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CHARLIE CHAPLIN

“IL GRANDE DITTATORE”


1937-1940

THE NATIONAL ARCHIVES/PUBLIC


RECORD OFFICE (TNA/PRO)

KEW GARDENS

SURREY

REGNO UNITO
DI GRAN BRETAGNA

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SINTESI

Londra, febbraio 1939. Il viceministro degli Esteri, Richard Austen


Butler, chiede ai suoi uomini di indagare sul nuovo progetto
cinematografico di Charlie Chaplin a Hollywood, “Il Dittatore”, una
sferzante parodia su Adolf Hitler. Londra è in ansia.
Il premier britannico Neville Chamberlaine sta tentando di salvare la
pace europea con la politica dell’“appeasement” nei confronti della
Germania nazista. Il Patto di Monaco è stato appena siglato
(settembre 1938) e nel gennaio del 1939 Chamberlaine rende omaggio
a Mussolini con una visita ufficiale in Italia. Il film del grande attore e
regista – non ha mai rinunciato alla cittadinanza britannica anche se
risiede in America da trent’anni – avrebbe dunque effetti disastrosi
sulle strategie politiche di Downing Street e del Foreign Office verso il
Fuehrer e il Duce.
E poi Chaplin è da sempre in odore di “comunismo” sulle due sponde
dell’Atlantico, in specie dopo il trionfo mondiale di “Tempi Moderni”
nel 1936.
I diplomatici del Consolato di Sua Maestà a Los Angeles avvicinano
Chaplin a Hollywood. Riferiscono a Londra che si sta dedicando alla
produzione della pellicola “con una foga che rasenta il fanatismo.
Impressionano il suo odio e il suo disprezzo verso le personalità che
intende mettere in satira. Il suo unico obiettivo consiste nel poter
sferrare un attacco diretto a Hitler”. Si aggrappano addirittura a una
legge britannica del 1917: “Non è consentito rappresentare sullo
schermo personaggi viventi senza il loro consenso scritto.” Premono
per poter visionare il copione prima dell’inizio delle riprese, in modo
che la sceneggiatura definitiva non arrechi “offesa alcuna alla
Germania”. Ma nel maggio del 1939, dalla California, gli inglesi
gettano la spugna: “Riteniamo che andremmo incontro ad un
immediato e definitivo rifiuto da parte di Chaplin se mai provassimo a
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suggerire delle modifiche al copione. E’ certo che non
raggiungeremmo risultato alcuno.”
L’attore reagisce pubblicamente, senza però menzionare le pressioni
che arrivano da Londra: “Intimidazioni e censure non mi turbano
affatto.” Durante l’estate l’Ente della censura britannica scrive:
“Siamo stati molto chiari su ciò che è consentito e su ciò che non lo è.
Di conseguenza Chaplin finirebbe per incolpare solo se stesso se il film
non dovesse superare l’esame della censura britannica. Sempre e
quando decida di andare avanti con il suo progetto cinematografico.”
E’ lo scoppio della guerra a risolvere l’affaire nel settembre del 1939.
Le riprese de “Il Grande Dittatore” iniziano a Hollywood negli stessi
giorni. Ora Hitler è il nemico pubblico numero uno dell’Impero
britannico, anche se gli Usa continuano ad essere neutrali. Il film esce
in America nell’ottobre del 1940 e a Londra in dicembre. In
Inghilterra è un successo straordinario di pubblico e critica. Winston
Churchill è il nuovo capo del governo. Il premier parla chiaro. Solo
“sangue, sudore e lacrime” riusciranno a sconfiggere la Germania
nazista. Ben vengano quindi satira e sberleffi. L’“appeasement” di
Chamberlain va in soffitta per sempre. Ben presto gli incassi al
botteghino superano di gran lunga quelli di “Tempi Moderni” in tutto
il mondo. Ad eccezione ovviamente di Germania, Italia e dei paesi
alleati dell’Asse, dove la pellicola uscirà solo nel dopoguerra.
Narra la leggenda che Hitler ordini all’ambasciata tedesca a Lisbona
di spedirgli una copia della pellicola. Il Fuehrer avrebbe assistito alla
proiezione de “Il Grande Dittatore” durante le vacanze di Natale del
1940 nella sua residenza di Berchesgtaden sulle Alpi austriache, il
“Nido dell’Aquila”.

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Mario J. Cereghino
2 luglio 2012
mariojosecereghino59@gmail.com

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LE CARTE

Ecco cosa scrive Charlie Chaplin sulla genesi del film


(“Autobiografia”, Mondadori, 1964).
Nel 1937 Alexander Korda mi aveva suggerito un film su Hitler, giocando su uno scambio
d’identità dovuto al fatto che “Il Vagabondo” [“The Tramp” in originale] aveva i baffi uguali
ai suoi. A suo dire, potevo interpretare io le due parti. Allora non ci pensai troppo. Poi però
l’idea mi parve di estrema attualità. Inoltre non vedevo l’ora di rimettermi al lavoro [dopo
“Tempi Moderni”, 1936]. All’improvviso mi venne un lampo di genio. Ma certo! Nei panni di
Hitler avrei potuto arringare la folla usando un gergo incomprensibile o dicendo tutto quello
che volevo. Un film su Hitler era l’ideale per una parodia e una pantomima. Perciò, pieno
d’entusiasmo, tornai rapidamente a Hollywood e mi misi a scrivere il soggetto.

Chaplin è un antifascista dichiarato, un “anarchico libertario” e un


“umanista”. Ed è letteralmente scioccato dall’isolazionismo americano
degli anni Trenta. Con “Il Grande Dittatore” punta con decisione a
influenzare l’opinione pubblica statunitense perché si opponga alle
dittature della Germania nazista e dell’Italia fascista. Il cinema è
un’arma formidabile.
“A Hollywood fino a quel momento nessuno aveva realizzato pellicole
apertamente antinaziste – osserva il critico inglese David Robinson nel
volume “Chaplin, la vita e l’arte” (Marsilio, Venezia, 1987) –. Dalla
Grande Depressione in poi [1929] si era diffuso un feroce
isolazionismo e sarebbe bastata la quantità di minacce che Chaplin
riceveva per posta a documentare la forza dei movimenti fascisti negli
Stati Uniti.”
Dan James, uno degli sceneggiatori, racconta che Chaplin si prepara
al film con precisione maniacale. A Hollywood visiona per intere
settimane i cinegiornali tedeschi su Hitler. Durante le proiezioni è
solito sbottare: “Bastardo! Porco! Figlio di puttana! Lo so io cosa ti
passa per la testa!” Il soggetto è pronto alla fine del 1938 e Dan James
inizia a scrivere la sceneggiatura nel gennaio del 1939.
La notizia arriva anche a Londra.
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Il 22 febbraio 1939 E. H. Keeling, un parlamentare di Westminster,
scrive a Richard Austen Butler, il viceministro degli Esteri inglese. Lo
informa che “Charlie Chaplin sta preparando a Hollywood un film
intitolato ‘Il Dittatore’, in cui lo stesso Chaplin interpreterà Adolf
Hitler con toni satirici”. Keeling ha appreso la notizia da un suo
collega deputato, che gli ha inviato il seguente messaggio.
Risulta decisamente inopportuno che una simile pellicola sia mai esibita nel Regno Unito. Mi
auguro che il governo britannico informi immediatamente le persone eventualmente
interessate al finanziamento e alla distribuzione del film [la United Artist americana] che la
sua circolazione sarà vietata nel nostro paese. In tal senso, occorre inviare tutte le istruzioni
necessarie a Lord Tyrell, il responsabile del British Board of Film Censors [l’Ente Britannico
per la Censura Cinematografica].

Ma Rowland Kenney (il capo del “News Department” del Foreign


Office, a Londra) commenta con non poca ipocrisia: “Si tratta di un
ente commerciale privato. Di conseguenza non è soggetto al controllo
del governo.”
In Gran Bretagna governa il conservatore Neville Chamberlaine.
Promuove da anni la politica dell’“appeseament” (pacificazione) verso
la Germania nazista. Nel settembre 1938 è stato siglato il Patto di
Monaco, nel gennaio 1939 il premier britannico visita l’Italia e
s’incontra con Mussolini a Roma. L’Inghilterra non ha perso la
speranza di riuscire ad allontanare il Duce dal capo del nazismo.
Chamberlaine è convinto che Hitler si accontenterà del territorio dei
Sudeti (Cecoslovacchia) e dell’Austria, annessa al Reich nel marzo del
1938. All’inizio del 1939, quindi, Londra non intende irritare Hitler
per nessun motivo. Ma c’è un problema. Chaplin è un suddito di Sua
Maestà britannica (è nato a Londra nel 1889) anche se vive in America
da trent’anni. L’attore più famoso al mondo si è sempre rifiutato di
prendere la cittadinanza statunitense, una scelta che continua a
provocare forti malumori nei circoli artistici e politici della destra
Usa.

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Qualche giorno dopo il viceministro Butler risponde a Keeling che “la
produzione della pellicola è appena agli inizi. Cercheremo in ogni
modo di saperne di più”.
In aprile Kenney (Foreign Office) invia una nota al Consolato
britannico di Los Angeles, in California. Sul tema, Londra chiede “di
ricevere un memorandum il prima possibile”.
Non vogliamo che il Consolato corra il rischio di essere accusato di ingerenza. Tuttavia ci
chiediamo se vi sia possibile entrare in contatto con la casa di produzione del film [la United
Artists], al fine di convincerla ad affrontare il tema in modo tale che l’opera possa essere
esibita in Gran Bretagna senza arrecare offesa alcuna alla Germania.

Il 17 maggio 1939 Sir Francis Edward Evans, il console britannico a


Los Angeles, risponde al Foreign Office.
Purtroppo non siamo in possesso di notizie soddisfacenti sul film di Chaplin. Non ne
conosciamo i dettagli. Sappiamo solo che la pellicola mette in scena un dittatore, “Adenoid
Hynkel”, che è in competizione con “Gasolini” [poi “Benzino Napaloni”], un altro tiranno.
Risulta ovvio che le identità dei prototipi di questi due personaggi nulla concedono
all’immaginazione dello spettatore. Soprattutto se uno porterà i celebri baffetti, una
caratteristica molto marcata che non è del solo Chaplin. La rivalità fra i due dittatori è
affrontata in forma di satira, come nella sequenza dal barbiere. Sono seduti uno accanto
all’altro e ognuno solleva la sua poltrona con una leva per apparire più alto dell’altro. Il capo
della propaganda di Hynkel è “Garbage” [“Spazzatura” ma nel film diventerà “Garbitsch”,
ossia Joseph Goebbels, il responsabile della propaganda del Terzo Reich]. Nelle parole dello
stesso Chaplin è lo “yes man” numero uno, un gerarca in grado di tappare la bocca a
un’intera nazione. Al contempo esercita una sinistra influenza su tutti gli uomini del dittatore.
I paesi del copione cinematografico sono “Ptomania” [la Germania, “Tomania” nella versione
definitiva del film] e “Bacteria” [l’Italia].

Abbiamo poi appreso alcune informazioni minori sulla qualità della satira di Chaplin, che è
amara e grottesca. Lo abbiamo incontrato personalmente. L’attore ha messo mano alla
produzione della pellicola con una foga che rasenta il fanatismo. Le sue simpatie razziali e
sociali vanno a quelle classi e a quei gruppi che più soffrono la repressione dei regimi
dittatoriali. Ci ha poi detto di essere fermamente deciso ad assicurare una distribuzione al
film, anche a costo di attingere alla sua considerevole fortuna personale. Prevede che la
pellicola avrà un costo di un milione di dollari. Chaplin si è sempre rifiutato di rinunciare alla
cittadinanza britannica. E’ improbabile comunque che le sue idee politiche lo inducano a
guardare con simpatia alle personalità oggetto della sua satira. A quanto pare, il suo unico
obiettivo consiste nel poter sferrare un attacco diretto [a Hitler e a Mussolini]. Stando così le
cose, riteniamo che andremmo incontro ad un immediato e definitivo rifiuto da parte di
Chaplin se mai provassimo a suggerire delle modifiche al copione. E’ certo che non

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raggiungeremmo risultato alcuno. L’attore ammette con franchezza che il film potrebbe
essere esibito solo negli Stati Uniti. Le eventuali proteste ne limiterebbero comunque la
distribuzione anche in territorio americano. Infine egli ritiene probabile che l’Ufficio Hays [la
censura cinematografica americana] impedisca la circolazione della pellicola. Ma, come
abbiamo già detto, egli è deciso a distribuirla ad ogni costo.

Kenney (Foreign Office) commenta con rassegnazione.


Sembra proprio che sia impossibile controllare l’entusiasmo e l’esuberanza di Chaplin nei
suoi attacchi ai dittatori!

Alla fine di maggio il console Evans (Los Angeles) invia al Foreign


Office il rapporto “L’industria cinematografica americana”. Un breve
passaggio è dedicato a Chaplin.
Le peculiarità e le idiosincrasie di certi capi di governo europei vanno certo sbeffeggiate. Ma
senza esagerare. Chaplin ha messo mano a questa produzione cinematografica con uno zelo
quasi fanatico. Impressionano il suo odio e il suo disprezzo verso le personalità che egli
intende mettere in satira [Hitler e Mussolini].

Il 16 giugno 1939 Kenney (Foreign Office) scrive a Joseph Brooke-


Wilkinson, il responsabile dell’Ente Britannico per la Censura
Cinematografica (Londra).
Ti abbiamo segnalato i nostri rapporti su Chaplin affinché tu sia in grado di vagliare il film
“Il Dittatore” con estrema attenzione, e ciò nel caso giunga al tuo ufficio la richiesta del visto
censorio per la distribuzione della pellicola in Gran Bretagna.

Una settimana più tardi Brooke-Wilkinson risponde a Kenney


(Foreign Office). Lo informa che il 2 marzo aveva già allertato Joseph
I. Breen a Hollywood, il direttore del Motion Picture Producers and
Distributors of America, il potentissimo ente censorio dell’industria
cinematografica Usa, meglio noto come “Ufficio Hays”. Ecco il testo
del telegramma inviato da Brooke-Wilkinson (Londra) a Breen in
California, più di tre mesi prima.
Sembra che Chaplin abbia in mente di produrre un film intitolato “Il Dittatore”. Ti è
possibile riassumerci il soggetto e il trattamento della storia? Considera che in Gran Bretagna
verrebbe a crearsi una situazione molto delicata se dovessero verificarsi attacchi personali nei
confronti di uno o più statisti europei in vita. Sai bene che le nostre regole sono ferree. Non è
consentito rappresentare sullo schermo personaggi viventi senza il loro consenso scritto [la
legge è del 1917]. Sono certo che tu ben comprendi la delicatezza della situazione. Non

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sappiamo che cosa abbia in mente Chaplin. Di conseguenza, vista la situazione, sarebbe per
noi opportuno poter leggere la sceneggiatura prima dell’inizio delle riprese del film.

Da Hollywood, Breen risponde subito a Brooke-Wilkinson (Londra)


con un telegramma.
Chaplin non ha ancora una sceneggiatura né un soggetto definitivo. In ogni modo gli ho
consegnato copia del tuo telegramma del 2 marzo, a titolo informativo.

Il 13 marzo 1939 Breen invia una lettera a Brooke-Wilkinson.


Aggiunge altri dettagli.
La mia segretaria ha subito inviato a Chaplin copia del tuo telegramma del 2 marzo scorso.
Non abbiamo però ricevuto i suoi commenti. Ho fatto le mie indagini e, al momento, posso
dirti che la questione appare del tutto nebulosa. Chaplin non ha scritto una sceneggiatura
mentre la storia non è ancora definita nella sua testa. Tuttavia egli ha già in mano il tuo
telegramma e ritengo che abbia perfettamente compreso la situazione.

Nei giorni seguenti il settimanale “Hollywood Reporter” pubblica una


dura dichiarazione di Chaplin. Nella Mecca del cinema corre voce che
il grande artista sia stato oggetto di “intimidazioni”. L’attore reagisce
senza menzionare le pressioni che arrivano da Londra.
Sono fermamente deciso a girare questo film. E’ assolutamente falso che io abbia mai
considerato l’idea di rinunciare al progetto. Intimidazioni e censure non mi turbano affatto.

Brooke-Wilkinson così commenta da Londra.


Nel cablogramma del 2 marzo siamo stati molto chiari su ciò che è consentito e su ciò che non
lo è. Di conseguenza Chaplin finirebbe per incolpare solo se stesso se il film non dovesse
superare l’esame della censura britannica. Sempre e quando decida di andare avanti con il
suo progetto cinematografico.

Le riprese de “Il Grande Dittatore” iniziano a Hollywood il 9


settembre 1939. Una settimana prima Gran Bretagna e Francia hanno
dichiarato guerra alla Germania (ma gli Stati Uniti rimarranno
neutrali per altri due anni, fino all’attacco giapponese a Pearl
Harbour). Non è da escludere che nel corso dell’estate del 1939 il
geniale regista raggiunga una sorta di tacito compromesso con
Londra: realizzare sì il film ma solo a guerra iniziata. E così avviene.
Ora il Fuehrer è il nemico pubblico numero uno dell’Impero
britannico. La situazione si è rovesciata. Gli inglesi non hanno più
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motivi di opporsi alla pellicola. Anzi. Ben vengano quindi satira e
sberleffi. Le riprese durano sei mesi. Ce ne vogliono altri sei per il
montaggio. Il lavoro di Chaplin è come sempre meticoloso.
Nell’ottobre del 1939 il console tedesco a Los Angeles, Georg Byssling,
scrive a Breen (Ufficio Hays) a Hollywood. Il diplomatico nazista è
categorico.

Occorre fare qualcosa per fermare Chaplin. L’attore minaccia la pace che ancora regna fra la
Germania e l’America.

All’inizio del 1940 il senatore Robert Reynolds – presiede la


Commissione Esteri del Senato statunitense a Washington – divulga
un breve comunicato.

E’ spiacevole che a Chaplin, uno straniero residente negli Usa, sia consentito di utilizzare
l’industria cinematografica americana per dare sfogo al suo personale antagonismo contro un
governo estero, un fatto che potrebbe condurre a gravi ripercussioni internazionali. Il suo
obiettivo consiste nel gettare zizzania tra la Germania e gli Stati Uniti.

Chaplin così ricorda quel periodo nelle sue memorie.

Durante la lavorazione del “Dittatore” avevo cominciato a ricevere lettere di squilibrati e,


adesso che il film era finito, divennero una valanga. Alcuni minacciavano di lanciare bombette
puzzolenti nei cinema e di far saltare lo schermo ovunque il film fosse proiettato. Altri
promettevano di creare disordini davanti alle sale. Cominciai a ricevere allarmanti
comunicazioni da parte della United Artists. L’Ufficio Hays li aveva avvertiti che stavo per
cacciarmi nei guai. Anche quelli della sede inglese erano molto preoccupati all’idea di un film
anti-hitleriano e dubitavano che lo si potesse proiettare in Gran Bretagna. Ma io ero deciso ad
andare avanti perché Hitler doveva essere messo alla berlina. Se fossi stato al corrente degli
orrori dei campi di concentramento tedeschi, non avrei mai realizzato “Il Dittatore”. Non
avrei certo potuto prendermi gioco della follia omicida dei nazisti. Ero però deciso a mettere
in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza. Mentre preparavo
la pellicola, l’Inghilterra dichiarò guerra ai nazisti. Ora la United Artists mi inviava da New
York telegrammi dal tono concitato: “Sbrigati a fare il film, tutti lo aspettano!” Costò due
milioni di dollari e mi ci vollero due anni per concluderlo.

Nell’ottobre del 1940, a New York, “Il Grande Dittatore” viene


presentato in prima mondiale al teatro “Capitol” di Manhattan, alla
presenza di Chaplin e dell’attrice Paulette Goddard.

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Un pubblico elegante non nascose il suo entusiasmo. “Il Grande Dittatore” rimase quindici
settimane in due cinema di New York. Fra tutte le mie opere fu quella che mi fece guadagnare
di più.

Poco dopo, in novembre, il film riceve il visto di censura britannico.


La Gran Bretagna è in guerra con la Germania da oltre un anno. Il
momento è perfetto. “La Battaglia d’Inghilterra” sui cieli dell’isola si
sta concludendo con la vittoria della Royal Air Force sulla Luftwaffe
tedesca. La pellicola è presentata a Londra nel dicembre del 1940 ed è
subito un grande successo di pubblico e critica.

“Il Grande Dittatore” viene naturalmente proibito in Germania, in


Italia e in tutti i paesi alleati delle potenze dell’Asse. “Il Popolo
d’Italia”, il quotidiano fondato dal Duce, ne scrive con disprezzo
all’inizio del 1941: “A Londra il giudeo Chaplin ha finalmente trovato
un pubblico degno di lui.” Il film esce in Italia nel dopoguerra. Jack
Oakie, l’attore americano che interpreta “Napaloni”/Mussolini, viene
doppiato con uno spiccato accento romagnolo.
Narra la leggenda che Hitler ordini all’ambasciata tedesca a Lisbona
di spedirgli una copia della pellicola. Il Fuehrer avrebbe assistito alla
proiezione de “Il Grande Dittatore” durante le vacanze di Natale del
1940 nella sua residenza di Berchesgtaden sulle Alpi austriache, il
“Nido dell’Aquila”. In compagnia di Joseph Goebbels, il capo della
propaganda nazista, e dei massimi gerarchi del Terzo Reich.

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