Studi e ricerche
13
Copyright © 2006 by ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA
E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA
NELLA PROVINCIA DI PISTOIA
STEFANO BARTOLINI
Fascismo antislavo
Il tentativo di “bonifica etnica”
al confine nord orientale
Presentazione di
Roberto Barontini
PISTOIA 2006
A mio padre
Indice
Premessa 9
II - Il fascismo
Il fascismo di confine 31
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione:
cultura, ideologia e politica 36
Carte 135
Bibliografia 145
Prefazione
Roberto Barontini
PRESIDENTE DELL’ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA
SOCIETÀ CONTEMPORANEA NELLA PROVINCIA DI PISTOIA
E DELLA
Premessa
Così recita l’Art. 1 della legge 30 marzo 2004 N° 92. Una legge che ha
senz’altro il merito di decretare la fine di una lunga epoca di silenzi e omis-
sioni da parte dello Stato, il quale, per ragioni squisitamente politiche, stese
un velo di oblio sui tragici fatti sopra menzionati, restituendo dignità alla
memoria delle vittime e di tutti coloro che patirono per quei tragici eventi.
Una legge che però manca, ancora una volta, di riconoscere le responsabi-
lità italiane nel dramma del confine giuliano, limitandosi e rimandare ad
una innocua e fumosa «complessa vicenda del confine orientale», secondo
una linea da sempre seguita da tutta la classe dirigente del nostro paese e
da tutti i suoi governi, impregnata di vittimismo ed intenta a rimuovere dal-
la memoria pubblica le macchie del nostro passato, dipingendo gli italiani
come un popolo di “brava gente”, mai protagonisti di crimini efferati ma
solo vittime.
Nonostante nel 1993 lo Stato italiano si fosse impegnato, di concerto
con la neonata Repubblica slovena, a far luce su tutti gli aspetti controversi
nella più recente storia dei rapporti fra italiani, sloveni e croati, producendo
documenti molto equilibrati, dobbiamo dunque registrare l’ennesima occa-
sione mancata.
Dentro a quella “complessa vicenda” si situa la violenta persecuzione
antislava attuata dal regime fascista, con i suoi accenti razzisti. Una storia
riservata agli addetti ai lavori ma sconosciuta alla gran parte degli italiani.
Una storia rispetto alla quale non possiamo stabilire un nesso di causa-ef-
fetto con quanto avvenne dopo, grossomodo fra il 1943 ed il 1954 quando
Trieste tornò all’Italia, in cui intervennero altri fattori specifici e decisivi,
ma essa ebbe comunque sia un proprio peso determinante nel portare a quei
risultati.
9
Premessa
10
Premessa
1
La definizione che usiamo è quella data dall’antropologo italiano Francesco Remotti. Voce Etno-
centrismo, di F. REMOTTI, in Enciclopedia delle scienze sociali, vol. III, Roma, Treccani, 1993. p.
658. Cfr: Voce Etnocentrismo di R. MALIGHETTI, in Dizionario di antropologia, a cura di U. FABIETTI
e F. REMOTTI, Bologna, Zanichelli, 1997, p. 273, che da la stessa definizione.
2
La definizione è tratta da Voce Etnocidio di R. MALIGHETTI, in Dizionario di antropologia…, cit.
p. 274.
3
Intervista a Gianfranco Fini contenuta in I Balcani non sono lontani, Quaderni speciali di Limes,
Roma, Gruppo editoriale l’espresso, 2005, p. 22.
11
Premessa
12
I
Il confine nord orientale italiano
Tra le due guerre mondiali il nostro paese si rese protagonista di una po-
litica persecutoria su vasta scala di cui furono vittime le minoranze slovene
e croate, alcune centinaia di migliaia di persone, che si trovarono all’interno
dei confini italiani dopo la fine nel primo conflitto mondiale. La persecuzio-
ne mirò all’espulsione e, di pari passo, alla snazionalizzazione, di queste due
popolazioni. Tali pratiche presero il via, in modo incerto e contradditorio,
già sotto gli ultimi governi dell’Italia liberale per poi proseguire, più siste-
matiche, negli anni della dittatura fascista estendendosi, durante la guerra,
ai territori della Jugoslavia annessi al Regno d’Italia dopo l’invasione delle
forze dell’asse nel’41.
La storiografia italiana ha tralasciato di inserire queste vicende all’inter-
no della nostra storia nazionale, relegandole ad aspetti locali, rilevanti ma-
gari nel contesto territoriale in cui si svolsero ma negandone implicitamente
lo status di eventi influenti in una più generale storia italiana, più specifi-
catamente in una storia dell’Italia nel periodo fascista. La persecuzione di
sloveni e croati fu, al contrario, parte integrante della politica del regime,
con risvolti nelle scelte del fascismo tanto verso l’interno quanto all’esterno,
ed ebbe un ruolo ed un posto non da poco nella sua costruzione ideologi-
ca. Così, alle molte pubblicazioni a dimensione regionale, ai tanti studi che
restano però confinati ad una visione complessiva ristretta, localistica, pur
avendo magari una diffusione più ampia come conseguenza dell’essere pub-
blicati da case editrici famose, fa riscontro una mancanza, una trascuratezza,
di questi temi nei lavori che globalmente si occupano della storia italiana,
della storia del fascismo, dove al massimo si possono trovare solo accen-
ni. Queste vicende non sono state semplicemente sottovalutate, sono state
messe da parte, in un processo che ha coinvolto gli altri momenti storici che
riguardano genericamente i rapporti dell’Italia e degli italiani coi popoli e
gli stati balcanici loro vicini. La storiografia italiana si è rivolta, infatti, con
13
I - Il confine nord orientale italiano
ritardo ed in maniera imbarazzata a questo versante, anche per quel che ri-
guarda gli eventi bellici svoltisi in Jugoslavia dal ’41 in poi. Concordo con
Sala nell’affermare che a questo proposito ha operato una sorta di “disa-
gio della memoria”, ci si trova davanti ad un “passato ibernato”. «Manca
[…] una diffusa consapevolezza dei rapporti tra il nostro paese e le società
balcaniche lungo il corso del Novecento» «l’introiezione dell’esperienza
balcanica non era destinata a tramutarsi di necessità in memoria storica
collettivamente consolidata».4 Ed infatti non è solo l’insieme delle misure
antislave prese dal regime a rimanere sconosciuta ad una gran parte degli
italiani, ma è la stessa presenza di minoranze slave all’interno del paese a
costituire un argomento di cui molti non sono a conoscenza.
A questa “difficoltà della memoria” hanno sicuramente contribuito, sia
nella storiografia che nel discorso politico e nella società, gli eventi dram-
matici, veri e propri traumi, a cui andarono incontro le comunità italiane
del confine nord-orientale, cioè gli infoibamenti, sui quali negli ultimi anni
la polemica politica ha molto insistito, ed il tragico esodo degli italiani del-
l’Istria. Ma anche la politica fascista verso le minoranze ed il comporta-
mento tenuto dalle truppe italiane nei Balcani. Nel dopoguerra erano, questi
ultimi, argomenti imbarazzanti per un’Italia democratica impegnata a di-
fendere le proprie rivendicazioni territoriali contro le pretese jugoslave. Si
preferì, allora, evitare di fare i conti con quel passato, chiudendolo veloce-
mente. Agì in questo senso anche la volontà di non consegnare alla Jugosla-
via nemmeno uno dei centinaia di militari e civili italiani richiesti per essere
processati come criminali di guerra. Una vicenda che fa parte integrante
della questione relativa al cosiddetto “armadio della vergogna”, l’insabbia-
mento cioè dei processi a carico dei criminali nazifascisti per gli atti efferati
compiuti durante il biennio ’43-’45. Come la più recente ricerca storica ha
messo in evidenza, accanto al lavoro svolto dalla Commissione parlamen-
tare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini
nazifascisti, la moneta di scambio fu, da una parte, il rilancio di accuse agli
jugoslavi accusati, giustamente, di essere i responsabili della morte di cen-
tinaia di italiani, in gran parte infoibati, dall’altra la rinuncia a richiedere
l’estradizione di quei tedeschi responsabili di crimini contro la popolazione
italiana per essere processati. Non si poteva negare da un lato per poi chie-
dere, con gli stessi argomenti, dall’altro. Al contempo, si neutralizzavo le
4
T. SALA, Tra Marte e Mercurio. Gli interessi danubiano-balcanici dell’Italia, in Fascismo e poli-
tica di potenza, di E. COLLOTTI, Milano, La Nuova Italia, 2000, pp. 205-208.
14
Un accenno alla storiografia
richieste jugoslave con altre accuse. Ovviamente la manovra, per poter fun-
zionare, necessitava che tutto questo cadesse nel silenzio e nell’oblio, non
certo di interesse da parte dell’opinione pubblica né tantomeno di ricerche
indipendenti sulla materia.5
Nella cultura italiana, nella percezione che gli italiani hanno della loro
storia come popolo, ha agito però anche un fattore di altro tipo, e va rilevato.
Si tratta di quel mito del “buon italiano” che ha funzionato da autoassoluzio-
ne collettiva per tutta la nazione, mettendo gli italiani al riparo dai crimini e
dalle tragedie del ‘900, scaricando le responsabilità altrove.6 La mancanza
stessa, fino agli anni ’90 del secolo appena trascorso, di un filone di studi
specifico e largamente diffuso sul razzismo in Italia, carenza anche questa in
gran parte dovuta alla radicata presenza della concezione degli italiani come
“brava gente”, estranei dal pregiudizio razziale, ha favorito questa relega-
zione ai margini, perché, come si legge sul recente Dizionario del fascismo
Einaudi, non si può comprendere storicamente se non alla luce del razzismo
fascista la snazionalizzazione e la discriminazione delle minoranze della Ve-
nezia Giulia.7 In quest’opera, così ricca e puntuale, l’inclusione di una voce
Slavofobia è di per se esplicita sull’atteggiamento guida del fascismo verso
i popoli slavi, ed in molte altre voci, ad esempio in quella Lingua/dialetti,
sono rintracciabili le numerose vessazioni di cui furono oggetto.
Getteremo adesso un rapido sguardo su come e quanto la storiografia,
quella italiana in particolare, si sia soffermata sulla tematica.
Tra i primi ad occuparsi storicamente della persecuzione delle minoran-
ze slave vi fu Salvemini. In una lettera del 1928 al direttore del Manchester
guardian richiamava l’attenzione non solo sulle persecuzioni in atto nel Su-
dtirolo, di cui il giornale si era occupato, ma anche su quelle coeve degli sla-
vi e delle minoranze francesi in Valle D’Aosta. Successivamente Salvemini
tornò ad occuparsi dell’argomento con due interventi nel 1932 e nel ’33,
entrambi pubblicati sui quaderni di “Giustizia e libertà” e poi riprodotti in
forma ampliata nell’appendice all’edizione del ’52 di Mussolini diplomati-
5
Cfr: Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), a cura di C. DI
SANTE, Verona, Ombrecorte, 2005. Per i lavori della Commissione tutto il materiale prodotto è di-
sponibile in rete sul sito www.parlamento.it.
6
Su questo argomento Cfr: D. BIDUSSA, Il mito del bravo italiano, Milano, Il Saggiatore, 1994. A.
DEL BOCA, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2005.
7
Voce Razzismo, di G. GABRIELLI, in Dizionario del fascismo, a cura di V. DE GRAZIA, S. LUZZATTO,
vol. II, Torino, Einaudi, 2003, pp. 470-476. Per gli studi sul razzismo in Italia Cfr: Nel nome della
razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, a cura di A. BURGIO, Bologna, Il Mulino, 20002
pp. 5-29. R. MAIOCCHI, Scienza italiana e razzismo fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1999.
15
I - Il confine nord orientale italiano
co.8 Sulla base dei suoi lavori, GL stessa nel novembre del 1933 pubblicò,
bilingue (italiano e sloveno), un opuscolo intitolato Il fascismo e il martirio
delle minoranze.9
In Italia la ricerca storica ha prevalentemente interpretato la distruzione
di tutte le espressioni culturali, politiche, economiche delle minoranze come
un aspetto della più generale opera fascista di eliminazione delle opposizio-
ni, il che è senz’altro vero, ed è un ulteriore argomento per trarre fuori dal
localismo questa storia, ma già Salvemini nel ’32 rilevava che c’era dell’al-
tro. «E’ giusto riconoscere che sugli “allogeni” è caduto un flagello sopran-
numerario, di cui non soffrono gli “indigeni”: il flagello delle misure che ha
preso la dittatura per costringere tutti coloro che entro i confini dell’impero
mussoliniano non parlano la lingua dei “dominatori” a parlare, pensare,
sognare solamente nella lingua italiana».10
Nel ’36 vedeva la luce, in inglese, l’importante opera di Lavo Čermelj
con il titolo Life and death struggle of a national minority. The jugoslavs
in Italy. Due anni dopo era tradotta per la prima volta in francese. Contro
il libro si accanirono i fascisti e quando Čermelj fu arrestato e processato
davanti al Tribunale Speciale nel ’41, venne condannato a morte, pena poi
commutata in ergastolo. La pubblicazione fu attaccata anche nel dopoguerra
dall’autorità ecclesiastica. Salvemini fu denunciato per aver usato del mate-
riale tratto da Čermelj nella riedizione ampliata dell’articolo su Pio XI degli
anni ’30. Per avere una prima edizione italiana si dovrà attendere il 1974,
quando uscirà ad opera di un istituto sloveno presso una tipografia triestina
con il titolo Sloveni e croati in Italia tra le due guerre. Il libro presenta un
imponente apparato documentario su tutti gli aspetti della snazionalizza-
zione ed è ancor oggi uno strumento indispensabile in lingua italiana per
qualsiasi studio della materia, ma l’autore è un fisico prestato alla storia ed
il suo è l’impianto di una storia fattuale che vuole dar voce alla minoranza
oppressa, priva però del necessario taglio storiografico. Dopo la guerra in
Jugoslavia vennero pubblicate, anche in francese ed inglese, raccolte docu-
mentarie sulla snazionalizzazione.11 A tutt’oggi non esiste niente di simi-
8
G. SALVEMINI, La politica italiana di denazionalizzazione, p. 349. Il fascismo e le minoranze,
pp. 476-482. Pio XI e gli allogeni, pp. 490-497. Tutti contenuti in Scritti sul fascismo, a cura di N.
VALERI, A. MEROLA, Milano, Feltrinelli, 1966. G. SALVEMINI, Mussolini diplomatico, Bari, Laterza,
1952.
9
L’opuscolo è oggi consultabile nella sua ristampa, corredato da molte foto. Il fascismo e il martirio
delle minoranze, Trieste, Editoriale stampa triestina, 2004.
10
G. SALVEMINI, Il fascismo e le minoranze, cit. pp. 481-482.
11
Si tratta di: Documents sur la denationalisation des yougoslaves de la Marche Julienne, Belgrado,
16
Un accenno alla storiografia
1946. L. ČERMELJ, Italian genocid policy against the slovenes and the croats. A selection of docu-
ments, Belgrado, 1954.
12
E. SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, s.n.t., 1947, Udine, Del
Bianco Editore, 19973.
13
C. SCHIFFRER, La questione etnica ai confini orientali d’Italia, antologia a cura di F. VERANI, Trie-
ste, Edizioni “Italo Svevo”, 1990.
14
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari, Laterza, 1966,
p. 273.
15
M. PACOR, Confine orientale. Questione nazionale e resistenza nel Friuli-Venezia Giulia, Milano,
Feltrinelli, 1964. e Italia e Balcani dal Risorgimento alla Resistenza, Milano, Feltrinelli, 1968.
16
G. MICCOLI, La chiesa di fronte alla politica di snazionalizzazione, in «Bollettino dell’Istituto
Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia», IV, 2-3, Agosto
1976, p. 31.
17
I - Il confine nord orientale italiano
dei numerosi contributi che sono del resto ampiamente citati in tutto il mio
lavoro. Mi interessa però rilevare che l’impulso alla ricerca viene ancora
solamente da Istituti locali, non nazionali, che giustamente si interessano di
un momento importante nella storia della propria regione. Vano è un tenta-
tivo di trovare una rispondenza proporzionale, sia pur in una scala numerica
ridotta, nelle riviste di carattere nazionale, mancando una presa di coscienza
della valenza generale del problema nella storiografia italiana.
Da parte slovena vanno segnalati i lavori di Pavel Stranj, ma special-
mente quelli della storica Milica Kacin-Wohinz, sia in articoli nelle riviste
citate che con alcuni libri. Uno di questi è stato scritto assieme a Jože Pirje-
vec. Segnalo in particolare, ai fini di questo studio, l’articolo della storica
slovena I programmi fascisti di snazionalizzazione degli sloveni e dei croati
della Venezia Giulia.17 Il punto di vista di partenza il più delle volte è però
qui rovesciato, si parla degli sloveni e dei croati in Italia. L’obbiettivo, non
potrebbe essere altrimenti, è una storia delle due minoranze e delle persecu-
zioni da esse subite.
Nella prima metà degli anni ’90 da parte italiana si segnala soprattutto
uno studio di settore, ancora una volta però di ambito locale, Scuola e con-
fine di Andri e Mellinato. Nella seconda metà un importante spinta al rinno-
vamento è stata fornita dall’intervento di Enzo Collotti. Il suo Sul razzismo
antislavo parla finalmente e senza mezzi termini di “razzismo” per quel che
riguarda l’atteggiamento tenuto verso gli slavi, fino ad allora tutt’al più si
erano avute timide puntate nell’uso di questo termine. Collotti segnala filoni
di indagine, fra i quali la visione del mondo slavo nell’imperialismo italiano
e chiarisce il salto di qualità apportato dall’avvento del fascismo. L’atra cosa
rilevante è che si colloca all’interno di un lavoro, coordinato da Burgio, che
avvia vari filoni di indagine sul razzismo nella storia italiana, uscendo dun-
que dal localismo, per dar conto della presenza su diversi versanti di un raz-
zismo specificatamente italiano in una storia in gran parte ancora da scrive-
re. Ulteriori chiarimenti sulla circolazione delle tematiche razziali nell’Italia
fascista sono arrivati sempre nel ‘99, con Maiocchi. Scienza italiana e raz-
zismo fascista è una ricognizione ampia su come si articoli l’idea di razza e
nazione italiana e si faciliti un discorso razzista con il contributo del mondo
scientifico, che ha sempre una parte nella definizione dei canoni culturali.
17
P. STRANJ, La questione scolastica delle minoranze slave nella Venezia Giulia tra le due guerre, in
«Storia contemporanea in Friuli», XVII, 18, 1987. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli slove-
ni in Italia (1866-1998), Venezia, Marsilio Editori, 1998. M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di
snazionalizzazione degli sloveni e croati nella Venezia Giulia, in «Storia contemporanea in Friuli».
XVIII, 19, 1988
18
Un accenno alla storiografia
19
I - Il confine nord orientale italiano
UN CONFINE MOBILE
18
In questo senso vanno anche Foibe e deportazioni. Per ristabilire la verità storica, a cura di A. BU-
VOLI, s.n.t., 19982. e Foibe. Oltre i silenzi, le rimozioni, le strumentalizzazioni, numero monografico
di «Storia e memoria», 1, 1994. e la mostra Fascismo foibe esodo. Le tragedie del confine orientale,
realizzata dalla Fondazione Memoria della Deportazione e disponibile sul sito www.deportati.it.
19
A. DEL BOCA, Italiani…, cit. pp. 248-251.
20
Un confine mobile
Il confine propriamente detto, quello che divide due stati, due entità po-
litiche diverse che esercitano il dominio su un dato territorio, è una linea
immaginaria tracciata dagli uomini. Serve, ovviamente, a dividere più che
a unire, e non è detto che questa divisione sancisca sempre una situazione
direttamente riscontrabile nella realtà, anzi a volte la crea. Quando viene
calato in contesti non omogenei, diversificati, raramente rispecchia quelle
diversificazioni a causa del suo essere direttamente legato al territorio, alla
geografia, mentre spesso legami e divisioni sono più afferenti alla cultura
e all’economia, più impalpabili quindi, e si sovrappongono. Se la maggio-
ranza della popolazione di Trieste era, durante il dominio asburgico, legata
all’uso della lingua italiana e si sentiva parte di quella nazione, la sua econo-
mia, la sua funzione di grande porto dell’impero, la legava ad un entroterra
danubiano che si volgeva in direzione opposta, verso terre abitate da tede-
schi, magiari, slavi. Anche quando riesce ad unire, il confine lo fa attraverso
la divisione, la contrapposizione fra quello che sta dentro e quello che sta
fuori. I confini poi, che si propongono la doppia finalità di unire una nazio-
ne e dividerla dalle altre quasi sempre si trovano a dover fare i conti con
minoranze estranee che restano al suo interno. Anzi, tanto più si allargano
i confini per raggiungere tutti i gruppi appartenenti alla nazione dominante
in un dato stato, residenti ai suoi margini, tanto più si incorporano nazioni
diverse. E’ il paradosso, se vogliamo, dello stato-nazione. Le nazionalità
diverse non sono mai nettamente separate, è raro anche quando si tratta di
isole figuriamoci in un continente come quello europeo da secoli attraversa-
to da correnti migratorie e da stanziamenti di popolazioni sempre nuove. Se
esistono nuclei centrali dominanti, che però non è detto che siano la totalità
delle persone abitanti su un dato territorio, via via che ci si allontana dal
centro questa maggioranza sfuma sempre più. Esistono zone dove è difficile
identificare la nazionalità prevalente, spesso non c’è, spesso la situazione
è ulteriormente complicata dalla presenza di più di due nazioni, possono
diventare tre, quattro, cinque… con il risultato che nessuna nazione ha una
prevalenza netta sulle altre. E’ quel che è successo nella Venezia Giulia tra
le due guerre. Per trovare conferme a quanto detto basta dare un’occhiata
alle cartine europee degli ultimi due secoli per avere delle prove lampanti
dell’artificiosità dei confini e dei criteri tutti politici che guidano la loro fis-
sazione. Se poi queste cartine proviamo a sovrapporle ad altre, contenenti
aree linguistiche, insediamenti nazionali, influenze culturali, bacini econo-
mici, raramente riusciremmo a trovare un confine che combaci non solo con
tutti, ma anche con uno solo di questi aspetti.
Altra caratteristica del confine è la sua “porosità”. I confini politici, diver-
21
I - Il confine nord orientale italiano
20
R. FINZI, C. MAGRIS, G. MICCOLI, Una tormentata regione «artificiale», in Storia d’Italia. Le regio-
ni dall’unità a oggi. Il Friuli–Venezia Giulia, Vol. I, Torino, Einaudi, 2002, p. XXIII.
21
Cfr: Ivi pp. XXV-XXVI. Da cui è tratta la citazione.
22
Un confine mobile
anche nelle controparti slave.22 Queste incertezze, nel campo italiano, erano
riconducibili ad approcci politici, ma anche strategici, diversi. In linea di
massima la divisione passava fra chi era più attento a garantire confini che
rispecchiassero il più possibile i reali limiti nazionali riscontrabili in loco,
un approccio come quello dell’irredentismo democratico, e chi guardava
più a garantire esigenze strategiche, militari, ma anche nazionaliste e impe-
rialiste, noncurante dell’eventuale integrazione all’interno dello stato di na-
zionalità diverse pur di affermare esigenze sentite come vitali per la realiz-
zazione di progetti espansionistici. Era il caso di Ruggero Fauro (Timeus),
un teorico dell’imperialismo nazionalista, definito “profeta” del fascismo:
«La questione delle minoranze – o maggioranze slave non è per noi che
accademia, perché, siano gli Slavi pochi o molti, noi le provincie di confine
le dobbiamo conquistare, in ogni caso, per ragioni politiche, economiche e
soprattutto strategiche, indipendenti da ogni questione di diritto nazionale.
Sul quale non abbiamo da dire altro se non che per noi ha, comunque, più
valore l’esistenza di diecimila italiani che quella di cinquanta o centomila
slavi».23
La regione sarà travagliata per oltre un secolo dalla questione nazionale
e dal problema della fissazione dei confini, dagli anni ’60 dell’800 fino a ben
oltre il termine del secondo conflitto mondiale. Queste vicende sono ampia-
mente note per cui qui ci limitiamo a riportarne soltanto le fasi e i momenti
salienti. Nel 1866, dopo la cosiddetta terza guerra d’indipendenza, l’Italia
portò il suo confine a nord-est di Udine, annettendosi il Friuli con quei ter-
ritori definiti “slavia veneta” (slovenska benečija) entrando per la prima
volta in contatto con le comunità slovene lì insediate. Nel 1915 una classe
dirigente che aveva fatto proprie le mire e le proposte di parte nazionalista e
imperialista ottenne con il Patto di Londra la promessa ad ottenere il litora-
le austriaco, senza Fiume, e la Dalmazia, come compenso per l’ingresso in
guerra a fianco delle forze dell’Intesa. Quando si arrivò alla fine delle ostili-
tà le truppe italiane, dopo l’armistizio, occuparono il territorio strabordando
anche al di fuori dei territori previsti dal Patto di Londra e dalla stessa linea
armistiziale, approfittando del collasso dell’impero Austro-Ungarico. Le
cose però non stavano più come nel ’15. Gli Stati Uniti si dichiararono non
vincolati dal Patto, in quanto non erano fra i firmatari, non riconoscendo
22
M. PACOR, Confine orientale…, cit. pp. 9-11.
23
R. TIMEUS (R. FAURO), Scritti politici (1911-1915), Trieste, Tipografia del Lloyd Triestino, 1929,
p. 496. Per la definizione di Timeus come profeta del fascismo Cfr: P. PRIVITERA, Ruggero Timeus-
Fauro «profeta del fascismo», in «Qualestoria», XI, 2, giugno 1983.
23
I - Il confine nord orientale italiano
24
Per una attenta descrizione della situazione sul terreno, a cui è annessa anche una carta dettaglia-
ta, C. SCHIFFRER, La Venezia Giulia. Saggio di una carta dei limiti nazionali italo-jugoslavi, Roma,
24
Un confine mobile
che in linea di massima può essere fatta una divisione fra città, soprattutto
costiere, anche se non mancano importanti centri dell’interno come Gorizia
ed insediamenti più piccoli come Pisino, dove è forte l’elemento italiano,
ed un entroterra abitato in prevalenza da sloveni e croati, è vero anche che
comunque il più delle volte si parla di “prevalenze”, che comportano quindi
la presenza di “minoranze”, che cambiano di volta in volta, quando sono gli
italiani quando gli slavi. La contiguità è assoluta. In città come Trieste dove
la prevalenza numerica è italiana esistono quartieri dove la maggioranza è
slovena. All’interno degli stessi quartieri, nei palazzi, nelle strade, italiani e
sloveni convivono accanto. Nelle campagne slave e nei villaggi non man-
cano contadini e funzionari italiani. Siamo in presenza di un vero e proprio
mosaico nazionale. A complicare le cose si aggiungeva il fenomeno del bi-
linguismo, la presenza di parlate ibride italo-slave, l’esistenza di matrimoni
misti con il loro derivato di famiglie miste e di identità in bilico. Inoltre la
popolazione non resta mai ferma, si muove, si sposta, modificando conti-
nuamente gli equilibri. Il concetto di “confine mobile”, usato per l’ambito
politico-territoriale, trova quindi riscontro in quello etnico.
In fine osserviamo che in questo concetto rientrano anche le idee e le
mire dell’espansionismo italiano. Queste lo consideravano per l’appunto
come una punta avanzata, non definitiva, suscettibile di spostamenti futuri
in direzione dell’area danubiano-balcanica. Il confine era destinato a “muo-
versi”. In quest’ottica è stato evidenziato che si lega al concetto di “barrie-
ra”, una barriera che avanza dividendo due mondi, due civiltà, secondo la
coppia superiorità italiana/inferiorità slava.25
I territori ottenuti a Rapallo, entrati a far parte dell’Italia con il nome di
Venezia Giulia proposto nel 1893 dal glottologo Graziadio Ascoli,26 com-
prendevano quindi due grosse minoranze slovene e croate, unite subito sotto
l’unica dicitura di slavi. Il loro possesso era stato giustificato con necessità
strategiche, propugnate dai militari e dai circoli nazionalisti, per i quali era
uno spalto da cui muoversi vero i Balcani, anche se non erano pochi quelli
Stabilimenti tipografici Carlo Colombo, 1946. ora riprodotto, ma senza carta, in C. SCHIFFRER, La
questione etnica…, cit. pp. 19-87. Per diverse rappresentazioni della situazione Cfr: Il confine mobi-
le. Atlante storico dell’ alto adriatico 1866-1992, s.l., Edizioni della Laguna, 19962, dove si trovano
molte cartine, elaborate da autori di diverse nazionalità, sullo sviluppo del confine e la sua compo-
sizione etnica. Vi è riprodotta anche la carta di Schiffrer.
25
A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, in Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. Il
Friuli–Venezia Giulia, Vol. I, Torino, Einaudi, 2002, p. 378.
26
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 30. M. PACOR, Confine orientale…,
cit. p. 9. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati in Italia tra le due guerre, Trieste, Editoriale Stampa Triestina,
1974, p. 8. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 3.
25
I - Il confine nord orientale italiano
convinti di aver a che fare con terre naturalmente italiane, dove la presenza
di altre nazionalità era artificiale e andava rimossa. Di sicuro lo erano i fasci-
sti, a cui spetterà il governo per 21 dei 25 anni del dominio italiano. Le parole
di Mussolini in una circolare riservata del 1925 sono chiarissime su questo
punto e sulla sorte che toccherà agli slavi durante il ventennio: «Il Governo
Nazionale […] considerò che i concetti di giustificare i confini del Brennero
e del Monte Nevoso soltanto con la necessità militare vuotava il fatto del-
l’annessione di gran parte del suo valore morale, togliendoli il carattere di
redenzione di terre nazionali; era contrario alle tradizioni e ai sentimenti
degli italiani che avevano posto l’idea della redenzione come scopo della
guerra; e non corrispondeva neanche al bene inteso concetto della sicurezza
militare la quale non può certo ottenersi quando sui confini abitano popoli
che sono soltanto sudditi dello stato ma non cittadini della Nazione.
Il Governo Nazionale pose a base del suo programma verso le popola-
zioni allogene delle nuove provincie il fatto che per la geografia e per la
storia (come sono gli elementi costitutivi dello Stato Nazionale) tutte le terre
che in seguito alla guerra sono state annesse all’Italia fanno parte dell’Ita-
lia; e che soltanto per un arbitraria e violenta azione di governi stranieri ad
una parte di tali terre venne in vari modi tolto il carattere dell’italianità, il
quale, ora che lo Stato Italiano ha acquistato la forza del suo diritto, deve
essere pienamente reintegrato».27
27
Documento riprodotto in R. DE FELICE, Mussolini. Il fascista. Torino, Einaudi, 1969 p. 495
26
La situazione delle nazionalità
28
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. pp. 6-8. M. WALDENBERG, Le questioni nazionali
nell’Europa centro-orientale, Milano, Il Saggiatore, 1994, pp. 65-67.
29
La vita culturale e intellettuale di Trieste, con i suoi problemi nazionali, è descritta in A. ARA, C.
MAGRIS, Trieste. Un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 1982.
27
I - Il confine nord orientale italiano
anche con una presenza numerica notevole, come a Trieste. Lungo la costa
la zona da Trieste a Monfalcone faceva eccezione essendo abitata preva-
lentemente da sloveni. Erano poi fortemente presenti a Gorizia e nel suo
circondario, che anzi appariva più sloveno che italiano, occupavano tutto
l’alto corso dell’Isonzo arrivando fino al Natisone. Si affacciavano nella
parte orientale della provincia di Udine, nella cosiddetta “slavia veneta” o
“slavia friulana”. A sud, da Pirano al Nevoso cedevano il posto ai croati su
una linea che grossomodo corrisponde all’attuale confine di stato fra la Slo-
venia e la Croazia.
Gli sloveni, una delle nazioni classificate da Engels fra i “popoli sen-
za storia”, avevano partecipato nel corso dell’800 al generale processo di
“risveglio dei popoli slavi” ed in meno di un secolo erano diventati una
nazione moderna, status riconosciuto anche nella denominazione ufficiale
che ebbe fino al ’29 lo stato degli slavi del sud. Erano la nazione più al-
fabetizzata di tutta la Venezia Giulia, seguiti dagli italiani e dai croati. La
loro intellighenzia era costituita principalmente da maestri e sacerdoti, fra i
quali non mancavano esponenti di primo piano della gerarchia ecclesiastica
locale, che avevano dato il contributo più importante alla formazione di una
coscienza nazionale slovena. Numerose erano le scuole, non solo elementa-
ri. A Gorizia potevano vantare un ginnasio-liceo, una scuola magistrale ed
una professionale, cui si aggiungevano un ginnasio-liceo scientifico a Idria
ed una scuola commerciale a Trieste. Notevole l’articolazione della vita cul-
turale con biblioteche, teatri, case editrici, giornali ed altre pubblicazioni di
vario tipo. L’associazionismo spaziava dai circoli sportivi a quelli musicali e
culturali. Nel settore economico gli sloveni avevano dato vita a cooperative
di produzione e consumo, casse di credito fino ad arrivare ad istituti finan-
ziari di grosso peso. Tutto ciò trovava il suo simbolo nel moderno edificio,
situato nel centro di Trieste, del Narodni Dom. La loro struttura sociale era
composta in grande maggioranza da contadini piccoli proprietari, ma si era-
no consolidati un ceto medio borghese urbanizzato e nuclei operai. Nelle
aree dove prevalevano nettamente controllavano l’artigianato, il commercio
ed in piccola misura anche imprese a carattere industriale.30
I croati erano stanziati in Istria dove occupavano tutto l’interno e la co-
sta orientale. Giungevano nelle città della costa occidentale ed erano forti
a Pola. Li troviamo poi nel Carnaro, con una rilevante presenza a Fiume e
nelle isole, la più importante delle quali era quella di Cherso. Popolazione
croata era presente anche a Zara. A nord si incontravano con gli sloveni.
30
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 39.
28
La situazione delle nazionalità
Lo sviluppo della coscienza nazionale croata era ad uno stadio più avan-
zato di quella slovena, come era del resto dimostrato dalla presenza di forti
movimenti indipendentisti croati in Jugoslavia e dal maggior riconoscimen-
to come nazione negli ambienti internazionali. Non differivano dagli slo-
veni né per il tipo di intellighenzia, né per la struttura sociale. Anch’essi
avevano reti associazionistiche ramificate, numerosi Narodni Dom sparsi
sul territorio, le proprie scuole, fra le quali spiccavano due licei e due istituti
magistrali, case editrici, pubblicazioni, anche se era più alta la percentuale
di analfabeti. Come i loro vicini sloveni, i croati potevano contare su strut-
ture economiche ben organizzate.
Una quantificazione certa di quanti fossero gli italiani, gli sloveni ed
i croati risulta ardua. Raramente si trovano autori che riportano le stesse
cifre. Per il censimento austriaco del 1910, svolto con il criterio della lin-
gua d’uso, Milica Kacin-Wohinz e Jože Pirjevec sostengono che c’erano
421.000 persone che usavano la lingua italiana e 480.000 che dichiaravano
di usare le lingue slovena e croata (50,2%).31 Stranj per le quattro province
di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume da 351.129 italiani e 484.417 slavi.32
Nel ’21 dopo l’annessione il censimento del Regno d’Italia considerò per
la prima volta la Venezia Giulia, senza Fiume. Il criterio era la lingua d’uso.
Sestan conta 516.960 italiani, 257.038 sloveni e 90.262 croati.33 Schiffrer
493.000 italiani (52%) e 428.000 slavi (43%). Un atlante storico della re-
gione riporta queste cifre, integrate con i dati di Fiume del 1925: nel 1910
237.230 sloveni e 152.500 croati, rispettivamente il 33 e 15 per cento per un
totale di 409.730; per il 1921 271.305 sloveni e 98.214 croati, 28 e 10 per
cento, in tutto 369.519.34
Gli sloveni ed i croati erano due nazioni distinte e ne erano consapevoli,
tant’è che fra loro non mancavano screzi. Questa distinzione nel dopoguer-
ra fu ufficializzata nello stesso nome del Regno slavo dei Karadjordjević.
Quelli che si ritrovarono in Italia furono unificati col nome generico di slavi,
o “allogeni”, e trattati nello steso modo. Questa mancata distinzione vale sia
per i quattro anni di governo liberale che per il ventennio fascista. In questo
lavoro, saranno esaminati quasi sempre come un’unica entità dato che così
venivano percepiti ed alla luce del fatto che le differenze che intercorrevano
tra i due gruppi non influirono affatto sulla politica adottata contro di loro.
31
Ivi p. 30.
32
P. STRANJ, La questione scolastica…, cit. p. 127.
33
E. SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti…, cit. p. 121.
34
Il confine mobile. Atlante storico…, cit. p. 68
29
II
Il fascismo
IL FASCISMO DI CONFINE
35
A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia e la persecuzione antislava, in «Storia contemporanea
in Friuli» XXVI, 27, 1996, p. 71. F. GIUNTA, Il fascismo nella Venezia Giulia, in «Gerarchia», VII,
9, settembre 1927 p. 796.
31
II - Il fascismo
36
Su questo tema Cfr: M. ISNENGHI, il mito di potenza, in Il regime fascista, a cura di A. DEL BOCA,
M. LEGNANI, M.G. ROSSI, Bari, Laterza, 1995, pp. 139-150.
37
E. COLLOTTI, Sul razzismo antislavo, in Nel nome della razza…, cit. p. 54.
38
A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 398.
39
F. PASINI, Scuole e università, in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, p. 889.
32
Il fascismo di confine
quella superiorità, che Mussolini a Trieste nel ‘20 pronuncia questa frase:
«Il compito dei fascisti di queste terre è più delicato, più sacro, più difficile,
più necessario. Qui il fascismo ha ragione d’essere: qui il fascismo trova il
suo terreno naturale di sviluppo».40
Il terreno è quello dello scontro di razza, caratterizzante il “fascismo di
confine” come sua ragione stessa. Lo stesso giorno a Pola dice: «di fronte
a una razza come quella slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la
politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone».41
Il “mito” e la funzione che ne deriva è del resto ben introiettato nella
mentalità, nella cultura diffusa, dei settori nazionalisti della società italiana,
ma il discorso può essere esteso, magari in forme meno virulente, anche a
settori non impregnati di fanatismo politico e aderenti alla cultura democra-
tica, liberale e cattolica, che considerano gli slavi in Italia come sudditi, non
cittadini di pari dignità.
Tutto il fascismo della regione, specialmente quello friulano particolar-
mente turbolento e lacerato al suo interno, ritrova sempre l’unità quando
si tratta di andare contro gli allogeni. Sulla necessità di una politica a loro
danno non sussistono mai dubbi, anche se il termine “danno” può apparire
improprio dato che in fin dei conti per i fascisti tutte le vessazioni a cui erano
soggetti erano fatte per il loro bene e non avevano poi tanto da lamentarsi
visto che venivano immessi in una civiltà più evoluta da una condizione di
sottosviluppo. Al massimo si poteva discutere sui metodi, fra chi caldeg-
giava posizioni più moderate e gradualiste, sempre messe ai margini, e chi
soluzioni di forza, rapide e violente. Sull’antislavismo potevano convergere
figure diverse, come un Pisenti a Udine, fautore di un fascismo “moderato”,
normalizzatore, conservatore, vicino ai tradizionali ceti del potere come un
mezzo d’ordine, ed un Giunta a Trieste, più rivoluzionario, organizzatore
delle squadre, che, sostiene Anna Maria Vinci, considerava la violenza un
«ingranaggio indispensabile della macchina da guerra che il fascismo met-
te in moto a Trieste per lanciarla verso più vasti orizzonti».42 L’antislavismo
opera quindi su due fronti: mobilitare le masse, in particolare i ceti medi, a
sostegno della politica fascista; tenere insieme le parti altrimenti sfilacciate
del fascismo friulano e giuliano.
40
B. MUSSOLINI, Discorso di Trieste, in Scritti e discorsi, edizione definitiva, vol. II, Milano, Ulrico
Hoepli Editore, 1934, p. 107.
41
Cit. in S. BON GHERARDI, Politica, regime e amministrazione in Istria, in S. BON GHERARDI, L.
LUBIANA. A. MILLO, L. VANELLO, A. M. VINCI, L’Istria fra le due guerre. Contributi per una storia
sociale, Roma. Ediesse, 1985, p. 30.
42
A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 406.
33
II - Il fascismo
43
F. GIUNTA, Il fascismo nella Venezia Giulia, cit. p. 798-799.
44
Ivi p. 801
45
G. VOLPE, Storia del movimento fascista, Milano, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale,
1939, p. 30.
46
M. PACOR, Confine orientale…, cit. p. 70 e p. 106. A. APOLLONIO, Dagli Asburgo a Mussolini. Ve-
nezia Giulia 1918-1922, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2001, p. 489.
34
Il fascismo di confine
47
Cit in A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 404. A. APOLLONIO, Dagli Asburgo…,
cit. p. 290.
48
Quand’erano presenti, anche le rivendicazioni autonomistiche avevano quale giustificazione una
più ravvicinata opera di contenimento e snazionalizzazione degli allogeni. A. M. VINCI, Il fascismo
al confine orientale, cit. p. 439. A. LEONARDUZZI, Storiografia e fascismo in Friuli. Partito, gruppi
dirigenti, società, in «Italia contemporanea», XXXIX, 177, dicembre 1989, p. 39. Per una compara-
zione con altre costruzioni a carattere locale Cfr: M. PALLA, Firenze nel regime fascista (1929-1934),
Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1978.
49
T. SALA, Tra Marte e Mercurio…, cit. p. 219. Voce Slavofobia, di E. COLLOTTI, in Dizionario del
fascismo, cit. pp. 637-640. A. APOLLONIO, Dagli Asburgo…, cit. p. 288.
50
T. SALA, Tra Marte e Mercurio…, cit. pp. 218-219. Voce Slavofobia, cit. pp. 637-640.
35
II - Il fascismo
L’antislavismo è dunque, abbiamo appena detto, uno dei vari “anti” con
cui il fascismo si definisce in opposizione a qualcosa, ed assurge ad un ruolo
importante sia nell’ideologia che nella politica estera del regime. Cerchere-
mo adesso di capire meglio gli aspetti culturali, ideologici, oltre che politici,
che informarono l’azione ed i programmi fascisti verso gli slavi.
Prima di tutto i precedenti, importanti per la comprensione del retroterra
da cui si partiva. Va rilevato immediatamente come l’opposizione verso l’al-
tro non sia secondaria nella costruzione e definizione di un’identità naziona-
le italiana nella Venezia Giulia. E’ un elemento comune a molte costruzioni
nazionali, più in generale identitarie, una regola a cui abbiamo visto non
sfuggiva nemmeno lo stesso fascismo. Gli stessi nazionalisti come Corra-
dini lo avevano ben presente quando parlavano della funzione di compat-
tamento e coesione su comuni interessi che rivestiva per la nazione la resi-
stenza a forze esterne.51 Quando questo processo investe la creazione di una
coscienza nazionale, non è mai irrilevante il portato razzista che si tira dietro
questa distinzione dal “diverso”, qui associato mentalmente all’avversario,
allo straniero/nemico.
Se la cultura democratica aveva postulato la pacifica convivenza con i
fratelli slavi anche attraverso le opere di Slataper e Vivante, il nazionalismo
imperialista risolveva la “questione adriatica” in termini che non ammette-
vano mediazioni, o noi o loro.52 Un esempio su tutti ci è dato dal già citato
Timeus, definito da Federzoni nel ’29, nella prefazione ai suoi Scritti politi-
ci, «uno dei maggiori antesignani del fascismo» che aveva il merito di aver
posto le basi per un «nuovo irredentismo, non più incoerente stato d’animo,
51
A.GILLETTE, Racial theories in fascist Italy, London, Routledge, 2002, p. 39.
52
E. COLLOTTI, Sul razzismo antislavo, cit. pp. 35-39.
36
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
53
R. TIMEUS, Scritti politici…, cit. La prefazione non riporta numeri di pagina.
54
Ivi pp. 63-64.
55
Ivi p. 110.
56
Cit in E. COLLOTTI, Sul razzismo…, cit . p. 41
57
R. TIMEUS, Scritti politici…, cit. p. 109-116.
58
Cit in E. COLLOTTI, Sul razzismo…, cit . pp. 39-40.
37
II - Il fascismo
59
V. GAYDA, Gli slavi della Venezia Giulia, Milano, Rava e C. Editori, 1915, pp. 18-28.
60
E. GELLNER, Nazioni e nazionalismo, Roma, Editori Riuniti, 19973, p. 3.
61
I due termini erano quasi sempre usati come sinonimi.
38
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
62
R. DE FELICE, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti 1919-1945, Torino, Einaudi,
2001, pp. 91-92.
63
A.GILLETTE, Racial theories..., cit. p. 38.
64
R. DE FELICE, Autobiografia del fascismo…, cit. p. 92.
65
Ivi p. 93.
66
Ibidem.
67
Ibidem.
39
II - Il fascismo
si».67 Il diritto di sloveni e croati alla loro esistenza in quanto nazione, alla
loro lingua, alle loro tradizioni, ai loro nomi, poteva rientrare fra gli ostacoli
per la vita e lo sviluppo dell’Italia, ed infatti così avvenne. Poco più avanti
il programma affermava l’esigenza imperialista e dava un primo obbiettivo
da raggiungere verso le minoranze. «L’Italia riaffermi il diritto alla sua
completa unità storica e geografica, anche là dove non è ancora raggiunta;
adempia la sua funzione di baluardo della civiltà latina sul Mediterraneo;
affermi sui popoli di nazionalità diversa annessi all’Italia saldo e stabile
impero della sua legge».68
Concretamente, l’Italia fascista adottò il più delle volte un indirizzo na-
zionalista di tipo ”includente”, teso cioè ad assimilare sloveni e croati, defi-
niti spesso allogeni più ancora che slavi. Un termine, quest’ultimo, contrad-
dittorio, ne negava l’appartenenza anche nominale ad un’altra nazionalità,
cancellandone l’esistenza anche quando si parlava di loro, ed al tempo stes-
so ne sottolineava velatamente la differenza dagli italiani, il carattere alieno.
Questa contraddizione la troviamo riflessa nell’operato fascista a proposito
della “bonifica nazionale”, la specifica antislava di quel concetto di “boni-
fica” che Ruth Ben-Ghiat individua come centrale, un «desiderio fascista
di purificare la nazione da ogni patologia sociale e culturale» strappan-
do le erbacce cattive e ripulendo il terreno. “Bonifica agricola”, “bonifica
umana”, “bonifica della cultura”, facce diverse di un progetto teso ad una
trasformazione nazionale totalizzante per rigenerare l’Italia e gli italiani,69
a creare un “uomo nuovo” fascista, vera e propria ossessione di Mussolini.
Nel nostro contesto è una “bonifica etnica”. Essa viene declinata alle volte
nel senso di un’integrazione, una purificazione che libera il terreno dagli
slavi trasformandoli in italiani, ma altre volte è un’espulsione, un program-
ma di colonizzazione italiana che espelle gli allogeni,. Nelle idee di molti le
due cose convivono. L’espulsione libera dal problema trasferendo gli slavi
all’estero, se invece li sposta nelle vecchie province o nelle colonie il loro
destino è l’assimilazione.
La volontà includente, quando è messa in pratica, distingue l’operato
fascista verso gli slavi da quello attuato nelle colonie africane, i cui abitanti
semplicemente non furono accolti nella “nazione”, in un epoca in cui con-
siderare i “negri” come inferiori appariva scontato e non era considerato
68
Ibidem.
69
R. BEN-GHIAT, La cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 20042, p. 13.
40
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
70
Voce Razzismo, in Dizionario dei fascismi, a cura di P. MILZA, S. BERSTEIN, N. TRANFAGLIA, B.
MANTELLI, Milano, Bompiani, 2002. Sul termine “allogeni” Cfr: G. SLUGA, Identità nazionale italia-
na e fascismo: alieni, allogeni e assimilazione sul confine nord-orientale italiano, in Nazionalismi
di frontiera. Identità contrapposte sull’Adriatico nord-orientale 1850-1950, a cura di M. CATTARUZ-
ZA, s.l., Rubettino Editore, 2003, pp. 190-191. E. COLLOTTI, Sul razzismo…, cit . p. 53.
41
II - Il fascismo
71
Basti pensare agli antifascisti, dipinti come non italiani.
42
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
72
E. GENTILE, La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Mila-
no, Mondatori, 1997, pp. 35-37. Il corsivo è nel testo. Gentile riporta anche una definizione tratta dal
Dizionario di cognizioni utili edito dalla UTET nel 1914 dove si sosteneva che le nazioni moderne
erano il risultato della somma di individui appartenenti a razze diverse, in specie modo le nazioni più
civili, ed altre affermazioni, fra cui quelle dell’antropologo Celso Ferrari e di Napoleone Colajanni,
tutte dello stesso tenore. Ivi pp.34-37.
73
A.GILLETTE, Racial theories..., cit. p. 38.
74
E. GENTILE, La grande Italia…, cit. pp. 109-116.
43
II - Il fascismo
75
A.GILLETTE, Racial theories..., cit. p. 48. R. MAIOCCHI, Scienza italiana…, cit. pp. 41-57 e 229-
238.
76
Documento riportato in Le persecuzioni degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938, Roma,
Camera dei Deputati, 1998. Il corsivo è nel testo.
77
R. MAIOCCHI, Scienza italiana…, cit. pp. 61 e 78. Il decimo punto del “Manifesto degli scienziati
razzisti” lo confermava. «I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono
essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel
qual caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un
ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri». Le
persecuzioni degli ebrei…, cit. p. 113. Il corsivo è nel testo.
78
Ivi pp. 94-97.
79
Ivi pp. 113-114.
44
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
80
Ivi pp. 137-139.
81
Ivi pp. 142-149.
82
Ivi pp. 169-186 dove si trovano molte informazioni sullo studio dell’antichità romana, sul mito
che alimentava e le strumentalizzazioni di cui era fatto oggetto.
83
Ivi p. 183.
84
Ivi p. 184.
85
Ivi p. 183.
86
Fascismo, in Enciclopedia italiana, vol. XIV, Roma, Istituto Treccani, 1951, p. 851.
45
II - Il fascismo
87
E. GENTILE, La grande Italia…, cit. p. 161.
46
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
88
Fascismo, in Enciclopedia italiana, cit. p. 848.
89
Nazione, in Enciclopedia italiana, vol. XXIV, Roma, Istituto Treccani, 1951, p. 471.
90
Fornisco adesso gli estremi editoriali che non citerò ulteriormente in questo paragrafo per non ap-
pesantire la lettura visto che l’opera è costellata dall’inizio alla fine delle affermazioni che espongo.
L. RAGUSIN RIGHI, Politica di confine, Trieste, Società Editrice Mutilati e Combattenti, 1929.
47
II - Il fascismo
48
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
91
A. TAMARO, La lotta delle razze nell’Europa danubiana, Bologna, Zanichelli, 1923, p. 159. Sal-
vemini definì Tamaro «uno dei più accaniti slavofobi che abbia l’Italia» cit. in R. FAUCCI, Elementi
di imperialismo nell’Italia prefascista, in L’imperialismo italiano e la Jugoslavia. Atti del convegno
italo-jugoslavo. Ancona 14-16 ottobre 1977, Urbino, Argalìa Editore, 1981, p. 65.
92
B. MUSSOLINI, Alle alpi giulie, in Scritti e discorsi, cit. p. 56.
93
A. TAMARO, La lotta delle razze…, cit. p. 160.
94
Ivi p. 209.
49
II - Il fascismo
95
B. MUSSOLINI, Secondo discorso di Trieste, in Scritti e discorsi, cit. p. 147. A. SCOCCHI, Terre italia-
ne in una carta geografica croata, in «La porta orientale», I, 11-12, dicembre 1931. p. 957.
96
G. COBOL, Il fascismo e gli allogeni, in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, pp. 803-805. Cobol
cambierà il cognome in Cobolli durante la campagna per l’italianizzazione dei cognomi.
97
Repertorio biografico dei senatori dell’Italia fascista, a cura di E. GENTILE e E. CAMPOCHIARO, Na-
poli, Bibliopolis, 2003, vol. I, p. 367. Nel ’29 Bombig italianizzerà il proprio cognomi in Bombi.
50
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
98
G. BOMBIG, Le condizioni demografiche della Venezia Giulia e gli allogeni, in «Gerarchia», VII,
9, settembre 1927, pp. 807-819.
99
OSSERVATORE, Gorizia, in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, p. 820.
100
R. BEN-GHIAT, La cultura fascista, cit. pp. 50-51.
51
II - Il fascismo
101
G. SLUGA, Identità nazionale italiana e fascismo…, cit. pp. 178-180.
102
Ivi p. 188.
103
Ivi p. 195.
52
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
104
E. GENTILE, La grande Italia…, cit. pp. 203-208. E. GENTILE, La nazione del fascismo. Alle origini
del declino dello stato nazionale, in Nazione e nazionalità in Italia. Dall’alba del secolo a giorni
nostri, a cura di G. SPADOLINI, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 100-107. Cfr: R. BEN-GHIAT, La cultura
fascista, cit. pp.200-201.
105
E. GENTILE, La grande Italia…, cit. pp. 207-208. E. GENTILE, La nazione del fascismo…, cit pp.
85-104.
106
V. MAZZEI, Razza e nazione, Roma, Edizioni italiane, 1942, pp. 5-7. Il libro era il frutto della ri-
pubblicazione di una serie di articoli del 1939.
107
Ivi pp. 10-12.
108
Ivi p. 42.
53
II - Il fascismo
- che, se non sono decisivi, hanno però, presi non singolarmente ma nel
loro complesso, una rilevante efficacia come forze nazionalizzanti», dando
torto dall’altra parte anche a chi, come gli idealisti, dava peso solo al fat-
tore volontaristico.109 Per Mazzei, se la razza non era determinante di per
sé, «non si può disconoscere che possa esservi nazione anche dove non sia
unità di razza»,110 esisteva comunque uno spettro di fattori rintracciabili in
natura che servivano a fare la nazione. Ed in questo contrastava con Genti-
le. «D’accordo che il contenuto del concetto di nazionalità è variabile, in
quanto possono volta a volta mancare l’unità di lingua o l’unità di razza
o la terra patria o la comunanza del costume e degli interessi e via dicen-
do, o due o più di questi elementi. Ma essi non possono mancare tutti in
una volta sola, perché diversamente la nazione non si distinguerebbe da
una qualsiasi altra comunità o società; si avrebbe una inqualificata società
[…] io penso, insomma, che ci sia un residuo naturalistico ineliminabile
nel concetto di nazione».111 Questi fondamenti naturali per lui non compor-
tavano però, come per tutti gli altri, l’esclusione della mescolanza di razze.
«Non intendiamo favoleggiare di inesistenti razze pure, ma ci atteniamo al
sano criterio scientifico della razza mista, o, se si vuole, storica».112 «La
negazione dell’esistenza di razze pure non implica però […] la negazione
totale di qualsiasi idea di razza, perché il fatto della coabitazione di più
schiatte nel medesimo territorio - a parte la considerazione che in generale
c’è sempre una di esse che prevale - conduce, alfine, […] ad unità etnica.
Non pura progenie, ma unica stirpe composta, la quale ha sempre una tale
energia nazionalizzante che un illustre sociologo italiano ne fa addirittura
“il carattere fondamentale ed il principio generatore della nazionalità”».113
Impossibile immaginare un nazista che pensi, se pur soltanto in via teorica,
a frammischiare il Volk germanico con altre razze!
A questa mescolanza esistevano comunque, dei limiti, «evitare gli in-
croci con razze inferiori (leggi contro il meticciato), nonché gli incroci con
elementi appartenenti a razze che alla luce dell’esperienza politica sono
apparse incapaci di amalgamarsi nel nostro complesso razziale in Italia
(ebrei)».114 Mazzei non parla mai di slavi, ma da quanto abbiamo visto essi
109
Ivi pp. 52-53.
110
Ivi p. 79.
111
Ivi p. 56.
112
Ivi p. 61. Il corsivo è nel testo.
113
Ivi p. 62.
114
Ivi p. 63.
54
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
115
Ivi p. 69.
116
Ivi p. 67.
117
G. MRACH, L’Istria, in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, pp. 825-826. L’autore italianizzerà
poi il suo cognome in Maracchi.
118
F. SUVICH, L’unione di Trieste alla madre patria, in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, p. 736.
55
II - Il fascismo
fare dell’adriatico un mare nostrum nonché terra italiana persa con gli ini-
qui trattati di pace. Mussolini nel ’20 parlando delle comunità italiane aveva
detto «gli italiani di Dalmazia sono i più puri, i più santi degli italiani. Sono
gli eletti del popolo italiano. Per essi la razza non è un fatto etnico è un sen-
timento, è una devota, gelosa, intrepida religione»119 affidandogli il compito
di preservare l’italianità dalmata dall’invasione barbarica slava, in attesa di
un ritorno all’Italia. La rivendicazione della Dalmazia italiana, unita ad una
contrapposizione di nazionalità, fu sempre presente nella pubblicistica di
epoca fascista. Riviste specifiche come Adriatico nostro si preoccupavano
di favorire studi storici per dimostrare la sua italianità. Si aggiungeva l’at-
tività di strutture quali i “Comitati d’azione dalmatica” e il “Comitato na-
zionale Dalmazia”.120 Su Gerarchia troviamo un articolo di Dudan ad essa
dedicato. Nell’apertura si dichiarava subito la Dalmazia terra italiana sia per
la geografia che per la storia e l’etnografia. Sosteneva che l’Austria, ma an-
che Francia e Gran Bretagna, avevano organizzato un «opera di falsificazio-
ne della storia, di snaturamento del carattere nazionale» con l’obbiettivo
di «rendere slava la Dalmazia» attraverso un’«invasione barbarica». Ri-
manendo nel quadro di riferimento culturale che abbiamo tracciato, Dudan
rinveniva le origini dell’italianità della regione in epoca romana. L’adriatico
era «più lago che mare» da epoche remotissime, elencava tutta una serie di
autori di epoche diverse, scomodando tra gli altri San Girolamo, Costantino
Porfirogenito, papa Gregorio Magno, per dimostrare l’evoluzione lineare
delle città dalmate da latine in italiane, senza inquinamenti slavi, di cui dava
prova anche l’archeologia. La Dalmazia rimarrebbe terra italiana anche se
«con il ferro e con il fuoco si distruggessero fin l’ultimo italiano», e chiariva
l’esigenza strategica delle rivendicazioni fasciste. «La Dalmazia è come la
Sardegna, indispensabile alla difesa dell’Italia», il Regno S.H.S. non aveva
nessun titolo né storico, né giuridico, al possesso della regione.121 Su Critica
fascista nel 1928 troviamo argomentazioni geografiche dove si sosteneva
che, essendo le alpi dinariche un divisorio, la Dalmazia non faceva parte
della Balcania, la sua unione alla Jugoslavia era antigeografica e antistorica.
La Jugoslavia era poi inconciliabile con l’alta civiltà italiana a causa della
119
B. MUSSOLINI, Ciò che rimane e ciò che verrà, in Scritti e discorsi, cit. 1934, p. 114.
120
Su questa tematica Cfr: M. P. NASO, La questione adriatica nella pubblicistica fra le due guerre,
in L’imperialismo italiano e la Jugoslavia…, cit. pp. 235-279.
121
A. DUDAN, La Dalmazia e la più grande turlupinatura internazionale del secolo, in «Gerarchia»,
VII, 9, settembre 1927, pp. 837-843. Dudan era un “esperto” della questione dalmata Cfr: R. FAUCCI,
Elementi di imperialismo…, cit. pp. 63-69.
56
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
primitiva psicologia croata.122 Anche uno studio del 1920 intitolato Italia-
nità della Dalmazia di Smirić sosteneva essere la presenza slava il risultato
di un premeditato disegno austriaco antitaliano, usava il concetto di nazione
spirituale, un aggregato di razze diverse unite da lingua e religione che tende
a riunirle in un unico organismo, rintracciando una sola nazionalità al di là
dell’adriatico con queste caratteristiche, ovviamente quella italiana, perché
anche per lui, al solito, gli slavi erano primitivi, inferiori, una quasi nazio-
ne.123 Su queste rivendicazioni convergevano anche i fautori del razzismo
biologico. Il lavoro di Pullè del ’27, L’Italia. Genti e favelle, distingueva fra
razza, continuità fisica di sangue, insieme naturale, mentre popoli, nazione,
lingua e costumi sarebbero state formazioni storiche, la quali erano però a
loro volta condizionate nel loro sviluppo storico dai caratteri antropologici,
fisici, in un circolo vizioso. Affermava l’unità razziale delle due sponde del-
l’adriatico, abitate dalla razza adriatica in un arco che lo copriva interamen-
te, partendo dall’Epiro fino alla Puglia e passando per la Dalmazia, l’Istria e
il Veneto. Questa razza non sarebbe mai stata scalfita da mescolanze con gli
slavi. Con lui alle motivazioni strategiche, agli argomenti culturali e storici
si aggiungono quelli razziali.124 Anche quella vetrina del razzismo fascista
di stampo biologicista che fu la rivista La difesa della razza si muoveva su
argomentazioni identiche. L’imperialismo fascista trovava qui fondamenti
razziali più simili agli argomenti dei nazisti. Telesio Interlandi, strenuo fau-
tore delle ragioni del razzismo biologico e direttore della rivista, scriveva:
«il concetto di razza supera quello di nazione […] la razza esiste anche ol-
tre i confini politici della nazione […] gli italiani devono sapere che il loro
sangue circola più largamente nel mondo di quanto il disegno delle frontie-
re politiche possa mostrare». I confini razziali sono «l’indice progressivo di
una dilatazione necessaria».125 La rivista dedicò alcuni articoli alla Jugosla-
via. In quello dello sloveno Bozo Skerlj c’era una classificazione delle razze
jugoslave, appartenenti a tutti i rami delle razze europee e divise nettamente
da quella italiana, non presente in Dalmazia anche se vi era riscontrabile
l’influenza della sua civiltà, asserzione che scatenava Interlandi il quale in-
terveniva continuamente dentro all’articolo, spezzettandolo usando lo stru-
mento della nota del direttore, per dimostrare al contrario l’esistenza di una
122
M. P. NASO, La questione adriatica nella pubblicistica…, cit. pp. 244-246.
123
S. PUCCINI, Tra razzismo e scienza. L’antropologia fascista e i popoli balcanici, in «Limes», 1,
1994, p. 285.
124
Ivi pp. 287-289.
125
T. INTERLANDI, Confini razziali, in «La difesa della razza», II, 6, 1939.
57
II - Il fascismo
126
B. SKERLJ, Rapporti di razza fra Jugoslavia e Italia, in «La difesa della razza», III, 1, 1939.
58
Il fascismo antislavo e la snazionalizzazione: cultura, ideologia e politica
59
III
La persecuzione antislava
61
III - La persecuzione antislava
128
T. SALA, Tra Marte e Mercurio…, cit. pp. 220-221.
129
G. SLUGA, Identità nazionale italiana e fascismo…, cit. p. 175. Mosconi sarà poi Ministro delle
finanze dal 1928
130
Sul rituale nazionalista a fiume P. BALLINGER, La pentecoste italiana: accogliere il verbo della
fede italica. Lo sviluppo del rituale nazionalistico a Fiume, 1919-1921, in «Qualestoria», XXIX, 2,
dicembre 2001, pp. 123-142.
131
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. pp. 42-43.
62
Tappe e strumenti principali
132
R. DE FELICE, Mussolini. Il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 1965, p. 624.
133
F. GIUNTA, Il fascismo nella Venezia Giulia, cit. p. 799. L’assalto al Balkan è stato analizzato in
numerosi dei lavori citati. Basti adesso ricordare i due contributi più recenti e interessanti. M. KACIN
WOHINZ, L’incendio del «Narodni Dom» a Trieste, in «Qualestoria», XXVIII, 1, giugno 2000, pp.
89-99. A. APOLLONIO, Dagli Asburgo…, cit. pp. 291-312.
134
A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p 453.
135
E. COLLOTTI, Sul razzismo antislavo, cit. p. 51.
63
III - La persecuzione antislava
136
Collotti a questo proposito ritiene «l’espressione di “genocidio culturale” nei confronti delle po-
polazioni slave […] del tutto adeguata a sintetizzare i caratteri della politica fascista», Ivi p. 57.
137
Cfr: voce Alto Adige, di P. DOGLIANI, in Dizionario del fascismo, cit. pp. 42-43.
64
Tappe e strumenti principali
138
A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 394.
65
III - La persecuzione antislava
139
Cfr: Razza e fascismo, a cura di E. COLLOTTI, Urbino, Carocci, 1999, p. 21.
140
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 50. P. STRANJ, La questione scolasti-
ca…, cit. p.124. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p 54.
141
Cfr: la voce Lingua/dialetti, di P. DOGLIANI, in Dizionario del fascismo, cit. pp. 53-56.
66
Tappe e strumenti principali
comuni, mentre stava per arrivare la riforma che avrebbe esautorato le pro-
vince.142
Ai fini dell’italianizzazione/fascistizzazione per un certo periodo funzio-
narono anche unità allogene della M.V.S.N., ma vennero presto sciolte per-
ché considerate poco affidabili.143 Ci si muoveva con incertezza, senza un
programma ed un’azione unitaria e coordinata, continuamente richiesta dai
federali, ma sempre con costanza e condivisione dei fini. La politica fascista
non riuscirà mai a perdere questo carattere. Un altro esempio di questa in-
certezza, che ammetteva piccoli passi indietro o correzioni di rotta nei me-
todi, è dato dal fallimento nei primi anni ’20 del programma di cooptazione
degli allogeni nelle file fasciste propugnato da Pisenti nella Provincia del
Friuli, che ha tutti gli aspetti del collaborazionismo. Fallito questo disegno
“moderato”, si ritorna sulla strada dell’assimilazione coatta.
Una prima svolta nel senso di una ulteriore radicalizzazione la si può
individuare negli anni fra il ’27 e il ’28. Funziona il nesso politica interna/
politica estera. Oramai saldamente al potere, varate le “leggi fascistissime”,
il fascismo aveva realizzato la trasformazione autoritaria dello stato. Verso
l’esterno ci si apprestava a non rinnovare il Patto di amicizia con la Jugo-
slavia, come effettivamente avvenne nel ’28, e la stampa italiana dal ’27
cominciò a riprendere il vigore antislavo ed a sbandierare la rivendicazione
della Dalmazia.144 Pare che sia del luglio 1927 il primo piano fascista di as-
salto alla Jugoslavia, un attacco che doveva essere aggressivo ed improvvi-
so.145 I tempi sono quindi maturi per un altro giro di vite. Se ne rendono con-
to i federali giuliani che in alcune riunioni congiunte, in una visita a Roma
e con un memoriale sollecitano tra il giugno e il luglio del ’27 ad agire con
maggior energia. Verranno esauditi. Chiusura delle superstiti associazioni e
dei giornali, liquidazione delle più forti organizzazioni cooperative, portata
a termine nel ’29. Gli slavi, «la minoranza che non esiste»,146 scompaiono
ufficialmente. La fase esteriore è condotta a termine. Unico neo rimane il
142
A. AGNELLI, Gli autonomisti giuliani e l’avvento del fascismo, in AA. VV., Il fascismo e le auto-
nomie locali, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 188. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p.
77. Sulle autonomie locali L. PONZIANI, Fascismo e autonomie locali, in Lo stato fascista, a cura di
M. PALLA, Milano, La Nuova Italia, 2001, pp. 317-354.
143
L. RAGUSIN RIGHI, Politica di confine, cit. pp. 79-82. Righi si lamentava per questa scelta che a suo
avviso toglieva uno strumento di snazionalizzazione.
144
M. P. NASO, La questione adriatica nella pubblicistica…, cit. pp. 242-243.
145
H.J.BURGWYN, Empire on the Adriatic. Mussolini’s conquest of Yugoslavia 1941-1943, New
York,Enigma books, 2005, p. 7. T. SALA, Tra Marte e Mercurio…, cit. p. 235.
146
L. RAGUSIN RIGHI, Politica di confine, cit. p. 29.
67
III - La persecuzione antislava
problema del clero slavo, di più ardua soluzione, tant’è che il regime non ne
verrà mai del tutto a capo.
Di lì a poco anche qui però si ottengono successi significativi, sempre in
relazione agli avvenimenti interni che segnano il cammino ed il consolida-
mento del “regime reazionario di massa”. Con il Concordato del ’29 van-
no a segno colpi importanti. Si ottiene l’italiano come lingua ufficiale e la
possibilità di intervenire nelle nomine. Grande plauso arriva dal “fascismo
di confine” che avanza subito interpretazioni estensive. Dalla conciliazione
in poi non si avranno più problemi nelle nomine e si otterrà la rimozione di
personalità sgradite. Inoltre si può avanzare nell’”adescamento” del clero in
senso nazionalista.
Nel ’30 un ruolo sempre più importante si affida alle organizzazioni del
regime, l’O.N.D., l’O.N.B., i G.U.F., gli istituti previdenziali, l’O.N.A.I.R.,
che copriranno il territorio come un ragnatela cercando di realizzare un as-
similazione “morbida”.147 Le organizzazioni di massa uniscono alla funzio-
ne generale di convogliare il consenso quella peculiare di fascistizzare, ed
assimilare, gli allogeni. Ma le adesioni il più delle volte avvengono per il
tramite della coercizione, i balilla d’estate calano, i risultati sono effimeri.
Tutti quei giovani balilla, i frequentatori dei dopolavoro, si getteranno indi-
stintamente nella resistenza nelle file dell’Osvobodilna Fronta, il Fronte di
liberazione sloveno.148
Sono in pochi però a rendersi conto di questa miseria e fragilità dei risul-
tati, ed anche quando lo fanno è per sollecitare azioni più drastiche e precise,
o l’afflusso di mezzi. Il fascismo arriva alle formulazioni del suo program-
ma massimo, la “colonizzazione”, la “bonifica nazionale”.
Si istituiscono enti appositi, si discutono programmi, si pubblicani testi.
La trasformazione e l’organizzazione dello stato sul modello totalitario pro-
cedono su una strada che porterà alla conquista dell’impero ed alle formu-
lazioni di una più compiuta e programmata politica razziale. Si istituiscono
premi per maestri che vengono a far opera di italianità e per i sacerdoti
che agiscono in tale direzione. La bonifica prevede soprattutto un’azione
in campo agrario con la sostituzione di famiglie italiane, sane, ai contadini
slavi. Non si disdegnano neppure progetti in campo industriale, e così la co-
struzione di una fabbrica di cemento in Istria diviene «in un territorio fino a
ieri deserto e frequentato soltanto dalle capre […] un nuovo faro di vita ita-
147
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 57. S. BON GHERARDI, Politica, regi-
me…, cit. p. 76.
148
C. SCHIFFRER, La questione etnica…, cit. p. 152.
68
Tappe e strumenti principali
149
G. MRACH, L’Istria, cit. p 836.
150
G. MICCOLI, La chiesa di fronte…, cit. p. 31.
151
Cfr: A. ANDRI, L’ultima scuola slovena di Trieste durante il fascismo (1925-1930), in «Qualesto-
ria», XIII, 3, dicembre 1985, pp. 103-112.
152
M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. p. 23.
69
III - La persecuzione antislava
153
Sull’Albania vedi: E. COLLOTTI, Fascismo e politica di potenza, cit. pp. 38-45 e pp. 402-415. D.
RODOGNO, Il nuovo ordine mediterraneo…, cit. pp. 84-91.
154
E. COLLOTTI, Fascismo, fascismi, Milano, Sansoni, 20003, pp. 56-58. E. COLLOTTI, Fascismo e
politica di potenza, cit. pp. 374-380.
155
T. SALA, 1939. Un censimento riservato del governo fascista sugli “alloglotti”; proposta per l’as-
similazione degli “allogeni” nella provincia dell’Istria. in «Bollettino dell’Istituto Regionale per la
Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia», I, 1, ottobre 1973, p. 18.
156
M. KACIN WOHINZ, Orientamento nazionale, politico e culturale degli sloveni e dei croati nella
Venezia Giulia tra le due guerre, in «Qualestoria», XVI,1, aprile 1988, p. 52.
70
La proibizione delle lingue slave
nale di realizzare, con un uso della forza via via sempre più preponderante,
progetti già falliti sul suolo italiano, aggiungendo ai vecchi metodi quelli
nuovi della deportazione, dei massacri, incapace di intendere i rapporti con
la altre etnie, con le altre nazionalità, se non in termini etnocentrici di pre-
varicazione e sopraffazione.
157
A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p. 73.
158
Cit. in E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 60.
71
III - La persecuzione antislava
159
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 71. L’ ammiraglio si distinse anche con altre misure di
carattere draconiano come il divieto di telefonare al di là della linea di armistizio, nel regno SHS,
dove la popolazione istriana aveva rapporti di parentela e relazioni di affari Cfr: E. SESTAN, Venezia
Giulia. Lineamenti…, cit. p. 114.
160
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…,cit. pp. 71-72.
161
Ivi, p. 72. Dove è riportata anche la risposta «si fa presente […] che il trasferimento dei giudici
distrettuali […] in altra sede, essendo i magistrati inamovibili, potrebbe avvenire solamente dietro
72
La proibizione delle lingue slave
loro richiesta oppure in via di punizione disciplinare e che in ambedue i casi è oltremodo difficile
stabilire, in quale sede della Venezia Giulia la loro attività potrebbe riuscire meno perniciosa che a
Pola, dove essi possono senza dubbio essere meglio sorvegliati. Per questo motivi sembra perciò più
opportuno di vigilare rigorosamente la loro attività per scoprire eventuali addebiti specifici a loro
carico sulla base dei quali possa essere proposto alla competente autorità l’esonero dal servizio o,
quanto meno, si possa avviare contro di loro procedimento disciplinare. Questo commissariato gene-
rale ha, comunque, interessato in argomento la Presidenza del Tribunale d’Appello».
162
Cit. in L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 73. e A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…,
cit. p. 73.
163
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 73.
164
Cit in L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 71. Wilfan era a capo dell’Edinost di Trieste.
73
III - La persecuzione antislava
165
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. pp. 73-76. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit.
p. 74.
166
B. MUSSOLINI, Discorso di Trieste, cit. p. 100.
167
Ivi, p. 102.
74
La proibizione delle lingue slave
168
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 78. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p. 73.
Facsimile in P. PAROVEL, L’identità cancellata. L’italianizzazione forzata dei cognomi, nomi e topo-
nimi nella “Venezia Giulia”, Trieste, Eugenio Parovel Editore, 1985, p. 217.
169
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 237.
170
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 77-81. Per episodi avvenuti sui treni ed alle stazioni Cfr:
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit, p. 118. «carabinieri ed agenti ferroviari […] hanno
l’improntitudine di lanciare invettive innominabili contro pacifici cittadini, non rei d’altro che di
chiedere alle stazioni ferroviarie il biglietto nella loro lingua».
171
M. VERGINELLA, A VOLK, K. COLJA, Storia e memoria degli sloveni del litorale. Fascismo, guerra
e resistenza, Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli–Ve-
nezia Giulia (Quaderni di Qualestoria), 1994, pp. 69-71. Čermelj riporta l’episodio di una bambina
che nel 1931, per aver parlato in sloveno con le coetanee, fu brutalmente bastonata dalla maestra e
ricoverata in ospedale. L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 55.
75
III - La persecuzione antislava
172
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 55.
173
Del nome abbiamo trovato entrambe le dizioni. Cfr: M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli
sloveni…, cit. p. 51. e L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. pp. 256-257.
76
La proibizione delle lingue slave
174
Cit. in L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 74. e A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…,
cit. p. 73.
175
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. pp. 76-77.
176
Ivi, p. 79.
177
A. ROCCO, L’unità delle leggi, in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, p. 785.
77
III - La persecuzione antislava
che si era trascinata troppo a lungo, fu alfine definita dal governo fascista.
Ma si deve anche aggiungere che per la massima parte dei territori della
Venezia Giulia, il problema poteva considerarsi sorpassato, quando giunse
il provvedimento legislativo che esplicitamente dichiarò l’obbligo della lin-
gua italiana in tutti gli uffici pubblici».178
Nel 1925 il segretario del sindacato fascista degli avvocati pretese che
avesse fine la corrispondenza con i clienti in lingua slava, nemmeno le inte-
stazioni delle buste dovevano essere in tali lingue,179 anche se già ci pensa-
vano le poste a svolgere quest’ufficio. In molti casi la corrispondenza che i
confinati slavi (e ve ne furono molti) inviavano alle famiglie scrivendo nella
propria lingua madre veniva trattenuta a lungo o non veniva recapitata, ob-
bligando i confinati a corrispondere in italiano.180
Molte aziende private, anche di tipo commerciale, non mancarono di
adeguarsi vietando ai propri addetti di parlare nella propria lingua non solo
con i clienti ma anche fra di loro, come accadde agli operai croati della mi-
niera di bauxite a Dubrava, con le conseguenze che si possono immaginare
nello svolgimento di un lavoro simile.181
Le venditrici di prodotti ortofrutticoli delle piazze di Trieste rischiavano
di perdere l’autorizzazione all’esercizio del commercio se venivano senti-
te parlare in sloveno182 e nei negozi venne proibito di parlare slavo pena la
perdita della licenza.183
Si eliminarono i cartelli indicatori delle vie e le targhe delle piazze e
delle strade, le insegne dei negozi e delle trattorie, le scritte slave. I pode-
stà ed i segretari politici fascisti si occuparono di negozianti, osti, artigiani
ecc… per indurli a sostituire le insegne e le scritte, altre volte ci pensavano
direttamente le squadre. Per essere certi del buon fine di tutta l’operazione si
colpivano anche economicamente i “trasgressori”, il R.D. 21 gennaio 1923
N° 352 prevedeva una tassa di quattro volte superiore per le scritte non in
italiano che sarà poi aumentata a cinque.184
Si arrivò a non tollerare l’uso delle lingue alloglotte in tutti gli avvisi,
nelle cartoline, sulle pietre tombali, tutto quello che poteva in qualsiasi
178
Ibidem.
179
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 77.
180
Ivi, p. 226.
181
Ivi, p. 77.
182
Ibidem.
183
A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p. 73.
184
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 79.
78
La proibizione delle lingue slave
185
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 80. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p. 74.
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 19. R. BEN-GHIAT, La cultura fascista, cit. p. 184.
186
Documento riportato in R. DE FELICE, Mussolini. Il fascista, cit. p. 495.
187
G. SLUGA, Identità nazionale italiana e fascismo…, cit. 2003, p. 191.
188
M. PACOR, Confine orientale…, cit. 1964 p. 142.
79
III - La persecuzione antislava
Correlata alla proibizione delle lingue, tant’è che può anche essere consi-
derata come un aspetto di essa, l’italianizzazione dei toponimi delle località,
dei nomi e dei cognomi ebbe una sua vicenda per certi aspetti autonoma
e strumenti legislativi creati ad hoc. E se nel caso dei toponimi il fascismo
si limitò a mettere il suggello sopra ad un’azione in gran parte già svolta in
precedenza, quella contro i nomi e cognomi fu pianificata nell’azione legi-
slativa proprio fra il 1926 e il 1928, cioè quando il regime, saldamente al
potere, considerò la fase della battaglia linguistica avviata alla conclusione,
ritenendo giunto il momento per passare a colpire in modo ancor più diretto
gli individui e quella che era pur sempre una manifestazione, ed assai visi-
bile, delle lingue slave, così come dell’esistenza della minoranza.
Gli strumenti usati possono essere divisi in tre tipologie: amministrativi,
giuridici e politici,189 corrispondenti alla sfera delle autorità locali, all’ap-
porto del governo nazionale, il tutto sorretto dall’ideologia fascista antislava
e dalla sua traduzione politica coercitiva.
Come accennato, il cambiamento dei nomi delle località era già in uno
stato avanzato prima dell’avvento del fascismo. Precedenti si ritrovano già
dopo il 1866 nei territori della slavia veneta annessi all’Italia dove si prov-
vide a far sparire i cognomi ed i toponimi slavi.190 Nel novembre 1915 la
Regia Società Geografica di Roma avviò la redazione di una nuova termino-
logia del territorio che avrebbe dovuto essere assegnato all’Italia a fine con-
flitto in base al Patto di Londra. Si istituì anche presso il Comando Supremo
uno speciale ufficio a questo scopo.191 Nei territori ancora sotto il dominio
austriaco si era già da tempo avviata un’operazione simile, a ulteriore con-
ferma delle identità di vedute fra nazionalisti, liberal-nazionali e autorità
centrali di Roma, ancor prima che si fondessero in un unico stato, sul futuro
di queste aree e dei suoi abitanti. Le amministrazioni italiane del litorale
dell’impero usavano di preferenza negli atti e nella cartografia della topono-
mastica, anche urbana, versioni italianizzate, omettendo nomi e grafie slave.
L’opera fu affidata a società all’apparenza innocue, come la Società degli
Alpinisti Triestini (poi Società Alpina delle Giulie) fondata nel 1883 dai
liberal-nazionali, e il Club Alpino Fiumano. Sulla propria cartografia escur-
sionistica queste società riportavano nomi italiani.192
189
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 21.
190
Ivi p. 14.
191
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 139.
192
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 22.
80
L’italianizzazione di nomi, cognomi e toponimi
193
Ivi p. 22-23.
194
Ivi p. 23.
195
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 23. L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 139.
196
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 139.
197
G. BOMBIG, Le condizioni demografiche…, cit. p. 816.
81
III - La persecuzione antislava
198
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. p. 140.
199
Ibidem.
200
Cfr: L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 141.
201
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 24.
202
G. BOMBIG, Le condizioni demografiche…, cit. p. 816.
82
L’italianizzazione di nomi, cognomi e toponimi
da famiglie di immigrazione recente. […] Fino alla metà del secolo scorso i
registri parrocchiali erano […] tenuti in italiano o in latino; gli archivi […]
parlano, in italiano, di uomini e cose italiani. Appena verso il 1850 inco-
mincia la slavizzazione dei registri, degli archivi e dei casati. A Piuma […]
i cognomi italiani diventano slavi nel 1895».203
Come già in altre circostanze le autorità italiane dell’Istria dimostrarono
la rapidità che le contraddistingueva quando c’era da aver a che fare con gli
slavi. Il 21 Dicembre 1921 Pier Domenico Sebiavi, commissario straordi-
nario di Albona inviò una circolare riservata agli uffici parrocchiali ed alle
direzioni scolastiche. «Per togliere gli storpiamenti dei cognomi perpetrati
dai politicanti slavi negli ultimi decenni, ho disposto che da questo Ufficio
anagrafico vengano scritti i cognomi degli abitanti di questo Comune come
qui sotto elencati. Onde evitare differenze nella scritturazione ortografica
dei cognomi stessi, prego la S.V. di attenersi all’elenco qui trascritto senza
parentesi invece di quello tra parentesi, e di curare sempre la soppressione
della “ch” ovvero “ĉ”».204
I primi cambiamenti a tutti gli effetti dei cognomi avvengono in for-
za della legislazione austriaca ancora in vigore nei territori occupati, come
stabilivano le regole d’armistizio. Il decreto imperiale 5 giugno 1826 N°
16.255 consentiva di modificare il cognome in casi di particolare riguardo.
Nel 1886 l’attribuzione dei nuovi cognomi veniva affidata alle Autorità Po-
litiche Provinciali. La nuova situazione della regione, che prefigurava l’an-
nessione all’Italia, fu considerata un caso di particolare riguardo. Su questa
via si procedette all’italianizzazione. Si andò avanti così fino all’estensione
dell’ordinamento dello stato civile italiano nel 1923, che oltre ad avere un
meccanismo più severo prevedeva anche una tassa mentre con la legge im-
periale il cambiamento era gratuito, ponendo un altro ostacolo alla già lenta
operazione, anche se fino ad allora erano stati quasi esclusivamente gli ita-
liani con cognomi slavi a richiedere il cambiamento.
Prima dell’avvento del regime i nomi slavi generalmente non rientrarono
nelle mire della politica snazionalizzatrice. Non c’erano ovviamente italia-
ni che potessero portare nomi slavi come i cognomi dato il carattere di non
ereditarietà dei primi, il che poteva anche lasciar pensare ad una loro lenta
203
Ivi pp. 815-816.
204
Originale in P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 219. L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit.
p. 142.
83
III - La persecuzione antislava
205
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 150.
206
Ivi. p. 151.
207
Ibidem.
208
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 152. P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 29.
84
L’italianizzazione di nomi, cognomi e toponimi
per fare un passo avanti anche nella politica di snazionalizzazione delle mi-
noranze. Verso l’esterno si stava riaccendendo la polemica con la Jugosla-
via, c’era il bisogno di riaffermare sugli individui la primogenitura italiana.
Il R.D. 7 aprile 1927 N° 494 estendeva nella Venezia Giulia il R.D.L. 10
gennaio 1926 N° 17 firmato da Mussolini, Rocco e Federzoni, emanato in
origine per le regioni del Tirolo, ed il suo regolamento esecutivo contenuto
nel Decreto Ministeriale del 5 agosto 1926 firmato da Rocco e Volpi.209 Il
provvedimento recitava: «Le famiglie […] che portano un cognome origi-
nario italiano o latino tradotto in altre lingue o deformato con grafia stra-
niera o con l’aggiunta di un suffisso straniero, riassumeranno il cognome
originario nelle forme originarie. Saranno egualmente ricondotti alla forma
italiana i cognomi di origine toponomastica, derivanti da luoghi, i cui nomi
erano stati tradotti in altra lingua, o deformati con grafia straniera […]
Chiunque, dopo la restituzione avvenuta, fa uso del cognome […] nella
forma straniera, è punito con la multa da L.500 a L.5000
Art.2 Anche all’infuori dei casi preveduti nel precedente articolo, posso-
no essere ridotti in forma italiana con decreto del prefetto i cognomi stra-
nieri o di origine straniera, quando vi sia la richiesta dell’ interessato».210
Alfredo Rocco lo commentava così pochi mesi dopo: «Il provvedimento
[…] che ordina la restituzione in forma italiana di cognomi deformati du-
rante la lunga dominazione straniera, accompagnata da sforzi costanti di
snazionalizzazione, costituisce una riaffermazione di italianità di alta im-
portanza politica».211
E dato che i fascisti consideravano indistintamente tutti i cognomi come
originariamente italiani, divenuti stranieri a seguito della perniciosa opera
antitaliana attuatasi sotto gli Asburgo, tutti erano passibili di venir mutati.
Se poi per caso qualcuno fosse riuscito a rimanere fuori da questa catego-
rizzazione, l’Art.2 dava ampia possibilità di esercitare pressioni sui singoli.
Di esse ne abbiamo testimonianza nella scuola. In una comunicazione della
prefettura dell’Istria al provveditorato agli studi si chiedeva: «per i cognomi
di origine straniera […] è opportuno che la S.V. senza dare l’impressione di
coercizione, si compiaccia di svolgere azione intensa e persuasiva perché
gli addetti a codesto ufficio […] che avessero eventualmente cognomi di
209
A. PIZZAGALLI, Per l’italianità dei cognomi nella provincia di Trieste, Trieste, Libreria Treves
Zanichelli, 1929, p. 32-44.
210
Ivi p. 33-34.
211
A. ROCCO, L’unità delle leggi, cit. p. 785.
85
III - La persecuzione antislava
212
Cit. in A. ANDRI, I cambiamenti di cognome nel 1928 e la scuola triestina, in «Qualestoria», XI,
1, febbraio 1983, p. 11.
213
Ibidem.
214
Ivi p. 13.
215
Ivi p. 9.
216
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 146.
217
A. PIZZAGALLI, Per l’italianità dei cognomi…, cit.. p. 46.
218
Ivi pp 46-47.
219
Ivi p. 48-52.
86
L’italianizzazione di nomi, cognomi e toponimi
commissione, che nel 1929 pubblicò un volume dal titolo Per l’italianità dei
cognomi nella provincia di Trieste, con prefazione del segretario nazionale
del P.N.F. Augusto Turati, in cui sono illustrati i criteri dell’italianizzazione
e l’ideologia che la sorreggeva.
Già nella piccola prefazione Turati definiva il libro «molto utile […] so-
prattutto per l’opera di persuasione che potrà svolgere tra le popolazioni
della Venezia Giulia»,220 rivelando da subito che il regime non stava certo ad
aspettare che gli slavi richiedessero spontaneamente l’italianizzazione, cosa
molto improbabile fra l’altro, ma faceva pressioni, portava avanti un’opera
di persuasione. Turati concludeva con uno slancio nazionalista in cui si in-
vitava sloveni e croati, quasi a monito, a «sentire l’orgoglio di pronunciare
il loro nome nella pura e forte lingua italica».221
Pizzagalli avvia il suo lavoro affermando: «ecco la situazione che l’Italia
trovò nelle provincie redente: una popolazione razionalmente e cultural-
mente italiana con cognomi in gran parte di carattere straniero».222
Dopo aver tessuto le lodi della capacità assimilatrice della superiore ci-
viltà italica, veicolo anche di elevazione materiale oltre che morale, non
risparmiava aggettivi per descrivere tale situazione nella quale spiccava la
presenza di «una onomastica barbara o imbastardita, turbatrice della fisio-
nomia del paese»,223 insistendo più avanti sul fatto che quello slavo fosse un
«cognome barbaro»,224 che i cognomi italiani dovevano venir spogliati del
«barbaro suffisso».225 «Disfare rapidamente a buoni colpi d’ascia quanto
lentamente e perfidamente era stato manipolato dai preti slavi».226 Curio-
samente Pizzagalli non attribuisce anche all’Austria la responsabilità di
questo stato di cose, come molti altri fascisti, ma addita a responsabile so-
lamente il clero.227 «La verità è un’altra: che furono i preti slavi, ai quali
erano affidati i registri o matricole dello stato civile, ad alterare i cogno-
mi italiani», operando mutilazioni, traduzioni, aggiunte dell’odiato suffisso
“ch”.228 Anche Bombig, che pur non negava la responsabilità austriaca, ne
220
Ivi.
221
Ibidem.
222
Ivi p. 8.
223
Ivi p. 20.
224
Ivi p. 28.
225
Ivi p. 64.
226
Ivi pp. 95-96.
227
Cfr: G. BOMBIG, Le condizioni demografiche…, cit. p. 807. A. DUDAN, La Dalmazia…, cit. p.
837.
228
A. PIZZAGALLI, Per l’italianità dei cognomi…, cit. pp. 29-30.
87
III - La persecuzione antislava
229
G. BOMBIG, Le condizioni demografiche…, cit. p. 817.
230
A. PIZZAGALLI, Per l’italianità dei cognomi…, cit. p. 31.
231
Ivi p. 45.
232
Ivi p. 55-56.
233
Ivi p. 62. Cfr: A. ANDRI, I cambiamenti di cognome… , cit. p. 9.
234
A. PIZZAGALLI, Per l’italianità dei cognomi…, cit. p. 95.
88
L’italianizzazione di nomi, cognomi e toponimi
235
Ivi pp. 93-94.
236
Ivi p. 107.
237
Ivi p. 108.
238
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. pp. 280-282.
239
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 28.
240
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 144-147.
89
III - La persecuzione antislava
to probabile che sia stato arrotondato in eccesso, inoltre si basa in gran parte
su stime e valutazioni e non su dati certi, anche se a suo favore c’è da dire
che l’italianizzazione dei cognomi non riguardava, come detto sopra, solo la
minoranza slava ma anche gli italiani con cognome slavo il che porta inevi-
tabilmente ad avere un numero più alto rispetto a quello degli slavi presenti
sul territorio, il quale è a sua volta controverso. Certo è comunque che le
persone toccate dai provvedimenti si devono conteggiare in un ordine non
inferiore alle decine, se non centinaia, di migliaia.
L’italianizzazione, divisa per province, non collegata, affidata a funzio-
nari poco esperti, dette luogo anche a diversi inconvenienti. Ci furono casi
di famiglie abitanti in più province a cui furono attribuiti cognomi diversi,
anche dentro alla stessa provincia poteva capitare che due fratelli entrambi
capofamiglia si ritrovassero ad avere cognomi diversi, lo stesso vale per
padri e figli. Per gli stessi cognomi si operarono riduzioni diverse da parte
delle varie commissioni. Sirk a Trieste fu Sirca, a Gorizia Sirtori ed in Istria
Serchi.241
Nel 1928 si approntarono anche le disposizioni per quanto riguardava i
nomi. La legge 8 marzo 1928 N° 383 contro l’imposizione di nomi ridico-
li, amorali o oltraggiosi dell’opinione pubblica, unita con i precedenti visti
sopra per la Venezia Giulia, dove tutto ciò che era slavo rientrava in queste
categorie, impedì di fatto che ai neonati fosse dato un nome slavo. La legge
aveva valore retroattivo consentendo ai funzionari degli uffici anagrafici di
cambiare d’ufficio anche i nomi iscritti in precedenza. Pochi giorni dopo,
il 28 marzo, fu promulgata un’altra legge che consentiva di mutare il nome
anche agli adulti.242 Il Comune di Trieste sfruttò subito le nuove possibilità
e nel ’29 compilò un elenco dei bambini in età scolastica con nomi slavi
avvertendo i genitori che se non avessero provveduto essi stessi al cambia-
mento ci avrebbero pensato gli uffici comunali. Chi tentava di violare la
norma andava incontro a pesanti ritorsioni. Nel ‘33 l’avvocato di Gorizia
Gaberšček per aver provato, inutilmente, di chiamare suo figlio Boris, ven-
ne convocato dalla commissione provinciale per il confino che l’ammonì
ponendolo per due anni sotto sorveglianza, contemporaneamente fu radiato
dall’ordine degli avvocati ed alla fine dovette emigrare oltreconfine.243
241
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p 282. L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 145.
242
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 152-153. P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 29.
Parovel cita la legge 8 marzo col N° 233.
243
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 153-154.
90
L’italianizzazione di nomi, cognomi e toponimi
Dieci anni dopo, alla vigilia della guerra, si abbandonò ogni remora,
proibendo, con l’Art. 72 del R.D. 9 luglio 1939 N° 1238, di assegnare nomi
stranieri a tutti i nuovi nati cittadini italiani.244
E’ stato fatto giustamente notare che la vicenda dell’italianizzazione va
inserita in un quadro più ampio, quello dell’affermazione del regime, pro-
cedente di pari passo con l’eliminazione di ogni forma di dissenso, che si
concretizza proprio in questi anni con l’offensiva finale contro ogni forma di
opposizione o di alterità al fascismo. Un mezzo quindi per controllare il gra-
do di resistenza politica delle minoranze, utile anche contro comportamenti
anticonformisti di tipo personale che mal si confacevano alle aspirazioni to-
talitarie del regime ed al tempo stesso un modo per mantenere la popolazio-
ne italiana del confine nord-orientale in uno stato di mobilitazione nazionale
funzionale alla costruzione del consenso.245 L’italianizzazione delle parole,
del linguaggio, di sostantivi indicanti persone, luoghi, cose, era però qual-
cosa di più, non semplicemente un episodio particolare, vistoso si, ma se-
condario e superficiale.246 Era parte organica della distruzione dell’esistenza
degli sloveni e dei croati, della loro cancellazione. Un tassello della dia-
lettica nazione/antinazione specifica del fascismo, rispondente all’esigenza
dell’individuazione di un nemico necessaria sulla via della costruzione di un
sistema totalitario, ma anche espressione di un’ideologia e di una politica
specificatamente antislava. Collotti invita a riflettere sul ruolo di distruzione
della memoria cui era destinato l’intervento sulla toponomastica.247 Si col-
piva direttamente uno dei punti cardine di ogni costruzione di un’identità
nazionale, l’esistenza di una memoria storica, l’uso di un linguaggio con-
diviso. Cosa che poi si attanagliava benissimo con l’idea degli slavi come
di un “popolo senza storia”. Scomparsa ogni manifestazione pubblica della
lingua, privati luoghi e persone dei loro nomi, tutti gli aspetti visibili della
presenza slava venivano a mancare. Parallelamente ed di conseguenza si po-
teva sostenere che la Venezia Giulia era popolata esclusivamente da italiani,
il che faceva anche comodo per mettersi al riparo da eventuali accuse che
fossero giunte dall’estero. Senza contare che la tesi degli italiani degenerati
permetteva di considerare italiani quanti, sloveni e croati della Jugoslavia,
portavano un cognome considerato come di origine italiana o latina raffor-
zando le basi teoriche delle mire imperialiste verso i Balcani.
244
P. PAROVEL, L’identità cancellata…, cit. p. 29.
245
A. ANDRI, I cambiamenti di cognome…, cit. pp. 10-13.
246
Ivi p. 10.
247
E. COLLOTTI, Sul razzismo antislavo, cit. p. 57.
91
III - La persecuzione antislava
248
P. STRANJ, La questione scolastica…, cit. pp. 108-116. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 41-
43. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 49. Cfr: E. SESTAN, Venezia Giulia.
Lineamenti…, cit. p. 115-116 secondo cui sloveni e croati non furono trattati poi così male, anche
se ammette la chiusura per alcune scuole, soprattutto nei centri urbani. Un’interpretazione simile è
stata recentemente avanzata da A. APOLLONIO, Dagli Asburgo…, cit. p. 55, p. 221 e p. 223.
249
P. STRANJ, La questione scolastica…,cit. p. 105.
250
Ivi p. 109.
251
Ivi p. 110-111.
252
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 43. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 87.
253
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 92 e pp. 114-115. E. APIH, Italia. Fascismo e antifasci-
smo…, cit. p. 86. E. SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti…, cit. p. 114.
92
La liquidazione delle istituzioni culturali: stampa, scuole, associazioni
254
M. GALFRÉ, Una riforma alla prova. La scuola media di Gentile e il fascismo, Milano, Franco An-
geli, 2000, p. 56. M. RAICICH, Scuola e lingua materna: le minoranze di frontiera nell’Italia liberale,
in «Passato e presente», XIV, 38, 1996, p. 56.
255
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 93 e p. 115.
256
Ivi pp. 101-102.
93
III - La persecuzione antislava
257
A. ANDRI G. MELLINATO, Scuola e confine. Le istituzioni educative della Venezia Giulia (1915-
1945), Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli–Venezia
Giulia (Quaderni di Qualestoria), 1994, pp. 111-112. Il volume è una puntuale ricostruzione delle vi-
cende della scuola nella Venezia Giulia al quale rimandiamo per approfondimenti su questo tema.
258
M. GALFRÉ, Una riforma alla prova…, cit. p. 56. M. RAICICH, Scuola e lingua materna…, cit. p.
57.
259
Ivi p. 105.
260
Ivi p. 113.
261
Ivi p. 107.
262
P. STRANJ, La questione scolastica…,cit. p. 119.
94
La liquidazione delle istituzioni culturali: stampa, scuole, associazioni
dell’intero corso, così delle scuole elementari come delle scuole civiche si
insegnerà in italiano. Con la sostituzione della lingua italiana alla lingua
di insegnamento presentemente in uso procederà analogamente l’istituzio-
ne dell’insegnamento della seconda lingua, in ore aggiunte».263
Le ore aggiunte spesso non venivano poi nemmeno previste, le richie-
ste non considerate se non considerate atteggiamento antinazionale, quando
esistevano venivano messe in orari assurdi, spesso di sera, affidate a maestri
che conoscevano solo l’italiano, si cercava cioè di ostacolare in ogni manie-
ra anche la fruizione di questo piccolo diritto.264 Alla fine vennero abolite
con il R.D. 22 novembre 1925 N° 2191 del Ministro Fedele.265 Entro l’an-
no scolastico 1928-29 non esistevano più classi con lingua d’insegnamento
slovena o croata.266
La riforma fu uno strumento fondamentale dell’opera di snazionaliz-
zazione a cui era chiamata la particolare tipologia di scuola che il regime
voleva in queste zone, una “scuola di confine”.267 Essa e anche indice del
fatto che nel ‘23 la snazionalizzazione era divenuta programma ufficiale di
governo, un programma che assegnava alla cultura italiana il compito di
prevalere sulle altre.268
Si chiusero anche le scuole medie e professionali della minoranza, o si
italianizzarono. A questa sorte andarono incontro entro il 1928 una decina
di esse fra ginnasi e scuole professionali.269 Funzionò invece, soprattutto
per ragioni di politica estera connesse ai rapporti con la Jugoslavia, fino al
1930 la scuola commerciale di S. Giacomo a Trieste, privata.270 Nel 1924
si reintrodusse, per un certo periodo, in alcune scuole l’insegnamento dello
sloveno e del croato,271 «perché i maestri e le maestre che vengono inviati ad
insegnare nella zona allogena possano tradurre in italiano le prime parole
dei bambini» come spiegava Ragusin Righi, dopo aver poco prima esortato
ad utilizzare una legge che obbligava a chiudere gli asili privati là dove ne
esisteva uno comunale dato che «esistono ancora degli asili infantili sla-
263
Ibidem.
264
M. GALFRÉ, Una riforma alla prova…, cit. pp. 94-96.
265
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 45. A. ANDRI G. MELINATO, Scuola e confine…, cit. p. 133.
P. STRANJ, La questione scolastica…, cit. p. 124.
266
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p 44. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 278.
267
A. ANDRI G. MELLINATO, Scuola e confine…, cit. p. 113.
268
Ivi pp. 132-133.
269
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 46. P. STRANJ, La questione scolastica…, cit. p. 116.
270
A. ANDRI G. MELLINATO, Scuola e confine…, cit. p. 187 e ssg.
271
Ivi p. 48.
95
III - La persecuzione antislava
272
L. RAGUSIN RIGHI, Politica di confine, cit. pp. 68-69.
273
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 41-44.
274
A. ANDRI G. MELLINATO, Scuola e confine…, cit. p. 149.
275
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 48. P. STRANJ, La questione scolastica…, cit. p. 116.
276
F. PASINI, Scuole e università, cit. p. 889. Il corsivo è nel testo.
277
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 114.
96
La liquidazione delle istituzioni culturali: stampa, scuole, associazioni
278
M. KACIN WOHINZ, La minoranza sloveno-croata sotto l’Italia fascista, in Le minoranze etniche
europee di fronte al nazismo ed al fascismo. Atti del convegno svoltosi ad Aosta il 3 e 4 dicembre
1983, Aosta, Musumeci Editore, 1985 p. 138.
279
Documento riportato in R. DE FELICE, Mussolini. Il fascista, cit. p. 496.
280
A. AQUARONE, L’organizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi, 20033, pp. 39-40. Docu-
mento in appendice, p. 493. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 117. E. APIH, Italia. Fascismo e
antifascismo…, cit. p. 278.
97
III - La persecuzione antislava
281
A. AQUARONE, L’organizzazione…, cit. p. 41.
282
Ivi p. 68. Documento in appendice, p. 393.
283
Ivi p. 91.
284
A. AQUARONE, L’organizzazione…, cit. p. 92. Documento in appendice, p. 418. L. ČERMELJ, Slo-
veni e Croati…, cit. p. 118.
285
A. AQUARONE, L’organizzazione…, cit. p. 99.
286
Ivi, documento in appendice p. 553.
287
Ivi, p. 554,
288
Ivi p. 427.
98
La liquidazione delle istituzioni culturali: stampa, scuole, associazioni
289
La citazione è tratta da M. PUPPINI, M. VERGINELLA, A. VERROCCHIO, Dal processo Zaniboni al
processo Tomažič. Il tribunale di Musssolini e il confine orientale (1927-1941), Udine, Gaspari
Editore, 2003, pp. 7-11. Furono 544 gli slavi processati, con ben 40 condanna a morte su un totale
di 65 pronunciate. Nel periodo prima della guerra su 9 condannati a morte 5 erano slavi.. Dal ’27
al ’43, periodo in cui fu attivo, non vi fu anno senza processi contro slavi della Venezia Giulia. Per
questi dati Cfr: S. DINI, Il tribunale speciale per la difesa dello stato e l’irredentismo jugoslavo, in
«Qualestoria», XXXII, 1, giugno 2004, pp. 65-80. A. AQUARONE, L’organizzazione…, cit. p. 103.
Altri lavori sul tema A. POMPEO, Le esecuzioni capitali a Roma e la frontiera orientale (1939-1943),
in «Qualestoria», XXVII, 2, dicembre 1999, pp. 71-108. J. PIRJEVEC, La fase finale della violenza
fascista. I retroscena del processo Tomažič, in «Qualestoria», X, 2, giungo 1982, pp. 75-94.
290
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 102-103 e p. 119.
99
III - La persecuzione antislava
senza contare che, scorgendovi un certo numero di esempi, gli altri, non tar-
deranno a sciogliersi volontariamente, a ciò indotti sia dalla constatazione
che la loro attività illegale non sarebbe più oltre tollerata, sia dall’azione
persuasiva che in molti comuni potranno opportunamente esercitare i Sigg.
Podestà. In ogni caso, nessuna associazione slava di cultura dovrà esistere
nella Venezia Giulia alla data del 1° ottobre P.V».291
Mentre per quel che riguardava la stampa: «dovrà essere anch’essa gra-
dualmente soppressa. Quasi tutti i giornali hanno avuto la prima diffida.:
si intensifichino i sequestri sino a giungere alla seconda e quindi alla re-
voca del gerente. Quanto al riconoscimento del nuovo gerente, è superfluo
ricordare che la Legge sulla Stampa dà alle SS.LL. in questa materia una
efficacissima facoltà di intervento, della quale le SS.LL. si varranno per ne-
gare sistematicamente il loro consenso alla nuova nomina. Per il 1° ottobre
nessun giornale slavo dovrà più pubblicarsi nella Venezia Giulia».292
Fra la metà del ’27 e gli inizi del ’28 scomparvero quindi tutte le associa-
zioni e la stampa slava. Solo alle case editrici fu permesso di sopravvivere
fino al ‘39 purché italianizzassero nome e attività.293
Secondo i fascisti gli allogeni avevano una cultura inferiore e misera,
o non l’avevano affatto, dato che l’esistenza di questa era legata per il fa-
scismo ad una precisa storia nazionale , ad un sentimento nazionale che
sloveni e croati, a loro avviso, non erano mai arrivati a possedere. Di conse-
guenza qualsiasi manifestazione culturale andava eliminata in quanto frutto
dell’azione di propaganda di infimi elementi al soldo di potenze straniere,
organizzata dall’estero con lo scopo di distogliere dall’assimilazione queste
popolazioni primitive. Queste idee si ritrovano nella circolare di Mussolini
riportata sopra e nelle parole di molti altri fascisti. Il comandante della le-
gione carsica della MVSN Emilio Grazioli, durante la guerra alto commis-
sario per la provincia di Lubiana, sosteneva. «Le società slave ora esistenti
nella Venezia Giulia si contano ormai a migliaia e tutto è valevole per costi-
tuirle. Esse hanno nomi e scopi più disparati, dalla società di canto a quelle
banditistiche, pompieristiche, sportive, giovanili, agricole, esperantiste ecc.
Va da sé che […] servono a tutto meno che per lo scopo per il quale risul-
tano costituite».294
291
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 105-106.
292
Ivi p. 119.
293
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 53. M. KACIN WOHINZ, Orientamento
nazionale…, cit. p. 57.
294
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 52. M. KACIN WOHINZ, Orientamento
nazionale…, cit. p. 56.
100
La liquidazione delle istituzioni culturali: stampa, scuole, associazioni
295
G. BOMBIG, Le condizioni demografiche…, cit. p. 814.
296
L. RAGUSIN RIGHI, Politica di confine, cit. p. 18-19.
297
Ivi p. 20.
298
Ivi p. 39.
299
Ivi p. 40.
300
Ivi p. 54 e p. 93.
301
Cit. in L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 107
302
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 107 e p. 121. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli
sloveni…, cit. p. 57. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 222.
101
III - La persecuzione antislava
La presenza del clero slavo fu sempre una spina nel fianco della poli-
tica di snazionalizzazione del regime. I sacerdoti avevano avuto un ruolo
importante nella formazione della coscienza nazionale degli sloveni e dei
croati ed a loro restò affidata la conservazione delle tradizioni e delle lingue
dei propri fedeli per tutto il periodo della dittatura. Ricoprendo un ruolo di
“intellettuale organico”, di capo religioso e civile, culturale e politico, rap-
presentavano un grosso ostacolo al pieno dispiegarsi delle misure snazio-
nalizzatici, difendendo tenacemente la cultura e la mentalità delle comunità
allogene.303 Questa funzione si andò accentuando col progredire del regime,
quando la distruzione di tutte le articolazioni culturali e dell’intellighen-
zia della minoranza, in gran parte allontanata dal luogo d’origine, lasciò il
clero praticamente solo a fronteggiare il regime reazionario di massa. Le
direttrici lungo le quali si sviluppò l’offensiva in questo campo furono so-
stanzialmente due: da una parte ci si adoperava per far scomparire le lingue
slave dalle funzioni religiose, dalle prediche, dagli avvisi e comunicazioni
con i fedeli, dall’insegnamento religioso impartito nelle scuole dai sacerdo-
ti, individuando nella Chiesa l’ultimo baluardo della lingua e dell’identità
degli slavi; dall’altra l’obbiettivo era arrivare ad una sostituzione completa
dei preti slavi con altri italiani, meglio se ferventi nazionalisti, tanto nelle
alte cariche vescovili quanto nei conventi e nel basso clero con cura d’ani-
me. Era un altro aspetto della politica di bonifica etnica. Bisognava però
procedere con cautela e gradualità, innanzitutto perché le nomine del clero
spettavano alla curia e quelle dei vescovi alla Santa Sede ed il potere statale,
almeno fino al ’29, non vi aveva modo di interferire. Inoltre negli anni ’20
le trattative per la conciliazione rendevano tutta la faccenda particolarmente
delicata. Il fascismo trovò spesso comunque nel clero italiano di queste terre
un valido alleato.
L’amministrazione militare aveva esercitato nei confronti del clero al-
logeno un attenta politica di contenimento, sorveglianza e repressione.304
C’erano già stati tentativi di allontanamento attraverso vari espedienti, come
303
F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste: storia di un vescovo solo, in «Qualestoria», XIII, 3, di-
cembre 1985, p. 43 e p. 53. T. MATTA, Come si sostituisce un vescovo. Aspetti dell’italianizzazione
nella Archidiocesi di Gorizia /1929-1934), in «Qualestoria», XI, 3, novembre 1985, p. 47. M. KACIN
WOHINZ, Il clero sloveno della Venezia Giulia (1927-1936), in «Storia contemporanea in Friuli»,
XXI, 22, 1991, p. 10 e p. 54. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 285.
304
F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit. p. 43.
102
Il problema del clero slavo
305
A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 393. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p.
179. Quest’ultimo riporta una statistica secondo la quale vennero deportati o espulsi in questo perio-
do 72 sacerdoti dalla diocesi di Trieste e Capodistria, 26 da Gorizia, 8 da Parenzo–Pola, 25 da Veglia
e 15 dai territori di quella di Lubiana occupati dall’esercito italiano. A questi andrebbero aggiunti
molti monaci e 77 sacerdoti regolari.
306
R. WÖRSDÖRFER, Cattolicesimo «slavo» e «latino» nel conflitto di nazionalità, in Nazionalismi
di frontiera…, cit. p. 155. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 86. M. PACOR, Confine
orientale…, cit. p. 71. A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 393. L. ČERMELJ, Sloveni
e Croati…, cit. p. 179. T. MATTA, Come si sostituisce un vescovo…, cit. p. 48.
307
F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit. p. 44. T. MATTA, Come si sostituisce un vescovo…,
cit. p. 48. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 33. A. M. VINCI, Il fascismo
al confine orientale, cit. p. 393. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 180. R. WÖRSDÖRFER, Catto-
licesimo…, cit. p. 155.
308
F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit. p. 45. R. WÖRSDÖRFER, Cattolicesimo…, cit. p. 157. L.
ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 183-184.
309
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 131.
103
III - La persecuzione antislava
310
R. WÖRSDÖRFER, Cattolicesimo…, cit. p. 157. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 184-187.
311
L. FERRARI, Il giornale cattolico triestino «Vita nuova» (1920-1943), in «Storia e problemi con-
temporanei», 33, maggio 2003, pp. 23-24.
312
P. PISENTI, Problemi di confine. Il clero slavo, Udine, Stabilimento Tipografico Friulano, 1925,
pp. 5-6.
104
Il problema del clero slavo
A suo avviso dopo la marcia su Roma si era fatto poco, per di più per
motivi contingenti e non secondo un programma generale. Non si era com-
presa l’importanza del problema,313 mettendo così a repentaglio anche gli
effetti della riforma Gentile. Il fatto era che sia nell’istruzione religiosa nel-
le scuole sia in quella catechistica nelle chiese i sacerdoti usavano la lingua
madre degli alunni, il che era intollerabile per i fascisti. Riferendosi alla
curia Goriziana afferma che in essa «l’elemento slavo ha dominio pieno e
incontrastato […] tutto è animato, ordinato e disposto con spirito slavo e
con sacerdoti che osservano con eguale devozione la fede religiosa e quella
nazionalista anti-italiana»314 allo scopo di «cingere gli sloveni di una mura-
glia impenetrabile ai contatti italiani»,315 il che era un evidente pericolo dato
che, secondo il Pisenti, «il clero tentò, dapprima, contro l’Italia l’offensi-
va aperta che fortunatamente incontrò, dopo l’avvento fascista, energia di
provvedimenti repressivi; poi, in una seconda fase, da poco iniziata, adottò
il sistema della ostilità coperta e tenace».316 Prova ne era: «la coincidenza
tra stampa irredentistica e stampa appoggiata e divulgata dal clero. Il cle-
ro slavo non ha un suo giornale cattolico: esso ha preferito appoggiare e
diffondere il giornale “Goriska Straza” voce del più acceso irredentismo
del partito popolare sloveno in cui milita, in massa, tutto il clero. (Stato di
servizio del giornale: due condanne a tre e a cinque mesi per eccitamento
all’odio, non di classe, ma nazionale)».317
Si è già visto nel paragrafo precedente quali erano i motivi delle con-
danne a cui era soggetta la stampa. Quello che qui è interessante notare è
che ritorna ancora una volta l’argomento della congiura contro l’Italia, che
dimostra come fossero sempre gli stessi i temi usati dai fascisti, semplici e
abbastanza generici, in sostanza buoni per ogni occasione, adatti ad essere
recepiti dalle popolazioni del confine orientale ma anche dal paese nel suo
complesso, come vuole la regola di ogni argomentazione razzistica effica-
ce.
Pisenti richiama l’attenzione anche al di là delle città e delle alte gerar-
chie. Visto che a Gorizia i sacerdoti altro non sono che il quartier generale
del nazionalismo slavo318 «è facile immaginare quale enorme potere spiri-
313
Ivi p. 6.
314
Ivi pp.7-8.
315
Ivi p. 9.
316
Ibidem.
317
Ivi pp. 10-11.
318
Ivi p. 11.
105
III - La persecuzione antislava
tuale e politico anti-italiano sia esercitato da tutti i preti slavi nei remoti
paesi delle vallate e delle nostre montagne di confine. Problema di alta po-
litica, che va affrontato e avviato a soluzione, […] secondo il principio uni-
tario che regge tutta la nostra vita nazionale».319 Il principio era ovviamente
quello della coincidenza stato-nazione-fascismo. In merito alla soluzione il
Pisenti fa già trasparire che un aiuto ci si aspetta direttamente dal Vaticano,
con cui il regime sta intessendo rapporti sempre più stretti. Se da una parte
nota la contraddittorietà dell’atteggiamento della Santa Sede, invitando co-
munque alla cautela nel dare giudizi, recependo le difficoltà che il Vaticano
incontra in merito, afferma anche che in certe occasioni: «i provvedimenti
della Santa Sede hanno dimostrato una sua esatta e lungimirante visione
delle supreme necessità nazionali alle quali il clero di confine deve ormai
rendere omaggio non più di riti esteriori, ma di operante coscienza e di
opere quotidiane.
A questi sensi fu ispirata tutta la riforma rapidamente operata nei con-
venti del Goriziano nei quali si provvide a sostituire con frati italiani il pre-
cedente personale prettamente slavo.[…] A Monte Santo, a Castagnevizza e
a Santa Croce di Vipacco, nomi sacri alla grande storia della nuova Italia,
francescani e cappuccini italiani, dimostrano ogni giorno l’indissolubile
vincolo spirituale che unisce i simboli cristiani con le insegne della Patria e
la duplice missione viene con magnifico e tenace ardore compiuta».320
Già si accenna ad una convergenza di interessi fra Chiesa e regime, rias-
sunta nella formula della duplice missione. Questi provvedimenti per Pisen-
ti dimostrano l’opinione che se le azioni del clero slavo e delle sue gerar-
chie «fossero contro-battute dalle nostre autorità e dal clero italiano con
una esposizione realistica dei danni che l’attuale situazione reca non solo
ai nostri interessi nazionali, ma anche a quelli religiosi, il rimedio ai mali
d’oggi sia più che possibile».321 Bolla come anacronistico il permanere al
confine di una situazione che non rispecchia la realtà delle relazioni fra Stato
e Chiesa nelle altre province, divenute molto più cordiali dopo l’avvento del
fascismo, «espressione di una nuova coscienza etica e nazionale».322 Alla
fine non lascia dubbi. «A questa soluzione del problema che deve consistere
nella sostituzione degli attuali elementi dirigenti slavi con sacerdoti italiani
319
Ibidem.
320
Ivi p. 13.
321
Ivi p. 14.
322
Ibidem.
106
Il problema del clero slavo
323
Ibidem.
324
Cit. in M. FABBRO, Fascismo e lotta politica in Friuli (1920-’26), Padova, Marsilio Editori, 1974,
p. 106.
325
Cit. in P. STRANJ, La questione scolastica…, cit. p. 126.
326
Cit. in M. FABBRO, Fascismo e lotta politica…, cit. p. 216.
107
III - La persecuzione antislava
327
G. SALVEMINI, Pio XI e gli allogeni, cit. pp. 490-492. R. WÖRSDÖRFER, Cattolicesimo…, cit. p. 158.
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. pp. 13-15. F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit.
p. 54 e p. 61. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 195. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC,
Storia degli sloveni…, cit. pp. 49-50.
328
M. KACIN WOHINZ, La minoranza sloveno-croata…, cit. p. 136.
329
Cit. in F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit. p. 56.
330
Cit in M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. pp. 12-13. F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…,
cit. p. 56.
108
Il problema del clero slavo
331
OSSERVATORE, Gorizia, cit. p. 822.
332
G. COBOL, Il fascismo e gli allogeni, cit. p. 805.
333
Cfr: P. SCOPPOLA, La chiesa e il fascismo.Documenti e interpretazioni, Roma-Bari, Laterza, 19763,
p. 181. Scoppola riporta il testo integrale del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede.
334
F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit. p. 71. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…,
cit. p. 75. R. WÖRSDÖRFER, Cattolicesimo…, cit. p. 159.
109
III - La persecuzione antislava
rire nella vita dei cattolici slavi,335 titolo che si estendeva anche a problemi
considerati di capitale importanza come la questione delle nomine, come di-
mostra una lettera di Rocco a Mussolini del 28 aprile 1929, relativa alle trat-
tative per l’esecuzione del Concordato fra le delegazioni del vaticano e dello
Stato italiano, in cui si afferma che la controparte «comunicò che la Santa
Sede aderiva a risolvere in via diplomatica, per mezzo di nota segreta ag-
giunta al Concordato, la questione circa la nomina degli Ordinari Diocesani;
quando contro la persona siano sollevate e mantenute obbiezioni di carattere
politico da parte del Governo Italiano».336 Ambasciatore presso il Vaticano
fu nominato Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, incaricato quindi di
gestire questo canale diplomatico. Nel 1930 affermava che «le questioni re-
lative al clero alloglotto sono da conglobarsi in quella capitale per il regime
di creare un clero nazionale che finora malauguratamente non c’è».337 Per
i fascisti, la conciliazione poneva la Chiesa in una posizione di subordina-
zione davanti agli interessi nazionali, l’italianizzazione era indubbiamente
uno di questi. Le autorità locali continuarono come prima e più di prima ad
intervenire con provvedimenti civili e penali.338 La via entro cui ci si muove
è pur sempre quella già tracciata da Pisenti, l’unica differenza è che ades-
so non ci si aspetta più semplicemente un aiuto, la Chiesa viene chiamata
a fare la sua parte. Da quest’atteggiamento mentale i fascisti derivavano
interpretazioni estensive del Concordato e del suo significato. Il procura-
tore generale di Trieste Mandruzzato nel 1930 affermava prontamente, «la
conciliazione ha riverberato la sua fulgida luce, divenendo potente fattore
di fedeltà alla Nazione, poiché ha offerto il mezzo decisivo di conquista-
re il clero all’amore intenso dell’Italia»,339 e l’anno dopo, nel discorso per
l’inaugurazione dell’anno giudiziario auspicava che: «venga gradatamente
a cessare la tolleranza di certi sistemi, specialmente sull’uso di una lingua
non nostra, dal momento che, anche fra gli alloglotti […] va diffondendosi
sempre più la conoscenza della lingua italiana, siccome lingua naturale di
queste terre; tanto che il mantenere ancora la lingua slava in certi proclami
pubblici, insegne o emblemi, ovvero in luoghi di pubblico convegno, potreb-
be far intravedere non altro che il riprovevole intento di ingraziarsi i pochi
antitaliani frammischiati tra la popolazione indigena. Anche i ministri del
335
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 288.
336
P. SCOPPOLA, La chiesa e il fascismo…, cit. p. 192.
337
Cit in M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 18.
338
Ivi pp. 18-19.
339
Cit. in A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 474.
110
Il problema del clero slavo
340
Cit. in F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit. p. 73 che lo riprende da Il Piccolo del 20 gen-
naio 1931. Cfr: L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 197. G. SALVEMINI, Mussolini diplomatico, cit.
p. 476. Riportano versioni leggermente diverse dello stesso discorso, che non differiscono comun-
que per i contenuti e nei passaggi fondamentali.
341
Cit. in E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 289.
342
G. SALVEMINI, Mussolini diplomatico, cit pp. 474-475.
343
G. SALVEMINI, Pio XI e gli allogeni, cit p. 496. Una precisa analisi delle vicenda e della chiesa nel
Goriziano si trova in T. MATTA, Come si sostituisce un vescovo…, cit.
111
III - La persecuzione antislava
sione della crisi del 1931 fra la Santa Sede e il regime a proposito dell’Azio-
ne Cattolica, e ciò autorizza a pensare, e molti lo hanno fatto, che l’affare
Sedej sia entrato a far parte delle trattative, insieme agli altri problemi, come
moneta di scambio, una sorta di baratto con il quale Pio XI avrebbe «vendu-
to la minoranza slava al fascismo».344 Sicuramente ogni nomina di vescovi
nella regione dopo il ’29 incontrò i favori del regime e fu un colpo contro gli
allogeni.345 Il Vaticano assecondò il regime, considerando l’italianizzazione
un diritto/dovere dello Stato italiano. Nel ’34, sempre a Gorizia, vennero
alla luce le lacerazioni del corpo ecclesiastico nella vicenda che coinvolse
il Seminario teologico, dove la maggioranza degli insegnanti era allogena,
considerato da anni una fucina del più acceso slavismo irredentista, che for-
mando i giovani sacerdoti proiettava i suoi guasti anche nel futuro. Sirotti
era già stato direttore del Seminario minore di Capodistria, dove aveva por-
tato avanti l’italianizzazione entrando in contrasto con il vescovo di Trieste
e Capodistria Fogar. Giunto a Gorizia continuò l’opera nel Seminario mag-
giore, immettendovi alcuni suoi vecchi allievi fedeli alla sua linea. La situa-
zione si fece tesa fra i due gruppi nazionali e sfociò in un acuto contrasto,
anche pubblico. Fogar intervenne convocando una riunione coi seminaristi
della sua diocesi, dove affermò essere un diritto l’uso della propria lingua,
ma che esso veniva negato agli slavi, che non c’era nessun merito particola-
re nel nascere italiani e invitando alla tolleranza ed alla riservatezza. Il suo
discorso fu interamente pubblicato sulla stampa grazie ad una delazione.
Sul fatto fu aperta un inchiesta che portò all’espulsione del delatore. Le au-
torità reagirono facendo un’irruzione nel seminario e condannando a 5 anni
di confino un professore e il vicedirettore e ammonendo il rettore e altri tre
professori.346 Questi fatti si inserivano anche nella campagna per l’allonta-
namento di Fogar.347 La sua colpa era non aver patrocinato la linea fascista
favorendo invece una visione che, pur considerando l’assimilazione come
inevitabile e quindi prevedendola in fin dei conti, la diluiva nel tempo se-
condo un approccio di tipo gradualista. Per i fascisti era una doppiezza che
nascondeva una chiara slavofilia. Tutti i tentativi del vescovo per mitigare
l’azione snazionalizzatrice si erano scontrati con una visione che prevedeva
344
G. SALVEMINI, Mussolini diplomatico, cit p. 482.
345
G. SALVEMINI, Mussolini diplomatico, cit p. 489.
346
Cit in M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. pp. 48-49. F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…,
cit. pp. 84-85. T. MATTA, Come si sostituisce un vescovo…, cit. pp. 61-64.
347
T. MATTA, Come si sostituisce un vescovo…, cit. pp. 61-62. Un esposizione sulla chiesa triestina
e su Fogar si trova in F. BELCI, Chiesa e fascismo a Trieste…, cit.
112
Il problema del clero slavo
348
L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 219-220. Su Tiengo vedi T. MATTA, La Chiesa cattolica
e la politica di snazionalizzazione degli sloveni e dei croati durante il fascismo, in L’imperialismo
italiano e la Jugoslavia…, cit. pp. 373-402.
349
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 67. M. KACIN WOHINZ, Gli sloveni
della Venezia Giulia alla fine degli anni Trenta, in «Qualestoria», XX, 2, Agosto 1992, p. 53.
113
III - La persecuzione antislava
350
M. FRANZINELLI, Il clero fascista, in Il regime fascista, cit. pp. 182-202. D. MENOZZI, La chiesa
cattolica, in Storia del cristianesimo. L’età contemoporanea, a cura di G. FILORAMO, D. MENOZZI,
Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 200. Matta sostiene che la Venezia Giulia, e in particolare la snaziona-
lizzazione, sono uno scorcio interessante del rapporto di alleanza fra la chiesa e il regime. T. MATTA,
La chiesa cattolica e la politica di snazionalizzazione…, cit. p. 376.
351
D. MENOZZI, La chiesa cattolica, ci. pp. 200-201.
352
G. MICCOLI, La chiesa di fronte…, cit. p. 30.
353
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 44. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 224.
354
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 44-46. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. pp. 209-217.
114
La bonifica etnica
stolico non poteva modificare le norme emanate da Sedej nel ’31, ma non le
rispettava più e nel ’34 acconsentì che l’autorità proibissero lo sloveno nei
riti fuori dalla Chiesa, nelle processioni e nelle bandiere.355 Margotti conti-
nuò il suo lavoro.356 Pederzolli, vescovo di Parenzo e Pola, non si oppose
alla politica delle sostituzioni e nemmeno alle disposizioni del prefetto che
nel ’35 vietarono le scritte slave sui quadri delle chiese. Nel 1940 restavano
nella diocesi solamente 8 preti croati.357 Le proteste che furono fatte con-
tro le persecuzioni di cui erano oggetto i sacerdoti, non va dimenticato che
continuarono ad essere bersaglio delle violenze poliziesche e squadriste e di
provvedimenti quali l’ammonizione e il confino, erano dettate dall’esigenza
di tutelare l’autorità e l’autonomia della Chiesa da interferenze esterne.358
Il “clero nazionale” si muoveva in conformità a quello che era il quadro di
collaborazione. Scrive Anna Maria Vinci: «l’ipotesi secondo cui l’intesa tra
Chiesa e regime più che occasionale e di comodo era solidamente costrui-
ta sul terreno di principi ideali largamente condivisi, mantiene tutta la sua
incisività: non si spiegherebbe altrimenti la disponibilità dell’episcopato
italiano […] a correre fino in fondo il rischio di rompere la comunità eccle-
siale, secondando ai limiti del possibile i voleri del fascismo. La gerarchia
cattolica, gelosa custode dell’autonomia propria e della proprie sfere di
competenza, gioca in questo caso e su queste terre sul filo del rasoio, appun-
to perché anch’essa condivide se non la forma, certo la sostanza della poli-
tica fascista verso gli sloveni e i croati sentendosi partecipe di una “civiltà
superiore” e di un comune senso di disprezzo nei confronti di un “popolo
senza storia”».359
LA BONIFICA ETNICA
355
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 49. Su Sirotti e Margotti anche T. MATTA, La chiesa
cattolica e la politica di snazionalizzazione…, cit. p. 383 e pp. 393-401.
356
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 51.
357
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 44. L. ČERMELJ, Sloveni e Croati…, cit. p. 223.
358
M. KACIN WOHINZ, Il clero sloveno…, cit. p. 53.
359
A. M. VINCI, Venezia Giulia e fascismo. Alcune ipotesi storiografiche, in «Qualestoria» XVI, 2,
ottobre 1988, pp. 56-57.
115
III - La persecuzione antislava
tipiche dell’organizzazione del consenso, a cui qui era affidato anche il com-
pito di unire all’italianizzazione la fascistizzazione. Abbiamo già parlato di
come il fascismo promuovesse l’epurazione attraverso il licenziamento o il
trasferimento dei maestri e degli impiegati pubblici e la rimozione del clero,
provvedendo quando poteva in modo diretto, nel caso dei parroci anche at-
traverso mediazioni e pressioni nei confronti della Chiesa per ottenere una
sostituzione con elementi italiani, preferibilmente impeccabili da un punto
di vista politico e nazionale, che si risolveva quando possibile nella siste-
mazione di personale di provata fede fascista e sostenitore in prima persona
attraverso la propria azione della “reintegrazione dell’italianità”, animato
in questo dal disprezzo verso la “razzamaglia slava”.360 Quello che ades-
so interessa mettere in evidenza è come quest’azione di “bonifica etnica”,
o nazionale, andasse precisandosi con il nuovo decennio. Si è già visto
anche come, nei ’20, un aspetto importante a questi fini fosse costituito
dalla soppressione di tutte le organizzazioni culturali, delle pubblicazioni e
delle scuole. L’altro aspetto fondamentale per dare l’avvio alla “bonifica”
era il far piazza pulita delle organizzazioni economiche degli sloveni e dei
croati, perseguito tramite la penetrazione del capitale italiano negli istituti
finanziari, nelle banche, e con la chiusura o l’acquisizione delle numerose
cooperative, in gran parte organizzate in due federazioni di Zadružne Zveze
(Unioni cooperative) di Trieste, con 140 cooperative di cui 86 di credito e
45.000 soci, e di Gorizia, comprendente 170 cooperative , 70 di credito, con
47.000 soci. Il prefetto di Pola nel ’27 considerava un «diverso ordinamento
del credito» utilissimo all’assimilazione, e ci informa che un progetto per la
sua italianizzazione era stato approvato dal congresso dei fasci istriani nel
’26 e presentato al Duce.361 Che la distruzione del sistema creditizio slavo
fosse considerata una premessa a programmi più ampi è confermato anche
da un memoriale del 1930 della Cassa Centrale delle casse rurali istriane.
«Bisogna concepire e attuare la bonifica creditizia […] anche per iniziare
quell’esperimento di colonizzazione interna che solo può portare all’assi-
milazione dell’elemento allogeno».362 Passarono così in mano italiana la
Jadranska Banka (Banca adriatica) nel ’24 mentre la Istarska posojilnica
u Pulju (Credito istriano di Pola) nel ’27 veniva messa in liquidazione. Fra
chiusure e acquisizioni entro il ’29 anche le due federazioni erano italianiz-
360
E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 131.
361
L. VANELLO, Casse rurali e campagne istriane (1927-1937), in S. BON GHERARDI, L. LUBIANA. A.
MILLO, L. VANELLO, A. M. VINCI, L’Istria fra le due guerre…, cit. pp. 178-179.
362
Ivi p. 194.
116
La bonifica etnica
zate. La minoranza veniva colpita nei suoi capisaldi economici più forti ed
importanti, ma l’organizzazione economica degli allogeni era così estesa
e radicata da non poter essere sradicata in così breve tempo. Pare che nel
’37 ci fossero ancora 55 casse rurali e di risparmio slave ed altre 74 erano
in liquidazione. Altri due forti istituti, la Tržaška posojilnica in Hranilni-
ca (Cassa di credito e risparmio triestina) e la Trgovsko–obrtna zadruga v
Trstu (Cooperativa commerciale ed artigiana di Trieste), pur limitati nella
loro autonomia, sopravvissero fino al 1940 quando vennero fusi d’autorità
con istituti di credito italiani. Entro il ’28 sloveni e croati avevano perso
qualcosa come 300 tra cooperative e istituti finanziari.363 Comunque entro
questa data l’operazione poteva dirsi avviata alla sua conclusione, quello
che ancora restava era considerato come residuale ed era solo questione di
tempo. Su questa strada la borghesia italiana sostituiva gli slavi espanden-
dosi nelle loro posizioni, risolvendo a proprio vantaggio quella rivalità, for-
se la principale, che la opponeva agli allogeni e le incuteva il timore di un
arretramento di fronte al loro dinamismo economico. Il fascismo dal canto
suo oltre a pagare in un certo qual modo i debiti per il sostegno che questi
gruppi italiani li avevano accordato, rafforzava le sue basi di consenso fra i
ceti medi e borghesi e metteva a posto l’ultimo tassello mancante prima di
passare alla colonizzazione. L’offensiva “esteriore” era conclusa, tutti gli
strumenti politici già usati, si passava quindi a mettere in campo quelli di
natura economica e sociale.364 La popolazione allogena, anche se esistevano
nuclei consistenti di operai soprattutto nel litorale da Trieste a Monfalcone
e nell’industria mineraria nelle zone di Arsa ed Albona in Istria, era per il
resto in gran parte costituita da contadini insediati su tutto il Carso, nella
penisola istriana e nel Goriziano, sparsa in piccoli villaggi dove prevaleva
la piccola proprietà. Misure per la limitazione del diritto proprietario erano
già state prese nel ’24 con due decreti giustificati con esigenze militari per
la difesa della frontiera.365 Eliminando la rete di supporto costituita dalle
casse rurali e dalle cooperative si toglieva un mezzo di sostentamento in
una regione dove l’economia era stata duramente colpita dalla guerra e poi
dall’annessione, che aveva portato un diverso e più pesante sistema di tas-
363
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. pp. 159- 164. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…,
cit. p. 76. E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo…, cit. p. 253. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC,
Storia degli sloveni…, cit. pp. 40 e 55. M. KACIN WOHINZ, Orientamento nazionale…, cit. p. 58. Gli
ultimi due lavori riportano dati leggermente diversi a proposito delle due federazioni
364
M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. p.30.
365
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 158.
117
III - La persecuzione antislava
366
Ivi pp. 156 e 164-165
367
M. KACIN WOHINZ, La minoranza sloveno-croata…, cit. p. 144. M. KACIN WOHINZ, I programmi
fascisti di snazionalizzazione…, cit. pp. 22-23. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. pp.
76-77. K. ŠIŠKOVIČ, La snazionalizzazione tra le due guerre, in «Bollettino dell’Istituto Regionale per
la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia», IV, 2-3, Agosto 1976, p. 27. L.
ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. pp. 170-171. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…,
cit. pp. 40 e 56. A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. p. 487. L. VANELLO,Colonizzazione
e snazionalizzazione nelle campagne della Venezia Giulia tra le due guerre, in L’imperialismo ita-
liano e la Jugolsavia…, cit. pp. 503-504.
368
La relazione della Commissione mista sostiene in proposito che «nel caso degli espatri in Jugosla-
via, che coinvolsero soprattutto giovani e intellettuali, il collegamento con l persecuzioni politiche
del fascismo è bel evidente».
118
La bonifica etnica
non solo: sloveni e croati andarono nelle americhe, soprattutto in quella del
sud, verso altre tradizionali mete dell’emigrazione dall’Italia come Francia
e Belgio mentre alcuni pare che si trasferirono in Egitto.369
Fra il ’29 e il ’31 furono diversi i progetti miranti al trasferimento della
popolazione slava. Ragusin-Righi nel suo lavoro sistemava le basi e le linee
della bonifica. Questo scritto è pieno di riferimenti alla «sana azione puri-
ficatrice». «Soltanto dopo rinforzata ed epurata nazionalmente la zona di
confine, la nostra cinta di difesa potrà considerarsi perfetta».370 Compito
della bonifica fascista era epurare dalle vecchie scorie, colonizzare con la
migrazione interna e l’emigrazione per realizzare quella che definisce una
missione di civiltà.371 La marcia su Roma aveva a suo avviso realizzato le
premesse necessarie «per operare la bonifica politica, economica e socia-
le».372 Righi spiegava quanto fatto fino ad allora nei confronti degli “agita-
tori”, cioè maestri, impiegati e preti verso i quali si era iniziata «l’opera di
sgombero».373 In campo economico «il regime si trovò di fronte ad una rete
di cooperative e di credito organizzate ed operanti ai fini dello slavismo»
riferendosi esplicitamente alle due Federazioni,374 entrambe sciolte per la
loro «fisionomia e funzionamento antinazionale».375 Quest’organizzazione
creditizia e cooperativistica «in virtù del Regime dovrà essere scardinata
mediante un progressivo riscatto da parte dell’ Ente nazionale per la coope-
razione, e dell’organizzazione creditizia nazionale»376 riorganizzando «tutto
il sistema di credito e cooperazione agraria su base genuinamente nazio-
nale».377 Nella parte centrale troviamo quello che più ci interessa ai fini del
369
Purini contesta la cifra attribuendola alla storiografia di parte slovena ma riconoscendo anche
che da parte italiana non si è lavorato molto per arrivare ad una cifra più esatta. Nel suo lavoro si
trova un attenta analisi sui dati riscontrabili e su quelli riportati fino ad allora dalla storiografia alla
quale rimandiamo per ulteriori delucidazioni su questo tema. Manca però una cifra complessiva e
nella sua mancanza ci siamo rifatti a quella classica che è comunque stata accettata anche da storici
italiani e dalla relazione conclusiva della Commissione mista. Nel suo lavoro è contenuto anche un
breve scorcio su un piano per l’italianizzazione delle ferrovie con trasferimento del personale sla-
vo. P. PURINI, L’emigrazione non italiana dalla Venezia Giulia dopo la prima guerra mondiale, in
«Qualestoria», XXVIII, 1, giugno 2000, pp. 33-53. Per la cifra di centomila Cfr: M. KACIN WOHINZ,
La minoranza sloveno-croata…, cit. p. 145. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p.
77. L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 174. M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…,
cit. p. 41.
370
L. RAGUSIN RIGHI, Politica di confine, cit. pp. 11-12.
371
Ivi pp. 59-62.
372
Ivi p. 38.
373
Ivi p. 24.
374
Ivi p. 20.
375
Ivi pp. 85-88.
376
Ivi p. 40.
377
Ivi p. 88.
119
III - La persecuzione antislava
378
Ivi pp. 43-44.
379
Ivi p. 44.
380
Ibidem.
120
La bonifica etnica
381
Ivi pp.46-47.
382
Ivi p. 45.
383
Ivi p. 46.
384
Ivi p. 53.
385
Ibidem.
121
III - La persecuzione antislava
stata condotta non aveva ancora dato i risultati sperati, rivelando un bilan-
cio meschino e negativo, messo in risalto dal processo di Trieste contro il
T.I.G.R.,386 che sollecitava l’adozione di metodi più adeguati. Innanzitutto si
doveva agire in Jugoslavia per impedire lo sviluppo del nazionalismo slavo
che si rifletteva nelle masse allogene presenti in Italia. Mentre all’interno
propone di riorganizzare ed unificare l’attività degli organi di polizia al fine
di aver un miglior controllo del territorio. Maggior presenza anche per le
organizzazioni del regime così da saturare la regione e la popolazione di cul-
tura italiana e istituzioni fasciste. Parla anche lui della necessità di bonifica-
re. Propone il trasferimento di impiegati e insegnanti slavi, ma anche delle
maestre italiane, considerate poco adatte all’opera affidatagli per la quale si
ritiene più energica l’azione maschile, opinione già espressa alcuni mesi pri-
ma direttamente a Mussolini durante uno dei rapporti periodici che il Duce
si faceva fare dai federali della province orientali. Chiede che si continui
con l’opera di graduale allontanamento dei preti ma anche che si ostacoli
la crescita demografica slava e che si impedisca la rinascita di un ceto in-
tellettuale. Anche lui raccomanda una duplice corrente migratoria, e chiede
la creazione di un Ente per rilevare le terre dagli allogeni e renderle adatte
a coloni italiani. Lo scopo è quello «della progressiva espansione della no-
stra razza verso il confine giulio».387 Il segretario del fascio dell’Istria Relli
era sulle stesse posizioni. Nel gennaio del 1931 richiedeva urgentemente
l’intervento di un Istituto finanziatore per rilevare le terre incolte o all’asta
e ridonarle in un secondo tempo a coloni italiani, un’azione «di bonifica
terriera, destinata a tradursi in bonifica nazionale». L’11 luglio vi tornava
sopra, in un ampio memoriale, sostenendo che la creazione di un istituto,
o di un consorzio, sarebbe «il mezzo più idoneo per il raggiungimento di
queste finalità». Gli espropri erano resi agevoli dai vari tipi di debiti che
affliggevano i proprietari terrieri allogeni, «basterebbe quindi sollecitare,
386
Il T.I.G.R., sigla ricavata dalle iniziali di Trst, Istra, Gorica e Rijeka (Trieste, Gorizia, Istria e
Fiume) era un’organizzazione della gioventù nazional-liberale slava. Di tipo irredentistico, lottava
contro la snazionalizzazione attraverso azioni terroristiche. Nel’30 organizzò un attentato contro la
redazione de Il Popolo di Trieste. Ne seguì un processo di fronte al Tribunale Speciale e quattro dei
suoi membri furono condannati alla pena capitale. Il processo destò molta impressione negli am-
bienti fascisti perché rivelò l’esistenza di una radicata, ed anche armata, resistenza all’assimilazione.
Cfr: M. KACIN WOHINZ, Il primo antifascismo armato. Il movimento nazional-rivoluzionario degli
sloveni e croati in Italia, in «Storia contemporanea in Friuli», XVIII, 19, 1988, pp. 35-66.
387
M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. pp 19-20. M. KACIN WOHINZ,
La minoranza sloveno-croata…, cit. p. 144. D. MATTIUSSI, Rapporto al Duce, in «Qualestoria», XX,
2, agosto 1992, p. 84. Quest’ultimo pubblica il testo integrale della relazione tenuta al cospetto di
Mussolini.
122
La bonifica etnica
388
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. pp. 166-168. L. VANELLO,Colonizzazione e snazionalizzazio-
ne…, cit. pp. 502-503.
389
Cit. in L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 167. M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di sna-
zionalizzazione…, cit. p. 21. L. VANELLO,Colonizzazione e snazionalizzazione…, cit. p. 501.
123
III - La persecuzione antislava
390
L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit. p. 169-170.
391
L. VANELLO,Colonizzazione e snazionalizzazione…, cit. p. 503.
392
A. DI MICHELE, Un prodromo emblematico: l’italianizzazione forzata del Sudtirolo, 1922-1943,
in «Qualestoria», XXX, 1, giugno 2002, pp. 37-43.
393
M. KACIN WOHINZ, La minoranza sloveno-croata…, cit. pp. 136-137. Sulla chiusura dei confini
per difendersi dai barbari slavi intervenne anche Righi proponendo di «trovare qualchecosa di più
radicale e di più sicuro, e questo qualche cosa potrebbe per esempio essere una doppia rete metallica
lungo tutto il confine, con filo di corrente ad alta tensione nello spazio fra le due reti. […] Forse sono
mezzi estremi ma la civiltà ha ben il diritto di difendersi» L. RAGUSIN-RIGHI, Guardia al confine, in
«La porta orientale», I, 1, 15 gennaio 1931, p. 112.
124
La bonifica etnica
394
A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p. 85. E. APIH, Italia. Fascismo e antifasci-
smo…, cit. p. 433. A. M. VINCI, Il fascismo al confine orientale, cit. pp. 506-507.
395
Gli accordi prevedevano la possibilità d’opzione per la Germania, e quindi l’emigrazione, o la
permanenza in Italia. Molti tedeschi optarono per la Germania. L. ČERMELJ, Sloveni e croati…, cit.
p. 172.
125
III - La persecuzione antislava
sarebbe tornato utile a questo scopo procurando lavoro nel resto del paese
o nelle colonie. Individuava 20 centri maggiori nella Venezia Giulia che
avrebbero potuto fungere da centri di attrazione ed espansione, più o meno
come si prospettava per i funzionari italiani nei villaggi, irradiando l’idioma
italiano. Criticava l’Ente per la Rinascita per aver acquistato poca terra ed
avervi insediato poche famiglie, per di più in località isolate dove finivano,
soprattutto i figli, per essere slavizzati.
Predisponeva infine un programma di matrimoni misti per tutta una serie
di categorie, e prospettava l’invio di migliaia di ragazze slave in Italia come
domestiche per favorirne un italianizzazione mediante matrimoni. In questo
modo «la frontiera verrà a segnare anche la linea di spartizione di razze
differenti».396
Italo Sauro, consigliere del governo per le questioni slave, nel ‘39 artico-
lava un programma in 16 punti:
«1) Statistica della proprietà in mano agli slavi […]
2) Blocco delle vendite e deferimento ad una commissione unica, del nul-
la-osta per il trapasso della proprietà allo scopo di impedire ogni acquisto
da parte di slavi […]
3) Assunzione di tutti i terreni appartenenti ad Istituti di credito e quelli
in vendita che non vengono acquistati da privati italiani.
4) Appoderamento e assegnazione dei terreni a famiglie venete friulane
o istriane (che sono la più adatte a resistere agli slavi) […]
5) Invitare i Comuni giuliani ad una applicazione più severa delle leggi
sull’urbanesimo e impedire il soggiorno alle famiglie alloglotte […] l’in-
vasione slava ha ormai investito i comuni più italiani della regione; questa
invasione deve essere fermata […]
6) Alienare in tutte le forme gli slavi dai propri terreni e dai paesi del-
l’interno.
7) Costituzione in Pola di un forte centro industriale per attirare gli slavi
e nello stesso tempo fare una intensa propaganda e regolari ingaggi degli
slavi dell’interno per Trieste, ma soprattutto per centri industriali lontani.
8) Favorire le alienazioni di terreni da parte di slavi […]
9) Minare la proprietà slava attraverso tutte le operazioni del credito e
del fisco […] facendo agire le banche per l’esazione dei crediti ad una più
severa (magari ingiusta) valutazione ed esazione dei tributi.
«Bollettino dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia
Giulia», II, 2, maggio 1974. pp. 26-28. M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di snazionalizzazio-
ne…, cit. pp. 25-27.
126
La bonifica etnica
10) Trasferire d’autorità operai e minatori […] in altri centri lontani del
Regno e delle colonie […] non sarà difficile specie con le nuove industrie in
Albania e in Africa Orientale.
11) Convogliare in Africa Orientale numerose famiglie agricole distri-
buendole in vari centri […]
12) Aumentare delle scuole elementari e degli asili. Più maestri maschi
e coniugati con l’obbligo di residenza […]
13) Inviare come insegnanti elementari e maestri d’asilo anche molti re-
ligiosi e religiose italiani per arginare e sostituirsi ai religiosi slavi.
14) Costituzione di una fitta rete di sorveglianza e su coloro che opera-
no come mestatori e agitatori slavi, e su coloro che hanno contatti con la
Jugoslavia […] limitare, possibilmente impedire, il rilascio e il rinnovo dei
passaporti per la Jugoslavia […] questo riguarda la polizia ma è cosa che
va risolta ed affrontata come se si dovesse ricominciar da capo.
15) Allontanamento dei pregiudicati slavi […]
16) Sorveglianza sulla attività dei preti […] sostituendo l’italiano e il
latino allo slavo in tutte le cerimonie ove la massa sia composta da giovani
[…]».
Quello di Sauro è il primo programma, in 20 anni, in cui si pone il pro-
blema di una conoscenza puntuale degli slavi e della loro proprietà. Dimo-
strandosi più realistico, afferma che non si può nei loro confronti mettere in
atto uno spostamento di popolazione “totalitario” come quello previsto per
l’Alto Adige, dato il numero, ma il suo programma si muove sempre den-
tro all’ottica della bonifica prevedendo spostamenti di popolazioni e rein-
sediamenti di italiani. I temi sul tappeto sono sempre i soliti e la precisione
dei punti non nasconde la monotonia dei problemi posti e delle soluzioni.
Ritiene che tutta la cosa andrebbe trattata con riservatezza senza però aver
paura di reazioni Jugoslave in quanto Belgrado è impegnata con problemi
interni ed esterni (ma il governo Jugoslavo non aveva mai fatto granché per
tutelare le propria minoranza in Italia), ed alla fine si affaccia anche in lui il
senso di urgenza, «l’affacciarsi […] della Russia ai Balcani consiglia a non
indugiare».397
Sempre nel ’39 il prefetto dell’Istria inviava un rapporto al Ministro de-
gli interni, del quale prese visione Mussolini stesso. Il prefetto dichiara-
397
Il documento è tratto da T. SALA, Programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. pp. 28-29.
Con la stessa sostanza anche se leggermente diverso il documento è riportato anche in L. ČERMELJ,
Sloveni e croati…, cit. pp. 172-174. ed in M. KACIN WOHINZ, I programmi fascisti di snazionalizza-
zione…, cit. pp. 27-29.
127
III - La persecuzione antislava
398
Il documento è riportato integralmente da T. SALA, 1939. Un censimento riservato…, cit. pp.18-
19.
399
B. MANTELLI, Gli italiani nei Balcani 1941-1943: occupazione militare, politiche persecutorie e
crimini di guerra, in «Qualestoria», XXX, 1, giugno 2002, p. 21. A p. 32 sostiene che «è fattualmen-
te dimostrabile che l’Italia monarchico fascista mise in atto nei territori balcanici politiche non par-
128
La bonifica etnica
ticolarmente dissimili da quelle attuate dal Terzo Reich nei confronti dei paesi occupati dell’Europa
orientale e balcanica […] politiche cioè che, a quanto risulta con la piena consapevolezza da parte
degli esecutori, nei fatti rasentarono il genocidio».
400
D. RODOGNO, La repressione nei territori occupati dall’Italia fascista tra il 1940 e il 1943, in
«Qualestoria», XXX, 1, giugno 2002, pp. 65-70.
401
C. S. CAPOGRECO, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Torino,
Einaudi, 2004, p. 141.
402
T. SALA, 1939-1943. Jugoslavia «neutrale», Jugoslavia occupata, in «Italia contemporanea»,
XXXII, 138, marzo 1980, p. 93.
403
Cfr: D. RODOGNO, Il nuovo ordine mediterraneo…, cit. p. 334.
404
M. KACIN WOHINZ, La minoranza sloveno-croata…, cit. p. 144. L. VANELLO, Colonizzazione e
snazionalizzazione…, cit. p. 505.
405
T. SALA, Programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. p. 29.
406
Cit. in T. SALA, Programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. p. 29.
129
III - La persecuzione antislava
407
Cit. in T. SALA, Programmi fascisti di snazionalizzazione…, cit. p. 30.
408
A. DEL BOCA, Italiani…, cit. p. 233.
409
Ivi p. 241.
410
C. S. CAPOGRECO, I campi del duce…, p. 68, p. 82 e p. 141. A. DEL BOCA, Italiani…, cit. p. 233 e
pp. 240-244.
411
C. S. CAPOGRECO, I campi del duce…, cit. pp. 100-101.
130
La bonifica etnica
412
C. S. CAPOGRECO, I campi del duce…, cit. pp. 69-70, p. 76, p. 78, pp. 209-110 e pp. 264-267.
413
A. DEL BOCA, Italiani…, cit. p. 243.
414
A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia Giulia…, cit. p. 81. C. S. CAPOGRECO, I campi del duce…,
cit. pp.81-82 e pp. 140-142.
415
D. RODOGNO, La repressione nei territori occupati…, cit. pp. 65-70.
416
C. S. CAPOGRECO, I campi del duce…, cit. p. 68.
417
B. MANTELLI, Gli italiani nei Balcani…, cit. p. 30.
418
Le memorie sono depositate presso l’archivio dell’Istituto storico della resistenza e della società
contemporanea nella provincia di Pistoia. Furono scritte nel1980 e mai pubblicate. L’autore operò
fra la Dalmazia e la Bosnia-Erzegovina e visse a Spalato i drammatici eventi dell’8 settembre 1943.
Sulla percezione delle popolazioni da parrte dei soldati italiani Cfr: D. RODOGNO, Il nuovo ordine
mediterraneo…, cit. pp. 182-227, che scrive, «la percezione delle popolazioni occupate fu determi-
nata dal bagaglio di pregiudizi, alcuni dei quali razziali, che i soldati portarono con sé. Dall’osserva-
zione e dal contatto con i locali gli occupanti “decifrarono” usi e costumi degli occupati e li catalo-
131
III - La persecuzione antislava
Il clima che avvolse tutta l’Europa dominata dai fascismi fu quello che
Waldenberg, in uno studio complessivo sui problemi nazionali, ha descritto
così. «I nazionalismi creavano […] un clima favorevole agli eccidi di massa
e alle persecuzioni a sfondo etnico della seconda guerra mondiale» dando
luogo ad «un’atmosfera psicologicamente favorevole agli assassini di mas-
sa. […] Aveva luogo una vera e propria assuefazione al delitto».419 Se que-
sto era il clima, l’ideologia razzista del fascismo antislavo, che comunque
non prevedeva progetti di “soluzione finale” come quelli nazisti, aiutava
sicuramente ad individuare i nemici non solo nelle formazioni partigiane
ma anche nelle popolazioni civili. Ciano nel suo diario ricorda un incontro
con Vidussoni, segretario nazionale del P.N.F. «Dopo aver parlato di pic-
cole questioni contingenti, fa alcuni cenni politici e dichiara truci propositi
contro gli sloveni. Li vuole ammazzare tutti. Mi permetto osservare che sono
un milione. Non importa – risponde deciso – bisogna fare come gli ascari
e sterminarli tutti».420 In una riunione del 1942 a Gorizia con i comandanti
dell’ambito Supersloda, Mussolini affermava «mettiamoci bene in testa che
questa gente non ci amerà mai. Quindi nessuno scrupolo».421
Per Grazioli il problema poteva essere risolto in tre maniere: eliminazio-
ne, deportazione o assimilazione. In ogni caso prevedeva comunque l’uso
della violenza.422 L’idea della colonizzazione era un cardine della politica fa-
scista nei territori annessi, che venivano considerati italiani a tutti gli effetti.
Anche i militari adesso davano il loro apporto. Roatta, comandante della 2ª
armata, emanò la famigerata Circolare 3C, contenente precise disposizioni
sull’attuazione della repressioni nei confronti della popolazione.423 Riferen-
do al Duce sui provvedimenti adottati disse:
«internamento graduale di studenti, intellettuali, disoccupati e sospetti,
specie a Lubiana, cervello della Slovenia, previa chiusura di ogni accesso
garono nel proprio registro mentale, secondo archetipi e stereotipi. I generali italiani furono i primi
a veicolare un’immagine delle popolazioni balcaniche come popoli infidi, subdoli e selvaggi. Molti
ufficiali si sentivano superiori alle popolazioni balcaniche che consideravano rozze e primitive. Nel-
le memorie e nelle testimonianze si nota una panoplia di tentativi di comprendere realtà e società
diverse e sforzi molteplici di illustrare, con analisi pseudoscientifiche, questa diversità», p. 203.
419
M. WALDENBERG, Le questioni nazionali…, cit. pp. 233-135.
420
G. CIANO, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1980, p. 578.
421
T. SALA, 1939-1943. Jugoslavia «neutrale»…, cit. pp. 100-101. Supersloda era la sigla del coman-
do superiore Slovenia e Dalmazia della 2ª armata.
422
M. KACIN WOHINZ, J. PIRJEVEC, Storia degli sloveni…, cit. p. 71.
423
Il testo della circolare è rinvenibile nello studio di Di Sante. Cfr: Italiani senza onore…, cit. A.
DEL BOCA, Italiani…, cit. pp. 235-236. T. SALA, 1939-1943. Jugoslavia «neutrale»…, cit. pp. 99-
100.
132
La bonifica etnica
424
T. SALA, 1939-1943. Jugoslavia «neutrale»…, cit. p. 100. Crf: A. DEL BOCA, Italiani…, cit. p.
241.
425
T. SALA, 1939-1943. Jugoslavia «neutrale»…, cit. p. 101. A. BUVOLI, Il fascismo nella Venezia
Giulia…, cit. p. 83.
426
D. RODOGNO, Il nuovo ordine mediterraneo…, cit. p. 405.
427
T. SALA, 1939-1943. Jugoslavia «neutrale»…, cit. p. 100. A. DEL BOCA, Italiani…, cit. p. 235.
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III - La persecuzione antislava
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Carte
carte
Carta pubblicata sul numero monografico di Gerarchia dedicato alla Venezia Giulia.
Da GIORGIO BOMBIG, Le condizioni demografiche della Venezia Giulia e gli allogeni,
in «Gerarchia», VII, 9, settembre 1927, p. 813.
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carte
Carta elaborata da Schiffrer secondo i dati del censimento riservato del 1936. Da Il
confine mobile. Atlante storico dell’ alto adriatico 1866-1992, s.l., Edizioni della
Laguna, 19962.
139
carte
Confine italiano dal 1924 al 1941. Da Il confine mobile. Atlante storico dell’ alto
adriatico 1866-1992, s.l., Edizioni della Laguna, 19962.
141
carte
Confine italiano dopo l’invasione della Jugoslavia nel 1941. Da Il confine mobile.
Atlante storico dell’ alto adriatico 1866-1992, s.l., Edizioni della Laguna, 19962.
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Bibliografia
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Stampato nel mese di febbraio 2006 dalla
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