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Nella rosa delle formazioni politico-militari Prima linea costituisce un esempio interessante di «anomalia
teorica».
Questa organizzazione pone al centro del suo intervento armato non la funzione o il simbolo, ma il
comando; non l’apparato istituzionale, ma l’articolazione dello Stato.
La peculiarità d’analisi che ne deriva spezza il cerchio magnetico in cui si inscrivono, più o meno
esplicitamente, le varie formulazioni terzo-internazionaliste dei gruppi combattenti. Per questo motivo la
critica della armi non è mai dissociata dalle armi della critica, anzi si direbbe che intenda esserne il
proseguimento con altri mezzi. L’immagine di Pl ha dunque contorni originali, anti-militaristi, improntati da
una concezione sociale dello scontro di classe che rovescia l’impostazione « statocentrica » degli altri gruppi.
Il capitale produce strutture generali di comando sulla produzione, lo Stato ramifica e salvaguarda la
socializzazione del comando. Produzione e comando sulla classe sono dunque aspetti inscindibili del
dominio reale sul proletariato.
Da parte sua il proletariato vive un’esistenza duplice e ambigua: da un lato è forza-lavoro socializzata e
subalterna, dall’altro è soggetto politico irrimediabilmente contrapposto al capitale.
L’antagonismo fermenta nelle pieghe della contraddizione, si consolida nell’ambiguità di uno strato sociale
che si riproduce in quanto merce (per il capitale) ma si autovalorizza in quanto soggetto rivoluzionario
(contro il capitale).
Tutti gli attacchi spontanei, tutti i frammenti di resistenza, tutti i sussulti di opposizione vanno quindi
considerati come dati in potenza dell’organizzazione rivoluzionaria, poiché negando la subalternità al
comando del proletariato ne spezzano la dipendenza dalla funzione immanente di merce.
Che tipo di organizzazione possa attagliarsi a una tale analisi della classe «sgranata» e valorizzata in ogni
suo comportamento, non è facile dire.
Pl , comunque, nega recisamente che si possa identificare, in un unico soggetto, partito ed esercito
proletario. Scatenare soggettivamente «l’attacco al cielo» senza riuscire a strutturare, tra le masse, potere
effettivo significa ghettizzare nella professionalità esclusiva l’organizzazione armata, scompaginando, al
contempo, la resistenza possibile del proletariato fino a creare un dislivello di lotta tra l’avanguardia e il
grosso della classe.
L’esercito proletario viene considerato quindi come «traguardo dialettico», congiunzione storica tra
organizzazione combattente e spontaneismo armato della classe.
La destrutturazione del nemico di classe deve comportare sempre un elevamento della coscienza
organizzativa e politica del proletariato: la classe è forza propulsiva, non delega nessuno a rappresentarla nel
processo di emancipazione storica. Perciò – si sottolinea – il politico non è autonomo dal quotidiano né
separato da esso, il fucile può accelerare, attivare forse, il processo ricompositivo tra rivendicazioni e
attacco, difesa e offesa, tattica e strategia, ma mai sostituirsi ad esso.
Pl ha un indubbio merito teorico: ha lacerato più di un involucro (conformista e rituale) di cui è prigioniero il
lottarmatismo.
La feticizzazione dello «spirito combattente» e del partito «esterno» è stata sconfitta da una critica attenta e
puntuale. Per converso, ci sembra che la categorizzazione della classe, della spontaneità armata, della
resistenza possibile, rischi di sconfinare in un’esaltazione dell’innatismo strategico, priva di riferimenti
concreti. Ogni affermazione, specie oggi, implica come presupposto di verifica il dubbio. Cosa sia la classe
in concreto, come si agiti in essa «l’anima politica» e quali tensioni di segno specifico «portino ad
ebollizione » il movimento non è problematica astratta, ma riferimento costante dello scontro. Se il potere da
tempo non è più incorporato nel Palazzo, a maggior ragione l’analisi e l’intervento rivoluzionario, in ogni
forma, devono darsi da fare per stanarlo dai suoi «antri sociali»... Ma su questo punto gli interrogativi critici
rimangono sempre aperti, e sono ancora molti...
L’antagonismo totale tra il sistema dei bisogni del proletariato – critica ai rapporti sociali di produzione
capitalistici – e la necessità del capitale di imporre le proprie regole a tutta l’organizzazione sociale, di
sottomettere a sé ogni potenzialità di cooperazione, rende la lotta operaia lotta sovversiva, distruttiva dei
rapporti sociali esistenti.
Il capitale si arma contro la lotta operaia, proletaria sovversiva; irrigidisce ogni rapporto sociale, ogni
articolazione del suo modo di produzione nella difesa della propria necessità di valorizzarsi e di espandersi;
allinea figure di comando che presidiano ogni più piccolo passaggio dei rapporti di produzione, ogni più
recondita piega del vivere sociale: sentinelle, trincee successive – percorsi di guerra imposti alla lotta
proletaria – che la lotta proletaria deve aggredire.
L’esplosione di comportamenti autonomi da parte del proletariato ha provocato una proliferazione
incredibile di figure di comando, di regolamento per ognuno dei passaggi della vita sociale.
Ciò che il capitale cerca di imporre è una pratica tremenda di terrore, di distruzione fisica del proletariato, di
logoramento di ogni briciola di potere politico.
Dalla fucilazione dei militanti rivoluzionari, alla tortura, al sequestro dei militanti della lotta operaia, alla
sanzione del diritto di esproprio del reddito proletario a favore del blocco sociale antioperaio, fino all’azione
quotidiana del più sconosciuto capo officina, ogni giorno il capitale produce una montagna di provvedimenti,
sanzioni, ingiunzioni, decreti che applicano le sue regole generali.
Se lo Stato rappresenta l’assunzione centrale della regolamentazione dei rapporti di produzione
capitalistici, ogni cosa è parte dello Stato tutta la vita sociale si fa Stato, amministrazione violenta delle
necessità del capitale.
La socializzazione del comando è la fonte di legittimità per il comando stesso. La nuova democrazia è una
foto di gruppo delle gerarchie sociali di comando che sono garanti del regolare sviluppo del capitale.
Dopo la confusione generata dalla trasformazione degli istituti di contrattazione e di mediazione dei conflitti
– consigli di fabbrica, decentramento amministrativo, organismi territoriali – in puri organismi di comando la
classe operaia comincia proprio in questi mesi ad esprimere lotte orientate esplicitamente contro il comando
capitalistico e contro la produzione come strumento di comando.
Questo salto politico è fondamentale poiché permette una generalizzazione di indicazioni politiche di
combattimento, di iniziativa di lotta, dall’organizzazione combattente al quadro combattente proletario e agli
istituti della lotta di massa.
L’iniziativa capitalisica ha chiuso una fase di lotte in cui era immediata la conquista di obiettivi,
l’imposizione di una pratica di programma con la semplice lotta di massa, il capitale risponde con la guerra,
con il funzionamento rigido delle leggi della società.
Le giornate di Marzo sono state una grande lezione: da condizioni oggettive che massificavano bisogni e
caratteri politici del proletariato si è passati alla lotta di massa contro lo Stato. In essa si sono esplicitate le
diverse ipotesi politiche che vivono nell’area rivoluzionaria tra le organizzazioni combattenti, si sono
esplicitate le diverse ipotesi politiche che vivono nell’area rivoluzionaria tra le organizzazioni combattenti, si
sono manifestati i limiti della rete organizzata che ha diretto queste lotte e ha fatto pratica di combattimento
in quella fase.
La domanda politica sviluppata in questi mesi, la ricerca di una chiarezza, di un progetto lucido di
prospettiva e di organizzazione impone di rompere tutte le nozioni di «area», da quella autonoma a quella
armata, di scatenare la battaglia politica, di confrontare proposte politiche con la tensione rivoluzionaria che
vive nel proletariato e nella classe operaia.
Ciò che puntualizziamo prima di tutto per il dibattito – che in maniera parziale ed interlocutoria cominciamo
ad introdurre in questo numero zero del giornale di Pl – è la natura dei processi di ristrutturazione
complessiva degli assetti capitalistici.
Va capito come non solo si moltiplicano le figure di comando, se ne serrano i ranghi, ma si esplicita il
carattere politico di dominio della struttura produttiva. La forma della produzione non ha niente di naturale,
ha la natura del capitale, della distruzione – in ogni suo passaggio – della forza politica, sovversiva della
classe; ha il carattere della espropriazione di ogni scintilla di forza creativa del proletariato.
Il capitale non produce più singole merci o macchine ma strutture generali di comando sulla produzione,
assetti produttivi territoriali in cui garantire il profitto, il comando sul meccanismo di accumulazione, la
sottomissione di ogni capacità produttiva.
Si vendono assetti territoriali, macchine, tecnologie, scienze, tecnici per svilupparle. Tutto è sottomesso ai
movimenti del capitale sulla scala del mercato mondiale: dalle armi alla scienza del comando, della
produzione, della amministrazione...
Produzione e comando sono inestricabilmente intrecciati.
Da ciò segue la messa all’ordine del giorno per la lotta operaia e la pratica combattente dell’attacco alla
circolazione delle merci come riproduzione del comando sulla classe. Alla socialdemocrazia in questa fase in
Italia in particolare è delegata la riproduzione del comando in ogni luogo della società, la costituzione dello
stuolo di funzionari del capitale ad ogni stazione della catena della produzione capitalistica.
Essi sono i guardiani fedeli dei rapporti di produzione, i fedeli esecutori (i più fedeli di tutti) delle direttive
del capitale.
Sono i promotori di quel processo di leggittimazione e di ricostruzione del comando che passa per la sua
socializzazione.
Sono i cani lupo più accaniti, i seguci più feroci nel seguire la pista dei rivoluzionari.
L’attacco generale alle concezioni fondamentali del dominio del capitale, lo svelamento dell’aspetto politico
di ogni condizione del proletariato in questa società è oggi più che mai possibile per la miseria di ciò che la
social democrazia ha messo in piedi come adesione operaia al progetto del capitale, come blocco operaio
antiproletario.
Certo la ristrutturazione ha messo a segno parecchi colpi, la socialdemocrazia e gli istituti sindacali hanno
spezzato a più riprese le capacità di mobilitazione della classe, ma è da oggi che ha inizio il tentativo di
consolidare alcuni puntelli fondamentali per il comando capitalistico, sulla base dell’attacco portato in questi
anni.
Il capitale – recitando lo scontato gioco delle parti nelle trattative istituzionali, secondo i ruoli affidati dopo il
20 giugno – passa all’attacco del cuore della classe operaia, porta lo Stato in fabbrica, stringe i ranghi,
rinnova le attrezzature, rilancia i nuovi centri di impresa e finanziari, scarica sul proletariato tutto quanto i
nuovi assetti internazionali della produzione e del mercato richiedono, affinché la grande impresa italiana e
con essa tutto l’apparato produttivo stia al suo posto nella gerarchia imperialista.
Il ruolo conquistato dalla grande impresa italiana pubblica e privata, dai centri finanziari come impresa
multinazionale, la competitività sul mercato mondiale di settori produttivi tradizionali, mantenuta con il
nuovo decentramento produttivo, sono la base del rilancio che il capitale internazionale è deciso a sostenere
nei confronti del suo segmento italiano.
Si apre un dibattito fra i comunisti, sul quale ora non ci soffermiamo, sul ruolo che un processo
rivoluzionario in Italia gioca nel determinare contraddizioni più vaste nel mercato mondiale.
Lo sviluppo di una opposizione operaia alle nuove condizioni determinate nei diversi paesi dalla
ristrutturazione (Francia, Spagna, Inghilterra fanno testo), l’applicazione delle regole della produzione
capitalistica dal sud-america ai paesi socialisti (richiedono la costruzione di nuovi assetti politici e sociali, il
che rende omogenee le diverse situazioni nazionali molto più di prima), la definizione di una maggiore
centralizzazione dell’azione del capitale e quindi, per così dire, la unificazione delle controparti delle diverse
sezioni del proletariato internazionale, tutto questo compagni fa nascere nuovi problemi per i comunisti che
si sforzano di prevedere i passaggi della guerra civile in Italia, il formarsi degli schieramenti. Fa anche della
lotta rivoluzionaria del proletariato italiano un punto di riferimento storico di un processo più generale, che
in tutti i paesi vede una crescente politicizzazione dello scontro di classe, e con essa l’esplicitazione dei reali
interessi in gioco.
A fronte di questo assistiamo ad un processo che va incrementato e guidato, di sabotaggio sociale da parte
dei proletari; cresce il combattimento proletario e l’iniziativa dei settori più lucidi delle organizzazioni
combattenti.
Contro la scientificità, la capillarità, l’estensione dell’attacco capitalistico si deve radicare il combattimento
come sviluppo della guerra da parte proletaria, con caratteri di stabilità, di regolarità, di riproduzione di
strutture embrionali di esercito proletario.
Sbaglia chi oggi spara a zero contro lo spontaneismo del combattimento proletario e vuole ridurre il
combattimento ai soli percorsi verso l’organizzazione ed alla sua pratica diretta. È vero invece che si deve
radicare una pratica combattente fondata sulla definizione precisa dei terreni di scontro, delle forme di
organizzazione, dei rapporti tra disarticolazione del comando nemico, riappropriazione di ricchezza sociale, e
costruzione di organizzazione.
Lo sviluppo del combattimento proletario è un processo contraddittorio e collettivo: è imperativo il confronto
serrato fra le formazioni che lo praticano. Questo non può essere ridotto ad uno schema fisso, comunque
oggi lo sviluppo dello scontro deve contemporaneamente arricchire, trasformare, ma anche omogeneizzare
un tessuto organizzativo che sia in grado di riprodursi nelle sue caratteristiche fondanti. Deve attuarsi una
dialettica tra massimo di scontro politico e sforzo di omogeneizzare la tattica. Del resto l’evidenza
dell’iniziativa del nemico di classe, la forza con cui si riproducono elementi di programma nelle lotte
proletarie spingono in quella direzione.
È tale l’esperienza accumulata in questi anni, la legittimità degli obbiettivi, degli elementi di programma ad
essi collegati, i modelli operativi, che per non farlo ci vuole una precisa volontà politica contraria. Il
superamento delle istanze di semplice autonomia, la nascita di una tensione apertamente rivoluzionaria,
producono una forte domanda politica, che qualcuno confonde con la delega; si tratta in realtà di domanda di
intelligenza politica come capacità di cogliere il progetto del capitale, le contraddizioni e l’unità della
coscienza proletaria, i passaggi della costruzione, nella guerra civile, della organizzazione di combattimento
della classe.
È maturo a questo punto un discorso sui caratteri fondamentali dell’organizzazione comunista combattente,
sul programma rivoluzionario.
L’organizzazione
Mentre il proletariato tenta di sciogliersi dalla sua esistenza duplice ed ambigua, in questa società, di forze
lavoro socializzata, sottomessa al capitale, e di soggetto politico irrimediabilmente contrapposto ad esso,
l’organizzazione comunista esprime la volontà lucida della parte avanzata della classe di abbattere la società
e di realizzare un processo rivoluzionario.
La delega da parte del proletariato, l’esternità dell’organizzazione, non si basano su una separazione tra una
parte maggioritaria della classe passiva ed attendista ed una minoranza superattiva che si sostituisce al
compito storico del proletariato, ma sul rapporto dialettico tra lo strumento di lotta rivoluzionaria che è
l’organizzazione e lo sviluppo della faccia rivoluzionaria della classe a scapito di quella di forza lavoro, di
merce particolare del mercato capitalistico.
L’intelligenza politica dei comunisti, la loro pratica combattente non sono altro da questo: la riproposizione
al proletariato stesso, in forma stabile e lucida, di quanto esso ha prodotto come scienza della rivoluzione.
L’organizzazione comunista combattente allora sviluppa la sua opera di promozione e di direzione del
combattimento operaio e proletario, per una articolazione massima dei diversi livelli di iniziativa
combattente corrispondenti ai diversi livelli di maturità organizzativa e politica, per una massima definizione
e circolazione dei modelli operativi.
Lo sviluppo del combattimento diventa elemento centrale di rovesciamento della vita del proletariato,
strumento per la pratica e la permanenza dell’antagonismo verso questa società: si apre una dialettica
positiva tra definizione del sistema dei bisogni, programma rivoluzionario e crescita degli strumenti di lotta
rivoluzionaria, che si articolano nei diversi modi di esistenza della classe in questo periodo storico.