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I PESITICIDI
ALLEATI O NEMICI DELLA SALUTE?

Quello dei pesticidi è un argomento importante perché i pazienti ci faranno moltissime domande sia per
quanto riguarda l’utilizzo dei cibi biologici che per il loro orto (magari mettono dei pesticidi e poi
manifestano mal di testa o/o tosse). In tutto il mondo poi c’è sempre una maggiore richiesta di cibo, buono
e sano: per produrlo è necessario qualche aiuto e ci si pone la domanda se gli alimenti siano nostri alleati o
dei nemici della salute.
Ci interessa perciò come i pesticidi funzionano e come devono essere utilizzati, come influiscono sulla
nostra salute, quanto impattano sull’ambiente e sul nostro organismo, cercando di evitare i loro effetti
negativi senza tralasciare quelli positivi.

Pesticida: è una cacofonia orribile derivante dall’inglese “pests” (fattori di rischio in ambito agricoltura).
Bisognerebbe parlare di fitofarmaci o fitosanitari1 . La definizione dell’OMS (risalente a 40 anni fa) dice che
sono sostanze attive contro le varie specie animali, i microorganismi e le piante che costituiscono fattori di
danno in campo agricolo e civile.
Sono dunque sostanze attive, utilizzate contro specie animali, microorganismi e piante dannose, col fine di
ucciderle o, quantomeno, controllarle: abbiamo creato dei pesticidi con caratteristiche diverse da quelle di
altre sostanze chimiche di uso comune; li immettiamo volontariamente nell’ambiente e sono dotati di
tossicità intrinseca elevata perché, se così non fosse, non svolgerebbero la loro funzione.
Il loro uso dunque comporta sempre un rischio per l’uomo e gli altri organismi non target utili non
facilmente evitabile: in TV abbiamo visto poco tempo fa le manifestazioni dei contadini contro i
neonicotinoidi perché tali sostanze che uccidono le api.
L’uso di pesticidi non si può evitare, nonostante tra voi ci possa essere qualcuno in disaccordo: non è
possibile pensare di produrre tutto il cibo necessario per sfamare la popolazione mondiale senza l’aiuto dei
pesticidi (utili anche per tenere il cibo fresco e di qualità tra l’area di produzione e quella di consumo).

Riassumendo, le caratteristiche peculiari quali contaminanti dell’ambiente sono:

- Deliberatamente immessi nell’ambiente


- Elevata tossicità intrinseca verso organismi “indesiderabili”
- Limitata selettività di specie (possono essere tossici anche per l’uomo e altre specie non target)
- Utilizzo difficilmente evitabile: servono sia per la tutela della salute pubblica, che per la
produzione alimentare, che per la difesa dell’ambiente degli organismi migranti.

STORIA

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In realtà con questi due termini indichiamo una definizione più ampia, che comprende non solo i pesticidi, ma anche i fertilizzanti.
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Sin dall’antichita l’uomo ha cercato di proteggere le coltivazioni con diverse sostanze (feci,
sangue d’orso2, metalli….); le nostre nonne probabilmente ci consigliano di mettere i geranei sul davanzale
delle finestre per non fare entrare le zanzare e in realtà ha un razionale: questi fiori contengono le piretrine
naturali che allontanano tali flebotomi (lo sapeva anche Alessandro Magno che la notte, durante la sua
campagna bellica in India, usava accendere grandi falò intorno ai campi militari in cui gettava anche fiori,
come i crisantemi, che contenevano queste sostanze repellenti).
Ricordiamo poi che nel 1860 esisteva una poltiglia bordolese (rame e calce) e altri esempi di sostanze attive
che sono state utilizzate e poi successivamente ritirate poiché non facevano bene o non erano efficaci (basti
pensare all’arsenico che oggi è considerato cancerogeno).
Altri esempi furono il DEET (Autan) durante la colonizzazione Tedesca e lo Zyklon A (HCN odorizzato) per
la fumigazione delle stive.
I pesticidi sono stati utilizzati poi sia nelle guerre, come armi chimiche, che nel baby boom avvenuto dopo la
Seconda Guerra Mondiale, quando hanno permesso di sostenere il grande fabbisogno alimentare: è proprio
allora che venne creato il DDT, che poi si è cercato di evitare poiché nocivo per l’ambiente. Esso ha
permesso di debellare la malaria nel nostro paese. Il suo problema è che tende a concentrarsi
nell’ecosistema e quindi comportare esposizione anche a distanza di anni dal suo utilizzo: se io prendo un
mio campione di tessuto adiposo trovo il picco del DDT e del suo metabolita; ma noi abbiamo 20 anni e non
vi siamo mai stati esposti. In realtà ce lo ha passato nostra madre tramite il latte perché si accumula nel
tessuto adiposo con un’emivita che supera i 10 anni, quindi non è eliminabile nel corso della vita! Inoltre,
essendo fortemente liposolubile, viene escreto dall’organismo solo tramite il latte materno.

Long range trasport and air pollution: fenomeno per cui, applicando il DDT nelle zone caldo del mondo
(equatore e tropici ad esempio), vi rimane poco a causa dell’ultravioletto che lo degrada e delle
temperature elevate che lo fanno evaporare, portandolo negli strati alti dell’atmosfera dove trova i venti di
alta quota che soffiano sempre nella stessa direzione, ovvero verso i poli. Questi venti si portano dunque il
DDT ai poli dove, a causa del freddo, condensa e precipita entrando nell’ecosistema delle popolazioni locali,
come degli Inuit (che mangiano il pesce e le foche che, a loro volta, si nutrono di plancton che assorbono il
DDT). È stato per questa ragione ritirato dal commercio negli anni ’60 (in realtà per alcuni utilizzi è ancora
permesso).

Al posso del DDT hanno introdotto gli organi fosforici: questi però hanno mostrato fenomeni di
intossicazioni acute mortali a causa della loro tossicità acuta elevata! In Pakistan addirittura ci sono state
manifestazioni dei lavoratori che chiedevano il ritorno del DDT.

Il problema che emerge con l’utilizzo dei fitofarmaci è riuscire a raggiungere un alto livello di specificità
per il target e una tossicità limitata per i non target.

Poi si è arrivato a copiare i piretroidi e le piretrine3 (le sostanze che contenute nei garofani). Si sono però
formate delle resistenze nei loro target (proprio come per i farmaci): pare che gli afidi di mele e pere
mangino i piretroidi senza problema: ciò significa che non sono utilizzabili (erano stati considerati
promettenti ma poi risultati inefficaci anche nella lotta alla malaria a causa delle loro resistenze!).

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Non funzionava, mentre i metalli come l’arsenico funzionavano, come la poltiglia bordolese con il rame che risale ai tempi di
Alessandro Magno.
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CLASSIFICAZIONE DEGLI ANTIPARASSITARI (potenziale domanda del quiz)

Lo stesso composto posso racchiuderlo in diverse classificazioni (ad esempio se parlo di organofosforici sto
usando una classificazione chimica, se parlo di insetticida di una funzionale e se parlo di carcinogeno di una
tossicologica):

- Chimica: dipende dalle molecole da cui sono composti. La utilizzano coloro che fanno analisi o
vogliono classificare razionalmente i diversi composti

o Esteri fosforici, con più di 100 principi attivi,


sono usati di solito come insetticidi
o Carbammati, usati come insetticidi e erbicidi
o Litio carbammati, molto popolari anche in
Italia
o Cloro organici.
o Fenossicarbossilici: erano contaminati da diossine: quando il prof era al primo anno di
medicina, a Seveso, un impianto che sintetizzava questi acidi ebbe una perdita di controllo
della temperatura di reazione e, di conseguenza, un’esplosione con dispersione della
sostanza nell’ambiente. L’incremento di temperatura fece condensare due molecole di
clorofenolo dando origine alla molecola di diossina (se ne formarono circa 2kg!). In seguito
a quest’evento ci furono casi di cloracne4 nelle bambine: la diossina portò la necessità di
decorticare 1 metro del terreno di Seveso per smaltire le tossine. L’altro caso interessante
riguardo questi pesticidi è l’uso di antiparassitari fenossicarbossilici nella Guerra del
Vietnam: per contrastare la resistenza locale gli Americani passavano con gli aerei e
lasciavano l’agente Orange (diversi parassitari defoglianti, tra cui anche i
fenossicarbossilici), quindi passavano con il Napalm (a base di petrolio) in modo da riuscire
in un attimo a bruciare km e km di foresta tolgiendo rifugio ai locali. Usavano però un

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Se parliamo di piretroidi significa che sono stati prodotti chimicamente, mentre se parliamo di piretrine significa che sono state
estratte dal loro sito naturale.

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Si tratta di un acne ancora più deturpante.
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prodotto altamente contaminato da diossine che hanno coinvolto l’ambiente e ancora ora
se ne riscontrano le conseguenze (malformazioni) - principalmente in Vietnam e Laos.

Anche le Mondine, negli anni ’60, che toglievano le erbacce dal riso, quando diserbo
chimica e manuale si sovrapponevano, sono state esposte massivamente ad alte dosi di
diossine.

Dobbiamo sempre ricordarci che alcune sostanze vietate in UE sono magari tuttora
utilizzate in altre parti del mondo

o Cloroderivati degli acidi fenossicarbossilici: Erbicidi


o Dipiridilici: Erbicidi
o Composti organici dello Stagno: anticrittogamici e acaricidi
o Derivati del nitrofenolo: anticrittogamici e acaricidi
o Derivati delle triazine: erbicidi
o Derivati delle nitroaniline: erbicidi
o Derivati dell’urea: erbicidi
o Idrocarburi alifatici alogenati: insetticidi e fumiganti
o Analidi e Aniline: erbicidi

- Funzionale: è una classificazione basata sull’effetto di questi agenti, per cui è la più utile
all’agronomo. I più tossici sono gli insetticidi perché gli enzimi su cui agiscono nei loro target sono
analoghi a quelli degli organismi viventi superiori (uomini e animali).

o Insetticidi, attivi sugli insetti. Gli inorganici a base di arsenico non sono più usati, ma ci sono
gli esteri fosforici, i cloroorganici (DDT), gli oli minerali e le sostanze di origine vegetale
(alcune usate anche in agricoltura organica in modo che non abbiamo un effetto negativo
sull’uomo).
o Fungicidi, ad esempio in Italia, dove si produce moltissimo vino, i funghi sono quelli che più
affliggono la produzione di uva. Possono essere inorganici o di altri tipi (mercuriati,
stannorganici, clorobenzoli, ditiocarbammati, Tiofalimmidi e altri).
o Acaricidi: solfati ed esteri solforici, clororganici, stannorganici e altri
o Molluschicidi: organici o inorganici
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o Rodenticidi: tossici per i mammiferi perché sono indirizzati verso altri mammiferi (i topi).
Possono essere inorganici, cumarinici, vegetali, azoorganici, fluoroacetato di sodio e
fluoroacetamide.
o Erbicidi

- Tossicologica: la più utile per il medico, è tratta dal libro dell’OMS che fa da guida. A noi interessa
sapere quanto una sostanza è attiva, quindi quanto potrebbe uccidere il 50% degli animali
sperimentali, e bisogna anche tenere conto della via di assorbimento, facile da calcolare
nell’ambito della farmacologia, meno facile da calcolare a carico del contadino nel campo (non
sappiamo mai quanto questo viene esposto). Si sperimenta prima sugli animali e si crea un Safety
Index percentuale, così si evita la tossicità anche in caso di uso errato del pesticida da parte
dell’operatore. La classificazione OMS è basata sulla dose di tossicità 50, o dose letale 50.

Devo stare attento poi a valutare bene se tale sostanza ha una tossicità acuta o cronica: ad
esempio, se si sceglie un teratogeno, non si avranno problemi in acuto ma alla progenie!

Impieghi dei pesticidi:

- Agricoltura tradizionale, dove si cerca di produrre più cibo, sia perdendone la minore quantità
possibile tra la produzione e la tavola, sia cercando dia avere il minor effetto negativo possibile sui
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consumatori, sui lavoratori, o sugli animali non nocivi per la produzione del cibo. Al contempo
devono essere efficaci sui microrganismi nocivi, i PEST.
- Salute pubblica: molto importanti contro la malaria. Tutti gli insetti o piante che possono essere
pericolosi per l’essere umano sono controllati usando pesticidi. Altri esempi possono essere la
fumigazione con lo zolfo delle stive e dei magazzini oppure la santificazione con la calce delle
stalle e di altri ambienti.
- Lotta integrata ante litteram: co-coltivazione di cipolla e agli o patata e tabacco.

ORGANOFOSFORICI (esteri forsforici)

Effetti Acuti: anzitutto la sindrome colinergica: gli insetticidi organo fosforici hanno la caratteristica
di inibire l’Acetilcolinesterasi5, quindi causano un accumulo di Ach a livello sinaptico con conseguente
paralisi, associata ad effetti muscolari, al SNA e al SNC fino alla morte.
In realtà esistono sia i fosforici che i tiofosforici: questi ultimi, per dare l’inibizione dell’enzima, devono
essere prima ossidati, quindi hanno un’azione più rallentata.
L’enzima, per essere inibito, viene fosforilato e tale processo può essere reversibile o irreversibile (“aging”,
invecchiamento dell’enzima dovuto al legame irreversibile): tanto piu è reversibile tanto più e limitata la
tossicità dell’organofosforico per i mammiferi (infatti si sta lavorando molto sull’antitossina che potrebbe
risolvere tale problema).
Questo problema è raro in Italia e, qualora capitasse, ci sono dei centri appositi di tossicologia clinica che se
ne occupano, quindi vi capiterà di rado di vedere tali pazienti: se lavoraste in campagna è comunque
importante sapere riconoscere i sintomi e sapere chi chiamare.
La latenza tra esposizione e sintomi varia da minuti a ore, esattamente come la durata della
sintomatologia (1-5 giorni) e la gravità dell’intossicazione, e tutto ciò dipende da 3 fattori: dose, via
di assorbimento e tipo di composto ne modificano i sintomi.
I sintomi sono di tipo muscarinico e nicotinico: la miosi è tipica, così come la salivazione e la lacrimazione
profusa, la bradicardia, la broncorrea, l’ipotensione e l’insufficienza respiratoria e cardiocircolatoria.

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Enzima che trasforma l’Acetilcolina in colina e acido acetico.
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SINTOMI MUSCARINICI
SINTOMI NICOTINICI
Da accumulo di Ach a livello
Da accumulo di Ach a livello simpatico
parasimpatico

Miosi, visione offuscata e lacrimazione Debolezza, fibrillazione e paralisi.

Salivazione e sudorazione profusa Disartria, astenia e atassia


Broncorrea, broncospasmo, costrizione
Iporeflessia
toracica
Incontinenza vescicale e rettale Convulsioni

Bradicardia e ipotensione Coma

Il sistema che detossifica gli organofosforici è quello della carbosinesterasi6, non presente negli insetti ma
presente nei mammiferi: questa caratteristica è il fulcro per la ricerca della sostanza meno tossica o più
tossica possibile a seconda dei diversi scopi (ad esempio, per fini bellici: i gas nervini sono organofosforici
irreversibili inibenti il sistema della carbosinesterasi).
C’è poi la neuropatia ritardata da organi fosforici: paralisi flaccida del secondo motoneurone con una
componente sensoriale modesta o assente. Dopo 2- 3 settimane dall’esposizione il paziente inizia a
lamentare crampi e debolezza agli arti inferiori, successivo interessamento degli arti superiori, depressione
dei riflessi muscolo tendinei e quindi paralisi. Spesso è reversibile, ma, a volte, dopo la restitutio ad
integrum, passa da paralisi flaccida a spastica (del primo motoneurone per interessamento della colonna
laterale del midollo spinale). Non danno una neuropatia periferica come effetto cronico! Deve esserci per
forza un’intossicazione acuta che causa un’inibizione dell’esterasi neurotossica contemporaneamente e,
quando si guarisce, la reazione comincia a sviluppare la neuropatia con la situazione sopra citata (senza
l’acuta non può esserci la neuropatia ritardata dunque!).
TOCP: usato nelle bevande alcoliche nel Proibizionismo in USA e ha sviluppato migliaia di casi di neuropatia
ritardata.

La via di assorbimento dei pesticidi può essere diversa: a seconda che un pz inali una dose molto
alta, oppure che ne venga in contatto con la cute, avrà effetti diversi. La via inalatoria è la più rapida (quasi
il 100% di ciò che è inalato viene anche assorbito), mentre la via cutanea ha assorbimento più basso per cui
è meno pericolosa.
Studi dall’Africa dimostrano che l’effetto è spesso molto ritardato rispetto all’esposizione, anche dopo 10
dalla fine di un’esposizione prolungata ad una dose anche non pericolosa. Questi effetti su SNC si
manifestano con paralisi flaccida e malattie psichiatriche (depressione, suicidio). In Africa c’è molta ricerca
in questo settore.
Si possono avere anche episodi 1-3 settimane dopo l’esposizione. Si può trattare di una grossa esposizione
singola (ricovero, dimissione e poi ricomparsa dei sintomi dopo poche settimane), oppure di una minima
esposizione prolungata per anni, con qualche episodio di diarrea: questi pazienti però, dopo 10 anni,
presentano un invecchiamento sproporzionato rispetto alla loro età, a causa degli effetti sul SN tanto che

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Anche chiamata esterasi neurotossica (NTE), è un enzima di membrana la cui inibizione ad alti livelli nel midollo
spinale e nel nervo sciatico determina l’insorgenza della neuropatia ritardata. Nel modello sperimentale, l’inibizione ha
luogo 24-48 h dopo la somministrazione dell’antiparassitario mentre la neuropatia si sviluppa dopo 2 settimane circa.
La sensibilità verso la malattia dipende dall’età e sembra essere correlata alla capacità di esprimere lesioni
biochimiche.
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manifestano Parkinson e Alzheimer; quindi dobbiamo sempre prestare attenzione all’esposizione a


pesticidi quando raccogliamo l’anamnesi.
Tutto ciò dipende dalla struttura chimica:

- quando sono fosforici, basta che hanno un legame P-O ed agiscono in


modo immediato sull’organismo (inibizione immediata dell’Ach
esterasi);
- quando sono tiofosforici con legame P-S (es. Parathion) esso deve essere metabolizzato, quindi
l’effetto sarà più tardivo e avvenire a seguito
dell’accumulo di dose.

[NDR guardare le numerose slide per maggiore chiarezza]


In questo studio del 92 si è provato ad associare i vari
composti organofosforici ad eventi avversi, in particolare
suicidi.
In realtà essendo molto tossici, risultano molto efficaci nel
suicidio e vengono spesso utilizzati nei paesi in via di
sviluppo.

Effetti cronici: riguardano soggetti esposti a basse


dosi per un lasso di tempo prolungato, anche con latenza
rispetto alla fine dell’esposizione.
Esempi ne sono:

- La Sindrome della guerra del Golfo, con problemi


mentali dopo il ritorno a causa dell’esposizione.
Durante tale guerra infatti, per evitare
l’intossicazione da Gas Nervino, i soldati Americani erano stati trattati prima dell’esposizione con gli
antidoti (erano anche trattati con antiparassitari in realtà a causa delle condizioni precarie).
- Sheep dipping syndrome: le pecore vengono immerse in “piscine” di pesticidi che rappresentano
una grande esposizione per i lavoratori. Si è notato che in questa popolazione i livelli di esposizione
non sono valutabili e definibili, e quindi si devono pensare metodi per venire a capo di questo
problema, ad esempio vedere la quantità di sostanza attiva comprata dall’azienda (non molto
specifico, perché l’azienda può avere comprato e non utilizzato, oppure i diversi lavoratori di una
stessa azienda possono avere esposizioni diverse); inoltre i lavoratori possono essere stati esposti a
più sostanze attive, e quindi non è facile valutare quale delle sostanze ha causato un certo effetto;
in alcuni lavoratori non è stata trovata alcuna base organica, e nemmeno in ricerca si è trovato il
meccanismo di danno di tali sostanze;
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Queste due classi sono paragonabili ai malati di fibromialgia dunque: sono condizioni in cui ci sono
alterazioni non inquadrabili in alcuna malattia neurologica ben definita, in soggetti esposti a livelli indefiniti
di sostanze e a cui non sono evidenziabili alterazioni biochimiche o fisiologiche; inoltre non hanno nessuna
spiegazione meccanicistica.

CARBAMATI

Come gli organofosforici inibiscono


l’Acetilcolinesterasi, ma il livello di inibizione è
inferiore e meno duraturo nel tempo (l’inibizione è
sempre reversibile), per cui è molto più difficile
avere intossicazioni acute e gravi. Causano dunque
una sindrome colinergica che dura poco nel tempo
e quasi mai danno un’intossicazione acuta.

La loro intossicazione è caratterizzata da una


bassa tossicità per contatto e dalla comparsa
immediata degli effetti (pochi minuti). La
sintomatologia è di breve durata e gli effetti sono
muscarinici, nicotinici e centrali.

Come valutare il rischio nei pazienti esposti ad organofosforici: misuro l’attività


dell’acetilcolinesterasi eritrocitaria (fortemente correlata con quella del SNC). Ci sono tecniche per cui si
misura facilmente tramite il Paper test: si tratta di un cerchietto di carta bibula trattata con un reagente su
cui faccio cadere due gocce di sangue del paziente e valuto l’inibizione dell’Acetilcolinesterasi.
Non devo mai chiedere la butirrilcolinesterasi (plasmatica), perché è meno correlata con quella del SNC.
Fino a che l’enzima non è inibito per il 50%, non si hanno sintomi e, come livello d’azione, poniamo
un’inibizione del 20%. Non è un test che è fattibile con i carmabbati perché è troppo veloce la riattivazione.

Medicina del lavoro – 04/04/2018

Metalli pesanti
Questa lezione riguarda i principali effetti dei metalli pesanti sull’organismo umano.
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Si tratta di un argomento che toccherà poco i vostri futuri pazienti, vi sono numerose nuove norme a tutela del
lavoratore stesso, tuttavia vi sono ancora pazienti che, per esposizione di vecchia data o perché provenienti da paesi con
meno regolamentazioni a riguardo, potrebbero presentare intossicazione da metalli pesanti. Ad esempio, da mercurio.

Cosa sono i metalli? Sono composti chimici solidi a temperatura ambiente (escluso il mercurio), presentano un basso
numero di elettroni nell’orbitale esterno, quindi tendono a formare cationi. La maggioranza degli elementi della tavola
periodica sono metalli.
Tendenzialmente si possono dividere in tossici e/o essenziali, con una semplificazione eccessiva.
Ma facciamo degli esempi per spiegare perché sia una divisione fittizia. Il cromo sembra tossico, ma basta pensare al
citocromo…. O ancora il ferro, è essenziale ma ad alte dosi diventa indubbiamente tossico.
Essenziali significa che sono parte di enzimi, proteine essenziali per la vita, recettori o anche coenzimi.
Si definisce Tossicocinetica il complesso dei passaggi e delle biotrasformazioni alle quali un composto va incontro dal
suo assorbimento alla sua eliminazione dall’organismo. Quindi il modo in cui viene metabolizzato, con reazioni di
primo e secondo tipo.
Tossicodinamica sono i meccanismi dell’azione tossica. La prima azione tossica dei metalli è solitamente a carico
dell’apparato respiratorio, che è anche la prima via di ingresso. La parte anatomica dell’apparato respiratorio
maggiormente interessata da queste sostanze dipende dalle caratteristiche chimico fisiche della sostanza stessa. Seguono
pattern tipici delle polveri. La sostanza, le polveri che raggiungono il polmone, sono solo parte delle polveri inalati.
Si tiene conto del volume, del diametro detto aerodinamico ponderato sulla massa. Tanto più alta è la massa, tanto
maggiore il diametro aereodinamico, ossia tanto maggiore il grado di impattamento sulle pareti. 0,5 e 5 micron sono le
frazioni che raggiungono il polmone. E < 0.5 si comportano come il fumo, restano in soluzione; mentre >5 non arrivano
in alveolo. Se la sostanza è idrosolubile, non è poi un problema la massa perché può passare in soluzione ovunque.
Altra cosa importante, altra forma di esposizione della popolazione generale è tramite l’apparato digerente. Va sempre
considerato il legame con proteine plasmatiche: se legata alle proteine del plasma nessuna sostanza tossica esercita
capacità lesiva, tranne nella forma libera, che però è solo una frazione.

Parliamo ora dei metalli che più sono stati causa di danni in anni passati.

PIOMBO:

Porta al saturnismo (da saturno), usato già come termine da antichi egizi e romani. Alcuni archeologi medici hanno
trovato ossa antiche con un’alta concentrazione di piombo, tali da far pensare che il defunto fosse effetto da saturnismo.
Avveniva perché i piatti e le posate venivano fatti con il piombo.
Ancora oggi può capitare, anche e soprattutto come intossicazione alimentare se si utilizzano utensili in piombo (es. in
Niger).
Un tempo era elevatissima la concentrazione nell’ aria. Il massimo venne raggiunto negli anni ’60 quando si è andato a
misurare la concentrazione di anidride solforosa e piombo, sempre elevati in maniera proporzionale. Oggi ve ne è
pochissimo, ad oggi a misurare la piombemia si avrà 5/4 microgrammi/ml.
Le due esposizioni maggiori sono industriale e componenti per le vetture. Altra cosa, ad esempio la vernice antiruggine
ad oggi è garantita piombo-free, ma fino ad una decina di anni fa esse erano con il piombo. Basti pensare ai cancelli
verniciati anni fa, restano ancora fonti di piombo.
Ancora, le navi. Le navi sono coperte da grandi strati di antiruggine. Va indagato il lavoro del paziente, gli addetti alla
manutenzione delle navi potrebbero andare incontro ad elevatissime concentrazioni.
La ceramica, le polveri usate come coloranti molte volte contengono anche metalli come piombo, arsenico etc. Alcune
porcellane contengono una sostanza detta vetrina a base di piombo. Almeno, lo era. Era una sostanza posta come ultimo
passaggio di lavorazione delle porcellane e polimerizzando diveniva trasparente.
Se usata su utensili da cucina, molte volte veniva poi assorbita nell’ utilizzarle.
Curiosità: i cristalli di Boemia sono realizzati aggiungendo piombo a vetro, ma essendo una sostanza cristallizzata, non
pongono rischio alcuno per la salute.
Altra forma di possibile intossicazione è la pica. Con pica si intende la tendenza a mangiare sabbia ed alimenti non
commestibili, come calcinacci ricoperti di vernice plumbea. Il picacismo tendenzialmente è presente nelle classi
socioeconomiche più disagiate, con una prevalenza specie nel sud America. Si correla talvolta con un’anemia
sideropenica oppure con forme di ritardo mentale.
Facciamo un esempio. Il collega si trovava davanti a un caso bizzarro: il pz aveva pessime abitudini alimentari, beveva
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4 lt/ die al giorno di acqua. Per pulire i bottiglioni usava una manciata di pallini da caccia e li scuoteva con acqua nel
bottiglione per pulirli. I pallini da caccia contengono piombo.
Ancora nella distillazione casalinga di liquori.
Bisogna rendersi conto che va sempre indagata la possibilità dell’intossicazione, sia possibili contaminazioni dall’
apparato digerente che respiratorio.
Tossicocinetica: Il piombo va a legarsi alla parte interna della membrana dei globuli rossi che non è attivo, una parte
alle proteine plasmatiche, e il resto rimane come frazione diffusibile che crea una condizione di equilibrio con diversi
comparti. Abbiamo tre equilibri che si instaurano: un equilibrio velocissimo, veloce e lento. Velocissimo con eritrociti e
proteine plasmatiche. Abbastanza rapido con tessuti molli e può essere ceduto. Intermedio con osso spongioso, muscoli
ed apparato tegumentario da dove è difficile che si sposti. Il compartimento più lento è dato da capelli, denti ed osso
compatto, nel quale può permanere anche per venti anni. Si tratta di una quota tendenzialmente innocua ma prontamente
disponibile in caso di fratture e/o alterazione del tessuto osseo.
Una frazione viene quindi scambiata, una eliminata ed una stoccata.
Tuttavia se si aumenta l’esposizione può darsi che il piombo vada a stoccarsi nei comparti a scambio lento, quindi che
la piombemia risulti normale. Al punto che diversi esperimenti condotti su operai industriali mostravano una
piombemia normale, ma alla misurazione della piomburia post uso di chelante tipo arsenato di calcio mostravano dei
livelli altissimi. Talvolta si trattava anche di una mossa pericolosa a cause degli alti livelli di piombo così liberati. Un
trattamento troppo aggressivo avrebbe causato un’intossicazione acuta.
L’ azione del piombo parte dal ciclo di Krebs, per poi arrivare all’ eme attaccato alla globina. Vi sono enzimi bloccati
in maniera completa (linea continua dello schema) o parziale (tratteggiata). Acido aminolevulinico non viene più
trasformato, o anche la protoporfirina dei gr.
Il malato si presenta anemico da ridotta produzione, normocromica e normocitica. Caratteristica che deve preoccupare.
Riduzione della sintesi dell’eme. È comunque una cosa molto rara da osservare, forse solo in India si arriva a una forma
così conclamata.

È ben documentata l’inibizione della  delta-


aminolevulinato-deidratasi (o delta-ALA-
deidratasi) e della ferrochelatasi, enzimi
sulfidrile-dipendenti. La ferrochelatasi è
l’enzima responsabile dell’incorporazione dello
ione ferroso nella protoporfirina, che porta in
tal modo alla formazione dell’eme. Quando la
ferrochelatasi viene inibita dal piombo, la
protoporfirina in eccesso prende il posto del
gruppo eme nelle molecole di emoglobina. Lo
zinco viene incorporato nella molecola di
protoporfirina dando luogo alla formazione
di zinco-protoporfirina, un composto
intensamente fluorescente che può essere
utilizzato per diagnosticare l’intossicazione da
piombo. L’avvelenamento da piombo è ca-
ratterizzato dall’accumulo di protoporfirina IX e di ferro non emico negli eritrociti, da accumulo
di delta-ALA nel plasma e da aumentata escrezione urinaria di  delta-ALA. Si assiste, inoltre, ad
aumentata escrezione urinaria di coproporfirina III (il prodotto di ossidazione del
coproporfirinogeno III), ma non è chiaro se questo sia dovuto a inibizione dell’attività
enzimatica o ad altri fattori. L’aumento dell’eliminazione di porfobilinogeno e di uroporfirina è
stato riportato solo in casi particolarmente gravi. L’aumento di attività dell’enzima delta-ALA-
sintetasi è dovuto alla riduzione della concentrazione cellulare di eme, che regola la biosintesi
di delta-ALA sintetasi tramite un meccanismo di feedback negativo. La misurazione dei
precursori dell’eme fornisce un indice sensibile dell’assorbimento recente di sali inorganici di
piombo. L’attività della  delta-ALA deidratasi negli emolisati e la presenza di delta-ALA nelle
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urine sono indicatori sensibili dell’esposizione al piombo, ma non sufficienti a quantificare i


livelli ematici del metallo.

Sintomatologia clinica:
segni precoci sono a carico dell’apparato digerente: inappetenza, dispepsia, dolori addominali. Cute: pallore, di solito
con livelli superiori a 80 micorgrammi su/100 ml.
I sintomi però più tardivi sono anche quelli più preoccupanti.
A parte l’anemia, molto spesso si hanno anche effetti sul SN, tra cui riduzione della velocità di conduzione
sensitivo/motoria, tipicamente una paralisi flaccida del nervo radiale a carico del 2 motoneurone, con impossibilità di
estensione della mano.
Alterazioni delle funzioni psicologiche, in alcuni soggetti predisposti si hanno anche alterazioni comportamentali. Si
ipotizzano perché sono alterazioni molto più sfumate rispetto ad una anemia.
Sono soggetti pallidi, sia per l’anemia sia per la vasocostrizione.

MERCURIO:
IL mercurio viene considerato come un possibile cancerogeno secondo la IARC, classe 2B (vedere il fondo della
sboina) (se siete interessati Colosio sarebbe disponibile a organizzare una lezione in merito). La gran parte di
esposizione “naturale” è in zone vulcaniche o nelle solfatare. Altre possibilità sono per esempio l’estrazione del
minerale stesso in miniera, dell’oro, o ancora in tutte quelle procedure relative alla combustione del carbone o della
produzione di cemento.
Una volta l’amalgama delle otturazioni dentistiche era anche a base di mercurio. Causò inutile allarmismo, perché il
dente era devitalizzato e l’amalgama incapsulata. Era molto più rischioso rimuoverle perché vi era il rischio di rompere
le capsule con conseguente rilascio di mercurio.
Pensando alla tradizione in Inghilterra si dice matto come un cappellaio, si usava un amalgama di mercurio per trattare
le pelli di coniglio. I cappellai inalavano grandi quantità di mercurio. La figura del cappellaio matto era la
rappresentazione della malattia professionale dei cappellai.
Già nel primo secolo A.C. si avevano casi di intossicazione, idem nel passato era usato per il trattamento della sifilide o
ancora nella lavorazione degli specchi.
Per quanto riguarda la popolazione generale l’intossicazione da mercurio può avvenire per inalazione di amalgame
dentarie, consumo di animali acquatici contaminati dal mercurio (mercurio ORGANICO, per lo più metilmercurio),
contaminazione atmosferica. In ambito professionale si ha invece inalazione di vapori di mercurio, o ancora inalazioni
di polveri o aerosol.
Le manifestazioni variano a seconda che si tratti di una sindrome acuta oppure cronica.
Ad intossicazione acuta (inalazione di dosi elevate di mg/m3) possono comparire: dolore, senso di costrizione toracica,
tosse, dispnea ed emottisi (bronchite erosiva, polmonite interstiziale), e se si ha un exitus è solitamente per insufficienza
respiratoria terminale. In casi non fatali si hanno reazioni psicotiche, delirio, tendenze suicidarie  Organo critico si
rivela sempre il SNC.
In caso di esposizione cronica a concentrazioni elevate (dell’ordine di 100 microgrammi/m3): sindrome neurologica con
tremore statico ed intenzionale, insonnia, alterazione della personalità, deficit dell’attenzione e della memoria,
debolezza. Vapori di mercurio o composti mercuriali possono dare sensibilizzazione e dermatiti da contatto. Amalgame
danno rash cutaneo o problemi del cavo orale; se ad esempio si trovi del mercurio nella protesi, si possono avere anche
manifestazioni lichenoidi del cavo orale.

Il cvm è il monomero del pvc (polivinilcloruro). È a base di cloro, che è estratto dal sale che è estratto dal mare e si usa
come catalizzatore del processo di produzione del
mercurio, che via via contaminava il plancton, che
andava poi a contaminare il pesce. Fu così che in
Giappone vi furono epidemie di intossicazione da
mercurio usato in un impianto di cloro-soda per la
produzione finale di pvc. Fu chiamata la malattia di
Minimata. Interessò ambo i sessi di tutte le età,
coinvolse oltre 700 soggetti, con una mortalità del
40% ed elevata incidenza di invalidità permanente.
Numerosi bambini rimasero colpiti a lungo termine
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con effetti come cecità, sordità o ancora ritardo mentale se intossicati nel grembo materno. Non fu l’unico episodio
storico, tra gli altri episodi si possono ricordare Nigata (JAP), Iraq in cui l’agente causale fu del pane realizzato con
frumento trattato (e destinato alla semina).
La malattia di Minimata è caratterizzata da parestesie alle estremità, anomalie della deambulazione, riduzione del
campo visivo, disartria e ipoacusia/sordità, ritardo mentale.

In Italia sono stati realizzati degli studi sul contenuto di mercurio nel pescato locale di Carloforte, si sono misurati i
livelli di mercurio. Si è visto che maggiore è la taglia del pesce in questione, maggiore il contenuto di mercurio.
Insomma più piccola la taglia, più giovane il pesce, minore il contenuto di mercurio. In sintesi il tonno- più ricco di
mercurio- presenta 1.51 microgrammi di mercurio/ g di polpa umida, mentre invece la muggine –minore contenuto di
mercurio- presenta 0.04 microgrammi mercurio/ g di polpa umida.
Tuttavia si è calcolato che anche con un’assunzione di tonno massiva giornaliera per anni, non si raggiungerebbe
comunque mai la soglia necessaria per avere una tossicità effettiva. È quindi utile rassicurare pazienti, e soprattutto
genitori di piccoli pazienti, per i quali l’assunzione di pesce o prodotti marini risulta essenziale per una corretta
alimentazione.

Al di là delle sindromi date da intossicazione acuta o cronica da alte dosi di mercurio si possono riscontrare anche
effetti biologici di esposizioni a basse dosi di mercurio.

Si è visto che le amalgame non hanno di fatto influenza su indicatori neurocomportamentali (ricordiamo però che si
tratta di una valutazione poco oggettivabile). Si verifica un aumento dei CD4 e CD8 negli esposti, con riduzione di IL-
8.
Insomma sembra che allo stato attuale delle conoscenze i valori limite attualmente proposti (escrezione urinaria di
mercurio non superiore a 35 microgrammi/ grammo di crea) siano protettivi per gli esposti.
Non vi è nessuna evidenza di effetti da amalgame.

Tornando al Pb, come tutti i metalli pesanti o quasi, l’intossicazione da piombo organico dà una sindrome tipo
MINIMATA, invece da piombo inorganico dà una sindrome simile a quella del capellaio.

CADMIO

Utilizzato per le cromature, non eseguite solo con cromo ma anche con cadmio. Usato nell’ industria
galvanica, apposizione di un metallo su un altro tramite energia elettrica.

La normale procedura per svolgere un trattamento di galvanostegia prevede che:


in una vasca, che costituisce il cosiddetto bagno galvanico, contenente una soluzione acquosa del sale del
metallo da depositare, sono immersi due elettrodi: il catodo è costituito dall'oggetto da ricoprire, mentre
l'anodo può essere costituito dal metallo che deve essere depositato, da un altro metallo inerte o da grafite.
A questi due elettrodi viene imposta una differenza di potenziale mediante un generatore di corrente. In tali
condizioni i cationi del metallo da depositare si muoveranno verso il catodo (caricato negativamente),
mentre gli anioni si muoveranno verso l'anodo (caricato positivamente).
Ai due elettrodi si hanno i seguenti fenomeni:
 acquisto di elettroni al catodo (riduzione);
 produzione di elettroni all'anodo (ossidazione).
Sul catodo si depositano quindi i cationi, che acquistano elettroni all'anodo e si trasformano in atomi
metallici. In tal modo il catodo viene lentamente ricoperto da un sottile strato metallico mentre l'anodo,
quando è sacrificale, viene lentamente consumato rilasciando ioni in soluzione. In relazione allo strato
metallico che si intende depositare, che solitamente è di decine di micron o meno, per un determinato
valore di densità di corrente (espressa in A/dm2) alla quale lavora il bagno e conoscendo la velocità di
deposizione, basta impostare il tempo necessario per formare un deposito dello spessore desiderato. Alcuni
bagni, come quelli utilizzati per il deposito di metalli nobili quali l'argento o l'oro, utilizzano anche una
soluzione di ioni cianuro e per tale motivo sono detti "bagni al cianuro". Questo tipo di bagni richiede, per
legge, operatori abilitati all'utilizzo del cianuro, abilitazione riconosciuta tramite concessione di un
patentino rinnovabile. Rodio, nichel, rame, cromo e zinco sono altri metalli che vengono comunemente
utilizzati in galvanostegia.
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Ecco questo è l’uso del cadmio, usato anche nella realizzazione


di pigmenti, per lo più gialli.
Il pigmento tinge il substrato per impregnazione, il colorante
invece, per azione chimica. Anilina un clorante, il cadmio nei
pigmenti.
Il cadmio può anche entrare per inalazione. Esempio di tossico
cinetica: assorbimento per via inalatoria, finisce nel torrente
circolatorio e viene legato a una proteina la cui sintesi è a livello
epatico ed è data dalla presenza stessa del metallo
( metallotioneina o cadmio tioneina).
(le slides vengono da un altro sito).
Viene poi trasferito al rene dove viene trasportato in maniera
attiva a livello tubulare e assorbito TCP (tubulo contorto
prossimale) e dove stipula un nuovo legame intracellulare con
metallotioneina.
Si ha una tubulopatia prossimale, dove il cadmio si accumula
nella cellula tubulare, ma in fase di accumulo non si
manifestano effetti tossici. Sino a questo punto non c’è
significativa cadmiuria. Quando si supera la capacità legante si
ha cadmiuria. A questo punto si possono avere danni. Tossico
soprattutto nella sezione S1 del TCP.
In seguito si verifica cadmiuria ed eliminazione precoce di ag tubulari (BB50 frazioni dell’orletto a spazzola) e
eliminazione di proteine a basso peso molecolare che dovrebbero venire riassorbite, più escrezione urinaria di enzimi
indicativi di necrosi tissutale. Si arriva fino a una nefropatia conclamata con escrezione di proteine ad alto peso
molecolare.
Le cellule renali in lisi liberano enzimi di necrosi quali fosfatasi alcalina, γ-GT, N-aceilglucosaminidasi.
Nel pz in questione si possono misurare enzimi quali b2 microglobulina rispetto ad altre proteine come retinol-binding
ed enzimi renali che vengono persi più facilmente.
Abbiamo sia effetti acuti da esposizione inalatoria (dosi elevate da fumi contenenti cadmio) quali polmonite acuta con
edema polmonare, talvolta letale. Se c’è ingestione di elevati dosi di sale di cadmio abbiamo gastroenterite acuta.
Cronicamente possiamo avere BPCO a livello polmonare ed alterazioni ventilatorie precoci che possono evolvere in
insufficienza respiratoria. Insomma se abbiamo un pz con BPCO e storia di lavoro di metalli, il fumo di sigaretta è solo
uno dei possibili agenti causali della malattia.
A lungo termine il cadmio si accumula nel tessuto osseo dove può modulare il metabolismo di Ca e P con carenza di Ca
e Vit D che determina una malattia di osteomalacia detta anche Itai-Itai-disease. È caratterizzata da una forma di
osteoporosi tanto pronunciata da causare a volte anche crolli di interi corpi vertebrali; questa condizione patologica è
stata osservata in una frangia limitatissima della popolazione e mai in lavoratori.
Il cadmio è considerato cancerogeno secondo la IARC, si hanno evidenze che a lungo termine possa aumentare il
rischio del cancro polmonare.
Altra conseguenza è l’anosmia, che non ha solo cause genetiche ma anche da intossicazione da metalli.

È utile conoscere la scala IARC, più a fini preventivi


che diagnostici.

Categorie IARC
Agenti, miscele ed esposizioni, sono suddivisi in cinque
gruppi.
 Gruppo 1 - Cancerogeno per l'uomo: questa
categoria viene utilizzata quando c'è
sufficiente evidenza di cancerogenicità
nell'uomo. A giugno 2016, 118 agenti sono
stati classificati come cancerogeni per l'uomo.
 Gruppo 2A - Probabilmente cancerogeno per
l'uomo: questa categoria viene utilizzata
quando c'è limitata evidenza di
cancerogenicità nell'uomo e sufficiente
evidenza negli esperimenti su animali. In
alcuni casi, un agente può essere classificato
in questa categoria quando c'è inadeguata
evidenza nell'uomo, sufficiente evidenza
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nell'animale da esperimento e forte evidenza che il meccanismo di cancerogenesi osservato negli animali
valga anche per l'uomo. Eccezionalmente, un agente può essere classificato in questa categoria anche solo
sulla base di una limitata evidenza di cancerogenicità nell'uomo. Il termine probabilmente cancerogeno non
ha significati quantitativi rispetto alla cancerogenicità, ma si riferisce solo al livello di evidenza. Le prove di
cancerogenicità nell'uomo di un probabile cancerogeno sono maggiori di quelle di un possibile cancerogeno.
A giugno 2016, 80 agenti sono stati classificati come probabili cancerogeni per l'uomo.
 Gruppo 2B - Possibilmente cancerogeno per l'uomo: questa categoria viene utilizzata per agenti per i quali
c'è limitata evidenza di cancerogenicità nell'uomo e meno che sufficiente evidenza di cancerogenicità negli
animali da esperimento. Può anche essere usata quando c'è inadeguata evidenza di cancerogenicità nell'uomo
ma c'è sufficiente evidenza di cancerogenicità negli animali da esperimento. A giugno 2016, 289 agenti sono
stati classificati come possibili cancerogeni per l'uomo.
 Gruppo 3 - Non classificabile in relazione alla sua cancerogenicità per l'uomo: questa categoria viene usata
di solito per agenti per i quali l'evidenza di cancerogenicità è inadeguata nell'uomo e inadeguata o limitata
nell'animale da esperimento. Eccezionalmente, possono essere collocati in questo gruppo agenti per i quali
l'evidenza nell'uomo è inadeguata ma l'evidenza nell'animale è sufficiente e vi è forte evidenza che i
meccanismi di cancerogenicità nell'animale non siano operativi nell'uomo. Vengono anche classificati in
questo gruppo gli agenti che non ricadono in nessun'altra categoria. A giugno 2016, 502 agenti sono non
classificabili in relazione alla loro cancerogenicità per l'uomo.
 Gruppo 4 - Probabilmente non cancerogeno per l'uomo: questa categoria viene utilizzata per agenti per i
quali c'è evidenza di assenza di cancerogenicità sia nell'uomo, sia nell'animale da esperimento. A giugno
2016 un solo agente è stato classificato come probabilmente non cancerogeno per l'uomo.

ARSENICO
L’arsenico si trova negli animali marini. Ma si tratta di arsenico organico, che è innocuo almeno secondo le nostre
conoscenze attuali. L’ arsenico inorganico è quello rischioso. Si trova specie nell’ industria elettronica. Arsenico con
arsina e antimonio con la stilina, e contatto con acido danno vita a potenti agenti emolitici. È possibile che un addetto
alla saldatura abbia episodi di anemia emolitica specie notturna in seguito ad esposizione massiva.
Ulcerazioni della cute, onicomicosi, cheratosi sono le principali manifestazioni patologiche.

Non sono però da contatto, sono da effetto sistemico. L’arsenico va a depositarsi in tessuti col maggiore contenuto di
gruppi-SH, ossia cute. Ecco perché si hanno anche tumori della cute.
Anche patologie a carico polmonare ma anche stenosi portale con ipersplenismo conseguente. Anche quadri neurologici
sono possibili con una neuropatia sensitivo motoria. Può dare anche un angiosarcoma epatico, causato anche dal cloruro
di vinile.
Per quanto riguarda la patologia polmonare si è visto in diversi studi che questo aumenta il rischio di K polmone e K
fosse nasali, specie in addetti alla calcinazione e pulizia impianti.
L’arsenico organico si trova nei molluschi e crostacei o anche in legna vicina a zone della crosta terrestre ricche di
arsenico che sono di origine organica quindi tendenzialmente innocuo.
Le acque dei pozzi del Lazio e del Bangladesh sono ricche di arsenico. Questo rappresenta anche un problema serio,
poiché possono presentarsi anche effetti piuttosto rilevanti.

Si citano ora poche caratteristiche spot di altri metalli.


NICKEL: è un potente agente allergizzante, usato nelle monete (nickelino). A volte anche determina eruzioni cutanee
per contatto. Cancerogeno solo nella fusione, quindi patologia solo dei lavoratori.

CROMO: potente allergizzante, molto diffuso, molte allergie da contatto sono dovuto al cromo anche perché è usato
persino nella lavorazione delle pelli. Cromo metallico può dare allergia, trivalente idem. È cancergeno nella forma
esavalente, usato nella lavorazione, saldatura etc. La neoplasia polmonare può essere dovuta al cromo (riguardo al
cromo si prosegue nella lezione successiva).

Medicina del lavoro – 06/04/2018

Tossicità metalli (2° parte) e solventi


Cromo
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Il cromo è molto diffuso nell’ambiente produttivo, ma anche in assoluto nel mondo. Il medico trova con grandissima
frequenza soggetti sensibilizzati al cromo. È una delle principali cause di eczemi di difficile diagnosi. Dovete
sospettarlo quando vi trovate di fronte a un eczema disegnato perfettamente attorno al filo del cinturino dell’orologio o
un eczema del palmo delle mani del pz che usa una delle vecchie valigette in pelle. Faremo poi una lezione più
approfondita sul cromo come allergene quando affronteremo le allergopatie professionali.

È da tenere in conto perché potrete incontrare un paziente allergico al cromo da riconoscere come paziente portatore di
patologia professionale oppure un paziente non portatore, ma a rischio in quanto allergico. Il cromo esiste in forma

 Metallica
 Trivalente
 Esavalente

L’esavalente è il più reattivo. Il cromo è così critico perché si


comporta da aptene: è molto piccolo e passa facilmente le barriere.
Può essere responsabile di cancerogenesi.

Se il pz per qualche motivo lede il film idrolipidico superficiale e


nello stesso tempo è esposto a cromo, sarà molto più a rischio di
sviluppare patologia rispetto a chi non ha questo tipo di attività.
Pensate a chi lavora contemporaneamente con solventi e
coloranti/pigmenti al cromo: il solvente distrugge il film idrolipidico
superficiale e il cromo crea molto più facilmente sensibilizzazione.
Questa è una forma di sinergia tra fattori di rischio.

Un altro effetto tipico del cromo - che non si vede più tanto
nelle nostre zone ma esiste ancora in Brasile, Colombia,
Montenegro, Albania - è l’ulcerazione del setto nasale da
cromo. Nel lavoratore che inala cromo, questo come polvere o
fumi chimici si deposita lungo le mucose nasali. Il cromo-VI
viene usato nella concia (per lavorare la pelle in cuoio) e
analogamente esso denatura anche la cute. La zona di Little,
alla base del naso, proprio all’ingresso delle narici, è poco
vascolarizzata quindi estremamente indifesa: in questa zona il
cromo si deposita e crea irritazione cutanea che dà soluzioni di
continuità con la cute, poi penetra nel sottocute, esercita un
effetto di denaturazione delle proteine e piano piano arriva
prima a creare irritazione diffusa e poi addirittura ulcerazione.

In Brasile è quindi possibile trovare lavoratori addetti alla


cromatura con setto nasale completamente perforato dal contatto con il cromo.

Neoplasie da cromo

Il cromo è nel gruppo 1 IARC, che vuol dire “sostanza certamente


cancerogena per l’uomo” stabilita con evidenza sperimentale ed
epidemiologica. Questo significa che più studi epidemiologi su
popolazioni esposte sono tra loro concordanti, indicando un aumento
dello SMR (standardized mortality ratio). Negli studi retrospettivi, SMR
è uguale al rapporto casi osservati/casi attesi per 100. Un valore di
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oscillazione dello SMR superiore a 1 vuol dire che anche la coda minima della popolazione è al di là di 1 (dove 1
significa attesi=osservati) e quindi è statisticamente significativo. Tanti studi concordanti che indicano SMR aumentato
sono sufficienti a stabilire che quell’agente è cancerogeno per l’uomo.

Il cromo-VI è nel gruppo 1 IARC, principalmente per il tumore del polmone. Tenete conto che si parla di grandi studi
su attività molto specifiche, ad esempio “fusione del cromo”. Ci sono poi ambiti in cui siamo in dubbio: il pz che fa il
saldatore (ad esempio saldatura delle rotaie del tram) è esposto ad alcuni fumi che contengono ossidi di metalli, tra cui il
cromo. Stante che li contiene insieme ad altre sostanze, non abbiamo una certezza assoluta che il rischio aggiuntivo di
tumore polmonare che interessa il saldatore possa essere dovuto al cromo.

Altri metalli
1. Alluminio:
- Metallo più abbondante sulla crosta terrestre
- Nessun ruolo fisiologico noto
- Effetti respiratori: fibrosi polmonare, pneumoconiosi, asma (mai confermati con certezza)
- Alcuni dati indicano alterazioni neuro-comportamentali in lavoratori esposti
- Possibile associazione con malattia di Alzheimer (controversa)
- interessante in particolare perché nei dializzati trattati con grandi dosi di Maalox per motivi medici si
osservavano casi di encefalopatia e osteomalacia. Capite quindi che il dato occupazionale si incrocia ad
altri aspetti.
2. Antimonio: insieme all’idrogeno forma la stibina, un gas che può causare crisi emolitiche acute. Ricordate che
un altro gas che causa crisi emolitiche acute è l’arsina, liberata in seguito ad applicazione di una fiamma su
superfici contenenti arsenico. L’antimonio può dare anche effetti respiratori (irritazione, pneumoconiosi non
sclerosante), dermatiti e disturbi gastrointestinali.

3. Berillio: usato come propellente per missili (industria aerospaziale) o in leghe. Ha ancora un grosso impatto
sulla salute: 1-15% degli esposti lamenta sintomi. Sono stati segnalati effetti anche per concentrazioni inferiori
ai limiti. Causa forme acute e croniche, tra cui un’importante granulomatosi polmonare caseosa, con la parte
centrale dei granuli che tende a colliquare (dd con tbc).

4. Cobalto: importante perché fa parte dei metalli duri usati in processi produttivi di materiali di grande interesse
industriale. Sono interessati i lavoratori che usano i dischi per lisciare le saldature dei binari dei treni (che,
come abbiamo detto, possono anche sviluppare nel lungo periodo la sindrome di mano-braccio). Il disco che fa
le scintille è fatto di un minerale ad alto contenuto di cobalto che prende il nome di Widia (dal tedesco “come
diamante”): sono leghe che contengono metalli duri tra cui il cobalto. Il cobalto dà il polmone da metalli duri,
una fibrosi polmonare che se non riconosciuta viene classificata come idiopatica. Nella diagnosi di idiopatica si
prospetta al pz un trapianto di polmone o un tumore entro 5-6 anni, mentre nel caso della fibrosi da cobalto la
rimozione dell’agente causale blocca la progressione della patologia. Per questo è molto importante
riconoscere le due situazioni.

Domanda: i tornitori che utilizzano i metalli duri dunque sono una categoria a rischio per sviluppare queste
patologie? Sì, anche se devo dire che in generale in Italia le condizioni di lavoro sono tali per cui non mi
aspetto epidemie di patologia conclamata. Purtroppo talvolta capita che i soggetti lavorino con modalità tali per
cui configurano nei soggetti a rischio. L’importante in questi casi è fare una buona anamnesi professionale, che
non deve mai mancare nelle cartelle perché permette diagnosi differenziali che altrimenti sfuggono (quindi
fibrosi polmonare in un tornitore deve farvi scattare il dubbio).

5. Manganese: il manganismo è una encefalopatia simile alla malattia di Parkinson, ma con delle particolarità
che bisogna riconoscere per fare diagnosi. È preceduta da manifestazioni neuropsichiatriche ingravescenti
(malessere, sonnolenza, apatia, instabilità emotiva, perdita della libido, impotenza, letargia, bradicinesia,
cefalea, disturbi memoria e attenzione, paresi, rigidità, tremore intenzionale, instabilità posturale, disturbi
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coordinazione, espressione “tipo maschera del volto”). Anche nel Parkinson c’è una componente psichiatrica
ma tardiva, perché o è da neurodegenerazione o reattiva (nel senso che il soggetto va in depressione
osservando il progredire della malattia). La seconda cosa da notare è l’età di insorgenza. Caso tipico di
manganismo: soggetto molto giovane affetto da una condizione che sembra Parkinson. Gli chiedete cosa fa e vi
risponde che ha fatto per tutta la vita il saldatore. Chiedete come va con l’umore, se dorme bene, ecc e lui vi
dirà che è depresso. Da qui potete partire poi a fare una serie di accertamenti.

Tabella su differenze Parkinson-manganismo (se rispondete a due-tre domande di questa tabella, vi giocate la lode)

PARKINSON MANGANISMO

Storia espositiva È possibile, ma solo ipotizzata, Deve essere evidenziata una


una genesi ambientale significativa esposizione a
(esposizione ad alcuni manganese.
antiparassitari, erbicidi
dipiridilici come il paraquat, e
alcuni piretroidi). In genere
idiopatica.

Esordio Disturbi aspecifici quali Disturbi di tipo psichiatrico,


debolezza agli arti, parestesie anche lievi e talora ignorati.
e fatica. Giovane età molto Possibile giovane età.
rara.

Malattia Tremore a riposo o Assenza di tremore a riposo


o Alterazioni della fonazione
conclamata o Disturbi dell’equilibrio con
tendenza alla caduta
(si può chiedere al pz di all’indietro in caso di
scrivere il suo nome senza dire mancanza di appoggio.
o Disturbi della deambulazione,
che è un percorso diagnostico; con andatura incerta e a
osservandolo si vede che strappi con allargamento
trema appena tenta di fare la della base d’appoggio
firma e anche la grafia ne
risente)

Terapia Risposta a L-dopa e altri Assenza di una risposta


farmaci capaci di stimolare i accettabile a L-dopa e altri
recettori dopaminergici, quali farmaci capaci di stimolare i
agonisti sintetici della recettori.
dopamina.

ATTENZIONE: una risposta


(si può usare anche come test iniziale potrebbe essere dovuta
ex iuvantibus per distinguere
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le due forme in base a a un effetto placebo.


presenza/assenza di risposta a
levodopa) Possibile risposta a chelanti.

Diagnostica o Risonanza magnetica in La RMN potrebbe essere


d’immagine genere nella norma. anomala, con segni bilaterali, di
Possibile assottigliamento e
manifestazioni atrofiche
valore diagnostico, in T1, se
della sostanza grigia, ma l’esposizione è stata a
mai di entità tale da essere concentrazioni elevate.
patognomoniche.
o PET con fluorodopa
anomalo, con riduzione
dell’assorbimento nello NB: Le lesioni sono simmetriche
striato, in particolare nel
perché a partire dal sistema
putamen posteriore.
NB: Lesioni solitamente asimmetriche. respiratorio il manganese si
porta simmetricamente al
sistema nervoso.

6. Fosforo: quando si usava il fosforo nella produzione di fiammiferi in Germania negli anni 20-30 o per la
produzione in periodo bellico di armi al fosforo (le cosiddette bombe incendiarie oggi vietate dalla
convenzione di Ginevra) venivano a manifestarsi epidemie di necrosi del mascellare, oggi scomparsa. Il
soggetto perdeva la capacità di nutrirsi per distruzione del mascellare e diveniva più cagionevole. Oggi c’è
invece la malattia dei bifosfonati. Il fosforo si deposita a livello osseo e crea una condizione prima di
osteopetrosi (anomalo indurimento della matrice ossea) e poi di disfacimento legato alla perdita di
vascolarizzazione. Può dare anche ustioni cutanee e necrosi ossee in distretti diversi dalla mandibola.

7. Vanadio: L’aspetto più interessante è la lingua verde da pentossido di vanadio. Ad alte dosi l’ossido di
vanadio ha un aspetto irritativo su cute e apparato respiratorio. Si trova in grandi quantità nei residui di
combustione dei combustibili fossili. Una grande quantità di combustibili fossili viene usata per la produzione
di energia elettrica: le centrali termoelettriche sono fatte a letto fluidificato di carbone, dove il carbone viene
sciolto e mandato alla combustione con acqua oppure sono direttamente a combustile fossile (quella che
chiamavamo nafta, oggi gasolio, che consiste nella parte altobollente del distillato del petrolio). Venendo dal
sottosuolo, sono ricchissimi dei principali metalli e la combustione genera ossidi di metalli. Nel momento della
combustione sono in forma liquida, diventano vapore, vanno via attraverso la canna e man mano che si
raffreddano diventano fuliggine che si attacca alla canna. In cima ci sono i grandi filtri che fanno sì che non
esca tutto all’esterno (è molto importante per tenere sotto controllo le emissioni nell’ambiente esterno e oggi
molto sicuro). Chi ripulisce i filtri può essere esposto, perché periodicamente i filtri devono essere rimossi e
puliti.

PS: Quando parleremo delle particelle vi spiegherò come vengono prodotte le particelle di carbone e di
combustibili fossili liquidi (compreso il diesel), perché sono diverse anche come tipo di rischio.
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I SOLVENTI
Rischio tossicologico e sorveglianza sanitaria.
Il solvente è tutto ciò che permette di portare in soluzione un soluto. L’acqua è il solvente più diffuso al mondo, ma non
lo considereremo perché parleremo di solventi organici.

I solventi hanno un ambito di utilizzo molto ampio, non solo in quanto tali (per pulire superfici e macchinari), ma anche
in molti processi di sintesi.

 L’industria chimica ne fa uso in grandi quantità. La gran parte delle resine utilizzate per produrre materiali
plastici deriva dai solventi:
o Resina ABS che sta per acrilonitrile butadiene stiriene e gli ultimi due sono proprio solventi.
o PVC (policloruro di vinile) parte dal cloruro di vinile monomero, che è un solvente
o Tanti sbiancanti ottici partono dal benzene che è un solvente
 Nella produzione di vernici, collanti, inchiostri da stampa. Parlo delle vernici cosiddette non idrosolubili, ad
esempio quelle che si usano per dipingere i caloriferi. Anche vernici e smalti all’acqua contengono un po’ di
solvente perché sennò la base non è idrosolubile comunque. In particolare, bisogna fare attenzione ai pz che
lavorano nell’ambito della rotocalcografia, tecnica di stampa che fa uso di rulli che si imbevono di colore a
seconda di come sono congeniati i rulli e poi dall’altra parte del rullo rilasciano il colore e quindi stampano.
Alcuni giornali (come Panorama, Oggi, ecc) sono stampati in questo modo, con grandissimo uso di solventi.

Curiosità: Un altro tipo di industria di stampa, più vecchia, detta litografia, faceva uso di un attrezzo
imponente su cui si schiacciavano dei tasti e venivano giù dei caratteri di piombo che stampavano. Per legge
chi faceva questo lavoro (quindi era esposto al piombo) doveva ricevere mezzo litro di latte dall’azienda, per
un retaggio dell’idea della capacità detossificante del latte. Quest’idea è sbagliata, ma soprattutto pericolosa
perché credi o fai credere di star facendo prevenzione, ma lo fai in modo sbagliato. Questa convinzione è
diffusa anche riguardo ai casi di bambini che hanno mangiato/succhiato i pennarelli: il latte non ha
assolutamente un potere detossificante, anche se è possibile che un pochino favorisca il washing perché può un
po’ chelare, ma comunque non c’è da affidarsi a questo.

 Cosmetici (l’acetone o altri prodotti per togliere smalti dalle unghie); settore tessile, calzaturiero, conciario
 Pulitura e sgrassaggio di parti metalliche
 Industrie della gomma e delle materie plastiche

Solventi di uso industriale


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Parliamo ora dei principali solventi che si possono trovare, che approfondiremo meglio trattando i procedimenti di
metabolizzazione e il conseguente rischio per la salute dato dall’attivazione che subiscono. Nella maggior parte dei casi
sono compresi nelle seguenti classi:

 idrocarburi alifatici: il metano (CH4) è il più semplice in natura. È gassoso (ricordate: più sono piccoli più
sono gassosi, man mano che diventano più lunghi diventano liquidi).
 idrocarburi aromatici: hanno almeno un anello benzenico. Il benzene è uno dei più semplici. È costituito da 6
atomi di carbonio legati tra di loro che a loro volta legano un idrogeno ciascuno e poi mettono a disposizione
all’interno il doppio legame.
 Idrocarburi aromatici alogeno-sostituiti: ad esempio la trielina, in quanto contiene dei clori nella formula. Sono
legati con cloro, fluoro o iodio (gli alogeni), più spesso con il cloro. Spesso l’alogeno in sostituzione conferisce
epatotossicità, al punto che c’è un idrocarburo alifatico alogenato che viene utilizzato come epatotossico negli
studi in cui serve generare epatotossicità e che una volta veniva usato come anestetico: il cloroformio (CCl4).
Il pz esposto a idrocarburi alifatici o aromatici alogenati deve essere sottoposto a controlli periodici della
funzionalità epatica.
 aldeide
 acido
 chetone
 estere

Tossicocinetica: come il tossico (in questo caso il solvente) viene assorbito ed eliminato.

Assorbimento. Un solvente organico è assorbito per via


respiratoria e percutanea (o per via orale nel caso in cui lo si
beve: un solvente alifatico di cui facciamo uso normalmente è
l’etanolo).

- Qualunque solvente passa più o meno efficacemente


attraverso la cute per definizione, in quanto lipofilo e
dunque apolare. Il benzene, che ha tutto distribuito in
modo armonico lungo la molecola, non può essere polare,
per cui è liposolubile e si assorbe via cute.
- Tanto più tendono ad evaporare, tanto più sono
assorbibili anche per via respiratoria. In generale, i
solventi hanno bassa tensione di vapore, che quindi viene
superata facilmente: devono prosciugare, evaporare
velocemente; pensate ad esempio al calorifero verniciato
se dopo un mese ancora non si fosse asciugata la vernice!
Per farlo evaporare non è necessario scaldare 1800° come
per il ferro o 700° come per l’alluminio. Bastano 30-40°
o per alcuni basta arrivare anche -200 (se sono gassosi).
Ricordate: qualunque gas può diventare liquido, basta
abbassare sufficientemente la temperatura.

Dunque nel caso di prodotti altobollenti non ha senso cercare


modi per proteggere la via respiratoria, mentre ha senso
proteggere la cute (in quanto saranno sicuramente assorbiti
per via cutanea e non respiratoria). Nel caso opposto, invece,
la cute non è importante mentre è più opportuno proteggere il
sistema respiratorio.

Distribuzione. Una volta assorbiti, i solventi vanno nel circolo sanguigno e si distribuiscono: essendo sostanze
liposolubili vanno a compartimentalizzarsi negli organi ad alto contenuto di grassi come cervello, fegato, capsula
surrenale, ecc. (anche nel tessuto adiposo, ma in genere lì non provocano danni). A questo punto potete interpretare
dal punto di vista tossicologico un’esperienza comune che capita quando verniciate il calorifero e dopo un po’ vi
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viene mal di testa: ciò succede perché si assorbe una quota di solvente sufficiente a creare una concentrazione nel
SNC tale da manifestare cefalea, segno di lieve tossicosi da solvente nel sistema nervoso centrale. La stessa cosa
succede anche con l’etanolo, che quando beviamo si localizza a livello cerebrale.

Metabolismo ed eliminazione. La sostanza viene poi metabolizzata dal fegato che la trasforma da apolare a polare,
quindi da liposolubile a idrosolubile per poter essere escreta con le urine. Le reazioni che permettono questa
trasformazione sono le reazioni di primo e secondo tipo.

1. Reazioni di primo tipo: ossidazione, riduzione, idrolisi. Sono reazioni che attivano la molecola e la
rendono disponibile a creare dei legami. Attivare la molecola significa che si possono anche generare
metaboliti reattivi che possono poi reagire con il DNA e con le proteine. Queste reazioni quindi attivano le
proprietà tossicologiche di gran parte dei tossici, che non sarebbero tali se non attivati da tali reazioni.
2. Reazione di secondo tipo: Una volta attivate, vanno incontro a reazioni di secondo tipo che consistono
nelle reazioni di coniugazione. Vengono quindi legate molecole che modificano la polarità della sostanza,
che può quindi essere eliminata attraverso le urine sotto forma di metaboliti. Il medico può utilizzare come
indicatori di monitoraggio biologico dei metaboliti riscontrati nelle urine, a seguito della
biotrasformazione che essi subiscono.

Oltre alle urine, ci sono altre vie di eliminazione del solvente: ad esempio una quota di solvente (etanolo, solfuro di
carbonio, monossido di carbonio) può essere eliminata immodificata attraverso l’aria espirata, in forma gassosa. La
via attraverso cui il solvente viene eliminato in quantità prevalenti dipende da sostanza a sostanza: l’etanolo viene
principalmente trasformato ad acetaldeide ed eliminato attraverso le urine. Per le sostanze eliminate principalmente
per via respiratoria, la misurazione dei metaboliti urinari è poco utile, perché si misura solo una parte.

Le principali vie di eliminazione sono: urinaria, fecale e respiratoria. Nelle feci è più difficile misurare i metaboliti;
si preferisce ricercarli nelle urine in quanto, essendo liquide, possono essere concentrate, fatte evaporare e poi fatte
reagire per trovare qualsiasi cosa vogliamo cercare.

Schema di biotrasformazione:
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Questo è il percorso metabolico che viene svolto da tutti i solventi. Partiamo dall’esposizione ad idrocarburo
alifatico (due tipi), che viene metabolizzato ad alcol. L’alcol può arrivare anche direttamente, come fonte di
esposizione. L’alcol viene metabolizzato ad aldeide o chetone, che a loro volta però possono essere già presenti
come tali nell’ambiente di lavoro. Stessa cosa per l’ultimo passaggio: aldeide o chetone vengono trasformati ad
acidi, ma l’acido può essere anche presente nell’ambiente di lavoro come tale. Il cuore della degradazione è a
livello epatico, principalmente da parte del citocromo p450, ma i livelli di attività enzimatica sono presenti in tutti
gli organi. Vedremo nel caso della cancerogenesi da benzene il ruolo dei sistemi di metabolizzazione esterni al
fegato. Quindi per la metabolizzazione dei solventi, agiscono principalmente fegato, ma anche rene, polmone,
midollo osseo.

Ne consegue che se in questo percorso c’è un’attivazione metabolica a una molecola più tossica, il luogo ove
avviene la metabolizzazione è il luogo dove possiamo pensare possa avvenire l’effetto.

Medicina del lavoro – 06/04/2018

I Solventi (2° parte)

• Effetti tossicologici dei solventi

Gli effetti acuti sono di solito dovuti ad un solvente.


Alcuni sintomi in acuto sono la narcosi, l’irritazione della
cute e delle mucose, la lesione del film idrolipidico.
Gli effetti cronici invece dipendono dai metaboliti dei
solventi.
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Il fatto che i solventi irritino le mucose è vero, ma non è necessariamente così in assoluto; per esempio
alcuni chetoni sono molto irritanti come la formaldeide o il cloruro di vinile (che può causare malattie fatali);
di contro i glue sniffers (ndr. persone che sniffano la colla al fine di avere effetti simili alle droghe, ma con
costi molto ridotti) non hanno irritazione delle mucose così importante, altrimenti non sarebbe possibile
sniffare la colla.
Gli effetti cronici a carico del sistema nervoso centrale si manifestano con la psicosindrome organica da
solventi, mentre a livello periferico le patologie più riscontrate sono le polineuropatie (solo un solvente è
noto come causa ed è il normal esano).
Gli effetti sul fegato danno degenerazione steato-cirrotica ed insufficienza epatica e sono più comunemente
causate da etanolo (secondo il professore un’esposizione professionale non è sufficiente a causare tali
effetti anche se in letteratura viene riportato, al contrario invece dell’abuso di alcolici in modo cronico).
Il rene viene colpito da necrosi tubulare prossimale [ ndr. “ruburale” non esiste, il prof ha sbagliato a scrivere sulle slide ]
e dall’insufficienza renale.
Infine esistono solventi in grado di causare tumori.

• Toluene
Il toluene è chiamato anche metil benzene, quindi un
benzene con attaccato un gruppo metile.
Il percorso metabolico che compie prevede la sua
trasformazione in: alcol → aldeide → acido benzoico che si
lega con la glicina (reazione di secondo tipo) → acido
ippurico
[domanda per la lode: qual è il principale metabolita del toluene? acido
ippurico]
L’acido ippurico è rilevabile nelle urine dei pz esposti ed è
indice dell’esposizione al toluene. Tuttavia non ha alta
specificità, poiché è un metabolita anche di altre sostanze,
come del paracetamolo o di sostanze presenti nelle prugne.

• Stirene

Lo stirene è composto da un benzene legato a un


-CH. Con il metabolismo lo stirene diventa → acido
mandelico → acido fenilgliossilico.
Questi due acidi possono essere misurati per
valutare l’esposizione del pz al solvente.
L’esposizione maggiore si ha in tutte le produzioni
di materie plastiche ABS e in tutte le produzioni di
materiali in fibra di vetro. In Italia la produzione di
fibra di vetro è concentrata soprattutto nei cantieri
navali per la costruzione di barche a vela e piccole
barche a motore. Nello stampo dello scafo gli
operai incollano uno strato di fibra di vetro e poi la
resina contente lo stirene come collante, così via
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 25 a
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per diversi strati. Anche le roulotte o i camper sono costruiti con un grande impiego di resina, poiché
leggera.
[domanda per il 30: quale indicatore uso per il monitoraggio biologico dell’esposizione allo stirene? La somma nelle urine (facili da
raccogliere e molto concentrate a differenza del sangue) dell’acido mandelico e fenilgliossilico poiché sono i principali prodotti di
metabolismo, anche se non specifici].

Il percorso metabolico che deve preoccupare è quello dello stirene ossido, cioè un epossido. L’epossido è
un composto instabile, ha un’emivita di qualche secondo ed è capace di creare legami covalenti con
macromolecole biologiche (DNA, proteine, Hb, linfociti).
Alcuni studi hanno rilevato che vi sia un aumento dell’insorgenza di neoplasie nei pz esposti all’epossido
poiché va ad interagire con il DNA. Gli indicatori indiretti di questo meccanismo lesivo sono la presenza di
addotti macromolecolari, cioè un prodotto dato dal legame di una macromolecola biologica e il prodotto
chimico che ha generato gli epossidi, legati in modo covalente alla macromolecola.
Il secondo vantaggio per il monitoraggio biologico è che misurando gli addotti si è in grado di valutare
l’andamento dell’esposizione degli ultimi 120 giorni (ndr. emivita dell’Hb); per comprendere meglio si pensi
alla similitudine tra l’emoglobina glicata e l’emoglobina legata allo stirene ossido. La formazione di addotti è
la prova di come nel decorso metabolico che dallo stirene va a produrre un derivato idrosolubile (che può
essere quindi eliminato con le urine), si possa avere un processo di attivazione (ndr. cioè creazione
dell’epossido, che è altamente reattivo e quindi tossico).

• o-Xilene

Lo xilene è un solvente aromatico, anche chiamato


dimetilbenzene. Il metabolismo lo trasforma in →
alcol → aldeide → acido coniugato con la glicina →
acido metilippurico.
Il metilippurico è un prodotto del metabolismo
specifico dello xilene poiché è complesso.

• Neurotossicità

L’n-esano ha un percorso metabolico identico agli


altri solventi: alcol → chetone → 2,5 esandione. Il
2,5 esandione è un prodotto comune dell’n-esano
e del metilbutilchetone, che è altamente reattivo
ed è in grado di interagire con la terminazione
amminica degli assoni determinando una
neuropatia demielinizzante.

Le neuropatie occupazionali a eziopatogenesi


tossica di solito hanno andamento
distoprossimale, mai diversamente, e coinvolgono
sia la componente motoria che quella sensitiva.
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Excursus storico: Durante la guerra i calzolai usavano il tenacio, un mastice usato per incollare la scarpa alla
tomaia o al guardiolo (striscia di tessuto che copre le cuciture nelle scarpe di lusso), contente abbondanti
quantità di normal esano. Soprattutto nelle zone di Parabiago, i produttori di scarpe mandavano a casa
delle famiglie grandi quantità di calzature per far eseguire questo procedimento con il tenacio e il
pagamento era a cottimo, un tanto per ogni calzatura finita; questo lavoro veniva svolto spesso dalle donne
incinte o con bambini piccoli poiché non potevano andare a lavorare. Il tenacio una volta aperto disperdeva
nell’ambiente il n-esano che poi rimaneva nell’aria e causava epidemie di polineuropatia periferica agli arti
inferiori.

Riassunto degli indicatori per il monitoraggio


biologico (slide a sx).
Per lo xilene gli acidi possono essere orto-, meta- o
para- a seconda del tipo di xilene originario.

In ambito di un test tossicologico abbiamo:


- Sensibilità = indica un test in grado di rilevare la
più bassa concentrazione di agente tossico; può
creare FP (nello screening è meglio ottenere falsi
positivi che falsi negativi)
- Specificità = capacità di reagire solo con lo
specifico substrato e non ad altri; può dare FN.

• Psicosindrome organica da solventi


Pattern complesso di alterazioni dell’umore, del comportamento e dell’attenzione che difficilmente può
essere considerata una sindrome unitaria, ma che oramai è molto consolidata nella letteratura scientifica
medica. È riconosciuta nelle liste delle malattie professionali in molti paesi dell’UE.

Esiste una classificazione, ideata dall’OMS, della psicosindrome organica da solvente che viene divisa in
quattro step:
-I step: alterazioni aspecifiche di memoria, attenzione, umore, senso di inadeguatezza, momenti di panico,
tristezza ed euforia ingiustificata
-IV step: invalidante, con alterazioni importanti delle
facoltà intellettive e cognitive

Diagnosticare questa patologia è molto difficile. [ il


professore dice che su cinque volte che è stato chiamato
davanti a un giudice per discutere la possibilità di una diagnosi
di psicosindrome organica da solvente, solo una volta ha
espresso un parere positivo, poiché il pz aveva capacità
superiori molto compromesse con un’unica fonte possibile di
esposizione, aveva in anamnesi un lavoro come
rotocalcografico].
Una volta diagnosticata la patologia, il pz va
indirizzato presso una struttura specializzata dove
viene valutato, oltre che da uno psichiatra, con dei
test neurocomportamentali. Ulteriore problematica
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è che questi test sono di difficile interpretazione e sono eseguiti con i computer, quindi il pz risulta più o
meno patologico anche in base alla sua capacità di usare il computer.

• Benzene
Il benzene è il più semplice degli idrocarburi aromatici.
È il principale prodotto di combustione dei motori a
benzina e del fumo di sigaretta.
Una volta il benzene era presente in modo sistematico
nelle benzine, al punto che per ogni 40 litri di benzina
venivano aggiunti 2/3 litri di benzene in modo da non
doverlo smaltire, ma al contrario riutilizzarlo. La
benzina è il prodotto distillato dal benzene, se non
purificata infatti ne contiene dal 4 al 6%.
Nel processo si parte con la distillazione del petrolio e
si ottine il GPL (gas di petrolio che viene liquefatto ad
alte pressioni), poi si ha la benzina, poi il gasolio e
infine frazioni alto bollenti di gasolio, che si usano per
la combustione di grandi motori come quelli delle navi.
Il traffico automobilistico è il principale contenitore di benzene, ma anche nell’aria che si respira oggi ce ne
sono delle parti.
In Italia, primo paese al mondo, dal 1962 l’uso del benzene come solvente (NON in assoluto), è vietato per
l’evidenza della sua cancerogenicità, grazie agli studi del professor Vigliani, direttore della clinica del lavoro;
ci sono paesi in cui ancora oggi non è stato vietato.
Il benzene viene ancora oggi utilizzato come materia prima per la sintesi chimica (es. per i candeggianti
ottici). Anche nei vegetali è presente una piccola quantità di benzene.

Il percorso metabolico del benzene prevede la sintesi di un epossido (benzene ossido), che è estremamente
instabile e si riarrangia immediatamente attaccandosi a macromolecole; dopo di che può avere tre percorsi
metabolici:
1. ossidazione e produzione del fenolo
2. formazione del premercapturico → acido fenilmercapturico e apertura dell’anello aromatico →
formazione della muconaldeide

Trent’anni fa poteva essere utilizzato il fenolo come indicatore dell’esposizione al benzene, perché c’era
un’esposizione a dosi tali da produrne quantità misurabili, eccedenti quelle che normalmente il corpo
produce. Oggi il fenolo è aspecifico, quindi si usa la muconaldeide. Questa è circa 10 volte più alta anche nei
fumatori.
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Ciò che ha portato alla necessità di vietare l’uso del benzene come solvente è stata l’evidenza negli anni
’50-‘60 di alcuni casi di leucemia in coorti di
lavoratori del pliofilm. Il pliofilm era una sorta di
pellicola trasparente degli anni ’60, che serviva
anche come confezione di generi alimentari.
Veniva prodotto in vasche dove la gomma veniva
sciolta nel benzene e poi con dei rulli che
sfioravano superficie del composto veniva
sollevato un velo di liquido, il quale veniva
immediatamente prosciugato con un getto di aria
calda. I lavoratori erano esposti a livelli di benzene
estremamente alti poiché veniva disperso nell’aria
dai getti di aria calda. In questa popolazione di
lavoratori iniziarono a verificarsi casi di anemia
aplastica causata dall’effetto radiomimetico del
benzene. Successivamente questi pz svilupparono
un solo tipo di leucemia, quello mieloblastica acuta. Per cui in base all’osservazione di queste coorti è stato
deciso di regolamentare l’utilizzo del benzene, fino a vietarne l’uso come solvente nel 1962.

L’esposizione a piccolissime quantità di benzene, come potrebbe essere quella degli abitanti di Milano
(smog, fumo, verdure...), causa un rischio aggiuntivo di leucemia mieloblastica acuta?
Dal punto di vista teorico, la leucemia mieloblastica acuta che si osserva nella coorte dei lavoratori del
biofilm, si può attribuire a due fattori:
1. non c’è leucemia senza anemia aplastica → l’anemia aplastica crea le basi per la leucemia → il benzene
causa leucemia
2. il benzene causa leucemia indipendentemente dal causare anemia aplastica.
Se si considera la prima ipotesi, vuol dire che se non si raggiungono concentrazioni alte di benzene tali da
causare l’anemia aplastica, allora non c’è rischio di leucemia (modello con soglia).
Se si ritiene vera la seconda ipotesi allora all’incremento delle dosi, corrisponde in modo automatico
l’aumento del rischio di sviluppare la leucemia (modello senza soglia).

Nel mondo, per affrontare il problema in modo preventivo, è stato adottato un modello di regressione
lineare senza soglia. [ndr. ho provato a riprodurre qui sotto il disegno del prof con dei commenti]
A Milano non si può superare la soglia di
1 mg/m3 di particelle di benzene poiché
si è calcolato che sia la dose sicura (per
definizione quella dose che, accettando
un modello di regressione lineare, indica
un incremento di casi di rischio di
1/1.000.000)
Nel momento in cui un pz viene esposto
ad agenti cancerogeni, un modo
conservativo per decidere quale sia un
limite di esposizione è quello di
utilizzare un modello di regressione
lineare senza soglia, che è il più
conservativo di tutti, e porta a calcolare
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 29 a
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il valore affinché non si verifichi più di un caso per milione. In questo modo la public health prende le
decisioni su aspetti di salute pubblica.

NB: I libri di testo che affermano che il benzene viene trasformato ad epossido e poi causa leucemia
sbagliano; ciò non è plausibile poiché l’epossido è instabile e tende a legarsi a macromolecole
immediatamente (ndr. quindi non avrebbe tempo
di creare tossicosi a livello midollare). Come fa
quindi il benzene a causare la leucemia?
Interagendo con le linee emopoietica e mieloide,
poiché essendo fortemente lipofilo si deposita nel
midollo osseo, dove viene attivato espressamente
dalla linea delle mieloperossidasi. Nessuno sa
ancora se causi solo anemia aplastica o anche
direttamente la leucemia. Esiste uno studio, anche
se non del tutto esaustivo (poiché finanziato
dall’associazione internazionale dei venditori di
benzina, quindi in conflitto di interessi importante),
che ha esaminato moltissimi benzinai ed addetti
allo stoccaggio di benzine e non ha dimostrato
evidenza di un aumentato rischio. Da questo si dedurrebbe che il benzene causi leucemia solo per
esposizioni a dosi molto elevate.

Quindi l’epidemiologia è fondamentale per la salute pubblica, ma alcuni aspetti rimangono irrisolti. Grazie
al risk assessment si riesce a coprire quell’area di incertezza con una default option, cioè delle opzioni
indimostrabili della valutazione del rischio. Le opzioni indimostrabili prevedono che, se non si conosce la
soglia di rischio per es. del benzene, ci si comporta come se non l’avesse (ndr. una soglia); in questo modo
si prende la decisione più protettiva rispetto alla popolazione; metodo ottimo per decidere strategie
preventive. Va ricordato però che le default option non possono essere usate per fare diagnosi poiché è del
tutto irrazionale: la diagnosi deve essere solida e ragionevolmente certa.

[All’esame prendere 23-25 è molto facile anche se non si frequenta il corso, prendere 27-29 è facile seguendo il corso, per il 30
bisogna essere molto bravi, per la lode si devono avere delle conoscenze pari agli specializzandi che iniziano la specialità ]

Medicina del lavoro – 06/04/2018

Patologie occupazionali in agricoltura


La lezione è organizzata in modo da dare una panoramica generale sulle malattie occupazionali nell’agricoltura per poi
parlare di vecchie e nuove malattie occupazionali.
La prima slide mostra i diversi setting di agricoltura nei tre diversi paesi presi in esame (Olanda, Italia, Turchia) e
compara il numero di abitanti e le superfici quadrate di estensione dei vari paesi (densità di popolazione) e mostra
numeri su quanti animali (galline, mucche) ci sono sul territorio nazionale per avere un quadro di insieme.
L’Olanda si è sviluppata in termini di agricoltura dopo la seconda guerra mondiale perché, a causa dei devastamenti a
cui era andato incontro il paese durante il secondo conflitto mondiale, la popolazione era ridotta alla fame. Proprio
questo fu il grande input nell’agricoltura olandese, con una spinta nella produttività che ha portato a fare sì che oggi
l’Olanda sia- ad esempio- tra i principali esportatori di patate e pomodori. La produttività in Olanda risulta 5 volte
maggiore rispetto alla media europea, grazie ad un sistema estremamente efficiente. In Olanda ci sono molte
greenhouses (serre).
Ovviamente va fatta una comparazione tra il clima tra l’Olanda e della Turchia che porta a produzioni diverse in mesi
diversi dell’anno (VEDI SLIDE).
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 30 a
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Nelle good agricoltural practices rientrano anche la sicurezza dei lavoratori di settore e l’impatto ambientale delle
lavorazioni, non solo produttività e qualità del prodotto.
Tuttavia, per quanto si tratti di un settore con una certa rilevanza, raccogliere dati affidabili riguardo alle malattie
occupazionali nell’ambito dell’agricoltura non è facile sia per l’incertezza nella diagnosi sia per l’incapacità di scegliere
gli esami di valutazione. Ci sono molti punti ciechi nella medicina occupazionale (del lavoro) relativamente al settore
agricolo. Da dati epidemiologici è emerso che gli agricoltori in Olanda, ma non solo, sono in media più sani della
popolazione generale.

The Healthy Farmer


 Workers in agriculture (farmers and employees) in NL are in
better health than other workers (NIVEL/NCOD study): analyses
of GP morbidity registration 104 GP’s. 425.000 patients, 2591
farmers
 Mental (o.6-0.9), Skin (0.4-1.6), Resp.system (0.5-0.9), MSD’s (o.9-
1.4); Less presciptions
 But:
 Picture is not complete (migrant workers with bad acces to
health services were not included)
 In some agriculture work: high risk for occupational diseases

Si vuole senza dubbio sottolineare che la definizione di rapporto standardizzato di mortalità (SMR = OSSERVATI /
ATTESI x 100) per gli agricoltori è intorno ai 0,75-0.80 e non mai più di 1. Tanti studi epidemiologici di vari paesi
confermano questo dato.
Sorge quindi spontaneo chiedersi se si possa affermare che ci sia un healthy worker effect (bisogna essere sani per poter
svolgere certi tipi di lavori pesanti?).
La risposta è che già nei criteri di inclusione degli studi da cui si sono ricavati i dati era già preso in considerazione
questo aspetto. I dati indicatori di salute estrapolati dai registri dei medici di base(generali) hanno mostrato una minore
incidenza di malattie mentali (intese anche come assunzione di antidepressivi), di patologie respiratorie e di patologie
MSD (muscolo- scheletriche) rispetto a quello che ci si aspettava.
Le categorie di malattia più frequenti emerse dagli studi sui lavoratori nelle greenhouses turche sono state: patologie
cutanee, respiratorie e muscolo- scheletriche. I lavoratori delle greenhouses sono esposti a rischi specifici perché
l’ambiente delle greenhouses è un microcosmo: si possono avere malattie da uso di pesticidi, dermatiti, problemi
respiratori e problemi muscolo-scheletrici (in parte risolti con la robotizzazione).

Greenhouse work; specific risks


 Characteristic: special microcosmos with enclosed
conditions: higher exposure to plant materials, plant pests
and plant protection products compared with outside
horticulture workers.
 Health effects: irritancy, asthma, allergic alveolitis and
dermatitis + pesticide illness
 + musculoskeletal disorders due to repetitive work in
harvesting and packing, pushing and pulling, heavy loads.
 Wide differences in working conditions: be very
cautious to extrapolate data from one country,

Dopo questa overview sulle patologie in agricoltura possiamo dire che il vero challenge della medicina occupazionale
in questo campo è raccogliere i dati correttamente. Abbiamo due classificazioni di patologia occupazionale in
agricoltura, infatti possiamo suddividere le patologie in base dell’apparato coinvolto o in base dell’esposizione.

Occupational Diseases in Agricultural Workers


 Taxonomy of Occupational/ work-related Diseases;
hybrid character with overlap:
 Classification based on exposures:
 Noise, vibration
 Chemical agents
 Biological agents
 Radiation
 Heat/cold
 Stress
 Classification based on target organs:
 Respiratory system
 Skin
 Neurological system
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 31 a
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 Musculoskeletal system
 Mental system

Non è facile organizzare il sistema di classificazione (vedi tabella con malattia, fattore causale e rischio occupazionale).
Si passa ora a una presentazione delle singole categorie di malattia che occorrono in agricoltura.

Malattie della cute

Dermatiti da contatto, allergiche (ci sono libri dedicati sull’argomento), infettive, sun-induced dermatiti, da puntura di
artropode…
Il prof. racconta di un caso in cui un‘intera famiglia di agricoltori presentò delle macchie cutanee: Si scoprì che erano
comparse in seguito all’esposizione al sole degli agricoltori durante la raccolta del sedano; tali macchie comparivano sul
polso sinistro perché con la mano sinistra si teneva ferma la pianta mentre la si tagliava. Tali eruzioni cutanee non erano
comparse prima perché il tempo in Olanda è generalmente piovoso quindi gli agricoltori avevano sempre fatto il
raccolto con la pioggia.
Questo è un esempio di sostanza che determina una reazione fototossica che induce una dermatite fotoindotta con
burning reaction (da scottatura).

Molti vegetali possono creare problemi simili (edera, fico…). Il prof. ha eseguito uno studio con 75 pazienti delle
greenhouses che coltivavano sedano e di questi 32 avevano riportato problemi alla cute ma non si erano rivolti al
curante. Tali lesioni possono lasciare cicatrici e si possono evitare semplicemente facendo il raccolto quando non c’è il
sole o usando dei guanti e stivali.

Zoonosi

Sulla slide potete trovare tanti esempi di zoonosi:

Zoonotic hazards in different agricultural settings


 Zoonotic hazards in pig meat production:
thermophilic Campylobacter spp., Salmonella enterica, Listeria monocytogenes, Staphylococcus
aureus, Methicillin Resistant Staphylococcus Aaureus (MRSA), Hepatitis E Virus (HEV) infection,
Streptococcus suis, Salmonella spp., Yersinia enterocolitica, Campylobacter spp.
 Zoonotic hazards in dairy farming and beef production:
Anthrax, Brucellosis, Salmonellosis, Tuberculosis, Cowpox, pseudo cowpox, Q-fever, Trychophyton verrucosa
 Zoonotic hazards in poultry
Salmonellosis, Influenza A, Psittacosis
 Zoonotic hazards in sheep and goat farming
Anthrax, Brucellosis, Tularemia, Orf, Q-fever
 Zoonotic hazards in Rural Environment.
 Zoonotic hazards in fishing.

Patologie respiratorie

Un esempio è la green tobacco sickness (GTS) causante polmonite, nausea e vomito; malattia trasmessa sia per
contatto diretto (preparatori di sigari toscani che lavorano il tabacco a mano) sia per via respiratoria.

Green Tobacco Sickness (GTS)


 Mechanism: nicotine poisoning in harvesting/handling tobacco leaves with intensive dermal contact; nicotine
contained in the tobacco leaves mixes with rain, dew, or sweat.
 Symptoms: nausea and vomiting; dizziness, headaches and cramps.
 Risk of poisoning is higher in warm conditions; dehydration and heat illness can complicate the clinical picture and
can be fatal.
 Prevention: instruction: gloves, long sleeve shirts, long pants and water-resistant clothing.

Fondamentale l’aspetto della sicurezza sul lavoro e dei controlli. Questa slide riguarda la sicurezza nell’uso di pesticidi:
i residues sono utilizzati come marker per misurare le quantità di pesticidi utilizzati; c’è il concetto di market control per
cui vi sono periodicamente dei controlli da parte di ispettori della sanità.

Safe work with pesticides


 Authorisation of Plant Protecting Products
 National and EU-level (specific circumstances in different areas)
 Prescription of formulation (fluid, granule, powder)
 Education and training
 Certificate of competence; licence to use
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 Technology
 Automatization of spraying in greenhouses
 Protection
 Personal protection, re-entry times
 Control
 Strict inspections, enforcement,
 Residue control (market correction)

Viene riproposta la slide della lezione precedente riguardo l’assessment con approccio in 6 steps per affrontare le
patologie occupazionali.

Assessment of occupational disease:


6-step approach
 Consideration of evidence of disease:
 medical and neuropsychological assessment
 Consideration of toxicological and epidemiological data
 Consideration of evidence of exposure
 Occupational history and biological monitoring
 Consideration of other relevant factors
 Differential diagnostic issues
 Evaluation and conclusion
(validity of testimony)
 Preventive actions

Oggi emerge il concetto di nuove patologie correlate al lavoro, ma on si possono dimenticare le vecchie patologie del
lavoro. C’è il concetto di fascino della novità (newfangledness) con il rischio di dimenticare le vecchie, questo è un
problema.
Esempio di silicosi nei lavoratori di jeans in Turchia: ci fu molta attenzione mediatica a riguardo e ora ci sono controlli
su questo tipo di lavorazione.

Quali sono le nuove ed emergenti malattie occupazionali?


L’Europa ha concesso soldi per effettuare studi riguardo alle nuove malattie emergenti ed è emerso che queste non sono
date solo dall’utilizzo di nuove tecnologie e di nuovi processi di lavoro, ma anche da fattori che agenti a lungo termine,
di cui si ignorava in passato il potenziale nocivo, tipo lo stress.
C’è anche da considerare che l’avanzamento delle conoscenze mediche ha concesso di individuare nuovi fattori di
rischio, nuovi rischi e nuove patologie. Ma, sempre grazie a queste nuove conoscenze, siamo stati in grado di capire
come rischi già noti potessero portare a patologie non sospettate e a nuove presentazioni.
Per citare un esempio si potrebbe parlare della silicosi che prima era una patologia caratteristica per lo più dei minatori
ora lo è anche dei lavoratori di vetro, di coloro che lavorano con la sabbia (sand blaster).
Ecco alcuni esempi di patologie nuove: neuropatia nei lavoratori delle slaughterhouse (macelli), allergie da pesticidi,
epidemia della febbre Q (da coxiella burnetii) in Olanda. C’è una lunga lista di queste patologie occupazionali
emergenti.

Some examples:
•Neuropathy in swine slaughterhouse workers*
•Allergic conditions by biological pesticides*
•Popcorn workers lung (diacetyl)
•Silicosis by sandblasting demin
•Cardiovascular diseases caused by particulate matter
•Breast cancer and work at night
•Lung infections due to welding fumes
•Q-fever*
•Consequences of parents occupational exposure on offspring
•Congenital abnormalities
•Cancer in children
•Delayed neuropsychological development
•Contested:
•Aerotoxic Syndrome?
•Brain cancer by mobile phones?

 Neuropatia nei lavoratori delle slaughterhouses: neuropatia sensitivo-motoria nei lavoratori addetti al taglio
della testa dei maiali. Si lavora con un device ad aria compressa che viene applicato al forame magno del
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cranio del maiale per farne uscire il cervello che esplode, favorendo la liberazione nell’aria di particelle di
aerosol (droplets) tossiche che poi vengono inalate dal’operatore.
Il CDC (center for disease control) ha seguito una rapida e precisa indagine usando dati epidemiologici,
immunologici e infettivologici, inoltre si è avvalso anche della competenza di tecnici specializzati nelle
procedure di lavorazione utilizzate nei macelli. Più tardi si comprese che forse il meccanismo patologico della
malattia era di tipo autoimmune.
 Il secondo esempio riguarda l’infezione da S. feltiae: determina problemi respiratori scoperti effettuando un
test di provocazione tramite l’esposizione a questo agente biologico. Si è visto che all’aumentare della quantità
inalata i sintomi respiratori si esacerbavano. Riguardo alle patologie da pesticidi è stato svolto un grosso studio
in Olanda nelle greenhouses dei pomodori dove si è arrivati in alcuni casi a interrompere la produzione
agricola a causa delle patologie allergiche determinanti sintomatologia asmatica, congiuntivite e rinite.
La causa risultò essere data dai predatory mites (acari) usati per catturare gli insetti (metodo di controllo
biologico) evitando di usare i pesticidi; il problema è che questi predatory mines rilasciano nell’aria particelle
allergizzanti.
Quindi non solo la responsabile di questa sintomatologia non era solo l’altra concentrazione di polline
nell’aria, ma anche le particelle rilasciate da questi predatory mites.

A volte le soluzioni proposte creano problemi (il prof Colosio sottolinea il risk-assessment e benefit analysis
riportando gli esempi delle benzine senza piombo che fecero emergere il problema del butadiene).
Per risolvere il problema degli insetti nelle greenhouses, evitando l’uso dei pesticidi ed – evidentemente dei
predatory mites- vennero in aiuto le nuove scoperte dell’università agricola che portarono a ridurre i livelli di
predatory mites residues con dei lavori di pulizia più serrati. Inoltre si pesò di ridurre il problema delle alte
concentrazioni di glutine usando le humble bees che prendono il polline da una pianta e lo portano a un'altra.
In questo modo si evitò che i livelli di polline nell’aria fossero eccessivi.

 Febbre Q negli allevatori: è una zoonosi e vi sono state epidemie in Australia e in Olanda (anno 2007-2008-
2009) con episodi di polmonite severa anche in giovani pazienti. La coxiella ha come reservoir le pecore e le
capre, le vie di infezione sono le zecche (vettore) e le particelle di aerosol, altre vie di trasmissione sono per
contatto diretto o ingestione. Si sono verificati casi soprattutto nel sud-est dell’Olanda nelle zone con maggiore
presenza di fattorie ma anche nelle aree limitrofe considerando che la trasmissione avvenga anche tramite
aerosol.

Q-fever in the Netherlands


 Endemic, in a dormant state
 Animal disease in sheep, cattle goats,
 Rarely fatal for animals
 Reproductive problems: abortions, stillbirth
 Human disease:
 Latency period 2-5 weeks
 Acute form: flue-like self-limiting/ pneumonia
 Post Q-fever Chronic Fatigue Syndrome
 Chronic Disease: endocarditis
 Since 1975 notificable for humans in NL
 Until 2007 annually in NL around 20 cases

A causa di questi episodi si uccisero molti animali individuati come reservoir e confermati dai laboratori.
Da questo episodio si comprese che era necessario aumentare i controlli riguardanti l’igiene delle fattorie e migliorare
la comunicazione tra veterinari e le figure interessate del sistema sanitario (medici per lo più), oltre che un più attento
intervento delle autorità di sanità pubblica.

Q-fever epidemic in The Netherlands


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Lessons learnt, wake-up call


 The risk of outbreaks of zoonoses is increasing: intensive lifestock farming, increased mobility, animal transport.
 Better prepareness: awareness, education, hygienic measures
 Share information
 In the human medical chain
 In the veterinary chain
 Human Veterinary
 One health approach
 Practitioners, policy-makers and researchers
 Attention from the media

Concludendo si può dire che nel campo delle nuove ed emergenti patologie occupazionali è importante avere un dialogo
e una collaborazione di carattere internazionale.

I lavori cambiano sia in termini di processi di lavorazione che di materiali usati. Ci sono diverse pubblicazioni
dell’osservatorio europeo del rischio riguardanti la metodologia di individuazione di nuovi rischi correlati al lavoro.

Identifying new Work-related Diseases


 Why?
 Changes in working methods
 Introduction of new techniques, materials
 Aging EU-workforce with multiple chronic diseases
 Trigger for prevention
 There are too many examples of Late Lessons from Early Warnings in the field of occupational medicine
 How?
 Disease-First Approach with Health Hazard Evaluation
 International Collaboration (MODERNET)
 [Turkish] Occupational Disease Intelligence Cen

Ricapitolando riguardo alla febbre Q ci sono stati casi non solo tra i lavoratori, ma anche nella popolazione che viveva
nelle vicinanze delle fattorie. Insomma, a volte le patologie dei lavoratori possono essere dei problemi di salute
pubblica, cioè borderline. Effettivamente nel caso della febbre Q si può dire che non sia specificatamente una patologia
occupazionale. Altro caso simile è ovviamente quello dell’amianto.

INFLUENZA AVIARIA
Settori dell’ industria avicola sono più vulnerabili all’ infezione da H5 e H7 a bassa patogenicità (come anatre e oche) e
settori meno suscetitbili (come polli e tacchini).
E’ una tipica malattia occupazionale: ad esempio i bambini che trasportano sulle canne di bambù i polli, questi bambini
si sono infettati.
La gallina viene ammazzata quando si cattura, e appena sgozzata la gallina viene bollito il riso  se la gallina cova la
malattia c’è la possibilità di trasmissione.
I casi di influenza aviaria sono diffusi lungo le rotte di anatre (vettori di H5N1)  le feci delle anatre possono colpire
allevamenti di galline, fagiani, polli, immediatamente l’ allevamento è infetto e immediatamente l’ allevamento infetto
scatena la cascata di infezione attraverso umani ecc..
Anatra selvatica  caga mentre migra, bombarda allevamenti che prendno la patologia.

In Thailandia è stato creato un sistema di allerta.


Lezione della febbre Q in olanda  c’era un sistema sanitario capace di gestire la cosa. Il ruolo della Public Health è
importante.

EPATITE E: un rischio emergente?


E’ un virus molto simile al virus dell’ epatite A. Quattro principali sottotipi: 1 e 2 da contaminazione orofecale in paesi
in via di sviluppo; 3-4 in animali in paesi industrializzati.
Il 3-4 colpisce i suini: la proporzione di suini affetti è proporzionale alla quantità di suini. In un grande allevamento 25
mila suini. Il virus può essere trasmesso principlemnte per contminazione oro-fecale ma anche ingestione di carne poco
cotta del suino.
Dati sempre più credibili mostrano che ove ci è il consumo di carne di suino cruda, l’ incidenza di portatori di anticorpi
anti HEV è più elevata. Questi virus sono abbastanza resistenti, questo è il motivo per cui tutte le popolazioni del
mediterraneo sono positivi all’ HAV. Per portare a 0 la carica virale bisogna cuocere molto.
Analisi su 103 agricoltori: a seconda dei kit che si usano si ha una sensibiltà diversa.
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NODULO DEL MUNGITORE


Infezione da pseudopoxvirus o parapoxvirus  si trasmette da animale all’ uomo e dall’ animale al cucciolo che viene
allattato. È una malattia che si autolimita e si guarisce senza alcun esito. È indicativo del fatto che è una patologia rara.
Se non ci fosse stato il contatto col vetereinario non ci saremmo arrivati.
Esempio che il mondo public health collabori.

Gli RNA aviari possono essere oncogeni, e c’è qualche evidenza non peregrina che alcune popolazioni come i veterinari
sono a rischio di sviluppare tumori emolinfopoietici da esposizione di oncovirus avvenuta nell’ allevamento.
Oppure, tumori maligni nelle fosse paranasali: sono rarissimi. Sono talmente rari che a Milano c’è il registro dei tumori
delle fosse nasali (naso-sinusali). Ne sono stati trovati due nell’ allevamento di volatili. È il numero trovato anche negli
stati uniti a Baltimora.
Una concordanza non vale la prova, ma bisogna tenere conto che vi è esposizione a polveri di legno, e forse anche a
formaldeide, usata in maniera massiccia negli alelvamenti ovicoli.

Uso di antibiotici perché se ci sono così tanti animali, un’ infezione si diffonde rapidamente.
Da molte parti si pensa che l’ antibiotico-resistenza abbia origine non solo dall’ uso dei medici.

BRUCELLOSI l’ Italia è esente ma in realtà bisogna fare attenzione agli alpeggi.

Zecche: studio interessante mostra che in Abruzzo se si fanno prelievi alla gente che vive lungo la transumanza c’è un’
incidenza più elevata che altrove di anticorpi anti-rickettsie. Sono aumentate del 40% a causa del riscaldamento globale.

Medicina del lavoro – 16/04/2018

Pneumoconiosi
Allora oggi parliamo di polveri, quando parliamo di polveri non idrosolubili la terminologia che usiamo è
pneumoconiosi. L’asma, il cancro e le bronchiti saranno trattate in un’altra lezione, l’asma sarà trattato
insieme alle allergie anche se alcune tipologie di asma non sono allergiche.
Con pneumoconiosi si intende l’ accumulo di polveri nei polmoni e le reazioni tissutali alla loro presenza.
Le tre pneumoconiosi principali e di maggior importanza epidemiologica sono: la silicosi, l’ antraco-silicosi
e l’ asbestosi.
Il termine pneumoconiosi si usa per tutti i danni della polvere alla parte alveolare dei polmoni, incluse le vie
aeree che non hanno uno strato mucociliare. Con fibrogenico si intende: che è in grado di produrre una
risposta con deposizione di collagene e fibre  questo fenomeno ovviamente porta ad una compromissione
della funzione di organi e tessuti.

Le polveri sono composte da particelle di dimensioni variabili che possono causare un problema in
dipendenza da due componenti:

● La prima è quella che prende il nome di diametro idrodinamico che è il diametro bilanciato sulla
massa
● Il secondo è la composizione chimica della particella e la sua modalità di interazione con il corpo
umano.

Prendiamo come esempio la polvere minerale tipica che non è solubile e non ha una forma particolare: è
dannosa per l’apparato respiratorio in rapporto alla sua capacità di arrivare alle vie aeree profonde e
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depositarsi lì. Questo succede quando non viene intercettata dalle pareti delle vie respiratorie nel suo tragitto
e quando non resta in sospensione aerea nell’alveolo.
Il comportamento dipende dal diametro aerodinamico delle particelle:

- Se è minore di 0,5 um resta in sospensione nell’alveolo e quindi si comporta come si comporta il


fumo di sigaretta: resta in sospensione e poi all’atto espiratorio esce. Rimane in sospensione nell’
aria alveolare e viene esalata.
- Se la particella ha una grande dimensione (> 5 um), la sua velocità garantisce un’energia cinetica
talmente elevata che quando l’aria devia il suo percorso lungo le vie aeree va a impattare contro le
pareti, che essendo umide la bloccano. La particella che non è solubile, come la silice, viene spinta
verso la gola dalle ciglia vibratili, viene deglutita e finisce lì. Impatta sulle pareti del tratto
respiratorio e viene rimossa dai movimenti delle ciglia.
- Se ha dimensioni tra 0,5-5 um invece finisce nel polmone profondo e si deposita a livello alveolare
dove dà origine a quella serie di modificazioni che danno origine alla pneumoconiosi. La
pneumoconiosi benigna è semplicemente un accumulo di polvere nel polmone senza però la
reazione infiammatoria che determina poi l’alterazione patologica. Se la polvere è idrosolubile e
contiene sostanze tossiche, il fatto che venga fermata lungo le vie aeree non cambia molto perché si
sarebbe sciolta a livello polmonare quindi il problema è la gestione della sostanza tossica a livello
polmonare. La dimensione che una particella deve avere per arrivare alle vie polmonari profonde
dipende da peso specifico della particella e dal suo diametro.

In generale si può dire, approssimando, che il massimo rischio di deposito nel polmone si ha per le
particelle di diametro 0,5-5 um. Quindi negli ambienti lavorativi si valuta la concentrazione di polveri
respirabili, non si valuta la polverosità visiva che è fastidiosa ma non va nel polmone.

Patogenesi: se la particella non è idrosolubile resta nell’alveolo e viene fagocitata dai macrofagi che cercano
di distruggerla con enzimi litici ma non viene distrutta. Quindi il macrofago va in apoptosi e la particella
torna in circolo. Inoltre il macrofago attivato libera citochine che richiamano altri macrofagi e altre linee
cellulari e causa attivazione dei fibroblasti che producono collagene e scompaginano la trama polmonare.
Inoltre l’ infiammazione indotta da linfociti e leucociti determina la formazione di proteasi che degradano la
fibronectina, con successiva deposizione di fibrina, reticolina e collagene: si viene a formare un danno al
sistema mucociliare.
Questa è la genesi della fibrosi polmonare che non ha niente a che vedere con la genesi della BPCO, dovuta
a una infiammazione continua conseguente a esposizione al fumo ad esempio.
La produzione di ROS, di citochine e di fattori di crescita (nell’ ambito della risposta infiammatoria a
partenza macrofagica) determina la stimolazione della crescita fibroblastica con la successiva deposizione di
matrice.
All’ inizio il processo è reversibile, ma diventa irreversibile se si verifica in maniera ripetuta. Alla fine dell’
esposizione le polveri residue possono continuare la reazione e quindi indurre ulteriore fagocitosi dopo la
morte dei macrofagi.

Ci sono dei siti particolari in cui i macrofagi muoiono, questi sono: - i bronchioli centrolobulari (in
aggregazione)
- lungo i vasi linfatici nei pressi dei linfonodi ilari
- a livello dei setti interlobulari
- in pochi casi a livello alveolare.

NANO PARTICLES (tra 1 e 100 nm)


Oggi si sta discutendo delle nano particles, che stanno diventando una componente fondamentale della
nostra produzione moderna. Sono particelle ingegnerizzate, sono così piccole perché si vuole che siano così
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piccole. Hanno la dimensione di un batterio, meno di 0,1um, e si comportano come se, indipendentemente
dalla loro solubilità, potessero attraversare liberamente le mucose ed entrare nel torrente circolatorio
provocando delle reazioni. Spesso sono contenuti nei cosmetici e nei fertilizzanti. Attualmente non si
conoscono gli effetti che potrebbero avere, dal punto di vista commerciale appaiono miracolose
(specialmente nella produzione agricola) ma ancora non se ne conoscono gli svantaggi. Oltre a quelle
prodotte volontariamente per scopi di produzione agricola, esistono anche prodotte involontariamente nel
fumo ad esempio e nel diesel, che infatti tra 5 anni sarà bandito.
Lo sviluppo più promettente delle nano-particelle riguarda soprattutto l’ agricoltura, in cui vi è la necessità di
una forte e continua innovazione per l’ aumento della sicurezza globale sul cibo e le sfide per il cambiamento
climatico. Lo scopo dei nanomateriali in agricoltura è quello di: ridurre il quantitativo di prodotti spruzzati
attraverso il rilascio di piccole particelle, minimizzare la perdita di nutrienti nel processo della
fertilizzazione, aumentare il raccolto attraverso acqua ottimizzata e la gestione dei nutrienti a livello
microscopico.

FIBRE E PARTICELLE
In base alla loro forma le particelle sono divise in due gruppi: particelle e fibre. La differenza tra le due è
che la particella non ha un rapporto lunghezza diametro sufficiente a essere considerato tale, una fibra ha un
rapporto lunghezza diametro superiore o pari a 3. Il diametro aerodinamico è quello che fa scontrare la
particella con i tessuti, le fibre invece se sono perpendicolari al flusso dell’aria impattano ovunque, ma in
modo parallelo raggiungono il polmone profondo anche se sono molto lunghe. Alcune delle particelle che
arrivano nel polmone profondo possono essere più lunghe del diametro di un macrofago, che quindi fa una
fagocitosi parziale. Quindi c’è l’attivazione macrofagica ma le fibre rimangono e sono di diametro più lungo
del diametro minimo dell’alveolo. Quindi, quando l’alveolo si comprime, la particella gratta contro le sue
pareti che sanguinano: si crea il macrofago con i baffi.

I materiali che producono queste fibre aerodisperse sono l’asbesto, un silicato fibroso con una forma tipica in
fibre e le man made fibres (MMS) tra cui fibra di carbonio, vetro e ceramiche. Nel 92 quando l’amianto è
stato vietato sono stati prodotti coibentanti con caratteristiche simili e quindi si sono sviluppate fibre di
carbonio, vetro e ceramica. La fibra di vetro è sempre un silicato, ma un silicato amorfo, che causa problemi
solo per la sua componente fisica, non per quella chimica.

Oltre alle fibre anche alcune particelle fatte dall’uomo, come ad esempio la polvere di cemento, la polvere di
calcio e grandi quantità che sono prodotte con i residui di combustione e di lavorazione. I residui di
combustione sono fumi, quindi concentrati di particelle in cui le particelle hanno una granulometria molto
ridotta. Le particelle prodotte dalla combustione sono di materiale spugnoso e frastagliato, con peso specifico
basso, assorbono grande quantità di prodotti chimici e si comportano come i farmaci retarded: la particella
rilascia lentamente le sostanze che aveva assorbito. Mentre le particelle della combustione del carbone sono
visibili come delle palline di vetro scure.

Domanda: l’asbestosi come arriva alla pleura? La risposta più probabile è che le fibre passino attraverso gli
stomi linfatici, ma è una questione molto dibattuta.
Tutte le patologie da polveri minerali non cessano il loro sviluppo al cessare dell’esposizione,
l’aggravamento della silicosi è un processo che continua perché la particella viene inglobata da un altro
macrofago che libera enzimi e viene inglobato da un altro macrofago e così via nel processo che abbiamo
descritto, quindi può peggiorare anche dopo 20 anni dall’esposizione.

DETERMINANTI DELLA SEVERITA’ DEL DANNO


Tossicità della polvere e livelli di esposizione. In questo senso, esposizione ad alti livelli per un periodo di
tempo minore è più efficace rispetto a bassi livelli per un lungo periodo.
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Polvere non sclerogene: Grafite naturale e artificiale, Bario, Caolino; Gesso.


La baritosi ad esempio accoppia a un quadro radiografico molto preoccupante un’assenza totale di sintomi e
in quanto la clearance è completa e viene lentamente eliminato. Questo perché non genera reazione tissutale.

Polveri sclerogene: Alcune polveri di per sé non sarebbero sclerogene, ad esempio il carbone. Questo non è
sclerogeno ma viene estratto in miniera: nel sottosuolo il carbone è mischiato anche a silice libera cristallina.
Questo ci dà polveri miste, non clinicamente inerti. È presente in Italia anche un importante contaminazione
da amianto nel talco: è stato un problema di salute pubblica per decenni perché amianto e talco stanno molto
vicini in termini di estrazione, quindi il talco spesso contiene amianto. Fino a un certo punto si era
inconsapevoli e si usava sui bambini, ma il vero problema era la grande produzione industriale del talco –
digressione sull’attuale class action per una causa su mesotelioma pleurico alla johnson.
Polveri fibrogeniche sono ad esempio:
1- Il diossido di silicone: comunemente conosciuto come silice. Ne esistono tre forme: cristallino, micro-
cristallino e non-cristallino (amorfo).
Il cristallino è rappresentato dal quarzo (alfa e beta), dalla trimidite e dalla cristobalite. La trimidie e la
cristobalite sono più fibrogeniche delle altre.
Il microcristallino include altri minerali formati dalla diagenesi della silice cristallina.
Per quanto riguarda l’ amorfo, la forma più importante è la Diatomite. Non è fibrogenica ma se riscaldata
porta alla formazione di cristobalite o trimidite (che sono fibrogeniche).

2- Il carbone: è un materiale naturale nero-marrone e solido derivato dalla lenta trasformazione di piante
sepolte nel corso di milioni di anni. Ne esistono 4 categorie: (1) lignite (carbone marrone), (2) carbone sub-
bituminoso, (3) carbone bituminoso, (4) antracite. Questi riflettono la risposta progressiva dei materiali al
calore e alla pressione. L’ antraco-silicosi è causata dall’ antracite e dal carbone bituminoso. L’ antracite è il
più duro, la lignite la più morbida.

Silicosi
Le lavorazioni a rischio sono nell’industria mineraria e nei refrattari (materiali utilizzati per costruire forni e
vengono progettati per resistere senza alterarsi ad alte temperature, come ad esempio gli stampi per i metalli
fusi). Il problema di fondo dei refrattari è che essendo esposti a enormi sbalzi di temperatura devono essere
rinnovati periodicamente. Attualmente in Italia non ci sono più grandi produzioni siderurgiche ma un tempo
erano presenti, quindi avrete pazienti che sono stati esposti ai refrattari. Ovunque ci siano trattamenti a caldo
e refrattari ci sono continue revisioni e, soprattutto al momento della eliminazione, c’è grande produzione di
polveri, in cui è presente silice cristallina. Inoltre essendo l’insorgenza della patologia molto subdola il
paziente non si accorge che sta peggiorando, ma lo vede solo come un progressivo deterioramento. Tutti i
processi di produzione siderurgica come l’industria della ceramica, industria di vetro e cristallo sono
sottoposti a sorveglianza. Queste sostanze partono dalla sabbia, che è silice libera cristallina in polvere, ma
con granulometria tale per cui non può essere inspirata. Tuttavia la cottura e la macerazione di pietre può
ridurre la granulometria, e permettere che la silice sia inspirata; ad esempio questo accade nella colorazione
di jeans, casi in Turchia, e agli addetti alla sabbiatura dei metalli.

Patogenesi: attivazione dei macrofagi, liberazione dei fattori chemiotattici e mediatori di flogosi, migrazione
di polimorfonucleati, linfociti e macrofagi, rilascio di fattori stimolanti i fibroblasti con ialinizzazione e
deposito di collagene. Tutto questo dà origine al nodulo ialino, un corpo centrale acellulato fatto da
deposizione di questo materiale ialino (collagene) circondato da una corona di linfociti, macrofagi e
fibroblasti.
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La malattia può essere: - acuta  improvvisa inalazione di importanti quantità di polvere.


- subacuta  intermedio tra acuta e cronica.
- cronica  dovuta ad una prolungata inalazione di dosi non in grado di causare silicosi acuta.

Clinica: la patologia si manifesta con dispnea, in particolare da sforzo, insidiosa, accompagnata all’RX da
piccole opacità tondeggianti in particolare ai lobi superiori con tendenza a confluire e distruggere il
parenchima polmonare che viene sostituito con materiale ialino (sono i noduli ialini). All’anamnesi
occupazionale valutare che abbia almeno 10-15y di esposizione.

Domanda: la polvere di legno è considerata cancerogena, soprattutto quella di legno duro, e dà un altro
rischio di tumore di seni nasali. In questo caso bisogna raccogliere l’anamnesi professionale, con ottima
probabilità di indennizzo. Inoltre è molto allergizzante.

Diagnosi: la fibrosi pura è restrittiva, pertanto la silicosi in teoria dovrebbe dare un quadro restrittivo, in
realtà è sempre un quadro misto, dovuto all’inspirazione di materiale che non è silice pura.
1- Il primo approccio diagnostico è con la spirometria che di solito è normale nelle prime fasi e poi evolve
in forma di tipo restrittivo-misto.
Se la riduzione funzionale è minore del 25% allora la spirometria non si considera anomala (almeno non
negli spirometri di piccole dimensioni di un ambulatorio di medicina del lavoro), in genere inoltre il quadro
restrittivo è fortemente influenzato da errori di esecuzione.
2- Poi si valuta un Rx torace e talvolta si ha una lieve compromissione della capacità di diffusione alveolo
capillare dei gas.
3- Il gold standard sarebbe la TC HRTC ad alta risoluzione, ma il prof si dichiara contrario all’esagerazione
nell’uso di questo strumento che non è strettamente necessario.
Per i quadri che si trovano in Italia oggi non vi sono alterazioni di rilievo. Un’ esposizione tipica con una
tipica radiografia del torace è sufficiente per la diagnosi: si può fare la diagnosi di malattia professionale.

Altri strumenti diagnostici sono: il BAL (che è il più diagnostico con la conta delle cellule) ma essendo
molto invasivo ed essendo sufficiente una serie di esami più semplici non c’è necessità di andare a disturbare
il paziente facendo il BAL. Ugualmente la biopsia (troppo invasiva).
Altrimenti si può ricorrere alla valutazione dell’ angiotensinogeno plasmatico e all’ esame dell’ espettorato.

SILICOSI E CANCRO
Dal 97 la silice libera sta nel gruppo 1 di IARC (certamente cancerogeno), ma dal momento che tutte le
fibrosi sono cancerogene la domanda è: è la silice o la fibrosi ad essere cancerogena?
Quello che cambia è che se è la fibrosi ad essere cancerogena allora esiste una soglia d’esposizione (la
fibrosi deriva da una determinata esposizione); se il rischio invece è la silice non esiste una soglia
accettabile, dovrebbe essere totalmente eliminata l’esposizione.
Le fibrosi sono spesso condizioni pre-cancerose. (Anche la fibrosi polmonare idiopatica)
L’ asbestosi porta un rischio elevatissimo di tumore del polmone, così anche la silicosi (perché sono fibrosi).

Bisogna ricordare che il paziente peggiora ma c’è un momento in cui smette di peggiorare: il segno è la
presenza all’rx torace di calcificazioni a guscio d’uovo. Questo indica circoscrizione delle aree più a rischio
con congelamento della patologia. Sono calcificazioni presenti a livello dei linfonodi ilari e mediastinici e
sono utili per distinguere la silicosi da altre patologie polmonari.

Classificazione: in caso di diagnosi di pneumoconiosi si deve usare la classificazione dell’ilo, dategli


un’occhiata, è mnemonico e basta leggere, date un’occhiata per saperlo ma non serve lo sappiate a memoria.
Quello che è importante è che se vi capitasse di fare diagnosi vi ricordiate di utilizzare la classificazione
dell’ilo oppure chiediate al radiologo di utilizzarla. (
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142

http://www.ilo.org/safework/info/publications/WCMS_168260/lang--en/index.htm --> ILO aggiornata al


2011).
1- Diffusione dell’ opacità: da 0 a 3. Con sottocategorie.

2- Forma e dimensioni: p, q, r. La p è la più piccola, la r è la più grande. Se irregolari: s, t, u

- Le grandi opacità vengono espresse in lettere maiuscole: A, B, C.


La diagnosi di pneumoconiosi deve essere sempre riferita alla classificazione ILO: quando diagnostichiamo
asbestosi/silicosi ad esempio bisogna far riferimento alla classificazione ILO.

Medicina del lavoro #9 – 23/04/2018

I pesticidi
Prof. Colosio – 23/04/2018 – Autore: Luca Felli – Revisore: Manuel Bovello

In diverse parti del mondo c’è una crescita di necessità e richiesta per il cibo, un cibo buono e sano; per produrre tutto il
cibo necessario serve qualcosa, e ci si pone la domanda se il cibo sia nostro alleato, o un nemico della salute. Ci
interessa come funzionano e come si usano pesticidi, come influiscono sulla nostra salute, all’impatto ambientale e
come si possano evitare i loro effetti negativi senza tralasciare gli aspetti positivi.
La definizione dell’ OMS di oltre 40 anni fa dice che i pesticidi sono sostanze attive contro le varie specie animali,
microrganismi e piante che costituiscono fattori di danno in campo agricolo e civile.
Sono sostanze attive, che si usano contro le specie animali, microrganismi e piante (PEST in inglese, ovvero fattore di
danno in agricoltura), ovvero quelle dannose, per cui il nostro obiettivo è proprio quello di ucciderle o controllarle,
perché essi non sono utili per il nostro consumo.
Per questo abbiamo creato pesticidi, con caratteristiche diverse da altre sostanze chimiche di uso comune; sono immessi
nell’ambiente da parte nostra volontariamente ma sono anche dotati di tossicità intrinseca elevata, perché se così non
fosse non svolgerebbero la loro funzione di uccidere questi organismi.
La definizione maggiore è fitofarmaci/prodotti fitosanitari. Il fitofarmaco è anche il fertilizzante che però non ha
grande tossicità sugli esseri viventi.
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Vengono creati con l’idea di uccidere proprio uno specifico microrganismo, anche se ciò è impossibile: di solito hanno
effetto anche su vari organismi che non creano danni, ad esempio le api (per i neonicotinoidi), animali molto importanti
ed utili, però alcuni pesticidi hanno effetti negativi anche su di queste.
L’uso di pesticidi non si può evitare, nonostante tra voi ci possa essere qualcuno in disaccordo, ma per la quantità di
cibo che serve al mondo intero non è possibile produrre tutto questo cibo senza pesticidi, e anche per tenere il cibo
fresco e di qualità tra l’area di produzione e quella di consumo.

Un po’ di storia….
Nella storia i pesticidi sono stati usati dall’antichità, a partire dai romani (che utilizzavano ad es. il sangue di orso per
proteggere le piante, ma che in realtà non funzionava, metalli come il rame ecc..).
Nel 1860 esisteva una poltiglia portoghese, e così altri esempi di sostanze attive che sono state utilizzate e poi
successivamente rifiutate poiché non facevano bene o non erano efficaci. Un esempio è l’ arsenico che oggi è
considerato cancerogeno. La politiglia bordolese (rame e calce) veniva usata dai tempi di Alessandro Magno. Un altro
esempio: se metti i geranei o i crisantemi non passano le zanzare: questo perché hanno piretrine naturali che sono
insetticidi (il rimedio della nonna aveva ragione). Alessandro Magno è arrivato in india dove c’erano molti insetti: in
queste zone lui usava accendere grandi falò in cui buttava certi tipi di fiori tra cui i crisantemi perché si sapeva che
producevano sostanze contro gli insetti.
Pesticidi sono stati utilizzati anche nelle guerre come armi chimiche; nel baby boom post WW2 sono i pesticidi quelli
che hanno permesso di sostenere il loro fabbisogno. È proprio allora che venne creato il DDT, che poi si è cercato di
evitare poiché nocivo per l’ambiente. Il DDT ha permesso di debellare dall’ Italia la malaria (alcuni papi sono morti di
malaria a causa dell’ agropontino che era una zona malarica fino alla fine dell’ ‘800). In un solo anno di applicazione la
malaria è stata eliminata. Si è scoperto però poi che il DDT non crea tossicità acute ma può accumularsi nell’
ecosistema e comportare esposizione anche a distanza di anni dall’ applicazione.
Se prendo un campione di tessuto adiposo di uno tra noi studenti, si trova sicuramente del DDT e DDE. Il DDT ci è
stato passato dalla mamma con l’ allatamento, la mamma a sua volta l’ha preso dalla nonna sempre per allattamento o
per contatto diretto, ecc… Nel tessuto adiposo si deposita con tempi di emivita superiori ai 10 anni: vuol dire che in 10
anni la metà, poi la metà della metà.
Venti d’ alta quota: verso ovest più veloci; verso est più lento  fanno si che il DDT che si disperde nell’ ambiente
venga trasportato nelle zone artiche. È per questo che la popolazione più esposta a DDT (e con la maggior incidenza di
tossicità) sono gli inuit.
Dopo l’ introduzione degli organofosforici sono state segnalate epidemie di intossicazioni acute anche mortali. Se non si
sta attenti, queste possono causare importanti manifestazioni acute. Il problema quindi è raggiungere una determinata
specificità: fortunatamente ci sono oramai composti talmente specifici da non essere più tossici.
PIRETRINE: estratti vegetali  quando utilizzate per la malaria sono state evidenziate delle resistenze. I fitofarmaci
possono creare resistenze nei loro target.
PIRETROIDI: di sintesi. Il prof lotta con gli afidi delle mele e delle prugne perché anche per i PIRETROIDI si può
sviluppare resistenza.

Classificazione antiparassitari: ciascun composto può essere incluso in una delle tre classi.

- Chimica: dipende dalle molecole da cui sono composti.

o Esteri fosforici, con più di


100 principi attivi, usati di
solito come
insetticidi
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o Carbammati, usati come insetticidi e erbicidi


o Litio carbammati, molto popolari anche in Italia
o Cloro organici.
o Cloroderivati degli acidi fenossicarbossilici
o Dipiridilici: erbicidi come il Paraquat, Diquat.
o Composti organici dello stagno
o Derivati del nitrofenolo
o Derivati delle triazine
o Derivati dell’ urea
o Idrocarburi alifatici alogenati.
Alcune sostanze vietate in UE sono magari tuttora utilizzate in altre parti del mondo.

- Funzionale: basata sull’effetto. È più utile all’ agronomo sceglie a seconda dell’ agente su cui bisogna
agire.

o Insetticidi, attivi sugli insetti. Inorganici basati su arsenico non più usati, esteri fosforici, cloroorganici
(DDT), oli minerali e sostanze di origine vegetale (alcune usate anche in agricoltura organica in modo
che non abbiamo un effetto negativo sull’uomo). Questi sono i prodotti più tossici, perché i sistemi
enzimatici su cui agiscono gli insetticidi sono analoghi anche ad organismi superiori tra cui l’
uomo.
o Fungicidi, ad es. in Italia, dove si produce moltissimo vino. I funghi sono quelli che più affliggono la
produzione di uva. Possono essere inorganici o di altri tipi.
o Acaricidi
o Molluschicidi
o Erbicidi: fenossicarbossilici, carbammati, derivati dell’ urea, dipiridilici ecc..
o Rodenticidi: anche questi sono molto tossici per i mammiferi perché sono indirizzati ai topi,
mammiferi. Tra questi vi sono i cumarinici (come il warfarin)

- Tossicologica: il libro dell’ OMS sui pesticidi fa da guida. A noi interessa sapere gli effetti tossicologici di una
sostanza che attiva potrebbe uccidere il 50% degli animali sperimentali, di cui bisogna tenere conto della via di
assorbimento e del tempo di esposizione (ad esempio del contadino che ne viene a contatto ogni giorno). Si
sperimenta prima sugli animali e si crea un Safety Index percentuale, così si evita tossicità anche in caso di uso
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errato del pesticida da parte dell’operatore. Ad esempio “classe 1 IARC” è la classificazione che più interessa
ai medici per capire i rischi.

Impieghi dei pesticidi:

- Agricoltura tradizionale. In agricoltura si cerca di produrre più cibo, di perderne la minore quantità possibile
tra la produzione e la tavola, e di avere il minor effetto negativo possibile sui consumatori, sui lavoratori, o su
animali non nocivi per la produzione del cibo. Al contempo essere efficaci sui microrganismi nocivi, i PEST
(in inglese).
- Salute pubblica: ad esempio quelli impiegati nella lotta contro la Malaria. Tutti gli insetti o piante che
possono essere pericolosi per l’essere umano sono controllati usando pesticidi.

PESTICIDI NEL DETTAGLIO (CLASSIFICAZIONE CHIMICA)

CLORODERIVATI DEGLI ACIDI FENOSSICARBOSSILICI


Alcuni esempi di rilascio ambientale di pesticidi.
- A Seveso un impianto sintetizzava questi pesticidi composti da acidi fenossicarbossilici. Un’ esplosione ha
determinato il rilascio massivo di questi acidi nell’ ambiente  l’ incremento della temperatura ha fatto poi si che due
molecole di clorofenolo si condensassero portando alla sintesi di diossina. (I cloro dei due acidi si legano tra di loro).
Il calore aumenta la capacità di sintesi (catalizza la reazione di condensazione) formando enormi quantità di diossina: il
legame cloro-carbonio non è scindibile dagli umani perciò come la assumi viene eliminato.
Ci furono quindi dei casi di CLORACNE (o ACNE CLORICA): un’ affezione dermatologica del tutto simile all’ acne
ma molto più deturpante.
- A Bhoppal in India: avvenne il rilascio di un’ insetticida che si è disperso nell’ ambiente, è ricaduto a terra e ha
portato a terra a morte tutte le forme di vita (umane e animali) in una notte.
- Uso degli acidi FENOSSICARBOSSILICI nella guerra del Vietnam.
Per contrastare la resistenza locale gli americani rilasciavano acidi fenossicarbossilici (agente arancio, orange) che
erano defolianti. Portavano all’ essiccamenteo della foresta tropicale in poco tempo. Successivamente passavano con il
NAPALM, un prodotto fortemente combustibile e in un attimo bruciavano migliaia di km quadrati di foresta tropicale.
Gli americani non lo sapevano ma utilizzavano applicazioni di acidi fenossicarbossilici inquinati da diossine. Infatti in
quella zona del mondo uno dei principali problemi è la contaminazione da diossine dovute all’ uso di acidi
fenossicarbossilici durante la guerra del Vietnam.
- Le mondine (tra anni 60 e 70) che lavoravano togliendo le erbacce dal riso. Durante il periodo di sovrapposizione
dell’ utilizzo di diserbante manuale e chimico, le mondine rimasero esposte a quantità di diossine molto elevate.

ORGANOFOSFORICI (esteri forsforici)


Derivano chimicamente da: acido fosforico e acidi
tiofosforici.
Effetti Acuti
Sindrome colinergica: gli insetticidi organofosforici hanno la
caratteristica di inibire l’Acetilcolinesterasi, causando effetti
muscolari, del SNA, fino alla morte. La fosforilazione
dell’enzima può essere reversibile o irreversibile (avviene l’
“aging”, ovvero l’ invecchiamento dell’enzima dovuto al
legame irreversibile).
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Si sta lavorando molto sull’antitossina, che potrebbe risolvere tale problema nel caso di intossicazioni: questo problema
è raro in Italia e se capitasse ci sono centri appositi di tossicologia clinica per cui è raro vedere tali pz. Se lavoraste in
campagna è comunque importante sapere riconoscere i sintomi e sapere chi chiamare.
Patogenesi dell’ intossicazione acuta.
Il tutto origina dall’ inibizione dell’ enzima acetilcolinesterasi (per fosforilazione). Questo determina un accumulo di
acetilcolina, mediatore della trasmissione dell’ impulso a livello delle sinapsi colinergiche. Di conseguenza vengono
coinvolte le fibre pre-e post-gangliari simpatiche e parasimpatiche, le placche neuromuscolari e il sistema nervoso
centrale.
La fosforilazione dell’ enzima è REVERSIBILE o IRREVERSIBILE. La prima è quella che avviene per la maggior
parte dei composti, la seconda avviene per il fenomeno dell’ aging, ovvero l’ invecchiamento dell’ enzima.
Esistono inibitori diretti ed indiretti:

- I diretti esercitano i loro effetti senza alcuna modifica metabolica (sono composti contenenti un legame P=O):
in genere i segni e i sintomi compaiono rapidamente dopo l’ esposizione.
- Gli inibitori indiretti necessitano di una biotrasformazione per essere attivi  i segni e i sintomi compaiono
tardivamente rispetto all’ esposizione e durano più a lungo.

Assorbimento. La via di assorbimento dei pesticidi può essere diversa: se un paziente inala una dose molto alta,
piuttosto che venga a contatto con la cute e venga assorbito in questo modo, avrà
effetti diversi.
La via di inalazione è la più rapida: quasi il 100% di ciò che è inalato viene anche
assorbito; la cute ha assorbimento più basso per cui è meno pericolosa l’
esposizione a questo livello.
Alcuni studi (dall’Africa) dimostrano che l’effetto è spesso molto ritardato
rispetto all’esposizione, anche dopo 10 dalla fine di un’esposizione prolungata ad una dose anche non pericolosa. Gli
effetti che si possono determinare “tardivamente” sono quelli su SNC: con paralisi flaccida e problemi psichiatrici
(depressione, suicidio). In Africa c’è molta ricerca in questo settore.
Si possono avere anche episodi ad 1-3 settimane dopo
l’esposizione. Si può trattare di una grossa esposizione
singola (ricovero, dimissione e poi ricomparsa dei sintomi
dopo poche settimane), oppure minima esposizione
prolungata per anni, con qualche episodio di diarrea, però
dopo 10 anni presentano un invecchiamento sproporzionato
rispetto alla loro età, dovuti a effetti su SN. I pazienti infatti
hanno Parkinson, Alzheimer; quindi sempre prestare
attenzione a esposizione a pesticidi in anamnesi.

L’ effetto immediato o tardivo dipende dalla loro struttura


chimica:

- quando sono fosforici e basta hanno un legame P-O ed agiscono in modo immediato sull’organismo (inibizione
immediata dell’Ach esterasi);
- quando sono tiofosforici con legame P-S (es. Parathion) esso deve essere metabolizzato, l’effetto sarà più
tardivo e avvenire a seguito dell’accumulo di dose.

(La desinenza THION è indice di ZOLFO).

Azione. L’ acetilcolinesterasi viene fosforilata: in alcuni casi la fosforilazione è reversibile, in altri è irreversibile.
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Tanto più rapidamente la fosforilazione è reversibile, tanto più è limitata la tossicità dell’ organofosforico per i
mammiferi: abbiamo sistemi enzimatici che promuovono la defosforilazione.
I sintomi possono essere muscarinici e nicotinici.
I muscarinici determinano un accumulo di acetilcolina a livello parasimpatico, quindi con sintomi parasimpatici: miosi,
visione offuscta, lacrimazione, broncorrea, broncospasmo, incontinenza vescicale e rettale, bradicardia e ipotensione.
I nicotinici determinano un accumulo di acetilcolina a livello simpatico: debolezza, fibrillazione, paralisi muscolare,
iporeflessia, coma, convulsioni, astenia, atassia.
La morte può sopraggiungere per insufficienza respiratoria o insufficienza cardiocircolatoria.

Attentato alla metropolitana di Tokyo: è stato effettuato utilizzando gas Sarin: gas nervino usato anche nell’ attacco
contro i Kurdi nel regime di Saddam Houssein.
Il gas nervino è un antiparassitario organofosforico talmente potente che porta a morte se si è esposti.
Sindrome della Guerra del Golfo: in tanti chiedono indenizzi milionari per questa sindrome: se vuoi evitare di morire
per un attacco con gas nervino devi essere già trattato farmacologicamente prima di essere esposte, quindi tutte le truppe
americane da quando atterravano cominciavano ad essere trattate con antidoti per l’ intossicazione acuta da gas nervini
(organofosforici). Inoltre venivano trattati anche con antiparassitari di altro tipo: decine di migliaia di persone nelle
tende, nel deserto, sarebbero stati divorati dai pidocchi
molto rapidamente  tende e sacchi a pelo venivano
trattati con antiaprassitari. Questo duplice trattamento
cronico è quello che secondo quelli della class action ha
generato la “sindrome della guerra del Golfo”.
Dal gas nervino all’ organofosforico passa solo uno
sviluppo che è stato fatto per fare un’ arma letale.
Hanno cercato gas nervini o antiparassitari? Fino a che non
si riuniscono le due componenti non abbiamo la possibilità
di affermare che si tratti di un antiparassitario. Diventa un
gas nervino quando si riuniscono le due cose.

Effetti cronici
Soggetti esposti a basse dosi per un lasso di tempo
prolungato, anche con lunga latenza rispetto alla fine
dell’esposizione.
Ad es. sindrome della guerra del Golfo con problemi mentali
dopo il ritorno per esposizione. È il caso della Sheep dipping
syndrome, di pecore immerse in “piscine” di pesticidi: grande esposizione per i lavoratori. Si è notato che in questa
popolazione i livelli di esposizione non sono valutabili e definibili, e quindi si devono pensare metodi per venire a capo
di questo problema, ad esempio vedere la quantità di sostanza attiva comprata dall’azienda (non molto specifico, perché
l’azienda può avere comprato e non utilizzato, oppure i diversi lavoratori di una stessa azienda possono avere
esposizioni diverse); lavoratori possono essere esposti a più sostanze attive, e quindi non è facile valutare quale delle
sostanze ha causato un certo effetto; in alcuni lavoratori non è stata trovata alcuna base organica, e nemmeno in ricerca
si è trovato il meccanismo di danno di tali sostanze;

Neuropatia ritardata da antiparassitari organofosforici.


La neuropatia ritardata è una paralisi flaccida (motoria del secondo motoneurone), con componente sensitiva moderata
o assente. Sono pochi gli antiparassitari che provocano questa malattia, che esordisce 1-3 settimane dopo un episodio
di intossicazione acuta. In alcuni casi, alla guarigione della paralisi flaccida segue una paralisi spastica (interessamento
del primo motoneurone) perché interessa la colonna laterale del midollo spinale.
Segni di malattia: inizialmente sono crampi, debolezza muscolare agli arti inferiori. In alcuni casi vi è anche un
interessamento degli arti superiori, depressione dei riflessi muscolo-tendinei e paralisi flaccida.
Molti medici credono che gli antiparassitari possano causare neuropatia periferica come effetto cronico: non esiste
evidenza che questo accada.
Tra i composti che causano più frequentemente neuropatia ritardata nell’ uomo troviamo il TOCP (tri-orto-cresil-
fosfato) che non è un antiparassitario ma ha altri utilizzi ad esempio come additivo in lubrificanti e fluidi idrauilici,
solitamente tossico mediante l’ assunzione di cibi e bevande contaminati. La maggior parte causa la neuropatia in caso
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di ingestione di ingenti quantità per tentato suicidio. Oppure era inquinante dell’ alcol prodotto illegalmente negli USA
durante il periodo del proibizionismo.

Misura dell’ attività dell’ acetilcolinesterasi eritrocitaria (del globulo rosso)  ci sono tecniche per cui si può misurare
facilmente. Bisognerebbe misurare quella del SNC ma sarebbe impossibile, pertanto si utilizza questa metodica.

1- Paper test (il più semplice): su una carta bibula trattata con reagente si fa cadere due gocce di sangue del
paziente e a seconda del colore si valuta il livello di attività. Chiedere questa e non la pseudocolinesterasi
perché la butirril-colinesterasi è inibitore ma non correla con gli effetti a livello del SNC. Grande attività di
compens: finchè non è inibito più del 50 % e come livello di azione si pone un livello del 20%.
2- In italia è sufficiente chiedere al laboratorio che lo fa di analizzarlo. Chiedere sempre l’ acetilcolinesterasi
eritrocitaria e non la pseudocolinesterasi (o colinesterasi plasmatica, o butirril-colinesterasi) perché è molto
meno correlata, è più correlata.

CARBAMATI
Come gli organofosforici inibiscono l’Ach-esterasi, ma
il livello di inibizione è inferiore e meno duraturo nel
tempo, per cui è molto più difficile avere intossicazioni
acute e gravi. L’ inibizione dell’ enzima è sempre
reversibile. Possono dare inibizione colinergica che
dura poco nel tempo e quindi raramente danno
intossicazioni acute.

Non si può fare la valutazione dell’ attività dell’


acetilcolinesterasi proprio perché hanno un effetto poco
duraturo e quindi non rilevabile mediante la valutazione
del loro effetto (cioè l’ inibizione della colinesterasi).
I carbammati hanno una bassa tossicità per contatto (ad
eccezione di Aldicarb e Isolan); la comparsa degli
effetti è immediata, tuttavia la durata della sintomatologia è breve e la gravità dell’ intossicazione è inferiore a quella
degli organofosforici. Gli effetti sono muscarinici, nicotinici o centrali (come per gli organofosforici).

PIRETROIDI. Due tipi a seconda della presenza del


gruppo Ciano.
Hanno l’effetto di prolungare il tempo di depolarizzazione
dei canali del sodio, e quindi un effetto di tipo locale sui
neuroni sensoriali a seguito di contatto cutaneo, con
ipersensibilità a stimoli esterni, parestesia o formicolio.
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Quindi il paziente che applica piretroidi, cosa che molto spesso può accadere perché sono molto utilizzati, indagare
attentamente parestesie, effetto più tipico. Possono dare una Upper Respiratory Tract Sensory Irritation, con pz che
lamenta di avere come una faringite senza però i segni di essa. È solamente un’alterata stimolazione sensoriale, non c’è
irritazione.
Oppure una rara sindrome T (ipereccitabilità, tremore, ipertimia, atassia, convulsioni, paralisi), quando se ne
ingeriscono grosse quantità come in un fallito tentativo di suicidio; non più usati in UE, bensì in Africa. L’unico utilizzo
residuo è la profilassi antimalarica, trattando le pareti delle case periodicamente questo fa da repellente all’ingresso
delle zanzare, o trattando le zanzariere. Questo è l’unico uso oggi approvato.
L’ intossicazione da piretroidi di secondo tipo invece dà una tipica sindrome C (ipersalivazione, maggiore sensibilità
alle stimolazioni esterne, coreo-atetosi, paralisi).
Un piretroide ad esempio è il DDT, antiparassitario non più in uso in UE ma tutt’ ora impiegato in paesi in via di
sviluppo (per una diversa valutazione del rapporto costi/benefici; diverso comportamento nell’ ambiente nei climi
caldi).
Agisce sul flusso di cationi che attraversano le membrane delle cellule nervose. L’ esposizione prolungata ad alte dosi o
l’ intossicazione acuta da singola dose elevata possono comportare l’ insorgenza di convulsioni, in genere precedute da
disturbi nervosi aspecifici (come tremori, ipereccitabilità).

COMPOSTI AMMONIO QUATERNARIO


È stato utilizzato per anni per tentare il suicidio, per cui
risulta molto efficace: succede che la fase iniziale con
grandi ustioni esofagee impedisce la pratica del
vomito, si può solo mettere il sondino nasogastrico,
altrimenti si rischierebbe una rottura d’ esofago.
La sostanza dal circolo finisce nei polmoni dove
inibisce la sintesi del surfactante e il suo effetto
ossidante comporta l’instaurarsi di una fibrosi
polmonare tardiva, che insorge dopo la guarigione
dall’intossicazione acuta. Se la dose ingerita è quella
letale, non c’è nulla da fare per evitare il decesso. Per
via di ciò le ultime formulazioni commerciali erano
addizionate ad un emetico, per cui soggetto vomita immediatamente dopo l’assunzione. Dopodiché in UE è stato
vietato: è nata una discussione, perché se viene vietata una efficace, a basso costo, che non crea un vero problema
occupazionale, che non viene assorbita, non viene inalata, ma viene solo utilizzata per il suicidio, allora la gente
dovrebbe serrare tutte le finestre per evitare di buttarsi o ad esempio vietare il gas da cucina.
Notata anche un’aumentata In di Parkinsonismo.

L’ingestione di solito è intenzionale, mentre a livello


lavorativo conta il contatto cutaneo.
Meccanismo d’azione: le cellule viventi sono dotate
di complessi meccanismi enzimatici e di difesa contro
la tossicità dell’ ossigeno attivo. Quando Paraquat e
Diquat sono presenti ad alte concentrazioni, la difesa
naturale della cellula è annullata e si verifica la morte
della cellula o la lesione tissutale.

Come vediamo nella slide sul meccanismo d’ azione,


questi erbicidi dipiridilici agiscono con la formazione
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di radicali liberi dell’ ossigeno, provocando varie reazioni sistemiche, come ad esempio a livello polmonare dove
determinano un danno endoteliale, una riduzione del surfattante e di conseguenza una fibrosi importante. Il problema è
che questa fibrosi non può nemmeno essere trattata con ossigeno, in quanto questo andrebbe ad aumentare la
produzione dei radicali liberi e quindi a promuovere la patogenesi della malattia.

CUMARINICI

Rodenticidi e anticoagulanti, quindi usati anche come


farmaci, inibitori della Vit K1, sono gli stessi usati per
la terapia ma in dosi molto più elevate. Nel topo
causano emorragie disseminate. Sono stati introdotti
sul mercato prodotti di seconda generazione poiché i
topi avevano sviluppato una specie di sesto senso per il
pericolo, con emivita di 100-200 gg, quindi se un pz
che fa questo lavoro e ne inala piccole dosi
quotidianamente, può in un anno raggiungere la dose
che gli causa l’effetto acuto; il pz che è già in terapia
con cumarinici (molto comune), deve essere trattato
con particolare attenzione perché si possono

accumulare gli effetti, essendo la stessa cosa. Infine


succede che il pz reduce da intossicazione acuta
necessita di terapia anche per 2 anni perché l’emivita è
molto lunga (ricordare che l’effetto acuto non sempre
è dovuto all’esposizione a dose elevata di sostanza, ma
talvolta al raggiungimento in accumulo della dose
necessaria per scatenare l’effetto acuto, e questo può
capitare con questi prodotti).

Meccanismo d’ azione: il meccanismo biochimico


dell’ aione anticoagulante è simile in tutti i
mammiferi. I derivati cumarini agiscono inibendo gli
enzimi del ciclo della vitamina K nel fegato: -
vitamina K epossido reduttasi; -vitamina K reduttasi.
Il ciclo della vitamina K è bloccato, con deplezione dell’ apporto della forma attiva della vitamina  il risultato è la
riduzione della sintesi dei fattori di coagulazione dipendenti dalla vitamina K (fattori II, VII, IX, X). Il PT risulta
alterato.
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EFFETTI CRONICI A LUNGO TERMINE DEGLI ANTIPARASSITARI:

Gli effetti più rilevanti sono:


neoplasie, ed effetti a carico di
sistema nervoso (con effetti
neurocomportamentali),
endocrino (con tossicità
riproduttiva), immunitario,
apparato respiratorio e cute.
Domanda: come mai si parla sempre di effetti teorici di queste sostanze, è difficile fare degli studi a riguardo?

Risposta: fare studi epidemiologici in questo ambito è


difficilissimo, perché agricoltura viene utilizzata talvolta
come sinonimo di esposizione, talvolta ci sono studi
geografici, ovvero cercare concordanza tra patologia e
vendita di una certa sostanza; in più spesso l’agricoltore è
esposto a tantissimi composti, per cui il fatto che un
composto causi un solo effetto è diluito dal fatto che tutti
gli altri composti usati non lo causino. In agricoltura lo
smr è dell’ 80%, per cui è più bassa dell’atteso, la
mortalità per tumore è più bassa dell’atteso (tranne che per
alcuni tipi). Ci sono però alcune evidenze molto solide.
Queste elencate sono varie classificazioni di diverse
agenzie. Si può notare come ci siano discordanze fra le
varie agenzie, perché ognuna si basa su trial di cui
valutano metodo di studio, i pro esistenti, il livello di
evidenza statistica ecc. e che ognuna valuta in maniera
diversa.

Spesso in vitro si possono evidenziare effetti, però sono a seguito di esposizioni altissime, mentre studi in vivo hanno
difficoltà a valutare il livello di esposizione, o sono studi epidemiologici in cui le coorti possono essere raggruppate in
maniera poco chiara (es. soggetto vive in campagna=è esposto a pesticidi). È difficile valutare l’ esposizione al singolo
pesticida in quanto è

La IARC classifica gli antiparassitari in 3 gruppi: una di particolare interesse che stiamo studiando noi in questo
momento è il glyphosate, perché ha causato negli ultimi anni dibattiti riguardo i suoi effetti sulla salute.

La IARC ha spiegato che una sostanza che è


“probabilmente” cancerogena (2A), significa che ha la
capacità intrinseca di causare cancro es. il glyphosate è
stato dimostrato che a bassa esposizione ha un rischio
quasi nullo, ma la IARC replica che ad un’esposizione
maggiore il rischio è invece probabilmente esistente.
La vera contraddizione è che la IARC insieme
all’EFSA (European Food Safety Authority), ha
preso una posizione che è in contrapposizione con
l’EU. Essa nasce dall’utilizzo della “letteratura
grigia”. Queste sostanze, come i farmaci, giungono
all’autorizzazione quando hanno una gran quantità
di letteteratura grigia, grigia poiché appartiene ai
proprietari, che non è pubblicata sulla letteratura
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ufficiale, e che se la dovessero pubblicare diventerebbe appunto pubblica, e questi perderebbero i soldi investiti per
ottenere l’autorizzazione (10 aa di lavoro); grigia non vuol dire però sempre meno valida.
Il glifosato viene principalmente venduto dalla Dow Chemical, la stessa grande azienda che produce gli OGM; il
business sta nel fatto che essa produce un mais che è resistente ai glifosati, per cui se si compra quel mais e lo si
semina ad es. in Malesia, quando il mais spunta, l’agricoltore passa il glifosato e muore tutto tranne il mais. Quindi
si riescono ad avere raccolti ottimi in paesi dove devi fare grande uso di erbicidi. È un business plurimiliardario, la
Dow ritiene di essere vittima di una campagna dei “verdi” poiché Diazinon è stato messo nella stessa classe dei
glifosati ma non è soggetto a nessuna campagna; da medico del lavoro l’interesse deve essere rivolto verso la
letteratura, chiedendo letteratura grigia in via riservata ai proprietari nell’ambito di un segreto industriale.
Il secondo punto di contraddizione è che talvolta le grandi scelte sono modificate o influenzate dai grandi interessi
economici che stanno dietro.

Le associazioni italiane degli apicoltori che hanno fatto grandi proteste contro i produttori perché l’uso dei
neonicotinoidi in periodi di impollinazione ha portato alla distruzione di un gran numero di alveari.

EFFETTI ENDOCRINI
Dagli studi epidemiologici emerge un effetto cronico per:
- dibromocloropropano (DBCP): aspermia, azospermia. Molto utilizzato in Costa Rica, dove ha causato casi di
aspermia irreversibili. Vietato in Italia.
- Etilenebisditiocarbamati (EBDTC): inibizione della sintesi degli ormoni tiroidei. Negli anni 80 casi di gozzo
nei lavoratori pesantemente esposti. Effetto epidemiologicamente evidenziato.
- Antichi antiparassitari come l’arsenico: neoplasie
- Antiparassitari mercuriali

EFFETTI NEUROLOGICI
In un pz con problemi neurocomportamentali che ha
subito esposizione ad organofosforici sempre andare
ad indagare. Esiste la sindrome conseguente
all’intossicazione acuta. Da un lavoro del 2006
emergono effetti con deficit neurocomportamentali
nelle persone esposte, come quelle coinvolte
nell’attentato alla metro di Tokyo (uso di gas
nervino). Però il problema è che questi effetti
potrebbero essere dovuti ad un aspecifico insulto
anossico cerebrale, perché se subisci
un’intossicazione acuta da organofosforico vai in
coma, vai in arresto respiratorio che determina
anossia a livello cerebrale.

ANTIPARASSITARI E CANCRO
In una situazione dove non c’è forte evidenza di
cancerogenicità, ci sono studi più recenti che ti lasciano questo
dubbio. Se tu sei stato esposto in un’azienda agricola a pesticidi,
o sei stato esposto in infanzia o in vita uterina, hai poi un
aumentato rischio di neoplasie dell’apparato linfoematopoietico,
tanto è che in agricoltura spesso la donna gravida non smette di
lavorare, e il feto può essere esposto. Come medico del lavoro
presente sul territorio ricordatevi sempre di tutelare queste due
categorie, donne gravide e bambini piccoli.
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Agricultural Health Study: è uno studio


importante per la valutazione del rischio di
mortalità per tumori. Vi è un eccesso di
mortalità per alcuni tumori, in particolare per
quelli dell’ apparato linfoematopoietico (LNH
soprattutto).
In particolare viene valutato il rischio in
utilizzatori dell’ ACETACHLOR: ci sono
associazioni suggestive, ma assenza di
relazioni dose-risposta e piccoli numeri,
pertanto è impossibile raggiungere
conclusioni definitive.
In definitiva: vi è assenza di un’ evidenza
accettabile di incremento del rischio
neoplastico (esclusi i “vecchi” cancerogeni
noti, quali ad esempio i derivati arsenicali).
La mortalità per tutte le cause e per cancro è inferiore all’ atteso tra gli agricoltori (con eccezione di neoplasie della
cute, delle labra, della prostata, LNH e LH, cervello, leucemie e MM).

PESTICIDI E SISTEMA IMMUNITARIO


I pesticidi possono determinare alterazioni del
sistema immunitario, con:
- immunosoppressione, con aumentata
suscettibilità a infezioni e neoplasie;
- immunostimolazione, con possibile
evoluzione in allergia e autoimmunità
- qualche evidenza di effetti subclinici, di
significato incerto in studi epidemiologici di
esperimenti su animali da laboratorio.
- non attribuito ancora alcun significato
prognostico alle alterazioni osservate.

Gli effetti cronici e a lungo termine rimangono


quindi incerti e dubbi, e i dati non sono univoci
ma sufficienti a confermare la necessità di
interventi preventivi, in particolare per gruppi
vulnerabili.

Come vediamo dall’ immagine, a seconda dell’ esposizione gli effetti sono diversi.
A dosi minori sono esposti più soggetti e gli effetti su di questi sono “a lungo termine” e rientrano nell’ ambito della
tossicologia ambientale.
Dosi ancora più elevate rientrano nella tossicologia professionale e quindi nelle patologie da esposizione professionale.
Se vi è un’ esposizione importante, siamo nell’ ambito delle intossicazioni acute che vengono indagate con la
tossicologia clinica.

Sul mercato di oggi sono presenti oltre 900 principi attivi in migliaia di diversi prodotti commerciali. Alcuni PA sono
introdotti in commercio da decenni: entro un breve volgere di tempo verranno immessi in commercio altri 300 principi
attivi in Europa. Molti nuovi, con effetti possibili tossici cronici e a lungo termine.

RICERCA E SVILUPPO DI NUOVE MOLECOLE


Risulta importante elaborare un protocollo di base per l’ esposizione ad AP, valutando il rischio dei diversi profili di
esposizione.
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In linea di principio, per la valutazione del rischio si effettua una visita annuale con esami di funzionalità epatica,
renale e PFR.
Importante inoltre la sorveglianza sanitaria condotta per affinare i protocolli nel tempo.
( I pads sono dei dispositivi applicati alle gambe e alle braccia che consentono di valutare i livelli di esposizione del
lavoratore).

Medicina del lavoro – 07/05/2018


Amianto
Piuttosto che di “asbesto" bisognerebbe parlare di “asbesti”, perché ce n'è più di uno. Con
il termine “amianto” o “asbesto” (asbesto = amianto) si indica una qualità fibrosa di silicati.
La fibra è una struttura con un rapporto lunghezza/diametro maggiore o uguale a 3.
I tipi di asbesto sono:
- crisotilo (o serpentino o amianto bianco): quello principalmente estratto in Italia e
maggiormente estratto al mondo (95% della produzione mondiale). Perché le fibre sono
tortuose e ricordano un serpente
- anfibolo (o crocidolite o amianto blu): la crocidolite è la più rilevante da un punto di vista
tossicologico.

L’amiosite è una produzione di nicchia. Esistono molti altri silicati fibrosi, per esempio la
fluoroadenite (in Sicilia nella cava naturale di Biancavilla) e l’erionite (in Turchia). Tutti
questi silicati sono in grado di causare patologie simili. La tossicità è legata sia alla
composizione sia alla forma, infatti le varianti non fibrose sono molto meno tossiche. La
distirbuzione dei casi è particolare a seconda del territorio anche in Italia: l’ incidenza è
elevata in città sede di cantieri navali (Genova e Livorno), nei dintorni di ditte produttrici di
manufatti in amianto (Casale Monferrato: si diceva che la sponda del fiume fosse divenuta
la “spiaggia dei caraibi” perché era divenuta bianca da amianto liberato dalla ditta),
insediamenti siderurgici (a Bergamo la Tenaris di Dalmine). C’è un caso di esposizione
residenziale.
Questi silicati si trovano dappertutto: il professore racconta che ha lavorato per una ditta di
automobili e dentro il cofano fino al 1990 la parte che proteggeva il motore d’avviamento
dal calore era fatta in amianto. Persino i freni delle biciclette erano fatti in amianto.
Stati Uniti, Kazakistan, Cina, Kirghizistan, Russia, (Canada uscito quest’ anno) ne
producono ancora.

Alcuni impieghi dell’amianto:

• coibentante (=isolante) di
motori a vapore o a
combustione interna:
spinterogeno e parte
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elettrica protette da lastra di amianto (in Alfa Romeo). Questo perché l’ amianto è
una sostanza ignifuga.
• componente di materiali resistenti all’attrito (freni e frizioni d’auto): una volta erano
di amianto impastato con una resina molto resistente. Oppure “ferodi” le due cose a
ganascia che fanno fermare la ruota: erano fatte di amianto (come quelli delle
macchine anche quelli delle biciclette).
• produzione di tessuti ignifughi
• materiali filtranti
• pannelli antincendio o fonoassorbenti
• isolamenti elettrici (ad esempio nei vecchi ferri da stiro e asciugacapelli: la parte di
resistenza che generava calore era separata dalla parte elettrica da uno strato di
amianto).
• manufatti di cemento-amianto: es. nei tetti.
• edilizia (coibentante di tubature)

Le tubature delle case costruite prima della del 1992 sono ricoperte da amianto. I camini e
i tetti erano fatti da Eternit, che è composto da cemento e amianto in modo da resistere
alle alte temperature. Gli stoppini delle lampade a petrolio potevano bruciare a lungo
proprio perché contenevano amianto.
Aneddoto del professore: Alessandro Magno aveva una tela fatta di amianto e la usava
per stupire i suoi ospiti, perché dopo averci mangiato sopra rimanevano i rimasugli di cibo
e Alessandro Magno la gettava nei falò che si facevano negli accampamenti militari. Il
giorno dopo tirava fuori il telo, che era perfettamente conservato. Quindi questo minerale
fibroso, che poteva essere tessuto, era conosciuto fin dall’antichità.

L’ amianto può essere tessuto, quindi si può utilizzare come una fibra tessile.
Più del 40% dei maschi ultraquarantenni ha fatto un lavoro che potrebbe averli esposti ad
amianto, quindi un'anamnesi ben fatta, chiedendo i dettagli, è molto importante. Quando
cerchiamo di capire se uno è stato esposto ad amianto vediamo che il 20-40% è stato
esposto: è difficile valutare la correlazione con le patologie che esso provoca.
Lo “Scandinavian Journal of Work, Environment and Health” è una rivista che tratta di
medicina del lavoro e lì si possono trovare varie informazioni sull’amianto.
Tutti quanti siamo esposti a basse dosi di amianto, che respiriamo continuamente. Le città
situate vicino a cantieri navali o a vecchie fabbriche di amianto hanno concentrazioni
particolarmente elevate nell’aria.
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Nei pressi di Balangero c’è l’ultima miniera di amianto bianco ad essere stata chiusa in
Italia. La variante di amianto blu (anfibolo) è quella più tossica.

ASSORBIMENTO
La via di assunzione più importante è quella respiratoria: la fibra viene intercettata dalle
pareti dell’apparato respiratorio, il danno viene fatto principalmente dalla quota che
raggiunge l’alveolo (quelle tra 0,5-5 um). La fibra di amianto raggiunge facilmente l’ alveolo
a causa della sua forma aerodinamica (quando si dispongono in maniera parallela all’
alveolo). Le particelle più piccole (<1micron) possono finire in circolo, infatti si possono
ritrovare nelle urine dei topi esposti.
Le fibre di amianto hanno diametro <5 micron e lunghezza >5 micron (tranne le particelle
più piccole). Possono seguire i flussi d’aria fino ad arrivare all’alveolo (tanto più facilmente
quanto minore è il diametro).
Il crisotilo è meno tossico dell’anfibolo perché, essendo molto lungo (serpentino), viene
fermato prima di arrivare agli alveoli. Invece gli anfiboli sono come dei piccoli aghi che
arrivano più profondamente nel polmone. Il crisotilo è più friabile dell’ anfibolo (si
sfilacciano le fibre). L’ anfibolo sono aghi molto duri che non si riescono a rimuovere.
La frazione ultrafine (< 1 micron) è composta da nanoparticelle che possono attraversare
le membrane biologiche e raggiungere il circolo ematico. Questo è il motivo per cui
l’amianto riesce a penetrare nel cavo pleurico e a provocare il mesotelioma.
Le fibre <8 micron vengono fagocitate dai macrofagi, che producono enzimi litici. Questi
enzimi non riescono a degradare l’amianto e quindi i macrofagi vanno in apoptosi e
liberano nuovamente le fibre fagocitate. Se invece sono > 8 micron la fagocitosi è parziale
(al microscopio di vede un macrofago “coi baffi”, che sono formati dalla fibra che poi erode
i vasi sanguigni che sanguinano e ricoprono la fibra stessa).

Un macrofago medio cerca di fagocitare la fibra ma ne rimangono fuori due pezzi. Sono i
“macrofagi con i baffi” perché non sono in grado di mangiarsi tutta la fibra. Questo
comporta la fagocitosi parziale dell’ asbesto. Poi le fibre possono:
- rimanere nell’alveolo
- penetrare l’endotelio ed entrare nei capillari
- entrare nel sistema linfatico e raggiungere la pleura: uno dei punti di passaggio certi di
queste fibre sono gli stomi linfatici (piccole aperture dei vasi linfatici che comunicano
con il cavo pleurico, attraverso le quali viene drenato il liquido pleurico).
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Il prof. ricorda di aver visto i vetrini di un polmone di un paziente fumatore nei quali si
notavano bene gli stomi linfatici circondati da venature nere (composte dalle particelle del
fumo, che venivano portate verso gli stomi linfatici).

Il crisotilo tende a degradarsi perché si sfilaccia e si frammenta: infatti la sua persistenza


biologica (e quindi anche la sua tossicità) è minore di quella degli anfiboli.
Gli inquinanti corpuscolati (come l’amianto) non hanno una tossicodinamica e una
tossicocinetica come quella delle sostanze tossiche chimiche (es. benzene), perché
possono permanere nell’organismo anche per tutta la vita. Questo spiega come mai anche
brevi esposizioni all’amianto possano avere effetti molto gravi.

Quindi il crisotilo (o serpentino) è meno tossico dell’ anfibolo (o crocidolite) perché:


1- spesso non arriva agli alveoli
2- tende a degradarsi, frammentarsi e sfilacciarsi
3- L’ anfibolo contiene anche ferro.

Patogenesi – meccanismo di azione fibrogenica.


I meccanismi d’azione dell’amianto sono ancora sconosciuti ma ci sono varie ipotesi (per
approfondimenti vedi i documenti della IARC http://www.iarc.fr).
L’amianto agisce anche sul complemento: aumenta la produzione di fattori chemotattici
per macrofagi, che portano ad un aumento dei macrofagi alveolari. Per la diagnosi di
asbestosi infatti si può fare un lavaggio broncoalveolare (BAL) e si vanno a contare i
macrofagi e le fibre di amianto. Il prof non ritiene però etico fare un BAL solo per avere
una conferma dell’esposizione, in quanto è una metodica invasiva.

Il corpuscolo dell’amianto è il prodotto della fagocitosi della fibra da parte del macrofago:
è a forma di “bandiera dei pirati” (cioè, ha una parte centrale tondeggiante da cui si
dipartono delle estroflessioni più sottili) e ha colore rossastro (è ricoperto di Hb, perché la
fibra va a ledere i capillari alveolari in espirazione, quando il volume alveolare si riduce
durante la respirazione). Quindi il corpuscolo è una fibra d’amianto circondata da proteine
e intrisa di Hb.
C’è attivazione dei fibroblasti e formazione di fibrosi. Le fibrosi polmonari
anatomopatologicamente sono tutte uguali: la fibrosi da malattie occupazionali si può
distinguere dalla fibrosi polmonare idiopatica (IPF) grazie all’anamnesi, ma è molto facile
sbagliarsi. È molto importante una corretta diagnosi perché l’IPF è molto più grave di
un’asbestosi.
All’auscultazione, il paziente asbestosico ha rantoli e crepitii alle basi polmonari (simili a
quelli della polmonite) che non si modificano dopo il colpo di tosse e senza segni di
addensamento alla percussione. Nella IPF non trovo i rantoli né i crepitii.

Meccanismi fibrogenici:
- effetti meccanici delle fibre più lunghe sulle pareti alveolari
- ruolo dei linfociti alveolari nell’attivazione macrofagica, con aumento del rapporto
CD4/CD8 negli esposti
- alveolite: accumulo di macrofagi alveolari e liberazione di ROS
Vediamo che in generale si ha un aumentata risposta immunitaria cronica.
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Ricordatevi che anche Paraquat (un pesticida) causa fibrosi.

Per la cancerogenesi ci sono 5 meccanismi che sono stati ipotizzati:

• generazione di radicali liberi che ledono il DNA cellulare: sembra che il ruolo del
ferro presente nella molecola sia importante (nell’anfibolo c’è più ferro che nel
crisotilo)
• interferenza fisica con processi mitotici
• stimolo della proliferazione delle cellule-bersaglio: pare che il meccanismo
cancerogenico da sostanze esogene (es. formaldeide) sia la flogosi cronica
• promozione di processi infiammatori cronici che portano ad un aumentato rilascio di
radicali liberi dell’ossigeno
• azione co-cancerogena o trasporto ai tessuti-target di cancerogeni chimici
• non si sa se l’amianto agisca come cancerogeno iniziatore, promotore o completo:
questa però è una visione semplicistica del processo di cancerogenesi

Perché il fumo richiede anni di esposizione mentre l’ asbesto no?


L’ amianto una volta che entra nella pleura non viene rimosso (continua a dare i suoi effetti
biologici).
Il fumo invece contiene sostanze come ad esempio il benzene che dopo due giorni esce
facilmente.
Esposizioni brevissime a basse dosi possono comportare un rischio aumentato di
mesotelioma.

Ora la teoria più accreditata è quella della flogosi: con attivazione del complemento, dei
macrofagi alveolari ecc.. più teorie convergono in quella unica che vede la flogosi come
causa principale. La fagocitosi incompleta porta a produrre i corpuscoli dell’ amianto he si
vedono al microscopio.
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MALATTIE DA AMIANTO:
- non neoplastiche: manifestazioni pleuriche benigne (placche pleuriche), asbestosi.
- neoplastiche: tumore del polmone, mesotelioma della pleura e del peritoneo, altri
tumori sospettabili ma con evidenza minore (colon-retto, laringe, albuginea testicolare
(perché è una membrana sierosa), peritoneo…): in questi casi l’ incidenza cambia
molto.
In Italia ci sono 1000-1200 mesoteliomi pleurici/anno, ma solo 100 mesoteliomi
peritoneali/anno (quindi abbiamo poche informazioni su questi ultimi).

NON NEOPLASTICHE

1- Pleuropatie benigne da amianto:

• placche pleuriche circoscritte: sono asintomatiche, possono essere calcifiche


• ispessimento pleurico diffuso
• atelettasie rotonde
• versamento pleurico

Le placche pleuriche sono attualmente le più frequenti menifestazioni di una pregressa


esposizione ad esbesto. Sono state scoperte dopo la I guerra mondiale. Il rischio di
presentarle dipende dal tempo intercorso dalla prima esposizione (con una latenza >15-20
anni), non dalla quantità della dose di esposizione. Le placche pleuriche non hanno
nessuna tendenza evolutiva, non diventano mesotelioma (rassicurare il paziente).
Le placche pleuriche sono patognomoniche di avvenuta esposizione ad amianto (ma non
da esposizione elevata), ma possono anche non esserci (dipendono dalla suscettibilità
individuale): alcune persone esposte a grandi quantità di amianto non le sviluppano,
mentre altre esposte a basse dosi sì. Quindi si può avere un mesotelioma da amianto
anche senza placche.
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Le placche pleuriche all’imaging vanno distinte dagli accumuli di tessuto adiposo nei
pazienti obesi e da calcificazioni dovute a fratture costali.
Se il medico riscontra placche pleuriche deve sempre denunciarle (anche se non
comportano mai nessun danno al paziente): nella medicina legale è considerato un danno
anche un’alterazione fisica che non comporta nessun deficit (es. piccola cicatrice). Però il
paziente non ha diritto a nessun indennizzo, perché la placca viene valutata 4-5% di
disabilità (il limite per avere l’indennizzo è 15%), ma se il paziente ha altre disabilità
magari raggiunge il 15%.
Attenzione alla DD in RX/TC: - traumi costali/fratture
- Obesità (per accumuli di lipidi).
Latero-laterale, anteroposteriore ed oblique (scrivere sempre + oblique): perché le oblique
possono permetterci di vedere le placche se ci sono. Se sono laterali, calcifiche,
principalmente parietali ma anche viscerali, che possono scendere e raggiungere il
diaframma non abbiamo dubbi.
Se non sono calcificate importante valutare la DD con il BMI.
- Nel caso di placca queste vanno segnalate. La denuncia comporta che al paziente
viene riconosciuto il livello 3-4 % di invalidità che però non sarà mai indennizzato. (non
creare troppe aspettative al paziente).

2- Asbestosi

L’asbestosi è una fibrosi interstiziale diffusa del polmone causata da polveri di amianto che
può essere o meno associata a fibrosi della pleura. Il termine “fibrosi pleurica” è sbagliato
e non va usato (con fibrosi si indica una cosa diffusa, mentre la placca è localizzata)
bisogna dire “placche pleuriche da asbesto”.
Negli italiani ormai l’asbestosi è scomparsa, ma si può riscontrare negli immigrati (Cina e
India sono ancora Paesi produttori di amianto).
La gravità dell’asbestosi è direttamente proporzionale all’esposizione: raggiunta una certa
dose-soglia si sviluppa la patologia in tutti gli esposti (invece nel caso delle placche
pleuriche e del mesotelioma l’insorgenza dipende dalla suscettibilità individuale). Per
sviluppare la patologia occorrono di solito almeno 10 anni (a meno che non si venga
esposti a quantità considerevoli di asbesto). Per poter parlare di asbestosi, la malattia
deve aver dato segni e sintomi evidenti (perché tutti hanno inalato dell’amianto nella loro
vita, ma ovviamente non tutti sviluppano l’asbestosi). Sia la gravità che la percentuale dei
soggetti colpiti dipende dai livelli di esposizione, quindi livelli di esposizione più bassi
provocano fibrosi proporzionalmente più lievi.
Si parla di “anni” e non di “anno”: perché può equivalere a 1 fibra/ml al giorno per 25 anni
come a 25 fibre/ml per un anno. 25 fibre/ml equivalgono a 25 milioni di fibre al metro cubo
(quindi è una quantità elevata).
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In Germania, per avere l’indennizzino bisogna dimostrare di essere stati esposti a 25


fibre/ml/anni (che è la soglia per l’insorgenza della malattia clinicamente rilevante).
E’ come l’ esposizione al fumo (pack/years). Pesa di più la breve intensa di quella lunga
ma leggera.
Il database Amyant permette di definire l’ eposizione secondo delle stime.

Altre patologie benigne sono: le placche pleuriche circoscritte, l’ ispessimento


pleurico diffuso, le atelettasie rotonde, ed il versamento pleurico (verosimilmente
reattivo, infiammatorio).

NEOPLASTICHE

1- Neoplasie polmonari

Le prime segnalazioni di tumori al polmone legate ad amianto risalgono agli anni ’30.
Queste segnalazioni furono riportate dai nazisti riguardo ai lavoratori che costruivano navi
da guerra (che erano fatte anche con amianto). Ma gli Americani credettero che fosse
stato solo un trucco dei nazisti per impedirgli di costruire navi, quindi solo nel 1955 si
considerò seriamente questa associazione. Nel 1964 si raggiunse il consenso unanime
della cancerogenicità dell’amianto.

I tipi istologici sono:


- adenocarcinoma (il più frequente, di solito ai lobi superiori)
- carcinoma squamoso
- carcinoma a piccole cellule
- carcinoma a grandi cellule
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Un tempo di diceva che l’ adenok fosse maggiormetne associato all’ asbesto, tuttavia ora
si ritiene che tutti siano dovuti all’ adenok. (Tutte le cellule polmonari, ma non ad esempio
le neuroendocrine).
Il carcinoma polmonare è la prima causa di morte nel maschio adulto, il 40% dei maschi
adulti è stato esposto ad amianto, quindi in teoria il 40% dei tumori del polmone potrebbe
essere attribuito ad amianto (ma sarebbe una sovrastima).

Consensus document dei criteri di Helsinki del 97 e poi del 2015: il criterio principe
per attribuire un tumore polmonare all’ amianto è la presenza di asbestosi.
Si pensa che se non c’è una fibrosi (anche lieve) il tumore polmonare non può essere
stato causato dall’amianto. Sarebbe importante riuscire a dimostrare questa teoria perché
comporterebbe il fatto che esiste una dose-soglia di amianto per sviluppare il tumore al
polmone. Siccome non è dimostrato, a scopo preventivo si cerca di ridurre il più possibile
l’esposizione.
Se il paziente ha asbestosi e tumore polmonare, il tumore è stato quasi certamente
provocato dall’amianto. Se non ha asbestosi, devo ricostruire la storia lavorativa del
paziente: se non ha fibrosi e l’esposizione è < 25 fibre/ml/anni è molto improbabile che il
tumore sia stato causato dall’amianto.
Nel caso di tumore polmonare (a differenza del mesotelioma) all’aumentare della dose di
amianto aumenta l’incidenza: il rischio aumenta dello 0,4-4% per ogni fibra/ml/anni,
l’esposizione a 25 fibre/ml/anni raddoppia il rischio. A livelli bassi il rischio non è
apprezzabile.
C’è una forte sinergia tra fumo di tabacco ed amianto, però se l’esposizione ad amianto è
molto bassa di fatto non influisce sul rischio dovuto al fumo. Quindi devo chiedere al
paziente con asbestosi se fuma. È importante conoscere il rischio sia dato dall’ eposizione
al fumo di tabacco, sia all’ amianto.

2- Mesotelioma della pleura

Prima degli anni ’60 l’esistenza del mesotelioma pleurico era addirittura messa in dubbio
(la prima osservazione è del 1960), questo perché il picco di esposizione all’amianto della
popolazione avvenne intorno alla prima guerra mondiale e il tempo di latenza di questa
patologia è di circa 40 anni. Nel 1960 fu segnalata la prima epidemia in lavoratori di cave
di amianto blu in Sud Africa.
Quindi ci si chiede se effettivamente il mesotelioma sia dovuto solo all’ esposizione ad
amianto.
In italia vi è il registro per il mesotelioma della pleura: il renam. Il RENAM dice che per il
20% dei casi non è chiara l’ epsosizione all’ amianto, tuttavia questo può essere dovuto ad
esposizioni presenti ma non rilevabili con sicurezza.
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Esistono altri tumori della pleura (sarcomi e fibromi), ma sono rarissimi. Un tempo si
credeva che le persone a rischio fossero quelle esposte ad elevate dosi (es. cantieristica
navale, estrazione, macinazione e filatura di amianto), ma ora si sa che anche
l’esposizione a basse dosi (es. freni, tetti in Eternit…) comporta un rischio. Infatti nel 1992
si è arrivati al bando totale in Europa dell’amianto, che però viene ancora prodotto ed
utilizzato da molti Paesi.
Nel 20-40% dei mesoteliomi pleurici non è evidenziata esposizione all’amianto
(probabilmente perché la dose è molto bassa), ma bisogna sempre ricercarla. Bisogna
fare una biopsia polmonare e misurare la quantità di fibre presenti nel tessuto.
La latenza è lunghissima (30-40 anni ma anche di più), esistono casi in cui l’esposizione è
avvenuta addirittura 60-67 anni prima dell’insorgenza della patologia, quindi può essere
estremamente difficile ricostruire la storia dell’esposizione del paziente all’amianto.

Il mesotelioma è rappresentato da tre tipi istologici: epiteliomorfo, sarcomatoide e bifasico.


Importante ricordare che non tutte le patologie neoplastiche della pleura sono mesoteliomi:
esistono anche i fibromi ed i sarcomi (rarissimi).

1:50-100 è il rapporto tra mesotelioma e tumore secondario del polmone.


Mesotelioma residenziale: da pazienti che hanno vissuto in zone più esposte.
Segnalato un caso di mesotelioma per esposizione a basse dosi: in paziente che usava
tagliare capelli agli operai di una fabbrica che produceva amianto; ma anche in una
moglie di un paziente che lavorava in fabbrica.
SENZA IMMUNOISTOCHIMICA non si può fare diagnosi di MESOTELIOMA (perché
come visto può essere un secondarismo o altro tumore).
MESOTELIOMA viene associato anche a virus SV-40 (che contamina il vaccino
antipolio), ma alcuni credono che sia dovuto solo a esposizione ad asbesto.

Medicina del lavoro – 07/05/2018

Amianto pt. 2
RELAZIONE DOSE RISPOSTA PER LE NEOPLASIE POLMONARI

A differenza di quanto avviene per il mesotelioma, il principale


determinante del rischio è la dose di amianto a cui il paziente è
stato esposto. Vi è un’ evidente relazione dose-risposta, per cui il
livello di esposizione individuabile come soglia per l’ insorgenza
di malattia clinicamente rilevante è l’ esposizione cumulativa
minima ad almeno 25 fibre/cc/anni.

Come capirlo? Bisogna chiedere a un esperto (es. il medico del


lavoro) oppure ci sono dei database di rassegne dei livelli di
esposizione, come Amyant, dove si possono reperire molte
informazioni. Per l’amianto il problema è talmente diffuso che
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sono state create raccolte di dati di esposizione, che si chiamano profili di esposizione. Ad esempio potete trovare a
quanto era esposto uno che lavorava in un contesto con tot amianto. Alla fine basta evidenziare livelli di esposizione
ragionevolmente elevati.
Secondo alcuni autori la dose di induzione si verifica nei primi 10 anni. Ci si accorge del mesotelioma quando è già
avanzato. Il mesotelioma cresce in maniera subdola, pertanto quando si manifesta sintomaticamente è già molto evoluto.
Questo non vuol dire che sia necessariamente aggressivo, semplicemente alla diagnosi è già molto manifesto e diffuso.

MESOTELIOMA DELLA PLEURA

È stata dimostrata la correlazione con l’amianto. Le prime


segnalazioni risalgono al 1960, poi ne sono state fatte sempre di più.
Nel 1983 si arrivò a dire che dove si vedono uno o più mesoteliomi,
c’è stata un’esposizione all’amianto (evento sentinella). Esposizioni
anche brevi a dosi limitate possono dare la neoplasia, questo perché
le fibre rimangono a lungo nel polmone. I cluster di mesoteliomi
sono osservati in aree contaminate naturalmente come Biancavilla
Etnea (fluoro-edenite) o aree rurali turche (Rocce Bianche) e in città
sede di cantieri navali (Genova, Livorno), nei dintorni di ditte
produttrici di manufatti in amianto (Casale Monferrato) e di
insediamenti siderurgici (Bergamo). Esiste non solo un’esposizione
lavorativa, ma anche un’esposizione residenziale all’amianto. Ad
esempio a Livorno c’è un’incidenza più alta di mesotelioma rispetto
alla popolazione generale. Questo fenomeno si accentua in vicinanza del porto, dove arrivavano le navi con i carichi di
grandi quantità di amianto.

Per avere un mesotelioma bastano anche concentrazioni basse.


L’incidenza però può essere bassa anche in popolazioni esposte a
dosi fibrogeniche: vi è quindi l’ipotesi di una suscettibilità
genetica rispetto al mesotelioma. Per il mesotelioma non
funziona come con l’asbestosi, per la quale con un certo livello di
esposizione sono affetti tutti. Secondo alcuni autori la dose di
induzione si verifica nei primi 10 anni. Con il mesotelioma si
raggiunge un plateau di incidenza: oltre una certa dose, anche
aumentando l’esposizione, non aumentano i casi. Ci si potrebbe
chiedere ora qual è il ruolo dell’esposizione. Come per tutti i
tumori l’esposizione non implica il verificarsi della malattia.
Ovviamente tanto maggiore è l’esposizione, tanto maggiore sarà
la probabilità di sviluppare la malattia. Non è però univoco il
rapporto fra dose e incidenza. Esiste, come dicevamo, anche
un’esposizione residenziale: persone con una relazione collaterale con l’amianto potrebbero sviluppare il mesotelioma
(esempi: il barbiere che tagliava i capelli agli operai di una fabbrica che lavorava con l’amianto o la moglie di un
operaio di uno zuccherificio, dove l’amianto fa da isolante nei processi ad alta temperatura, la quale lavava le divise del
marito).. Ci si accorge del mesotelioma quando è già avanzato. Il mesotelioma cresce in maniera subdola, pertanto
quando si manifesta sintomaticamente è già molto evoluto. Questo non vuol dire che sia necessariamente aggressivo,
semplicemente alla diagnosi è già molto manifesto e
diffuso.

Eziologia: negli anni 80 si diceva che solo gli anfiboli


(amianto blu) fossero responsabili della malattia, perché
un’epidemia importante (intesa come molti più casi del
previsto in una popolazione) in Sudafrica era stata
causata da questo tipo di amianto. Questa affermazione
si è poi attenuata e si è visto che la crocidolite è più
potente del crisotilo (4-10 volte). Julien Peto, un
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famoso medico del lavoro, sostiene che il vero rischio per le persone esposte al crisotilo sia il tumore al polmone, mentre
il mesotelioma è maggiormente legato all’anfibolo. Tutto questo però è ancora da dimostrare.

Tornando all’eziologia, hanno un ruolo importante le fibre ultrafini di asbesto: per passare nella pleura non possono
essere molto grandi e queste, inferiori al micron, sono maggiormente implicate. Anche se si applicano le norme vigenti di
protezione, queste fibre ultrafini ci sfuggono, non riusciamo a identificarle con gli strumenti a nostra disposizione
(microscopia ottica a contrasto di fase) e quindi non siamo in grado di evitare l’esposizione. Selikoff, uno dei più grandi
studiosi dell’amianto, formulò il concetto di “dose innescante” /trigger di amianto necessaria a innescare la patologia (ne
basta poco). Vi è inoltre assenza di incremento del rischio oltre i primi due anni. Il dottor Peto arrivò a dimostrare che il
rischio aumenta in modo proporzionale alla terza o alla quarta potenza del tempo intercorso dalla prima esposizione. Un
altro studioso, Boffetta, ha aggiunto che la latenza minima è di 10 anni. Cosa vuol dire l’affermazione di Peto? Le
esposizioni maggiormente associate a mesotelioma sono quelle più vecchie, le più antiche. Alcuni quindi dicono che
l’induzione della malattia si esaurisce in un decennio e che esposizioni successive non contano. Ovviamente in ogni
paziente l’eziopatogenesi è leggermente differente per questioni di suscettibilità individuale. Certo è che molti elementi ci
suggeriscono che il tempo di induzione si svolga in tempi piuttosto stretti (es. alcuni operai che hanno prodotto tra il 1943
e 1945 maschere da guerra antigas e che quindi sono stati esposti solo per tre anni, hanno curve di incidenza della malattia
sovrapponibili a quelle di coorti esposte all’asbesto per molto più tempo).

Ecco la formula che calcola la relazione dose-risposta (il determinante del rischio):

l(t) = E x K x (t-t°) β

“E” sta per esposizione, espressa in fibre/cc. “K” è una costante legata al tipo di amianto. Il parametro che viene elevato
alla potenza è il tempo, che è quindi il maggiore determinante. T- t0 è la latenza (la latenza è importante nella
detemrinazione del rischio, tuttavia si stima che nei primi 10 anni vi sia il raggiungimento della dose tale).

In Italia abbiamo un’incidenza di 1-2/100.000, maggiore nei maschi. I colleghi del Kazakistan riferiscono invece che
l’incidenza del loro paese è 1/100.000.000. Questo ci dice che la diagnosi è molto complicata e tutti i dati epidemiologici
sono inquinati da sovrastima e sottostima.
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CRITERI DIAGNOSTICI DELLE PATOLOGIE DA AMIANTO


Le linee generali sono evidenti. Si fanno la ricerca anamnestica
(esposizione e latenza), l’esame obiettivo con la ricerca dei
segni tipici della malattia e poi gli esami strumentali. L’RX
torace è importante per tutte le patologie da amianto: è
necessario chiedere tutte le proiezioni, soprattutto quelle
oblique, perché fanno vedere bene le placche. Dopodiché si
può fare la TC ad alta risoluzione. Altri esami possibili: PFR
(non avendo quadri restrittivi importanti, ci dice poco in Italia);
esami citologici e bioptici, ricerca di indicatori di esposizione
(fibre di amianto e corpuscoli dell’amianto nell’escreato, nel
liquido BAL e in campioni tissutali), esami istologici e
immunoistochimici. Vorrei ricordarvi il Documento dei “Criteri
di Helsinki”, pubblicato nel 1997, che rappresenta la Bibbia delle malattie da amianto, dove si trovano i criteri diagnostici
per il mesotelioma.

DIAGNOSI DI PLACCHE PLEURICHE


Le placche del mesotelioma devono essere bilaterali, multiple, circoscritte,
in alcuni casi calcificate e devono interessare anche la pleura diaframmatica
(dd: depositi di tessuto adiposo a livello del cavo pleurico). Questo è il gold
standard: se si trovano delle placche con queste caratteristiche in aree
geografiche ove tali manifestazioni sono endemiche sono sicuramente da
amianto. Per l’ RX standard del torace c’è la classificazione ILO.

DIAGNOSI DI ASBESTOSI:
Si fa diagnosi con l’esame radiologico e la TC spirale; l’ RX
viene refertata facendo riferimento ai criteri ILO (che si
riferiscono all’ asbestosi esattamente come per la silicosi).
Una lastra standard del torace che diagnostichi l’asbestosi o
la silicosi senza un accenno alla classificazione ILO non è
una buona diagnosi. Queste patologie si trovano soprattutto
negli anziani e nei giovani cinesi (per l’ importante
esposizione).

DIAGNOSI DI TUMORE POLMONARE DA


AMIANTO: i criteri diagnostici minimi comprendono
almeno 1 anno di esposizione elevata. È IMPORTANTE
valutare l’ esposizione cumulativa, che deve essere pari all’
incirca a 25 fibre/cc/anno. L’amianto era estremamente diffuso e obbligatorio in molte situazioni (la metropolitana di
Milano è stata costruita nel 1964 e l’amianto era uno dei materiali principali e garante della sicurezza antincendio). Un
altro criterio utile è la presenza di fibre di anfibolo per tessuto secco, di dimensioni superiori ai cinque micron. Si può
chiedere la concentrazione di fibre per potersi aiutare nella diagnosi. Questo perché spesso non si è sicuro a riguardo. Per
il tumore del polmone non sei mai sicuro al 100% che si tratti di esposizione da amianto. Questa insicurezza può essere
usata dai magistrati a svantaggio dei medici in tribunale.

I criteri minimi per la diagnosi di tumore polmonare da asbesto sono: che sia un tumore, che ci sia un’esposizione
documentata, quantificata, che ci sia evidenza di altre lesioni legate all’amianto, che ci siano delle placche pleuriche. Se
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resta un forte dubbio, per ragioni legali si possono misurare le concentrazioni di amianto nel polmone al fine di avere una
diagnosi definitiva o quantomeno più probabile.

DIAGNOSI DI MESOTELIOMA PROFESSIONALE DA AMIANTO: la diagnosi è difficile, ci sono moliti Falsi


Positivi e Falsi Negativi. Il prof racconta di essere stato chiamato per un processo in cui un datore di lavoro era già stato
condannato per un presunto mesotelioma di un suo dipendente, che si era poi rivelato essere un carcinoma renale! Un
tumore mammellonato e con tutte le caratteristiche del mesotelioma può poi rivelarsi qualcos’altro all’esame
istologico/immunoistochimico. Un falso positivo può essere rappresentato da una metastasi: tutti gli organi del corpo
possono avere tumori che metastatizzano in cavo pleurico, a parte il SNC. Il tumore che più frequentemente metastatizza
in questa sede e che confonde è l’adenocarcinoma del polmone, il quale causa un quadro di adenocarcinoma pseudo-
mesoteliomatoso. L’approccio diagnostico prevede: RX, TC, citologia su liquido da versamento pleurico,
immunoistochimica, biopsia (agobiopsia o biopsia intrachirurgica).
Importante l’ immunoistochimica.
Per fare diagnosi dobbiamo trovare due marcatori certamente negativi, negativi e 2 marcatori certamente positivi, positivi .
Possibilità:
- Se abbiamo due indicatori positivi per il mesotelioma che reagiscono e due negativi che non reagiscono  alta
possibilità di mesotelioma della pleura.

- Se c’è anche solo un marcatore negativo, positivo, non è un mesotelioma.

Solitamente si usano il CEA e il BER – EP4 come markers di negatività. Mentre come markers di positività la
CITOCHERATINA e un altro a scelta.
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Mesotelioma: problemi aperti ancora oggi.

- Esposizione ancora presente a basse dosi (es. inquinamento ambiente di vita)


- Latenza fino a 60-67 aa
- Estrema malignità

Il mesotelioma cresce in modo subdolo e quando ce ne si accorge è enorme. Dal momento della diagnosi, l’aspettativa di
vita raramente supera i due anni. Non è un tumore intrinsecamente aggressivo, ma viene di solito scoperto in stadio
avanzato perché non dà sintomi o segni della sua presenza precocemente.

È importante che noi come futuri medici sappiamo dare risposte ai pazienti sulla questione amianto. Per esempio se c’è un
tetto con dell’amianto in un condominio, va tolto? Non è strettamente necessario, basta controllare se ci sono delle
degradazioni nel materiale (ciuffetti di fili che sporgono) e nel caso fare qualcosa. Rimuovere il tetto è una buona
soluzione ma è costosa. Si può fare, in alternativa, un intervento di “inertizzazione”, in cui si utilizza una resina acquosa
che rende impossibile la diffusione di fibre nell’ambiente. A volte è molto più pericoloso rimuoverlo che lasciarlo.
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Se l’amianto è friabile si può disperdere nell’ambiente, se è racchiuso in una parete no: è un’informazione importante per
capire se si è esposti davvero all’asbesto. Un edificio con amianto perde valore economico. Può però essere messo in
sicurezza. Tutto questo apre il capitolo legale, in cui moltissime cause vengono intentate contro aziende o medici, più o
meno a ragione.

Problemi aperti riguardo a neoplasie polmonari in ex esposti

- Alta incidenza nella popolazione generale non esposta a fonti note


- Esposizione ad amianto ha interessato il 20-40% dei lavoratori
- Rischio di alto numero di falsi positivi
- Necessità di criteri diagnostici solidi ed univoci

PRESENTAZIONE LEZIONE DI JULIAN PETO


L’amiosite e il crocidolite causano un rischio di mesotelioma più alto del crisotilo.

Questi sono dati epidemiologici riguardo le morti per mesotelioma in maschi e femmine di vari paesi:

Le donne in generale hanno meno casi perché fanno


meno spesso lavori che comportano un’esposizione. Le
loro esposizioni sono meno tipiche e meno intuitive (es.
mesotelioma in donna impiegata della ditta Olivetti che
installava dei gommini nelle macchine da scrivere e
questi erano immersi nel talco per non farli appiccicare
tra loro e il talco conteneva tracce di amianto).

Vediamo una stima globale di cosa accadrà: abbiamo


avuto un picco di utilizzo ed esposizione ad amianto
intorno al 1970-80 che ora sta scendendo di fronte ai
rischi che comporta esporsi ad esso. Ci attendiamo
un’ulteriore discesa dei casi come risultato dei
provvedimenti presi.

Nella presentazione Peto cerca di convincere la Russia ad


abbandonare l’utilizzo di amianto (uno dei pochi paesi
che ancora non ha adottato provvedimenti). Secondo lui
il maggior rischio tumorale per il crisotilo è il tumore al
polmone. Il crisotilo viene prodotto e venduto dalla
Russia, ma è un cancerogeno industriale e deve essere
monitorato. La Russia di contro sostiene che ne
risulterebbero svantaggi economici insostenibili e si
oppone. Il crisotilo è però un rischio non necessario, non
paragonabile ad altri rischi necessari, come ad esempio le
radiazioni ionizzanti. I paesi che hanno smesso di
produrre e usare crisotilo non hanno avuto nessuno
svantaggio economico e hanno avuto beneficio
dall’utilizzo delle fibre alternative. Il crisotilo causa il tumore del polmone e quindi sarebbe saggio non utilizzarlo più
(questo invito vale per la Russia, non per i paesi come l’Italia che hanno già adottato misure anti amianto).

Medicina del lavoro – 10/05/2018


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Stress lavoro-correlato
Oggi parliamo di stress lavoro correlato.
Nelle prossime lezioni faremo: allergie (respiratorie e cutanee) e come valutare il rischio biomeccanico.

Lo stress lavoro correlato è qualcosa con cui tutti abbiamo a che fare, soprattutto se poi voi doveste diventare
responsabili di altre persone, anche solo gestori di uno studio associato con due segretarie che si alternano,
avrete l’obbligo per legge di fare la vostra valutazione di stress lavoro correlato.
Se non la fate siete sanzionabili e facendola imparate come gestire le persone.

Il messaggio è che molto spesso la patologia da stress nei sistemi organizzati è una patologia da incapacità
della testa di gestire in modo corretto la gente, come ad esempio sbagliare con i carichi di lavoro e
sovraccaricare le persone, oppure dare compiti non univoci.

Faremo un ragionamento su tutte queste cose, come sempre NON nella logica di farvi diventare degli
specialisti, ma con lo scopo di darvi quello che anche con l’OMS e con la Wonca (organizzazione mondiale
dei medici di famiglia, o meglio “world organization of National colleges and accademics of family
medicine/ general practice) abbiamo concordato di garantire: che tutti i medici a tutti i livelli abbiano un
minimo di competenze di medicina del lavoro che permetta loro di affrontare situazioni comuni.

Quindi oggi parliamo di:

 Il concetto di stress
 Lo stress nella legislazione
 Le forme cliniche dello stress
 Mobbing e burn out
 Altre patologie
 La prevenzione

Il concetto di base è che lo stress è una reazione aspecifica dell’organismo a quasi ogni tipo di esposizione a
stimolo e sollecitazione.
Per cui il primo punto da avere chiaro in mente è che lo stress è fisiologico.
Se non siete, come pochi lo sono, nella coda di
sinistra della gaussiana, ossia in quel 1-3% di
persone che potrebbero non fare assolutamente
niente tutto il giorno tutta la vita e starebbero bene lo
stesso, voi sapete che vi piace fare delle cose e però
le cose che fate e che vi piacciono vi costano.

Ad esempio vi preparate a un esame che magari vi è


piaciuto però finché non portate a casa il 30 siete un
po’ stressati. Quindi lo stress è fisiologico ed è la
nostra risposta alle sollecitazioni. Stress è negativo
quando supera dei limiti fisiologici e allora crea dei
problemi.
Se voi doveste mettere in un grafico il livello di
stimolazione (in ascissa) e il livello di stress (in ordinata) verrebbe a U. Sarebbe alto nelle fasce di
stimolazione quasi nulla, poi diventa bassissimo e poi cresce ancora. Ciò significa che l’assenza di
sollecitazioni crea gravissime condizioni di stress.
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Lo sanno bene i manager delle grandi multinazionali quando si vogliono liberare di un dirigente (se non è lui
che si licenzia ma lo licenzi tu paghi una penale): per fare in modo che il dirigente se ne vada lo metto in una
condizione di assenza assoluta di stress.
Lo mettono in un angolo, non gli danno niente, nessuno gli dice cosa deve fare. Lui all’inizio cerca di fare
delle cose, ma nessuno se ne interessa. Alla fine succede che si dimettono da soli perché non ne possono più.

Questo per dire che l’assenza di stress è patologica quanto lo stress esagerato, soprattutto quando si ha la
nostra età e si ha molto entusiasmo e voglia di fare.

EUSTRESS vs STRESS PATOLOGICO

La società oggi cambia: se andate a fare i medici di famiglia in una provincia cinese lo stress lì non sapete
cos’è, perché avete a che fare con la silicosi, l’asbestosi, l’intossicazione da piombo, le malattie infettive...e
lo stress è secondario. Nella società moderna, dove in genere tutte le necessità basali sono già soddisfatte, le
malattie tradizionali e da lavoro sono calate, ecco che lo stress diventa una delle principali cause di
assenteismo, disaffezione al lavoro, pensionamento anticipato, richieste di aspettativa.
Perché una forza lavoro colta si aspetta delle cose e gran parte dei problemi di base su cui di solito ti impegni
sono risolti.
(È chiaro poi che se sei l’immigrato illegale che vive vendendo accendini allora lo stress diventa non il
problema principale perché ne hai altri. Stessa cosa se fai il bracciante agricolo e raccogli i pomodori).
Però la forza lavoro qualificata è molto vulnerabile allo stress perché ha aspettative, al punto che la legge
obbliga a valutare lo stress lavoro correlato.

Obbligo di valutare lo stress lavoro correlato, come recepimento di una risoluzione del consiglio dell’unione
europea nell’ambito delle strategie per la salute e
sicurezza sul luogo di lavoro. Perché è talmente
importante che la legge ne fa obbligo. Se il nostro
ospedale San Paolo non avesse la relazione sullo
stress lavoro correlato, il direttore generale potrebbe
essere sanzionato pesantemente. Lo stress ha dei
meccanismi biochimici (cose che, in teoria,
dovremmo sapere: preparazione alla lotta e alla fuga,
liberazione di adrenalina, cortisolo...). L’aspetto
interessante è che noi medici del lavoro lo
misuriamo, non solo somministrando questionari, ma
anche misurando alcune modifiche biochimiche.

Eustress vs distress
Eustress è fisiologico, distress è qualcosa che non va: uno squilibrio prolungato tra richieste
eccessive/difficili/impossibili e capacità individuali, tenendo conto che il difficile e l’impossibile varia su
base soggettiva.
Distress è una condizione pisco-biologica che si associa a ricorrenti e persistenti difficoltà apparentemente
non superabili: è lo squilibrio prolungato tra richieste “eccessive” e “difficili” e capacità individuali. Quindi
lo stress sta sia nel manico, sia nella persona che può anche essere troppo suscettibile.
Noi abbiamo una fisiologica necessità di essere attivi, vogliamo avere compiti proporzionati alle nostre
capacità e la situazione ottimale è quella di non avere né sovra- né sotto-stimolazione.
Dovrebbe essere garante di questa cosa chi organizza i tempi altrui di lavoro.
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Io ad esempio ho una “famiglia” composta da 6-7 medici, una decina di infermiere, qualche tecnico, ecc. io
devo stare attento quando qualcuno mostra segni di disagio e devo stare attento a cosa ciascuno di loro può
fare, perché magari quello che piace a uno non piace all’altro; quello che può potenzialmente fare uno non lo
può fare l’altro, pur a parità di cultura. Anche i medici sono estremamente diversi uno dall’altro.

Cosa sono i rischi psicosociali?


L’ILO (International Labour Organization) ha scritto: “interazioni che si instaurano tra contenuto del lavoro,
la sua organizzazione/gestione e le esigenze/competenze dei lavoratori”.
Quindi si tratta delle interazioni tra quello che fai e le tue
esigenze.

Vi è la possibilità di causare danni psicologici e/o fisici ai


lavoratori legati alla progettazione/gestione del lavoro.

Vi dirò poi più avanti che in alcuni casi la volontà di non far
funzionare la cosa può essere deliberata: quando il manager
vuole convincere qualcuno a licenziarsi sa bene che facendo
così crea una situazione di stress, ma è esattamente quello
che vuole fare. E questo rientrerà nella fattispecie del
“mobbing”.

I principali componenti del rischio psicosociale sono:

 Contenuto, carico e ritmo del lavoro


 Programmazione del lavoro: certe persone lavorano meglio se sono organizzate. Questo però può creare
difficoltà nella gestione di un rapporto ospedaliero. La scabbia norvegese ha la capacità di proliferare mille
volte di più rispetto alla scabbia normale.
 Ambiente
 Attrezzature (pensate a quando vi viene voglia di prendere il pc e sbatterlo contro lo spigolo del tavolo o
lanciarlo dalla finestra)
 Cultura organizzativa (quando andrete in una struttura organizzata, se non c’è una buona cultura organizzativa
non ve la caverete  es. cultura di chi arriva sempre in ritardo)
 Relazioni interpersonali (il prof fa l’esempio di una post doc iraniana che qui vive le relazioni interpersonali in
maniera completamente diversa)
 Ruolo ed evoluzione della carriera (le aspettative che tu hai e quanto queste cozzano contro la realtà dei fatti)
 Interfaccia casa-lavoro (chi ha famiglia e soprattutto figli si rende conto dell’importanza di conciliare le due
cose e a volte si è portati a rinunciare alla prospettiva di carriera per stare vicino a casa: coinvolge soprattutto
le donne)

MOBBING: che cos’è?


“Mobbing” deriva da una terminologia che indica il branco che allontana l’indesiderato. Questo è il concetto
di mobbing. Ci sono due tipi di mobbing: uno volontario e deliberato, rilevante anche dal punto di vista
penale, e uno involontario. È affine al Bullying (bullismo).

L’involontario è più facile da capire: noi ad esempio siamo un gruppo che passa insieme 6 anni ed è
inevitabile che si siano formati gruppetti di amici. Magari c’è sempre quello che non riesce a integrarsi, forse
per colpa sua, e ci rimane male nel sentirsi escluso. Questo atteggiamento con cui tu escludi una persona è
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una forma di mobbing e la persona ne soffre. Può capitare, ad esempio alle medie inferiori, che la persona
cambi scuola.
In un ambiente di lavoro una persona in queste condizioni soffre. Pensate a stare 8 ore in un posto senza
legare con nessuno e anche andando in mensa da soli, senza far due parole con nessuno.

Questo per ricordare che anche voi, come grosso gruppo organizzato, siete in teoria più cattivi di quanto non
possiate immaginare e potete creare dei disagi psicologici con dei semplici atteggiamenti. Questa è una
forma di mobbing non volontario.
È il gruppo contro l’individuo, che magari è inconsapevole, perché se siete tutti d’accordo che quello lì vi sta
sulle scatole non vi siete messi d’accordo di trattarlo male, ma comunque un agreement l’avete raggiunto e
non ne volete sapere di quello lì. che a sua volta soffre e non è consapevole di essere antipaticissimo.
Talvolta il gruppo può essere violento anche se non lo sa.

Il forte (capo, responsabile) che si mette contro il debole lo può fare invece se vuole, per cui può mettere in
atto azioni vessatorie ed emarginare, screditare, arrecare danno al lavoratore. Per esempio quando c’è la
riunione non lasciandolo parlare (do segnale a tutti che non mi interessa quello che dici) oppure
rimproverandolo pubblicamente. Io sono più forte per cui se ti rimprovero pubblicamente ti penalizzo in
modo importante.

Nell’ assegnazione di compiti sovra o


sottodimensionati io ti posso chiedere di fare una cosa
impossibile e tu ti trovi nei guai perché fai il possibile
ma non riesci oppure ti faccio fare una cosa banale, e
ti senti preso in giro.
Questi sono modi per fare violenza a una persona.

Mobbing se fatto per far male volontariamente, non


per scarsa sensibilità. Quando con il mobbing fai
male, la persona va in depressione, e questa
condizione può essere considerata legalmente un
reato. Causo un’ alterazione dello stato di salute che
se si protrae per più di 40 giorni ricade nella fattispecie delle reazioni dolose (non colpose, cioè non
involontarie).

Quindi alla fine del mobbing c’è una condizione depressiva, c’è la persona che perde il senso delle cose che
fa, non si sente più proprietario del suo lavoro, si è estraniato del suo lavoro, deve andarci ma può addirittura
avere paura di andare al lavoro. Nell’anamnesi, uno dei modi per capire questo disagio è chiedere come uno
si sente al mattino. Anche noi stessi al mattino siamo talvolta contenti perché pensiamo che sarà una bella
giornata, altre volte abbiamo l’umore depresso e non abbiamo voglia. La depressione può addirittura sfociare
nel panico: non si vuole andare a lavorare perché si teme l’ambiente.
Quando questo succede siamo di fronte a una patologia che deve essere curata, sia dal punto di vista medico
che psicologico. È importante il supporto psicologico per aiutare il pz a individuare una soluzione. Però se ci
fosse una condizione depressiva generata da un atteggiamento vessatorio deliberato che noi chiamiamo
mobbing abbiamo tutto il diritto di fare una denuncia di malattia professionale.
Inoltre tenete conto che il mobbing, se crea una alterazione della salute, è un reato e corrisponde al reato di
lesioni gravissime colpose, perché se la condizione depressiva dura più di 40 giorni corrisponde
perfettamente con la definizione medico legale di indebolimento permanente di un organo o di una funzione
o di perdita della capacità lavorativa per più di 40 giorni, che quindi corrisponde a un reato. In questo caso
può essere volontario o no. Se lo è sono lesioni gravissime dolose volontarie, ma in ogni caso un danno della
salute causato da terzi è sempre qualcosa di competenza penale.
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Questo è l’aspetto penale della malattia da lavoro. Dovete pensarlo in questi termini.
La malattia da lavoro ti viene perché hai lavorato in quel posto lì e se tu hai lavorato lì e ti è venuta la
malattia perché qualcuno ha fatto delle cose sbagliate allora quella malattia è un reato colposo. Se qualcuno
ha fatto apposta è un reato doloso, che è ancora più grave. Questo è il mobbing.
Il mobbing non è presente nella tabella delle malattie professionali. Fare domande chiare, non farlo parlare
troppo e riuscire in poco tempo a inquadrarlo.
Il problema di coinvolgere sia il mobbizzato che il “mobbizzante” è che c’è il segreto professionale quindi
non si può coinvolgere il mobbizzante. Bisogna avere sempre l’ autorizzazione del paziente.

Burn out:
Burn out è, nella sostanza, “sei fuso”.
Dando una definizione il burn out è un esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto alle condizioni di
lavoro e a fattori della sfera personale e ambientale. Lo stress diventa un meccanismo di difesa e una
strategia di risposta alla tensione con conseguenti comportamenti di distacco emozionale e di evitamento.

Il burn out va a fasi.


La premessa potrebbe essere lo studente con idealismo, grandi aspettative, entusiasmo, che se però non trova
uno sbocco, tutto questo diventa esaurimento, disillusione, cinismo.
Fa l’esempio di una studentessa che non sapeva se fare il medico del lavoro o l’oculista. È diventata oculista
ed è finita a fare le visite per le patenti, restando delusa per aver studiato 6+4 anni per fare quella roba lì.
È il contrasto tra idealismo/aspettative e quel che poi si fa realmente.
Questa forma di patologia colpisce soprattutto gli addetti ad attività di supporto (insegnanti e medici)
perché quando tu vivi questa delusione rispetto alle aspettative e nel contempo devi offrire supporto ad un
certo punto non ne puoi più di offrire supporto.
Esempio: sono il migliore della classe in filosofia, mi laureo con 110 e lode e divento insegnante. Finisco a
lavorare in una scuola di provincia dove ho davanti 35 selvaggi a cui non importa nulla della filosofia.
Ad un certo punto scatta il cinismo: non mi impegno più nel
far lezione e se siete delle bestie rimanete delle bestie.
Questa è una forma di burn out.
Frequente anche negli educatori carcerari.
Il medico diventa cinico quando non ne può più dei pz. Le
continue richieste, spesso immotivate, ti irritano. Ci sono
persone che hanno come mission quella di rovinare la
giornata del medico di famiglia: se non le sappiamo gestire
andiamo in burn out. Non abbiate timore di essere
giustamente duri, perché se sei debole vieni mangiato. Però pensate di aver studiato 6+3 anni per fare il
MMG e passare la giornata a ricevere persone che arrivano con ricette improbabili, scritte dal prof
improbabile, e vi chiedono di trascriverle perché avete il potere di trasformare una spesa da 70 euro a 3 euro.
Quando tu in pomeriggio fai soprattutto quello alla fine diventi cinico e non ne puoi più dei pz. Più i pz sono
gravi più ti infastidiscono perché ti chiedono tante cose.
Allora io mi raccomando, se un giorno vi doveste accorgere di avere questa forma di conflittualità col pz
tenete conto che non è un bel segno. Sentirsi astiosi col pz perché sta rompendo le scatole, a meno che la
cosa sia assolutamente motivata, significa che c’è qualcosa che rischia di rompersi. Questo è il primo punto
del burn out. Abbiamo sentito la notizia degli infermieri che facevano fuori i pz più gravi perché pensano che
quelli tanto muoiono lo stesso e allora tanto vale farli morire prima “che almeno questa notte mi fanno
dormire!”
Come anche il caso del MMG che alle 3 di notte viene chiamato e deve andare dal pz.
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Sono tutte richieste che a lungo andare ti scombussolano.


Questa è la fase iniziale da cui si scivola quindi verso un atteggiamento cinico e indegnosamente scherzoso,
prendi distanza dalla situazione e ti senti incapace di presentarti positivo, empatico, gentile e sorridente che
sarebbe il tuo ruolo. Perché il paziente soffre e il medico empatico, gentile e sorridente che gli parla fa parte
già della terapia. Se invece sei scostante, scorbutico e ti arrabbi facilmente, sei così perché sei conflittuale.
Ma quando non ne puoi più sei già in una fase avanzata di burn out. Oppure li prendi in giro, fai battute.
Quello che sta nel fondo è un senso di fallimento e di
inadeguatezza, nel senso che tu ti colpevolizzi e pensi di esser
finito a far le visite delle patenti perché non sei stato capace e
questo è l’altro pezzettino di burn out: senso di fallimento e di
inadeguatezza. Non sono stato capace perché non ero
all’altezza.

La fase conclamata è quella in cui si diventa astiosi, non accetti


il supporto dell’organizzazione, il tuo lavoro perde efficacia,
senso di fallimento. Alla fine succede che la partecipazione
iniziale e l’entusiasmo viene ridicolizzato e tu a questo punto sei
in depressione.
Si può arrivare a questa condizione di depressione che si chiama
burn out quando sei stato svuotato e messo in queste condizioni
da un atteggiamento di mobbing. Il confine non è così netto.

Vi ricordo una cosa importante: ad un certo punto, quando arrivi


alla fase evoluta, questa condizione è un disturbo mentale vero e
proprio che ancora una volta merita terapia. La malattia da
alterazione dello stato di salute può essere trattata
farmacologicamente o comunque con un trattamento medico.

D: viene indennizzato?
R: quando abbiamo fatto la lista delle malattie da lavoro ILO che abbiamo presentato nel 2009 a tutte le
organizzazioni del mondo lavoratori, accademia e datori di lavoro, il burn out non è stato accettato, perché i
lavoratori avevano paura.

È stata accettata una sola patologia: il disordine post traumatico da stress.


Per cui dall’ILO in giù nessuna lista di malattie professionali considera queste patologie perché i criteri di
diagnosi sono sfumati.
La denuncia può essere fatta dal primo medico che diagnostica, non necessariamente medico del lavoro.

Premessa: le grandi organizzazioni internazionali come ILO approvano le loro decisioni solo in base al
consenso ed il consenso deve vedere concordi accademia, datori di lavoro, lavoratori. Allora succede che il
burn out è stato proposto dai lavoratori, accettato da alcune parti dell’accademia, ma la parte imprenditoriale
ha detto no. Ha detto: “se voi proponete il burn out, noi non votiamo la lista” e se non fosse stata votata la
lista sarebbe stato peggio perché non avremmo avuto nessuna lista.
Allora abbiamo deciso di mettere sotto una voce open che dice “qualsiasi altra patologia non esplicitamente
menzionata sopra ove il rapporto con l’attività lavorativa possa essere dimostrato con certezza”.
In questo modo l’abbiamo fatto rientrare, però tenete conto che quando non ci sono criteri diagnostici solidi
il timore è che si possa generare una pressione risarcitoria che la parte imprenditoriale non si sente di
rischiare.
Però tenete conto che la legge italiana prevede che se tu sei affetto da una malattia da lavoro non
espressamente indicata nella lista tu hai l’onere di dimostrare di averla, ma una volta che l’hai dimostrato sei
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comunque indennizzato. Quindi secondo me tecnicamente voi dovreste denunciarla se la incontrate, perché
questa denuncia deve farla il primo medico che fa diagnosi, non il medico del lavoro, specificando che non è
una malattia presente nella lista ma che comunque ritenete che sia molto forte l’evidenza di una associazione
con l’attività lavorativa.
In PubMed, facendo ricerca con qualche parola chiave possiamo trovare qualcosa di interessate sul fenomeno
del burn out nelle varie specialità mediche.

Lo studio di riferimento, da cui il prof ha raccolto molti dati, si chiama “next”. È uno studio multicentrico
europeo sulla condizione psicologica degli infermieri. Donatella Camerino è una degli autori dello studio e
inserendo il nome in PubMed trovate tutto quello che è stato pubblicato su questo studio multicentrico
europeo. L’incidenza è molto elevata: si parla di un 2% di infermieri che entro i primi 2 anni di lavoro
manifesta intenzione di cambiare professione.

Dovete notare:

Diagnosi differenziale:
Il principale elemento di diagnostica differenziale è lo sfinimento (wornout), però lo sfinimento è molto più
fisiologico e non va confuso col burn out, perché non c’è la forte
impronta psicologica.
Lo sfinimento è ad esempio quello che si prova alla fine dell’esame di maturità,
dopo l’orale.

Perché il burn out colpisce forza lavoro estremamente scolarizzate e


organi di supporto? Perché per bruciare devi prima essere messo
sul fuoco, se non c’è la fase iniziale di forte tensione emotiva e spinta ideale non ci può
essere il burn out.

La scolarizzazione di massa ha raddoppiato queste problematiche. La cultura di massa crea aspettative e


quando non si è in grado di far fronte alle aspettative si genera il burnout. Se tutti sono laureati, chi fa gli altri
lavori? Stanno diventando di grande attualità queste patologie perché sono diventate comuni e della
scolarizzazione di massa che ha creato grandi aspettative.

La medicina non è una scienza; la medicina è una medicina pratica che applica la conoscenza scientifica
nella pratica. Lo scienziato è quello che studia.

I disturbi psichici di origine professionale sono:


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 Disturbo di adattamento: non ti adatti all’ambiente. Pensate alla mia dottoranda iraniana che arriva da un posto
dove se vai in giro senza velo prendi 12 frustrate a un posto dove se vai in giro col velo ti prendono in giro
 Disturbo d’ansia: irrequietezza, aumento della frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, pressione arteriosa,
somatizzazione
 Disturbo depressivo, che può sfociare nel panico (non vuoi andare a lavorare)
 Disturbo misto ansioso-depressivo
 Disturbo post traumatico da stress (unica malattia della sfera psichiatrica che l’ ILO considera tra le malattie
professionali  approvata anche dai datori di lavoro).

Dato di fatto: tra i pompieri di New York che sono sopravvissuti alle torri gemelle (in realtà sono
sopravvissuti perché non ci sono andati; quelli che ci sono andati sono morti tutti) c’è stato un tasso
elevatissimo di gente che si è licenziata tra i vigili del Fuoco. È un disturbo post traumatico da stress.
Probabilmente erano quelli che hanno visuto il trauma di essere mandati alel torri e solo casualmente non
essere andati, hanno manifestato un’ incidenza altissima di dimissione.
Un altro campione è un impiegato rapinato 6-7 volte. Un paio di volte anche malmenato. Ogni volta che è li
si immagina questa condizione in cui aspetta di essere rapinato.

Cos’è in sostanza?
Tu sei stato coinvolto direttamente o indirettamente in una situazione nella quale la tua incolumità personale
è stata messa a gravissimo rischio, hai subito violenza e avresti potuto morire. Succede che poi era talmente
forte questo impatto che tu continui a pensare a quello che ti è accaduto e ogni volta che sei in una situazione
simile ci pensi.
Esempio tipico che seguiamo è l’impiegato di banca che è stato soggetto a rapine, soprattutto se la rapina è
stata particolarmente violenta o ha subito violenza. Molto spesso quando torna a sedersi lì allo sportello in
attesa continua a rivedere quello che gli è capitato, a temere che gli ricapiti e non riesce a stare lì.
Altro esempio: Niki Lauda, noto pilota di formula1, ha avuto nel 1976 un gravissimo incidente. La sua
macchina si è capovolta e lui ha rischiato di morire bruciato ed ora riporta ancora i segni delle ustioni. Lo
hanno aggiustato in tempi incredibili (un mese e mezzo) e lui è tornato in campo all’ultima gara del
campionato mondiale di formula 1 che era ancora in testa. Gli bastava arrivare tra i primi tre per vincere il
campionato mondiale. La gara è iniziata e lui era al comando, dopodiché si è messo a piovere e si sono
ricreate le stesse condizioni dell’incidente. Lui quindi è andato ai box, è sceso dalla macchina e si è ritirato.
Classico esempio di disturbo post traumatico da stress! Perché lui viveva con la paura in testa di ripetere
quello che già gli era successo. Quindi ricordatevi che voi potrete avere pz che in modo diretto o indiretto
hanno avuto gravi condizioni di rischio, come i pompieri di New York sopravvissuti. Se avessero chiamato
al telefono il gruppo 2, questi sarebbero morti tutti e si sarebbero salvati quelli del gruppo 1 e viceversa.
Quello che ha salvato i sopravvissuti è stato che hanno fatto un numero di telefono anziché un altro. E questo
è un esempio di disturbo post traumatico da stress. Non sono andati alle torri, però sono stati a rischio.

Può capitare il disturbo post traumatico da stress anche come conseguenza di grave episodio di mobbing.

Il disturbo post traumatico da stress è caratterizzato da:

 Riesperienza dell’evento
 Evitamento di luoghi/persone legati all’evento
 Arousal (insonnia, ipervigilanza, tensione)
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Inoltre recentemente è stata avanzata l’ipotesi che il lavoro a turni protratto per tutta la vita possa
comportare, con un meccanismo mediato dallo stress e da altri fattori, un aumentato rischio di tumore al seno
nella donna, al punto che il lavoro a turni è considerato 2b, ossia potenzialmente cancerogeno per l’uomo.

Lo stress inoltre può favorire comportamenti


rischiosi per l’ insorgenza di neoplasie (fumo, alcol,
obesità).

STRESS e ESAURIMENTO nel personale infermieristico in alcuni paesi europei (studio NEXT). In
Norvegia ed Olanda si sta meglio.
Probabilmente le esperienze infantili determinano le credenze e alori che si manifestano sul lavoro in età
adulta.

ELEMENTI DI PREVENZIONE
Valutazione del rischio di stress lavoro correlato. Si basa su due questionari. È una check-list in 4-5
capitoli che bisognerebbe compilare in rpesenza di tutto il reparto. Si prendono tutti i lavoratori di tutti i
livelli e si fanno domande sui diversi capitoli. Facciamo in modo che le domande e le risposte siano
accettate da tutto il reparto. Se dovessimo dare il questionario a ciascn lavoratore non possiamo mettere
insieme più risposte diverse: fato in questo modo si riesce a raggruppare le risposte e confrontarsi.
Ad esempio: “attribuzione dei compiti è univoca o no?”  è più facile e corretto discuterne insieme. Per
cui si fa la valutazione del rischio grossolana come checklist e poi si fa quella raffinata più impegnativa
ed approfondita.

Medicina del lavoro – 15/05/2018

Tumori professionali
Definizione: “Tutti i tumori nella cui genesi ha agito, come causa o concausa, l’attività lavorativa con
esposizione ad agenti cancerogeni (fattori chimici e fisici)”

 Primo punto importante: alcune stime autorevoli affermano che circa il 5% dei tumori ha una
patogenesi di tipo professionale. Una frazione molto più alta ha patogenesi di tipo occupazionale o
ambientale (impatto dell’ambiente di vita e di lavoro sulla salute umana). Se voi prendete il report
ISTAT sui tumori al polmone trovate alcune centinaia di migliaia di casi. Il 5% è un numero enorme.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 77 a
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Eppure nel sito web dell’INAIL i tumori del polmone denunciati come occupazionali sono qualche
centinaio.

I casi sono due: o la stima del 5% è sbagliata o esiste una sottostima di 2 ordini di grandezza. Perché
esiste una sottostima dei tumori professionali? Quello che vede il medico quando il medico fa la
diagnosi è un malato di tumore di 60-70 aa in pensione da alcuni anni, e spesso non ricostruisce la
storia occupazionale, perché non riesce o perché non gli viene in mente. Pertanto non si può stabilire
un nesso causale. Se non sapete cosa cercate non trovate niente, quindi fate sempre anamnesi
lavorativa soprattutto nei casi di tumore, anche con un po’ di fatica e un minimo di conoscenza dei
cicli lavorativi, e cercate di capire se c’è stata esposizione, avendo chiaro che è molto difficile
ricostruire un evento che ha avuto la sua eziopatogenesi 30 anni prima.

 Secondo punto importante: se hanno una causa esterna sono prevenibili.

 Terzo punto importante: mentre il tumore è una diagnosi clinica, il tumore professionale è una
decisione amministrativa. Un tumore al polmone diventa professionale a seguito di una decisione
amministrativa. Qualcuno decide, scrive e denuncia che è professionale. È questo il motivo per cui in
paesi diversi esistono grandi differenze nei report di malattie professionali. Se guardate l’incidenza
delle denunce per malattie professionali nei diversi paesi restate stupiti: Francia 160000/anno, Italia
65000-70000 /anno, Inghilterra 8000-15000/anno. Diversi sistemi implicano diverse modalità di
denuncia di malattie professionali, compresi i tumori.

Cenni di storia:
 1775: Percival Port studia il tumore allo scroto nei giovani spazzacamini (relazione fra la fuliggine, gli
idrocarburi policiclici aromatici, l’assorbimento attraverso le zone più ricche di materiale sebaceo, ecc.)
 1895: Rehn riporta 3 casi di carcinoma vescicale in esposti ad anilina. Impareremo poi che non esiste un
tumore da anilina, probabilmente non è cancerogena, è un modo un po’ slang di chiamare questi tumori. Di
solito le amine aromatiche per essere cancerogene devono avere due anelli benzenici e un gruppo ossidabile
su uno dei due lati, l’anilina non corrisponde a questa struttura.
 Inizio anni ’60: mesotelioma pleurico, riportati alcuni casi in Sudafrica, dove veniva prodotto l’amianto
blu, quello probabilmente più tossico, molto di più del nativo (crisotilo).
 Stesso decennio: leucemia negli esposti a benzene (l’Italia nel ’62 vieta come primo paese al mondo
l’utilizzo del benzene come solvente, grazie al Professor. Viviani)
 1972: Creech e Johnson osservano casi di angiosarcoma epatico nei lavoratori di polivinilcloruro.

Man mano l’evidenza di un legame tra esposizione a sostanze chimiche e tumori si è molto consolidata. Due
parole sulla cancerogenesi chimica: è un processo complesso e vengono un po’ perse le tradizionali
distinzioni di una volta tra iniziazione e promozione, iniziatore e promotore, il clone che si sviluppa a partire
da un’unica cellula, etc... Se andate a vedere su PubMed e digitate “instabilità genetica” trovate centinaia di
lavori.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 78 a
142

Uno dei padri della teoria dell’instabilità genetica è il professor Nicotera, il quale ha visto che di fatto il
tumore è un processo molto più complesso della singola mutazione per tanti motivi: la complessità consiste
nel fatto che la mutazione può colpire geni che non centrano nulla con lo sviluppo di un tumore, e in questo
caso non succede niente.
Può colpire geni che in qualche modo centrano con lo sviluppo di tumore ma non in modo diretto, per
esempio i geni che sono coinvolti nell’apoptosi. Può non colpire geni per molto tempo o può colpire
direttamente.
Quasi tutti i cancerogeni sono procancerogeni e diventano cancerogeni attraverso un processo metabolico.
Le amine aromatiche vengono metabolizzate a prodotti cancerogeni, gli idrocarburi policiclici aromatici
cancerogeni presenti nel fumo di tabacco sono attivati metabolicamente, per cui per quasi tutti è necessaria
un’attivazione metabolica affinché si manifesti la cancerogenicità.

Un altro elemento che è stato poi messo in discussione è “genotossici e non genotossici”: è chiaro che se una
sostanza è in grado di causare delle mutazioni in teoria può essere cancerogena, ma non tutte le sostanze che
causano mutazioni sono cancerogene. Esempio: se vi fate la grigliata e vi misurate poi la potenzialità
mutagena delle urine, trovate una potenzialità elevata, ma probabilmente quel tipo di mutagenicità non si
esprime in cancerogenesi, infatti non esiste associazione dimostrata fra consumo di carne alla griglia e
sviluppo di tumore.

Al contempo l’amianto non è mutageno, ma è ugualmente cancerogeno. Alcune sostanze non sono
mutagene, non modificano il DNA, ma modificano l’espressione del DNA. Questi sono tutti cancerogeni
epigenetici, viene attribuita la capacità di agire tramite meccanismi epigenetici a molti inquinanti ambientali:
PM1 PM10 PM5, che sembrano influenzare principalmente la metilazione del DNA. La metilazione è un
processo che interferisce con l’espressione genica.

Alcune parole chiave:

LATENZA: tempo intercorso tra inizio dell’esposizione e insorgenza della malattia. (connessi
importanti problemi di raccolta anamnestica). Questa che viene considerata non è la latenza vera, perché
se ci pensate la latenza vera dovrebbe essere il tempo che passa tra l’iniziazione del tumore e lo sviluppo
della malattia. Il vero problema è che l’iniziazione non la puoi collocare nel tempo.

Quindi la latenza è formata da una LATENZA VERA che è quella che inizia dal termine dell’induzione e
finisce con il primo segno della malattia e la LATENZA CONVENZIONALE che è quella descritta sopra.
Noi usiamo la convenzionale come surrogato di quella vera. Non è di poco conto questo discorso: se
potessimo sapere quanto è lunga la latenza vera, potremmo stabilire quanto tempo ci vuole perché avvenga
quell’ultima evoluzione affinché da questo momento in poi, qualsiasi cosa accada, il tumore si manifesterà.
La latenza è un lasso di tempo che per i tumori è sempre molto lungo, quali sono gli unici due tumori che
hanno una latenza piuttosto rapida (6-7 anni)? Le leucemie da benzene o da radiazioni ionizzanti. Le prime
epidemie di leucemia si sono viste pochi anni dopo gli eventi bellici di Hiroshima e Nagasaki / il disastro di
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 79 a
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Chernobyl. A parte questi casi il tumore ha una latenza convenzionale inferiore ai 20 anni. Se andate a
prendere una patologia come il mesotelioma, trovate latenze che superano i 70 anni in alcuni casi.

REAZIONE DOSE-RISPOSTA: il numero dei casi cresce proporzionalmente alla dose. Questo qualche
volta con i tumori ci fa degli scherzi che non ci fanno capire la vera situazione. Vi ho detto che per il
mesotelioma all’aumentare della dose l’incidenza aumenta, ma ad un certo punto raggiunge un plateau.
In altri casi, come il tumore al polmone da amianto o da sigaretta, il rapporto dose/risposta è evidente, però ci
resta un problema aperto: esiste o no una soglia? Cos’è la soglia: il valore al di sotto del quale non ci
aspettiamo la patologia. Io credo che ogni fenomeno biologico abbia una soglia. Molto spesso vedo medici
che confondono questo concetto della soglia per come è utilizzato e sbagliano a fare delle inferenze. Perché
si dice che non c’è soglia per i cancerogeni? Perché se non trovo una soglia, a fini preventivi assumo che non
ci sia, l’atteggiamento è molto conservativo. Vi ho detto che il risk assessment si basa sulla default option; se
noi operiamo una diagnosi eziologica premettendo che non c’è una soglia perché noi non riusciamo a
misurarla, commettiamo un errore, perché la diagnosi eziologica non può basarsi sul principio della
precauzione, che al contrario va bene per la prevenzione. Quindi attenzione che qua siamo in un ambito
d’incertezza (deficit di conoscenza alle basse dosi).

TIPO ISTOLOGICO: tranne alcuni casi rarissimi i tumori professionali sono del tutto simili alla variante
non professionale (assenza di specificità). Quello che lo rende professionale è che sia quasi esclusivamente
legato ad un tipo di esposizione. Per cui la scelta amministrativa di riconoscerlo come patologia
professionale risiede nelle capacità di chi fa la diagnosi di fare un’associazione. In alcuni casi specifiche
esposizioni si portano associate specifiche tipologie di tumore, oppure prevalentemente alcune specifiche
istologie. L’esposizione ad amianto sembra essere associata più frequentemente ad adenocarcinoma che altre
neoplasie. Quella a fumo di tabacco sembra essere associata principalmente alla tipologia epidermoide.
Comunque tutto sommato non vi è mai una distinzione così netta.

Se andate su Google e digitate “Carcinogenic per site - IARC” trovate una rassegna di quali sono i siti più
frequentemente interessati dagli effetti dei cancerogeni per i quali è evidenziata la capacità di causare tumore
negli umani, che sono 78 sostanze in accordo con la IARC (gruppo 1). Dopodiché abbiamo il gruppo 2
delle sostanze che sono probabilmente cancerogene per l’uomo, composta da 63 agenti, poi il gruppo 3
dell’evidenza di cancerogenicità non provata e il gruppo 4 del non cancerogeno, e aggiungo che in questo
gruppo c’è solo una sostanza al momento che è il caprolattame, utilizzato in qualche procedimento
industriale.

La domanda è: sono cancerogene tutte le sostanze sospette? NO, il problema è che la IARC non avendo il
tempo di valutare tutte le sostanze esistenti al mondo, le seleziona in base alla preoccupazione, sono sostanze
per le quali esiste un sospetto. Questo è il motivo per cui nel gruppo 4 non c’è niente. Ma non è solo la IARC
che fa le classificazioni di cancerogenicità: c’è la classificazione di cancerogenicità per l’UE, che
curiosamente talvolta non coincide con quella della IARC, perché modi diversi di vedere le cose portano a
conclusioni diverse.
C’è la classificazione che viene realizzata dall’Environmental Protection Agency americana, da quella
canadese, e altre ancora. Dal punto di vista amministrativo vi dico che quella più strettamente correlata con
la legge è la classificazione dell’UE, perché tutte le precauzioni, procedure, obblighi normativi sono per i
cancerogeni di classe 1 dell’UE.
Qual è il vantaggio della IARC? Che se imparate a utilizzare agilmente il sito della IARC voi potete
scaricare intere monografie senza costi e potete trovare tutte le informazioni che vi servono. Il limite è che
sono estremamente corpose. L’UE non dà spiegazioni, classifica come classe1, classe2, etc.. il mio consiglio
è che voi usiate queste due qua: l’UE perché siete europei e la IARC perché è più informativa.
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Adesso facciamo un ragionamento su: cancerogeni per uomo, cancerogeni emergenti ed evidenze, di modo
che abbiate un’idea di quali sono i principali tipi di tumore.

Cute: può essere interessata da tumori. Tenete presente che uno dei tumori occupazionali più
frequentemente diagnosticati è il carcinoma spinocellulare da esposizione a radiazione solare. Se voi avete
un paziente di 65 anni, agricoltore, a cui ponete una diagnosi di carcinoma spinocellulare, soprattutto se
sviluppato su cheratosi attinica, dovete prendere carta e penna e fare diagnosi con sospetto di malattia
professionale.
Dal punto di vista descrittivo se volete parlare dei raggi UV del sole chiamatela radiazione solare, perché la
dicitura UV si riferisce più frequentemente alla radiazione artificiale.
Melanoma e radiazione solare: il melanoma, a differenza del carcinoma spinocellulare dove conta
l’esposizione cumulativa soprattutto nelle zone esposte, è principalmente correlato alla propria costituzione (i
6 fototipi di Fitzpatrick) e alla frequenza con cui si manifestano ustioni solari. Ricordatevi catrame, fuliggine
e pece, non dimenticate i derivati arsenicali, gli idrocarburi aromatici soprattutto se complesse miscele di
catrame, oli minerali se esausti.
Gli idrocarburi policiclici aromatici sono centinaia, ma fra quelli singolarmente valutati dalla IARC
solamente il benzo[a]pirene è indicato come cancerogeno per l’uomo, tuttavia non è di fatto l’unico.
La cosa intrigante è che sono cancerogene le miscele di idrocarburi policiclici aromatici e a seconda del ciclo
produttivo e della composizione la cancerogenicità si esprime o no.
Tenete presente che gli oli minerali, catrame, fuliggine e pece, quando diventano polveri o fumi, possono
diventare cancerogeni anche per le vie respiratorie. Tutte le vie di contatto sono quelle più a rischio.

Domanda: “Riguardo ai carcinomi spinocellulari, si riesce ad ottenere un indennizzo?”


Risposta: “Si, nella tabella di legge la radiazione solare è contemplata. Se l’indennizzo manca è perché chi
fa la diagnosi non cerca la correlazione e non la denuncia. Ricordatevi che per la legge italiana la tabella
dà la presunzione di associazione causale. Quando si stilano questi strumenti, mettere o non mettere una
voce può costare milioni o meno.”

Apparato respiratorio: questi sono i principali fattori di rischio: cromo esavalente (a differenza del
cromo metallico che può essere solo sensibilizzante), nickel e composti, però tenete conto che se il vostro
paziente ha lavorato alla produzione di alcool isopropilico è stato esposto a rischio di tumore delle cavità
nasali e paranasali. Anche le polveri di elio sono cancerogene, come anche i prodotti della lavorazione del
cuoio (polvere di cuoio in classe 1 di IARC).
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Arsenico, amianto, produzione di allumino, gas e carbone, però altre cose molto più innocenti: se andate a
Matera trovate un’incidenza di tumori al polmone più elevata delle altre zone d’Italia? Per via del radon nei
sassi di Matera.
Tenete presente che negli edifici con piani sotterranei in zone con rocce porose, c’è il rischio di esposizione a
grandi quantità di radon. Lo stesso radon peraltro rende radioattivo il petrolio estratto. Berillio, cadmio, silice
libera cristallina.

Membrane sierose: questo è molto tipico dell’amianto, quindi mesoteliomi pleurici e peritoneali, ma
anche albuginea testicolare. Le fibre più piccole possono viaggiare per distanze notevoli all’interno
dell’organismo.

Vie urinarie: amine aromatiche: sono una famiglia enorme, anche il paracetamolo è un’amina aromatica, o
il diclofenac sodico. Dire che le amine aromatiche sono cancerogene è una semplificazione inaccettabile,
ALCUNE sono cancerogene, però alcuni dei vostri pazienti possono essere stati esposti ad amine aromatiche
cancerogene. Ricordatevi che 2-naftilamina; benzidina; 4-aminodifenile, aminodifenile sono cancerogeni e
quasi certamente anche o-toluidina e 4-cloro-orto-toluidina.

Qual è la principale causa esogena del tumore alla vescica? Il fumo di tabacco. Secondo alcuni autorevoli
autori esso lo è per via delle amine aromatiche in esso presenti. Chiediamo cosa faceva il nostro paziente: se
egli lavorava in qualche ambito dove aveva a che fare con materie coloranti, l’ipotesi di un’eziopatogenesi è
abbastanza realistica.

Voi come medici fate la denuncia di SOSPETTA patologia professionale, sarà durante la seguente istruttoria
che si farà luce sulla cosa, non spetta a voi fare diagnosi eziopatogenetica. Ma se voi non segnalate il
sospetto, nessuna farà nulla. Perché il report del medico è fondamentale? Perché talvolta la segnalazione, se
avviene in un ambito inaspettato, fa suonare un campanello d’allarme laddove non c’era ancora un sospetto
(casi di silicosi nell’industria tessile per via dell’utilizzo della sabbiatura nello sbiancamento dei jeans).

Apparato emopoietico: benzene, radiazioni ionizzanti, ossido di etilene.

Fegato e tratto GI: cloruro di vinile per l’angiosarcoma (ricordatevi che è un tumore dell’apparato
vascolare), però anche l’arsenico causa tumori epatici. Il tratto GI è bersaglio dell’azione tossica di
cancerogeni, ma molto sfumata in senso occupazionale. Nei giapponesi c’è alta incidenza di tumori
all’esofago per l’abitudine di consumare cibi molto caldi.
Interessante è andare a vedere se la popolazione in studio mantenga lo stesso rischio anche quando migra,
ossia se il rischio è più legato a qualcosa di genetico; se lo perdono è legato a qualcosa di esterno. Spesso la
migrazione dall’Africa all’Europa slatentizza il diabete.
Di recente la IARC ha indicato l’amianto come sospetto cancerogeno dell’intestino: lì mi lascia qualche
dubbio perché non è sviluppata una spiegazione per GI e laringe solida quanto quella rispetto al polmone.

Adesso ragioniamo sulla vulnerabilità:


POLIMORFISMI GENETICI: con la possibilità di studiare
diversi genotipi si possono prevedere alti rischi di tumore.
Polimorfismo nel metabolismo delle amine aromatiche: gli
umani i base al loro polimorfismo possono essere suddivisi in
acetilatori veloci e lenti. Il fenotipo veloce inattiva più
rapidamente tramite coniugazione le amine aromatiche e
quindi a parità di esposizione ha un rischio molto più basso
di manifestare un tumore alla vescica rispetto ad un
acetilatore lento. Lento e veloce hanno diversa distribuzione
fra le razze. Secondo esempio di polimorfismo genetico è il
citP450, preposto al metabolismo degli idrocarburi policiclici
aromatici: il soggetto che metabolizza in modo diverso gli
idrocarburi policiclici aromatici manifesta rischio di tumore
al polmone elevato anche fumando una quantità
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estremamente bassa di sigarette, un fenotipo estremamente frequente in oriente. Acetilatore lento :50%
caucasici, 25% asiatici, 5% eschimesi. Quindi in teoria gli eschimesi sono quelli che rischiano di meno se
esposti ad amine aromatiche. Questo discorso però lascia dei problemi etici: selezione dei lavoratori in base
al profilo genetico.

INDUZIONE ENZIMATICA: può incidere


pesantemente sul metabolismo delle sostanze
cancerogene. I barbiturici ad esempio inducono cytP450,
come anche l’alcool. Il paziente sotto barbiturici o il
paziente alcolista sono più suscettibili, rispetto al
paziente non indotto, nei confronti dell’esposizione a
cancerogeni che necessitino di attivazione metabolica.
Qual è il modo empirico più semplice per andare a
vedere se un paziente è indotto metabolicamente? Un
movimento di γ-GT medio, magari associato ad un
aumento del volume globulare.

Medicina del lavoro – 18/05/2018

Ergonomia
All'inizio della lezione vengono mostrati due video che illustrano i risultati di due studi riguardanti quanto tempo
trascorriamo stando seduti piuttosto che stando allungati. Si è cercato di capire quanti minuti effettivamente le
persone spendono in posizione di sitting oppure sdraiati. Ne risulta che soltanto 73 minuti al giorno vengono usati per
svolgere attività in piedi, il che è paradossale dato che l'essere umano è nato per stare in piedi, nell'evoluzione dalla
scimmia.

L'ergonomia è legata un po' a tutto ciò che ci circonda, non solo al sedersi e all'alzarsi. L'ergonomo è una persona che
può occuparsi del design, di tutto ciò che ci circonda e che viene utilizzato quotidianamente come la sedia, il telefono,
le interfacce, il computer. Esiste anche una branca dell'ergonomia che si occupa degli aspetti cognitivi, quindi esiste
anche la persona specifica chiamata ergonomo-psicologo che si occupa di supplementare i processi ergonomici
dell'organizzazione aziendale. In questa lezione vediamo come si applica l'ergonomia alla medicina del lavoro e alcuni
progetti in questo ambito, principalmente nel settore agricoltura.

Ogni mezz'ora il soggetto dovrebbe cambiare posizione. Per questo alcune aziende hanno la standing desk per far sì
che la persona per la maggior parte del tempo possa stare in piedi, oppure la adjustable desk, cioè una struttura che
consenta di alternare le due posizioni durante il lavoro. Stare in piedi completamente senza avere appoggio per le
ginocchia ugualmente non va bene, tecnicamente servirebbe anche un appoggio per queste e per scaricare la colonna,
sedendosi. Oggigiorno la vita sedentaria viene vista come la nuova sigaretta per l'impatto sulla salute ed esiste uno
slogan "sitting is the new smoking", proprio perchè è stato visto che coloro che sono abituati alla vita sedentaria
hanno una percentuale di probabilità di andare incontro a determinate patologie molto più alta rispetto a chi svolge
un lavoro dove mantiene una standing position.

Oggi parliamo di:

 Quali sono le radici dell'ergonomia, un po' di storia e un po' di principi


Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 83 a
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 DMAS (acronimo che sta per disturbo muscolo scheletrico degli arti superiori) e relativi fattori di rischio e la
loro valutazione
 Analisi ergonomica
 Case study: EMG nelle aziende agricole che si occupano di mungitura.

Principio fondamentale: per iniziare a parlare di agitazione ergonomica


bisogna semplicemente aver presente due principi da cui questa
disciplina, che nasce nella seconda guerra mondiale, attinge. Sono il
principio olistico, ossia della visione armonizzata, e il principio di
compatibilità, perché l'ergonomia è quel sistema che include l'uomo, la
macchina e l'ambiente, quindi in quella visione armonizzata di
compatibilità bisogna stare attenti alle interazioni tra i vari componenti
di un sistema in modo tale da rispettare le caratteristiche dell'uomo e le
variabili che possono incidere in modo tale che l'obiettivo finale sia il
benessere psico-fisico, la sicurezza e la qualità della prestazione
lavorativa. Il termine ergonomia è stato coniato da Wojciech
Jastrezbowski, studioso polacco di scienze naturali, ma solo nel 1979 per
la prima volta viene attribuita a lui la patria potestà di questo termine,
che però venne usato per descrivere quella che era la caratteristica di alcune piante in riferimento a quello che era
l'ambiente circostante. Questo termine è stato poi ripreso quando durante la seconda guerra mondiale nacquero i
primi problemi perché coloro che erano i piloti deputati all'utilizzo dei mezzi aerei e radar non entravano
materialmente nelle strutture in quanto avevano caratteristiche che non rispettavano le caratteristiche dei velivoli.
Quindi si decise di creare un team che fosse composto da ingegneri, antropologi e psicologi per risolvere questo
problema. Da lì si iniziò a parlare di human engineering ed engineering psychology. Ovviamente si iniziava a definire
una scienza che prendeva in considerazione i fattori umani, caratteristiche umane ed antropologiche, e con la
engineering psychology si iniziano a mischiare un po' di discipline.
Accadde che da una parte negli Usa si inizia a parlare di "human factors", e di "ergonomics" nello UK.

Questo perché in America in questo team di persone si dava maggiormente attenzione a quelli che erano i fattori
umani, mentre in Inghilterra in questa riflessione generale si era focalizzata maggiormente l'attenzione su quelli che
erano gli aspetti più tecnici di riprogettazione dei velivoli e si partiva dall'idea di usare questa scienza solo in ambito
bellico, per progettare questi nuovi radar. Le prime società di ergonomia nacquero intorno agli anni '50; oggi invece vi
è la società internazionale di ergonomia che ha dato la definizione di ergonomia.

ERGON = lavoro NOMOS = legge

Quindi l'ergonomia è stata definita come la legge del lavoro, o


la scienza che studia le leggi del lavoro , ed in altri diversi modi.
La IEA (international ergonomics association) la definisce come
la scienza che si occupa dell'interazione tra gli elementi di un
sistema (umani, impiantistici, organizzativi ed animali) e la
funzione per cui vengono progettati per migliorare la
soddisfazione dell'utente e il confort dell'interazione
uomo/ambiente di lavoro". In generale l'ergonomia vuole
stabilire una relazione ottimale tra sistema piante, uomo,
macchina, animale.
I principi da applicare nella progettazione ergonomica partono
dall'idea che nel sistema uomo-macchina ci sono delle variabili
e ovviamente delle interazioni.

Questo è il modello uomo-macchina-sistema dove ci sono degli


input, ossia delle informazioni che entrano dall'esterno, che
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l'uomo attraverso gli organi sensoriali processa, dopodichè nel caso dei macchinari vi è un feedback da parte della
macchina ed una rielaborazione specifica di controllo , da cui un'informazione che viene restituita all'uomo. Il tutto
porta quindi ad un output, ossia il frutto di una rielaborazione finalizzata alla performance.
Applicata all'ambito della medicina del lavoro è il lavoro finale.

Definiamo ora quali sono le variabili hard e quali le variabili soft, necessarie per una buona pratica ispirata alle norme
tecniche.

o Le variabili "hard" sono le caratteristiche fisiche del sistema, tra cui le caratteristiche dell'uomo e della
macchina
o Le variabili "soft" sono gli aspetti psicosociali, organizzativi e processi cognitivi di chi opera nel sistema

Quando c'è una progettazione ergonomica le componenti fondamentali sono:

1. l'organizzazione del lavoro


2. i compiti lavorativi
3. l'attività lavorativa stessa di ogni compito (se c'è una combinazione di più compiti)
4. i contesti operativi e locali adibiti
5. le attrezzature (hardware e software)
6. spazio lavorativo e contesto di lavoro.

Da qui si entra nella valutazione del rischio. Per una buona organizzazione del lavoro bisogna considerare lo stress,
assegnare compiti lavorativi adeguati, che si ricollega al discorso stress perchè spesso i problemi si presentano per
mancanza di autonomia, di crescita professionale e di congruenza. Ciò si inserisce bene nel concetto di ergonomia
perché se l'uomo è sia corpo che mente ed il benessere è definito come psicosociale questo è un aspetto sostanziale.
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Per gestire adeguatamente un'attività lavorativa bisogna organizzare il lavoro in modo da garantire a tutti che abbiano
una rotazione, ampliamento dei compiti e quant’altro, per progettare il benessere bisogna fare una valutazione del
rischio, le interfacce uomo-macchina devono essere tali per cui il macchinario sia sempre conforme alla persona che lo
utilizza anche in presenza di eventuali disabilità, e infine bisogna garantire che lo spazio lavorativo sia salubre ed in
equilibrio.

Parlando di ergonomia si considera una disciplina che studia l’ottima relazione tra diversi ambienti, sistemi o
componenti di un sistema. Questa non può che abbracciare pertanto diverse aree come l’epidemiologia, la medicina,
l’ingegneria, la biomeccanica, la chilometria, il design industriale: è un mondo di pura interdisciplinarietà.
Le variabili che possono essere gestite all’interno di quello che è una nostra analisi del sistema in cui dobbiamo
intervenire sono:

 variabili antropometriche, dove per antropometria si intende la scienza che misura le varie parti del corpo.
 Variabili biomeccaniche, qui si entra nel campo della medicina del lavoro e delle scienze psicosociali
 Attrezzature/oggetti, segnali, displays e dispositivi di controllo, nell’ambito del design industriale e della
psicologia cognitiva
 Variabili ambientali (fisiche, chimiche, biologiche) nella medicina del lavoro e igiene industriale
 Variabili organizzative nell’ambito delle scienze psicosociali

Il contributo dell’antropometria: Perché misurare? L’antropometria nasce negli stati uniti negli anni ’50 ed è “un
sistema di tecniche, l’arte sistematica di misurare l’uomo, il suo scheletro, il suo cervello e gli altri organi, mediante i
mezzi ed i metodi più adatti”. Nel corso degli anni si è passati dalla worker selection, ossia dal datore di lavoro che
selezionava chi doveva assumere sulla base delle caratteristiche dell’ambiente, al job design ossia al datore di lavoro
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che realizza l’ambiente di lavoro in base a dei principi che consentano a tutta la popolazione (o alla maggior parte di
essa) di essere inserita in quel contesto di lavoro.

Quindi in base alla necessità è possibile progettare al 5° o al 2,5° (oppure al 95° o al 97,5°) percentile a seconda del tipo
di prodotto/situazione/oggetto. Per esempio per progettare l’aula universitaria bisogna considerare come caratteristiche
quelle idonee dai 19 anni all’età adulta (perché devono contenere i professori oltre che gli studenti). Si prendono quindi
i dati antropometrici della popolazione maschile e femminile tra i 19 ai 70 anni e si progetta affinché entri il più piccolo
dei 19enni al più alto.

Il contributo della biomeccanica: la biomeccanica è interessata per le posture incongrue (è possibile misurare con mezzi
cinematici le angolazioni del tronco, degli arti…), per la mancata
alternanza di posizioni di lavoro, per le posture sdraiate, in ginocchio
e rannicchiate, per le posture sbilanciate per assetti asimmetrici legati
a supporti mancanti o inadeguati.

Questo è un esempio di postura corretta e scorretta per quanto


riguarda la posizione al pc: bisognerebbe tenere la schiena dritta,
l’angolo retto tra coscia ed addome, ginocchio ad angolo retto, una
distanza di almeno 70 cm dallo schermo, con un range di 30 gradi
nell’angolazione del capo verso l’alto o verso il basso.

Il contributo del design: l’ergonomia si occupa anche di progettare


quelle interfacce così che siano accessibili al maggior numero di
persone e quindi osservare il principio della visibilità, proporre oggetti
che si fanno accogliere, sfruttare il concetto di mapping ossia avere un
punto di riferimento sempre stabile sulla corrispondenza spaziale tra comando ed attivazione di una certa funzione ed
infine fornire all’utente informazioni di ritorno.

In Italia negli anni ‘50 l’ergonomia era praticamente assente, poi nei primi anni '90 prevalgono gli aspetti formali,
l’invenzione creativa ed il carisma del designer (“colpo di genio”), mentre oggi come oggi vi è una società nazionale di
ergonomia, che ha rimosso il primato del design.

Però concretamente come si può inserire un discorso del genere


all’interno delle aziende? Spesso è più un discorso legato alla mentalità.
In Italia ci sono molte leggi che fan sì che determinate cose vengano
fatte, mentre per esempio in America dove anche una semplice good
practice viene messa in atto si considera il fatto che se io curo la qualità
di vita del lavoratore ed aumento la produttività e quindi anche
l’efficienza, arrivo a soddisfare meglio la richiesta del cliente. Se mi
prendo cura del lavoratore e della sua sicurezza, miglioro la qualità di
vita con conseguentemente meno assenze, meno incidenti sul lavoro,
miglioro la qualità della produzione e infine la soddisfazione del cliente
(che alla fine è ciò che interessa all’azienda). Quindi bisogna partire da
un’analisi specifica dei problemi dell’azienda e poi implementare
sfruttando la ruota di Deming PLAN- DO- CHECK- ACT.

Gli obiettivi dell’ergonomia:

Salute e sicurezza del lavoratore


Efficienza
Qualità della vita lavorativa
Qualità della produzione
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Il contributo della medicina del lavoro nel tassello della sicurezza e della salute del lavoratore, che è uno degli
obiettivi dell’ergonomia:

I disturbi muscolo scheletrici sono dei disturbi che riguardano articolazioni, legamenti, tendini, nervi. Sono importanti
perché negli ultimi anni c’è stato un incremento della denuncia di malattie professionali da sovraccarico meccanico
dovuto al fatto che solo nel 2008 queste malattie sono entrate nelle malattie tabellate. Chiunque ora denunci determinate
malattie in relazione a certi tipi di lavoro può essere indennizzato per quella patologia. Non si tratta solo di un dato
italiano, infatti in Europa il 45% delle malattie professionali denunciate sono muscoloscheletriche. È un problema
trasversale a tutti gli stati. In Italia in particolar modo si fa riferimento al decreto 81/08 Titolo VI MOVIMENTAZIONE
MANUALE DEI CARICHI, patologia da sovraccarico biomeccanico: “patologie delle strutture osteoarticolari,
muscolotendinee e nervovascolari”. Per movimentazione si intende: sollevare, deporre, spingere, tirare, portare… Per
tutte queste azioni sono stati messi a punto dei metodi per la valutazione del rischio. Cioè c’è un metodo per il
sollevamento dei carichi (NIOSH), un metodo per il tirare, per il movimento ripetuto, ecc

La legge dice quali sono le caratteristiche che bisogna osservare per fare la valutazione del rischio in riferimento alle
norme tecniche della serie ISO 11228 divisa in parte 1-2-3. Per i movimenti ripetuti ci si rifà alla parte 3, per il
sollevamento alla parte 1, mentre per il traino e la spinta alla 2.

I fattori di rischio da considerare per la valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico sono: azioni ripetute,
applicazioni di forze, posizioni di lavoro, vibrazioni, stress lavoro correlato, condizioni ambientali, carenza di pause. Il
NIOSH, ossia The national institute for occupational Safety and Health, ha definito per ciascuno di questi distretti
(spalla, gomito, polso, mano) quali sono i fattori di rischio e con quale percentuale incidono proprio sul rischio dei
disturbi muscoloscheletrici di ciascun distretto. Ci sono poi dei fattori di rischio non correlati al lavoro che sono
associati ai disturbi muscoloscheletrici degli arti superiori che sono le condizioni di salute (obesità, DM, artriti, stato di
gravidanza), condizioni personali (caratteristiche morfologiche, antropometria, età, genere, abitudini e stili di vita,
genoma) e fattori psicosociali (soddisfazione lavorativa, stato depressivo, responsabilità, famigliari, instabilità
emotiva).

Quando si fa un’analisi ergonomica si può ricorrere a 3 diversi metodi:

1- Self reports: dati raccolti dal lavoratore.

È un metodo poco utilizzato perché l’affidabilità è lasciata a quella che è


la volontà della persona, magari omettendo fattori importanti per la
valutazione del rischio. Per indagare lo stress del lavoratore o gli aspetti
psicosociali questo è un ottimo metodo. Si può a differenza di altri
metodi applicare a tantissime situazioni lavorative ed è economico.

2- Metodo osservazionale: tecniche di osservazione.

Può essere semplice o avanzato, ossia quelli in cui si usa una


videocamera per riprendere i lavoratori durante l’attività lavorativa. In
entrambi i casi si parla di metodi in cui si sfruttano metodi come il
NIOSH, osservo o faccio riprese e valuto attraverso le schede quali sono
i fattori di rischio coinvolti e l’entità degli stessi fino a giungere alla
valutazione del rischio che può inserirsi in fascia rossa, gialla o verde. I
vantaggi di questo metodo semplice sono la semplicità, praticità ed il
fatto che sia economico, mentre gli svantaggi sono che non si valuta
l’interazione tra i diversi fattori di rischio né si dà peso ai singoli fattori.

Nel caso delle avanzate i vantaggi sono che vi è lo studio di molti


segmenti del corpo simultaneamente, mentre gli svantaggi il costo e la
necessità di un’alta specializzazione del valutatore.
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Si mostra lo Strain Index che è uno dei metodi più usati per fare la valutazione del rischio, in particolare delle
estremità superiori, soprattutto del polso. Poi vi è per il sollevamento carichi il metodo OCRA ed il NIOSH, OCRA per
i movimenti ripetuti, RULA per posture incongrue. Vi è anche il metodo MAPO per la movimentazione dei pazienti
(utile in ambiente ospedaliero. Per infermieri, OSS).

Lo Strain Index consente


osservando l’attività lavorativa di
capire quale peso dare al lavoro
nella valutazione del sovraccarico
biomeccanico dell’arto. È
applicabile ad ogni contesto. È
stato rivisitato l’anno scorso, per
cui quello che prenderemo in
considerazione oggi è quello
vecchio, in quanto quello nuovo
non è stato ancora validato al
100%.

Lo strain index ha 6 variabili:

1. Intensità dello sforzo


2. Numero di sforzi al minuto
3. Durata dello sforzo
4. Postura mano/polso
5. Durata giornaliera dello sforzo
6. Velocità di lavoro

Si assegna a ciascun elemento un intervallo di moltiplicatori e si calcola il risultato finale. Con quello rivisitato si è
tolta una variabile e sono stati assegnati moltiplicatori diversi.

Vi sono nella classificazione tre stadi: fascia verde non c’è rischio, gialla si ha qualche problema, rossa indica che
bisogna riprogettare l’attività di lavoro. Lo Strain Index è considerato come semi qualitativo perché ha tre variabili
qualitative, ossia determinate dall’osservatore.

o INTENSITA’ DELLO SFORZO

Il valore da attribuire a questa variabile si ricava da una scala qualitativa. Viene attribuito allo sforzo uno dei seguenti
giudizi: lieve, moderato, elevato, molto elevato, massimo. È lieve quello del bioterminalista, il tiping è lieve. Un lavoro
massimo è considerato un lavoro che modifica dell’espressione facciale del lavoratore. (dunque nel valutare l’intensità
dello sforzo posso ad esempio guardare l’espressione del lavoratore).

o DURATA DELLO SFORZO NEL CICLO

Il calcolo dello Strain Index prevede la quantificazione per ciascun arto e in termini percentuali dell’applicazione di
forza nell’ambito di un ciclo. Si calcola la durata del ciclo e la durata dello sforzo nel ciclo. Vi sono 5 classi di durata:
<10% del ciclo, tra 10 e 29%, 30-49%, 50-79% e >80%del ciclo. (il ciclo per esempio nel mungitore è dato da 4
sottofasi, lo sforzo del polso è dato solo dalla fase di attacco).

o FREQUENZA DELLE AZIONI


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È uno dei più importanti fattori di rischio. Si procede con l’analisi dell’attività per attribuire al compito ripetitivo un
valore proporzionale al numero di azioni svolte al minuto. La valutazione viene effettuata per ciascun arto. Ci sono 5
categorie: <4 azioni/minuto, 4-8 azioni/minuto, 9-14 azioni/minuto, 15/19 azioni/minuto, >20 azioni/minuto.

o POSTURA DELLA MANO E DEL POLSO

Viene attribuito un giudizio qualitativo alla postura assunta da ciascun arto, definita come molto buona, buona, discreta,
scadente, pessima. È un metodo applicabile all’estremità degli arti. Si fa riferimento alla estensione- flessione,
deviazione radiale-ulnare. Magari qui è utile fare dei video per capire qual è il grado di inclinazione.

o VELOCITA’ DI SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITA’

Viene valutata qualitativamente in modo personale in molto bassa, bassa, media, alta, molto alta.

o DURATA DEL COMPITO RIPETITIVO NELL’AMBITO DEL TURNO

Nell’equazione generale si dice come nel turno lavorativo quanto tempo si spende in quell’azione (<1h, 1-2h, 2-4h, 4-
8h, >8h).

Alla fine della valutazione bisogna capire quali sono i


valori determinanti, se ci sono compiti rischiosi vs altri non rischiosi, gli aspetti critici di un compito ripetitivo e le
misure di prevenzione.

3- TERZO METODO: MISURAZIONI DIRETTE, USO DI STRUMENTI

Si può usare l’accelerometro triassiale, EMG di superficie, inclinometro. Quale metodo utilizzare dipende dall’obiettivo
della nostra indagine. Se serve una valutazione quantitativa si usa quello di terzo livello, se si vuole una stima senza
avere troppe risorse si usa il secondo metodo.

CASE STUDY

Un caso pratico: EMG nelle sale di mungitura. Si tratta del


progetto di dottorato di ricerca in medicina del lavoro e
igiene industriale della prof, basato sulla definizione dei
profili di rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti
superiori da movimenti ripetuti degli addetti alla sala di
mungitura di bovine da latte ed individuazione di possibili
interventi di contenimento del rischio. Lo stesso studio è
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stato fatto in America ed in Italia. Si è partiti dai dati di malattie professionali nello specifico nell’ambito
dell’agricoltura, dal 2007 al 2013, in cui si è assistito ad un incremento del 475% delle malattie denunciate. Si è cercato
di indagare quali fossero i fattori da studiare e si è rilevato che le patologie del polso fossero centrali.

L’attività di mungitura è costituita da 4 fasi: la pre disinfezione della


mammella, la stimolazione e la pulizia (che in Italia viene svolta con dei
piccoli tovagliolini), dell’attacco e della disinfezione. Le sale di
mungitura in Italia sono di tre tipi: parallele, rotative e a spina di pesce.
La rotativa, detta anche a giostra, è quella in cui la bovina entra e gira
mentre il lavoratore è fermo. Nella parallela il lavoratore si muove,
quella a spina di pesce è come la parallela ma la posizione del lavoratore
è inclinata di una certa angolazione. Gli obiettivi dello studio sono:

-contribuire alla definizione dei determinanti di rischio per il


sovraccarico biomeccanico del distretto del polso;

-definire i profili di rischio da sovraccarico biomeccanico del polso negli


addetti alle sale di mungitura;

-individuare eventuali interventi preventivi e/o


correttivi per ridurre il rischio da sovraccarico
biomeccanico.

E’ stata selezionata una popolazione di 40 mungitori


selezionate da 21 aziende agricole site in regione
Lombardia, con almeno 3 anni di esperienza in sala
da mungitura, senza nessun intervento chirurgico al
polso nei tre anni precedenti allo studio. Nel
protocollo si hanno: variabili antropometriche
personali e quelle correlate all’ambiente di lavoro per
applicare lo Strain Index ed infine l’EMG di
superficie. Si vede nella slide un lavoratore con dei
cavetti collegati ad un datalog che registra tutta
l’attività. Si è studiato il trapezio, il deltoide
anteriore, il bicipite ed il flesso/estensore del polso
dominante.

I parametri calcolati sono la % di riposo


muscolare, il Root Mean Square,
amplitude probability distribution
function (che sarebbe l’attivazione del
muscolo) e lo svolgimento dell’attività.
Inoltre vi è il calcolo della Maximum
Voluntary Contraction (MVC Test) per
ogni muscolo, prima di andare al lavoro.
Nello studio erano inclusi moltissimi
indiani, che sono le persone che più si
prestano a questo tipo di lavoro.
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Nel Root Mean Square si vede il segnale Raw che subisce una prima filtrazione, rettificazione e restituisce il Root Mean
Square. Vi è poi l' APDF che è la curva di attivazione muscolare ed infine la % di riposo
muscolare, stabilito nelle prove da sforzo.

Sono state studiate diverse variabili, tra cui variabili


antropometriche, caratteristiche della sala di mungitura,
organizzazione del lavoro ed enviromental date. Prima si è fatta
un’analisi di corrispondenza multipla per stimare l’associazione fra
le variabili considerate e definire le più informative. Poi sono stati
fatti dei cluster dei lavoratori e confrontati gli Strain Index e l’EMG
per definire i profili di rischio.

Sono state quindi considerate le caratteristiche dell’ambiente di lavoro,


di queste 52 variabili con la Multiple Corrispondence Analysis si è capito che solo 14 (sono le 14 per cui differiscono
maggiormente!!) avevano un reale peso e sulla base di queste si è colto che vi erano 3 gruppi distinti e dopodiché si è
fatto un confronto tra i dati della EMG e dello Strain Index per arrivare ai tre profili di rischio.

Quelle su cui ci si è soffermati di più sono la tipologia


della sala di mungitura, la numerosità della mandria,
l’altezza della fossa di mungitura, il peso del gruppo di
mungitura, il disconfort postura (calcolando la
differenza tra altezza spalla del lavoratore e altezza della
mammella), ecc Da qui sono stai
creati i 3 clusters e definite le caratteristiche dei 3 gruppi
(slide qui sotto). Dopodiché si è cercato di vedere se ci
fossero delle differenze statisticamente significative ed
effettivamente ne sono risultate sia per l’EMG (tra
gruppo 2 e 3) che per lo Strain Index, nelle diverse
sottofasi. Così si sono definiti i profili di rischio (basso,
medio, alto): cioè una volta individuate le differenze si
vede qual è il rischio nei tre gruppi.

Infine si sono studiati i possibili interventi per ridurre il


rischio: ridurre il peso del gruppo di mungitura <2,4kg,
l’organizzazione sistematica della routine di mungitura,
l’uso di supporti meccanici in grado di sostenere il
gruppo di mungitura ed un design inspirato alle sale di
tipo rotativo.

Dal progetto sono nate collaborazioni con l'università di

Bordeaux.

Nell'ambito del MilkeRisk sono stati


fatti altri studi clinici. Un primo in cui si
è cercato di individuare le finestre
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acustiche a livello del polso, quindi con ecografie che fossero predittive di segni di cambiamento morfologico e quindi
da 24 finestre si è arrivati a 6. E' stato somministrato un questionario dei sintomi con specificità del 100%. Altri
progetti in corso: Captor, in cui l'avatar è stato messo per tracciare le angolazioni del corpo dei lavoratori; inoltre uno
studio sui lavoratori forestali in Sicilia, l'ArboRisk, per stimare i profili di rischio e verificare la prevalenza dei segni di
malattie sia del distretto del polso che del rachide.

Nota del revisore: non penso che la prof voglia sapere lo studio nel dettaglio, ma solo che si fanno gli studi per vedere
cosa non va nell’ambiente lavorativo e cercare di fare prevenzione e cercare di migliorare la salute del lavoratore (in
questo caso infortuni al braccio/polso).

Medicina del lavoro – 18/05/2018

Liste e diagnosi di malattia professionale


La lezione tratterà dei criteri per la specificità della diagnosi della malattia professionali, del ruolo delle liste
e il ruolo della ICD 11.

La diagnosi della malattia professionale


La diagnosi clinica è medica, la diagnosi di malattia professionale è una decisione amministrativa. La
decisione amministrativa è influenzata da tutta una serie di variabili che sono:
- La competenza del medico che la applica;
- Il contesto nel quale il medico opera;
- Le conoscenze del medico circa la malattia professionale. È necessario, per fare diagnosi
amministrativa (sulla carta), che al medico venga in mente che possa trattarsi di una malattia
professionale. Il professionista sanitario deve quindi avere un solido background in merito a ciò che
possa essere definito come occupational disease.
La parte burocratica non va quindi dimenticata quando trattiamo di queste patologie.

Il prof. parla di una conferenza con l’università dell’Illinois in merito all’aggiornamento dei criteri di
classificazione della malattia professionale. Per chi fosse interessato c’è la possibilità di parlare con lui e
tirar fuori una buona tesi.

Alcune definizioni
definizione di malattia professionale secondo ILO: ‘’ogni
malattia che sia stata contratta come risultato
dell'esposizione a fattori di rischio che erano presenti nelle
attività lavorative’’.
È una definizione molto più ampia di quella che adottano
determinati paesi.
Fondamentalmente una malattia viene definita professionale
quando le autorità di quel paese dicono che è una malattia
professionale.
Per esempio, se l'Italia dicesse che una determinata malattia
non è una malattia professionale, il medico non avrebbe nessun riferimento per far valere il
discorso che lo sia, tranne il suo buon senso, ed eventualmente un contenzioso legale.

Cos'è che di solito permette ad un paese di decidere che cos'è occupazionali? Le liste.
In una presentazione fatta a Bruxelles sono state confrontate le liste dell'Unione Europea, in modo tale da
evidenziare le grosse differenze tra i paesi in merito a:
- Numero di malattie nelle liste;
- Tipologia di malattie.
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Alcuni paesi, come l’Olanda, non hanno liste di malattia professionale, con tutti i problemi del caso. La
Slovenia ha una lista di malattia professionali composta da 41 malattie soltanto, e tra queste ce n'è una che
l'Italia non ha: il nodulo delle corde vocali per uso eccessivo delle corde vocali.
L'Italia ha oltre un centinaio di malattie riportate.
La Francia ha centinaia di gruppi fatti da tanti sottogruppi.

Nel mondo ci sono 352 mila incidenti mortali, ci sono quasi 2 milioni di morti all'anno per malattia del
lavoro e gli incidenti che causano 4 o più giorni di assenza sono 313 milioni.
Stiamo parlando di un qualcosa che non è soltanto un grosso peso di sofferenza, ma anche un peso
economico notevole in relazione agli indennizzi.
Domanda: come stabilire i numeri se ogni nazione ha le sue liste?
Sulla base di stime. Il Grosso problema è che queste stime potrebbero essere falsate. A titolo esemplificativo:
i dati provenienti dal ministro della salute del Burkina Faso rivelano la presenza di zero malattie
professionali.
Questo non vuol dire che non ci siano malattie professionale in Burkina Faso. Appare quindi evidente il
problema dell’attendibilità di alcuni dati.
È complicato spiegare come fare delle buone stime. Un metodo per stimare può essere spiegato con questo
esempio (spiega il metodo cattura-ricattura):
Come stimare la quantità di alborelle presenti nel lago di Garda? Si ripete n° volte la pesca con criteri
analoghi, poi si contano le alborelle pescate, queste vengono segnate in una qualche maniera e liberate,
successivamente si vede quante volte ti ricapita di riprendere le stesse alborelle. Attraverso estrapolazioni
matematiche otteniamo la stima delle alborelle nel lago.

Nell’immagine a fianco vediamo i report circa i casi di


malattia professionale riportati dai paesi dell’UE.
Alcuni paesi non vogliono fare sapere i dati qui presentati.

L'Italia ha, su un totale di tre anni, 75000 malattie professionali


segnalate che arrivano al Eurostat. l'Eurostat è un organo
che contiene tutte le informazioni statistiche riguardanti
i paesi membri dell’UE.

Confrontando i dati di malattia di un paese come UK, che nel complesso è più grande
dell’Italia, che cosa emerge? Che i diversi criteri di fare
report incidono sui risultati finali. Tutti questi risultati
hanno un forte impatto sulle politiche interne di un paese.
Se un inglese mi chiede se il cloruro di vinile è ancora un problema per gli operai in Italia, io gli posso
rispondere soltanto se conosco il burden of disease delle patologie da cloruro di vinile nel mio paese. Se io
non conosco questo dato, oppure il dato c’è ma io non lo vedo, non posso rispondergli.

Esempio in merito alla diagnosi di placche pleuriche amianto-correlate in Italia e in Austria. L'Italia segnala
500-600 placche pleuriche/anno a causa dell'amianto. L'Austria ne denuncia 8.
Questo vuol dire che in Austria non usano l'amianto? usano un amianto che non dà placche pleuriche? o c'è
qualche altro motivo?
Probabilmente la ragione è che la decisione amministrativa, che prende il medico che fa report, è diversa da
quella che prende il medico italiano.

Quali devono essere gli obiettivi? L’obiettivo deve essere l’armonizzazione tra i paesi. Il compito di
armonizzare spetta all’UE, ma sicuramente un buon risultato non sarà ottenibile in tempi brevi.
Le ragioni dietro la difficoltà nel processo di armonizzazione: a livello europeo vengono stabilite delle
direttive, però esse devono comunque sottostare al rispetto delle specificità nazionali stabilite dai paesi stessi.
Per cui l'Austria non si sogna nemmeno di caricarsi sulle spalle 500-600 placche pleuriche da pagare.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 94 a
142

In una situazione così diversa tra i paesi, la Francia viene vista come la nazione più sfortunata, perché hanno
un enorme carico di patologie professionali che impatta sul loro welfare.
Si può provare a normalizzare sul numero di abitanti, per esempio i casi denunciati per 100.000 abitanti, e
ancora vediamo come non ci sia comparabilità.
C'è talmente poca confrontabilità, che è stato deciso di fare un esperimento pilota chiamato short list, per
una quindicina di malattie professionali sulle quali pensiamo che i sistemi di reporting siano abbastanza
omogenei.
Possiamo pensare a tre paesi con una popolazione simile: Portogallo, Finlandia e Ungheria che hanno circa
10 milioni di abitanti ciascuno. Vediamo come tra i primi due paesi elencati ci sia omogeneità in merito al
numero dei casi di malattie professionali. L’Ungheria presenta un numero decisamente più basso, e si fatica a
pensare che essa sia un paradiso lavorativo.

Domanda (inerente alle differenze tra i casi di malattia nei diversi paesi).
Può essere che la Francia riconosca meglio le malattie professionali, oppure potrebbe anche essere che in
Francia il sistema costituito abbia portato ad un over reporting per cui riconoscono malattie professionali che
nella realtà non lo sono.
In altri paesi si perdono un sacco di malattie professionali perché non hanno un sistema capillare di raccolta
dei dati. Alcuni paesi hanno un sistema capillare ben costruito, ma non hanno delle liste di riferimento
sufficientemente solide.
In Italia ci sono delle buone liste.
Possiamo confrontare le curve normalizzate tra Serbia e Italia. Emerge che la Serbia è un paradiso in termini
di patologie lavorative. Conoscendo la Serbia sappiamo che questo non è possibile, considerando che in
moltissime zone del paese c’è un’economia in transizione.

Domanda: questi dati si riferiscono alle diagnosi o agli indennizzi?


Anche questo è un problema.
In Italia viene fatta la denuncia sul fondato sospetto. Dopodiché c'è un procedimento per il quale vengono
riconosciute, questo vuol dire che c'è un ente preposto che valuta le patologie denunciate e che le definisce
come reali patologie professionali. C’è un delta negativo tra le denunciate e le riconosciute.
Poi i sistemi assicurativi fanno sì che tu non venga indennizzato a meno che tu non raggiunga una
determinata percentuale di invalidità, che in Italia è l’11 o il 14% (il prof non ricorda con precisione).
Esempio: 100 denunciate, 50 riconosciute e 30 indennizzate.

Quando si parla di patologie professionali si deve sempre vedere di che cosa si sta parlando:
Sul sito dell’INAIL troviamo un cosiddetto living document, cioè un documento in aggiornamento costante
circa una data patologia. Attraverso procedimenti legali essa può passare da riconosciuta a non riconosciuta
nel corso del tempo. Eventi esterni influenzano notevolmente la qualità del dato.
Ma quale dato utilizzare?
Secondo il prof, la cosa più corretta è considerare il dato delle patologie riconosciute perché hanno subito un
processo di valutazione. Le patologie solo denunciate dipendono troppo dalla sensibilità del medico e
dell'ambiente. Le malattie compensate (cioè indennizzate) non ci interessano, perché diversi paesi decidono
di compensare in maniera totalmente differente.
la tabella di prima è riferita alle malattie lavorative denunciate .

ICD - 11
Sistema di classificazione delle malattie attraverso codici specifici. È molto utile al fine di identificare in
maniera univoca una determinata patologia, indipendentemente dalla lingua parlata dall'interlocutore. Il
sistema è costruito in modo tale da individuare la patologia principale e tutte le diramazioni della stessa
patologia, rappresentante da codici differenti. Quindi abbiamo una sigla numerica e un punto seguito da altri
numeri.
Le esenzioni sono date con i codici ICD, Le diagnosi vengono fatte con questi codici e i DRG la stessa cosa.
Se tu hai una ICD che vale 3 giorni non puoi ricoverare il paziente per 7 giorni.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 95 a
142

ICD è un modo univoco per riconoscere le malattie. il prof consiglia di navigare sull'ICD, perché ha valenza
istruttiva.

Prevenzione delle malattie professionali


per poter prevenire le patologie professionali bisogna avere
una buona definizione nosologica, dei buoni dati
epidemiologici e una comunità che condivida informazioni.
ICD
all'inizio era solo una

classificazione delle cause di morte. Dopo la seconda


guerra mondiale, nel 1948, comparvero le cause di morbilità, che erano in numero molto piccolo.
Adesso ICD-10 è quello usato. Quando vengono
fatti lavori internazionali ci si trova in difficoltà,
perché alcuni paesi utilizzano ancora ICD-9 che è
organizzato con 5 o 6 cifre con molte meno
diramazioni, quindi è difficile confrontare le due e
talvolta è addirittura impossibile convertirli.
ICD-11 è quasi pronto.
Quello che determina i tempi di aggiornamento è la rapidità della circolazione dell'informazione e la
possibilità di creare supporto informatico. Nell'unità operativa dell'ICD-11 è stato deciso di fare quello che
viene chiamato Living Document. Verranno pubblicati 3000 cartacei, tutto il resto è su database che potrà
essere aggiornato in tempo reale. L'idea è che ICD-11 non venga mai chiuso, ma continuamente aggiornato
online.
L'obiettivo è armonizzare. Un medico moderno deve essere in armonia con il sistema di riferimento, se non
si è in armonia si rischia di sbagliare diagnosi e terapia. lo sforzo della ICD-11 è uno sforzo di
armonizzazione. Questo supera a piedi uniti gli accordi di law and practice dei vari paesi (le specificità
nazionali di cui si parlava sopra), perché l’OMS è l’ente superiore quindi le sue direttive vanno eseguite.

ICD-11 riconosce il binomio manifestazione clinica - agente causale, è stata chiamata linearization. Nel
sistema troviamo la sezione specifica sulle malattie professionali. Sarà possibile trovare tutte le malattie
causate da uno specifico agente o cercare per malattia e trovare tutti gli agenti che causano quella malattia.
Questa linearizzazione ci permette di raccogliere informazione e fare diagnostica differenziale.
Ci sarà una versione elettronica e cartacea, quella elettronica sarà la versione più importante. Sarà in diverse
lingue e noi possiamo entrare, esplorarlo e vedere
com'è, ci si può registrare ed inserire commenti.
Vediamo il concetto di malattia secondo ICD
11: pattern noto di segni e sintomi, in genere con
spiegazione meccanicistica, con una specifica
eziologia e una evoluzione temporale con un pattern
noto di risposta alla terapia. Possono esserci
possibili legami con fattori ambientali e genetici
favorenti.
Quindi devono esserci una serie di caratteristiche a
cascata che definiscono l'entità nosologica. La definizione di
malattia deve stare dentro ad un sistema
informatizzato estremamente rigido.

Digressione su alcune malattie


Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 96 a
142

Secondo il prof la fibromialgia non esiste. Tutti i casi di fibromialgia erano diversi l’uno dall’altro, allora si è
fatto l'idea che questa malattia sia una spiegazione che viene data a cortee strane di sintomi. Una volta fatta
diagnosi il paziente si placa e il dottore si solleva dal rischio di sembrare uno che non sia capace di dare una
risposta.
Nella fibromialgia il paziente sta male, c'è sofferenza vera, e molta difficoltà del medico nel capirla.
Patologie che non esistono (secondo il prof.) ma che formalmente le abbiamo fatte esistere:
- fibromialgia;
- multiple chemical sensitivity (MCS);
- sindrome della guerra del golfo.
Nella MCS non c’è niente di obbiettivabile, le pazienti con supporto psichiatrico guariscono.
Per quanto riguarda la sindrome della guerra del golfo ci sono, in America, associazioni di malati che fanno
class actions chiedendo ingenti risarcimenti al governo americano.
La sindrome della guerra del golfo è una malattia complicata caratterizzata di problematiche psico-
comportamentali con senso di inadeguatezza, paura ad affrontare gli eventi, senso di inutilità, depressione,
panico.
la causa sarebbe riconducibili a:
- trattamenti cronici in via preventiva contro gli organofosforici, sostanze che legano in maniera irreversibile
la colinesterasi. Cronicamente venivano assunti farmaci aspettando l'attacco con gas nervino, che in realtà
non è mai arrivato;
- trattamenti con misture complesse di antiparassitari. Utilizzavano i piretroidi per trattare tende e sacchi a
pelo (questo perché nel deserto non c'era acqua per lavarsi).
L’ipotesi è che queste misture per terapia anti crisi colinergica e antiparassitari avrebbero scatenato questa
patologia.
Il problema è che non c'è ipotesi eziopatogenica, non c'è una sindrome così evidenziabile da segni e sintomi
clinici comuni, non c'è presentazione standard. Quindi non ci sono gli elementi minimi per dire che questa
sia un'entità nosologica. Non si capisce che cosa indennizzare.
Molto spesso, in queste patologie c'è una forte componente neurovegetativa, anche nella fibromialgia.
Il paziente fibrimialgico ha sempre un grosso problema di equilibrio psicologico.
La paziente tipica da MCS è donna, sopra i 50 anni, non sposata, senza figli, che vive sola, in compagnia di
un animale.
Queste tre patologie non le ritroviamo nelle liste.

Digressione del prof sul ruolo del suo team nel Global Plan of Action.
La salute occupazionale fa parte della WEA (World Healt Assembly); periodicamente ci sono assemblee sul
tema salute.
Hanno messo a punto un global plan of action. L’obbiettivo del centro di collaborazione OMS del prof è
avere un Task nell'ambito di questo global plan of action. organizzato come azioni e tutti i centri di
collaborazione devono prender parte a questo progetto. OMS deve definire gli indicatori e promuovere
piattaforme di informazione per la sorveglianza della salute dei lavoratori. Diagnostic exposure criteria è la
parola chiave, questo è la task che ha preso il centro di collaborazione del prof.
Il prof ricorda che nel caso qualcuno fosse interessato può raggiungerlo al centro e fotocopiare ‘’Hunter’s
diseases of occupation’’, fonte di tutte la conoscenza della medicina del lavoro, di cui buona parte è stato
utilizzato per redigere i criteri diagnostici.

Vediamo chi si occupa delle malattie professionali:


- Medico, di tutte le discipline. OMS ci chiede che
qualunque medico abbia quel minimo di competenza di
medicina del lavoro che gli permetta di fare diagnosi e fare
interventi di prevenzione. Si è considerato TASK
fondamentale;
- Medico del lavoro;
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 97 a
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- Infermiere del lavoro. In gran parte dei paesi del mondo ci sono infermiere specializzate in medicina
del lavoro. Esse hanno delle specificità particolari, devono avere conoscenze di epidemiologia, saper
organizzare report etc;
- Personale tecnico. In Italia c’è un corso di laurea triennale specifico che fanno responsabili della
sicurezza;
- Datore di lavoro;
- Lavoratore.

Criteri prevenzione contro diagnosi. Dobbiamo capire quali sono le differenze. Le diagnosi non si fanno
sul principio della precauzione, la prevenzione però si, spesso chi sovrappone sbaglia.

Le liste

Liste disponibili: lista ILO, lista unione europea, lista in vigore nei
paesi.
Lista ILO. nel 1919 c'era solo una malattia, l'antrace.
Lista UE. L’UE ha fatto una lista divisa in due sottogruppi, lista 1 e
lista 2:
- nella lista 1 troviamo le malattie molto probabilmente
correlate al lavoro;
- la lista 2 è costituita da patologie in cui la correlazione
causale può essere ipotizzata.
Questo sistema funziona tramite approccio tripartito con esperti accademici, esperti
sindacali, ecc.
EU ha prodotto questo testo, in accordo con l'indicazione
legata all'elenco delle malattie professionali europee, in cui si
dice che gli stati membri definiranno, ciascuno per conto
proprio, i criteri per riconoscere ogni malattia professionale.
Testo fatto dopo due anni di lavoro. Il prof pensa che per un
po' di anni non verrà più rinnovato. Si è basato su criteri di
evidenza, reviews degli esperti e consenso tra esperti
supportati dalle loro organizzazioni.

Genesi delle patologie occupazionali


La genesi comincia con l'esposizione alla noxa patogena. Il
periodo di esposizione deve avere una durata minima perché si possa parlare di
malattia professionale. Nell’intervallo tra fine
dell'esposizione ed insorgenza della malattia vi è una
possibilità di avere degli effetti sub-critici (misurabili).
Abbiamo una latenza che è fatta da una latenza
convenzionale, che mascroscopicamente si vede, e una
latenza vera, che non si può misurare, perché l’induzione
ha una tempistica diversa in ogni singolo soggetto.
Noi usiamo la latenza convenzionale come surrogato.
Sono necessarie ulteriori informazioni: se c’è stata
un’intensità sufficiente, se la durata è stata sufficiente, se il
periodo di latenza è compatibile e se il periodo minimo di
induzione è stato rispettato. Sono tutte cose che dobbiamo
considerare quando dobbiamo fare diagnosi di malattia
professionale.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 98 a
142

In merito a quest’ultimo discorso c’è un paper molto interessante, cioè i criteri di Bradford-Hill, che
spiegano quali siano i criteri per stabilire se c’è o meno un’associazione causale.

UE ha concordato che non ci sono copytight per queste liste, l’unica richiesta è quella di citare la fonte
(possono essere fotocopiati). Trovate i criteri per la diagnosi di tutte le malattie che stanno nella lista UE.

Cosa stiamo facendo per L’ILO. Per ogni malattia della lista ILO si stanno preparando delle schede che
comprendono tutte le caratteristiche generali dell’agente causale e i codici ICD delle patologie. In merito agli
agenti causali, ci sono queste international chemical safety cards (su google possono essere trovare, ce ne
sono più di 500). In 10 pagine troviamo tutto quello che ci serve sapere su un dato agente.
Il nostro obiettivo è mettere insieme ILO e OMS per riuscire ad armonizzare.
Per non appesantire la sbobina non riporto tutte le slide sulle differenze delle liste ILO e UE, le trovate su
dropbox.

L’adozione da parte dell’Italia di due liste.


All’esame bisogna sapere quante liste di malattie professionali ci sono in Italia. La risposta deve essere due:
1. Una si chiama Lista delle malattie soggette ad assicurazione obbligatoria. Vuol dire che le malattie
che stanno in questa tabella sono soggette ad assicurazione obbligatoria. Tali malattie sono associate
ad un solo agente causale. Se tu hai questa malattia e se istato esposto all’agente causale, vige una
cosa chiamata presunzione legale di associazione causale. Se c’è la malattia e c’è l’esposizione,
l’ente che si occuperà di questa cosa (INAIL) la indenniza, perché si assume che malattia ed
esposizione siano necessarie e sufficienti per l’indennizzo.
Questa lista va sempre tenuta con noi. Bisogna sapere che c’è un tempo massimo tra fine
dell’esposizione e insorgenza della malattia oltre il quale non puoi più denunciarla. Qui dentro
troverete tutte le patologie di cui abbiamo parlato. C’è una parte per l’agricoltura e una per
l’industria.
Avere la lista aiuta a capire cosa INAL assicura, se assicura è assodato che indennizza.
Se la malattia non è nella lista ma il medico ha la convinzione che si tratti di una patologia da lavoro,
può fare lo stesso la denuncia, ma c’è l’onere della prova, ovvero deve dimostrare che è
occupazionale.

Domanda. Come fa il denunciatore a provare che ci sia il nesso? Si basa tutto sulla cultura medica, deve
venire il sospetto al medico.

2. Questa è la seconda lista, la Lista delle malattie soggette a denuncia obbligatoria, che non ha nulla
a che vedere con l’indennizzo. Si deve fare denuncia all’autorità giudiziarie, perché la malattia
professionale potrebbe essere un reato, perché può essere causata da una terza persona. Se è causata
per imperizia, inosservanza delle norme, negligenza allora è colpa di qualcuno. È un reato colposo di
lesioni gravi, gravissime, colpose o addirittura di omicidio colposo (non volontario). Questa lista è
divisa in tre gruppi:
a. malattie la cui origine occupazione è provabile. Vi aspettereste che le probabili sono
soggette a denuncia obbligatoria, invece no, ci siamo accorti che ci sono delle differenze e le
stiamo organizzano, vanno armonizzate, perché la lista di quelle soggette ad assicurazione
obbligatoria non può essere diversa da quella dove troviamo le probabilmente occupazionali;
b. Il gruppo 2 è costituito da malattie in cui l’origine lavorativa è di limitata probabilità;
c. infine abbiamo la terza sotto-lista in cui la malattia di origina lavorativa è possibile.

Perché io medico devo denunciare una malattia che non è da lavoro ma potrebbe esserlo? Perché
inserendole nella sotto-lista 3, c’è la possibilità che un giorno vengano riconosciute come patologie da lavoro
oppure che vengano definitivamente assodate come non professionali.
Esempio: abbiamo il dubbio dell’auto-immunità causata dalla silice? La mettiamo nella lista e vediamo cosa
succede.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 99 a
142

Tenete conto che quando denunciate contribuite a creare quella base di informazioni che permettono di
modificare le liste.

NDR. Sulla presentazione power-point ci sono diverse slide che il prof. non ha trattato. A lezione ha detto
che per lui non era importante arrivare alla fine della presentazione ma “capire cosa bolle in pentola”.
Medicina del lavoro – 21/05/2018
STRUTTURE E SERVIZI – studia da SLIDES

[Premessa: lezione estremamente discorsiva con divagazioni, consiglio vivamente di guardare le


slides].
Le strutture e i servizi su cui è organizzata la medicina del lavoro nel territorio a livello nazionale e
internazionale. Questo perché non è da confondere la medicina del lavoro con la medicina legale,
che principalmente valuta danni, definisce se c’è un agente causale rispetto a una specifica
patologia, definisce il grado di disabilità ecc.
Chi decide di fare questo percorso, ammesso che riesca a entrare nella scuola di specializzazione,
dovrà affrontare questi 4 anni in un sistema strutturato a livelli:

- Territorio privato
- Territorio aziendale
- Territorio pubblico
- Sovraterritoriale
- Regionale, nazionale, internazionale ecc.

AZIENDE: vi è di solito un servizio chiamato “servizio del medico competente”, ovvero specialista
in medicina del lavoro, o equipollente, poiché data la carenza di medici del lavoro, hanno dato
accesso anche a medici legali che facessero uno specifico master di 9 mesi di medicina del lavoro.
In qualità di medico del lavoro il professore ha sempre considerato errata questa scelta, nonostante
sia stato chiamato a fare il professore in questi corsi, poiché non considera giusto formare per 4 anni
uno specializzando e poi formare in 9 mesi un professionista che gli ruberà il posto poco prima che
l’altro si specializzi. Tra l’altro questa è l’unica specializzazione in cui per fare una visita è
legalmente obbligatorio essere specializzati in medicina del lavoro (es. è legale per un dottore di
base effettuare una visita ginecologica, otorino ecc.). Esiste l’albo nazionale di medici competenti.
Essi vanno nelle aziende in tante diverse modalità:

1) Medico dipendente della grande azienda: si trovano medici del lavoro dipendenti di
multinazionali con migliaia di dipendenti. A esso viene dato il ruolo di responsabile della
medicina del lavoro per un dato gruppo.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 100
a 142

2) Egli a sua volta si può avvalere di personale in rapporto LP (libero professionista), assunti
a ore.
3) Lavorare per conto di una struttura di servizi, es. USL e simili, che hanno un
dipartimento di medicina del lavoro nel quale reclutano, in qualità di LP, giovani medici del
lavoro e li fanno lavorare per conto terzi nelle aziende. [Al prof non piace molto questa terza
opzione perché c’è un’intermediazione, che valuta quanto e come lavori, ed inoltre fai
guadagnare l’intermediario a tue spese.]

Di solito infatti il medico competente opera in assoluta autonomia, da solo, indipendentemente dal
ruolo, e si occupa di varie attività come:

- Visite preventive pre-assunzione ai lavoratori


- Visite periodiche per accertare lo stato di salute
- Attività di prevenzione come sopralluogo ambiente di lavoro, formazione dipendenti ecc.
(es. corso rischio biologico al San Paolo per operatori sanitari, radioprotezione ecc.)

Esso collabora con un utente, di solito il responsabile, del Servizio di Prevenzione e Protezione
(SPP); egli analizza la valutazione del rischio fatta dal RSPP e fornisce un programma per la
sorveglianza sanitaria dei lavoratori. In generale si lavora nel privato. Ciò permette di essere
maggiormente flessibili con gli orari.
Patronati: anche essi hanno dei medici. Il patronato è una prolunga del sindacato che si occupa
espressamente di tutelare i diritti del lavoratore per salvaguardia della salute e indennizzo dei danni
da lavoro; se un giorno ci capitasse di fare una segnalazione di malattia da lavoro, magari una
malattia non tabellata, ovvero malattia per cui il lavoratore ha l’onere della prova, e questo vi
chiedesse aiuto per imbastire la causa, si crea una situazione non semplice, poiché ci possono essere
in ballo grosse cifre per il lavoratore e perché porta via molto tempo, per cui voi dovete essere
retribuiti. In questi casi si può indirizzare il lavoratore al patronato gratuitamente; il lavoratore deve
essere solo iscritto al sindacato a cui va a chiedere il patrocinio. Anche i sindacati hanno medici che
si occupano di lavorare in ambito di patrocini dei lavoratori. Raramente il patronato assume un
dipendente fisso, più spesso si avvale di liberi professionisti.

SISTEMA PUBBLICO: nelle ATS c’è un’unità operativa detta SPreSAL (Servizio Prevenzione e
Sicurezza Ambiente di Lavoro) che si occupa della tutela della salute; qui il medico non fa attività
clinica, ma si occupa di attività di prevenzione territoriale:

- Individuazione e prevenzione dei rischi nel territorio, es: mappe di rischio per la salute
territoriale; i GIST geo-referenziano su mappa dei dati sanitari o di altro tipo (distribuzione
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 101
a 142

di pozzi, allevamenti, industrie ad alto rischio, es. individuare aumento di incidenza di


mesotelioma nelle zone di cantieri navali oppure zona petrolchimica nel mantovano con
maggiore Incidenza di leucemia); Spesso aiutati da tecnici.

Chi fa la triennale “tecniche di prevenzione nei luoghi di lavoro”, poi può fare una
magistrale “scienze della prevenzione sanitaria e della prevenzione”, guadagnando di
expertise.

- Comunica i dati e li diffonde;


- Profilassi degli eventi infettivi in ambito occupazionale: nei casi di morbillo nel personale di
un’azienda ospedaliera, si occupa di analizzare con chi può essere avvenuto il contatto e
muoversi di conseguenza. Es. infezione da coxiella in Olanda con 10 morti e 600
ospedalizzati.

Il medico della SPreSAL viene insignito del ruolo di ufficiale di polizia giudiziaria, anche quando
non sta svolgendo l’attività propria del medico di lavoro; egli può andare a suonare il campanello di
un’azienda e chiedere di ispezionare il sistema di captazione delle polveri; l’azienda non può
negargli di fare quest’ispezione; può sanzionare, sequestrare, stabilire la chiusura cautelare di un
reparto/attività. In generale il medico è un pubblico ufficiale (obbligo di refertare, segnalare reati,
omissione atto di ufficio ecc.);

UNIVERSITA’: Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOML), un’unità di


secondo livello che si occupa di bacini di utenza; es. quella del San Paolo riceve le richieste di
approfondimento/chiarimento/diagnosi da tutti i medici del nostro bacino di utenza che è Milano
Sud, gestiamo 4500 persone; Sacco copre Milano nord, policlinico Milano centro ecc. Sono unità di
una consistenza numerica in termini di personale molto inferiore a una AST, al San Paolo-Carlo è
composta da 15-20 persone.
Una UOML inoltre deve fare fronte alle necessità di alta consulenza di un bacino di utenza.
Immaginate che un MMG sospetti che un pz abbia la Guillain-Barrè, si avvale del neurologo, non fa
tutto da solo; allo stesso modo un medico competente si avvale di una UOML che fa accertamenti
su un suo pz.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 102
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Ogni UOML deve avere una sua specializzazione, una sua eccellenza, e che agisca come
riferimento per tutta la regione la Lombardia in quella cosa; es. Desio  allergologia; Lecco 
broncopatia; Bergamo  edilizia; Noi  agricoltura, compresa la produzione di cibi, OGM (es.
scandalo glifosati), xilella in Puglia, apertura/chiusura pozzi contaminati; c’è un programma
dell’OMS che riguarda garantire l’accesso alla sorveglianza sanitaria a tutti i lavoratori per il terzo
millennio, che si occupa di trovare strutture adeguate; sorveglianza sanitaria per i lavoratori
stagionali.

I PMIP, Presidi Multizonali di Igiene e Prevenzione, sono stati sostituiti da ARPA, c’è stata una
separazione tra ambiente e sanità. L’ARPA, Agenzia Regionale Protezione Ambientale, ha una
dimensione regionale e nazionale; si occupa di polveri sottili, Ilva di Taranto ecc.

Le strutture universitarie di medicina del lavoro svolgono attività didattica. Un medico universitario
non può fare solo ricerca, ma deve svolgere attività di assistenza; l’ospedale paga una quota di
salario all’università che la unisce alla busta paga del medico, che deve dedicare una parte del suo
tempo alla ricerca/didattica. In Lombardia la struttura sanitaria è regionale, l’Università è “ospite”,
“paga l’affitto”; es. a Roma l’Università possiede l’ospedale.

Il professore di medicina del lavoro, poche figure in Lombardia e in Italia, si occupa anche di
ricerca, scuola di specializzazione, corsi di aggiornamento; in questo terzo livello sta la differenza
tra prof di università e liceo.

ISPETTORATO DEL LAVORO: è ciò che segue lavoratrici in gravidanza, si occupa


dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti, ecc. Gli ispettori del lavoro sono ufficiali di polizia
giudiziaria; hanno funzioni di vigilanza; se una ragazza pensasse che non sono rispettate le sue
richieste di fare o non fare certe attività in gravidanza può riportare il tutto all’ispettorato.

INAIL: Istituto nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro; è una struttura
enorme, con più sedi regionali, capillarità ultra-provinciale. Ha due grandi branche:

1) Ricerca, che ha accorpato l’ISPEL (Istituto Superiore Prevenzione sicurezza Enti di Lavoro)
dopo la spending review. Questa divisione ricerca e sviluppo es. protesi di mano uscita
recentemente sui giornali.

Omologazione: se noi consigliamo al pz esposto a forti rumori di usare tappi auricolari, chi
garantisce che questi funzionano? Oppure guanti anti infortunistici cinesi che fanno venire
l’orticaria. Questa divisione omologa questi strumenti. I fondi per questa divisione arrivano
da una quota che i datori di lavoro versano annualmente assicurazione all’INAIL.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 103
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2) Medicina del lavoro; organo che valuta e analizza le denunce di malattia professionale,
decide se rispettano certi criteri, e decide il livello di danno e di indennizzo. Il lavoratore che
chiede il grado di invalidità: si trovano facilmente tabelle su google (es. perdita dito mignolo
mano dominante); è un’eventualità molto frequente.

Medico (credo MMG) che visita contadino infortunato: ha una serie di opzioni di scelta:
- se si ha la certezza matematica che es. il pz ha ipoacusia da lavoro di grado III della Merluzzi, si
ha il diritto di fare la denuncia; si scarica il modulo INAIL di denuncia di malattia professionale e lo
si compila.
- se si ha il dubbio (es. questa ipoacusia è da rumore o da streptomicina?) In questo caso si manda il
pz a effettuare una diagnostica differenziale dal medico del lavoro, che se scopre che si tratta di
patologia professionale effettua la denuncia.
L’INAIL ha ambulatori non per la consulenza ma per accertare origine e entità del danno.
Quindi in un caso è consulenziale (approfondimento di incertezze), in un altro caso lo mando
all’INAIL.
Se si tratta un caso molto complesso si manda il pz alla UOML con quella specifica eccellenza.

Dopodiché l’INAIL si comporta come tutte le assicurazioni: se non c’è una forte evidenza respinge
il pz. A quel punto il pz torna da voi: se siete fortemente convinti che si tratti di patologia da lavoro,
lo rimandate al patronato sindacale, che a sua volta gestirà il ricorso contro il Resistente (chi non
vuole pagare).
Con l’INAIL si interfaccia qualunque medico che abbia fatto il primo certificato: l’INAIL inizia a
valutare il caso, dopodiché, se accetta la patologia, da un indennizzo e la questione finisce. Se
invece non soddisfa la richiesta, e il pz fa ricorso, il medico del patronato apre la pratica di ricorso e
tratterà con l’INAIL.

Medico dell’ARPA: MMG gli inoltra un pz che lamenta: es. tosse dopo uso di antiparassitario in
giardino. ARPA è anche l’ente che decide come e quando sospendere la circolazione in automobile.
Domanda: casalinga si può rivolgere al medico del lavoro?
Risposta: come lavoratrice no (es. eczema da detersivi); lo spirito della (legge) 8108 è che è da
considerarsi come dipendente chiunque lavori in modo coordinato da terzi, indipendentemente se
pagato o meno. In realtà ha tutto il diritto di essere indirizzata alla UOML, ma non ha diritto a
referto e indennizzo.
In generale è sempre consigliabile avere un’assicurazione volontaria infortuni e malattia;
tecnicamente il medico del lavoro è comunque la figura più indicata per distinguere un’origine
esogena di una manifestazione, es. eczema da guanti.
Un pz che ha abitato vicino alla fabbrica di Eternit di Casale Monferrato, una donna che ha lavato
per 30 anni le divise del marito che lavorava alla fabbrica, quindi che hanno subito un’esposizione
ambientale, non vengono spesso risarcite, poiché è molto difficile dimostrare il nesso causale
secondo i criteri di Helsinky (es. n di fibre, corpuscoli di amianto ecc.). In questo modo la parte
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Resistente dice che non c’è esposizione e che non c’è nessun modo per distinguere questa npl da
quella senza eziopatogenesi identificabile.

D: c’è un conflitto di interessi per un medico d’azienda, che è stipendiato da un datore di lavoro per
cui le sue diagnosi rappresentano un dispendio economico?
R: il medico competente per avere autorevolezza deve essere super partes, bisogna stare dalla parte
dell’evidenza scientifica; il problema è che ci si può permettere di comportarsi così se si è un
professionista autorevole (come il prof) perché non c’è il rischio di venire licenziati; altrimenti c’è il
rischio di licenziamento. La soluzione è proporre un modello alla francese in cui l’ente pubblico
nomina il medico competente, e solo esso lo può licenziare, mentre il datore di lavoro lo stipendia.
Studiando i dati italiani si nota la scarsità di denunce da parte dei medici aziendali, a parte qualche
patologia minore, mentre le denunce più importanti arrivano tutte dal territorio.
Se non si denuncia un fondato sospetto si è perseguibili penalmente. La base del fondato sospetto è
la presunzione di associazione causale, che emerge dal fatto che c’è una tabella: es. tabella dice che
la tendinopatia della cuffia dei rotatori è correlata ad una certa attività lavorativa; quindi ho un pz
con quella patologia che svolge esattamente quell’attività, non c’è modo che io non faccia la
denuncia, anche se sono retribuito dal datore di lavoro.

Grandi associazioni governative come l’OMS e l’Ufficio Internazionale del Lavoro;


Non-governative come l’International Commission on Occupational Health (ICOH).
Medicina del lavoro – 28/05/2018

Fattori di rischio nelle strutture sanitarie


Il rischio chimico: Gas anestetici e farmaci antiblastici
Prof. Colosio– 28/05/2018 – Autore: Ottavia Dolmetta – Revisore: Giusy Ceparano

I fattori di rischio nelle strutture sanitarie si distinguono in vari gruppi:

-Primo gruppo: fattori legati all’ambiente.


Sono legati alle caratteristiche dell’ambiente indipendentemente dall’attività. Comprendono temperatura,
umidità, aereoilluminazione.

- Secondo gruppo: agenti derivati dall’attività svolta.

• Agenti chimici: gas anestetici, farmaci, antiblastici, lattice, disinfettanti, sterilizzanti


• Agenti biologici: batteri, virus, funghi, allergeni.
• Agenti fisici: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.
• Movimentazione materiali di carichi
• Agenti infortunistici: carenze di ambienti di lavoro, macchine, attrezzature, dispositivi di protezione
individuali, organizzazione del lavoro.

- Terzo gruppo: definito “altro”. Comprendono i fattori psicologici, l’organizzazione del lavoro.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 105
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AGENTI CHIMICI

1-GAS ANESTETICI

Un tempo il più usato era il protossido d’azoto, ora sono più usati alotano, isofuorano, enfluorano.
Il protossido d’azoto si usa ancora oggi per la sedazione cosciente: fa rilassare senza indurre perdita di
coscienza. Vengono vendute bombole da 10 kg di protossido di azoto con un dispenser gestibile dal pz, il gas
viene erogato appoggiando la mascherina al volto.

È usato in odontostomatologia, in ortopedia per lussazione di spalla, in ostetricia per travaglio del parto; in
questo ultimo caso alla donna viene data proprio la bomboletta con la maschera in mano, con indicazione di
utilizzarlo al bisogno.
In anestesia non è quindi tanto usato, ma vanno ricordati questi altri ambiti di utilizzo.

Il sistema di anestesia

a. Componenti degli impianti di anestesia:

- presa per la distribuzione dell’ossigeno e del


protossido d’azoto dall’impianto centralizzato

- apparecchio di anestesia

- tubi e raccordi del circuito paziente

- sistema di evacuazione all’esterno dei gas

- impianto di ventilazione e climatizzazione

b. Organizzazione generale del sistema di


anestesia:

Il gas anestetico dall’esterno raggiunge


la sala operatoria attraverso un raccordo,
che porta ad un erogatore. Il gas viene
portato al volto del paziente attraverso
una maschera che eroga l’anestetico; è
poi recuperato e inviato all’esterno
attraverso il sistema di pompe a vuoto.

Quindi è facile immaginare che,


lavorando in sala operatoria, un pochino
di anestetico venga inalato. E’quindi
necessaria una valutazione del rischio.
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 106
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Quanto ne può essere inalato senza problemi? Ragioniamo quindi sul dove e sul come possa essere disperso
il gas in questo sistema e sui criteri per valutare il rischio in modo grossolano.

c. Punti di dispersione del gas:

- Il gas può scappare da tutti i punti in cui ci sono dei raccordi.


I raccordi possono essere incastrati male perché si possono creare delle screpolature, anche nei tubi; va
controllata la data di scadenza dei tubi, che è scritta sul tubo stesso (oltre un certo limite, perdono, perché
tendono ad invecchiare e sgretolarsi).

- il gas può essere disperso dal pallone ambu, se questo non funziona bene.

- ci può essere dispersione di gas nell’interfaccia volto del paziente - maschera per diversi motivi:
anestesista frettoloso, posizione sbagliata della maschera, misura sbagliata per il paziente, maschera
deteriorata sui bordi, pz non perfettamente intubato. In questi due ultimi casi si parla di mala pratica.

d. Effetto diretto del farmaco:

 Prima che voi nasceste si usava il cloroformio.


Il cloroformio è uno dei più potenti farmaci epatotossici, induttore degli enzimi epatici microsomiali
(tipico di tutti gli idrocarburi alogenati sia aromatici che non aromatici). Ovviamente, nel periodo in
cui si usava questo prodotto, i problemi epatici erano sicuramente importanti.
La maggior parte degli studi ha dimostrato l’esistenza, da parte degli anestetici, di alcuni effetti sul
fegato, in particolare sull’attività degli enzimi microsomiali del fegato.
 Modeste e transitorie riduzioni dell’efficienza psicomotoria.
Questo è del tutto evidente, se viene dato affinché i pz siano sedati o addirittura portati in coma
farmacologico, è chiaro che sono
farmaci fortemente psicoattivi;
tuttavia, prima di poterne inalare una
dose talmente elevata da soffrire di
problematiche di questo tipo, sarebbe
necessario passare davvero molto
tempo in sala operatoria in condizioni
pessime.
 Studi degli anni ottanta mostravano
un’alterazione della funzione
riproduttiva, ma nessuno degli studi
recenti ha confermato questa cosa. Può
essere che negli anni ottanta si
usassero prodotti che potevano causare
questo effetto, mentre quelli di oggi
non danno più questa problematica.

Quindi la conclusione è: in buone pratiche di lavoro è improbabile che si possa manifestare una
patologia importante a causa dell’esposizione a gas anestetici.

e. MISURE DI PREVENZIONE per tenere sotto controllo il problema:


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• Idoneità delle sale operatorie. I livelli di esposizione sono inversamente proporzionali alla
modernità della sala operatoria e dell’ospedale.
In sale moderne non ci si aspetta di poter essere esposto.
• Verifica dei vari sistemi di aerazione, impianto di anestesiologia.
• Monitoraggio dell’esposizione, che può essere:

o AMBIENTALE: è l’approccio più semplice. Sono state stabilite delle massime


concentrazioni consigliate dei diversi gas anestetici nell’ambiente di lavoro; devono essere
misurate e tenute sotto stretto controllo nelle sale operatorie degli ospedali.
o BIOLOGICO: raccogliere, ad esempio, urine del personale della sala operatoria e misurare le
concentrazioni di specifici metaboliti dei gas anestetici.
Di solito si fa un confronto tra inizio e fine di un turno di lavoro, questo perché non esistono
valori limite e i valori di riferimento non ci dicono quasi niente. Per valore di riferimento si
intende la concentrazione dell’indicatore nella popolazione generale non esposta. Perché i
valori di riferimento non sono utili? Che valori di metaboliti di anestetici pensate di trovare
nella popolazione generale che non va in sala operatoria? Nella popolazione sono inferiori ai
limiti di rilevabilità della metodica (un dato di laboratorio non si dice mai essere zero).
Ovviamente nel personale della sala operatoria non sarà mai a livello di rilevabilità.

• Sorveglianza sanitaria
• Informazione e formazione del personale. Se il personale sa come si deve lavorare, lavora meglio.
Non dare per scontato che il personale presti un’adeguata attenzione a queste problematiche, chi fa
da anni lo stesso lavoro può prestare meno attenzione e questo aumenta il rischio di infortunio.
Quindi chi da anni fa lo stesso lavoro, merita di essere rinfrescato su quale sia il modo migliore di
lavorare.

Il messaggio è: non c’è un rischio evidenziabile, esiste un rischio teorico non di poco conto perché alcune
sostanze sono decisamente tossiche ed esistono gruppi vulnerabili che vanno protetti.

f. Gruppi a rischio

A chi si vieta di entrare in sala operatoria?

Alla donna gravida: l’anestetico si usa durante il parto, ma è potenzialmente pericoloso durante la
gravidanza.
L’organogenesi precoce avviene tra la nona e la decima settimana. Per proteggere la donna dal rischio di
eventuali malformazioni fetali, va protetta all’inizio della gravidanza, che è il momento di maggiore
vulnerabilità. Lo stesso vale per le radiazioni ionizzanti; si usa dire che dopo la decima settimana il rischio è
tutto o niente. Si può avere o non avere un aborto, ma non associato alla problematica delle radiazioni.
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Quindi non è verificato che ci sia un danno, ma semplicemente non sapendo se ci può essere un danno, evito
l’esposizione. Questo si chiama “Principio della precauzione”. Se eccedo in precauzione sicuramente non
sbaglio.

Una delle attività che è vietata per legge alla donna gravida è il mantenere la postura eretta per più della metà
del tempo di lavoro. Questo perché è connesso a un tasso di abortività più elevato, soprattutto nell’ambito
dell’agricoltura. Quindi temporaneamente le donne gravide (soprattutto se fanno lavori in cui è necessario
stare in piedi come le ferriste di sala) vengono dichiarate non idonee a fare una certa attività; si ha una
allocazione temporanea in un altro reparto, nel caso della ferrista.

La legge dice che la donna gravida, appena viene a conoscenza della sua condizione, deve informare il datore
di lavoro.

La donna gravida in allattamento può entrare in radiologia? Si, ma non in medicina nucleare, perché poi sei
radioattivo e puoi contaminare gli altri.

Può entrare in sala operatoria? I gas anestetici sono psicotropi, quindi sono liposolubili, passano la placenta e
si accumulano nel sistema nervoso centrale del feto. Essendo gli anestetici liposolubili, il loro metabolita si
accumula nel latte. Meglio evitare, dunque, l’esposizione a prodotti chimici che potrebbero entrare in circolo
e essere ridistribuiti anche nel latte.

La donna è consapevole di essere gravida dalla 5/6 settimana di gravidanza, quindi con grave ritardo.

È importante la formazione perché i grossi rischi per l’embrione avvengono quando la donna non è
consapevole di essere gravida. La prima parte della gravidanza è un momento critico.

Quindi è importante sapere se una donna è nella fase della vita in cui può avere una gravidanza per prestare
attenzione a tutte queste problematiche (fumo, alcool, prodotti chimici, radiazioni ionizzanti, postura eretta
prolungata).

2-FARMACI ANTIBLASTICI

a. Effetti collaterali sulla salute:

• Effetti precoci: leucopenia, trombocitopenia,


alopecia
• Effetti ritardati: fibrosi epatica e polmonare, anemia
• Effetti neoplastici: leucemia acuta non linfocitica,
linfomi.
Il tumore nel pz trattato con polichemioterapia va
ricordato nella valutazione costi/benefici: ti tratto
adesso altrimenti muori nel giro di poco, trattandoti, però, esiste un rischio di insorgenza di un
nuovo tumore nell’arco di 30 anni. Vanno valutati i rischi e i benefici.
• Effetti sul sistema riproduttivo: amenorrea, aborto spontaneo, oligozoospermia. E’il problema tipico
dei pz trattati. Va quindi sempre consigliato il congelamento di spermatozooi o ovuli prima di
cominciare una chemio.
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Raccomandazione: quando si manipola una sostanza antiblastica, bisogna pensare che si tratta di sostanze
molto probabilmente cancerogene, tanto quanto lo sono cloroformio, benzene, amianto. Vanno considerate
come potenzialmente cancerogene le attività di preparazione, impiego e smaltimento di farmaci antiblastici
ai fini di trattamento terapeutico.

[Quali sono le tre attività che l’OMS considera come settori a alto rischio nel mondo? (domanda in
preparazione dell’esame) Edilizia, agricoltura, sanità.]

Alcuni antiblastici sono cancerogeni certi, altri probabili, altri possibili. Da notare il cisplatino! Farmaco
ampiamente usato.

I nuovi farmaci monocolonali, invece, non hanno queste problematiche, perché sono personalizzati per
veicolare e ottenere uno specifico effetto su uno specifico recettore. La terapia è assolutamente
personalizzata sui recettori di quello specifico tumore per quel pz. I risultati di queste nuove terapie sono
davvero sorprendenti.

b. Effetti sugli operatori esposti:

• Effetti acuti: azione irritante e vescicante, azione allergizzante.


Non sottovalutate questa problematica, un fuori vena con questi farmaci può essere davvero
problematico per voi e per il pz.
• Effetti sul sistema riproduttivo: sono solo sospettati ma non certi a causa della bassa potenza
statistica dei dati (numero di casi limitato); l’esposizione è infatti qualitativamente e
quantitativamente inadeguata e per di più la persona esposta, di solito, è esposta anche a tante altre
sostanze.
• Effetti cancerogeni: anche in questo caso solo sospettati a causa del basso numero di tumori
evidenziati. È molto difficile, a fronte della grande quantità di sostanze utilizzate, associare quel
singolo tumore a quella singola esposizione; è inoltre impossibile definire l’esposizione a un solo
composto.

c. Modalità di esposizione e situazioni a rischio:

• Immagazzinamento
• Allestimento: apertura delle fiale, estrazione degli aghi dai flaconi, espulsione di aria dalla siringa
• Somministrazione: perdita di farmaco dai punti di raccordo dei dispositivi (sono possibili perdite di
farmaco dai deflussori, dai flaconi, dagli aghi)
• Smaltimento
• Manutenzione delle cappe aspiranti
• Operazione di pulizia

Tanto più un ciclo produttivo è pericoloso, tanto più si pone attenzione alla procedura e quindi si riduce il
rischio che ci sia esposizione.
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Si pone molta attenzione alla fase di preparazione. Questa


fase avviene, per le sostanze a rischio, sotto una cappa,
dove possono lavorare solo persone altamente specializzate.

Nelle fasi successive di somministrazione del farmaco,


invece, c’è un importante calo di attenzione. Si sono trovate
importanti tracce di farmaco sui braccioli delle sedie dove i
pz assumono la terapia, sul pavimento dove i pz assumono
la terapia, sui pomelli della porta del bagno, sull’asse del
water.

La gente perde di vista il problema quando ci si allontana


dal momento critico, e in questo modo i momenti critici diventano altri.

Dimettendo il pz che sta facendo la chemio, gli viene detto che esiste la possibilità che lui inquini l’ambiente
domestico con il suo sudore, con le tracce di urina sull’asse del water? No!

Ma questo inquinamento è rilevante? Eticamente noi medici non possiamo rischiare di esporre persone a
rischio indebito, persone che non c’entrano. Per esempio: faccio entrare in sala una persona che non
dovrebbe essere lì, questo comporta che la persona respiri dell’anestetico, allo stesso modo il nipotino del
nonno che fa chemio.

Non sappiamo se quelle tracce di chemioterapico siano un problema o meno, ma non possiamo rischiare, non
è etico accettare l’esposizione.

È sufficiente avvertire il pz: pulire i sanitari accuratamente, attenzione a toccare i familiari.

È importante dare delle istruzioni precise al pz.

In ogni caso, però, è la dose che determina il rischio. Non facciamo che diventi un’ossessione, ma teniamo
in considerazione la problematica dando piccole istruzioni sul come gestire nell’ambiente domestico la
terapia chemioterapica.

d. Regolamentazione

Il 7 ottobre 1999 è stato pubblicato il documento di linee guida


per la prevenzione dei rischi lavorativi derivanti dall’uso di
chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario. Esso
comprende:

• Valutazione dell’esposizione.
Il metodo più grossolano è una tecnica molto semplice
detta di wiping, spazzolamento.
Si basa sull’utilizzo di pezzettini di carta di una
dimensione nota (10 cm quadrati) che vengono passati su
una superficie nota (1 metro quadrato). Vengono messi in un contenitore chiuso ermeticamente e
successivamente si valuta la quantità di farmaco presente. Si valuta la contaminazione in unità di
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peso per unità di superficie. Non si hanno degli standard, la valutazione del rischio che si fa è quindi
grossolana.
• Sorveglianza dell’esposizione
• Misure di prevenzione.
Esistono molti nuovi sistemi che dovrebbero ridurre
al minimo il rischio di contaminazione. Per esempio
i guanti devono rispondere a certe caratteristiche:
essere marcati CE, marcati con un certo codice,
deve essere evidenziata la protezione ad almeno 4/5
sostanze come metotrexate,
ciclofosfamide,vincristina, devono avere una
lunghezza minima di 27 cm. Devono avere delle
caratteristiche a norma.
• Modalità operative
• Informazione e formazione
• Centralizzazione delle strutture e delle attività

3-ALTRE SOSTANZE POTENZIALMENTE A RISCHIO IN OSPEDALE

FORMALDEIDE: è un gas, invece la formalina è una soluzione acquosa.

Il Formitrol era invece una sostanza usata in passato, costituita da formaldeide più qualche aromatizzante. Si
chiamava Lisoform.
È sempre stata usata per anni, ma studi epidemiologici hanno evidenziato lo sviluppo di tumori paranasali in
soggetti esposti. Le persone esposte erano quelle a contatto con grandi quantità di sostanza, come nei casi
degli addetti all’imbalsamazione di animali o funeraria. In letteratura sono riportati circa una quindicina di
casi di questo tipo di tumore.

Dai dati disponibili emerge con evidenza che è possibile avere un tumore delle fosse nasali solo se si è
esposti a una dose capace di dare irritazione cronica. Se non c’è irritazione cronica non c’è il tumore da
formaldeide. Uno dei meccanismi più importanti nella carcinogenesi è la flogosi cronica. Soggetti sottoposti
a basse dosi non evidenziano questo rischio.

Da questo ne deriva (secondo il prof) che la formaldeide è un cancerogeno con soglia, dal momento che i
pochi casi osservati sono stati sottoposti a dosi elevate.
Vanno quindi valutate le modalità di impiego: a basse dosi la formaldeide può essere usata senza rischi per la
salute.

Dove possibile la formaldeide è stata sostituita; per esempio in endoscopia, per la sterilizzazione degli
strumenti, è stata sostituita dalla gluteraldeide, che non è cancerogena.

Registro nominativo degli esposti ai cancerogeni.

La legge 81-08 impone che per gli esposti ad agenti cancerogeni venga redatta, sotto la responsabilità del
datore di lavoro, una lista che si chiama “elenco nominativo degli esposti”. La lista deve indicare il momento
in cui è iniziata l’esposizione, i livelli di esposizione e il momento in cui l’esposizione è terminata. Queste
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liste dovrebbero essere utili per raccogliere dati epidemiologici necessari a stabilire l’effettivo rischio che è
stato evidenziato nell’uso di queste sostanze.

Medicina del Lavoro


Dermatiti in ambiente sanitario

Prof. Colosio – 30/05/2018 – Autore: Beatrice Colombo – Revisore: Alessandra Ricciuti

Le dermatiti in ambiente sanitario sono soprattutto da lattice, quindi da guanti.

Parleremo dei tipi di guanti e delle loro caratteristiche principali, del lattice e della prevenzione delle patologie
correlate.

In sanità vengono utilizzate varie categorie di guanti:

1) CHIRURGICI

Sterili (protezione sia del paziente sia dell’operatore)  per eccellenza i guanti in lattice. Questo materiale dà un’ottima
sensibilità all’operatore in generale, poi può assumere diverse forme nelle varie specialità chirurgiche: in particolare i
guanti ortopedici sono più spessi e resistenti. I guanti per la ginecologia sono più lunghi sull’avambraccio; quelli per la
chirurgia della mano hanno una superficie molto più ridotta a livello delle dita per garantire la massima percezione
tattile ed aderenza.

Esistono casi in cui, per patologie del paziente o dell’operatore, non è possibile utilizzare il lattice: in questi casi si
ricorre a materiali diversi:

- Neoprene, Stirene, Butadiene  costo elevato e minore resistenza, elasticità e manualità. C’è un minore rischio
allergologico, ma esiste comunque la possibilità di ipersensibilità, poiché contengono sostanze additive della gomma.

I guanti in lattice possono essere lubrificati (“polverati”) con amido di mais: questo favorisce l’irritazione cutanea, per
cui oggigiorno i guanti polverati non sono più comuni. Alternativa sono i lubrificanti sintetici a zero rischio
allergologico.
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2) STERILI NON CHIRURGICI

Minore importanza della manualità, si preferisce quindi il vinile o il polietilene: questi guanti sono completamente
anallergici, ma hanno meno resistenza e elasticità, per cui sono utilizzati per manovre meno specifiche e meno lunghe
(tipicamente esplorazioni).

Il vinile-PVC e il nitrile sono i materiali sintetici più resistenti (sopratutto si parla di resistenza meccanica e ad agenti
chimici).

Perché sono aumentate le reazioni a materiali utilizzati in ambiente sanitario?

• Incremento dell’uso di guanti sanitari → prevenzione contagio malattie infettive (HIV, virus epatite)

• Incremento dell’uso di manufatti contenenti lattice

• Numerosi componenti addizionati presenti nei guanti sanitari, che ne migliorano l’efficacia

• Incremento della produzione di guanti sanitari e di manufatti in gomma in paesi asiatici (scarsa qualità?)

• Amido di mais ha sostituito il talco (che poteva causare patologie tipo-granulomatose): l’amido però potenzia la
comparsa di sensibilizzazione al lattice, ne concentra le fibre.

• Aumento inquinamento ambientale e lattice aerodisperso (pneumatici)

• Incremento atopia e patologie allergiche nelle popolazioni in generale.

LATTICE

E’ una sostanza di origine vegetale derivante dall’albero della gomma (Hevea brasiliensis) utilizzata già dal 1600 a.c.

Con esso vengono prodotti una serie di manufatti utilizzati in ambito sanitario e non.

Al momento della raccolta il lattice è un liquido


lattescente composto da
gomma, acqua e proteine.
Le proteine sono circa il 10-
15% sul totale, ma è la
porzione allergizzante: la
maggior parte di
quest’ultime viene eliminata
nella processazione
(l’obiettivo adesso è ridurre
la porzione proteica al 0,8%)
mentre c’è una piccola parte
residua.

Vantaggi dei guanti in


lattice:
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-Sensibilità
-Elasticità
-Vestibilità
-Resistenza meccanica
-Ottima protezione da rischio biologico

Quindi il lattice è un materiale che si ritrova davvero nella vita quotidiana di tutti.

Gli allergeni Hev B1 e B3 sono tipicamente riscontrati in reazioni allergiche dei bambini con la spina bifida, o con
malformazioni importanti: questi pazienti sono a contatto con device sanitari fin dalla nascita, e sottoposti a ripetute
operazioni chirurgiche, e questo li sensibilizza verso il lattice. Hev 6.01,02,03 sono responsabili delle allergie nel
personale sanitario. Profillina e chitinasi sono responsabili di reazioni crociate con frutta e verdura, e ne parleremo
dopo.

Parlavamo prima del fatto che nei guanti polverati sono più concentrate le proteine del lattice.

L’amido di mais è una polvere lubrificante che viene utilizzata per lubrificare sia la superficie interna che quella esterna
del guanto, per facilitare la calzata e per evitare che i guanti si appiccichino. Può danneggiare la cute per effetto
meccanico (dermatite irritativa da contatto: DIC) e favorire la penetrazione di allergeni e la comparsa di dermatite
allergica da contatto (DAC).

Epidemiologia: patologie correlate al lattice

INCIDENZA

- Costituiscono il 3-5% delle forme patologiche in utilizzatori di guanti.


- Il 3-15% del personale sanitario presenta sensibilizzazione al lattice.
- Il 0,1-6,4% della popolazione generale presenta sensibilizzazione al lattice → anche i pazienti possono essere
sensibilizzati.

TIPO DI PATOLOGIA

- Sensibilizzazione di tipo immediato (I tipo) IgE mediata a proteine del lattice (rubber elongation factor – REF;
HEV b)
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FATTORI DI RISCHIO

- bambini affetti da spina bifida o da malformazioni urogenitali congenite che hanno subito numerosi interventi
chirurgici
- atopici
- allergia alimentare (arachidi, ananas, avocado, banana, castagna, kiwi, noccioline, pesche, pomodori), a ficus
benjamina  epitopi comuni al lattice
- Lavoratori sanità

Manifestazioni cliniche

1. Manifestazioni cutanee in sede di contatto = 5-60 min dopo il contatto sintomi cutanei, comparsa di eritema,
prurito, edema, pomfi (migranti, che si possono estendere: “marcia allergica evolutiva” dalla sede di contatto).
2. Manifestazioni cutanee generalizzate = pochi minuti dopo il contatto o l’esposizione per via inalatoria,
comparsa di orticaria generalizzata, edema angioneurotico al volto, edema della glottide. Sintomi premonitori:
prurito in bocca e/o gola, gonfiore alla lingua, disfonia, difficoltà respiratoria.
3. Manifestazioni oculo-respiratorie = pochi minuti dopo il contatto cutaneo o l’esposizione per via inalatoria,
comparsa di quadri di: congiuntivite; rinite; crisi asmatica.
4. Manifestazioni sistemiche cardiovascolari = dopo una esposizione per via parenterale (intervento chirurgico:
contatto sangue-guanto), comparsa di tachicardia; collasso; shock anafilattico.

Come si fa diagnosi?
Medicina del lavoro#9 – Professor Colosio – occupational diseases Pag. 116
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• Anamnesi allergologica e professionale:


- Familiarità per atopia
- Storia allergologica
- Anamnesi occupazionale
- Reazioni in caso di anestesia o con alimenti
- Numero e tipo di interventi chirurgici
- Reazioni pregresse con manufatti in lattice
- Storia di dermatiti dopo contatto con lattice

Successivamente si passa ai Test ematochimici.

I primi sono gli ematochimici perchè sono poco invasivi e non hanno rischio di reazioni importanti (NB fare sempre
tutto ciò in ambiente sanitario, protetto). Le IgE totali ci danno un’indicazione grossolana sul fatto che il soggetto è
tipicamente atopico.

- SPT: esistono tre estratti in commercio  si associano due controlli, uno positivo (con istamina, per validare la
corretta reattività del soggetto, che potrebbe essere anergico, immunodepresso o in terapia antistaminica/cortisonica) e
uno negativo.

- Si indaga se il soggetto ha una Sindrome Orale Allergica (data da frutta tipica, kiwi, ananas, noci, pesca), che appunto
indica una cross-reaction in soggetti atopici e allergici al lattice.
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- Il test d’uso può scatenare reazioni più importanti: si taglia un dito del guanto e lo si fa calzare al paziente (inumidito
per aumentare il contatto). Si fa il controllo con un guanto di vinile. Se il finger test è negativo lo si può ripetere con
l’intero test.  per pazienti con anamnesi negativa e primi test positivi: per qualche motivo avete riscontrato una
sensibilizzazione nei test senza sintomatologia precedente anamnestica

- Rinometria: equivalente della spirometria ma con cannuline nel naso.

Ora, abbiamo visto la pericolosità del lattice, come possiamo agire?

Importante è selezionare le categorie e le situazioni in cui è davvero necessario utilizzare il lattice, ed evitare dermatiti
di tipo irritativo (che di per sé sono patologie rilevanti, e possono peggiorare le situazioni di atopia), utilizzando
detergenti poco aggressivi, con una buona idratazione.
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Il medico competente può re-inserire il lavoratore con prescrizione: ovvero, specificando che non deve utilizzare
materiale al lattice (es. se è un chirurgo gli deve essere fornito uno stock di guanti al neoprene).

Quindi ecco un riassunto dei punti dove agire per la prevenzione:

Quando dobbiamo tutelare il paziente è ovviamente necessario individuare i soggetti a rischio e stratificarli; dopodichè
vanno indirizzati a percorsi ‘latex safe’, perché un completo latex-free nelle strutture ospedaliere è quasi impossibile.

L’immunoterapia specifica non è ancora uno strumento validato e sicuro, ma la prevenzione garantisce una buona
qualità di vita.
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LINEE GUIDA LOMBARDIA (2001)

Importante l’ultimo punto, per la gestione in emergenza del paziente noto allergico, che arriva in PS e deve avere
garanzia di procedure/materiali consone.

 All’interno del presidio territoriale di ogni ATS è necessaria la creazione di un presidio latex safe

Prestazioni programmabili

-Identificare il paziente a rischio

-informarlo dei rischi

-segnalare il pz come a rischio

-Valutare la possibilità di indirizzarlo verso centri con percorsi latex safe

Prestazioni in urgenza

-In PS deve esserci presenza di carrelli latex free e procedure per la gestione del pz allergico al lattice

-Se il pz può essere gestito presso tale presidio, mettere in atto le procedure idonee

Abbiamo visto che le DAC da lattice non sono le uniche patologie dermato-immunologiche:
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Le DIC sono la grande maggioranza di patologie correlate all’utilizzo dei guanti.

INCIDENZA

Costituiscono il 80-95% delle forme patologiche cutanee in utilizzatori di guanti

QUADRI CLINICI: generalmente monomorfi, con una sola tipologia di lesione.

- Quadro acuto: eritema, edema, vescicolazione e essudazione sierosa, croste, desquamazione


- Quadro cronico: ipercheratosi con desquamazione, fissurazioni, eventuali sovrapposizioni infettive

Le sedi sono le parti a contatto con agenti lesive: mani, polsi, avambracci.

Oltre alla dermatite irritativa ex novo, nel soggetto che utilizza il guanto ad elevata frequenza, può succedere che si
peggiori una condizione pre-esistente: ad esempio l’iperidrosi (una forma di dermatite atopica a eziologia
sconosciuta/multifattoriale) può essere aggravata, stessa cosa per la psoriasi.

Si possono utilizzare guanti di cotone sotto quelli sterili, le creme barriera (soprattutto per chi si deve lavare spesso le
mani).

Le altre dermatiti allergiche (NON lattice) da contatto sono dovute tipicamente ad additivi della gomma:
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Sono allergie cellulo mediate di tipo IV (cellule di Langherans, linfociti, macrofagi).

QUADRO CLINICO

- Fase di sensibilizzazione: 15 giorni


- Fase clinica: dopo 18-24 ore dal contatto, quadro clinico acuto eczematoso (prurito, arrossamento,vescicole e
ragadi); se persiste il contatto si ha evoluzione cronica (ipercheratosi con desquamazione, fissurazioni,
eventuali sovrapposizioni infettive)

La diagnosi si fa con patch-test una serie standard (sostanze più comuni nella vita quotidiana) e poi con la serie
‘gomme’:
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Questi patch vengono tenuti a contatto per almeno 24h, per cui attenzione a sostanze che sospetto diano reazioni
importanti (il paziente ovviamente non può essere tenuto in osservazione).

Es. sospetto allergia al lattice + test negativi + serie gomme positiva  devo essere più accurato nel ricercare l’additivo
incriminato, in modo da scandagliare i vari prodotti in commercio con quell’aptene.

Medicina del lavoro– 31/05/2018


Legislazione in materia di tutela della salute dei lavoratori
Prof. Colosio – 31/05/2018 – Autore: Paola Arena – Revisore: Eleonora Lucca

(Riprende il discorso della precedente lezione)

Tornando al discorso fatto sul lattice- latex free e latex safe.

Questa seconda parte compete al direttore sanitario, quindi tenete conto che la logica è questa: ci deve essere una grossa
sinergia ma bisogna sapere dove finiscono i confini di uno e cominciano quelli di un altro. Qualche volta ci accorgiamo
che quello che dovrebbe fare un direttore sanitario in realtà non può farlo, non perchè non voglia ma perché non può.
Esempio il Dott. Moreno non ha diritto di sapere se un chirurgo è portatore di HIV, perché in questo caso il direttore
sanitario si configura come datore di lavoro. Quindi l’unico che lo sa sono io e bisogna saper gestire la cosa senza
rompere il segreto professionale ma permettendo che il sistema non corra il rischio di creare problemi.

D.”come si fa?”

R. “Si fa facendo un discorso molto chiaro alla persona che porta questa patologia ed eventualmente nel caso specifico
escludendola da alcuni compiti a rischio”.

L’intervento più difficile per il sieropositivo è quello in cui non si ha pieno controllo visivo sul campo operatorio. Ad
esempio facendo un intervento toracico, basta una piccola scheggia per cui il medico si taglia e gocciola sangue dentro
al paziente e nessuno se ne accorge. Lo stesso rischio si ha in interventi odontoiatrici, meno problematico è un
intervento addominale.

Forse avete così capito che allo shock anafilattico tante volte si può arrivare in maniera inaspettata.

L’allergia crociata al lattice più comune è il Ficus.


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Passando ad oggi, oggi è l’ultima lezione.

L’obiettivo è trasmettervi quello che il medico di


base o altri specialisti devono sapere sulla
medicina del lavoro per non mettersi nei guai, per
fare le cose giuste, per sapere come gestire le
pratiche.

Forse le prime norme di medicina del lavoro


risalgono al periodo in cui sono nati i vostri
genitori o a poco dopo, prima degli anni 50 non
c’era nulla. Guardando con gli occhi di adesso
sembra davvero poco.

C’era una legge sulla prevenzione degli infortuni e


conviene ricordarla dal momento che ancora oggi
ci sono aspetti di questa legge che sono in vigore: evitare esposizioni indebite, ci sono le norme che indicano come deve
essere il posto di lavoro (tubatura, altezza, numero di persone per metro quadro…)

A me capita ancora oggi di trovare contestazioni di reati contro questo DPR 547 del 1955.

Una violazione del 547 diventa un reato penale quando causa un danno. Quando si crea un danno violando una norma il
danno diventa un reato colposo: reato compiuto per negligenza, imperizia o inosservanza delle norme.

DPR 303 del 1956  era l’unico riferimento in medicina del lavoro esistente in Italia. Diceva che se eri esposto ad
idrocarburi alifatici alogenati dovevi subire una visita trimestrale. Idrocarburi alifatici alogenati poteva voler dire barili
di 111 tricloroetano, vedete però per esempio che questo 111tricloroetano è contenuto anche nei bianchetti, quindi non è
tossico, diventa un problema in quantità maggiori.

La differenza tra il pre e il post Risk Assessment è questa: il primo è il generico pericolo, il rischio invece è la
probabilità che succeda qualcosa. Questa legge si basa su un generico pericolo.

Quando avevo poco più della vostra età diventavo matto perché per esempio dovevo visitare i saldatori ogni tre mesi,
appena finivo di visitarli già cominciava il ciclo successivo delle visite ed anche questo è ridicolo.

Non funziona che se c’è un pericolo elevato visito più spesso, se c’è un rischio elevato lo riduco ma visito il giusto.
Sarebbe fare come fanno i nostri pazienti, che hanno trigliceridi e colesterolo alti e li misurano continuamente ma non
fanno niente per ridurli.

DPR 1124 del 1965 è stata introdotta l’assicurazione obbligatoria per i lavoratori.
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C’è stato un buco e un lasso di tempo durante il quale c’è stato tutto l’evolversi della risk assessment, la tragedia della
Talidomide, il problema dell’amianto, ci si è accorti di tutti i guai combinati ed è arrivata la risk assessment.

È arrivata la 277/91 appena all’inizio degli anni 90, che ha reso obbligatoria la valutazione del rischio rendendo
necessario stabilire il programma sanitario in base alla valutazione del rischio.

La situazione così è molto cambiata.


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Questa legge si occupava soltanto di


amianto, piombo e rumore. C’era un
raziocinio dietro al fatto che si occupasse
solo di queste tre cose: il burden of
disease stabilisce le priorità.

Nel 1994 è arrivata la 626, è stato


strutturato per la prima volta a livello di
legge complessiva il tema della salute e
sicurezza dei lavoratori.

Poi si è arrivati nel 2008 ad avere il DL


81. Interessa anche gli studenti perché li
considera come dei piccoli lavoratori,
anche se non pagati, e quindi attribuisce
loro gli stessi diritti alla salute che sono
attribuiti ai lavoratori.

Un po’ prima era uscita la 151/2001 per la tutela delle gravide. È bene che le ragazze prendano nota di questa legge,
saprete un giorno di avere una specifica legislazione.

Adesso passiamo all’articolo 2087 del codice civile: l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure che secondo
l’esperienza e la tecnica sono necessarie, necessarie a tutelare l’integrità fisica e la persona morale del lavoratore.

“Secondo l’esperienza e la tecninca” è la frase chiave perché per esempio vi chiedo se voi fosse stati medici nel 1955
sareste stati tenuti ad adottare tutta una serie di misure? No e non sarebbe stato una colpa, perché tutto questo non si
sapeva.

Questo vuol dire che il comportamento umano va contestualizzato. Molto spesso i giudici chiedono al medico di
medicina del lavoro anche di valutare il comportamento di un collega e chiedono se fosse stato esigibile un
comportamento diverso da quello tenuto. Un comportamento è esigibile quando quel comportamento non determinato
crea un problema.

Per cui, altro esempio, se nel 1983 la ditta Marzucchi e Rossi non aveva messo le protezioni per le polveri di amianto
aveva colpa? 1983 non vuol dire niente, perché l’amianto è stato vietato nel 1992 però il processo che ha portato al
divieto è stato fatto di acquisizione di informazioni e già negli anni 80 circolavano informazioni riguardo al fatto che
potesse causare mesoteliomi, tumori…. Per cui era esigibile proteggere il lavoratore.

Dunque tutto è contestualizzato, anche il comportamento medico lo è.

Basta pensare ancora al BLS, il BLS è cambiato tantissime volte e se non si sta al passo e si fa una cosa diversa si
commette un errore.

Importante è contestualizzare il comportamento. Senza scomodare leggi specifiche il Codice civile lo impone.

(Consiglio: andate in google, scaricate il decreto e salvatelo. Non perdete mai niente, appunti, testi importanti…è tutto
valore aggiunto! La 81/ 08, la 151 per la donna in gravidanza, le due liste di malattie professionali, così saprete che
magari c’è una malattia professionale che dovrete denunciare ma per la quale non richiederete l’indennizzo perché
sapete che non ha senso, mentre ce ne sono altre che stanno anche nella lista delle assicurazioni obbligate).

Decreto 303 del 1956 diremo poche cose importanti. La prima è che attribuiva semplicemente ad un medico la
sorveglianza sanitaria dei lavoratori. Questo ha comportato che per molto tempo questo fosse in un certo senso
l’arrotondamento salariale del medico di famiglia del paese, ha causato grossi problemi perché ha lasciato la salute dei
lavoratori in mano a persone che non ne avevano la competenza e sono venuti fuori dei disastri. Secondo punto è che
non esisteva tutto il programma basato sul concetto di pericolo e terzo punto, importante, non c’era un sistema
sanzionatorio.
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Ai tempi l’imprenditore poteva pensare che il costo della multa per l’omessa visita fosse molto più basso del costo della
visita stessa, per cui molti ragionavano che comunque convenisse omettere le visite perché se anche fossero stati beccati
avrebbero lo stesso risparmiato.

Dalla 277 del 1991 in poi invece anche il sistema sanzionatorio è stato molto pesante, e la legge ha indicato in modo
esplicito che la sorveglianza della salute dei lavoratori dovesse essere affidata ad un medico che avesse certe
caratteristiche, che fosse specialista in disciplina del lavoro o in medicina del lavoro, disciplina equipollente, o che fosse
comunque capace nel 1991 di dimostrare di aver acquisito sufficiente esperienza in medicina del lavoro.

Ormai non esiste più nessuno che non sia specialista, anche se accade una cosa un po’ strana per cui, vista la carenza di
medici del lavoro, è consentito anche ai medici legali di accedere al ruolo di medico competente facendo un master di 9
mesi. È una cosa che io per problemi etici non intendo sostenere, però sappiate che questo esiste.

La legge riguardo alle malattie professionali, DL 1124, dice che l’imprenditore deve risarcire i danni e allo scopo devo
stipulare l’assicurazione obbligatoria, l’ente assicurativo nazionale è l’INAIL, l’onere è a carico esclusivo del datore di
lavoro e tutti gli infortuni, le malattie, i controlli superiori a tre giorni devono essere obbligatoriamente segnalati entro
due giorni da quando il datore di lavoro ne ha avuta notizia.

Quindi il medico decide di redigere il primo certificato di malattia professionale ad un paziente che ritiene malato di una
malattia professionale, il paziente lo porta al datore di lavoro ed entro due giorni il datore di lavoro è obbligato a
segnalarlo all’INAIL. È possibile anche entrare direttamente e segnalarlo nel sistema dell’INAIL, però in questo caso il
datore di lavoro è bypassato e poi si trova una pratica aperta senza averne conoscenza; la prima opzione pertanto è più
ragionevole.

Non importa che sappiate nel dettaglio quali sono le prestazioni dell’INAIL, diciamo che copre la malattia e il danno e
che il danno può essere coperto da un versamento unico o con un vitalizio. Se qualcuno muore in conseguenza della
patologia che ha contratto gli eredi hanno diritto ad avere la rendita, se la morte invece sopravviene per cause diverse
dalla patologia contratta non c’è l’ereditarietà della rendita.

Dal 1988 si dice che in Italia se si prova la causa del lavoro qualsiasi malattia può essere indennizzata, questa cosa per
noi medici è molto una sfida.

Da medici potreste essere convinti che una patologia sia occupazionale ma poi non essere capaci di dimostrarlo oppure
potreste avere un falso convincimento, però se vi imbarcate in una cosa del genere è opportuno tener conto di questo e
se non trovate la patologia nella tabella dell’INAIL il lavoratore dovrà farsi carico dell’onere della prova e molto spesso
non è assolutamente semplice.

In questo caso se siete fortemente convinti che sia una malattia professionale potreste essere magari generosamente
disponibili a supportare la questione però voi, da pediatra o medico di famiglia che sarete, siete tutto sommato poco
credibili, non crederanno che il vostro certificato valga qualcosa. Allora magari con una bella lettera di
accompagnamento “caro collega ti affido il mio paziete X...” la mandate al collega del patronato che saprà cosa fare.

Sottovoce e poco politically correct dico che il sindacato qualche volta ha interesse ad avere molte malattie
professionali, ho trovato proposte del patronato che erano davvero al di là dei limiti della decenza. Vi dico quindi di
essere per favore equilibrati e credibili, il medico che non è credibile non lo è nemmeno con i suoi pazienti. Piuttosto
reprimete una voglia tecnicamente chiamata “pretestazione di lesività”, se invece siete realmente convinti fate
riferimento al patronato.

Il paziente è spesso convinto che sia una malattia del lavoro. Per esempio accade comunemente con i pesticidi, il
paziente che ha una neuropatia e che ha lavorato con antiparassitari pensa che sia una malattia professionale. Una volta
ho visto un paziente, arrivato dal profondo sud, che aveva una neuropatia monolaterale arto inferiore sx. Non è da
pesticidi (in quanto monolaterale) e in effetti aveva un’ernia, però avendo usato antiparassitari in campagna,
ingenuamente aveva pensato di avere una malattia professionale e aveva trovato un medico poco competente che lo
aveva convinto e avviato ad accertamenti.

Neuropatie e tumore io le chiamo “sindorme da indennizzo, grave patologia italiana”.


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Ci sono assicurazioni che non sono più disposte a coprire alcune specializzazioni, poi capita che chiedano al medico
cifre esagerate, quindi attenti nello stipulare l’assicurazione.

La 277 ripeto tratta piombo, amianto e rumore e il concetto di soglia di esposizione, sotto un certo livello di esposizione
non ha senso porsi il problema.

Domanda.”Nel caso uno non abbia usato dei dispositivi per prevenire l’INAIL non indennizza, vero?”

Risposta.”Succede che l’INAIL applica un approccio che si chiama “presunzione di nesso causale” se tu hai la patologia
tabellata e hai l’esposizione tabellata.

Esempio: tu hai ipoacusia da rumore, la tabella dice “battitura di lamiere” tu facevi quel lavoro e tu sei a posto.

Poi succede sempre che il datore di lavoro il cui dipendente è stato indennizzato riceve una lettera dall’INAIL nel quale
l’INAIL scrive che si riserva il diritto di rivalsa, diritto che vale se c’è qualche colpa.

Se il datore di lavoro aveva una colpa il datore di lavoro paga l’INAIL, l’INAIL non copre se è colpa tua.

Se viene documentato che il lavoratore non portava i dispositivi di protezione i casi sono due: il primo, quello che di
solito passa, è che il datore di lavoro ha omesso la vigilanza dovuta e quindi il lavoratore non ha usato i dispositivi per
omessa vigilanza. Se invece si dimostra in modo incontestabile che il lavoratore ha avuto i dispositivi di protezione, ha
firmato che li ha avuti e che si impegnava ad usarli, diventa più difficile e allora in questo caso il diritto di rivalsa può
rifarsi sul lavoratore e il lavoratore perde il diritto a qualcosa perché ha avuto un comportamento colposo e si è
cagionato un danno.

Tutto questo però è molto teorico.

Anche in ospedale si ritiene che il fatto che l’OSS metta gli occhiali per compiere certe operazioni non sia scelta sua
individuale ma sia prodotta da una accurata vigilanza dei superiori che ne sanno di più”.

Domanda.”A proposito dei DPI sono stati introdotti nel 55 o sono più recenti?”

Risposta.”Nel 1955 è stato introdotto il principio della protezione, che poi via via è stato sempre migliorato. Se prendete
la 8108 trovate il titolo 4 “sull’uso dei dispositivi di protezione individuale” e là vi date regole molto stringenti: che
devono essere utilizzati, utilizzati in accordo con le indicazioni del produttore, che non devono essere manomessi.

Sono quindi sempre stati utilizzati ma è un tema che via via si è evoluto.

Vi dirò per esempio che le maschere antipolvere degli anni 80 lasciavano passare la frazione delle particelle di amianto,
non erano realmente protettive e ovviamente sono diverse da quelle di cui disponiamo oggi”.

Saltiamo la 626 perché la 81/08 è quella che adesso vale.

Abbiamo fatto po’ di storia, parlato dell’INAIL e dei decreti precedenti e adesso quello che è in vigore oggi.

Riguarda le attività private, le attività pubbliche e tutti i lavoratori, comprende anche gli studenti in laboratorio, nei
centri di formazione professionale.

Dopo un faticoso percorso un contratto, adesso è in fase di perfezionamento, nel quale sono rese disponibili le risorse
adeguate a seguire anche voi studenti che fino ad ora non c’erano.

Se arriva uno che mi dice che devono essere fatte 450 visite io la prima cosa che devo chiedere è se è lecito, cioè se c’è
la ragione per farle e poi chiedo sempre chi paga, quindi nel caso degli studenti è giusto che ci sia questa copertura. Tra
l’altro con i soldi della vostra quota di iscrizione oltre a biblioteche, strutture e annessi vari viene pagata anche la quota
di sorveglianza sanitaria assicurativa.
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Penso che, nonostante gli studenti stiano un passo indietro e siano quindi meno a rischio rispetto ad altre persone,questo
abbia la sua utilità.

I datori di lavoro sono tutti coloro che danno lavoro


e poi ci sono delle nuove figure che sono entrate.

C’è il “Servizio di prevenzione e protezione”, anche


l’Università ne ha uno e su unimi.it è riportato come
funziona e cosa fa. Pure il nostro ospedale ne ha
uno, diretto dalla Dott.ssa Katia Razini, che ha
tenuto il

modulo sullo stress lavoro correlato.

Poi c’è un’altra figura che è “Rappresentante dei


lavoratori per la sicurezza”, una figura nominata
dalle rappresentanze sindacali quando l’azienda ha
più di 15 dipendenti se no eletta direttamente dai
lavoratori. Il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza, un concetto che forse purtroppo nella nostra Sp non è ben chiaro, è nominato dai sindacati ma non è una
figura sindacale. La figura sindacale contratta ed è bene che stia con le relazioni sindacali, l’RLS deve invece
collaborare ad un processo collegiale di prevenzione.

Poi c’è il medico competente, che però non sempre è previsto. Questa è una contraddizione e non è facilissima.
L’obbligo di sorveglianza esiste se c’è un rischio, se no decade e questo è un buon modo per premiare le aziende,
perché se sei virtuosa non spendi soldi.

A quel punto lì chi è che decide se c’è o non c’è obbligo di sorveglianza sanitaria se il medico arriva dopo che qualcuno
ha stabilito l’obbligo?

Sembra una contraddizione ma il medico competente arriva se qualcuno ha deciso che c’è obbligo, però chi decide se
c’è obbligo deve essere il medico competente, pertanto questa cosa andrà risistemata.

Quindi è il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione RSPP che decide se c’è obbligo.

Il Servizio di prevenzione e protezione ha un responsabile “RSPP”. La valutazione del rischio e la nomina dell’RSPP
devono essere fatte in qualsiasi azienda e appena si insedia l’RSPP valuta il ciclo produttivo e nella sua redazione di
valutazione del rischio implica la necessità o meno di avere il medico competente.

Il Servizio quindi (non l’RSPP) è coordinato dall’RSPP ed è fatto da esperti con un coordinatore esterno o interno
all’azienda, collabora con il datore di lavoro ed è quindi una caratteristica interessante.

Imparerete che il vostro commercialista non è responsabile della vostra dichiarazione dei redditi, lo sarete voi, se lui fa
una cavolata comunque ne risentite voi.

Il Rappresentate dei lavoratori per la sicurezza RLS è un lavoratore dell’azienda nominato o eletto. Il lavoratore oltre ad
avere molti diritti ha anche molto doveri, deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e delle altre
persone,conformemente alla formazione e buon senso.

Vuol dire che se voi siete in reparto non potete tenere conto solo di voi stessi, siete colti e fate parte della fascia di
popolazione che ha accesso ad una laurea, ci si aspetta pertanto che voi siate capaci di dare consigli, indirizzi e
informazioni a chi è stato meno fortunato di voi nell’accesso all’istruzione.

Formazione e buon senso!

All’inizio del mio corso voi studenti pensavate che il medico del lavoro fosse una specie di medico legale, io ho cercato
di farvi capire che non è così, che viene da un percorso clinico e che oggi in Italia, in Europa e nei paesi sviluppati si
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occupa prevalentemente di prevenzione primaria secondaria e terziaria ma anche di altre cose e che nel suo ruolo
complesso il fatto che faccia le visite è solo una delle cose che può fare, poi deve valutare i rischi, periodicamente
vedere gli ambienti di lavoro, effettuare gli accertamenti, che devono essere fatti prima dell’assunzione “visita
preventiva” per vedere se il lavoratore può essere ammesso al lavoro e poi durante il percorso lavorativo del soggetto a
scadenze prefissate, per verificare che la situazione non sia cambiata e che la sua condizione di idoneità non sia
peggiorata nel tempo e poi che il lavoro non gli abbia causato delle problematiche che lo rendano con minore idoneità
lavorativa.

Poi deve esprimere sempre il giudizio di idoneità alla mansione, deve tenere la cartella sanitaria e deve collaborare con
il datore di lavoro per l’organizzazione del pronto soccorso.

Poi c’è il documento di valutazione dei rischi, che era prevista dalla 626/94 in poi, che è il documento formale che
prevede le misure di prevenzione, l’uso dei dispositivi di protezione individuale, programma di formazione, piano di
emergenza e piano di pronto soccorso.

DL 626/94:

Titolo I sono definizioni, inquadramento generale (cosa è il medico, cos’è RSPP...)

Titolo II “i luoghi di lavoro”definizione, come devono essere organizzati per essere confacenti a quello che serve

Titolo III uso delle attrezzature, con indicazioni molto stringenti con informazione, formazione e addestramento.

Per esempio pensando a voi


quando parlo con la Morace
dico sempre che noi diamo tante
informazioni, fate abbastanza
formazione e poco
addestramento.

Titolo IV uso dei dispositivi di


protezione, obblighi del datore
di lavoro, obblighi del
lavoratore.

Qua la risposta ad una delle


domande poste prima: se tu non
hai rispettato questo obbligo è
colpa tua, pero bisogna
dimostrare che tu sei venuto
meno all’obbligo, tenendo conto
che il datore di lavoro ha
l’obbligo di vigilare affinchè tu
non combini guai.

Domanda. ”Tutte le aziende sono tenute ad avere il medico del lavoro? In qualsiasi ambito?”

Risposta. ”No, perché abbiamo appena detto che il medico competente è richiesto solo dove la valutazione dei rischi
indica che ci sono rischi soggetti a sorveglianza sanitaria.

La valutazione del rischio va fatta sempre, il medico competente serve solo se c’è un rischio da sorvegliare”.
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Poi nel DL 81/08 articolo II: “lavoratore” è persona indipendente dalla tipologia contrattuale, con o senza retribuzione,
esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.

Insomma se una deve fare la domestica non ha diritto a questa sorveglianza.

Domanda. ”Perché è così?”

Risposta. ”Succede che quando fanno le leggi, il giorno in cui vengono approvate, ti accorgi che hai votato qualcuno
che poi ha fatto una cavolata.

Facciamo finta che io e un’altra persona siamo due soci e abbiamo un’impresa di muratura, dove c’è obbligo di
sorveglianza sanitaria. Anche se non abbiamo dipendenti abbiamo l’obbligo, io per lei e lei per me.

Però è successo che quando hanno fatto la 81/08 è arrivato uno che ha escluso le imprese agricole. Sembra una stupidata
ma questa cosa che è accaduta ha portato fuori dalla sorveglianza sanitaria il 95% delle imprese agricole, perché in
Italia il 95% delle imprese agricole sono a conduzione familiare senza lavoratori.

Dietro a questo c’è stato un interesse economico. Qualche volta le leggi vanno così, accade così anche negli altri paesi,
sono le lobby che si preparano prima con i loro esperti, preparano l’emendamento e poi hanno rappresentanti in
parlamento e garantiscono così un guadagno economico.

Poi per modificare una legge però ci vogliono anni di fatica”.

Il datore di lavoro non può delegare la valutazione dei redditi e la nomina del servizio di prevenzione e protezione dei
rischi.

Anche quando sarete nel vostro studio associato e avrete una segretaria sarete datori di lavoro, dovrete nominare una
RSPP e dovrete fare la valutazione dei rischi ed individuare un responsabile che potreste essere anche voi stessi, dovrete
tenere conto della capacità e delle condizioni dei lavoratori, prendere le misure adeguate perché solo quelli che hanno
ricevuto uno specifico addestramento accedano alle zone a rischio, vigilare affinché i lavoratori per i quali vige
l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano senza giudizio di idoneità.

Domanda. ”Ma io posso licenziare un lavoratore non idoneo?

Risposta. ”Si. La legge dice che se il lavoratore perde l’idoneità alla mansione per la quale è stato assunto e l’azienda
non può trovargli una collocazione alternativa l’azienda può procedere alla recessione del contratto di lavoro per giusta
causa.

Questo comporta alcune volte che nelle piccole aziende il lavoratore malato preghi il medico competente di non fare il
certificato per non perdere il proprio posto di lavoro.

In tutti gli sviluppi legali che hanno avuto questi licenziamenti ho visto stabilire l’obbligo del reintegro solo nei casi in
cui il pretore poteva scrivere che l’azienda non aveva cercato con attenzione una sistemazione alternativa e questo
ovviamente è molto più facile nelle grandi aziende”.

Il preposto è colui che rappresenta il datore di lavoro nello specifico insediamento.

Ad esempio il Prof. Chiummello è il preposto del reparto di anestesia e rianimazione, perché lui agisce in nome e per
conto di Salmoiraghi ed in effetti se Chiummello fa delle stupidate può pagarne Salmoiraghi, perché il datore di lavoro
delega al preposto.

(Fa riferimento ad un suo articolo su Medicine dell’anno scorso sulla sorveglianza sanitaria in cui sostiene che l’obbligo
di sorveglianza sanitaria debba essere attenuato).

Bisogna avere la capacità di gestire le emergenze, in un ospedale è ridicolo perché il PS serve a questo, però in un’altra
azienda è necessario.
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Serve creare delle squadre di pronto soccorso e creare un piano di evacuazione in caso di emergenze. La squadra di
pronto soccorso deve essere formata e addestrata, la formazione deve essere specifica e il tempo di ore di formazione
dipende dal livello di rischio dell’azienda.

Legge dell’8 marzo del 2000 “differimento volontario nel periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza”.
La donna obbligatoriamente in Italia al settimo mese deve andare a casa, però è stata creata questa opportunità per cui
se sta bene e non svolge attività particolarmente a rischio, il medico competente può autorizzarla a differire di un mese
l’astensione obbligatoria. Vuol dire però che la donna lavora fino all’ottavo mese di gravidanza e dopo sta a casa con il
bambino un mese in più, coperto dalla legge.

Il testo 151 del 26.03.2001 dice che la donna quando è consapevole della sua gravidanza deve tempestivamente
informare il preposto e scattano subito tutte le attività di protezione del caso.

Domanda. ”Il datore di lavoro può chiedere una certificazione della gravidanza?”

Risposta. ”Funziona che tu presenti un certificato con scritto “la Signora x è gravida alla y settimana” e nient’altro”.

Medicina del Lavoro – 31/05/2018

Legislazione in materia di tutela della salute dei lavoratori

NORMATIVA GENERALE
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Codice civile  Art. 2087: “l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure che, secondo l’esperienza e la
tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore”  IL
COMPORTAMENTO UMANO VA CONTESTUALIZZATO, QUINDI BISOGNA TENER CONTO
ANCHE DELL’ESPERIENZA E DELLE CONOSCENZE DEL MEDICO/DELL’IMPRENDITORE DI
QUEL MOMENTO (SE UNO NON SA CHE C’E’ UNA CONSEGUENZA SE NON SI METTONO LE
PROTEZIONI PER LE POLVERI DELL’AMIANTO, NON PUO’ AVERE COLPE).

NORMATIVA SPECIFICA
1. Anni 1950-1990 (prima del 1950, non c’erano normative sul lavoro)
a. DPR 547/55 – Norme per la prevenzione degli infortuni (alcune norme sono valide ancora
oggi, es: evitare esposizioni indebite, come deve essere un luogo di lavoro, numero di
persone per m3, denunce di infortunio ecc)
b. DPR 303/56 – Norme per l’igiene del lavoro (era l’unico riferimento di medicina del lavoro
presente in Italia, però non c’era il risk assessment, ma solo la prevenzione su generico
pericolo  visite eccessive e per composti anche a basso rischio di danno; la sorveglianza
sanitaria dei lavoratori era fatta da qualunque medico, anche non del lavoro, quindi spesso
incompetente; non c’era un sistema sanzionatorio: il costo della multa per omessa visita era
più basso del costo della visita, quindi spesso gli imprenditori evitavano di far fare le visite
ai dipendenti).
c. DPR 1124/65 – Assicurazione obbligatoria per i lavoratori  l’imprenditore deve risarcire i
danni e quindi deve stipulare un’assicurazione obbligatoria, l’ente assicurativo è l’INAIL.
L’onere è a carico esclusivo del datore di lavoro, che è tenuto a denunciare all’INAIL tutti
gli infortuni e le malattie professionali con prognosi superiori a 3 giorni. La denuncia deve
essere inoltrata entro 2 giorni da quando il datore di lavoro ne ha avuto notizia (tramite
denuncia del medico che ha visitato il dipendente). Il danno può essere coperto con
pagamento unico o con un vitalizio.

Durante questo buco temporale, ci sono stati tutti i problemi riguardanti risk assessment, amianto,
talidomide, PVC, ecc.

La Corte Costituzionale nel 1988 ha dichiarato incostituzionale il sistema tabellare (che limitava le patologie
indennizzabili) e ha stabilito che l’assicurazione è obbligatoria e valida anche per malattie extra-tabellate, a
patto che la patologia venga dimostrata essere causata dal lavoro (l’onere della prova è a carico del
lavoratore).

2. Anni ‘90
a. DL 277/91 – Attuazioni direttive DEE (si occupavano solo di amianto, piombo e rumore, a
causa del burden of diseases, evidence based; il sistema sanzionatorio è diventato pesante; la
sorveglianza dei lavoratori viene fatta dal medico del lavoro o disciplina equipollente;
concetto di soglia di esposizione).
b. DL 626/94 – Documento di valutazione dei rischi

3. Anni 2000-oggi
a. DL 151/01 – Tutela gravide  differimento volontario e astensione obbligatoria dal lavoro
in gravidanza (al 7° mese la donna è obbligata a stare a casa, ma il medico competente può
differire di 1 mese, quindi può astenersi dal lavoro all’8° mese ma stare 1 mese in più col
bambino, ma SOLO SE STA BENE e fa un lavoro che le consente di lavorare fino all’8°
mese). In più, la donna quando scopre di essere gravida deve avvisare il preposto, che fa
scattare tutte le misure di prevenzione e protezione.
b. DL 81/08 – Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro (quella in vigore oggi)
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a 142

 Si applica su tutte le attività, sia private che pubbliche, e su tutti i lavoratori +


studenti dei centri di formazione professionale e quelli che operano in laboratorio o
simili, lavoratori su mezzi mobili, soci di cooperative.
 Titolo I – NUOVE FIGURE: Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi
(l’università e l’ospedale ne hanno uno; è coordinato da un responsabile, che può
essere interno o esterno all’azienda e viene nominato dal datore di lavoro, il quale
NON può delegarne la designazione; collabora con il datore di lavoro per migliorare
il livello di sicurezza e salute in azienda con attività di prevenzione, controllo e
informazione; si riunisce almeno 1 volta/anno); Rappresentante dei Lavoratori
per la Sicurezza - RLS (figura che viene nominata dai sindacati se l’azienda ha >15
dipendenti, altrimenti viene nominata dai lavoratori stessi; non è una figura
sindacale); medico competente, qualora sia previsto l’obbligo di sorveglianza
sanitaria (deciso dal RSPP – Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione).
 Il lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza.
 Titolo II – LUOGHI DI LAVORO  come devono essere organizzati
 Titolo III – USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO
 Titolo IV – USO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

L’INAIL applica la presunzione di nesso causale se il pz ha una malattia tabellata e un’esposizione tabellata.
L’INAIL poi scrive al datore di lavoro dicendo che può valersi del diritto di rivalsa  se il pz si è ammalato
per colpa del datore di lavoro, è lui che deve pagare l’INAIL (es. il lavoratore non ha usato i dispositivi di
protezione).

Medico del lavoro  ha un ruolo complesso: valuta i rischi, effettua sopralluoghi periodici negli ambienti di
lavoro, effettua accertamenti sanitari (visita preventiva, accertamenti periodici), esprime il giudizio di
idoneità, deve collaborare col datore di lavoro per l’organizzazione del PS aziendale.

Nelle piccole aziende, il lavoratore spera di non avere mai una malattia professionale che lo esuli dal lavoro
perché altrimenti perde il posto; nelle grandi aziende invece è una diagnosi ambita, perché ha dei vantaggi.

In ospedale:
- DATORE DI LAVORO  direttore sanitario
- PREPOSTO  primario di ogni reparto
- LAVORATORI  tutti i dipendenti

GESTIONE DEL PS  il personale va addestrato secondo un protocollo definito dalla legge, deve avere una
formazione specifica in base al livello di rischio dell’azienda (corsi di formazione per squadre di emergenza).
Occupational health and environment unit.

Environmental engineer (UV and particles)

Bling sposts in occupational medicine


Essentials of occupational disease diagnostics;

Occupational diseases in cultivating Marijuana.


Asthma and other respiratory diseases. Occupational Asthma, Extrinsic Allergic Alveolitis.
Case of Contact Dermatitis: a person who was allergic to contact but not to respiratory contact.

“Tulip finger”.
People who peel the tulip. Contacts dermatitis for allergy against tulipine alpha. This kind of work is made by students,
housewifes.
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It is identified by patchtesting. Clinical cases of tulips contact allergy were tesitng by this way, and people who had
positive reactions, were identified in the tulips allergen.

Occupational healths risks in artists: for chemicals they use for paintings or scultpures.

Burden of occupational diseases: mortality of 2 milion/years.

- Surveillance programs
- Economics
- You spend a lot of time working  it’ s necessary to make prevention of occupational diseases.

Inverse care law: it is the availability of good medical care, tends to vary inversely with the need for it in the population
served  es. in agricolture, migrant workers etc, outsorcing the 3-d jobs.

Shoemakers Palsy: N hexane neuropathy. A solvent used for the glove in shoes.

GREEN JOBS: are they safe jobs? Algae farming for food, paints and biofuel: there are some bacterias around so that
they can contaminate.

Harvesting olives: vibration is not good (green job but not so good).

Underreporting of occupational diseases (from compensation system): this is due to difficulties with diagnosis and
denial of the problema (for ffear for consequenties and influencing of compensation criteria). This is also related to
political criteria.

Patient. Criteri di Bradford-Hill


“Can this be work related disease?”. It is nice to have some steps in mind to do the assessment.

1- Consideration of evidence of disease: medical assessment, clinical work up


2- Consideration of toxicological and epidemiological data
3- Consideration of evidence of exposure (biological monitoring, and look to other factors)
Is the process of estimating the magnitud, frequency and duration to an occupational health hazard. You can do
it by measurements: enviromental, bio-monitoring etc..
It is important to establishe a causality: there are criterias  temporality, reversibility, exposure respons
(clinical questions); there are also work questions, and other data as consistency, analogy and biological
plausibility.
4- Other relevant factors
5- Evalutation and conclusion in order to make
6- Preventive actions.

Can be triggerd by active search (for example skin diseases or other). In some occupational disease the diagnosis is
clear, while in other it is not so clear.
In Switzerland and France there is a collaboration between Occupational disease ad other.

Get an overview in a company, country.


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Medicina del lavoro #9 – 09/04/2018

Occupational diseases without Borders


Prof.Gert Van Der Laan – 09/04/2018 – Autore: Antonio Muzio – Revisore: Roberto De Bernardinis

(piccola premessa, la lezione era stata tenuta in inglese da un professore olandese amico da 25 anni del prof. Gli argomenti trattati
sono già stati visti in altre lezioni)

Obbiettivi della lezione:

 Conoscere i punti ciechi nella medicina occupazionale

 Imparare le basi della diagnostica delle malattie occupazionali

 essere capaci di scrivere un’anamnesi occupazionale

Malattie del coltivatore di marijuana

Rischi:

 l’esposizione della cute al delta-9-tetraidrocannabinolo


(THC)

 inalazione di spore ad un livello superiore a 50'000 spore/m 3


con un campione sopra le 500'000 spore/ m3 , chiedendo
anche a colleghi pneumologi , hanno confermato che tali
livelli di spore possano causare una reazione asmatica ,
tuttavia non ne hanno mai visto casi . probabilmente anche avendolo visto non hanno potuto
riportarlo come tale perché difficilmente i pazienti ammettono di coltivare marijuana.

malattie correlate al lavoro:

 tagliare le cime (danno da sforzo ripetuto), lavoro molto duro


svolto per 25 euro/ora( esistono dispositivi che si possono
trovare su internet per evitare tale problematica ) , tuttavia
illegale. Inoltre la stessa Philips ha sviluppato delle lampade per
permettere una migliore crescita delle piante

 asma occupazionale

 alveolite allergica

 casi di dermatite da contatto

The Tulip finger

Malattia occupazionale molto frequente. si sviluppa


come una dermatite da contatto per reazione allergica
alla tulipina α. le coltivazioni di tulipani sono
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finalizzate non tanto alla vendita del fiore in se ma alla vendita dei bulbi. Nel processo di confezionamento,
quando si pelano, il contatto con le dita scatena la reazione. Reazione molto sottovalutata.

Categorie di lavoratori:

 studenti

 casalinghe

 lavoratori immigrati

Un altro esempio di allergia da contatto è quella nei confronti della primula; questo tipo di dermatite affligge
non solo chi confeziona i fiori ma anche chi li acquista. la soluzione al problema è stata la creazione di nuove
varianti tramite ibridazione che non contenessero l’antigene. la nuova varietà è stata molto fantasiosamente
chiamata “touchable “.

Un’altra classe di lavoratori sulla quale si è intervenuto sono gli artisti, a stretto contatto con molte sostanze
chimiche , prevalentemente informandoli direttamente e parlando con le scuole di specialità .

Occupational diseases: a hidden epidemic


Da uno studio del WHO circa i 37% di tutti i dolori alla
schiena è causato da attività lavorativa, cosi come il 16%
delle perdite di udito e circa l’11% delle BPCO.

Il peso delle malattie lavorative non è indifferente:

 mortalità globale, circa 2 milioni /annui

 costi 2-4% del “Bruto social product “

In Italia le malattie lavorative più comuni sono:

 perdita dell’udito

 dolori muscolo scheletrici

 BPCO

 Asma

 Tumore polmonare

“Perché la salute sul posto del lavoro è così importante?


 Sono prevenibili

 Risarcimenti assicurativi

Sicuramente ci sono molte motivazioni valide che si


possono attribuire, ma tuttavia è un tema che viene poco
sentito specialmente dalla classe politica.

L’importanza della sicurezza sul posto di lavoro è dettata


da:
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 Diritto umano

 Una migliore salute comporta un aumento della produttività, molte delle migliori società hanno
dipendenti sani (spesso questo riguarda soprattutto la sfera psico-sociale)

 Cattiva immagine -> un’azienda che sfrutta i lavoratori e non ne cura la saluta viene uccisa
dall’opinione pubblica

 Sicurezza e salute sono indicatori chiave di una buona organizzazione

Punti ciechi nella medicina occupazionale

 the inverse care law

 alcuni esempi:

 agricoltura

 lavoratori migranti, fuori dalla supervisione degli ispettori del lavoro e della medicina
occupazionale

 la diffusione di “3-D jobs “

 green jobs

The inverse care law

la disponibilità di una buona


assistenza medica tende a
variare inversamente alla
necessita della popolazione
servita -> quindi le persone che
ne hanno più bisogno spesso
non riescono ad essere
adeguatamente servite. questo è
particolarmente vero nella
medicina occupazionale.

Migrant workers

Spesso si trovano fuori dal


controllo degli ispettori del
lavoro e della assistenza ai
lavoratori. Spesso, inoltre, tali
lavoratori oltre a problemi legati al lavoro hanno grosse noie per quanto riguarda l’immigrazione.

Lo spostamento all’estero dei “3-D jobs “

3-D perché sono:

 dirty (sporchi)
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 dangerous (pericolosi)

 demanding (duri, esigenti dal punto di vista fisico) , come lo smantellamento delle navi

Spesso questi lavori sono spostati all’estero al fine di risparmiare sulla manodopera, tuttavia tali lavoratori
non sono tutelati come sarebbero quelli del paese della società che richiede il lavoro.

Un esempio simile è fornito dalla neuropatia da N-esano, causata dalla colla per le scarpe e molto diffusa nei
paesi asiatici nei quali l’industria delle calzature si è traferita.

Green jobs

Non sono spesso lavori salutari come sembrano:

 sono sostenibili

 ri-utilizzo di materiali

 coltivazioni delle alghe per cibo, vernici e bio-carburanti. possono causare pericoli ai lavoratori:

 H2S

 Cyanobacteriae

 Esistono anche casi in cui i lavoratori siano affogati nelle vasche di coltura

Sono lavori che comunque necessitano di valutazioni di rischio e di una sorveglianza dei medici del lavoro

Blind spots nella medicina occupazionale

 Causati da una ineguale distribuzione della assistenza

1. Lavoratori illegali, lavoratori immigrati

2. Settori informali, agricoltura, lavoratori autonomi

3. Disoccupati

 Ignoranza, dei lavoratori, dei datori di lavoro e degli stessi medici che spesso ignorano o
sottovalutano il rischio di determinati lavori

 Nuove tecnologie

1. Green jobs

2. Nanotecnologie, non si sa bene se siano sicure o meno

 Altri punti ciechi: rischi biologici che stanno iniziando a manifestarsi

Mancate denunce di malattie occupazionali


È un problema diffuso a livello mondiale, i motivi sono vari:

 Difficolta nella diagnosi:


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1. Mancanza di consapevolezza (lavoratori, dottori)

2. Mancanza di conoscenza e concentrazione (dottori)

3. Mancanza di mezzi e tempo per la diagnosi

 Negazione del problema

1. Paura delle conseguenze, assentarsi dal lavoro per malattie non è sempre ben visto

2. Influenza dei criteri di compensazione

Valutazione delle malattie occupazionali o intossicazioni: approccio a 6 punti

1. Considerazione o evidenza della malattia -> accertamento medico e un buon lavoro clinico

2. Considerazione di dati tossicologici e epidemiologici, si ipotizza o è già stata confermata una


relazione causa-malattia

3. Considerare l’importanza dell’esposizione ->storia lavorativa e monitoraggio biologico

4. Considerazione di altri fattori rilevanti -> diagnosi differenziale

5. Valutazioni e conclusioni -> validità della testimonianza

6. Azione preventiva

Indagine delle malattie occupazionali

solitamente inizia con la domanda “quale lavoro svolge? “ . Può essere innescata da una ricerca attiva visto
l’ampio spettro di malattie occupazionali.

alcune hanno una diagnosi abbastanza facile: dermatite allergica (skin test) , asma occupazionale ( test di
stimolo )

altre invece hanno richiedono indagini più approfondite, spesso con approcci multidisciplinari.

Indagine dell’esposizione

Si tratta del processo di misurazione o stima della frequenza, intensità e durata dell’esposizione ad un fattore
di rischio (chimico, fisico, biologico e mentale)

Le misurazioni possono essere basate sul monitoraggio dell’ambiente o biologico del paziente.

La storia lavorativa: spesso è difficile da indagare, ma spesso il solo modo di indagare passate esposizioni è
tramite casi clinici

Redigere un’anamnesi di storia occupazionale

Acquisizione delle informazioni:

 Domande cliniche:

1. Tempo -> da quando è comparso il sintomo o la malattia, e se prima o dopo l’esposizione


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2. Reversibilità -> i sintomi sono diminuiti a seguito dell’interruzione all’esposizione?

3. Relazione esposizione-risposta -> sono i sintomi peggiori durante alcuni esercizi o in posti ad
aumentata esposizione

 Domande sul lavoro

1. Forza dell’associazione, altri lavoratori hanno sintomi simili? l’assenza di casi simili non può
escludere una relazione

2. Specificità, quali altre cause possono essere attribuite agli stessi sintomi?

 Altri dati:

1. Consistenza

2. Analogia

3. Plausibilità biologica

Conoscenza del lavoro del paziente

I lavoratori lo conoscono certamente meglio del clinico, è sempre meglio chiedere.

Sempre meglio iniziare l’incontro facendosi scrivere i precedenti lavori svolti, associati magari a dei disegni
e/o foto. Ci si può far portare anche prove, ad esempio in caso di esposizione a vernici, l’etichetta di
quest’ultime. Questo perché molto spesso il medico conosce qualcosa sul lavoro che il paziente non può
sapere.

Ricordarsi inoltre di porre le domande giuste. es: chiedere ad un paziente se lavora in un posto polveroso,
può variare molto a seconda della percezione del soggetto, chiedere invece cosa produca la polvere è molto
più intelligente

Risorse alternative:

 Descrizione del lavoro, schede tecniche, siti internet aziende

 Dati lavoro-esposizione per studi epidemiologici

 Ricerche da scrivania: dati tossicologici, casi simili

 Visita del posto di lavoro

 Misurazioni: ambientali e biologiche

(lunga similitudine fra il bird watching e la medicina del lavoro, il cui succo è che bisogna avere per
entrambi gli strumenti, la pazienza, la capacità di riconoscere e saper trovare dove e quando determinati
eventi possano accadere, una conoscenza di base)

la comparsa di malattie legate al lavoro è un segnale che qualcosa nella sorveglianza non ha funzionato. la
sorveglianza non è solo guardare, vigilate et orate.

Sorveglianza:

Uno dei primi esempi di patrocinante del lavoro fu la Alice


Hamilton, che si batté per una migliore condizione di lavoro di
alcuni lavoratori.
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ci fornirà alcuni esempi di come di


rintraccino nuove patologie legate al
lavoro la prossima lezione.

definizione di “new occupational safe


and house risk “:

 prima sconosciuta e causata da


nuovi processi, nuove tecnologie, nuovi tipi di luoghi di lavoro o cambiamenti nell’organizzazione o
nella società

 fattori di lunga durata, ora considerati un rischio per un cambiamento nella percezione pubblica o
sociale (stress, bullismo)

 nuove tecnologie permettono di identificare i fattori di lunga durata come pericolosi

Un esempio è la fumigazione, è un metodo di disinfestazione tramite il quale si riempie completamente una


zona con gas biocidi, definiti fumiganti, per soffocare o avvelenare tutti i parassiti e i germi all'interno. Usata
soprattutto nei container.

Questa tecnica ha portato vari casi di avvelenamento acuto:

 dopo l’arrivo di container dal sud-est asiatico:

o alcuni casi in Olanda e Germania con severi sintomi neurotossici: perdita di coscienza, epilessia,
perdita delle funzioni cognitive

o molti casi di medi danni alla salute: mal di testa, nausea, perdita della concentrazione

Se a conoscenza dell’utilizzo di questa tecnica si possono usare precauzioni al fine di evitare


l’intossicazione; questo non è un problema che preoccupa le grosse aziende sapendo come arginare il
problema e potendolo fare, la questione riguarda soprattutto le persone che acquistando materiali all’estero ,
come ad esempio arredi per gli esterni , non hanno controlli .

Un'altra grossa patologia è la bronchiolite ostruttiva in chi lavora con la fibra di vetro (e in generale con fibre
sintetiche come quella in carbonio)

Metodi per il rilevamento e la valutazione:

 rilevamento dei segnali, rilevare potenziali cause fra esposizione e danni alla salute

 rinforzo dei segnali (gruppo di esperti): giudizi preliminari e discussione (basati su prove )

 conferme dei segnali: follow-up e ricerche future

 dai segnali all’azione: comunicazione del rischio, future ricerche e misure

Asbestosi
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lavoratore ucraino in fabbrica di amianto, 1992

per molto tempo non si sapeva della pericolosità


del materiale, infatti sia in Italia che in Olanda ci
sono casi di Asbestosi risalenti a decine di anni fa.

l’utilizzo di questo materiale non era solo per


l’industria edilizia ma anche in ambito artistico:

le onde dell’epidemia da amianto:

 prima onda: coloro che lavoravano con il


minerale grezzo, come minatori, scaricatori di
porto e coloro che lavoravano nella manifattura
di prodotti in amianto

 seconda onda: installazione di prodotti in amianto,


chi lavorava nell’isolamento

 terza onda: riparazione, rinnovamento e rimozione


di parti in amianto

 quarta ondata: tutti coloro che vivevano o


lavoravano in fabbricati contenenti amianto

andamento delle curve di comparsa di mesotelioma in


Olanda. In Italia abbiamo una prevalenza di minore di
malattia. Ciò prevalentemente dato dal fatto che in Olanda
avevano un’industria navale che operava molto con questo prodotto. Spot epidemici ci sono anche nelle zone
di Genova e Trieste.

I diversi tassi sono causati di come vengono


considerate le patologie e la loro relazione con il lavoro. dipende tutto dai criteri dei singoli paesi.

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