CAPITOLO 1
Oltre ai sistemi a feedback negativo, esistono anche alcuni sistemi a feedback positivo importanti
in fisiologia. Nel feedback positivo, la risposta del sistema va nella stessa direzione del
cambiamento della variabile che l’ha prodotta. Nelle femmine l’ipofisi secerne l’ormone
luteinizzante (LH) che stimola le ovaie a secernere altri ormoni chiamati estrogeni, che regolano la
funzione riproduttiva. Un aumento della concentrazione plasmatica di estrogeni può indurre un
aumento della produzione di LH! Ciò stimola a sua volta la secrezione di estrogeni, che aumenta
ulteriormente la secrezione di LH e così via… Il risultato è un rapidissimo aumento dell’LH
plasmatico conosciuto come picco dell’LH, che innesca l’ovulazione!
CAPITOLO 4
TRASPORTI DI MEMBRANA
Per poter vivere, le nostre cellule hanno bisogno di scambiare sostanze con il liquido che le
circonda. Le membrane biologiche contengono proteine che svolgono una varietà di funzioni,
incluso il trasporto di specifiche molecole attraverso la membrana. Grazie a queste proteine la
composizione dei liquidi intracellulare (ICF) ed extracellulare (ECF) è diversa!
Fattori che influenzano la direzione del trasporto:
Trasporto passivo e trasporto attivo:
Quando l’O2 entra in una cellula o la CO2 esce, le molecole si muovono attraverso la membrana
spontaneamente (la cellula non deve spendere energia perché ciò avvenga). Al contrario, occorre
spendere energia quando le molecole di glucosio vengono trasportate all’interno delle cellule
dell’epitelio intestinale. Il traporto di molecole attraverso una membrana viene chiamato
trasporto attivo se richiede energia, trasporto passivo se non la richiede. La diffusione semplice,
cioè il movimento di una molecola dentro o fuori la cellula a seguito di un suo moto termico, è una
forma di trasporto passivo. Il trasporto attivo è sempre mediato da proteine di trasporto dette
pompe.
I soluti si muovono passivamente da una zona a maggior concentrazione ad una zona a minor
concentrazione, ovvero secondo il gradiente di concentrazione. Per muoversi da una zona a minor
concentrazione ad una a maggior concentrazione è richiesta energia, ovvero contro il gradiente di
concentrazione.
Forze che guidano i trasporti:
Ogni differenza di energia attraverso la membrana agisce come forza che tende a spingere le
molecole in una direzione o nell’altra. La direzione di questa forza è sempre dalla zona a maggior
concentrazione verso quella a concentrazione minore! Le molecole sono influenzate da 3 tipi di
forze: chimiche, elettriche ed elettrochimiche.
1) Forze chimiche: poiché le molecole si muovono spontaneamente secondo un gradiente di
concentrazione, possiamo pensare al gradiente di concentrazione come ad una forza che
“spinge” le molecole in una particolare direzione e pertanto definiamo il gradiente di
concentrazione come una forza chimica la cui direzione è sempre in direzione della caduta
del gradiente stesso. La velocita con cui una sostanza viene trasportata dipende
dall’ampiezza del gradiente di concentrazione ed aumenta all’aumentare del gradiente.
2) Forze elettriche: Il movimento degli ioni è influenzato da forze elettriche oltre che da forze
chimiche. Le forze elettriche originano dalla presenza di un potenziale di membrana, una
differenza di potenziale elettrico (o voltaggio), che esiste tra i due lati della membrana nella
maggior parte delle cellule! Il potenziale di membrana dipende da una diversa distribuzione
di cationi e anioni ai due lati della membrana plasmatica. Nel liquido intracellulare e nel
liquido extracellulare, i cationi e gli anioni sono presenti in numero diverso, per cui questi
ambienti non sono elettricamente neutri! L’ICF contiene un eccesso di anioni, che gli
conferiscono una carica netta negativa. L’ECF contiene un eccesso di cationi, che gli
conferisce una carica netta positiva. Dato che le cariche positive e negative sono distribuite
in maniera diversa tra interno ed esterno della cellula, si dice che esiste una separazione di
cariche ai due lati della membrana. Il potenziale di membrana della cellula riflette questa
separazione di cariche e viene misurato in unità di potenziale elettrico: millivolt (mV). Il
segno del potenziale di membrana (+ o -) viene considerato quello della carica netta
presente all’interno della cellula rispetto all’esterno. Poiché l’interno della cellula è in
genere più negativo dell’esterno, il potenziale di membrana è tipicamente negativo! Il
potenziale di membrana (Vm) della maggior parte delle cellule è circa -70 mV.
3) Forze elettrochimiche: gli ioni si muovono in base alle forze chimiche (gradiente di
concentrazione) e alle forze elettriche (potenziale di membrana). La forza totale che agisce
sugli ioni è la combinazione di queste due forze e prende il nome di forza elettrochimica. Se
entrambe le forze vanno in una direzione allora la forza elettrochimica andrà in quella
stessa direzione. Se le forze vanno in direzione opposte allora la forza elettrochimica agirà
in direzione della forza maggiore tra le due. Poiché la forza elettrochimica è la forza totale
che agisce sugli ioni trasportati, essa determina la direzione con la quale gli ioni si
muoverebbero se venisse loro permesso di attraversare spontaneamente la membrana.
Quando gli ioni vengono trasportati passivamente, si muovono sempre in direzione della
caduta della forza elettrochimica (secondo gradiente elettrochimico). Quando invece sono
trasportati attivamente, si muovono in direzione opposta a quella della forza
elettrochimica (contro gradiente elettrochimico).
Trasporto passivo:
Nel trasporto passivo le molecole si muovono attraverso la membrana secondo il gradiente
chimico o elettrochimico: non è richiesta energia! I tipi di trasporto passivo includono:
1) Diffusione semplice: trasporto passivo di molecole attraverso il bilayer fosfolipidico. Il
movimento di molecole da un punto ad un altro è semplicemente il risultato della loro
agitazione termica. Quando una sostanza viene trasportata passivamente per diffusione
semplice, la velocita del trasporto dipende da 3 fattori: ampiezza della forza motrice,
superficie della membrana e permeabilità della membrana.
2) Diffusione facilitata: trasporto passivo attraverso proteine di membrana. Un carrier è una
proteina transmembrana che lega le molecole da un lato della membrana e le trasporta
dall’altro lato tramite un cambio di conformazione. Un carrier possiede uno o più siti di
legame che riconoscono una sostanza o classi di sostanze. La velocità della diffusione
facilitata dipende da 3 fattori: velocita di trasporto dei singoli carrier, numero di carrier in
membrana e entità del gradiente di concentrazione della sostanza trasportata. Un
aumento di uno di questi fattori si traduce in un incremento della velocita della diffusione
facilitata! La saturazione di un carrier (come quella di un enzima) si verifica poiché un
carrier ha un numero limitato di siti di legame e quando la concentrazione delle molecole
da un lato della membrana è elevata allora tutti i siti saranno occupati! Tuttavia, le cellule
possono regolare la velocità modificando il numero di carrier presenti in membrana. Un
aumento dei carrier aumenta la velocità di trasporto (esattamente come un aumento della
concentrazione dell’enzima aumenta la velocità di una reazione biochimica). Molti ormoni
esercitano la loro azione modificando il numero di molecole di carrier! Un esempio è il
carrier GLUT4: l’insulina incrementa il trasporto di glucosio inducendo l’inserzione dei
GLUT4 in membrana.
3) Diffusione attraverso canali: un canale è una proteina transmembrana che trasporta
molecole attraverso un passaggio detto poro che si estende da un lato all’altro della
membrana. Anche i canali sono specifici per alcune sostanze o classi di sostanze. In
generale, i canali comprendono acquaporine e canali ionici. Sebbene l’acqua possa
attraversare il bilayer fosfolipidico per diffusione semplice, la maggior parte di essa diffonde
tramite le acquaporine, pori altamente selettivi che permettono all’acqua (ma non ai soluti) di
diffondere nelle membrane. Il meccanismo di trasporto di un canale ionico dipende dal tipo
di canale. In alcuni canali il poro sembra essere un condotto pieno d’acqua in cui gli ioni si
muovono per diffusione. In altri canali all’interno del poro sono presenti uno o più siti di
legami per alcuni ioni. La differenza tra un canale con siti di legame e una proteina
trasportatrice è che i siti di legame di un canale sono accessibili da entrambi i lati della
membrana, mentre nei carrier i siti di legame stanno da un solo lato della membrana. La
velocità di movimento degli ioni attraverso i canali dipende dal tipo di canale e dal numero
di canali posti in membrana. La velocità di trasporto può essere regolata. la maggior parte
dei canali ionici possiede 2 conformazioni stabili: stato chiuso, gli ioni non passano
attraverso il canale e stato aperto, gli ioni diffondono nel canale secondo il loro gradiente
elettrochimico. Quindi, la velocita di trasporto dipende dal numero totale di canali nello
stato aperto!
Trasporto attivo:
Alcune cellule spendono anche il 40% della propria produzione di ATP per trasportare attivamente
alcune molecole attraverso la membrana. La produzione di segnali elettrici nei neuroni, la
regolazione della contrazione muscolare, l’assorbimento di acqua e nutrienti nel tratto digerente e
la regolazione dei liquidi corporei da parte dei reni, dipendono direttamente o indirettamente dai
trasporti attivi! Il trasporto di una sostanza contro il gradiente elettrochimico richiede energia.
Esistono 2 tipi di trasporto attivo: il trasporto attivo primario, utilizza direttamente ATP per
trasportare le sostanze e il trasporto attivo secondario, che utilizza l’energia di un gradiente di
concentrazione o elettrochimico che è stato precedentemente formato da un trasporto attivo
primario. Le proteine deputate al trasporto attivo primario vengono dette pompe. Le pompe sono
simili ai carrier, ma possono utilizzare energia per operare il trasporto di molecole
preferenzialmente in una determinata direzione attraverso la membrana. Come i carrier, le pompe
sono specifiche per certe molecole e possiedono un numero fisso di siti di legame.
Trasporto attivo primario: Le proteine di membrana responsabili del trasporto attivo primario
funzionano sia come trasportatori che come enzimi. Infatti sono in grado di utilizzare l’energia
dell’ATP, catalizzandone l’idrolisi e pertanto vengono anche chiamate ATPasi. La pompa Na+\K+
(sodio – potassio ATPasi) genera i segnali elettrici nei neuroni e media l’assorbimento del glucosio
nelle cellule intestinali. La pompa Na+\K+ trasporta 3 ioni Na+ fuori dalla cellula e 2 K+ dentro la
cellula (contro gradiente elettrochimico) tramite l’idrolisi di una molecola di ATP per ogni ciclo.
Grazie alla continua azione della pompa Na+\K+, il liquido intracellulare è ricco di K+ ma povero di
Na+, rispetto al liquido extracellulare. Alcune pompe presenti sulla mucosa gastrica trasportano
H+ verso l’esterno e K+ verso l’interno per creare la secrezione acida dello stomaco ai fini della
digestione. Le pompe del Ca2+ nelle cellule muscolari sono responsabili della contrazione.
Trasporto attivo secondario: nel trasporto attivo secondario una proteina trasportatrice accoppia il
flusso di una sostanza a quello di un’altra. In questo processo, una sostanza si muove secondo il
suo gradiente elettrochimico liberando energia che viene poi utilizzata per far muovere un’altra
sostanza contro il proprio gradiente elettrochimico. Il trasporto accoppiato di due sostanze nella
stessa direzione viene detto simporto (o cotrasporto), e un esempio tipico è il trasporto all’interno
della cellula del glucosio associato al Na+ (simporto Na+\glucosio). In questo caso il Na+, entra
nella cellula muovendosi secondo il proprio gradiente elettrochimico e l’energia rilasciata viene
utilizzata per internalizzare glucosio nella cellula contro il suo gradiente di concentrazione. Il
trasporto di due sostanze in direzione opposta viene detto antiporto (o controtrasporto).
La velocità con cui vengono trasportate attivamente le sostanze dipendono da 2 fattori: velocità di
trasporto delle singole pompe e numero di pompe totali presenti sulla membrana.
Osmosi:
Il fatto che alcune ghiandole possano secernere liquidi come il sudore, le lacrime o la saliva, si basa
sulla capacità di cellule epiteliali specializzate di trasportare acqua attraverso la loro membrana.
Anche quando beviamo si genera un movimento di acqua attraverso le cellule epiteliali che
rivestono il tratto intestinale e ne permettono l’assorbimento e l’immissione in circolo. Questi
movimenti di acqua sono fondamentali perché influenzano il volume e la composizione di tutti i
liquidi corporei. Il trasporto dell’acqua non differisce dagli altri tipi di trasporto che abbiamo
esaminato; anzi, in certi casi è addirittura più semplice poiché le molecole d’acqua passano solo
passivamente, non sono influenzate dal potenziale di membrana e si muovono sempre in base al
loro gradiente di concentrazione. Il flusso di acqua attraverso una membrana secondo il proprio
gradiente di concentrazione viene definito osmosi. La presenza di acqua all’interno di una cellula è
più bassa rispetto all’ambiente esterno.
Osmolarità: la concentrazione totale di particelle di soluti in una soluzione viene dette osmolarità.
Due soluzioni che hanno la stessa osmolarità sono dette isoosmotiche. Di conseguenza, una
soluzione 300 milliosmolare di glucosio è isoosmotica rispetto al liquido intracellulare poiché
entrambe le soluzioni sono 300 milliosmolari. Una soluzione la cui osmolarità è superiore di
un’altra viene detta iperosmotica; una soluzione con minore osmolarità di un’altra è detta
iposmotica. Quando due soluzioni sono isoosmotiche, non solo hanno la stessa concentrazione di
soluti ma anche un’identica concentrazione di acqua!
Pressione osmotica: a volte i fisiologi utilizzano il termine pressione osmotica al posto di
osmolarità poiché entrambi i termini si riferiscono alla stessa cosa: la concentrazione totale dei
soluti di una soluzione. La pressione osmotica di una soluzione è una misura indiretta della
concentrazione dei suoi soluti e viene espressa in unità di pressione (atm, mmHg). All’aumentare
della concentrazione totale di soluti (osmolarità) aumenta la pressione osmotica.
Tonicità: mentre l’osmolarità si basa unicamente sulla concentrazione totale di soluti, la tonicità di
una soluzione è determinata dalla maniera in cui essa influisce sul volume cellulare e ciò non
dipende solo dalla concentrazione dei soluti, ma anche dalla capacità dei soluti di permeare le
membrane cellulari. Una soluzione viene detta isotonica quando non altera il volume cellulare.
Una soluzione che provoca il raggrinzimento delle cellule è ipertonica, mente una soluzione che
provoca il rigonfiamento delle cellule è ipotonica.
Trasporto di materiale all’interno di comparti delimitati da membrana:
Le macromolecole non possono attraversare la membrana neanche con l’aiuto di carrier; quindi
devono essere inglobate in vescicole. Le molecole presenti nell’ECF entrano nelle cellule tramite la
formazione di vescicole, che si originano a livello della membrana plasmatica, dette endosomi,
mediante un processo chiamato endocitosi. Nell’esocitosi, le macromolecole presenti all’interno
delle cellule vengono impacchettate in vescicole secretorie che si fondono con la membrana
rilasciando il contenuto nel liquido interstiziale. Entrambi i processi richiedono energia!
Endocitosi: esistono 3 forme di endocitosi:
1) Fagocitosi: una cellula utilizza un movimento ameboide per estendere la membrana
attorno ad una particella presente nell’ECF; quando la membrana circonda la particella i
due estremi si fondono per formare una vescicola fagocitica detta fagosoma. Una volta
all’interno della cellula, la membrana del fagosoma si fonde con la membrana di un
lisosoma formando il fagolisosoma, che espone la particella all’azione proteolitica degli
enzimi lisosomiali.
2) Pinocitosi: la membrana plasmatica si invagina e i suoi margini si fondono a formare una
vescicola endocitica. Il processo non è specifico e il contenuto della vescicola è composto
da ECF contenente soluti disciolti.
3) Endocitosi medita da recettori: processo simile alla pinocitosi però in questo caso il
processo è altamente specifico! Alcuni recettori riconoscono e legano specifiche sostanze
presenti nell’ECF. La porzione di membrana che formerà la vescicola è rivestita, sul
versante citosolico, da una proteina detta clatrina. L’invaginazione della membrana darà
origine ad una regione chiamata fossetta rivestita. In corrispondenza di questa regione si
forma una vescicola ricoperta da clatrina che conterrà i recettori e le sostanze ad essi legati
da internalizzare. Alla fine del processo le clatrine verranno riciclate e la vescicola si fonde
con il lisosoma formando un endolisosoma. Gli enzimi lisosomiali degraderanno le
sostanze portate dentro la cellula.
Esocitosi: fondamentalmente è il contrario dell’endocitosi: una vescicola all’interno della cellula si
fonde con la membrana plasmatica e libera il suo contenuto nell’ambiente extracellulare.
L’esocitosi coinvolge interazioni complesse tra Calcio e proteine. L’esocitosi ha 3 funzioni: (1)
aggiungere componenti alla membrana, (2) riciclare recettori precedentemente rimossi mediante
endocitosi e (3) secernere specifiche sostanze all’esterno della cellula. L’endocitosi e l’esocitosi
devono svolgersi in modo bilanciato altrimenti le dimensioni della membrana potrebbero
modificarsi!
Trasporto epiteliale: in molti tessuti epiteliali le membrane cellulari funzionano nel trasportare
sostanze attraverso le cellule, da un lato all’altro di uno strato cellulare. Alcuni epiteli sono capaci
di trasportare i materiali dall’esterno verso l’interno (assorbimento) o dall’interno verso l’esterno
(secrezione). Le membrane ai due lati della cellula possiedono sistemi diversi di trasporto e, dato
che le membrane sono diverse sia per struttura che per funzione, le cellule epiteliali vengono
dette cellule polarizzate. In uno strato epiteliale specializzato nell’assorbimento o secrezione, un
lato delle cellule epiteliali è rivolto verso il lume di una cavita corporea. La membrana cellulare
verso il lume viene definita membrana apicale, mentre la membrana dal lato opposto che si
affaccia verso i vasi sanguigni è denominata membrana basolaterale, essa poggia sulla lamina
basale. Le cellule adiacenti di un tessuto epiteliale sono unite da giunzioni strette (tite junction)
che limitano il passaggio di sostanze attraverso lo spazio tra le cellule! Le tite junction sono
importanti per mantenere l’omeostasi e il “grado di adesione” di queste giunzioni varia da organo
a organo. Solo la membrana basolaterale è dotata di pompe Na+\K+ e canali per il K+, mentre la
membrana apicale contiene i simporto Na+\glucosio. Gli epiteli assorbono o secernono acqua
utilizzando in primis il traporto attivo di soluti, cerando un gradiente di pressione osmotica tra le
soluzioni poste ai due lati dello strato cellulare. L’acqua può quindi fluire attraverso l’epitelio per
osmosi. Nella transcitosi le macromolecole attraversano le cellule epiteliali in un processo che
coinvolge sia l’endocitosi che l’esocitosi: una grossa molecola viene internalizzata per endocitosi
ma la vescicola non si fonde con i lisosomi, attraversa dunque tutta la cellula fino a raggiungere il
lato opposto dove si fonde con la membrana e rilascia il suo contenuto per endocitosi.
CAPITOLO 5
MESSAGGERI CHIMICI
Tutte le cellule dell’organismo utilizzano pochi meccanismi per comunicare tra loro. Solo in pochi
casi le cellule sono collegate fisicamente mediante giunzioni comunicanti; nella maggior parte dei
casi le cellule comunicano attraverso i messaggeri chimici.
Per le comunicazioni a lunga distanza il nostro organismo dispone di due sistemi: il sistema
endocrino, che comunica lentamente liberando ormoni, e il sistema nervoso, che comunica
rapidamente liberando neurotrasmettitori. Il sistema endocrino è costituito dalle ghiandole
endocrine, che derivano dal tessuto epiteliale e possono essere suddivise in due tipologie: (1)
organi endocrini primari, che secernono ormoni e (2) organi endocrini secondari, per i quali la
secrezione ormonale è secondaria rispetto ad altre funzioni. Alcuni organi endocrini primari si
trovano nel sistema nervoso mentre altri sono situati al di fuori di esso.
Organi endocrini primari:
Ipotalamo e Ipofisi:
L’ipotalamo è una regione encefalica che secerne parecchi ormoni, la maggior parte dei quali
agisce sull’ipofisi (ghiandola pituitaria), struttura avente la dimensione di un pisello collegata
all’ipotalamo da un sottile peduncolo tissutale detto infundibolo. L’ipofisi è suddivisa in due lobi
distinti: adenoipofisi (ipofisi anteriore) e neuroipofisi (ipofisi posteriore). La neuroipofisi contiene
tessuto nervoso costituito dalle terminazioni nervose il cui corpo cellulare si trova nell’ipotalamo.
Queste terminazioni nervose scernono due ormoni peptidici: ADH, sintetizzato nel nucleo
paraventricolare dell’ipotalamo e ossitocina, sintetizzata nel nucleo sopraottico dell’ipotalamo.
L’ADH regola il riassorbimento dell’acqua nei reni, mentre l’ossitocina stimola le contrazioni
uterine e l’eiezione del latte dalle mammelle. L’adenoipofisi e i neuroni dell’ipotalamo che la
controllano secernono gli ormoni trofici (stimolanti o inibenti) che regolano la secrezione di altri
ormoni. L’ipotalamo rilascia un ormone trofico che induce il rilascio di un altro ormone trofico
prodotto dall’adenoipofisi, che a sua volte agisce sul rilascio di un terzo ormone prodotto da
un’altra ghiandola endocrina: solo questo terzo ormone agisce direttamente sulle cellule bersaglio
distribuite nell’organismo! L’ipotalamo e l’adenoipofisi sono connessi mediante il sistema portale
ipotalamo – ipofisario, in cui due letti di capillari sanguigni sono disposti in serie. Dopo che
l’ipotalamo ha secreto gli ormoni trofici nel letto capillare, questi attraversano l’infundibolo
all’interno di una vena portale raggiungendo un secondo letto capillare situato nell’adenoipofisi.
Qui gli ormoni trofici stimolano o inibiscono il rilascio degli ormoni adenoipofisari. I fattori trofici
ipotalamici e gli ormoni adenoipofisari sono:
1) PRH (fattore stimolante il rilascio di prolattina): stimola l’adenoipofisi a secernere
prolattina, che stimola lo sviluppo della ghiandola mammaria e la secrezione del latte nelle
femmine.
2) PIH (fattore inibente il rilascio di prolattina): detta anche dopamina, è una catecolammina
che inibisce la secrezione di prolattina dall’adenoipofisi.
3) TRH (fattore stimolante il rilascio di tireotropina): stimola l’adenoipofisi a rilasciare il THS,
(tireotropina o ormone tiroide – stimolante) che stimola la tiroide a secernere gli ormoni
tiroidei.
4) CRH (fattore stimolante il rilascio di corticotropina): stimola l’adenoipofisi a rilasciare
l’ACTH (corticotropina o ormone adrenocorticotropo) che stimola la corticale del surrene a
secernere altri ormoni.
5) GHRH (fattore stimolante il rilascio di ormone della crescita): stimola l’adenoipofisi a
secernere il GH (ormone della crescita) che regola la crescita ed il metabolismo energetico;
inoltre il GH agisce come ormone trofico stimolando il fegato a secernere IGF (fattori di
crescita insulino – simili).
6) GHIH (fattore inibente il rilascio di ormone della crescita): detto anche somatostatina,
inibisce la secrezione adenoipofisaria del GH.
7) GnRH (fattore stimolante il rilascio di gonadotropine): stimola l’adenoipofisi a secernere
gonadotropine, tra cui l’FSH (ormone follicolo – stimolante), che promuove lo sviluppo
delle cellule uovo e degli spermatozoi e l’LH (luteinizzante) che stimola l’ovulazione nelle
femmine e la secrezione di ormoni sessuali da parte delle gonadi.
La produzione di fattori trofici ipotalamici ed ipofisari è regolata mediante circuiti a feedback. I
fattori trofici prodotti dall’adenoipofisi possono agire mediante circuiti a feedback negativo
sull’ipotalamo per ridurre la loro stessa secrezione. Per esempio: il CRH (fattore di rilascio di
corticotropina) stimola la secrezione adenoipofisaria dell’ACTH (ormone adrenocorticotropo) che,
a sua volta, stimola il rilascio di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali. Quando le
concentrazioni plasmatiche di cortisolo aumentano oltre un certo livello, la regolazione a feedback
negativo provoca una riduzione nel rilascio sia di CRH che di ACTH.
Ghiandola pineale:
La ghiandola pineale (epifisi) si trova nell’encefalo ed è composta da tessuto ghiandolare che
secerne l’ormone melatonina, che stabilisce il ritmo circadiano. La secrezione di melatonina
aumenta durante la notte e si riduce durante il giorno; è stato inoltre osservato che la melatonina
somministrata a scopo terapeutico ha una forte azione ipnogena (stimola il sonno). La melatonina
migliora anche la risposta immunitaria ed inibisce l’attività riproduttiva interferendo con l’attivita
di altri ormoni.
Tiroidi e paratiroidi:
La tiroide è una struttura a forma di farfalla che si trova sulla superficie ventrale della trachea;
secerne la tiroxina (T4) e la calcitonina. La tiroxina regola la velocita del metabolismo corporeo,
mentre la calcitonina regola la concentrazione plasmatica di Calcio. Le 4 ghiandole paratiroidi
sono strutture più piccole, localizzate sulla superficie posteriore della tiroide e secernono
l’ormone paratiroideo (PTH), un importante regolatore della concentrazione plasmatica di Calcio.
Timo:
Il timo è localizzato in prossimità del cuore e secerne l’ormone timosina. il timo è importante per
una normale funzione immunitaria poiché è la sede della maturazione dei linfociti T, che
garantiscono una risposta immunitaria efficacie contro i microrganismi che invadono il nostro
organismo. La timosina regola le funzioni dei linfociti T.
Ghiandole surrenali:
Le ghiandole surrenali sono due piccole formazioni ghiandolari posizionate sulla porzione
superiore di ciascun rene. Ogni ghiandola surrenale è costituita da uno strato esterno definito
corticale (80% della massa ghiandolare) e da uno strato interno definito midollare (20% della
massa ghiandolare).
La corticale del surrene è composta da 3 strati cellulari distinti dall’esterno verso l’interno: (1)
zona glomerulare, (2) zona fascicolata e (3) zona reticolare. La corticale del surrene secerne gli
ormoni adrenocorticoidi, che sono di 3 tipi: (1) mineralcorticoidi (principalmente aldosterone) che
regolano il riassorbimento di Na+ e l’escrezione di K+ nei reni; (2) glucocorticoidi (principalmente
cortisolo) che regolano le risposte dell’organismo allo stress, metabolismo proteico, glucidico e
lipidico e i livelli plasmatici di glucosio; (3) ormoni sessuali (principalmente androgeni) che
regolano la funzione riproduttiva e molti altri processi.
La midollare del surrene contiene cellule cromaffini che secernono catecolammine, di cui l’80% è
rappresentato da adrenalina (epinefrina), il 20% da noradrenalina (norepinefrina) e meno dell’1%
da dopamina. L’adrenalina è secreta nei momenti di stress o di eccitazione nervosa ed incrementa
la frequenza cardiaca e la mobilizzazione delle riserve energetiche.
Pancreas:
I neuroni sono organizzati in maniera ordinata, in modo che quelli che hanno funzioni simili
tendono ad essere raggruppati insieme. Nel SNC, i corpi cellulari sono spesso raggruppati in nuclei,
e gli assoni viaggiano insieme in fasci chiamati vie, tratti o commessure. Nel SNP, i corpi cellulari
dei neuroni sono raggruppati insieme in gangli e gli assoni viaggiano insieme in fasci detti nervi.
Cellule gliali:
Le cellule gliali (glia=colla) rappresentano il 90% di tutte le cellule del SN e forniscono integrità
strutturale, permettendo ai neuroni di svolgere la loro funzione. Esistono 5 tipi di cellule gliali:
astrociti, cellule ependimali, microglia, oligodendrociti e cellule di Schwann. Le cellule di
Schwann sono le uniche ad essere collocate nel SNP! La principale funzione degli oligodendrociti e
delle cellule di Schwann è quella di formare un avvolgimento di mielina (guaina mielinica) attorno
agli assoni dei neuroni, in modo da isolarli. L’isolamento fa sì che i neuroni trasmettano i potenziali
d’azione in modo più rapido ed efficacie. La mielina è formata da strati concentrici di membrane
cellulari di oligodendrociti o cellule di Schwann. Gli oligodendrociti formano la mielina nel SNC,
mentre le cellule di Schwann formano la mielina nel SNP. Poiché il bilayer fosfolipidico ha bassa
permeabilità agli ioni, i molti strati di membrana che costituiscono la mielina riducono il passaggio
di ioni attraverso la membrana cellulare. Tuttavia, esistono delle interruzioni della guaina mielinica
chiamate nodi di Ranvier, in cui la membrana dell’assone contiene canali voltaggio – dipendenti
per Na+ e K+ che funzionano nella trasmissione dei potenziali d’azione permettendo i movimenti
ionici attraverso l membrana!
Impulsi elettrici e potenziale di membrana:
Genesi del potenziale di membrana a riposo:
Il potenziale di membrana di un neurone a riposo è circa -70 mV. I neuroni comunicano tra loro
generando segnali elettrici costituiti da variazioni del potenziale di membrana. Alcune variazioni di
tali potenziali elettrici innescano il rilascio di un neurotrasmettitore, che trasmette il segnale ad
un’altra cellula. Il potenziale di membrana a riposo dipende da due fattori critici: (1) gradiente di
concentrazione degli ioni (specialmente Na+ e K+) attraverso la membrana e (2) presenza di canali
ionici di membrana. Gli ioni Na+ sono più concentrati all’esterno della cellula, pertanto sono
soggetti ad una forza chimica che gli spinge all’interno. I neuroni hanno gli stessi gradienti ionici
attraverso la membrana cellulare ma, possedendo canali sia per Na+ che per K+, sono permeabili
ad entrambi gli ioni. Tuttavia, a riposo, il numero di canali per il K+ aperti è superiore di quello dei
canali per Na+ aperti, pertanto la membrana risulta 25 volte più permeabile al K+ rispetto all’Na+!
Poiché sia Na+ che K+ si muovono secondo i propri gradienti di concentrazione, il K+ si sposta
all’esterno mentre l’Na+ tenderà ad entrare nella cellula. Il movimento del K+ verso l’esterno sarà
di entità maggiore poiché la membrana è più permeabile ad esso! In queste condizioni si genera
un movimento netto di cariche positive verso l’esterno della cellula che crea un potenziale
endocellulare negativo. Divenendo il potenziale di membrana più negativo, ad un certo punto la
soglia elettrica raggiunta rallenterà il flusso di K+ verso l’esterno, mentre aumenta il flusso di Na+
verso l’interno. Alla fine del processo, i due flussi degli ioni divengono uguali ma con direzione
opposta ed il flusso netto di cariche sarà uguale a zero! A tal punto, il potenziale di membrana si
stabilizzerà intorno ai -70 mV (potenziale a riposo di un neurone). La presenza nella membrana
della pompa Na+\K+ evita che venga annullato il gradiente elettrochimico dei due ioni e quindi che
il potenziale di riposo si azzeri! Normalmente la pompa Na+\K+ estrude più velocemente Na+ di
quanto non internalizzi K+ e per questa serie di motivi viene definita pompa elettrogenica (in
grado sia di generare potenziali d’azione, sia di mantenerli). Anche altri ioni, quale il Cl-, possono
contribuire alla genesi del potenziale di riposo. Ogni ione a cui è permeabile una membrana
cercherà di portare il potenziale di membrana vicino al valore del suo potenziale di equilibrio.
Variazioni del potenziale di membrana:
I segnali elettrici nei neuroni si generano quando, in risposta a stimoli particolari, si aprono o si
chiudono alcuni canali ionici, detti canali con gate. Quando i canali con gate si aprono o si
chiudono cambia la permeabilità della membrana ad alcuni ioni, modificandone il movimento
attraverso di essa. Vi sono 3 tipi di canali con gate: (1) canali voltaggio – dipendenti (elettrici), (2)
canali ligando – dipendenti (chimici) e (3) canali meccano – dipendenti (meccanica). Le variazioni
del potenziale di membrana si descrivono in base all direzione della variazione rispetto al
potenziale di membrana a riposo. Poiché il potenziale a riposo è negativo (-70 mV), un
cambiamento verso valori più negativi è detto iperpolarizzazione, mentre un cambiamento verso
valori più positivi determina una depolarizzazione. La ripolarizzazione si verifica quando il
potenziale di membrana ritorna al valore di riposo dopo una depolarizzazione. I neuroni
comunicano attraverso due tipi di segnali elettrici dati dall’apertura o dalla chiusura dei canali con
gate: (1) potenziali graduati, piccoli segnali elettrici che agiscono a breve distanza e (2) potenziali
d’azione, segnali elettrici più ampi che si propagano per lunghe distanze.
Potenziali graduati:
I potenziali graduati possono essere prodotti da neurotrasmettitori che si legano a recettori posti
sul corpo cellulare o sui dendriti oppure posso generarsi in seguito ad uno stimolo sensoriale
(pressorio, luminoso ecc.) di un neurone afferente. Un potenziale graduato può propagarsi dal
punto di stimolazione per brevi distanze, in quanto è un evento che si attenua con la distanza dal
punto in cui si genera. Quando si genera una variazione di potenziale in un punto specifico della
membrana, questa variazione determina la generazione di una d.d.p. sia nell’ICF che nell’ECF.
Poiché una separazione di cariche crea una forza che determina il movimento delle cariche stesse
(corrente), il potenziale graduato induce la generazione di correnti in questi fluidi. Alcuni potenziali
graduati sono depolarizzanti, mentre altri sono iperpolarizzanti. Per esempio, se un tipo di
neurotrasmettitore, legandosi al recettore, determina l’apertura di canali per Na+ allora
determina l’ingresso di Na+ nella cellula dando origine ad un potenziale graduato depolarizzante. Il
significato principale del potenziale graduato è quello di determinare se un neurone genererà o
meno un potenziale d’azione. I potenziali graduati generano un potenziale d’azione se
depolarizzano la membrana fino ad un valore di potenziale di membrana critico definito valore
soglia, che deve essere raggiunto o superato per generare il potenziale d’azione. I potenziali
graduati che generano depolarizzazioni vengono considerati eccitatori, poiché avvicinano il
potenziale di membrana al valore soglia, mentre potenziali che causano iperpolarizzazione
vengono considerati inibitori, perché allontanano il potenziale di membrana dal valore soglia che
innesca il potenziale d’azione. Se i singoli potenziali graduati (con bassa ampiezza) vengono
sovrapposti, si possono sommare spazialmente o temporalmente. Nella sommazione temporale
gli stimoli si succedono tanto rapidamente che uno stimolo non si estingue prima che arrivi l’altro
e quindi vanno a sommarsi. Nella sommazione spaziale gli effetti degli stimoli provenienti da aree
del neurone vicine danno origine a potenziali graduati che, se contemporanei, si sommano tra
loro.
Potenziali d’azione:
I potenziali d’azione si generano nelle membrane delle cellule eccitabili (nervose e muscolari) in
risposta a potenziali graduati che raggiungono il valore soglia. Durante un potenziale d’azione si
verifica un’ampia e rapida depolarizzazione, durante la quale la polarità del potenziale di
membrana si inverte e, per un breve periodo di tempo, il potenziale di membrana diventa positivo
(passando da -70 a +30 mV). Una volta iniziato, il potenziale d’azione, a differenza del potenziale
graduato, si propaga per tutta la lunghezza dell’assone senza alcun decremento della propria
ampiezza. La genesi del potenziale d’azione si basa sulla permeabilità selettiva della membrana al
Na+ ed al K+ e sui gradienti elettrochimici di questi due ioni a cavallo della membrana. Un
potenziale d’azione in un neurone consta di 3 fasi distinte:
Per l’apertura di un canale per il Na+ è necessario che entrambe le porte siano aperte! Entrambe
le porte si aprono e si chiudono in risposta a modificazioni del potenziale di membrana. L’apertura
delle porte per Na+ è un processo rigenerativo, in quanto genera a sua volta l’apertura di altre
porte di attivazione del Na+. All’inizio la depolarizzazione avvia l’apertura di pochi canali con
conseguente afflusso di Na+ all’interno della cellula; ciò depolarizza la cellula facendo aprire altri
canali per Na+ portando ad un maggiore afflusso di Na+ e ad una maggiore depolarizzazione.
Questo feedback positivo genera una depolarizzazione molto rapida! Il feedback positivo termina
quando le porte di inattivazione del Na+ si chiudono. Il canale del K+, invece, prevede la presenza
di una singola porta, che si apre più lentamente in risposta alla depolarizzazione. Dal momento in
cui la porta di inattivazione del canale per Na+ si chiude, il canale del K+ comincia ad aprirsi
lentamente. Ora il K+ comincia ad uscire dalla cellula e questo movimento di cariche positive
diretto verso l’esterno è uno dei fattori determinanti la ripolarizzazione!
La generazione del potenziale d’azione segue il principio del tutto o nulla! Se una membrana è
depolarizzata fino al valore soglia o oltre, si genera un potenziale d’azione che ha sempre la stessa
ampiezza; se la membrana non è depolarizzata fino al valore soglia, non si genera alcun potenziale
d’azione!
Periodi refrattari:
Durante e immediatamente dopo un potenziale d’azione la membrana è meno eccitabile che a
riposo. Questo periodo di ridotta eccitabilità è detto periodo refrattario, e può essere diviso in
due fasi:
1) Periodo refrattario assoluto: comprende tutta la fase di depolarizzazione rapida e gran
parte della fase della ripolarizzazione del potenziale d’azione. Indipendentemente
dall’intensità di uno stimolo, durante questa fase, un potenziale d’azione non può essere
generato in risposta ad un secondo stimolo! Infatti un secondo potenziale d’azione non si
può generare fin quando la maggior parte dei canali per il Na+ non è ritornata nello stato di
riposo, una situazione che si verifica alla fine della fase di ripolarizzazione.
2) Periodo refrattario relativo: si verifica immediatamente dopo il periodo refrattario
assoluto. Durante questo periodo è possibile generare un nuovo potenziale d’azione, ma
solo in risposta ad uno stimolo più forte di quello necessario a raggiungere il valore soglia!
Il periodo refrattario relativo è dovuto principalmente all’elevata permeabilità al K+, che
continua oltre la fase di ripolarizzazione.
A differenza dei potenziali graduati, i potenziali d’azione non possono sommarsi tra loro a causa
del periodo refrattario assoluto che previene una loro sovrapposizione!
Propagazione dei potenziali d’azione:
Una volta generato, un potenziale d’azione si propaga lungo l’assone, partendo dal monticolo
assonico e giungendo al terminale assonico. Il potenziale d’azione genera gradienti elettrochimici
negli ICF e negli ECF, che avendo una bassa resistenza ai flussi di corrente, permettono alle cariche
positive di muoversi dall’area depolarizzata a quella adiacente, che viene a sua volta depolarizzata.
Il primo potenziale d’azione prodotto nel monticolo assonico genera una corrente che induce un
secondo potenziale d’azione nella zona adiacente della membrana; ciò produce un flusso di
corrente che produce un terzo potenziale d’azione e così via fino a raggiungere il terminale
assonico.
Negli assoni ricoperti da mielina, i potenziali d’azione si propagano grazie ad un tipo di conduzione
elettronica definita conduzione saltatoria. La mielina crea un’elevata resistenza ai movimenti
ionici attraverso la membrana. Nelle fibre mieliniche i potenziali d’azione si generano a livello dei
nodi di Ranvier. A differenza degli assoni amielinici, i potenziali d’azione non si producono dove è
presente la mielina ma il meccanismo è analogo. La separazione di cariche nell’ICF genera un
flusso di corrente da un nodo di Ranvier al successivo. Il salto del potenziale da un nodo all’altro è
il motivo per cui la conduzione negli assoni mielinici viene chiamata conduzione saltatoria.
CAPITOLO 8
TRASMISSIONE SINAPTICA E INTEGRAZIONE NEURONALE
Integrazione neuronale:
L’attività di una singola sinapsi può influenzare la probabilità di generazione di un potenziale
d’azione, ma di solito non è l’unico fattore determinante. Di solito, infatti, molte sinapsi sono
attivate allo stesso tempo e la probabilità di generare potenziali d’azione dipende dalla
combinazione in ogni istante dei numerosi input che arrivano a livello della membrana del
neurone postsinaptico. Tale fenomeno è noto come integrazione neuronale (o integrazione
sinaptica). L’assone di ogni neurone ha molti collaterali che comunicano con numerosi neuroni,
un’organizzazione detta divergenza. Allo stesso modo, ogni neurone riceve segnali da molti altri
neuroni, un’organizzazione detta convergenza. La somma di PPSE e PPSI è definita integrazione
neuronale ed opera secondo una semplice regola: un potenziale d’azione viene generato solo
quando il potenziale di membrana è depolarizzato fino al valore soglia a livello del monticolo
assonico; se il potenziale di membrana rimane sottosoglia, non si genera alcun potenziale d’azione.
Neurotrasmettitori:
I neurotrasmettitori si dividono in varie classi in base alla loro struttura chimica; essi comprendono
i derivati della colina (l’acetilcolina), le ammine biogene, gli amminoacidi e i neuropeptidi.
Acetilcolina:
L’acetilcolina (ACh) è rilasciata dai neuroni del SNC e del SNP. È il neurotrasmettitore più
abbondante nel SNP, dove è presente nei neuroni efferenti sia della branca somatica che di quella
autonoma. L’ACh è sintetizzata nel citosol dei terminali assonici a partire dall’ acetil – CoA e dalla
colina ad opera dell’enzima colinaciltransferasi (CAT). I neuroni che rilasciano ACh sono detti
neuroni colinergici, ma non sono in grado di sintetizzarla; viene infatti prodotta nel fegato e poi
trasportata dal sangue ai neuroni colinergici che sono in grado di assimilarla per trasporto attivo.
L’ACh è immagazzinata nelle vescicole sinaptiche fin quando un potenziale d’azione non ne
determina il rilascio per esocitosi. Dopo il rilascio l’ACh si va a legare ai recettori colinergici e\o
viene catabolizzata dall’acetilcolinesterasi (AChE) in acetato + colina. I recettori per l’acetilcolina
sono di due tipi: nicotinici e muscarinici. I recettori colinergici nicotinici sono ionotropi e la loro
interazione con l’ACh apre canali per Na+ e K+, determinando la genesi di PPSE nel neurone
postsinaptico. Questi recettori sono situati in molte aree del SNP, comprese le cellule del muscolo
scheletrico (effettrici dei motoneuroni somatici), ma anche in alcune aree del SNC. I recettori
colinergici muscarinici sono recettori metabotropi ed operano attraverso le proteine G. Questi
recettori possono aprire o chiudere i canali ionici oppure attivare degli enzimi. I recettori
muscarinici predominano nel SNC. Gli effetti diversi dell’ACh sui recettori nicotinici e muscarinici
illustrano un importante concetto fisiologico: l’azione di qualsiasi neurotrasmettitore dipende
sempre dal tipo di recettore con il quale esso interagisce e non dalla sua struttura chimica.
Ammine biogene:
Le ammine biogene sono dei neurotrasmettitori derivanti dagli amminoacidi. Le ammine biogene
includono le catecolammine, la serotonina, l’istamina, la dopamina l’adrenalina e la
noradrenalina. Le catecolammine contengono un gruppo catecolico. Analogamente all’ACh, le
ammine biogene sono sintetizzate nel citoplasma del terminale assonico e sono immagazzinate in
vescicole sinaptiche. Dopamina e noradrenalina sono rilasciate dai terminali sinaptici di neuroni
nel SNC anche se la noradrenalina viene rilasciata da alcuni neuroni del SNP. L’adrenalina viene
rilasciata da alcuni neuroni del SNC, anche se essa è secreta specialmente dalla midollare del
surrene in risposta a comandi provenienti da SN simpatico. Le catecolammine si legano a specifici
recettori detti recettori adrenergici appartenenti a due classi: alfa adrenergici e beta adrenergici.
Ciascuna di queste due classi possiede delle sottoclassi: l’adrenalina ha maggiore affinità per i
recettori beta 2 adrenergici mentre la noradrenalina per quelli alfa e per i beta 1 adrenergici. La
dopamina si lega a recettori detti recettori dopaminergici. Le catecolammine producono risposte
sinaptiche lente tramite le proteine G ed il sistema di secondi messaggeri. Inoltre, spesso
funzionano come sostanze autocrine legandosi ad autorecettori presenti sui terminali assonici
delle stesse cellule che li rilasciano, modulando così il rilascio del neurotrasmettitore e regolando
l’ingresso di Ca2+ nel terminale sinaptico in risposta ad un potenziale d’azione. Dopo il rilascio, le
catecolammine sono degradate da due enzimi: le monoamminossidasi (MAO) e le catecol - O –
metiltransferasi (COMT). La serotonina e l’istamina sono ammine biogene ma non appartengono
alla classe delle catecolammine! La serotonina è presente nel SNC e regola il sonno e le emozioni.
L’istamina viene rilasciata da cellule non-neuronali durante le infiammazioni ma può anche
fungere da neurotrasmettitore ed è presente nel SNC (prevalentemente nell’ipotalamo).
Neurotrasmettitori amminoacidici:
Sono i più rappresentati nel SNC. L’aspartato ed il glutammato sono eccitatori, mentre la glicina ed
il GABA sono inibitori. Il glutammato è il più rappresentato e si lega ai recettori: (1) AMPA
producendo un PPSE veloce in seguito all’ingresso di Na+ nella cellula, (2) NMDA aprendo i canali
per il Ca2+ e suo ingresso nella cellula e (3) ai recettori del kainato. Il GABA è il più utilizzato dalle
sinapsi inibitorie del SNC e si lega ai recettori: GABAa aprendo i canali del Cl-, GABAb accoppiati a
proteine G e GABAc situati nella retina dove hanno un ruolo nella trasmissione dei segnali visivi.
Alcuni sedativi, come il Valium, si legano ai recettori GABAa nel SNC, deprimendo l’attività
neuronale.
Purine:
CAPITOLO 9
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Si è stimato che il SNC contiene 100 miliardi di neuroni collegati fra loro da 100.000 miliardi di
sinapsi presenti nell’encefalo e nel midollo spinale.
Anatomia generale del SNC:
Il SNC consta dell’encefalo e del midollo spinale ed è protetto da cellule gliali, ossa, tessuto
connettivo e liquido cerebrospinale.
Cellule gliali:
Vi sono 5 tipi di cellule gliali: cellule di Schwann, oligodendrociti, microglia, cellule ependimali e
astrociti. Abbiamo già descritto la funzione di formazione della mielina da parte delle cellule di
Schwann e degli oligodendrociti. Tutte le cellule gliali rilasciano fattori di crescita determinanti
nello sviluppo del SN, e comunicano con i neuroni. Le cellule gliali intervengono in alcune malattie
neurodegenerative come la sclerosi multipla, il morbo di Alzheimer ed il morbo di Parkinson.
Gli astrociti sono le cellule gliali più differenziate e controllano lo sviluppo di speciali capillari che
limitano il movimento di alcune molecole tra sangue e SNC e che prendono il nome di barriera
ematoencefalica. Gli astrociti hanno un ruolo critico nel mantenimento del normale ambiente
extracellulare (regolando la concentrazione di K+) che circonda i neuroni, specialmente a livello
delle sinapsi. Gli astrociti rimuovono alcuni neurotrasmettitori, come il glutammato e le ammine
biogene. Gli astrociti immagazzinano glicogeno, che può essere scisso in lattato; il lattato viene poi
trasportato ai neuroni dove viene utilizzato come fonte energetica nelle aree attive dell’encefalo.
Le cellule della microglia proteggono il SNC dalle sostanze estranee, come i batteri, e dai detriti
cellulari attraverso l’attività fagocitaria ed il rilascio di citochine in modo analogo ai leucociti.
Inoltre, insieme agli astrociti, proteggono i neuroni dallo stress ossidativo.
Supporto fisico del SNC:
Le strutture più esterne che proteggono il delicato tessuto nervoso sono la scatola cranica, che
circonda l’encefalo, e la colonna vertebrale, che circonda il midollo spinale. A proteggere il SNC,
tra il tessuto osseo e quello nervoso, vi sono 3 membrane dette meningi ed il liquido
cerebrospinale, che servono per attutire i traumi indotti da urti improvvisi.
Le meningi sono 3 membrane di connettivo che separano il tessuto molle del SNC dalla struttura
ossea che lo circonda e, dall’esterno verso l’interno sono: (1) la dura madre, costituita da tessuto
fibroso resistente e coriaceo (2) l’aracnoide, membrana a forma di ragno e (3) la pia madre,
costituita da tessuto più tenero e delicato. Mentre di norma non vi è alcuno spazio tra la dura
madre e l’aracnoide, tra l’aracnoide e la pia madre c’è uno spazio definito spazio subaracnoideo,
pieno di liquido cerebrospinale.
Il liquido cerebrospinale (LCS) è un liquido limpido che bagna il SNC con composizione simile al
plasma sanguigno. Non solo questo liquido bagna il SNC ma si insinua anche al suo interno
bagnando i neuroni e riempiendo delle cavità: nell’encefalo 4 cavità chiamate ventricoli; 2
ventricoli laterali a forma di “C” connessi al terzo ventricolo dal forame ventricolare. L’acquedotto
cerebrale connette il terzo ventricolo al quarto ventricolo, che è la continuazione del canale
centrale che percorre tutto il midollo spinale. Il rivestimento interno dei ventricoli e del canale
centrale è composto da particolari cellule gliali dette cellule ependimali. Il rivestimento dei
ventricoli è vascolarizzato e forma un tessuto detto plesso coroideo (pia madre + capillari + cellule
ependimali = plesso coroideo). Il liquido cerebrospinale funge da ammortizzante per prevenire
collisioni tra tessuto nervoso e tessuto osseo; inoltre contribuisce al mantenimento della
composizione ionica all’esterno delle cellule e fornisce i nutrienti alle cellule gliali e ai neuroni.
In condizioni di riposo, il SNC consuma il 20% dell’O2 e il 50% del glucosio! Il SNC è
particolarmente sensibile all’interruzione del flusso ematico poiché necessita di un continuo
apporto di glucosio tramite il sangue che perfonde l’encefalo. Inoltre, il tessuto nervoso è incapace
di utilizzare le reazioni anaerobiche e, pertanto, deve continuamente ricevere ossigeno e glucosio
per rimanere vitale. In condizioni di digiuno il SNC può anche utilizzare i corpi chetonici per
soddisfare i 2\3 del proprio fabbisogno energetico.
La barriera ematoencefalica:
Nel SNC, la maggior parte delle molecole idrofobiche diffonde attraverso le cellule endoteliali dei
capillari come avviene in altri tessuti. Tuttavia, la transcitosi (endocitosi seguita da esocitosi
attraverso l’endotelio) non avviene nelle cellule endoteliali del SNC ed il movimento delle
molecole idrofiliche attraverso le pareti dei capillari è limitato dalla barriera ematoencefalica: una
barriera fisica tra il sangue e l’LCS che rappresenta il liquido interstiziale del SNC. Gli astrociti
stimolano le cellule endoteliali a sviluppare e mantenere le giunzioni strette (tite junction) che non
permettono la formazione di pori capillari e quindi impediscono la diffusione delle molecole
idrofiliche! La barriera ematoencefalica protegge il SNC da sostanze tossiche eventualmente
presenti nel sangue. Poiché il trasporto di sostanze idrofiliche deve essere mediato da
trasportatori specifici, la barriera ematoencefalica è selettivamente permeabile, permettendo solo
ad alcuni composti di attraversarla! Gas e molecole idrofobiche passano poiché diffondono
facilmente nelle membrane (vedi ossigeno ed etanolo). Il glucosio è trasportato attraverso la
barriera ematoencefalica dai carrier GLUT1 (insulino – indipendenti); comunque sui neuroni del
centro ipotalamico per la sazietà sono presenti anche i recettori per l’insulina (ormone della
sazietà); anche sostanze quali la colina e l’acido acetilsalicilico hanno i loro carrier specifici.
Sostanza grigia e sostanza bianca:
Il SNC ha una disposizione molto ordinata dei neuroni. I corpi cellulari, i dendriti e i terminali
assonici formano agglomerati (cluster) che appaiono grigi (sostanza grigia o materia grigia),
mentre gli assoni si raggruppano a formare strutture che appaiono bianche (sostanza bianca o
materia bianca). La materia grigia costituisce il 40% del SNC ed è qui che si realizzano la
trasmissione e l’integrazione neuronale. La materia bianca costituisce il 60% del SNC ed è
costituita dagli assoni mielinici. Gli assoni mielinici sono specializzati nella trasmissione rapida delle
informazioni, che si propagano per lunghe distanze sotto forma di potenziali d’azione. Le cellule
gliali sono presenti sia nella sostanza bianca che in quella grigia. La superficie esterna dell’encefalo
è interamente ricoperta di sostanza grigia e prende il nome di corteccia cerebrale. La sostanza
bianca sta al di sotto di tale strato, ma al suo interno sono incastonate delle strutture di sostanza
grigia definite nuclei sottocorticali. Nel midollo spinale la situazione è invertita: la sostanza bianca
sta all’esterno e quella grigia all’interno! Nella sostanza bianca del SNC, gli assoni (fibre nervose)
sono organizzati in fasci che collegano una regione di sostanza grigia all’altra.
Il midollo spinale:
Il midollo spinale è una struttura di tessuto nervoso di forma cilindrica circondata da colonna
vertebrale. Dl midollo spinale si dipartono, ad intervalli regolari, 31 paia di nervi spinali: 8 paia di
nervi cervicali, 12 paia di nervi toracici, 5 paia di nervi lombari, 5 paia di nervi sacrali ed un
singolo nervo coccigeo. Il midollo spinale si estende solo per i 2\3 della lunghezza della colonna
vertebrale. Infatti, l’ultimo terzo non contiene midollo spinale, ma solo nervi che emergono da
essa! I fasci nervosi in questa regione ricordano la coda di un cavallo, perciò questo tratto è noto
come cauda equina. La sostanza grigia del midollo spinale è localizzata in un’area interna a forma
di farfalla, mentre la sostanza bianca è localizzata intorno alla grigia. La sostanza grigia del midollo
spinale comprende un corno dorsale, che comprende la metà dorsale (posteriore) della sostanza
grigia ed un corno ventrale, che comprende la metà ventrale (anteriore) in ogni lato. Le fibre
afferenti originano dalla periferia come recettori sensoriali e terminano nel cono dorsale, dove
formano sinapsi con interneuroni o direttamente con neuroni efferenti. I corpi cellulari dei neuroni
afferenti sono localizzati all’esterno del midollo spinale, raggruppati in gangli delle radici dorsali. I
corpi cellulari dei neuroni efferenti, invece, sono localizzai all’interno del midollo spinale, originano
nel corno ventrale e si dirigono verso la periferia dove formano sinapsi con le fibre muscolari
scheletriche. La sostanza bianca del midollo spinale è formata da fasci che forniscono una
comunicazione tra diversi livelli del midollo spinale o tra midollo ed encefalo: (1) fasci ascendenti,
trasmettono informazioni dal midollo all’encefalo e (2) fasci discendenti, trasmettono
informazioni dall’encefalo al midollo. Tutti questi fasci sono bilaterali, cioè sono presenti in
entrambi i lati del midollo spinale. Quando i neuroni afferenti sono attivati da stimoli che agiscono
su recettori sensoriali, i potenziali d’azione generati dal recettore viaggiano lungo una fibra
nervosa dal recettore al terminale assonico, posto nel corno dorsale del midollo spinale; il
terminale assonico rilascia il neurotrasmettitore che trasmette il segnale ad un interneurone o ad
un neurone efferente. Alcuni di questi interneuroni formano fasci ascendenti che trasmettono
informazioni all’encefalo, in modo da permettere la percezione degli stimoli! Invece, segnali
provenienti dall’encefalo viaggiano attraverso fasci discendenti verso i neuroni efferenti nel corno
ventrale: quando si muove un dito, il cervello trasmette comandi attraverso fibre discendenti ai
neuroni efferenti che controllano i muscoli scheletrici che determinano il movimento del dito!
L’encefalo:
Cervello:
Corteccia cerebrale:
Porzione più esterna del cervello e consta di uno strato sottile ed altamente convoluto di materia
grigia. Le circonvoluzioni originano solchi (invaginazioni) e giri (creste) che permettono all’ampio
volume di sostanza grigia di essere contenuto nella scatola cranica. La corteccia svolge le funzioni
più elevate ed evolute: percezione dell’ambiente circostante, formulazione del pensiero,
esperienza emozionale, ricordi ecc. Inoltre rappresenta l’area da cui partono tutti i comandi per
l’esecuzione dei movimenti.
Ciascun emisfero cerebrale è diviso in 4 regioni note come lobi: (1) lobo frontale, parte anteriore,
(2) lobo parietale, posteriore a quello frontale. (questi due lobi sono separati dal solco centrale).
(3) lobo occipitale, posteriore ed inferiore al lobo parietale e (4) lobo temporale, inferiore ai lobi
frontale e parietale. (il lobo temporale è separato dal lobo frontale dal solco laterale detto anche
scissura di Silvio). Aree specializzate: Il lobo occipitale è anche noto come corteccia visiva; nel lobo
temporale è situata la corteccia uditiva; nel lobo parietale è situata la corteccia somatosensoriale
primaria (dolore, tatto, temperatura, tensione muscolare, posizione degli arti ecc.). Il lobo frontale
contiene la corteccia motoria primaria (movimenti volontari) e aree implicate nel linguaggio,
progettazione di compiti motori e della personalità. Finora abbiamo discusso della corteccia come
se ciascuna area svolgesse una specifica funzione, ma non è cosi! Infatti esistono delle aree
associative, implicate nell’integrazione di differenti tipi di informazioni.
Lateralizzazione cerebrale:
La divisione del cervello nei due emisferi è funzionale, oltre che anatomica. La lateralizzazione
cerebrale non è assoluta: non in tutte le persone lo stesso emisfero è dominante per una
particolare funzione! L’emisfero destro controlla i movimenti del lato sinistro del corpo e
l’emisfero sinistro controlla i movimenti del lato destro del corpo. Nel 90% della popolazione
l’emisfero sinistro è dominante per i movimenti della mano e pertanto il 90% della popolazione è
destrorsa! Il 95% della popolazione ha nell’emisfero sinistro la dominanza del linguaggio.
L’emisfero destro è coinvolto nell’attività motoria del lato sinistro, nell’orientamento spaziale,
nella creatività, nell’intuizione e nella sensibilità musicale. L’emisfero sinistro invece è coinvolto
nell’attività motoria del lato destro del corpo, nei processi logici ed analitici, nelle abilità
matematiche e nel linguaggio.
Nuclei sottocorticali:
Regioni di sostanza grigia localizzate all’interno del cervello. Tra i più importanti ricordiamo i gangli
della base (o nuclei della base) che includono il nucleo caudato, il globo pallido ed il putamen. I
gangli della base sono delle strutture importanti per il controllo dei movimenti.
Diencefalo:
Il diencefalo è localizzato al di sotto del cervello e comprende due strutture mediane:
1) Talamo: si tratta di un aggregato di nuclei sottocorticali localizzato nel diencefalo. La
maggior parte dei segnali sensoriali è filtrata e modificata nel talamo prima di essere
trasmessa alla corteccia cerebrale. Il talamo svolge anche un ruolo nel controllo dei
movimenti.
2) Ipotalamo: localizzato inferiormente al talamo ed è importante nella regolazione
dell’omeostasi. Rappresenta il principale centro di collegamento tra i due sistemi di
comunicazione del corpo: endocrino e nervoso. In risposta a segnali nervosi o ormonali,
l’ipotalamo rilascia ormoni che regolano il rilascio di altri ormoni dall’adenoipofisi (ipofisi
anteriore), oppure controlla il rilascio di ormoni dalla neuroipofisi (ipofisi posteriore) inclusi
l’ADH e l’ossitocina. L’ipotalamo regola il comportamento alimentare (sazietà, fame, sete,)
e, essendo parte del sistema limbico, influenza le emozioni ed i comportamenti che da
esse dipendono. Le emozioni possono influenzare funzioni cardiovascolari, respiratorie e
digestive attraverso segnali ipotalamici diretti ai centri di controllo nel tronco encefalico.
Infine, l’ipotalamo regola la temperatura corporea coinvolgendo il sistema nervoso
autonomo.
Sistema limbico:
Formato da un insieme di regioni corticali, nuclei sottocorticali e tratti del prosencefalo
strettamente associati fra loro, coinvolti nelle emozioni, nella memoria e nella motivazione. Esso
include: l’amigdala, l’ippocampo, il fornice ed i giri (cingolato e paraippocampale) della corteccia
cerebrale, alcune parti dei nuclei della base e della corteccia prefrontale, del talamo e
dell’ipotalamo. Una delle regioni più antiche dell’encefalo è l’amigdala, coinvolta nelle funzioni
relative all’aggressività e alla paura. L’ippocampo è coinvolto nell’apprendimento e nella memoria.
Funzioni integrate del SNC:
I riflessi:
Il riflesso rappresenta una risposta automatica ad uno stimolo sensoriale. I riflessi possono essere
suddivisi in 4 gruppi, ciascuno dei quali contiene due classi:
1) Riflessi spinali o cranici: il livello di integrazione si realizza nel midollo spinale; in quelli
cranici è richiesto un coinvolgimento dell’encefalo.
2) Riflessi somatici o autonomi (neurovegetativi): in relazione alla via nervosa efferente. I
riflessi somatici coinvolgono segnali inviati attraverso i neuroni somatici ai muscoli
scheletrici; i riflessi del sistema nervoso neurovegetativo (autonomi) si realizzano tramite
segnali inviati attraverso i neuroni vegetativi alle cellule muscolari lisce, a quelle cardiache
o alle ghiandole.
3) Riflessi innati o condizionati (appresi): tutte le persone normali hanno riflessi innati, cioè
dalla nascita. I riflessi condizionati cambiano invece da persona a persona, a seconda delle
diverse esperienze.
4) Riflessi monosinaptici o polisinaptici: nei monosinaptici la via nervosa consta di due
neuroni ed una sinapsi; in quelli polisinaptici ci sono più di due neuroni e più di una sinapsi.
La via riflessa più semplice si chiama arco riflesso e consta di 5 componenti: (1) un recettore
sensoriale, (2) un neurone afferente, (3) un centro integratore, (4) un neurone efferente e (5) un
organo effettore. Il recettore viene stimolato e l’informazione viene tramessa al SNC (centro di
integrazione) dal neurone afferente. Il SNC, tramite un neurone efferente, trasmette lo stimolo
all’organo effettore che produrrà una risposta specifica.
Riflesso da stiramento:
Il riflesso da stiramento è l’unico riflesso monosinaptico presente nell’organismo umano. Il
recettore coinvolto è il fuso neuromuscolare, presente nei muscoli scheletrici, che risponde agli
stiramenti muscolari. Nel riflesso patellare, colpendo il tendine rotuleo al disotto del ginocchio, si
determina uno stiramento del muscolo quadricipite femorale che eccita i fusi neuromuscolari in
esso contenuti, generando potenziali d’azione nei neuroni afferenti al midollo spinale (centro di
integrazione). I neuroni afferenti nel midollo spinale stabiliscono connessioni eccitatorie dirette
con neuroni efferenti che innervano il quadricipite femorale, determinandone la contrazione e
producendo l’estensione della gamba.
Riflesso flessorio (di allontanamento) e riflesso flessorio crociato:
Quando un arto è sottoposto ad uno stimolo dolorifico, vi è una retrazione dell’arto interessato
attraverso una risposta automatica detta riflesso flessorio (di allontanamento). Quando si pesta
un chiodo, lo stimolo dolorifico è percepito in quanto attiva recettori specifici detti nocicettori,
che rispondono agli stimoli dannosi per i tessuti. I neuroni afferenti dai nocicettori trasmettono
l’informazione al midollo spinale, dove stabiliscono sinapsi eccitatorie con interneuroni che
eccitano altri neuroni efferenti che innervano i muscoli scheletrici; la contrazione quindi provoca
l’allontanamento dell’arto!
Quando uno stimolo dolorifico evoca il riflesso flessorio (di allontanamento), esso evoca un
secondo riflesso detto riflesso estensorio crociato, che permette di mantenere la posizione
ortostatica. I neuroni afferenti dai nocicettori inviano comandi, attraverso interneuroni, ai neuroni
efferenti che controllano i muscoli dell’arto controlaterale. Questi segnali fanno contrarre i
muscoli estensori ed il rilascio dei flessori nell’arto controlaterale, in modo tale che quando un
arto si flette in seguito ad uno stimolo doloroso, l’arto controlaterale si estende per mantenere la
stazione eretta.
Riflesso pupillare alla luce:
Il riflesso pupillare alla luce è un riflesso cranico autonomo nella quale lo stimolo è la luce che
colpisce l’occhio, attivando fotorecettori retinici e quindi i neuroni che trasmettono segnali ad
aree del mesencefalo nel tronco encefalico. Queste aree funzionano da centri integrativi e qui
vengono attivati neuroni efferenti autonomi che innervano le cellule muscolari lisce che
circondano le due pupille. Si determina così una riduzione del diametro delle pupille di entrambi
gli occhi (anche se era stato illuminato un occhio solo!).
Il controllo dei movimenti volontari:
La corretta esecuzione di un movimento volontario richiede l’integrazione di 4 componenti: (1)
ideazione del movimento (2) realizzazione del programma motorio per l’esecuzione del
movimento, (3) esecuzione del movimento coinvolgendo i muscoli giusti al momento giusto e (4)
presenza di meccanismi di controllo a feedback costanti per assicurarsi che il movimento sia svolto
in maniera corretta ed efficacie.
L’esecuzione di comandi motori richiede l’attivazione di neuroni efferenti che innervano i muscoli
scheletrici. Questi neuroni efferenti sono nel corno ventrale del midollo spinale e sono chiamati
motoneuroni. I motoneuroni sono gli unici neuroni che controllano la contrazione dei muscoli
scheletrici! Prenderemo ora in esame due vie discendenti importanti nel controllo dei movimenti
volontari:
1) Tratti piramidali: sono vie dirette dalla corteccia motoria primaria al midollo spinale. Gli
assoni dei neuroni che danno origine a questi tratti terminano nel corno ventrale del
midollo e sono chiamati motoneuroni superiori. I tratti piramidali sono coinvolti nel
controllo dei movimenti fini e precisi delle estremità distali degli arti (avambracci, mani e
dita).
2) Tratti extrapiramidali: includono tute le vie motorie al di fuori del sistema piramidale.
Queste vie formano connessioni indirette tra encefalo e midollo spinale; quindi i neuroni
dei tratti extrapiramidali non formano sinapsi dirette con i motoneuroni! Le influenze dei
tratti extrapiramidali si esercitano sui muscoli del tronco, del collo e delle porzioni
prossimali agli arti (postura ed equilibrio).
Il ruolo del cervelletto nella coordinazione motoria:
Il cervelletto agisce come un “sistema di guida” per i movimenti. Il cervelletto riceve informazioni
dalla corteccia riguardo ai movimenti programmati e viene costantemente informato su come i
movimenti vengono realmente svolti. Il cervelletto riceve afferenze dalle aree corticali
sensomotorie della corteccia e informazioni sensoriali da tutte le aree del corpo. Esso, a sua volta
invia segnali alla corteccia attraverso il talamo, in modo tale da poter modificare le sue efferenze
al fine di compiere adeguatamente il compito motorio programmato. Una persona con un danno
cerebrale mantiene la capacità di compiere movimenti volontari, ma questi risultano imprecisi e
mal svolti. Altre caratteristiche del danno cerebrale sono il tremore intenzionale e i movimenti
oscillanti del corpo.
Il linguaggio:
Due aree corticali associative, normalmente localizzate nell’emisfero sinistro, sono
completamente deputate al linguaggio:
1) Area di Wernicke: localizzata nella parte posteriore e superiore del lobo temporale e nel
lobo parietale inferiore. Area coinvolta nella comprensione del linguaggio.
2) Area di Broca: localizzata nel lobo frontale. Area coinvolta nella capacita di parlare e
scrivere.
1) SWS (sonno a onde lente): una persona può pensare e sognare ma i pensieri sono logici e
con minor contenuto emozionale. I sogni durante l’SWS sono poco dettagliati e spesso
comprendono sensazioni e vaghe immagini; in tale periodo di sonno si può russare.
2) REM: i muscoli posturali perdono tono, mentre i muscoli facciali e degli occhi diventano
attivi in modo fasico ed il russare si arresta. Nel sonno REM c’è un aumento dell’attività
encefalica tranne che nel sistema limbico! I sogni durante questa fase sono più elaborati ed
intensi, sono generalmente molto articolati e si possono avere gli incubi. L’anestesia ed il
coma, a differenza del sonno, rappresentano uno stato di repressa attività del SNC.
Il corpo umano alterna periodi di veglia a periodi di sonno, completando il ciclo sonno-veglia in 24
ore. Altre funzioni dell’organismo, come la temperatura corporea, variano col ciclo sonno-veglia.
Certe aree dell’encefalo sono implicate nella regolazione del sonno e della veglia. Una di queste
aree è la formazione reticolare del tronco encefalico, zona critica nel mantenere lo stato di veglia.
Neurotrasmettitori associati allo stato di veglia sono l’adrenalina, la dopamina e l’acetilcolina. In
un’altra area coinvolta nello stato di veglia, l’ipotalamo, i neurotrasmettitori comprendono
l’istamina e l’orexina.
Emozioni e motivazione:
Le emozioni coinvolgono molte aree dell’encefalo tar cui la corteccia, il sistema limbico e
l’ipotalamo. Le “risposte emozionali” comprendono risposte del sistema nervoso autonomo, del
sistema motorio e della secrezione ormonale. L’amigdala gioca un ruolo fondamentale nella paura
e nell’ansia; l’ipotalamo è associato con i sentimenti di rabbia e aggressività. L’emisfero destro e
quello sinistro hanno ruoli differenti per quanto riguarda le emozioni. L’emisfero sinistro è
associato alle emozioni positive, mentre quello destro alle emozioni negative. Strettamente
associata alle emozioni è la motivazione, l’impulso che guida le nostre azioni. Il piacere è
un’emozione che da forti motivazioni: nell’encefalo sono presenti i centri del piacere che possono
essere attivati da stimoli differenti; per esempio, l’euforia data dall’uso di droghe o alcol è dovuta
all’azione di questi sui centri del piacere, attivando il sistema dopaminergico.
Apprendimento e memoria:
1) Apprendimento: acquisizione di nuove informazioni ed esperienze. L’apprendimento
associativo richiede la capacità di collegare due o più stimoli. L’apprendimento non
associativo si realizza in risposta a stimoli ripetuti ed include i processi di abitudine e
sensibilizzazione.
2) Memoria: consolidamento di tali informazioni, esperienze o pensieri. La memoria
procedurale è la memoria delle capacità motorie e dei comportamenti appresi e
comprende l’utilizzo del cervelletto, dei nuclei della base e del ponte. La memoria
dichiarativa rappresenta la memoria delle esperienze apprese ed è più associata all’uso
comune del termine “memoria”. Questo tipo di memoria coinvolge l’ippocampo. La
memoria si realizza a due livelli: (1) memoria a breve termine, immagazzinamento
temporaneo di un concetto per pochi secondi o poche ore; (2) memoria a lungo termine,
che può durare anni o per l’intera vita. La memoria è un processo complesso che coinvolge
quasi tutte le aree encefaliche. Il lobo frontale ha un ruolo cruciale nella memoria a breve
termine, il lobo temporale (incluso l’ippocampo) è necessario per quella a lungo termine.
Plasticità del sistema nervoso:
Il SN possiede la capacità’ di modificare alcuni dei suoi aspetti anatomici e funzionali in risposta a
modificazioni dell’intensità dell’attività neuronale. Recenti studi dimostrano che il nostro encefalo
può sviluppare nuovi neuroni in alcune aree coinvolte nei processi mnemonici. La ripetizione di
stimoli di tipo eccitatorio attiva con maggiore probabilità potenziali d’azione nella cellula
postsinaptica tramite un meccanismo definito potenziamento a lungo termine (LTP). L’LTP è
ritenuto un fenomeno importante per la memoria a lungo termine, in quanto fornisce il
meccanismo con il quale un’attività ripetitiva in una catena neuronale può condurre ad una
maggiore memorizzazione di un ricordo una volta che l’attività sinaptica è cessata!
CAPITOLO 10
SISTEMI SENSORIALI
Le vie nervose specifiche che trasmettono informazioni pertinenti ad una particolare modalità
sono definite linee marcate. L’attivazione di una via specifica determina la percezione della
modalità associata. Le vie per differenti modalità terminano in diverse aree sensoriali della
corteccia cerebrale. Un’unità sensoriale comprende un singolo neurone afferente e tutti i recettori
ad esso associati, che sono tutti dello stesso tipo e la loro attivazione genera un potenziale
d’azione nel neurone afferente. L’area in cui uno stimolo produce una riposta (eccitatoria o
inibitoria) nel neurone afferente è definita campo recettivo di quel neurone. Il neurone afferente
che trasmette l’informazione dalla periferia al SNC è definito neurone di primo ordine; un singolo
neurone di primo ordine può comunicare con molti interneuroni causando una divergenza del
segnale nel SNC. Inoltre, gli interneuroni possono ricevere impulsi convergenti da molti neuroni di
primo ordine e possono trasmettere informazioni al talamo, che rappresenta la regione principale
di collegamento per le informazioni sensoriali; questi interneuroni vengono definiti neuroni di
secondo ordine. Nel talamo i neuroni di secondo ordine formano sinapsi con neuroni di terzo
ordine, che trasmettono informazioni alla corteccia cerebrale, dove si realizza la percezione della
sensazione.
Il tipo di stimolo è codificato dal recettore e dalla via che viene attivata quando lo stimolo è
applicato al recettore. Per esempio, le onde luminose attivano i fotorecettori che comunicano con
le vie della corteccia visiva; se un colpo di vento stimola l’occhio, lo stimolo verrebbe comunque
percepito come luce, in quanto sono state attivate le vie visive! Spesso il cervello deve integrare
più informazioni provenienti da sistemi sensoriali. Per esempio, percepiamo la nostra cute bagnata
pur non essendoci recettori specifici per tale funzione; infatti ciò si verifica quando termocettori e
recettori tattili trasmettono una combinazione di segnali che vengono interpretati dal cervello
come sensazione di “umido”: indossando un guanto in lattice sotto l’acqua ci dà la sensazione che
la mano si stia bagnando; se esistessero recettori per l’umidità allora lo stimolo non dovrebbe
avvenire!
L’intensità dello stimolo è codificata dalla frequenza dei potenziali d’azione (codice di frequenza) e
dal numero di recettori attivati (codice di popolazione). Nel codice di frequenza uno stimolo
intenso produce un aumento della frequenza di scarica dei potenziali d’azione. Nel codice di
popolazione uno stimolo più intenso attiva o recluta un maggior numero di recettori. Uno stimolo
può anche reclutare recettori associati a differenti neuroni afferenti cosicché più neuroni afferenti
trasmettano segnali al SNC in relazione alla presenza dello stimolo. In entrambi i casi al SNC viene
trasmessa una maggior frequenza di potenziali d’azione in risposta allo stimolo, indicando che lo
stimolo è più forte!
Quando uno stimolo è applicato ad un determinato campo recettivo, esso attiva recettori associati
ad un neurone afferente; questo concetto è illustrato molto bene quando ci si riferisce ai recettori
della cute: la precisione con la quale è percepita la localizzazione dello stimolo è detta acuità.
Nelle sensazioni associate ai recettori della cute, l’acuità dipende dalle dimensioni e dal numero di
campi recettivi, dal loro sovrapporsi e dal fenomeno dell’inibizione laterale. La localizzazione dello
stimolo è migliore in quelle regioni innervate da neuroni con campi recettivi piccoli (infatti
informazioni provenienti da un singolo neurone afferente non forniscono la precisa localizzazione
di uno stimolo, in quanto questo potrebbe essere posizionato in un punto qualsiasi del campo
recettivo). La localizzazione è notevolmente migliorata dalla sovrapposizione dei campi recettivi di
diversi neuroni afferenti. Tale sovrapposizione migliora la localizzazione dello stimolo tramite due
meccanismi: (1) attivazione di entrambi i neuroni afferenti da parte di qualsiasi stimolo che cada
nella regione di sovrapposizione tra i loro campi recettivi e (2) inibizione laterale.
Nell’inibizione laterale, uno stimolo che eccita fortemente i recettori in un’area cutanea inibisce
l’attività nelle vie afferenti dei recettori limitrofi. L’inibizione laterale incrementa l’acuità, in
quanto migliora il contrasto dei segnali nel SN. Essa permette la trasmissione di segnali intensi in
alcuni neuroni, sopprimendo la trasmissione di segnali più deboli provenienti dai neuroni limitrofi.
Una misura dell’acuità tattile è data dalla discriminazione di due punti, vale a dire la capacità di
una persona di percepire due stimoli pressori applicati sulla cute in due punti separati
spazialmente. La distanza minima alla quale i due punti vengono ancora percepiti distintamente è
definita soglia di discriminazione di due punti. Se tale distanza viene ridotta, le due stimolazioni
pressorie verranno percepite come un singolo stimolo. Più piccoli sono i campi recettivi, maggiore
sarà la capacità di discriminare due punti distinti e maggiore sarà l’acuità tattile. Nelle labbra, che
sono le aree più sensibili del corpo, è possibile la discriminazione di due stimoli tattili distanti tra
loro appena un millimetro! Viceversa, aree cutanee della schiena, della coscia e dell’avambraccio
non sono molto sensibili e la stimolazione cutanea di queste aree in punti distanti anche 50
millimetri viene percepita come un singolo stimolo!
Sistema somatosensoriale:
Il sistema somatosensoriale è implicato nella percezione di stimoli relativi a pressione,
temperatura, dolore e postura. Tra tutti i sistemi sensoriali, il sistema somatosensoriale ha il
maggior numero di recettori!
Meccanocettori cutanei:
Alcuni meccanocettori sono situati nello strato più esterno della cute, vicino all’epidermide, e
comprendono i dischi di Merkel e i corpuscoli di Meissner. Altri recettori situati più in profondità,
nel derma, comprendono i recettori dei follicoli piliferi e le terminazioni del Ruffini. I
meccanocettori a lento adattamento rispondono a stimoli pressori protratti nel tempo, mentre
quelli a rapido adattamento rispondono meglio alle vibrazioni (stimoli che cambiano
continuamente).
Termocettori cutanei:
I termocettori cutanei rispondono a variazioni della temperatura delle proprie terminazioni e dei
tessuti che le circondano.
1) Recettori per il caldo: terminazioni che rispondono a temperature tra i 30 e i 45 ‘C.
2) Recettori per il freddo: terminazioni che rispondono a temperature tra i 35 e i 20’C. Questi
recettori rispondono anche a temperature superiori a 45’C, uno stimolo dolorosamente
caldo: la percezione del freddo a queste temperature è definita freddo paradosso.
I termocettori sono terminazioni nervose libere dotate di canali ionici sensibili alla temperatura,
detti TRP e ne esistono di 4 tipi che rispondono al caldo (TRPV 1 – 4) e di 2 tipi che rispondono al
freddo (TRPM8 e TRPA1). Sia i recettori per il caldo che per il freddo sono a rapido adattamento e
rispondono meglio a rapide variazioni di temperatura.
Nocicettori cutanei:
I nocicettori sono recettori sensoriali responsabili della trasduzione di stimoli nocivi percepiti dal
cervello come dolore.
1) Nocicettori meccanici: rispondono a stimoli meccanici.
2) Nocicettori termici: rispondono a temperature al di sopra dei 44’C.
3) Nocicettori polimodali: rispondono a molti stimoli, compresi quelli meccanici e quelli
termici e a sostanze chimiche rilasciate nei tessuti danneggiati (istamina, bradichinina e
prostaglandine.
Vie somatosensoriali:
Vi sono due vie principali che trasmettono informazioni somatosensoriali dai recettori periferici al
SNC: (1) via delle colonne dorsali – lenisco mediale (trasmette informazioni da meccanocettori e
propriocettori al talamo) e (2) tratto spinotalamico (trasmette informazioni da termocettori e da
nocicettori al talamo). Queste due vie afferenti, penetrate nel midollo spinale, incrociano prima di
raggiungere il talamo: le informazioni somatosensoriali provenienti dal lato destro del corpo
raggiungono la corteccia somatosensoriale di sinistra e viceversa!
Nocicezione: la percezione del dolore
Il dolore costituisce un’importante sensazione, poiché fornisce informazioni che ci insegnano ad
evitare fattori che possono danneggiare i tessuti.
Risposta al dolore:
L’attivazione dei nocicettori, oltre a sensazione di dolore, porta anche a: (1) risposte vegetative,
come incremento della pressione arteriosa e frequenza cardiaca, aumento di livelli ematici di
adrenalina e glucosio, dilatazione pupillare o sudorazione; (2) risposte emozionali, come paura e
ansia; (3) riflesso di allontanamento dallo stimolo.
Esistono due tipi di dolore: (1) rapido, percepito come una netta sensazione di puntura facilmente
localizzabile, trasmesso dalle fibre A-delta; (2) lento, percepito in modo poco localizzato dando
origine ad una sensazione che insorge lentamente, trasmesso dalle fibre C. Le fibre A-delta o C
formano sinapsi con neuroni di secondo ordine nel corno dorsale del midollo spinale. La
trasmissione sinaptica del dolore è permessa dal neurotrasmettitore sostanza P. La sostanza P
viene rilasciata dai neuroni afferenti primari e si lega ai recettori sui neuroni di secondo ordine che
ascendono verso il talamo mediante il tratto spinotalamico. Le afferenze nocicettive attivano
anche vie nervose ascendenti coinvolte nell’analisi della componente affettiva (emozionale) del
dolore. Tali vie ascendono alla formazione reticolare del tronco encefalico, all’ipotalamo e al
sistema limbico.
La sensazione di dolore non è limitata alla superficie corporea, infatti i visceri possono essere
soggetti a danni tissutali, e in tal caso appositi nocicettori viscerali trasmettono tali informazioni.
L’attivazione dei recettori viscerali dà origine ad un dolore detto dolore riferito. Per esempio,
nell’infarto del miocardio di solito si riferisce dolore in sede toracica sinistra, all’avambraccio e alla
spalla ma non al cuore! Il dolore riferito è dovuto al fatto che i neuroni di secondo ordine che
ricevono impulsi da afferenze viscerali ricevono anche afferenze somatiche.
I segnali riguardanti informazioni sensoriali possono essere modulati durante la loro trasmissione
lungo le vie sensoriali, attraverso la facilitazione o l’attenuazione di segnali che possono portare a
cambiamenti nella percezione finale dell’informazione. I segnali sensoriali possono essere
modulati in qualsiasi punto della via in cui ci sia una sinapsi! Secondo la teoria del controllo a
cancello, la percezione del dolore può essere inibita a livello spinale attraverso afferenze
somatiche non dolorifiche. Tale teoria postula l’esistenza di un’inibizione sinaptica ad opera di
interneuroni spinali sui neuroni di secondo ordine che trasportano le informazioni dolorifiche.
Quando questi interneuroni sono attivi, la trasmissione del segnale dolorifico è inibita e la
percezione del dolore diminuisce. Quando un’informazione proveniente da un nocicettore è
trasmessa al midollo spinale dalle fibre C, collaterali di tali fibre inibiscono la carica degli
interneuroni inibitori, permettendo la trasmissione del segnale ai neuroni di secondo ordine. La
teoria del controllo a cancello spiega perché lo sfregamento dell’area cutanea dolente determini
una diminuzione della percezione dolorifica! Anche l’encefalo è in grado di bloccare il dolore o
produrre analgesia, attraverso vie discendenti che fanno parte del sistema algesico endogeno di
blocco del dolore. Molte aree encefaliche sono coinvolte nell’attivazione del sistema analgesico
endogeno. Situazioni di stress possono attivare un’area del mesencefalo chiamata sostanza grigia
periacqueduttale, che è una zona collegata ad un’area del bulbo detta nucleo del rafe magno e
alla formazione reticolare laterale, che si estende per l’intera lunghezza del tronco encefalico. La
sostanza P viene rilasciata da afferenze nocicettive che comunicano con neuroni di secondo
ordine. Gli interneuroni inibitori del midollo formano sinapsi sul corpo cellulare e sui dendriti dei
neuroni di secondo ordine ed anche sui terminali assonici dei nocicettori. Tali interneuroni inibitori
rilasciano il neurotrasmettitore oppioide encefalina, che si lega ai recettori per gli oppioidi sui
neuroni di secondo ordine, ove induce potenziali postsinaptici inibitori. L’encefalina si lega anche a
recettori per gli oppioidi posti sul terminale assonico del neurone afferente nocicettivo, inibendo il
rilascio di sostanza P! La combinazione di questi due effetti riduce la trasmissione di segnali dal
neurone afferente al neurone di secondo ordine, diminuendo la trasmissione del dolore
all’encefalo!
La vista:
Anatomia dell’occhio:
L’occhio può essere diviso in tre strati concentrici. Lo strato più esterno consta della sclera e della
cornea. La sclera, un tessuto connettivo consistente, forma la parte “bianca” dell’occhio. Nella
parte anteriore la sclera dà origine alla cornea, una struttura trasparente che permette alla luce di
penetrare nell’occhio. Lo strato medio dell’occhio è costituito dalla coroide, dal corpo ciliare e
dall’iride. La coroide è uno strato di tessuto altamente pigmentato posto al di sotto della sclera. La
coroide, che include i fotorecettori, contiene anche vasi ematici che nutrono lo strato profondo
dell’occhio. Il corpo ciliare contiene i muscoli ciliari, che sono attaccati ad una lente detta
cristallino attraverso sottili tendini di tessuto connettivo chiamati fibre zonulari. Il cristallino
focalizza la luce sulla retina, dove l’informazione visiva viene trasdotta. I muscoli ciliari cambiano la
forma del cristallino, permettendo la focalizzazione dei raggi luminosi. L’iride, formata da due
starti di cellule pigmentate, è localizzata davanti al cristallino e determina il colore degli occhi. La
pupilla è un foro posizionato al centro dell’iride che permette alla luce di penetrare nella parte
posteriore dell’occhio. L’iride regola il diametro della pupilla, variando la quantità di luce che
raggiunge la parte posteriore dell’occhio. Lo strato più interno dell’occhio è la retina che è formata
da tessuto nervoso contenente i fotorecettori. I fotorecettori sono di due tipi: (1) coni,
percepiscono luce intensa e (2) bastoncelli, percepiscono luce diffusa. La retina funziona come
fototrasduttore, trasformando l’energia luminosa in energia elettrica. Nella parte esterna della
retina e attaccato alla coroide si trova l’epitelio pigmentato della retina. Questa struttura
contiene molta melanina, che assorbe la luce che arriva alla parte posteriore dell’occhio,
impedendo così la riflessione attraverso la retina, che causerebbe distorsione dell’immagine. Due
aree della retina sono molto importanti. Una è la fovea, punto centrale della retina, dove si dirige
la luce proveniente dal centro del campo visivo. L’altra è il disco ottico, la porzione di retina
attraversata dal nervo ottico e dai vasi che irrorano l’occhio. Poiché questa zona è sprovvista di
recettori, essa costituisce un punto cieco della retina, dove la luce non può generare impulsi
elettrici e quindi non può essere percepita! Il cristallino e il corpo ciliare suddividono l’occhio in
due camere piene di liquido. Davanti al cristallino ed al corpo ciliare si trova il segmento anteriore,
diviso in camera anteriore (tra la cornea e l’iride) e camera posteriore (tra iride e cristallino). Il
segmento anteriore contiene un liquido definito umor acqueo che fornisce nutrimento alla cornea
e al cristallino. La cornea ed il cristallino sono strutture trasparenti che vengono facilmente
attraversate dalla luce. Posteriormente al cristallino e al corpo ciliare vi è una camera trasparente
(camera vitrea o segmento posteriore) contenente una sostanza gelatinosa, definita umor vitreo,
che contribuisce a mantenere la struttura sferica dell’occhio.
Natura e comportamento delle onde luminose:
La luce è una forma di energia costituita da onde elettromagnetiche. La luce visibile è parte dello
spettro elettromagnetico ed è costituita da lunghezze d’onda comprese tra 350 nm e 750 nm; i
colori corrispondono a diverse lunghezza d’onda all’interno di questo ambito. La riflessione è un
fenomeno per il quale la luce urta e rimbalza su una superficie; la riflessione è importante nella
fisiologia della visione, in quanto molte delle onde che percepiamo sono riflesse dagli oggetti che
osserviamo. Possiamo percepire un oggetto di colore verde poiché esso riflette una lunghezza
d’onda corrispondente al verde (circa 530 nm), mentre assorbe tutte le altre lunghezze d’onda. La
rifrazione è il fenomeno per il quale la luce cambia direzione nel passare attraverso materiali
trasparenti di densità differenti. Tale proprietà è importante nella visione in quanto, nel passaggio
dagli oggetti ai fotorecettori, la luce deve passare attraverso diverse sostanze, quali l’aria, la
cornea, il cristallino e gli umori acqueo e vitreo. La rifrazione è alla base della focalizzazione delle
onde luminose sulla retina. Le lenti convesse fanno convergere i raggi luminosi in punto definito
punto focale. Sia la cornea che il cristallino hanno superfici convesse, che funzionano facendo
convergere le onde luminose che penetrano nell’occhio a livello retinico; in tal modo, l’immagine
che si forma nella retina è a fuoco. Sebbene la cornea abbia un potere di rifrazione maggiore
rispetto al cristallino, a causa del maggiore raggio di curvatura, il potere di rifrazione del cristallino
può essere variato per permettere la focalizzazione della luce sulla retina. Per vedere oggetti
molto da vicino, il cristallino deve diventare più convesso, per incrementare il potere di rifrazione
e permettere all’immagine di essere focalizzata sulla retina. La capacità’ del cristallino di
modificare il suo potere di rifrazione nella visione da vicino e da lontano è definita
accomodazione.
Accomodazione:
Per poter osservare chiaramente un oggetto, la luce riflessa da ciascuno dei suoi punti deve
convergere in un unico punto della retina. Quando si osserva un oggetto da lontano, i raggi
luminosi che attraversano l’occhio sono quasi paralleli tra loro ed il potere di rifrazione necessario
per focalizzare le immagini sulla retina deve essere basso. Invece, i raggi luminosi provenienti da
oggetti molto vicini divergono quando raggiungono l’occhio; in tal caso, è necessario un cristallino
molto convesso per aumentare il potere di rifrazione, in modo tale da compensare la divergenza
dei raggi luminosi e focalizzarli sulla retina. La forma del cristallino è controllata dal muscolo
ciliare. Maggiore è la contrazione di un muscolo ciliare e minore sarà il diametro interno del
cerchio, cui corrisponderà una minore tensione delle fibre zonulari e una maggiore curvatura del
cristallino. Per ottenere l’accomodazione per oggetti molto vicini, il muscolo ciliare si contrae,
riducendo il diametro del cerchio e riducendo la tensione delle fibre zonulari. L’accomodazione è
sotto il controllo del sistema nervoso parasimpatico, che attiva la contrazione del muscolo ciliare
per la visione da vicino. In assenza di attività parasimpatica, il muscolo ciliare si rilascia.
Difetti della vista:
Se le onde luminose non sono adeguatamente focalizzate sulla retina, la visione è distorta. I difetti
visivi più comuni sono: la miopia (o vista corta) e l’ipermetropia (o vista lunga). Nella emmetropia
(o visione normale), una persona vede bene sia oggetti lontani che vicini, in quanto l’occhio può
focalizzare la luce sulla retina sia se essa proviene da sorgenti luminose distanti, senza
accomodazione, sia da sorgenti luminose vicine, mediante accomodazione. Nella miopia e
nell’ipermetropia, si verifica una discrepanza tra la curvatura del cristallino (o della cornea) e la
lunghezza del bulbo oculare (quindi la distanza dalla retina). Il difetto può essere attribuito al
cristallino, alla cornea o alle dimensioni del bulbo oculare. Nella miopia, una persona può vedere
chiaramente oggetti vicini ma non quelli lontani, in quanto il cristallino o la cornea rifrangono in
maniera eccessiva i raggi luminosi; per tale motivo, gli oggetti vicini all’occhio possono essere
messi a fuoco senza accomodazione, ma quelli posti a distanza vengono focalizzati davanti alla
retina, con conseguente distorsione dell’immagine! Per correggere la miopia bisogna posizionare
delle lenti concave davanti agli occhi, in modo tale che le onde luminose divergano prima di
raggiungere il bulbo oculare. Nella ipermetropia, il cristallino o la cornea sono inadeguati in
relazione alla lunghezza del bulbo oculare; pertanto, gli oggetti a distanza possono essere
focalizzati sulla retina solo mediante accomodazione, il che significa che il cristallino non riesce ad
ottimizzare l’accomodazione in maniera sufficiente nella visione da vicino. La luce che viene da un
oggetto vicino all’occhio viene così messa a fuoco oltre la retina, generando una distorsione
dell’immagine. In tal caso, per correggere l’ipermetropia, bisogna applicare delle lenti convesse,
che permettono ai raggi luminosi di convergere prima di raggiungere l’occhio. Così, l’occhio può
osservare oggetti posizionati a distanza senza accomodazione, mentre il cristallino è capace di
accomodare per visualizzare un oggetto posizionato vicino all’occhio. Nell’astigmatismo, le
irregolarità della superficie della cornea o del cristallino alterano la direzione delle onde luminose.
La presbiopia è un indurimento del cristallino che si verifica con il passare degli anni; questo causa
una perdita di elasticità del cristallino che riduce la sua capacità di diventare sferico e rende
difficile l’accomodazione per la visione da vicino. La cataratta è un’alterazione clinica correlata
all’età, che provoca un’opacizzazione del cristallino e ne riduce la trasparenza. Nel glaucoma, un
aumentato volume dell’umor acqueo determina un incremento della pressione nella cavità
anteriore del bulbo oculare, alterando la forma della cornea e modificando la posizione del
cristallino. Il cambiamento di posizione del cristallino può trasmettere un’aumentata pressione al
corpo vitreo, comprimendo i vasi ematici che irrorano la retina e generando una cecità
permanente.
Regolazione della quantità di luce che entra nell’occhio:
Gli occhi sono capaci di regolare il quantitativo di luce che vi entra variando il diametro delle
pupille. La dimensione della pupilla è controllata dall’iride, che è costituita da due strati di cellule
muscolari lisce che circondano la pupilla. Si tratta di uno strato interno di muscolatura circolare,
detto muscolo costrittore, e uno strato esterno di muscolatura radiale, detto muscolo dilatatore. I
muscoli circolari formano anelli concentrici attorno alla pupilla e, quando si contraggono, il
diametro della pupilla diminuisce, determinando una costrizione pupillare. I muscoli radiali sono
organizzati a raggio e, quando si contraggono, il diametro della pupilla aumenta determinando una
dilatazione pupillare. L’iride è sotto il controllo del sistema nervoso autonomo. I neuroni
parasimpatici innervano lo strato di cellule muscolari circolari, determinandone la contrazione,
quindi la costrizione pupillare. I neuroni simpatici innervano le cellule muscolari radiali,
determinando la contrazione delle cellule muscolari radiali, determinando la contrazione del
muscolo radiale e generando dilatazione pupillare.
La retina:
Nella retina, che è costituita da sistema nervoso, sono localizzati i fotorecettori: coni e bastoncelli.
I bastoncelli permettono la visione in bianco e nero e in condizioni di luce crepuscolare. I coni
forniscono la visione a colori, ma sono attivi solo quando la luce è intensa. La retina consta di 3
strati distinti, dall’interno verso l’esterno: (1) strato di cellule gangliari, (2) strato di cellule
bipolari e (3) strato contenente coni e bastoncelli. Nella retina sono anche presenti le cellule
amacrine e le cellule orizzontali, che modulano la comunicazione cellulare nel tessuto nervoso
retinico. I vasi ematici che perfondono la retina si trovano lungo il percorso dei raggi luminosi, per
cui, al fine di migliorare la trasmissione della luce alla fovea, le cellule bipolari e quelle gangliari
sono disposte lateralmente al centro della retina: si crea così una depressione al centro della
retina detta macula lutea, che circonda la fovea. La fovea contiene solo coni e, man mano che ci si
allontana da essa, aumenta il numero di bastoncelli, fino ad arrivare alla parte periferica della
retina, che contiene solo bastoncelli. Questo è il motivo per cui, in presenza di luce fioca, possiamo
osservare meglio gli oggetti solo se non li guardiamo direttamente!
Fototrasduzione:
La fototrasduzione è il fenomeno mediante il quale l’energia luminosa viene convertita in segnali
elettrici; tale fenomeno si realizza nei coni e nei bastoncelli. La morfologia di entrambi i tipi di
fotorecettori è simile: coni e bastoncelli contengono un segmento interno ed un segmento
esterno. Il segmento esterno contiene invaginazioni della membrana che formano dischi
membranosi, contenenti molecole che, assorbendo la luce, permettono ai fotorecettori di
eccitarsi. Il segmento interno contiene il nucleo cellulare e vari organuli; esso termina con un
bottone sinaptico analogo a quello dei terminali assonici dei neuroni, dove sono presenti le
vescicole contenenti il neurotrasmettitore. L’assorbimento della luce da parte di molecole
chiamate fotopigmenti (contenute nel segmento esterno), è la prima fase della fototrasduzione.
Nei recettori ci sono 4 tipi di fotopigmenti, un tipo è presente nei bastoncelli e altri tre tipi sono
presenti in ognuno dei tre tipi di coni. I coni L rispondono alle lunghezze d’onda più elevate (560
nm, spettro del rosso); i coni M rispondono a lunghezze d’onda medie (530 nm, spettro del verde);
i coni S rispondono alle lunghezze d’onda più basse (420 nm, spettro del blu). Ciascuna molecola di
fotopigmento contiene un componente chiamato retinale ed una proteina chiamata opsina. I 4
fotopigmenti sono: rodopsina, nei bastoncelli; e opsina (L, M ed S) nei tre tipi di coni. Il
fotopigmento dei bastoncelli, la rodopsina, è localizzato nella membrana dei dischi, dove si
trovano anche una proteina G, detta trasducina, ed un enzima, la fosfodiesterasi, che catalizza la
degradazione del cGMP (il quale, se è presente nel citosol, apre i canali per Na+ localizzati nella
membrana del fotorecettore).
In condizioni di buio: (1) i livelli del secondo messaggero cGMP sono elevati nel segmento esterno
del fotorecettore, quindi il cGMP mantiene aperti i canali per Na+ sulla membrana del segmento
esterno. (2) gli ioni Na+ entrano nella cellula e depolarizzano il recettore. (3) La depolarizzazione si
diffonde al segmento interno, provocando l’apertura dei canali per il Ca2+. (4) L’ingresso del Ca2+
nella cellula attiva un processo di esocitosi “al buio”, che porta al rilascio del neurotrasmettitore,
che agisce sulle cellule bipolari. In condizioni di luminosità: (1) la luce è assorbita dalla rodopsina
ed il retinale cambia la sua conformazione, dissociandosi dall’opsina, e dando luogo alla cosiddetta
“opsina scolorita”, che fa diventare i fotorecettori meno sensibili alla luce (adattamento alla luce).
(2) L’opsina scolorita attiva la trasducina, che a sua volta, attiva l’enzima fosfodiesterasi che
catalizza la scissione del cGMP. (3) la diminuzione del cGMP nel segmento esterno provoca la
chiusura dei canali per Na+. (4) La chiusura dei canali per l’Na+ provoca la fuoriuscita di K+ dalla
cellula, determinando un’iperpolarizzazione che comporta la chiusura dei canali per Ca2+ nel
segmento interno, con conseguente diminuzione di liberazione di neurotrasmettitore. Quindi, in
presenza di luce viene rilasciato meno neurotrasmettitore dal terminale del fotorecettore. Le
informazioni sulla presenza di luce sono segnalate così da una diminuzione del segnale indotto
nella cellula bipolare.
Bastoncelli e coni:
I bastoncelli sono così sensibili alla luce da poter essere attivati da un singolo fotone e sono per
questo responsabili della visione scotopica o monocromatica (bianco e nero). Tuttavia, in
presenza di luce intensa, i bastoncelli sono saturati (completamente scoloriti), diventando
massimamente iperpolarizzati e quindi non più in grado di fornire informazioni circa l’intensità
luminosa! I coni, invece, hanno bisogno di una maggiore intensità luminosa per poter funzionare.
Poiché i tre tipi di coni rispondo a lunghezze d’onda diverse, essi permettono la visione fotopica o
a colori. A livelli intermedi di luminosità sono attivi sia coni che bastoncelli, che assieme ci
permettono la visione mesotopica.
Visione dei colori:
L’attivazione dei coni, che ci permettono di vedere i colori, ha bisogno di un’alta intensità
luminosa. Consideriamo due colori con lunghezze d’onda di 450 e 500nm: l’ipotetico fotorecettore
P1 assorbe luce allo stesso modo sia a 450 nm che a 500 nm, quindi è incapace di distinguere
queste due lunghezze d’onda. Gli spettri di assorbimento dei tre tipi di coni (L, M ed S) si
sovrappongono parzialmente e dunque si possono percepire molti colori in base al quadro di
attivazione dei tre diversi tipi di coni. Sebbene una data lunghezza d’onda possa determinare una
risposta in più di un tipo di coni, i diversi coni rispondono generalmente a livelli differenti.
Pertanto il nostro cervello è in grado di discriminare differenti colori comparando le risposte dei
differenti tipi di coni a ciascuna lunghezza d’onda. Tuttavia, le sole proprietà dei coni non spiegano
completamente la percezione dei colori. La teoria dell’opposizione cromatica postula che il rosso
e il verde, il blu e il giallo ed il bianco e il nero sono colori opponenti, ovvero la stimolazione con
uno dei due colori inibisce la risposta all’altro! La teoria dell’opposizione cromatica afferma che,
quando alcune cellule gangliari sono eccitate dalla presenza di luce rossa nel loro campo visivo,
sono inibite dal verde nella stessa regione.
Luce e ritmi circadiani:
I fotorecettori che legano i ritmi circadiani ai cicli luce-buio non sono né i bastoncelli né i coni. Tali
fotorecettori usano un pigmento chiamato melanopsina.
Sbiancamento (bleaching) dei fotorecettori alla luce:
Che cosa permette ai nostri occhi di adattarsi ad intensità di luce variabili? Quando ci si espone
alla luce intensa, i bastoncelli diventano “scoloriti”, il che significa che gran parte della rodopsina
ha assorbito luce e l’opsina è in forma attiva. Pertanto, la rodopsina non può assorbire più luce fin
quando non è ritornata nel suo stato originario. In queste condizioni, che corrispondono a quelle
in cui si passa da un ambiente luminoso ad una stanza buia, i bastoncelli sono meno sensibili alla
luce. Il ripristino funzionale dei bastoncelli si verifica permanendo in luce soffusa, il che permette
all’opsina di ritornare nel suo stato inattivo. Durante questo processo, il retinale e l’opsina si
riassociano e i bastoncelli diventano nuovamente sensibili alla luce. I bastoncelli sono molto
sensibili alla luce; quindi, passando da una stanza buia ad un ambiente soleggiato, l’intensità della
luce eccede la normale sensibilità ei bastoncelli, che vengono saturati, “scolorendosi”
immediatamente.
Esistono due tipi di recettori colinergici, nicotinici e muscarinici, che si distinguono in base a studi
farmacologici effettuati utilizzando due agonisti dell’acetilcolina: nicotina (presente nel tabacco) e
muscarina (tossina di certi funghi). I recettori nicotinici sono presenti sui corpi cellulari e sui
dendriti di neuroni postgangliari simpatici e parasimpatici, sulle cellule cromaffini della midollare
del surrene e sulle cellule muscolari scheletriche. I recettori muscarinici sono presenti sugli organi
effettori del SN parasimpatico, come il cuore, le cellule muscolari lisce (delle pupille e del tratto
digerente).
Recettori adrenergici:
Vi sono due classi principali di recettori adrenergici localizzati in organi effettori del SN simpatico:
recettori alfa (1 e 2) e recettori beta (1, 2 e 3). I recettori adrenergici sono accoppiati a proteine G
che attivano o inibiscono sistemi di secondi messaggeri. Il legame della noradrenalina o
dell’adrenalina ad un recettore alfa 1 attiva una proteina G, che attiva una PLC che catalizza la
conversione di PIP2 in IP3 + DAG: l’IP3 attiva il rilascio di Ca2+ dai depositi intracellulari,
innescando le risposte cellulari; il DAG attiva la chinasi C, che fosforila una proteina che genera
una risposta cellulare. Mentre l’acetilcolina è il solo neurotrasmettitore che si lega ai recettori
colinergici, sia adrenalina che noradrenalina interagiscono con i recettori adrenergici.
Giunzioni neuroeffettrici del SN autonomo:
La sinapsi tra un neurone efferente ed il suo organo bersaglio (effettore) è definita giunzione
neuroeffettrice. I neuroni postgangliari non inviano i loro terminali assonici su un numero ben
definito di cellule; i neurotrasmettitori, infatti, vengono rilasciati da numerosi rigonfiamenti
localizzati ad intervalli quasi costanti lungo gli assoni, noti anche come varicosità. All’interno delle
varicosità, i neurotrasmettitori sono sintetizzati ed immagazzinati in vescicole. Le membrane degli
assoni contengono i classici canali voltaggio-dipendenti per Na+ e K+ che permettono la
propagazione dei potenziali d’azione. Inoltre, l membrana, nella regione di ciascuna varicosità
contiene dei canali per Ca2+ che si aprono all’arrivo del potenziale d’azione. L’arrivo di un
potenziale d’azione nella varicosità apre i canali voltaggio-dipendenti per Ca2+ che, entrando nel
citoplasma, stimola il rilascio del neurotrasmettitore per endocitosi. Il neurotrasmettitore viene
rilasciato da tutti i rigonfiamenti e diffonde in un’ampia area dell’organo effettore e si lega a
recettori posti sulla membrana plasmatica delle cellule di tutto l’organo bersaglio.
Regolazione delle funzioni del SN autonomo:
In condizioni di riposo, le spese energetiche dell’organismo sono ridotte rispetto ad altre
circostanze e sono principalmente indirizzate alla digestione e all’assorbimento dei nutrienti. Con
una ridotta richiesta energetica, il lavoro cardiaco non è elevato quindi prevale il controllo del SN
parasimpatico. In periodi di attività invece predomina l’attività del SN simpatico, con aumento
dell’attività cardiaca, che porta ad un aumento del flusso ematico ai muscoli scheletrici. In che
modo l’encefalo regola l’equilibrio tra attività simpatica e parasimpatica per rispondere alle
esigenze energetiche dell’organismo? La maggior parte delle modificazioni dell’attività del SN
autonomo si realizza attraverso l’attivazione di riflessi viscerali, cambiamenti automatici nelle
funzioni degli organi min risposta a mutate condizioni dell’organismo. Le aree encefaliche
maggiormente coinvolte nella funzione di regolazione del SN autonomo comprendono
l’ipotalamo, il ponte ed il bulbo. Quando ci troviamo in una situazione potenzialmente rischiosa o
comunque in uno stato di eccitazione, l’ipotalamo scatena la risposta lotta o fuggi attraverso
un’ampia attivazione del SN simpatico. L’ipotalamo comprende anche centri di regolazione della
temperatura corporea, per l’assunzione di cibo e per il bilancio idrico; tutti questi centri sono
regolati da neuroni efferenti del SN autonomo. Il bulbo ed il ponte contengono centri regolatori
cardiovascolari e respiratori che controllano il cuore, i vasi e le cellule muscolari lisce che
controllano l’attività respiratoria autonoma, che non richiede pensiero cosciente. Un’area
encefalica che influenza l’attività di controllo dei centri del SN autonomo è il sistema limbico che è
coinvolto nella genesi delle emozioni. Le emozioni esercitano un forte effetto sull’attività del SN
autonomo e pertanto influenzano le funzioni degli organi effettori da esso controllate. Siamo tutti
consapevoli di alcune risposte alle emozioni, quali l’aumento della frequenza cardiaca, la nausea, il
rossore cutaneo, lo svenimento e la sudorazione.
Sistema nervoso somatico:
A differenza del SN autonomo, che controlla le funzioni di moli organi effettori, il SN somatico
controlla un solo tipo di organo effettore: il muscolo scheletrico. I muscoli scheletrici sono in parte
collegati alle ossa, svolgendo una funzione di supporto, oltre che di movimento! Il SN somatico ha
un solo tipo di neuroni efferenti, che innervano il muscolo scheletrico, detti motoneuroni. I
muscoli scheletrici sono soggetti ad un controllo volontario, in quanto una persona può decidere
coscientemente di contrarre un muscolo. Pertanto, il SN somatico è anche detto sistema nervoso
volontario.
Anatomia di SN somatico:
Nel SN somatico, un singolo motoneurone collega il SNC ad una fibra muscolare scheletrica;
ricordiamo che nel SN autonomo, sono invece presenti due neuroni che collegano il SNC all’organo
effettore. Un singolo motoneurone innerva molte cellule muscolari, definite fibre muscolari, ma
ciascuna fibra è innervata da un singolo motoneurone! L’insieme di motoneurone e cellule
muscolari è detto unità motoria. Quando un motoneurone è attivato, stimola la contrazione di
tutte le fibre muscolari presenti nella sua unità.
La giunzione neuromuscolare:
Ciascuna diramazione dell’assone in un motoneurone forma sinapsi con una fibra muscolare
scheletrica a livello di una singola regione altamente specializzata della membrana della cellula
muscolare, formando una giunzione neuromuscolare. I terminali dell’assone del motoneurone,
chiamati bottoni sinaptici, immagazzinano e rilasciano acetilcolina, che è l’unico
neurotrasmettitore del SN somatico. Dal lato opposto del bottone sinaptico, sulla membrana della
fibra muscolare, vi è una regione specializzata detta placca motrice che presenta molte
invaginazioni contenenti tantissimi recettori per l’acetilcolina. Questi recettori rappresentano una
grande varietà di recettori colinergici nicotinici. L’acetilcolinesterasi è presente tra le invaginazioni
della placca motrice e determina la fine del segnale eccitatorio ed il rilasciamento della fibra
muscolare. Il meccanismo della trasmissione neuromuscolare è simile a quello delle sinapsi
eccitatorie tra le cellule nervose. Quando un motoneurone è attivato dalla convergenza di molti
segnali eccitatori su di esso, si genera un potenziale d’azione che si propaga fino ai bottoni
terminali alle giunzioni neuromuscolari di tutte le fibre dell’unità motoria. La depolarizzazione che
ne consegue determina l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti nel bottone sinaptico, con
ingresso di Ca2+ e induzione del rilascio di acetilcolina. Quest’ultima diffonde nella fessura
sinaptica ed interagisce con i recettori-canale colinergici nicotinici della placca motrice,
determinandone l’apertura. Ciò permette al Na+ di entrare nella cellula muscolare, producendo
una depolarizzazione detta potenziale di placca, simile al potenziale postsinaptico eccitatorio
(PPSE) delle sinapsi tra cellule nervose. Il potenziale di placca è sempre di ampiezza
sufficientemente grande da depolarizzare la membrana muscolare fino al valore soglia! si genera
così un potenziale d’azione che attiva la contrazione della fibra muscolare. La giunzione
neuromuscolare rappresenta il bersaglio delle tossine di molti animali velenosi: il veleno della
vedova nera contiene la latrotossina, che induce il rilascio di acetilcolina a livello della giunzione
neuromuscolare, con conseguenti spasmi muscolari e rigidità. Poiché sono interessati anche i
muscoli respiratori, questo veleno può causare insufficienza respiratoria e morte, provocando
contrazioni spastiche di questi muscoli. Il veleno del crotalo (serpente a sonagli), al contrario,
contiene una tossina detta crototossina che ha effetti contrari rispetto alla latrotossina, in quanto
inibisce il rilascio di acetilcolina ed induce una paralisi flaccida dei muscoli scheletrici. Un’altra
tossina che ha effetti paralizzanti sulla muscolatura scheletrica è il curaro, un veleno utilizzato per
le punte delle cerbottane dalle popolazioni indigene del Sud America.
CAPITOLO 12
FISIOLOGIA DEL MUSCOLO
Struttura del muscolo scheletrico:
A parte alcune eccezioni, i muscoli scheletrici, come ad esempio il bicipite del braccio, sono
collegati ad almeno due ossa. L’eccezione a questa regola comprende alcuni muscoli scheletrici
che sono collegati alla cute (alcuni muscoli del viso), alla cartilagine (muscoli della laringe) o ad
altri muscoli (sfintere anale esterno). I muscoli sono collegati alle ossa mediante i tendini,
strutture simili a corde formate da tessuto connettivo elastico, capaci di trasmettere all’osso la
forza sviluppata dal muscolo.
Struttura a livello cellulare:
La parte del muscolo che genera forza è chiamata corpo, cioè la parte “carnosa” del muscolo. Il
corpo del muscolo contiene diversi fasci, chiamati fascicoli, di cellule muscolari singole insieme a
tessuto connettivo, vasi sanguigni e nervi. Ciascun fascicolo contiene centinaia di migliaia di cellule
muscolari, che vengono chiamate fibre muscolari a causa della loro forma allungata. Ciascuna fibra
muscolare corre in direzione diagonale lungo tutta la lunghezza del muscolo ed è avvolta da una
guaina di tessuto connettivo. A differenza delle altre cellule che contengono un solo nucleo, le
fibre muscolari ne contengono parecchi, poiché ognuna di esse origina dalla fusione di più cellule,
nel corso della vita embrionale! I nuclei sono posti immediatamente sotto la membrana
plasmatica della fibra, che viene chiamata sarcolemma. All’interno della fibra muscolare si trova
un citoplasma semifluido, chiamato sarcoplasma, insieme a mitocondri e a centinaia di elementi di
forma bastoncellare, che presentano una striatura; queste strutture sono dette miofibrille e
contengono l’apparato contrattile della fibra muscolare. Una miofibrilla è costituita da un fascio di
filamenti spessi e sottili che si sovrappongono reciprocamente, formati rispettivamente dalle
proteine miosina e actina. Una rete di membrane che formano delle cisterne, chiamata reticolo
sarcoplasmatico (RS), circonda ciascuna miofibrilla ed è in stretta associazione con altre strutture
chiamate tubuli traversi (tubuli T), i quali sono a loro volta connessi al sarcolemma e penetrano
all’interno della cellula. Il RS e i tubuli T giocano un ruolo fondamentale nel processo di attivazione
della contrazione muscolare, perché essi aiutano a trasmettere i segnali dal sarcolemma alle
miofibrille, rendendo la cellula muscolare capace di rispondere al segnale nervoso! Il RS svolge le
funzioni di immagazzinare ioni Ca2+ e liberarli nel citosol quando la cellula muscolare viene
stimolata a contrarsi. Gli ioni Ca2+ vengono liberati in risposta a segnali elettrici che si trasmettono
al sarcolemma e ai tubuli T e svolgono la funzione di messaggeri chimici che trasportano tali
segnali all’interno della cellula, nella zona in cui si trovano le miofibrille.
L’accorciamento del muscolo non avviene perché i filamenti sottili si contraggono, ma perché essi
scivolano lungo i filamenti spessi, muovendosi verso la parte più interna del sarcomero,
riducendone la larghezza. Il risultato finale è che i dischi Z ai lati del sarcomero si spostano
insieme, avvicinandosi tra loro, e quindi il sarcomero si accorcia! All’accorciamento dei sarcomeri
segue quello delle miofibrille, lo stesso fanno le fibre muscolari e, infine, il muscolo intero. Il
muscolo si contrae perché i filamenti spessi e sottili delle miofibrille scorrono gli uni sugli altri. In
modo appropriato questo viene definito il modello dello scorrimento dei filamenti della
contrazione muscolare.
Il meccanismo che, nel corso della contrazione muscolare, porta allo scorrimento dei filamenti
spessi e sottili gli uni sugli altri, prende il nome di ciclo dei ponti trasversali. Al centro di questo
meccanismo vi è un movimento oscillatorio, avanti e indietro, dei ponti trasversali tra miosina ed
actina, basato sull’energia di idrolisi dell’ATP. Il movimento avanti-indietro dei ponti trasversali è
dovuto modificazioni della conformazione delle molecole di miosina. Una delle conformazioni
della miosina viene chiamata forma ad alta energia, poiché le molecole di miosina immagazzinano
l’energia rilasciata dall’idrolisi dell’ATP. La conformazione di forma a bassa energia, invece, viene
assunta dalle molecole di miosina quando l’energia viene liberata per dare luogo al movimento dei
filamenti sottili. In ogni ciclo dei ponti trasversali si possono individuare queste 5 fasi:
1) Aggancio della miosina all’actina: la miosina è nella forma ad alta energia; ciò vuol dire
che ADP+Pi sono legati al sito ATPasico della testa della miosina. In questo stato la miosina
ha elevata affinità per le molecole di actina e la testa di miosina si lega ad un monomero di
actina nel filamento sottile adiacente (meccanismo calcio-dipendente).
2) Colpo di forza: Il legame della miosina all’actina determina la liberazione del Pi e dell’ADP
dal sito ATPasico. La testa della miosina ruota verso il centro del sarcomero, tirando il
filamento sottile con sé, e va verso lo stato a bassa energia.
3) Stato di rigor: nello stato a bassa energia della miosina, actina e miosina sono
strettamente legate insieme ed il ciclo dei ponti trasversali si blocca in questa fase a causa
dell’esaurimento dell’ATP. Questo stato dura fino a quando gli enzimi liberati dagli
elementi cellulari in via di degradazione iniziano a decomporre le miofibrille.
4) Distacco della miosina dall’actina: una nuova molecola di ATP si lega al sito ATPasico della
testa della miosina, provocando una variazione conformazionale della testa, che determina
una diminuzione dell’affinità della miosina per l’actina, così che la miosina si stacca
dall’actina.
5) Energizzazione della testa di miosina: Subito dopo che si f fissato al sito ATPasico della
miosina, l’ATP viene idrolizzato ad ADP+Pi con rilascio di energia. Parte di questa energia è
immagazzinata nella testa di miosina, che raggiunge la conformazione ad alta energia. In
presenza di Ca2+, il ciclo riparte nuovamente dalla fase 1!
Accoppiamento eccitamento-contrazione: come si attivano e disattivano i muscoli
Il controllo finale sulla contrazione dei muscoli scheletrici spetta al SNC che, attraverso i
motoneuroni, ordina ai muscoli se essi debbano contrarsi oppure no. Al pari dei neuroni, anche le
cellule muscolari sono cellule eccitabili, cioè in grado di generare potenziali d’azione, quando la
loro membrana plasmatica è depolarizzata ad un valore sufficiente. Quando una cellula muscolare
riceve un segnale da parte di un motoneurone, essa si depolarizza e genera un potenziale d’azione
che, a sua volta, induce la contrazione. La sequenza di eventi che lega il potenziale d’azione alla
contrazione viene chiamata accoppiamento eccitamento-contrazione.
Il punto di collegamento tra un motoneurone e una cellula muscolare, detta giunzione
neuromuscolare, non è tanto diversa dalla sinapsi tra due neuroni: il motoneurone trasmette un
potenziale d’azione e libera un neurotrasmettitore (acetilcolina) quando il potenziale d’azione
giunge alla terminazione dell’assone. L’acetilcolina diffonde verso la membrana della cellula
muscolare dove, legandosi a recettori specifici, induce una variazione della permeabilità della
membrana, che ne determina la depolarizzazione. Nella giunzione neuromuscolare, i bottoni
terminali del motoneurone si allargano a ventaglio ed occupano un’ampia area del sarcolemma.
Frontalmente ai bottoni terminali si trova una regione specializzata del sarcolemma, chiamata
placca motrice, che presenta un gran numero di ripiegature e contiene un gran numero di
recettori per l’acetilcolina. Un potenziale d’azione generato nel motoneurone induce il rilascio di
acetilcolina, determinando l’attivazione di numerosi recettori colinergici. La depolarizzazione che
ne consegue (potenziale di placca) è molto più ampia di un potenziale postsinaptico normale,
tanto che è sempre al di sopra del valore soglia! Una volta generatosi nella cellula muscolare, il
potenziale d’azione si propaga lungo tutto il sarcolemma, compresi i tubuli T. Propagandosi lungo i
tubuli T, il potenziale d’azione provoca il rilascio del Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico, che è
adiacente ad essi. Il Ca2+ costituisce il segnale che dà il via al ciclo dei ponti trasversali e quindi alla
contrazione della cellula muscolare!
Ruolo del Calcio, della troponina e della tropomiosina nel processo di accoppiamento
eccitamento-contrazione:
Il periodo di latenza rappresenta il ritardo di pochi millisecondi che intercorre tra la comparsa del
potenziale d’azione nella cellula muscolare e l’inizio della contrazione, quando la cellula inizia a
generare forza. La fase di contrazione inizia alla fine del periodo di latenza e termina in
corrispondenza del raggiungimento del picco massimo di tensione. Nel corso di questa fase, la
concentrazione del Ca2+ nel citosol aumenta, poiché la quantità liberata eccede quella che viene
riassorbita dal RS. La fase di rilasciamento, che è la più lunga delle tre, corrisponde al periodo che
intercorre tra il picco della tensione e la fine della contrazione, quando la tensione torna a zero.
Nel corso di questa fase, la concentrazione di Ca2+ nel citosol si riduce, poiché la quantità di Ca2+
che viene riassorbita è maggiore di quella che viene rilasciata dal RS, e di conseguenza il numero
dei ponti trasversali attivi va diminuendo.
Frequenza di stimolazione:
Maggiore è la concentrazione di Ca2+ nel citosol, più grande è la quantità di Ca2+ che si lega alla
troponina e porta allo spostamento della tropomiosina, determinando alla fine un incremento del
numero di siti leganti la miosina presenti sull’actina. Più grande è il numero di siti leganti la
miosina esposti, maggiore è il numero delle teste di miosina che può partecipare al ciclo dei ponti
trasversali, e di conseguenza, la forza di contrazione sviluppata. In seguito all’aumento della
frequenza di stimolazione, i muscoli passano dallo sviluppo di contrazioni singole alla generazione
di una scala, alla sommazione e, da ultimo, al tetano.
Il fenomeno della scala avviene quando la frequenza di stimolazione è tale per cui singole scosse
indipendenti tra loro si susseguono in modo così ravvicinato che il picco della tensione va
progressivamente aumentando fino a raggiungere un plateau. Si ritiene che l’origine della scala è
dovuto ad un aumento del Ca2+ citosolico tra una contrazione e l’altra.
I fenomeni della sommazione e del tetano, che avvengono a frequenze di stimolazioni ancora
maggiori, sono dovuti alla sovrapposizione delle singole scosse. Quando un muscolo viene
stimolato ripetitivamente, in modo tale che il potenziale d’azione successivo arrivi prima che la
scossa precedente sia giunta a completamento, le scosse si sovrappongono le une alle altre,
sviluppando una forza maggiore di quella generata nel corso di una scossa singola; questo
fenomeno viene chiamato sommazione. Si verifica la sommazione ogni qualvolta che le scosse
singole sono così frequenti che la rimozione di Ca2+ dal citosol non può avvenire in modo
altrettanto rapido di quanto esso venga liberato dal RS. Perché avvenga il rilasciamento, è
necessaria la rimozione degli ioni Ca2+; per questo motivo, la fibra muscolare non riesce a
rilasciarsi in modo completo tra una contrazione e l’altra. A frequenze di stimolazione superiori, la
sommazione raggiunge un valore massimo definito tetano. Nel tetano non fuso (o incompleto) la
forza sviluppata presenta piccole oscillazioni, intervallate da bervi periodi di rilasciamento tra un
picco e l’altro. I picchi vengono raggiunti quando i livelli di Ca2+ sono elevati a sufficienza da
saturare la troponina, in modo che siano esposti tutti i siti leganti la miosina presenti sull’actina. A
frequenze di stimolazione ancora più elevate, i livelli di Ca2+ sono abbastanza elevati da saturare
in modo permanente la troponina, così che i siti leganti la miosina sono esposti continuamente,
dando origine ad un tracciato caratterizzato da una fase di plateau stabile, che viene chiamata
tetano fuso (o completo). Se la frequenza di stimolo subisce ancora un ulteriore aumento, la
tensione tetanica (forza di contrazione durante la fase tetanica) aumenta, ma soltanto fino ad un
certo punto: un ulteriore aumento della frequenza oltre questo valore non produce ulteriori
aumenti della forza! In queste condizioni il muscolo sta sviluppando tutta la forza che è in grado di
generare e, pertanto, viene definita tensione tetanica massimale.
Regolazione della forza generata dal muscolo in toto:
Quando un muscolo si contrae, solo di rado tutte le sue fibre generano forza! Quando è richiesto
lo sviluppo di forze maggiori, il SN può attivare alcune delle fibre che erano a riposo, aumentando
quindi il numero totale delle fibre attive. Il SN esercita la maggior parte del suo controllo sulla
forza muscolare facendo variare il numero delle unità motorie in attività; le variazioni della
frequenza di stimolazione di ciascuna fibra esercitano soltanto un ruolo secondario. Un
incremento del numero delle unità motorie attive viene chiamato reclutamento.
Reclutamento:
All’interno di un muscolo, le fibre appartenenti ad un’unità motoria sono frammiste ad altre, che
fanno parte di altre unità motorie. Ma non tutte le unità motorie sono fatte allo stesso modo,
infatti spesso differiscono per le dimensioni. Prendiamo per esempio due unità motorie presenti in
un muscolo (X e Y) le cui fibre, che hanno la stessa capacità di sviluppare forza, vengono stimolate
a produrre la tensione tetanica massimale; l’unità X contiene 5 fibre, mentre quella Y ne contiene
7. Quando l’unità X viene stimolata a contrarsi, genera una forza che è 5 volte più grande di quella
sviluppata da una sola fibra, perché le fibre stanno lavorando in parallelo. In modo analogo, la
stimolazione dell’unità motoria Y determina lo sviluppo di una forza che corrisponde a 7 volte
quella di una singola fibra, e la stimolazione contemporanea di entrambe le unità motorie produce
una forza che è 12 volte più grande di quella di una singola fibra. Poiché il muscolo può contenere
centinaia di unità motorie, la tensione muscolare può essere modificata entro un intervallo
notevole, semplicemente facendo variare il numero delle unità motorie attive!
I diversi tipi di fibre muscolari scheletriche:
Sebbene tutte le fibre del muscolo scheletrico siano sostanzialmente simili per quanto riguarda i
meccanismi di accoppiamento-contrazione e di generazione della forza, esistono significative
differenze tra le varie fibre per quanto riguarda la loro velocità di contrazione e le vie metaboliche
utilizzate per la produzione di ATP.
Differenze nella velocità di contrazione: fibre rapide e fibre lente
Alcuni muscoli (come il muscolo soleo della gamba) contengono in massima parte delle fibre a
contrazione lenta, che si contraggono in modo relativamente lento. In altri muscoli (come i
muscoli estrinseci dell’occhio) predominano le fibre a contrazione rapida, capaci di contrarsi in
modo relativamente veloce. In altri muscoli ancora (come il muscolo gastrocnemio della gamba) la
proporzione tra le fibre rapide e le fibre lente è all’incirca uguale. Le differenze tra le fibre rapide e
quelle lente non dipendono dalle loro dimensioni o dalla loro forma, ma piuttosto dal tipo di
miosina che costituisce i loro filamenti spessi! La miosina rapida ha una capacità intrinseca di
idrolizzare ATP più velocemente della miosina lenta; questa maggiore attività ATPasica è
strettamente correlata con la velocità di contrazione delle fibre. La maggiore velocità con cui viene
scisso l’ATP nella miosina rapida implica che questa forma di miosina possa completare un numero
maggiore di cicli dei ponti trasversali in un secondo, da cui deriva il fatto che i sarcomeri si
accorciano più rapidamente, a parità di altre condizioni.
Differenze riguardanti il meccanismo principale per la produzione di ATP: fibre glicolitiche
(bianche) e fibre ossidative (rosse)
Le fibre glicolitiche contengono un’elevata concentrazione di enzimi glicolitici all’interno del
citoplasma e quindi possono produrre rapidamente ATP attraverso la via glicolitica (fosforilazione
a livello del substrato); queste fibre hanno una capacità relativamente bassa di produrre ATP
mediante la fosforilazione ossidativa, poiché hanno pochi mitocondri. Al contrario, le fibre
ossidative sono ricche di mitocondri ed hanno un’elevata capacità di produrre ATP mediante la
fosforilazione ossidativa. Questi due tipi di fibre si trovano in tutti i tipi di muscolo del corpo, ma
distribuiti in proporzioni variabili. Le fibre ossidative sono, in genere, di calibro minore e ben
vascolarizzate, mentre quelle glicolitiche sono di dimensioni maggiori e circondate da pochi
capillari. Le fibre ossidative possiedono una maggiore capacità di utilizzare O2 e quindi dipendono
in modo più marcato dalla rapidità con cui viene loro fornito l’O2. Un ricco apporto di capillari
assicura un rapido rilascio di O2 al liquido interstiziale che circonda le fibre, mentre il diametro
ridotto riduce la distanza che l’O2 deve superare diffondendosi per raggiungere i mitocondri. Le
fibre ossidative, al contrario di quelle glicolitiche, contengono la mioglobina che lega l’O2: questa
proteina di colore rossastro lega l’O2 in modo reversibile per poterlo rilasciare quando e dove
serve. La sua funzione è quella di fungere da riserva di O2 per la cellula e liberarlo quando la
concentrazione all’interno delle cellule diminuisce. Tuttavia, poiché questa scorta di O2
intracellulare è limitata, essa può fornire un’adeguata quantità di O2 solo per un breve tempo.
Visto che la mioglobina conferisce un colore rosso scuro alle fibre ossidative, tali fibre sono
chiamate fibre rosse. Al contrario, le fibre glicolitiche (che non contengono mioglobina) sono
chiamate fibre bianche. Le fibre glicolitiche producono meno ATP a parità di substrato consumato.
Tuttavia, le fibre glicolitiche sono maggiormente in grado di produrre ATP quando la disponibilità
di O2 è bassa, poiché la glicolisi non richiede la presenza di O2! Quando le fibre glicolitiche sono in
stato di attività e producono ATP a velocità elevata, viene generato acido lattico come prodotto
secondario, per via della bassa capacità ossidativa delle cellule che le contengono. Infatti, il
piruvato viene prodotto più velocemente di quanto può essere consumato e, di conseguenza, si
accumula nelle cellule e viene convertito in acido lattico. Per questo motivo le fibre glicolitiche si
affaticano più rapidamente di quelle ossidative!
Fibre lente ossidative, rapide glicolitiche e rapide ossidative:
È possibile trovare combinazioni tra la velocità di contrazione e le capacità ossidative o glicolitiche.
Sono state identificate 3 classi principali di fibre muscolari scheletriche: (1) fibre lente ossidative,
(2) fibre rapide glicolitiche e (3) fibre rapide ossidative. Generalmente i muscoli contengono tutti
e tre i tipi di fibre, distribuite in proporzioni diverse. Le fibre lente ossidative contengono la
miosina lenta e presentano un’alta capacità ossidativa. Le fibre rapide glicolitiche contengono
miosina rapida ed hanno un’elevata capacità glicolitica. Le fibre rapide ossidative contengono una
miosina di tipo intermedio tra quella lenta e quella rapida e possiedono un’elevata capacità
ossidativa. Le fibre lente ossidative sono quelle a diametro minore e sviluppano forze di bassa
entità. Le fibre rapide glicolitiche sono quelle di dimensioni maggiori e sviluppano le forze più
grandi. Le fibre rapide ossidative presentano proprietà intermedie in termini di diametro della
fibra e di capacità di generare forza.
Muscolo liscio e cardiaco:
All’interno del corpo, svolgono le loro funzioni, in modo per così dire “più discreto” rispetto al
muscolo scheletrico, altri due tipi di muscolo: (1) muscolo liscio e (2) muscolo cardiaco.
Muscolo liscio:
Il muscolo liscio prende il suo nome dalla mancanza delle striature caratteristiche del muscolo
scheletrico e di quello cardiaco; esso si trova negli organi interni, nei vasi sanguigni e in altre
strutture che non sono sotto il controllo volontario. Nel tratto gastrointestinale, le contrazioni
della muscolatura liscia servono a mescolare il cibo ingerito con i prodotti della secrezione
digestiva e farlo procedere lungo i vari tratti. Nei vasi sanguigni, la muscolatura liscia regola il
flusso di sangue nei diversi organi e tessuti, causando costrizione o dilatazione delle pareti
vascolari. Come il muscolo scheletrico, il muscolo liscio è costituito da filamenti spessi e filamenti
sottili e genera forza attraverso il ciclo dei ponti trasversali. Tuttavia, i filamenti non sono
organizzati in sarcomeri! Infatti la mancanza dei sarcomeri giustifica la mancanza delle striature.
Anche se i filamenti spessi e sottili sono organizzati in parallelo, come nel muscolo scheletrico, essi
tendono a decorrere obliquamente in varie direzioni e, di conseguenza, le contrazioni avvengono
lungo assi diversi. I corpi densi, punti di adesione tra questi filamenti e il tessuto connettivo,
servono a trasmettere la forza contrattile all’esterno della cellula.
Meccanismo dell’accoppiamento eccitamento- contrazione nel muscolo liscio:
Le contrazioni del muscolo liscio sono regolate dal Ca2+ intracellulare, ma il RS non è così
sviluppato come quello del muscolo scheletrico. Il Ca2+ che innesca la contrazione proviene
prevalentemente dall’esterno della cellula, poiché, quando la cellula è depolarizzata, i canali del
Ca2+ voltaggio-dipendenti si aprono permettendo il passaggio di Ca2+ verso l’interno. Nel muscolo
liscio la contrazione non è attivata dal complesso troponina-tropomiosina. La contrazione inizia
quando il Ca2+ si lega in modo reversibile alla calmodulina; questo legame induce un
cambiamento conformazionale che rende il complesso Ca2+-calmodulina capace di legarsi alla
MLCK (chinasi della catena leggera della miosina), provocandone l’attivazione. La MLCK attivata,
fosforila i ponti trasversali della miosina, che si attivano innescando il ciclo dei ponti trasversali. Va
notato che nel muscolo liscio il segnale del Ca2+ che avvia l’attività’ dei ponti trasversali ha come
bersaglio il filamento di miosina, mentre nel muscolo scheletrico il bersaglio è l’actina, poiché
questa è la sede in cui sono localizzate la troponina e la tropomiosina! Porre termine al ciclo dei
ponti trasversali nel muscolo liscio richiede l’intervento di fosfatasi, le quali inattivano la miosina
rimuovendo i gruppi fosfato. L’attività ATPasica della miosina nel muscolo liscio è 10 – 100 volte
più bassa rispetto a quella del muscolo scheletrico e, di conseguenza, la contrazione della
muscolatura liscia è un processo intrinsecamente lento!
Il cuore è un muscolo che genera la forza necessaria a spingere il sangue nei vasi sanguigni. Il cuore
è formato da 4 camere. Le 2 camere superiori, gli atri, ricevono il sangue che ritorna al cuore dai
vasi venosi, mentre le 2 camere inferiore, i ventricoli, ricevono il sangue dagli atri e generano la
pressione necessaria a spingere il sangue fuori dal cuore nelle grandi arterie. Il cuore può essere
funzionalmente diviso in una metà sinistra e una destra. Gli atri e i ventricoli delle due metà sono
separati da una parete detta setto, che evita che il sangue del cuore sinistro si mescoli con quello
del cuore destro. La porzione di setto che separa il ventricolo di destra da quello di sinistra è detta
setto interventricolare. Pertanto, il cuore possiede un lato destro ed un lato sinistro, un apice,
collocato nel restringimento del polo inferiore, ed una base, collocata nello slargamento del polo
superiore. Le due pompe cardiache lavorano con efficienza, fornendo a tutto l’organismo i
nutrienti e l’O2 di cui necessitano.
I vasi sanguigni:
Il sangue viene trasportato dal cuore ai vari organi, per poi ritornare di nuovo al cuore attraverso
un sistema chiuso di vasi (circolazione sanguigna). Questo sistema di vasi sanguigni viene detto
sistema vascolare. Man mano che si allontanano dal cuore, i vasi sanguigni si ramificano
ripetutamente, diventando più numerosi e di diametro più piccolo. Il sangue che lascia il cuore
viene trasportato agli organi e ai tessuti tramite grandi vasi detti arterie, che si ramificano
ripetutamente negli organi e nei tessuti. Le arterie più piccole si ramificano in vasi ancora più
sottili detti arteriole, che trasportano il sangue verso i vasi più piccoli in assoluto, i capillari. Dai
capillari il sangue ritorna al cuore scorrendo in vasi più grandi detti venule, e poi nelle vene. Da
tutto ciò capiamo che l’apparato cardiovascolare costituisce un sistema chiuso.
Il sangue:
Sebbene il sangue sia un fluido, quasi la metà del suo volume è costituita da cellule! Quelle più
numerose sono gli eritrociti (globuli rossi), i quali contengono una proteina che trasporta 02 detta
emoglobina. Le altre cellule sono i leucociti (globuli bianchi), suddivisi in diversi tipi, che aiutano
l’organismo a difendersi dall’aggressione da parte di microrganismi. Inoltre, sono presenti le
piastrine, che non sono cellule, ma frammenti di cellule che svolgono un ruolo importante nella
coagulazione sanguigna. La porzione liquida del sangue è detta plasma ed è costituita da acqua in
cui sono disciolte proteine, elettroliti ed altri soluti.
Flusso in serie nel sistema cardiocircolatorio:
Il sistema cardiocircolatorio consta di due circuiti: (1) circolo polmonare, costituito dall’insieme dei
vasi polmonari e di quelli che connettono i polmoni al cuore e (2) circolo sistemico, che contiene
tutti i vasi diretti alle restanti parti del corpo. Il cuore destro fornisce sangue al circolo polmonare,
mentre il cuore sinistro rifornisce il circolo sistemico. I circuiti polmonare e sistemico sono dotati di
dense reti di capillari, dette letti capillari, dove avvengono gli scambi di nutrienti e gas (O2 e CO2).
Nei capillari polmonari, l’O2 proveniente dall’aria presente nei polmoni passa nel sangue, mentre
la CO2 lascia il sangue. Quando il sangue lascia i capillari polmonari è ricco di O2 e viene chiamato
sangue ossigenato. I letti capillari del circolo sistemico sono presenti in tutti gli organi e i tessuti (il
tessuto polmonare riceve sangue ossigenato dalle arterie bronchiali). In questi organi e tessuti, le
cellule consumano O2 e producono CO2; così quando il sangue scorre nei capillari sistemici, l’O2
lascia il sangue, mentre la CO2 vi entra. Il sangue che lascia questi capillari è detto sangue
deossigenato, poiché è povero di O2. Il sangue ossigenato è rosso brillante, mentre quello
deossigenato è rosso scuro. Quando il sangue scorre nel sistema cardiocircolatorio, si muove in
modo alternato attraverso i circoli polmonare e sistemico, ritornando al cuore ad ogni ciclo:
1. Il ventricolo sinistro pompa il sangue ossigenato nell’aorta, la principale arteria, le cui
diramazioni trasportano il sangue fino ai letti capillari di tutti gli organi e tessuti irrorati dal
circolo sistemico.
2. Il sangue viene deossigenato nei tessuti periferici e poi ritorna al cuore con le vene cave,
due grandi vene che trasportano il sangue all’atrio destro. La vena cava superiore porta il
sangue proveniente dalle parti del corpo al di sopra del diaframma, mentre la vena cava
inferiore provvede a trasportare il sangue refluo dalle parti sottostanti il diaframma.
3. Dall’atrio destro, il sangue passa attraverso la valvola tricuspide nel ventricolo destro.
4. Il ventricolo destro pompa il sangue nel tronco polmonare, che si dirama quasi subito nelle
arterie polmonari, che trasportano il sangue deossigenato ai polmoni. Le arterie polmonari
sono le sole arterie del corpo che trasportano sangue deossigenato e sono chiamate arterie
perché trasportano il sangue in uscita dal cuore.
5. Il sangue viene ossigenato nei polmoni e poi, attraverso le vene polmonari, si dirige
nell’atrio sinistro. Queste sono le sole vene del corpo che contengono sangue ossigenato e
sono chiamate vene perché trasportano il sangue verso il cuore.
6. Dall’atrio sinistro, il sangue passa attraverso la valvola bicuspide nel ventricolo sinistro, da
dove siamo partiti. E il ciclo si ripete!
Anatomia del cuore:
Il cuore è un muscolo ed è contenuto al centro della cavità toracica, appena sopra il diaframma,
un muscolo che separa la cavità toracica dalla cavità addominale. Il cuore è circondato da un sacco
membranoso detto pericardio, contenente il liquido pericardico, che lubrifica il cuore durante i
battiti. Il muscolo cardiaco genera la forza necessaria a spingere il sangue nei vasi e la presenza
delle 4 valvole assicura la direzione corretta del flusso all’interno del cuore, prevenendo così il
reflusso.
Miocardio e parete cardiaca:
La parete del cuore è formata da 3 strati dall’esterno verso l’interno: (1) epicardio, formato da
connettivo, (2) miocardio, formato da tessuto muscolare cardiaco e (3) endocardio, formato da
epitelio. (l’endotelio si estende lungo tutto il sistema cardiovascolare). L’attività di pompa del
cuore consiste in un ritmico alternarsi di contrazione e rilasciamento del muscolo cardiaco. Il
muscolo ventricolare è molto più spesso rispetto al muscolo atriale, poiché i ventricoli devono
pompare il sangue in vasi molto lontani! Inoltre, la muscolatura ventricolare di sinistra è molto più
sviluppata rispetto a quella di destra poiché il ventricolo sinistro invia sangue a tutti gli organi del
corpo, mentre il ventricolo destro pompa il sangue solo ai polmoni! Quello che chiamiamo battito
cardiaco è in realtà un’onda di contrazione che si muove rapidamente attraverso le fibro-cellule
muscolari cardiache in maniera ordinata e coordinata. Gli atri si contraggono per primi, spingendo
il sangue nei ventricoli; quindi si contraggono i ventricoli, che pompano il sangue verso i vari
organi. Sebbene il muscolo cardiaco funzioni come un’unità’, il muscolo atriale (miocardio atriale)
e quello ventricolare (miocardio ventricolare) sono fisicamente ancorati a uno strato di tessuto
connettivo fibroso, chiamato scheletro fibroso del cuore, che li tiene separati tra loro.
Valvole cardiache e flusso sanguigno unidirezionale:
Le camere cardiache sono impegnate in fasi di contrazione e rilasciamento, che si ripetono e che
costituiscono il ciclo cardiaco, in cui la contrazione degli atri avviene prima e quella dei ventricoli
in successione. È fondamentale che il flusso sanguigno nelle camere cardiache avvenga in un’unica
direzione, determinata dal gradiente pressorio. Così il flusso sanguigno nella direzione opposta
deve essere impedito, anche se il gradiente pressorio dovesse favorirlo. A questa funzione
assolvono le 4 valvole cardiache, facendo in modo che il sangue scorra secondo una precisa
direzione sia all’interno del cuore che fra il cuore e le arterie ad esso direttamente connesse
(l’aorta e il tronco polmonare). Gli atri e i ventricoli di ciascun lato sono separati dalle valvole
atrioventricolari (valvole AV), che permettono al sangue di fluire dall’atrio al ventricolo, ma non di
scorrere al contrario! Le valvole AV si aprono e si chiudono in risposta alle variazioni cicliche della
pressione che avvengono ad ogni battito cardiaco. Quando la pressione atriale è più elevata di
quella ventricolare, le valvole sono aperte; quando la pressione ventricolare diviene più elevata di
quella atriale, le valvole si chiudono. La valvola AV di sinistra è costituita da due lembi, o cuspidi, di
tessuto connettivo e perciò viene chiamata valvola bicuspide (valvola mitralica). La valvola AV di
destra ha tre cuspidi ed è chiamata valvola tricuspide. Oltre le valvole AV, vi sono altre valvole,
chiamate valvole semilunari, poste tra i ventricoli e le arterie. La valvola aortica è localizzata tra il
ventricolo sinistro e l’aorta, mentre la valvola polmonare si trova tra il ventricolo destro e il tronco
polmonare. La funzione di queste valvole è simile a quella delle valvole AV: permettere al sangue
di scorrere in avanti prevenendone il movimento in senso inverso. La valvola aortica e quella
polmonare si aprono quando la pressione ventricolare supera quella arteriosa a valle (quando il
ventricolo è contratto). Questo consente al sangue di lasciare i ventricoli ed entrare nelle arterie.
Quando i ventricoli si rilasciano e la pressione ventricolare diviene più bassa della pressione
arteriosa, le valvole si chiudono, evitando così che il sangue fluisca all’indietro dalle arterie nei
ventricoli.
Le contrazioni del muscolo cardiaco sono generate da segnali che originano all’interno del muscolo
stesso. Per questa ragione l’attività contrattile del muscolo cardiaco è detta miogena. La capacità
del cuore di generare segnali che attivano periodicamente le sue contrazioni, generando il suo
stesso ritmo, è detta autoritmicità. Le cellule autoritmiche non generano una forza contrattile ma
sono essenziali per l’azione di pompa del cuore perché avviano e coordinano il ritmo dei battiti
cardiaci. Vi sono due tipi di cellule autoritmiche: (1) cellule pacemaker (segnapassi), che avviano i
potenziali d’azione e stabiliscono il ritmo cardiaco, e (2) fibre di conduzione, che producono i
potenziali d’azione e li propagano nel cuore in maniera estremamente coordinata. Nel loro
complesso, tali cellule costituiscono il sistema di conduzione del cuore.
Le contrazioni del cuore hanno origine dalle cellule pacemaker, che generano spontaneamente i
potenziali d’azione. Sebbene le cellule pacemaker siano localizzate in quasi tutte le parti del cuore,
esse sono concentrate in due regioni del miocardio: (1) nodo senoatriale (nodo SA), localizzato
nella parte superiore dell’atrio destro e (2) nodo atrioventricolare (nodo AV), posto in prossimità
della valvola tricuspide nel setto interatriale. Le frequenze di scarica spontanea delle cellule del
nodo SA e del nodo AV sono differenti. Infatti, le prime hanno una frequenza di scarica di
potenziali d’azione spontanei più elevata e poiché i due nodi sono connessi da fibre di conduzione,
è il nodo SA ad attivare la depolarizzazione del nodo AV, e quindi di tutto il cuore, stabilendone
così la frequenza e il ritmo di contrazione.
Le fibre di conduzione sono specializzate nel condurre velocemente da un punto all’altro del
miocardio i potenziali d’azione generati dalle cellule pacemaker, innescando e coordinando così le
contrazioni delle varie regioni del muscolo cardiaco. Sebbene tutte le fibre del muscolo cardiaco
siano capaci di trasmettere potenziali d’azione, le fibre di conduzione sono di diametro maggiore e
possono condurre i potenziali d’azione più rapidamente.
La rapida trasmissione dei potenziali d’azione dalle cellule pacemaker alle fibre di conduzione e alle
cellule contrattili è possibile perché tutte le cellule muscolari cardiache tra loro vicine sono
collegate tramite giunzioni comunicanti, che consentono alla corrente elettrica di fluire da una
cellula all’altra. Nel cuore, le giunzioni comunicanti sono concentrate in strutture dette dischi
intercalari, che formano giunzioni tra fibre muscolari adiacenti.
1. Un potenziale d’azione insorge nel nodo SA. Dal nodo SA, l’impulso si dirige al nodo AV
mediante le vie internodali, facenti parte del sistema di conduzione e che si diramano nelle
pareti degli atri. Il segnale si muove attraverso le vie internodali e contemporaneamente
diffonde anche attraverso la massa muscolare atriale mediante le vie interatriali.
2. L’impulso viene condotto alle cellule del nodo AV, che trasmettono i potenziali d’azione
meno velocemente delle altre cellule del sistema di conduzione, e come risultato, prima di
avanzare, viene momentaneamente ritardato di circa 0,1 secondi nell’attraversare il nodo
AV (ritardo nodale AV).
3. Dal nodo AV, l’impulso viaggia attraverso il fascio atrioventricolare, chiamato fascio di His,
un fascio compatto di fibre muscolari localizzato nel setto interventricolare. Il nodo AV ed il
fascio di His sono la sola connessione elettrica esistente tra gli atri ed i ventricoli, che per il
resto sono separati dallo scheletro fibroso.
4. Il segnale viaggia solo per un breve tratto attraverso il fascio atrioventricolare prima di
dividersi nei rami del fascio di destra e di sinistra, che conducono l’impulso,
rispettivamente, al ventricolo di destra e a quello di sinistra.
5. Dai due rami, l’impulso viaggia attraverso un’estesa rete di ramificazioni chiamate fibre del
Purknje, che diffondono attraverso il miocardio ventricolare in senso ascendente dall’apice
verso le valvole. Quindi, da queste fibre l’impulso si propaga attraverso le restanti cellule
miocardiche.
I polmoni sono strutture elastiche e tendono a ritornare nella loro posizione iniziale dopo essere
stati stirati. Una misura della facilità con la quale essi possono essere stirati è chiamata
complianza (distensibilità). La complianza polmonare è definita come il cambiamento di volume
polmonare determinato da una variazione nella pressione transpolmonare. La complianza
polmonare dipende dall’elasticità dei polmoni e dalla tensione superficiale del liquido che ricopre
gli alveoli. La tensione superficiale di un liquido è una misura del lavoro necessario ad aumentare
di una certa quantità la sua superficie. Maggiore è la tensione superficiale, maggiore lavoro è
necessario per stendere ulteriormente il liquido. La tensione superficiale nei polmoni è
determinata dall’interfaccia aria-liquido, formata dal sottile strato di liquido che ricopre la
superficie interna degli alveoli. All’espandersi del tessuto polmonare, si estende anche lo strato di
liquido che riveste gli alveoli. Quindi, nel momento in cui i polmoni si espandono, viene richiesto
del lavoro non solo per stirare il tessuto elastico, ma anche per aumentare la superficie dello
strato di liquido che riveste gli alveoli. La presenza di una sostanza simile ad un detergente,
chiamata sostanza tensioattiva polmonare o fattore surfattante, diminuisce la tensione
superficiale negli alveoli. Il tensioattivo polmonare è secreto dagli pneumociti di tipo 2, posti nelle
pareti degli alveoli. La tensione superficiale del liquido che ricopre gli alveoli è ridotta dall’azione
della sostanza tensioattiva polmonare, in quanto quest’ultima interferisce con i legami idrogeno
tra le molecole d’acqua. Di conseguenza, la sostanza tensioattiva aumenta la complianza
polmonare e diminuisce il lavoro espiratorio!
Volumi e capacità polmonari:
Utilizzando la tecnica della spirometria si possono misurare 3 dei 4 volumi polmonari che non si
sovrappongono; nel loro insieme, i 4 volumi costituiscono la capacità polmonare totale. Il volume
di aria che entra ed esce dai polmoni durante un singolo atto respiratorio non forzato è detto
volume corrente, che mediamente è pari a 0,5 L. Il volume di aria che può ancora essere inspirato
al termine di una normale inspirazione è chiamato volume di riserva inspiratoria ed è in media
circa 3 L. Il volume di aria che può essere ancora espirato al termine di una normale espirazione è
detto volume di riserva espiratoria ed è in media 1 L. Il volume di aria che rimane nei polmoni
dopo un’espirazione massimale è chiamato volume residuo e corrisponde a circa 1,2 L. Le
capacità polmonari derivano dalla somma di due o più volumi polmonari, descritti in precedenza.
La capacità inspiratoria è il volume massimo di aria che può essere inspirata alla fine di
un’espirazione tranquilla; è la somma del volume corrente e del volume di riserva inspiratoria e
corrisponde a 3,5 L. La capacità vitale è il volume massimo di aria che può essere espirata dopo
un’inspirazione massimale; è la somma del volume corrente, del volume di riserva inspiratoria e
del volume di riserva espiratoria e corrisponde a 4,5L. La capacità funzionale residua è il volume di
aria che rimane nei polmoni al termine di un’espirazione tranquilla; è costituita dal volume di
riserva espiratoria e dal volume residuo e corrisponde a 2,2 L. La capacità polmonare totale è il
volume d’aria presente nei polmoni al termine di un’inspirazione massimale; è la somma del
volume corrente, del volume di riserva inspiratoria, del volume di riserva espiratoria e del volume
residuo e corrisponde a 5,7 L.
CAPITOLO 17
IL SISTEMA RESPIRATORIO: LO SCAMBIO DEI GAS E LA REGOLAZIONE DEL RESPIRO
Le concentrazioni di O2 e CO2 nel sangue arterioso sistemico sono mantenute a livelli
relativamente costanti, in quanto l’O2 si muove dall’aria alveolare al sangue alla stessa velocità
con cui viene consumato dai tessuti, e la CO2 si muove dal sangue all’aria alveolare alla stessa
velocità con cui viene prodotta. Il rapporto tra la quantità di CO2 prodotta dall’organismo e la
quantità di O2 consumata viene chiamata quoziente respiratorio. In condizioni di riposo, l’O2
entra nei polmoni e la CO2 lascia gli alveoli attraverso il flusso d’aria che si verifica durante la
ventilazione. Il sangue deossigenato ritorna attraverso le vene sistemiche all’atrio destro del cuore
e da qui entra nel ventricolo destro, che lo pompa ai polmoni attraverso le arterie polmonari. Nei
capillari polmonari, l’O2 diffonde dagli alveoli al sangue e la CO2 diffonde in senso contrario. Il
sangue ossigenato lascia i polmoni e ritorna all’atrio sinistro attraverso le vene polmonari. Entra
quindi nel ventricolo sinistro, da cui viene pompato verso le cellule dell’organismo attraverso le
arterie sistemiche. Il sangue, ora deossigenato, ritorna all’atrio destro e il ciclo si ripete! Il
movimento di O2 e CO2 tra l’aria alveolare e il sangue si ottiene per diffusione e dipende dal
gradiente di concentrazione. L’O2 è maggiormente concentrato negli alveoli e perciò passa al
sangue, mentre la CO2 diffonde in senso contrario. La membrana respiratoria è costituita da 3
strati: (1) cellule epiteliali di tipo 1, nella parete alveolare (2) cellule endoteliali, nella parete dei
capillari e, tra queste, (3) le rispettive lamine basali. La membrana respiratoria fornisce una
superficie molto estesa ed estremamente sottile, che favorisce una grande velocità’ di diffusione
per l’O2 e la CO2 tra l’aria alveolare e il sangue.
Scambi di ossigeno e anidride carbonica:
Nelle miscele di gas, ciascun gas diffonde in base al suo gradiente di pressione parziale. Lo scambio
di O2 e CO2 tra l’aria alveolare e il sangue e tra il sangue e i tessuti sistemici avviene grazie al
medesimo meccanismo: ciascun gas diffonde in base al suo gradiente di pressione parziale.
Scambi gassosi nei polmoni:
Le pressioni parziali dei gas alveolari differiscono da quelle atmosferiche per 3 ragioni: (1) scambi
di gas intervengono continuamente tra l’aria alveolare e il sangue dei capillari, (2) in seguito ad
un’inspirazione, l’aria atmosferica fresca si mescola con l’aria ricca di CO2 e relativamente povera
di O2 che si trova nello spazio morto della zona di conduzione e (3) l’aria negli alveoli è satura di
vapore acqueo. La diffusione è un processo molto rapido che si completa nel tempo in cui il
sangue percorre circa 1\3 della lunghezza dei capillari (il sangue e l’aria alveolare sono in equilibrio
dopo 0,25 secondi. La rapidità dello scambio dei gas fornisce un margine di sicurezza alla
diffusione facendo sì che le pressioni parziali dei gas possano raggiungere l’equilibrio tra il sangue
capillare e l’aria alveolare anche nel caso in cui il sangue scorra ad una velocità fino a 3 volte
maggiore di quella normale, come succede, ad esempio, durante l’attività fisica intensa.
Scambi gassosi nei tessuti:
Il sangue ossigenato nei capillari polmonari ritorna all’atrio sinistro attraverso le vene polmonari.
Esso quindi fluisce nel ventricolo sinistro che lo pompa verso i capillari sistemici, dove ha luogo lo
scambio tra il sangue e le cellule del tessuto. Quando l’O2 e la CO2 diffondono in base al loro
gradiente di pressione parziale, l’O2 si muove dal sangue ai tessuti e la CO2 dai tessuti al sangue. Il
sangue venoso che proviene dai vari distretti ritorna all’atrio destro mescolandosi prima di essere
pompato dal ventricolo destro all’arteria polmonare. Quindi, il sangue dell’arteria polmonare è
chiamato sangue venoso misto.
Trasporto dell’ossigeno nel sangue:
Il trasporto di ossigeno nel sangue richiede una particolare caratteristica: il meccanismo di
trasporto deve essere prontamente reversibile, cosicché’ l’O2 che entra nel sangue attraverso i
polmoni venga rilasciato dal sangue in altri tessuti del corpo. L’emoglobina, una proteina
contenuta negli eritrociti, ha una particolare struttura che consente all’ossigeno di compiere
questa attività.
L’emoglobina è una proteina formata da 4 subunità, ciascuna delle quali contiene una globina
(catena polipeptidica globulare) e un gruppo eme, che contiene ferro. Ciascun gruppo eme è
capace di legare una molecola di ossigeno (O2). Il complesso emoglobina-O2 viene chiamato
ossiemoglobina; una molecola di emoglobina priva di O2 viene chiamata deossiemoglobina. Nei
polmoni, le molecole di O2 che si spostano dall’aria alveolare al sangue capillare si legano
all’emoglobina; quando il sangue raggiunge i tessuti, le molecole di O2 si dissociano
dall’emoglobina e diffondono nelle cellule. Il legame tra emoglobina e O2 deve essere reversibile
in modo sufficientemente forte da poter portare grandi quantità di O2 ai polmoni ma non così
forte da non poterlo rilasciare nei tessuti! Un’alta pressione parziale di O2 facilita il legame dell’O2
all’emoglobina, mentre una pressione parziale di O2 più bassa ne facilita il rilascio.
Curva di dissociazione dell’emoglobina:
La relazione tra la pressione parziale di O2 e la saturazione dell’emoglobina può essere riassunta
dal grafico della curva di dissociazione dell’emoglobina, che valuta la % di saturazione
dell’emoglobina in funzione della pressione parziale di O2. Il legame tra O2 ed emoglobina non è
rappresentato da una funzione lineare, ma da una funzione sigmoide (a forma di S), in quanto la
capacita dell’emoglobina di legarsi all’O2 dipende da quante molecole di O2 sono già legate ad
essa. Il legame di una molecola di O2 all’emoglobina aumenta l’affinità dell’emoglobina per l’O2 e
quindi aumenta la probabilità che altro O2 si leghi! A pressioni parziali molto basse, molte
molecole di emoglobina non hanno alcun ossigeno legato ad esse. In queste condizioni, l’affinità
dell’emoglobina per l’O2 è relativamente bassa e un dato aumento della pressione parziale porta
ad un piccolo aumento della % di saturazione. All’aumentare della pressione parziale, più molecole
di emoglobina legano almeno una molecola di O2, determinando un aumento dell’affinità
dell’emoglobina per altre molecole di O2. A valori più alti di 60 mmHg, la pendenza della curva
diminuisce in quanto, all’aumentare della saturazione, è disponibile un minor numero di siti di
legame. Ad un valere superiore a 80 mmHg, la curva diventa pressoché piatta. La pressione
parziale di O2 nelle arterie sistemiche è circa 100 mmHg e l’emoglobina risulta satura al 98%. Nelle
vene sistemiche, la pressione parziale di O2 è di circa 40 mmHg e l’emoglobina è satura al 75%.
Quindi, a riposo, i tessuti prelevano solo il 25% dell’O2 trasportato dal sangue, lasciando una
grande riserva di O2 nel caso in cui la richiesta dovesse aumentare.
Altri fattori che influenzano l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno:
Esistono per lo meno altri 4 fattori che possono influenzare l’affinità dell’emoglobina per l’O2:
1) Temperatura: la temperatura altera la struttura tridimensionale dell’emoglobina.
All’aumentare del metabolismo nei tessuti, aumenta anche la temperatura, diminuendo
l’affinità dell’emoglobina per l’O2. Come risultato, più O2 è rilasciato ai tessuti molto attivi.
2) pH: l’effetto del pH sulla curva di dissociazione dell’emoglobina è conosciuto come effetto
Bohr ed è basato sul fatto che, quando l’O2 si lega all’emoglobina, alcuni amminoacidi della
proteina rilasciano ioni H+. Quindi la di diminuzione del pH determina il rilascio di qualche
molecola di O2 da parte dell’emoglobina, anche nel caso in cui la pressione parziale di O2
rimanga costante! Gli ioni H+, legandosi all’emoglobina, diminuiscono l’affinità di
quest’ultima per l’O2, che viene rilasciato.
3) Pressione parziale di CO2: la pressione parziale di CO2 influenza l’affinità dell’emoglobina
per l’O2 in quanto la CO2 reagisce in modo reversibile con certi gruppi amminici
dell’emoglobina per formare la carbamminoemoglobina (HbCO2). In questo caso si verifica
l’effetto carbamminico, dove l’affinità dell’emoglobina per l’O2 diminuisce poiché ne viene
alterata la conformazione. Il legame della CO2 all’emoglobina costituisce anche uno dei
meccanismi con i quali la CO2 viene trasportata nel sangue.
4) 2,3-DPG: Il 2,3-bisfosfoglicerato, è un composto prodotto negli eritrociti come intermedio
della glicolisi. Quando l’ossiemoglobina è presente ad alte concentrazioni, essa inibisce
l’enzima che forma il 2,3-DPG e quindi i livelli di quest’ultimo divengono bassi ed ha poco
effetto sull’affinità dell’emoglobina. Però se i livelli di ossiemoglobina sono bassi, allora
interviene la sintesi del 2,3-DPG, che provoca una diminuzione dell’affinità dell’emoglobina
per l’O2. Ciò incrementa il rilascio di O2 nei tessuti che ne hanno bisogno.
Regolazione centrale della ventilazione:
Controllo nervoso della respirazione da parte dei motoneuroni:
I muscoli respiratori sono muscoli scheletrici che si contraggono in seguito a impulsi nervosi
provenienti dai motoneuroni somatici. Il nervo frenico innerva il diaframma, mentre i nervi
intercostali interni ed esterni innervano i rispettivi muscoli intercostali. Durante la respirazione
tranquilla, le scariche dei potenziali d’azione si verificano solo nei motoneuroni inspiratori che
avviano la contrazione. Durante la respirazione forzata, le scariche dei potenziali d’azione nei
motoneuroni inspiratori intervengono in modo sfasato rispetto a quelle che si verificano nei
motoneuroni espiratori. I segnali nervosi che controllano le contrazioni cicliche dei muscoli
respiratori sono generati da centri respiratori situati nel tronco encefalico.
Genesi del ritmo respiratorio nel tronco encefalico:
La respirazione è sotto il controllo sia volontario che involontario. I centri respiratori sono
localizzati nel ponte e nel bulbo del tronco encefalico. In queste regioni due classi di neuroni, i
neuroni inspiratori e i neuroni espiratori, generano potenziali d’azione rispettivamente durante
l’inspirazione e l’espirazione.
Due centri respiratori sono localizzati in ciascun lato del bulbo, detto anche midollo allungato: uno
più ventrale detto gruppo respiratorio ventrale (VRG) ed uno più dorsale detto gruppo
respiratorio dorsale (DRG). Il VRG contiene due regioni di neuroni espiratori ed una regione di
neuroni inspiratori. I neuroni inspiratori sono caratterizzati da un aumento a rampa della loro
attività durante l’inspirazione: la frequenza dei potenziali d’azione è bassa all’inizio
dell’inspirazione e cresce lentamente finché raggiunge il massimo picco dell’inspirazione, quando i
potenziali d’azione terminano bruscamente ed ha luogo l’espirazione. Il DRG contiene
principalmente neuroni inspiratori, con un modello di attività più complesso dei neuroni
inspiratori del VRG in quanto la loro scarica dipende dal grado di stiramento dei polmoni. I neuroni
inspiratori del VRG e del DRG controllano i motoneuroni che originano dai segmenti cervicali del
midollo spinale e innervano i muscoli inspiratori. I neuroni inspiratori del VRG e del DRG stimolano
i motoneuroni del nervo frenico e dei nervi intercostali esterni, causando quindi la contrazione dei
muscoli inspiratori.
Il centro respiratorio del ponte, detto gruppo respiratorio pontino (PRG), contiene neuroni
inspiratori, espiratori e neuroni misti, che hanno un’attività correlata sia all’inspirazione che
all’espirazione. Il PRG potrebbe facilitare la transizione dall’inspirazione all’espirazione.
Abbiamo visto che i neuroni inspiratori del bulbo controllano i motoneuroni dei muscoli inspiratori
e che questi neuroni generano potenziali d’azione durante l’inspirazione ma non durante
l’espirazione. La sorgente di questo ciclo di attività viene chiamata generatore centrale di pattern
(CPG), che è una rete di neuroni che genera una serie ripetuta e regolare di segnali di attività
nervosa chiamata ritmo respiratorio. Alcuni neuroni del CPG hanno un’attività ritmica
(pacemaker), ossia si depolarizzano spontaneamente generando ciclicamente potenziali d’azione
in modo simile a quanto fanno le cellule pacemaker del cuore.
Segnali periferici ai centri respiratori:
Molti tipi di input sensoriali possono alterare la respirazione, in seguito ad una comunicazione
indiretta con il generatore centrale di pattern (CPG). Particolarmente importanti a questo riguardo
sono i segnali provenienti dai chemocettori centrali e periferici: cellule recettoriali sensibili agli
timoli chimici, localizzati nell’encefalo e nelle arterie sistemiche. Questi chemocettori controllano
la composizione del liquido cerebrospinale e del sangue arterioso e sono principalmente
responsabili della regolazione della ventilazione in condizioni di riposo.
Controllo della ventilazione da parte dei chemocettori:
Le variazioni nelle concentrazioni chimiche dei gas nel sangue sono percepite dai chemocettori
localizzati nelle principali arterie e nell’encefalo, che inviano segnali ai centri respiratori attraverso
neuroni afferenti.
I chemocettori:
I chemocettori sono coinvolti nel controllo delle pressioni parziali di O2 e CO2 nel sangue arterioso
ed inviano tali informazioni ai centri respiratori in modo tale che essi possano regolare la
ventilazione in risposta ai cambiamenti di queste variabili. I chemocettori coinvolti nel controllo
respiratorio sono classificati come periferici o centrali, a seconda della loro localizzazione. I
chemocettori periferici si trovano nei glomi carotidei vicino al seno carotideo; altri chemocettori
periferici, detti glomi aortici, si trovano nell’arco aortico e regolano la respirazione in molte specie
animali, meno nell’uomo. I chemocettori centrali si trovano nel bulbo. I chemocettori periferici
sono cellule sensoriali specializzate, in contatto diretto con il sangue arterioso e comunicano con i
neuroni afferenti che proiettano ai centri respiratori bulbari (tramite la secrezione di messaggeri
chimici). I chemocettori periferici rispondono alle pressioni parziali di O2 e di CO2 arteriosa o alle
variazioni del pH sanguigno. I chemocettori centrali sono neuroni bulbari che rispondono
direttamente ai cambiamenti della concentrazione idrogenionica nel liquido cerebrospinale che
circonda il bulbo.
CAPITOLO 18
IL SISTEMA URINARIO: LA FUNZIONE RENALE
Riassorbimento:
Si definisce riassorbimento il movimento di soluti filtrati e di acqua dal lume tubulare verso il
plasma. Tutte le sostanze filtrate dai capillari glomerulari viene riassorbito dai tubuli renali. Il
riassorbimento di alcune sostanze è regolato in funzione della loro velocità di escrezione, che a sua
volta regola la concentrazione di queste sostanze nel plasma.
Concetto di bilancio:
Per mantenere l’omeostasi, l’organismo deve essere mantenuto in equilibrio. Essere in equilibrio
significa che ciò che entra nel corpo e ciò che è prodotto dal corpo deve essere uguale alla somma
di ciò che è usato dal corpo e io che è eliminato dal corpo, come mostrato dall’equazione:
assunzione + produzione = utilizzo + eliminazione
I reni giocano un ruolo importante nel regolare il bilancio idrico ed elettrolitico e l’equilibrio acido-
base.
Fattori che influenzano la composizione del plasma:
I reni esercitano un controllo sul volume e la composizione del plasma mediante la regolazione del
suo contenuto in acqua e soluti. Il volume e la composizione dipendono l’uno dall’altro e devono
essere mantenuti all’interno di un ambito ristretto di valori. Il volume del plasma è determinato
quasi interamente dal suo contenuto d’acqua, poiché i soluti contribuiscono in maniera
trascurabile al volume plasmatico. Tuttavia, la quantità di soluto presente nel plasma influenza
indirettamente il volume, poiché cambiamenti nell’osmolarità plasmatica possono provocare
movimenti dell’acqua tra il plasma e gli altri compartimenti liquidi dell’organismo. Il volume
plasmatico ha un’influenza fondamentale nell’omeostasi perché è direttamente collegato alla
pressione arteriosa media. Il plasma può cedere o ricevere sostanze mediante scambi con le
cellule o con il tessuto connettivo extracellulare, come la matrice del tessuto osseo. Ad esempio,
quando l’osso viene riassorbito, il Ca2+ e i fosfati sono rilasciati nel plasma. Il rilascio innalza la loro
concentrazione, viceversa la deposizione di Ca2+ e fosfati nell’osso abbassa la loro concentrazione
plasmatica. Il plasma può: (1) ottenere o perdere materiali mediante scambi con il lume
gastrointestinale, (2) ottenere o perdere sostanze mediante scambi con il lume dei tubuli renali e
(3) perdere materiali attraverso la sudorazione, un’emorragia o la respirazione. I soluti e l’acqua
vengono assorbiti nel plasma dal tratto gastrointestinale, ma possono anche spostarsi nel lume del
tratto sotto forma di saliva, bile, succo pancreatico ed altre secrezioni gastrointestinali. Il tratto
gastrointestinale è in grado di recuperare il 100% di tutti i materiali secreti così come quelli che
entrano nel tratto attraverso l’ingestione (mangiando o bevendo). La velocità alla quale i soluti e
l’acqua vengono rimossi dal sistema digerente è molto minore della velocità alla quale tali
sostanze vengono rimosse tramite l’escrezione dell’urina attraverso i reni. Di conseguenza, il
trasporto di sostanze attraverso le pareti del sistema digerente si traduce normalmente in un
guadagno netto di soluti ed acqua per l’organismo. I piccoli soluti e l’acqua i muovono dal plasma
al lume dei tubuli renali mediante la filtrazione glomerulare e la secrezione. I soluti e l’acqua
possono ritornare al plasma dai tubuli renali attraverso il riassorbimento. Poiché non tutte le
sostanze vengono riassorbite, il trasporto di sostanze attraverso le pareti dei tubuli renali si
traduce in una perdita netta di soluti ed acqua per l’organismo. Questa perdita di sostanze avviene
attraverso l’escrezione nell’urina.
Soluti e bilancio idrico:
Quando i soluti e l’acqua entrano ed escono dal plasma con la medesima velocità, la composizione
e il volume plasmatici non cambiano e si dice che il sistema è in equilibrio. Cambiamenti nel
volume e\o nella composizione avvengono quando i prodotti entrano nel plasma più velocemente
di quanto escano o viceversa. Quando una sostanza entra nell’organismo più velocemente di
quanto non venga espulsa, si dice che è in uno stato di bilancio positivo; in tali condizioni, la
quantità di sostanza presente nel plasma tende ad aumentare, a meno che non penetri all’interno
delle cellule o venga metabolizzata dall’organismo. Se una sostanza è eliminata dal corpo più
velocemente di quanto entri, la sostanza si trova in uno stato di bilancio negativo; in queste
condizioni la quantità di tale sostanza nel plasma tenderà a diminuire. Quando ci si alimenta con
un pasto contenente glucosio, l’organismo entra in uno stato di bilancio positivo per il glucosio. Il
riassorbimento di glucosio dal lume gastrointestinale provoca un aumento del livello di glucosio
plasmatico, ma questo aumento è transitorio poiché è controllato dalla secrezione di insulina e da
altre modificazioni ormonali. L’insulina causa un aumento della capacità cellulare di assumere
glucosio che, combinato con altre regolazioni ormonali, rapidamente abbassa la concentrazione di
glucosio nel plasma provocando un eventuale ritorno alla normalità. Una volta che il glucosio è
entrato nelle cellule, è catabolizzato per produrre energia o convertito in glicogeno o in grassi per
fungere da riserva. Abbiamo già detto che i reni filtrano 180 L di plasma al giorno. Circa il 70%
dell’acqua e del Na+ filtrati sono riassorbiti dal tubulo prossimale in assenza di specifici
meccanismi di regolazione. Tuttavia l’organismo è in grado di modulare il residuo di acqua e Na+
filtrati variando la quantità escreta o trattenuta basandosi sulle richieste dell’organismo allo scopo
di mantenere l’equilibrio. Inoltre, i reni hanno la funzione di regolare i livelli plasmatici di K+ e
Ca2+ e l’equilibrio acido-base. Queste regolazioni avvengono principalmente nella parte terminale
del tubulo distale e nel dotto collettore. Due tipi di cellule epiteliali rivestono questi tubuli: le
cellule principali e le cellule intercalate. Il bilancio idrico ed elettrolitico è regolato attraverso
azioni ormonali sulle cellule principali, mentre l’equilibrio acido-base è regolato per mezzo di
processi che avvengono sulle cellule intercalate.
Riassorbimento di acqua nel tubulo prossimale:
Poiché il soluto più importante nel liquido extracellulare è Na+ e la maggior parte di Na+ filtrato è
riassorbito nel tubulo prossimale, esso è il soluto principalmente responsabile della generazione
del gradiente osmotico che guida il riassorbimento dell’acqua. Il riassorbimento di Na+ è sempre
causato dal suo trasporto attivo attraverso la membrana basolaterale dalle cellule epiteliali
tubulari nel liquido peritubulare, da dove può diffondere nel plasma dei capillari peritubulari.
L’Na+ attraversa la membrana apicale grazie a tutta una serie di meccanismi, incluso il trasporto
attivo secondario durante il quale il movimento di Na+ è accoppiato al movimento di altre
molecole (come il glucosio). Il riassorbimento di acqua si realizza grazie all’osmosi. Il
riassorbimento attivo di Na+ e di altri soluti nel tubulo prossimale crea un gradiente osmotico e fa
sì che l’acqua segua i soluti. Quindi il liquido nel tubulo prossimale è isoosmotico con il liquido
interstiziale della corticale renale, entrambi hanno un’osmolarità di 300 mOsm. Poiché il
riassorbimento dell’acqua crea un gradiente di concentrazione osmotico ciò consente la
permeabilità di soluti come l’urea che si muovono dal liquido tubulare al plasma dei capillari
peritubulari, il movimento di permeabilità dei soluti segue il riassorbimento dell’acqua.
Ruolo del gradiente osmotico midollare:
All’interno del liquido interstiziale della midollare renale è presente il gradiente osmotico
midollare; le regioni esterne della midollare renale hanno un’osmolarità più bassa delle regioni
interne. L’osmolarità varia da 300 mOsm della parte superiore della midollare a 1200-1400 mOsm
della porzione profonda nei pressi delle pelvi renali. Questo gradiente, che è indispensabile per il
riassorbimento dell’acqua dal dotto collettore, esiste per la presenza di un meccanismo conosciuto
come moltiplicazione controcorrente e per la presenza di una diffusione facilitata di urea dal lume
dei dotti collettori al liquido interstiziale midollare.
Moltiplicazione controcorrente:
Le proprietà delle diverse regioni dell’ansa di Henle nei nefroni juxtamidollari sono critiche per la
moltiplicazione controcorrente e per instaurare il gradiente osmotico midollare renale. Il tratto
discendente è così permeabile all’acqua che essa diffonde dal tubulo sotto l’influenza del
gradiente osmotico. Il tratto ascendente spesso, al contrario, è impermeabile all’acqua e presenta
meccanismi di cotrasporto per Na+\K+\Cl- assenti nel tratto ascendente. Il termine controcorrente
si riferisce al fatto che il liquido che fluisce da un capo all’altro dei tratti discendenti ed ascendenti
che sono paralleli l’uno all’altro, si muove in direzioni opposte! Il meccanismo di moltiplicazione
controcorrente crea il gradiente osmotico midollare:
1. Il gradiente osmotico è assente lungo i tubuli o nel liquido interstiziale midollare. Il liquido
che entra nel tratto discendente dal tubulo contorto prossimale è isoosmotico con il liquido
interstiziale a 300 mOsm. Il liquido nel tubulo prossimale è isoosmotico poiché l’acqua può
liberamente passare attraverso le pareti del tubulo ed essere inoltre riassorbita assieme ai
soluti. Quando il liquido fluisce verso il basso nel tratto discendente, non si verifica un
flusso netto di acqua attraverso la parete perché non si crea un gradiente osmotico. Non
appena il liquido inizia a scorrere lungo il tratto ascendente dell’ansa di Henle, Na+, K+ e Cl-
sono attivamente trasportati dal tubulo al liquido interstiziale midollare.
2. L’osmolarità del liquido interstiziale aumenta da 300 mOsm a 400 mOsm e l’osmolarità del
liquido nel tratto ascendente si riduce a 200 mOsm. Quando l’osmolarità del liquido
peritubulare aumenta, l’acqua si sposta dal tratto discendente al liquido peritubulare fino a
che i due comparti raggiungono un’osmolarità di circa 400 mOsm. Questo crea una
differenza di osmolarità tra il liquido del tratto discendente ed il liquido del tratto
ascendente, quest’ultimo avente il valore più basso di osmolarità (200 mOsm rispetto i 400
mOsm).
3. L’ingresso di ulteriore liquido, con osmolarità di 300 mOsm, che fluisce dal tubulo
prossimale dell’ansa di Henle fa avanzare lungo il tubulo il liquido iperosmotico già
presente verso la porzione più profonda della midollare.
4. Il trasporto attivo di Na+, K+ e Cl- nel tratto ascendente innalza l’osmolarità della parte più
profonda del liquido interstiziale midollare che sale da 400 mOsm a 500 mOsm e ciò
provoca il movimento dell’acqua dal tratto discendente al liquido interstiziale midollare.
L’ingresso di ulteriore liquido a 300 mOsm nell’ansa di Henle dal tubulo prossimale spinge il
liquido ad osmolarità più alta verso l’apice dell’ansa di Henle.
5. Questo processo continua fino a che non si crea un gradiente osmotico nella midollare e il
sistema non raggiunge lo stato stazionario.
Allo stato stazionario, il liquido che entra nell’ansa di Henle dal tubulo prossimale è isoosmotico
con il liquido extracellulare a 300 mOsm; mentre l’osmolarità del liquido tubulare nei due tratti
dell’ansa di Henle è più alta nella porzione più profonda della midollare renale. All’apice dell’ansa
di Henle l’osmolarità del liquido tubulare è di circa 1400 mOsm. È da notare che ad ogni dato
livello della midollare l’osmolarità del liquido nel tratto ascendente è sempre più bassa
dell’osmolarità del liquido nel tratto discendente perché nel tratto ascendente i soluti vengono
trasportati attivamente verso l’esterno dal liquido tubulare, mentre per l’acqua questo processo
non si verifica! Quando il liquido lascia l’ansa di Henle ed entra nel tubulo distale esso è
iposmotico rispetto al liquido extracellulare ed ha un’osmolarità di circa 100-200 mOsm.
La moltiplicazione controcorrente stabilisce il gradiente osmotico, ma per il mantenimento di tale
gradiente è necessario un soluto aggiuntivo: l’urea. L’urea è un prodotto di scarto generato dal
catabolismo delle proteine (ciclo dell’urea). Nonostante l’urea possa attraversare liberamente la
maggior parte delle membrane cellulari e pertanto tenda a distribuirsi con la stessa
concentrazione tra di loro, nel dotto collettore è attivamente trasportata fuori dai tubuli nel
liquido peritubulare, e contribuisce circa per il 40% al gradiente osmotico della midollare renale!
Ruolo del gradiente osmotico midollare nel riassorbimento dell’acqua nel tubulo distale e nel
dotto collettore:
Ricordiamo che il 70% dell’acqua filtrata dal plasma al corpuscolo renale è riassorbita nel tubulo
prossimale. Circa il 20% dell’acqua filtrata è riassorbita nel tubulo distale e il rimanente 10% viene
riassorbito nei dotti collettori. Nella porzione iniziale del tubulo distale, il liquido interno (100-200
mOsm) è iposmotico rispetto al liquido peritubulare (300 mOsm). Appena il liquido procede nel
dotto collettore, l’osmolarità del liquido interno è sempre inferiore rispetto all’aumento
dell’osmolarità del liquido interstiziale della midollare, quindi aumentando la forza osmotica
l’acqua si sposta dal lume del dotto collettore al liquido interstiziale della midollare e da lì al
plasma quando la parete del dotto collettore è permeabile all’acqua: questo vuol dire che l’acqua
viene riassorbita!
Le cellule epiteliali che rivestono la porzione terminale dei tubuli distali e i dotti collettori sono
connesse tra loro da giunzioni strette (tite junction), per cui l’acqua non può passare fra le cellule
dal liquido peritubulare al liquido tubulare, e viceversa. Inoltre la loro membrana citoplasmatica è
impermeabile all’acqua. La possibilità dell’acqua di superare la membrana citoplasmatica (e quindi
anche lo strato epiteliale) dipende dalla presenza di pori o canali per l’acqua, chiamati
acquaporine, nella membrana delle cellule principali. Mentre l’acquaporina-3 è costantemente
presente sulla membrana basolaterale delle cellule principali, l’acquaporina-2 si trova sulla
membrana apicale solo in presenza dell’ADH (ormone antidiuretico). Il rene può conservare
l’acqua, quando l’ultima parte del tubulo distale e il dotto collettore diventano molto permeabili
ad essa. Nella prima porzione del dotto collettore il liquido tubulare è inizialmente iposmotico
rispetto al liquido interstiziale della corticale e l’acqua viene riassorbita. Nel punto in cui il dotto
collettore inizia il suo percorso verso la midollare, il liquido tubulare è isoosmotico con il liquido
interstiziale a 300 mOsm. Man mano che il liquido tubulare procede nel dotto collettore, l’acqua
continua ad essere riassorbita dal dotto collettore allo spazio interstiziale midollare in modo tale
che il liquido nel dotto collettore rimanga sempre quasi isoosmotico al liquido interstiziale
midollare; quindi il liquido raggiunge un’osmolarità di 1400 mOsm alla fine del dotto collettore.
L’osmolarità del liquido tubulare non potrà mai superare l’osmolarità del liquido interstiziale
midollare perché l’acqua smetterà di passare attraverso le pareti una volta che l’osmolarità
all’interno del tubulo diventa uguale a quella che si trova al di fuori del tubulo. Quindi, la massima
osmolarità dell’urina è 1400 mOsm. Siccome questi soluti, che non vengono riassorbiti al 100%,
devono essere escreti nell’urina e poiché vi è un limite superiore all’osmolarità dell’urina, un
volume minimo di acqua deve essere escreto per eliminare i soluti. Questo volume è detto perdita
d’acqua obbligatoria, che è circa di 440 mL di acqua al giorno. La lunghezza dell’ansa di Henle
determina la concentrazione massima di urina. Un’ansa di Henle più lunga può formare un
gradiente di osmolarità midollare maggiore attraverso il meccanismo di moltiplicazione
controcorrente e con ciò permette un riassorbimento di acqua maggiore. I cammelli hanno
un’ansa di Henle più lunga rispetto agli esseri umani e possono generare urina concentrata di 2800
mOsm. I canguri australiani hanno l’ansa di Henle più lunga di ogni altra specie e possono
concentrare l’urina fino a 9800 mOsm! Proprio per la loro grande capacita di conservare l’urina, i
canguri sono soggetti a piccolissime perdite di acqua obbligatorie e possono sopravvivere bevendo
quantità d’acqua molto ridotte.
Nei reni, il K+ liberamente filtrato nel glomerulo è sottoposto sia al riassorbimento che alla
secrezione nei tubuli. La maggior parte del K+ filtrato viene riassorbito. La concentrazione
plasmatica di K+ viene regolata dalla variazione di quantità che è secreta nei tubuli renali. Come
per Na+, il movimento degli ioni K+ varia entro i tubuli renali. Gli ioni K+ sono riassorbiti nel tubulo
prossimale e secreti nel tubulo distale e nel dotto collettore; la secrezione è regolata. Nel tubulo
prossimale il K+ è riassorbito con i seguenti meccanismi: lo ione K+ si sposta dal liquido
peritubulare alle cellule epiteliali tubulari per mezzo della pompa Na+\K+ collocata sulla
membrana basolaterale. La maggior parte del K+ che entra nelle cellule epiteliali tubulari si muove
verso il liquido peritubulare e quindi nel plasma. Nelle cellule principali del tratto terminale del
tubulo distale e del dotto collettore il K+ viene secreto mediante il seguente meccanismo: come
avviene nel tubulo prossimale, gli ioni K+ passano dal liquido peritubulare alle cellule epiteliali per
mezzo della pompa Na+\K+ posta sulla membrana basolaterale.
La secrezione del K+ è regolata dall’aldosterone. L’aldosterone induce sia un aumento delle pompe
Na+\K+ sulla membrana basolaterale delle cellule principali del tratto terminale del tubo distale e
del dotto collettore, sia un aumento del numero dei canali del K+ sulla membrana apicale.
L’aumento delle pompe Na+\K+ causa un maggiore aumento del K+ nelle cellule epiteliali,
provocando una maggiore escrezione di K+ nell’urina. Alte concentrazioni plasmatiche di K+
stimolano direttamente la secrezione di aldosterone mediante l’attivazione delle cellule secretorie
della corticale del surrene. Il rilascio di aldosterone quindi incrementa la secrezione di K+,
riportando i livelli plasmatici di K+ verso la normalità.
Bilancio del calcio:
Un aumento della concentrazione plasmatica del Ca2+ è detto ipercalcemia e comporta
diminuzione della forza e atrofia muscolare, letargia, modificazioni comportamentali,
ipertensione, costipazione e nausea. Una diminuzione della concentrazione plasmatica di Ca2+ è
detta ipocalcemia e comporta sensazione di stordimento, spasmi e crampi muscolari, iperflessia e
ipotensione. La concentrazione plasmatica di Ca2+ è regolata dall’interazione di diversi organi
quali i reni, l’apparato digerente, le ossa e la cute. Anche se il 99% del Ca2+ si trova nelle ossa,
esso non è legato in modo permanente! Le ossa fungono da riserva di Ca2+.
Il Ca2+ viene trasportato nel sangue sia legato a carrier che libero nel plasma. Il Ca2+ libero nel
plasma viene filtrato liberamente dal glomerulo. Il 99% del Ca2+ filtrato viene riassorbito nel
liquido tubulare durante il passaggio lungo i tubuli renali. Circa il 70 % del Ca2+ filtrato viene
riassorbito nei tubuli prossimali, il 20% nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle e il 10% nei
tubuli distali. Il riassorbimento nell’ansa di Henle e nei tubuli distali è regolato da ormoni.
Molti ormoni regolano la concentrazione plasmatica di Ca2+, quali il PTH (paratormone), il
calcitriolo e la calcitonina. Il PTH è il principale regolatore dei livelli plasmatici di Ca2+: si tratta di
un ormone peptidico prodotto dalle ghiandole paratiroidi e secreto in risposta alla diminuzione di
Ca2+ plasmatico. Il PTH: (1) stimola il riassorbimento di Ca2+ nel tratto ascendente dell’ansa di
Henle nei tubuli distali; (2) stimola l’attivazione nei reni del calcitriolo il quale stimola
l’assorbimento del Ca2+ nel sistema digerente e il suo riassorbimento nei reni; (3) stimola il
riassorbimento dalle ossa, aumentando la concentrazione di Ca2+ plasmatico. Il PTH inoltre causa
direttamente un piccolo incremento dell’assorbimento di Ca2+ nel tratto digerente. Il calcitriolo è
la forma attiva della vitamina D3 (1,25-diidrossicolecalciferolo) ed è un ormone steroideo che
interviene nell’aumentare i livelli di Ca2+ plasmatico mediante la stimolazione dell’assorbimento
dal tratto digerente e il riassorbimento nei tubuli distali dei reni. La calcitonina, al contrario del
PTH e del calcitriolo, riduce la concentrazione plasmatica di Ca2+. Si tratta di un ormone peptidico
secreto dalle cellule C della ghiandola tiroide, diverse da quelle che secernono l’ormone tiroideo.
Nonostante l’azione primaria della calcitonina sia quella di aumentare la formazione del tessuto
osseo mediante il deposito di Ca2+, essa provoca anche la diminuzione del riassorbimento di Ca2+
da parte dei reni, il che comporta un aumento dell’escrezione del Ca2+ urinario.
Generalmente, il calore viene dissipato mediante 4 meccanismi: (1) irraggiamento, (2) conduzione,
(3) evaporazione e (4) convezione. Nell’irraggiamento, l’energia termica viene trasferita dal corpo
all’ambiente sotto forma di onde elettromagnetiche. La conduzione è il trasferimento di energia
termica tra oggetti che sono a diretto contatto. Nel processo di evaporazione, un oggetto perde
calore attraverso l’evaporazione di acqua dalla sua superficie: l’acqua evapora dalla pelle,
dall’epitelio delle vie aeree e da altre superfici umide. Questa continua perdita d’acqua dal nostro
corpo avviene senza accorgersene, da qui il nome perspiratio insensibilis. Il corpo perde acqua
anche attraverso l’evaporazione di sudore, una soluzione contenente elettroliti secreta da
numerose ghiandole sudoripare presenti nella pelle. La convezione, ovvero il trasferimento di
calore causato da un gas o da un liquido in movimento, contribuisce alla perdita di calore che si
verifica durante una giornata ventosa.
Regolazione della temperatura corporea:
Quando la temperatura ambientale supera la zona termica neutra, la vasodilatazione cutanea non
è sufficiente per riportare la temperatura corporea verso i valori normali. In particolare,
l’organismo produce sudore per disperdere calore mediante l’evaporazione del sudore stesso. Una
persona possiede nella pelle circa 2,5 milioni di ghiandole sudoripare. Le ghiandole sudoripare si
possono distinguere in 2 tipi: (1) ghiandole eccrine, che si trovano in tutto il corpo ma soprattutto
fronte, mani e piedi e (2) ghiandole apocrine, presenti nella zona ascellare e nella regione ano-
genitale. Le ghiandole eccrine si aprono in pori situati sulla superficie della pelle, mentre le
ghiandole apocrine si aprono nel follicolo pilifero attraverso un dotto al di sopra del dotto
sebaceo. La quantità di sudore prodotto da entrambe le ghiandole dipende dalla temperatura
corporea e dal livello di attività del SN simpatico. Le ghiandole sudoripare eccrine producono una
secrezione primaria di acqua, Na+, Cl- e piccole quantità di K+. Il SN simpatico controlla la velocità
di produzione del sudore. Quando l’attività del SN simpatico aumenta (a causa di un ambiente
caldo o durante la risposta lotta o fuggi) la produzione di sudore aumenta. L’innervazione del SN
simpatico alle ghiandole sudoripare è atipica, poiché i neuroni post-gangliari simpatici secernono
acetilcolina, invece di noradrenalina. Le ghiandole sudoripare apocrine producono sudore in modo
simile alle ghiandole eccrine, sebbene siano presenti anche proteine e acidi grassi. Le proteine e gli
acidi grassi sono utilizzati come nutrimento dai batteri, i quali proliferano. La crescita dei batteri e
la loro produzione di sostanze di scarto generano l’odore associato al sudore escreto nelle zone
ascellari e genitali.
Alterazioni del set point ipotalamico della termoregolazione: la febbre
Nel corso di un’infezione, specifici globuli bianchi producono citochine che fungono da pirogeni,
sostanze chimiche che causano la febbre. Questa è una normale risposta del sistema immunitario,
che promuove diverse risposte immunitarie volte a combattere l’infezione. Così la febbre in realtà
è considerata vantaggiosa perché aumenta la capacità dell’organismo di difendersi. I pirogeni
causano la febbre agendo sul centro della termoregolazione. Infatti, modificano la temperatura di
riferimento ipotalamica spostandola a livelli superiori. L’organismo risponde aumentando la
produzione di calore e riducendo al minimo la perdita di calore. Perciò una persona con
un’infezione tende ad appare pallida (a causa del ridotto afflusso di sangue alla pelle) e ha i brividi.
La persona può anche sentire freddo nonostante sia sufficientemente riscaldata perché i segnali
nervosi possono essere contraddittori.
Regolazione ormonale della crescita:
Accrescimento corporeo:
Durante i primi due anni di vita gli esseri umani aumentano notevolmente in altezza e peso
corporeo, secondo un fenomeno detto scatto di crescita post-natale. Dopo i due anni, la crescita
continua a velocità inferiore fino all’inizio dell’adolescenza (11 anni nelle femmine e 13 anni per i
maschi), quando inizia un altro periodo di rapida crescita detto scatto di crescita puberale. Intorno
ai 19 anni la crescita si conclude: è stata raggiunta la statura adulta. La crescita è regolata
prevalentemente dagli ormoni, ma è influenzata anche dal corredo genetico dell’individuo, dalla
dieta e da altri fattori quali malattie e stress. Molte delle variazioni che si hanno durante la crescita
sono date dal GH (ormone della crescita), ormone peptidico secreto dall’adenoipofisi. Altri ormoni
essenziali per la crescita sono l’insulina, gli ormoni tiroidei e gli ormoni sessuali. Inoltre la crescita
di vari organi e tessuti è influenzata da numerosi fattori di crescita e fattori inibenti la crescita. La
NGF (neurotrofina), ad esempio, favorisce l’allungamento e la proliferazione degli assoni e dei
dendriti dei neuroni.
Glucocorticoidi:
Alle concentrazioni plasmatiche normali i glucocorticoidi, ormoni steroidei secreti dalla ghiandola
surrenale, svolgono numerose funzioni essenziali per l’organismo. A concentrazioni elevate essi
giocano un ruolo fondamentale nell’adattamento dell’organismo allo stress.
Quando un maschio non è sessualmente eccitato, solo una piccola quantità di sangue si trova nel
tessuto erettile e quindi il pene è flaccido. La stimolazione meccanica del pene o impulsi
discendenti dall’encefalo agiscono sugli interneuroni del midollo spinale che inducono
cambiamenti dell’attività dei neuroni simpatici e parasimpatici che si proiettano alle arteriole che
portano il sangue al tessuto erettile del pene. Il risultato della combinazione della diminuzione
dell’attività simpatica e dell’aumento dell’attività parasimpatica è la vasodilatazione arteriosa, che
aumenta il flusso sanguigno nel tessuto erettile. Quanto più sangue si accumula, tanto più esso
comprime le vene, portando ad ulteriore accumulo; si verifica quindi un feedback positivo che
promuove l’espansione del tessuto erettile.
Eiaculazione:
Man mano che la stimolazione meccanica del pene aumenta, in correlazione a stimoli psicologici,
si verifica una riduzione del controllo parasimpatico del pene ed un aumento di quello simpatico
del tratto riproduttivo e delle ghiandole accessorie che determina l’eiaculazione. L’eiaculazione,
così come l’erezione, è controllata da un riflesso spinale, ma in questo caso il riflesso causa un
aumento dell’attività dei neuroni simpatici. Questa attività simpatica induce intense contrazioni
dell’epididimo, del vaso deferente e dei dotti eiaculatori e stimola inoltre la secrezione di liquido
dalle vescicole seminali e dalla ghiandola prostatica. Come risultato, una miscela di spermatozoi e
fluido (chiamata sperma) passa nell’uretra. Dopodiché, la muscolatura liscia dell’uretra e la
muscolatura scheletrica alla base del pene vengono sottoposte ad una serie di forti contrazioni,
che espellono lo sperma attraverso il meato uretrale. IL riflesso porta anche alla chiusura dello
sfintere uretrale posto alla base della vescica, che evita che l’urina si mescoli con il seme durante
l’eiaculazione.
Sistema riproduttivo femminile:
Il sistema riproduttivo femminile presenta le seguenti caratteristiche:
1. Cambiamenti ciclici di attività: ogni mese il sistema riproduttivo femminile va incontro ad
una serie di importanti cambiamenti strutturali e funzionali chiamati ciclo mestruale, che è
accompagnato da cambiamenti periodici e regolari della secrezione i ormoni ipotalamici,
ipofisari e ovarici. L’inizio di ogni ciclo, che dura circa 28 giorni, è caratterizzato dalla
mestruazione, una perdita i sangue e tessuto dalla superficie della parete uterina.
2. Periodo di fertilità ristretto: gli ovuli maturano in diversi momenti e vengono rilasciati
singolarmente dalle ovaie ad intervalli di circa 28 giorni (uno per ogni ciclo mestruale). Il
rilascio della cellula uovo, noto come ovulazione, è un prerequisito per la fecondazione ed
avviene a metà del ciclo. Una femmina è fertile (cioè in grado di avere un ovulo fecondato)
solo durante quei giorni del ciclo che coincidono all’incirca con l’ovulazione.
3. Produzione limitata di gameti: Gli ovuli si sviluppano da un gruppo di cellule germinali il cui
numero è fisso alla nascita, circa 2-4 milioni. Il numero di ovuli potenziali diminuisce nel
corso della vita, poiché la maggior parte delle cellule germinali degenera ad un certo punto
del suo sviluppo.
Le ovaie:
Le ovaie, le gonadi femminili, sono una coppia di strutture di forma rotondeggiante leggermente
appiattite, localizzate nella cavità pelvica da entrambi i lati dell’utero. Ogni ovaia è composta da
tessuto connettivo denso ben irrorato da vasi sanguigni e inglobato in uno strato di tessuto
connettivo fibroso. Incluse in questo tessuto connettivo ci sono numerose strutture sferiche dette
follicoli, ciascuno dei quali contiene un singolo ovulo in fase di maturazione. Quando l’ovulo si
sviluppa, il resto del follicolo si sviluppa con esso. Un follicolo nel primo stadio di sviluppo è detto
follicolo primordiale ed è una struttura semplice formata da una cellula uovo in maturazione o
oocita, circondato di cellule specializzate dette cellule follicolari. Man mano che il follicolo si
sviluppa le cellule epiteliali proliferano formando più strati cellulari e le cellule sono chiamate
cellule della granulosa. In uno stato più tardivo dello sviluppo le cellule della granulosa proliferano
e lo strato più esterno viene trasformato in un tipo di cellule conosciuto come cellule della teca. Le
cellule della teca svolgono funzioni analoghe a quelle delle cellule del Sertoli nei maschi. Le cellule
della granulosa funzionano da intermediarie tra gli oociti e gli ormoni che controllano il loro
sviluppo per il fatto che sia gli estrogeni che l’FSH stimolano le cellule della granulosa a secernere i
messaggeri chimici che hanno come bersaglio gli oociti. Inoltre, le cellule della granulosa
secernono inibina, che inibisce la secrezione di FSH (come avviene nei maschi). Le cellule della
granulosa trasportano anche i nutrienti all’interno degli oociti grazie a ponti citoplasmatici che
comunicano con l’interno degli oociti attraverso delle giunzioni comunicanti. Le cellule della
granulosa secernono gli estrogeni, che derivano in realtà dagli androgeni sintetizzate dalle cellule
della teca. Dopo la loro sintesi, gli androgeni diffondono dalle cellule della teca alle cellule della
granulosa, dove vengono modificati per via enzimatica e quindi secreti. Le cellule della granulosa
producono e secernono anche progesterone.
Le cellule uovo ed il loro sviluppo:
Le cellule uovo si sviluppano da cellule germinali relativamente indifferenziate, chiamate oogoni,
nel corso del processo definito oogenesi. Il processo della meiosi che trasforma gli oogoni in oociti
completamente maturi inizia durante la vita fetale ma non viene completato se non al momento
della fecondazione! L’oogenesi inizia nei primi 3 mesi della vita embrionale, quando gli oogoni (che
sono cellule diploidi) vanno incontro a mitosi e producono 2-4 milioni di cloni dai quali derivano
alla fine tutte le cellule uovo. Queste cellule successivamente si differenziano in oociti di primo
ordine che iniziano la prima divisione meiotica (meiosi 1); in questo processo si replica il DNA. Gli
oociti di primo ordine vanno poi incontro alla sospensione del loro sviluppo nota come arresto
meiotico e rimangono così fino a prima dell’ovulazione. Pertanto, alla nascita gli oociti esistono
come oociti primari in arresto meiotico con 46 cromosomi che hanno due cromatidi fratelli a testa.
Una volta raggiunta la pubertà un oocita di primo ordine mensilmente completa la prima divisione
meiotica portando alla formazione di due cellule, ciascuna delle quali possiede 23 cromosomi
replicati. Una delle due cellule, chiamata oocita di secondo ordine, riceve la maggior parte del
citoplasma durante la divisione cellulare e continua a svilupparsi ulteriormente; l’altra cellula,
chiamata primo globulo polare, degenera e viene persa. Solo nel caso in cui l’oocita di secondo
ordine venga fecondato, avviene la seconda divisione meiotica. Questa seconda divisione meiotica
porta alla formazione di una cellula uovo, che riceve la maggior parte del citoplasma, e di un
secondo globulo polare che degenera. L’uovo fecondato contiene 23 cromosomi singoli ereditati
dall’oocita di secondo ordine più un numero uguale di cromosomi ereditati dallo spermatozoo, per
un totale di 46 cromosomi.
Il ciclo mestruale:
Il ciclo ovarico:
Il ciclo ovarico è diviso in due fasi: (1) fase follicolare, che ha una durata variabile, ma in media
dura 14 giorni e (2) fase luteinica, che dura sempre 14 giorni.
1) Fase follicolare: All’interno dell’ovaia ci sono follicoli a differenti stadi di sviluppo. Quando
un follicolo si sviluppa, le cellule follicolari proliferano formando strati multipli attorno
all’oocita e si differenziano nelle cellule della granulosa. A questo punto il follicolo
primordiale diventa un follicolo primario e questo stadio dello sviluppo viene detto stadio
preantrale. In questo stadio le cellule della granulosa secernono un materiale non-cellulare
che forma una membrana spessa tra esse e l’oocita detto zona pellucida. A questo stadio
alcune cellule del connettivo si differenziano a formare lo strato esterno di cellule della
teca. I follicoli che continuano a svilupparsi formano una cavità piena di fluido detta antro.
Ora il follicolo è definito follicolo secondario. All’inizio della fase follicolare circa 10-25
follicoli si sviluppano ulteriormente. Dopo circa 7 giorni, uno di questi follicoli, detto
follicolo dominante, viene selezionato per completare il suo sviluppo, preparando quindi il
terreno per l’ovulazione. L’ovaio contenente il follicolo dominante resta “dominante” per
tale ciclo. La crescita e lo sviluppo follicolare sono stimolati sia dall’FSH che dagli estrogeni
secreti dai follicoli stessi. Durante la fase follicolare, i livelli plasmatici di FSH diminuiscono
gradualmente e ciò tende a causare la diminuzione della secrezione degli estrogeni. La
selezione del follicolo dominante dipende dalla sua abilità di secernere adeguati livelli di
estrogeni a fronte della caduta dei livelli di FSH. Il follicolo dominante è più sensibile all’FSH
rispetto a tutti gli altri follicoli e mostra anche responsività all’LH. Il follicolo dominante
continua a svilupparsi nello stadio antrale tardivo, l’antro cresce e pone del tessuto
cellulare attorno all’oocita. Parecchi strati di cellule della granulosa circondano l’oocita
formando la corona radiata, mentre altre cellule della granulosa formano il cumulo
dell’ooforo, un ponte di cellule che attacca l’oocita e la corona radiata alla parete del
follicolo, chiamato ora follicolo di Graaf. Infine si verifica la meiosi 1 e l’oocita (oocita
secondario) si stacca dalla parete e fluttua liberamente nel fluido antrale, insieme alla
corona radiata che lo circonda.
2) Fase luteinica: Durante l’ovulazione, che segna l’inizio della fase luteinica, la parete del
follicolo di Graaf si rompe, causando un passaggio di fluido antrale che trasporta l’oocita
(con le sue cellule circostanti) alla superficie dell’ovaia. Il follicolo rotto viene poi
trasformato in una ghiandola chiamata corpo luteo, che secerne estrogeni e progesterone.
Sia l’ovulazione che la formazione del corpo luteo sono scatenate da un improvviso
aumento plasmatico dell’LH. A questo punto se l’oocita non viene fecondato, il corpo luteo
inizia a degenerare dopo 10 giorni: la degenerazione causa una diminuzione dei livelli di
progesterone ed estrogeni nel plasma determinando la mestruazione e l’inizio della
successiva fase follicolare! Se l’oocita viene fecondato, il corpo luteo non degenera, ma
persiste integro nel periodo della gestazione. In rare occasioni (1-2% di tutti i cicli ovarici)
due o più follicoli vengono selezionati per diventare dominanti. Quando accade ciò,
durante l’ovulazione vengono rilasciate due o più cellule uovo che, se vengono fecondate
entrambe, il risultato è la generazione di fratelli gemelli che ereditano gruppi diversi di geni
detti gemelli dizigoti (poiché originano da zigoti diversi).
Il ciclo uterino:
Il ciclo uterino, che avviene in coincidenza con il ciclo ovarico, è diviso in 3 fasi: (1) fase mestruale,
che inizia il primo giorno e dura dai 3 ai 5 giorni (corrispondenti ai primi giorni della fase follicolare
ovarica), (2) fase proliferativa, che dura per il restante tempo della fase follicolare e (3) fase
secretoria, che coincide con la fase luteinica.
1) Fase mestruale: fase che corrisponde al periodo delle mestruazioni, la desquamazione
della parete uterina. Le mestruazioni sono determinate dalla caduta degli estrogeni e del
progesterone plasmatici che avviene quando il corpo luteo degenera. I vasi sanguigni nello
strato più esterno dell’endometrio si costringono, riducendo l’afflusso di sangue al tessuto
che muore e inizia a separarsi dal tessuto endometriale sottostante, che invece rimane
intatto. Il tessuto morto si stacca dalla superficie endometriale, causando la rottura dei vasi
e provocano il sanguinamento (flusso mestruale).
2) Fase proliferativa: fase che inizia con la fine delle mestruazioni, l’utero si rinnova in
preparazione ad una possibile gravidanza, che potrebbe avvenire nella successiva
ovulazione. I tessuti endometriali che non sono stati distrutti nella mestruazione iniziano a
crescere e la muscolatura liscia nel miometrio sottostante si ispessisce. Nel canale
cervicale, i vasi aumentano di numero e le ghiandole endometriali secernono un muco che
bagna la superficie interna: se gli spermatozoi venissero depositati nella vagina, questo
muco faciliterebbe la loro migrazione nell’utero, un passaggio fondamentale per la
fecondazione. Questi cambiamenti sono promossi dagli estrogeni, che aumentano per via
della maggiore attività secretoria del follicolo dominante.
3) Fase secretoria: in questa fase, l’endometrio viene trasformato in modo tale da divenire un
ambiente favorevole per l’impianto e il successivo accoglimento e nutrimento
dell’embrione in sviluppo. Le ghiandole endometriali si ingrandiscono ulteriormente ed
iniziano a secernere fluidi ricchi di glicogeno, che l’embrione utilizza come fonte di energia
nei suoi primi stadi di crescita. Inoltre, le secrezioni delle ghiandole cervicali diventano più
appiccicose e viscose andando a formare un “tappo” che isola l’utero dai microrganismi
dell’ambiente esterno! Questi cambiamenti uterini sono promossi dal progesterone, i cui
livelli nella fase secretoria (come quelli degli estrogeni) sono promossi dall’azione del corpo
luteo. Con l’inizio delle mestruazioni, finisce la fase secretoria e comincia una nuova fase
mestruale (e una nuova fase follicolare del ciclo ovarico).
EDOARDO SASSI