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Bruno Maderna (1920-1973), compositore, direttore d'orchestra e didatta veneziano, è stato una

figura fondamentale a livello internazionale per la Nuova musica di metà Novecento.


Diplomatosi giovanissimo in composizione al Conservatorio Romano di Santa Cecilia, si perfezionò
a Venezia con Gian Francesco Malipiero. Nel 1949 divenne, insieme a Pierre Boulez, direttore
stabile dell' Orchestra da Camera Internazionale di Darmstadt, cittadina tedesca dove si tennero dal
1946 al 1990 i Corsi estivi internazionali per la Nuova musica, sede d'incontro e di formazione per
numerosi compositori, critici musicali e interpreti, specializzati nell' esecuzione della musica d'
avanguardia e provenienti da varie nazioni.
La vocazione "pionieristica" di Maderna si esplicò ulteriormente nel 1955, anno in cui insieme a
Luciano Berio fondò lo Studio di Fonologia Musicale RAI di Milano.
Cresti lo definisce «un umanista italiano in mezzo allo sperimentalismo europeo», in quanto
Maderna volle sì utilizzare tecniche nuove per esplorare le infinite possibilità offerte dagli elementi
musicali tradizionali, coniugando però Avanguardia e Storia, secondo la lezione appresa in gioventù
dal suo maestro Malipiero. La concreta prassi del dirigere influì sull' impiego delle procedure
seriali, per cui il suo strutturalismo fu sempre musicalmente vivo e operante, tanto rigoroso quanto
comunicativo: questo lo rese sui generis, attirandogli talvolta anche le critiche di chi invece
considerava l' iperstrutturalismo seriale come unico strumento compositivo.
Uomo di profonda umanità e semplicità, in nessun altro compositore dell'epoca come in Maderna
l'ispirazione musicale fu congiunta con l'esperienza della vita, con umani sentimenti quali la
nostalgia, la sofferenza, la commossa empatia verso il prossimo e l'esterno, come le sue
composizioni degli anni Settanta testimoniano ampiamente.
Nelle sue ultime composizioni, Maderna mise a punto una tecnica aleatoria che si avvale di
originalissimi modi di esecuzione. Ne è saggio emblematico la sua opera Serenata per un satellite.

Scritta nel 1969 in occasione del lancio del satellite europeo ESTRO I dall'isola di Vandemberg
nell'Oceano Pacifico per lo studio dei fenomeni connessi alle aurore boreali, Serenata per un
Satellite rappresenta l'apice lirico e formale della ricerca aleatoria di Bruno Maderna. Dedicata al
fisico torinese Umberto Montalenti, allora direttore dell'ESOC (European Space Operation Centre)
il quale aveva progettato e cordinato il lancio, la “partitura” di questo brano si presenta come un
“reticolato” di moduli musicali, liberamente disposti sulla pagina per diritto e per traverso,
incrociati, storti, ma con indicazioni esecutive di assoluta precisione, affidate alle combinazioni
estemporanee degli interpreti. Interpretare una partitura con le caratteristiche simili a quelle della
Serenata presuppone un'opera di ricomposizione dell'opera, quasi come fosse un puzzle i cui pezzi
siano interscambiabili.
Secondo quanto prescritto dallo stesso Maderna in partitura, "possono suonarla violino, flauto
(anche ottavino), oboe (anche oboe d'amore, anche musette), clarinetto (trasportando naturalmente
la parte), marimba, arpa, chitarra e mandolino (suonando quello che possono), tutti insieme o
separati o a gruppi, improvvisando insomma, ma! con le note scritte", in modo da consentire
all'esecutore di seguire un 'percorso' alternativo ad ogni performance, rispettando una durata
variabile dai 4 ai 12 minuti.
La Serenata rappresenta a tutti gli effetti un’ opera aperta, non esattamente determinata sia riguardo
all’ esecuzione sia al momento stesso della creazione dei materiali musicali. che prevede un
notevole apporto creativo da parte dell'esecutore, la cui interpretazione è essa stessa aperta perché
mutevole nel tempo. L’ interprete, e per estensione l’ ascoltatore, è centro attivo e ordinatore delle
relazioni possibili tra i materiali suggeriti dal compositore, quindi assurge al ruolo di compartecipe
alla creazione. L’ opera d’ arte si trasforma così in operazione d’ arte e l’ esecuzione/ascolto finisce
per diventare happening (“evento”), riproducibile con esiti diversi.

Serenata per un satellite rappresenta una delle pagine più significative nella storia dell'alea
controllata (secondo la teoria di Pierre Boulez di conciliare alea e composizione, casualità degli esiti
musicali e impiego di materiale musicale rigorosamente prescritto), in grado di far scaturire
momenti di alto lirismo e di combinazioni sonore da un materiale musicale inscritto in un percorso
grafico - che delinea grandi orbite nello spazio - non convenzionale, rispetto alla notazione musicale
comunemente intesa.
Come riportato dal musicologo Massimo Mila, Maderna era enormemente attratto da queste
operazioni futuristiche, tanto da tentare di riprodurle in musica, sia da un punto di vista sonoro e
formale, che grafico. L'1 ottobre 1969, sera stessa della messa in orbita del satellite, Moderna
diresse la prima della sua Serenata che intendeva celebrare l'avvenimento. Esecutori ne furono A.
Sweekhorst (flauto, ottavino), il solito Lothar Faber (oboe, oboe d'amore, musette), D. Busse (arpa),
H. Rossmann (marimba) e il celebre Sascha Gawriloff (violino). Per questa prima esecuzione,
inoltre, venne utilizzato il titolo dato nella prima stesura, Serenata per un missile.
Gli esecutori della serata inaugurale dovettero mettere in atto un nuovo modo di reagire alle
manipolazioni grafiche della partitura: si trattava di creare un discorso musicale logico partendo dal
labirinto sonoro di Maderna e di dare vita ad un'improvvisazione nuova e autentica. Interpretare ha
quindi una valenza fondamentale: dona all'esecutore la possibilità di scegliere, di dare forma, di
definire e in un certo senso di "chiudere" l'opera.

In compresenza con gli aspetti non tradizionali della scrittura, troviamo una scrittura
fondamentalmente tradizionale: frasi musicali, sempre molto espressive, note, i normali segni di
articolazione che tutti conosciamo, crescendo, diminuendo, staccato, legato, respiri, indicazioni
metronomiche.
In partitura ci sono anche parecchi segni non musicali: quadretti bianchi e neri che sembrano essere
stati creati come un’ esplosione dall’ incontro tra due righi; scarabocchi; un segno allungato, sotto il
titolo, che potrebbe ricordare un clarinetto; una linea tratteggiata che finisce con una freccia, che
sembra quasi la descrizione del movimento di un insetto; stanghette spezzabattuta più spesse del
normale; righi che si allargano o restringono a dismisura come le linee di fuga di una prospettiva;
note che si trasformano in segni non musicali, quasi simili ad acini d’ uva.

E infine troviamo, in basso a sinistra, le note esecutive, che testimoniano la natura di opera aperta di
questa composizione:

"possono suonarla violino, flauto (anche ottavino), oboe (anche oboe d'amore, anche musette),
clarinetto (trasportando naturalmente la parte), marimba, arpa, chitarra e mandolino (suonando
quello che possono), tutti insieme o separati o a gruppi, improvvisando insomma, ma! con le note
scritte".

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