e di preghiere per un’era messianica che dovrebbe essere realizzata attraverso gli sforzi dell’uomo. Forse la controversia più aspra, anche perché più evidente, fu innescata quando Kaplan sostituì la frase «chi ha scelto noi fra tutte le nazioni» nella benedizione che precedeva la lettura della Torah con «chi ci ha avvicinato al Suo servizio». Copie del libro di preghiere vennero bruciate a una riunione degli Ebrei ortodossi a New York City nel 1945, e una scomunica (issur) venne pronunciata contro Kaplan.

    Tra i seguaci di Kaplan si annoverarono i rabbini conservatori Eugene Kohn, Ira Eisenstein e Milton Steinberg e molti laici in tutto il paese. Kaplan non assecondò il loro desiderio di dare al Ricostruzionismo dignità di quarto movimento nell’Ebraismo americano, e per questo il Ricostruzionismo fu etichettato come «l’ala sinistra» dell’Ebraismo conservatore fino agli anni ’60 del XX secolo. Solo dopo le dimissioni dal Seminario Kaplan fu in grado di dedicarsi alla creazione di un movimento ricostruzionista con caratteristiche proprie; da allora, molte delle sue idee e pratiche si diffusero e furono accettate nell’Ebraismo riformato e conservatore. Come conseguenza, nonostante l’influenza delle idee di Kaplan sia stata ampia, il movimento ricostruzionista è rimasto sempre limitato.

    [Vedi anche EBRAISMO RICOSTRUZIONISTA].

    BIBLIOGRAFIA

    I lavori di Mordecai Kaplan non citati sopra comprendono: The Future of the American Jew, 1948, New York 1967, che analizza i bisogni degli Ebrei e dell’Ebraismo dopo la creazione dello Stato di Israele; The Meaning of God in Modern Jewish Religion, 1936, New York 1975, 1995, che esamina la religione e il concetto di Dio e la loro importanza nella civiltà ebraica; The Greater Judaism in the Making, 1960, New York 1967 che studia la moderna evoluzione dell’Ebraismo; e The Religion of Ethical Nationhood, New York 1970, una difesa dell’idea di nazionalità etica come unico mezzo per evitare il disastro mondiale.

    Per gli scritti su Kaplan, cfr. R. Libowitz, Mordecai M. Kaplan and the Developement of Reconstructionism, Toronto 1983, una biografia intellettuale delineata sugli scritti personali di Kaplan. Per una discussione sul ruolo di Kaplan nel movimento ricostruzionista, cfr. G. Rosenthal, Four Paths to One God, New York 1976.

    RICHARD LIBOWITZ

    KASHERUT

    Dalla parola ebraica kasher (jiddisch, kosher), che significa «accettabile» (cfr. Est 8,15) e indica tutto ciò che secondo la legge ebraica può essere utilizzato. In modo più specifico, essa connota le leggi alimentari ebraiche. La kasherut si riferisce direttamente 1) agli animali permessi e proibiti, 2) alle parti proibite di animali altrimenti permessi, 3) al metodo di macellazione e preparazione degli animali permessi, 4) alle misture di alimenti proibite e 5) alle proporzioni di misture di alimenti proibite ab initio ma permesse post factum. Le regole di kasherut sono desunte da quanto stabilito nella Bibbia, dall’interpretazione e dalla legislazione rabbininiche e dalla tradizione, come di seguito accennato.

    Legge biblica. Secondo la Bibbia, gli animali dei quali gli Ebrei si possono cibare devono avere l’unghia bipartita e ruminare (Lv 11,3). Sono elencati dei volatili proibiti (Lv 11,13-19; Dt 14,11-18), così come sono proibiti gli insetti (Lv 11,21-22; Dt 14,20), ma non sono fornite le caratteristiche in base alle quali determinare il fatto che siano proibiti. Il pesce deve avere pinne e squame (Lv 11,9; Dt 14,9). Sia gli Ebrei sia i gentili non possono mangiare carne strappata a un animale ancora in

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1