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FISIOLOGIA

CAPITOLO 1

CELLULE, TESSUTI, ORGANI E SISTEMI


Il corpo umano è una struttura composta da cellule organizzate in una maniera molto ordinata. Le
cellule sono raggruppate in tessuti, che a loro volta formano gli organi. Gli organi funzionano
assieme come sistemi. Nonostante ve ne siano oltre 200 tipi nell’organismo, le cellule possono
essere raggruppate in 4 principali categorie: (1) neuroni, (2) cellule muscolari, (3) cellule epiteliali
e (4) cellule connettivali. I neuroni sono specializzati nella trasmissione di informazioni sotto
forma di segnali elettrici e possiedono delle ramificazioni sia per ricevere che per trasmettere i
segnali. Alcuni neuroni rispondono alla luce o al tatto (sensi), altri inviano segnali ai muscoli e alle
ghiandole endocrine (secrezione) oppure i neuroni dell’encefalo che elaborano le informazioni
permettendoci di pensare, ricordare, pianificare azioni e provare emozioni. Le cellule muscolari (o
fibre muscolari) sono specializzate nel contrarsi e, di conseguenza, sviluppare forza meccanica e
movimento. La flessione di un braccio, l’eiezione del sangue dal cuore e il mescolamento del cibo
nello stomaco sono tutti esempi di cellule muscolari in azione. Le cellule epiteliali si trovano in quei
tessuti chiamati “epiteli”, caratterizzati da uno strato continuo di cellule appiattite posto su un
sottile strato di materiale non – cellulare denominato membrana basale. Tutti gli epiteli sono
costituiti da cellule strettamente connesse le une alle altre a formare una barriera che impedisce
ai materiali presenti ai due lati di mescolarsi liberamente: per questa ragione gli epiteli si trovano
ovunque occorra tenere separati i liquidi corporei dall’ambiente esterno. Alcune cellule epiteliali
formano le ghiandole, organi specializzati nella sintesi e secrezione di un prodotto. Esistono due
tipi di ghiandole: ghiandole esocrine, che secernono un prodotto in un dotto in comunicazione
con l’esterno e ghiandole endocrine, che secernono ormoni, sostanze chimiche che trasmettono
messaggi attraverso il circolo sanguigno. Le cellule connettivali sono quelle più diversificate:
cellule del sangue, cellule ossee, cellule adipose ecc. Con il termine “tessuto connettivo” ci si
riferisce a strutture che formano un sostegno fisico ad altre strutture, mantenerle in una
determinata posizione o collegarle tra loro. Il tessuto connettivo è formato da cellule distanziate
immerse in una massa di materiale non – cellulare detto matrice extracellulare che contiene
proteine e altre molecole: l’elastina che fornisce elasticità e il collagene che fornisce resistenza
alla tensione e allo stiramento sono i costituenti principali della matrice extracellulare. Il tessuto
connettivo comprende anche dei fluidi quali il sangue e la linfa.
Secondo una regola generale, le cellule di un dato tipo tendono a raggrupparsi nell’organismo
assieme a cellule simili. Qualsiasi gruppo di cellule che svolge funzioni simili è definito tessuto.
Quando due o più tessuti si combinano tra loro per svolgere una determinata funzione danno
origine a strutture definite organi. I vari organi sono strutturati in sistemi, ovvero insiemi di organi
che collaborano ad una determinata funzione.
L’OMEOSTASI: UN PRINCIPIO ORGANIZZATIVO FONDAMENTALE DELLA FISIOLOGIA
Data la sensibilità delle nostre cellule ai mutamenti delle condizioni ambientali, com’è possibile che
l’organismo riesca a tollerare le grandi variazioni che si verificano nell’ambiente esterno?
L’organismo possiede una serie di meccanismi regolatori che lavorano per mantenere
relativamente costanti le condizioni dell’ambiente interno. Il mantenimento di una condizione
costante dell’ambiente interno è conosciuto come omeostasi. 9 su 10 sistemi dell’organismo
operano per mantenere l’omeostasi (fa eccezione il sistema riproduttivo, che funziona per
garantire la sopravvivenza della specie e non dell’individuo). Dire che l’ambiente interno viene
regolato per rimanere costante significa che la composizione, la temperatura ed il volume del
liquido extracellulare non cambiano significativamente in condizioni normali.
Controlli a feedback negativo dell’omeostasi:
La maggior parte dei meccanismi di regolazione omeostatica si comporta nello stesso modo: se
una variabile regolata aumenta, il sistema risponde facendola diminuire; se al contrario si riduce, il
sistema risponde provocandone l’aumento. I sistemi che si comportano in questo modo vengono
definiti sistemi a feedback negativo (retroazione negativa). La maggior parte dei meccanismi di
regolazione omeostatica produce degli aggiustamenti soltanto quando esistono delle differenze
tra il valore reale di una variabile regolata e il valore normale “desiderato” chiamato set point
(valore di riferimento). Ogni differenza tra il valore reale e il set point costituisce un segnale di
errore. Per poter funzionare, un meccanismo regolatore omeostatico deve essere in grado di
rilevare le oscillazioni della variabile regolata. Questa capacita è assicurata dall’azione di sensori,
cellule (spesso neuroni) che sono sensibili ai cambiamenti delle variabili in questione. I sensori
inviano segnali detti input che raggiungono un centro integrativo costituito da un circuito di
neuroni situato nell’encefalo, che compara il valore della variabile regolata al set point e organizza
le risposte appropriate. In risposta ai segnali che riceve, il centro integrativo genera segnali di
uscita detti output, diretti a cellule, tessuti o organi coinvolti nella generazione della risposta e che
prendono il nome di effettori.

Oltre ai sistemi a feedback negativo, esistono anche alcuni sistemi a feedback positivo importanti
in fisiologia. Nel feedback positivo, la risposta del sistema va nella stessa direzione del
cambiamento della variabile che l’ha prodotta. Nelle femmine l’ipofisi secerne l’ormone
luteinizzante (LH) che stimola le ovaie a secernere altri ormoni chiamati estrogeni, che regolano la
funzione riproduttiva. Un aumento della concentrazione plasmatica di estrogeni può indurre un
aumento della produzione di LH! Ciò stimola a sua volta la secrezione di estrogeni, che aumenta
ulteriormente la secrezione di LH e così via… Il risultato è un rapidissimo aumento dell’LH
plasmatico conosciuto come picco dell’LH, che innesca l’ovulazione!
CAPITOLO 4
TRASPORTI DI MEMBRANA
Per poter vivere, le nostre cellule hanno bisogno di scambiare sostanze con il liquido che le
circonda. Le membrane biologiche contengono proteine che svolgono una varietà di funzioni,
incluso il trasporto di specifiche molecole attraverso la membrana. Grazie a queste proteine la
composizione dei liquidi intracellulare (ICF) ed extracellulare (ECF) è diversa!
Fattori che influenzano la direzione del trasporto:
Trasporto passivo e trasporto attivo:
Quando l’O2 entra in una cellula o la CO2 esce, le molecole si muovono attraverso la membrana
spontaneamente (la cellula non deve spendere energia perché ciò avvenga). Al contrario, occorre
spendere energia quando le molecole di glucosio vengono trasportate all’interno delle cellule
dell’epitelio intestinale. Il traporto di molecole attraverso una membrana viene chiamato
trasporto attivo se richiede energia, trasporto passivo se non la richiede. La diffusione semplice,
cioè il movimento di una molecola dentro o fuori la cellula a seguito di un suo moto termico, è una
forma di trasporto passivo. Il trasporto attivo è sempre mediato da proteine di trasporto dette
pompe.
I soluti si muovono passivamente da una zona a maggior concentrazione ad una zona a minor
concentrazione, ovvero secondo il gradiente di concentrazione. Per muoversi da una zona a minor
concentrazione ad una a maggior concentrazione è richiesta energia, ovvero contro il gradiente di
concentrazione.
Forze che guidano i trasporti:
Ogni differenza di energia attraverso la membrana agisce come forza che tende a spingere le
molecole in una direzione o nell’altra. La direzione di questa forza è sempre dalla zona a maggior
concentrazione verso quella a concentrazione minore! Le molecole sono influenzate da 3 tipi di
forze: chimiche, elettriche ed elettrochimiche.
1) Forze chimiche: poiché le molecole si muovono spontaneamente secondo un gradiente di
concentrazione, possiamo pensare al gradiente di concentrazione come ad una forza che
“spinge” le molecole in una particolare direzione e pertanto definiamo il gradiente di
concentrazione come una forza chimica la cui direzione è sempre in direzione della caduta
del gradiente stesso. La velocita con cui una sostanza viene trasportata dipende
dall’ampiezza del gradiente di concentrazione ed aumenta all’aumentare del gradiente.
2) Forze elettriche: Il movimento degli ioni è influenzato da forze elettriche oltre che da forze
chimiche. Le forze elettriche originano dalla presenza di un potenziale di membrana, una
differenza di potenziale elettrico (o voltaggio), che esiste tra i due lati della membrana nella
maggior parte delle cellule! Il potenziale di membrana dipende da una diversa distribuzione
di cationi e anioni ai due lati della membrana plasmatica. Nel liquido intracellulare e nel
liquido extracellulare, i cationi e gli anioni sono presenti in numero diverso, per cui questi
ambienti non sono elettricamente neutri! L’ICF contiene un eccesso di anioni, che gli
conferiscono una carica netta negativa. L’ECF contiene un eccesso di cationi, che gli
conferisce una carica netta positiva. Dato che le cariche positive e negative sono distribuite
in maniera diversa tra interno ed esterno della cellula, si dice che esiste una separazione di
cariche ai due lati della membrana. Il potenziale di membrana della cellula riflette questa
separazione di cariche e viene misurato in unità di potenziale elettrico: millivolt (mV). Il
segno del potenziale di membrana (+ o -) viene considerato quello della carica netta
presente all’interno della cellula rispetto all’esterno. Poiché l’interno della cellula è in
genere più negativo dell’esterno, il potenziale di membrana è tipicamente negativo! Il
potenziale di membrana (Vm) della maggior parte delle cellule è circa -70 mV.
3) Forze elettrochimiche: gli ioni si muovono in base alle forze chimiche (gradiente di
concentrazione) e alle forze elettriche (potenziale di membrana). La forza totale che agisce
sugli ioni è la combinazione di queste due forze e prende il nome di forza elettrochimica. Se
entrambe le forze vanno in una direzione allora la forza elettrochimica andrà in quella
stessa direzione. Se le forze vanno in direzione opposte allora la forza elettrochimica agirà
in direzione della forza maggiore tra le due. Poiché la forza elettrochimica è la forza totale
che agisce sugli ioni trasportati, essa determina la direzione con la quale gli ioni si
muoverebbero se venisse loro permesso di attraversare spontaneamente la membrana.
Quando gli ioni vengono trasportati passivamente, si muovono sempre in direzione della
caduta della forza elettrochimica (secondo gradiente elettrochimico). Quando invece sono
trasportati attivamente, si muovono in direzione opposta a quella della forza
elettrochimica (contro gradiente elettrochimico).
Trasporto passivo:
Nel trasporto passivo le molecole si muovono attraverso la membrana secondo il gradiente
chimico o elettrochimico: non è richiesta energia! I tipi di trasporto passivo includono:
1) Diffusione semplice: trasporto passivo di molecole attraverso il bilayer fosfolipidico. Il
movimento di molecole da un punto ad un altro è semplicemente il risultato della loro
agitazione termica. Quando una sostanza viene trasportata passivamente per diffusione
semplice, la velocita del trasporto dipende da 3 fattori: ampiezza della forza motrice,
superficie della membrana e permeabilità della membrana.
2) Diffusione facilitata: trasporto passivo attraverso proteine di membrana. Un carrier è una
proteina transmembrana che lega le molecole da un lato della membrana e le trasporta
dall’altro lato tramite un cambio di conformazione. Un carrier possiede uno o più siti di
legame che riconoscono una sostanza o classi di sostanze. La velocità della diffusione
facilitata dipende da 3 fattori: velocita di trasporto dei singoli carrier, numero di carrier in
membrana e entità del gradiente di concentrazione della sostanza trasportata. Un
aumento di uno di questi fattori si traduce in un incremento della velocita della diffusione
facilitata! La saturazione di un carrier (come quella di un enzima) si verifica poiché un
carrier ha un numero limitato di siti di legame e quando la concentrazione delle molecole
da un lato della membrana è elevata allora tutti i siti saranno occupati! Tuttavia, le cellule
possono regolare la velocità modificando il numero di carrier presenti in membrana. Un
aumento dei carrier aumenta la velocità di trasporto (esattamente come un aumento della
concentrazione dell’enzima aumenta la velocità di una reazione biochimica). Molti ormoni
esercitano la loro azione modificando il numero di molecole di carrier! Un esempio è il
carrier GLUT4: l’insulina incrementa il trasporto di glucosio inducendo l’inserzione dei
GLUT4 in membrana.
3) Diffusione attraverso canali: un canale è una proteina transmembrana che trasporta
molecole attraverso un passaggio detto poro che si estende da un lato all’altro della
membrana. Anche i canali sono specifici per alcune sostanze o classi di sostanze. In
generale, i canali comprendono acquaporine e canali ionici. Sebbene l’acqua possa
attraversare il bilayer fosfolipidico per diffusione semplice, la maggior parte di essa diffonde
tramite le acquaporine, pori altamente selettivi che permettono all’acqua (ma non ai soluti) di
diffondere nelle membrane. Il meccanismo di trasporto di un canale ionico dipende dal tipo
di canale. In alcuni canali il poro sembra essere un condotto pieno d’acqua in cui gli ioni si
muovono per diffusione. In altri canali all’interno del poro sono presenti uno o più siti di
legami per alcuni ioni. La differenza tra un canale con siti di legame e una proteina
trasportatrice è che i siti di legame di un canale sono accessibili da entrambi i lati della
membrana, mentre nei carrier i siti di legame stanno da un solo lato della membrana. La
velocità di movimento degli ioni attraverso i canali dipende dal tipo di canale e dal numero
di canali posti in membrana. La velocità di trasporto può essere regolata. la maggior parte
dei canali ionici possiede 2 conformazioni stabili: stato chiuso, gli ioni non passano
attraverso il canale e stato aperto, gli ioni diffondono nel canale secondo il loro gradiente
elettrochimico. Quindi, la velocita di trasporto dipende dal numero totale di canali nello
stato aperto!
Trasporto attivo:
Alcune cellule spendono anche il 40% della propria produzione di ATP per trasportare attivamente
alcune molecole attraverso la membrana. La produzione di segnali elettrici nei neuroni, la
regolazione della contrazione muscolare, l’assorbimento di acqua e nutrienti nel tratto digerente e
la regolazione dei liquidi corporei da parte dei reni, dipendono direttamente o indirettamente dai
trasporti attivi! Il trasporto di una sostanza contro il gradiente elettrochimico richiede energia.
Esistono 2 tipi di trasporto attivo: il trasporto attivo primario, utilizza direttamente ATP per
trasportare le sostanze e il trasporto attivo secondario, che utilizza l’energia di un gradiente di
concentrazione o elettrochimico che è stato precedentemente formato da un trasporto attivo
primario. Le proteine deputate al trasporto attivo primario vengono dette pompe. Le pompe sono
simili ai carrier, ma possono utilizzare energia per operare il trasporto di molecole
preferenzialmente in una determinata direzione attraverso la membrana. Come i carrier, le pompe
sono specifiche per certe molecole e possiedono un numero fisso di siti di legame.
Trasporto attivo primario: Le proteine di membrana responsabili del trasporto attivo primario
funzionano sia come trasportatori che come enzimi. Infatti sono in grado di utilizzare l’energia
dell’ATP, catalizzandone l’idrolisi e pertanto vengono anche chiamate ATPasi. La pompa Na+\K+
(sodio – potassio ATPasi) genera i segnali elettrici nei neuroni e media l’assorbimento del glucosio
nelle cellule intestinali. La pompa Na+\K+ trasporta 3 ioni Na+ fuori dalla cellula e 2 K+ dentro la
cellula (contro gradiente elettrochimico) tramite l’idrolisi di una molecola di ATP per ogni ciclo.
Grazie alla continua azione della pompa Na+\K+, il liquido intracellulare è ricco di K+ ma povero di
Na+, rispetto al liquido extracellulare. Alcune pompe presenti sulla mucosa gastrica trasportano
H+ verso l’esterno e K+ verso l’interno per creare la secrezione acida dello stomaco ai fini della
digestione. Le pompe del Ca2+ nelle cellule muscolari sono responsabili della contrazione.
Trasporto attivo secondario: nel trasporto attivo secondario una proteina trasportatrice accoppia il
flusso di una sostanza a quello di un’altra. In questo processo, una sostanza si muove secondo il
suo gradiente elettrochimico liberando energia che viene poi utilizzata per far muovere un’altra
sostanza contro il proprio gradiente elettrochimico. Il trasporto accoppiato di due sostanze nella
stessa direzione viene detto simporto (o cotrasporto), e un esempio tipico è il trasporto all’interno
della cellula del glucosio associato al Na+ (simporto Na+\glucosio). In questo caso il Na+, entra
nella cellula muovendosi secondo il proprio gradiente elettrochimico e l’energia rilasciata viene
utilizzata per internalizzare glucosio nella cellula contro il suo gradiente di concentrazione. Il
trasporto di due sostanze in direzione opposta viene detto antiporto (o controtrasporto).
La velocità con cui vengono trasportate attivamente le sostanze dipendono da 2 fattori: velocità di
trasporto delle singole pompe e numero di pompe totali presenti sulla membrana.
Osmosi:
Il fatto che alcune ghiandole possano secernere liquidi come il sudore, le lacrime o la saliva, si basa
sulla capacità di cellule epiteliali specializzate di trasportare acqua attraverso la loro membrana.
Anche quando beviamo si genera un movimento di acqua attraverso le cellule epiteliali che
rivestono il tratto intestinale e ne permettono l’assorbimento e l’immissione in circolo. Questi
movimenti di acqua sono fondamentali perché influenzano il volume e la composizione di tutti i
liquidi corporei. Il trasporto dell’acqua non differisce dagli altri tipi di trasporto che abbiamo
esaminato; anzi, in certi casi è addirittura più semplice poiché le molecole d’acqua passano solo
passivamente, non sono influenzate dal potenziale di membrana e si muovono sempre in base al
loro gradiente di concentrazione. Il flusso di acqua attraverso una membrana secondo il proprio
gradiente di concentrazione viene definito osmosi. La presenza di acqua all’interno di una cellula è
più bassa rispetto all’ambiente esterno.
Osmolarità: la concentrazione totale di particelle di soluti in una soluzione viene dette osmolarità.
Due soluzioni che hanno la stessa osmolarità sono dette isoosmotiche. Di conseguenza, una
soluzione 300 milliosmolare di glucosio è isoosmotica rispetto al liquido intracellulare poiché
entrambe le soluzioni sono 300 milliosmolari. Una soluzione la cui osmolarità è superiore di
un’altra viene detta iperosmotica; una soluzione con minore osmolarità di un’altra è detta
iposmotica. Quando due soluzioni sono isoosmotiche, non solo hanno la stessa concentrazione di
soluti ma anche un’identica concentrazione di acqua!
Pressione osmotica: a volte i fisiologi utilizzano il termine pressione osmotica al posto di
osmolarità poiché entrambi i termini si riferiscono alla stessa cosa: la concentrazione totale dei
soluti di una soluzione. La pressione osmotica di una soluzione è una misura indiretta della
concentrazione dei suoi soluti e viene espressa in unità di pressione (atm, mmHg). All’aumentare
della concentrazione totale di soluti (osmolarità) aumenta la pressione osmotica.

Tonicità: mentre l’osmolarità si basa unicamente sulla concentrazione totale di soluti, la tonicità di
una soluzione è determinata dalla maniera in cui essa influisce sul volume cellulare e ciò non
dipende solo dalla concentrazione dei soluti, ma anche dalla capacità dei soluti di permeare le
membrane cellulari. Una soluzione viene detta isotonica quando non altera il volume cellulare.
Una soluzione che provoca il raggrinzimento delle cellule è ipertonica, mente una soluzione che
provoca il rigonfiamento delle cellule è ipotonica.
Trasporto di materiale all’interno di comparti delimitati da membrana:
Le macromolecole non possono attraversare la membrana neanche con l’aiuto di carrier; quindi
devono essere inglobate in vescicole. Le molecole presenti nell’ECF entrano nelle cellule tramite la
formazione di vescicole, che si originano a livello della membrana plasmatica, dette endosomi,
mediante un processo chiamato endocitosi. Nell’esocitosi, le macromolecole presenti all’interno
delle cellule vengono impacchettate in vescicole secretorie che si fondono con la membrana
rilasciando il contenuto nel liquido interstiziale. Entrambi i processi richiedono energia!
Endocitosi: esistono 3 forme di endocitosi:
1) Fagocitosi: una cellula utilizza un movimento ameboide per estendere la membrana
attorno ad una particella presente nell’ECF; quando la membrana circonda la particella i
due estremi si fondono per formare una vescicola fagocitica detta fagosoma. Una volta
all’interno della cellula, la membrana del fagosoma si fonde con la membrana di un
lisosoma formando il fagolisosoma, che espone la particella all’azione proteolitica degli
enzimi lisosomiali.
2) Pinocitosi: la membrana plasmatica si invagina e i suoi margini si fondono a formare una
vescicola endocitica. Il processo non è specifico e il contenuto della vescicola è composto
da ECF contenente soluti disciolti.
3) Endocitosi medita da recettori: processo simile alla pinocitosi però in questo caso il
processo è altamente specifico! Alcuni recettori riconoscono e legano specifiche sostanze
presenti nell’ECF. La porzione di membrana che formerà la vescicola è rivestita, sul
versante citosolico, da una proteina detta clatrina. L’invaginazione della membrana darà
origine ad una regione chiamata fossetta rivestita. In corrispondenza di questa regione si
forma una vescicola ricoperta da clatrina che conterrà i recettori e le sostanze ad essi legati
da internalizzare. Alla fine del processo le clatrine verranno riciclate e la vescicola si fonde
con il lisosoma formando un endolisosoma. Gli enzimi lisosomiali degraderanno le
sostanze portate dentro la cellula.
Esocitosi: fondamentalmente è il contrario dell’endocitosi: una vescicola all’interno della cellula si
fonde con la membrana plasmatica e libera il suo contenuto nell’ambiente extracellulare.
L’esocitosi coinvolge interazioni complesse tra Calcio e proteine. L’esocitosi ha 3 funzioni: (1)
aggiungere componenti alla membrana, (2) riciclare recettori precedentemente rimossi mediante
endocitosi e (3) secernere specifiche sostanze all’esterno della cellula. L’endocitosi e l’esocitosi
devono svolgersi in modo bilanciato altrimenti le dimensioni della membrana potrebbero
modificarsi!
Trasporto epiteliale: in molti tessuti epiteliali le membrane cellulari funzionano nel trasportare
sostanze attraverso le cellule, da un lato all’altro di uno strato cellulare. Alcuni epiteli sono capaci
di trasportare i materiali dall’esterno verso l’interno (assorbimento) o dall’interno verso l’esterno
(secrezione). Le membrane ai due lati della cellula possiedono sistemi diversi di trasporto e, dato
che le membrane sono diverse sia per struttura che per funzione, le cellule epiteliali vengono
dette cellule polarizzate. In uno strato epiteliale specializzato nell’assorbimento o secrezione, un
lato delle cellule epiteliali è rivolto verso il lume di una cavita corporea. La membrana cellulare
verso il lume viene definita membrana apicale, mentre la membrana dal lato opposto che si
affaccia verso i vasi sanguigni è denominata membrana basolaterale, essa poggia sulla lamina
basale. Le cellule adiacenti di un tessuto epiteliale sono unite da giunzioni strette (tite junction)
che limitano il passaggio di sostanze attraverso lo spazio tra le cellule! Le tite junction sono
importanti per mantenere l’omeostasi e il “grado di adesione” di queste giunzioni varia da organo
a organo. Solo la membrana basolaterale è dotata di pompe Na+\K+ e canali per il K+, mentre la
membrana apicale contiene i simporto Na+\glucosio. Gli epiteli assorbono o secernono acqua
utilizzando in primis il traporto attivo di soluti, cerando un gradiente di pressione osmotica tra le
soluzioni poste ai due lati dello strato cellulare. L’acqua può quindi fluire attraverso l’epitelio per
osmosi. Nella transcitosi le macromolecole attraversano le cellule epiteliali in un processo che
coinvolge sia l’endocitosi che l’esocitosi: una grossa molecola viene internalizzata per endocitosi
ma la vescicola non si fonde con i lisosomi, attraversa dunque tutta la cellula fino a raggiungere il
lato opposto dove si fonde con la membrana e rilascia il suo contenuto per endocitosi.
CAPITOLO 5
MESSAGGERI CHIMICI

Tutte le cellule dell’organismo utilizzano pochi meccanismi per comunicare tra loro. Solo in pochi
casi le cellule sono collegate fisicamente mediante giunzioni comunicanti; nella maggior parte dei
casi le cellule comunicano attraverso i messaggeri chimici.

Comunicazione diretta tramite giunzioni comunicanti:


Le giunzioni comunicanti collegano cellule adiacenti e sono costituite da proteine di membrana
dette connessine, organizzate in strutture dette connessoni. I connessoni formano dei canali che
permettono agli ioni e alle piccole molecole di passare direttamente da una cellula all’altra. Le
giunzioni comunicanti si trovano nel muscolo scheletrico cardiaco e nel muscolo liscio di vari
organi interni (intestino e vasi) dove permettono alle cellule muscolari di contrarsi in maniera
sincrona. Le giunzioni comunicanti permettono ai nutrienti di raggiungere cellule che sono lontane
dal flusso sanguigno (come quelle delle ossa), si trovano anche in alcune ghiandole e tra alcuni
neuroni encefalici e retinici.
Comunicazione indiretta tramite messaggeri chimici:
Più frequentemente, le cellule comunicano attraverso messaggeri chimici, cioè ligandi che si legno
in maniera reversibile alle proteine. La comunicazione tramite messaggeri chimici si verifica
quando una cellula rilascia una sostanza nel liquido interstiziale e un’altra cellula (cellula
bersaglio) risponde alla sostanza chimica secreta. La cellula bersaglio risponde al messaggero
chimico poiché provvista di recettori, che riconoscono e legano la sostanza. Il legame al recettore
produce una risposta nella cellula bersaglio chiamata trasduzione del segnale.
Classificazione funzionale dei messaggeri chimici:
1) Messaggeri paracrini: (fattori di crescita, fattori di coagulazione e citochine) sostanze che
comunicano con cellule vicine. La cellula bersaglio deve essere abbastanza vicina per
essere raggiunta dal messaggero per diffusione semplice. Un esempio di messaggero
paracrino è l’istamina importante nelle reazioni allergiche e infiammatorie che viene
secreta dai mastociti.
2) Messaggeri autocrini: sono simili ai paracrini, tranne per il fatto che agiscono sulla stessa
cellula che li secerne.
3) Neurotrasmettitori: vengono rilasciati nel liquido interstiziale dai terminali assonici dei
neuroni (parte più vicina alla cellula bersaglio). Essendo la connessione tra le due cellule
attraverso sinapsi, la comunicazione mediante neurotrasmettitori viene chiamata
comunicazione sinaptica. La cellula che libera il neurotrasmettitore è il neurone
presinaptico mentre la cellula bersaglio è la cellula postsinaptica (altro neurone, ghiandola
o cellula muscolare). Un esempio di neurotrasmettitore è l’acetilcolina, rilasciata dai
neuroni che provocano la contrazione del muscolo scheletrico.
4) Ormoni: vengono rilasciati da ghiandole endocrine nel liquido interstiziale e poi diffondono
nel sangue. Viaggiano in circolo fino a raggiungere le cellule bersaglio che sono dotate di
recettori specifici così da poter rispondere. Un esempio di ormone è l’insulina, secreta dal
pancreas e agisce sulle cellule bersaglio in tutto l’organismo, regolando il metabolismo
energetico.
5) Neurormoni: secreti da una specifica classe di neuroni chiamati cellule neurosecretrici,
vengono rilasciati nel liquido interstiziale e poi in circolo e si distribuiscono alle cellule
bersaglio nell’organismo. Un esempio di neurormone è l’ADH (vasopressina, ormone
antidiuretico), sintetizzata e secreta da cellule neurosecretrici situate in una regione
dell’encefalo chiamata ipotalamo. L’ ADH raggiunge le sue cellule bersaglio situate nel
rene, dove è in grado di ridurre il volume di urina escreto.
È importante ricordare che un messaggero chimico può essere attribuito a più di una classe: la
serotonina è un neurotrasmettitore quando è rilasciata dai neuroni in certe aree encefaliche, ma è
un agente paracrino quando rilasciata dalle piastrine!

Classificazione chimica dei messaggeri:


1) Messaggeri amminoacidici: 4 amminoacidi sono classificati come messaggeri chimici
poiché funzionano da neurotrasmettitori nell’encefalo e nel midollo spinale: glutammato,
aspartato, glicina e acido gamma-amminobutirrico (GABA).
2) Messaggeri amminici: le ammine comprendono un gruppo di composti chiamati
catecolammine, che comprendono un gruppo catecolico (anello a 6 C) e derivano
dall’amminoacido tirosina. Le catecolammine comprendono la dopamina, la noradrenalina
e l’adrenalina. Altre ammine sono il neurotrasmettitore serotonina (derivato dal
triptofano), gli ormoni tiroidei (derivati dalla tirosina) e il messaggero paracrino istamina
(derivato dall’istidina). La maggior parte delle ammine sono idrofiliche eccetto per gli
ormoni tiroidei.
3) Messaggeri peptidici\proteici: la maggior parte dei messaggeri chimici sono polipeptidi.
4) Messaggeri steroidei: gli steroidi sono una classe di composti derivanti dal colesterolo.
Tutti gli steroidi funzionano come ormoni!
5) Messaggeri eicosanoidi: comprendono tantissimi messaggeri paracrini che sono prodotti
da quasi tutte le cellule dell’organismo. La maggior parte di essi deriva dall’acido
arachidonico (20:4) che si trova in molti fosfolipidi di membrana. Gli eicosanoidi
comprendono le prostaglandine, i leucotrieni e i trombossani.
Trasporto dei messaggeri:
Una volta liberati, i messaggeri devono prima raggiungere e poi legarsi ai recettori della cellula
bersaglio per poter trasmettere il loro segnale. Spesso il messaggero rilasciato da cellule vicine a
quella bersaglio e raggiunge i recettori per semplice diffusione. I messaggeri vengono degradati
rapidamente nel liquido interstiziale e resi inattivi in modo da ridurre il più possibile la diffusione
aspecifica dei segnali. Gli ormoni possono essere trasportati nel sangue per raggiungere la maggior
parte delle cellule dell’organismo sia in forma libera che legati a proteine trasportatrici (carrier).
Per potersi legare ad un recettore l’ormone deve liberarsi dal suo carrier. Alcuni carrier sono
specifici per un particolare ormone: la globulina che lega i corticosteroidi è specifica per il
cortisolo. Altri carrier non sono specifici: l’albumina trasporta diversi tipi di ormoni. Una volta in
circolo, gli ormoni vengono poi degradati. Con il termine emivita si definisce la durata della
persistenza di un ormone in circolo e corrisponde alla metà del tempo che serve per degradarlo.
Meccanismi di trasduzione del segnale:
I messaggeri trasmettono i loro segnali legandosi a recettori che possono trovarsi sulla membrana
plasmatica, nel citosol o nel nucleo. Il legame del messaggero al recettore cambia l’attività di
alcune proteine o stimola la sintesi di nuove proteine. I recettori sono specifici per un determinato
messaggero o una classe di messaggeri: l’adrenalina e la noradrenalina appartengono al gruppo
delle catecolammine e possono legarsi entrambe ai recettori adrenergici. Il legame tra un
messaggero ed il suo recettore costituisce un’interazione chimica veloce e reversibile (simile a
quella enzima – substrato). La forza del legame tra messaggero e recettore viene chiamata
affinità. Come regola generale, l’intensità della risposta di una cellula bersaglio a un messaggero
chimico dipende da 3 fattori: (1) concentrazione del messaggero, (2) numero di recettori presenti
e (3) affinità del recettore per il messaggero. Il numero di recettori posseduti da una cellula
bersaglio può variare in certe circostanze: la condizione di up – regulation, aumento del numero di
recettori rispetto alla condizione normale, si verifica quando le cellule vengono esposte ad una
basa concentrazione di messaggero per un periodo di tempo prolungato. Producendo più
recettori, le cellule bersaglio si adattano alla ridotta concentrazione di messaggero divenendo più
responsive ad esso! La condizione di down – regulation consiste in una riduzione del numero di
recettori che si verifica quando le concentrazioni di messaggero rimangono elevate per molto
tempo. In questo caso, le cellule bersaglio si adattano producendo meno recettori e divenendo
quindi meno responsive al messaggero. Se è vero che le risposte della cellula bersaglio vengono
sempre innescate dal legale tra messaggero e recettore, non è però vero che il legame di una
sostanza ad un recettore induca sempre una risposta. I ligandi che si legano ai recettori
producendo una risposta biologica vengono detti agonisti, mentre quelli che non producono
risposta vengono detti antagonisti. Gli antagonisti possono competere con gli agonisti per il
recettore, diminuendo la probabilità che si instauri un legame agonista – recettore e che si generi
la risposta! Alcuni farmaci sono agonisti o antagonisti artificiali dei vari recettori. La noradrenalina
rilasciata da alcuni neuroni si lega ai recettori alfa – adrenergici provocando vasocostrizione e
aumento della pressione arteriosa. Il farmaco fenilefrina è un alfa – agonista e di conseguenza
esercita effetti simili. Al contrario, la fenossibenzammina è un alfa – antagonista che impedisce
alla noradrenalina di legarsi ai recettori alfa – adrenergici. La fenossibenzammina può esercitare
un’azione antipertensiva bloccando gli effetti della noradrenalina. Infine, alcuni agenti xenobiotici
(anche inquinanti ambientali) sono in grado di “mimare” l’azione di alcuni ormoni.
Trasduzione del segnale mediata da recettori intracellulari:
I recettori per i messaggeri idrofobici si trovano in genere nel citosol o nel nucleo delle cellule
bersaglio e sono facilmente accessibili poiché possono attraversare per semplice diffusione la
membrana plasmatica. Il legame del messaggero al recettore modifica la sintesi di specifiche
proteine. Se un recettore si trova nel nucleo, l’ormone diffonderà fino al nucleo e si legherà al
recettore al suo interno; se il recettore si trova nel citosol allora l’ormone si lega formando il
complesso ormone – recettore che successivamente entrerà nel nucleo. All’interno del nucleo, il
complesso si lega ad una regione di DNA detta HRE (elemento di risposta all’ormone), che si trova
all’inizio di uno specifico gene. Il legame del complesso all’HRE attiva o inattiva il gene e ciò
influisce sulla trascrizione dell’mRNA con conseguenti effetti sulla sintesi proteica. A questo punto
l’mRNA si muove nel citosol e viene tradotto dai ribosomi in proteine.
Trasduzione del segnale mediata da recettori di membrana:
I messaggeri idrofilici non possono attraversare la membrana e pertanto i loro recettori si trovano
sul versante di membrana rivolto verso l’ECF. I recettori per questi messaggeri appartengono a 3
categorie:
1) Recettori - canale: i canali ionici che si aprono o si chiudono in risposta al legame di un
messaggero a un recettore vengono detti canali ligando – dipendenti. Questi canali
rientrano in 2 categorie: (1) canali rapidi, nei quali il recettore ed il canale sono la stessa
proteina e (2) canali lenti, in cui il recettore e il canale sono due proteine separate,
accoppiate tra loro da una proteina G. L’apertura dei canali ionici permette ad uno o più
ioni di muoversi attraverso la membrana secondo gradiente elettrochimico. Il movimento
degli ioni può: (1) modificare le proprietà elettriche della cellula o (2) agire come
messaggero intracellulare inducendo la contrazione muscolare, la secrezione, variazioni nel
metabolismo o modificazioni nel trasporto di una sostanza. Gli ioni che si muovono
attraverso i canali aperti trasportano cariche elettriche che modificano il potenziale di
membrana: l’acetilcolina stimola la contrazione muscolare legandosi a recettori colinergici
nicotinici posti sulle cellule muscolari scheletriche e causando l’apertura dei canali ionici.
Gli ioni Na+ entrano nella cellula muscolare trasportando cariche positive all’interno della
cellula! Come vedremo più avanti, le modificazioni del potenziale di membrana sono
cruciali per la funzione neuronale e muscolare. In altri casi, i canali rapidi svolgono la loro
funzione aumentando la concentrazione intracellulare di Ca2+: a seconda del tipo di cellula
bersaglio, il Ca2+ può scatenare differenti risposte interagendo con proteine intracellulari,
inclusa la contrazione muscolare, la secrezione mediante esocitosi e funzionando
addirittura come “secondo messaggero” ad un recettore! Come secondo messaggero il
Ca2+ modifica l’azione della calmodulina: il complesso Ca2+-calmodulina attiva una
proteina chinasi che fosforila alcune proteine alterandone la struttura e funzione
attraverso una modifica covalente. Il Ca2+ funziona bene come messaggero poiché è
presente in bassa quantità all’interno delle cellule.
2) Recettori – enzima: si tratta di proteine transmembrana, con il lato recettoriale che si
affaccia sul versante extracellulare e la parte enzimatica rivolta verso il citoplasma. La
maggior parte dei recettori – enzima sono delle tirosin – chinasi che catalizzano l’aggiunta
di un gruppo fosfato alle catene laterali della tirosina nella proteina bersaglio. Il
messaggero si lega al recettore che cambia la sua conformazione. Il cambio di
conformazione attiva la tirosin – chinasi che catalizza la fosforilazione di una proteina
intracellulare. La fosforilazione della proteina ne cambia l’attività generando una risposta
nella cellula bersaglio. Un messaggero che utilizza la tirosin – chinasi è l’insulina.
3) Recettori accoppiati a proteine G: questi recettori attivano le proteine G che si trovano sul
versante intracellulare della membrana, dove funzionano da collegamento tra il recettore
accoppiato alla proteina G ed altre proteine di membrana dette proteine effettrici (canali
ionici o enzimi). Le proteine G sono formate da 3 subunità: alfa, beta e gamma. Il sito di
legame per la Guanosina è la subunità alfa. Nello stato inattivo, la proteina G lega il GDP
ma quando un messaggero si lega al recettore accoppiato allora viene rilasciato GDP e si
lega il GTP, in modo che la proteina G diventi attiva! Ora la subunità alfa con il GTP si stacca
dal dimero beta – gamma e va a legarsi alla proteina effettrice causandone un
cambiamento dell’attività. Gli enzimi regolati dalle proteine G sono associati alla
produzione di secondi messaggeri nel citoplasma (cAMP, cGMP, IP3, DAG e Ca2+).
CAPITOLO 6
IL SISTEMA ENDOCRINO

Per le comunicazioni a lunga distanza il nostro organismo dispone di due sistemi: il sistema
endocrino, che comunica lentamente liberando ormoni, e il sistema nervoso, che comunica
rapidamente liberando neurotrasmettitori. Il sistema endocrino è costituito dalle ghiandole
endocrine, che derivano dal tessuto epiteliale e possono essere suddivise in due tipologie: (1)
organi endocrini primari, che secernono ormoni e (2) organi endocrini secondari, per i quali la
secrezione ormonale è secondaria rispetto ad altre funzioni. Alcuni organi endocrini primari si
trovano nel sistema nervoso mentre altri sono situati al di fuori di esso.
Organi endocrini primari:
Ipotalamo e Ipofisi:
L’ipotalamo è una regione encefalica che secerne parecchi ormoni, la maggior parte dei quali
agisce sull’ipofisi (ghiandola pituitaria), struttura avente la dimensione di un pisello collegata
all’ipotalamo da un sottile peduncolo tissutale detto infundibolo. L’ipofisi è suddivisa in due lobi
distinti: adenoipofisi (ipofisi anteriore) e neuroipofisi (ipofisi posteriore). La neuroipofisi contiene
tessuto nervoso costituito dalle terminazioni nervose il cui corpo cellulare si trova nell’ipotalamo.
Queste terminazioni nervose scernono due ormoni peptidici: ADH, sintetizzato nel nucleo
paraventricolare dell’ipotalamo e ossitocina, sintetizzata nel nucleo sopraottico dell’ipotalamo.
L’ADH regola il riassorbimento dell’acqua nei reni, mentre l’ossitocina stimola le contrazioni
uterine e l’eiezione del latte dalle mammelle. L’adenoipofisi e i neuroni dell’ipotalamo che la
controllano secernono gli ormoni trofici (stimolanti o inibenti) che regolano la secrezione di altri
ormoni. L’ipotalamo rilascia un ormone trofico che induce il rilascio di un altro ormone trofico
prodotto dall’adenoipofisi, che a sua volte agisce sul rilascio di un terzo ormone prodotto da
un’altra ghiandola endocrina: solo questo terzo ormone agisce direttamente sulle cellule bersaglio
distribuite nell’organismo! L’ipotalamo e l’adenoipofisi sono connessi mediante il sistema portale
ipotalamo – ipofisario, in cui due letti di capillari sanguigni sono disposti in serie. Dopo che
l’ipotalamo ha secreto gli ormoni trofici nel letto capillare, questi attraversano l’infundibolo
all’interno di una vena portale raggiungendo un secondo letto capillare situato nell’adenoipofisi.
Qui gli ormoni trofici stimolano o inibiscono il rilascio degli ormoni adenoipofisari. I fattori trofici
ipotalamici e gli ormoni adenoipofisari sono:
1) PRH (fattore stimolante il rilascio di prolattina): stimola l’adenoipofisi a secernere
prolattina, che stimola lo sviluppo della ghiandola mammaria e la secrezione del latte nelle
femmine.
2) PIH (fattore inibente il rilascio di prolattina): detta anche dopamina, è una catecolammina
che inibisce la secrezione di prolattina dall’adenoipofisi.
3) TRH (fattore stimolante il rilascio di tireotropina): stimola l’adenoipofisi a rilasciare il THS,
(tireotropina o ormone tiroide – stimolante) che stimola la tiroide a secernere gli ormoni
tiroidei.
4) CRH (fattore stimolante il rilascio di corticotropina): stimola l’adenoipofisi a rilasciare
l’ACTH (corticotropina o ormone adrenocorticotropo) che stimola la corticale del surrene a
secernere altri ormoni.
5) GHRH (fattore stimolante il rilascio di ormone della crescita): stimola l’adenoipofisi a
secernere il GH (ormone della crescita) che regola la crescita ed il metabolismo energetico;
inoltre il GH agisce come ormone trofico stimolando il fegato a secernere IGF (fattori di
crescita insulino – simili).
6) GHIH (fattore inibente il rilascio di ormone della crescita): detto anche somatostatina,
inibisce la secrezione adenoipofisaria del GH.
7) GnRH (fattore stimolante il rilascio di gonadotropine): stimola l’adenoipofisi a secernere
gonadotropine, tra cui l’FSH (ormone follicolo – stimolante), che promuove lo sviluppo
delle cellule uovo e degli spermatozoi e l’LH (luteinizzante) che stimola l’ovulazione nelle
femmine e la secrezione di ormoni sessuali da parte delle gonadi.
La produzione di fattori trofici ipotalamici ed ipofisari è regolata mediante circuiti a feedback. I
fattori trofici prodotti dall’adenoipofisi possono agire mediante circuiti a feedback negativo
sull’ipotalamo per ridurre la loro stessa secrezione. Per esempio: il CRH (fattore di rilascio di
corticotropina) stimola la secrezione adenoipofisaria dell’ACTH (ormone adrenocorticotropo) che,
a sua volta, stimola il rilascio di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali. Quando le
concentrazioni plasmatiche di cortisolo aumentano oltre un certo livello, la regolazione a feedback
negativo provoca una riduzione nel rilascio sia di CRH che di ACTH.
Ghiandola pineale:
La ghiandola pineale (epifisi) si trova nell’encefalo ed è composta da tessuto ghiandolare che
secerne l’ormone melatonina, che stabilisce il ritmo circadiano. La secrezione di melatonina
aumenta durante la notte e si riduce durante il giorno; è stato inoltre osservato che la melatonina
somministrata a scopo terapeutico ha una forte azione ipnogena (stimola il sonno). La melatonina
migliora anche la risposta immunitaria ed inibisce l’attività riproduttiva interferendo con l’attivita
di altri ormoni.
Tiroidi e paratiroidi:
La tiroide è una struttura a forma di farfalla che si trova sulla superficie ventrale della trachea;
secerne la tiroxina (T4) e la calcitonina. La tiroxina regola la velocita del metabolismo corporeo,
mentre la calcitonina regola la concentrazione plasmatica di Calcio. Le 4 ghiandole paratiroidi
sono strutture più piccole, localizzate sulla superficie posteriore della tiroide e secernono
l’ormone paratiroideo (PTH), un importante regolatore della concentrazione plasmatica di Calcio.
Timo:
Il timo è localizzato in prossimità del cuore e secerne l’ormone timosina. il timo è importante per
una normale funzione immunitaria poiché è la sede della maturazione dei linfociti T, che
garantiscono una risposta immunitaria efficacie contro i microrganismi che invadono il nostro
organismo. La timosina regola le funzioni dei linfociti T.
Ghiandole surrenali:
Le ghiandole surrenali sono due piccole formazioni ghiandolari posizionate sulla porzione
superiore di ciascun rene. Ogni ghiandola surrenale è costituita da uno strato esterno definito
corticale (80% della massa ghiandolare) e da uno strato interno definito midollare (20% della
massa ghiandolare).
La corticale del surrene è composta da 3 strati cellulari distinti dall’esterno verso l’interno: (1)
zona glomerulare, (2) zona fascicolata e (3) zona reticolare. La corticale del surrene secerne gli
ormoni adrenocorticoidi, che sono di 3 tipi: (1) mineralcorticoidi (principalmente aldosterone) che
regolano il riassorbimento di Na+ e l’escrezione di K+ nei reni; (2) glucocorticoidi (principalmente
cortisolo) che regolano le risposte dell’organismo allo stress, metabolismo proteico, glucidico e
lipidico e i livelli plasmatici di glucosio; (3) ormoni sessuali (principalmente androgeni) che
regolano la funzione riproduttiva e molti altri processi.

La midollare del surrene contiene cellule cromaffini che secernono catecolammine, di cui l’80% è
rappresentato da adrenalina (epinefrina), il 20% da noradrenalina (norepinefrina) e meno dell’1%
da dopamina. L’adrenalina è secreta nei momenti di stress o di eccitazione nervosa ed incrementa
la frequenza cardiaca e la mobilizzazione delle riserve energetiche.
Pancreas:

Il pancreas svolge funzioni sia endocrine che esocrine.


Il pancreas esocrino è costituito dalle cellule degli acini e dalle cellule dei dotti, che secernono
enzimi e liquidi nel canale digerente.
Il pancreas endocrino è formato da gruppi di cellule definiti isolotti di Langerhans, distribuiti nelle
zone intorno ai dotti. Negli isolotti di Langerhans vengono prodotti: l’insulina (dalle cellule beta) e
il glucagone (dalle cellule alfa). Questi ormoni sono importanti per la regolazione del metabolismo
energetico e della concentrazione plasmatica di glucosio. Negli isolotti di Langerhans vengono
prodotti anche: la somatostatina (cellule delta) che contribuisce alla regolazione della digestione e
dell’assorbimento dei nutrienti e funge da fattore ipotalamico inibente la secrezione del GH da
parte dell’adenoipofisi; e il polipeptide pancreatico (cellule F) la cui funzione non è ancora nota.
Gonadi:
Le gonadi (ovaie e testicoli) producono i gameti (spermatozoi e ovociti) e secernono ormoni
sessuali: nei maschi gli androgeni (testosterone e androstenedione) e nelle femmine gli estrogeni
(estradiolo) e i progestinici (progesterone). Nelle femmine gravide anche la placenta funge da
ghiandola endocrina, producendo estrogeni e progesterone!
Azioni ormonali sulle cellule bersaglio:
Tra i fattori che regolano l’entità della risposta di una cellula bersaglio ad un ormone vi sono: (1) i
tipi di recettori della cellula bersaglio, (2) il meccanismo di trasduzione del segnale e (3) la
concentrazione di ormone libero nel sangue.
Controllo delle concentrazioni plasmatiche ormonali:
La concentrazione di un ormone libero (non legato a proteine) nel sangue dipende da 3 fattori:

1) Velocità di secrezione ormonale: le cellule secretorie e le cellule endocrine rilasciano i


messaggeri chimici a velocità variabile. In genere, le cellule endocrine modificano la
secrezione ormonale in risposta a due tipi di segnali: (1) segnali nervosi e (2) segnali
umorali (trasportati dal sangue), che possono essere stimolatori o inibitori. I segnali nervosi
regolano direttamente la secrezione ormonale tramite l’ipotalamo, la neuroipofisi e la
midollare del surrene, che possono regolare la secrezione di altri ormoni. Per esempio, lo
stress attiva segnali nervosi che stimolano l’ipotalamo a secernere CRH che a sua volta
stimola il rilascio di ACTH dall’adenoipofisi. L’ACTH stimola la corticale del surrene a
secernere cortisolo, un ormone che aiuta l’organismo a combattere lo stress. I segnali
umorali rientrano in 3 categorie: (1) ormoni, (2) ioni e (3) metaboliti.
2) Quantità di ormone legato alle proteine trasportatrici: i messaggeri idrofobici, compresi
gli ormoni steroidei e tiroidei, vengono trasportati in circolo legati ai carrier. Quando gli
ormoni vengono trasportati in questo modo, l’entità dei legami dell’ormone al recettore
dipende solo dalla concentrazione di ormone libero! I carrier aumentano però l’emivita
degli ormoni e quindi essi possono rimanere in circolo più a lungo poiché la velocita di
metabolizzazione è ridotta.
3) Velocità di mobilizzazione dell’ormone: Gli ormoni che si legano ai recettori delle cellule
bersaglio sono metabolizzati dalle cellule bersaglio stesse. Gli ormoni possono anche
essere degradati quando sono ancora in circolo; ad esempio, gli ormoni peptidici possono
essere degradati da enzimi proteolitici circolanti o da enzimi epatici. I prodotti della
degradazione ormonale vengono escreti con le urine assieme ad altri ormoni non
metabolizzati. Per esempio, l’insulina resta in circolo solo 4 – 6 minuti poiché non appena il
sangue passa attraverso il fegato gran parte dell’insulina viene rimossa per endocitosi
mediata da recettore e successivamente viene idrolizzata da enzimi presenti nel
citoplasma. Una parte dell’insulina viene rimossa attraverso i reni mentre la restante parte
ritorna in circolo. Gli ormoni steroidei e tiroidei vengono metabolizzati più lentamente
rispetto ai peptidi e alle ammine poiché: (1) sono liposolubili e (2) sono legati ai carrier; gli
ormoni steroidei possono essere immagazzinati temporaneamente nel tessuto adiposo.
Anomalie nella secrezione ormonale:
Le alterazioni della secrezione ormonale possono avere serie conseguenze! Alcune patologie sono
causate da un eccesso di secrezione ormonale (ipersecrezione), mentre altre sono provocate da
una secrezione ormonale troppo bassa (iposecrezione). L’ipersecrezione causa l’acromegalia, cioè
l’aumentata secrezione del GH negli adulti che causa un ispessimento osseo ed eccessiva crescita
degli organi. L’iposecrezione si verifica nel diabete mellito insulino – dipendente, con insufficiente
secrezione di insulina da parte delle cellule beta pancreatiche.
CAPITOLO 7
IL SISTEMA NERVOSO

Il sistema nervoso può essere diviso in due grandi parti anatomiche:


1) sistema nervoso centrale (SNC): consta nell’encefalo e nel midollo spinale. Elabora
informazioni dagli organi sensoriali e dai visceri per determinare lo stato dell’ambiente
esterno (informazioni sensoriali) e dall’ambiente interno (informazioni viscerali). Il SNC
invia istruzioni ad alcuni organi perché svolgano compiti appropriati. Il SNC è anche la sede
dell’apprendimento, della memoria, delle emozioni, dei pensieri, del linguaggio e di altre
funzioni complesse.
2) il sistema nervoso periferico (SNP): è formato dalle cellule nervose che garantiscono la
comunicazione tra il SNC e gli organi. Si divide in: (1) SNP afferente: le cui cellule
trasmettono informazioni provenienti dagli organi al SNC. Tali informazioni comprendono
le afferenze sensoriali somatiche (provenienti da pelle, muscoli ed articolazioni), afferenze
provenienti dagli organi di senso (visione, udito, equilibrio, olfatto e gusto) ed informazioni
viscerali provenienti dall’ambiente interno (senso di sazietà, pressione e pH del sangue). (2)
SNP efferente: le cui cellule trasmettono informazioni dal SNC ad organi periferici, definiti
organi effettori (ghiandole e muscoli), i quali svolgono funzioni in risposta ai comandi
provenienti dai neuroni. Il SNP efferente può essere ulteriormente diviso in: (1) SN
somatico: formato da cellule nervose dette motoneuroni, che regolano la contrazione dei
muscoli scheletrici. (2) SN autonomo: formato da cellule che regolano la funzione degli
organi interni e di altre strutture quali vasi e ghiandole sudoripare. Il SN autonomo può
essere suddiviso in: (1) parasimpatico e (2) simpatico; i due tendono ad avere effetti
opposti sugli organi. L’organismo possiede anche un SN enterico, che consta in una rete
nervosa situata nel tratto gastrointestinale e funziona indipendentemente dal resto del SN,
ma comunica con il SN autonomo.
Cellule del SN:
Il SN è composto da due principali classi di cellule: neuroni e cellule gliali. Nel SN il neurone
rappresenta l’unita funzionale e sono cellule eccitabili che comunicano trasmettendo impulsi
elettrici. Le cellule eccitabili sono in grado di produrre ampi e rapidi segnali elettrici definiti
potenziali d’azione. Le cellule gliali rappresentano il 90% delle cellule del SN e svolgono funzione
di supporto strutturale e metabolico per i neuroni.
Neuroni:
La maggior parte dei neuroni contiene 3 principali componenti: (1) corpo cellulare (o soma): che
contiene il nucleo e la maggior parte degli organuli cellulari e svolge sintesi proteica e
metabolismo cellulare. Nonostante le cellule nervose abbiano un nucleo, i neuroni maturi perdono
la capacità di dividersi! (2) dendriti: si diramano dal corpo cellulare ricevendo efferenze o
afferenze da altri neuroni a livello di giunzioni specializzate definite sinapsi. Il neurone
presinaptico rilascia un mediatore (neurotrasmettitore) che comunica con un dendrite o con il
corpo cellulare di un neurone postsinaptico. (3) assone (o fibra nervosa): altra diramazione che
parte dal corpo cellulare e che serve per inviare informazioni. Generalmente un neurone possiede
un solo assone, ma gli assoni possono diramarsi e inviare segnali a più cellule. Le diramazioni di un
assone vengono definite collaterali. L’assone serve per la trasmissione delle informazioni, che si
propagano per lunghe distanze sotto forma di segnali elettrici definiti potenziali d’azione, rapide
modificazioni del potenziale di membrana durante le quali l’interno della cellula diviene positivo
rispetto all’esterno. L’inizio e la fine di un assone sono dette, rispettivamente: (1) monticolo
assonico: specializzato nella genesi dei potenziali d’azione. (2) terminale assonico (o bottone
sinaptico) specializzato nel rilascio del neurotrasmettitore all’arrivo del potenziale d’azione.
Ogni regione di un neurone presenta canali ionici specifici. L’apertura o la chiusura dei canali ionici
cambia la permeabilità della membrana cellulare per specifici ioni, generando movimenti ionici
che fanno variare le proprietà elettriche della cellula o fanno rilasciare il neurotrasmettitore. Nelle
membrane dei neuroni vi sono canali ionici passivi, che sono sempre aperti e sono alla base del
mantenimento del potenziale a riposo. I canali ligando – dipendenti sono invece localizzati nei
dendriti e nel corpo cellulare, regioni che ricevono informazioni dai neuroni presinaptici attraverso
i neurotrasmettitori. I canali voltaggio – dipendenti si aprono o si chiudono in risposta a
modificazioni del potenziale di membrana. I canali voltaggio – dipendenti per Na+ e K+ sono
localizzati in tutto il neurone ma soprattutto a livello del monticolo assonico per la genesi e la
propagazione del potenziale d’azione. I canali voltaggio – dipendenti per il Ca2+ sono localizzati nel
terminale assonico, dove si aprono in risposta all’arrivo del potenziale d’azione. Quando questi
canali i aprono, il calcio entra nel citoplasma del terminale assonico, attivando il rilascio del
neurotrasmettitore.
I neuroni possono essere classificati strutturalmente in base al numero di assoni e dendriti che si
propagano dal corpo cellulare. I neuroni bipolari sono neuroni sensoriali (olfattivi e visivi) che
hanno un assone e un dendrite che si dipartono dal corpo cellulare. I neuroni pseudo – unipolari
(neuroni afferenti) sono una sottoclasse di neuroni bipolari; le propaggini che si distaccano dal
corpo cellulare sono rappresentate da un assone e da un dendrite modificato che si dirigono in
direzioni opposte. Il dendrite funziona come un assone e pertanto risulta essere una continuazione
funzionale di esso! Il processo dendritico modificato è detto assone periferico e funziona come un
assone che trasmette potenziali d’azione. Il processo assonico principale è noto come assone
centrale, in quanto termina nel SNC, dove forma sinapsi con altri neuroni. I neuroni multipolari,
che sono i più comuni, hanno proiezioni multiple che si dipartono dal corpo cellulare, la più lunga è
l’assone e tutte le altre sono dendriti. Il 99% dei neuroni dell’organismo sono rappresentati dagli
interneuroni; essi sono localizzati nel SNC dove svolgono l’elaborazione delle informazioni
provenienti dai neuroni afferenti, invio di comandi agli organi effettori attraverso i neuroni
efferenti e partecipazione all’esecuzione di funzioni cerebrali complesse quali pensiero, memoria
ed emotività.

I neuroni sono organizzati in maniera ordinata, in modo che quelli che hanno funzioni simili
tendono ad essere raggruppati insieme. Nel SNC, i corpi cellulari sono spesso raggruppati in nuclei,
e gli assoni viaggiano insieme in fasci chiamati vie, tratti o commessure. Nel SNP, i corpi cellulari
dei neuroni sono raggruppati insieme in gangli e gli assoni viaggiano insieme in fasci detti nervi.
Cellule gliali:
Le cellule gliali (glia=colla) rappresentano il 90% di tutte le cellule del SN e forniscono integrità
strutturale, permettendo ai neuroni di svolgere la loro funzione. Esistono 5 tipi di cellule gliali:
astrociti, cellule ependimali, microglia, oligodendrociti e cellule di Schwann. Le cellule di
Schwann sono le uniche ad essere collocate nel SNP! La principale funzione degli oligodendrociti e
delle cellule di Schwann è quella di formare un avvolgimento di mielina (guaina mielinica) attorno
agli assoni dei neuroni, in modo da isolarli. L’isolamento fa sì che i neuroni trasmettano i potenziali
d’azione in modo più rapido ed efficacie. La mielina è formata da strati concentrici di membrane
cellulari di oligodendrociti o cellule di Schwann. Gli oligodendrociti formano la mielina nel SNC,
mentre le cellule di Schwann formano la mielina nel SNP. Poiché il bilayer fosfolipidico ha bassa
permeabilità agli ioni, i molti strati di membrana che costituiscono la mielina riducono il passaggio
di ioni attraverso la membrana cellulare. Tuttavia, esistono delle interruzioni della guaina mielinica
chiamate nodi di Ranvier, in cui la membrana dell’assone contiene canali voltaggio – dipendenti
per Na+ e K+ che funzionano nella trasmissione dei potenziali d’azione permettendo i movimenti
ionici attraverso l membrana!
Impulsi elettrici e potenziale di membrana:
Genesi del potenziale di membrana a riposo:
Il potenziale di membrana di un neurone a riposo è circa -70 mV. I neuroni comunicano tra loro
generando segnali elettrici costituiti da variazioni del potenziale di membrana. Alcune variazioni di
tali potenziali elettrici innescano il rilascio di un neurotrasmettitore, che trasmette il segnale ad
un’altra cellula. Il potenziale di membrana a riposo dipende da due fattori critici: (1) gradiente di
concentrazione degli ioni (specialmente Na+ e K+) attraverso la membrana e (2) presenza di canali
ionici di membrana. Gli ioni Na+ sono più concentrati all’esterno della cellula, pertanto sono
soggetti ad una forza chimica che gli spinge all’interno. I neuroni hanno gli stessi gradienti ionici
attraverso la membrana cellulare ma, possedendo canali sia per Na+ che per K+, sono permeabili
ad entrambi gli ioni. Tuttavia, a riposo, il numero di canali per il K+ aperti è superiore di quello dei
canali per Na+ aperti, pertanto la membrana risulta 25 volte più permeabile al K+ rispetto all’Na+!
Poiché sia Na+ che K+ si muovono secondo i propri gradienti di concentrazione, il K+ si sposta
all’esterno mentre l’Na+ tenderà ad entrare nella cellula. Il movimento del K+ verso l’esterno sarà
di entità maggiore poiché la membrana è più permeabile ad esso! In queste condizioni si genera
un movimento netto di cariche positive verso l’esterno della cellula che crea un potenziale
endocellulare negativo. Divenendo il potenziale di membrana più negativo, ad un certo punto la
soglia elettrica raggiunta rallenterà il flusso di K+ verso l’esterno, mentre aumenta il flusso di Na+
verso l’interno. Alla fine del processo, i due flussi degli ioni divengono uguali ma con direzione
opposta ed il flusso netto di cariche sarà uguale a zero! A tal punto, il potenziale di membrana si
stabilizzerà intorno ai -70 mV (potenziale a riposo di un neurone). La presenza nella membrana
della pompa Na+\K+ evita che venga annullato il gradiente elettrochimico dei due ioni e quindi che
il potenziale di riposo si azzeri! Normalmente la pompa Na+\K+ estrude più velocemente Na+ di
quanto non internalizzi K+ e per questa serie di motivi viene definita pompa elettrogenica (in
grado sia di generare potenziali d’azione, sia di mantenerli). Anche altri ioni, quale il Cl-, possono
contribuire alla genesi del potenziale di riposo. Ogni ione a cui è permeabile una membrana
cercherà di portare il potenziale di membrana vicino al valore del suo potenziale di equilibrio.
Variazioni del potenziale di membrana:

I segnali elettrici nei neuroni si generano quando, in risposta a stimoli particolari, si aprono o si
chiudono alcuni canali ionici, detti canali con gate. Quando i canali con gate si aprono o si
chiudono cambia la permeabilità della membrana ad alcuni ioni, modificandone il movimento
attraverso di essa. Vi sono 3 tipi di canali con gate: (1) canali voltaggio – dipendenti (elettrici), (2)
canali ligando – dipendenti (chimici) e (3) canali meccano – dipendenti (meccanica). Le variazioni
del potenziale di membrana si descrivono in base all direzione della variazione rispetto al
potenziale di membrana a riposo. Poiché il potenziale a riposo è negativo (-70 mV), un
cambiamento verso valori più negativi è detto iperpolarizzazione, mentre un cambiamento verso
valori più positivi determina una depolarizzazione. La ripolarizzazione si verifica quando il
potenziale di membrana ritorna al valore di riposo dopo una depolarizzazione. I neuroni
comunicano attraverso due tipi di segnali elettrici dati dall’apertura o dalla chiusura dei canali con
gate: (1) potenziali graduati, piccoli segnali elettrici che agiscono a breve distanza e (2) potenziali
d’azione, segnali elettrici più ampi che si propagano per lunghe distanze.
Potenziali graduati:
I potenziali graduati possono essere prodotti da neurotrasmettitori che si legano a recettori posti
sul corpo cellulare o sui dendriti oppure posso generarsi in seguito ad uno stimolo sensoriale
(pressorio, luminoso ecc.) di un neurone afferente. Un potenziale graduato può propagarsi dal
punto di stimolazione per brevi distanze, in quanto è un evento che si attenua con la distanza dal
punto in cui si genera. Quando si genera una variazione di potenziale in un punto specifico della
membrana, questa variazione determina la generazione di una d.d.p. sia nell’ICF che nell’ECF.
Poiché una separazione di cariche crea una forza che determina il movimento delle cariche stesse
(corrente), il potenziale graduato induce la generazione di correnti in questi fluidi. Alcuni potenziali
graduati sono depolarizzanti, mentre altri sono iperpolarizzanti. Per esempio, se un tipo di
neurotrasmettitore, legandosi al recettore, determina l’apertura di canali per Na+ allora
determina l’ingresso di Na+ nella cellula dando origine ad un potenziale graduato depolarizzante. Il
significato principale del potenziale graduato è quello di determinare se un neurone genererà o
meno un potenziale d’azione. I potenziali graduati generano un potenziale d’azione se
depolarizzano la membrana fino ad un valore di potenziale di membrana critico definito valore
soglia, che deve essere raggiunto o superato per generare il potenziale d’azione. I potenziali
graduati che generano depolarizzazioni vengono considerati eccitatori, poiché avvicinano il
potenziale di membrana al valore soglia, mentre potenziali che causano iperpolarizzazione
vengono considerati inibitori, perché allontanano il potenziale di membrana dal valore soglia che
innesca il potenziale d’azione. Se i singoli potenziali graduati (con bassa ampiezza) vengono
sovrapposti, si possono sommare spazialmente o temporalmente. Nella sommazione temporale
gli stimoli si succedono tanto rapidamente che uno stimolo non si estingue prima che arrivi l’altro
e quindi vanno a sommarsi. Nella sommazione spaziale gli effetti degli stimoli provenienti da aree
del neurone vicine danno origine a potenziali graduati che, se contemporanei, si sommano tra
loro.
Potenziali d’azione:
I potenziali d’azione si generano nelle membrane delle cellule eccitabili (nervose e muscolari) in
risposta a potenziali graduati che raggiungono il valore soglia. Durante un potenziale d’azione si
verifica un’ampia e rapida depolarizzazione, durante la quale la polarità del potenziale di
membrana si inverte e, per un breve periodo di tempo, il potenziale di membrana diventa positivo
(passando da -70 a +30 mV). Una volta iniziato, il potenziale d’azione, a differenza del potenziale
graduato, si propaga per tutta la lunghezza dell’assone senza alcun decremento della propria
ampiezza. La genesi del potenziale d’azione si basa sulla permeabilità selettiva della membrana al
Na+ ed al K+ e sui gradienti elettrochimici di questi due ioni a cavallo della membrana. Un
potenziale d’azione in un neurone consta di 3 fasi distinte:

1) Depolarizzazione: il potenziale di membrana passa rapidamente da -70 a +30 mV. La


depolarizzazione è determinata da un brusco aumento della permeabilità al Na+ che
determina un incremento dell’ingresso di questo ione nelle cellule conseguente all’elevato
gradiente elettrochimico.
2) Ripolarizzazione: il valore di +30 mV ritorna al valore di riposo -70 mV. La permeabilità al
K+ aumenta, per cui tale ione fuoriesce dalla cellula secondo il suo gradiente
elettrochimico, ripolarizzando la membrana fino a raggiungere il potenziale di riposo.
3) Iperpolarizzazione postuma: la permeabilità al K+ rimane elevata per un breve periodo
dopo che il potenziale di membrana ha raggiunto il suo valore di riposo. Durante tale
periodo il potenziale di membrana è più negativo del suo valore di riposo (-94 mV).

Ruolo dei canali ionici voltaggio – dipendenti nel potenziale d’azione:


Il modello per spiegare le azioni dei canali voltaggio – dipendenti per Na+ implica l’esistenza nel
canale di due tipi di porte:
1) Porte di attivazione: responsabili dell’apertura dei canali per Na+ durante la fase di
ripolarizzazione.
2) Porte di inattivazione: responsabili della chiusura dei canali per Na+ durante la fase di
ripolarizzazione.

Per l’apertura di un canale per il Na+ è necessario che entrambe le porte siano aperte! Entrambe
le porte si aprono e si chiudono in risposta a modificazioni del potenziale di membrana. L’apertura
delle porte per Na+ è un processo rigenerativo, in quanto genera a sua volta l’apertura di altre
porte di attivazione del Na+. All’inizio la depolarizzazione avvia l’apertura di pochi canali con
conseguente afflusso di Na+ all’interno della cellula; ciò depolarizza la cellula facendo aprire altri
canali per Na+ portando ad un maggiore afflusso di Na+ e ad una maggiore depolarizzazione.
Questo feedback positivo genera una depolarizzazione molto rapida! Il feedback positivo termina
quando le porte di inattivazione del Na+ si chiudono. Il canale del K+, invece, prevede la presenza
di una singola porta, che si apre più lentamente in risposta alla depolarizzazione. Dal momento in
cui la porta di inattivazione del canale per Na+ si chiude, il canale del K+ comincia ad aprirsi
lentamente. Ora il K+ comincia ad uscire dalla cellula e questo movimento di cariche positive
diretto verso l’esterno è uno dei fattori determinanti la ripolarizzazione!
La generazione del potenziale d’azione segue il principio del tutto o nulla! Se una membrana è
depolarizzata fino al valore soglia o oltre, si genera un potenziale d’azione che ha sempre la stessa
ampiezza; se la membrana non è depolarizzata fino al valore soglia, non si genera alcun potenziale
d’azione!
Periodi refrattari:
Durante e immediatamente dopo un potenziale d’azione la membrana è meno eccitabile che a
riposo. Questo periodo di ridotta eccitabilità è detto periodo refrattario, e può essere diviso in
due fasi:
1) Periodo refrattario assoluto: comprende tutta la fase di depolarizzazione rapida e gran
parte della fase della ripolarizzazione del potenziale d’azione. Indipendentemente
dall’intensità di uno stimolo, durante questa fase, un potenziale d’azione non può essere
generato in risposta ad un secondo stimolo! Infatti un secondo potenziale d’azione non si
può generare fin quando la maggior parte dei canali per il Na+ non è ritornata nello stato di
riposo, una situazione che si verifica alla fine della fase di ripolarizzazione.
2) Periodo refrattario relativo: si verifica immediatamente dopo il periodo refrattario
assoluto. Durante questo periodo è possibile generare un nuovo potenziale d’azione, ma
solo in risposta ad uno stimolo più forte di quello necessario a raggiungere il valore soglia!
Il periodo refrattario relativo è dovuto principalmente all’elevata permeabilità al K+, che
continua oltre la fase di ripolarizzazione.
A differenza dei potenziali graduati, i potenziali d’azione non possono sommarsi tra loro a causa
del periodo refrattario assoluto che previene una loro sovrapposizione!
Propagazione dei potenziali d’azione:
Una volta generato, un potenziale d’azione si propaga lungo l’assone, partendo dal monticolo
assonico e giungendo al terminale assonico. Il potenziale d’azione genera gradienti elettrochimici
negli ICF e negli ECF, che avendo una bassa resistenza ai flussi di corrente, permettono alle cariche
positive di muoversi dall’area depolarizzata a quella adiacente, che viene a sua volta depolarizzata.
Il primo potenziale d’azione prodotto nel monticolo assonico genera una corrente che induce un
secondo potenziale d’azione nella zona adiacente della membrana; ciò produce un flusso di
corrente che produce un terzo potenziale d’azione e così via fino a raggiungere il terminale
assonico.

Negli assoni ricoperti da mielina, i potenziali d’azione si propagano grazie ad un tipo di conduzione
elettronica definita conduzione saltatoria. La mielina crea un’elevata resistenza ai movimenti
ionici attraverso la membrana. Nelle fibre mieliniche i potenziali d’azione si generano a livello dei
nodi di Ranvier. A differenza degli assoni amielinici, i potenziali d’azione non si producono dove è
presente la mielina ma il meccanismo è analogo. La separazione di cariche nell’ICF genera un
flusso di corrente da un nodo di Ranvier al successivo. Il salto del potenziale da un nodo all’altro è
il motivo per cui la conduzione negli assoni mielinici viene chiamata conduzione saltatoria.
CAPITOLO 8
TRASMISSIONE SINAPTICA E INTEGRAZIONE NEURONALE

Nel sistema nervoso vi sono due tipi di sinapsi:


1) Sinapsi elettriche: sono presenti tra neuroni e tra neuroni e cellule gliali. A livello di queste
sinapsi le membrane cellulari sono collegate mediante giunzioni comunicanti (gap
junction), in modo tale che un segnale elettrico si possa propagare direttamente ad una
cellula adiacente grazie al flusso di ioni attraverso tali giunzioni. Le sinapsi elettriche
permettono una rapida comunicazione tra neuroni adiacenti, sincronizzandone l’attività
elettrica. Le sinapsi elettriche sono state evidenziate nella retina, in alcune aree della
corteccia e nel tronco dell’encefalo in regioni associate alla regolazione del respiro
(processo ritmico). Anche i neuroni ipotalamici che rilasciano ormoni trofici sono connessi
tramite gap junction a neuroni adiacenti specializzati nello stesso tipo di secrezione.
2) Sinapsi chimiche: Quasi tutti i neuroni comunicano tra loro mediante sinapsi chimiche. Un
neurone secerne un neurotrasmettitore nello spazio extracellulare in risposta ad un
potenziale d’azione; questo va a legarsi ad un recettore di una seconda cellula, dando
luogo ad un segnale elettrico che potrà o meno portare alla generazione di un potenziale
d’azione. Un neurone può formare sinapsi con altri neuroni o con cellule effettrici, come
quelle muscolari o ghiandolari.
Meccanismi di trasduzione del segnale a livello delle sinapsi chimiche:
Il neurotrasmettitore rilasciato dal neurone presinaptico induce una risposta nella cellula
postsinaptica attraverso i meccanismi di trasduzione del segnale. I neurotrasmettitori posso
indurre una risposta veloce o lenta. La risposta veloce si verifica quando un neurotrasmettitore si
lega ad un recettore – canale detto anche recettore ionotropo; tutti i recettori ionotropi sono
canali ionici ligando – dipendenti. Il legame del neurotrasmettitore apre il canale ionico,
permettendo a uno o più tipi di ioni di attraversare la membrana cellulare del neurone
postsinaptico, modificandone il potenziale; questa variazione del potenziale di membrana è rapida
e prende il nome di potenziale postsinaptico. Le risposte lente sono dovute al legame del
neurotrasmettitore a recettori accoppiati alle proteine G; tali recettori sono noti come recettori
metabotropi. Nel SN le proteine G possono innescare l’apertura o la chiusura dei canali ionici, in
relazione al tipo di sinapsi. La proteina G può fungere da connessione tra il recettore che
interagisce col neurotrasmettitore ed il canale ionico o può innescare l’attivazione o l’inibizione di
un sistema di secondi messaggeri che attiva o inibisce l’apertura del canale.
Sinapsi eccitatorie:
Una sinapsi eccitatoria è una sinapsi che porta il potenziale della membrana postsinaptica a valori
più vicini al valore soglia per la genesi di un potenziale d’azione. Questa depolarizzazione è detta
potenziale postsinaptico eccitatorio (o PPSE). I potenziali postsinaptici eccitatori sono potenziali
graduati e sono determinati dal legame del neurotrasmettitore con il proprio recettore
postsinaptico, che aprendosi, permette al Na+ e al K+ di muoversi attraverso la membrana. I
potenziali postsinaptici eccitatori lenti possono essere determinati da vari meccanismi; per
esempio, la chiusura di canali per il K+ mediata da AMP ciclico: (1) il recettore interagisce col
neurotrasmettitore attivando una proteina G, (2) quest’ultima attiva l’enzima adenilato ciclasi che
catalizza la conversione di ATP in cAMP, (3) il cAMP agisce come secondo messaggero attivando la
PKA che trasferisce un fosfato al canale per il K+ determinandone la chiusura. In questo caso il
potenziale di membrana non ritornerà al valore di riposo fin quando i canali del K+ rimarranno
fosforilati: solo quando il cAMP verrà degradato il potenziale di membrana potrà raggiungere
nuovamente il valore di riposo.
Sinapsi inibitorie:
Una sinapsi inibitoria funziona iperpolarizzando il neurone o stabilizzando il potenziale di
membrana al valore di riposo. Quando un neurotrasmettitore causa l’apertura dei canali del K+,
questo fuoriesce dalla cellula, iperpolarizzandola e generando un potenziale postsinaptico
inibitorio (o PPSI).

Integrazione neuronale:
L’attività di una singola sinapsi può influenzare la probabilità di generazione di un potenziale
d’azione, ma di solito non è l’unico fattore determinante. Di solito, infatti, molte sinapsi sono
attivate allo stesso tempo e la probabilità di generare potenziali d’azione dipende dalla
combinazione in ogni istante dei numerosi input che arrivano a livello della membrana del
neurone postsinaptico. Tale fenomeno è noto come integrazione neuronale (o integrazione
sinaptica). L’assone di ogni neurone ha molti collaterali che comunicano con numerosi neuroni,
un’organizzazione detta divergenza. Allo stesso modo, ogni neurone riceve segnali da molti altri
neuroni, un’organizzazione detta convergenza. La somma di PPSE e PPSI è definita integrazione
neuronale ed opera secondo una semplice regola: un potenziale d’azione viene generato solo
quando il potenziale di membrana è depolarizzato fino al valore soglia a livello del monticolo
assonico; se il potenziale di membrana rimane sottosoglia, non si genera alcun potenziale d’azione.

Neurotrasmettitori:
I neurotrasmettitori si dividono in varie classi in base alla loro struttura chimica; essi comprendono
i derivati della colina (l’acetilcolina), le ammine biogene, gli amminoacidi e i neuropeptidi.
Acetilcolina:
L’acetilcolina (ACh) è rilasciata dai neuroni del SNC e del SNP. È il neurotrasmettitore più
abbondante nel SNP, dove è presente nei neuroni efferenti sia della branca somatica che di quella
autonoma. L’ACh è sintetizzata nel citosol dei terminali assonici a partire dall’ acetil – CoA e dalla
colina ad opera dell’enzima colinaciltransferasi (CAT). I neuroni che rilasciano ACh sono detti
neuroni colinergici, ma non sono in grado di sintetizzarla; viene infatti prodotta nel fegato e poi
trasportata dal sangue ai neuroni colinergici che sono in grado di assimilarla per trasporto attivo.
L’ACh è immagazzinata nelle vescicole sinaptiche fin quando un potenziale d’azione non ne
determina il rilascio per esocitosi. Dopo il rilascio l’ACh si va a legare ai recettori colinergici e\o
viene catabolizzata dall’acetilcolinesterasi (AChE) in acetato + colina. I recettori per l’acetilcolina
sono di due tipi: nicotinici e muscarinici. I recettori colinergici nicotinici sono ionotropi e la loro
interazione con l’ACh apre canali per Na+ e K+, determinando la genesi di PPSE nel neurone
postsinaptico. Questi recettori sono situati in molte aree del SNP, comprese le cellule del muscolo
scheletrico (effettrici dei motoneuroni somatici), ma anche in alcune aree del SNC. I recettori
colinergici muscarinici sono recettori metabotropi ed operano attraverso le proteine G. Questi
recettori possono aprire o chiudere i canali ionici oppure attivare degli enzimi. I recettori
muscarinici predominano nel SNC. Gli effetti diversi dell’ACh sui recettori nicotinici e muscarinici
illustrano un importante concetto fisiologico: l’azione di qualsiasi neurotrasmettitore dipende
sempre dal tipo di recettore con il quale esso interagisce e non dalla sua struttura chimica.
Ammine biogene:
Le ammine biogene sono dei neurotrasmettitori derivanti dagli amminoacidi. Le ammine biogene
includono le catecolammine, la serotonina, l’istamina, la dopamina l’adrenalina e la
noradrenalina. Le catecolammine contengono un gruppo catecolico. Analogamente all’ACh, le
ammine biogene sono sintetizzate nel citoplasma del terminale assonico e sono immagazzinate in
vescicole sinaptiche. Dopamina e noradrenalina sono rilasciate dai terminali sinaptici di neuroni
nel SNC anche se la noradrenalina viene rilasciata da alcuni neuroni del SNP. L’adrenalina viene
rilasciata da alcuni neuroni del SNC, anche se essa è secreta specialmente dalla midollare del
surrene in risposta a comandi provenienti da SN simpatico. Le catecolammine si legano a specifici
recettori detti recettori adrenergici appartenenti a due classi: alfa adrenergici e beta adrenergici.
Ciascuna di queste due classi possiede delle sottoclassi: l’adrenalina ha maggiore affinità per i
recettori beta 2 adrenergici mentre la noradrenalina per quelli alfa e per i beta 1 adrenergici. La
dopamina si lega a recettori detti recettori dopaminergici. Le catecolammine producono risposte
sinaptiche lente tramite le proteine G ed il sistema di secondi messaggeri. Inoltre, spesso
funzionano come sostanze autocrine legandosi ad autorecettori presenti sui terminali assonici
delle stesse cellule che li rilasciano, modulando così il rilascio del neurotrasmettitore e regolando
l’ingresso di Ca2+ nel terminale sinaptico in risposta ad un potenziale d’azione. Dopo il rilascio, le
catecolammine sono degradate da due enzimi: le monoamminossidasi (MAO) e le catecol - O –
metiltransferasi (COMT). La serotonina e l’istamina sono ammine biogene ma non appartengono
alla classe delle catecolammine! La serotonina è presente nel SNC e regola il sonno e le emozioni.
L’istamina viene rilasciata da cellule non-neuronali durante le infiammazioni ma può anche
fungere da neurotrasmettitore ed è presente nel SNC (prevalentemente nell’ipotalamo).
Neurotrasmettitori amminoacidici:
Sono i più rappresentati nel SNC. L’aspartato ed il glutammato sono eccitatori, mentre la glicina ed
il GABA sono inibitori. Il glutammato è il più rappresentato e si lega ai recettori: (1) AMPA
producendo un PPSE veloce in seguito all’ingresso di Na+ nella cellula, (2) NMDA aprendo i canali
per il Ca2+ e suo ingresso nella cellula e (3) ai recettori del kainato. Il GABA è il più utilizzato dalle
sinapsi inibitorie del SNC e si lega ai recettori: GABAa aprendo i canali del Cl-, GABAb accoppiati a
proteine G e GABAc situati nella retina dove hanno un ruolo nella trasmissione dei segnali visivi.
Alcuni sedativi, come il Valium, si legano ai recettori GABAa nel SNC, deprimendo l’attività
neuronale.
Purine:

L’ATP sembra essere il neurotrasmettitore principale nel SN enterico (del sistema


gastrointestinale). Esso si lega a recettori presenti sia nel SNC che nel SNP detti recettori
purinergici. Tra questi recettori ricordiamo il P2X attivato sia da ATP che da ADP che è uno
ionotropo il cui canale permette il flusso di Na+ e Ca2+ per la depolarizzazione (eccitatoria). Il P2Y
è metabotropo accoppiato a proteine G. Una volta rilasciati nello spazio sinaptico, i
neurotrasmettitori purinergici possono essere degradati da enzimi detti nucleotidasi o
dall’adenosindeamminasi che scinde l’adenosina.
Neuropeptidi:
Neurotrasmettitori costituiti da brevi catene amminoacidiche. Dopo la sintesi, le vescicole
secretorie contenenti peptidi vengono trasportate nel terminale assonico, dove rimangono
depositate in attesa di essere rilasciate in risposta al potenziale d’azione. Molti neuropeptidi sono
più propriamente considerati ormoni, tra questi: il TRH (fattore di rilascio della tireotropina) che
regola il rilascio dell’ormone TSH (tireotropina); l’ADH che regola il volume urinario; l’ossitocina
che regola le contrazioni uterine e la secrezione lattea; la sostanza P che riduce la motilità
intestinale. Tra i neuropeptidi vi sono gli oppioidi endogeni, che esercitano effetti simili alla
morfina e comprendono le encefaline e le endorfine. L’orexina è un neurotrasmettitore
ipotalamico che regola il ciclo sonno-veglia, stimolando lo stato di veglia. I neuropeptidi spesso
agiscono sui recettori metabotropi modulando la risposta del neurone postsinaptico ad altri
neurotrasmettitori colocalizzati.
Altri neurotrasmettitori:
L’ossido nitrico (NO) è una molecola gassosa con struttura chimica semplice. L’NO neosintetizzato
viene subito rilasciato poiché attraversa facilmente le membrane cellulari. Il suo rilascio è
controllato attraverso la regolazione della sua velocità di sintesi da parte dell’enzima ossido nitrico
sintetasi. Una volta che l’NO ha raggiunto la cellula bersaglio vi entra per diffusione e altera
l’attività di alcune proteine. Gli endocannabinoidi sono una famiglia di molecole prodotte dai
neuroni a partire dai fosfolipidi di membrana. La loro produzione è stimolata dall’aumento dei
livelli di Ca2+ citoplasmatico. Una classe di recettori degli endocannabinoidi nel SNC sono i
recettori CB1 metabotropi. Un farmaco che ha come bersaglio i recettori CB1 è il THC
(tetraidrocannabinolo), principio attivo della cannabis.

CAPITOLO 9
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Si è stimato che il SNC contiene 100 miliardi di neuroni collegati fra loro da 100.000 miliardi di
sinapsi presenti nell’encefalo e nel midollo spinale.
Anatomia generale del SNC:
Il SNC consta dell’encefalo e del midollo spinale ed è protetto da cellule gliali, ossa, tessuto
connettivo e liquido cerebrospinale.
Cellule gliali:

Vi sono 5 tipi di cellule gliali: cellule di Schwann, oligodendrociti, microglia, cellule ependimali e
astrociti. Abbiamo già descritto la funzione di formazione della mielina da parte delle cellule di
Schwann e degli oligodendrociti. Tutte le cellule gliali rilasciano fattori di crescita determinanti
nello sviluppo del SN, e comunicano con i neuroni. Le cellule gliali intervengono in alcune malattie
neurodegenerative come la sclerosi multipla, il morbo di Alzheimer ed il morbo di Parkinson.
Gli astrociti sono le cellule gliali più differenziate e controllano lo sviluppo di speciali capillari che
limitano il movimento di alcune molecole tra sangue e SNC e che prendono il nome di barriera
ematoencefalica. Gli astrociti hanno un ruolo critico nel mantenimento del normale ambiente
extracellulare (regolando la concentrazione di K+) che circonda i neuroni, specialmente a livello
delle sinapsi. Gli astrociti rimuovono alcuni neurotrasmettitori, come il glutammato e le ammine
biogene. Gli astrociti immagazzinano glicogeno, che può essere scisso in lattato; il lattato viene poi
trasportato ai neuroni dove viene utilizzato come fonte energetica nelle aree attive dell’encefalo.
Le cellule della microglia proteggono il SNC dalle sostanze estranee, come i batteri, e dai detriti
cellulari attraverso l’attività fagocitaria ed il rilascio di citochine in modo analogo ai leucociti.
Inoltre, insieme agli astrociti, proteggono i neuroni dallo stress ossidativo.
Supporto fisico del SNC:
Le strutture più esterne che proteggono il delicato tessuto nervoso sono la scatola cranica, che
circonda l’encefalo, e la colonna vertebrale, che circonda il midollo spinale. A proteggere il SNC,
tra il tessuto osseo e quello nervoso, vi sono 3 membrane dette meningi ed il liquido
cerebrospinale, che servono per attutire i traumi indotti da urti improvvisi.
Le meningi sono 3 membrane di connettivo che separano il tessuto molle del SNC dalla struttura
ossea che lo circonda e, dall’esterno verso l’interno sono: (1) la dura madre, costituita da tessuto
fibroso resistente e coriaceo (2) l’aracnoide, membrana a forma di ragno e (3) la pia madre,
costituita da tessuto più tenero e delicato. Mentre di norma non vi è alcuno spazio tra la dura
madre e l’aracnoide, tra l’aracnoide e la pia madre c’è uno spazio definito spazio subaracnoideo,
pieno di liquido cerebrospinale.

Il liquido cerebrospinale (LCS) è un liquido limpido che bagna il SNC con composizione simile al
plasma sanguigno. Non solo questo liquido bagna il SNC ma si insinua anche al suo interno
bagnando i neuroni e riempiendo delle cavità: nell’encefalo 4 cavità chiamate ventricoli; 2
ventricoli laterali a forma di “C” connessi al terzo ventricolo dal forame ventricolare. L’acquedotto
cerebrale connette il terzo ventricolo al quarto ventricolo, che è la continuazione del canale
centrale che percorre tutto il midollo spinale. Il rivestimento interno dei ventricoli e del canale
centrale è composto da particolari cellule gliali dette cellule ependimali. Il rivestimento dei
ventricoli è vascolarizzato e forma un tessuto detto plesso coroideo (pia madre + capillari + cellule
ependimali = plesso coroideo). Il liquido cerebrospinale funge da ammortizzante per prevenire
collisioni tra tessuto nervoso e tessuto osseo; inoltre contribuisce al mantenimento della
composizione ionica all’esterno delle cellule e fornisce i nutrienti alle cellule gliali e ai neuroni.
In condizioni di riposo, il SNC consuma il 20% dell’O2 e il 50% del glucosio! Il SNC è
particolarmente sensibile all’interruzione del flusso ematico poiché necessita di un continuo
apporto di glucosio tramite il sangue che perfonde l’encefalo. Inoltre, il tessuto nervoso è incapace
di utilizzare le reazioni anaerobiche e, pertanto, deve continuamente ricevere ossigeno e glucosio
per rimanere vitale. In condizioni di digiuno il SNC può anche utilizzare i corpi chetonici per
soddisfare i 2\3 del proprio fabbisogno energetico.
La barriera ematoencefalica:
Nel SNC, la maggior parte delle molecole idrofobiche diffonde attraverso le cellule endoteliali dei
capillari come avviene in altri tessuti. Tuttavia, la transcitosi (endocitosi seguita da esocitosi
attraverso l’endotelio) non avviene nelle cellule endoteliali del SNC ed il movimento delle
molecole idrofiliche attraverso le pareti dei capillari è limitato dalla barriera ematoencefalica: una
barriera fisica tra il sangue e l’LCS che rappresenta il liquido interstiziale del SNC. Gli astrociti
stimolano le cellule endoteliali a sviluppare e mantenere le giunzioni strette (tite junction) che non
permettono la formazione di pori capillari e quindi impediscono la diffusione delle molecole
idrofiliche! La barriera ematoencefalica protegge il SNC da sostanze tossiche eventualmente
presenti nel sangue. Poiché il trasporto di sostanze idrofiliche deve essere mediato da
trasportatori specifici, la barriera ematoencefalica è selettivamente permeabile, permettendo solo
ad alcuni composti di attraversarla! Gas e molecole idrofobiche passano poiché diffondono
facilmente nelle membrane (vedi ossigeno ed etanolo). Il glucosio è trasportato attraverso la
barriera ematoencefalica dai carrier GLUT1 (insulino – indipendenti); comunque sui neuroni del
centro ipotalamico per la sazietà sono presenti anche i recettori per l’insulina (ormone della
sazietà); anche sostanze quali la colina e l’acido acetilsalicilico hanno i loro carrier specifici.
Sostanza grigia e sostanza bianca:

Il SNC ha una disposizione molto ordinata dei neuroni. I corpi cellulari, i dendriti e i terminali
assonici formano agglomerati (cluster) che appaiono grigi (sostanza grigia o materia grigia),
mentre gli assoni si raggruppano a formare strutture che appaiono bianche (sostanza bianca o
materia bianca). La materia grigia costituisce il 40% del SNC ed è qui che si realizzano la
trasmissione e l’integrazione neuronale. La materia bianca costituisce il 60% del SNC ed è
costituita dagli assoni mielinici. Gli assoni mielinici sono specializzati nella trasmissione rapida delle
informazioni, che si propagano per lunghe distanze sotto forma di potenziali d’azione. Le cellule
gliali sono presenti sia nella sostanza bianca che in quella grigia. La superficie esterna dell’encefalo
è interamente ricoperta di sostanza grigia e prende il nome di corteccia cerebrale. La sostanza
bianca sta al di sotto di tale strato, ma al suo interno sono incastonate delle strutture di sostanza
grigia definite nuclei sottocorticali. Nel midollo spinale la situazione è invertita: la sostanza bianca
sta all’esterno e quella grigia all’interno! Nella sostanza bianca del SNC, gli assoni (fibre nervose)
sono organizzati in fasci che collegano una regione di sostanza grigia all’altra.
Il midollo spinale:
Il midollo spinale è una struttura di tessuto nervoso di forma cilindrica circondata da colonna
vertebrale. Dl midollo spinale si dipartono, ad intervalli regolari, 31 paia di nervi spinali: 8 paia di
nervi cervicali, 12 paia di nervi toracici, 5 paia di nervi lombari, 5 paia di nervi sacrali ed un
singolo nervo coccigeo. Il midollo spinale si estende solo per i 2\3 della lunghezza della colonna
vertebrale. Infatti, l’ultimo terzo non contiene midollo spinale, ma solo nervi che emergono da
essa! I fasci nervosi in questa regione ricordano la coda di un cavallo, perciò questo tratto è noto
come cauda equina. La sostanza grigia del midollo spinale è localizzata in un’area interna a forma
di farfalla, mentre la sostanza bianca è localizzata intorno alla grigia. La sostanza grigia del midollo
spinale comprende un corno dorsale, che comprende la metà dorsale (posteriore) della sostanza
grigia ed un corno ventrale, che comprende la metà ventrale (anteriore) in ogni lato. Le fibre
afferenti originano dalla periferia come recettori sensoriali e terminano nel cono dorsale, dove
formano sinapsi con interneuroni o direttamente con neuroni efferenti. I corpi cellulari dei neuroni
afferenti sono localizzati all’esterno del midollo spinale, raggruppati in gangli delle radici dorsali. I
corpi cellulari dei neuroni efferenti, invece, sono localizzai all’interno del midollo spinale, originano
nel corno ventrale e si dirigono verso la periferia dove formano sinapsi con le fibre muscolari
scheletriche. La sostanza bianca del midollo spinale è formata da fasci che forniscono una
comunicazione tra diversi livelli del midollo spinale o tra midollo ed encefalo: (1) fasci ascendenti,
trasmettono informazioni dal midollo all’encefalo e (2) fasci discendenti, trasmettono
informazioni dall’encefalo al midollo. Tutti questi fasci sono bilaterali, cioè sono presenti in
entrambi i lati del midollo spinale. Quando i neuroni afferenti sono attivati da stimoli che agiscono
su recettori sensoriali, i potenziali d’azione generati dal recettore viaggiano lungo una fibra
nervosa dal recettore al terminale assonico, posto nel corno dorsale del midollo spinale; il
terminale assonico rilascia il neurotrasmettitore che trasmette il segnale ad un interneurone o ad
un neurone efferente. Alcuni di questi interneuroni formano fasci ascendenti che trasmettono
informazioni all’encefalo, in modo da permettere la percezione degli stimoli! Invece, segnali
provenienti dall’encefalo viaggiano attraverso fasci discendenti verso i neuroni efferenti nel corno
ventrale: quando si muove un dito, il cervello trasmette comandi attraverso fibre discendenti ai
neuroni efferenti che controllano i muscoli scheletrici che determinano il movimento del dito!
L’encefalo:

L’encefalo consta di 3 parti principali:


1) Prosencefalo: la parte più ampia e rostrale, è diviso nei due emisferi (destro e sinistro);
esso consta del cervello e del diencefalo. Il cervello è un’ampia struttura a forma di “C”
contenente sostanza bianca e sostanza grigia. Le aree di sostanza grigia comprendono la
corteccia cerebrale e i nuclei sottocorticali. Il diencefalo comprende il talamo e l’ipotalamo,
localizzati alla base del prosencefalo, contenenti molti piccoli nuclei.
2) Cervelletto: si trova inferiormente rispetto al prosencefalo e dorsalmente rispetto al tronco
encefalico. Esso svolge funzioni di controllo dell’attività motoria e nel mantenimento
dell’equilibrio, fornendo feedback importanti nella coordinazione motoria e nei movimenti
degli occhi.
3) Tronco encefalico: porzione più caudale dell’encefalo; esso connette il prosencefalo ed il
cervelletto al midollo spinale. Il tronco encefalico consta di 3 porzioni principali: (1)
mesencefalo, porzione più rostrale che collega il tronco encefalico al prosencefalo, (2)
ponte, porzione mediana che si collega al cervelletto e (3) midollo allungato (o bulbo),
porzione più caudale che si connette al midollo spinale. All’interno del tronco encefalico
originano 10 delle 12 paia di nervi cranici: nervi periferici che si propagano direttamente
dall’encefalo e non dal midollo spinale! All’interno del tronco encefalico c’è la formazione
reticolare che controlla i cicli sonno – veglia, l’eccitazione corticale e lo stato di coscienza.
Inoltre interviene nella regolazione di funzioni involontarie quali la funzione
cardiovascolare e la digestione.

Cervello:
Corteccia cerebrale:
Porzione più esterna del cervello e consta di uno strato sottile ed altamente convoluto di materia
grigia. Le circonvoluzioni originano solchi (invaginazioni) e giri (creste) che permettono all’ampio
volume di sostanza grigia di essere contenuto nella scatola cranica. La corteccia svolge le funzioni
più elevate ed evolute: percezione dell’ambiente circostante, formulazione del pensiero,
esperienza emozionale, ricordi ecc. Inoltre rappresenta l’area da cui partono tutti i comandi per
l’esecuzione dei movimenti.
Ciascun emisfero cerebrale è diviso in 4 regioni note come lobi: (1) lobo frontale, parte anteriore,
(2) lobo parietale, posteriore a quello frontale. (questi due lobi sono separati dal solco centrale).
(3) lobo occipitale, posteriore ed inferiore al lobo parietale e (4) lobo temporale, inferiore ai lobi
frontale e parietale. (il lobo temporale è separato dal lobo frontale dal solco laterale detto anche
scissura di Silvio). Aree specializzate: Il lobo occipitale è anche noto come corteccia visiva; nel lobo
temporale è situata la corteccia uditiva; nel lobo parietale è situata la corteccia somatosensoriale
primaria (dolore, tatto, temperatura, tensione muscolare, posizione degli arti ecc.). Il lobo frontale
contiene la corteccia motoria primaria (movimenti volontari) e aree implicate nel linguaggio,
progettazione di compiti motori e della personalità. Finora abbiamo discusso della corteccia come
se ciascuna area svolgesse una specifica funzione, ma non è cosi! Infatti esistono delle aree
associative, implicate nell’integrazione di differenti tipi di informazioni.
Lateralizzazione cerebrale:

La divisione del cervello nei due emisferi è funzionale, oltre che anatomica. La lateralizzazione
cerebrale non è assoluta: non in tutte le persone lo stesso emisfero è dominante per una
particolare funzione! L’emisfero destro controlla i movimenti del lato sinistro del corpo e
l’emisfero sinistro controlla i movimenti del lato destro del corpo. Nel 90% della popolazione
l’emisfero sinistro è dominante per i movimenti della mano e pertanto il 90% della popolazione è
destrorsa! Il 95% della popolazione ha nell’emisfero sinistro la dominanza del linguaggio.
L’emisfero destro è coinvolto nell’attività motoria del lato sinistro, nell’orientamento spaziale,
nella creatività, nell’intuizione e nella sensibilità musicale. L’emisfero sinistro invece è coinvolto
nell’attività motoria del lato destro del corpo, nei processi logici ed analitici, nelle abilità
matematiche e nel linguaggio.

Nuclei sottocorticali:
Regioni di sostanza grigia localizzate all’interno del cervello. Tra i più importanti ricordiamo i gangli
della base (o nuclei della base) che includono il nucleo caudato, il globo pallido ed il putamen. I
gangli della base sono delle strutture importanti per il controllo dei movimenti.
Diencefalo:
Il diencefalo è localizzato al di sotto del cervello e comprende due strutture mediane:
1) Talamo: si tratta di un aggregato di nuclei sottocorticali localizzato nel diencefalo. La
maggior parte dei segnali sensoriali è filtrata e modificata nel talamo prima di essere
trasmessa alla corteccia cerebrale. Il talamo svolge anche un ruolo nel controllo dei
movimenti.
2) Ipotalamo: localizzato inferiormente al talamo ed è importante nella regolazione
dell’omeostasi. Rappresenta il principale centro di collegamento tra i due sistemi di
comunicazione del corpo: endocrino e nervoso. In risposta a segnali nervosi o ormonali,
l’ipotalamo rilascia ormoni che regolano il rilascio di altri ormoni dall’adenoipofisi (ipofisi
anteriore), oppure controlla il rilascio di ormoni dalla neuroipofisi (ipofisi posteriore) inclusi
l’ADH e l’ossitocina. L’ipotalamo regola il comportamento alimentare (sazietà, fame, sete,)
e, essendo parte del sistema limbico, influenza le emozioni ed i comportamenti che da
esse dipendono. Le emozioni possono influenzare funzioni cardiovascolari, respiratorie e
digestive attraverso segnali ipotalamici diretti ai centri di controllo nel tronco encefalico.
Infine, l’ipotalamo regola la temperatura corporea coinvolgendo il sistema nervoso
autonomo.
Sistema limbico:
Formato da un insieme di regioni corticali, nuclei sottocorticali e tratti del prosencefalo
strettamente associati fra loro, coinvolti nelle emozioni, nella memoria e nella motivazione. Esso
include: l’amigdala, l’ippocampo, il fornice ed i giri (cingolato e paraippocampale) della corteccia
cerebrale, alcune parti dei nuclei della base e della corteccia prefrontale, del talamo e
dell’ipotalamo. Una delle regioni più antiche dell’encefalo è l’amigdala, coinvolta nelle funzioni
relative all’aggressività e alla paura. L’ippocampo è coinvolto nell’apprendimento e nella memoria.
Funzioni integrate del SNC:
I riflessi:
Il riflesso rappresenta una risposta automatica ad uno stimolo sensoriale. I riflessi possono essere
suddivisi in 4 gruppi, ciascuno dei quali contiene due classi:
1) Riflessi spinali o cranici: il livello di integrazione si realizza nel midollo spinale; in quelli
cranici è richiesto un coinvolgimento dell’encefalo.
2) Riflessi somatici o autonomi (neurovegetativi): in relazione alla via nervosa efferente. I
riflessi somatici coinvolgono segnali inviati attraverso i neuroni somatici ai muscoli
scheletrici; i riflessi del sistema nervoso neurovegetativo (autonomi) si realizzano tramite
segnali inviati attraverso i neuroni vegetativi alle cellule muscolari lisce, a quelle cardiache
o alle ghiandole.
3) Riflessi innati o condizionati (appresi): tutte le persone normali hanno riflessi innati, cioè
dalla nascita. I riflessi condizionati cambiano invece da persona a persona, a seconda delle
diverse esperienze.
4) Riflessi monosinaptici o polisinaptici: nei monosinaptici la via nervosa consta di due
neuroni ed una sinapsi; in quelli polisinaptici ci sono più di due neuroni e più di una sinapsi.
La via riflessa più semplice si chiama arco riflesso e consta di 5 componenti: (1) un recettore
sensoriale, (2) un neurone afferente, (3) un centro integratore, (4) un neurone efferente e (5) un
organo effettore. Il recettore viene stimolato e l’informazione viene tramessa al SNC (centro di
integrazione) dal neurone afferente. Il SNC, tramite un neurone efferente, trasmette lo stimolo
all’organo effettore che produrrà una risposta specifica.
Riflesso da stiramento:
Il riflesso da stiramento è l’unico riflesso monosinaptico presente nell’organismo umano. Il
recettore coinvolto è il fuso neuromuscolare, presente nei muscoli scheletrici, che risponde agli
stiramenti muscolari. Nel riflesso patellare, colpendo il tendine rotuleo al disotto del ginocchio, si
determina uno stiramento del muscolo quadricipite femorale che eccita i fusi neuromuscolari in
esso contenuti, generando potenziali d’azione nei neuroni afferenti al midollo spinale (centro di
integrazione). I neuroni afferenti nel midollo spinale stabiliscono connessioni eccitatorie dirette
con neuroni efferenti che innervano il quadricipite femorale, determinandone la contrazione e
producendo l’estensione della gamba.
Riflesso flessorio (di allontanamento) e riflesso flessorio crociato:
Quando un arto è sottoposto ad uno stimolo dolorifico, vi è una retrazione dell’arto interessato
attraverso una risposta automatica detta riflesso flessorio (di allontanamento). Quando si pesta
un chiodo, lo stimolo dolorifico è percepito in quanto attiva recettori specifici detti nocicettori,
che rispondono agli stimoli dannosi per i tessuti. I neuroni afferenti dai nocicettori trasmettono
l’informazione al midollo spinale, dove stabiliscono sinapsi eccitatorie con interneuroni che
eccitano altri neuroni efferenti che innervano i muscoli scheletrici; la contrazione quindi provoca
l’allontanamento dell’arto!
Quando uno stimolo dolorifico evoca il riflesso flessorio (di allontanamento), esso evoca un
secondo riflesso detto riflesso estensorio crociato, che permette di mantenere la posizione
ortostatica. I neuroni afferenti dai nocicettori inviano comandi, attraverso interneuroni, ai neuroni
efferenti che controllano i muscoli dell’arto controlaterale. Questi segnali fanno contrarre i
muscoli estensori ed il rilascio dei flessori nell’arto controlaterale, in modo tale che quando un
arto si flette in seguito ad uno stimolo doloroso, l’arto controlaterale si estende per mantenere la
stazione eretta.
Riflesso pupillare alla luce:
Il riflesso pupillare alla luce è un riflesso cranico autonomo nella quale lo stimolo è la luce che
colpisce l’occhio, attivando fotorecettori retinici e quindi i neuroni che trasmettono segnali ad
aree del mesencefalo nel tronco encefalico. Queste aree funzionano da centri integrativi e qui
vengono attivati neuroni efferenti autonomi che innervano le cellule muscolari lisce che
circondano le due pupille. Si determina così una riduzione del diametro delle pupille di entrambi
gli occhi (anche se era stato illuminato un occhio solo!).
Il controllo dei movimenti volontari:
La corretta esecuzione di un movimento volontario richiede l’integrazione di 4 componenti: (1)
ideazione del movimento (2) realizzazione del programma motorio per l’esecuzione del
movimento, (3) esecuzione del movimento coinvolgendo i muscoli giusti al momento giusto e (4)
presenza di meccanismi di controllo a feedback costanti per assicurarsi che il movimento sia svolto
in maniera corretta ed efficacie.
L’esecuzione di comandi motori richiede l’attivazione di neuroni efferenti che innervano i muscoli
scheletrici. Questi neuroni efferenti sono nel corno ventrale del midollo spinale e sono chiamati
motoneuroni. I motoneuroni sono gli unici neuroni che controllano la contrazione dei muscoli
scheletrici! Prenderemo ora in esame due vie discendenti importanti nel controllo dei movimenti
volontari:

1) Tratti piramidali: sono vie dirette dalla corteccia motoria primaria al midollo spinale. Gli
assoni dei neuroni che danno origine a questi tratti terminano nel corno ventrale del
midollo e sono chiamati motoneuroni superiori. I tratti piramidali sono coinvolti nel
controllo dei movimenti fini e precisi delle estremità distali degli arti (avambracci, mani e
dita).
2) Tratti extrapiramidali: includono tute le vie motorie al di fuori del sistema piramidale.
Queste vie formano connessioni indirette tra encefalo e midollo spinale; quindi i neuroni
dei tratti extrapiramidali non formano sinapsi dirette con i motoneuroni! Le influenze dei
tratti extrapiramidali si esercitano sui muscoli del tronco, del collo e delle porzioni
prossimali agli arti (postura ed equilibrio).
Il ruolo del cervelletto nella coordinazione motoria:
Il cervelletto agisce come un “sistema di guida” per i movimenti. Il cervelletto riceve informazioni
dalla corteccia riguardo ai movimenti programmati e viene costantemente informato su come i
movimenti vengono realmente svolti. Il cervelletto riceve afferenze dalle aree corticali
sensomotorie della corteccia e informazioni sensoriali da tutte le aree del corpo. Esso, a sua volta
invia segnali alla corteccia attraverso il talamo, in modo tale da poter modificare le sue efferenze
al fine di compiere adeguatamente il compito motorio programmato. Una persona con un danno
cerebrale mantiene la capacità di compiere movimenti volontari, ma questi risultano imprecisi e
mal svolti. Altre caratteristiche del danno cerebrale sono il tremore intenzionale e i movimenti
oscillanti del corpo.

Il linguaggio:
Due aree corticali associative, normalmente localizzate nell’emisfero sinistro, sono
completamente deputate al linguaggio:
1) Area di Wernicke: localizzata nella parte posteriore e superiore del lobo temporale e nel
lobo parietale inferiore. Area coinvolta nella comprensione del linguaggio.
2) Area di Broca: localizzata nel lobo frontale. Area coinvolta nella capacita di parlare e
scrivere.

Danni a queste aree producono afasia, o disfunzione del linguaggio, ma le caratteristiche


dell’afasia differiscono tra loro in base all’area corticale danneggiata: danni all’Area di
Wernicke produce afasia ricettiva, con difficolta di comprensione del linguaggio sia udito che
scritto. Danni all’Area di Broca producono un’afasia espressiva, e gli individui comprendono e
sanno quello che vogliono dire ma non sono in grado di parlare e scrivere correttamente.
Il sonno:
Alcuni ricercatori ritengono che la funzione del sonno sia prevalentemente di ristoro, per
permettere all’organismo di recuperare le energie spese durante l’attività diurna. Alcuni pensano
che il sonno si sia evoluto perché sognare è utile, ad esempio, per ripetere mentalmente e definire
comportamenti adattativi che potrebbero servire in situazioni di pericolo senza attuarli realmente
(ad esempio fuggire dai predatori). Altri ancora credono che sognare possa facilitare
l’immagazzinamento nella memoria a lungo termine delle informazioni recepite durante la veglia.
Il sonno, inoltre, potrebbe essere implicato nei meccanismi di difesa immunitaria, infatti gli animali
privati del sonno per un lungo periodo sono più suscettibili alle infezioni. Grazie a studi di
elettroencefalografia sono stati individuati due tipi di sonno:

1) SWS (sonno a onde lente): una persona può pensare e sognare ma i pensieri sono logici e
con minor contenuto emozionale. I sogni durante l’SWS sono poco dettagliati e spesso
comprendono sensazioni e vaghe immagini; in tale periodo di sonno si può russare.
2) REM: i muscoli posturali perdono tono, mentre i muscoli facciali e degli occhi diventano
attivi in modo fasico ed il russare si arresta. Nel sonno REM c’è un aumento dell’attività
encefalica tranne che nel sistema limbico! I sogni durante questa fase sono più elaborati ed
intensi, sono generalmente molto articolati e si possono avere gli incubi. L’anestesia ed il
coma, a differenza del sonno, rappresentano uno stato di repressa attività del SNC.
Il corpo umano alterna periodi di veglia a periodi di sonno, completando il ciclo sonno-veglia in 24
ore. Altre funzioni dell’organismo, come la temperatura corporea, variano col ciclo sonno-veglia.
Certe aree dell’encefalo sono implicate nella regolazione del sonno e della veglia. Una di queste
aree è la formazione reticolare del tronco encefalico, zona critica nel mantenere lo stato di veglia.
Neurotrasmettitori associati allo stato di veglia sono l’adrenalina, la dopamina e l’acetilcolina. In
un’altra area coinvolta nello stato di veglia, l’ipotalamo, i neurotrasmettitori comprendono
l’istamina e l’orexina.

Emozioni e motivazione:
Le emozioni coinvolgono molte aree dell’encefalo tar cui la corteccia, il sistema limbico e
l’ipotalamo. Le “risposte emozionali” comprendono risposte del sistema nervoso autonomo, del
sistema motorio e della secrezione ormonale. L’amigdala gioca un ruolo fondamentale nella paura
e nell’ansia; l’ipotalamo è associato con i sentimenti di rabbia e aggressività. L’emisfero destro e
quello sinistro hanno ruoli differenti per quanto riguarda le emozioni. L’emisfero sinistro è
associato alle emozioni positive, mentre quello destro alle emozioni negative. Strettamente
associata alle emozioni è la motivazione, l’impulso che guida le nostre azioni. Il piacere è
un’emozione che da forti motivazioni: nell’encefalo sono presenti i centri del piacere che possono
essere attivati da stimoli differenti; per esempio, l’euforia data dall’uso di droghe o alcol è dovuta
all’azione di questi sui centri del piacere, attivando il sistema dopaminergico.
Apprendimento e memoria:
1) Apprendimento: acquisizione di nuove informazioni ed esperienze. L’apprendimento
associativo richiede la capacità di collegare due o più stimoli. L’apprendimento non
associativo si realizza in risposta a stimoli ripetuti ed include i processi di abitudine e
sensibilizzazione.
2) Memoria: consolidamento di tali informazioni, esperienze o pensieri. La memoria
procedurale è la memoria delle capacità motorie e dei comportamenti appresi e
comprende l’utilizzo del cervelletto, dei nuclei della base e del ponte. La memoria
dichiarativa rappresenta la memoria delle esperienze apprese ed è più associata all’uso
comune del termine “memoria”. Questo tipo di memoria coinvolge l’ippocampo. La
memoria si realizza a due livelli: (1) memoria a breve termine, immagazzinamento
temporaneo di un concetto per pochi secondi o poche ore; (2) memoria a lungo termine,
che può durare anni o per l’intera vita. La memoria è un processo complesso che coinvolge
quasi tutte le aree encefaliche. Il lobo frontale ha un ruolo cruciale nella memoria a breve
termine, il lobo temporale (incluso l’ippocampo) è necessario per quella a lungo termine.
Plasticità del sistema nervoso:

Il SN possiede la capacità’ di modificare alcuni dei suoi aspetti anatomici e funzionali in risposta a
modificazioni dell’intensità dell’attività neuronale. Recenti studi dimostrano che il nostro encefalo
può sviluppare nuovi neuroni in alcune aree coinvolte nei processi mnemonici. La ripetizione di
stimoli di tipo eccitatorio attiva con maggiore probabilità potenziali d’azione nella cellula
postsinaptica tramite un meccanismo definito potenziamento a lungo termine (LTP). L’LTP è
ritenuto un fenomeno importante per la memoria a lungo termine, in quanto fornisce il
meccanismo con il quale un’attività ripetitiva in una catena neuronale può condurre ad una
maggiore memorizzazione di un ricordo una volta che l’attività sinaptica è cessata!
CAPITOLO 10
SISTEMI SENSORIALI

La porzione afferente del SN periferico trasmette informazioni dalla periferia al SNC. Le


informazioni sono raccolte da recettori sensoriali che rispondono a stimoli specifici. Alcuni
recettori vengono eccitati da segnali esterni, altri vengono eccitati da stimoli provenienti
dall’interno e prendono il nome di recettori viscerali. I recettori viscerali trasmettono informazioni
al SNC tramite una categoria di neuroni afferenti detti afferenze viscerali: per esempio, i
chemiocettori delle pareti dei vasi ematici che monitorano la concentrazione di O2 e di CO2
sanguigna, i barocettori che rivelano la pressione ematica e i meccanocettori del tratto intestinale
sensibili alla distensione della parete intestinale. I sistemi sensoriali in grado di percepire
l’ambiente esterno includono il sistema somatosensoriale ed alcuni sistemi sensoriali specifici. Il
sistema somatosensoriale percepisce sensazioni derivanti dai recettori cutanei (sensazioni
somestesiche) e per la propriocezione, cioè la percezione della posizione degli arti nello spazio,
tramite recettori cutanei, muscolari ed articolari. I sistemi sensoriali specifici sono necessari per i
sensi speciali, quali vista, udito, senso dell’equilibrio, gusto e olfatto.
Fisiologia dei recettori:
La forma di energia di uno stimolo in grado di eccitare un recettore sensoriale è definita modalità
(onde sonore, luminosità, pressione, temperatura e sostanze chimiche). La legge delle energie
nervose specifiche dice che un recettore sensoriale è specifico per una forma di energia: i
fotorecettori rilevano le onde luminose ma non quelle acustiche! La modalità alla quale risponde
un recettore è detta stimolo adeguato. La funzione dei recettori è la trasduzione, cioè la
conversione di una forma di energia in un’altra: nella trasduzione sensoriale i recettori convertono
l’energia tramite modificazioni del potenziale di membrana definite potenziali di recettore (o
potenziali generatori). I recettori sensoriali sono di due tipi: (1) in un caso il recettore è situato
all’estremità periferica di un neurone afferente che, se si depolarizza fino al valore soglia, si avrà
un potenziale d’azione che si propaga fino al SNC trasmettendo le informazioni riguardanti lo
stimolo. (2) in un altro caso, il recettore è una cellula che comunica attraverso una sinapsi chimica
con un neurone afferente ad essa associato e che rilascia un neurotrasmettitore o un messaggero
chimico in risposta allo stimolo. Alcuni recettori si adattano ad un determinato stimolo, in quanto
la loro risposta diminuisce nel tempo. L’adattamento recettoriale è il decremento dell’ampiezza
del potenziale di recettore in presenza di uno stimolo costante. I recettori tonici (a lento
adattamento) possono dare informazioni relative all’intensità di uno stimolo prolungato; i
recettori fasici (a rapido adattamento) funzionano in maniera ottimale quando devono rilevare
modificazioni dell’intensità dello stimolo.
Vie sensoriali:

Le vie nervose specifiche che trasmettono informazioni pertinenti ad una particolare modalità
sono definite linee marcate. L’attivazione di una via specifica determina la percezione della
modalità associata. Le vie per differenti modalità terminano in diverse aree sensoriali della
corteccia cerebrale. Un’unità sensoriale comprende un singolo neurone afferente e tutti i recettori
ad esso associati, che sono tutti dello stesso tipo e la loro attivazione genera un potenziale
d’azione nel neurone afferente. L’area in cui uno stimolo produce una riposta (eccitatoria o
inibitoria) nel neurone afferente è definita campo recettivo di quel neurone. Il neurone afferente
che trasmette l’informazione dalla periferia al SNC è definito neurone di primo ordine; un singolo
neurone di primo ordine può comunicare con molti interneuroni causando una divergenza del
segnale nel SNC. Inoltre, gli interneuroni possono ricevere impulsi convergenti da molti neuroni di
primo ordine e possono trasmettere informazioni al talamo, che rappresenta la regione principale
di collegamento per le informazioni sensoriali; questi interneuroni vengono definiti neuroni di
secondo ordine. Nel talamo i neuroni di secondo ordine formano sinapsi con neuroni di terzo
ordine, che trasmettono informazioni alla corteccia cerebrale, dove si realizza la percezione della
sensazione.
Il tipo di stimolo è codificato dal recettore e dalla via che viene attivata quando lo stimolo è
applicato al recettore. Per esempio, le onde luminose attivano i fotorecettori che comunicano con
le vie della corteccia visiva; se un colpo di vento stimola l’occhio, lo stimolo verrebbe comunque
percepito come luce, in quanto sono state attivate le vie visive! Spesso il cervello deve integrare
più informazioni provenienti da sistemi sensoriali. Per esempio, percepiamo la nostra cute bagnata
pur non essendoci recettori specifici per tale funzione; infatti ciò si verifica quando termocettori e
recettori tattili trasmettono una combinazione di segnali che vengono interpretati dal cervello
come sensazione di “umido”: indossando un guanto in lattice sotto l’acqua ci dà la sensazione che
la mano si stia bagnando; se esistessero recettori per l’umidità allora lo stimolo non dovrebbe
avvenire!
L’intensità dello stimolo è codificata dalla frequenza dei potenziali d’azione (codice di frequenza) e
dal numero di recettori attivati (codice di popolazione). Nel codice di frequenza uno stimolo
intenso produce un aumento della frequenza di scarica dei potenziali d’azione. Nel codice di
popolazione uno stimolo più intenso attiva o recluta un maggior numero di recettori. Uno stimolo
può anche reclutare recettori associati a differenti neuroni afferenti cosicché più neuroni afferenti
trasmettano segnali al SNC in relazione alla presenza dello stimolo. In entrambi i casi al SNC viene
trasmessa una maggior frequenza di potenziali d’azione in risposta allo stimolo, indicando che lo
stimolo è più forte!
Quando uno stimolo è applicato ad un determinato campo recettivo, esso attiva recettori associati
ad un neurone afferente; questo concetto è illustrato molto bene quando ci si riferisce ai recettori
della cute: la precisione con la quale è percepita la localizzazione dello stimolo è detta acuità.
Nelle sensazioni associate ai recettori della cute, l’acuità dipende dalle dimensioni e dal numero di
campi recettivi, dal loro sovrapporsi e dal fenomeno dell’inibizione laterale. La localizzazione dello
stimolo è migliore in quelle regioni innervate da neuroni con campi recettivi piccoli (infatti
informazioni provenienti da un singolo neurone afferente non forniscono la precisa localizzazione
di uno stimolo, in quanto questo potrebbe essere posizionato in un punto qualsiasi del campo
recettivo). La localizzazione è notevolmente migliorata dalla sovrapposizione dei campi recettivi di
diversi neuroni afferenti. Tale sovrapposizione migliora la localizzazione dello stimolo tramite due
meccanismi: (1) attivazione di entrambi i neuroni afferenti da parte di qualsiasi stimolo che cada
nella regione di sovrapposizione tra i loro campi recettivi e (2) inibizione laterale.
Nell’inibizione laterale, uno stimolo che eccita fortemente i recettori in un’area cutanea inibisce
l’attività nelle vie afferenti dei recettori limitrofi. L’inibizione laterale incrementa l’acuità, in
quanto migliora il contrasto dei segnali nel SN. Essa permette la trasmissione di segnali intensi in
alcuni neuroni, sopprimendo la trasmissione di segnali più deboli provenienti dai neuroni limitrofi.
Una misura dell’acuità tattile è data dalla discriminazione di due punti, vale a dire la capacità di
una persona di percepire due stimoli pressori applicati sulla cute in due punti separati
spazialmente. La distanza minima alla quale i due punti vengono ancora percepiti distintamente è
definita soglia di discriminazione di due punti. Se tale distanza viene ridotta, le due stimolazioni
pressorie verranno percepite come un singolo stimolo. Più piccoli sono i campi recettivi, maggiore
sarà la capacità di discriminare due punti distinti e maggiore sarà l’acuità tattile. Nelle labbra, che
sono le aree più sensibili del corpo, è possibile la discriminazione di due stimoli tattili distanti tra
loro appena un millimetro! Viceversa, aree cutanee della schiena, della coscia e dell’avambraccio
non sono molto sensibili e la stimolazione cutanea di queste aree in punti distanti anche 50
millimetri viene percepita come un singolo stimolo!
Sistema somatosensoriale:
Il sistema somatosensoriale è implicato nella percezione di stimoli relativi a pressione,
temperatura, dolore e postura. Tra tutti i sistemi sensoriali, il sistema somatosensoriale ha il
maggior numero di recettori!
Meccanocettori cutanei:

Alcuni meccanocettori sono situati nello strato più esterno della cute, vicino all’epidermide, e
comprendono i dischi di Merkel e i corpuscoli di Meissner. Altri recettori situati più in profondità,
nel derma, comprendono i recettori dei follicoli piliferi e le terminazioni del Ruffini. I
meccanocettori a lento adattamento rispondono a stimoli pressori protratti nel tempo, mentre
quelli a rapido adattamento rispondono meglio alle vibrazioni (stimoli che cambiano
continuamente).
Termocettori cutanei:
I termocettori cutanei rispondono a variazioni della temperatura delle proprie terminazioni e dei
tessuti che le circondano.
1) Recettori per il caldo: terminazioni che rispondono a temperature tra i 30 e i 45 ‘C.
2) Recettori per il freddo: terminazioni che rispondono a temperature tra i 35 e i 20’C. Questi
recettori rispondono anche a temperature superiori a 45’C, uno stimolo dolorosamente
caldo: la percezione del freddo a queste temperature è definita freddo paradosso.
I termocettori sono terminazioni nervose libere dotate di canali ionici sensibili alla temperatura,
detti TRP e ne esistono di 4 tipi che rispondono al caldo (TRPV 1 – 4) e di 2 tipi che rispondono al
freddo (TRPM8 e TRPA1). Sia i recettori per il caldo che per il freddo sono a rapido adattamento e
rispondono meglio a rapide variazioni di temperatura.
Nocicettori cutanei:
I nocicettori sono recettori sensoriali responsabili della trasduzione di stimoli nocivi percepiti dal
cervello come dolore.
1) Nocicettori meccanici: rispondono a stimoli meccanici.
2) Nocicettori termici: rispondono a temperature al di sopra dei 44’C.
3) Nocicettori polimodali: rispondono a molti stimoli, compresi quelli meccanici e quelli
termici e a sostanze chimiche rilasciate nei tessuti danneggiati (istamina, bradichinina e
prostaglandine.
Vie somatosensoriali:
Vi sono due vie principali che trasmettono informazioni somatosensoriali dai recettori periferici al
SNC: (1) via delle colonne dorsali – lenisco mediale (trasmette informazioni da meccanocettori e
propriocettori al talamo) e (2) tratto spinotalamico (trasmette informazioni da termocettori e da
nocicettori al talamo). Queste due vie afferenti, penetrate nel midollo spinale, incrociano prima di
raggiungere il talamo: le informazioni somatosensoriali provenienti dal lato destro del corpo
raggiungono la corteccia somatosensoriale di sinistra e viceversa!
Nocicezione: la percezione del dolore
Il dolore costituisce un’importante sensazione, poiché fornisce informazioni che ci insegnano ad
evitare fattori che possono danneggiare i tessuti.
Risposta al dolore:
L’attivazione dei nocicettori, oltre a sensazione di dolore, porta anche a: (1) risposte vegetative,
come incremento della pressione arteriosa e frequenza cardiaca, aumento di livelli ematici di
adrenalina e glucosio, dilatazione pupillare o sudorazione; (2) risposte emozionali, come paura e
ansia; (3) riflesso di allontanamento dallo stimolo.
Esistono due tipi di dolore: (1) rapido, percepito come una netta sensazione di puntura facilmente
localizzabile, trasmesso dalle fibre A-delta; (2) lento, percepito in modo poco localizzato dando
origine ad una sensazione che insorge lentamente, trasmesso dalle fibre C. Le fibre A-delta o C
formano sinapsi con neuroni di secondo ordine nel corno dorsale del midollo spinale. La
trasmissione sinaptica del dolore è permessa dal neurotrasmettitore sostanza P. La sostanza P
viene rilasciata dai neuroni afferenti primari e si lega ai recettori sui neuroni di secondo ordine che
ascendono verso il talamo mediante il tratto spinotalamico. Le afferenze nocicettive attivano
anche vie nervose ascendenti coinvolte nell’analisi della componente affettiva (emozionale) del
dolore. Tali vie ascendono alla formazione reticolare del tronco encefalico, all’ipotalamo e al
sistema limbico.
La sensazione di dolore non è limitata alla superficie corporea, infatti i visceri possono essere
soggetti a danni tissutali, e in tal caso appositi nocicettori viscerali trasmettono tali informazioni.
L’attivazione dei recettori viscerali dà origine ad un dolore detto dolore riferito. Per esempio,
nell’infarto del miocardio di solito si riferisce dolore in sede toracica sinistra, all’avambraccio e alla
spalla ma non al cuore! Il dolore riferito è dovuto al fatto che i neuroni di secondo ordine che
ricevono impulsi da afferenze viscerali ricevono anche afferenze somatiche.

I segnali riguardanti informazioni sensoriali possono essere modulati durante la loro trasmissione
lungo le vie sensoriali, attraverso la facilitazione o l’attenuazione di segnali che possono portare a
cambiamenti nella percezione finale dell’informazione. I segnali sensoriali possono essere
modulati in qualsiasi punto della via in cui ci sia una sinapsi! Secondo la teoria del controllo a
cancello, la percezione del dolore può essere inibita a livello spinale attraverso afferenze
somatiche non dolorifiche. Tale teoria postula l’esistenza di un’inibizione sinaptica ad opera di
interneuroni spinali sui neuroni di secondo ordine che trasportano le informazioni dolorifiche.
Quando questi interneuroni sono attivi, la trasmissione del segnale dolorifico è inibita e la
percezione del dolore diminuisce. Quando un’informazione proveniente da un nocicettore è
trasmessa al midollo spinale dalle fibre C, collaterali di tali fibre inibiscono la carica degli
interneuroni inibitori, permettendo la trasmissione del segnale ai neuroni di secondo ordine. La
teoria del controllo a cancello spiega perché lo sfregamento dell’area cutanea dolente determini
una diminuzione della percezione dolorifica! Anche l’encefalo è in grado di bloccare il dolore o
produrre analgesia, attraverso vie discendenti che fanno parte del sistema algesico endogeno di
blocco del dolore. Molte aree encefaliche sono coinvolte nell’attivazione del sistema analgesico
endogeno. Situazioni di stress possono attivare un’area del mesencefalo chiamata sostanza grigia
periacqueduttale, che è una zona collegata ad un’area del bulbo detta nucleo del rafe magno e
alla formazione reticolare laterale, che si estende per l’intera lunghezza del tronco encefalico. La
sostanza P viene rilasciata da afferenze nocicettive che comunicano con neuroni di secondo
ordine. Gli interneuroni inibitori del midollo formano sinapsi sul corpo cellulare e sui dendriti dei
neuroni di secondo ordine ed anche sui terminali assonici dei nocicettori. Tali interneuroni inibitori
rilasciano il neurotrasmettitore oppioide encefalina, che si lega ai recettori per gli oppioidi sui
neuroni di secondo ordine, ove induce potenziali postsinaptici inibitori. L’encefalina si lega anche a
recettori per gli oppioidi posti sul terminale assonico del neurone afferente nocicettivo, inibendo il
rilascio di sostanza P! La combinazione di questi due effetti riduce la trasmissione di segnali dal
neurone afferente al neurone di secondo ordine, diminuendo la trasmissione del dolore
all’encefalo!
La vista:
Anatomia dell’occhio:
L’occhio può essere diviso in tre strati concentrici. Lo strato più esterno consta della sclera e della
cornea. La sclera, un tessuto connettivo consistente, forma la parte “bianca” dell’occhio. Nella
parte anteriore la sclera dà origine alla cornea, una struttura trasparente che permette alla luce di
penetrare nell’occhio. Lo strato medio dell’occhio è costituito dalla coroide, dal corpo ciliare e
dall’iride. La coroide è uno strato di tessuto altamente pigmentato posto al di sotto della sclera. La
coroide, che include i fotorecettori, contiene anche vasi ematici che nutrono lo strato profondo
dell’occhio. Il corpo ciliare contiene i muscoli ciliari, che sono attaccati ad una lente detta
cristallino attraverso sottili tendini di tessuto connettivo chiamati fibre zonulari. Il cristallino
focalizza la luce sulla retina, dove l’informazione visiva viene trasdotta. I muscoli ciliari cambiano la
forma del cristallino, permettendo la focalizzazione dei raggi luminosi. L’iride, formata da due
starti di cellule pigmentate, è localizzata davanti al cristallino e determina il colore degli occhi. La
pupilla è un foro posizionato al centro dell’iride che permette alla luce di penetrare nella parte
posteriore dell’occhio. L’iride regola il diametro della pupilla, variando la quantità di luce che
raggiunge la parte posteriore dell’occhio. Lo strato più interno dell’occhio è la retina che è formata
da tessuto nervoso contenente i fotorecettori. I fotorecettori sono di due tipi: (1) coni,
percepiscono luce intensa e (2) bastoncelli, percepiscono luce diffusa. La retina funziona come
fototrasduttore, trasformando l’energia luminosa in energia elettrica. Nella parte esterna della
retina e attaccato alla coroide si trova l’epitelio pigmentato della retina. Questa struttura
contiene molta melanina, che assorbe la luce che arriva alla parte posteriore dell’occhio,
impedendo così la riflessione attraverso la retina, che causerebbe distorsione dell’immagine. Due
aree della retina sono molto importanti. Una è la fovea, punto centrale della retina, dove si dirige
la luce proveniente dal centro del campo visivo. L’altra è il disco ottico, la porzione di retina
attraversata dal nervo ottico e dai vasi che irrorano l’occhio. Poiché questa zona è sprovvista di
recettori, essa costituisce un punto cieco della retina, dove la luce non può generare impulsi
elettrici e quindi non può essere percepita! Il cristallino e il corpo ciliare suddividono l’occhio in
due camere piene di liquido. Davanti al cristallino ed al corpo ciliare si trova il segmento anteriore,
diviso in camera anteriore (tra la cornea e l’iride) e camera posteriore (tra iride e cristallino). Il
segmento anteriore contiene un liquido definito umor acqueo che fornisce nutrimento alla cornea
e al cristallino. La cornea ed il cristallino sono strutture trasparenti che vengono facilmente
attraversate dalla luce. Posteriormente al cristallino e al corpo ciliare vi è una camera trasparente
(camera vitrea o segmento posteriore) contenente una sostanza gelatinosa, definita umor vitreo,
che contribuisce a mantenere la struttura sferica dell’occhio.
Natura e comportamento delle onde luminose:
La luce è una forma di energia costituita da onde elettromagnetiche. La luce visibile è parte dello
spettro elettromagnetico ed è costituita da lunghezze d’onda comprese tra 350 nm e 750 nm; i
colori corrispondono a diverse lunghezza d’onda all’interno di questo ambito. La riflessione è un
fenomeno per il quale la luce urta e rimbalza su una superficie; la riflessione è importante nella
fisiologia della visione, in quanto molte delle onde che percepiamo sono riflesse dagli oggetti che
osserviamo. Possiamo percepire un oggetto di colore verde poiché esso riflette una lunghezza
d’onda corrispondente al verde (circa 530 nm), mentre assorbe tutte le altre lunghezze d’onda. La
rifrazione è il fenomeno per il quale la luce cambia direzione nel passare attraverso materiali
trasparenti di densità differenti. Tale proprietà è importante nella visione in quanto, nel passaggio
dagli oggetti ai fotorecettori, la luce deve passare attraverso diverse sostanze, quali l’aria, la
cornea, il cristallino e gli umori acqueo e vitreo. La rifrazione è alla base della focalizzazione delle
onde luminose sulla retina. Le lenti convesse fanno convergere i raggi luminosi in punto definito
punto focale. Sia la cornea che il cristallino hanno superfici convesse, che funzionano facendo
convergere le onde luminose che penetrano nell’occhio a livello retinico; in tal modo, l’immagine
che si forma nella retina è a fuoco. Sebbene la cornea abbia un potere di rifrazione maggiore
rispetto al cristallino, a causa del maggiore raggio di curvatura, il potere di rifrazione del cristallino
può essere variato per permettere la focalizzazione della luce sulla retina. Per vedere oggetti
molto da vicino, il cristallino deve diventare più convesso, per incrementare il potere di rifrazione
e permettere all’immagine di essere focalizzata sulla retina. La capacità’ del cristallino di
modificare il suo potere di rifrazione nella visione da vicino e da lontano è definita
accomodazione.

Accomodazione:
Per poter osservare chiaramente un oggetto, la luce riflessa da ciascuno dei suoi punti deve
convergere in un unico punto della retina. Quando si osserva un oggetto da lontano, i raggi
luminosi che attraversano l’occhio sono quasi paralleli tra loro ed il potere di rifrazione necessario
per focalizzare le immagini sulla retina deve essere basso. Invece, i raggi luminosi provenienti da
oggetti molto vicini divergono quando raggiungono l’occhio; in tal caso, è necessario un cristallino
molto convesso per aumentare il potere di rifrazione, in modo tale da compensare la divergenza
dei raggi luminosi e focalizzarli sulla retina. La forma del cristallino è controllata dal muscolo
ciliare. Maggiore è la contrazione di un muscolo ciliare e minore sarà il diametro interno del
cerchio, cui corrisponderà una minore tensione delle fibre zonulari e una maggiore curvatura del
cristallino. Per ottenere l’accomodazione per oggetti molto vicini, il muscolo ciliare si contrae,
riducendo il diametro del cerchio e riducendo la tensione delle fibre zonulari. L’accomodazione è
sotto il controllo del sistema nervoso parasimpatico, che attiva la contrazione del muscolo ciliare
per la visione da vicino. In assenza di attività parasimpatica, il muscolo ciliare si rilascia.
Difetti della vista:
Se le onde luminose non sono adeguatamente focalizzate sulla retina, la visione è distorta. I difetti
visivi più comuni sono: la miopia (o vista corta) e l’ipermetropia (o vista lunga). Nella emmetropia
(o visione normale), una persona vede bene sia oggetti lontani che vicini, in quanto l’occhio può
focalizzare la luce sulla retina sia se essa proviene da sorgenti luminose distanti, senza
accomodazione, sia da sorgenti luminose vicine, mediante accomodazione. Nella miopia e
nell’ipermetropia, si verifica una discrepanza tra la curvatura del cristallino (o della cornea) e la
lunghezza del bulbo oculare (quindi la distanza dalla retina). Il difetto può essere attribuito al
cristallino, alla cornea o alle dimensioni del bulbo oculare. Nella miopia, una persona può vedere
chiaramente oggetti vicini ma non quelli lontani, in quanto il cristallino o la cornea rifrangono in
maniera eccessiva i raggi luminosi; per tale motivo, gli oggetti vicini all’occhio possono essere
messi a fuoco senza accomodazione, ma quelli posti a distanza vengono focalizzati davanti alla
retina, con conseguente distorsione dell’immagine! Per correggere la miopia bisogna posizionare
delle lenti concave davanti agli occhi, in modo tale che le onde luminose divergano prima di
raggiungere il bulbo oculare. Nella ipermetropia, il cristallino o la cornea sono inadeguati in
relazione alla lunghezza del bulbo oculare; pertanto, gli oggetti a distanza possono essere
focalizzati sulla retina solo mediante accomodazione, il che significa che il cristallino non riesce ad
ottimizzare l’accomodazione in maniera sufficiente nella visione da vicino. La luce che viene da un
oggetto vicino all’occhio viene così messa a fuoco oltre la retina, generando una distorsione
dell’immagine. In tal caso, per correggere l’ipermetropia, bisogna applicare delle lenti convesse,
che permettono ai raggi luminosi di convergere prima di raggiungere l’occhio. Così, l’occhio può
osservare oggetti posizionati a distanza senza accomodazione, mentre il cristallino è capace di
accomodare per visualizzare un oggetto posizionato vicino all’occhio. Nell’astigmatismo, le
irregolarità della superficie della cornea o del cristallino alterano la direzione delle onde luminose.
La presbiopia è un indurimento del cristallino che si verifica con il passare degli anni; questo causa
una perdita di elasticità del cristallino che riduce la sua capacità di diventare sferico e rende
difficile l’accomodazione per la visione da vicino. La cataratta è un’alterazione clinica correlata
all’età, che provoca un’opacizzazione del cristallino e ne riduce la trasparenza. Nel glaucoma, un
aumentato volume dell’umor acqueo determina un incremento della pressione nella cavità
anteriore del bulbo oculare, alterando la forma della cornea e modificando la posizione del
cristallino. Il cambiamento di posizione del cristallino può trasmettere un’aumentata pressione al
corpo vitreo, comprimendo i vasi ematici che irrorano la retina e generando una cecità
permanente.
Regolazione della quantità di luce che entra nell’occhio:
Gli occhi sono capaci di regolare il quantitativo di luce che vi entra variando il diametro delle
pupille. La dimensione della pupilla è controllata dall’iride, che è costituita da due strati di cellule
muscolari lisce che circondano la pupilla. Si tratta di uno strato interno di muscolatura circolare,
detto muscolo costrittore, e uno strato esterno di muscolatura radiale, detto muscolo dilatatore. I
muscoli circolari formano anelli concentrici attorno alla pupilla e, quando si contraggono, il
diametro della pupilla diminuisce, determinando una costrizione pupillare. I muscoli radiali sono
organizzati a raggio e, quando si contraggono, il diametro della pupilla aumenta determinando una
dilatazione pupillare. L’iride è sotto il controllo del sistema nervoso autonomo. I neuroni
parasimpatici innervano lo strato di cellule muscolari circolari, determinandone la contrazione,
quindi la costrizione pupillare. I neuroni simpatici innervano le cellule muscolari radiali,
determinando la contrazione delle cellule muscolari radiali, determinando la contrazione del
muscolo radiale e generando dilatazione pupillare.
La retina:

Nella retina, che è costituita da sistema nervoso, sono localizzati i fotorecettori: coni e bastoncelli.
I bastoncelli permettono la visione in bianco e nero e in condizioni di luce crepuscolare. I coni
forniscono la visione a colori, ma sono attivi solo quando la luce è intensa. La retina consta di 3
strati distinti, dall’interno verso l’esterno: (1) strato di cellule gangliari, (2) strato di cellule
bipolari e (3) strato contenente coni e bastoncelli. Nella retina sono anche presenti le cellule
amacrine e le cellule orizzontali, che modulano la comunicazione cellulare nel tessuto nervoso
retinico. I vasi ematici che perfondono la retina si trovano lungo il percorso dei raggi luminosi, per
cui, al fine di migliorare la trasmissione della luce alla fovea, le cellule bipolari e quelle gangliari
sono disposte lateralmente al centro della retina: si crea così una depressione al centro della
retina detta macula lutea, che circonda la fovea. La fovea contiene solo coni e, man mano che ci si
allontana da essa, aumenta il numero di bastoncelli, fino ad arrivare alla parte periferica della
retina, che contiene solo bastoncelli. Questo è il motivo per cui, in presenza di luce fioca, possiamo
osservare meglio gli oggetti solo se non li guardiamo direttamente!
Fototrasduzione:
La fototrasduzione è il fenomeno mediante il quale l’energia luminosa viene convertita in segnali
elettrici; tale fenomeno si realizza nei coni e nei bastoncelli. La morfologia di entrambi i tipi di
fotorecettori è simile: coni e bastoncelli contengono un segmento interno ed un segmento
esterno. Il segmento esterno contiene invaginazioni della membrana che formano dischi
membranosi, contenenti molecole che, assorbendo la luce, permettono ai fotorecettori di
eccitarsi. Il segmento interno contiene il nucleo cellulare e vari organuli; esso termina con un
bottone sinaptico analogo a quello dei terminali assonici dei neuroni, dove sono presenti le
vescicole contenenti il neurotrasmettitore. L’assorbimento della luce da parte di molecole
chiamate fotopigmenti (contenute nel segmento esterno), è la prima fase della fototrasduzione.
Nei recettori ci sono 4 tipi di fotopigmenti, un tipo è presente nei bastoncelli e altri tre tipi sono
presenti in ognuno dei tre tipi di coni. I coni L rispondono alle lunghezze d’onda più elevate (560
nm, spettro del rosso); i coni M rispondono a lunghezze d’onda medie (530 nm, spettro del verde);
i coni S rispondono alle lunghezze d’onda più basse (420 nm, spettro del blu). Ciascuna molecola di
fotopigmento contiene un componente chiamato retinale ed una proteina chiamata opsina. I 4
fotopigmenti sono: rodopsina, nei bastoncelli; e opsina (L, M ed S) nei tre tipi di coni. Il
fotopigmento dei bastoncelli, la rodopsina, è localizzato nella membrana dei dischi, dove si
trovano anche una proteina G, detta trasducina, ed un enzima, la fosfodiesterasi, che catalizza la
degradazione del cGMP (il quale, se è presente nel citosol, apre i canali per Na+ localizzati nella
membrana del fotorecettore).
In condizioni di buio: (1) i livelli del secondo messaggero cGMP sono elevati nel segmento esterno
del fotorecettore, quindi il cGMP mantiene aperti i canali per Na+ sulla membrana del segmento
esterno. (2) gli ioni Na+ entrano nella cellula e depolarizzano il recettore. (3) La depolarizzazione si
diffonde al segmento interno, provocando l’apertura dei canali per il Ca2+. (4) L’ingresso del Ca2+
nella cellula attiva un processo di esocitosi “al buio”, che porta al rilascio del neurotrasmettitore,
che agisce sulle cellule bipolari. In condizioni di luminosità: (1) la luce è assorbita dalla rodopsina
ed il retinale cambia la sua conformazione, dissociandosi dall’opsina, e dando luogo alla cosiddetta
“opsina scolorita”, che fa diventare i fotorecettori meno sensibili alla luce (adattamento alla luce).
(2) L’opsina scolorita attiva la trasducina, che a sua volta, attiva l’enzima fosfodiesterasi che
catalizza la scissione del cGMP. (3) la diminuzione del cGMP nel segmento esterno provoca la
chiusura dei canali per Na+. (4) La chiusura dei canali per l’Na+ provoca la fuoriuscita di K+ dalla
cellula, determinando un’iperpolarizzazione che comporta la chiusura dei canali per Ca2+ nel
segmento interno, con conseguente diminuzione di liberazione di neurotrasmettitore. Quindi, in
presenza di luce viene rilasciato meno neurotrasmettitore dal terminale del fotorecettore. Le
informazioni sulla presenza di luce sono segnalate così da una diminuzione del segnale indotto
nella cellula bipolare.
Bastoncelli e coni:

I bastoncelli sono così sensibili alla luce da poter essere attivati da un singolo fotone e sono per
questo responsabili della visione scotopica o monocromatica (bianco e nero). Tuttavia, in
presenza di luce intensa, i bastoncelli sono saturati (completamente scoloriti), diventando
massimamente iperpolarizzati e quindi non più in grado di fornire informazioni circa l’intensità
luminosa! I coni, invece, hanno bisogno di una maggiore intensità luminosa per poter funzionare.
Poiché i tre tipi di coni rispondo a lunghezze d’onda diverse, essi permettono la visione fotopica o
a colori. A livelli intermedi di luminosità sono attivi sia coni che bastoncelli, che assieme ci
permettono la visione mesotopica.
Visione dei colori:
L’attivazione dei coni, che ci permettono di vedere i colori, ha bisogno di un’alta intensità
luminosa. Consideriamo due colori con lunghezze d’onda di 450 e 500nm: l’ipotetico fotorecettore
P1 assorbe luce allo stesso modo sia a 450 nm che a 500 nm, quindi è incapace di distinguere
queste due lunghezze d’onda. Gli spettri di assorbimento dei tre tipi di coni (L, M ed S) si
sovrappongono parzialmente e dunque si possono percepire molti colori in base al quadro di
attivazione dei tre diversi tipi di coni. Sebbene una data lunghezza d’onda possa determinare una
risposta in più di un tipo di coni, i diversi coni rispondono generalmente a livelli differenti.
Pertanto il nostro cervello è in grado di discriminare differenti colori comparando le risposte dei
differenti tipi di coni a ciascuna lunghezza d’onda. Tuttavia, le sole proprietà dei coni non spiegano
completamente la percezione dei colori. La teoria dell’opposizione cromatica postula che il rosso
e il verde, il blu e il giallo ed il bianco e il nero sono colori opponenti, ovvero la stimolazione con
uno dei due colori inibisce la risposta all’altro! La teoria dell’opposizione cromatica afferma che,
quando alcune cellule gangliari sono eccitate dalla presenza di luce rossa nel loro campo visivo,
sono inibite dal verde nella stessa regione.
Luce e ritmi circadiani:
I fotorecettori che legano i ritmi circadiani ai cicli luce-buio non sono né i bastoncelli né i coni. Tali
fotorecettori usano un pigmento chiamato melanopsina.
Sbiancamento (bleaching) dei fotorecettori alla luce:

Che cosa permette ai nostri occhi di adattarsi ad intensità di luce variabili? Quando ci si espone
alla luce intensa, i bastoncelli diventano “scoloriti”, il che significa che gran parte della rodopsina
ha assorbito luce e l’opsina è in forma attiva. Pertanto, la rodopsina non può assorbire più luce fin
quando non è ritornata nel suo stato originario. In queste condizioni, che corrispondono a quelle
in cui si passa da un ambiente luminoso ad una stanza buia, i bastoncelli sono meno sensibili alla
luce. Il ripristino funzionale dei bastoncelli si verifica permanendo in luce soffusa, il che permette
all’opsina di ritornare nel suo stato inattivo. Durante questo processo, il retinale e l’opsina si
riassociano e i bastoncelli diventano nuovamente sensibili alla luce. I bastoncelli sono molto
sensibili alla luce; quindi, passando da una stanza buia ad un ambiente soleggiato, l’intensità della
luce eccede la normale sensibilità ei bastoncelli, che vengono saturati, “scolorendosi”
immediatamente.

Elaborazione neurale nella retina:


Il neurotrasmettitore rilasciato dai bastoncelli e dai coni trasmette segnali di luce e di buio alle
cellule bipolari della retina. Più fotorecettori comunicano con una singola cellula bipolare. Nella
fovea e nella macula, dove predominano i coni, la convergenza sinaptica è ridotta, cosicché solo
pochi fotorecettori convergono su una singola cellula bipolare. Al contrario, alla periferia della
retina, dove vi sono solo bastoncelli, migliaia di essi convergono su ogni cellula bipolare. È
opportuno ricordare che una minore convergenza dà origine ad una maggiore acuità tattile.
Analogamente, una minore convergenza fornisce una maggiore sensibilità alla luce, in quanto si
realizza la sommazione spaziale su una singola cellula bipolare di segnali provenienti da molti
recettori. Le cellule bipolari sono in grado di trasmettere potenziali graduati ma non potenziali
d’azione. In alcune sinapsi tra fotorecettori e cellule bipolari, l’azione del neurotrasmettitore è
eccitatoria (depolarizza la cellula bipolare), mentre in altre è inibitoria (iperpolarizza la cellula
bipolare); pertanto la luce eccita alcune cellule bipolari e ne inibisce altre. Le cellule orizzontali
modulano la sinapsi tra fotorecettore e cellula bipolare. Quando le cellule bipolari si
depolarizzano, rilasciano un neurotrasmettitore che interagisce con recettori di membrana delle
cellule gangliari. Le cellule amacrine modulano le sinapsi tra cellule gangliari e cellule bipolari. Le
cellule gangliari rappresentano i neuroni di primo ordine nelle vie nervose coinvolte nella visione,
capaci di trasmettere potenziali d’azione. Gli assoni delle cellule gangliari formano il nervo ottico e
sono quindi i neuroni in uscita dalla retina. Il primo tipo di cellula gangliare è definito centro ON e
periferia OFF: in queste cellule la luce nel centro del campo recettivo eccita la cellula, mentre
l’applicazione della luce nell’area circostante al campo visivo la inibisce. L’altro tipo di cellula
gangliare è definito come centro OFF e periferia ON: in queste cellule l’applicazione della luce
segue il percorso inverso rispetto a prima. I campi recettivi delle cellule gangliari diventano più
complessi se si considerano i colori: alcune cellule gangliari sono eccitate dall’applicazione di luce
rossa al centro del campo visivo ed inibite se l’applicazione della luce rossa è nella periferia.
Queste stesse cellule gangliari sono inibite dal verde che colpisce il centro del campo visivo ed
eccitate dal verde in periferia (per opposizione cromatica).
Vie visive:
Le cellule gangliari costituiscono i neuroni che danno origine ai potenziali d’azione, generati dalla
trasduzione recettoriale retinica, che vengono trasportati al SNC. Gli assoni delle cellule gangliari
formano il nervo ottico. I due nervi ottici (II paio di nervi cranici) fuoriescono dagli occhi a livello
del disco ottico e confluiscono alla base dell’encefalo davanti al tronco encefalico, per formare il
chiasma ottico. A questo livello, metà degli assoni provenienti da ciascun occhio incrocia per
dirigersi verso l’altro lato dell’encefalo. Nel chiasma ottico, i segnali provenienti dal campo visivo
di sinistra viaggiano nel lato destro dell’encefalo e viceversa. Sebbene gli assoni siano sempre
quelli delle cellule gangliari, dopo il chiasma ottico essi viaggiano in un fascio di fibre chiamato
tratto ottico. Le cellule gangliari terminano in un nucleo del talamo, noto come corpo genicolato
laterale, dove formano sinapsi con neuroni che ascendono fino alla corteccia visiva primaria nel
lobo occipitale, formando le cosiddette radiazioni ottiche. Nella corteccia somatosensoriale
primaria, l’organizzazione della corteccia è tale che aree adiacenti del corpo sono rappresentate in
aree corticali adiacenti.
Elaborazione parallela nel sistema visivo:
Il sistema visivo è dotato della capacità di elaborare “in parallelo” (all’interno di vie nervose
parallele) le diverse qualità dello stimolo visivo. Per esempio, informazioni circa il colore di un
oggetto sono elaborate da alcuni neuroni, mentre altri neuroni elaborano informazioni relative
alla forma o al movimento dell’oggetto. Questi processi paralleli distinti caratterizzano
principalmente la corteccia visiva primaria. Aree visive corticali di ordine superiore provvedono
successivamente ad integrare le diverse qualità dello stimolo visivo che possiamo percepire, ad
esempio un autocarro rosso fuoco che si allontana rapidamente da noi.

Percezione della profondità:


La percezione della profondità richiede che il cervello riceva afferenze visive da entrambi gli occhi.
La parte di campo visivo percepita da entrambi gli occhi è nota come campo visivo binoculare ed è
responsabile della percezione della profondità’ di campo. L’occhio destro e quello sinistro, avendo
posizioni diverse nella testa, vedono gli oggetti ognuno da una diversa visuale, in relazione alla loro
diversa posizione sul piano frontale. La corteccia usa queste differenze per costruire un’immagine
tridimensionale del mondo che ci circonda (cioè che includa la profondità) piuttosto che una
bidimensionale piatta.
CAPITOLO 11
SISTEMA MOTORIO AUTONOMO E SOMATICO

Il sistema nervoso autonomo:


Il SN autonomo innerva la maggior parte degli organi e dei tessuti effettori, inclusi il muscolo
cardiaco, le cellule muscolari lice dei vasi ematici e vari organi viscerali (stomaco e vie
respiratorie), le ghiandole ed il tessuto adiposo. Il SN “autonomo” è definito tale in quanto la sua
attività si svolge in modo inconscio, pertanto viene anche chiamato sistema nervoso involontario.
Il SN autonomo si divide in: SN simpatico e SN parasimpatico.
Duplice innervazione del sistema nervoso autonomo:
Entrambe le divisioni del SN autonomo innervano la maggior parte degli organi, un’organizzazione
chiamata duplice innervazione. Nonostante ciò, gli effetti della stimolazione dell’innervazione
simpatica e parasimpatica sono tra loro antagonisti. Comunque, tale antagonismo non pone in
atto conflitti: il SN parasimpatico è al massimo della sua attività in fase di riposo, quando stimola
gli organi digerenti, favorendo la digestione e l’assorbimento, e inibisce il sistema cardiovascolare,
riducendo la frequenza cardiaca. Al contrario, il SN simpatico è più attivo durante i periodi di
eccitazione o intensa attività fisica, quando coordina un insieme di cambiamenti fisiologici noti
come risposta lotta o fuggi, che prepara l’organismo ad affrontare situazioni minacciose. Durante
la risposta lotta o fuggi, la frequenza e la forza di contrazione cardiaca aumentano, il flusso
ematico viene deviato dagli organi gastrointestinali ai muscoli scheletrici e al cuore, e vengono
mobilizzati i depositi di energia. La funzione principale del SN autonomo è quella di regolare la
funzione degli organi effettori al fine di mantenere l’omeostasi.
Anatomia del SN autonomo:
Il SN autonomo consta di vie efferenti formate da due neuroni organizzati in serie tra il SNC e gli
organi effettori. I neuroni comunicano tra loro mediante sinapsi localizzate in strutture periferiche
chiamate gangli del SN autonomo. I neuroni che collegano il SNC ai gangli sono definiti neuroni
pregangliari; quelli che collegano i gangli agli organi effettori sono detti neuroni postgangliari. Un
singolo neurone pregangliare forma sinapsi con molti neuroni postgangliari. Inoltre, altri neuroni
localizzati interamente in ciascun ganglio, definiti neuroni intrinseci, modulano il flusso di
informazioni agli organi bersaglio.
Anatomia del SN simpatico:
Poiché i neuroni pregangliari nel SN simpatico emergono dalle porzioni toraciche e lombari del
midollo spinale, il SN simpatico è noto come sistema nervoso toracolombare. I neuroni
pregangliari originano in una regione di sostanza grigia del midollo spinale detta corno laterale. I
neuroni pregangliari e postgangliari simpatici sono connessi tra loro in 3 modi: (1) i neuroni
pregangliari hanno brevi assoni che si originano nel corno laterale ed escono da questo attraverso
la radice ventrale, formando il nervo spinale. Fuori dal midollo, il neurone pregangliare forma
sinapsi con molti neuroni postgangliari, che hanno lunghi assoni che raggiungono gli organi
effettori. I vari gangli simpatici sono tra loro collegati in modo tale da formare una struttura che
decorre parallelamente alla colonna vertebrale, ai due lati di essa, chiamata catena simpatica (o
tronco simpatico). L’attivazione del SN simpatico produce effetti diffusi su molti organi bersaglio,
generando la risposta lotta o fuggi! (2) Un gruppo di lunghi neuroni pregangliari innerva
direttamente tessuti endocrini come la midollare del surrene; dove sono presenti neuroni simpatici
postgangliari modificati detti cellule cromaffini, che si differenziano in cellule endocrine invece
che in neuroni. In seguito alla stimolazione del SN simpatico, la midollare del surrene rilascia in
circolo catecolammine (80% di adrenalina, 20% di noradrenalina e parti di dopamina)
direttamente nel sangue, per cui queste sostanze agiscono come ormoni in tutto l’organismo. (3)
Neuroni pregangliari formano sinapsi con neuroni postgangliari in strutture chiamate gangli
collaterali, situati tra il SNC e gli organi effettori. Un esempio di ganglio collaterale è il ganglio
celiaco, che contiene corpi cellulari di neuroni postgangliari che innervano alcuni organi
dell’apparato digerente.
Anatomia del SN parasimpatico:
I neuroni pregangliari del SN parasimpatico originano nel tronco encefalico o nel midollo spinale
sacrale, pertanto il SN parasimpatico è anche noto come divisione carniosacrale del sistema
nervoso autonomo. I neuroni pregangliari parasimpatici sono relativamente lunghi e terminano in
gangli localizzati vicino agli organi effettori. A livello gangliare, essi formano sinapsi con corti
neuroni postgangliari diretti agli organi effettori. Nella porzione craniale del SN parasimpatico, gli
assoni dei nervi pregangliari originano da corpi cellulari localizzati nel tronco encefalico, che
inviano i propri assoni nei nervi cranici. Un importante nervo cranico è il nervo vago (X paio di
nervi cranici), che origina nel bulbo ed innerva molti visceri, inclusi i polmoni, il cuore, lo stomaco,
l’intestino tenue ed il fegato. Altri nervi cranici che contengono assoni parasimpatici pregangliari
sono il nervo oculo-motore (III paio di nervi cranici), il nervo facciale (VII paio di nervi cranici) ed il
nervo glossofaringeo (IX paio di nervi cranici), che innervano strutture della testa e del collo. A
differenza dei neuroni pregangliari simpatici, le fibre di quelli parasimpatici che originano nel
midollo spinale non decorrono nei nervi spinali. Al contrario, viaggiano insieme ad altri neuroni
pregangliari parasimpatici per formare i nervi pelvici.
Neurotrasmettitori e recettori nel SN autonomo:
I due neurotrasmettitori del SNP sono l’acetilcolina e la noradrenalina. I neuroni che rilasciano
l’acetilcolina sono chiamati colinergici. L’acetilcolina viene rilasciata dai neuroni pregangliari
simpatici e parasimpatici e dai neuroni postgangliari parasimpatici. I neuroni pregangliari simpatici
che innervano le cellule cromaffini della midollare del surrene rilasciano l’acetilcolina che, in
questo caso, agisce sulle cellule endocrine della midollare del surrene stimolando il rilascio di
adrenalina. La noradrenalina è il neurotrasmettitore usato da quasi tutti i neuroni simpatici
postgangliari, che pertanto vengono considerati neuroni adrenergici. Alcuni neuroni postgangliari
simpatici rilasciano anche acetilcolina, come quelli che innervano le ghiandole sudoripare.
Recettori colinergici:

Esistono due tipi di recettori colinergici, nicotinici e muscarinici, che si distinguono in base a studi
farmacologici effettuati utilizzando due agonisti dell’acetilcolina: nicotina (presente nel tabacco) e
muscarina (tossina di certi funghi). I recettori nicotinici sono presenti sui corpi cellulari e sui
dendriti di neuroni postgangliari simpatici e parasimpatici, sulle cellule cromaffini della midollare
del surrene e sulle cellule muscolari scheletriche. I recettori muscarinici sono presenti sugli organi
effettori del SN parasimpatico, come il cuore, le cellule muscolari lisce (delle pupille e del tratto
digerente).
Recettori adrenergici:
Vi sono due classi principali di recettori adrenergici localizzati in organi effettori del SN simpatico:
recettori alfa (1 e 2) e recettori beta (1, 2 e 3). I recettori adrenergici sono accoppiati a proteine G
che attivano o inibiscono sistemi di secondi messaggeri. Il legame della noradrenalina o
dell’adrenalina ad un recettore alfa 1 attiva una proteina G, che attiva una PLC che catalizza la
conversione di PIP2 in IP3 + DAG: l’IP3 attiva il rilascio di Ca2+ dai depositi intracellulari,
innescando le risposte cellulari; il DAG attiva la chinasi C, che fosforila una proteina che genera
una risposta cellulare. Mentre l’acetilcolina è il solo neurotrasmettitore che si lega ai recettori
colinergici, sia adrenalina che noradrenalina interagiscono con i recettori adrenergici.
Giunzioni neuroeffettrici del SN autonomo:
La sinapsi tra un neurone efferente ed il suo organo bersaglio (effettore) è definita giunzione
neuroeffettrice. I neuroni postgangliari non inviano i loro terminali assonici su un numero ben
definito di cellule; i neurotrasmettitori, infatti, vengono rilasciati da numerosi rigonfiamenti
localizzati ad intervalli quasi costanti lungo gli assoni, noti anche come varicosità. All’interno delle
varicosità, i neurotrasmettitori sono sintetizzati ed immagazzinati in vescicole. Le membrane degli
assoni contengono i classici canali voltaggio-dipendenti per Na+ e K+ che permettono la
propagazione dei potenziali d’azione. Inoltre, l membrana, nella regione di ciascuna varicosità
contiene dei canali per Ca2+ che si aprono all’arrivo del potenziale d’azione. L’arrivo di un
potenziale d’azione nella varicosità apre i canali voltaggio-dipendenti per Ca2+ che, entrando nel
citoplasma, stimola il rilascio del neurotrasmettitore per endocitosi. Il neurotrasmettitore viene
rilasciato da tutti i rigonfiamenti e diffonde in un’ampia area dell’organo effettore e si lega a
recettori posti sulla membrana plasmatica delle cellule di tutto l’organo bersaglio.
Regolazione delle funzioni del SN autonomo:
In condizioni di riposo, le spese energetiche dell’organismo sono ridotte rispetto ad altre
circostanze e sono principalmente indirizzate alla digestione e all’assorbimento dei nutrienti. Con
una ridotta richiesta energetica, il lavoro cardiaco non è elevato quindi prevale il controllo del SN
parasimpatico. In periodi di attività invece predomina l’attività del SN simpatico, con aumento
dell’attività cardiaca, che porta ad un aumento del flusso ematico ai muscoli scheletrici. In che
modo l’encefalo regola l’equilibrio tra attività simpatica e parasimpatica per rispondere alle
esigenze energetiche dell’organismo? La maggior parte delle modificazioni dell’attività del SN
autonomo si realizza attraverso l’attivazione di riflessi viscerali, cambiamenti automatici nelle
funzioni degli organi min risposta a mutate condizioni dell’organismo. Le aree encefaliche
maggiormente coinvolte nella funzione di regolazione del SN autonomo comprendono
l’ipotalamo, il ponte ed il bulbo. Quando ci troviamo in una situazione potenzialmente rischiosa o
comunque in uno stato di eccitazione, l’ipotalamo scatena la risposta lotta o fuggi attraverso
un’ampia attivazione del SN simpatico. L’ipotalamo comprende anche centri di regolazione della
temperatura corporea, per l’assunzione di cibo e per il bilancio idrico; tutti questi centri sono
regolati da neuroni efferenti del SN autonomo. Il bulbo ed il ponte contengono centri regolatori
cardiovascolari e respiratori che controllano il cuore, i vasi e le cellule muscolari lisce che
controllano l’attività respiratoria autonoma, che non richiede pensiero cosciente. Un’area
encefalica che influenza l’attività di controllo dei centri del SN autonomo è il sistema limbico che è
coinvolto nella genesi delle emozioni. Le emozioni esercitano un forte effetto sull’attività del SN
autonomo e pertanto influenzano le funzioni degli organi effettori da esso controllate. Siamo tutti
consapevoli di alcune risposte alle emozioni, quali l’aumento della frequenza cardiaca, la nausea, il
rossore cutaneo, lo svenimento e la sudorazione.
Sistema nervoso somatico:
A differenza del SN autonomo, che controlla le funzioni di moli organi effettori, il SN somatico
controlla un solo tipo di organo effettore: il muscolo scheletrico. I muscoli scheletrici sono in parte
collegati alle ossa, svolgendo una funzione di supporto, oltre che di movimento! Il SN somatico ha
un solo tipo di neuroni efferenti, che innervano il muscolo scheletrico, detti motoneuroni. I
muscoli scheletrici sono soggetti ad un controllo volontario, in quanto una persona può decidere
coscientemente di contrarre un muscolo. Pertanto, il SN somatico è anche detto sistema nervoso
volontario.
Anatomia di SN somatico:
Nel SN somatico, un singolo motoneurone collega il SNC ad una fibra muscolare scheletrica;
ricordiamo che nel SN autonomo, sono invece presenti due neuroni che collegano il SNC all’organo
effettore. Un singolo motoneurone innerva molte cellule muscolari, definite fibre muscolari, ma
ciascuna fibra è innervata da un singolo motoneurone! L’insieme di motoneurone e cellule
muscolari è detto unità motoria. Quando un motoneurone è attivato, stimola la contrazione di
tutte le fibre muscolari presenti nella sua unità.

La giunzione neuromuscolare:
Ciascuna diramazione dell’assone in un motoneurone forma sinapsi con una fibra muscolare
scheletrica a livello di una singola regione altamente specializzata della membrana della cellula
muscolare, formando una giunzione neuromuscolare. I terminali dell’assone del motoneurone,
chiamati bottoni sinaptici, immagazzinano e rilasciano acetilcolina, che è l’unico
neurotrasmettitore del SN somatico. Dal lato opposto del bottone sinaptico, sulla membrana della
fibra muscolare, vi è una regione specializzata detta placca motrice che presenta molte
invaginazioni contenenti tantissimi recettori per l’acetilcolina. Questi recettori rappresentano una
grande varietà di recettori colinergici nicotinici. L’acetilcolinesterasi è presente tra le invaginazioni
della placca motrice e determina la fine del segnale eccitatorio ed il rilasciamento della fibra
muscolare. Il meccanismo della trasmissione neuromuscolare è simile a quello delle sinapsi
eccitatorie tra le cellule nervose. Quando un motoneurone è attivato dalla convergenza di molti
segnali eccitatori su di esso, si genera un potenziale d’azione che si propaga fino ai bottoni
terminali alle giunzioni neuromuscolari di tutte le fibre dell’unità motoria. La depolarizzazione che
ne consegue determina l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti nel bottone sinaptico, con
ingresso di Ca2+ e induzione del rilascio di acetilcolina. Quest’ultima diffonde nella fessura
sinaptica ed interagisce con i recettori-canale colinergici nicotinici della placca motrice,
determinandone l’apertura. Ciò permette al Na+ di entrare nella cellula muscolare, producendo
una depolarizzazione detta potenziale di placca, simile al potenziale postsinaptico eccitatorio
(PPSE) delle sinapsi tra cellule nervose. Il potenziale di placca è sempre di ampiezza
sufficientemente grande da depolarizzare la membrana muscolare fino al valore soglia! si genera
così un potenziale d’azione che attiva la contrazione della fibra muscolare. La giunzione
neuromuscolare rappresenta il bersaglio delle tossine di molti animali velenosi: il veleno della
vedova nera contiene la latrotossina, che induce il rilascio di acetilcolina a livello della giunzione
neuromuscolare, con conseguenti spasmi muscolari e rigidità. Poiché sono interessati anche i
muscoli respiratori, questo veleno può causare insufficienza respiratoria e morte, provocando
contrazioni spastiche di questi muscoli. Il veleno del crotalo (serpente a sonagli), al contrario,
contiene una tossina detta crototossina che ha effetti contrari rispetto alla latrotossina, in quanto
inibisce il rilascio di acetilcolina ed induce una paralisi flaccida dei muscoli scheletrici. Un’altra
tossina che ha effetti paralizzanti sulla muscolatura scheletrica è il curaro, un veleno utilizzato per
le punte delle cerbottane dalle popolazioni indigene del Sud America.
CAPITOLO 12
FISIOLOGIA DEL MUSCOLO
Struttura del muscolo scheletrico:

A parte alcune eccezioni, i muscoli scheletrici, come ad esempio il bicipite del braccio, sono
collegati ad almeno due ossa. L’eccezione a questa regola comprende alcuni muscoli scheletrici
che sono collegati alla cute (alcuni muscoli del viso), alla cartilagine (muscoli della laringe) o ad
altri muscoli (sfintere anale esterno). I muscoli sono collegati alle ossa mediante i tendini,
strutture simili a corde formate da tessuto connettivo elastico, capaci di trasmettere all’osso la
forza sviluppata dal muscolo.
Struttura a livello cellulare:
La parte del muscolo che genera forza è chiamata corpo, cioè la parte “carnosa” del muscolo. Il
corpo del muscolo contiene diversi fasci, chiamati fascicoli, di cellule muscolari singole insieme a
tessuto connettivo, vasi sanguigni e nervi. Ciascun fascicolo contiene centinaia di migliaia di cellule
muscolari, che vengono chiamate fibre muscolari a causa della loro forma allungata. Ciascuna fibra
muscolare corre in direzione diagonale lungo tutta la lunghezza del muscolo ed è avvolta da una
guaina di tessuto connettivo. A differenza delle altre cellule che contengono un solo nucleo, le
fibre muscolari ne contengono parecchi, poiché ognuna di esse origina dalla fusione di più cellule,
nel corso della vita embrionale! I nuclei sono posti immediatamente sotto la membrana
plasmatica della fibra, che viene chiamata sarcolemma. All’interno della fibra muscolare si trova
un citoplasma semifluido, chiamato sarcoplasma, insieme a mitocondri e a centinaia di elementi di
forma bastoncellare, che presentano una striatura; queste strutture sono dette miofibrille e
contengono l’apparato contrattile della fibra muscolare. Una miofibrilla è costituita da un fascio di
filamenti spessi e sottili che si sovrappongono reciprocamente, formati rispettivamente dalle
proteine miosina e actina. Una rete di membrane che formano delle cisterne, chiamata reticolo
sarcoplasmatico (RS), circonda ciascuna miofibrilla ed è in stretta associazione con altre strutture
chiamate tubuli traversi (tubuli T), i quali sono a loro volta connessi al sarcolemma e penetrano
all’interno della cellula. Il RS e i tubuli T giocano un ruolo fondamentale nel processo di attivazione
della contrazione muscolare, perché essi aiutano a trasmettere i segnali dal sarcolemma alle
miofibrille, rendendo la cellula muscolare capace di rispondere al segnale nervoso! Il RS svolge le
funzioni di immagazzinare ioni Ca2+ e liberarli nel citosol quando la cellula muscolare viene
stimolata a contrarsi. Gli ioni Ca2+ vengono liberati in risposta a segnali elettrici che si trasmettono
al sarcolemma e ai tubuli T e svolgono la funzione di messaggeri chimici che trasportano tali
segnali all’interno della cellula, nella zona in cui si trovano le miofibrille.

Struttura a livello molecolare:


Osservate al microscopio, le cellule muscolari scheletriche presentano una striatura, e per questo
il muscolo scheletrico e quello cardiaco vengono detti muscoli striati. Le striature sono dovute alla
disposizione ordinata di fibre proteiche all’interno delle miofibrille, chiamate filamenti spessi e
filamenti sottili, che corrono in parallelo all’asse longitudinale della cellula. Filamenti spessi e
filamenti sottili sono presenti in rapporto 2:1. Le miofibrille sono formate da un’unità di base detta
sarcomero, che si ripete numerosissime volte. Le linee di confine tra un sarcomero e l’altro sono
costituite dai dischi Z, che agganciano i filamenti sottili ad una estremità. All’interno del
sarcomero, i filamenti spessi sono connessi mediante i dischi M. I filamenti sottili e spessi del
sarcomero sono formati da due proteine chiamate rispettivamente actina e miosina, alle quali
viene dato l’appellativo di proteine contrattili, poiché costituiscono la base del meccanismo che
genera la forza contrattile. I componenti di base di ciascun filamento sottile sono monomeri di
actina, chiamati actina G (globulare), ciascuno dei quali possiede un sito capace di legare la
miosina. La capacità dell’actina e della miosina di legarsi reciprocamente è cruciale nel
determinare la capacità di generare forza contrattile nel muscolo! I monomeri di actina G sono
legati l’uno all’altro agli estremi, come perle in una collana, fino a formare delle strutture
filamentose chiamate actina F (fibrosa). A loro volta, due actine F si intrecciano in una struttura a
doppia elica, in modo da formare i filamenti di actina, caratteristici dei filamenti sottili. Nei
filamenti sottili sono anche presenti delle proteine regolatrici che consentono alle fibre muscolari
di iniziare e terminare la contrazione: la tropomiosina e la troponina. La tropomiosina è una
proteina filamentosa che si estende sopra molte molecole di actina, in modo da bloccare i siti di
legame con la miosina quando il muscolo è in stato di riposo. La troponina comprende un
complesso di 3 proteine: una che si attacca al filamento di actina, una che si fissa alla tropomiosina
e la terza che contiene un sito capace di legare in modo reversibile gli ioni Ca2+. È proprio il
legame del Ca2+ in questo sito ad innescare la contrazione muscolare, facendo sì che la troponina
sposti lateralmente la tropomiosina, esponendo pertanto i siti di legame per la miosina posti sulle
molecole di actina. Ogni filamento spesso è costituito da centinaia di molecole di miosina, ciascuna
delle quali assomiglia a due mazze da golf, avvolte l’una all’altra. Ogni molecola di miosina è un
dimero costituito di due subunità intrecciate tra loro, ognuna delle quali è formata da una coda e
da una testa ingrossata, che sporge di lato. Queste due teste sono dette ponti trasversali, poiché
in determinate condizioni formano dei ponti nello spazio fra filamenti spessi e quelli sottili. La
testa di miosina rappresenta la “parte che lavora”, poiché essa è la parte che genera attivamente
la forza meccanica sviluppata dal muscolo. Ciascuna testa possiede due siti cruciali per la
generazione della forza: (1) sito di fissazione dell’actina, in grado di legarsi ai monomeri di actina
dei filamenti sottili e (2) sito ATPasico, che idrolizza l’ATP. I filamenti spessi sono associati alla
proteina titina, straordinariamente elastica. I filamenti di titina si estendono lungo i filamenti
spessi, dal disco M al disco Z, mantenendo i filamenti spessi nella posizione corretta rispetto a
quelli sottili. Quando una forza esterna fa stirare il muscolo, i filamenti di titina subiscono un
allungamento simile a quello dei sarcomeri ed esercitano una forza, analogamente ad una molla
che resiste all’allungamento. Quando lo stiramento esterno viene rimosso, la forza elastica
riavvicina nuovamente i dischi Z ai filamenti spessi, così che i sarcomeri, ritornasti più corti,
consentano ai filamenti di titina di riprendere la loro lunghezza iniziale, accorciando in maniera
analoga sia le singole fibre muscolari che l’intero muscolo!
Meccanismo con cui il muscolo genera forza:

L’accorciamento del muscolo non avviene perché i filamenti sottili si contraggono, ma perché essi
scivolano lungo i filamenti spessi, muovendosi verso la parte più interna del sarcomero,
riducendone la larghezza. Il risultato finale è che i dischi Z ai lati del sarcomero si spostano
insieme, avvicinandosi tra loro, e quindi il sarcomero si accorcia! All’accorciamento dei sarcomeri
segue quello delle miofibrille, lo stesso fanno le fibre muscolari e, infine, il muscolo intero. Il
muscolo si contrae perché i filamenti spessi e sottili delle miofibrille scorrono gli uni sugli altri. In
modo appropriato questo viene definito il modello dello scorrimento dei filamenti della
contrazione muscolare.
Il meccanismo che, nel corso della contrazione muscolare, porta allo scorrimento dei filamenti
spessi e sottili gli uni sugli altri, prende il nome di ciclo dei ponti trasversali. Al centro di questo
meccanismo vi è un movimento oscillatorio, avanti e indietro, dei ponti trasversali tra miosina ed
actina, basato sull’energia di idrolisi dell’ATP. Il movimento avanti-indietro dei ponti trasversali è
dovuto modificazioni della conformazione delle molecole di miosina. Una delle conformazioni
della miosina viene chiamata forma ad alta energia, poiché le molecole di miosina immagazzinano
l’energia rilasciata dall’idrolisi dell’ATP. La conformazione di forma a bassa energia, invece, viene
assunta dalle molecole di miosina quando l’energia viene liberata per dare luogo al movimento dei
filamenti sottili. In ogni ciclo dei ponti trasversali si possono individuare queste 5 fasi:
1) Aggancio della miosina all’actina: la miosina è nella forma ad alta energia; ciò vuol dire
che ADP+Pi sono legati al sito ATPasico della testa della miosina. In questo stato la miosina
ha elevata affinità per le molecole di actina e la testa di miosina si lega ad un monomero di
actina nel filamento sottile adiacente (meccanismo calcio-dipendente).
2) Colpo di forza: Il legame della miosina all’actina determina la liberazione del Pi e dell’ADP
dal sito ATPasico. La testa della miosina ruota verso il centro del sarcomero, tirando il
filamento sottile con sé, e va verso lo stato a bassa energia.
3) Stato di rigor: nello stato a bassa energia della miosina, actina e miosina sono
strettamente legate insieme ed il ciclo dei ponti trasversali si blocca in questa fase a causa
dell’esaurimento dell’ATP. Questo stato dura fino a quando gli enzimi liberati dagli
elementi cellulari in via di degradazione iniziano a decomporre le miofibrille.
4) Distacco della miosina dall’actina: una nuova molecola di ATP si lega al sito ATPasico della
testa della miosina, provocando una variazione conformazionale della testa, che determina
una diminuzione dell’affinità della miosina per l’actina, così che la miosina si stacca
dall’actina.
5) Energizzazione della testa di miosina: Subito dopo che si f fissato al sito ATPasico della
miosina, l’ATP viene idrolizzato ad ADP+Pi con rilascio di energia. Parte di questa energia è
immagazzinata nella testa di miosina, che raggiunge la conformazione ad alta energia. In
presenza di Ca2+, il ciclo riparte nuovamente dalla fase 1!
Accoppiamento eccitamento-contrazione: come si attivano e disattivano i muscoli
Il controllo finale sulla contrazione dei muscoli scheletrici spetta al SNC che, attraverso i
motoneuroni, ordina ai muscoli se essi debbano contrarsi oppure no. Al pari dei neuroni, anche le
cellule muscolari sono cellule eccitabili, cioè in grado di generare potenziali d’azione, quando la
loro membrana plasmatica è depolarizzata ad un valore sufficiente. Quando una cellula muscolare
riceve un segnale da parte di un motoneurone, essa si depolarizza e genera un potenziale d’azione
che, a sua volta, induce la contrazione. La sequenza di eventi che lega il potenziale d’azione alla
contrazione viene chiamata accoppiamento eccitamento-contrazione.
Il punto di collegamento tra un motoneurone e una cellula muscolare, detta giunzione
neuromuscolare, non è tanto diversa dalla sinapsi tra due neuroni: il motoneurone trasmette un
potenziale d’azione e libera un neurotrasmettitore (acetilcolina) quando il potenziale d’azione
giunge alla terminazione dell’assone. L’acetilcolina diffonde verso la membrana della cellula
muscolare dove, legandosi a recettori specifici, induce una variazione della permeabilità della
membrana, che ne determina la depolarizzazione. Nella giunzione neuromuscolare, i bottoni
terminali del motoneurone si allargano a ventaglio ed occupano un’ampia area del sarcolemma.
Frontalmente ai bottoni terminali si trova una regione specializzata del sarcolemma, chiamata
placca motrice, che presenta un gran numero di ripiegature e contiene un gran numero di
recettori per l’acetilcolina. Un potenziale d’azione generato nel motoneurone induce il rilascio di
acetilcolina, determinando l’attivazione di numerosi recettori colinergici. La depolarizzazione che
ne consegue (potenziale di placca) è molto più ampia di un potenziale postsinaptico normale,
tanto che è sempre al di sopra del valore soglia! Una volta generatosi nella cellula muscolare, il
potenziale d’azione si propaga lungo tutto il sarcolemma, compresi i tubuli T. Propagandosi lungo i
tubuli T, il potenziale d’azione provoca il rilascio del Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico, che è
adiacente ad essi. Il Ca2+ costituisce il segnale che dà il via al ciclo dei ponti trasversali e quindi alla
contrazione della cellula muscolare!

Ruolo del Calcio, della troponina e della tropomiosina nel processo di accoppiamento
eccitamento-contrazione:

Quando la cellula muscolare è in stato di rilasciamento, la concentrazione di Ca2+ nel citosol è


estremamente bassa e il numero di molecole di troponina legate al calcio è molto limitato. La
troponina si trova nel suo stato conformazionale normale (a risposo) e, di conseguenza, la
posizione della tropomiosina sul filamento sottile è tale per cui i siti di legame per la miosina
presenti sull’actina sono bloccati. Di conseguenza, il ciclo dei ponti trasversali non può aver luogo!
In condizioni normali, la concentrazione del Ca2+ nel citosol è bassa, perché nella membrana del
RS sono presenti pompe che trasportano attivamente il Ca2+ dal citosol all’interno del RS. Grazie
all’azione delle pompe, il RS è in grado di accumulare Ca2+ contro-gradiente di concentrazione e di
svolgere quindi la funzione di “magazzino” per il Ca2+. Inoltre, la membrana del RS contiene anche
canali per il Ca2+ voltaggio-dipendenti; il fatto che in condizioni normali questi siano chiusi evita
che il Ca2+ fuoriesca dal RS. Tuttavia, quando un potenziale d’azione è trasmesso lungo i tubuli T,
questi canali si aprono rapidamente, consentendo al Ca2+ di fuoriuscire nel citosol. Il risultato
finale è un aumento della concentrazione del Ca2+ citosolico! Un potenziale d’azione generato nel
tubulo T è in grado di indurre il rilascio di Ca2+ dal RS poiché i tubuli T sono fisicamente collegati
alle membrane del RS adiacenti mediante proteine dette recettori DHP (recettori per le
diidropiridine) e recettori rianodinici (recettori per la rianodina). I recettori DPH si trovano nelle
membrane dei tubuli T e funzionano come rilevatori di voltaggio. Quando un potenziale d’azione si
trasmette lungo i tubuli T, la conformazione dei recettori DPH si modifica. I recettori rianodinici si
trovano nelle membrane del RS, connessi ai recettori DPH. I recettori rianodinici svolgono anche la
funzione di canali per il Ca2+, aperti dai recettori DPH. Quando un potenziale d’azione si trasmette
lungo i tubuli T, i recettori DPH vanno incontro ad una modificazione conformazionale che
trasmette un segnale ai recettori rianodinici, determinando l’apertura dei canali per il Ca2+. A sua
volta, il Ca2+ fuoriesce dal RS e diffonde nel citosol. Un certo numero di ioni Ca2+ si lega a siti
specifici posti su altri canali del Ca2+ presenti sul RS, provocandone l’apertura. In questo modo, il
rilascio iniziale di una piccola quantità di Ca2+, ne provoca la liberazione di una quantità molto più
elevata dal RS, fenomeno noto come rilascio di calcio indotto dal calcio. Appena aumenta la
concentrazione intracellulare di Ca2+, parte di questo si lega ad una delle 3 proteine che formano
il complesso della troponina, che a questo punto, modifica la propria conformazione e causa lo
spostamento della tropomiosina dalla sua posizione di riposo, esponendo quindi i siti di legame
per la miosina presenti sui monomeri di actina. Siccome le teste della miosina del filamento spesso
sono ora in grado di legarsi all’actina, può avere inizio il ciclo dei ponti trasversali e la contrazione
dei sarcomeri! Una cellula muscolare smette di contrarsi quando non riceve più segnali dal
motoneurone e di conseguenza non si generano più potenziali d’azione nel sarcolemma. Quando
la concentrazione del Ca2+ intracellulare aumenta oltre un certo limite, questo ione inizia a fissarsi
ad alcuni siti presenti sui canali del Ca2+ del RS, inducendone la chiusura. La chiusura di questi
canali fa sì che il rilascio di Ca2+ cessi e permette che il trasporto attivo di Ca2+ dal citoplasma
verso l’interno del RS rimuova il Ca2+ dal citosol e provochi una diminuzione della concentrazione
del Ca2+. Poiché il legame del Ca2+ alla troponina è reversibile, la diminuzione della
concentrazione di Ca2+ favorisce la dissociazione del Ca2+ dalla troponina, facendo sì che la
troponina e la tropomiosina ritornino nella posizione di partenza. Quando la concentrazione di
Ca2+ intracellulare ritorna anch’essa ai valori di riposo, il muscolo cessa di contrarsi.

Meccanica della contrazione del muscolo scheletrico:


La scossa singola:
Gli assoni dei motoneuroni si ramificano prima di raggiungere le cellule muscolari bersaglio, così
che un solo motoneurone innerva numerose fibre muscolari. Ne risulta che il potenziale d’azione
di un motoneurone evoca la contrazione di tutte le cellule muscolari ad esso connesse, e che non è
possibile stimolare una cellula muscolare senza che si contraggano tutte le altre! La scossa singola
costituisce la risposta meccanica di una sola cellula muscolare, di un’unità motoria o di un intero
muscolo in risposta ad un singolo potenziale d’azione.

Il periodo di latenza rappresenta il ritardo di pochi millisecondi che intercorre tra la comparsa del
potenziale d’azione nella cellula muscolare e l’inizio della contrazione, quando la cellula inizia a
generare forza. La fase di contrazione inizia alla fine del periodo di latenza e termina in
corrispondenza del raggiungimento del picco massimo di tensione. Nel corso di questa fase, la
concentrazione del Ca2+ nel citosol aumenta, poiché la quantità liberata eccede quella che viene
riassorbita dal RS. La fase di rilasciamento, che è la più lunga delle tre, corrisponde al periodo che
intercorre tra il picco della tensione e la fine della contrazione, quando la tensione torna a zero.
Nel corso di questa fase, la concentrazione di Ca2+ nel citosol si riduce, poiché la quantità di Ca2+
che viene riassorbita è maggiore di quella che viene rilasciata dal RS, e di conseguenza il numero
dei ponti trasversali attivi va diminuendo.

Fattori che influenzano la forza sviluppata da una singola fibra muscolare:


La forza generata da un muscolo dipende da due fattori: (1) forza sviluppata dalle singole fibre
muscolari e (2) numero di fibre muscolari che si contraggono. La forza sviluppata dalle singole
fibre muscolari dipende dal numero di ponti trasversali attivi che si legano all’actina. Un numero
più elevato di ponti trasversali porta allo sviluppo di una forza maggiore.

Frequenza di stimolazione:
Maggiore è la concentrazione di Ca2+ nel citosol, più grande è la quantità di Ca2+ che si lega alla
troponina e porta allo spostamento della tropomiosina, determinando alla fine un incremento del
numero di siti leganti la miosina presenti sull’actina. Più grande è il numero di siti leganti la
miosina esposti, maggiore è il numero delle teste di miosina che può partecipare al ciclo dei ponti
trasversali, e di conseguenza, la forza di contrazione sviluppata. In seguito all’aumento della
frequenza di stimolazione, i muscoli passano dallo sviluppo di contrazioni singole alla generazione
di una scala, alla sommazione e, da ultimo, al tetano.
Il fenomeno della scala avviene quando la frequenza di stimolazione è tale per cui singole scosse
indipendenti tra loro si susseguono in modo così ravvicinato che il picco della tensione va
progressivamente aumentando fino a raggiungere un plateau. Si ritiene che l’origine della scala è
dovuto ad un aumento del Ca2+ citosolico tra una contrazione e l’altra.
I fenomeni della sommazione e del tetano, che avvengono a frequenze di stimolazioni ancora
maggiori, sono dovuti alla sovrapposizione delle singole scosse. Quando un muscolo viene
stimolato ripetitivamente, in modo tale che il potenziale d’azione successivo arrivi prima che la
scossa precedente sia giunta a completamento, le scosse si sovrappongono le une alle altre,
sviluppando una forza maggiore di quella generata nel corso di una scossa singola; questo
fenomeno viene chiamato sommazione. Si verifica la sommazione ogni qualvolta che le scosse
singole sono così frequenti che la rimozione di Ca2+ dal citosol non può avvenire in modo
altrettanto rapido di quanto esso venga liberato dal RS. Perché avvenga il rilasciamento, è
necessaria la rimozione degli ioni Ca2+; per questo motivo, la fibra muscolare non riesce a
rilasciarsi in modo completo tra una contrazione e l’altra. A frequenze di stimolazione superiori, la
sommazione raggiunge un valore massimo definito tetano. Nel tetano non fuso (o incompleto) la
forza sviluppata presenta piccole oscillazioni, intervallate da bervi periodi di rilasciamento tra un
picco e l’altro. I picchi vengono raggiunti quando i livelli di Ca2+ sono elevati a sufficienza da
saturare la troponina, in modo che siano esposti tutti i siti leganti la miosina presenti sull’actina. A
frequenze di stimolazione ancora più elevate, i livelli di Ca2+ sono abbastanza elevati da saturare
in modo permanente la troponina, così che i siti leganti la miosina sono esposti continuamente,
dando origine ad un tracciato caratterizzato da una fase di plateau stabile, che viene chiamata
tetano fuso (o completo). Se la frequenza di stimolo subisce ancora un ulteriore aumento, la
tensione tetanica (forza di contrazione durante la fase tetanica) aumenta, ma soltanto fino ad un
certo punto: un ulteriore aumento della frequenza oltre questo valore non produce ulteriori
aumenti della forza! In queste condizioni il muscolo sta sviluppando tutta la forza che è in grado di
generare e, pertanto, viene definita tensione tetanica massimale.
Regolazione della forza generata dal muscolo in toto:
Quando un muscolo si contrae, solo di rado tutte le sue fibre generano forza! Quando è richiesto
lo sviluppo di forze maggiori, il SN può attivare alcune delle fibre che erano a riposo, aumentando
quindi il numero totale delle fibre attive. Il SN esercita la maggior parte del suo controllo sulla
forza muscolare facendo variare il numero delle unità motorie in attività; le variazioni della
frequenza di stimolazione di ciascuna fibra esercitano soltanto un ruolo secondario. Un
incremento del numero delle unità motorie attive viene chiamato reclutamento.
Reclutamento:
All’interno di un muscolo, le fibre appartenenti ad un’unità motoria sono frammiste ad altre, che
fanno parte di altre unità motorie. Ma non tutte le unità motorie sono fatte allo stesso modo,
infatti spesso differiscono per le dimensioni. Prendiamo per esempio due unità motorie presenti in
un muscolo (X e Y) le cui fibre, che hanno la stessa capacità di sviluppare forza, vengono stimolate
a produrre la tensione tetanica massimale; l’unità X contiene 5 fibre, mentre quella Y ne contiene
7. Quando l’unità X viene stimolata a contrarsi, genera una forza che è 5 volte più grande di quella
sviluppata da una sola fibra, perché le fibre stanno lavorando in parallelo. In modo analogo, la
stimolazione dell’unità motoria Y determina lo sviluppo di una forza che corrisponde a 7 volte
quella di una singola fibra, e la stimolazione contemporanea di entrambe le unità motorie produce
una forza che è 12 volte più grande di quella di una singola fibra. Poiché il muscolo può contenere
centinaia di unità motorie, la tensione muscolare può essere modificata entro un intervallo
notevole, semplicemente facendo variare il numero delle unità motorie attive!
I diversi tipi di fibre muscolari scheletriche:

Sebbene tutte le fibre del muscolo scheletrico siano sostanzialmente simili per quanto riguarda i
meccanismi di accoppiamento-contrazione e di generazione della forza, esistono significative
differenze tra le varie fibre per quanto riguarda la loro velocità di contrazione e le vie metaboliche
utilizzate per la produzione di ATP.
Differenze nella velocità di contrazione: fibre rapide e fibre lente
Alcuni muscoli (come il muscolo soleo della gamba) contengono in massima parte delle fibre a
contrazione lenta, che si contraggono in modo relativamente lento. In altri muscoli (come i
muscoli estrinseci dell’occhio) predominano le fibre a contrazione rapida, capaci di contrarsi in
modo relativamente veloce. In altri muscoli ancora (come il muscolo gastrocnemio della gamba) la
proporzione tra le fibre rapide e le fibre lente è all’incirca uguale. Le differenze tra le fibre rapide e
quelle lente non dipendono dalle loro dimensioni o dalla loro forma, ma piuttosto dal tipo di
miosina che costituisce i loro filamenti spessi! La miosina rapida ha una capacità intrinseca di
idrolizzare ATP più velocemente della miosina lenta; questa maggiore attività ATPasica è
strettamente correlata con la velocità di contrazione delle fibre. La maggiore velocità con cui viene
scisso l’ATP nella miosina rapida implica che questa forma di miosina possa completare un numero
maggiore di cicli dei ponti trasversali in un secondo, da cui deriva il fatto che i sarcomeri si
accorciano più rapidamente, a parità di altre condizioni.
Differenze riguardanti il meccanismo principale per la produzione di ATP: fibre glicolitiche
(bianche) e fibre ossidative (rosse)
Le fibre glicolitiche contengono un’elevata concentrazione di enzimi glicolitici all’interno del
citoplasma e quindi possono produrre rapidamente ATP attraverso la via glicolitica (fosforilazione
a livello del substrato); queste fibre hanno una capacità relativamente bassa di produrre ATP
mediante la fosforilazione ossidativa, poiché hanno pochi mitocondri. Al contrario, le fibre
ossidative sono ricche di mitocondri ed hanno un’elevata capacità di produrre ATP mediante la
fosforilazione ossidativa. Questi due tipi di fibre si trovano in tutti i tipi di muscolo del corpo, ma
distribuiti in proporzioni variabili. Le fibre ossidative sono, in genere, di calibro minore e ben
vascolarizzate, mentre quelle glicolitiche sono di dimensioni maggiori e circondate da pochi
capillari. Le fibre ossidative possiedono una maggiore capacità di utilizzare O2 e quindi dipendono
in modo più marcato dalla rapidità con cui viene loro fornito l’O2. Un ricco apporto di capillari
assicura un rapido rilascio di O2 al liquido interstiziale che circonda le fibre, mentre il diametro
ridotto riduce la distanza che l’O2 deve superare diffondendosi per raggiungere i mitocondri. Le
fibre ossidative, al contrario di quelle glicolitiche, contengono la mioglobina che lega l’O2: questa
proteina di colore rossastro lega l’O2 in modo reversibile per poterlo rilasciare quando e dove
serve. La sua funzione è quella di fungere da riserva di O2 per la cellula e liberarlo quando la
concentrazione all’interno delle cellule diminuisce. Tuttavia, poiché questa scorta di O2
intracellulare è limitata, essa può fornire un’adeguata quantità di O2 solo per un breve tempo.
Visto che la mioglobina conferisce un colore rosso scuro alle fibre ossidative, tali fibre sono
chiamate fibre rosse. Al contrario, le fibre glicolitiche (che non contengono mioglobina) sono
chiamate fibre bianche. Le fibre glicolitiche producono meno ATP a parità di substrato consumato.
Tuttavia, le fibre glicolitiche sono maggiormente in grado di produrre ATP quando la disponibilità
di O2 è bassa, poiché la glicolisi non richiede la presenza di O2! Quando le fibre glicolitiche sono in
stato di attività e producono ATP a velocità elevata, viene generato acido lattico come prodotto
secondario, per via della bassa capacità ossidativa delle cellule che le contengono. Infatti, il
piruvato viene prodotto più velocemente di quanto può essere consumato e, di conseguenza, si
accumula nelle cellule e viene convertito in acido lattico. Per questo motivo le fibre glicolitiche si
affaticano più rapidamente di quelle ossidative!
Fibre lente ossidative, rapide glicolitiche e rapide ossidative:
È possibile trovare combinazioni tra la velocità di contrazione e le capacità ossidative o glicolitiche.
Sono state identificate 3 classi principali di fibre muscolari scheletriche: (1) fibre lente ossidative,
(2) fibre rapide glicolitiche e (3) fibre rapide ossidative. Generalmente i muscoli contengono tutti
e tre i tipi di fibre, distribuite in proporzioni diverse. Le fibre lente ossidative contengono la
miosina lenta e presentano un’alta capacità ossidativa. Le fibre rapide glicolitiche contengono
miosina rapida ed hanno un’elevata capacità glicolitica. Le fibre rapide ossidative contengono una
miosina di tipo intermedio tra quella lenta e quella rapida e possiedono un’elevata capacità
ossidativa. Le fibre lente ossidative sono quelle a diametro minore e sviluppano forze di bassa
entità. Le fibre rapide glicolitiche sono quelle di dimensioni maggiori e sviluppano le forze più
grandi. Le fibre rapide ossidative presentano proprietà intermedie in termini di diametro della
fibra e di capacità di generare forza.
Muscolo liscio e cardiaco:
All’interno del corpo, svolgono le loro funzioni, in modo per così dire “più discreto” rispetto al
muscolo scheletrico, altri due tipi di muscolo: (1) muscolo liscio e (2) muscolo cardiaco.
Muscolo liscio:
Il muscolo liscio prende il suo nome dalla mancanza delle striature caratteristiche del muscolo
scheletrico e di quello cardiaco; esso si trova negli organi interni, nei vasi sanguigni e in altre
strutture che non sono sotto il controllo volontario. Nel tratto gastrointestinale, le contrazioni
della muscolatura liscia servono a mescolare il cibo ingerito con i prodotti della secrezione
digestiva e farlo procedere lungo i vari tratti. Nei vasi sanguigni, la muscolatura liscia regola il
flusso di sangue nei diversi organi e tessuti, causando costrizione o dilatazione delle pareti
vascolari. Come il muscolo scheletrico, il muscolo liscio è costituito da filamenti spessi e filamenti
sottili e genera forza attraverso il ciclo dei ponti trasversali. Tuttavia, i filamenti non sono
organizzati in sarcomeri! Infatti la mancanza dei sarcomeri giustifica la mancanza delle striature.
Anche se i filamenti spessi e sottili sono organizzati in parallelo, come nel muscolo scheletrico, essi
tendono a decorrere obliquamente in varie direzioni e, di conseguenza, le contrazioni avvengono
lungo assi diversi. I corpi densi, punti di adesione tra questi filamenti e il tessuto connettivo,
servono a trasmettere la forza contrattile all’esterno della cellula.
Meccanismo dell’accoppiamento eccitamento- contrazione nel muscolo liscio:
Le contrazioni del muscolo liscio sono regolate dal Ca2+ intracellulare, ma il RS non è così
sviluppato come quello del muscolo scheletrico. Il Ca2+ che innesca la contrazione proviene
prevalentemente dall’esterno della cellula, poiché, quando la cellula è depolarizzata, i canali del
Ca2+ voltaggio-dipendenti si aprono permettendo il passaggio di Ca2+ verso l’interno. Nel muscolo
liscio la contrazione non è attivata dal complesso troponina-tropomiosina. La contrazione inizia
quando il Ca2+ si lega in modo reversibile alla calmodulina; questo legame induce un
cambiamento conformazionale che rende il complesso Ca2+-calmodulina capace di legarsi alla
MLCK (chinasi della catena leggera della miosina), provocandone l’attivazione. La MLCK attivata,
fosforila i ponti trasversali della miosina, che si attivano innescando il ciclo dei ponti trasversali. Va
notato che nel muscolo liscio il segnale del Ca2+ che avvia l’attività’ dei ponti trasversali ha come
bersaglio il filamento di miosina, mentre nel muscolo scheletrico il bersaglio è l’actina, poiché
questa è la sede in cui sono localizzate la troponina e la tropomiosina! Porre termine al ciclo dei
ponti trasversali nel muscolo liscio richiede l’intervento di fosfatasi, le quali inattivano la miosina
rimuovendo i gruppi fosfato. L’attività ATPasica della miosina nel muscolo liscio è 10 – 100 volte
più bassa rispetto a quella del muscolo scheletrico e, di conseguenza, la contrazione della
muscolatura liscia è un processo intrinsecamente lento!

Regolazione nervosa della contrazione:


Al contrario della muscolatura scheletrica, che è controllata dai motoneuroni, la muscolatura liscia
è regolata da neuroni del SN autonomo. Una cellula muscolare liscia è regolata da neuroni
simpatici, parasimpatici, o spesso da entrambi i tipi. Il muscolo liscio intestinale si contrae in
risposta ad un segnale proveniente dal SN parasimpatico, e si rilascia in seguito a stimolazione del
SN simpatico. I segnali che derivano dal SN simpatico inducono rilasciamento della muscolatura
licia intestinale, mentre stimolano la contrazione della muscolatura liscia in gran parte dei vasi
sanguigni. Tali risposte, di segno contrario, sono dovute alle differenze nel tipo di recettore per il
neurotrasmettitore presente in quelle cellule muscolari, e non alle differenze nel tipo di
neurotrasmettitore liberato, perché i neuroni simpatici o parasimpatici liberano gli stessi
neurotrasmettitori (rispettivamente, noradrenalina e acetilcolina), praticamente in tutti i loro
tessuti bersaglio! Al contrario del muscolo scheletrico, le cellule muscolari lisce non ricevono lo
stimolo nervoso tramite connessioni sinaptiche specifiche. Il neurotrasmettitore viene liberato da
varicosità (rigonfiamenti), situate ad intervalli regolari lungo tutto l’assone, e viene distribuito ad
un vasto gruppo di cellule, situate anche a distanza da esso. Di conseguenza, le cellule muscolari
lisce contigue tendono a contrarsi o rilasciarsi tutte insieme. Questa attività sincrona è anche
dovuta alla presenza di giunzioni comunicanti (gap junction) che consentono agli ioni e alle piccole
molecole di spostarsi da una cellula all’altra. Il potenziale di membrana delle cellule muscolari lisce
varia in modo graduale in risposta al segnale nervoso, depolarizzandosi se il segnale è eccitatorio e
iperpolarizzandosi se il segnale è inibitorio. Per questa ragione le contrazioni del muscolo liscio
non richiedono un potenziale d’azione come evento scatenante! In alcune cellule muscolari lisce,
infatti, i potenziali d’azione sono del tutto assenti! Alcuni tipi di cellule muscolari lisce sono in
grado di esercitare tensione anche in assenza di uno stimolo esterno, perché le concentrazioni di
Ca2+ sono sufficienti per mantenere l’attività dei ponti trasversali: questa tensione di riposo viene
detta tono. In alcuni casi le cellule muscolari lisce generano depolarizzazioni spontanee che
avvengono in modo regolare e che possono essere o meno accompagnate da potenziali d’azione.
In tipi particolari di cellule muscolari lisce si possono osservare due tipi di depolarizzazioni
spontanee: (1) potenziali pacemaker e (2) potenziali ad onda lenta. I potenziali pacemaker sono
lente depolarizzazioni indotte da una o più variazioni della permeabilità di membrana, come ad
esempio, aumento della permeabilità al Na+ o al Ca2+ oppure diminuzione della permeabilità al
K+. I potenziali ad onda lenta sono depolarizzazioni e ripolarizzazioni cicliche, dovute a fluttuazioni
della permeabilità al Na+.
Muscolo cardiaco:
Il muscolo cardiaco è simile a quello scheletrico, in quanto presenta una striatura, ha la stessa
struttura del sarcomero e sviluppa contrazioni che sono sotto il controllo del sistema troponina-
tropomiosina. Le cellule del muscolo cardiaco sono simili a quelle del muscolo liscio, in quanto
sono collegate tra loro mediante giunzioni comunicanti e il potenziale d’azione si propaga a tutta
la rete cellulare. I potenziali d’azione cardiaci sono ampi e di lunga durata: poiché essi durano
quasi tutto il tempo occorrente alle cellule cardiache per contrarsi e rilasciarsi, la sommazione
delle contrazioni non si può verificare, anche quando la frequenza dei potenziali d’azione è elevata
e il cuore si contrae rapidamente. La sommazione sarebbe dannosa per l’azione di pompa svolta
dal cuore, in quanto esso perderebbe la capacità di rilasciarsi completamente tra una contrazione
e l’altra, permettendo così al sangue di riempirne le cavità. Alcune cellule del muscolo cardiaco,
concentrate in due regioni dette nodo senoatriale e nodo atrioventricolare, sono dotate di attività
pacemaker. Il battito cardiaco è avviato da potenziali d’azione che originano dalle cellule
pacemaker e non dipende dalla stimolazione nervosa. Poiché il segnale da cui si origina il battito
cardiaco nasce all’interno del muscolo cardiaco stesso, l’attività contrattile del muscolo cardiaco è
definita miogena (quella del muscolo scheletrico è detta neurogena). Il SN autonomo svolge
un’attività regolatrice, modulando la frequenza e la forza di contrazione del muscolo cardiaco.
CAPITOLO 13
IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE

Il sistema cardiovascolare o cardiocircolatorio è costituito da 3 elementi: (1) cuore, una pompa


muscolare che pompa il sangue nei vasi, (2) vasi sanguigni, condotti attraverso i quali il sangue
circola e (3) sangue, un fluido che circola nei vasi sanguigni attraverso tutto il corpo e che porta
sostanze alle cellule e ne allontana altre.
Il cuore:

Il cuore è un muscolo che genera la forza necessaria a spingere il sangue nei vasi sanguigni. Il cuore
è formato da 4 camere. Le 2 camere superiori, gli atri, ricevono il sangue che ritorna al cuore dai
vasi venosi, mentre le 2 camere inferiore, i ventricoli, ricevono il sangue dagli atri e generano la
pressione necessaria a spingere il sangue fuori dal cuore nelle grandi arterie. Il cuore può essere
funzionalmente diviso in una metà sinistra e una destra. Gli atri e i ventricoli delle due metà sono
separati da una parete detta setto, che evita che il sangue del cuore sinistro si mescoli con quello
del cuore destro. La porzione di setto che separa il ventricolo di destra da quello di sinistra è detta
setto interventricolare. Pertanto, il cuore possiede un lato destro ed un lato sinistro, un apice,
collocato nel restringimento del polo inferiore, ed una base, collocata nello slargamento del polo
superiore. Le due pompe cardiache lavorano con efficienza, fornendo a tutto l’organismo i
nutrienti e l’O2 di cui necessitano.
I vasi sanguigni:
Il sangue viene trasportato dal cuore ai vari organi, per poi ritornare di nuovo al cuore attraverso
un sistema chiuso di vasi (circolazione sanguigna). Questo sistema di vasi sanguigni viene detto
sistema vascolare. Man mano che si allontanano dal cuore, i vasi sanguigni si ramificano
ripetutamente, diventando più numerosi e di diametro più piccolo. Il sangue che lascia il cuore
viene trasportato agli organi e ai tessuti tramite grandi vasi detti arterie, che si ramificano
ripetutamente negli organi e nei tessuti. Le arterie più piccole si ramificano in vasi ancora più
sottili detti arteriole, che trasportano il sangue verso i vasi più piccoli in assoluto, i capillari. Dai
capillari il sangue ritorna al cuore scorrendo in vasi più grandi detti venule, e poi nelle vene. Da
tutto ciò capiamo che l’apparato cardiovascolare costituisce un sistema chiuso.

Il sangue:
Sebbene il sangue sia un fluido, quasi la metà del suo volume è costituita da cellule! Quelle più
numerose sono gli eritrociti (globuli rossi), i quali contengono una proteina che trasporta 02 detta
emoglobina. Le altre cellule sono i leucociti (globuli bianchi), suddivisi in diversi tipi, che aiutano
l’organismo a difendersi dall’aggressione da parte di microrganismi. Inoltre, sono presenti le
piastrine, che non sono cellule, ma frammenti di cellule che svolgono un ruolo importante nella
coagulazione sanguigna. La porzione liquida del sangue è detta plasma ed è costituita da acqua in
cui sono disciolte proteine, elettroliti ed altri soluti.
Flusso in serie nel sistema cardiocircolatorio:
Il sistema cardiocircolatorio consta di due circuiti: (1) circolo polmonare, costituito dall’insieme dei
vasi polmonari e di quelli che connettono i polmoni al cuore e (2) circolo sistemico, che contiene
tutti i vasi diretti alle restanti parti del corpo. Il cuore destro fornisce sangue al circolo polmonare,
mentre il cuore sinistro rifornisce il circolo sistemico. I circuiti polmonare e sistemico sono dotati di
dense reti di capillari, dette letti capillari, dove avvengono gli scambi di nutrienti e gas (O2 e CO2).
Nei capillari polmonari, l’O2 proveniente dall’aria presente nei polmoni passa nel sangue, mentre
la CO2 lascia il sangue. Quando il sangue lascia i capillari polmonari è ricco di O2 e viene chiamato
sangue ossigenato. I letti capillari del circolo sistemico sono presenti in tutti gli organi e i tessuti (il
tessuto polmonare riceve sangue ossigenato dalle arterie bronchiali). In questi organi e tessuti, le
cellule consumano O2 e producono CO2; così quando il sangue scorre nei capillari sistemici, l’O2
lascia il sangue, mentre la CO2 vi entra. Il sangue che lascia questi capillari è detto sangue
deossigenato, poiché è povero di O2. Il sangue ossigenato è rosso brillante, mentre quello
deossigenato è rosso scuro. Quando il sangue scorre nel sistema cardiocircolatorio, si muove in
modo alternato attraverso i circoli polmonare e sistemico, ritornando al cuore ad ogni ciclo:
1. Il ventricolo sinistro pompa il sangue ossigenato nell’aorta, la principale arteria, le cui
diramazioni trasportano il sangue fino ai letti capillari di tutti gli organi e tessuti irrorati dal
circolo sistemico.
2. Il sangue viene deossigenato nei tessuti periferici e poi ritorna al cuore con le vene cave,
due grandi vene che trasportano il sangue all’atrio destro. La vena cava superiore porta il
sangue proveniente dalle parti del corpo al di sopra del diaframma, mentre la vena cava
inferiore provvede a trasportare il sangue refluo dalle parti sottostanti il diaframma.
3. Dall’atrio destro, il sangue passa attraverso la valvola tricuspide nel ventricolo destro.
4. Il ventricolo destro pompa il sangue nel tronco polmonare, che si dirama quasi subito nelle
arterie polmonari, che trasportano il sangue deossigenato ai polmoni. Le arterie polmonari
sono le sole arterie del corpo che trasportano sangue deossigenato e sono chiamate arterie
perché trasportano il sangue in uscita dal cuore.
5. Il sangue viene ossigenato nei polmoni e poi, attraverso le vene polmonari, si dirige
nell’atrio sinistro. Queste sono le sole vene del corpo che contengono sangue ossigenato e
sono chiamate vene perché trasportano il sangue verso il cuore.
6. Dall’atrio sinistro, il sangue passa attraverso la valvola bicuspide nel ventricolo sinistro, da
dove siamo partiti. E il ciclo si ripete!
Anatomia del cuore:

Il cuore è un muscolo ed è contenuto al centro della cavità toracica, appena sopra il diaframma,
un muscolo che separa la cavità toracica dalla cavità addominale. Il cuore è circondato da un sacco
membranoso detto pericardio, contenente il liquido pericardico, che lubrifica il cuore durante i
battiti. Il muscolo cardiaco genera la forza necessaria a spingere il sangue nei vasi e la presenza
delle 4 valvole assicura la direzione corretta del flusso all’interno del cuore, prevenendo così il
reflusso.
Miocardio e parete cardiaca:
La parete del cuore è formata da 3 strati dall’esterno verso l’interno: (1) epicardio, formato da
connettivo, (2) miocardio, formato da tessuto muscolare cardiaco e (3) endocardio, formato da
epitelio. (l’endotelio si estende lungo tutto il sistema cardiovascolare). L’attività di pompa del
cuore consiste in un ritmico alternarsi di contrazione e rilasciamento del muscolo cardiaco. Il
muscolo ventricolare è molto più spesso rispetto al muscolo atriale, poiché i ventricoli devono
pompare il sangue in vasi molto lontani! Inoltre, la muscolatura ventricolare di sinistra è molto più
sviluppata rispetto a quella di destra poiché il ventricolo sinistro invia sangue a tutti gli organi del
corpo, mentre il ventricolo destro pompa il sangue solo ai polmoni! Quello che chiamiamo battito
cardiaco è in realtà un’onda di contrazione che si muove rapidamente attraverso le fibro-cellule
muscolari cardiache in maniera ordinata e coordinata. Gli atri si contraggono per primi, spingendo
il sangue nei ventricoli; quindi si contraggono i ventricoli, che pompano il sangue verso i vari
organi. Sebbene il muscolo cardiaco funzioni come un’unità’, il muscolo atriale (miocardio atriale)
e quello ventricolare (miocardio ventricolare) sono fisicamente ancorati a uno strato di tessuto
connettivo fibroso, chiamato scheletro fibroso del cuore, che li tiene separati tra loro.
Valvole cardiache e flusso sanguigno unidirezionale:
Le camere cardiache sono impegnate in fasi di contrazione e rilasciamento, che si ripetono e che
costituiscono il ciclo cardiaco, in cui la contrazione degli atri avviene prima e quella dei ventricoli
in successione. È fondamentale che il flusso sanguigno nelle camere cardiache avvenga in un’unica
direzione, determinata dal gradiente pressorio. Così il flusso sanguigno nella direzione opposta
deve essere impedito, anche se il gradiente pressorio dovesse favorirlo. A questa funzione
assolvono le 4 valvole cardiache, facendo in modo che il sangue scorra secondo una precisa
direzione sia all’interno del cuore che fra il cuore e le arterie ad esso direttamente connesse
(l’aorta e il tronco polmonare). Gli atri e i ventricoli di ciascun lato sono separati dalle valvole
atrioventricolari (valvole AV), che permettono al sangue di fluire dall’atrio al ventricolo, ma non di
scorrere al contrario! Le valvole AV si aprono e si chiudono in risposta alle variazioni cicliche della
pressione che avvengono ad ogni battito cardiaco. Quando la pressione atriale è più elevata di
quella ventricolare, le valvole sono aperte; quando la pressione ventricolare diviene più elevata di
quella atriale, le valvole si chiudono. La valvola AV di sinistra è costituita da due lembi, o cuspidi, di
tessuto connettivo e perciò viene chiamata valvola bicuspide (valvola mitralica). La valvola AV di
destra ha tre cuspidi ed è chiamata valvola tricuspide. Oltre le valvole AV, vi sono altre valvole,
chiamate valvole semilunari, poste tra i ventricoli e le arterie. La valvola aortica è localizzata tra il
ventricolo sinistro e l’aorta, mentre la valvola polmonare si trova tra il ventricolo destro e il tronco
polmonare. La funzione di queste valvole è simile a quella delle valvole AV: permettere al sangue
di scorrere in avanti prevenendone il movimento in senso inverso. La valvola aortica e quella
polmonare si aprono quando la pressione ventricolare supera quella arteriosa a valle (quando il
ventricolo è contratto). Questo consente al sangue di lasciare i ventricoli ed entrare nelle arterie.
Quando i ventricoli si rilasciano e la pressione ventricolare diviene più bassa della pressione
arteriosa, le valvole si chiudono, evitando così che il sangue fluisca all’indietro dalle arterie nei
ventricoli.

Attività elettrica del cuore:

Le contrazioni del muscolo cardiaco sono generate da segnali che originano all’interno del muscolo
stesso. Per questa ragione l’attività contrattile del muscolo cardiaco è detta miogena. La capacità
del cuore di generare segnali che attivano periodicamente le sue contrazioni, generando il suo
stesso ritmo, è detta autoritmicità. Le cellule autoritmiche non generano una forza contrattile ma
sono essenziali per l’azione di pompa del cuore perché avviano e coordinano il ritmo dei battiti
cardiaci. Vi sono due tipi di cellule autoritmiche: (1) cellule pacemaker (segnapassi), che avviano i
potenziali d’azione e stabiliscono il ritmo cardiaco, e (2) fibre di conduzione, che producono i
potenziali d’azione e li propagano nel cuore in maniera estremamente coordinata. Nel loro
complesso, tali cellule costituiscono il sistema di conduzione del cuore.

Cellule pacemaker del miocardio:

Le contrazioni del cuore hanno origine dalle cellule pacemaker, che generano spontaneamente i
potenziali d’azione. Sebbene le cellule pacemaker siano localizzate in quasi tutte le parti del cuore,
esse sono concentrate in due regioni del miocardio: (1) nodo senoatriale (nodo SA), localizzato
nella parte superiore dell’atrio destro e (2) nodo atrioventricolare (nodo AV), posto in prossimità
della valvola tricuspide nel setto interatriale. Le frequenze di scarica spontanea delle cellule del
nodo SA e del nodo AV sono differenti. Infatti, le prime hanno una frequenza di scarica di
potenziali d’azione spontanei più elevata e poiché i due nodi sono connessi da fibre di conduzione,
è il nodo SA ad attivare la depolarizzazione del nodo AV, e quindi di tutto il cuore, stabilendone
così la frequenza e il ritmo di contrazione.

Fibre di conduzione del miocardio:

Le fibre di conduzione sono specializzate nel condurre velocemente da un punto all’altro del
miocardio i potenziali d’azione generati dalle cellule pacemaker, innescando e coordinando così le
contrazioni delle varie regioni del muscolo cardiaco. Sebbene tutte le fibre del muscolo cardiaco
siano capaci di trasmettere potenziali d’azione, le fibre di conduzione sono di diametro maggiore e
possono condurre i potenziali d’azione più rapidamente.
La rapida trasmissione dei potenziali d’azione dalle cellule pacemaker alle fibre di conduzione e alle
cellule contrattili è possibile perché tutte le cellule muscolari cardiache tra loro vicine sono
collegate tramite giunzioni comunicanti, che consentono alla corrente elettrica di fluire da una
cellula all’altra. Nel cuore, le giunzioni comunicanti sono concentrate in strutture dette dischi
intercalari, che formano giunzioni tra fibre muscolari adiacenti.

Origine e conduzione dell’impulso durante un battito cardiaco:

1. Un potenziale d’azione insorge nel nodo SA. Dal nodo SA, l’impulso si dirige al nodo AV
mediante le vie internodali, facenti parte del sistema di conduzione e che si diramano nelle
pareti degli atri. Il segnale si muove attraverso le vie internodali e contemporaneamente
diffonde anche attraverso la massa muscolare atriale mediante le vie interatriali.
2. L’impulso viene condotto alle cellule del nodo AV, che trasmettono i potenziali d’azione
meno velocemente delle altre cellule del sistema di conduzione, e come risultato, prima di
avanzare, viene momentaneamente ritardato di circa 0,1 secondi nell’attraversare il nodo
AV (ritardo nodale AV).
3. Dal nodo AV, l’impulso viaggia attraverso il fascio atrioventricolare, chiamato fascio di His,
un fascio compatto di fibre muscolari localizzato nel setto interventricolare. Il nodo AV ed il
fascio di His sono la sola connessione elettrica esistente tra gli atri ed i ventricoli, che per il
resto sono separati dallo scheletro fibroso.
4. Il segnale viaggia solo per un breve tratto attraverso il fascio atrioventricolare prima di
dividersi nei rami del fascio di destra e di sinistra, che conducono l’impulso,
rispettivamente, al ventricolo di destra e a quello di sinistra.
5. Dai due rami, l’impulso viaggia attraverso un’estesa rete di ramificazioni chiamate fibre del
Purknje, che diffondono attraverso il miocardio ventricolare in senso ascendente dall’apice
verso le valvole. Quindi, da queste fibre l’impulso si propaga attraverso le restanti cellule
miocardiche.

Basi ioniche dell’attività elettrica del cuore:

Attività elettrica nelle cellule pacemaker:


Una cellula contrattile cardiaca genera un potenziale d’azione solo quando si depolarizza in seguito
ad uno stimolo. La corrente generata dallo stimolo entra nella cellula grazie alle giunzioni
comunicanti che connettono le cellule tra loro. Dopo essere entrata nella cellula, la corrente ne
esce passando attraverso la membrana plasmatica, scatenando così la depolarizzazione. Una
cellula pacemaker è in grado di generare un potenziale d’azione spontaneamente perché il
potenziale di risposo della membrana non è stabile! Dopo un potenziale d’azione, la cellula
pacemaker inizia immediatamente a depolarizzarsi lentamente e continua a farlo fino a
raggiungere il potenziale di soglia, innescando un altro potenziale d’azione. Le depolarizzazioni
lente, o “a rampa”, che innescano ciascun potenziale d’azione sono chiamate potenziali
pacemaker. Ovviamente, gli eventi elettrici sono provocati da modificazioni della permeabilità di
membrana agli ioni, tramite apertura o chiusura di canali ionici. Un aumento della permeabilità al
Na+ o al Ca2+ tende a rendere il potenziale di membrana più positivo, mentre un aumento della
permeabilità al K+ tende a farlo divenire più negativo. La depolarizzazione lenta che avviene nelle
prime fasi del potenziale pacemaker è dovuta alla chiusura di canali per K+ e all’apertura dei
cosiddetti canali funny. I canali per K+ si aprono durante la ripolarizzazione della membrana dopo
il potenziale d’azione e si chiudono quando la membrana ritorna al suo stato polarizzato. I canali
funny si aprono dopo che la cellula si è ripolarizzata e consentono a ioni Na+ e K+ di attraversare la
membrana plasmatica. Con i canali per K+ chiusi e quelli funny aperti durante le prime fasi del
potenziale pacemaker, la diffusione del K+ all’esterno della cellula diminuisce, mentre il
movimento di Na+ verso l’interno della cellula aumenta, innescando la depolarizzazione
spontanea. Questa iniziale depolarizzazione attiva l’apertura di canali per il Ca2+ voltaggio-
dipendenti detti canali di tipo T, che innalzano la permeabilità al Ca2+, il che depolarizza
ulteriormente la cellula. La depolarizzazione che ne risulta attiva l’apertura di una seconda
popolazione di canali per il Ca2+ voltaggio-dipendenti detti canali di tipo L, che rimangono aperti
per più tempo e si inattivano lentamente. Questa depolarizzazione fa aprire i canali per K+,
riportando il potenziale vicino ai valori di riposo. Questo potenziale più negativo rimuove lo
stimolo per l’apertura dei canali per Ca2+, permettendo a questi canali di cominciare a chiudersi.
Poiché il cuore genera i propri potenziali d’azione, non è richiesto un segnale nervoso per avviare
la contrazione.

Registrazione dell’attività elettrica del cuore: l’elettrocardiogramma


L’elettrocardiogramma (ECG) è un modo non invasivo per monitorare l’attività elettrica del cuore.
I medici utilizzano le registrazioni dell’ECG per stabilire se l’attività elettrica del cuore si presenta
normale oppure con delle anomalie. L’ECG è una registrazione del flusso di corrente che attraversa
il cuore durante un ciclo cardiaco; esso viene registrato mediante l’utilizzo di elettrodi posizionati
sulla cute. L’attività elettrica generata dal tessuto nervoso o muscolare si propaga attraverso il
corpo perché i fluidi corporei funzionano come un conduttore. Più sincronizzata è l’attività, più
grande è l’ampiezza dei segnali che sono registrati ad una certa distanza dall’origine. Poiché
l’attività elettrica del cuore è altamente sincronizzata, potenziali elettrici relativamente ampi e
corrispondenti alle distinte fasi elettriche del cuore si possono registrare sulla superficie cutanea.
La procedura per la registrazione standard dell’ECG è basata su un immaginario triangolo
equilatero costruito attorno al cuore. Il triangolo si espande fino a che i suoi angoli non vanno a
cadere sul braccio destro, sul braccio sinistro e sulla gamba sinistra, un modello conosciuto come
triangolo di Einthoven. Gli elettrodi, posizionati sulla cute in corrispondenza degli angoli del
triangolo, sono collegati in coppie da un dispositivo che misura il voltaggio (un oscilloscopio o un
registratore a carta). Le coppie di elettrodi sono chiamate derivazioni e sono indicate con numeri
romani. Ciascuna specifica derivazione misura la d.d.p. di superficie tra l’elettrodo positivo e quello
negativo. La direzione delle forme d’onda registrate (verso l’alto o verso il basso) dipende dalla
d.d.p. tra i due elettrodi, che può essere positiva (verso l’alto) o negativa (verso il basso). L’ECG
viene registrato su carta millimetrata alla velocita di 25 mm\sec, con ampiezza di 1 mV\cm. L’ECG
generalmente mostra 3 tipi di onde: (1) onda P, una deflessione verso l’alto dovuta alla
depolarizzazione atriale; (2) complesso QRS, una serie di deflessioni a punta verso l’alto e verso il
basso, che sono espressione della depolarizzazione ventricolare; (3) onda T, una deflessione verso
l’alto dovuta alla ripolarizzazione ventricolare.
Il ciclo cardiaco:
Il ciclo cardiaco comprende tutti gli eventi associati con il flusso del sangue attraverso il cuore
durante un singolo battito cardiaco. Concentreremo l’interesse sui seguenti aspetti del ciclo
cardiaco: (1) le varie fasi dell’azione di pompa del cuore; (2) le fasi di apertura e chiusura delle
valvole cardiache; (3) le modificazioni delle pressioni atriale, ventricolare e aortica, che riflettono
la contrazione e il rilasciamento del muscolo cardiaco; (4) le modificazioni del volume ventricolare,
che riflettono la quantità di sangue che entra ed esce dal ventricolo ad ogni battito cardiaco e (5) i
due principali toni cardiaci.
Fasi del ciclo cardiaco:
Il ciclo cardiaco comprende sia la contrazione ventricolare che il rilasciamento ventricolare e può
essere suddiviso in due fasi distinte: (1) sistole, evento della contrazione ventricolare e (2)
diastole, evento del rilasciamento ventricolare. Iniziamo ad esaminare il ciclo cardiaco a metà
della diastole, un momento nel quale gli atri ed i ventricoli sono completamente rilasciati:
1. Fase di riempimento ventricolare: Durante la seconda metà della diastole, il sangue torna
al cuore attraverso le vene sistemiche e le vene polmonari, entra negli atri rilasciati, passa
attraverso le valvole AV e riempie i ventricoli; la pressione nelle vene è sufficiente da
spingere il sangue nel cuore (ritorno venoso). Durante il riempimento, le valvole polmonare
ed aortica (semilunari) sono chiuse, perché la pressione ventricolare è più bassa rispetto a
quelle vigenti nell’aorta e nelle arterie polmonari. Alla fine della diastole, gli atri si
contraggono, spingendo ulteriore sangue nei ventricoli. Dopo poco, gli atri si rilasciano ed
inizia la sistole. Tutta questa fase in cui il sangue riempie i ventricoli si chiama riempimento
ventricolare.
2. Fase della contrazione isovolumetrica: All’inizio della sistole, i ventricoli iniziano a contrarsi
e la pressione al loro interno aumenta. Quando la pressione ventricolare supera quella
atriale, le valvole AV si chiudono; le valvole semilunari rimangono ancora chiuse, perché la
pressione ventricolare non è sufficiente a determinarne l’apertura. A questo punto il
sangue non può fluire né all’interno né all’esterno del ventricolo, perché tutte le valvole
sono chiuse. Così, anche se i ventricoli sono contratti, il volume di sangue all’interno resta
costante ed è per questo che la fase 2 è definita contrazione isovolumetrica. La fase 2
termina quando la pressione ventricolare è abbastanza grande da forzare l’apertura delle
valvole semilunari, in modo che il sangue possa lasciare i ventricoli.
3. Fase dell’eiezione ventricolare: Nella restante parte della sistole, il sangue viene pompato
nell’aorta e nelle arterie polmonari attraverso le valvole semilunari aperte e il volume
ventricolare diminuisce. Durante l’efflusso del sangue dai ventricoli, definito eiezione
ventricolare, la pressione ventricolare raggiunge il picco massimo e quindi inizia a
diminuire. Quando è divenuta tanto bassa da essere inferiore alla pressione aortica, le
valvole semilunari si chiudono, mettendo fine all’eiezione (e alla sistole) e dando inizio alla
diastole!
4. Fase di rilasciamento isovolumetrico: All’inizio della successiva diastole, il miocardio
ventricolare è rilasciato. La pressione ventricolare è nel contempo troppo bassa per tenere
le valvole semilunari aperte e troppo alta per consentire l’apertura delle valvole AV. Poiché
tutte le valvole sono chiuse e durante il rilasciamento ventricolare il volume di sangue che
rimane nei ventricoli è costante, la fase 4 è conosciuta come rilasciamento isovolumetrico.
Una volta che la pressione ventricolare diviene abbastanza bassa da consentire alle valvole
AV di aprirsi di nuovo, dagli atri il sangue fluisce nei ventricoli. Questo segna l’inizio della
fase 1 e il ciclo della pompa riprende!
Controllo nervoso della frequenza cardiaca:
Le cellule pacemaker del nodo SA ricevono afferenze dai neuroni del SN autonomo. Questo è
importante, perché gli impulsi che viaggiano lungo questi neuroni sono in grado di modificare la
frequenza dei potenziali d’azione generati dalle cellule del nodo SA, normalmente uniche
responsabili della frequenza cardiaca. L’aumentata attività dei neuroni simpatici diretti al nodo SA
incrementa la frequenza dei potenziali d’azione nelle cellule pacemaker. I neuroni simpatici
rilasciano noradrenalina, che si lega ai recettori beta1-adrenergici delle cellule del nodo SA e attiva
il sistema del cAMP come secondo messaggero. Il cAMP stimola l’apertura dei canali funny e dei
canali del Ca2+ del tipo T. Si ha così un aumento della velocita della depolarizzazione spontanea ed
una diminuzione del livello di ripolarizzazione, per cui la soglia per l’insorgenza del potenziale
d’azione viene raggiunta più rapidamente. Così, la frequenza dei potenziali d’azione aumenta,
causando una maggiore frequenza del battito cardiaco, che incrementa la gittata cardiaca. I
neuroni simpatici innervano anche il nodo AV e altre parti del sistema di conduzione, dove
influenzano la velocità di conduzione dei potenziali d’azione. L’aumentata attività dei neuroni
parasimpatici sulle cellule del nodo SA provoca la diminuzione della frequenza dei potenziali
d’azione nelle cellule pacemaker. In neuroni parasimpatici, rilasciano acetilcolina, che si lega ai
recettori colinergici muscarinici posti sulle cellule del nodo SA e provoca l’apertura dei canali del
K+, facendo contemporaneamente chiudere i canali funny e i canali di tipo T. Ne risulta un
decremento della velocità della depolarizzazione spontanea e una iperpolarizzazione della
membrana, con conseguente allontanamento del potenziale di membrana dal livello di soglia per
l’insorgenza del potenziale d’azione. In queste circostanze, la frequenza alla quale insorgono i
potenziali d’azione diminuisce, il cuore rallenta i suoi battiti e la gittata cardiaca tende a diminuire.
I neuroni parasimpatici influenzano anche la conduzione dell’impulso attraverso il nodo AV e lungo
la restante parte del sistema di conduzione. Quando l’attività di questi neuroni aumenta, la
velocità di conduzione diminuisce, provocando il ritardo della conduzione tra atri e ventricoli e
allungando il tempo richiesto per eccitare i ventricoli. Il risultato è un aumento della durata della
sistole.
Controllo ormonale della frequenza cardiaca:
L’adrenalina è l’ormone più importante nella regolazione della funzione cardiaca. Gli effetti
dell’adrenalina, secreta dalla midollare del surrene in risposta ad un’aumentata attività simpatica,
sono simili a quelli esercitati dalla stessa attività nervosa simpatica: l’adrenalina fa aumentare la
frequenza dei potenziali d’azione nel nodo SA e, quindi, incrementa la frequenza cardiaca. Altri
ormoni che influenzano direttamente la funzione cardiaca sono gli ormoni tiroidei, l’insulina ed il
glucagone. Questi ormoni aumentano la forza di contrazione del miocardio, ma il glucagone
promuove anche l’aumento della frequenza cardiaca.
CAPITOLO 16
IL SISTEMA RESPIRATORIO: LA VENTILAZIONE POLMONARE
La funzione del sistema respiratorio è la respirazione, ossia il processo di scambio dei gas. La
respirazione si divide in: (1) respirazione interna, respirazione cellulare, si riferisce all’utilizzo
dell’O2 nei mitocondri per generare ATP grazie alla fosforilazione ossidativa e (2) respirazione
esterna, scambio di O2 e CO2 tra l’atmosfera e i tessuti del corpo.
La respirazione esterna comprende 4 processi:
1) Ventilazione polmonare: movimento dell’aria dentro ai polmoni (inspirazione) e fuori dai
polmoni (espirazione).
2) Scambio per diffusione di O2 e CO2 tra le cavità aeree polmonari e il sangue.
3) Trasporto da parte del sangue dell’O2 e della CO2 tra i polmoni e i tessuti.
4) Scambio per diffusione di O2 e CO2 tra il sangue e i tessuti.
Anatomia del sistema respiratorio:
Gli organi principali del sistema respiratorio sono i polmoni, che si trovano nella cavità toracica.
Ciascun polmone è diviso in lobi: il polmone destro è composto da 3 lobi, mentre quello sinistro è
composto da 2 lobi. L’aria entra ed esce dai polmoni attraverso le vie aeree superiori ed una serie
di condotti che formano il tratto respiratorio.
Vie aeree superiori:
Si tratta di passaggi per l’aria che si trovano nella testa e nel collo. L’aria entra nella cavità nasale o
nella cavità orale, che conducono entrambe alla faringe. Superata la faringe, le vie per il cibo e per
l’aria divergono: il cibo entra nell’esofago che porta allo stomaco, mentre l’aria entra nella laringe.
Il tratto respiratorio:
Si tratta di tutte le vie di passaggio per l’aria dalla faringe ai polmoni. Il tratto respiratorio può
essere diviso in: (1) zona di conduzione, parte superiore che consente la conduzione dell’aria dalla
laringe ai polmoni e (2) zona respiratoria, parte inferiore, che comprende i siti di scambio dei gas
che si trovano nei polmoni.
La zona di conduzione parte dalla laringe: per evitare che il cibo entri nel tratto respiratorio, il
passaggio alla laringe detta glottide è coperto da un lembo di tessuto detto epiglottide, che
durante la deglutizione è mantenuto abbassato sulla glottide, impedendo a cibo o acqua di entrare
nella laringe. Nella laringe si trovano le corde vocali, che vibrano generando suoni quando l’aria le
attraversa. Dopo la laringe c’è la trachea, che decorre parallelamente e anteriormente all’esofago.
Dopo il suo ingresso nella cavità toracica, la trachea si divide nei bronchi primari di destra e di
sinistra, che conducono l’aria in ciascun polmone. I bronchi, entro ciascun polmone, si dividono in
piccoli condotti, chiamati bronchi secondari; 3 bronchi secondari conducono aria ai lobi del
polmone destro e 2 bronchi secondari conducono aria ai lobi del polmone sinistro. Ciascun bronco
secondario si divide in bronchi terziari più piccoli che, a loro volta, si ramificano in bronchi ancora
più piccoli, fino ad avere 23 livelli di ramificazione! Quando i tubuli hanno un diametro inferiore al
millimetro vengono chiamati bronchioli. I bronchioli si ramificano ulteriormente a formare i
bronchioli terminali. La funzione primaria della zona di conduzione è quella di fornire una via di
passaggio per l’aria in entrata e in uscita dalla via respiratoria, dove si verificano gli scambi gassosi.
La zona di conduzione è rivestita da epitelio la cui composizione cambia man mano che i tubuli
diventano più piccoli di diametro. L’epitelio che riveste la laringe e la trachea contiene le cellule
caliciformi, mentre in tutta la zona di conduzione ci sono le cellule ciliate. Le cellule caliciformi
secernono il muco che cattura le particelle estranee che si trovano nell’aria inalata; le ciglia delle
cellule ciliate si muovono da una parte all’altra per sospingere il muco, contenente le particelle
inglobate, verso la glottide e quindi verso la faringe, dove viene deglutito. Ai livelli inferiori a quello
dei bronchioli, cellule fagocitarie dette macrofagi inglobano le sostanze estranee che si trovano
nello spazio interstiziale e sulla superficie dell’epitelio.
La zona respiratoria inizia dopo che i bronchioli si sono ramificati. Le prime strutture della zona
respiratoria, i bronchioli respiratori, terminano nei dotti alveolari, che portano agli alveoli, la sede
primaria nella quale si verifica lo scambio dei gas. Molti alveoli sono raggruppati in strutture dette
sacchi alveolari, simili a grappoli d’uva; alcuni alveoli invece si aprono direttamente sui bronchi
respiratori. Gli alveoli adiacenti non sono strutture completamente autonome, poiché connessi da
pori alveolari, l’aria può fluire tra gli alveoli, mantenendo in equilibrio la pressione entro i
polmoni. La parete di un alveolo è costituita da cellule dette pneumociti di tipo 1, che sono
disposte su una lamina basale. In molte regioni dei polmoni, le cellule epiteliali alveolari e le cellule
endoteliali dei capillari sono talmente vicine che le loro lamine basali si fondono assieme! Le pareti
capillari e quelle alveolari formano insieme la membrana respiratoria, che separa l’aria dal
sangue. Negli alveoli si trovano anche gli pneumociti di tipo 2 e i macrofagi alveolari, che
inglobano le particelle estranee e i patogeni inalati che giungono ai polmoni.
Strutture della cavità toracica:
I polmoni si trovano nella cavità toracica. La parete toracica è composta da strutture che
proteggono i polmoni: la gabbia toracica, formata da 12 paia di costole, lo sterno, le vertebre
toraciche, i muscoli e i tessuti connettivi associati. I muscoli della parete toracica responsabili della
respirazione sono i muscoli intercostali interni ed esterni, che si inseriscono sulle costole, e il
diaframma, a forma di cupola, che delimita inferiormente la parete toracica e separa la cavità
toracica da quella addominale. La superficie interna della parete toracica e la superficie esterna
dei polmoni sono coperte da una membrana detta pleura, che è formata da uno strato di cellule
epiteliali e da connettivo; ciascun polmone è inoltre ricoperto da un proprio distinto sacco
pleurico. La porzione di sacco pleurico attaccata al tessuto polmonare viene chiamata pleura
viscerale; la porzione attaccata alla parete toracica viene chiamata pleura parietale. Tra le due
pleure si trova un compartimento molto sottile, chiamato spazio intrapleurico, che è riempito da
una piccola quantità di liquido intrapleurico.
Meccanica respiratoria:
Il flusso d’aria dentro e fuori dai polmoni viene guidato dai gradienti di pressione che i muscoli
della respirazione determinano modificando il volume dei polmoni. La relazione tra la pressione ed
il volume di un gas segue la legge di Boyle: data una certa quantità di gas all’interno di un
contenitore, la pressione è inversamente proporzionale al volume del contenitore a tenuta d’aria. Il
flusso d’aria attraverso i polmoni è definito come flusso di volume, la cui velocità è determinata
da un gradiente di pressione e da una resistenza, in base alla formula:

Flusso = Patm – Palv\R


La pressione intra-alveolare è determinata da due fattori: la quantità di molecole d’aria negli
alveoli e il volume stesso degli alveoli. All’inizio dell’inspirazione, i polmoni si espandono in seguito
alla contrazione dei muscoli inspiratori determinando un aumento di volume degli alveoli e una
diminuzione della pressione intra-alveolare, in accordo con la legge di Boyle. La riduzione della
pressione intra-alveolare determina un gradiente di pressione che introduce l’aria nei polmoni.
Durante l’espirazione avviene il contrario.
L’inspirazione ha inizio con la stimolazione nervosa dei muscoli inspiratori. Questi muscoli
scheletrici sono stimolati a contrarsi dal rilascio di acetilcolina a livello della giunzione
neuromuscolare. La contrazione del diaframma ne determina l’appiattimento e l’abbassamento;
allo stesso tempo, la contrazione dei muscoli intercostali esterni fa sì che le costole ruotino verso
l’alto e verso l’esterno, espandendo la parete toracica. Queste azioni combinate aumentano il
volume della cavità toracica. Quando i polmoni si espandono, la pressione negli alveoli scende
sotto il livello di quella atmosferica, quindi l’aria fluisce negli alveoli e continua a fluire finché la
pressione non raggiunge il livello della pressione atmosferica.
L’espirazione è un processo passivo, in quanto non richiede una contrazione muscolare. Al termine
di un’inspirazione la parete toracica e i polmoni risultano espansi in seguito alla contrazione
muscolare. Successivamente, rilasciando questi muscoli, la parete toracica e i polmoni ritornano
alla loro posizione di riposo. Durante questo processo, il volume dei polmoni diminuisce,
determinando un valore di pressione intra-alveolare maggiore di quella atmosferica.
Fattori che influenzano la ventilazione polmonare:
La velocità con la quale l’aria entra ed esce dai polmoni è determinata da due fattori: (1) gradiente
di pressione tra l’aria e gli alveoli e (2) resistenza delle vie respiratorie.
Complianza polmonare:

I polmoni sono strutture elastiche e tendono a ritornare nella loro posizione iniziale dopo essere
stati stirati. Una misura della facilità con la quale essi possono essere stirati è chiamata
complianza (distensibilità). La complianza polmonare è definita come il cambiamento di volume
polmonare determinato da una variazione nella pressione transpolmonare. La complianza
polmonare dipende dall’elasticità dei polmoni e dalla tensione superficiale del liquido che ricopre
gli alveoli. La tensione superficiale di un liquido è una misura del lavoro necessario ad aumentare
di una certa quantità la sua superficie. Maggiore è la tensione superficiale, maggiore lavoro è
necessario per stendere ulteriormente il liquido. La tensione superficiale nei polmoni è
determinata dall’interfaccia aria-liquido, formata dal sottile strato di liquido che ricopre la
superficie interna degli alveoli. All’espandersi del tessuto polmonare, si estende anche lo strato di
liquido che riveste gli alveoli. Quindi, nel momento in cui i polmoni si espandono, viene richiesto
del lavoro non solo per stirare il tessuto elastico, ma anche per aumentare la superficie dello
strato di liquido che riveste gli alveoli. La presenza di una sostanza simile ad un detergente,
chiamata sostanza tensioattiva polmonare o fattore surfattante, diminuisce la tensione
superficiale negli alveoli. Il tensioattivo polmonare è secreto dagli pneumociti di tipo 2, posti nelle
pareti degli alveoli. La tensione superficiale del liquido che ricopre gli alveoli è ridotta dall’azione
della sostanza tensioattiva polmonare, in quanto quest’ultima interferisce con i legami idrogeno
tra le molecole d’acqua. Di conseguenza, la sostanza tensioattiva aumenta la complianza
polmonare e diminuisce il lavoro espiratorio!
Volumi e capacità polmonari:

Utilizzando la tecnica della spirometria si possono misurare 3 dei 4 volumi polmonari che non si
sovrappongono; nel loro insieme, i 4 volumi costituiscono la capacità polmonare totale. Il volume
di aria che entra ed esce dai polmoni durante un singolo atto respiratorio non forzato è detto
volume corrente, che mediamente è pari a 0,5 L. Il volume di aria che può ancora essere inspirato
al termine di una normale inspirazione è chiamato volume di riserva inspiratoria ed è in media
circa 3 L. Il volume di aria che può essere ancora espirato al termine di una normale espirazione è
detto volume di riserva espiratoria ed è in media 1 L. Il volume di aria che rimane nei polmoni
dopo un’espirazione massimale è chiamato volume residuo e corrisponde a circa 1,2 L. Le
capacità polmonari derivano dalla somma di due o più volumi polmonari, descritti in precedenza.
La capacità inspiratoria è il volume massimo di aria che può essere inspirata alla fine di
un’espirazione tranquilla; è la somma del volume corrente e del volume di riserva inspiratoria e
corrisponde a 3,5 L. La capacità vitale è il volume massimo di aria che può essere espirata dopo
un’inspirazione massimale; è la somma del volume corrente, del volume di riserva inspiratoria e
del volume di riserva espiratoria e corrisponde a 4,5L. La capacità funzionale residua è il volume di
aria che rimane nei polmoni al termine di un’espirazione tranquilla; è costituita dal volume di
riserva espiratoria e dal volume residuo e corrisponde a 2,2 L. La capacità polmonare totale è il
volume d’aria presente nei polmoni al termine di un’inspirazione massimale; è la somma del
volume corrente, del volume di riserva inspiratoria, del volume di riserva espiratoria e del volume
residuo e corrisponde a 5,7 L.

CAPITOLO 17
IL SISTEMA RESPIRATORIO: LO SCAMBIO DEI GAS E LA REGOLAZIONE DEL RESPIRO
Le concentrazioni di O2 e CO2 nel sangue arterioso sistemico sono mantenute a livelli
relativamente costanti, in quanto l’O2 si muove dall’aria alveolare al sangue alla stessa velocità
con cui viene consumato dai tessuti, e la CO2 si muove dal sangue all’aria alveolare alla stessa
velocità con cui viene prodotta. Il rapporto tra la quantità di CO2 prodotta dall’organismo e la
quantità di O2 consumata viene chiamata quoziente respiratorio. In condizioni di riposo, l’O2
entra nei polmoni e la CO2 lascia gli alveoli attraverso il flusso d’aria che si verifica durante la
ventilazione. Il sangue deossigenato ritorna attraverso le vene sistemiche all’atrio destro del cuore
e da qui entra nel ventricolo destro, che lo pompa ai polmoni attraverso le arterie polmonari. Nei
capillari polmonari, l’O2 diffonde dagli alveoli al sangue e la CO2 diffonde in senso contrario. Il
sangue ossigenato lascia i polmoni e ritorna all’atrio sinistro attraverso le vene polmonari. Entra
quindi nel ventricolo sinistro, da cui viene pompato verso le cellule dell’organismo attraverso le
arterie sistemiche. Il sangue, ora deossigenato, ritorna all’atrio destro e il ciclo si ripete! Il
movimento di O2 e CO2 tra l’aria alveolare e il sangue si ottiene per diffusione e dipende dal
gradiente di concentrazione. L’O2 è maggiormente concentrato negli alveoli e perciò passa al
sangue, mentre la CO2 diffonde in senso contrario. La membrana respiratoria è costituita da 3
strati: (1) cellule epiteliali di tipo 1, nella parete alveolare (2) cellule endoteliali, nella parete dei
capillari e, tra queste, (3) le rispettive lamine basali. La membrana respiratoria fornisce una
superficie molto estesa ed estremamente sottile, che favorisce una grande velocità’ di diffusione
per l’O2 e la CO2 tra l’aria alveolare e il sangue.
Scambi di ossigeno e anidride carbonica:
Nelle miscele di gas, ciascun gas diffonde in base al suo gradiente di pressione parziale. Lo scambio
di O2 e CO2 tra l’aria alveolare e il sangue e tra il sangue e i tessuti sistemici avviene grazie al
medesimo meccanismo: ciascun gas diffonde in base al suo gradiente di pressione parziale.
Scambi gassosi nei polmoni:
Le pressioni parziali dei gas alveolari differiscono da quelle atmosferiche per 3 ragioni: (1) scambi
di gas intervengono continuamente tra l’aria alveolare e il sangue dei capillari, (2) in seguito ad
un’inspirazione, l’aria atmosferica fresca si mescola con l’aria ricca di CO2 e relativamente povera
di O2 che si trova nello spazio morto della zona di conduzione e (3) l’aria negli alveoli è satura di
vapore acqueo. La diffusione è un processo molto rapido che si completa nel tempo in cui il
sangue percorre circa 1\3 della lunghezza dei capillari (il sangue e l’aria alveolare sono in equilibrio
dopo 0,25 secondi. La rapidità dello scambio dei gas fornisce un margine di sicurezza alla
diffusione facendo sì che le pressioni parziali dei gas possano raggiungere l’equilibrio tra il sangue
capillare e l’aria alveolare anche nel caso in cui il sangue scorra ad una velocità fino a 3 volte
maggiore di quella normale, come succede, ad esempio, durante l’attività fisica intensa.
Scambi gassosi nei tessuti:

Il sangue ossigenato nei capillari polmonari ritorna all’atrio sinistro attraverso le vene polmonari.
Esso quindi fluisce nel ventricolo sinistro che lo pompa verso i capillari sistemici, dove ha luogo lo
scambio tra il sangue e le cellule del tessuto. Quando l’O2 e la CO2 diffondono in base al loro
gradiente di pressione parziale, l’O2 si muove dal sangue ai tessuti e la CO2 dai tessuti al sangue. Il
sangue venoso che proviene dai vari distretti ritorna all’atrio destro mescolandosi prima di essere
pompato dal ventricolo destro all’arteria polmonare. Quindi, il sangue dell’arteria polmonare è
chiamato sangue venoso misto.
Trasporto dell’ossigeno nel sangue:
Il trasporto di ossigeno nel sangue richiede una particolare caratteristica: il meccanismo di
trasporto deve essere prontamente reversibile, cosicché’ l’O2 che entra nel sangue attraverso i
polmoni venga rilasciato dal sangue in altri tessuti del corpo. L’emoglobina, una proteina
contenuta negli eritrociti, ha una particolare struttura che consente all’ossigeno di compiere
questa attività.
L’emoglobina è una proteina formata da 4 subunità, ciascuna delle quali contiene una globina
(catena polipeptidica globulare) e un gruppo eme, che contiene ferro. Ciascun gruppo eme è
capace di legare una molecola di ossigeno (O2). Il complesso emoglobina-O2 viene chiamato
ossiemoglobina; una molecola di emoglobina priva di O2 viene chiamata deossiemoglobina. Nei
polmoni, le molecole di O2 che si spostano dall’aria alveolare al sangue capillare si legano
all’emoglobina; quando il sangue raggiunge i tessuti, le molecole di O2 si dissociano
dall’emoglobina e diffondono nelle cellule. Il legame tra emoglobina e O2 deve essere reversibile
in modo sufficientemente forte da poter portare grandi quantità di O2 ai polmoni ma non così
forte da non poterlo rilasciare nei tessuti! Un’alta pressione parziale di O2 facilita il legame dell’O2
all’emoglobina, mentre una pressione parziale di O2 più bassa ne facilita il rilascio.
Curva di dissociazione dell’emoglobina:
La relazione tra la pressione parziale di O2 e la saturazione dell’emoglobina può essere riassunta
dal grafico della curva di dissociazione dell’emoglobina, che valuta la % di saturazione
dell’emoglobina in funzione della pressione parziale di O2. Il legame tra O2 ed emoglobina non è
rappresentato da una funzione lineare, ma da una funzione sigmoide (a forma di S), in quanto la
capacita dell’emoglobina di legarsi all’O2 dipende da quante molecole di O2 sono già legate ad
essa. Il legame di una molecola di O2 all’emoglobina aumenta l’affinità dell’emoglobina per l’O2 e
quindi aumenta la probabilità che altro O2 si leghi! A pressioni parziali molto basse, molte
molecole di emoglobina non hanno alcun ossigeno legato ad esse. In queste condizioni, l’affinità
dell’emoglobina per l’O2 è relativamente bassa e un dato aumento della pressione parziale porta
ad un piccolo aumento della % di saturazione. All’aumentare della pressione parziale, più molecole
di emoglobina legano almeno una molecola di O2, determinando un aumento dell’affinità
dell’emoglobina per altre molecole di O2. A valori più alti di 60 mmHg, la pendenza della curva
diminuisce in quanto, all’aumentare della saturazione, è disponibile un minor numero di siti di
legame. Ad un valere superiore a 80 mmHg, la curva diventa pressoché piatta. La pressione
parziale di O2 nelle arterie sistemiche è circa 100 mmHg e l’emoglobina risulta satura al 98%. Nelle
vene sistemiche, la pressione parziale di O2 è di circa 40 mmHg e l’emoglobina è satura al 75%.
Quindi, a riposo, i tessuti prelevano solo il 25% dell’O2 trasportato dal sangue, lasciando una
grande riserva di O2 nel caso in cui la richiesta dovesse aumentare.
Altri fattori che influenzano l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno:
Esistono per lo meno altri 4 fattori che possono influenzare l’affinità dell’emoglobina per l’O2:
1) Temperatura: la temperatura altera la struttura tridimensionale dell’emoglobina.
All’aumentare del metabolismo nei tessuti, aumenta anche la temperatura, diminuendo
l’affinità dell’emoglobina per l’O2. Come risultato, più O2 è rilasciato ai tessuti molto attivi.
2) pH: l’effetto del pH sulla curva di dissociazione dell’emoglobina è conosciuto come effetto
Bohr ed è basato sul fatto che, quando l’O2 si lega all’emoglobina, alcuni amminoacidi della
proteina rilasciano ioni H+. Quindi la di diminuzione del pH determina il rilascio di qualche
molecola di O2 da parte dell’emoglobina, anche nel caso in cui la pressione parziale di O2
rimanga costante! Gli ioni H+, legandosi all’emoglobina, diminuiscono l’affinità di
quest’ultima per l’O2, che viene rilasciato.
3) Pressione parziale di CO2: la pressione parziale di CO2 influenza l’affinità dell’emoglobina
per l’O2 in quanto la CO2 reagisce in modo reversibile con certi gruppi amminici
dell’emoglobina per formare la carbamminoemoglobina (HbCO2). In questo caso si verifica
l’effetto carbamminico, dove l’affinità dell’emoglobina per l’O2 diminuisce poiché ne viene
alterata la conformazione. Il legame della CO2 all’emoglobina costituisce anche uno dei
meccanismi con i quali la CO2 viene trasportata nel sangue.
4) 2,3-DPG: Il 2,3-bisfosfoglicerato, è un composto prodotto negli eritrociti come intermedio
della glicolisi. Quando l’ossiemoglobina è presente ad alte concentrazioni, essa inibisce
l’enzima che forma il 2,3-DPG e quindi i livelli di quest’ultimo divengono bassi ed ha poco
effetto sull’affinità dell’emoglobina. Però se i livelli di ossiemoglobina sono bassi, allora
interviene la sintesi del 2,3-DPG, che provoca una diminuzione dell’affinità dell’emoglobina
per l’O2. Ciò incrementa il rilascio di O2 nei tessuti che ne hanno bisogno.
Regolazione centrale della ventilazione:
Controllo nervoso della respirazione da parte dei motoneuroni:
I muscoli respiratori sono muscoli scheletrici che si contraggono in seguito a impulsi nervosi
provenienti dai motoneuroni somatici. Il nervo frenico innerva il diaframma, mentre i nervi
intercostali interni ed esterni innervano i rispettivi muscoli intercostali. Durante la respirazione
tranquilla, le scariche dei potenziali d’azione si verificano solo nei motoneuroni inspiratori che
avviano la contrazione. Durante la respirazione forzata, le scariche dei potenziali d’azione nei
motoneuroni inspiratori intervengono in modo sfasato rispetto a quelle che si verificano nei
motoneuroni espiratori. I segnali nervosi che controllano le contrazioni cicliche dei muscoli
respiratori sono generati da centri respiratori situati nel tronco encefalico.
Genesi del ritmo respiratorio nel tronco encefalico:
La respirazione è sotto il controllo sia volontario che involontario. I centri respiratori sono
localizzati nel ponte e nel bulbo del tronco encefalico. In queste regioni due classi di neuroni, i
neuroni inspiratori e i neuroni espiratori, generano potenziali d’azione rispettivamente durante
l’inspirazione e l’espirazione.
Due centri respiratori sono localizzati in ciascun lato del bulbo, detto anche midollo allungato: uno
più ventrale detto gruppo respiratorio ventrale (VRG) ed uno più dorsale detto gruppo
respiratorio dorsale (DRG). Il VRG contiene due regioni di neuroni espiratori ed una regione di
neuroni inspiratori. I neuroni inspiratori sono caratterizzati da un aumento a rampa della loro
attività durante l’inspirazione: la frequenza dei potenziali d’azione è bassa all’inizio
dell’inspirazione e cresce lentamente finché raggiunge il massimo picco dell’inspirazione, quando i
potenziali d’azione terminano bruscamente ed ha luogo l’espirazione. Il DRG contiene
principalmente neuroni inspiratori, con un modello di attività più complesso dei neuroni
inspiratori del VRG in quanto la loro scarica dipende dal grado di stiramento dei polmoni. I neuroni
inspiratori del VRG e del DRG controllano i motoneuroni che originano dai segmenti cervicali del
midollo spinale e innervano i muscoli inspiratori. I neuroni inspiratori del VRG e del DRG stimolano
i motoneuroni del nervo frenico e dei nervi intercostali esterni, causando quindi la contrazione dei
muscoli inspiratori.

Il centro respiratorio del ponte, detto gruppo respiratorio pontino (PRG), contiene neuroni
inspiratori, espiratori e neuroni misti, che hanno un’attività correlata sia all’inspirazione che
all’espirazione. Il PRG potrebbe facilitare la transizione dall’inspirazione all’espirazione.

Abbiamo visto che i neuroni inspiratori del bulbo controllano i motoneuroni dei muscoli inspiratori
e che questi neuroni generano potenziali d’azione durante l’inspirazione ma non durante
l’espirazione. La sorgente di questo ciclo di attività viene chiamata generatore centrale di pattern
(CPG), che è una rete di neuroni che genera una serie ripetuta e regolare di segnali di attività
nervosa chiamata ritmo respiratorio. Alcuni neuroni del CPG hanno un’attività ritmica
(pacemaker), ossia si depolarizzano spontaneamente generando ciclicamente potenziali d’azione
in modo simile a quanto fanno le cellule pacemaker del cuore.
Segnali periferici ai centri respiratori:
Molti tipi di input sensoriali possono alterare la respirazione, in seguito ad una comunicazione
indiretta con il generatore centrale di pattern (CPG). Particolarmente importanti a questo riguardo
sono i segnali provenienti dai chemocettori centrali e periferici: cellule recettoriali sensibili agli
timoli chimici, localizzati nell’encefalo e nelle arterie sistemiche. Questi chemocettori controllano
la composizione del liquido cerebrospinale e del sangue arterioso e sono principalmente
responsabili della regolazione della ventilazione in condizioni di riposo.
Controllo della ventilazione da parte dei chemocettori:
Le variazioni nelle concentrazioni chimiche dei gas nel sangue sono percepite dai chemocettori
localizzati nelle principali arterie e nell’encefalo, che inviano segnali ai centri respiratori attraverso
neuroni afferenti.
I chemocettori:

I chemocettori sono coinvolti nel controllo delle pressioni parziali di O2 e CO2 nel sangue arterioso
ed inviano tali informazioni ai centri respiratori in modo tale che essi possano regolare la
ventilazione in risposta ai cambiamenti di queste variabili. I chemocettori coinvolti nel controllo
respiratorio sono classificati come periferici o centrali, a seconda della loro localizzazione. I
chemocettori periferici si trovano nei glomi carotidei vicino al seno carotideo; altri chemocettori
periferici, detti glomi aortici, si trovano nell’arco aortico e regolano la respirazione in molte specie
animali, meno nell’uomo. I chemocettori centrali si trovano nel bulbo. I chemocettori periferici
sono cellule sensoriali specializzate, in contatto diretto con il sangue arterioso e comunicano con i
neuroni afferenti che proiettano ai centri respiratori bulbari (tramite la secrezione di messaggeri
chimici). I chemocettori periferici rispondono alle pressioni parziali di O2 e di CO2 arteriosa o alle
variazioni del pH sanguigno. I chemocettori centrali sono neuroni bulbari che rispondono
direttamente ai cambiamenti della concentrazione idrogenionica nel liquido cerebrospinale che
circonda il bulbo.
CAPITOLO 18
IL SISTEMA URINARIO: LA FUNZIONE RENALE

Funzioni del sistema urinario:


I reni svolgono le seguenti funzioni fondamentali:
1) Regolazione della composizione ionica del plasma: aumentando o diminuendo
l’escrezione urinaria di ioni specifici, i reni regolano la concentrazione plasmatica degli ioni:
Na+, K+, Ca2+, Mg2+, Cl-, HCO3- e H2PO4-.
2) Regolazione del volume plasmatico: controllando la velocità di escrezione dell’acqua
nell’urina, i reni regolano il volume plasmatico. Ciò ha un effetto diretto sul volume
circolante totale e pertanto sulla pressione sanguigna.
3) Regolazione dell’osmolarità plasmatica: poiché i reni variano la velocità con la quale viene
escreta acqua in rapporto ai soluti, essi hanno la capacità di regolare l’osmolarità
(concentrazione di soluti) nel plasma.
4) Regolazione della concentrazione idrogenionica (pH): grazie alla regolazione della
concentrazione di H+ e HCO3- nel plasma, i reni collaborano con i polmoni a regolare il pH
del sangue.
5) Rimozione di prodotti di scarto del metabolismo e di sostanze estranee dal plasma:
secernendo prodotti di scarto e sostanze indesiderate con l’urina, i reni ripuliscono il
plasma dalle sostanze non necessarie eliminandole dall’organismo. Queste sostanze
comprendono prodotti metabolici come l’urea e l’acido urico (che sono generati
rispettivamente durante il catabolismo delle proteine e degli acidi nucleici), sostanze
estranee (additivi alimentari, farmaci, pesticidi ecc.).
Poiché tra il plasma ed il liquido interstiziale di tutto l’organismo si verifica uno scambio continuo
di acqua e soluti di piccole dimensioni, l’azione renale di regolazione del volume e della
composizione del plasma si riflette in una regolazione di volume e di composizione del liquido
interstiziale. Per queste ragioni, posiamo affermare che i reni controllano il volume e la
composizione di tutti i liquidi corporei. La capacità dei reni di formare urina, cioè la loro funzione
primaria, dipende direttamente dalla loro capacità di filtrare ed intervenire su grandi quantitativi
di soluti e acqua. I reni, inoltre, svolgono diverse funzioni secondarie. Essi sono organi endocrini
poiché secernono l’ormone EPO (eritropoietina), che stimola la produzione di eritrociti all’interno
del midollo osseo e l’enzima renina, necessario per la produzione di angiotensina 2, un ormone
importante per la regolazione del bilancio idrosalino e per il controllo della pressione sanguigna. I
reni sono anche necessari per l’attivazione della vitamina D3, un fattore importante per la
regolazione dei livelli plasmatici di Ca2+ e H2PO4-. Inoltre, durante i periodi di digiuno prolungato,
i reni possono contribuire al normale mantenimento dei livelli ematici di glucosio, innescando la
gluconeogenesi.

Anatomia del sistema urinario:


Il sistema urinario è formato da due reni, da due ureteri, dalla vescica e dall’uretra.
Successivamente alla sua formazione nei reni, l’urina viene condotta alla vescica attraverso gli
ureteri. All’interno della vescica l’urina viene conservata fino al momento della sua escrezione. A
questo punto essa percorre l’uretra e giunge all’ambiente esterno. I reni sono organi pari situati
nella regione posteriore della cavità addominale, appena al di sopra della cintola al livello della
dodicesima costola. I reni si trovano tra il peritoneo e la parete posteriore della cavità addominale,
quindi sono organi retro-peritoneali. I reni ricevono l’apporto ematico necessario dalle arterie
renali, diramazioni dell’aorta che entrano in ciascun rene in corrispondenza di una regione detta
ilo renale. Dopo essere stato ripulito all’interno del rene, il sangue (meno le sostanze rimosse)
ritorna alla circolazione sistemica attraverso le vene renali, che decorrono parallelamente alle
arterie renali e riversano il loro contenuto nella vena cava inferiore.
Anatomia microscopica renale:
La sezione frontale di un rene mostra la presenza di due regioni principali: uno strato esterno
rossastro detto corticale e una regione interna dall’aspetto scuro-striato detta midollare. La
midollare del rene è suddivisa in regioni coniche chiamate piramidi renali, ai cui vertici si trovano
le papille; ogni piramide presenta una serie di tubuli, chiamati dotti collettori, che riversano il loro
contenuto all’interno dei calici minori. I calici minori convergono in 2 o 3 dotti più larghi chiamati
calici maggiori che a loro volta si fondono a formare un singolo passaggio a forma di imbuto detto
pelvi renale, che costituisce il tratto iniziale dell’uretere. All’interno di ogni piramide renale si
trovano milioni di subunità microscopiche chiamate nefroni, che sono le unità funzionali dei reni; il
cui compito è quello di filtrare il sangue e formare l’urina. La caratteristica più evidente del
nefrone è un lungo tubulo contorto detto tubulo renale, che forma un’ansa a “U” circa a metà
della sua lunghezza. Durante la formazione dell’urina, il liquido scorre attraverso i tubuli renali,
dove nel frattempo la composizione dei fluidi viene modificata mediante scambi con il liquido
interstiziale. Alla fine dai singoli tubuli il liquido fluisce in un gruppo di canali comuni definiti dotti
collettori. Il liquido che esce dai dotti collettori è chiamato urina.
Ogni nefrone è in sostanza un completo ed autonomo “mini-rene” che filtra il sangue e forma
l’urina. Un singolo nefrone è formato da due parti: un corpuscolo renale, che filtra il sangue, e un
tubulo renale attraverso il quale scorre il filtrato subendo le modificazioni fino alla formazione
dell’urina.
Il corpuscolo renale è formato da due parti: una struttura sferica da cui prende origine il tubulo
renale, detta capsula di Bowman, e una rete di capillari avvolti su sé stessi a formare un gomitolo,
chiamata glomerulo. Il corpuscolo renale è la sede in cui viene filtrato il sangue e dove si forma il
liquido tubulare (anche detto filtrato). Il sangue entra nei capillari glomerulari attraverso
un’arteriola afferente. Man mano che procede lungo i capillari glomerulari, una certa quantità di
plasma privo di proteine filtra attraverso le pareti dei capillari all’interno della capsula di Bowman
grazie ad un processo chiamato filtrazione glomerulare. Il sangue rimasto nei glomeruli è drenato
attraverso un’arteriola efferente. Le pareti delle arteriole afferenti ed efferenti contengono
muscolatura liscia che può contrarsi o rilasciarsi in risposta a segnali provenienti dal sistema
endocrino o nervoso simpatico, regolando così il loro diametro e quindi la filtrazione glomerulare.
Subito dopo che il filtrato glomerulare si è formato nel corpuscolo renale passa dalla capsula di
Bowman alla porzione iniziale del tubulo renale, chiamata tubulo contorto prossimale e continua
nel tubulo retto prossimale. I due tubuli assieme costituiscono il tubulo prossimale. Il tubulo
prossimale riversa il suo contenuto all’interno dell’ansa di Henle, la porzione del tubulo che crea
un’ansa ad “U” prolungandosi all’interno della midollare del rene. L’ansa di Henle è suddivisa in 3
parti: (1) tratto discendente, (2) tratto ascendente sottile e (3) tratto ascendente spesso. Dal tratto
ascendente dell’ansa di Henle il liquido fluisce nel tubulo contorto distale, che apparentemente è
simile al tubulo prossimale, ma è parecchio più corto. Il liquido percorre quindi un corto tratto
dritto, che costituisce la parte terminale del nefrone, chiamato tubulo connettore, che unisce il
nefrone con il dotto collettore. Diversi tubuli riversano il loro liquido all’interno di un singolo dotto
collettore. I vari dotti collettori, a loro volta, riversano il contenuto nei calici minori.
In base alla loro localizzazione i nefroni possono essere suddivisi in due classi: nefroni corticali e
nefroni juxtamidollari. Sia i nefroni corticali che quelli juxtamidollari partecipano direttamente al
processo di formazione dell’urina, ma i nefroni juxtamidollari servono anche a mantenere un
gradiente osmotico all’interno della midollare renale, fondamentalmente per la capacità del rene
di produrre urina altamente concentrata e di conseguenza di ridurre l’escrezione di acqua. Nel
punto in cui la porzione iniziale del tubulo distale giunge in contatto con un nefrone e le arteriole
afferenti ed efferenti, si forma una struttura detta apparato juxtaglomerulare. Questo apparato è
formato da due componenti: (1) un raggruppamento di cellule epiteliali tubulari specializzate
chiamato macula densa, e (2) cellule granulari (o cellule juxtaglomerulari) situate nella parete
delle arteriole afferenti, che racchiudono nel loro citoplasma numerosi granuli secretori
contenenti la renina. L’apparato juxtaglomerulare gioca un ruolo fondamentale nella regolazione
del volume e della pressione sanguigna.

Circolazione ematica del rene:


All’interno del rene l’arteria renale si suddivide in arterie segmentali, che a loro volta si
suddividono in arterie interlobari, le quali danno origine ad un gruppo di arterie arcuate. Le
arterie arcuate diramano poi nelle arterie interlobulari da cui il sangue viene convogliato ai singoli
nefroni per mezzo delle arteriole afferenti che perfondono nei letti capillari glomerulari. Il sangue
esce dal glomerulo tramite le arterie efferenti e da qui può perfondere due diversi letti capillari: i
capillari peritubulari, localizzati in prossimità dei nefroni corticali, e i vasa recta, che originano
dalle arteriole efferenti dei nefroni juxtamidollari e che formano un’estesa rete vascolare a forma
di “U” avvolgendo l’ansa di Henle e i dotti collettori all’interno della midollare renale. I capillari
peritubulari e i vasa recta riversano il loro contenuto nelle vene interlobulari. Da qui il sangue
viene rimosso dai nefroni per mezzo delle vene arcuate e delle vene interlobari, che decorrono
parallelamente alle arterie corrispettive e raggiunge la vena renale.

I processi di base degli scambi renali:


All’interno dei reni, acqua e soluti vengono scambiati tra il plasma ed il liquido tubulare al fine di
regolare la composizione plasmatica. Infine, le sostanze rimosse dal plasma sono escrete con
l’urina. Nei nefroni si verificano 3 processi di scambio:
1) Filtrazione glomerulare: consente al plasma deproteinato di passare dai capillari
glomerulari nella capsula di Bowman.
2) Riassorbimento: trasporto selettivo di molecole dal lume dei tubuli renali al liquido
interstiziale che si trova all’esterno dei tubuli. Le eventuali molecole riassorbite possono
entrare nei capillari peritubulari mediante un processo di diffusione e quindi ritornare alla
circolazione sistemica.
3) Secrezione: trasporto selettivo di molecole dal liquido peritubulare al lume dei tubuli
renali. Le molecole secrete provengono dal plasma dei capillari peritubulari.
Filtrazione glomerulare:
La filtrazione del corpuscolo renale è sotto il controllo delle forze di Starling (gradienti di pressione
idrostatica e osmotica) che esistono tra le pareti dei capillari glomerulari. Queste forze di Starling
sono le stesse forze che guidano la filtrazione del liquido dai capillari di tutto il corpo. Il filtrato ha
la stessa composizione del plasma, tranne per il fatto che la maggior parte delle proteine presenti
nel plasma è assente. Nella capsula di Bowman l’epitelio si ripiega in modo da avvolgere i capillari
glomerulari. Sotto l’epitelio è presente una lamina basale che agisce come prima barriera di
filtrazione per le proteine. Il filtrato glomerulare deve attraversare quindi 3 barriere prima di
entrare nella capsula di Bowman: (1) lo strato di cellule endoteliali del capillare, (2) lo strato di
cellule epiteliali circostante e (3) la membrana basale che è interposta tra i due strati precedenti.
L’insieme di questi 3 strati prende il nome di membrana glomerulare o barriera di filtrazione. Le
cellule epiteliali che ricoprono i capillari glomerulari sono provviste di particolari estroflessioni o
pedicelli denominati podociti. Nell’uscire dai capillari glomerulari, il liquido filtrato passa
attraverso gli spazi che esistono tra i podociti, chiamati pori. L’apertura dei pori è regolata dai
diaframmi. La somma delle forze di Starling presenti nel corpuscolo renale è chiamata pressione di
filtrazione glomerulare. Le 4 forze di Starling giocano un ruolo chiave in questo processo:

1. Pressione idrostatica nel capillare glomerulare: favorisce la filtrazione ed è uguale alla


pressione ematica nel capillare glomerulare (circa 60 mmHg). Questo valore di pressione ef
sostanzialmente più alto della pressione idrostatica presente nella gran parte degli altri
capillari, a causa dell’elevata resistenza dell’arteriola efferente, posta a valle della rete
capillare glomerulare. L’aumento della resistenza in qualsiasi rete capillare tende, come
regola generale, ad aumentare la pressione a monte e a diminuire la pressione a valle.
2. Pressione osmotica nella capsula di Bowman: poiché le proteine sono generalmente
l’unico soluto che può muoversi tra plasma e capsula di Bowman, le proteine generano la
forza osmotica. La presenza di proteine nel liquido interstiziale che circonda il glomerulo
tenderebbe a richiamare il liquido all’esterno dei capillari e all’interno della capsula. Poiché
solo pochissime proteine lasciano i capillari con il filtrato, la concentrazione proteica nella
capsula di Bowman è molto bassa, e pertanto, la pressione osmotica in condizioni normali
può essere trascurata.
3. Pressione idrostatica nella capsula di Bowman: si oppone alla filtrazione ed è di circa 15
mmHg. Questa pressione è più elevata della pressione idrostatica nel liquido interstiziale
che circonda la gran parte dei letti capillari, poiché il volume di liquido che filtra fuori dai
capillari glomerulari viene “compresso” all’interno del ristretto spazio della capsula di
Bowman.
4. Pressione osmotica glomerulare: si oppone alla filtrazione poiché la presenza di proteine
nel plasma tende a richiamare il filtrato dalla capsula al glomerulo. La pressione osmotica
nel glomerulo è di 29 mmHg, questa è più elevata della tipica pressione osmotica di 25
mmHg presente nella maggior parte dei capillari sistemici, perché il sangue che fluisce
all’interno dei capillari glomerulari perde una grossa quantità di acqua come effetto della
filtrazione glomerulare, e tale perdita di acqua provoca un aumento della concentrazione
delle proteine plasmatiche.
In condizioni normali, circa 625 mL di plasma fluiscono attraverso i reni ogni minuto. Il volume di
plasma filtrato nell’unità di tempo viene chiamato velocita di filtrazione glomerulare (VFG) ed è
circa 125 mL\min. Nel corso della giornata i reni filtrano circa 180 L di plasma! Sebbene entrino nei
tubuli renali 180 L di ultrafiltrato al giorno, solo 1,5 L di urina vengono escreti normalmente dai
reni nello stesso periodo di tempo. La ragione di questa bassa velocità di escrezione è che oltre il
99% del liquido filtrato dal plasma viene normalmente riassorbito. Comunque, poiché la VGF è così
grande, anche un piccolo cambiamento percentuale del suo valore è in grado di produrre un
enorme effetto sul volume di liquido filtrato e quindi sulla quantità di sostanze che devono essere
riassorbite per mantenere lo stesso livello di escrezione urinaria. Così, se per esempio la VFG
aumentasse del 10% verrebbero fatti passare ulteriori 18 L di fluido al giorno nei tubuli renali!
Quando la pressione arteriosa aumenta, anche la pressione nel capillare glomerulare tende ad
aumentare, provocando un aumento della pressione di filtrazione glomerulare e quindi della VFG.
Al contrario, quando la pressione arteriosa diminuisce, anche la pressione capillare glomerulare
decresce, con conseguente diminuzione della pressione di filtrazione glomerulare e della VFG.
Questi cambiamenti della VFG sono spiacevoli poiché tendono rispettivamente a creare aumento
o diminuzione del flusso urinario, per cui interferiscono con la capacità dei reni di regolare il
volume e la composizione del plasma! Sebbene le modificazioni della pressione arteriosa media
possano tollerare modificazioni anche ampie della pressione arteriosa media (80 – 180 mmHg) con
minime variazioni della VFG, poiché sono presenti 2 meccanismi intrinseci di regolazione della VFG
che contrastano le modificazioni della pressione arteriosa:
1. Regolazione miogena della VFG: è simile alla regolazione miogena del flusso ematico negli
altri distretti dell’organismo. La muscolatura liscia dell’arteriola afferente è sensibile allo
stiramento e risponde allo stiramento contraendosi. Nel momento in cui la pressione
media aumenta, aumenta anche la pressione nell’arteriola afferente, con conseguente
stiramento della sua parete. La pressione aumenta anche nei capillari glomerulari, con
conseguente aumento della filtrazione glomerulare e della VFG. In risposta allo stiramento,
l’arteriola afferente si costringe così aumenta la sua resistenza al flusso ematico. Come
risultato, la pressione a valle dei vasi si riduce, compresi i capillari glomerulari. Questa
riduzione della pressione si oppone (ma non modifica) l’iniziale aumento di pressione che
aveva provocato la costrizione dell’arteriola afferente. Comunque, grazie a questo
meccanismo a feedback negativo, la pressione dei capillari glomerulari e la VFG tendono a
rimanere costanti. Una riduzione della pressione arteriosa media determina l’effetto
opposto.
2. Feedback tubulo-glomerulare: una modificazione della VFG provoca una modificazione del
flusso del liquido tubulare che attraversa la macula densa modificando la secrezione di
alcune sostanze paracrine dalla macula densa stessa. Tali sostanze paracrine provocano la
costrizione o la dilatazione dell’arteriola afferente che provoca un cambiamento nella
pressione capillare glomerulare e nella VFG in direzione opposta a quella prodotta dalla
modificazione originale. Come conseguenza a questo controllo a feedback negativo della
VFG, il flusso del liquido in corrispondenza della macula densa si modifica e tale
modificazione contrasta la modificazione di flusso che aveva scatenato la risposta iniziale.
Ad esempio, se un aumento della VFG provoca l’aumento di flusso del liquido tubulare,
l’arteriola afferente si costringe e la VFG diminuisce, inducendo un decremento del flusso.
Per cui la resistenza dell’arteriola afferente si modifica facendo in modo tale che il flusso di
liquido che passa attraverso la macula densa tenda a rimanere costante.
Carico filtrato:
La quantità di un particolare soluto che è filtrato nell’unità di tempo è chiamata carico filtrato.
Quando le molecole di un soluto sono abbastanza piccole da poter attraversare senza limitazioni
significative la membrana glomerulare, molti sono i soluti che hanno questa proprietà, tale soluto
viene detto liberamente filtrabile. Quando tale sostanza viene filtrata, la sua concentrazione nel
filtrato glomerulare è identica alla sua concentrazione nel plasma. Di conseguenza il carico filtrato,
espresso in moli\min, eguaglia il prodotto della VFG per la concentrazione plasmatica del soluto:
Carico filtrato = VFG x concentrazione plasmatica di soluto

Riassorbimento:
Si definisce riassorbimento il movimento di soluti filtrati e di acqua dal lume tubulare verso il
plasma. Tutte le sostanze filtrate dai capillari glomerulari viene riassorbito dai tubuli renali. Il
riassorbimento di alcune sostanze è regolato in funzione della loro velocità di escrezione, che a sua
volta regola la concentrazione di queste sostanze nel plasma.

Riassorbimento dell’acqua e dei soluti:


Molti soluti sono riassorbiti attivamente; cioè essi vengono trasportati contro il loro gradiente
elettrochimico per muoversi dal lume del tubulo verso il plasma. Il riassorbimento di molti soluti
avviene nel tubulo contorto prossimale e nel tubulo contorto distale. Quando una sostanza viene
assorbita deve attraversare due barriere: l’epitelio tubulare e l’endotelio capillare. I capillari sono
una barriera soltanto per il movimento di macromolecole, come le proteine, e cellule. Così le
cellule epiteliali che rivestono i tubuli renali formano la barriera primaria al riassorbimento. Poiché
le cellule epiteliali che rivestono il tubulo renale sono legate da giunzioni strette, il movimento
delle molecole tra le cellule è ridotto. La membrana delle cellule epiteliali che si affaccia nel lume
tubulare è detta membrana apicale ed è provvista di microvilli; la membrana citoplasmatica
rivolta verso il liquido interstiziale viene chiamata membrana basolaterale. I microvilli situati sulla
membrana apicale sono abbondanti nelle porzioni più prossimali del tubulo mentre sono radi nelle
porzioni più distali.
Secrezione:
Nella secrezione tubulare le molecole si muovono dal plasma dei capillari peritubulari nel tubulo
renale per diventare parte del filtrato. La secrezione segue gli stessi processi di base del
riassorbimento e mette in gioco le stesse barriere, ad eccezione del movimento che avviene in
direzione opposta. Alcune sostanze diffondono passivamente dal plasma al filtrato, mentre altre
sono trasportate attivamente. La secrezione mediante trasporto attivo richiede la presenza di
proteine sulla membrana basolaterale che trasportino attivamente il soluto dal liquido interstiziale
all’interno delle cellule epiteliali, o proteine nella membrana apicale che trasportino attivamente il
soluto dall’interno delle cellule epiteliali all’interno del filtrato. Tra le sostanze attivamente secrete
dai tubuli renali vi sono ioni come K+ e H+, prodotti metabolici come la colina e la creatinina,
sostanze estranee come l’antibiotico penicillina. Il risultato finale della secrezione è l’aumento
della quantità di soluto escreta nell’urina e riduzione della sua concentrazione plasmatica.
Escrezione:
L’escrezione è il processo mediante il quale i reni eliminano i soluti e l’acqua dall’organismo sotto
forma di urina. La velocita con la quale una determinata sostanza viene escreta nelle urine è un
parametro importante, in quanto ha una stretta relazione con il volume e la composizione del
plasma. Per qualsiasi sostanza, la quantità che viene escreta in un determinato periodo di tempo è
definita da una semplice regola: il materiale che entra nel lume del tubulo renale se non è escreto
viene riassorbito. Poiché una sostanza può entrare nel tubulo renale in seguito alla filtrazione o al
processo di secrezione, la quantità’ di sostanza che viene escreta nelle urine in un determinato
intervallo temporale è data dalla seguente espressione:
Quantità escreta = (quantità filtrata + quantità secreta) – quantità assorbita
Questa equazione indica che la velocità con la quale un soluto viene escreto nelle urine dipende
interamente da 3 fattori: (1) carico filtrato, (2) velocità con la quale il soluto viene escreto e (3)
velocità con la quale il soluto viene riassorbito. Calcolando il carico filtrato di uno specifico soluto e
confrontando questo valore con la quantità di soluto escreta per minuto, l’effetto netto dei
processi renali (riassorbimento o secrezione) del soluto può essere determinato da 2 semplici
regole:
1. Se la quantità di soluto escreta ogni minuto è minore del carico filtrato, il soluto è stato
riassorbito nei tubuli renali.
2. Se la quantità di soluto escreta ogni minuto è maggiore del carico filtrato, il soluto è stato
secreto dai tubuli renali.
CAPITOLO 19
IL SISTEMA URINARIO: BILANCIO ELETTROLITICO

Concetto di bilancio:
Per mantenere l’omeostasi, l’organismo deve essere mantenuto in equilibrio. Essere in equilibrio
significa che ciò che entra nel corpo e ciò che è prodotto dal corpo deve essere uguale alla somma
di ciò che è usato dal corpo e io che è eliminato dal corpo, come mostrato dall’equazione:
assunzione + produzione = utilizzo + eliminazione
I reni giocano un ruolo importante nel regolare il bilancio idrico ed elettrolitico e l’equilibrio acido-
base.
Fattori che influenzano la composizione del plasma:
I reni esercitano un controllo sul volume e la composizione del plasma mediante la regolazione del
suo contenuto in acqua e soluti. Il volume e la composizione dipendono l’uno dall’altro e devono
essere mantenuti all’interno di un ambito ristretto di valori. Il volume del plasma è determinato
quasi interamente dal suo contenuto d’acqua, poiché i soluti contribuiscono in maniera
trascurabile al volume plasmatico. Tuttavia, la quantità di soluto presente nel plasma influenza
indirettamente il volume, poiché cambiamenti nell’osmolarità plasmatica possono provocare
movimenti dell’acqua tra il plasma e gli altri compartimenti liquidi dell’organismo. Il volume
plasmatico ha un’influenza fondamentale nell’omeostasi perché è direttamente collegato alla
pressione arteriosa media. Il plasma può cedere o ricevere sostanze mediante scambi con le
cellule o con il tessuto connettivo extracellulare, come la matrice del tessuto osseo. Ad esempio,
quando l’osso viene riassorbito, il Ca2+ e i fosfati sono rilasciati nel plasma. Il rilascio innalza la loro
concentrazione, viceversa la deposizione di Ca2+ e fosfati nell’osso abbassa la loro concentrazione
plasmatica. Il plasma può: (1) ottenere o perdere materiali mediante scambi con il lume
gastrointestinale, (2) ottenere o perdere sostanze mediante scambi con il lume dei tubuli renali e
(3) perdere materiali attraverso la sudorazione, un’emorragia o la respirazione. I soluti e l’acqua
vengono assorbiti nel plasma dal tratto gastrointestinale, ma possono anche spostarsi nel lume del
tratto sotto forma di saliva, bile, succo pancreatico ed altre secrezioni gastrointestinali. Il tratto
gastrointestinale è in grado di recuperare il 100% di tutti i materiali secreti così come quelli che
entrano nel tratto attraverso l’ingestione (mangiando o bevendo). La velocità alla quale i soluti e
l’acqua vengono rimossi dal sistema digerente è molto minore della velocità alla quale tali
sostanze vengono rimosse tramite l’escrezione dell’urina attraverso i reni. Di conseguenza, il
trasporto di sostanze attraverso le pareti del sistema digerente si traduce normalmente in un
guadagno netto di soluti ed acqua per l’organismo. I piccoli soluti e l’acqua i muovono dal plasma
al lume dei tubuli renali mediante la filtrazione glomerulare e la secrezione. I soluti e l’acqua
possono ritornare al plasma dai tubuli renali attraverso il riassorbimento. Poiché non tutte le
sostanze vengono riassorbite, il trasporto di sostanze attraverso le pareti dei tubuli renali si
traduce in una perdita netta di soluti ed acqua per l’organismo. Questa perdita di sostanze avviene
attraverso l’escrezione nell’urina.
Soluti e bilancio idrico:
Quando i soluti e l’acqua entrano ed escono dal plasma con la medesima velocità, la composizione
e il volume plasmatici non cambiano e si dice che il sistema è in equilibrio. Cambiamenti nel
volume e\o nella composizione avvengono quando i prodotti entrano nel plasma più velocemente
di quanto escano o viceversa. Quando una sostanza entra nell’organismo più velocemente di
quanto non venga espulsa, si dice che è in uno stato di bilancio positivo; in tali condizioni, la
quantità di sostanza presente nel plasma tende ad aumentare, a meno che non penetri all’interno
delle cellule o venga metabolizzata dall’organismo. Se una sostanza è eliminata dal corpo più
velocemente di quanto entri, la sostanza si trova in uno stato di bilancio negativo; in queste
condizioni la quantità di tale sostanza nel plasma tenderà a diminuire. Quando ci si alimenta con
un pasto contenente glucosio, l’organismo entra in uno stato di bilancio positivo per il glucosio. Il
riassorbimento di glucosio dal lume gastrointestinale provoca un aumento del livello di glucosio
plasmatico, ma questo aumento è transitorio poiché è controllato dalla secrezione di insulina e da
altre modificazioni ormonali. L’insulina causa un aumento della capacità cellulare di assumere
glucosio che, combinato con altre regolazioni ormonali, rapidamente abbassa la concentrazione di
glucosio nel plasma provocando un eventuale ritorno alla normalità. Una volta che il glucosio è
entrato nelle cellule, è catabolizzato per produrre energia o convertito in glicogeno o in grassi per
fungere da riserva. Abbiamo già detto che i reni filtrano 180 L di plasma al giorno. Circa il 70%
dell’acqua e del Na+ filtrati sono riassorbiti dal tubulo prossimale in assenza di specifici
meccanismi di regolazione. Tuttavia l’organismo è in grado di modulare il residuo di acqua e Na+
filtrati variando la quantità escreta o trattenuta basandosi sulle richieste dell’organismo allo scopo
di mantenere l’equilibrio. Inoltre, i reni hanno la funzione di regolare i livelli plasmatici di K+ e
Ca2+ e l’equilibrio acido-base. Queste regolazioni avvengono principalmente nella parte terminale
del tubulo distale e nel dotto collettore. Due tipi di cellule epiteliali rivestono questi tubuli: le
cellule principali e le cellule intercalate. Il bilancio idrico ed elettrolitico è regolato attraverso
azioni ormonali sulle cellule principali, mentre l’equilibrio acido-base è regolato per mezzo di
processi che avvengono sulle cellule intercalate.
Riassorbimento di acqua nel tubulo prossimale:
Poiché il soluto più importante nel liquido extracellulare è Na+ e la maggior parte di Na+ filtrato è
riassorbito nel tubulo prossimale, esso è il soluto principalmente responsabile della generazione
del gradiente osmotico che guida il riassorbimento dell’acqua. Il riassorbimento di Na+ è sempre
causato dal suo trasporto attivo attraverso la membrana basolaterale dalle cellule epiteliali
tubulari nel liquido peritubulare, da dove può diffondere nel plasma dei capillari peritubulari.
L’Na+ attraversa la membrana apicale grazie a tutta una serie di meccanismi, incluso il trasporto
attivo secondario durante il quale il movimento di Na+ è accoppiato al movimento di altre
molecole (come il glucosio). Il riassorbimento di acqua si realizza grazie all’osmosi. Il
riassorbimento attivo di Na+ e di altri soluti nel tubulo prossimale crea un gradiente osmotico e fa
sì che l’acqua segua i soluti. Quindi il liquido nel tubulo prossimale è isoosmotico con il liquido
interstiziale della corticale renale, entrambi hanno un’osmolarità di 300 mOsm. Poiché il
riassorbimento dell’acqua crea un gradiente di concentrazione osmotico ciò consente la
permeabilità di soluti come l’urea che si muovono dal liquido tubulare al plasma dei capillari
peritubulari, il movimento di permeabilità dei soluti segue il riassorbimento dell’acqua.
Ruolo del gradiente osmotico midollare:
All’interno del liquido interstiziale della midollare renale è presente il gradiente osmotico
midollare; le regioni esterne della midollare renale hanno un’osmolarità più bassa delle regioni
interne. L’osmolarità varia da 300 mOsm della parte superiore della midollare a 1200-1400 mOsm
della porzione profonda nei pressi delle pelvi renali. Questo gradiente, che è indispensabile per il
riassorbimento dell’acqua dal dotto collettore, esiste per la presenza di un meccanismo conosciuto
come moltiplicazione controcorrente e per la presenza di una diffusione facilitata di urea dal lume
dei dotti collettori al liquido interstiziale midollare.
Moltiplicazione controcorrente:
Le proprietà delle diverse regioni dell’ansa di Henle nei nefroni juxtamidollari sono critiche per la
moltiplicazione controcorrente e per instaurare il gradiente osmotico midollare renale. Il tratto
discendente è così permeabile all’acqua che essa diffonde dal tubulo sotto l’influenza del
gradiente osmotico. Il tratto ascendente spesso, al contrario, è impermeabile all’acqua e presenta
meccanismi di cotrasporto per Na+\K+\Cl- assenti nel tratto ascendente. Il termine controcorrente
si riferisce al fatto che il liquido che fluisce da un capo all’altro dei tratti discendenti ed ascendenti
che sono paralleli l’uno all’altro, si muove in direzioni opposte! Il meccanismo di moltiplicazione
controcorrente crea il gradiente osmotico midollare:
1. Il gradiente osmotico è assente lungo i tubuli o nel liquido interstiziale midollare. Il liquido
che entra nel tratto discendente dal tubulo contorto prossimale è isoosmotico con il liquido
interstiziale a 300 mOsm. Il liquido nel tubulo prossimale è isoosmotico poiché l’acqua può
liberamente passare attraverso le pareti del tubulo ed essere inoltre riassorbita assieme ai
soluti. Quando il liquido fluisce verso il basso nel tratto discendente, non si verifica un
flusso netto di acqua attraverso la parete perché non si crea un gradiente osmotico. Non
appena il liquido inizia a scorrere lungo il tratto ascendente dell’ansa di Henle, Na+, K+ e Cl-
sono attivamente trasportati dal tubulo al liquido interstiziale midollare.
2. L’osmolarità del liquido interstiziale aumenta da 300 mOsm a 400 mOsm e l’osmolarità del
liquido nel tratto ascendente si riduce a 200 mOsm. Quando l’osmolarità del liquido
peritubulare aumenta, l’acqua si sposta dal tratto discendente al liquido peritubulare fino a
che i due comparti raggiungono un’osmolarità di circa 400 mOsm. Questo crea una
differenza di osmolarità tra il liquido del tratto discendente ed il liquido del tratto
ascendente, quest’ultimo avente il valore più basso di osmolarità (200 mOsm rispetto i 400
mOsm).
3. L’ingresso di ulteriore liquido, con osmolarità di 300 mOsm, che fluisce dal tubulo
prossimale dell’ansa di Henle fa avanzare lungo il tubulo il liquido iperosmotico già
presente verso la porzione più profonda della midollare.
4. Il trasporto attivo di Na+, K+ e Cl- nel tratto ascendente innalza l’osmolarità della parte più
profonda del liquido interstiziale midollare che sale da 400 mOsm a 500 mOsm e ciò
provoca il movimento dell’acqua dal tratto discendente al liquido interstiziale midollare.
L’ingresso di ulteriore liquido a 300 mOsm nell’ansa di Henle dal tubulo prossimale spinge il
liquido ad osmolarità più alta verso l’apice dell’ansa di Henle.
5. Questo processo continua fino a che non si crea un gradiente osmotico nella midollare e il
sistema non raggiunge lo stato stazionario.
Allo stato stazionario, il liquido che entra nell’ansa di Henle dal tubulo prossimale è isoosmotico
con il liquido extracellulare a 300 mOsm; mentre l’osmolarità del liquido tubulare nei due tratti
dell’ansa di Henle è più alta nella porzione più profonda della midollare renale. All’apice dell’ansa
di Henle l’osmolarità del liquido tubulare è di circa 1400 mOsm. È da notare che ad ogni dato
livello della midollare l’osmolarità del liquido nel tratto ascendente è sempre più bassa
dell’osmolarità del liquido nel tratto discendente perché nel tratto ascendente i soluti vengono
trasportati attivamente verso l’esterno dal liquido tubulare, mentre per l’acqua questo processo
non si verifica! Quando il liquido lascia l’ansa di Henle ed entra nel tubulo distale esso è
iposmotico rispetto al liquido extracellulare ed ha un’osmolarità di circa 100-200 mOsm.
La moltiplicazione controcorrente stabilisce il gradiente osmotico, ma per il mantenimento di tale
gradiente è necessario un soluto aggiuntivo: l’urea. L’urea è un prodotto di scarto generato dal
catabolismo delle proteine (ciclo dell’urea). Nonostante l’urea possa attraversare liberamente la
maggior parte delle membrane cellulari e pertanto tenda a distribuirsi con la stessa
concentrazione tra di loro, nel dotto collettore è attivamente trasportata fuori dai tubuli nel
liquido peritubulare, e contribuisce circa per il 40% al gradiente osmotico della midollare renale!
Ruolo del gradiente osmotico midollare nel riassorbimento dell’acqua nel tubulo distale e nel
dotto collettore:
Ricordiamo che il 70% dell’acqua filtrata dal plasma al corpuscolo renale è riassorbita nel tubulo
prossimale. Circa il 20% dell’acqua filtrata è riassorbita nel tubulo distale e il rimanente 10% viene
riassorbito nei dotti collettori. Nella porzione iniziale del tubulo distale, il liquido interno (100-200
mOsm) è iposmotico rispetto al liquido peritubulare (300 mOsm). Appena il liquido procede nel
dotto collettore, l’osmolarità del liquido interno è sempre inferiore rispetto all’aumento
dell’osmolarità del liquido interstiziale della midollare, quindi aumentando la forza osmotica
l’acqua si sposta dal lume del dotto collettore al liquido interstiziale della midollare e da lì al
plasma quando la parete del dotto collettore è permeabile all’acqua: questo vuol dire che l’acqua
viene riassorbita!
Le cellule epiteliali che rivestono la porzione terminale dei tubuli distali e i dotti collettori sono
connesse tra loro da giunzioni strette (tite junction), per cui l’acqua non può passare fra le cellule
dal liquido peritubulare al liquido tubulare, e viceversa. Inoltre la loro membrana citoplasmatica è
impermeabile all’acqua. La possibilità dell’acqua di superare la membrana citoplasmatica (e quindi
anche lo strato epiteliale) dipende dalla presenza di pori o canali per l’acqua, chiamati
acquaporine, nella membrana delle cellule principali. Mentre l’acquaporina-3 è costantemente
presente sulla membrana basolaterale delle cellule principali, l’acquaporina-2 si trova sulla
membrana apicale solo in presenza dell’ADH (ormone antidiuretico). Il rene può conservare
l’acqua, quando l’ultima parte del tubulo distale e il dotto collettore diventano molto permeabili
ad essa. Nella prima porzione del dotto collettore il liquido tubulare è inizialmente iposmotico
rispetto al liquido interstiziale della corticale e l’acqua viene riassorbita. Nel punto in cui il dotto
collettore inizia il suo percorso verso la midollare, il liquido tubulare è isoosmotico con il liquido
interstiziale a 300 mOsm. Man mano che il liquido tubulare procede nel dotto collettore, l’acqua
continua ad essere riassorbita dal dotto collettore allo spazio interstiziale midollare in modo tale
che il liquido nel dotto collettore rimanga sempre quasi isoosmotico al liquido interstiziale
midollare; quindi il liquido raggiunge un’osmolarità di 1400 mOsm alla fine del dotto collettore.
L’osmolarità del liquido tubulare non potrà mai superare l’osmolarità del liquido interstiziale
midollare perché l’acqua smetterà di passare attraverso le pareti una volta che l’osmolarità
all’interno del tubulo diventa uguale a quella che si trova al di fuori del tubulo. Quindi, la massima
osmolarità dell’urina è 1400 mOsm. Siccome questi soluti, che non vengono riassorbiti al 100%,
devono essere escreti nell’urina e poiché vi è un limite superiore all’osmolarità dell’urina, un
volume minimo di acqua deve essere escreto per eliminare i soluti. Questo volume è detto perdita
d’acqua obbligatoria, che è circa di 440 mL di acqua al giorno. La lunghezza dell’ansa di Henle
determina la concentrazione massima di urina. Un’ansa di Henle più lunga può formare un
gradiente di osmolarità midollare maggiore attraverso il meccanismo di moltiplicazione
controcorrente e con ciò permette un riassorbimento di acqua maggiore. I cammelli hanno
un’ansa di Henle più lunga rispetto agli esseri umani e possono generare urina concentrata di 2800
mOsm. I canguri australiani hanno l’ansa di Henle più lunga di ogni altra specie e possono
concentrare l’urina fino a 9800 mOsm! Proprio per la loro grande capacita di conservare l’urina, i
canguri sono soggetti a piccolissime perdite di acqua obbligatorie e possono sopravvivere bevendo
quantità d’acqua molto ridotte.

Effetti dell’ADH sul riassorbimento dell’acqua:


Variando il grado di permeabilità dell’acqua nella porzione terminale dei tubuli distali e nei dotti
collettori, i reni possono far variare la concentrazione delle urine da 100 a 1400 mOsm. L’ADH
regola la permeabilità all’acqua della porzione terminale del tubulo distale e dei dotti collettori. In
assenza di ADH la membrana apicale delle cellule principali è impermeabile all’acqua così il
riassorbimento dell’acqua non può avvenire! L’ADH stimola la sintesi di acquaporina-2 ed il suo
inserimento nella membrana apicale delle cellule principali nella porzione terminale dei tubuli
distali e dei dotti collettori. Il riassorbimento dell’acqua e il volume dell’urina sono di conseguenza
regolati dalle variazioni dei livelli plasmatici di ADH che, determinando il numero di pori di
acquaporina-2, condizionano la permeabilità delle membrane all’acqua: la maggiore permeabilità
all’acqua, il maggior riassorbimento dell’acqua. L’acquaporina-2 viene conservata nella membrana
delle vescicole citoplasmatiche delle cellule principali, in attesa dell’inserimento nella membrana
apicale in risposta all’ADH. L’ADH agisce sulle cellule del tubulo renale legandosi ai recettori
presenti sulla membrana plasmatica. Questi recettori sono accoppiati ad una proteina G che attiva
l’adenilato ciclasi, che sintetizza cAMP. Il cAMP attiva la PKA che a sua volta stimola l’inserzione
dei pori di acquaporina-2 nella membrana apicale mediante esocitosi. L’ADH inoltre stimola la
sintesi di nuove molecole di acquaporina-2. Con alte concentrazioni di ADH, si ha un alto
riassorbimento di acqua e bassa produzione di urina! Di conseguenza, a basse concentrazioni di
ADH, il riassorbimento di acqua è ridotto, mentre è alta la quantità di urina escreta.
L’ADH è secreto dalle cellule neurosecretorie della neuroipofisi che originano nell’ipotalamo. I
cambiamenti nell’osmolarità del liquido extracellulare sono gli stimoli più forti per il rilascio di
ADH. Gli osmorecettori nell’ipotalamo controllano l’osmolarità del liquido extracellulare. Quando
l’osmolarità aumenta, allora la secrezione di ADH è stimolata e aumenta il riassorbimento di
acqua. Viceversa, quando l’osmolarità del liquido extracellulare diminuisce, la secrezione di ADH
viene inibita, questo comporta una riduzione di assorbimento di acqua e un aumento di escrezione
di acqua. I livelli plasmatici di ADH dipendono anche dai segnali che si originano dai barocettori
che controllano il volume ematico e la pressione ematica. Quando la pressione e\o il volume
ematico diminuiscono, anche la frequenza dei potenziali d’azione nei barocettori afferenti
diminuisce. L’inibizione dell’attività dei barocettori stimola l’aumento della secrezione di ADH, che
a sua volta aumenta il riassorbimento di acqua e minimizza lo stimolo di rilascio di ADH.
Bilancio del sodio:
Un aumento del Na+ nel plasma al di sopra dei valori normali (ipernatriemia) è spesso
accompagnato da ritenzione idrica e da un aumento della pressione arteriosa. Una diminuzione
del Na+ plasmatico al di sotto dei valori normali (iponatriemia) è associata a bassi volumi
plasmatici e a ipotensione. Il Na+ è liberamente filtrato dai glomeruli ed è sottoposto a
riassorbimento tubulare, ma non viene escreto. La regolazione di Na+ plasmatico avviene durante
il riassorbimento.
In tutti i segmenti tubulari dove Na+ viene riassorbito, questo viene attivamente trasportato. Il
riassorbimento attivo è guidato dalla pompa Na+\K+ situata nella membrana basolaterale delle
cellule epiteliali del tubulo renale. Dato che il trasporto attivo di Na+ fuori dalle cellule epiteliali
mantiene la sua concentrazione bassa nel liquido intracellulare, questo entra passivamente nelle
cellule dal lume tubulare attraverso la membrana apicale. Nonostante questo ultimo passaggio sia
passivo, l’intero movimento di ioni Na+ attraverso la cellula (cioè dal liquido tubulare al liquido
peritubulare) è attivo perché dipende dal trasporto attivo di Na+ attraverso la membrana
basolaterale. Nel tubulo prossimale, l’ingresso di Na+ nelle cellule epiteliali tubulari è realizzato
dalle proteine di trasporto nella membrana apicale che associa il movimento di Na+ con il flusso di
altri soluti. Ci sono 2 vie per far entrare Na+ nelle cellule: (1) simporto con soluti come glucosio o
amminoacidi e (2) antiporto con ioni H+.
Effetti dell’aldosterone:
L’aldosterone è un ormone steroideo rilasciato dalla corticale del surrene che regola il
riassorbimento di Na+ e la secrezione di K+. L’aldosterone si lega ai recettori citoplasmatici nelle
cellule principali del tratto terminale dei tubuli distali e dotti collettori dove può avere diversi
effetti. L’aldosterone aumenta il numero di canali aperti per Na+ e i canali per K+ nella membrana
apicale, causando sia il mantenimento dell’apertura dei canali si stimolando la formazione di nuovi
canali. L’aldosterone inoltre stimola anche la sintesi delle pompe Na+\K+, questo comporta un
aumento della concentrazione di pompe Na+\K+ a livello della membrana basolaterale. Grazie a
queste funzioni, l’aldosterone aumenta il riassorbimento di Na+ e la secrezione simultanea di K+.
Tra i fattori che controllano il rilascio di aldosterone, quello più importante nel controllo del
riassorbimento di Na+ è il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS).
Sistema renina-angiotensina-aldosterone:
Nelle pareti delle arteriole afferenti sono localizzate le cellule granulari che secernono renina.
Nonostante spesso sia considerata un ormone, la renina in realtà è un enzima proteolitico. Nelle
pareti del tubulo distale sono presenti le cellule della macula densa, che possono rilevare i
cambiamenti di concentrazione di Na+ e Cl- e del flusso del liquido tubulare. Quando la
concentrazione del Na+ nel liquido tubulare diminuisce, aumenta la secrezione di renina. Una
volta che la renina viene rilasciata dalle cellule granulari nel flusso sanguigno, questa attiva una
serie di reazioni che portano al rilascio di aldosterone. La renina agisce su di un’altra proteina che
è sempre presente nel plasma, l’angiotensinogeno, che viene secreto dal fegato. La renina scinde
alcuni amminoacidi dall’angiotensinogeno, convertendolo in angiotensina 1. Circolando nel
sangue, le molecole di angiotensina 1 incontrano un latro enzima detto ACE (enzima convertente
l’angiotensina), che si trova nella superficie interna dei capillari di tutto il corpo ed è
particolarmente abbondante nei capillari dei polmoni. L’ACE scinde alcuni amminoacidi
dall’angiotensina 1, convertendola in angiotensina 2. Oltre ad agire come vasocostrittore,
importante funzione nella regolazione della pressione arteriosa media, l’angiotensina 2 ha un altro
ruolo fondamentale: stimola il rilascio di aldosterone da parte della corticale del surrene.
L’angiotensina 2, inoltre agisce anche sull’ipotalamo, dove stimola il rilascio di ADH e la sete! Dato
che RAAS tende ad aumentare la pressione sanguigna, una riduzione di quest’ultima rappresenta
lo stimolo principale per il rilascio di renina. Una riduzione della pressione delle arteriole afferenti
innesca il rilascio di renina, dato che le cellule granulari sono particolarmente sensibili al grado di
tensione delle arteriole afferenti. Anche un aumento dell’attività del SN simpatico renale stimola il
rilascio di renina in seguito ad una stimolazione diretta delle cellule granulari. Il SN simpatico viene
attivato durante la risposta riflessa barocettiva dovuta ad una riduzione della pressione sanguigna.
Bilancio del potassio:
Un aumento dei livelli di K+ nel plasma è definito iperkaliemia. Alcuni sintomi comuni della
iperkaliemia sono aritmie cardiache, debolezza muscolare, crampi, vertigini, nausea e diarrea. Una
riduzione dei livelli plasmatici del K+ è definita ipokaliemia. Sintomi tipici di ipokaliemia
comprendono aritmie cardiache, debolezza muscolare, astenia, ipotensione, confusione mentale,
alcalosi e dispnea.

Nei reni, il K+ liberamente filtrato nel glomerulo è sottoposto sia al riassorbimento che alla
secrezione nei tubuli. La maggior parte del K+ filtrato viene riassorbito. La concentrazione
plasmatica di K+ viene regolata dalla variazione di quantità che è secreta nei tubuli renali. Come
per Na+, il movimento degli ioni K+ varia entro i tubuli renali. Gli ioni K+ sono riassorbiti nel tubulo
prossimale e secreti nel tubulo distale e nel dotto collettore; la secrezione è regolata. Nel tubulo
prossimale il K+ è riassorbito con i seguenti meccanismi: lo ione K+ si sposta dal liquido
peritubulare alle cellule epiteliali tubulari per mezzo della pompa Na+\K+ collocata sulla
membrana basolaterale. La maggior parte del K+ che entra nelle cellule epiteliali tubulari si muove
verso il liquido peritubulare e quindi nel plasma. Nelle cellule principali del tratto terminale del
tubulo distale e del dotto collettore il K+ viene secreto mediante il seguente meccanismo: come
avviene nel tubulo prossimale, gli ioni K+ passano dal liquido peritubulare alle cellule epiteliali per
mezzo della pompa Na+\K+ posta sulla membrana basolaterale.
La secrezione del K+ è regolata dall’aldosterone. L’aldosterone induce sia un aumento delle pompe
Na+\K+ sulla membrana basolaterale delle cellule principali del tratto terminale del tubo distale e
del dotto collettore, sia un aumento del numero dei canali del K+ sulla membrana apicale.
L’aumento delle pompe Na+\K+ causa un maggiore aumento del K+ nelle cellule epiteliali,
provocando una maggiore escrezione di K+ nell’urina. Alte concentrazioni plasmatiche di K+
stimolano direttamente la secrezione di aldosterone mediante l’attivazione delle cellule secretorie
della corticale del surrene. Il rilascio di aldosterone quindi incrementa la secrezione di K+,
riportando i livelli plasmatici di K+ verso la normalità.
Bilancio del calcio:
Un aumento della concentrazione plasmatica del Ca2+ è detto ipercalcemia e comporta
diminuzione della forza e atrofia muscolare, letargia, modificazioni comportamentali,
ipertensione, costipazione e nausea. Una diminuzione della concentrazione plasmatica di Ca2+ è
detta ipocalcemia e comporta sensazione di stordimento, spasmi e crampi muscolari, iperflessia e
ipotensione. La concentrazione plasmatica di Ca2+ è regolata dall’interazione di diversi organi
quali i reni, l’apparato digerente, le ossa e la cute. Anche se il 99% del Ca2+ si trova nelle ossa,
esso non è legato in modo permanente! Le ossa fungono da riserva di Ca2+.
Il Ca2+ viene trasportato nel sangue sia legato a carrier che libero nel plasma. Il Ca2+ libero nel
plasma viene filtrato liberamente dal glomerulo. Il 99% del Ca2+ filtrato viene riassorbito nel
liquido tubulare durante il passaggio lungo i tubuli renali. Circa il 70 % del Ca2+ filtrato viene
riassorbito nei tubuli prossimali, il 20% nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle e il 10% nei
tubuli distali. Il riassorbimento nell’ansa di Henle e nei tubuli distali è regolato da ormoni.
Molti ormoni regolano la concentrazione plasmatica di Ca2+, quali il PTH (paratormone), il
calcitriolo e la calcitonina. Il PTH è il principale regolatore dei livelli plasmatici di Ca2+: si tratta di
un ormone peptidico prodotto dalle ghiandole paratiroidi e secreto in risposta alla diminuzione di
Ca2+ plasmatico. Il PTH: (1) stimola il riassorbimento di Ca2+ nel tratto ascendente dell’ansa di
Henle nei tubuli distali; (2) stimola l’attivazione nei reni del calcitriolo il quale stimola
l’assorbimento del Ca2+ nel sistema digerente e il suo riassorbimento nei reni; (3) stimola il
riassorbimento dalle ossa, aumentando la concentrazione di Ca2+ plasmatico. Il PTH inoltre causa
direttamente un piccolo incremento dell’assorbimento di Ca2+ nel tratto digerente. Il calcitriolo è
la forma attiva della vitamina D3 (1,25-diidrossicolecalciferolo) ed è un ormone steroideo che
interviene nell’aumentare i livelli di Ca2+ plasmatico mediante la stimolazione dell’assorbimento
dal tratto digerente e il riassorbimento nei tubuli distali dei reni. La calcitonina, al contrario del
PTH e del calcitriolo, riduce la concentrazione plasmatica di Ca2+. Si tratta di un ormone peptidico
secreto dalle cellule C della ghiandola tiroide, diverse da quelle che secernono l’ormone tiroideo.
Nonostante l’azione primaria della calcitonina sia quella di aumentare la formazione del tessuto
osseo mediante il deposito di Ca2+, essa provoca anche la diminuzione del riassorbimento di Ca2+
da parte dei reni, il che comporta un aumento dell’escrezione del Ca2+ urinario.

Interazioni tra il liquido e la regolazione elettrolitica:


Finora abbiamo descritto il bilancio dei liquidi e degli elettroliti come se l’acqua e gli ioni fossero
regolati in modo indipendente. Questo però non è vero, in quanto il riassorbimento di ciascuno
ione aumenta il gradiente osmotico per il riassorbimento di acqua. Inoltre gli ormoni spesso
influenzano più di un sistema. Ad esempio, l’ADH oltre ad aumentare il riassorbimento di acqua,
stimola anche la produzione di canali per Na+ nelle cellule principali, aumentando così il
movimento di ioni Na+ dal lume tubulare all’interno di queste cellule. In seguito al maggiore
ingresso di Na+ nelle cellule, la pompa Na+\K+ deve lavorare più velocemente per eliminare dalle
cellule l’Na+ aumentando il riassorbimento di Na+ e la secrezione di K+. L’ADH, inoltre, riduce
anche il flusso d’acqua nei tubuli distali enei dotti collettori poiché la quantità d’acqua che rimane
nel lume diminuisce in seguito al suo riassorbimento. La diminuzione di acqua aumenta la
concentrazione di soluti nei tubuli, che influenza il riassorbimento o la secrezione di alcuni soluti
presenti nei tubuli. Possiamo illustrare le interazioni tra i sistemi che regolano il liquido e
l’equilibrio elettrolitico considerando gli eventi che si verificano in seguito ad emorragia: il risultato
di un’emorragia è una riduzione del volume ematico, con decremento della pressione venosa e
una riduzione del ritorno venoso. L’abbassamento della pressione arteriosa media è segnalato dai
barocettori arteriolari che, attraverso il riflesso barocettivo, attivano il SN simpatico e inibiscono il
SN parasimpatico. Come risultato, si ha un aumento della frequenza cardiaca e del volume di
eiezione ventricolare, e un aumento della resistenza periferica totale, l’insieme di tutto ciò
determina un aumento della pressione arteriosa media. Per mezzo di questi effetti sul volume
ematico, il controllo ormonale sui reni è fondamentale nella regolazione a lungo termine della
pressione ematica. Molti fattori indotti da un’emorragia contribuiscono al controllo renale delle
perdite d’acqua:
1. La diminuzione della pressione arteriosa media stimola la secrezione di renina. Il riflesso
barocettivo aumenta il segnale simpatico alle cellule juxtaglomerulari, stimolando la
secrezione di renina. L’aumento di secrezione di renina dai reni causa un aumento dei livelli
di angiotensina 2 nel plasma. L’angiotensina 2 causa vasocostrizione, incrementando la
resistenza periferica totale e quindi la pressione arteriosa media. L’angiotensina 2 stimola
inoltre la corticale del surrene a rilasciare aldosterone, che aumenta il riassorbimento di
Na+ dai reni che, a sua volta, aumenta il riassorbimento di acqua. L’angiotensina 2 agisce
anche a livello dell’ipotalamo stimolando la sensazione di sete, incrementando l’assunzione
di liquidi e quindi il volume plasmatico.
2. La diminuzione di attività dei barocettori arteriosi e cardiaci stimola la secrezione di ADH da
parte della neuroipofisi. L’ADH aumenta il riassorbimento dell’acqua nei reni, permettendo
la conservazione del volume plasmatico.
3. Una diminuzione nella pressione arteriosa media diminuisce la velocità di filtrazione
glomerulare, determinando un risparmio di acqua e Na+.
4. L’emorragia causa anche la perdita di plasma e di cellule ematiche. Le cellule ematiche
vengono rimpiazzate dalla sintesi di nuove cellule, dopo alcuni giorni. La diminuzione della
pressione arteriosa media provoca la riduzione di flusso ematico ai reni con un decremento
per gli stessi di apporto di 02, questa riduzione di O2 stimola la secrezione di EPO
(eritropoietina), che una volta liberata dai reni, entra in circolo e raggiunge il midollo osseo
dove stimola la produzione di nuovi eritrociti.
CAPITOLO 21
IL SISTEMA ENDOCRINO: REGOLAZIONE DEL METABOLISMO ENERGETICO E DELLA CRESCITA
Termoregolazione:
Al sopraggiungere della notte, i serpenti, le lucertole e gli insetti del deserto che erano attivi al sole
di mezzogiorno, sprofondano in uno stato di relativo torpore; molti di loro riescono a muoversi
con grande difficoltà. Questo cambiamento si verifica perché la diminuzione della temperatura
raffredda il corpo di questi animali e rallenta sia le reazioni biochimiche che altri processi
metabolici. Al contrario, gli esseri umani e altri mammiferi sono meno sensibili ai cambiamenti
della temperatura ambientale perché hanno la capacita di mantenere la loro temperatura
corporea in un intervallo piuttosto ristretto mediante la termoregolazione. Gli animali con questa
capacità sono definiti omeotermi, mentre quelli privi di tale capacità sono chiamati pecilotermi.
Bilancio termico:
Il calore è un sottoprodotto del metabolismo di tutti gli esseri viventi, ma l’uomo come tutti gli
animali omeotermi, è in grado di controllare la temperatura corporea, regolando la velocità con la
quale il calore prodotto è dissipato dal corpo. Per mantenere normale la temperatura corporea, la
velocità di produzione del calore deve essere controbilanciata dalla velocità di dissipazione del
calore. Quando il bilancio termico è negativo, la perdita di calore è maggiore del calore prodotto e
la temperatura corporea diminuisce al di sotto dei valori normali, una condizione detta ipotermia.
Quando il bilancio termico è positivo, il calore prodotto supera la perdita di calore e la
temperatura corporea aumenta a livelli superiori alla norma, una condizione detta ipertermia. La
capacità di mantenere normale la temperatura corporea dipende dall’efficace scambio di calore
con l’ambiente.
Meccanismi di trasferimento del calore tra il corpo e l’ambiente esterno:

Generalmente, il calore viene dissipato mediante 4 meccanismi: (1) irraggiamento, (2) conduzione,
(3) evaporazione e (4) convezione. Nell’irraggiamento, l’energia termica viene trasferita dal corpo
all’ambiente sotto forma di onde elettromagnetiche. La conduzione è il trasferimento di energia
termica tra oggetti che sono a diretto contatto. Nel processo di evaporazione, un oggetto perde
calore attraverso l’evaporazione di acqua dalla sua superficie: l’acqua evapora dalla pelle,
dall’epitelio delle vie aeree e da altre superfici umide. Questa continua perdita d’acqua dal nostro
corpo avviene senza accorgersene, da qui il nome perspiratio insensibilis. Il corpo perde acqua
anche attraverso l’evaporazione di sudore, una soluzione contenente elettroliti secreta da
numerose ghiandole sudoripare presenti nella pelle. La convezione, ovvero il trasferimento di
calore causato da un gas o da un liquido in movimento, contribuisce alla perdita di calore che si
verifica durante una giornata ventosa.
Regolazione della temperatura corporea:

I meccanismi di termoregolazione corporea tendono a mantenere la temperatura del nucleo


centrale (ovvero la temperatura delle strutture interne come l’encefalo, la cavità addominale e
toracica) normalmente a circa 37’C. Il centro per la termoregolazione del corpo si trova
nell’ipotalamo, il quale contiene i centri che promuovono sia la termo-dispersione che la termo-
produzione. Le informazioni termiche provenienti dal nucleo centrale raggiungono il centro della
termoregolazione. Esse sono rilevate da neuroni sensibili alla temperatura, presenti sia
nell’ipotalamo che in altre aree del SNC, e da altri termocettori centrali presenti negli organi
interni. È necessario che l’ipotalamo riceva le informazioni riguardanti le variazioni di temperatura
del nucleo centrale per avviare le risposte di termoregolazione che riportano la temperatura
interna alla normalità. Altri termocettori, detti termocettori periferici, si trovano nella pelle.

Il meccanismo principale per regolare la temperatura corporea è quello di variare la quantità di


sangue che scorre nella pelle, dove l’energia termica del sangue può essere scambiata con quella
ambientale (in realtà, il calore viene trasferito dal sangue ai tessuti cutanei e successivamente
all’ambiente esterno). Quando la temperatura corporea diminuisce, il flusso di sangue nei tessuti
cutanei si riduce, in modo tale che il sangue dissipa una quantità minore del suo calore
all’ambiente. Allo stesso modo, quando la temperatura corporea aumenta il flusso di sangue alla
pelle aumenta, così il sangue può trasferire una quota maggiore del suo calore all’ambiente. L
variazioni del flusso sanguigno alla pelle sono sufficienti a regolare la temperatura corporea,
quando la temperatura ambientale è situata in un intervallo ristretto, chiamato zona termica
neutra. Il SN simpatico regola il flusso ematico cutaneo sulla base di comandi provenienti dal
centro della termoregolazione. Un aumento dell’attività del SN simpatico causa vasocostrizione
per via della sua regolazione del diametro delle arteriole. Infatti, quando la temperatura corporea
diminuisce, l’attività del SN simpatico aumenta provocando la vasocostrizione e la diminuzione del
flusso sanguigno cutaneo necessari per trattenere il calore corporeo. Al contrario, quando la
temperatura corporea aumenta, l’attività del SN simpatico diminuisce, causando vasodilatazione.
Il conseguente aumento del flusso di sangue alla pelle facilita il trasferimento del calore
all’ambiente. Quando la temperatura ambientale è al di fuori della zona termica neutra, altri
meccanismi di termoregolazione devono essere attivi per mantenere normale la temperatura
corporea.
Quando la temperatura ambientale scende sotto i 25’C, la riduzione del flusso ematico cutaneo da
solo non riesce a prevenire la diminuzione della temperatura corporea. In questa circostanza, il
centro ipotalamico della termo-produzione, comunicando con gli organi effettori, stimola la
comparsa dei brividi e fa diminuire la produzione di sudore. Il brivido è il principale meccanismo
attraverso il quale il nostro corpo può incrementare la produzione di calore al fine di aumentare la
temperatura corporea, un processo chiamato termogenesi con brivido. Il brivido è causato dalla
contrazione rapida e ritmica dei muscoli scheletrici ed è controllata da un riflesso spinale. Le
contrazioni muscolari generano calore. I neonati e gli animali che vanno in letargo possono
generare calore anche mediante la termogenesi senza brivido: in questi casi esiste una particolare
forma di tessuto adiposo, detto tessuto adiposo bruno, che genera calore mediante il
disaccoppiamento della catena di trasporto degli elettroni nella fosforilazione ossidativa. Così
l’energia liberata dagli elettroni è dissipata sotto forma di calore, invece di essere utilizzata per
sintetizzare l’ATP.

Quando la temperatura ambientale supera la zona termica neutra, la vasodilatazione cutanea non
è sufficiente per riportare la temperatura corporea verso i valori normali. In particolare,
l’organismo produce sudore per disperdere calore mediante l’evaporazione del sudore stesso. Una
persona possiede nella pelle circa 2,5 milioni di ghiandole sudoripare. Le ghiandole sudoripare si
possono distinguere in 2 tipi: (1) ghiandole eccrine, che si trovano in tutto il corpo ma soprattutto
fronte, mani e piedi e (2) ghiandole apocrine, presenti nella zona ascellare e nella regione ano-
genitale. Le ghiandole eccrine si aprono in pori situati sulla superficie della pelle, mentre le
ghiandole apocrine si aprono nel follicolo pilifero attraverso un dotto al di sopra del dotto
sebaceo. La quantità di sudore prodotto da entrambe le ghiandole dipende dalla temperatura
corporea e dal livello di attività del SN simpatico. Le ghiandole sudoripare eccrine producono una
secrezione primaria di acqua, Na+, Cl- e piccole quantità di K+. Il SN simpatico controlla la velocità
di produzione del sudore. Quando l’attività del SN simpatico aumenta (a causa di un ambiente
caldo o durante la risposta lotta o fuggi) la produzione di sudore aumenta. L’innervazione del SN
simpatico alle ghiandole sudoripare è atipica, poiché i neuroni post-gangliari simpatici secernono
acetilcolina, invece di noradrenalina. Le ghiandole sudoripare apocrine producono sudore in modo
simile alle ghiandole eccrine, sebbene siano presenti anche proteine e acidi grassi. Le proteine e gli
acidi grassi sono utilizzati come nutrimento dai batteri, i quali proliferano. La crescita dei batteri e
la loro produzione di sostanze di scarto generano l’odore associato al sudore escreto nelle zone
ascellari e genitali.
Alterazioni del set point ipotalamico della termoregolazione: la febbre
Nel corso di un’infezione, specifici globuli bianchi producono citochine che fungono da pirogeni,
sostanze chimiche che causano la febbre. Questa è una normale risposta del sistema immunitario,
che promuove diverse risposte immunitarie volte a combattere l’infezione. Così la febbre in realtà
è considerata vantaggiosa perché aumenta la capacità dell’organismo di difendersi. I pirogeni
causano la febbre agendo sul centro della termoregolazione. Infatti, modificano la temperatura di
riferimento ipotalamica spostandola a livelli superiori. L’organismo risponde aumentando la
produzione di calore e riducendo al minimo la perdita di calore. Perciò una persona con
un’infezione tende ad appare pallida (a causa del ridotto afflusso di sangue alla pelle) e ha i brividi.
La persona può anche sentire freddo nonostante sia sufficientemente riscaldata perché i segnali
nervosi possono essere contraddittori.
Regolazione ormonale della crescita:

Accrescimento corporeo:
Durante i primi due anni di vita gli esseri umani aumentano notevolmente in altezza e peso
corporeo, secondo un fenomeno detto scatto di crescita post-natale. Dopo i due anni, la crescita
continua a velocità inferiore fino all’inizio dell’adolescenza (11 anni nelle femmine e 13 anni per i
maschi), quando inizia un altro periodo di rapida crescita detto scatto di crescita puberale. Intorno
ai 19 anni la crescita si conclude: è stata raggiunta la statura adulta. La crescita è regolata
prevalentemente dagli ormoni, ma è influenzata anche dal corredo genetico dell’individuo, dalla
dieta e da altri fattori quali malattie e stress. Molte delle variazioni che si hanno durante la crescita
sono date dal GH (ormone della crescita), ormone peptidico secreto dall’adenoipofisi. Altri ormoni
essenziali per la crescita sono l’insulina, gli ormoni tiroidei e gli ormoni sessuali. Inoltre la crescita
di vari organi e tessuti è influenzata da numerosi fattori di crescita e fattori inibenti la crescita. La
NGF (neurotrofina), ad esempio, favorisce l’allungamento e la proliferazione degli assoni e dei
dendriti dei neuroni.

Effetti del GH:


Nei bambini il GH svolge diverse azioni sulle ossa e sui tessuti molli, che hanno come risultato la
crescita corporea. Negli adulti questo ormone svolge le stesse azioni, ma anziché promuovere la
crescita mantiene costante la massa ossea e la massa magra. Il GH favorisce direttamente la
crescita in 2 modi: (1) ipertrofia, stimolo della sintesi proteica e aumento del volume delle singole
cellule e (2) iperplasia, stimolo della divisione cellulare, così che le cellule aumentino di numero. Il
GH inoltre: aumenta la concentrazione ematica di glucosio, acidi grassi e glicerolo mediante
inibizione dell’assunzione del glucosio nell’adipe e nella muscolatura scheletrica; stimola la lipolisi
nel tessuto adiposo e la gluconeogenesi nel fegato; determina un aumento nell’assunzione di
amminoacidi nel muscolo facilitando la sintesi proteica. Molti degli effetti del GH sulla crescita
derivano dall’azione di messaggeri chimici intermedi sui tessuti bersaglio, piuttosto che da
un’azione diretta del GH stesso. Questi messaggeri sono peptidi detti somatomedine o fattori di
crescita insulino-simili (IGF), poiché presentano una somiglianza strutturale con l’insulina. Il GH
stimola la produzione di IGF1 ed IGF2 da parte del fegato, che le libera in circolo affinché vengano
trasportate ai tessuti bersaglio in tutto l’organismo.
Ormoni tiroidei:
Gli ormoni tiroidei (T3 e T4) sono soggetti a piccole variazioni di secrezione: i loro livelli plasmatici
sono praticamente stabili. La ghiandola tiroide contiene numerosi follicoli che producono gli
ormoni tiroidei. Ogni follicolo è costituito da un singolo strato di cellule secretorie dette cellule
follicolari che circondano la collide, la quale è costituita da glicoproteine secrete dalle cellule
follicolari. Negli spazi interstiziali fra i follicoli sono localizzate le cellule C, che sintetizzano e
secernono la calcitonina. La tireoglobulina (TG), la principale sostanza che si trova nella collide, è
una proteina che agisce come precursore degli ormoni tiroidei. Nella colloide si trovano gli enzimi
per la sintesi di T3 e T4 e lo ione I- (ioduro). La TG e gli enzimi sono sintetizzati nelle cellule
follicolari e secreti nella colloide per esocitosi; lo ioduro viene trasportato attivamente da parte
delle cellule follicolari al sangue ed è un composto essenziale per gli ormoni tiroidei. Le fasi della
sintesi degli ormoni tiroidei nella colloide sono:
1. I residui di Tirosina della TG vengono iodurati formando la MIT (monoiodotirosina),
mentre l’aggiunta di un secondo ione ioduro allo stesso residuo tirosinico forma la DIT
(diiodotirosina).
2. MIT o DIT vengono accoppiati sulla stessa molecola di TG e uniti mediante legame
covalente: se si uniscono 2 DIT il prodotto è il T4, se vengono accoppiate una MIT con una
DIT il prodotto è T3; due molecole di MIT non possono mai unirsi fra loro. T3 e T4 sono gli
ormoni tiroidei finali, anche se sono ancora legati alla TG.
3. Gli ormoni tiroidei legati alla TG sono immagazzinati, fino a 3 mesi, nella colloide.
4. Il TSH (ormone stimolante la tiroide), che arriva dal circolo sanguigno, stimola il rilascio
degli ormoni tiroidei. Il TSH prima si lega ai recettori sulla membrana delle cellule follicolari,
attivando il secondo messaggero cAMP; questo porta alla fosforilazione di una serie di
proteine delle cellule follicolari necessarie per la secrezione degli ormoni.
5. Le cellule follicolari assumono dalla collide, mediante fagocitosi, le molecole di TG iodurata.
6. Il fagosoma con la TG iodurata si fonde con un lisosoma.
7. Gli enzimi lisosomiali, demolendo le molecole di TG, determinano il rilascio di T3 e T4 nella
cellula follicolare.
I livelli di ormoni tiroidei sono virtualmente costanti perché il principale meccanismo di controllo
della loro secrezione è un feedback negativo. Il segnale di secrezione dell’ormone tiroideo,
stimolata dal TSH, proviene dall’adenoipofisi. La secrezione del TSH è a sua volta stimolata dal TRH
(fattore di rilascio della tireotropina), proveniente dall’ipotalamo.
Azioni degli ormoni tiroidei:
Gli ormoni tiroidei sono lipofili e quindi superano facilmente le membrane cellulari; i recettori per
questi ormoni sono situati nel nucleo delle cellule bersaglio. Il legame ormone-recettore modifica
la velocità di trascrizione dell’mRNA dal DNA, modificando quindi la sintesi proteica nelle cellule
bersaglio. Queste modificazioni richiedono ore o giorni per sortire un effetto apprezzabile che
però, una volta indotto, si protrae per giorni. La principale azione degli ormoni tiroidei è l’aumento
del metabolismo basale, cioè l’aumento della velocità del consumo di 02 e del dispendio
energetico a riposo. Come conseguenza, si verifica un aumento della produzione di calore,
fenomeno noto come effetto termogenico. Un meccanismo utilizzato dagli ormoni tiroidei per
aumentare il metabolismo basale è la stimolazione dell’attività della pompa Na+\K+; quando la
pompa è attiva viene idrolizzato ATP, quindi si produce calore! Inoltre, gli ormoni tiroidei inducono
l’aumento del numero di mitocondri e stimolano l’attività di alcuni enzimi coinvolti nella
fosforilazione ossidativa. Quando gli ormoni tiroidei sono presenti in concentrazioni superiori a
quelle normali, stimolano anche la mobilizzazione delle riserve energetiche tramite la glicogenolisi
e la sintesi di corpi chetonici. AL contrario, a concentrazioni più basse della norma, questi ormoni
hanno effetti opposti: stimolano la glicogenosintesi e la sintesi proteica. Molti degli effetti degli
ormoni tiroidei sono permissivi; ad esempio, favoriscono la sintesi dei recettori beta-adrenergici ai
quali si legano adrenalina e noradrenalina, messaggeri chimici del SN simpatico. In questo modo gli
ormoni tiroidei permettono a molti tessuti di rispondere all’attività delle afferenze nervose
simpatiche e all’adrenalina circolante. Una carenza di ormoni tiroidei in età infantile può portare
ad una forma di danno encefalico irreversibile chiamato cretinismo, nel quale lo sviluppo mentale
e la crescita corporea sono ritardati. Anche nel SN completamente sviluppato gli ormoni tiroidei
sono essenziali per il normale funzionamento. La carenza di questi ormoni può comportare negli
adulti un decadimento delle funzioni cognitive. Tali disturbi regrediscono completamente se i
livelli plasmatici di questi ormoni vengono normalizzati.

Glucocorticoidi:
Alle concentrazioni plasmatiche normali i glucocorticoidi, ormoni steroidei secreti dalla ghiandola
surrenale, svolgono numerose funzioni essenziali per l’organismo. A concentrazioni elevate essi
giocano un ruolo fondamentale nell’adattamento dell’organismo allo stress.

Fattori che influenzano la secrezione di glucocorticoidi:


La secrezione di glucocorticoidi da parte delle ghiandole surrenali è stimolata dall’ACTH (ormone
adrenocorticotropo) adenoipofisario, la cui secrezione è a sua volta stimolata dal CRH (fattore di
rilascio di corticotropina) ipotalamico. Poiché i glucocorticoidi sono ormoni steroidei e quindi
lipofili, essi diffondono dalla ghiandola surrenale nel flusso sanguigno subito dopo la loro sintesi. I
livelli plasmatici di glucocorticoidi sono regolati mediante un feedback negativo sull’ipotalamo e
sull’adenoipofisi, che inibisce la secrezione di CRH e ACTH. Il cortisolo è il principale ormone
glucocorticoide secreto dalla corteccia surrenale. Come per il GH, la secrezione del cortisolo è
pulsatile ed è regolata dal ritmo circadiano. Sebbene la quantità di ormone secreto in coincidenza
di ciascun picco sia costante, la frequenza dei picchi è variabile: più frequente al mattino e meno
frequente di sera. Questa modalità secretoria è connessa con il ciclo sonno-veglia e si inverte nelle
persone che stanno sveglie di notte e dormono di giorno. Lo stress, sia fisico che emotivo, è un
importante stimolo per la secrezione di cortisolo. I fattori stressanti più efficaci nello stimolare la
secrezione di cortisolo sono stimoli nocivi quali interventi chirurgici, traumi, ustioni, infezioni,
shock, dolore, esposizione a temperature estreme, sforzo fisico e ansia.
Azioni dei glucocorticoidi:

La principale azione dei glucocorticoidi è quella di mantenere la normale concentrazione degli


enzimi necessari per il catabolismo delle proteine, dei grassi e del glicogeno, e la conversione degli
amminoacidi in glucosio nel fegato. Per questa ragione i glucocorticoidi sono necessari per la
sopravvivenza durante il digiuno prolungato. I glucocorticoidi, in sinergia con gli ormoni tiroidei,
sono necessari per la secrezione del GH e per mantenere la normale responsività dei vasi sanguigni
agli stimoli vasocostrittori provenienti dal SN simpatico, dall’adrenalina e dall’angiotensina 2. A
dosaggi di somministrazione farmacologica elevati i glucocorticoidi inibiscono l’infiammazione e le
reazioni allergiche e vengono pertanto somministrati per il trattamento dell’artrite o di alcune
allergie.
Il ruolo del cortisolo nella risposta allo stress:
Il cortisolo viene considerato “l’ormone dello stress”. Il cortisolo stimola la mobilizzazione delle
riserve energetiche, che sono utili durante la riparazione tissutale. La capacità di tollerare lo stress
è inferiore negli individui che producono quantità insufficienti di glucocorticoidi. L’aumento della
secrezione di cortisolo costituisce solo uno degli aspetti della risposta dell’organismo allo stress. Se
uno stimolo è in grado di indurre un aumento della secrezione di cortisolo, induce anche altre
risposte nervose ed ormonali; per esempio, lo stress tende a favorire un aumento dell’attività del
SN simpatico e della secrezione di adrenalina. Queste azioni determinano risposte “lotta o fuggi” e
stimolano la gluconeogenesi, la glicogenolisi e la lipolisi, che contribuiscono all’azione di
mobilizzazione delle riserve energetiche svolta dal cortisolo. Altri cambiamenti generalmente
associati allo stress comprendono un aumento della secrezione di ADH da parte della neuroipofisi,
aumento del rilascio di renina da parte dei reni ed un aumento dei livelli plasmatici di angiotensina
2. Queste risposte aiutano a mantenere entro limiti normali la pressione sanguigna e quindi
garantiscono adeguati livelli di flusso sanguigno al cuore e all’encefalo. Questa risposta allo stress
generalizzata e stereotipata è definita sindrome di adattamento generale.
CAPITOLO 22
IL SISTEMA RIPRODUTTIVO
Componenti del sistema riproduttivo:

Il sistema riproduttivo di un individuo comprende tutti gli organi coinvolti nell’accoppiamento,


nella gametogenesi o in altre funzioni direttamente interessate nella generazione della prole. Gli
organi del sistema riproduttivo includono le gonadi e gli organi riproduttivi accessori. Le gonadi
(testicoli nel maschio e ovaie nella femmina) sono organi riproduttivi primari: producono gameti e
secernono ormoni sessuali, una varietà di steroidi che promuovono la gametogenesi, la crescita ed
il mantenimento degli organi riproduttivi, lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie e
vari altri effetti in tutto il corpo. I testicoli secernono gli androgeni (in particolare testosterone; le
ovaie secernono estrogeni (come l’estradiolo) e i progestinici (come il progesterone). Gli ormoni
sessuali di entrambi i tipi sono presenti sia nei maschi che nelle femmine, ma in quantità
ovviamente differenti! Gli ormoni sessuali sono anche prodotti dalla corticale del surrene: nelle
femmine, la corticale surrenale è la principale produttrice di androgeni, che sono responsabili della
pulsione sessuale in entrambi i sessi. Gli organi riproduttivi accessori includono strutture
specializzate per il trasporto dei gameti da una sede all’altra e il nutrimento dei gameti quando
questi sono stati prodotti. Gli organi accessori comprendono: (1) organi del tratto riproduttivo e
(2) ghiandole che secernono fluidi nel tratto riproduttivo.
Eventi che seguono la fecondazione:
Gli spermatozoi vengono trasferiti dal maschio alla femmina durante l’accoppiamento
(copulazione). Le cellule uovo, al contrario, rimangono nel corpo della femmina, dove vengono
fecondate dagli spermatozoi. Dopo la fecondazione le cellule aumentano di numero, si
differenziano e iniziano ad organizzarsi in tessuti a seconda delle istruzioni codificate nei loro geni.
Durante questo periodo il nuovo organismo viene mantenuto nel corpo della madre ed è definito
gestazione. Nei primi due mesi dopo il concepimento questo organismo in via di sviluppo viene
definito embrione; dopo tale periodo viene chiamato feto. Il feto si sviluppa acquisendo la
capacità di vivere al di fuori della madre e si separa da essa attraverso un processo definito parto.
Sistema riproduttivo maschile:
Tra le strutture più importanti del sistema riproduttivo maschile vi sono i testicoli, i genitali esterni
(pene e scroto), il tratto riproduttivo (sistema di tubuli che trasporta il liquido seminale dai
testicoli al pene e quindi all’esterno dell’organismo) e numerose ghiandole accessorie (vescichette
seminali, ghiandole bulbolaterali e prostata) che secernono vari liquidi nel tratto riproduttivo.
I testicoli:
I testicoli, le gonadi maschili, sono due organi di forma ovoidale incapsulati in uno strato di tessuto
connettivo fibroso. Ciascun testicolo è suddiviso internamente in 250-300 compartimenti,
ciascuno contenente sottili tubuli vuoti spiraliformi detti tubuli seminiferi, dove sono prodotti gli
spermatozoi. Negli spazi tra i tubuli vi sono gruppi di cellule denominate cellule del Leydig (cellule
interstiziali), responsabili della sintesi del testosterone e di altri androgeni. La parete dei tubuli
seminiferi contiene uno strato esterno di cellule muscolari lisce ed uno strato interno di cellule
epiteliali chiamate cellule del Sertoli, la cui funzione principale è quella di nutrire gli spermatozoi e
controllarne lo sviluppo. Ciascuna cellula del Sertoli è unita a quelle vicine mediante giunzioni
comunicanti che impediscono la diffusione delle sostanze tra le cellule. Le cellule e le giunzioni
strette che le connettono formano la barriera emato-testicolare che isola il fluido presente nel
lume da quello che bagna le cellule dal lato opposto (denominato compartimento basale). Le
cellule del Sertoli svolgono altre funzioni cruciali per lo sviluppo ed il trasporto delle cellule
spermatiche. Esse sono responsabili della secrezione del liquido all’interno dei tubuli, utile allo
sviluppo ed al trasporto degli spermatozoi e al trasporto di nutrienti alle cellule spermatiche in
fase di sviluppo. Le cellule del Sertoli, inoltre producono e secernono la proteina legante gli
androgeni, che legando androgeni si comporta come “un sistema tampone ormonale”, aiutando a
mantenere nel liquido all’interno dei tubuli una concentrazione stabile di androgeni, necessaria
per un corretto sviluppo degli spermatozoi. Inoltre, le cellule del Sertoli hanno un ruolo chiave nel
regolare le risposte delle cellule germinali al testosterone e all’ FSH (ormone follicolo stimolante),
ormoni che controllano il loro sviluppo. Questi ormoni sono entrambi necessari per la produzione
degli spermatozoi, ma non agiscono direttamente sulle cellule spermatiche in fase di sviluppo,
bensì sulle cellule del Sertoli, che quindi secernono diversi messaggeri chimici che effettivamente
stimolano le cellule germinali a crescere e svilupparsi. Le cellule del Sertoli sono anche responsabili
della produzione di inibina e nel corso della vita embrionale secernono MIS.
Regolazione ormonale della funzione riproduttiva maschile:

La funzione riproduttiva maschile è regolata dalle gonadotropine, dagli androgeni (incluso il


testosterone) e dal GnRH (ormone stimolante il rilascio di gonadotropine). Le gonadotropine sono
due ormoni proteici che vengono dall’adenoipofisi ed agiscono sulle gonadi: FSH (follicolo
stimolante) e LH (luteinizzante). La funzione principale dell’FSH nei maschi è di agire sulle cellule
del Sertoli per stimolare la spermatogenesi. L’LH stimola la secrezione di androgeni da parte delle
cellule del Leydig. Nei testicoli, il testosterone agisce con l’FSH per favorire la spermatogenesi. Il
testosterone promuove anche lo sviluppo e la crescita degli organi riproduttivi accessori durante la
pubertà e mantiene queste strutture durante l’età adulta. Il GnRH è un ormone trofico ipotalamico
che agisce sull’ipofisi stimolando la secrezione di gonadotropine e quini tende a promuovere la
secrezione di androgeni nel maschio. Mentre la maggior parte dei fattori ipotalamici che agiscono
sull’ipofisi stimolano ilo rilascio di un solo ormone dal lobo anteriore, il GnRH è diverso poiché
stimola il rilascio di due ormoni (FSH e LH) che vengono prodotti e secreti dalle stesse cellule del
lobo anteriore dell’ipofisi, dette gonadotrope. Il testosterone ed altri androgeni normalmente
limitano la loro stessa produzione tramite un controllo a feedback negativo. Nello specifico, essi
agiscono sull’ipotalamo, sopprimendo la secrezione di GnRH sull’adenoipofisi. Come risultato, il
testosterone sopprime il rilascio di FSH e LH, che a loro volta sopprimono la conseguente
secrezione di testosterone! Le cellule del Sertoli secernono anche un ormone proteico detto
inibina, che sopprime il rilascio di FSH (ma non il rilascio di LH) da parte dell’adenoipofisi.
Gli spermatozoi e il loro sviluppo:
Gli spermatozoi completamente sviluppati possiedono 3 segmenti distinti: (1) testa, a forma di
bulbo, (2) segmento intermedio, di forma cilindrica e (3) coda, lunga e sottile detta anche flagello.
All’interno della testa vi sono i cromosomi ed una grande vescicola chiamata acrosoma, che
contiene enzimi ed altre proteine che permettono agli spermatozoi di unirsi all’ovulo durante la
fecondazione. La coda contiene complessi proteici che idrolizzano ATP per convertire l’energia
chimica in energia cinetica della coda. Il segmento intermedio unisce la testa alla coda e contiene i
mitocondri, che producono ATP necessario per il movimento. La spermatogenesi inizia in
prossimità della membrana basale dei tubuli seminiferi a partire da cellule indifferenziate dette
spermatogoni. Ogni maschio nasce con un numero finito di spermatogoni, ma queste cellule sono
sottoposte ripetutamente a mitosi, con conseguente capacità di produrre spermatozoi per un
periodo indefinito dopo la pubertà. Mentre una delle due cellule prodotte ad ogni divisione
mitotica si differenzia ulteriormente e diventa uno spermatozoo maturo, l’altra cellula non si
differenzia e rimane uno spermatogonio. Per diventare uno spermatozoo maturo, uno
spermatogonio passa attraverso diversi stadi di sviluppo:
1. I cromosomi dello spermatogonio vengono replicati e la cellula si differenzia in
spermatocito di primo ordine, che ha 46 cromosomi duplicati che possiedono due
cromatidi fratelli.
2. Lo spermatocito di primo ordine subisce la prima divisione meiotica, che porta alla
formazione di due spermatociti di secondo ordine, che possiedono 23 cromosomi duplicati.
3. Gli spermatociti di secondo ordine subiscono la seconda divisione meiotica per diventare
spermatidi, che hanno 23 cromosomi singoli ma non hanno ancora sviluppato le
caratteristiche tipiche degli spermatozoi maturi.
4. Gli spermatidi si differenziano per diventare spermatozoi, che possiedono la caratteristica
testa, il segmento intermedio e la coda.
Gli spermatozoi che si sono formati vengono poi rilasciati nel lume del tubulo seminifero. A questo
stadio, gli spermatozoi non riescono ancora a muoversi e rimangono così per circa 20 giorni. Gli
spermatozoi acquisiscono la motilità solo dopo essere passati dai tubuli seminiferi nell’epididimo,
per andare incontro ad ulteriore maturazione.
La risposta sessuale nel maschio:
La risposta sessuale nel maschio è controllata dal SN autonomo e consiste di 2 fasi: (1) erezione,
stimolata dal SN autonomo parasimpatico e (2) eiaculazione, stimolata da SN autonomo simpatico.
Erezione:

Quando un maschio non è sessualmente eccitato, solo una piccola quantità di sangue si trova nel
tessuto erettile e quindi il pene è flaccido. La stimolazione meccanica del pene o impulsi
discendenti dall’encefalo agiscono sugli interneuroni del midollo spinale che inducono
cambiamenti dell’attività dei neuroni simpatici e parasimpatici che si proiettano alle arteriole che
portano il sangue al tessuto erettile del pene. Il risultato della combinazione della diminuzione
dell’attività simpatica e dell’aumento dell’attività parasimpatica è la vasodilatazione arteriosa, che
aumenta il flusso sanguigno nel tessuto erettile. Quanto più sangue si accumula, tanto più esso
comprime le vene, portando ad ulteriore accumulo; si verifica quindi un feedback positivo che
promuove l’espansione del tessuto erettile.
Eiaculazione:
Man mano che la stimolazione meccanica del pene aumenta, in correlazione a stimoli psicologici,
si verifica una riduzione del controllo parasimpatico del pene ed un aumento di quello simpatico
del tratto riproduttivo e delle ghiandole accessorie che determina l’eiaculazione. L’eiaculazione,
così come l’erezione, è controllata da un riflesso spinale, ma in questo caso il riflesso causa un
aumento dell’attività dei neuroni simpatici. Questa attività simpatica induce intense contrazioni
dell’epididimo, del vaso deferente e dei dotti eiaculatori e stimola inoltre la secrezione di liquido
dalle vescicole seminali e dalla ghiandola prostatica. Come risultato, una miscela di spermatozoi e
fluido (chiamata sperma) passa nell’uretra. Dopodiché, la muscolatura liscia dell’uretra e la
muscolatura scheletrica alla base del pene vengono sottoposte ad una serie di forti contrazioni,
che espellono lo sperma attraverso il meato uretrale. IL riflesso porta anche alla chiusura dello
sfintere uretrale posto alla base della vescica, che evita che l’urina si mescoli con il seme durante
l’eiaculazione.
Sistema riproduttivo femminile:
Il sistema riproduttivo femminile presenta le seguenti caratteristiche:
1. Cambiamenti ciclici di attività: ogni mese il sistema riproduttivo femminile va incontro ad
una serie di importanti cambiamenti strutturali e funzionali chiamati ciclo mestruale, che è
accompagnato da cambiamenti periodici e regolari della secrezione i ormoni ipotalamici,
ipofisari e ovarici. L’inizio di ogni ciclo, che dura circa 28 giorni, è caratterizzato dalla
mestruazione, una perdita i sangue e tessuto dalla superficie della parete uterina.
2. Periodo di fertilità ristretto: gli ovuli maturano in diversi momenti e vengono rilasciati
singolarmente dalle ovaie ad intervalli di circa 28 giorni (uno per ogni ciclo mestruale). Il
rilascio della cellula uovo, noto come ovulazione, è un prerequisito per la fecondazione ed
avviene a metà del ciclo. Una femmina è fertile (cioè in grado di avere un ovulo fecondato)
solo durante quei giorni del ciclo che coincidono all’incirca con l’ovulazione.
3. Produzione limitata di gameti: Gli ovuli si sviluppano da un gruppo di cellule germinali il cui
numero è fisso alla nascita, circa 2-4 milioni. Il numero di ovuli potenziali diminuisce nel
corso della vita, poiché la maggior parte delle cellule germinali degenera ad un certo punto
del suo sviluppo.

Le ovaie:
Le ovaie, le gonadi femminili, sono una coppia di strutture di forma rotondeggiante leggermente
appiattite, localizzate nella cavità pelvica da entrambi i lati dell’utero. Ogni ovaia è composta da
tessuto connettivo denso ben irrorato da vasi sanguigni e inglobato in uno strato di tessuto
connettivo fibroso. Incluse in questo tessuto connettivo ci sono numerose strutture sferiche dette
follicoli, ciascuno dei quali contiene un singolo ovulo in fase di maturazione. Quando l’ovulo si
sviluppa, il resto del follicolo si sviluppa con esso. Un follicolo nel primo stadio di sviluppo è detto
follicolo primordiale ed è una struttura semplice formata da una cellula uovo in maturazione o
oocita, circondato di cellule specializzate dette cellule follicolari. Man mano che il follicolo si
sviluppa le cellule epiteliali proliferano formando più strati cellulari e le cellule sono chiamate
cellule della granulosa. In uno stato più tardivo dello sviluppo le cellule della granulosa proliferano
e lo strato più esterno viene trasformato in un tipo di cellule conosciuto come cellule della teca. Le
cellule della teca svolgono funzioni analoghe a quelle delle cellule del Sertoli nei maschi. Le cellule
della granulosa funzionano da intermediarie tra gli oociti e gli ormoni che controllano il loro
sviluppo per il fatto che sia gli estrogeni che l’FSH stimolano le cellule della granulosa a secernere i
messaggeri chimici che hanno come bersaglio gli oociti. Inoltre, le cellule della granulosa
secernono inibina, che inibisce la secrezione di FSH (come avviene nei maschi). Le cellule della
granulosa trasportano anche i nutrienti all’interno degli oociti grazie a ponti citoplasmatici che
comunicano con l’interno degli oociti attraverso delle giunzioni comunicanti. Le cellule della
granulosa secernono gli estrogeni, che derivano in realtà dagli androgeni sintetizzate dalle cellule
della teca. Dopo la loro sintesi, gli androgeni diffondono dalle cellule della teca alle cellule della
granulosa, dove vengono modificati per via enzimatica e quindi secreti. Le cellule della granulosa
producono e secernono anche progesterone.
Le cellule uovo ed il loro sviluppo:
Le cellule uovo si sviluppano da cellule germinali relativamente indifferenziate, chiamate oogoni,
nel corso del processo definito oogenesi. Il processo della meiosi che trasforma gli oogoni in oociti
completamente maturi inizia durante la vita fetale ma non viene completato se non al momento
della fecondazione! L’oogenesi inizia nei primi 3 mesi della vita embrionale, quando gli oogoni (che
sono cellule diploidi) vanno incontro a mitosi e producono 2-4 milioni di cloni dai quali derivano
alla fine tutte le cellule uovo. Queste cellule successivamente si differenziano in oociti di primo
ordine che iniziano la prima divisione meiotica (meiosi 1); in questo processo si replica il DNA. Gli
oociti di primo ordine vanno poi incontro alla sospensione del loro sviluppo nota come arresto
meiotico e rimangono così fino a prima dell’ovulazione. Pertanto, alla nascita gli oociti esistono
come oociti primari in arresto meiotico con 46 cromosomi che hanno due cromatidi fratelli a testa.
Una volta raggiunta la pubertà un oocita di primo ordine mensilmente completa la prima divisione
meiotica portando alla formazione di due cellule, ciascuna delle quali possiede 23 cromosomi
replicati. Una delle due cellule, chiamata oocita di secondo ordine, riceve la maggior parte del
citoplasma durante la divisione cellulare e continua a svilupparsi ulteriormente; l’altra cellula,
chiamata primo globulo polare, degenera e viene persa. Solo nel caso in cui l’oocita di secondo
ordine venga fecondato, avviene la seconda divisione meiotica. Questa seconda divisione meiotica
porta alla formazione di una cellula uovo, che riceve la maggior parte del citoplasma, e di un
secondo globulo polare che degenera. L’uovo fecondato contiene 23 cromosomi singoli ereditati
dall’oocita di secondo ordine più un numero uguale di cromosomi ereditati dallo spermatozoo, per
un totale di 46 cromosomi.
Il ciclo mestruale:
Il ciclo ovarico:
Il ciclo ovarico è diviso in due fasi: (1) fase follicolare, che ha una durata variabile, ma in media
dura 14 giorni e (2) fase luteinica, che dura sempre 14 giorni.
1) Fase follicolare: All’interno dell’ovaia ci sono follicoli a differenti stadi di sviluppo. Quando
un follicolo si sviluppa, le cellule follicolari proliferano formando strati multipli attorno
all’oocita e si differenziano nelle cellule della granulosa. A questo punto il follicolo
primordiale diventa un follicolo primario e questo stadio dello sviluppo viene detto stadio
preantrale. In questo stadio le cellule della granulosa secernono un materiale non-cellulare
che forma una membrana spessa tra esse e l’oocita detto zona pellucida. A questo stadio
alcune cellule del connettivo si differenziano a formare lo strato esterno di cellule della
teca. I follicoli che continuano a svilupparsi formano una cavità piena di fluido detta antro.
Ora il follicolo è definito follicolo secondario. All’inizio della fase follicolare circa 10-25
follicoli si sviluppano ulteriormente. Dopo circa 7 giorni, uno di questi follicoli, detto
follicolo dominante, viene selezionato per completare il suo sviluppo, preparando quindi il
terreno per l’ovulazione. L’ovaio contenente il follicolo dominante resta “dominante” per
tale ciclo. La crescita e lo sviluppo follicolare sono stimolati sia dall’FSH che dagli estrogeni
secreti dai follicoli stessi. Durante la fase follicolare, i livelli plasmatici di FSH diminuiscono
gradualmente e ciò tende a causare la diminuzione della secrezione degli estrogeni. La
selezione del follicolo dominante dipende dalla sua abilità di secernere adeguati livelli di
estrogeni a fronte della caduta dei livelli di FSH. Il follicolo dominante è più sensibile all’FSH
rispetto a tutti gli altri follicoli e mostra anche responsività all’LH. Il follicolo dominante
continua a svilupparsi nello stadio antrale tardivo, l’antro cresce e pone del tessuto
cellulare attorno all’oocita. Parecchi strati di cellule della granulosa circondano l’oocita
formando la corona radiata, mentre altre cellule della granulosa formano il cumulo
dell’ooforo, un ponte di cellule che attacca l’oocita e la corona radiata alla parete del
follicolo, chiamato ora follicolo di Graaf. Infine si verifica la meiosi 1 e l’oocita (oocita
secondario) si stacca dalla parete e fluttua liberamente nel fluido antrale, insieme alla
corona radiata che lo circonda.
2) Fase luteinica: Durante l’ovulazione, che segna l’inizio della fase luteinica, la parete del
follicolo di Graaf si rompe, causando un passaggio di fluido antrale che trasporta l’oocita
(con le sue cellule circostanti) alla superficie dell’ovaia. Il follicolo rotto viene poi
trasformato in una ghiandola chiamata corpo luteo, che secerne estrogeni e progesterone.
Sia l’ovulazione che la formazione del corpo luteo sono scatenate da un improvviso
aumento plasmatico dell’LH. A questo punto se l’oocita non viene fecondato, il corpo luteo
inizia a degenerare dopo 10 giorni: la degenerazione causa una diminuzione dei livelli di
progesterone ed estrogeni nel plasma determinando la mestruazione e l’inizio della
successiva fase follicolare! Se l’oocita viene fecondato, il corpo luteo non degenera, ma
persiste integro nel periodo della gestazione. In rare occasioni (1-2% di tutti i cicli ovarici)
due o più follicoli vengono selezionati per diventare dominanti. Quando accade ciò,
durante l’ovulazione vengono rilasciate due o più cellule uovo che, se vengono fecondate
entrambe, il risultato è la generazione di fratelli gemelli che ereditano gruppi diversi di geni
detti gemelli dizigoti (poiché originano da zigoti diversi).
Il ciclo uterino:
Il ciclo uterino, che avviene in coincidenza con il ciclo ovarico, è diviso in 3 fasi: (1) fase mestruale,
che inizia il primo giorno e dura dai 3 ai 5 giorni (corrispondenti ai primi giorni della fase follicolare
ovarica), (2) fase proliferativa, che dura per il restante tempo della fase follicolare e (3) fase
secretoria, che coincide con la fase luteinica.
1) Fase mestruale: fase che corrisponde al periodo delle mestruazioni, la desquamazione
della parete uterina. Le mestruazioni sono determinate dalla caduta degli estrogeni e del
progesterone plasmatici che avviene quando il corpo luteo degenera. I vasi sanguigni nello
strato più esterno dell’endometrio si costringono, riducendo l’afflusso di sangue al tessuto
che muore e inizia a separarsi dal tessuto endometriale sottostante, che invece rimane
intatto. Il tessuto morto si stacca dalla superficie endometriale, causando la rottura dei vasi
e provocano il sanguinamento (flusso mestruale).
2) Fase proliferativa: fase che inizia con la fine delle mestruazioni, l’utero si rinnova in
preparazione ad una possibile gravidanza, che potrebbe avvenire nella successiva
ovulazione. I tessuti endometriali che non sono stati distrutti nella mestruazione iniziano a
crescere e la muscolatura liscia nel miometrio sottostante si ispessisce. Nel canale
cervicale, i vasi aumentano di numero e le ghiandole endometriali secernono un muco che
bagna la superficie interna: se gli spermatozoi venissero depositati nella vagina, questo
muco faciliterebbe la loro migrazione nell’utero, un passaggio fondamentale per la
fecondazione. Questi cambiamenti sono promossi dagli estrogeni, che aumentano per via
della maggiore attività secretoria del follicolo dominante.
3) Fase secretoria: in questa fase, l’endometrio viene trasformato in modo tale da divenire un
ambiente favorevole per l’impianto e il successivo accoglimento e nutrimento
dell’embrione in sviluppo. Le ghiandole endometriali si ingrandiscono ulteriormente ed
iniziano a secernere fluidi ricchi di glicogeno, che l’embrione utilizza come fonte di energia
nei suoi primi stadi di crescita. Inoltre, le secrezioni delle ghiandole cervicali diventano più
appiccicose e viscose andando a formare un “tappo” che isola l’utero dai microrganismi
dell’ambiente esterno! Questi cambiamenti uterini sono promossi dal progesterone, i cui
livelli nella fase secretoria (come quelli degli estrogeni) sono promossi dall’azione del corpo
luteo. Con l’inizio delle mestruazioni, finisce la fase secretoria e comincia una nuova fase
mestruale (e una nuova fase follicolare del ciclo ovarico).

Modificazioni ormonali durante il ciclo mestruale:


Cambiamenti ormonali nella fase follicolare iniziale ed intermedia:
La fase follicolare iniziale è marcata da una diminuzione di breve durata dei livelli di estrogeni e
progesterone nel plasma, come conseguenza della degenerazione del corpo luteo. Poiché gli
estrogeni ed il progesterone tendono a sopprimere la secrezione di gonadotropine da parte
dell’adenoipofisi, i livelli plasmatici di LH e FSH mostrano un leggero aumento, riflettendo una
diminuzione di questa azione sopprimente. L’aumento di FSH stimola una certa quantità di follicoli
a svilupparsi e a crescere. L’FSH si lega ai recettori delle cellule della granulosa e promuove la loro
crescita e proliferazione, determinando un aumento delle dimensioni dei follicoli stessi. Sotto
l’influenza dell’FSH, lo strato più esterno di cellule della granulosa si differenzia in cellule della
teca, che possiedono i recettori per l’LH. L’LH stimola le cellule della teca a secernere androgeni
che si portano poi alle cellule della granulosa e vengono convertiti in estrogeni! Alla fine emerge
un follicolo dominante che secerne estrogeni in grande quantità, facendo innalzare rapidamente i
livelli di questi ormoni nel plasma. Gli estrogeni svolgono un’azione a feedback negativo
sull’ipotalamo e sull’adenoipofisi, inibendo la secrezione di LH e FSH ed interrompendo l’iniziale
crescita dei livelli di questi ormoni nel plasma. Mentre l’LH rimane abbastanza stazionario, l’FSH
diminuisce a causa dell’influenza dell’inibina, che viene secreta in quantità maggiori dalle cellule
della granulosa del follicolo che si sta accrescendo.
Cambiamenti ormonali nello stadio tardivo della fase follicolare:
Nella fase follicolare tardiva, i livelli crescenti di estrogeni portano ad un cambiamento
fondamentale nel modo in cui questi ormoni influenzano l’attività secretoria dell’ipotalamo e
dell’adenoipofisi: invece di sopprimere la secrezione di LH, gli estrogeni stimolano la secrezione di
questo ormone. Come risultato, i livelli di LH aumentano e ciò stimola ulteriormente la secrezione
di estrogeni, che stimola ancora la secrezione di LH, e così via! Questi eventi costituiscono un
circuito a feedback positivo che porta ad aumentare drasticamente la secrezione di LH,
determinando una fase ascendente dei livelli di LH plasmatici detta picco di LH. Durante lo stadio
intermedio della fase follicolare, gli estrogeni stimolano le cellule della granulosa ad esprimere i
recettori per l’LH sulla loro membrana, rendendole responsive all’ormone. La crescente ondata di
LH nella fase follicolare tardiva porta ai seguenti cambiamenti nel follicolo dominante : (1) le
cellule della granulosa iniziano a secernere sostanze paracrine che stimolano l’oocita a completare
la prima divisione meiotica; (2) la secrezione degli estrogeni da parte delle cellule della granulosa
diminuisce, facendo diminuire i livelli di estrogeni nel plasma; (3) le cellule della granulosa
secernono progesterone; (4) le cellule della granulosa secernono enzimi e sostanze paracrine che
iniziano a rompere la parete follicolare. Circa 18 ore dopo il picco dell’LH, la parete si rompe,
portando all’ovulazione; (5) le cellule della granulosa e le cellule della teca iniziano a differenziarsi,
trasformando il follicolo rotto in corpo luteo.
Lattazione:
La diminuzione di estrogeni e di progesterone che avviene con il parto è importante non solo
perché favorisce le contrazioni uterine nel corso del travaglio, ma anche perché permette l’inizio
dell’allattamento. Il latte viene prodotto nelle mammelle da un insieme di ghiandole acinose
chiamate alveoli ed è portato ai capezzoli attraverso i dotti galattofori. Per ottenere il latte, il
neonato deve semplicemente succhiare i capezzoli (suzione), causando il flusso di latte attraverso i
condotti. La suzione stimola la contrazione di cellule mioepiteliali che circondano gli alveoli, che si
contraggono favorendo la spinta del latte attraverso i dotti, un fenomeno noto come eiezione del
latte. La suzione del neonato stimola i recettori cutanei dei capezzoli, che mediante vie afferenti
proiettano all’ipotalamo ed eccitano le cellule neurosecretorie che vanno alla neuroipofisi, dove
viene secreta ossitocina. L’ossitocina entra in circolo e stimola le cellule mioepiteliali a contrarsi.
La suzione stimola anche la produzione di latte determinando la liberazione del PRH (fattore di
rilascio della prolattina) da parte dell’ipotalamo ed inibendo il rilascio del PIH (ormone inibente la
prolattina). Entrambi questi cambiamenti stimolano l’adenoipofisi a secernere prolattina, che
induce la secrezione di latte da parte delle cellule degli alveoli.

EDOARDO SASSI

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