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1. Spazi di Hilbert
Definizione 7.1. Un prodotto interno su uno spazio vettoriale complesso
H è un’applicazine (·, ·) : H × H → C che soddisfa i seguenti assiomi:
(i) (linearità) (λx + y, z) = (x, z) + (y, z) per ogni x, y, z ∈ H e ogni λ ∈ C;
(ii) (simmetria) (x, y) = (y, x) per ogni x, y ∈ H;
(iii) (positività) (x, x) ≥ 0 per ogni x ∈ H e (x, x) = 0 se e solo se x = 0.
Dalla definizione segue immediatamente che
(x, y) = 0 ∀ y ∈ H ⇔ x = 0.
1
Poniamo kxk := (x, x) : vale allora l’identità del parallelogramma
2
Dimostrazione. Poniamo d := inf y∈C kx0 − yk. Per definizione, esiste una
successione di punti yn ∈ C tale che kx0 −yn k2 ≤ d2 + n1 . Allora, {yn }n∈N è una suc-
cessione di Cauchy in H: infatti, dall’uguaglianza del parallelogramma (applicata
ai vettori x0 − yn e x0 − ym ) segue che
kyn − ym k2 = 2kx0 − yn k2 + 2kx0 − ym k2 − k2x0 − yn − ym k2 ;
yn +ym
dal momento che C è convesso, si ha che 2 ∈ C e k2x0 − yn − ym k2 = 4kx0 −
yn +ym 2
2 k ≥ 4d2 , da cui la conclusione
kyn − ym k2 = 2kx0 − yn k2 + 2kx0 − ym k2 − k2x0 − yn − ym k2
2 2 2 2
≤ 2d2 + 2d2 + − 4d2 = + .
n m n m
Dato che H è uno spazio completo e C è chiuso, esiste un vettore y0 ∈ C tale che
yn → y0 : mostriamo che y0 è la proiezione sul convesso desiderata. Innanzitutto,
per la continuità della norma si ha che kx0 − y0 k = limn kx0 − yn k = d; inoltre,
l’unicità segue dall’identità del parallelogramma: se esistesse y 0 ∈ C tale che kx0 −
y 0 k = d, allora
y0 + y 0 2
ky0 − y 0 k2 = 2kx0 − y0 k2 + 2kx0 − y 0 k2 − 4kx0 − k ≤ 2d2 + 2d2 − 4d2 = 0,
2
cioè y0 = y 0 .
La proiezione sui convessi può ossere caratterizzata anche in termini differen-
ziali.
Proposizione 7.4. Sia C ⊂ H un sottoinsieme convesso e chiuso di uno spazio
di Hilbert e sia x0 ∈ H. Allora, PC (x0 ) è caratterizzato dalla seguente proprietà:
(7.2) Re(x0 − PC (x0 ), y − PC (x0 )) ≤ 0 ∀ y ∈ C.
Dimostrazione. Iniziamo col verificare che PC (x0 ) soddisfa (7.2). A questo
proposito consideriamo il polinomio di secondo grado
f (t) = kx0 − PC (x0 ) − t(y − PC (x0 ))k2
= kx0 k2 − 2tRe(x0 − PC (x0 ), y − PC (x0 )) + t2 ky − PC (x0 )k2 t ∈ [0, 1].
Dal momento che C è convesso si ha che PC (x0 )+t(y−PC (x0 )) = ty+(1−t)PC (x0 ) ∈
C. Dalla definizione di proiezione sul convesso di C, segue quindi che t = 0 è l’unico
punto di minimo assoluto di f in [0, 1], da cui f 0 (0) ≥ 0, ossia
−2Re(x0 − PC (x0 ), y − PC (x0 )) ≥ 0.
Viceversa, se z0 ∈ H è tale che
Re(x0 − z0 , y − z0 ) ≤ 0 ∀ y ∈ C,
allora prendendo
g(t) = kx0 − z0 − t(PC (x0 ) − z0 )k2
= kx0 − z0 k2 − 2tRe(x0 − z0 , PC (x0 ) − z0 ) + t2 kPC (x0 ) − z0 k2 t ∈ [0, 1],
0
e utilizzando che g(1) ≤ g(t) per ogni t concludiamo che g (1) ≤ 0 da cui
−2Re(x0 − z − 0, PC (x0 ) − z0 ) + 2kPC (x0 ) − z0 k2 ≤ 0
1. SPAZI DI HILBERT 83
contro l’ipotesi.
1.2. Ortogonalità. Un caso di particolare interesse è quello in cui l’insieme
convesso sia un sottospazio vettoriale.
Definizione 7.3. Sia H uno spazio di Hilbert e sia M un sottospazio vettoriale
di M . Un vettore x ∈ H si dice ortogonale a M se (x, y) = 0 per ogni y ∈ M e in
questo caso scriviamo x ⊥ M . L’insieme dei vettori ortogonali a M viene denotato
con M ⊥ .
Se x ⊥ M = Span{y}, scriviamo x ⊥ y; si noti che y ⊥ x se e solo se x ⊥ y.
Lemma 7.5. Sia M un sottospazio vettoriale di uno spazio di Hilbert H. Allora,
M ⊥ è un sottospazio vettoriale chiuso.
Dimostrazione. È facile verificare che M ⊥ è uno spazio vettoriale. La chiusu-
ra di m⊥ è conseguenza della continuità della mappa H 3 x 7→ (x, x0 ) ∈ C: infatti,
se xn ∈ M ⊥ e xn → x, allora per ogni m ∈ M si ha che (x, m) = limn (xn , m) = 0,
cioè x ∈ M ⊥ . Infine, l’identità (M ⊥ )⊥ = M segue dal fatto che x ∈ (M ⊥ )⊥ se e
solo se x ⊥ y per ogni y ∈ M ⊥ :
Corollario 7.6. Sia H uno spazio di Hilbert e M un sottospazio vettoriale
chiuso di H. Allora, la proiezione ortogonale PM è caratterizzata dall’identità
x0 − PM x0 ⊥ M.
Inoltre, PM ⊥ x = x − PM x e kxk = kPM xk2 + kPM ⊥ xk2 .
2
Per il termine a destra di (7.5), osserviamo dapprima che, dato che µ(B) = 0,
Z n+1
X Z n+1
X
g k dµ = g k dµ.
E k=1 E\B k=1
P+∞
Su E \ B, abbiamo g(x) ∈ [0, 1) e quindi esiste il limite h(x) := n=1 g n (x) =
g(x)
1−g(x) . La convergenza ad h è monotona e dunque, per il Teorema di Beppo Levi,
abbiamo
Z n+1
X Z
(7.7) lim g k dµ = h dµ.
n→∞ E k=1 E
R
Le identità (7.5), (7.6) e (7.7) ci fanno concludere che λa (E) = E h dµ, il che prova
l’identità del punto (2), per ogni E ∈ B. Inoltre, scegliendo E = X, deduciamo che
h ∈ L1 (µ), dato che λa (X) ≤ λ(X) < ∞ e la dimostrazione di (2) è completa.
Evidentemente, l’identità in (2) mostra che λa (E) = 0 se E ∈ B è tale che
µ(E) = 0, ovvero λa << µ.
3. Duale di Lp
Concludiamo questo capitolo occupandoci della caratterizzazione degli spazi
duali degli spazi Lp . Se (X, B, µ) è uno spazio di misura e g ∈ Lq (µ), con 1 ≤ q ≤ ∞,
abbiamo (Hölder)
Z
1 1
T f := f g dµ, |T f | ≤ kf kp kgkq , + = 1.
X p q
L’operatore T è dunque un funzionale lineare e limitato su Lp (µ) ossia è un ele-
mento del duale [Lp (µ)]? . Ci chiediamo se tutti gli elementi del duale [Lp (µ)]? si
caratterizzino tramite elementi fissati di Lq (µ), con q e p esponenti coniugati.
Teorema 7.11 (Duale di Lp (µ)). Sia X uno spazio topologico ed (X, B, µ) uno
spazio di misura, con µ positiva e σ-finita, sia 1 ≤ p < ∞ e sia Φ ∈ [Lp (µ)]? .
Allora esiste un’unica funzione g ∈ Lq (µ), con p e q coniugati, tale che
Z
(7.8) Φf = f g dµ,
X
per ogni f ∈ L (µ). Inoltre, kΦk = kgkq . In altri termini, Lq (µ) = [Lp (µ)]? , dove
p
1 1
p + q = 1 e 1 ≤ p < ∞.
3. DUALE DI Lp 87
quando n → ∞ (Esercizio 3.13, punto 3), dato che p 6= ∞ e che µ(X) < ∞. Quindi
χAn → χE in Lp (µ) e dato che Φ è continuo abbiamo
X n
X
λ(En ) = lim λ(Ek ) = lim λ (An ) = lim = ΦχAn = ΦχE = λ(E).
n→∞ n→∞ n→∞
n∈N k=1
Dunque λ e µ sono misure. Inoltre, λ << µ, dato che, se µ(E) = 0, allora χE è nella
stessa classe d’equivalenza della funzione nulla in Lp (µ) e quindi λ(E) = ΦχE = 0.
dλ
Quindi, per il Teorema di Radon-Nikodym, esiste g = dµ ∈ L1 (µ). Quindi, per
ogni E ∈ B,
Z Z
(7.10) ΦχE = λ(E) = g dµ = χE g dµ.
E X
Pn
Conseguentemente, visto che Φ è lineare, per ogni funzione semplice f = k=1 ck χEk :
X → R abbiamo
Z
(7.11) Φ(f ) = f g dµ.
X
Poiché ogni funzione in L∞ (µ) è limite uniforme di una successione di funzioni
semplici (domanda per il lettore: perché?), la (7.11) vale per ogni f ∈ L∞ (µ).
L’obiettivo è ora provare che g ∈ Lq (µ) e che kΦk ≥ kgkq . Per fare ciò, distinguiamo
due sotto-casi.
per ogni E ∈ B. Per il Lemma 7.10, allora, |g(x)| ≤ kΦk, per µ-quasi ogni x ∈ X e
quindi kgk∞ ≤ kΦk < ∞. Qui abbiamo usato fortemente l’ipotesi che µ(X) < ∞,
per concludere che χE ∈ L1 (µ), per ogni E ∈ B.
Caso 1B: 1 < p < ∞. Definiamo A := g −1 ({0}) ∈ B e, per ogni z ∈ C \ {0}, sia
z
ϕ(z) := |z| . Allora, la funzione α(x) := ϕ(g(x) + χA (x)) : X → C è misurabile, è
tale che |α| = 1 per ogni x ∈ X ed inoltre αg = |g|. Denotiamo ora con En := {x ∈
p
X : |g(x)| ≤ n} ∈ B e sia f := χEn |g|q−1 α, con q = p−1 l’esponente coniugato di
p q ∞
p. Allora, |f | = |g| su En , f ∈ L (µ) (per definizione di En ) ed inserendo f in
(7.11) abbiamo
Z Z Z Z p1
χEn |g|q dµ = |g|q dµ = f g dµ = Φf ≤ kΦk · kf kp = kΦk |g|q dµ ,
X En X En
per ogni n ∈ N. Per il Teorema della Convergenza Monotona si ottiene dunque che
g ∈ Lq (µ) e kgkq ≤ kΦk.
In conclusione, entrambi i membri della (7.11) sono funzioni continue su Lp (µ)
ed inoltre coincidono sullo spazio delle funzioni semplici, che sono dense in Lp (µ),
dato che µ è finita (Teorema 6.11). Concludiamo che l’uguaglianza (7.11) vale su
Lp (µ) e la dimostrazione è completa.
Esercizio 7.4. Sia X = {1, 2, . . . , n}, si consideri lo spazio misurabile (X, 2X )
e le due misure
n n
X X 1
# := δi , λ := δi .
i=1 i=1
i
dλ d#
Dimostrare che λ << # << λ e calcolare le derivate di Radon-Nikodym d# e dλ .