Melitta Donà
Premessa
A. Riconoscere
1. Cos’è il Talento
2. Eredità genetica
3. Varie opinioni sul Talento
4. Talento nel pattinaggio
5. Specializzazione precoce: giustificazione pedagogica.
B. Gestire
C. Valorizzare
Conclusione
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Premessa
Chi è un atleta di talento? La Treccani definisce atleta chi pratica un qualsiasi sport a livello
agonistico (deriva dal greco "gara - lotta"). Visto il precoce inizio della pratica nel nostro sport un
bambino di 8 anni può essere definito un atleta di talento come lo è chi, dopo anni di pratica, non
è ancora riuscito ad arrivare in cima alle classifiche internazionali.
Un atleta di alto livello è sicuramente colui che ha raggiunto i primi posti delle classifiche europee
e mondiali. Nel pattinaggio a 14 anni si può già essere un atleta di alto livello ( il problema sarà
farlo durare).
Generalmente quando si sente parlare di talento si pensa a giovani fino all’ età evolutiva e si parla
di atleta se ha raggiunto la maturazione fisica.
Per questo motivo ho preferito, visto anche il lavoro che posso svolgere, indirizzare la mia
attenzione su come riuscire a sviluppare al meglio le capacità di ogni giovane che ho la fortuna di
allenare.
Importante per me è riuscire, ora dopo ora, a mantenere vivo il loro entusiasmo, la gioia di
allenarsi, sviluppare il piacere dei giovani a gareggiare, indirizzandoli ad amare la loro musica, ad
interpretarla col cuore, trasmettendo agli altri le loro sensazioni. Aiutarli ad eseguire in gara
programmi puliti con elementi di solida tecnica senza che si fissino su livelli e risultati. Riuscire a
fare di allenamenti e gare esperienze comunque positive, insegnando loro a mettere Impegno e
dedizione in tutto ciò che fanno senza pensare a classifiche, ricompense e premi. Capire le loro
difficoltà psicologiche per poter, se possibile, aiutarli a superale.
La frase conclusiva delle lezioni di Finardi “10 anni e 10.00 ore di lavoro(Ericsson) per emergere
nel nulla(Simon)!” mi ha colpito. Purtroppo i nostri giornali sportivi ci parlano quotidianamente a
titoli cubitali di campionissimi del “nulla”.
Cerchiamo di far sì che i pochissimi che riescono non emergano nel “nulla” e che tutti gli altri non
rimangano con sogni spezzati, difficili da metabolizzare, se non viene dato al pattinaggio il giusto
valore. I miei allievi non riusciranno a incamminarsi sulla via dell’eccellenza, vorrei almeno essere
sicura di aver svolto, nelle ore che posso trascorrere con loro, il mio compito di educatrice.
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A. Riconoscere
1.Cos’è il Talento
La parola talento(Treccani) deriva da"portare”ed era un’unità di peso greca che indicava il carico
che un uomo poteva portare sul dorso. Indicava anche una moneta. Nella parabola dei talenti
(Matteo 25) i talenti, affidati dal Signore ai suoi servi, sono simbolo dei “doni dati da Dio all’uomo”
che non vanno sotterrati ma fatti sfruttare
Quali “doni divini”deve possedere un pattinatore perché si dica che ha talento? Nel nostro
ambiente se ne sente parlare continuamente con ammirazione mista a invidia. Si vede che certi
giovani hanno capacità naturali di movimento, di elevazione nei salti, di flessibilità, di rotazione,
sembra che per loro tutto sia facile. E tu ti chiedi arriveranno? Avranno anche doti di carattere
meno visibili che gli permetteranno di passare indenni attraverso le inevitabili delusioni ed
amarezze? O sarà un ennesimo talento che dopo alcuni anni sparisce dalla scena?
E’ generalmente accettato che prestazioni di alto livello siano favorite in buona parte da doti
innate e geneticamente determinate. Non è ancora chiaro quali siano queste doti (ogni disciplina
richiede presupposti fisici diversi) e in che misura esse determinino il successo.
Individuando le doti che contraddistinguono i vari campioni del mondo e facendo test a tappeto
potremmo scegliere chi le possiede. Con l’aiuto di strutture adeguate e “coach di talento” il
campione dovrebbe essere assicurato. Molte nazioni ci hanno provato e lo stanno facendo e ha
successo in paesi dove la libertà e il rispetto della persona è limitato.
Nel pattinaggio italiano per riconoscere un atleta di talento, visto che è sua caratteristica anche la
velocità nel progredire, basta guardare con un po’ d’attenzione le gare e leggere le classifiche
nazionali nelle categorie junior e senior.
Sarebbe interessante avere statistiche su quanti giovani definiti di talento sono arrivati ai vertici
delle classifiche mondiali una volta cresciuti e se qualcuno arrivato lassù avesse ricevuto “il
marchio di qualità” da giovane. La personalità è qualcosa di complesso e la capacità di prestazione
sportiva è data da tanti fattori. I test (vedi Botta) servono moltissimo per valutare la progressione
nello sviluppo delle abilità, la bontà della nostra programmazione e di come alleniamo.
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Individuare e dare giudizi può causare più danni che altro. Le attenzioni particolari, le aspettative e
le pressioni di cui viene fatto oggetto un “talento” possono non produrre gli effetti desiderati se il
giovane non è dotato anche di forza di carattere e supportato da genitori con i piedi ben piantati
per terra che abbiano una solida visione del bene del figlio. Il giovane sviluppa spesso un amore
ossessivo per il pattinaggio che lo fa escludere tutto il resto, e questa può essere una caratteristica
del talento, ma l’ambiente intorno a lui deve essere interessato allo sviluppo armonico di tutta la
sua personalità, di cui lo sport è una parte importante ma non può essere tutto. Meglio non
lasciarsi influenzare da sogni di successo e permettere al ragazzo di maturare passo dopo passo,
senza esaltarsi e sopravvalutare i primi successi nelle categorie giovanili, ottenibili con qualche
dote e allenamento che mira a livelli e punti per vincere. Quanti nel nostro sport da piccoli sono ai
primi posti in tutte le gare e poi spariscono. Troppe le giovani promesse bruciate. In età giovanile
c’è bisogno di giocare, divertirsi, formare ampie abilità motorie di base seguendo un percorso
formativo a lungo termine.
2.Eredità genetica
Molti sono gli studi che tentano di individuare quali siano le caratteristiche morfologiche,
antropometriche, fisiologiche e funzionali che permettono agli atleti di raggiungere grandi
prestazioni.
Con la scoperta del DNA e la pubblicazione della mappa del genoma umano lo studio dei fattori
ereditari e l’influenza dei singoli geni non solo sulla salute ma anche sulla capacità di prestazione,
ha avuto nuovo impulso. E’ sempre più facile riconoscere precocemente i talenti sulla base delle
loro disposizioni genetiche. “Negli ultimi anni la ricerca si è avviata verso l’analisi dei legami
esistenti tra fisiologia, biochimica e genetica. Il numero di geni potenzialmente correlati con la
performance sportiva sta aumentando ogni anno, attualmente comprende 140 geni autosomici, e
4 geni localizzati sul cromosoma X. Inoltre sono stati identificati 16 genimitocondriali le cui varianti
sembrano influenzare in modo rilevante la performance sportiva”( Vona G, Massidda M, Cireddu
M, Calò C Genetica e performance sportiva).
Tra i vari test usati per valutare la capacità di performance ci sono le analisi del consumo
massimale di ossigeno O2(VO2max).”Un VO2 elevato può essere considerato un prerequisito ma
non un fattore predittivo in senso assoluto per atleti d’elite nelle gare di resistenza”(vedi sopra).
“Anche se Il valore di massimo consumo di ossigeno basale è associato per il 51% a fattori
ereditari, parte della componente genetica del VO2max si esplica solo in risposta all’allenamento”
(Claude Bouchard The heritage Family Study 1999).
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In questo grafico Joseph Baker (Talent identification and development in sport pag.18 ) riporta
ipoteticamente quanto fattori genetici molto (aa) mediamente (Aa) e meno (AA) favorevoli
possano influenzare la prestazione rispetto al tipo di allenamento. Le più alte prestazioni sono
raggiunte da chi possiede i migliori fattori genetici abbinati al maggior allenamento. Più
l’allenamento si intensifica più aumenta il divario tra chi ha fattori ereditari favorevoli e gli altri.
Gli atleti più predisposti geneticamente, se sottoposti agli stimoli adeguati, hanno più probabilità
di raggiungere risultati ottimali.
- Joch (Das sportliche Talent (1992)riportato da Weineck p.126) nel tentativo di definire il
talento distingue l’approccio statico da quello dinamico. Il talento statico o iniziale è caratterizzato
da 4 elementi: 1.disposizioni = capacità, 2.disponibilità = volontà 3.ambiente sociale = opportunità 4.
risultati.
-Per Weineck (p126) il talento sportivo è a)l’insieme delle doti o presupposti genetici di cui
sono in possesso il bambino, l’adolescente e l’atleta e b)il loro sviluppo. Le prestazioni sportive
sono quindi determinate dal talento e dall’ allenamento.
Presupposti genetici importanti sono per lui: a) l’allenabilità ( gli atleti migliori reagiscono ai
carichi di allenamento meglio dei soggetti “normali”) b) le caratteristiche somatiche ( a seconda
degli sport statura, lunghezza estremità ecc.) e fisiologiche c) le capacità coordinative controllate
dal sistema nervoso centrale.
Quindi un atleta deve non solo sviluppare al meglio fattori organico-muscolari, tecnico-
coordinativi, cognitivi-tatitci e psicologico-mentali, ma possedere o acquisire nel processo di
allenamento la capacità di esprimersi al meglio in gara (Weineck pag.7).
“Nature or nurture?”
Come si fa a riconoscere con dei test se in un giovane ci sono in seme tutte o molte di queste
capacità che si svilupperanno nell’arco di molti anni e solo tramite un allenamento funzionale?
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- caratteristiche fisiche e psichiche - abilità motorie e coordinative - ambiente ( vedi grafico sopra)
-Piero Delfini definisce il talento (Il talento sportivo 1993) “ la capacità di eseguire in maniera
rapida, elegante, facile ed efficace quelle azioni che le “schiappe” riescono a (o tentano di) fare
soltanto in modo lento, goffo, con difficoltà e spesso senza neanche raggiungere l’obiettivo”.
Dissacrante ma calzante e corrisponde a quanto molti pensano.
-Tabucchi afferma che la nostra cultura celebra concetti fuorvianti come “talento” e la
“genetica-da rotocalco”. Credere che le prestazioni di eccellenza siano determinate da abilità
innate che pur hanno un peso, invece di porre l’accento sull’impegno, sulla motivazione e sulla
resilienza” sviluppa una mentalità fatalista che porta alla de-responsabilizzazione e alla fuga
dall’impegno”(cap.2). Secondo Tabucchi il mondo dello sport è letteralmente impestato da questa
mentalità, dura da estirpare.
Secondo B.Rossi (La pancia degli atleti) La carriera di un atleta è il prodotto di molti fattori che
riassume con questa formula : “Carriera = P x M x V x C x A x ambiente. Dove P sta per la
Personalità dell’uomo-atleta, M per le sue Motivazioni, V sono i suoi Vissuti e le sue
esperienze, C le sue Capacità atletiche, tecniche e tattiche innate e apprese, A le sue Abilità
mentali e per ambiente si intende il contesto o i contesti in cui si opera che determinano
influenze e condizionamenti. “Tutti questi fattori si condizionano a vicenda in un unico percorso
umano che produce la storia e la carriera sportiva di un atleta.”
-Ericsson ha fatto uno studio comparato su violinisti, pianisti, pattinatori e lottatori per
determinare i fattori che li hanno portati all’eccellenza. I dati riportati per il pattinaggio si basano
su interviste e formulari compilati da allenatori e pattinatori della squadra nazionale canadese nel
1993/4 (The road to excellence 1996 ).
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Ecco quali sono per loro le doti fondamentali per arrivare al successo nel pattinaggio:
Pattinaggio
Fisiche Mentali
A certain spring in the muscle Persistence,
Good knees, able to jump, rhythm in the knee motivation
Ability to rotate dedication to hard work
Good reflexes the right constitution, ,
Fantastic flow…get speed from nowhere mental stability
Good “snap” for height on jumps; spring, rhythm, a no-nonsense attitude
timing
Good posture inner strength
Coordination love of what they are doing,
Natural ability determination
Musicality A killer instinct” and a greet need of
controll
Build or body type, and “whether you are physically
attractive”
E come i suddetti allenatori canadesi parlano del talento: “I don’t know what it is but you
can see it” “Talent alone will not make you a champion” “More training, more lessons,
more choreography, more money, and we have no skaters. Why No talent. If you don’t have the
bodies you can’t do a damn thing.” ”Sometimes hard work and a little less talent works just
as well as a lot of talent and less work” ” He…. had very little talent but was Canadian
Champion because of persistence and a positive attitude”.
Sotto la graduatoria(da 1 a 12) delle doti determinanti il successo in cui viene separata l’opinione
degli allenatori da quella degli atleti:
Desire 10 1 9,6 1
Good coaching 9,9 2 9,5 2
Fitness level 9,8 3 9,0 4
Practice 9,8 3 9,4 3
Being consistent (coerenti) 9 7 9, 5
Equipment 9,4 5 7,8 8
Natural ability 9,1 6 7,7 10
Knowledge of mental skills (Nerves 7,1 11 8,6 6
concentration)
Knowledge of skating mechanics (Technik) 8,6 8 8,3 7
Musicality 8,4 9 7,8 9
Lots of competition and performance 8,4 9 7,5 11
Being lucky 5,2 12 4,4 12
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Sia allenatori che atleti pongono in cima alla classifica un’abilità mentale: la forte motivazione.
Seguono l’essere allenato bene e un’ottimale condizione fisica. Importanti sono la tenacia e la
capacità di lavorare sodo. ”Tutti vogliono vincere, ma solo pochi vogliono prepararsi a
vincere”.Poca importanza danno ai fattori ereditari. Ciò rispecchia anche le motivazioni che grandi
campioni danno del loro successo nelle interviste: parlano del grande impegno soffuso
nell’allenamento e della determinazione ad arrivare ma raramente ascrivono i loro successi a doti
particolari.
Per Ericsson le grandi prestazioni in qualsiasi campo dalla musica allo sport sono più frutto di
allenamento intenzionale che di doti innate. Ha dimostrato nello studio sopracitato che non c’era
uno solo tra i migliori interpreti nel loro campo che non fosse passato attraverso 10 000 ore e non
meno di 10 anni di pratica deliberata (Ericsson 1994, basato su studi di Simon e Chase 1973).
Ecco la quantità di ore di allenamento necessarie per raggiungere l’eccellenza nel pattinaggio
sempre secondo lo studio di Ericson:
Ore complessive di allenamento settimanali rapportato agli anni di pratica. Il numero delle ore
non dipende dall’età ma dalle abilità acquisite
L’allenamento è inteso come pratica intenzionale che non vuole dire solo adempiere ad un
compito. Non basta solo esercitarsi ma l’allenamento deve richiedere tutto l’impegno possibile.
Sotto l’importanza che gli atleti danno alle varie attività svolte durante gli allenamenti e come le
associano a fatica e piacere:
E’ interessante notare come lo sforzo sia più mentale che fisico durante le attività importanti per
raggiungere gli obiettivi e gli atleti svolgano con maggior piacere attività che sono molto vicine ai
gesti di gara.
Per D.Goleman (Focus) ,come vedremo in seguito, “La regola delle 10.000 ore è diventata
una verità evangelica. Il problema è che è soltanto vera a metà”.Per giungere all’eccellenza
occorre l’esercizio intelligente, ponderato, un allenatore dall’occhio esperto e che l’atleta dedichi
alla pratica tutta la sua concentrazione.“La pratica è necessaria ma non sufficiente. La differenza
cruciale sta nel modo in cui i campioni di ogni disciplina prestano attenzione alle proprie azioni
mentre si esercitano”.
……E’ stato anche detto che talento è un grande amore per qualche cosa. Un pattinatore di talento
è colui che è dotato fisicamente, è ben allenato e ama pattinare. Se non ami abbastanza pattinare,
e non ti piace allenarti, non arrivi da nessuna parte, indipendentemente da quanto tu sia dotato.
Nello schema sotto la massima prestazione è data dalla presenza di tre fattori: a)geni ereditari
b)allenamento e c)personalità. A seconda che uno o l’altro sia carente la prestazione cala.
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Nello studio di Ericsson l’età media di inizio dell’attività per i pattinatori è di 5,3 per i pianisti 5,8
per i violinisti 5,0.
La pedagogia non approva la pratica sportiva precoce finalizzata alla prestazione sportiva.
Continua ad esprimere dubbi e preoccupazioni e teme che i bambini vengano condizionati nelle
scelte dagli adulti (genitori, allenatori,dirigenti) e sfruttati per i loro interessi. Occorre quindi una
giustificazione pedagogica che dimostri come lo sport precoce abbia una influenza positiva sullo
sviluppo dei giovani e non metta a rischio la loro salute sia fisica che mentale.
Grupe e Krüger (Einführung in die Sportpädagogik 1997) affermano che dal punto di vista
antropologico la prestazione in qualsiasi campo è un” inalienabile diritto dell’uomo” che però deve
poter decidere in prima persona cosa, in che misura e perché farlo. Le competizioni sono parte
integrante dello sport. Tramite allenamento e gare si fanno esperienze e si imparano valori
importanti per la convivenza. Si esprime “lo sforzo di superare dilettantismo e mediocrità, si
accettano sfide per riuscire alla fine a completare i compiti e raggiungere gli obiettivi in gara “.
Queste convinzioni vengono accettate solo in parte dalla scienza pedagogica che è convinta che
nell’allenamento dei giovani sia lasciato troppo poco spazio ad influenze educative.
Caria,Solinas e Puggioni (L’allenamento del bambino) sconsigliano la pratica sportiva prima dei 12
anni.
Anche Martin (Handbuch Kinder –und Jugendetrainig p.19-23) cerca di dare all’allenamento
precoce, inscindibile dal raggiungimento dell’eccellenza in alcuni campi come p.e. la musica e in
sport di destrezza come il pattinaggio, una motivazione educativa e basi scientifiche per renderlo
presentabile alla scienza dell’educazione. Secondo lui la pratica precoce non viene generalmente
accettata per via di un’ inesatta interpretazione degli obiettivi.
“. Criteri di valutazione e obiettivi d’ allenamento in età giovanile vengono equiparati a quelli dello
sport degli adulti. Essi si differenziano in modo sostanziale. L’allenamento giovanile va visto come
presupposto in prospettiva di futuri miglioramenti. L’obiettivo non è il raggiungimento della
massima prestazione nelle varie categorie ma l’adempimento del contenuto, del compito prefisso
per ogni tappa di allenamento”.
B. Gestire
Condizione in senso ampio comprende tutti i fattori: fisici, psichici, tecnico-tattici, cognitivi e
sociali della prestazione Weineck(p.6).Sotto lo schema completo:
Chissà quanti piccoli geni in vari ambiti ci sono in giro ma se non hanno genitori interessati al loro
sviluppo e non trovano qualcuno che li segua, che dia loro fiducia, li incoraggi, li invogli e rafforzi le
loro capacità, riusciranno comunque a sviluppare le loro doti? Forse talento significa anche la
determinazione con cui certi individui amano una cosa, la vogliono fare a tutti i costi, trovano il
modo di farla e non si lasciano scoraggiare.
La possibilità che un giovane riesca a sviluppare le doti di cui dispone dipende molto dall’ambiente
in cui vive. La nostra influenza su di esso è limitata, ma supponendo che tutti ( genitori, dirigenti,
allenatori…) abbiano a cuore il bene del giovane qualcosa si può fare. La speranza e la convinzione
di riuscirci caratterizza il nostro lavoro.
I genitori hanno un influenza determinante sul percorso formativo del giovane ma sono un fattore
poco allenabile. Essi non solo gli trasmettono i geni ereditari, ma gli danno l’educazione e ne
influenzano i comportamenti.
Secondo Sergijenko ( Genetische Grenzen sportlicher Leistungen 200) chi è figlio di un campione
ha il 50% di possibilità in più di raggiungere ottime prestazioni, questa possibilità sale al 75% se
entrambi i genitori sono stati buoni atleti.
Oltre al supporto tangibile (soldi, trasporti in macchina..) è fondamentale per l’atleta il loro
sostegno morale, la loro presenza solidale ma non invadente. Agli allenatori non è dato di
intromettersi nell’educazione dei figli. Ma se i genitori capiscono che, come loro, vogliono il bene
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del figlio, accettano anche dei consigli. E’ importante portarli a non sopravvalutare in famiglia
l’elemento pattinaggio, evitando di parlare troppo, anche a casa, di salti, piroette, risultati e
maestri. Lasciare sfogare il ragazzo, se ne ha bisogno dopo l’allenamento, dare coraggio e fiducia
per il giorno dopo, frenare la sua voglia di trovare facili capri espiatori negli allenatori, nei giudici,
nei compagni invidiosi, minimizzare e portare il discorso su altri argomenti, collocando il
pattinaggio in un contesto più ampio.
Come affermano Prunelli, Bounous e Rossi (La psicologia dello sport nei bambini cap.14/15) la
psicologia dello sport serve anche come aiuto ai genitori, per trasformarli da problema in risorsa,
in grado di dare normalità e serenità alla vita dell’atleta. Negli incontri viene spiegato loro come
sostenere il figlio, rispettare con pazienza i suoi tempi di maturazione, esercitare critiche
costruttive ( perché l’affetto incoraggia ma la stima e la fiducia ancora di più) e l’importanza di
dare “messaggi in linea con la filosofia del coach” (p.147)“.
Influenza sul giovane hanno anche coetanei e amici che arriva al 52% nella sua decisione di
praticare uno sport e nella scelta della disciplina. Influiscono anche sulla sua decisione di
abbandonare lo sport, soprattutto nell’adolescenza.
L’educazione incomincia nel momento della nascita e determina gli atteggiamenti mentali, e i
comportamenti del ragazzo. E’ difficile che giovani viziati , abituati ad avere tutto subito e senza
fatica, per quanto pieni di talento, riescano a percorrere la faticosa strada dell’eccellenza. Tutti noi
funzioniamo secondo il “Principio del Piacere”, proprio dei neonati. Vogliamo vedere realizzati
istantaneamente i nostri desideri senza alcuna fatica. E’ importante al più presto far passare i
giovani dal “Principio del Piacere” al “Principio della Realtà” e far loro capire che gli obiettivi non
vengono raggiunti in modo magico. Bisogna abituarli ad accettare come normale un po’ di fatica,
un po’ di disagio, un po’ di delusione. E’ importante anche che capiscano quale fortuna hanno a
poter pattinare.
Ho avuto atlete che pattinavano e gareggiavano insieme a Carolina Kostner dai 6 a 13 anni, l’ho
vista crescere da vicino e, secondo me, l’educazione ricevuta dalla famiglia, ha avuto un’ influenza
determinane nel farla diventare quel che è.
Riporto le parole di B. Rossi ”è’ indubbio che il mondo sportivo abbia bisogno di cultura e in
questo senso la psicologia dello sport ha urgente bisogno di trovare una più larga diffusione e
arrivare ai dirigenti,agli allenatori,alle famiglie degli sportivi perché tutti costoro possano
esercitare il proprio ruolo con consapevolezza.”
Rapporti positivi dovrebbero intercorrere anche con l’altra attività fondamentale nella giornata del
giovane: la scuola. Avvicinare la scuola allo sport farebbe bene a entrambi. Non so se attualmente
sia migliorato il rapporto , ma fino a qualche anno fa ho avuto spesso esperienze negative, anche
se, come sempre, ci sono presidi e insegnanti illuminati che capiscono il ruolo importante che lo
sport ha nella formazione non solo fisica dei giovani. Molte nazioni danno grande importanza
all’educazione motoria nella scuola, ciò non avviene ancora purtroppo in Italia.
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Per aumentare il numero dei pattinatori servirebbe inserire il pattinaggio nello sport scolastico,
almeno dove esiste il ghiaccio. In Alto Adige in molte scuole lo fanno. ma non mi sembra abbia
dato risultati apprezzabili ai fini di allargare il numero di pattinatori di artistico.
Team Al giorno d’oggi gli atleti sono accuditi da un insieme di persone che gestiscono l’atleta
sotto tutti i punti di vista per portarlo all’eccellenza.
Più insegnanti e più “occhi” aiutano a vedere meglio. Ogni allenatore si fissa su una cosa e vede
spesso in una sola direzione. La specializzazione nei vari elementi aumenta la professionalità del
“coaching”. Basta che agiscano tutti per il meglio del ragazzo mettendo in secondo piano le
proprie ambizioni e i propri interessi.
E’ Importante che tutti i componenti dello staff vadano con chiarezza nella stessa direzione per
raggiungere gli stessi obiettivi, per non causare tentennamenti e dubbi nell’ allievo. E’ come
quando si va a spasso in gruppo col cane , e poi ognuno sceglie sentieri diversi. La povera bestia si
agita, si preoccupa, va dietro a uno e all’altro e non riesce a trovare pace finché tutti si riuniscono.
2.Allenatore - “Coaching”
La stretta interazione tra atleta e allenatore durante il processo di allenamento a lungo termine è
detto “coaching”. Indica il lavoro professionale di consulenza, supporto, supervisione e direzione
dell’allenatore. Ha come l’obiettivo il miglioramento della prestazione in allenamento e in gara e la
stabilizzazione o la correzione del comportamento.
Competenze e qualità servono per gli insegnanti di qualsiasi livello, non solo quelli di successo,
anche se diversa è l’età degli allievi e l’importanza delle gare cui partecipano. Ma leggo che il
presupposto fondamentale del “coaching” è “un’elevata competenza nel settore sociale” (p13). Il
“coach” è quindi un maestro trasformato in manager?. Comunque è un allenatore di alto livello
per atleti d’alto livello.
Rimanendo terra a terra: è importante che ogni insegnante sia focalizzato sull’allievo e sui suoi
obiettivi e non li perda mai di vista, sia aperto al nuovo, all’aggiornamento, a sperimentare anche
se va salvata la fiducia dell’allievo nel maestro, che deve dare l’idea di sapere quello che fa senza
andare troppo a tentoni. Gli allievi se ne accorgono e la fiducia traballa. l’ insegnante che ha
maggiore influenza è senz’altro quello sicuro di se, anche se dice cose scontate, che forse non
servono. Quel che conta è l’ autorevolezza che trasmette al giovane fiducia e sicurezza. Per avere
successo l’insegnante deve avere “carisma”. Cos’è Il carisma ? E’“il dono soprannaturale dello
Spirito Santo, concesso straordinariamente ad alcuni membri della chiesa” (Trecani).Quindi per
allenare atleti di successo occorre un “coach” con carisma.
Si parla molto di disciplina nello sport, ma educare all’autodisciplina è per me una esigenza
primaria fin da piccoli. Non ho mai amato l’autorità che impone, da seguire senza capire.
Insegnare ai giovani a non ubbidire supinamente e senza critica, a cercare la verità oltre le
apparenze, a non soffermarsi sulle chiacchiere, a non aver paura che gli altri abbiano di più, a non
seguire le mode e a non fare quello che fanno gli altri per non sentirsi da meno è per me
altrettanto importante che portarli a fare un programma pulito in gara. E non è mai troppo presto
per farglielo capire.
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Per riuscire ad aiutare l’allievo a correggere gli errori e rendere stabili gli elementi dobbiamo
focalizzarci su di lui e non su noi stessi, guardare con attenzione e cercare di sentire i suoi
problemi, le sue paure, le sue sensazioni al momento, per esempio, del salto in una sorta di feed
back alla rovescia.
Importante è riuscire a vedere il giovane così come veramente è, con limiti da accettare e un po’
mascherare e pregi da evidenziare al massimo.
Preghiera di Reinhold Nieburth che potrebbe andare bene per noi insegnanti:
”Dio mi ha concesso la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,il coraggio di cambiare quelle
che posso cambiare e la saggezza di coglierne la differenza.”
La metodologia indica all’insegnante “come” insegnare e suggerisce le strategie più efficaci per
ottimizzare l’insegnamento. L’insegnante per rendere produttiva la sua azione deve: considerare
sempre la globalità dell’allenamento(multilateralità), l’unicità del giovane, l’interazione fra
struttura genetico-biologica e ambiente. Deve rispettare i bisogni, le esigenze, gli interessi legati
all’età. Deve prestare attenzione alle sfere affettive- emozionali, alla gestione del gruppo, alla
corretta comunicazione e favorire un giusto orientamento e un clima motivazionale (M. Bounous
L’adulto:un modello).
3.Programmazione
Riuscire a eseguire programmi puliti in gara si fa sempre più difficile man mano che aumentano le
difficoltà. Determinante a tal fine è una precisa e attenta programmazione delle ore di
allenamento soprattutto nel periodo competitivo. Ogni ora deve essere un passo mirato
all’ottenimento dell’obiettivo. Quando si entra in pista la situazione non è mai ottimale. L’umore
del ragazzo è storto per problemi con “l’ambiente”, la salute vacilla, tutto fa male, è una giornata
“no”…. Le nostre intenzioni si devono sempre adeguare alla situazione effettiva, giungendo a
compromessi, senza però perdere di vista l’obiettivo principale, per quanto ridimensionato,
riuscendo comunque a farla diventare una giornata”si”. Ogni errore su “come, quando , quante
volte” ripetere gli elementi e i programmi di gara si paga nei momenti cruciali.
Vista l’importanza della programmazione riporto quanto dice Martin (Jugendtraining.p. 181-184)
in modo esauriente sulla programmazione. Martin distingue tre tipi di principi su cui è necessario
basarsi perla costruzione di un piano di allenamento giovanile:
A )Principi pedagogici:
2. principio del precoce e tempestivo inizio dell’allenamento, essendoci , per esempio nel pattinaggio,pochi
anni per raggiungere l’età della massima prestazione,
5.principio della corrispondenza delle esigenze di gara con gli obiettivi di allenamento,
2.principio dell’aumento sistematico delle difficoltà per sfruttare adeguatamente i le conoscenze motorie
già presenti,
3. principio (rispetto)della multilateralità dello sviluppo con giusto e calibrato rapporto tra allenamento
specifico e generale per assicurare molteplici presupposti per le prestazioni future,
4 principio della giusta successione nella scelta dei contenuti, per sviluppare sistematicamente le abilità
coordinative, condizionali e tecnico o tattiche a seconda di quale sia l’obiettivo principale
dell’allenamento,
la verifica del programma e degli obiettivi deve essere sistematica e si basa sull’analisi dei risultati.
Dopo una prestazione deludente il maestro deve trovare il tempo e il modo giusto per parlare.
Occorre analizzare insieme i programmi eseguiti con obiettività senza abbellire quanto fatto male
e senza accontentarsi di quanto può essere migliorato. Non serve trovare scuse, ma cercare le
cause di quanto non è riuscito come si voleva. Bisogna capire dove abbiamo sbagliato e apportare
modifiche al modo di allenarsi sicuri di poter riuscire a migliorare.
E’ fondamentale non permettere che si lamentino dei punteggi. Essi non sono che la conferma di
un dato di fatto: quel salto, per esempio, faceva schifo! Il giudizio chiaro sull’ elemento non vuol
dire toccare il merito e la dignità del ragazzo, ma guardare con chiarezza la situazione per
migliorarla. E possiamo sicuramente farcela basta capire come e cosa allenare di più, su cosa porre
l’accento, quali obiettivi prefiggersi ora dopo ora.
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Alimentazione (vedi Monsellato) Ormai è largamente risaputo che per vivere bene occorrono
regole di vita sana e una alimentazione equilibrata. A maggior ragione per ragazzi che fanno sport
in modo intensivo. Non dovrebbe quindi essere difficile trasmettere regole a genitori e ragazzi.
L’educazione alimentare è anche materia scolastica. Prima si inizia meglio è. Se i genitori insistono
a rimpinzare i figli di merendine e bevande zuccherate, che ormai dovrebbero essere abitudini
perse, regaliamo loro un bel libro sull’alimentazione, o frequentiamo insieme qualche corso, fa
sempre bene. Anche la giusta quantità di riposo dovrebbe essere una abitudine. Sussiste una
correlazione fra il consolidamento di sapere, comportamenti, abilità, capacità e sonno. Ma so di
atleti che studiano sistematicamente fin dopo mezzanotte anche prima delle gare. Avendo avuto
grossi problemi di stress emotivo che mi impedivano di dormire già settimane prima delle gare,
per me il sonno come pure l’alimentazione sono punti molto importanti nell’educazione degli
atleti fin da piccoli. Il medico di base o un dietologo può aiutare allenatori e genitori a fare
chiarezza soprattutto su cosa quando quanto mangiare prima, durante e dopo la gara e su
particolari necessità per il recupero fisico.
C. Valorizzare
Martin p.67
Fasi sensibili
L’allenabilità è il grado di adattamento ai carichi di lavoro e ci indica che tipo di lavoro, di carico, di
compito motorio somministrare.
20
Nella seconda età scolare 10/11 fino alla pubertà vanno sviluppate le competenze coordinative
molto legate alla maturazione del sistema nervoso .In questa fase si pongono le basi coordinative
per una tecnica di alto livello. Hanno generalmente grande disponibilità ad impegnarsi per
diventare bravi, coraggio e voglia di sperimentare. Fase importante per il pattinaggio caratterizzata
da un incremento della forza e non ancora della statura, e dalla maturazione degli organi preposti
all’equilibrio per cui il ragazzo riesce a controllare bene il proprio corpo e movimenti difficili. “Ciò
che si trascura di fare in questa fase, più tardi potrà essere recuperato con grande fatica e forse
senza raggiungere i risultati sperati” Weineck (L’allenamento ottimale p.122). È la migliore età per
acquisire la tecnica precisa degli elementi, cercando che non vengano automatizzati movimenti
errati. A questa età bisogna viceversa evitare eccessivi carichi alle strutture muscolo-tendinee e
scheletriche e pertanto non favorire lo sviluppo della forza. Va tenuto presente inoltre che gli
eccessivi stress fisici (e psicologici) possono alterare gli equilibri ormonali.
Nella prima fase puberale (11/13 anni) vi sono enormi cambiamenti nelle strutture fisiche e delle
proporzioni corporee. I ragazzi si ritrovano con un corpo nuovo da gestire che insieme allo
sconvolgimento ormonale, provoca una notevole labilità psichica. E’ quindi necessario stabilizzare
le abilità motorie prima.
Inizia il distacco dai genitori e la ricerca dell’autonomia dalla tutela degli adulti e un maggior
rapporto con i coetanei. Vi sono cambiamenti nelle priorità degli interessi e nelle aspettative
sportive. Vi è una maggiore capacità intellettuale e il desiderio discutere e partecipare
all’impostazione degli allenamenti che non devono essere troppo duri e monotoni per evitare un
calo di motivazione e l’abbandono dello sport. Servono attenzione, pazienza rispetto e
comprensione del loro desiderio di autonomia e di critica.
Sotto due grafici per capire come cambiano gli interessi nei giovani a seconda dell’età, importanti
per riuscire a mantenere viva la motivazione e il piacere di allenarsi nelle varie fasi della crescita:
21
(Weineck p.123)
Nella seconda fase puberale (14/15) gli ormoni si stabilizzano e c’è un maggiore equilibrio sia
psichico sia fisico. Dopo l’aumento rapido della statura c’è un maggiore aumento nella larghezza.
Si arriva ad un’armonizzazione delle proporzioni con effetto positivo sull’ulteriore sviluppo delle
capacità coordinative (Weineck p..124). L’aumento della forza e della capacità di immagazzinare
ampi schemi motori fa dell’adolescenza una fase ottimale per addestrare con la massima intensità
sia le capacità organico-muscolari che quelle coordinative. Capacità elevate di carico psicofisico
consentono un allenamento ottimale.
Ogni periodo ha quindi i suoi particolari compiti. Nella preadolescenza vanno allenate le capacità
coordinative e ampliato il patrimonio dei movimenti. Nella pubertà vanno addestrate le capacità
organico-muscolari. Coordinazione, tecnica e condizione fisica vanno sempre sviluppate.
L’età biologica non corrisponde sempre a quella anagrafica e varia di qualche anno tra femmine e
maschi.
Nell’infanzia e nell’adolescenza non ci può mai essere esasperata ricerca di risultati ma tutte le
attività devono essere svolte per stimolare un armonioso sviluppo psico-fisico.
Riporto le tabelle di F. Casolo (p.119 tratta da Martin) e quella di A.Passerini che indicano la
migliore età per lo sviluppo delle varie capacità fino a 16 anni.
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Ecco la tabella di Martin (p.152) che indica l’allenabilità delle capacità coordinative e condizionali
nelle varie fasi d’ età, fino ai 18 anni (Capacità di apprendimento delle abilità tecniche – Capacità
di reazione – Ritmo - Equilibrio – Capacità di orientamento – Capacità di differenziazione -
Rapidità – Forza massimale – Forza veloce – Resistenza aerobica – Resistenza anaerobica):
Capacità di carico è la capacità dell’organismo di tollerare sforzi senza alterazioni della salute e del
suo stato di benessere. Si esprime nel modo come l’intero organismo assimila il carico. E’ una
caratteristica che dipende molto dalle predisposizioni genetiche ma anche da influenze esogene
come il clima e l’ alimentazione e dalle condizioni endogene ( malattie.)”Un carico ben dosato
porta a adattamenti funzionali e strutturali degli organi, dei sistemi biologici e dei meccanismi
funzionali regolatori” Froehner ( I principi dell’allenamento giovanile p.4 ).
“Nell’adolescenza e infanzia lo sforzo sportivo rappresenta una base importante per sviluppare
una tolleranza degli sforzi ”(Froehner IntroduzioneVII) ma il carico deve tenere conto dello stato
dell’organismo, salute, età, sesso, motivazione stabilità psichica per non causare danni ( vedi
fisioterapia Ferrari).
Caria,Solinas e Puggioni (L’allenamento del bambino) sconsigliano in, generale, prima dei 12 anni
la pratica sportiva a livello agonistico, in quanto, secondo loro, non sussistono ancora i presupposti
psicofisici idonei per affrontare sia gli intensi carichi di lavoro a livello fisiologico che le
sollecitazioni di tipo psicologico che l’attività agonistica comporta.
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Nello stabilire il carico di lavoro occorre conoscere gli effetti che la sollecitazione produce
sull’organismo.
La capacità di carico equivale alla capacità di prestazione nella sua componente più debole. E è qui
che bisogna lavorare. Nell’infanzia e adolescenza bisogna formare l’organismo in modo
multilaterale e garantire che il carico venga assimilato senza danni per la salute.
Ecco i principi per stabilire il giusto carico per incrementare la prestazione (Weineck p.22):
p. della necessità che superi una certa soglia (dipendente dallo stato di allenamento) –
2.Allenamento - Tattica
Tattica e’ una parola in uso nell’arte militare e indica “la tecnica, i principi e le modalità d’impiego
di truppe, reparti e mezzi bellici, a contatto col nemico, in battaglia o in combattimento” . Nello
sport ha lo scopo di considerate e adottare tutti “gli accorgimenti per aver la meglio sugli
avversari”(Treccani).
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Facciamo quindi tattica quando consideriamo e prendiamo tutte le misure allo scopo, non tanto di
riuscire in gara a fare in modo ottimale quanto ci siamo prefissi, ma di raggiungere il massimo dei
punteggi possibile, battere l’avversario e scalare la classifica, in barba a tutte le considerazioni
pedagogiche. Ciò è giusto a livello di atleti ma non di giovani e giovanissimi, come abbiamo visto.
Per il pattinaggio riguarda, per esempio, la scelta dei salti col maggior coefficiente da mettere nel
programma, le posizioni e prese più utili (anche se non belle) per aumentare il livello delle
piroette, la successione più idonea degli elementi nel programma al di là delle pur importanti
esigenze coreografiche…… Tutto bene, basta non venire a patti con l’esigenza per me essenziale di
acquisire e padroneggiare fin da piccoli, nel miglior dei modi, abilità fondamentali (anche mentali)
e movimenti basilari per avere successo in futuro.
Per i giovanissimi parlerei forse più di strategia (sempre termine militare), cioè di piani d’azione a
lungo termine, piuttosto che di tattica.
Weineck (p.645) intende per tattica “il comportamento che è stato pianificato in vista di una
competizione” e comprende l’ organizzazione e la conduzione della gara.
Importante per la conduzione della gara è la capacità di controllo per far fronte a ostacoli interni
ed esterni.
Weineck p.644
Weineck p.645
(Weineck p.607)
Tra questi importante è la motivazione. Inoltre una buona allenabilità della tecnica necessita di
capacità coordinative sviluppate in modo multilaterale e di un ampio patrimonio di movimenti di
base acquisiti già in età molto precoce.
Si apprende la tecnica attraverso varie fasi : - fase della comprensione e comunicazione – fase
della coordinazione grezza – fase della coordinazione fine – fase del consolidamento e della
disponibilità variabile.
Il giovane può essere lento o rapido nell’apprendere e il compito facile o difficile. Se il giovane è
lento o il compito difficile, l’insegnante deve avere la necessaria pazienza. In ogni caso l’insegnante
deve adeguarsi al processo di apprendimento individuale. Errori di valutazione o modi errati di
procedere inficiano il l’apprendimento.
(Weineck p 619)
Per ottimizzare la tecnica è necessario migliorare non solo capacità fisiche, psichiche (volontà)
metaboliche ( capacità aerobica) ma si deve tener conto delle leggi della biomeccanica ( vedi Dalla
Vedova) )
(Weineck p.154)
28
(Martin p.67)
Per prevenire patologie da sovraccarico della colonna vertebrale e degli arti, sono importanti
esercizi di allenamento propriocettivi su supporto instabile, stabilizzazione del Core, allungamento
dei muscoli, riscaldamento e defatigamento con esercizi appropriati e mirati. Gli esercizi su
supporto instabile rafforzano la muscolatura, allenano l’intero sistema propriocettivo e migliorano
le capacità coordinative. Anche l’allenamento della mobilità articolare costituisce una prevenzione
contro infortuni muscolari e tendinei.
Schema dello sviluppo intensivo delle capacità coordinativa fino ai 16 anni(secondo Hiertz
1985)riportato da Froehner (p.389:
29
Le capacità coordinative hanno efficacia solo se collegate allo sviluppo delle capacità condizionali.
”E’ impossibile immaginare che esse esistano senza i presupposti fisici della prestazione ( forza,
rapidità, resistenza e mobilità articolare) e la loro compenetrazione complessa durante il
movimento”(martin p580). Le abilità motorie e i loro elementi si fissano solo se si esercitano in
modo ricco di varianti.
Importane stabilire un programma allenante che prepari il ragazzo all’attività sul ghiaccio ”usando
esercizi che allenino movimenti fondamentali e non singoli muscoli. E che riproducano attivazioni
sequenziali tipiche dello sport”(Andorlini Alberto p.39). Non quindi attivazione dei singoli muscoli
ma di movimenti globali . Il corpo non funziona come un insieme frammentario di segmenti isolati
ma come un’attività dinamica indivisibile. Non allenare i vari elementi separatamente con la
speranza”poco plausibile, da un punto di vista biologico, che si integrino autonomamente in un
secondo momento”(Capanna citato da Andorlini). Non “allenare la parte dimenticando si essere
parte”(Gambetta riportato da Andorlini). Gli attrezzi di ultima generazione hanno la funzione di
aumentare le perturbazioni complicando le risposte e rendendo più difficile la soluzione.
Importante monitorare il miglioramento delle varie capacità e la validità del lavoro che si sta
svolgendo tramite test appropriati (vedi Botta).
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La rapidità è la capacità di reagire ad uno stimolo nel minor tempo possibile e/o di eseguire con la
massima velocità movimenti di singoli segmenti corporei. Dipende soprattutto dalla funzionalità
del sistema nervoso e ha una forte componente genetica per cui è poco allenabile (può migliorare
ma soltanto nell'ordine del 18-20%). Tuttavia è, con la destrezza, una caratteristica importante del
pattinatore ed è necessario allenarla il più possibile (speed ladder…). Produrre azioni rapide per
lunghi tempi necessita di disponibilità di energia, resistenza alla forza e alla velocità.
L’allenamento mentale Mental Training può aiutare ogni atleta a migliorare in maniera concreta le
sue abilità e il suo approccio alle gare, riuscendo a capire come gestire se stesso, pensieri,
emozioni, concentrazione, stress, per fare una “gara magica”.
Un allenatore ha detto che in allenamento per un pattinatore la fatica fisica riguarda il 95%e
quello mentale il 5%, dello sforzo. Nel momento della gara le cose si invertono la fatica mentale
sale al 95%. Pur possedendo sia una buona condizione che una buona tecnica per pattinare
ottimamente, occorre stare calmi sotto pressione e rimanere concentrati sul presente senza
lasciare che la mente vaghi. Anche dopo un errore l’atleta deve essere in grado di rimanere
focalizzato sull’azione presente ,senza pensare a quanto è stato e quanto sarà. Imparare a gestire
al meglio le emozioni (paura di non farcela, , desiderio di vincere, rabbia, delusione) non vuol dire
non provarle ma non lasciarsene schiacciare, e rispondere allo stress con buona capacità di
adattamento e con consapevolezza delle proprie capacità.
Le abilità mentali cognitive su cui si può intervenire con il M.T sono: controllo dell’attenzione,
controllo dei pensieri e dell’immaginazione, gestione delle emozioni, modalità di risposta in
situazioni di stress, capacità di porsi e realizzare obiettivi, apprendimento, equilibrio emotivo
.B.Rossi(La pancia degli atleti).
- a formulare gli obiettivi, che devono essere difficili ma raggiungibili, rivolti al miglioramento
graduale della prestazione più che al risultato (che sappiamo essere molto spesso influenzato da
fattori imprevedibili).
-A gestire l’ansia e lo stress. Vengono analizzate le situazioni ritenute ansiogene e debilitanti per
la performance ed insegnate tecniche per la gestione delle emozioni negative.
A. Parroni (il Mental Trainin Mindfulness nell’allenamento di bambini e ragazzi p.178) riporta i due
approcci teorici del MT che si basano su punti di vista opposti.
il PST(Psychlogical Skill Training) è finalizzato al controllo e alla soppressione degli stati interni
negativi(pensieri, emozioni, sensazioni) che interferiscono con la prestazione ( tradizione
occidentale).
A.Parroni afferma che l’allenamento mentale è utile: 1.quando il ragazzo ha migliori prestazioni in
allenamento che in gara a causa di :paura di fallire, aspettative troppo alte, autocritica eccessiva ,
dubbi sulle proprie capacità nel momento della gara. 2.Quando Perde l’attenzione durante i
momenti critici e commette errori che normalmente non fa.3. Quando prova ansia e perdita di
attenzione se c’è la presenza di spettatori per lui significativi. Lo aiuta a trovare fiducia nelle
proprie capacità, lucidità, concentrazione, e a saper stare in un gruppo .
imparare a non sprecarla durante l’esecuzione del programma di gara. Come l’energia può finire
prima della fine della musica e ciò si esprime in errori in passaggi semplicissimi.
Si educano i ragazzi al “qui ed ora” a prestare attenzione al momento presente a non distrarsi in
pensieri sul passato e sul futuro. Quando sono assorbiti da un’attività che li interessa esiste
soltanto il presente e ciò li fa sentire bene. Importante è che ci sia sintonia tra quello che fanno e
quello che amano. Quando qualcosa li appassiona veramente il risultato è la piena concentrazione.
Anche durante l’allenamento si deve cercare di rinforzare l’ autostima del ragazzo, non smettendo
mai di dire “ce la fai, sei bravo”.Si deve evitare di giudicarlo, quando sbaglia, sottolineandone
mancanze personali e colpe. Il giudizio negativo dei comportamenti sbagliati deve essere
svincolato dal valore della persona. Cercare di porre sempre l’accento sulle cose positive , anche se
alla fine dell’ora ci sentiamo frustrati, depressi e pensiamo “non ce la faremo mai”. Qualcosa di
positivo si troverà sempre anche in un allenamento che può apparire disastroso. Gare e risultati
vanno analizzate in rapporto agli obiettivi fissati e agli allenamenti passati , vedendo ogni errore
come risorsa per migliorare e rendere gli allenamenti futuri sempre più mirati e proficui.
Migliorare l’autostima e la fiducia degli atleti in se stessi è importante per la riuscita nello sport.
Ma come può un ragazzo credere di farcela se gli hanno sempre detto “lascia stare che non sei
capace…faccio io tu non sei in grado”? Nei momenti cruciali vengono fuori convinzioni inculcate fin
da piccoli da una educazione negativa. Inoltre col crescere delle esperienze si formano abitudini,
valori, regole (mappe)che possono essere utili o limitanti e distruttive( Vedi Pellizola). Ora sembra
che con varie tecniche si possano sostituire i programmi sabotanti, legati a credenze e abitudini
negative, con nuovi più efficaci allo scopo. Si può insomma decondizionare la mente e
riprogrammarla riuscendo così ad affrontare gare e allenamenti senza cadere nelle solite abitudini
sbagliate:stress, paure, agitazioni, pensieri apocalittici.
Ciò grazie al principio della neuro plasticità. Fino a 10 anni fa si credeva che il cervello umano
contenesse tutti i neuroni dalla nascita, e che nessuno stimolo ambientale potesse modificare
questo stato. Oggi il dogma è caduto. E’ stato definitivamente accettato(per fortuna!) che il
cervello si adatta continuamente alle sollecitazioni e alle esperienze, creando, se stimolato, nuovi
neuroni e nuovi collegamenti fino alla morte dell’individuo (Riportato da Tabucchi p..141).
il cervello umano è una macchina fantastica e perfetta ma bisogna imparare a guidarla altrimenti
ci guiderà lei. Se la nutriamo bene tutti i giorni con pensieri positivi usando un linguaggio
potenziante essa ci porterà ai nostri obiettivi. Anche nell’allenamento mentale però l’atleta deve
mettersi in movimento: servono motivazione e impegno.
Il nostro subconscio non dimentica nulla delle esperienze che facciamo è un ripostiglio che
immagazzina tutto, ogni esperienza, immagine parola proveniente dall’esterno o dall’interno del
corpo senza scegliere o giudicare. La mente conscia prende decisioni e dà le direttive. La mente
inconscia esegue automaticamente gli ordini ma agisce come è stata programmata da abitudini
convinzioni, condizionamenti passati. Nello stato di flusso c’è sintonia tra subconscio e la mente
conscia che agiscono all’unisono.
R.Rambert ( Reprogamm your subconscious mind) afferma che solo il 12% delle nostre azioni
giornaliere è sotto il controllo della mente conscia.
“You are like a captain navigating a ship. He must give the right orders, and likewise, you must give
the right orders (thoughts and images) to your subconscious mind which controls and governs all
your experiences.” ~ Dr. Joseph Murphy
Programmazione neurolinguistica(PNL)
Bandler (Il potere dell’inconscio e della PNL p.29) afferma: ”Ho fede nel processo di
apprendimento umano… Possiamo sempre apprendere qualcosa di diverso da quello che abbiamo
già appreso qualcosa di più utile e migliore….Libertà per me significa capacità di usare la propria
mente conscia per guidare l’ attività inconscia. L’inconscio è enormemente potente ma ha bisogno
di essere guidato“. Quando i nostri processi mentali consci lavorano al meglio noi creiamo
gradualmente nuovi schemi che diverranno abituali e automatici.
Con la PNL si può ridurre l’effetto che le esperienze passate negative hanno sulla persona. La
“trance” è semplicemente uno stato di maggiore apertura all’apprendimento e di grande
ricettività, di collegamento con la parte più autentica di noi stessi. E’ una condizione naturale nella
quale entriamo e usciamo continuamente e possiamo usarla per trasformarci. La trance
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(paragonabile allo “stato alterato” dei grandi atleti ) non solo facilita il processo di cambiamento
ma ci permette anche di “minimizzare o eliminare del tutto l’influsso di esperienze passate,
creando e installando al loro posto stati mentali nuovi, più utili e adatti alle circostanze”(Bandler
p34). Lo Squash Visivo è una tecnica per riempire gli spazi mancanti tra lo stato presente e lo stato
desiderato costruendo anche l’energia e l’entusiasmo necessari per mantenere le cose in
movimento fino al raggiungimento della meta. L’obiettivo va espresso in termini positivi, deve
essere ecologico-(limitato al contesto) , verificabile e dipendente dalla persona-(processo
proattivo e autosufficiente). La pianificazione deve chiarire la direzione e gli obiettivi ma
soprattutto includere solo i passaggi necessari da fare subito per poter vivere il giorno perfetto
(p.97).
La Visualizzazione aiuta nella gestione dello stress. Lee Pulos ha riportato nel suo libro ( The Power
of Visualization) un esperimento fatto dai sovietici sugli atleti della squadra olimpica del 1980. Essi
furono divisi in 4 gruppi e per ogni gruppo fu usata una diversa percentuale di allenamento fisico e
di esercizi di visualizzazione. Il gruppo D nella tabella ha vinto il maggior numero di medaglie nelle
olimpiadi di Mosca e Lake Placid.
6.Concentrazione Focus
“Concentrarsi nel chiasso vuol dire ignorare un mare di altri stimoli e mettere a fuoco una singola
cosa, prendere possesso da parte della nostra mente, in forma vivida e chiara, di uno dei tanti
oggetti o delle numerose sequenze di pensieri possibili”. I fattori di distrazione maggiori sono il
tumulto delle nostre emozioni: “il rimuginare senza fine sempre le stesse preoccupazioni in uno
stato cronico di agitazione, impotenza e autocommiserazione”. Tutto ciò che suscita in noi forti
sensazioni attira la nostra attenzione. L’occhio della nostra mente si muove in una perenne danza
tra l’attenzione catturata dagli stimoli esterni e la concentrazione diretta volontariamente su
qualcosa (William James-riportato da Goleman Focus I. parte 2 ).
Per D.Goleman (Focus V parte-15 ) “La regola delle 10.000 ore è diventata una sorte di verità
evangelica. Il problema è che è soltanto vera a metà “Se uno è un giocatore scadente a golf e
commette sempre gli stessi errori nei movimenti “10.000 ore di ripetizione di quegli errori non
miglioreranno certo il suo gioco, resterà un giocatore scadente, per quanto più vecchio”. Occorre
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“l’esercizio intelligente, ponderato”, un’ allenatore dall’occhio esperto e che l’atleta dedichi alla
pratica tutta la sua concentrazione.
“La pratica è necessaria ma non sufficiente. La differenza cruciale sta nel modo in cui i campioni di
ogni disciplina prestano attenzione alle proprie azioni mentre si esercitano”.L’esercizio intelligente
include sempre un meccanismo di “feed-back” da parte di una persona dotata di “occhio esperto”
che consenta di riconoscere e correggere gli errori. Alle volte può aiutare anche un
“incompetente” ma, come detto, dotato di buoni occhi.
Goleman (Focus cap.2):Il nostro cervello ospita 2 sistemi mentali semi indipendenti e perlopiù
separati:
“La mente “top-down “ più lenta, - volontaria , - sede dell’autocontrollo che può vincere le routine
automatiche e ridurre al silenzio gli impulsi emotivi - in grado di imparare nuovi modelli,
elaborare nuovi progetti e assumere il controllo del nostro repertorio di automatismi”.
(=personaggio secondario convinto di essere il protagonista (D. Kahneman).
Per migliorare una qualsiasi attività, e la tecnica del pattinaggio, è necessaria l’ attenzione selettiva
forte, la forza di volontà e la scelta intenzionale che appartengono tutte alla sfera top-down.
l’ attenzione è una capacità limitata (ora affermano che 4 è il numero massimo di informazioni
che il cervello può considerare). Non è un palloncino gonfiabile ma un sottile tubo che può
condurre il liquido in una unica direzione.
Gli sforzi cognitivi di imparare qualcosa di nuovo richiedono attenzione deliberata e attiva,da parte
della mente conscia, e molta energia.
Ma quanto più ci esercitiamo in una attività tanto più quest’ultima si trasforma in una routine
meccanica e la sua guida viene assunta dl meccanismo bottom-up. Quando la routine è resa facile
dalla familiarità viene trasferita dal sistema alto a quello basso, diventa automatica e l’attenzione
che dobbiamo prestarvi diminuisce fino a ridursi a zero.
Essere assorbiti da ciò che si fa ci fa sentire bene. Nello stato di flusso c’è sintonia tra ciò che
facciamo e ciò che amiamo. Il risultato è la piena armonia tra le diverse aree del cervello, tra
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subconscio e mente conscia che agiscono all’unisono. Per avvicinare l’atleta al flusso serve
“stimolare il loro entusiasmo e la loro motivazione, evocando un senso di scopo e aggiungendo un
pizzico di pressione” (Cap.2).
Determinante per raggiungere prestazioni sportive ottimali è il saper persistere nella motivazione
nonostante fallimenti e difficoltà. “Le difficoltà rafforzano la mente così come il lavoro irrobustisce
il corpo” (Seneca).
Per Tabucchi (Resisto dunque sono p.13 ) la resilienza psicologica “è la capacità di persistere nel
perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi
che si incontreranno sul campo”.
Secondo Tabucchi il tipo umano attualmente più diffuso nella nostra società è caratterizzato da
egocentrismo, elevata auto-indulgenza e auto-compassione e sfrenato consumismo .Lo sport
agonistico è il mezzo più idoneo per sviluppare le doti per affrontare ostacoli, frustrazioni,
insuccesso, solitudine, sfortuna, quindi lo scontato“sport come scuola di vita”.
Ma non sempre i professionisti dello sport sono esempi di resilienza perché “vivono spesso in un
mondo ovattato, dove tutto gira in funzione della possibilità di allenarsi; e dove il resto della vita,
con tutti i suoi problemi, è tenuto lontano”(Tabucchi p.18) e spesso incarnano della vita solo gli
aspetti negativi .
OttoZ Eddy:”Oggi da paesi come i nostri, pieni di benessere, difficilmente emerge qualcuno. Siamo
pieni di gente fisicamente azzeccatissima, selezionata e iper-allenata, ma che poi sotto pressione
si rivela inconsistente”.
Un campione (sci da fondo) ha detto: dietro la vittoria di un giorno c’è una storia che parla di
difficoltà superate quotidianamente, di insuccessi, di delusioni, di infortuni, di errori di
preparazione, di risultati che non arrivano, dell’incominciare a non credere più a se stessi. A me lo
sport ha insegnato a soffrire a combattere a non mollare.
Di solito si identifica l’atleta con le qualità fisiche eppure per la prestazione gli atteggiamenti
mentali contano almeno quanto i muscoli. Bisogna potenziare i muscoli mentali. L’atleta deve
essere allenato ad affrontare e reggere le avversità. I samurai dicevano “ è quando le acque si
fanno agitate che diventa manifesta la differenza tra le barche che tengono il mare e quelle che
non ce la fanno”.
Caratteristiche psicologiche dell’individuo resiliente sono l’ottimismo, il vedere gli eventi negativi
come momentanei e ritenere di avere un certo margine di controllo sulla propria vita e
sull’ambiente , la forte motivazione a raggiungere gli obiettivi , vedere i cambiamenti come una
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sfida e un’opportunità, non come minaccia, e non perdere la speranza di fronte a sconfitte e
frustrazioni.
La “Personalità Resistente” per gli sport di endurance si basa su 4 aspetti cognitivi: 1. senso di
controllo, 2.tolleranza alla frustrazione, 3.capacità di ristrutturazione cognitiva, 4.attitudine alla
speranza. In un ‘indagine atleti e allenatori hanno messo ai primi posti tra le caratteristiche che un
atleta deve avere per arrivare all’ eccellenza due fattori psicologici: spirito di sacrificio e –fiducia
nelle proprie capacità(Tabucchi p.14-18)
La resilienza non è un dono magico è una capacità cognitiva legata al modo con cui elaboriamo le
informazioni e ci rapportiamo con la realtà. Può essere allenata e accresciuta ma richiede impegno
e disciplina .Non ci sono ricette miracolose. Diventare resilienti è possibile come riuscire a gestire
lo stress.
Non è la realtà oggettiva che ci causa stress ma l’opinione che abbiamo di essa (lo dicevano già gli
antichi filosofi). I fattori che causano lo stress non vanno visti come qualcosa di oggettivo e gli
individui come un bersaglio passivo.
La resilienza è una conseguenza del nostro modo di comprendere e valutare i fatti. Lo stesso
evento, a seconda del modo come decidiamo di vederlo, porterà a stati d’animo, reazioni fisiche e
comportamenti del tutto differenti. Un atleta può vivere la gara.” come il giorno della resa dei
conti definitiva tra il mondo e la propria autostima oppure sceglier di vederla come un evento tra
quelli che compongono la vita un rendez-vous di una grande famiglia( avversari come amici)”
(Tabucchi p.28).
Un risultato ottimale in gara dipende dalle nostre convinzioni di potercela fare che deve
trasformarsi in comportamenti concreti. Bisogna vedere gli eventi come , almeno in parte,
dipendenti da noi.
Gli studi di Edwin Blalock hanno dimostrato che il cervello può intervenire nel funzionamento del
sistema endocrino e immunitario grazie ai “neurotrasmettitori obliqui tari”. Quindi i
comportamenti umani sono tutta un questione di biochimica. La chimica cerebrale condiziona lo
stato dell’umore, la capacità di concentrazione, la regolazione motoria, la presa di decisioni e
quindi i comportamenti. Ma gli aspetti cognitivi possono modificare a loro volta la biochimica
stessa. Gli effetti fisiologici ( adrenalina) legati alle emozioni vengono letti non in modo oggettivo,
ma sulla base dell’interpretazione cognitiva della situazione (batticuore può indicare amore o
paura).
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8.Motivazione
Il pattinaggio è uno sport che stimola tanti lati della personalità dei giovani ed amatissimo da chi lo
pratica. Avere motivazione quando tutto è facile e piacevole è semplice ma quello che serve, non
solo nello sport, è non perderla quando le cose si fanno difficili e faticose. La motivazione è
intrinseca quando il giovane agisce per propria volontà, perché l’azione lo diverte, lo fa sentire
competente e autodeterminato. La motivazione estrinseca è legata al raggiungimento di compiti e
obiettivi.
Trabucchi afferma che la nostra cultura ha smarrito il senso dell’impegno e della volontà
individuali, dell’automotivazione. Ci motivano sempre gli altri e le situazioni fuori da noi. Difficile
non è motivare ma fare durare la motivazione nonostante gli ostacoli e le difficoltà. L’intensità
della motivazione si misura nella capacità di farla durare.
Cerchiamo di rendere ogni ora di allenamento appetibile e interessante. Ho visto ragazze che
allenano per 50 minuti 2Axel ripetendo continuamente le stesse sequenze sbagliate, in una
successione interminabile di cadute e salti a metà che mai cambiano. L’ora sarà stata produttiva?
Riusciranno a fare, non troppo a lungo termine, il 2 Axel ? Non si stuferanno prima? Guardando da
lontano non si può capire. Forse sono dotate di enorme resilienza, per cui la prossima ora saranno
motivate più di prima e convinte di potercela fare.
CONCLUSIONE
Ho dedicato la maggior parte dei 2 mesi a disposizione a reperire e leggere libri sulle indicazioni
dateci dagli insegnanti durante il corso. Ho cercato di documentarmi un po’ e farmi un’ idea più
precisa di quanto detto. E’ difficile parlare di argomenti di cui si ha solo un’ infarinatura e usare
termini di cui non si conosce bene il significato. Si finisce per usarli a sproposito, banalizzare tutto
e ripetere cose scontate che tutti sanno e dicono meglio di me. Ci sono in queste pagine solo
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spunti e temi che vorrei approfondire e molte forzature essendo io interessata ad aiutare più chi
ha difficoltà che chi ha talento.
Meglio non distinguere, anche solo a parole i “talentuosi” dagli altri ed accettare i giovani così
come sono, trattandoli tutti come fossero pieni di talento, credere in loro e dare il massimo per
ognuno senza lasciarsi scoraggiare. “L’erba del vicino è sempre più verde” e gli altri atleti sempre
più dotati.
Il talento è forse determinante per raggiungere l’eccellenza nello sport, ma perché emerga serve
un allenamento intelligente oltre a resilienza, capacità di concentrazione e di gestire la propria
mente, che forse sono anche doti ereditarie ma comunque allenabili. Gli studi sulle abilità mentali
danno speranza di poter cambiare comportamenti errati che inficiano la capacità di fare bene in
gara quello di cui sono capaci. Basta crederci e provarci.
Soprattutto nei periodi in cui tutto sembra andare storto, mantenere viva la motivazione ad
allenarsi e la focalizzazione sugli obiettivi è difficile: l’automotivazione non è di tutti, forse fa parte
del talento. Bisogna riuscire a trovare sempre qualcosa di positivo perché lascino la pista
soddisfatti, creando aspettativa e entusiasmo per l’allenamento di domani. Sentirsi sempre delusi
e incapaci può far loro passare la voglia di continuare a pattinare. Evitiamo che smettano troppo in
fretta, dando il giusto valore e una patina di normalità a tutto ciò che insieme stiamo facendo. In
fin dei conti, ,anche se per noi importantissimo, è solo un po’ di pattinaggio.
Sono contenta di aver potuto frequentare il corso. Rimango, nonostante i molti anni di
insegnamento, un “imparante” ed è per questo che ho voluto farlo. Il problema dei corsi di
aggiornamento è che dovrebbero servire a cambiare in meglio la pratica quotidiana. Ma al rientro
in “classe” l’esperienza dice che pochi riescono a mantenere la determinazione a cambiare e
migliorare e si finisce per cadere nel solito tran tran.
Finisco con le parole che G.Huether ha riportato nel suo libro “Jedes Kind ist hoch begabt” (Ogni
bambino è pieno di talento):
“When I was 5 years old, my mother always told me that happiness was the key to life.
When I went to school, they asked me what I wanted to be when I grew up.
John Lennon
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BIBLIOGRAFIA