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Idee per la didattica

Unità didattica per studenti liceali


(3° anno – 4° anno)

“Il tempo, gli uomini e la storia”

la percezione del tempo e la concezione della storia tra


mondo antico, Cristianesimo medievale e Islam:
Agostino e Ibn Kaldun a confronto

di

Massimo Ciceri
Alcuni prerequisiti: questa unità didattica presuppose che sia già stato affrontato
(anche solo a grandi linee) con gli studenti il tema del tempo nella filosofia antica, con
approcci alle teorie cosmologiche delle principale scuole di pensiero antiche (stoici,
epicurei...)
Diamo per scontata anche la trattazione completa della filosofia aristotelica e platonica.
Consiglio inoltre di proporre gli studenti a questa unità didattica solamente dopo
un'ampia introduzione ai grandi temi della filosofia medievale e una breve ricognizione
degli autori principali (Agostino e Tommaso...) per quanto riguarda la gnoseolgia e la
filosofia morale.
Altri prerequisiti consigliabili sono certamente una conoscenza dei punti cardinali della
storia medievale (eventuale piccolo "refresh" delle conoscenze mediante dispensa o
lavoro a casa) e una breve introduzione storica sui rapporti politici tra mondo
occidentale/mondo arabo.

Interdisciplinarietà: l'unità è pensata per aprirsi a collaborazioni tra aree di


insegnamento differenti. Sarà utile, soprattutto in relazioni alla lettura di passi biblici,
un apporto creativo didattico da parte dell’insegnante di religione, che espliciterà gli
aspetti teologici del problema del messianismo e la definizione di “religioni del libro”.
Anche l'insegnante di storia dell'arte potrà utilmente portare a supporto di questa unità
un'iconografia adeguata, che aiuti a "vedere" l'importanza sempre crescente dell'uomo e
della sua storia nell'area del mediterranea tra medioevo al rinascimento .

Periodizzazione: L’unità è pensata per essere proposta al termine della trattazione


completa della filosofia medievale, alla fine del 3° anno o all’esordio del 4°. La
corrispondenza con il programma di storia è, ovviamente, irrilevante, dal momento che
il medioevo e la civiltà del rinascimento vengono trattati sicuramente prima della
filosofia medievale. Consigliabile aver accennato a Machiavelli durante il corso di
storia e averne sviluppato alcune riflessioni essenziali.

Modalità: l’unità prevede una lezione frontale (o due lezioni) iniziali sul modello di
quanto qui riportato in seguito (dalle 2 alle 4 ore circa). A seguire un lavoro domestico
di lettura degli studenti sui brani indicati . Conclude l’unità un debrifing dialogato in
classe a piccoli gurppi sui testi letti (2ore): nella prima ora la classe viene divisa in
gruppi e ciascun gruppo riceve la consegna di rispondere ad una domanda “aperta”
citando passi dai testi indicati, nell’ora successiva i ragazzi, scegliendo un elemento del
gruppo, relazionano ai compagni.

Valutazione: la valutazione sull’unità è da intendersi o come parte di una valutazione


sommativa riguardante l’intera filosofia medievale oppure come singola prova scritta
individuale su domande “aperte”. Dato l’argomento e l’apertura sia cronologica che
tematica su più autori, si darà nella valutazione poco peso alle conoscenze dichiarative;
verrano valutate con cura, piuttosto, le competenze sul tema, la capacità di ricordare i
nodi problematici, di esplicitarli, l’abilità di interrogare i testi e di allineare le
conoscenze storiche al pensiero e alle opere dei singoli autori. Verrà naturalmente
tenuto conto, nella valutazione, del buon lavoro effettuato in classe all’interno dei
guppi.

Bibliografia:
- Galbiati-Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Milano 1962
- Lèon Dufour, I vangeli e la storia di Gesù, Milano, 1986
- Giuliana Turroni , Il mondo della storia secondo Ibn Kaldun, Milano, 2000
- Agnoletto, Galbiati, Islam e cristinaesimo, Firenze 1991
- Agostino d'Ippona, Città di Dio (qualunque edizione)
- Agostino d'Ippona, Confessioni (qualunque edizione)
-Boezio, De consolatione philosophie (qualunque edizione tradotta)
-J. Le goff, l'uomo medievale

La lezione frontale

Parte prima: Dal cerchio alla freccia:


dal tempo senza tempo degli antichi al Dio uomo nel tempo dell’uomo

Con la prima persecuzione ordinata da Nerone contro i cristiani (67d.c.) si incrina ir-
rimediabilemente la solida tradizione di tolleranza religiosa dell’Impero: l’occidente si
trova per la prima volta di fronte ad un culto religioso insolito e profondamente in-
novatore, un culto “popolano”, “provinciale”, rozzo e allo stesso tempo sorprenden-
temente aperto alla profondità filosofica. Un culto che nella sua misteriosa semplicità
agirà in modo potente a dissolvere il “mondo antico” e a caratterizzare un’epoca affatto
nuova.
La “nuova religione” sorprende l’occidente antico anche (o soprattutto…) per una
sorprendente visione della storia umana: il tempo dell’uomo non è più solo suo, è tempo
di Dio con l’uomo, è tempo di Dio per la manifestazione di Se Stesso attraverso la
vicenda umana. Divinità e storia sono vicine quanto non lo erano mai state prima.
Il mondo antico è sorpreso da una religione i cui testi sacri sono in gran parte – per così
dire – testi di storiografia. Le origine ebraiche del cristianesimo poggiano su un Antico
Testamento che ha un rispetto profondissimo per la storia umana e per la narrazione
storica. Di piu, se nel mondo antico l’interesse per la cronaca dei fatti passati è
squisitamente agiografica, nel racconto storico dell’Antico Testamento Dio ispiratore
guida gli scrittori ispirati a narrare la storia umana in modo sorprendentemente
“moderno”, collocando i fatti nella loro cruda realtà, a nche (o soprattutto…) quando
parlano delle debolezze del “popolo eletto”, dei suoi peccati e delle sue infedeltà:

“Deuteronomio 31,26 <prendete questo libro e ponetelo accanto all’arca dell’alleanza


del Signore Dio vostro, affinchè stia ivi in testimonianza contro di te> Al di sopra degli
Ebrei c’è un’altra mano severa ed imparziale che ha scritto senza lusinghe un
documento di accusa contro i suoi prediletti”1

Così gran parte dei testi sacri della religione cristiana, unici nel loro genere, si pongono
anche e soprattutto come cronache accurate e fedeli della storia dell’uomo e testi di
autentica “storiografia”, nel momento in cui di questa storia umana danno
un’interpretazione messianica:

“nella mente di Dio cioè, l’una e l’altra cosa, la realtà israelitica e quella messianica
sono tra loro congiunte sì che la prima, oltre che una tappa verso la seconda, ne risulta
anche un’immagine adeguata. Così il passato (meraviglia solo all’onniscenza e
provvidenza del Dio eterno) è modellato sul futuro e non viceversa”2

Rispetto a questa tradizione testuale, la vicenda umana di Cristo si pone, come sap-
piamo, a compimento e a realizzazione; ma non solo e non in modo semplice. La
passione e la Resurrezione, prima di essere evento autenticamente messianico, sono
1
Vedi Galbiati- Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Milano 1962, il capitolo “L’antico testamento e la storia”
2
Ibid., il capitolo “il messianismo”
momento assolutamente storico, fatto determinato, punto preciso nel tessuto degli
eventi, inserimento insolito dell’azione di Dio nel mondo a partire dal quale il tempo
storico si orienta. E a partire dal quale viene spezzata per sempre (almeno secondo il
pensiero occidentale fino al ‘900) ogni ipotesi di circolarità del tempo e ogni
rigenerazione: il “ritmo” dell’universo immaginato dagli stoici diventa improponibile.
A partire dalla Resurrezione il tempo storico del mondo si orienterà secondo un “prima”
e un “dopo”, secondo un tempo di preparazione e un tempo di compimento. E anche in
questo tempo “del poi” il Cristianesimo scardina completamente la visione del tempo
del mondo antico: il Bene si manifesta perfetto all’uomo immediatamente, nell’attimo
istantaneo della Resurrezione, ma non mette l’uomo, secondo una visione
“platonizzante”, istantaneamente e definitivamente a contatto con la perfezione, lo avvia
su un cammino verso la vera Parusìa. Un cammino tanto più incomprensibile quanto più
lungo:

“Gesù annuncia che il regno di Dio è all’opera oggi, in questo oggi che non è una fine
ma è un inizio. Il regno che sembrava doversi realizzare subitaneamente, ha una storia
(…) i tempi e le scadenze sono così determinati da Dio che regola il corso della storia.
Né processo immanente, né catastrofe imprevista, ma disegno di Dio fedele che
conduce la storia al suo termine e la cui fedeltà si eprime attraverso la regolarità delle
leggi della natura”3

L’attualità quotidiana del Regno, l’attesa della Parusìa che diventa sempre meno
imminente sconvolgeranno così non solo il mondo pagano, ma anche, e soprattutto il
mondo dei primi cristiani ancora incrostato di filosofia antica e paganesimo. Il “tempo
storico” che Dio impone agli uomini imporrà anche e soprattutto una riflessione
profonda sulla fragilità umana a resistere alla fatica di questo “tempo da trascorrere”:
l’eresia DONATISTA è in qualche modo un segno tangibile della difficoltà di trovare il
significato gnoseologico profondo di questa “lunga attesa” che è la Storia guidata dal
Dio cristiano

DONATISMO : eresia fiorita nel IV Identificare la fenomenologia del bene


secolo secondo la quale non si di Dio con il tempo della Storia,
dovevano riammettere nella spalanca però i battenti al problema
comunità cristiana i lapsi e i
traditores, in altre parole quelli che cardine della teodicea: non si può
nel corso delle persecuzioni avevano
3
ceduto abiurando o consegnando ai
Cfr. Lèon Dufour. “I vangeli e la storia di Gesù” Milano, 1986 – il capitolo “il regno di Dio è in atto”
pagani i libri sacri. I sacramenti
amministrati da sacerdoti e vescovi
indegni erano considerati inefficaci
dai donatisti

Cfr. A. Agnoletto, storia del


rimanere ciechi di fronte alle profonde incrostazioni di male e di dolore nella vita degli
uomini. Perché il “modo di raccontare la storia” che ha scelto Dio per le sue creature è
dunque così drammatico e doloroso?
La risposta crstiana a questa domanda attraversa tutta la filosofia medievale (e andrà
oltre), complicandosi, affinandosi e affermandosi come risposta predominante. Ma
all’inizio non fu l’unica. Manicheismo e Gnosi, di fronte al mistero dell’incarnazione
di Cristo rifiutarono nettamente l’idea di un mondo creato in cui il male e li bene
avessero uguale origine da Dio. E così, mentre i manichei, come abbiamo visto, vollero
credere che la radice del male storico fosse in un principio negativo increato, gli
Gnostici, con una mossa sorprendente, spezzarono l’unità del Vecchio e Nuovo
Testamento proprio nel momento in cui la predicazione cristiana dei primi secoli si dava
da fare per unirle. Il Dio ebraico, del Vecchio Testamento, secondo gli gnostici, non era
alto che un “dio minore”, un demiurgo malvagio chiuso nel carcere miserabile della
materia corporea e incessantemente condannato a plasmare e riplasmare questa materia
e con essa la storia corporea dell’uomo, condannato a legare con catene eterne la
materia a se stessa per allontanarla dallo spirito. E dunque, condannata la materia a se
stessa e condannata la storia del Popolo Eletto a un mero accavallarsi di fatti, a che
scopo il “Dio Perfetto” sommmo Bene avrebbe dovuto offrire il proprio Figlio a questa
materia e al dolore? Come potevano spiegare gli gnostici l’Incarnazione e la Passione?
Senza spiegarla in effetti: la vita di Cristo, secondo gli Gnostici e i Manichei fu
null’altro che l’apparizione di un puro spirito in un corpo apparente; non fu altro che
pura illusione, finzione, icona perfetta di una realtà ideale e immutabile… il tempo
dell’uomo, la sua storia e tutto il male in essa, secondo la Gnosi e il Manicheismo
rimanevano un territorio impossibile da bonificare. E il tempo diviso nell’eterno con-
flitto di Bene e Male rimaneva senza punto di partenza e punto d’arrivo, esattamente
come prima dell’”apparizione” di Cristo.

(in questo punto è ipotizzabile far fare la lettura di passi gnostici dal Vangelo di San
Tommaso. Ho trovato due edizioni recenti e, presumibilmente, serie: “Il vangelo di
Tommaso e come fu scoperto”. a.c. Dart J. e Riegert R. e Crossant D. e “Il vangelo
di Tommaso. Tra eresia e fede: un cammino gnostico sui codici di Nag Hammadi”
a.c.Marco Civra)

Parte seconda:– Agostino: l’apologia della storia


Tuttavia, il problema sollevato dalla Gnosi e dela maicheismo non era di semplice
soluzione: la vicenda umana, storica, di Cristo (dopo il concilio di Nicea non vi furono
più dubbi in merito) nella sua autenticità prometteva una redenzione certa nei “tempi
ultimi” e garantiva all’uomo di incontrare certamente il suo Dio nella Storia.
Ma i fatti smentivano la Fede e la Speranza: nella Storia attraversata dalla ferocia umana
e dalla guerra il Dio cristiano appariva quasi soggiogato dalla potenza del male. E
incapace di riuscire a controllare quella natura che gli dei pagani sottomettevano con
facilità.
Trascinato sul terreno della Storia, davanti alla devastazione del cuore del mondo,
Roma nel 410, il Dio Cristiano sembrava tacere imbarazzato: perché non aveva protetto
il popolo che si era affidato a lui? E soprattutto, perché la forza poderosa dell’Impero
aveva cominciato a sgretolarsi dopo e solo dopo la conversione definitiva
dell’Imperatore a Cristo? L’arma più tagliente contro la nuova religione fu proprio la
mentalità istintivamente storicista con cui l’antichità aveva sempre letto il corso degli
eventi.
Sarà Agostino di Ippona a impegnarsi su questo terreno non facile, con un’opera as-
solutamente unica nel suo genere, “de Civitate Dei”,
Agostino, in modo emblematico, viene quasi trascinato a viva forza dai fatti ad
occuparsi di storia umana e del suo significato. Prima del 410 infatti, nelle sue
riflessioni, come abbiamo già visto

(si da per scontato che sia già stato trattato il tema del tempo in Agostino.
Eventualmente verranno letti i famosi brani delle Confessioni cap. XI sulla natura del
tempo)

Agostino legge lo scorrere del tempo umano in modo strettamente filosofico: sospeso
tra passato e futuro, in un presente quasi etereo, impalpabile. Il tempo, creato da Dio
con un atto irripetibile, nelle mani dell’uomo è ancora tempo squisitamente “filosofico”;
è “distensione dell’anima”, un “basso continuo” persistente ed inesprimibile che riporta
l’anima al suo desiderio di ricongiungersi al Creatore. Il tempo delle “Confessioni”, in
certo modo, è ancora solo il tempo della Natura e dell’uomo nella Natura: è ritmo, passo
dopo passo, dall’eternità e verso di essa. Un palcoscenico ancora vuoto; su cui la storia,
però, sarà inevitabilmente chiamata a recitare una piéce unica, senza repliche.
Nel “Civitate dei” Agostino si occupa di tempo e di temporalità, infatti, in un modo
decisamente diverso. Il tempo creato, filosoficamente percepito, quasi si “inspessisce”
nei fatti, si declina nella storia, diventa concrezione dura di scelte e pensieri umani.
Sempre da Dio creato e da Dio significato ma questa volta potentemente agito
dall’uomo, potentemente scolpito dalla malvagità umana. Il tempo del Civitate dei è, per
la prima volta, Storia a cui si chiede un significato. E per Agostino, sospeso tra
medioevo e modernità, questo significato: è la struttura stessa del tempo: i fatti non
anticipano il Regno, è piuttosto la “ragione seminale” del Regno promesso che spiega i
fatti. Cristo, morendo in croce, entra nella Storia per viverla, concluderla e disvelarla:
La sua umanità, contro ciuò che pensano i manichei e gli gnostici, è necessaria quanto la
sua divinità, per Agostino. Così attraverso Cristo la malvagità umana, le stragi e le
crudeltà, gli imperi che crescono e muoiono, i grandi fatti della storia sono tutti
ricondotti a Dio come i fatti della natura. Se il tempo della natura è conchiuso e
significato così è conchiuso e significato il tempo dell’uomo. Attraverso una
constatazione che Agostino fa con una semplicità sorprendente, lasciando, per così dire,
semplicemente parlare il Vangelo

“lasciate che l’uno e l’altro crescano fino alla mietitura”


(Mt. 13,30)

Il male del mondo, tutto il male, è male storico; è pura storia umana, concre-zione di
volontà umana. E sempre e solo conseguenza di una volontà umana che sceglie di
allontanare lo sguardo da Dio. Ed è un male necessario, che deve esplicarsi, nel tempo
creato da Dio, insieme alla ricerca del Bene. Grano e zizzania devono crescere assieme,
anche perché attraverso Dio opera per la costruzione del Regno anche attraverso le
opere malvage e peccaminose dell’uomo: l’impero Romano, autentica concrezione di
orgoglio e superbia mondand, fu pur sempre, afferma Agostino, terreno preparatorio alla
venuta di Cristo e al passaggio dal Vcchio al Nuovo Testamento.
Ma la vera novità dell’opera di Agostino non è tanto l’accento sulla “vicinanza” di male
e bene ma sul tempo necessario alla “crescita” delle due realtà. Il mondo deve esplicarsi
come costruzione apparentemente malvagia, insensata, spietata e crudele. Ma solo
apparentemente. Solo agli occhi ndell’uomo, appunto. L’errore fatale della Gnosi, del
Manicheismo della filosofia polita e fredda di Cicerone, secondo Agostino, è proprio
qui: nel fermarsi alla schiuma dei fatti e dinon vedere il fiume profondo di acqua viva
che Dio incanala nella Storia.
E’ sufficiente guardare al Risorto, afferma allora Agostino, per capire il regno di Dio
sulla storia. E solo incontrando la Fede l’uomo, nel suo tempo, può fare l’unica scelta
che abbia significato per se stesso: se aderire alla comunità di uomini che costruisce
sulla sabbia, guardando solo all’ambizione umana e al miserabile mucchio di sforzi per
erigere imperi, concquistare terre e sottomettere genti, o se aderire alla comunità di chi
costruisce sulla roccia, accumulando tesori in cielo, appartendo al mondo corporeo
senza pre-occuparsene, senza caderne vittime, senza “diventare mondani”.
Scegliere di appartenere alla Città di Dio o alla Città dell’uomo: questo è l’unico
compito dell’uomo nel tempo della sua Storia. Confidando nella Fede e ben sapendo
che la scelta è impossibile appoggiandosi alla semplice ragione umana: grano e zizzania
sono legati in modo inestricabile e solo la fede consente di distinguere. Tanto più che la
Fede, secondo Agostino, è per prima lei stessa un fatto unico, “storico” di ciascuno di
noi, tassello del tempo personale, un fatto che ha una “data di nascita” precisa, un prima
e un dopo. Dio si manifesta all’uomo nel tempo che scorre. Sempre.
Una “terza via” filosofica e intellettuale rispetto a questa scelta tra città di Dio e città
dell’uomo è impossibile. Cercare di allontanarsi prematuramente – attraverso il suicidio
- dal campo di battaglia tra male e bene, cercare di preservarsi con perfetta chiarezza di
intelletto dal contagio del Tempo, sostiene Agostino, non il più “puro” e liberatorio dei
comportamenti, come volevano gli stoici, ma il più mondano, il più greve, perché è tutto
solo autenticamente umano, senza alcuna scintilla di Fede. E in definitiva il più inutile:
Attilio Regolo, afferma Agostino, fu superiore a Catone
Ecco allora che, nel Civitate dei, la lettura precisa dei fatti, l’accuratezza, la distinzione
netta tra racconto storico, favola e mito sono fondamentali ad Agostino per contrastare
la visione pagana e politeista della crisi storica in atto e dare forza alla nascente filosofia
cristiana: i nudi fatti accertati – la storio-grafia pagana! - dimostrano che gli dei di
Roma non hanno mai protetto la città più di quanto abbia fatto il Dio cristiano. E
dimostrano che, piuttosto, proprio la fede imperfetta dei pagani e dei politeisti, così
mondana, così materiale e così priva di un vero sgurado verso l’Assoluto, è stata la vera
implicita causa della rovina necessaria dell’Impero. Rovesciando l’avversasio con le sue
stesse armi, Agostino afferma quindi l’estraneità dell’uomo salvato da Cristo alla rovina
del mondo: è proprio la memoria dei fasti di roma, la preziosa collezione antiquaria
delle memorie dei fasti dell’impero, a condannare Roma alla rovina fin dalla sua
fondazione. Se il tempo trascorso – è questa la novità degli scritti Agostiniani – viene
letto secondo una interpretazione, secondo una filosofia della storia, il mero rapporto
contingente di causa-effetto si sfalda. Se l’interpretazione è spinta in profondità, come la
filosofia antica non volle fare, si incontrano fiumi sotterranei profondi che hanno
sorgenti misteriose…

(Passi de la “Città di Dio” da leggere o far leggere: sull’inutilità del suicidio: cap I,
20-23; Dio ordinatore del mondo: cap V, 11; sulle due città : cap XIV, cap XVII
(vari); Il fato di Roma non dipese dagli astri o dal caso V, 1; Il vero Dio ha inserito
l’impero romano in un disegno della provvidenza V, 21-22 )

Parte terza:– Dalla Scolastica all’Umanesimo: alla ricerca dello spazio dell’uomo
nel tempo.

L’opera di Agostino costruisce per, l’occidente cristiano, un alveo profondo in cui il


senso dello scorrere del tempo e la filosofia della storia scorreranno quasi
infallibilmente fino al XIV sec. E’ un argine per molti versi rassicurante: l’uomo –
qualsiasi uomo, anche il non filosofo - può passare tranquillamente attraverso la
contingenza del tempo senza timore della prevalenza del male… Ma è anche un argine
strettissimo: la libertà umana e la sua capacità di partecipare alla realizzazione del
disegno di Dio vengono messi sotto pressione.
Già con Boezio (VI sec.), sul crinale tra mondo antico e medioevo, proprio dove la
Provvidenza preveggente prende il posto del cieco Fato antico, il problema del libero
arbitrio mette in crisi la serenità dell’orizzonte filosofico: se Dio ha il governo del
tempo umano come fanno gli uomini ad essere liberi? Boezio esce dalla stretta a fatica e
più con un bizantinismo che con una vera argomentazione filosofica: Dio ha perscienza
della libertà umana proprio in quanto “libertà”. Dio ha conoscenza di un presente che
non viene mai meno…

(Lettura dal passo della “consolatione philosophie” cap V par 3 segg.)

E’un problema, quello della prescienza divina in rapporto alla libertà umana, cruciale,
con cui il pensiero occidentale farà i conti per tutto il medioevo (cfr. anche il “de
concordia” di Anselmo d’Aosta) e oltre.
Il problema dell’azione schiettamente umana sul tessuto del tempo, dunque, resta
invariabilmente. E in qualche modo, con l’epoca carolingia, si fa ancora più ineludibile.
Con la nascita del Sacro Romano impero la città terrestre stigmatizzata da agostino non
ha più una vera entità con cui identificarsi (Roma) perché l’Impero si definisce sempre
più come corpo materiale della Città di Dio. Salvati e peccatori abitano la medesima
città, condividendo sacro e profano, preoccupazioni temporali e attese escatologiche. Il
dualismo insanabile tra le due città lascia il posto al tentativo squisitamente temporale di
armonizzare i due grandi poteri politici in conflitto, papato e impero.
Dopo Carlomagno, dunque, il tempo dell’uomo diventa sempre meno “attesa” della
teodicea e sempre più territorio di realizzazione concreta del Regno: Già in Scoto
Eriugena, ad esempio, l’ordine della natura ha un punto d’arrivo in Dio che non può
più fare a meno dell’opera umana nel tempo: il significato della “natura creata che non
crea”, il mondo, è quello di essere compreso e riassunto nell’uomo solo in vista di un
ritorno alla “antura increata e increante”. Il tempo intermedio tra l’origine e il ritorno è
occupato dall’impegno dell’uomo di ricondurre tutto a Dio: non ci si può più lasciare
nulla alle spalle, nemmeno la natura bruta e semplice: Tutto il mondo deve essere
inserito nel progresso del tempo.
Con il XII sec. la “riscoperta” di Platone sposta l’attenzione sulla controversia degli
universali, e il problema del tempo e dell’accadere storico degli eventi perde
importanza, sublimato dall’importanza di ossrvare gli enti “sub specie aeternitatis”.
Solamente per poco, in realtà: con il XII secolo è la concretezza dell’azione umana, il
progresso sensibile del tenore di vita dei singoli, dell’economia, delle comunicazioni e –
di conseguenza – delle strutture dello Stato a spingere nuovamente ambiti di
speculazione filosofica verso il nodo problematico della “città terrena”. Furoi dai
chiostri, il Comune cittadino e la vita borghese – pur saenza rifiutare il grande schema
del tempo di Agostino – valorizzano in modo schiettamente laico il tempo umano: viene
alla luce “il tempo del mercante” e spezza il “continuum” dell’attesa che caratterizzava
il tempo di Dio

( lettura di passi tratti da Jacques Le Goff, relativi a “Tempo della Chiesa e tempo del
mercante” )

Sovrasta la città il simbolo inquietante della vittoria dell’uomo laico sul tempo:
l’orologio. Figlio di arti spregevoli come quelle meccaniche, l’orologio meccanico ha
molto più in comune con la bruta intelligenza dei maestri fabbricatori di macchine da
guerra che con la fine sapienza dei teologi. A differenza della meridiana o della
clessidra – strumenti “naturali” che rappresentano bene il persistere del continuum
temporale immaginato dalla teologia - l’orologio meccanico impedisce allo spirito e alla
mente speculativa di adagiarsi nel tempo in funzione delle proprie capacità speculative.
L’ora frantumata in scatti meccanici dalla molla dell’orologio è uguale per la mente del
villano e per quella del vescovo… La “città terrena”, nei rintocchi dell’orologio, trova
una vera e propria “sincronia laica” quasi immagine della sincronia delle sfere celesti. Si
apre nel “universo del pressappoco” il primo spiraglio verso “il mondo della
precisione”.
La città, ancora più di prima, diviene luogo della Storia umana. Gli ordini mendicanti,
Francescani e Domenicani, abdicano per primi all’orgoglioso disprezzo del mondo
cercato dai cenobiti chiudendosi nella bolla di “presente senza tempo” dei chiostri. Il
“fare efficace” e produttivo del mercante comincia a incrinare le certezze morali legate
alla “realizzazione nel mondo”: diventare ricchi e usare il tempo per questo (usura) è
forse peccaminoso ma… ma in molti soino disposti a correre il rischio.
Nell’occidente così “moderno” Tommaso d’Aquino riflette allora in maniera profonda
sul rinnovato rapporto tra uomo e tempo donato da Dio.
E’ pacifico che non è più possibile ritornare alla divisione sprezzante delle “due città”
indicata da Agostino. Gli abitanti della città celeste e gli abitanti della città umana sono
ormai le medesime persone e non possono più vivere la vita “schizoifrenica” di anime
contemplanti travolte loro malgrado dal mondo. Tommaso infatti, non può fare a meno
di constatare – e in questo la riscoperta di Aristotele è fondamentale –che l’uomo è
costituzionalmente un animale “sociale” . L’uomo e cioò che l’uomo “fa” sporcandosi
le mani nel mondo sono la stessa cosa. Il tempo dell’uomo E’ il vero tempo di Dio per
l’uomo. E la legge umana – temporalmente data - è specchio autentico della legge
divina. Così, essere nel tempo è strutturare saldamente la città terrena sul modello della
città celeste, privilegiando la monarchia e cambiando le leggi, se sono ingiuste.
Nessuno dovrà più salire all’Oreb per ricevere la legge scritta da Dio, nessuno potrà più
interrogare personalmente il Maestro: l’unica voce in grado di dare legge di Dio agli
uomini è oramai solo l’uomo che contempli con la ragione il piano di Dio

(eventuale selezione di un paio di passi dalla “summa contra gentiles” di


Tommaso)

Ecco allora che nel corso del XIII sec. l’impronta di Dio sul tempo tende sempre più a
scomparire, come impronta sulla sabbia, cancellata dall’onda ripetuta del “fare” umano
sempre più efficace e sempre meno casuale. Ecco che nel XIII sec. diventano possibili
le idee avveniristiche di sommergibili e aereoplani di Ruggero Bacone, le medesime
idee folli “meccaniche” e sciocche con cui era dato di trastullarsi solo a persone
profondamente incorstate di mondo come gli ingegneri militari (leonardo sarà uno di
loro…).
E tuttavia Bacone già intuisce, sotto la scorza variopinta e grossolana di queste
anticipazioni “meccaniche” qualcosa di molto più profondo e decisivo: “la verità e
figlia del tempo”. E stavolta non si tratta di Verità intesa in modo teologico – il Dio
fine della storia è ormai inesorabilmente spostato in avanti, alla fine dei tempi – ma
della già della certezza scientifica moderna; della verità con la vi minuscola, declinata
nelle centinaia di risposte “vero o falso” ai dubbi pratici dell’uomo.
Il tempo del XIII secolo è pronto a connotarsi fortemente come il ritmo del progresso
umano. Il XIV secolo accelera un moto la cui direzione è ormai data: la scienza
ockamista prepara, portando al massimo affaticamento e al punto di rottura gli strumenti
speculativi aristotelici, la crisi della scienza antica e la nascita della scienza moderna.
E la nozione di tempo e di storia dell’uomo sono ormai pronti ad un ultimo deciso salto:
se con Tommaso le leggi della città terrena sono ancora la copia delle leggi della città
eterna, con Marsilio da Padova e il “defensor pacis” la legge e lo Stato, le vere uniche
creazioni dell’uomo che vive compiutamente il tempo che gli è donato, sono tutte sue:
fonte del diritto e delle regole è la collettività umana e la sua volontà e “dove non sono
sovrane le leggi non vi è stato vero e proprio”. La convivenza umana si deve dare regole
sue proprie.
E’arrivato il momento di guardare davvero nella sua crudezza in faccia la realtà del
tempo umano nella sua brutale semplicità (e siamo alla soglia della visione tagliente e
chiarissima di Machiavelli oramai…) :l’uomo è completamente padrone del suo tempo
terreno e agisce inevitabilmente spinto dai suoi cinici appetiti e dalle sue più basse
necessità piuttosto che dalla luce del Diritto Divino. Trovare le vie efficaci palesi e
nascoste di questa azione, regolare il meccanismo dell’”orologio” uomo e della suo
tempo meccanicamente determinato sarà il nuovo orizzonte della scienza politica. E non
solo…

Parte quarta:–Il mondo Islamico: Dio padrone assoluto della storia

E’ scontato che un discorso sulla percezione del tempo e della storia umana che nel
medioevo non sia completo senza una accenno, perlomeno, alla filosofia della storia nel
mondo islamizzato.
Una premessa in questo senso è fondamentale4: uno degli stereotipi più veicolati dalla
vecchia scuola liceale è quello di un mondo arabo e islamico fuso in una sorta di
“blocco unico” culturale e politico che attraversa l’intero medioevo, laddove gli studi
attuali – e in questo la Turroni è ad esempio molto attenta – badano a sottolineare agli
studenti occidentali le differenze profondissime che dividono il concetto di “arabi”

4
il tema di questo paragrafo è stato svolto consultando il volume di Giuliana Turroni “Il mondo della storia secondo
Ibn Kaldun” con attenzione particolare anche alla prefazione di P. Branca.
A livello didattico, per l’integrazione opportuna dell’unità si ipotizza senz’altro la lettura in classe di alcuni brani della
“Muqqadima” di Kaldun che – come indica la Turroni – è in corso di traduzione italiana presso l’editore Jouvence.
(abitanti di penisola arabica, Marocco e Iraq senza distinzione religiosa ma parlanti una
stessa lingua) e “islamici” (convertiti all’islam anche fuori dal mondo arabo). “Parlare
di Islam in generale, chiedersi quale sia la posizione dell’islam in riferimento a un dato
problema costituisce un falso punto di partenza”5: sarà importantissimo, allora, cogliere
l’occasione dell’argomento dell’unità didattica per sottolineai ragazzi are la ricchezza di
particolari e diversità nel vecchio sclerotizzato concetto di Islam. La “Muqqadima” di
Kaldun costituisce un esempio calzante e appropriato di questo islam “complesso” e
movimentato, in forte tensione (come l’occidente coevo) tra tradizione e modernità
(forse non a caso Kaldun e Machiavelli sono cronologicamente non molto distanti).
Ciò detto entriamo nel merito del concetto di tempo e di storia che impronta la cultura
araba e islamica fino al 1375, anno dell’opera di Ibn Kaldun.
Appare evidente subito che l’idea cardine del tempo che Agostino stigmatizza per
l’occidente si ritrova identico nel mondo islamizzato: trattandosi di una religione
strettamente legata all’ebraismo, l’Islam accoglie certamente la nozione di tempo
umano creato da Dio che scorre dalla Creazione al Giudizio Universale in una direzione
unica e senza soluzione di continuità. E fa sua, allo stesso modo, anche la visione di
una storia nettamente “tagliata a metà” da un fatto preciso, databile: la nascita di
Muhammad e della stesura del Corano. Dio – non in persona come nel caso del
cristianesimo ma con la sua parola– entra nella storia e alla Storia, alle azioni umane dà
senso una volta per tutte.
Con un accento ulteriore: nell’Islam l’abbraccio tra mondo della fede e mondo
dell’uomo, tra “Città di Dio” e “Città dell’Uomo” è soffocante e inestricabile. Ciò che
agostino e l’occidente legge come un continuo problema e confronto di forze, il
rapporto tra potere temporale e spirituale, nell’Islam è risolto in una vera e propria
sublimazione del temporale allo spirituale. La parola scritta nel Corano (con tutti i
problemi che la cosa comporterà…) è “l’ultima parola” del tempo umano,
l’interpretazione definitiva del mondo su cui la società umana deve essere fondata. La
cronologia della Storia, nell’Islam diverrà così quasi un artificio meccanico per
l’affermazione progressiva della parola di Dio in vista dell’Ultimo Giorno. Che, molto
più che nel cristianesimo, diventa il centro di gravità immobile di ogni storia: “l’Islam
non deve le sue origini ad un’idea monoteistica, ma ad una visione escatologica.
L’elemento motore della più antica predicazione meccana non è costituito dalla

5
G. Turroni, cit. pag. 65
pubblicazione perentoria di un credo monoteistico (…) è invece dato dalla prospettiva
immanente dellUltimo Giorno”6.
Il tempo e la storia dell’uomo islamico sono così concentrati in un unico punto: un
punto in cui, si badi bene, non verrà giudicata “l’umanità” in senso ampio, la società
umana e civile ma sempre e solo ogni singolo credente, e sempre e solo per il suo
rapporto privato con la fede e mai con la storia. Che abbia “comandato eserciti” o
“vegetato” sarà irrilevante rispetto ai passi decisivi della sua vita morale.
Questo punto di arrivo rende ragione della visione rigidamente progressiva della storia
nel mondo islamico medievale:7 la storiografia non è una disciplina da fondarsi su
principi di ragione ma sulla tradizione, il racconto e la memoria. “Nel settore della
storia prevaleva ancora incontrastato il principio di autorità che lasciava scarso
margine alla critica delle fonti e alla libera valutazione dell’attendibilità dei fatti
tramandati, consentendo al massimo l’accostamento di più varianti della stessa
narrazione (…) Il lavoro storiografico veniva così ad assomigliare a quello letterario e
in particolare a quello del poeta (…)artigiano della parola che accosta verso a verso
come infilando perle in un monile”. Il protagonista della storia è una volontà divina che
solo i profeti possono indagare. Il tempo nell’Islam è il respiro di Dio.
Si potrebbe facilmente obiettare che anche in Europa i cronisti medievali non si siano
sottratti a una storiografia assolutamente solo narrativa. Tuttavia una differenza
importante con l’Islam va colta: nella sua simbiosi tra potere politico e potere religioso,
il mondo Islamico caricò la narrazione dei fatti passati di significati teologici. La
cronachistica e la storia “esemplare” nell’Islam furono strategici alla costruzione della
civiltà; ed è possibile sostenere questa differenza importante proprio rapportandoci al
presente: “troppo spesso, infatti, testi e lezioni delle scuole di ogni ordine e grado nel
mondo arabo sia attardano alla mera celebrazione delle glorie del passato, presentato
in forma arcaica e mitizzata”8.
Questa, in sintesi, la cronachistica e la storiografia islamica tradizionale. Ma se, come si
è detto, è importante cogliere soprattutto le diversità del “blocco islamico” piuttosto che
le continuità, ecco che ha un senso didattico forte inserire, a questo punto dell’unità
didattica, un ampio discorso sulla filosofia della storia di Ibn Kaldun, vero e proprio
“sovvertitore” della storiografia tradizionale islamica e del suo rigido rapporto con il
tempo.

6
Cfr. senz’altro dal capitolo “escatologia islamica” in “Islam e cristianesimo” di Gilberto Galbiati, a.c. di Attilio
Agnoletto
7
vedi l’introduzione al libro di G. Turroni e i capp. 2 e 3
8
vedi l’introduzione a G. Turroni: cit.
Va subito notato che è possibile, quasi doveroso, un confronto tra Kaldun e la sua
“laicizzazione” della storia e il Machiavelli dei “Discorsi” e del “principe”. Rispetto
all’argomento della nostra unità, infatti, è centrale in entrambi gli autori lo spostamento
importante del punto di vista sulla storia umana dal suo traguardo “metafisico” (la fine
dei tempi) alle forze in gioco nell’orizzonte limitato degli avvenimenti conoscibili.
Entrambi infatti, non forzano l’interpretazione cronologic tradizionale, ma la svuotano
profondamente di significato. Ovunque vada a finire il tempo ciò che appare
assolutamente chiaro è che la mano di Dio su di esso ha un tocco davvero lieve: gli
uomini sono largamente artefici del loro destino…

La Muqqadina: il tempo dell’uomo è la sua capacità di vivere in gruppo.

L’astuzia dell’approccio “nuovo” di Kaldun al problema del tempo storico è tutta nella
aporia semplice in cui riesce a far cadere storiografia musulmana tradizionale.
Secondo tradizione l’unità dell’islam fu un processo possibile unicamente in forza della
vera fede. L’islam, annullando le contese e le divisioni tribali, ha potentemente spinto
avanti la storia umana verso il suo scopo ultimo. Così era stato lo stesso Maometto ad
affermare che ogni motilità verso il potere, ogni conato umano ad aggregarsi in tribù
contro altri gruppi, fosse la mala pianta da estirpare: ogni atto storico umano che non
fosse sottomissione pura era semplicemente malvagio.
A ibn Kaldun, che ha capito perfettamente che proprio l’egoismo umano, lo spirito
tribale o più propriamente lo “spirito di corpo” (Asabyya), è il vero “motore immobile”
della storia, la vera forza fecondante del tempo che Dio abbandona nelle mani umane,
importa invece salvare l’apparente disordine tribale originario come forza viva non
trascendente della storia; per il suo mutamento di punto di vista, dal corso “religioso”
del tempo al corso “umano”, questo recupero è fondamentale. E l’interpretazione
(davvero astuta) della condanna di Maometto contro lo “spirito di corpo” tribale è una
vera rivoluzione copernicana: “ "Quando il Legislatore proibisce o condanna certe
attività umane, o esorta ad abbandonarle, egli non vuole che vengano completamente
omesse o sradicate, o che le forze che da esse derivano non vengano affatto usate. Egli
vuole che queste forze siano usate il più possibile per giusti fini (…) se la forza
dell’irascibilità non esistesse più nell’uomo, egli perderebbe la capacità di far trionfare
la verità: Non ci sarebbe guerra santa né glorificazione della parola di Dio (…) La
propaganda religiosa non può compiersi senza lo spirito di corpo. I profeti, per
propagandare la religione ebbero il sostegno del loro gruppo e della loro famiglia
sebbene essi fossero gli unici che avrebbero potuto essere sostenuti da Dio e da
nient’altro, se Dio l’avesse voluto. Ma Dio, nella sua volontà, ha permesso che le cose
seguissero il loro corso naturale 9”.
Il disegno di Dio si attuerà inevitabilmente, è ovvio, ma in un contesto stavolta
“naturale”, di libere forze in gioco che agiscono ciecamente spinte solo da una logica
propria interna, cieca, quasi meccanica. Così le città, secondo ibn Kaldun, sono argilla
plasmata dal clima, dall’avidità dei commerci, dalla forza irruenta e belluina dello
“spirito di corpo” tribale. Nascono e crescono come organismi umani e come essi si
ammalano e muoiono, seguendo decorsi che la ragione umana (questo è il suo campo
d’azione efficace… solo questo! Sembra di ascoltare Hobbes…) può comprendere
perfettamente. Dio non è allontanato dal tempo dell’uomo ma lo domina sempre più
“per interposta natura umana”: il miracolo e l’evento misterioso scompaiono sempre più
dal tessuto dei fatti, in uno svuotamento sotterraneo apparentemente impercettibile ma
in realtà fatale. O meglio, fatale per l’occidente: da machiavelli in poi, con la
rivoluzione scientifica prima e il meccanicismo cartesiano poi, lo vedremo, il dio
protagonista della storia sarà via via confinato al ruolo sempre più silenzioso di
“orologiaio”, quasi una sorta di ritorno al motore immobile aristotelico.
Nel mondo islamico, viceversa, sopra questa voragine filosofica aperta non solo da
Kaldun ma anche da Avicenna e Averroè, resisterà la superficie adamantina dello stato
confessionale islamico. Il tempo resta saldamente nelle mani del suo Creatore.

9
Ibn Kaldun, “Muqqadima”

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