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La musica è tra le arti la più impalpabile, la più astratta e la più misteriosa. Come è possibile che
delle vibrazioni possano scatenare in noi le emozioni più disparate?
Immaginiamo che degli alieni scendano sulla terra e assistano ad un concerto; con che aria stranita
se ne tornerebbero nel loro pianeta distante anni luce! Magari a fine concerto si congratulerebbero
con il maestro per aver organizzato in maniera ordinata e ineccepibile tutti quei suoni, ma
continuerebbero a non capire perché tanta gente fosse lì (alcuni anche in lacrime!) ad ascoltare una
sequenza anche un po’ ripetitiva di suoni.
Uno di questi alieni si avvicinerebbe ad uno del coro e chiederebbe: “Ma perché per tutto il
concerto hai parlato in questa maniera così strana?” e il corista: “Perché stavo cantando.”
Perplessità da entrambe le parti.
Con questo laboratorio abbiamo cercato di mostrare la musica dal punto di vista di chi la fa, in una
maniera molto semplice: facendola!
Per cantare serve saper respirare in una certa maniera per evitare di a) farsi male alle corde vocali,
b) non svenire durante il concerto.
Per cantare serve sapere bene le regole basilari nel ritmo: quindi cantiamo, ma coinvolgendo tutto il
corpo. Il ritmo è corpo.
Per cantare serve sapere bene che ci sono suoni più alti e altri più bassi (come gli stipetti che ho
sopra i fornelli) o più leggeri e più gravi (come la ricotta e l’anguria): cantare è un po’ come stare in
cucina.
Per cantare serve sapere bene che probabilmente quello con la chitarra farà qualcosa di diverso da
quello che faccio io, magari però mi aiuta sentirlo.
Per cantare serve sapere bene che, se sono in coro, io sono una parte del tutto.
Per cantare serve sapere bene il testo di quello che sto cantando e interpretarlo come meglio credo.
Per cantare serve sapere bene le note di quello che sto cantando e, in un modo bizzarro, non stonare.