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Vita e opere
Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio 1788: suo padre era banchiere, mentre sua
madre, Giovanna, una nota scrittrice di romanzi. Nella sua giovinezza viaggiò in Francia e in
Inghilterra e, dopo la morte del padre, che voleva destinarlo al commercio, frequentò l'università di
Gottinga, dove ebbe come maestro di filosofia Gottlob Ernst Schulze. Sulla formazione di
Schopenhauer influirono le dottrine di Platone e di Kant. Nel 1811 a Berlino egli poté assistere alle
lezioni di Fichte; nel 1813 si laureò a Jena. Negli anni seguenti Schopenhauer visse a Dresda: qui si
dedico alla composizione dello scritto “Sulla vista e sui colori” (1816) in difesa delle dottrine
scientifiche di Goethe, con il quale aveva stretto amicizia durante soggiorno a Weimar, e preparò la
stampa per la sua opera principale “Il mondo come volontà e rappresentazione” pubblicata nel
dicembre 1818: l’opera non ebbe un successo immediato, tant’è vero che il filosofo dovette
aspettare più di vent’anni per pubblicarne una seconda edizione. Dopo un viaggio a Roma e a
Napoli, nel 1820 si abilitò alla libera docenza presso l'Università di Berlino, dove fino al 1832 tenne
i suoi corsi liberi, senza troppo zelo e senza alcun successo. Tra il 1822 e il 1825 fu di nuovo in
Italia. L'epidemia del 1831 lo costrinse a lasciare Berlino: si stabilì a Francoforte sul Meno, dove
rimase fino alla morte, avvenuta il 21 settembre 1860. Intanto nel 1836 aveva pubblicato “Sulla
volontà nella natura” e nel 1841 “I due problemi fondamentali dell'etica”. L'ultima opera di
Schopenhauer, “Paregra e paralipomena” risale al 1851 si tratta di un insieme di trattazione di
saggi alcuni dei quali grazie alla forma popolare e brillante contribuirono non poco a diffondere la
sua filosofia. L’indirizzo cupo e apertamente anti-idealistico del suo pensiero, che lo rese inviso ai
contemporanei, poté contribuire alla “fortuna” della sua filosofia solo dopo in 1848, in
concomitanza con l’ondata di pessimismo che colpì tutta l’Europa.
Il «velo di Maya»
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra “fenomeno” e
“noumeno”.
Per Kant il fenomeno è l’unica realtà conoscibile. Il noumeno è un concetto limite che definisce il
confine delle possibilità conoscitive umane. Il mondo dei fenomeni è l’insieme degli oggetti
conoscibili, che apprendiamo attraverso forme a priori.
Per Schopenhauer il fenomeno è un velo illusorio, detto “velo di Maya”, che nasconde agli uomini
l’autentica realtà, mentre il noumeno è la vera realtà che si cela dietro il fenomeno, e che il filosofo
deve scoprire (cosa impossibile secondo Kant). Mentre per il criticismo il fenomeno è l'oggetto
della rappresentazione, Schopenhauer ritiene che il fenomeno sia la rappresentazione e che
esista solo nella mente umana. Il filosofo giunge alla tesi «il mondo è la mia rappresentazione»:
«[...] tutto ciò che esiste per la conoscenza, cioè questo mondo intero, è solamente oggetto in
rapporto al soggetto, intuizione di chi intuisce, in una parola: rappresentazione.».
Sottolineando il carattere rappresentativo della conoscenza, Schopenhauer intende richiamare
l'inscindibilità della relazione tra soggetto e oggetto: questa è una verità evidente e universale,
valida in ogni tempo e in ogni luogo, che non solo la filosofia moderna, da Cartesio a Berkeley, ma
anche la filosofia antica (in particolare il pensiero scettico) aveva già colto. Kant, invece, ha finito
per "trascurare questo principio", facendo del fenomeno l'unica realtà conoscibile e dimenticando il
suo carattere di illusione e apparenza, nonché la possibilità di "superarlo" per attingere la cosa in sé
(noumeno).
La rappresentazione ha due aspetti essenziali ed inseparabili:
il soggetto rappresentante;
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Arthur Schopenhauer
l’oggetto rappresentato.
Soggetto e oggetto sono due facce della stessa medaglia
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