Quello dell’in-house providing è un fenomeno abbastanza recente: se
andiamo a verificare infatti la nozione stessa di in house providing è
stata utilizzata per la prima volta in ambito comunitario dalla Commissione Europea, mutuando la definizione anglosassone nel libro bianco sugli appalti pubblici del 1998, dove si legge che appalti in House sono quelli aggiudicati all'interno della pubblica amministrazione ad esempio tra amministrazione centrale e locale o ancora tra un amministrazione e una società questa interamente controllata. Punto di partenza è quello della sentenza teckal ossia la sentenza della Corte di Giustizia 18 novembre 1999. La società in House potremmo qualificarla come una diretta espressione dell'ente pubblico, una diretta espressione della amministrazione pubblica (Longa manus dell'amministrazione pubblica).
Con il termine affidamenti “in house” viene indicata la fattispecie in cui
un soggetto tenuto all’obbligo di evidenza pubblica, derogando al principio di carattere generale dell’obbligo di indire una gara pubblica, invece di procedere all’affidamento all’esterno di determinate prestazioni, provvede in proprio (in house) all’esecuzione delle stesse, affidando l’esecuzione dell’appalto o la titolarità del servizio ad altra entità giuridica senza gara. Negli affidamenti in house non vi è l’attribuzione di compiti o servizi a operatori economici privati, da ciò la circostanza che le regole sulla concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono in rilievo. Si tratta, in definitiva, di un modello organizzativo in cui la P.A. provvede da sé al perseguimento degli scopi pubblici.
Quanto detto deve essere subito coordinato con una considerazione di
fondo: il termine in house providing indica una situazione ben precisa, ossia la situazione in cui che fra P.A. appaltante e appaltatore (o concessionario) non vi sia alcuna reale alterità. In altri termini, un affidamento in house è tale soltanto se l’entità giuridica a cui viene attribuita la titolarità del servizio sia legata alla stazione appaltante da vincoli talmente serrati da non rendere esistente, nella sostanza, una duplicità di soggetti fra P.A. e affidatario. In una tale situazione, l’obbligo di indire una gara a evidenza pubblica viene meno in quanto la P.A. non affida il servizio a un terzo, ma a se stessa, o meglio a una propria articolazione che, pur assumendo una veste formale di soggetto terzo, rimane inscindibilmente legata alla stazione appaltante. L’affidamento in house presuppone quindi una particolare situazione: quella di un legame strettissimo fra affidante e affidatario. E tale legame consente a un legittimo affidamento diretto dell'appalto o del servizio.
Obbligo di trasparenza e imparzialità
L'affidamento in house costituisce un'eccezione all'affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica. Procedura, quest'ultima, imposta alla P.A. al fine di rispettare i principi di trasparenza e di imparzialità derivanti da una ampia serie di disposizioni normative. Sinteticamente, può dirsi che tale obbligo deriva, in primo luogo, dal dettato costituzionale: l’art. 97 Cost. testualmente dispone infatti che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. La portata del fenomeno dell’ in house providing è sfociata nella constatazione che esso – pur costituendo una deroga al principio dell'evidenzia pubblica – non costituisce un modello eccezionale di affidamento di appalti e servizi, essendo, invece, un modello organizzative che le pubbliche amministrazioni possono assumere in via ordinaria. Vi è cioè una deroga al principio dell'evidenza pubblica, ma la possibilità di operare tramite affidamenti in house non risulta (oramai più) una fattispecie eccezionale. 4. Origini dell'istituto Il meccanismo dell’in house ha origine in ambito comunitario e in riferimento al settore degli appalti pubblici. Infatti, è stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia a individuare i presupposti in ragione dei quali possa dirsi sussistente quello strettissimo legame fra soggetto affidante e soggetto affidatario che, in definitiva, fa ritenere che non si tratti di due soggetti distinti.
I criteri individuati dalla giurisprudenza comunitaria hanno poi trovato
una consacrazione a livello di “diritto scritto” nell’ambito del settore dei servizi pubblici locali.
A seguito delle modifiche intervenute all’art. 113 del d.lgs. 267/2000 nel
corso del 2003, esso prevedeva, fino all'abrogazione di tale disposizione, al comma 5, lett. c), che un servizio pubblico locale possa essere direttamente affidato “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”. Il legislatore nazionale aveva quindi trasfuso all’interno della disciplina dei servizi pubblici locali il portato della giurisprudenza comunitaria in tema di in house. (Disposizioni, quelle sui servizi pubblici locali, che sono venute meno a seguito dell'emanazione di una serie di norme volte a ridefinire l'intera materia dei servizi pubblici locali, poi anch'esse venute meno a seguito del referendum del 2011). Sul punto, tuttavia, occorre evidenziare che la stessa giurisprudenza comunitaria ha proceduto, in tempi più recenti, a meglio circoscrivere il fenomeno dell’in house, stabilendo, in sintesi, che tale fenomeno sussiste (e quindi è legittimo un affidamento diretto) solo se: il capitale dell’affidatario sia totalmente pubblico, e sia statutariamente esclusa la possibilità di un ingresso di capitale privato nella compagine societaria; il “controllo analogo” si estrinsechi in forme di condizionamento ulteriori e più incisive rispetto ai “normali” poteri di un socio di maggioranza (rimanendo semmai da verificare in che cosa si estrinsechino tali forme di condizionamento ulteriori). I requisiti tradizionali per l'instaurazione del rapporto di in house providing Fino a prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016 l'istituto dell''in house providing non aveva alcuna fonte di diritto positivo. In particolare, non vi erano espresse disposizioni che ne disciplinassero con esattezza sia l'ambito di applicazione quanto le principale caratteristiche strutturali. Tuttavia, il sistema si era assestato sull'idea che un rapporto di in house providing potesse dirsi correttamente instaurato al ricorrere tre requisiti:
l'affidatario deve essere un soggetto a esclusivo capitale pubblico;
tra affidatario e affidante devono intercorrere rapporti tali per cui l'affidante sia in grado di controllare l'affidatario in modo analogo a come controllerebbe un proprio ufficio interno; l'affidatario non deve svolgere attività ulteriori rispetto a quelle affidate in via diretta se non in via del tutto marginale.
Con l'entrata in vigore delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e
2014/25/UE la materia ha trovato una nuova fonte normativa. Il legislatore comunitario ha infatti voluto inserire in disposizioni di diritto positivo quello che era il portato della stratificazione giurisprudenziale emersa sul tema.
Il legislatore italiano, da parte sua, nel recepire le nuove direttive in
materia di appalti pubblici, ha inserito anch'esso all'interno del D.Lgs. 50/2016 una specifica disciplina dell'istituto ricalcando fedelmente quanto già stabilito dalle direttive comunitarie. Al riguardo, occorre sottolineare come gli articoli del D.Lgs. 50/2016 dedicati all'in house providing siano due: l'art. 5 (che definisce le tipologie di in house providing possibili e ne precisa i requisiti) e l'art. 192 (il quale prevede l'istituzione di uno specifico registro a cura di ANAC nel quale debbano essere iscritte le stazioni appaltanti che si avvalgono di affidamento in house). Per quanto riguarda le tipologie di affidamenti in house, l'art. 5 citato prevede adesso in modo espresso che possa darsi seguito ad affidamenti in house:
da parte di una amministrazione aggiudicatrice a favore di un
soggetto da essa controllato; da parte del soggetto controllato a favore dell'amministrazione che lo controlla; da parte di una amministrazione aggiudicatarice a favore di un soggetto indirettamente controllato; da parte del soggetto controllato a favore di un altro soggetto controllato dalla medesima amministrazione aggiudicatrice. Viene inoltre sancito espressamente che il controllo può essere "condiviso" da più amministrazioni le quali controllino congiuntamente il medesimo soggetto affidatario. Per quanto riguarda i requisiti che debbano sussistere per aversi un corretto affidamento in house vengono ripetuti i tre "tradizionali" requisiti del capitale pubblico, dello svolgimento di attività prevalentemente per gli enti controllanti e del "controllo analogo". Tuttavia sussistono due importanti novità rispetto al passato, ossia che:
è ammessa la partecipazione, sebbene in modo estremamente
limitato, di capitali privati nella compagine societaria dell'affidatario; viene individuata nella soglia del 20% il volume massimo di attività che l'affidatario può svolgere a favore di soggetti terzi senza perdere la qualificazione di affidatario in house.