Sei sulla pagina 1di 36

POETESSE ITALIANE

CONTEMPORANEE
UNO SGUARDO SULLE VOCI FEMMINILI
DELLA POESIA ITALIANA DAL 1950 A OGGI
INTERNI ED ESTERNI
LA CASA – LA CITTÀ – LO SPAZIO INTERIORE
DARIA MENICANTI

• Nasce nel 1914 a Piacenza. Da bambina la Sylvia Plath (1932-1963)


chiamano grillo.
• Il padre, promettente poeta poi impiegato, ha
studiato con Pascoli.
• Daria è la sesta figlia. I rapporti con la famiglia
sono burrascosi, specie col padre spesso assente.
Poco dopo la laurea, torna a casa, riempie una
borsa e se ne va dicendo “Stasera non vengo a
casa perché mi sono sposata”.
• Schiva e solitaria, vive i primi anni nella stessa
“campana di vetro” di cui parla Sylvia Plath,
Una giovane Daria
che tradurrà nel 1968.
DARIA MENICANTI

Vittorio Sereni • È di salute cagionevole perciò studia a casa.


• Si iscrive a Lettere a Milano. Ha come compagni di corso
Antonia Pozzi, Luciano Anceschi, Vittorio Sereni. Si
laurea in estetica con Antonio Banfi su Keats.
• Lo sbocco naturale della sua formazione è l’insegnamento
nella scuola media.
• Dagli anni 30 traduce dall'inglese e dal francese, specialmente
prosa e filosofia. L’impronta filosofica resta sempre forte nella
sua scrittura. La sua poesia non si lascia andare mai al
sentimentalismo ma è sempre frutto della lucida riflessione.
• Al suo razionalismo ha contribuito l’amore per Giulio Preti,
filosofo della scuola banfiana. Si sposano nel 1937 ma il
Giulio Preti matrimonio finisce nel 1954.
DARIA MENICANTI

• Le amicizie di Daria si contano sulle dita di una mano ma sono per


sempre: Lalla Romano, collega a scuola, e Sereni.
• È negli anni 50, e dopo il trasferimento a Milano, che prende coscienza
della sua vocazione poetica.
• Nel 1964 esce per Mondadori "Città come" (premio Carducci). Nella
prestigiosa collana Lo Specchio usciranno anche "Un nero d’ombra"
nel 1969 e "Poesie per un passante" nel 1978.
• Nel 1983 il direttore della collana, Sereni, che ha approvato "Ferragosto",
muore improvvisamente e Mondadori fa un passo indietro. Daria si affida
a editori più piccoli: "Altri amici", un bestiario poetico e
"Ferragosto", considerata dall’autrice la sua opera migliore, del 1986;
"Ultimo Quarto" del 1990.
DARIA MENICANTI

• Continua a scrivere anche se le sue condizioni


peggiorano rapidamente, fino alla morte nel 1995.
• Sulle poesie inedite ha lavorato febbrilmente,
limando continuamente i versi come
testimoniano i taccuini.
• La sua poesia si è nutrita di minime situazioni
quotidiane, di silenzi e inquietudini, di vissuto
cittadino.
• Nella sua opera si passa dal tratto struggente a
quello ironico, dalla riflessione filosofica al
ritratto dei reietti metropolitani.
• E spesso presente è il cuore, anche se non viene
quasi mai nominato direttamente.
È FIORITO L’ALBERO DEL CORTILE
(DA POESIE PER UN PASSANTE, MONDADORI, 1978)
Una sfera
pallida e trasparente è caduta
sopra le braccia aperte
dell'albero in attesa.
Una sfera
di fiori brevi più bianchi dell'alba
s'è posata in cortile
tra vorticose pareti.
La sua presenza aerea
la sua improvvisa grazia da immortale
rende felice e disperato
chi la guarda
ISABELLA LEARDINI

• Isabella Leardini è nata il 20 settembre 1978 a Rimini, dove


vive.
• Nel 2002 ha vinto il Premio Montale con le poesie poi edite
in “La coinquilina scalza” (Niebo, 2004).
• Poesie da “La coinquilina scalza” e da “Una stagione d'aria”
(Donzelli 2017) sono edite nell'antologia “Les Poètes de la
Méditerranée” e comprese nell'antologia “Nuovi Poeti Italiani 6”
(Einaudi 2012).
• È direttore artistico del festival Parco Poesia che si svolge a
Riccione.
• Da diversi anni tiene corsi di poesia per ragazzi e adulti,
esperienza che ha ispirato il saggio Domare il drago.
Laboratorio di poesia per dare forma alle emozioni
nascoste (Mondadori 2018).
ISABELLA LEARDINI

LA COINQUILINA SCALZA
• “Versi inquieti e luminosi”, secondo Milo De Angelis nella prefazione:
“energia inconciliata, briosa, trepidante, con quel suo respiro d’infinita
adolescenza”.
• Versi giovani che della giovinezza hanno l’impeto e l’abbandono, le scoratezze e
le improvvise accensioni. Un’età segnata dalla disillusione sentimentale, da
attese destinate a rivelarsi eterne, in un amore non ricambiato e lasciato
illanguidire. L’altro, l’amato, non capisce, si allontana più con indifferenza
che con crudeltà.
• La stagione più raccontata è l’estate, il paesaggio più descritto il mare, il
fenomeno meteorologico più incombente il vento. Quasi che la poesia volesse
accordarsi alla pacatezza di una delusione che trova conforto solo nella
musicalità dei versi. Che infatti hanno spesso la dolce e piana cadenza
degli endecasillabi.
ISABELLA LEARDINI

UNA STAGIONE D'ARIA


• Opera matura nata da un lavoro decennale – come scrive Elisa Donzelli – Canzoniere
d’amore rivolto a diverse generazioni di donne e di uomini.
• Lo sfondo è quello della Pensione Irene. Nell’ombra del nome dell’albergo (una ragazza
amata da un familiare in tempo di guerra) e nello specchio delle vacanze altrui si
snoda una storia d’amore che non è soltanto una questione privata.
• Alle donne cresciute negli anni 80 e 90 –educate a un’eterna stagione
adolescenziale, destinate al precariato esistenziale – guardano questi versi. Una
stagione d’aria è anche la storia della fine della giovinezza, il racconto di un’Italia
che fatica a cambiare, un paese metafisico, eternamente balneare.
• Protagonista è una voce sola che accoglie le voci di altre «ragazze strane», rondini
bianche (secondo un simbolo fra i più evocativi del libro), «ragazze del mare», sorelle di
Nausica, della Sirenetta di Andersen e di Francesca da Rimini.
DA UNA STAGIONE D’ARIA, DONZELLI, 2017

Tutti i miei anni identici li lascio


in fila nei cortili e sui balconi
come i giocattoli che a fine pomeriggio
rimangono per prendersi la notte
e passano i mattini ad asciugare
e perdono colore a poco a poco.
Ogni volta che mi fermo faccio casa
in ogni casa faccio i miei cortili
di noia abbandonata che rimane.
Forse possiamo vivere soltanto
in queste due nature senza pace
chi in ogni cosa abita e chi passa
da sempre
chi fa il vento e chi fa il muro.
FIGLIE E MADRI
SPECCHI – AFFETTI – FANTASMI
MARGHERITA GUIDACCI

• Nasce a Firenze il 25 aprile del 1921. Il padre Antonio è avvocato, la


madre è cugina dello scrittore Nicola Lisi, che incoraggia Margherita.
• I primi anni li vive in una “casa strana e scomoda, ramificata come un
albero, ma con una terrazza sul tetto che era il mio regno. Di là
si vedeva tutta la città e tutto il giro dei colli, e quando mi sdraiavo sul pavimento, come spesso
facevo, vedevo solo il cielo ed il passare e trasformarsi delle nuvole”. Anche la casa di
campagna dei nonni nel Mugello è un luogo del cuore.
• Margherita è figlia unica e la famiglia è composta da tante persone anziane: “il senso del
declino, diffuso nell’atmosfera, era più forte di quello della mia crescita".. Il padre muore di
tumore. “Poi, uno ad uno, se ne andarono anche tutti i vecchi, e rimanemmo solo mia madre
e io”.
• La sua vita ritirata non favorisce le relazioni con i coetanei. “Non ho scelto di essere poeta. Lo
sono stata perché tale è la mia natura… La poesia non è un atto di volontà, è un atto di
vita, e come la vita, contiene in sé motivazione e gioia sufficienti”. Ancora: “Meglio scrivere un
libro importante nel deserto… che diventare celebre per equivoco”
MARGHERITA GUIDACCI

• Si laurea con una tesi su Ungaretti (pur distanziandosi dall'ermetismo), poi si specializza in letteratura
inglese e americana recandosi anche in Irlanda. Traduce la Dickinson, Blake, Donne, Pound e Eliot.
• Nel 1946 l’editore Vallecchi pubblica "La sabbia e l’angelo" (Premio Le Grazie in ex aequo con Sandro
Penna). È solo il primo di numerosi riconoscimenti.
• La spinta a scrivere, spiega la poetessa, veniva dalla ricerca di una alternativa al
dolore e alla morte.
• Intanto dal 1945 inizia a insegnare latino e greco e nel 1949 sposa il sociologo
Luca Pinna da cui nascono tre figli.
• Qualche anno dopo è la volta di "Morte del ricco", una raccolta ispirata alla
parabola del Vangelo di Luca. Nel dibattito sull’impegno dell’artista nella società,
Margherita non ha dubbi: l’artista non può vivere al di fuori della società, deve sentire
la sofferenza dei deboli, denunciarne l’oppressione, ma l’opera d’arte deve anche
trascendere la cronaca e farsi universale.
• Le raccolte seguenti si aprono a un senso di tragedia umana più vasto della
dimensione personale.
MARGHERITA GUIDACCI

• Negli anni 60 deve affrontare una profonda crisi psicofisica che culmina con il
ricovero, esperienza drammatica che definirà il suo “Nadir, il punto di maggiore
desolazione” e darà vita alla raccolta "Neurosuite" del 1970.
• Negli Anni 70 insegna letteratura anglo-americana all’università. Pubblica
varie raccolte, tra cui il "Taccuino slavo", che racconta due viaggi in Jugoslavia, e "Il
vuoto e le forme" del 1977, che testimonia la partecipazione civile della poetessa agli
eventi del decennio, come il golpe cileno.
• Nuove dolorose perdite: muoiono la madre e il marito. La poesia è una catarsi.
Dedica "L’orologio di Bologna" del 1981 alla strage della stazione. "Inno alla
gioia" di due anni dopo racconta una “risurrezione” grazie al ritrovato amore.
• Nel "Il buio e lo splendore" del 1989 l’ispirazione delle poesie è religiosa, ma di
una religiosità che pone domande e non è solo esperienza interiore ma apertura
verso gli altri.
• Margherita, colpita da un ictus nel 1990, muore a Roma nel 1992.
PRIMO AUTUNNO DI ELISA
(DA PAGLIA E POLVERE, REBELLATO, 1961)

Che dirti, amore mio, che dirti?


Che l’uva è vendemmiata
ed ogni succo disfatto in dolcezza?
Che ragnatele di nebbia
hanno striato la terra? Nel bosco Che dirti, amore mio, che dirti?
tutte le bacche sono ormai cadute, Le parole hanno un senso
rimane il legno bruno e lucido soltanto se le nutre la memoria.
e l’anno corre alla sua foce Ma tu non hai ricordo di stagioni,
lungo le vene dell’ultima foglia. tanto meno ricordo di ricordi:
sei nuova e fresca, intatta dal declino
che rattrista lo sguardo di tua madre
mentre fissi serena
questo tuo primo autunno.
SOFIA FIORINI

• Sofia Fiorini è nata a Rimini nel 1995.


• Frequenta la facoltà di Lettere Europee presso l’università di
Bologna.
• Nel 2015 ha vinto il premio Violani Landi, sezione Poeti Inediti.
• Nel 2016 è stata scelta da Antonio Riccardi come finalista al
Premio Rimini per la poesia giovane, cui ha partecipato con il
manoscritto inedito “La logica del merito”, pubblicato poi nel
2018 per Internopoesia.
• Una silloge delle sue poesie è apparsa sulla rivista letteraria
“Atelier”, con una presentazione di Isabella Leardini. Suoi testi
sono stati tradotti in spagnolo e in brasiliano.
SOFIA FIORINI

• Il libro è diviso in cinque sequenze: Le promesse, Le croci, Il pegno


della terra, I fiori, La grazia. Simbolico - scrive Andrea Massaro - è il
miscuglio tra termini religiosi e naturali, in una sorta di paganesimo
che sacralizza tanto l’amore quanto la sofferenza.
• La poesia della Fiorini è caratterizzata da un dettato intimistico ed
elegante, limato, a tratti prosaico, mai diaristico e superficiale.
• Davide Rondoni parla di una vivacità rara di immaginazione e
possibilità di canto. Una forza (tra fossile e fiorente) di sguardo al
mondo come regno di una avventura totale.
• La poesia della Fiorina procede da sorpresa, da curiosità,
nell’accettazione delle contraddizioni della realtà e dell’io.
• Anche dove la voce poetica cerca il suo oggetto in lavoratissime e
preziosissime immagini, non viene meno una grazia - quasi feroce,
ma viva e lucente.
DA LA LOGICA DEL MERITO, INTERNOPOESIA, 2017

Quando dicevi di odiare le porte


per sbatterle di più, farti sentire,
e maledicevi alle stagioni
gli stessi fiori rossi che accudivi,
sappi, io ho ascoltato ogni bestemmia;
te lo vedo ogni volta sulla faccia
che è la tua infedeltà concessa.
Se è così che provi a non morire,
ancora ti permetto di guardare:
sarò per te il ciclamino cremisi,
ti ripeterò nel tenermi al caldo.
VOCAZIONE E
ISPIRAZIONE
VOCE – MISSIONE – DESTINO
ALDA MERINI

• Alda Merini nasce a Milano nel 1931. Di famiglia modesta, è la minore di tre fratelli.
• Frequenta le professionali; chiede di essere ammessa al liceo, ma non supera la prova di
italiano. Si dedica allo studio del pianoforte.
• Spinta dallo scrittore Giacinto Spagnoletti, esordisce a quindici anni.
• Nel 1947, alle "prime ombre della sua mente", viene internata per un mese all'ospedale
psichiatrico di Villa Turno.
• Nel 1951, anche su suggerimento di Montale, Scheiwiller stampa due poesie della Merini in
"Poetesse del Novecento". In questo periodo frequenta Salvatore Quasimodo.
• Sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie, nel 1953. Esce poi il primo volume di
versi intitolato "La presenza di Orfeo". Due anni dopo pubblica "Nozze Romane" e "Paura di
Dio". Sempre nel 1955 nasce la primogenita: al medico pediatra dedica la raccolta "Tu sei
Pietro" (1961).
• La poetessa inizia poi un triste periodo di silenzio e di isolamento: viene internata fino al
1972, periodo durante il quale non manca comunque di tornare in famiglia.
ALDA MERINI

• Dopo alterni periodi di salute e malattia, la Merini torna a scrivere dell’e-


sperienza dell’internamento ("La Terra Santa" del 1984).
• Nel 1981 muore il marito e la Merini dà in affitto una camera della sua abi-
tazione a un pittore. Stringe amicizia con il poeta Michele Pierri. I due si spo-
sano nel 1983: Alda si trasferisce a Taranto, dpve scrive la "La gazza ladra"
(1985) e "L'altra verità. Diario di una diversa".
• Dopo un nuovo soggiorno in manicomio a Taranto, torna a Milano nel 1986: si fa curare
dalla dottoressa Marcella Rizzo. Sono anni molto produttivi.
• Nel 1993 riceve il Premio Librex-Guggenheim "Eugenio Montale". Nel 1996 le viene
assegnato il "Premio Viareggio"; l'anno seguente il "Premio Procida-Elsa Morante".
• Nel febbraio del 2004 Alda Merini viene ricoverata all'Ospedale San Paolo. Un amico
della scrittrice chiede aiuto economico con un appello che le farà ricevere grande
sostegno da tutta Italia. La scrittrice ritornerà successivamente nella sua casa ai Navigli.
• Alda muore a Milano il 1 novembre 2009 a causa di un tumore osseo.
ALDA MERINI

• La Merini, molto vicina al simbolismo "maledetto" e visionario di Dino Campana,


procede per accostamenti di immagini oniriche così come suggeriti dal dettato
irrazionale dell’ispirazione. A questo proposito il critico Giorgio Manganelli ha
definito lo stile della poetessa come dominato da "una fantastica irruenza".
• A ciò si affianca una spiccata tendenza narrativa, per cui l'esperienza della Merini può
essere accostata a quella dei letterati del primo Novecento riuniti attorno alla rivista
"La voce", ideatori del "frammento lirico" (un misto di poesia e di prosa).
• Tramite questi strumenti linguistici la Merini trasforma il suo doloroso vissuto
psichico in fonte di bellezza e di significato.
• La poesia si fa arma tagliente: dà voce all'individualità del poeta, ora al popolo, ora
all’emarginato, al vinto, al vincitore: è la voce dell’inesprimibile. Infine diventa grido
“unanime” capace di squarciare il velo e scoperchiare il vaso di Pandora per
rivelare il bene e il male, il tutto e il niente insiti nell’ esistenza e nella coscienza umana.
Dino Campana
DA LA TERRA SANTA, SCHEIWILLER, 1984

Le più belle poesie


si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
Ma nella Terra Promessa
davanti a un altare vuoto,
dove germinano i pomi d’oro
accerchiati da argenti
e l’albero della conoscenza
della divina follia.
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Così, pazzo criminale qual sei
Ma tu sì, maledici
tu detti versi all’umanità,
ora per ora il tuo canto
i versi della riscossa
perché sei sceso nel limbo,
e le bibliche profezie
dove aspiri l’assenzio
e sei fratello a Giona.
di una sopravvivenza negata.
MARIA LUISA SPAZIANI

• Nasce a Torino nel 1922 da famiglia borghese.


• A diciannove anni dirige una piccola rivista, «Il Girasole», che la fa conoscere negli
ambienti letterari.
• Si laurea in lingue con una tesi su Proust. La letteratura francese sarà sempre per
E. Montale lei una stella polare, grazie anche a una serie di soggiorni a Parigi.
• Nel 1949 conosce Montale, con cui nasce un sodalizio intellettuale caratterizzato
anche da un'affettuosa amicizia.
• Nel 1954 la Mondadori le pubblica "Le acque del Sabato" nella prestigiosa collana Lo Specchio.
• Nel 1956 la fabbrica del padre ha un tracollo economico, che costringe la poetessa, di ritorno da un
viaggio negli Stati Uniti promosso per giovani di talento da Henry Kissinger, a cercare un impiego stabile,
come insegnante di francese al liceo. Il contatto con gli studenti adolescenti le fa vivere una stagione
di luminosa felicità che traspare nella sua poesia ("Utilità della memoria" del 1966).
E. Zolla • Nel 1958 dopo dieci anni di fidanzamento, sposa Elémire Zolla, studioso della tradizione mistica ed
esoterica. Tuttavia il lungo legame si incrina nel 1960, anno in cui il matrimonio finisce.
MARIA LUISA SPAZIANI

• Viene chiamata ad insegnare all'Università di Messina letteratura


francese; cura pubblicazioni accademiche e traduzioni (Racine,
Flaubert, Gide, la Yourcenar fra gli altri).
• Nei viaggi in Francia e negli Stati Uniti la poetessa ha modo di
conoscere Ezra Pound,Thomas Stearns Eliot, Jean-Paul Sartre.
• Pubblica "L'occhio del ciclone" (1970), "Transito con catene" (1977) e "Geometria del disordine"
(1981), che si aggiudica il Premio Viareggio.
• Nel 1979 viene pubblicata la sua prima antologia negli "Oscar" Mondadori.
• Fonda e presiede il Centro Internazionale Eugenio Montale e il Premio Montale.
• Del 1990 è "Giovanna d'Arco", poema in ottave di endecasillabi non rimati.
• Scrive numerosi articoli, saggi e racconti. Viene candidata tre volte al Premio Nobel per la
letteratura, nel 1990, 1992 e 1997.
• Nel 2012 esce un Meridiano Mondadori dedicato alla sua opera poetica.
• Muore a Roma nel 2014 a 91 anni.
MARIA LUISA SPAZIANI

• Nel dettato poetico della Spaziani si stagliano passioni


costanti: le cose concrete, i volti e i paesaggi del mondo, la gioia dei sensi e dei sentimenti,
degli amori e dei disamori si fondono in un impasto caldo e affabile con le tessere della sua
prolifica memoria letteraria - che attinge sia alla letteratura classica che a quella moderna,
alla grande poesia europea (Montale su tutti), al teatro francese dal Rinascimento al Novecento.

• Le ultime raccolte testimoniano il passaggio a una scrittura via via più diaristica, "impura" e
aforistica, il lato insomma più sapienziale e ironico della sua ispirazione.

• In ogni caso una scrittura misurata, classica, radicata nella tradizione, fortemente avversa –
nonostante la sua attualità e modernità – allo sperimentalismo gratuito della neoavanguardia:
‘‘Dannazione! La sua illeggibilità ha portato via lettori alla poesia. Non ce ne è uno del Gruppo che
salverei […] Quell'esperienza, così sopravvalutata, è stata una bolla di sapone”.
ULTRASUONO
(DA TRANSITO CON CATENE, MONDADORI, 1977)

Il rumore soffoca il canto


ma il canto è uno spillo che attraversa il pagliaio,
cercalo se puoi con torce e calamite
lui ti punge e trafigge quando vuole.

Voce clamante nel deserto, gemito,


ultrasuono, anno-luce, urlo di tribù riscattata,
inconsùtile varchi i deserti del tempo,
le inutili matasse dello spazio.
CORPO E DESIDERIO
DOLORE – PIACERE – TRASFORMAZIONE
PATRIZIA VALDUGA

• Nasce a Castelfranco Veneto nel 1953.


• Si laurea in Lettere all'Università di Venezia, dove frequenta i corsi del critico letterario Francesco
Orlando, incontro rivelatosi per lei fondamentale.
• È stata la compagna di Giovanni Raboni per ventitré anni e a lui ha dedicato la postfazione
dell'ultima raccolta del poeta scomparso, "Ultimi versi", pubblicato dall'editore Garzanti nel 2006.
• Esordisce nel 1982 con la raccolta "Medicamenta" (Premio Viareggio Opera Prima), dove
F. Orlando ripristina in forma rigorosa tutti i generi metrici tradizionali, dal sonetto all'ottava, dalle
terzine dantesche alle stanze di ballata, scelta di controtendenza nella poesia italiana
contemporanea.
• Nel 1988 fonda la rivista mensile "Poesia".
• Nel 1991 pubblica il poemetto "Donna di dolori" che, con i suoi monologhi in versi, sembra
eleggere come primario l'aspetto teatrale. L'opera è stata portata sulle scene da Franca Nuti e
ha vinto il premio Eleonora Duse nel 1992.
G. Raboni
PATRIZIA VALDUGA

• Ben diverso è il tono di "Requiem" (1994),


poemetto composto in ottave che regalano al testo
un andamento narrativo ricco di pathos, superando
la natura manieristica Raccoglie le poesie scritte per la morte del padre dell'autrice,
avvenuta nel 1991. La poetessa guarda alla morte come qualcosa di immanente che cancella
un rapporto, che non può essere interpretata come un passaggio: il dolore è concreto e
non c'è spazio per la religione, i miti o la metafisica per lenirlo, c'è solo il pianto e la
disperazione che inducono la poetessa ad invocare invano il padre, senza ricevere
conforto. Il 2 dicembre di ogni anno, dal 1992, una nuova ottava si aggiunge alle
ventotto precedenti, una riflessione, un appuntamento costante dell'autrice con la figura
paterna.
• In "Corsia degli incurabili" del 1996 l'autrice si avvale della voce monologante di un unico
personaggio, un malato terminale isolato nel reparto di un ospedale, che parla con il
metro del sirventese classico duecentesco: il linguaggio poetico serve da contrappeso per
alleggerire in un certo qual modo le difficili problematiche affrontate.
PATRIZIA VALDUGA

• In "Cento quartine e altre storie d'amore" l'autrice vuol


mettere in evidenza la differenza fondamentale che esiste
tra l'uomo e la donna e racconta con un lessico privo di
reticenza, quanto accade nel giro di una notte e durante un incontro amoroso,
alternando in modo perfettamente bilanciato il linguaggio parlato a quello letterario. La
donna utilizza un linguaggio basato sul dialogo mente-corpo, mentre l'uomo, prevalentemente
concentrato sul piacere, usa un linguaggio più meccanico, spesso volgare e brutale.
• Come ha scritto Giuliano Gramigna "gli atti carnali equivalgono agli atti di parola", in un
"linguaggio osceno", che fa "il godimento della coppia".
• Seguono la "Prima antologia" (1998); "Quartine. Seconda centuria", in cui cambia il registro,
arricchito da parole di poeti classici come Dante, Shakespeare, Prati, Pascoli, D'Annunzio e
Rilke; il poemetto "Manfred" (2003); le "Lezioni d'amore".
• La Valduga si è dimostrata anche abile traduttrice di John Donne, Molière, Mallarmé, Valéry e
Shakespeare. Vive tuttora a Milano.
DA MEDICAMENTA ED ALTRI MEDICAMENTA, EINAUDI,
1989
Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…
comprimimi discioglimi tormentami…
infiammami programmami rinnovami.
Accelera… rallenta… disorientami.
Cuocimi bollimi addentami… covami.
Poi fondimi e confondimi… spaventami…
nuocimi, perdimi e trovami, giovami.
Scovami… ardimi bruciami arroventami.
Stringimi e allentami, calami e aumentami.
Domami, sgominami poi sgomentami…
dissociami divorami… comprovami.
Legami annegami e infine annientami.
Addormentami e ancora entra… riprovami.
Incoronami. Eternami. Inargentami.
GIOVANNA CRISTIANA VIVINETTO

• Giovanna Cristina Vivinetto è nata a Siracusa nel 1994.


• Laureata in Lettere moderne, vive attualmente a Roma.
• "Dolore minimo", del 2018, Premio Viareggio Opera Prima,
è la prima opera in Italia ad affrontare in versi la tematica della
transessualità e della disforia di genere.
• “La nuova nascita Giovanna Cristina Vivinetto ce la racconta col ritmo serrato e affascinante
della sua dolente lingua poetica.” (D. Maraini) – “Diario in versi intimo e delicato, che
si fa testimonianza di una metamorfosi dolorosa e necessaria al tempo stesso.” (Il
Libraio) – “Vivinetto scrive l’apologia pagana della trasformazione, mentre la sensibilità
della sua scrittura è moderna, in grado di convalidare per il presente il meglio della poesia
novecentesca. (C.A. Sitta)
• “Vivinetto non va alla ricerca del termine raro capace di “sbrogliare gli anni subiti”, piuttosto
scova la parola spietata e comune.” (D. Sessa) – “La penna di Giovanna Cristina
Vivinetto è gentile a tratti, precisa, pulita; come fosse un bisturi che recide senza lasciare
margini di errore.” (F. Borrasso)
DA DOLORE MINIMO, INTERLINEA, 2018

L’altra nascita portò con sé Ci vollero diciannove anni


la distanza degli alberi per prepararsi alla rinascita,
– la verde solitudine dei tronchi. per trasformare la distanza tra noi
A noi parve – per così tanto tempo – in spazio vitale, il vuoto in pieno,
di non toccarci mai, mai raggiungerci il dolore in malinconia – che altro
– per quanto ci protendessimo non è che amore imperfetto. Aspettammo
l’uno fra i rami dell’altra –, i nostri corpi come si aspetta
mai poterci dolere con foglie la primavera: chiusi nell’ansia
solamente nostre – e che la tempesta della corteccia. Capimmo così
non rendesse indistinguibili. che se la prima nascita era tutta
casualità, biologia, incertezza – l’altra,
questa, fu scelta, fu attesa, fu penitenza:
fu esporsi al mondo per abolirlo,
pazientemente riabitarlo.
CONSIGLI “SPARSI” DI LETTURA

• Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi 1991 • Bianca Maria Frabotta, Tutte le poesie, Mondadori
2018
• Amelia Rosselli, Variazioni belliche, Garzanti 1964
• Giulia Martini, Coppie minime, Internopoesia 2018
• Rosita Copioli, Il postino fedele, Mondadori 2008
• Giovanna Rosadini, Fioriture capovolte, Einaudi 2018
• Antonella Anedda, Salva con nome, Mondadori 2012
• Maria Grazia Calandrone, Giardino della gioia,
• Francesca Serragnoli, Il fianco dove appoggiare un
Mondadori 2019
figlio, Raffaelli, 2012
• Antonia Pozzi, Mia vita cara. Cento poesie d’amore e
• Roberta Dapunt, Le beatitudini della malattia, Einaudi
silenzio, Internopoesia 2019
2013
• Ivonne Mussoni, La corrente delle cose ultime,
Perrone 2017

Potrebbero piacerti anche