Sei sulla pagina 1di 9

I treni del tempo. W.G.

Sebald e Claudio Magris


Reduce dalla rilettura di ​Austerlitz, ​l'ultimo romanzo (ma il termine ​romanzo è riduttivo,
specie per un autore che ha fatto del superamento del confine tra generi la propria cifra
artistica) pubblicato da W.G.Sebald nel 2001, e a seguito di altre ricerche sulla sua opera
anche tra critica e saggi non ancora pubblicati in italiano, mi ha felicemente sorpresa scoprire
quale rilevanza abbia avuto per Sebald la lettura delle opere di Claudio Magris, in particolare
di ​Danubio , ​di cui Sebald aveva recensito l'edizione tedesca a cura di Heinz Georg-Hend e a
cui spesso allude anche nelle altre sue opere precedenti , come ad esempio ​Vertigini​, ma del
cui immaginario proprio in ​Austerlitz ​si trovano molteplici e diffuse consonanze.
Austerlitz è un'opera totalmente incentrata, come è noto, sul tema del tempo, della memoria,
del viaggio, fisico e simbolico, alla scoperta di una verità storica e personale troppo dolorosa
che pure è necessario ricostruire, coincidendo di fatto con le radici stesse dell'identità. Per chi
non ne ricordasse la trama (di cui, assieme a molto altro, si può leggere ​qui​), Jacques
Austerlitz è un professore di architettura incontrato casualmente dal narratore per la prima
volta nella stazione di Anversa, che inizia con lui ​frammenti di un discorso interrotto ​che si
sviluppa nell'arco di trent'anni, con pause anche molto lunghe, e che sempre, ad ogni nuovo e
quasi casuale incontro, riprende esattamente da dove aveva lasciato. Il dialogo, decisamente
ondivago e ricco di digressioni, insiste sul tema del tempo, di un'identità negata, del senso di
non appartenenza, quasi di non-esistenza di Austerlitz, i cui ricordi d'infanzia quasi appaiono
incongruenti con il suo vero essere, come appartenenti ad un altro. Il ​displacement ​(termine
intraducibile, il cui omologo più prossimo in italiano è forse ​spaesamento​), l'essere fuori
posto,disperso in un altrove, è il grande tema dell'opera di Sebald, ma anche la condizione
esistenziale esplorata in ​Danubio, ​anzi posta da Magris come una sorta di cifra per
l'intendimento dell'opera:
È proprio Heidegger, del resto, a contraddire felicemente il culto del radicamento; nei più
grandi momenti della sua opera egli ha insegnato che «lo spaesamento è un modo
fondamentale dell’essere-nel-mondo», che senza disorientamento e perdita, senza errare per
sentieri che si smarriscono nel bosco non c’è chiamata, non è possibile ascoltare l’autentica
parola dell’Essere.
Date queste premesse non stupisce, dunque, che il primo incontro tra Austerlitz e il narratore
avvenga simbolicamente dove il tema del tempo e del viaggio si uniscono, alla stazione di
Anversa, con l'immenso orologio che troneggia nel bar della stazione, la cui natura di
strumento offensivo e inesorabile i due avventori, unici fra gli altri, intuiscono
dolorosamente:
[L]a barista la quale – con le gambe accavallate – troneggiava su uno sgabello dietro il
banco limandosi le unghie con grande impegno e concentrazione. A proposito di questa
signora,[...] Austerlitz osservò di sfuggita che doveva essere la divinità del tempo passato. In
effetti, appeso alla parete dietro di lei, sotto lo stemma con i leoni della casa reale belga,
c’era – pezzo forte del locale – ​un enorme orologio, sul cui quadrante una volta dorato, ma
ormai annerito dalla fuliggine della ferrovia e dal fumo del tabacco, ​faceva il suo giro la
lancetta dei minuti lunga circa sei piedi. Durante le pause che inframmezzavano la nostra
conversazione notammo entrambi quanto interminabilmente lungo fosse il trascorrere di
un minuto e come ci sembrasse ogni volta orribile, ​benché ce lo aspettassimo​, l’avanzare di
quella lancetta, simile alla lama del boia, ​quando separava dal futuro il successivo
sessantesimo di ora lasciandosi dietro un tremolio talmente minaccioso che quasi il cuore
smetteva di battere.
L'immagine dell' orologio come memento della natura minacciosa e ​mortale ​del Tempo trova
una profonda consonanza nelle pagine di ​Danubio, in cui notevole spazio è riservato agli
orologi e alle inevitabilmente conseguenti riflessioni sulla natura del tempo. Dal ​Museo
degli Orologi ​a Furtwangen, nella Foresta Nera alla ​Torre dell'Orologio ​nella città di
Sighişoara,alla ​chiesa di Santo Stefano a Tulln​, in Austria : ​in cui l'autore (o il narratore,
come è forse più giusto), descrive sulla tomba di una giovane donna un orologio fermo alle
«10,20», le lancette come «​dardi della morte​», le frecce implacabili di Apollo Lossia:
Nella chiesa di Santo Stefano, una basilica dell’XI-XII secolo a tre navate, un

a pietra tombale dice «qui giace Maria Sonia» e la morte indica


il punto con una freccia; ​l’orologio è fermo alle 10,20 e le sue lancette sono dei dardi come
quelli della morte, rappresentata con la faretra.
La freccia è la vita, scoccata irreversibilmente e destinata a cadere quando la forza di
gravità vince il suo slancio, ​ma è anche la morte che raggiunge la vita in piena corsa​, è il
tempo che trafigge con ogni ora, è l’orologio che scandisce la breve dilazione concessa e
ferisce con questa scansione.
Il volto tirannico e terribile del Tempo come divinità assoluta del nostro presente è rafforzata
in ​Austerlitz dalla rappresentazione del grande orologio nell'atrio della stazione di Anversa,
novello Moloch a cui tutti i viaggiatori rivolgono lo sguardo, facendo sacrificio continuo di sé
stessi e delle proprie esistenze:
Tutt’attorno nell’atrio, come probabilmente avevo notato, erano fissate a metà altezza
insegne di pietra con simboli [...] E fra tutte queste figure simboliche, disse Austerlitz, quella
che sta al vertice è il tempo, rappresentato dalle lancette e dal quadrante. Una ventina di
metri al di sopra della scalinata a forma di croce che unisce l’atrio ai binari[...] proprio là si
trova l’orologio; in quanto ​governatore della nuova onnipotenz​a, esso è situato ben al di
sopra dello stemma reale e del motto Eendracht maakt macht. ​Dalla posizione centrale che
l’orologio occupa nella stazione di Anversa si possono sorvegliare i movimenti di tutti i
viaggiatori, mentre, per parte loro, i viaggiatori debbono alzare tutti lo sguardo verso
l’orologio, costretti a regolare su di esso le proprie attività.
Non meraviglia, dunque, che Austerlitz intenda ribellarsi alla
tirannide di questa divinità assoluta rifiutandone il simbolo
concreto, ovvero quell'orologio che scandisce la misura di un
tempo falso, ​astratto e isocronico, che diverge del tutto dalla
percezione del suo scorrere legata all'esperienza umana:
Io in effetti, disse Austerlitz, non ho mai posseduto alcun tipo di
orologio, né una pendola né una sveglia né un orologio da tasca
e nemmeno uno da polso. ​Un orologio mi è sempre sembrato
qualcosa di ridicolo, qualcosa di mendace per antonomasia.
Lo stesso ordine di riflessioni sulla natura del tempo viene
suscitato, come si diceva, dalla contemplazione degli orologi nel Museo della Selva Nera, in
cui il narratore, contemplandone la varietà e la precisione, si chiede se il tempo stesso non sia
assoggettato alla macchina e possa scorrere ed ​essere ​indipendentemente da essa:

Il Museo tedesco degli orologi, gloria di Furtwangen, è una selva di strumenti di ogni tipo e
d’ogni forma – preziosi, casarecci, semoventi, musicali – che misurano il tempo. Trionfano,
naturalmente, gli orologi a cucù della Selva Nera, la cui paternità viene attribuita a un
artigiano boemo oppure, secondo altri, a un
Franz Anton Ketterer, verso il 1730, o a suo
padre Franz. Ci sono pendole, orologi
astronomici, planetari, a quarzo. ​È istintivo
chiedersi se il tempo scorra indipendentemente
da quegli strumenti, che lo scandiscono con
movimenti diversi, o se esso sia soltanto quel
complesso di misure e di rilievi.

Al quesito proposto dal narratore di ​Danubio


sembra idealmente rispondere Austerlitz, in
una sorta di dialogo a distanza, come è nel suo
perfetto stile:
Il tempo – così disse Austerlitz nell’Osservatorio di Greenwich – è,
fra tutte le nostre invenzioni, senz’altro la più artificiosa e, nel suo
essere vincolata ai pianeti che ruotano intorno al proprio asse, non
meno arbitraria di quanto lo sarebbe ad esempio un calcolo basato
sulla crescita degli alberi o sul periodo impiegato da una pietra
calcarea per disgregarsi, a prescindere poi dal fatto che il giorno
solare, in base al quale ci regoliamo, non fornisce una misura
esatta, sicché noi, anche al fine di calcolare il tempo, siamo stati
costretti a escogitare un immaginario sole medio​, la cui velocità di
rotazione non cambia e che, nella sua orbita, non è inclinato verso
l’equatore. Se Newton riteneva[..]che il tempo fosse un fiume come il Tamigi, dov’è allora la
sorgente del tempo e in quale mare esso sfocia alla fine? ​Un fiume, come ben sappiamo, ha
sempre e necessariamente
un limite su entrambi i lati. Ma quali sarebbero in questa prospettiva le sponde del tempo?
Quali sarebbero le sue proprietà specifiche, tali da corrispondere più o meno a quelle
dell’acqua, che è liquida, piuttosto pesante e trasparente? Come si distinguono gli oggetti
immersi nel tempo da quelli che non ne sono mai stati toccati? Che cosa significa che le ore
di luce e quelle di oscurità sono segnate nella medesima circonferenza? Perché in un certo
luogo il tempo è eternamente immobile e in un altro scorre veloce e incalzante? ​Non si
potrebbe sostenere, disse Austerlitz, che il tempo stesso, per i secoli e i millenni, è rimasto
asincronico?[...]​. non conosce la regolarità lineare, ​non avanza costantemente, ma si
muove a spirale, determinata da ristagni e irruzioni, che si ripresenta di continuo in forma
mutata e nel suo sviluppo nessuno sa dove si diriga? [..]
Anche il narratore di ​Danubio riflette sul ​nonsenso degli orologi come strumenti di
misurazione dell'isocronismo del nulla, che pretendono di ridurre e limitare la complessità
degli eventi ad un insieme di minuti, di attimi, di istanti, di tempo come occasione ​perduta
di vivere, ​ ​sprecato dall'ossessiva proiezione in avanti:
Da questo osservatorio, la vita appare tutta una perdita di tempo, una macchina deperibile.
Come l’orologio che la scandisce, la realtà è un ingranaggio, un’organizzazione dello
stillicidio, catena di montaggio che punta sempre e solo alla fase successiva. Chi ama la
vita, deve forse amare il suo gioco di incastri, entusiasmarsi non solo per il viaggio verso
isole lontane, ma anche per la trafila burocratica relativa al rinnovo del passaporto. ​La
persuasione, riluttante alla mobilitazione generale quotidiana, è amore di qualcosa d’altro,
che è più della vita e balena soltanto nella pausa, nell’interruzione, quando i meccanismi
sono sospesi, il governo e il mondo sono in vacanza nel senso forte di vacare, vuoto,
mancanza, assenza, ed esiste soltanto l’alta e ferma luce dell’estate.
Ma nel brano di ​Austerlitz ​sopra citato il riferimento a ​Danubio appare ancora più
stringente non soltanto per la metafora del tempo come fiume, ma anche per la sua
rappresentazione come entità non lineare, non continua né unidirezionale, totalmente diversa,
insomma, dalla rappresentazione che la nostra mente (meglio: la nostra tradizione culturale)
di solito ci impone:
Si vivono come contemporanei eventi accaduti da molti anni o da decenni, e si sentono
lontanissimi, definitivamente cancellati, fatti e sentimenti vecchi di un mese. ​Il tempo si
assottiglia, si allunga, si contrae, si rapprende in grumi che sembra di toccare con mano o
si dissolve come banchi di nebbia che si dirada e svanisce nel nulla; è come se avesse molti
binari, che s’intersecano e si divaricano, sui quali esso corre in direzioni differenti e
contrarie.
e soprattutto per l'idea dell'​asincronicità, del tempo, della sua ​non contemporaneità, che per
Magris appare una delle chiavi, se non la sostanza stessa, di ciò che percepiamo come
«storia»​:
La «Ungleichzeitigkeit», la non-contemporaneità che separa sentimenti e abitudini di
persone e di classi sociali, come ha scritto Bloch, è una delle chiavi della storia e della
politica. Ci sembra impossibile che per i nostri figli ​sia già irrevocabile e sconosciuto
passato ciò che per noi è ancora arduo presente.
La Storia, dunque, ovvero la trasformazione del Tempo in Storia, si rivela dunque essere la
chiave di lettura più profonda sottesa a queste due opere: l'esodo degli italiani d'Istria, l'orrore
delle foibe e della Risiera di San Sabba costituiscono la memoria dolorosa di Magris al modo
che per Sebald, nato dopo il '44 (come per il suo personaggio) l'orrore dello sterminio nazista
è stato sempre una sorta di Grande Reticenza, che solo attraverso il percorso à rebours di
Austerlitz consente di risalire alle radici del dolore.
La storia acquista la sua realtà appena più tardi, quando essa è già passata, e le connessioni
generali, istituite e scritte anni dopo negli annali, conferiscono a un evento la sua portata e il
suo ruolo. Ricordando la disfatta bulgara, evento decisivo per l’esito della prima guerra
mondiale e dunque per la fine di una
civiltà, il conte Károlyi scrive che, mentre
lo aveva vissuto, non aveva percepito la
sua importanza, perché «​in quel
momento, “quel momento” non era
ancora diventato “quel momento”».
Anche per Fabrizio del Dongo la
battaglia di Waterloo, mentre egli la sta
combattendo​, ​non esiste ancora. Nel
puro presente, la sola dimensione in cui
peraltro si vive, non c’è storia;[...]​.
Nel suo saggio ​Representations of History, compreso nella raccolta di saggi ​.​G.Sebald and
the Writing of History a cura di Anne Fuchs e Jonathan James Long, Russell J.A. Kilbourn,
su segnalazione di ​Sandra Parmegiani osserva come il brano qui riportato appaia
sottolineato nella copia personale di Sebald di ​Danubio ​in traduzione tedesca; il brano, a cui
già l'autore allude esplicitamente nella prima sezione di ​Vertigini, ​in occasione della visita
del narratore al Panorama della Battaglia di Waterloo ​, appare determinante anche nel
disperato tentativo di Austerlitz di sottrarsi al potere e al trascorrere del tempo, negandone la
dimensione diacronica a favore di un esistenza simultanea di tutti gli istanti, di un divenire
che non sia esterno al pensiero:
.​[M]i sono sempre ribellato al potere del tempo escludendomi dai cosiddetti eventi
temporali, nella speranza – come penso oggi, disse Austerlitz – che il tempo non passasse,
non fosse passato, che mi si concedesse di risalirne in fretta i corso alle sue spalle, che là
tutto fosse come prima o, per meglio dire, che tutti i punti temporali potessero esistere
simultaneamente gli uni accanto agli altri, cioè che nulla di quanto racconta la storia sia
vero, che quanto è avvenuto non sia ancora avvenuto, ma stia appunto accadendo
nell’istante in cui noi ci pensiamo.
Questa dimensione demiurgica del pensiero, che determina la realtà degli avvenimenti
soltanto nel momento in cui li ​pensa​, avrebbe dunque il potere di redimere le atrocità della
storia ​dimenticando che esse siano state​, in una sorta non di ottuso revisionismo,
evidentemente, ma di estremo tentativo di difesa contro l'intollerabile.L'idea di una
negazione della Storia come processo autonomo rispetto al soggetto pensante è peraltro
avanzata anche da Magris, sul modello del famoso paradosso eleatico di ​Achille e la
tartaruga​:attraverso la sua scomposizione in una successione di istanti di per sé privi di
significato:
C​ome Zenone negava il movimento di una freccia scagliata dall’arco, perché in ogni istante
essa era ferma in un punto dello spazio e la successione di istanti immobili non poteva
essere movimento​, così si dovrebbe dire che non la successione di quegli attimi senza storia
crea storia, bensì le correlazioni e le aggiunte apportate dalla storiografia.
Il tempo ridotto a spazio, ad una semplice successione di punti tra loro coesistenti che possa
essere percorsa in ogni direzione, consente ad Austerlitz di giustificare il ritorno del passato
e anche di annullare la sostanziale differenza tra vivi e morti, il cui dialogo sarebbe impedito
soltanto dal mancato verificarsi di adeguate condizioni fisiche, dal persistere di un confine
dimensionale tanto sottile quanto tenace:
A mio giudizio, disse Austerlitz, noi non
comprendiamo le leggi che regolano il ritorno
del passato, e tuttavia ho sempre più
l’impressione che il tempo non esista affatto,
ma esistano soltanto spazi differenti, incastrati
gli uni negli altri, in base a una superiore
stereometria, fra i quali i vivi e i morti possono
entrare e uscire a seconda della loro
disposizione d’animo, e quanto più ci penso,
tanto più mi sembra che noi, noi che siamo ancora in vita, assumiamo agli occhi dei morti
l’aspetto di esseri irreali e visibili solo in particolari condizioni atmosferiche e di luce. Per
quanto mi è dato risalire indietro col pensiero, disse Austerlitz, mi son sempre sentito come
privo di un posto nella realtà, come se non esistessi affatto.[....] ​e intanto sentivo in me
qualcosa che continuava a tirare, una specie di male al cuore che – cominciavo ad averne il
sospetto – era causato dal​ risucchio del tempo trascorso.
La percezione che Austerlitz ha di sé come creatura evanescente e diafana è dunque dovuta
proprio alla disperazione connessa all'impossibilità di ricostruire gli eventi determinanti della
propria identità, della propria ​storia, che per quanto dolorosi, costituiscono i fondamento
stesso della sua - della nostra- esistenza, e sembra dunque implicare il paradossale sillogismo
in base a cui, se il tempo non esiste, noi stessi non esistiamo; infatti se, come sostiene Magris,
l'unica dimensione in cui esistiamo è il presente, che pure ,in quanto non misurabile né
quantificabile (come affermava già Seneca),si appiattisce su un limite tendente a zero, e se il
futuro a sua volta è un'incognita che dipende dal presente e non è neppure sempre
immaginabile né tantomeno garantita, se ne deduce che l'unica dimensione in cui ​esistiamo
pienamente in quanto esseri dotati di coscienza che attribuiscono un ​significato agli eventi è il
nostro passato (poiché l'attribuzione, il riconoscimento del significato dell'evento avviene
solo in un momento successivo all'evento stesso); eppure, è proprio la ​lettura a posteriori
dell'evento che lo libera dal passato e lo sottrae, per così dire, al fluire della corrente
temporale (l'autentico significato del ​carpe diem ​oraziano, peraltro) rendendolo eternamente
presente,come lo sono tutti i momenti cruciali della vita per ognuno di noi, non importa
quanto remoti.Il dolorosissimo viaggio, che Austerlitz ripercorrerà dalla stazione di Praga
attraverso la Germania,(​non meno
terribile del primo) ​ripercorrendo
dunque l'itinerario del treno adibito al
Kindertransport ​che lo aveva
fortunosamente strappato ad una fine
orribile, ma a prezzo della sua identità
e, almeno in parte, della sua salute
psichica, lo ricondurrà nuovamente in
Inghilterra, punto di arrivo e di
partenza, ma pur senza poter
completamente chiudere il cerchio della sua esistenza, perché il tempo, come egli stesso
aveva detto, si muove a spirale, e dunque​, direbbe Pirandello, ​non conclude né da la certezza
della direzione in cui si sta avanzando:
«Senza dubbio, disse Austerlitz dopo qualche istante, il ​rapporto fra spazio e tempo, così
come ne facciamo esperienza noi viaggiando, ha ancor oggi qualcosa di illusionistico e
illusorio​, ed è anche per questo che ogni qualvolta ritorniamo da un viaggio, non sappiamo
mai con certezza se davvero siamo stati via», ​perché, dice Magris, «​n​on c’è un unico treno
del tempo, che porta in un’unica direzione a velocità costante; ogni tanto s’incrocia un
altro treno, che viene incontro dalla parte opposta, dal passato, e per un certo tratto quel
passato ci è accanto, è al nostro fianco, nel nostro presente».
[gallery ids="2778,3685" type="rectangular"]

RISORSE E NOTE A MARGINE


-Corsivi e grassetti nei testi citati sono miei;
- I brani qui riportati di Austerlitz sono tratti dall'​edizione italiana​ ​dell'opera, con traduzione a
firma di Ada Vigliani;
-La foto che dovrebbe ritrarre Austerlitz bambino, è in realtà la foto di un amico e collega di
Sebald, di cui l'autore non rivela il nome e a cui dichiara di essersi in gran parte ispirato per il
suo il personaggio. È posta sulla copertina di tutte le edizioni di ​Austerlitz, ​in ogni lingua e
paese;
-Il titolo originale di ​Vertigini​ è ​Schwindel. Gefühle, ​cioè ​Vertigini, Sentimenti (o Emozioni).
Non mi spiego la scelta di sacrificare nella versione italiana questo sottotitolo, o parte di
titolo, così pregnante- una parola chiave del lessico sebaldiano;
-​Austerlitz ​analizzato dal germanista Marino Fieschi (troppo brevemente, ahimé) in​ ​questo
contributo​ ​per Rai Storia, ora sul portale di Rai Letteratura;
-Di Austerlitz dice Pietro Citati nel suo ​La malattia dell'infinito: «Il ritorno del passato non
salva Austerlitz dalla disperazione, come aveva salvato Marcel alla fine della Recherche.
Mentre guarda Praga, il panorama della città gli sembra percorso dalle scalfitture e dai
solchi del tempo. Quando contempla le fotografie di una volta, gli sembra di udire dei «lievi
sospiri di disperazione, gémissements du désespoir», come se le immagini avessero anche
loro una memoria e conservassero, intatta, la sofferenza che avevano contemplato. Non
importa che Austerlitz ritrovi l’immagine della madre, col suo lieve collare di perle. Ormai
sia il passato sia il presente son diventati il regno dei morti.[...]Dovunque, non c’è che Ade.
Così, riscoprire le proprie origini fa crescere, in Austerlitz, la sensazione di ripudio e di
annientamento, che lo aveva dominato per anni».
-Una dettagliata analisi critica sulla natura, il genere e le tematiche di ​Danubio​ è costuita da
La coscienza del viaggiatore: il Danubio di Claudio Magris​, ​a firma di Marialuisa Vianello;
-Per chi non lo ricordasse, mi permetto qui di sottolineare che in Magris l'uso del termine
persuasione ​non va inteso nell'accezione comune ma piuttosto in quella stabilita da ​Carlo
Michaelstaedter nella sua tesi ​La persuasione e la rettorica​,(​di cui in rete si può leggere il
testo integrale ​), come del resto lo stesso autore chiarisce:
La persuasione, ha scritto Michelstaedter, è il possesso presente della propria vita e della
propria persona, la capacità di vivere a fondo l’istante senza l’assillo smanioso di bruciarlo
presto, di adoperarlo e usarlo in vista di un futuro che arrivi più rapidamente possibile e
dunque di distruggerlo nell’attesa che la vita, tutta la vita, passi velocemente. Chi non è
persuaso consuma la propria persona nell’attesa di un risultato che ha sempre da venire, che
non è mai. La vita come mancanza, come deesse, annientata di continuo nella speranza che
la difficile ora presente sia già trascorsa​[...]La ​«rettorica»​, ossia l’organizzazione del
sapere, è ​l’enorme ingranaggio della cultura, il febbrile meccanismo dell’attività con il
quale gli uomini incapaci di vivere riescono ad ingannarsi, a precludersi l’annientante
consapevolezza della loro mancanza di vita e di valore, ​a non accorgersi del loro vuoto.
-Alla restituzione di quella infame e incomprensibile pagina di storia riguardante la sorte dei
prigionieri destinati allo sterminio nella ​Risiera di
San Sabba​, nonché alla sorte degli italiani d'Istria e
alla disturbante commistione tra vittime e carnefici è
legato l'ultimo lavoro di Magris, ​Non luogo a
procedere , ​in merito al quale si può leggere
un'illuminante intervista ​qui (la segnalazione è
courtesy of ​Gabrilu​)​. In ​Danubio ​Magris aveva
scritto:«​La scrittura forse non può dare veramente
voce alla desolazione assoluta, al niente della vita, a
quei momenti nei quali essa è solo vuoto, privazione, orrore. ​Già il solo fatto di scriverne
riempie in qualche modo quel vuoto, gli dà forma, rende comunicabile l’orrore e quindi,
sia pure di poco, trionfa su di esso».
-In una splendida intervista per
il settimanale tedesco ​Der Spiegel​, pubblicata il 12 Marzo 2001, Sebald, dopo aver parlato a
lungo del romanzo, della sua genesi, della sua "​paura del melodrammatico" ( è il titolo
dell'intervista) perché «​nega l'estetica dell'autenticità», e del suo temperamento melancolico,
che a differenza di quello depressivo, consente la riflessione, e dunque di plasmare, di dare
vita (artistica) alle forme indistinte che ognuno ha nella testa e che nemmeno sospetta di
avere, conclude con una affermazione che rivela quanto ci sia di sé stesso in ​Austerlitz ​(nel
romanzo e nel personaggio) e come la sua intera esistenza sia stata segnata dal tentativo di
dare voce al silenzio in cui la sua identità (la sua ​storia)​ resta sepolta :
Quando io guardo le foto in bianco e nero di quel periodo, o lo rivedo in Tv,ho sempre
avvertito con chiarezza questo sentimento: «Questo è il luogo da cui tu provieni. Là è il tuo
territorio».
[Dopo ​Austerlitz, ​Sebald aveva in programma di lavorare ad un romanzo sulla storia della
propria famiglia, con l'intenzione di risalire fino a due generazioni precedenti. La sua morte
improvvisa non ha permesso che questo progetto vedesse la luce].

Potrebbero piacerti anche