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LA STRUTTURA DELL'ESSERE

Author(s): EMANUELE SEVERINO


Source: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 42, No. 5/6 (SETTEMBRE - DICEMBRE 1950),
pp. 385-411
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43067002
Accessed: 18-03-2020 16:17 UTC

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EMANUELE SEVERINO

LA STRUTTURA DELL'ESSERE

Se la filosofia moderna si pone come la stessa storia della dimentica


del pensiero classico, la filosofia contemporanea fornisce le condizioni id
del ricordo: il risolvimento di ogni pregiudiziale antimetafisica si confi
qui come quella problematicità che attende la radicale risposta metafisica
attesa è appunto, nella sua purezza teoretica, quella condizione ideale co
possibilizzazione del ricordo. Se il pensiero classico è nella sua essenza p
siero metafisico, la concreta indagine metafisica costituisce allora l'aute
svolgimento storico del filosofare, dove questo costituire è nel medesimo te
la nascita del ricordo essenziale della filosofia classica. L'essenzialità del ri-
cordo consiste nello strutturarsi di questa filosofia in una assoluta fondatezza
che la pone come lo stesso momento risolutivo del filosofare e quindi come
la stessa radicale risposta al domandare dell'attesa. L'attesa problematica, come
esclusione della contradditorietà di una problematicità trascendentale, si an-
nulla poi come tale nel risolvimento.
Questo complesso articolarsi storico-teoretico del pensiero filosofico è
lungi dall'esaurirsi in un atto semplice, ma abbisogna di un movimento di
assestamento e di chiarificazione che si distribuisce nel tempo, ove ciò che
deve essere essenzialmente ricordato, - la metafisica classica - può util-
mente essere presentato e illuminato in una molteplicità di modi che ne col-
gano, da varie prospettive, la fondatezza. Si verifica quindi come una serie
di sondaggi che contribuisce positivamente a quel movimento di assestamento
che deve condurre alla completa illuminazione della verità. Le riflessioni che
seguono si pongono in vista di un tale contributo. L'indagine è costituita fon-
damentalmente da una deduzione della struttura dell'essere, dalla determi-'
nazione della struttura dedotta, e da un passaggio dalla deduzione alla de-
terminazione.

DEDUZIONE DELLA STRUTTURA DELL'ESSERE

i. Definizione e portata della deduzione.

Per deduzione della struttura dell'essere intendiamo quel procedim


dimostrativo che dall'ipotesi dell'esserci di qualcosa perviene alle con
generalissime e necessarie di questo, mediante una concatenazione di

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menti logico-ontologici necessariamente implicantisi. Il fondamento della


stratività di questo procedimento sarà indicato nel passaggio.
Dal compito essenziale della deduzione esula tutto ciò che non fa
della struttura necessaria dell'essere, in quanto non è necessariamente ded
esula quindi anche lo stesso qualcosa dell'ipotesi, nel caso si dovesse
estraneo alla struttura necessaria. L'accertamento dell'estraneità o no
cosa alla struttura necessaria non è compito della deduzione ma della
minazione della struttura dedotta.
Se l'esserci del qualcosa è per ora mantenuto ad uno stato ipotetico, è però
ipotetizzato come qualcosa di pienamente reale che esige quindi condizioni
pienamente reali. La deduzione è allora un procedimento logico che investe
la stessa intima struttura dell'essere; per questo motivo si è parlato di una
concatenazione di momenti logico-ontologici necessariamente implicantisi. Ciò
vuol dire che la parola è parola dell'essere così come il pensiero è pensiero
dell'essere, essendo il pensiero lo stesso manifestarsi dell'essere.
L'accertamento dell'esserci di fatto del qualcosa ipotetizzato, è compito
della determinazione, tenendosi presente che il qualcosa è ipotetizzato appunto
come un esserci di fatto. Segue da ciò che l'esserci di fatto e l'essere realmente
si equivalgono, non escludendo con questo che l'essere realmente sia più
comprensivo dell'esserci di fatto. L'essere realmente è lo stesso esse o esi-
stenza. Esistenza significa allora il porsi in generale di qualcosa a prescindere
dal modo in cui questo qualcosa si pone. L'esatta calibratura del « porsi »
apparirà chiaro nel corso dell'indagine. Per ora il significato di esserci e di esi-
stenza è preso nella sua portata originariamente elementare.
Le difficoltà cui può dar adito la deduzione saranno prospettate nel pas-
saggio dalla deduzione alla determinazione.

2. Procedimento dimostrativo della deduzione.

A. - Se c'è qualcosa c'è la totalità. Per totalità intendiamo la totalità di tu


ciò che in un modo o nell'altro si pone; ciò che in un modo o nell'altro
pone è l'ente. Data l'ipotesi del qualcosa il passaggio alla totalità è nece
sario; il che non esclude che il qualcosa sia la stessa totalità. Infatti
qualcosa è la totalità oppure no: in questo secondo caso il qualcos
parte; ma la parte è possibile soltanto nella totalità. Data l'ipotesi de
qualcosa, la totalità è necessariamente. Tale necessità è data dal fatto
se la totalità non fosse, la parte sarebbe limitata dal nulla. Ma an
prescindendo dall'impossibilità: che il nulla limiti qualcosa, la parte
mitata dal nulla sarebbe la stessa totalità limitata, appunto, da nulla.
B. - La totalità è o contiene il fondamento. Per fondamento intendiamo
senza cui la totalità non sarebbe. Ma poiché la totalità è, la totalità è
Qontiene necessariamente il fondamento. Il fondamento è ciò per cui
totalità è. Se la totalità è il fondamento, questo è autofondazione; se la to-
talità contiene il fondamento, ciò che rientra nella totalità ma non è il fo
damento, è il fondato. Anche in questo caso il fondamento è autofon

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zione. Naturalmente il modo in cui il fondamento si fonda è diverso dal


modo in cui ciò che non è il fondamento è da questo fondato.
C. - Il fondamento non può non essere, perchè la totalità, che è necessaria,
implica necessariamente il fondamento. Se il fondamento è necessario è
anche eterno. Infatto è eterno soltanto ciò che non può non essere. Il fon-
damento, come ciò per cui la totalità è, non ha bisogno di un « altro »,
ma è a sè: ciò vuol dire che il fondamento è l'assoluto.

D. - Se il fondamento non ha bisogno di un « altro », significa che ha bi-


sogno soltanto di sè; ma poiché il fondamento è se stesso, trova in sè tutto
ciò per cui è quello che è. Se allora potenza significa poter essere come non
essere ancora, e se atto significa, rispetto alla potenza, ciò che il poter es-
sere, risolvendo il non essere ancora, può essere, segue che il fondamento
esclude da sè ogni potenza ed è atto puro. L'atto, non potendo essere un
poter essere come non essere ancora, è immobile. Ciò vuol dire che il fon-
damento è tutto ciò che può essere. Se il divenire è il passaggio dal non
essere ancora all'essere, segue che il fondamento esclude da sè ogni divenire.
E. - Il fondamento è uno. Se infatti i fondamenti fossero due sarebbero o
identici o diversi. Supponendo A e B i due fondamenti identici, rimar-
rebbe sempre la diversità data per A dal non esser B, e per B dal non
esser A. L'identità, rigorosamente considerata, è possibile nell'esser se
stesso da parte del fondamento. Supponendo A e B due fondamenti di-
versi, sia D ciò per cui è provocata la diversità, e sia A il fondamento cui
conviene D. Segue allora che B è in potenza rispetto a D. Ma il fonda-
mento non può essere in potenza. Soltanto ad A compete allora l'esser
fondamento.

F. - Il fondamento è l'uno. Ciò vuol dire che il fondamento è semplice. Se


infatti nel fondamento avesse luogo una molteplicità, le parti sarebbero
in potenza o reciprocamente o rispetto a ciò che le unisce. Se molteplicità
implica potenza, il fondamento è necessariamente l'uno. L'uno è infatti
l'atto stesso.

G. - Soltanto il fondamento è atto puro; soltanto il fondamento è immobile.


Nell'ipotesi che la totalità non si identifichi al fondamento, e se soltanto
il fondamento è l'immobile, segue necessariamente che il non-fondamento
(il fondato) è diveniente. Se infatti l'immobilità conviene necessariamente
al fondamento, negare il fondamento significa negare l'immobilità. Ma
poiché si è fatta l'ipotesi della non identità tra fondamento e totalità, la
negazione del fondamento non esce dell'essere: se la negazione dell'im-
mobilità non cade nel nulla, segue che il fondato è necessariamente mobile.
H. - Se è necessario che la totalità comprenda il fondamento, non è però
necessaria la identità tra fondamento e totalità, come non è necessaria la
alterità tra i due termini. Ciò che non può essere posto come necessario è
posto dalla deduzione in forma ipotetica. Il porsi dell'ipotesi dell'identità e
dell'alterità tra totalità e fondamento, è la prova dell'impossibilità per la de-

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duzione di dedurre qualcosa che esuli.dalla struttura necessaria dell


Il non-fondamento o fondato è appunto qualcosa che esula da
struttura : per tale motivo il fondato è presentato in forma ipotetica
stesso ipotetizzatore l'alterità tra fondamento e totalità, alterità ch
voca il residuo del fondato come di ciò che non essendo il fondamento
rientra nella totalità. Il rapporto tra fondamento e fondato è quindi trat-
tato in guisa di corollario, non facendo parte del compito essenziale della
deduzione. D'altra parte se la determinazione sarà in grado di determi-
nare qualcosa come fondato, il rapporto fra questo e il fondamento in-
tercorrerà secondo le modalità previste dalla deduzione.
I. - La totalità è fondata dal fondamento; ciò vuol dire che la totalità è sol-
tanto perchè il fondamento è. Da tutto ciò appare chiaro come il fonda-
mento sia l'oggetto proprio della deduzione: questa ha per compito di
enucleare la struttura del fondamento. Ora, se l'elaborazione dell'ipotesi
dell'identità tra totalità e fondamento non porta alcunché di nuovo all'e-
nucleazione della struttura del fondamento, l'elaborazione dell'ipotesi del-
l'alterità tra totalità e fondamento, compito accessorio della deduzione,
porta con sè la novità della struttura del fondato e «del rapporto tra fon-
damento e fondato. L'elaborazione di questa seconda ipotesi chiarità mag-
giormente le conclusioni della deduzione sul piano della necessità. L'ac-
certamento di qualcosa come non-fondamento, e cioè la conversione dei-
ipotesi in certezza spetta, come già si è detto, alla determinazione.
L. - Sia F = fondamento, nF = non-fondamento, T = totalità.
Se F è ciò pér cui T è, F è ciò senza cui nF, parte di T, non potrebbe es-
sere. Ma il porsi di nF non è necessario. Dimostrare questa proposizione
significa dimostrare l'assenza di necessità dall'ipotesi dell'alterità tra F e T.
Se infatti il porsi di nF fosse necessario, si darebbe : F = F + nF. Ma nF
è necessariamente mobile, cioè è necessariamente in potenza. E ciò che
diviene va escluso da F. Segue che il porsi di nF non è necessario.
Il porsi di nF non è casuale. Casualità può significare che il fondare
di F non è secondo F. Ciò che è assurdo perchè non essere secondo F si-
gnifica essere senza F. Ma F è ciò senza cui T non è, e, a maggior ragione,
è ciò per cui è il suo proprio atto fondante. Infatti ciò che non è secondo
F è infondato per quel tanto che non è secondo F. Essere secondo il fon-
damento significa essere assolutamente controllato da questo. Se per ca-
sualità si intende l'assenza di questo controllo, segue che il fondare di F,
e quindi la stessa risultante del fondare, nF, svolgentesi al di là del con-
trollo di F, non sarebbe fondato da F, mentre F è per definizione ciò
senza cui T, e quindi anche lo stesso fondare di F, non può essere in via
assoluta, e quindi non può essere nemmeno in modo che, pur essendo,
prescinda dall'essere secondo F. Segue che l'atto fondante di F non può
essere che secondo F.
Casualità può significare che la casualità dell'atto fondante è secondo
la casualità di F come legge di questo. Ma anche questo caso è assurdo

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LA STRUTTURA DELL'ESSERE

perchè 1'« esser secondo » la casualità di F da parte della casualità del-


l'atto fondante, non è casuale e contraddice la casualità come ipotetica
legge di F; inoltre F, come necessario, non può essere casuale. Se F fosse
casuale non sarebbe nemmeno fondamento di se stesso.

M. - F è ciò per cui T è. Non solo, ma la totalità è necessariamente secondo


il fondamento. Se nF è secondo F, se nF non è necessario e non è nem-
meno casuale, se d'altra parte nF è possibile in quanto non è necessaria
l'identità fra F e T, segue che F fonda liberamente nF : ciò vuol dire che
F può fondare come può astenersi dal fondare nF; ma se lo fonda lo
fond^ secondo sè. Se il porsi di nF segna una novità rispetto a T, non
segna alcunché di nuovo rispetto a F. Infatti F è quello che è anche senza
nF. Il porsi di nF non può segnare una novità rispetto a F, perchè altri-
menti F sarebbe in potenza rispetto a nF. Ora, se T = F + nF, la novità
di nF rispetto a T non è rispetto a qualcosa, ma rispetto al nulla, in quanto
è proprio il porsi di nF che costituisce T come F + nF. Se nF non deter-
mina una novità in F, e se, d'altra parte è tutto ciò che rimane in T pre-
scindendo da F, segue che F fonda nF dal nulla, non nel senso che il
nulla sia F di nF, ma, all'opposto, nel senso che F non ha bisogno di
un « altro » per fondare nF, e, d'altra parte, nF procede da F senza
provocare in F un divenire. Il fondare nF non aggiunge nulla a F, anche
se aggiunge qualcosa a T. L'atto di F che liberamente e assolutamente
fonda nF, può essere detto atto creatore. Creazione significa che se
T = F + nF, nF è assolutamente e liberamente fondato da F, senza che
F divenga (se F divenisse non sarebbe F; d'altra parte è necessario am-
mettere che F fondi nF così come abbiamo indicato).
N. - Se F fonda necessariamente secondo sè, significa che T è fondato se-
condo sè. Questa fondazione è necessaria: necessità non può significare
mento dell'autofondazione di F fa parte del compito essenziale della de-
duzione. L'esser fondato di nF da F fa parte, nel suo chiarirsi, del com-
pito accessorio della deduzione.
F è fondato secondo F. D'altra parte il fondamento fondato è radi-
calmente diverso, rispetto al fondamento fondante, dal non fondamento
fondato. Infatti F fondato non può essere qualcosa di diverso da F fon-
dante; non può, a maggior ragione, essere qualcosa di infondato che venga
fondato da F fondante. Se F è l'uno e se in F non vi può essere nulla di
infondato, segue che F fondato è lo stesso F fondante che fonda sè se-
condo F e quindi, innanzi tutto, che F è fondato secondo F. Il chiari-
coartazione, in quanto F è sè per sè, non ha bisogno di un altro per es-
serlo, e quindi non può essere coartato da alcunché. In seguito a ciò la
libertà del fondamento è la sua stessa necessità. Necessità indica allora la
semplice aseità dell'esser sè per sè e secondo sè, che in tale assoluta auto-
fondazione non può non essere.
Il fondamento non può fondare sè secondo sè casualmente. Infatti
se casualità significa possibilità di non essere (se cioè l'essere del fonda-

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mento non è interamente affidato al fondamento medesimo che nell'au-


tofondazione si pone necessariamente), evidentemente l'ipotesi proposta
è da respingere. Se per casualità si intende che F, pur essendo necessario
rispetto a nF, è poi casuale rispetto a sè, anche questa ipotesi va respinta
in quanto F è necessario rispetto a nF appunto perchè nell'autofondazione
pone sè secondo sè necessariamente : se infatti ciò non fosse, il fondamento
non potrebbe garantire la sua necessità rispetto al fondato. Infine, casualità
può significare che il fondamento, pur essendo secondo sè, non si possiede
come tale, nel senso che non si conosce come ciò che è secondo sè. Ora, se
da una parte si può sostenere che il conoscersi è lo stesso essere secondo sè,
dall'altra può essere mostrato che l'esser secondo sè implica necessaria-
mente il conoscersi. Se infatti F, pur essendo secondo sè, non si sapesse
tale, il modo di F di essere secondo sè dovrebbe essere dato da una neces-
sità di essere secondo sè, ma una necessità tale che, per F, non potrebbe
essere secondo sè, in quanto viene introdotta appunto per significare il
secondo sè nel caso questi si volga prescindendo dalla coscienza, e non
già per essere significata dal secondo sè. Ma ciò è assurdo in quanto F è
tale appunto perchè T (e quindi anche questa ipotetica necessità) è secondo
F. Ma poiché per F deve essere necessariamente ammessa la necessità di
essere secondo sè, poiché necessità significa qui il modo, la legge secondo
cui il sè è secondo sè, e poiché non si può ammettere la dualità della legge
e dell'esser secondo sè, è necessario ammettere che essere secondo sè è la
stessa legge secondo cui il sè è secondo sè, e che quindi tale legge non può
significare e regolare il secondo sè in quanto è questo stesso. Ciò posto, se il
fondamento è secondo sè, il sè secondo il quale il fondamento è, è la stessa
legge secondo la quale il fondamento deve essere. Ma affinchè F possa esse-
re secondo sè (cioè secondo la legge del sè, e cioè secondo sè come legge), e
poiché l'esser secondo sè è regolato dal sè medesimo, è necessario che il
sè si conosca come quel sè (legge) secondo il quale il fondamento è. Se F
non conoscesse sè come ciò secondo cui si pone, sarebbe sè secondo sè in un
modo tale da determinare la dipendenza del secondo sè da quella cieca
necessità per cui deve essere secondo sè. D'altra parte l'identità tra l'esser
secondo sè e la legge (necessità) secondo cui il sè è secondo sè, è possibile
soltanto se il fondamento si conosce come ciò che è secondo sè, in quanto
la conoscenza che F possiede della sua struttura esclude radicalmente che
tale struttura (il sè, la legge) possa essere regolata da una cieca necessità.
(Tale cecità è speculativamente significabile come deterministica meccani-
cità che regolerebbe automaticamente l'essere secondo sè del fondamento.)
Se il conoscersi del fondamento è ciò senza cui si verifica l'assurda di-
pendenza dell'esser secondo sè dalla necessità cieca, è necessario ammettere
che il fondamento si conosce.
O. - L'autofondazione del fondamento secondo sè, è ciò che chiamiamo
autocoscienza assoluta. Autocoscienza è infatti l'essere secondo sè. Ma per
il fondamento l'essere secondo sè non può voler dire semplicemente l'esser
* cosciente di sè, ma l'esser cosciente di sè come ciò che è secondo sè. Inoltre

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I. A STRUTTURA DELL'ESSERE

nel fondamento l'essere secondo sè e l'esser cosciente di sè come ciò


che è secondo sè, non può significare una dualità, ma l'esser cosciente
di sè deve essere lo stesso essere secondo sè. Segue allora che per il fon-
damento l'autocoscienza è la stessa autofondazione. Autocoscienza qui
significa essere cosciente di sè come ciò che si fonda secondo sè; autofon-
dazione significa fondare sè secondo sè nell'atto stesso che il fondamento
è cosciente di sè. L'esser secondo sè implica infatti necessariamente l'esser
cosciente di sè come di ciò che è secondo sè nell'esser cosciente di sè:
l'essere secondo sè implica l'esser cosciente di sè perchè il sè può essere
secondo se stesso soltanto quanto il sè si sa come un sè. Se il sè non si
sapesse come un sè non potrebbe essere secondo se stesso, in quanto per
poter essere secondo sè è necessario riconoscere sè come quel sè secondo
il quale bisogna essere. Ma nel fondamento il riconoscere, l'essere co-
sciente di sè non è un atto che si aggiunga all'esser secondo sè : se infatti
ciò fosse, il conoscersi del fondamento sarebbe escluso dal fondare sè se-
condo sè: il sapersi come un sè secondo sè sarebbe infondato. È necessa-
rio quindi che l'esser sè secondo sè sia lo stesso esser cosciente di sè:
cosciente di sè come ciò che è secondo sè, ed essere secondo sè nell'atto
stesso dell'esser cosciente di sè. Ciò che è chiamato da noi circolarità asso-
luta di autocoscienza e di autofondazione. L'assoluta circolarità tra il sè
che ha coscienza "di sè come di ciò che è secondo sè, e tra il sè che è
secondo sè come ciò che ha coscienza di sè, tale assoluta circolarità è
ciò che noi chiamiamo persona. Persona è il fondamento necessario che
liberamente fonda ciò che non è il fondamento. La libertà propria del
fondamento è la stessa circolarità di questo.
P. - L'assoluta circolarità di autocoscienza e di autofondazione è la media-
zione assoluta della totalità del reale. La circolarità è la stessa immobilità
del fondamento chiarita nella sua struttura: circolarità è infatti unità e
attualità pura. Segue da ciò che il divenire, come eccedenza della poten-
zialità sull'attualità, e quindi come instaurazione dell'alterità, si pone
come la stessa negazione della circolarità. Atto puro è soltanto ciò che è
cosciente di sè come ciò che è secondo sè.

Q. - Se l'alterità tra fondamento e totalità! non è necessaria, non è necessa-


ria nemmeno l'identità tra i due termini. L'accertamento dell'assenza di
questa seconda necessità è proprio della determinazione che constaterà
che di fatto qualcosa si pone come non fondamento. Ciò posto, il fonda-
mento può porre tutto ciò che è secondo sè. Ma il sè del fondamento
è l'atto stesso; ora, ciò che il fondamento pone, prescindendo dal suo
autofondarsi, è necessariamente in potenza. Se potenza è il non esser
ancora rispetto all'essere dell'atto, i passaggi dal non essere ancora all'es-
sere sono indefiniti. Ciò vuol dire che il fondamento può porre il fondato
infinitamente e indefinitamente. Ciò che può essere posto dal fondamento
secondo questo, è il possibile. Il fondamento, come ciò che può porre
l'infinita e indefinita possibilità del fondato secondo sè, è chiamato onni-

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potente. L'onnipotenza del fondamento rispetto al fondato è data dalla


capacità del fondamento di fondare il fondato possibile come la stessa
serie infinita di graduazioni che procede dal non essere ancora dell
potenza all'essere dell'atto. La serie infinita di graduazioni è possibilitat
dai modi infiniti in cui la potenza può limitare l'atto. L'onnipotenza del
fondamento rispetto a sè è data invece semplicemente dal suo essere sè
secondo sè, non potendo essere, il fondamento, diversamente dal come
R. - Il fondamento è « qualcosa ». Ciò che il fondamento è, è la sua essenz
Ma il fondamento è ciò che essendo necessariamente è secondo sè: l'es-
senza del fondamento è il suo stesso essere (esìstere) necessariamnte se-
condo sè : Ipsum esse subsistens. L'alterità di essenza ed esistenza porrebbe
il primo termine in potenza rispetto al secondo. Infatti è il divenire che
comprova, da ultimo, l'alterità di essenza e di esistenza, in quanto di-
viene soltanto ciò che può essere altro da ciò che è; ma ciò che può essere
altro è ciò la cui essenza non è la sua esistenza : l'ente la cui essenza è la
sua esistenza non può divenire perchè il suo divenire sarebbe divenire
altro dall'esistenza e cioè nulla, nè, d'altra parte, nulla può indurre a
diventar nulla ciò cui è essenziale l'esistere. L'identità di essenza ed esi-
stenza nel fondamento è data dal porsi di questo come circolarità di
autocoscienza e autofondazione : infatti l'aver coscienza di sè come di ciò
che è secondo sè e l'esser secondo sè come aver coscienza di sè, significa
esser sè come ciò che è necessariamente secondo sè; ma l'essere sè implica
il saper sè come sè, affinchè il sè possa essere secondo sè. Il saper sè come
sè corrisponde all'essenza, l'esser sè secondo sè corrisponde all'esistenza.
Ma poiché il saper sè come sè è nel fondamento lo stesso esser secondo
sè, segue che nel fondamento l'essenza è la stessa esistenza, nel senso che
il fondamento è circolarità di autocoscienza e autofondazione (si com-
prende ora in che senso la potenza può infinitamente limitare l'atto : tale
limitazione è data dall'infinito differenziarsi dell'essenza nell'esistenza,
differenziazione propria di tutto ciò che non è il fondamento).

S. - La deduzione ha raggiunto i risultati essenziali. La natura della nostra


indagine non consente un ulteriore sviluppo di questi risultati. Tale
sviluppo costituisce lo stesso approfondimento della teologia naturale.

PASSAGGIO

I. - La deduzione della struttura necessaria dell'essere è la stessa deduzione


della struttura del fondamento. La necessità della deduzione sta nel fatto
che negando uno qualsiasi dei termini dedotti o dei procedimenti dedu-
centi si urta in una contraddizione. Il principio che regge la deduzione
e che si porrebbe come il primo da considerare in ordine ad un'ipotetica
confutazione di questa, è quindi il principio di non contraddizione. Se
tale principio è applicato al qualcosa ipotetizzato all'inizio del procedi-

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LA STRUTTURA DELL'ESSERE

mento dimostrativo della deduzione, e se chiamiamo « ente » ogni qual-


cosa, si dovrà dire che questo ente è questo ente, e quindi questo ente non
è non questo ente : appunto per questo, questo ente non può essere nello
stesso tempo affermato e negato rispetto a una sua determinazione (deter-
minazione che può esser lo stesso ente nella totalità delle sue determina-
zioni), come non si può affermare di questo ente ciò che non è di questo
ente e non gli si può negare ciò che gli compete. Ancora, generalmente, si
può dire che l'ente non è il non ente. Il principio di non contraddizione è
assiomatico; la stessa negazione di questo ne implica l'accettazione.
2. - Se l'essere necessario è il fondamento, se il fondamento è qualcosa (ded.,
2, R), e se ogni qualcosa è ente, significa che per « essere » intendiamo
l'essere come ente o l'ente nel suo essere. L'essere è il trascendentale pre-
dicabile per ogni ente. L'essere si esaurisce nella totalità dell'ente. La
deduzione ha però dedotto soltanto l'essere necessario dell'ente necessario :
il fondamento si è rivelato come ciò che è il suo essere : per il fondamento
l'essere non solo è predicabile per l'ente, ma vi si identifica : l'ente è l'es-
sere. L'essere come trascendentale non va confuso con l'essere del fonda-
mento, in quanto l'essere come trascendentale comprende anche ciò che
si dovesse rivelare come fondato, mentre quest'ultimo è escluso dall'essere
del fondamento.

3. - Per razionalità dell'essere (o dell'ente) intendiamo la stessa struttura


dell'essere necessariamente dedotta in base all'ipotesi di un qualcosa (ente).
Per intelligibilità dell'essere (o dell'ente) intendiamo la semplice eide-
ticità, pensabilità dell'ente secondo il principio di non contraddizione.
La negazione della razionalità implica la negazione dell'intelligibilità,
in quanto la razionalità è la rigorosa conseguenza dell'intellibilità del-
l'essere.

4. - Se la deduzione ha dedotto il fondamento in base all'ipotesi del qual-


cosa, non viene esclusa a priori l'identità tra il qualcosa e il fondamento,
come non viene esclusa l'alterità tra i due termini. L'accertamento di
tale identità o alterità è il compito proprio della determinazione. Se la
determinazione accerta l'identità, accerta nello stesso tempo l'identità
tra totalità e fondamento, se accerta l'alterità accerta l'alterità tra totalità
e fondamento, e il valore residuale del qualcosa che si pone come il
fondato.

5. - L'occasione prossima del porsi della determinazione è data dalla ne-


cessità di risolvere le due questioni fondamentali che si presentano a con-
clusione della deduzione:

I. - la deduzione è basata sull'ipotesi del qualcosa reale. Senza l'accer-


tamento della necessità dell'ipotesi, cioè della conversione dell'ipotesi
in necessità (la necessità dell'affermazione dell'esserci realmente qual-
cosa), la deduzione ha una necessità ipotetica e quindi, in definitiva,
non è necessaria. La conversione dell'ipotesi in necessità non implica

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che la necessità dell'esserci realmente di qualcosa sia necessità n


senso in cui si dice che il fondamento è necessario, ma implica l
certamento di qualcosa di reale, in seguito al quale accertament
bisogna dire necessariamente (e qui è la conversione) che c'è re
mente qualcosa, a prescindere dal fatto che il qualcosa sia o non
il fondamento necessario.

II. - Che cosa assicura che l'implicanza tra intelligibilità e razionalità


non riguardi semplicemente la sistemazione razionale dell'essere, che
cioè l'implicanza logica sia nello stesso tempo implicanza ontologica ?

La risposta a questi due problemi segna l'inizio della determinazione


che inoltre deve prendere in considerazione questo tipo speciale di deter-
minazione della deduzione:

la deduzione è pensata; il pensiero è ciò senza cui la deduzione non


potrebbe essere, e senza cui lo stesso qualcosa ipotetizzato (pensato)
non potrebbe essere : dunque il pensiero è il fondamento.
Attraverso il chiarimento dell'infondatezza di questo tipo di determina-
zione, la determinazione riguadagnerà i risultati della deduzione deter-
minandoli.

DETERMINAZIONE DELLA STRUTTURA DEDOTTA

i. Definizione e portata della determinazione.

Per determinazione della struttura dedotta intendiamo quel procedim


to dimostrativo che accertando la realtà di qualcosa determina l'identità
identifica il pensiero al fondamento.
La determinazione può quindi determinare anche ciò che non fa pa
della struttura necessaria dell'essere. La determinazione, accertando il
cosa, lo accerta come realtà che esige condizioni reali. È compito della de
minazione determinare il rigoroso concetto di essere (ente, esse, esistente) c
quello in relazione al quale deve commisurarsi quella determinazion
identifica il pensiero al fondamento.
2. Il dato.

Intendiamo per dato la determinazione originaria della struttura ded


Determinazione originaria è l'unità originaria del manifestarsi dell'ente
presenza dell'ente). L'unità originaria è, come tale, la stessa totalità del
festarsi dell'ente. In tal modo il dato è la stessa esperienza, in quanto l'
rienza del dato è il dato stesso che si presenta. Il dato è l'ente immediatame
manifesto, ove il manifestare è lo stesso manifestato. Il dato, come d
minazione originaria, è la stessa verità originaria. La verità originaria,
unità originaria della presenza dell'ente, è fondata sulla presenza imme
nel senso in cui si dice che questo ente è vero perchè è presente nella
piena realtà. In seguito a ciò l'affermazione : « questo ente è reale » è
perchè questo ente è presente nella misura in cui è affermato come r

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Verità originaria è adaequatio intellectus et rei nel senso che l'adaequatio


è originaria, e che la dualità dei termini che la costituiscono non rientra nel-
l'originarietà ma è un secondo rispetto a questa. YJ adaequatio è il dato come
manifestazione dell'ente. L'ente, come totalità dell'unità originaria non si dà
come qualcosa che si manifesta da sè, ma come qualcosa che è manifestato.
Rispetto alla verità originaria il manifestare non è nient'altro oltre l'ente ma-
nifesto: l'identità tra manifestare e manifestato è assoluta. D'altra parte la
assolutezza di questa identità deve conciliarsi col darsi dell'ente come qualco-
sa che non si manifesta da sè, ma come qualcosa che è manifestato, il che
implica una certa alterità tra il manifestare e l'ente manifesto. Tale alterità
specifica la portata del concetto di unità originaria come assoluta identità
di manifestare e manifestato. Se il dato è la totalità dell'ente manifesto come
unità originaria, identità che non può significare il semplice essere se stesso di
qualcosa; se ciò fosse, il dato, come identità di manifestare e manifestato, do-
vrebbe darsi come ciò che si manifesta come il manifestare sè da sè (il sè indica,
naturalmente, il dato come totalità dell'ente manifesto): il sè manifestato
dovrebbe manifestarsi come manifestante se stesso. Ma ciò non corrisponde
alla verità originaria del dato come darsi dell'ente che non si manifesta da sè
ma è manifestato.
Il dato è allora l'unità' di una dualità, ma in modo tale che ciò che è
originariamente presente è costituito dall'unità. Ora, l'unità è lo stesso ente
manifesto originariamente in se stesso: ciò vuol dire che il manifestare non
altera ciò che è manifestato, ma semplicemente lo svela. Se l'unità è unità di
una dualità e se d'altra parte l'unità è costituita dall'originaria presenza del-
l'ente, l'assoluta identità di manifestare e manifestato è possibile soltanto come
identità intenzionale. Infatti l'identità intenzionale (che è lo stesso dato) im-
plica necessariamente una dualità. L'identità intenzionale è possibile in quanto
ciò che si intenziona è strutturalmente diverso da ciò cui si intenziona : se ciò
non fosse l'identità dei due termini nell'unità originaria provocherebbe l'al-
terazione di ciò cui l'intenzionarsi si intenziona.
È da osservare come della dualità dell'unità si daranno due modi radi-
calmente distinti. Infatti ci si può accertare di una certa dualità rimanendo
all'interno dell'unità stessa e considerando cioè da una parte il pensiero come
logicità astratta e universale, e dall'altra l'ente come concretezza individuale.
Tale dualità è essa stessa data. Senonchè a noi preme giungere alla radice
della questione che sollecita una soluzione più radicale della dualità dell'unità :
il contenuto logico si pone infatti sullo stesso piano del contenuto concreto
in modo che la dualità dei due contenuti si ripone come termine unico (i due
contenuti sono entrambi manifesti) che sollecita l'inferenza al termine che
possibilita il manifestarsi del primo termine. Ma di ciò si vedrà più innanzi.
In seguito alle riflessioni fatte può esser posta la seguente catena di
uguaglianza : dato = determinazione originaria = unità1 originaria = esperien-
za = verità originaria = identità intenzionale.

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3. Verità originaria e principio di non contraddizion


Lente originariamente manifesto, è manifesto, secondo la sua eidet
come una questità. Il principio di non contraddizione è basato appun
presentarsi dell'ente nella sua questità. Negare allora il principio di no
traddizione significa negare la verità originaria strutturata appunto se
questo principio. Tale principio è la legge originaria del dato.

4. Fondatezza del dato.


Il dato non può essere in alcun modo smentito in quanto è l'origi
manifestarsi dell'ente in se stesso. Concepire il dato come apparenza
menica significa presupporre una struttura noumenica dell'ente. Simil
concepire il dato come una non realtà, significa presupporre un reale n
nico: il dato è il manifestarsi dell'ente (dell'essere) reale, e non l'appa
fenomenico di una realtà trascendente. Ancora, se l'intelligibilità dell'
il suo manifestarsi originariamente in una questità, e se l'intelligibilità im
necessariamente la razionalità dell'ente, supporre che tale implicanza s
tanto logica e non ontologica, significa presupporre un'ontologicità no
nica, infondata in quanto presupposta. Il rapporto che intercorre tra
gibilità e razionalità è il medesimo che intercorre tra principio di non
traddizione e principio di ragion sufficiente. Col che è risolta la secon
stione prospettata nel passaggio. Segue da ciò che il dato è l'ente real
manifesto, e che ciò che è necessariamente implicato dal dato è realm
se non fosse realmente si ricadrebbe nella presupposizione suaccennata
plicanza è infatti implicanza dell'implicato).

5. Il dato e l'ipotesi del qualcosa.


Se il dato è la presenza originaria dell'ente reale, con l'accertament
dato si opera la conversione dell'ipotesi del qualcosa in necessità, in q
se l'ente reale è presente, è necessario affermare che qualcosa di reale
mente. In seguito a ciò può essere posta l'equazione tra il qualcosa dell'
e il dato. Col che è risolta la prima questione prospettata dal passaggio

6. Deduzione e determinazione.

Col risolvimento delle due questioni prospettate al n. 5 del passaggio


deduzione riceve dalla determinazione una necessità assoluta : la struttur
dotta è pienamente reale nella sua necessità. Il compito fondamentale che
si presenta è la determinazione dell'identità o dell'alterità fra il dato e
fondamento (o, che è lo stesso, la determinazione dell'identità o dell'alte
tra il dato e la totalità, in quanto se la totalità contiene necessariamen
fondamento, l'equazione dato = totalità implicherebbe l'equazione dato sf
damento poiché il dato si presenta come unità comprendente la totalità
presenza, e quindi il dato non potrebbe essere altro che il fondame
escludendosi così necessariamente la possibilità del fondato. E viceversa l'
zione dato = fondamento implicherebbe l'equazione dato = totalità, in qu

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se tanto la deduzione come la determinazione non pervenissero a qualcosa


come fondato, la possibilità di pervenirvi sarebbe definitivamente pregiudicata
e la totalità si identificherebbe al fondamento).

7. Il dato come fondamento metodologico.


In seguito a tali considerazioni il dato si pone intanto come il termine
di riferimento certissimo di ogni indagine speculativa, e come verità originaria
ne costituisce anche il metodo originario, nel senso che il metodo autentico
consiste nell'appellarsi alla verità originaria. In relazione alla sua particolare
posizione di termine di confronto, chiamiamo il dato fondamento metodolo-
gico. La problematicità del fondamento metodologico è data dal porsi di que-
sto come ciò che dovrà rivelare la sua identità o alterità al fondamento. Il dato,
come fondamento metodologico, si pone come il radicale punto di partenza
della determinazione. Ciò non esclude che il dato possa essere dimostrato
come lo stesso fondamento, e quindi come il punto di arrivo della deter-
minazione.

8. Impossibilità dell'equazione immediata tra de-


terminazione originaria e struttura dedotta.

Se per equazione immediata tra determinazione origi


tura dedotta si intende l'immediata posizione dell'assolu
dente l'impossibilità di tale equazione, appunto perchè
si configura come la stessa problematicità che investe
dimostrarlo come il fondamento o come il fondato. L
di porsi o no come il fondamento è la deduzione del co
come dimostrazione. Mediazione può infatti significare
dell'immediato in cui consiste l'identità intenzionale de
zione di checchessia, tale che la posizione contraria ris
contraddittoria. È evidente che la mediazione del da
come il fondamento, appartiene al secondo tipo di med
la mediazione come dimostrazione. La deduzione è la r
nel secondo significato, dell'ipotesi del qualcosa: infatti
del qualcosa iftiplica necessariamente la struttura dedot
riamente ogni altra struttura come contradditoria.
Ma che significa « posizione » di qualcosa? e la medi
diato non è, appunto, la posizione dell'immediato co
manifestamente innanzi a quel tipo speciale di determ
nava alla fine del passaggio. La quale si ripresenta sott
supposta la dimostrazione dell'alterità del fondamento
cedimento dimostrativo è pensato e quindi rientra
come, in alcun modo, si possa stabilire una alterità
che l'autentico « porre » è il pensare.
Ê necessario quindi accertare il senso della possibili
dato.
Se il dato, come presenza immediata, è intrascendibile, la presenza si

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presenta strutturalmente secondo due possibilità : i) presenza come or


verità di ciò che è presente e che è reale per quel tanto che è present
senza del presente, 2) presenza di ciò che, pur essendo certamente pre
quanto pensato, è dimostrato reale in misura maggiore di quel tant
è per presenza: presenza dell'assente (e cioè di tutto ciò che costitui
alterità alla presenza del presente). Supposto che il procedimento dimostr
riesca a determinare l'alterità di dato e fondamento, il fondamento
terminato rientra certamente nella determinazione originaria del dat
rientra per quel tanto che, appunto, è presente. Ma presente non è l
del fondamento come tale (la presenza dell'assente si convertirebbe in tal
in presenza del presente), bensì il concetto di alterità, e cioè il concet
alterità del fondamento al dato: il concetto di fondamento trascendente.
concetto è reale della stessa realtà della verità originaria : reale e quin
perchè presente. Senonchè, la semplice realtà1 di tale concetto sarebbe de
insufficiente a porre il contenuto eidetico di questo concetto come i
mento della totalità. Ora, poiché il fondamento è necessariamente, è n
rio ammettere tutta quella misura di realtà del fondamento che ecc
presenza presente (il concetto) per quel tanto necessario al costituirsi
damento come fondamento della totalità. Questa misura eccedente è
ralmente, presente, ma del secondo tipo di presenza. In tal modo, s
dato si intende l'esser presente di qualcosa in modo che il qualcosa è
sciuto reale nella misura in cui è presente, si chiarisce l'unico senso
possibilità di un'alterità al dato, nell'ipotesi si sia in possesso di quell
strazione che stabilisce la alterità di dato e fondamento. In vista di
possibile alterità si parlava di « impossibilità dell'equazione immedia
determinazione originaria e struttura dedotta ». La possibilità dell'a
deve essere, appunto, mediata come pure deve essere mediata l'iden
caso si imponga la dimostrazione contraria a quella che noi abbia
tetizzato.
Intanto rimane chiaro come ai due tipi di mediazione corrispond
due tipi di presenza. Il primo mediato è vero perchè è presente, il
è vero non per quel tanto che è presente, ma per quel tanto che è dim
come reale, cioè per quel tanto che è stato escluso il suo contrar
contradditorio.
Se la questione interessava qui in termini di pura possibilità, gio
riprendere concretamente il problema della determinazione della total
ripresa chiarirà definitivamente il significato della duplice mediazion
sua relazione alla duplice presenza.

9. Per la determinazione della totalità.


A. - Se l'essere presente è tale secondo la questità (eideticità) di c
presente, e se questità significa determinatezza, si pone l'equazio
essere presente (attuale, manifesto) e esser determinato. Tale equa
come tale, non pregiudica la possibilità che il determinato possa n
sere presente.

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B. - La totalità è presente indeterminatamente nel concetto che se ne pos-


siede, cioè è determinata indeterminatamente. L'indeterminatezza riguar-
da la molteplicità che costituisce l'unità come tale determinata. Tale mol-
teplicità è data (non nella sua integralità) immediatamente e attraverso
una processuale determinazione (attualizzazione) dell'indeterminato. Il
dato, come divenire di determinatezze, accerta che la totalità delle deter-
minatezze non è data: se fosse data, il divenire, come processuale darsi
di determinatezze, cesserebbe; poiché il divenire è una realtà (è anzi la
originaria realtà), è necessario che la totalità delle determinatezze non sia
data, e che quindi tale totalità sia determinata (data) indeterminatamente.
La totalità, come determinata, rientra nel dato in quanto la totalità
è data, sia pure indeterminatamente. Si tratta di stabilire se l'indetermina-
tezza, determinata come tale, è interamente risolvibile nel suo esser così
determinata, oppure se l'indeterminato si strutturi secondo quella misura
eccedente che abbiamo preso in considerazione (determ., n. 8). In tal caso
la misura eccedente si porrebbe come determinatezza non presente come
tale (appunto, indeterminatamente presente). Infatti i concetti di determi-
natezzadel determinato e di determinatezza dell'indeterminato corrispon-
dono rispettivamente ai concetti di presenza del presente e di presenza
dell'assente. Sino a che non e dimostrata la determinatezza dell'assente
nella sua eccedenza alla presenza che presenta l'assente come tale, l'iden-
tità tra totalità1 e dato è assoluta, in quanto l'assente è, appunto, presente
come tale. E tale dimostrazione è necessaria, in quanto l'assente per quel
tanto che è presente non ha bisogno di essere dimostrato; ma per quel
tanto che è presente, l'assente non soddisfa a quelle condizioni in base alle
quali l'assente dovrebbe costituire una alterità al dato : la necessità di un
tale costituire sorge poi quando il dato avesse a rivelare la sua insufficienza
a porsi come il fondamento.

C. - La processuale determinazione dell'indeterminato è il dato medesimo


nella sua dinamicità. Il divenire del manifestare (del conoscere) consiste
appunto in questa processualità.

D. - Il divenire è dato in quanto è il dato stesso. Se il dato diviene, il


dato non è il .fondamento (deduz., n. 2, D, G). Oppure, in altro modo:
se il dato non si dà come ciò che si pone, e non si pone come ciò che
si dà (che si conosce), e se tale porsi e tale darsi è la condizione della cir-
colarità assoluta di autofondazione e di autocoscienza (deduz., n. 2, N, O,
P) - circolarità propria del fondamento - segue che il dato non è il
fondamento. Infatti il dato, come totalità dell'ente immediatamente ma-
nifesto, non si conosce secondo la sua totalità, ma secondo l'atto di un
suo particolare contenuto: il pensiero dell'uomo. Il fondamento è la ra-
gion sufficiente, la condizione del fondato ; se il dato è realmente ma
non è il fondamento, il dato è il fondato. Il concetto di alterità tra dato
e fondamento si considererà esplicitamente al n. 14. A questo punto

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preme chiarire, come apparirà da quel che segue, quelle due condizion
del dato che esigono di essere esaminate prima di affermare senz'altr
la trascendenza (alterità) del fondamento al dato. Tali condizioni sa
ranno a loro volta dimostrate trascendenti il dato come tale, ma, nell
stesso tempo, immanenti a questo come costitutive di questo stesso. Ac
certata l'infondatezza di queste condizioni, la sollecitazione al fondamen
to trascendente non potrà aver più ostacoli.

IO. IL FONDAMENTO ONTICO.

A. - Se il determinato manifesto, in quanto diveniente, non è ragion suff


ciente di sè, le condizioni della sua sufficienza non possono essere cercat
che all'interno della totalità.

B. - Se il divenire del manifestare consiste in una processuale determina-


zione dell'indeterminato, l'indeterminato sta al determinato come la po
tenza sta all'atto.

C. - L'indeterminato è determinato come indeterminato; ma questa deter


minazione è ciò che, appunto, pone l'indeterminato come tale, e quind
non è ragion sufficiente della determinatezza del determinato: l'attualit
della potenzialità dell'indeterminato (e cioè il concetto di totalità, che r
spetto alle determinatezze attuali è la potenza di queste, attuale appunto
in quanto concetto) non è ragion sufficiente della determinatezza attua
del determinato. Se fosse ragion sufficiente, il non essere (l'indetermin
tezza è non essere della determinatezza) sarebbe ragion sufficinte dell'e
sere, e quindi il non essere sarebbe, contro il principio di contraddizion
Nè, d'altra parte, il manifestare può essere ragion sufficiente della de-
terminatezza attuale, in quanto non è dato il produrre la determinatezz
(l'ente) da parte del manifestare come tale. Con ciò non si pregiudica la
possibilità di un tale produrre, solo si esclude l'identità tra l'atto che pro-
duce e l'atto che manifesta.

D. - È necessario quindi che la determinatezza del determinato (dell'a


tuale) abbia la sua ragion sufficiente in una determinatezza dell'indeter
minato (tale determinatezza è dell'indeterminato in quanto non può es-
sere cercata fuori di questo che è la stessa totalità di ogni possibile dete
minatezza). Questa determinatezza dell'indeterminato, ragion sufficien
della determinatezza del determinato, non è data in quanto è data sol
tanto la determinatezza del determinato, la determinatezza dell'indeter
minato che pone questo come tale e che quindi non è ragione sufficient
della determinatezza del determinato, e la processuale determinazione
dell'indeterminato. Se questa speciale determinatezza dell'indeterminat
non è data, trascende l'indeterminato come tale, trascende cioè l'attuali
dell'indeterminato, e trascende, altresì, quella determinatezza del deter
minato di cui è ragion sufficiente. La totalità può essere, come indeter
minato, potenza dell'attualità della determinatezza del determinato, sol

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tanto perchè quella potenza è sorretta da una determinatezza trascendente,


determinatezza che è l'atto possibilitante l'indeterminato attuale come po-
tenza della determinatezza attuale. Il porsi della determinatezza trascen-
dente la determinatezza attuale è il porsi stesso di quella misura eccedente
(porsi parziale o totale rispetto alla totalità della misura) per la quale
l'assente eccede (trascende) il suo semplice esser presente come assente.
La dimostrazione della realtà della misura eccedente attesta come la tota-
lità non sia il dato, ma come il dato sia il modo in cui la totalità è pre-
sente : infatti la dimostrazione della realtà della misura eccedente non ri-
solve l'indeterminato nel determinato attuale, ma conferma una deter-
minatezza che trascende la determinatezza attuale. Se la totalità deve
essere totalità di determinatezze, questa totalità rimane, pur tuttavia, cono-
sciuta indeterminatamente. In seguito a ciò si dirà che il dato non è la
totalità per quel tanto che questa eccede la presenza. Obbiettare che la
eccedenza, come pensata, rientra ancora nel dato, non conta nulla in
quanto l'eccedenza, anche se dimostrata nella sua trascendenza determi-
nata, rimane pur sempre pensata indeterminatamente (cioè è sempre
determinata come indeterminata), e l'indeterminatezza, ancora, non può,
determinata come tale, dar ragione della determinatezza attuale : il pro-
blema è semplicemente spostato, ma, parallelamente, si ripone la ne-
cessità di dare ragion sufficiente del determinato col determinato: spo-
stare il problema all'infinito è impossibile in quanto sarebbe confermata
all'infinito la contraddizione del non essere dell'indeterminato che condi-
ziona l'essere del determinato; e cioè del non essere che è.

E. - Se il conoscere è conoscenza dell'essere, e se quindi il manifestare non


altera l'ente, poiché l'ente è la stessa determinatezza, segue che la de-
terminatezza trascendente, ragion sufficiente della determinatezza imma-
nente (immanente = attuale), è la stessa determinatezza immanente pre-
scindente dalla nota dell'immanenza (dell'attualità, dell'esser manifesto),
ed è cioè lo stesso atto di essere dell'ente indipendente dal manifestare.
Il concetto di determinatezza trascendeente come misura eccedente è la
radicale esplicitazione del concetto di essere (esistenza, esse).
F. - Per fondamento ontico intendiamo la totalità della determinatezza tra-
scendente. Questa totalità è la stessa totalità determinata come indetermi-
nata, considerata (dimostrata) a prescindere dal suo esser manifesta.

G. - Il fondamento ontico, in seguito all'alterità problematica tra dato e


totalità, può essere :

i) - fondamento ontico del dato, e cioè totalità delle determinatezze


(degli enti) attuali come verità originaria, considerate a prescindere
dalla loro presenza. Poiché il dato comprende tutta l'esperienza pos-
sibile, il fondamento ontico del dato comprende tutto ciò che può
essere oggetto di esperienza possibile (dove esperienza significa l'atto
che riconosce qualcosa come reale nella misura in cui questo qualcosa

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è presente). Da ciò si vede che se il fondamento ontico del dato


fondamento ontico della presenza del presente, il fondamento ontic
come tale, è incluso nella presente dell'assente, in quanto non
esperienza di ciò che eccede (trascende) l'esperienza, o, se mai, s
esperienza a quel modo per cui si dice che l'assenza è presente.
2) - fondamento ontico della totalità, e cioè la totalità senz'altro d
determinatezze considerate a prescindere dal loro essere manif
(e a prescindere dalla problematica dell'identità o dell'alterità d
dato alla totalità). Il fondamento ontico della totalità compren
fondamento ontico del dato e di tutto ciò che non può essere afferm
reale nella semplice misura in cui è presente. , Infatti il fondam
ontico del dato è ciò che, affermato reale nella misura in cui è
sente, è considerato a prescindere dalla sua presenza. Da ciò in
mincia a chiarirsi come ciò che fosse dimostrato reale in misura
maggiore dal come è presente, come fondamento ontico dovrebbe
essere fondamento di una presenza, anche se non di quella in pos-
sesso dell'uomo. Infatti se il fondamento ontico è dimostrato nella
sua alterità alla semplice presenza, è però dimostrato in relazione alla
presenza, e non avrebbe significato prescindendo da questa.

il. Corollari.

Come si vedrà esplicitamente più innanzi, il fondamento ontico de


non è il fondamento, in quanto se il fondamento ontico è ragion suff
della determinatezza attuale, in quanto onticità eidetica, non è però
sufficiente del manifestarsi di questa determinatezza: il dato, nella su
lità, si dà come ciò che non si manifesta da sè, ma come ciò che è
festato. Reciprocamente non è dato che il manifestare sia nello stesso
fondazione ontica dell'ente, che, in altri termini, sia potente sull'en
senso che l'atto manifestante sia nello stesso tempo l'atto che pone l
di essere dell'ente. Il manifestare manifesta l'ente nel suo atto di essere : l
di essere dell'ente è il fondamento ontico del suo esser manifestato; il
mento ontico del dato non è automanifestazione. Inoltre, se il manif
rivela semplicemente l'ente senza alterarlo, il divenire del dato non vien m
nel fondamento ontico del dato, e il fondamento ontico del dato, com
niente, non può essere il fondamento. A proposito del divenire del dato è
servare che tale divenire può essere considerato in due modi : 1) come div
proprio della processualità del conoscere (determ. n. 9, C.), 2) come di
proprio del conosciuto (che è poi, ancora, divenire del conoscente). Il
divenire è quello proprio dell'identificarsi del pensiero all'essere; il second
venire è proprio quello dell'essere che in tale identificazione appare, ap
come diveniente. L'inferenza che dimostra il fondamento ontico, com
scissione dal manifestare (pensare) è, nello stesso tempo prescissione d
nire di questo (dal primo tipo di divenire), ma è conferma del divenire pr
dell'ente manifesto, divenire dovuto non già al manifestare (chè quest

40?.

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può nulla sul manifestato in quanto ente), ma alla struttura stessa dell'atto di
essere dell'ente.
Ciò posto, il rapporto che intercorre tra dato e totalità è determinato dalla
misura eccedente che costituisce la differenza tra totalità e dato. Infatti il dato
è presenza del presente, e quindi anche dell'assente per quel tanto che l'assente
è presente (cioè nel suo concetto). La differenza tra dato e totalità è data
dalla misura che eccede la presenza dell'assente. Il fondamento ontico costitui-
sce la prima determinazione della misura eccedente. Se il dato non è il fon-
damento, e se nemmeno il fondamento ontico del dato è il fondamento, è
evidente come il fondamento ontico del dato non esaurisca la misura ecce-
dente che deve contenere necessariamente il fondamento. D'altra parte, se per
fondamento ontico intendiamo l'atto di essere di ogni ente determinato, pre-
scindendo dal suo manifestarsi, è evidente che il fondamento ontico si estende
a tutta la sua misura eccedente e quindi al fondamento in questa compreso.
Ciò vuol dire che la totalità ha il suo fondamento ontico strutturato secondo
l'essenza dell'ente ad esso costituito.
Ora, se il fondamento ontico del dato è lo stesso contenuto manifesto
del dato, considerato a prescindere dal suo esser così manifesto, potrà essere
posta la seguente proporzione: il dato sta alla totalità come il fondamento
ontico del dato sta al fondamento ontico della totalità. E cioè: se nel dato
rientra il concetto di assente (di « altro » dal dato), il concetto di assente è pre-
sente in quanto nel dato l'assente è presente soltanto come concetto; e se il
fondameno ontico di tale concetto è questo stesso concetto considerato a pre-
scindere dal suo essere manifesto (e ciò è possibile in quanto l'atto che forma il
concetto è diverso dall'atto che lo manifesta), la differenza tra fondamento
ontico del dato e fondamento ontico della totalità consiste nella misura che
eccede la semplice logicità del concetto di assente, che la eccede per quel tanto
necessario al costituirsi del fondamento come fondamento della totalità. A chi
poi obbiettasse che il concetto di assente, di fondamento, di totalità, di fonda-
mento ontico, come pensati rientrano nel dato, è da rispondere che rientrano,
appunto, come concetti, mentre è necessario inferire il loro contenuto come rea-
le. Questa inferenza inferisce la misura eccedente, presente anch'essa come con-
cetto, ma eccedente la concettualità in forza del suo stesso contenuto (se non la
eccedesse - naturalmente dimostrata la necessità di eccederla - si toglierebbe
lo stesso contenuto del concetto, in quanto una misura eccedente che si risol-
vesse integralmente nella presenza sarebbe priva di ogni significato).
Il compito dell'indagine è quello di chiarire ora la struttura del fonda-
mento ontico del fondato, in relazione a quel modo di fondazione che essen-
zialmente si relaziona al fondamento ontico.

12. Il fondamento ontologico.

A. - Il fondamento ontico del dato è l'atto di essere dell'ente originari


mente presente, considerato nella sua capacità di essere manifestato come
quell'ente che esso è. Questa capacità, come misura eccedente, è inferita, e
cioè dimostrata nella sua necessità: come tale questa capacità non è pre-

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sente (non è presente ciò che può esser presentato e che quindi n
attualmente presente), per quanto sia presente nel suo concetto. Se il f
damento ontico del dato è l'ente stesso originariamente presente c
derato a prescindere dalla presenza, e se la presenza originaria de
non è il presentarsi dell'ente come ciò che da sè si manifesta, segu
il fondamento ontico non è la ragion sufficiente della presenza di
l'ente che nel suo atto di essere ha la capacità di essere presentato
nifestato). D'altra parte l'ente è di fatto manifesto: segue da ciò
diritto deve esserci una capacità di manifestare quell'ente che da sè no
manifesta: deve esserci cioè una possibilizzazione del manifestare
Questa capacità di manifestare è, in un primo senso generale, il
siero, che è esso pure dato come ciò che manifesta l'ente. Il pensiero è
considerato come logicità universale astratta dal reale concreto e
viduo. Intenzionalità significa appunto l'intenzionarsi della logici
l'ente reale manifestandolo come quell'ente che esso è. Il conoscer
tal modo è interpretato entro i limiti della pura attualità (fenome
gická) del dato. E tale indagine è pienamente valida. (Per l'indagin
nomenologica sul conoscere cfr. : G. Bontadini, Saggio di una met
dell'esperienza, cap. quarto, II). Anzi, rispetto al conoscere come
l'unica indagine possibile. Senonchè il nostro problema, come
che deve portare alla luce la capacità come tale di manifestare, non
fermarsi a questa soluzione. Infatti il problema si ripone osservand
la stessa logicità è sempre un aver presente l'essere, anche se in mo
verso (astrattamente cioè) dal come è presente nella sua concreta i
dualità (la presenza dell'astratto sta alla presenza del concreto così
la presenza dell'assente sta alla presenza del presente : l'ente del dat
essere presente secondo tutte e due le presenze; non così l'ente che
tuisce la misura eccedente, che può essere presente soltanto seco
presenza dell'assente). Da ciò si vede che se il pensiero è sì il f
mento immanente della presenza dell'ente, d'altra parte non si pone, a
ra, come tale, come la radice della presenza; infatti il pensiero è sempr
me logicità. Se si obbiettasse che tale radice (capacità di manifestar
essere nel pensamento della logicità si risponde che anche tale pensame
si pone come presenza di qualcosa, e così pure il pensamenta del
mento, e così all'infinito. Per questa strada si otterrà una serie ind
di presenze che avranno tutte la medesima struttura della presenz
quale si sta ora cercando il fondamento.
Oltre al fatto che il pensiero si presenta sempre come strutt
secondo la presenza che è sempre presenza di qualcosa, ammetter
la logicità, come fondamento immanente del manifestare, sia la
capacità di manifestare (radice della presenza: tale capacità deve e
necessariamente in quanto l'ente è manifesto di fatto) significa im
lizzare il divenire del conoscere entro l'orizzonte della logicità qu
attualmente strutturata, significa cioè affermare che si è capaci di
scere soltanto ciò che attualmente (di fatto) si conosce. Se fosse vero c

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può conoscere solo ciò che è conosciuto di fatto, ogni conoscenza nuova
rispetto a ciò che è conosciuto di fatto, non sarebbe una conoscenza; il
che urta contro l'evidenza del dato che si dà come un'indefinita proces-
suali di conoscenze impreviste.
Si dovrà dire allora: la capacità di manifestare è necessariamente,
perchè l'ente è di fatto manifesto; d'altra parte tale capacità non ha il
suo fondamento nel manifesto di fatto per i motivi sopra visti : all'oppo-
sto il manifestare di fatto può presentarsi come indefinita processualità
solo sul fondamento di quella capacità di manifestare.

B. - Se così stanno le cose la capacità di manifestare (possihilizzazione del


manifestare) non è un atto conoscitivo nel senso in cui è conoscenza il pen-
siero determinato, ma è il fondamento ontologico di ogni atto di cono-
scenza. Inoltre tale capacità non è da confondere con la coscienza, che
l'uomo possiede, di esser capace di manifestare : tale coscienza è essa stessa
possibile sul fondamento della capacità di manifestare.

C. - La capacità di manifestare, come tale, non è data (presente secondo


la presenza del presente), ma è presente soltanto nel suo concetto (pre-
sente secondo la presenza dell'assente); in tal senso si pone come misura
eccedente, e cioè come la seconda determinazione di questa misura. Segue
allora che la capacità di manifestare trascende l'orizzonte immediato del-
l'originario manifestarsi dell'ente.

D. - Per fondamento ontologico intendiamo la struttura della capacità tra-


scendentale del manifestare. La trascendentalità è dovuta al fatto che il
fondamento ontologico non rientra nel dato, ma è inferito (dimostrato)
come condizione ontologica del dato, così come il fondamento ontico è
stato inferito (dimostrato) come condizione ontica del dato. Il fondamento
ontologico, come possihilizzazione trascendentale del conoscere determi-
nato, si pone allora come quell'orizzonte trascendentale che, come infi-
nita virtualità, possibilita il presentarsi dell'ente come quell'ente che esso
è in se stesso; possibilita cioè ontologicamente il porsi dell'orizzonte im-
manente costituito dalla presenza ariginaria dell'ente.

E. - Il fondamento ontologico è allora la stessa coscienza considerata a


prescindere da ogni contenuto (astratto e concreto), e come pura capacità
di manifestare ogni contenuto. Con ciò si vuol dire che se il fondamento
ontologico, come pura capacità, non è più atto di conoscenza, d'altra parte
non costituisce, in quanto pura formalità, una realtà diversa da quella
del pensiero considerato come logicità astratta, ma è la stessa realtà tra-
scendentale del pensiero configurantes! come puro orizzonte formale.
L'orizzonte ontologico è quella trascendentalità entro cui l'ente può ma-
nifestarsi. Il <( ciò entro cui » trascende come tale 1'« entro cui »; in tal
modo è termine di inferenza in quanto quando si pone come un'« entro
cui » si pone nello stesso tempo come una presenza che richiede nel « ciò »
il suo fondamento, e il « ciò » è appunto il termine dell'inferenza.

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F. - Se il fondamento ontologico, come struttura trascendentale de


festare, è il fondamento della presenza dell'ente, il fondamento o
gico è ciò che determina la differenza fra fondamento metodologico (
e fondamento ontico del dato.

G. - Se il fondamento ontologico è realmente come possibilizzazi


manifestare determinato, non è perchè conosciuto, ma è conosciut
chè è, appunto perchè possibilita ogni conoscere (se fosse perchè è
sciuto si ricadrebbe nell'errore di cui si è fatto cenno in A.). È q
una riprova della non potenza del manifestare sull'ente. Ciò post
fondamento ontologico è inferito necessariamente nel suo atto di
L'atto di essere del fondamento ontologico è indipendente dal fondam
ontico del dato in quanto il dato si dà come ciò che da sè e secon
sua totalità non può manifestarsi. Con ciò è raggiunta l'alterità tr
damento ontico del dato e fondamento ontico del fondamento onto
H. - Se la trascendentalità del fondamento ontologico è tale necessa
te, col sorgere dell'essere (del fondamento ontico) la trascendent
è essenzialmente un immanentizzarsi all'essere: il pensiero è l'att
zione dell'essenziale immanentizzarsi della trascendentalità. Immanen-
tizzarsi non è altro, infatti, che il manifestarsi dell'ente. Segue allora
che l 'immanentizzarsi della trascendentalità è lo stesso costituirsi della
identità intenzionale del dato. Il fondamento ontologico è quell'ente che
può render manifesta la totalità dell'ente (a quel modo, naturalmente,
consentitogli): ciò è possibile in quanto il fondamento ontologico è la ca-
pacità di divenire intenzionalmente il fondamento ontico. Tale divenire
costituisce la stessa struttura immanente del dato come identità (identifica-
zione) intenzionale. Tale identità è possibile come identificarsi, solo
sul fondamento della trascendentalità del fondamento ontologico. Se la
trascendentalità non fosse, l'identità immanente sarebbe immobile con-
traddicendo l'evidente mobilità del dato. Si può allora dire che il fon-
damento ontologico è la trascendentalità dell'identità immanente, e che
il fondamento metodologico è l 'immanentizzarsi della struttura trascen-
dentale. L'immanentizzazione è fondata ontologicamente dalla trascen-
dentalità: si costituisce con ciò l'alterità alla fondazione ontologica da
parte della fondazione on tica (e viceversa); fondazione quest'ultima che
ponendosi come ciò su cui il manifestare e il fondamento di questo non
ha potenza, si costituisce come l'atto di essere dell'ente indipendente, ap-
punto, dal suo esser manifesto.
I. - Come il fondamento ontico rientra nel fondamento ontologico essendo
questo la possibilizzazione della presenza della totalità, così il fondamento
ontologico rientra nel fondamento ontico, in quanto il fondamento on-
tologico, come qualchecosa, è un ente, anche se con struttura radical-
mente diversa da quella dell'ente dell'esperienza sensibile.
L. - Se il fondamento ontologico è ciò che determina la differenza tra fon-
damento metodologico e fondamento ontico del dato, il fondamento on-

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tico del dato è ciò che determina la differenza tra fondamento ontolo-
logico e fondamento metodologico.

13. Il fondamento e i fondamenti.

La presente indagine procede allora dal fondamento metodologico in-


ferendo qualcosa come fondamento ontico e fondamento ontologico del fon-
damento metodologico. Questo, a sua volta, fonda metodologicamente il fon-
damento ontico e il fondamento ontologico. I tre fondamenti si compongono
come determinazione della struttura dedotta; fondamento ontico e ontologico
sono inoltre determinazione della misura eccedente. Se la determinazione
non può essere altro che il determinarsi della struttura dedotta, si può soste-
nere che la determinazione ha assolto il suo compito e che cioè si pone in
identità alla struttura dedotta? In altro modo: l'indagine ha accertato un
processo di fondazione: è questa quella fondazione del fondamento, che la
deduzione ha necessariamente dedotto come assoluta circolarità di autoco-
scienza e di autofondazione? La risposta a questa domanda è già implicita-
mente scontata; giova però esplicitare i risultati della ricerca. La domanda
suona allora così : il fondamento può essere ritrovato (identificato, determinato)
in uno dei tre fondamenti determinanti, oppure nel loro relazionarsi secondo
una struttura unitaria? È evidente che con ciò si perviene al confronto tra
la struttura dedotta e la struttura sin 'ora determinata.

14. Il fondamento metodologico non è il fondamento.


Infatti :

A. - Il fondamento è l'immobile; il dato diviene. Il divenire non è una


realtà distinta dal dato, ma è questo stesso che diviene costituendosi come
verità originaria.
B. - Se il dato diveniente fosse il fondamento, il dato sarebbe la stessa to-
talità : il dato darebbe sè come fondamento e sarebbe senza significato la
ricerca di una alterità al dato : se il dato desse sè come fondamento e se,
d'altra parte, il dato non si dà come produzione di un altro, seguirebbe
l'equazione tra dato, fondamento e totalità. Ma l'assolutizzazione del dato
implica, da quel che sopra si è detto l'assolutizzazione del divenire. Ora,
il divenire, inteso in senso generalissimo, è passaggio dal non essere della
potenza all'essere dell'atto. Assolutizzare il divenire significa affermare che
il non essere determina il passaggio all'essere; ma il determinare è atto
e l'atto compete all'essere: l'assolutizzazione del divenire implica l'iden-
tificazione contradditoria di essere e di non essere.

C. - Il fondamento, come circolarità1 di autocoscienza e di autofondazione


è coscienza di sè come di ciò che si pone secondo sè, in modo tale che
l'atto dell'aver coscienza è l'atto stesso per cui il fondamento si fonda.
Ora, il dato non è coscienza di sè, ma è coscienza originaria dell'essere.
Infatti il dato si dà come ciò che da sè, secondo la sua totalità, non è in

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grado di conoscersi, e non può conoscere sè perchè come totalità non è


sè : l'essere di cui originariamente si ha coscienza, non è, nella sua tota
coscienza di sè. Tanto meno il dato è coscienza di sè come di ciò che
si pone secondo sè : il dato è semplicemente coscienza originaria che non
ha alcuna coscienza di porre l'essere secondo sè, ma ha coscienza del
porsi immediato di un essere che esso pure in nessun modo si pone come
ciò che si pone da sè. L'ente di cui si ha coscienza originaria è da questa
lasciato essere come quell'ente che esso è, nell'atto stesso in cui viene ma-
nifestato (la qual cosa è essa stessa data). Il manifestare, come lasciar es-
sere, indica che l'atto che manifesta non è l'atto che fonda l'ente in
quanto ente: la coscienza originaria è certamente mediazione dell'im-
mediato, ma mediazione tale che non risolve l'immediato, non lo « toglie »,
ma, all'opposto, lo pone come tale. Per la coscienza originaria mediare
l'immediato significa lasciarlo essere nella sua irrisolta immediatezza
posta come tale. La circolarità di un tale mediare è del tutto fittizia,
essendo l'immediato ciò su cui la coscienza non può nulla. Segue da ciò
l'assenza nel dato della circolarità di autocoscienza e di autofondazione,
in quanto l'esser cosciente del fondamento è, invece, il suo esser potente
secondo il suo esser cosciente.

D. - Se il dato fosse una tale circolarità avrebbe coscienza di sè come atto


puro; ma ciò di cui il dato è coscienza è atto impuro. L'asserzione della
circolarità del dato implica l'identificazione contradditoria dei due atti.
Numerosi corollari comprovanti l'alterità tra dato e fondamento possono
essere tratti dalla considerazione di questi quattro punti. Tale compito
è però qui tralasciato.

15. IL FONDAMENTO ONTICO DEL DATO NON È IL FONDAMENTO.


Infatti :

A. - Il fondamento ontico del dato, essendo lo stesso ente diveniente origi-


nariamente manifesto considerato a prescindere dal suo esser manifesto,
diviene; ma il fondamento è l'immobile.

B. - L'assolutizzazione del diveniente fondamento ontico del dato implica


la medesima contraddizione implicata dall'assolļitizzazione del dato
diveniente.

C. - Se il fondamento ontico del dato è ragion sufficiente della capacità


dell'ente di essere manifestato; non è però, come tale e nella sua totalità,
ragion sufficiente del manifestare: manca cioè di ciò con cui, unitaria-
mente strutturandosi, dovrebbe costituire la circolarità propria del fonda-
mento. Se fondamento significa mediazione, il fondamento ontico del
dato è, per contro, la pura immediatezza dell'essere ed è quindi infonda-
tezza radicale. Di questa infondatezza partecipa il fondamento ontico
del fondamento ontologico, come si vede qui sotto.

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i 6. Il fondamento ontologico del dato non ž il fondamento.


Infatti :

A. - Se alla trascendentalità del fondamento ontologico è essenziale il suo


immanentizzarsi come identificazione intenzionale (determ. n. 12, H), e
se tale identificazione si pone come una processualità, al fondamento onto-
logico è essenziale il divenire; ma il fondamento è l'immobile.
B. - Cfr. la lettera corrispondente dei nn. 15 e 14.
C. - Il fondamento ontologico è la pura capacità trascendentale di mani-
festare: ed è stato appunto inferito secondo questa precisa misura. Tale
capacità non è atto conoscitivo e quindi non è, come tale, in alcuna rela-
zione con l'ente che viene conosciuto; essa è invece la possibilizzazione
di ogni atto conoscitivo. Se il conoscere non è potente sull'ente, ciò che
rende possibile il conoscere non sarà, a sua volta, potente sull'ente: se
fosse potente dovrebbe essere ragion sufficiente delle determinatezze del-
l'ente, ma si è visto come tale potenza convenga al fondamento ontico.
L'alterità di potenza ontologica (fondamento del manifestare) e di po-
tenza ontica (fondamento dell'essere) conduce all'impossibilità di attri-
buire al fondamento ontologico la circolarità del fondamento. Nè è da
credere che questa circolarità intercorra tra il fondamento ontologico
come tale e il suo fondamento ontico: infatti il fondamento ontologico
non ha i titoli per porre sè da sè e, come tale, non potrebbe nemmeno
conoscere questa ipotetica autoposizione, chè se la conoscesse non si por-
rebbe più come fondamento ontologico ma come coscienza. Tale ipotetica
coscienza avrebbe però come suo contenuto un puro nulla, rimanendo
così infondata la determinatezza della totalità: l'orizzonte ontologico si
pone infatti, rispetto alla determinatezza, come « nulla » di questa, non
essendo quindi in grado di fondarla.

17. La relazione trascendentale.


Chiamiamo relazione trascendentale il rapporto di fondamento ontico
e di fondamento ontologico, in quanto la posizione dell'uno implica neces-
sariamente la posizione dell'altro: relativamente all'essere manifesto, la posi-
zione dell'ente, a prescindere dal suo esser manifesto, implica la non potenza
ontica del manifestare e quindi del fondamento del manifestare; la posizione
della possibilizzazione trascendentale implica la determinatezza trascendente
del manifestato e la sua non potenza ontologica. La relazione trascendentale
esprime l'alterità reale di fondazione ontica e di fondazione ontologica, le
quali si implicano necessariamente per spiegare l'originaria verità del dato.

18. Il fondamento non è l'unità dei tre


fondamenti determinati.

Se l'effettività della relazione trascendentale costituisce


della presenza originaria, se il fondamento ontico è pos

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dentale dell'essere manifesto, se il fondamento ontologico è possibiliz


trascendentale del manifestare, se il dato è possibilizzazione metodo
dell'intera indagine, l'unità dei tre fondamenti non è il fondamento,
se così fosse, la triplice fondazione dovrebbe strutturarsi come la stessa a
circolarità di autocoscienza e di autofondazione; il fondamento ontico dov
essere la stessa autofondazione, il fondamento ontologico la stessa a
scienza, il fondamento metodologico lo stesso esser cosciente di sè com
fondazione e lo stesso autofondarsi come autocoscienza. Non solo
fondare del fondamento ontico non dovrebbe essere distinto (come a
reale) dal fondare del fondamento ontologico, ma, appunto, dovrebbe
circolarità tra le due fondazioni. Inoltre il fondamento metodologico dovr
riassorbire nella sua pura attualità l'eccedenza del fondamento ontic
fondamento ontologico: l'eccedenza determinerebbe infatti una trasc
nel seno stesso del fondamento. Se nel fondamento i tre fondamenti deter-
minati devono strutturarsi come unità circolante secondo la modalità sopra
indicata, e se cioè in seguito a tale strutturarsi è necessario che sovvertano
radicalmente la loro essenza, è da escludere l'identità tra fondamento e unità
dei tre fondamenti determinati. Tale esclusione è fatta in base all'accertamento
dell'alterità reale delle tre fondazioni determinate, e della loro infondatezza.
Se il fondamento è l'uno, esclude assolutamente ogni alterità reale in se stesso.
Per le singole infondatezze che nell'unione dovrebbero costituire l'ipotetica
fondatezza del fondamento, basta ricordare che il fondamento non è in sè
fondamento di alcuna infondatezza : la semplice relazione delle infondatezze
non è in grado di determinare la fondazione (deduz. n. 2, N). Se inoltre per
la fondazione fosse necessaria l'infondatezza, il fondamento sarebbe infon-
dato (deduz. n. 2, L).

19. LA TRASCENDENZA DEL FONDAMENTO.

Se il fondamento è necessariamente e se l'unità di fondamento metodo-


logico, ontico, ontologico, non è il fondamento, questo trascende l'unità dei
tre fondamenti determinati. Tale unità è l'unita del fondato. L'unità del
fondato si rapporta al fondamento secondo le modalità della deduzione. I tre
fondamenti si rivelano in tal modo provvisori e infondati, e per la loro stessa
struttura richiedono necessariamente la fondatezza del fondamento.
La posizione dél fondamento nella sua alterità al dato (e ai fondamenti
provvisori- di questo) costituisce la terza determinazione della misura ecce-
dente. Il modo dell'eccedenza è secondo la struttura dell'eccedente. Il fonda-
mento eccede come la stessa fondazione della totalità, il fondamento ontico
e il fondamento ontologico eccedono come infondate fondazioni provvisorie
di una zona della totalità. Sarebbe quindi opportuno chiamare trascendentali
i due fondamenti provvisori, per la tipica relazione all'immanenza del dato
e per l'affinità delle loro strutture alla struttura del dato; e riservare l'espres-
sione trascendente al solo fondamento per la radicale alterità della sua strut-
tura alla struttura del fondato.

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20. Conclusione.

La struttura del fondamento è quella che la deduzione ha dedotto neces-


sariamente. Nel fondamento il fondamento ontico è lo stesso fondamento
ontologico, nel senso che è ciò che si conosce come lo stesso fondamento;
¡1 fondamento ontologico diviene la stessa autocoscienza; fondamento ontico
e ontologico non costituiscono più un'eccedenza rispetto all'attualità ma costi-
tuiscono la stessa attualità pura: l'annullarsi di ogni loro potenzialità rispetto
all'attualità determina l'annullamento di ogni eccedenza e la posizione del-
l'unità.
Il concetto di assoluta circolarità di autocoscienza e di autofondazione
esprime Ylpsum esse subsistens nella sua possibilità. L'atto puro è tale perchè
è circolarità. L'assenza della circolarità è infatti la possibilizzazione del dive-
nire: la coscienza finita nella sua impotenza sull'ente lo lascia essere così
com 'esso è nella sua fluenza : se la coscienza fosse potente sull'ente risolverebbe
ogni eccedenza (potenzialità) instaurando la pura attualità1 e quindi la pura
immobilità. Il fondamento infatti da un lato lascia divenire il fondato nel
senso che fondandolo lo pone come diveniente (di qui la radicale differenza
tra la possibilizzazione del divenire da parte della coscienza finita e della
coscienza assoluta), dall'altro esclude da sè ogni divenire.
La determinazione del fondamento nella sua alterità all'unità del fondato
costituisce il risultato essenziale della nostra indagine. In vista di questo
essenziale risultato deve procedere ogni altra indagine filosofica.
La schematicità e l'inevitabile incompletezza con cui è stata condotta
questa ricerca richiede naturalmente un ulteriore approfondimento.

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