I sismi si manifestano quasi esclusivamente entro certe fasce della superficie
terrestre che vengono dette sismicamente attive o, più semplicemente, sismiche, mentre mancano in altre aree, definite asismiche. Un’area è detta “asismica” perché al suo interno non si generano terremoti, ma ciò non significa che in essa non se ne risentano gli effetti, dovuti al propagarsi di “vibrazioni” provenienti da vicine zone sismiche. Un terremoto è una vibrazione più o meno forte della Terra prodotta da una rapida liberazione di energia meccanica in qualche punto al suo interno. Il punto in cui l’energia si libera, all’interno della Terra, è detto ipocentro (fuoco) del terremoto: da esso l’energia si propaga per onde sferiche che, pur indebolendosi con la distanza, attraversano tutta la Terra. Robert Mallet. Arrivò alla conclusione che un terremoto consiste in una serie di onde elastiche che si propagano attraverso la Terra, causate dalla deformazione o frattura di masse rocciose nel sottosuolo. Harry F. Reid. Giunse alla conclusione che le rocce, sottoposte a qualche sforzo, si comportano in maniera elastica e si deformano progressivamente fino a che non viene raggiunto il limite di rottura. In quel momento nella massa rocciosa si innesca una lacerazione a partire dal punto più debole e si crea una faglia, lungo il cui piano le rocce possono scorrere le une contro le altre in direzioni opposte. Le due parti dell’originaria massa rocciosa sono libere allora di reagire elasticamente, e riacquistano bruscamente il loro volume e la loro posizione di equilibrio, con una serie di rapide vibrazioni, che si trasmettono alle masse rocciose circostanti e che possono durare da pochi secondi a qualche minuto. Se nella massa rocciosa esiste già una faglia, è il forte attrito tra le due labbra della faglia a impedire all’inizio ogni movimento, per cui le rocce, sollecitate da nuovi sforzi, cominciano a deformarsi elasticamente: quando però la tensione che si accumula nelle rocce supera la resistenza dovuta all’attrito la faglia, che in tal caso è il punto più debole, si “riattiva” e il movimento avviene lungo di essa. Il comportamento delle masse rocciose ai due lati della faglia è grosso modo simile a quello di un elastico che si deforma quando viene teso, e che, se si rompe, ritorna bruscamente nelle condizioni iniziali. Secondo il modello del rimbalzo elastico (reazione elastica), con il brusco ritorno delle masse rocciose all’equilibrio, l’energia elastica accumulata durante la deformazione si libera, in parte sotto forma di calore prodotto dall’attrito lungo la superficie della faglia, in parte sotto forma di violente vibrazioni, che si propagano come onde sismiche verso tutte le direzioni, a partire da un punto ideale (l’ipocentro o fuoco). Il ciclo sismico. Si distinguono quattro stadi. Nello stadio intersismico inizia l’accumulo di energia, una parte della quale si libererà poi come vibrazioni. Lo stadio successivo è lo stadio presismico (prima della rottura), nel quale la deformazione elastica della roccia si accentua progressivamente fino a livelli critici di resistenza: in questo stadio alcune variazioni nelle caratteristiche fisiche delle rocce si manifestano così chiaramente da essere considerate fenomeni precursori del terremoto. Nello stadio cosismico l’energia potenziale, accumulata come deformazione elastica, si libera sotto forma di calore e di movimento, producendo il terremoto vero e proprio. Quando si è vicinissimi al punto di rottura, la crisi sismica può essere innescata anche da qualche fenomeno contingente, come la presenza anomala di fluidi nella crosta o l’attrazione luni-solare. Infine, lo stadio postsismico comporta il passaggio della regione verso un nuovo equilibrio, attraverso una serie di scosse successive (repliche) e con la lenta scomparsa delle anomalie nelle caratteristiche fisiche delle rocce, che si erano manifestate nei precedenti stadi. Tipi di onde. Vi sono le onde longitudinali (di compressione) sono quelle al cui passaggio le particelle di roccia oscillano avanti e indietro nella direzione di propagazione dell’onda stessa: in pratica, la roccia subisce rapide variazioni di volume, comprimendosi e dilatandosi alternativamente a seconda delle rapide oscillazioni che i blocchi di roccia nella zona dell’ipocentro compiono dopo la deformazione elastica. Sono le onde più veloci, per cui sono dette anche onde prime/onde P. Possono propagarsi in ogni mezzo, nelle rocce più compatte come nel magma fuso, nell’acqua e anche nell’aria. Onde trasversali (di taglio) al loro passaggio le particelle di roccia compiono delle oscillazioni perpendicolari alla direzione di propagazione; la roccia subisce variazioni di forma, ma non di volume. Sono più lente delle onde P e sono chiamate perciò onde seconde/onde S. Non possono propagarsi attraverso i fluidi; infatti, mentre in un solido le molecole che si muovono trascinano con sé quelle contigue, in un fluido le forze tra molecole sono così deboli che ciò non avviene. Perciò se le onde S, nel loro movimento, incontrano una massa di magma fuso, si smorzano rapidamente e non si propagano oltre in quella direzione. Onde P e onde S si generano nell’ipocentro e sono chiamate complessivamente onde di volume/interne. Si generano per tutta la durata del movimento della faglia attivata. La loro velocità e la direzione di propagazione si modificano al passaggio attraverso materiali differenti per caratteristiche fisiche, per cui tali onde vengono riflesse e rifratte. Queste si propagano in ogni direzione e, quando arrivano in superficie generano a loro volta le onde L ed R. Onde superficiali si propagano dall’epicentro lungo la superficie terrestre mentre si smorzano rapidamente con la profondità. Ricordiamo le onde di Rayleigh (R). Al propagarsi di un’onda R le particelle compiono orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione come avviene per le onde in acqua. Onde superficiali sono anche le onde di Love (L). Al passaggio di un’onda L le particelle oscillano trasversalmente alla direzione di propagazione (come le onde S), ma solo nel piano orizzontale. Il sismogramma. È la registrazione del movimento sismico. Nell’area prossima all’epicentro (che è il punto della superficie terrestre più vicino all’ipocentro) il sismogramma appare molto complicato o confuso, sia per l’ampiezza delle oscillazioni, che possono mandare fuori scala gli strumenti, sia per l’arrivo quasi contemporaneo di vari tipi di onde, a cause della brevità del cammino effettuato. A una certa distanza dall’epicentro, invece, i gruppi di onde cominciano a separarsi e nel sismogramma si riconosce una struttura fondamentale. L’inizio delle oscillazioni e la prima parte del sismogramma corrispondono all’arrivo delle onde P; nella parte centrale del sismogramma all’arrivo delle onde P si sovrappone quello delle onde S; nell’ultima parte del sismogramma (coda) compaiono prevalentemente le onde superficiali, più lente ma più ampie. La struttura del sismogramma diviene in realtà ben più complessa quando, allontanandosi ancora dall’epicentro, si consideri l’arrivo di onde che hanno subito una o più riflessioni o rifrazioni all’interno della Terra, e che giungono in superficie solo oltre certe distanze dall’epicentro, dove invece altre onde si attenuano o scompaiono. Profondità dell’ipocentro. Sono stati distinti terremoti superficiali, intermedi, profondi. Scale di intensità di un terremoto. Attualmente la scala di intensità più usata in Europa e in America è la scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). L’intensità è basata sullo studio degli effetti del terremoto. Viene stabilita esclusivamente in base alla valutazione degli effetti prodotti dal terremoto su persone, manufatti e sul terreno e prendono anche il nome di dati macrosismici. Assume tutta una serie di valori, da quello massimo nella zona dell’epicentro al valore nullo a una certa distanza dall’epicentro: in un terremoto perciò, il grado di intensità non è tanto una caratteristica di quel terremoto, quanto una valutazione del modo in cui esso è stato avvertito nelle varie zone. Si intende quindi l’intensità massima registrata per quel terremoto. A questa scala è stata poi affiancata la valutazione della magnitudo, cioè della grandezza di un terremoto, che meglio può definire la forza del terremoto, indipendentemente dagli effetti con cui si manifesta in superficie. La magnitudo è una misura strumentale della forza del terremoto nel punto in cui questo si è originato; per cui ogni terremoto ha una sua magnitudo, che dipende solo dall’ampiezza massima delle oscillazioni registrate sul sismogramma e non è legata né alla posizione né alla distanza della stazione sismica. Quindi il valore della magnitudo è il medesimo in qualunque punto della Terra venga effettuata la misurazione. Ad ogni località in cui il sisma è stato avvertito viene assegnato un grado di intensità. Si tracciano poi delle linee “di confine” tra le zone in cui il terremoto si è manifestato con diverse intensità: si ottiene in tal modo una serie di curve chiuse, dette isoisme, la più interna delle quali racchiude l’area dell’epicentro.