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Elmore Leonard

Il grande salto

Traduzione di Luca Conti


Titolo originale The Big Bounce
1969 Elmore Leonard
2004 Giulio Einaudi editore
1

Guardavano Ryan che riempiva di botte il caposquadra mes-


sicano, su pellicola Commercial Ektacrome da 16 mm. Erano in
tre, nel seminterrato del palazzo di giustizia della Holden County:
il sostituto procuratore distrettuale, che aveva portato il film; un
agente in uniforme, dell’ufficio dello sceriffo, a manovrare il pro-
iettore; e il signor Walter Majestyk, il giudice di pace di Geneva
Beach.
Proprio in quel momento guardavano Ryan che impugnava la
mazza da softball e la portava all’altezza della spalla senza togliere
gli occhi di dosso a Luis Camacho, che sullo schermo era coperto
da Ryan e accovacciato da una parte, ma che sembrava muoversi
in avanti un po’ alla volta.
- C’è un tale che sta girando un film sui braccianti stagionali,
– disse il sostituto procuratore. – Si è trovato lì per caso, ha ripre-
so tutto quanto.
- C’era una foto sul giornale, – disse il signor Majestyk.
- È lo stesso tipo. È rimasto senza pellicola e ha cominciato a
scattare foto con la Rollei.
Sullo schermo Ryan si muoveva assieme a Camacho, lo se-
guiva passo passo; sembrava sul punto di roteare la mazza, di far
partire un colpo. Camacho scattò in avanti e poi si tirò indietro;
Ryan prese bene le misure e colpì. – Fermati un po’, – disse il so-
stituto procuratore.
L’agente dello sceriffo fece scattare una levetta sul proiettore,
e i movimenti sullo schermo si bloccarono, giusto un po’ sfuocati.
- Non è che vedi un coltello?
- Stanno uno davanti all’altro, – disse il signor Majestyk. –
Impossibile capire.
L’azione riprese, tornò a fuoco. Camacho che si spostava
pian piano, col braccio sinistro aderente al corpo, e Ryan che ave-
va ripreso a muoversi assieme a lui. Ryan era tornato a sollevare la
mazza, le braccia di nuovo all’altezza della spalla. – Ecco, ci siamo,
– disse il sostituto procuratore. – Con questo gli ha rotto la ma-
scella.
Il fermo immagine sullo schermo mostrava Ryan nell’atto di
affibbiare il colpo, un passo avanti al roteare della mazza, il corpo
in torsione e i muscoli del braccio tesi e rigidi e i polsi che girava-
no assieme alla mazza che colpiva Camacho su un lato del volto.
Un volto che non aveva nulla di umano, ma pareva piuttosto una
maschera di legno intagliato, un pupazzetto azteco i cui occhi o
mancavano o restavano ancora da dipingere. Gli occhiali avvol-
genti di Camacho erano sospesi a mezz’aria, pur se ancora aggan-
ciati a un orecchio e, malgrado l’inquadratura non ne mostrasse la
parte inferiore delle gambe, quel tipo sembrava anch’egli sospeso
in aria, la testa incassata tra le spalle.
- Larry, – disse il sostituto procuratore all’agente dello scerif-
fo, – rimani su questa e accendi la luce. Walter, vorrei leggerti la
dichiarazione di Luis Camacho.
La lampada fluorescente del soffitto lavò via ogni dettaglio,
ogni definizione dalle figure sullo schermo, ma l’azione continuò a
restare nitida. Il signor Majestyk, il giudice di pace di Geneva Be-
ach, sbatté due volte le palpebre al salire d’intensità della lampada,
senza però togliere gli occhi da Jack Ryan.
- Fornisce le sue generalità, – attaccò il sostituto procuratore,
– data e ora dell’accaduto, il ventisei giugno verso le sette di sera,
e poi l’agente J. R. Coleman gli chiede di riferire con parole pro-
prie quel che è successo. Walter, mi ascolti?
- Certo, va’ pure avanti.
- Camacho: «Dopo cena ho raggiunto l’autobus e sono rima-
sto ad aspettare, dal momento che Ryan mi aveva promesso di
venirlo a riparare. Quando non l’ho visto arrivare, sono andato a
cercarlo, e l’ho trovato che giocava a baseball con alcuni dei no-
stri, adulti e ragazzi. Gli uomini bevevano birra, e giocavano quasi
tutti. C’era anche Ryan con loro, ma lui non giocava. Parlava con
delle ragazze. Gli ho chiesto perché non era andato a riparare
l’autobus e lui mi ha risposto con parole irriferibili. Gli ho ricor-
dato che la manutenzione del bus faceva parte del suo lavoro, ma
lui mi ha di nuovo risposto di andare a fare quella cosa irriferibile.
Uno dei motivi…»
- Scusatemi, – disse il signor Majestyk. – Larry, sono proprio
le esatte parole di quel tipo?
L’agente dello sceriffo esitò. – Insomma, sono i termini che
si usano in un rapporto.
- Cos’è che gli ha detto, Ryan?
- Di andare a farselo schiantare nel culo.
- E che c’è di così irriferibile?
- Walter… – Il sostituto procuratore guardava fisso il signor
Majestyk, marcava il suo territorio con la punta della penna a sfe-
ra. – Camacho prosegue: «Uno dei motivi per cui gli avevo per-
messo di unirsi ai miei uomini a San Antonio era perché mi aveva
detto di saper fare il meccanico, di essere in grado di riparare
l’autobus in caso di guasti. L’avevo assunto, ma mi era rimasto
qualche sospetto, perché secondo me lui non voleva altro che
scroccare un passaggio gratis fino a Detroit…»
- È di Detroit? – Il signor Majestyk sembrava sorpreso.
- Highland Park, – disse il sostituto procuratore. – Siamo lì.
Allora Camacho fa: «Quando gli ho chiesto ancora una volta di
andare a riparare l’autobus, lui ha preso la mazza e mi ha detto di
togliermi dai piedi, o mi avrebbe fatto volar via la testa. Io gli ho
detto di metterla giù, che avremmo risolto la questione, ma lui mi
è saltato addosso. Non ho fatto neanche in tempo a difendermi o
a tentare di disarmarlo, che mi ha colpito a un braccio e in volto» -
. Il sostituto procuratore tacque per un istante. – Eccoci al punto,
Walter. Sta’ a sentire. «Non ho fatto neanche in tempo a difen-
dermi o a tentare di disarmarlo…»
- Che ne ha buscate ben bene, – disse il signor Majestyk.
- «…che mi ha colpito a un braccio e in volto. Sono caduto a
terra, ma senza perdere conoscenza. Mi ricordo che avevo gente
tutt’attorno, che mi guardava. All’arrivo della polizia, è stata chia-
mata un’ambulanza che mi ha trasportato all’ospedale di Holden,
Michigan» -. Il sostituto procuratore proseguì, più in fretta. –
«Con questa dichiarazione giurata, resa davanti a testimoni e da
me sottoscritta, confermo che i fatti sono autentici e si sono svolti
così come li ho raccontati» -. Il sostituto si raddrizzò, guardò il
giudice di pace di Geneva Beach. – Walter, che ne pensi?
Il signor Majestyk annui, con gli occhi ancora fissi
sull’immagine sbiadita dello schermo. – Penso che alla battuta non
se la cava male, anche se forse tende a forzare un po’ troppo.

A portare la busta paga di Ryan, Bob Rogers junior arrivò


che erano quasi le undici e mezza di domenica mattina. Disse a J.
R. Coleman, l’agente di servizio, chi era e cos’era venuto a fare, e
Coleman rispose che gli era parso d’aver capito che quella roba
doveva essere consegnata il giorno prima, visto che non aspetta-
vano altro per potersi finalmente liberare di quel Ryan. Bob junior
disse che il giorno prima aveva avuto da fare, e che comunque un
giorno di galera in più a Ryan non avrebbe fatto certo male. La-
sciò la busta sul bancone e se ne andò. Nello scendere i gradini
del palazzo di giustizia e attraversare la strada per raggiungere il
pick- up verde scuro si premurò di aggiustarsi ben bene il cappello
da cowboy, di paglia e dalla tesa ricurva, cercando di non tenerselo
troppo calcato in testa e raddrizzandolo appena. Aveva ancora un
quarto d’ora da far passare, quindi fece inversione di marcia e risa-
li la Main Street di Holden fino a un emporio Rexall, dove com-
prò un pacchetto di sigarette e la massiccia edizione domenicale
del «Detroit Free Press». Nel tempo necessario a invertire di nuo-
vo la marcia e tornare al palazzo di giustizia, per poi andare a infi-
larsi nell’area di sosta vietata, avrebbero quasi finito di riconsegna-
re a Ryan i lacci delle scarpe e dirgli di togliersi dai piedi.

- Firma giù in fondo, – disse J. R. Coleman. Attese quindi che


Ryan avesse firmato il modulo, prima di prendere da un cestino in
maglia metallica il portafogli, la cintura e la busta paga e disporli
sul bancone.
Quando Ryan aprì il portafogli e fece per contare le tre ban-
conote da un dollaro al suo interno, J. R. Cole- man gli mollò uno
sguardo privo d’espressione, e continuò a fissarlo anche mentre
l’uomo si infilava la cintura nei passanti dei calzoni e ficcava il
portafogli nella tasca posteriore. Poi Ryan prese la busta paga e le
dette un’occhiata.
- Sono venuti quelli della compagnia, a lasciarla, – gli disse J.
R. Coleman.
- Non è sigillata.
- L’hanno portata così.
Ryan verificò il periodo di paga e l’importo stampato sulla
busta. Estrasse le banconote e contò cinquantasette dollari.
- Ti basteranno, per tornare a casa, – disse J. R. Coleman. – A
due isolati c’è la stazione dei Greyhound.
Ryan piegò la busta e la mise nel taschino della camicia. Ebbe
un attimo di esitazione e attaccò a tastarsi le tasche dei calzoni,
scorrendo con gli occhi il piano del bancone. Alzò lo sguardo su
Coleman. – Avevo un pettine.
- Di pettini non ce ne sono.
- Lo vedo anch’io. Che motivo c’è, di fregare un pettine?
- Non ce l’avevi, un pettine.
- Invece ce l’avevo. Ce l’ho sempre, un pettine.
- Se qui non c’è, vuol dire che non ce l’avevi.
- Un pettine costa dieci cent, – disse Ryan. – Uno nuovo. Di
che sa, fregare il pettine di un altro?
- Se proprio vuoi, ti ci metto io sull’autobus, – disse J.R. Co-
leman.
- Va bene così, – disse Ryan. – Ci vediamo.
- Proprio non ti conviene, – disse J. R. Coleman.

Bob Rogers junior attese che fosse Ryan ad accorgersi del


pick- up. Impossibile non farci caso, con quella scritta in lettere
bianche sulla portiera: RITCHIE FOODS, INC., GENEVA BEACH,
MICH. Ma Ryan scendeva la scalinata del palazzo di giustizia e si
guardava attorno, per aria e in fondo alla strada, noncurante. Bob
junior teneva il gomito fuori del finestrino. Mentre Ryan si acco-
stava al pick- up si sistemò il cappello da cowboy, ne aggiustò la
tesa a imbuto e se la piazzò sugli occhi, per poi appoggiare il pol-
so sulla sommità del volante. Era sicuro che Ryan avrebbe aperto
la portiera. Glielo lasciò fare, gli consenti di spingersi a tanto.
- Volevi un passaggio?
Ryan lo guardò. – Vai verso nord, o sbaglio?
- Io sì, – disse Bob junior. – Ma tu stai andando a sud. Due-
centoquaranta chilometri a sud, direzione Detroit.
- Pensavo di passare a prendere la mia roba, prima.
- Non ti serve, la tua roba. Ti serve solo un biglietto
dell’autobus. Oppure attraversi la strada e tiri su il pollice.
Ryan guardò lungo la strada, in direzione nord, la fronte ag-
grottata per via del sole, guardò i negozi dall’una e dall’altra parte
e le macchine parcheggiate a spina di pesce. Tornò a guardare
Bob. – Ce l’hai una sigaretta? – disse.
- No.
- E quella cosa quadrata nel taschino?
- È una cosa quadrata nel taschino, – disse Bob junior.
- Be’, ci vediamo Ryan sbatté la portiera e si avviò lungo il
marciapiede.
Bob junior rimase a osservarlo. Attese che Ryan fosse quasi
arrivato all’angolo, prima di far scattare la leva del cambio con la
punta di un dito e partire parallelo al cordolo della strada, le mani
appena appoggiate al volante sottile. Raggiunse Ryan. – Ehi, ami-
co, – disse, – guarda che con te non avevo finito di parlare -. Lo
superò e si fermò poco più avanti, così che sarebbe toccato a
Ryan arrivare fin là.
- C’è una cosa che ti voglio dire.
- Sentiamo.
- Vieni un po’ più vicino, non farmi gridare -. Bob junior
piegò il giornale della domenica che aveva accanto e si sporse dal
finestrino, col braccio sullo schienale.
- Che c’è? – fece Ryan.
- Non è che abbiamo parlato molto, io e te, nelle due setti-
mane che sei stato coi messicani.
- Credo di no.
- Infatti. E quindi tu non mi conosci, sbaglio?
Ryan scosse il capo, in attesa.
- Non abbiamo mai parlato perché non mi è mai venuto in
mente un motivo valido per rivolgerti la parola, – disse Bob ju-
nior. – Ma adesso ho da dirti qualcosa. Va’ a casa. E te lo dico per
il tuo bene, perché se non sei un bianco, perlomeno lo sembri, e
almeno questo te lo devo concedere.
Ryan tenne la bocca chiusa, lo sguardo fisso su quell’uomo
adulto col cappello da cowboy calato sugli occhi, il buzzurro di
Geneva Beach dalle braccia come prosciutti e con quindici chili in
più dalla sua, oltre a forse una decina d’anni di esperienza. E una
fronte bianca come il latte, pensò Ryan, se mai si toglieva quello
stupido cappello. Non l’aveva mai visto, Bob junior, senza il cap-
pello.
- Non ci lavori più per me, – stava dicendo Bob junior, – e
quindi, da un punto di vista legale, non sei obbligato a fare quel
che ti dico io. Ma posso darti il più valido motivo per tagliare la
corda quanto prima. Lo sai qual è?
Diosanto, pensò Ryan. – No, – disse. – Quale?
- Lou Camacho -. Bob junior tacque, per lasciargli il tempo di
assorbire la notizia. – Non si prende a botte un caposquadra da-
vanti ai suoi uomini. Se scopre che sei ancora in zona, manda
qualcuno a tirarti una coltellata, così alla svelta che neanche fai in
tempo ad accorgertene.
- Mica ci avevo pensato, – disse Ryan.
- Se succede una cosa del genere, mi ritrovo così assediato da
agenti dello sceriffo e polizia di stato, che posso dire addio ai miei
cetrioli almeno fino a Natale, – disse Bob junior. – Mi sono spie-
gato?
Ryan annui. – E non avevo neanche pensato ai cetrioli.
- E per questo che oggi sei a piede libero, – disse Bob junior.
Ryan annuì di nuovo. – Capisco.
E Bob junior continuò a fissarlo. – No che non capisci. Sei
troppo stupido. Ma adesso te lo spiego io. La Ritchie Foods ti ha
fatto uscire proprio perché la Ritchie Foods produce sottaceti.
Sottaceti in agrodolce e giardiniera e sottaceti per hamburger e
cetriolini. Li mettono nei vasetti e li vendono. Però, amico, quel
che non possono mettere sottovetro e vendere sono i cetrioli.
Quelli grossi. Il che significa che i cetrioli, quelli grossi, devono
essere raccolti prima che siano cresciuti del tutto. Il che significa
che in questo periodo dell’anno c’è bisogno di una bella mossa
per raccogliere tutto quanto. Ma se quella cazzo di gente che deve
raccogliere i cetrioli finisce per passare le giornate in questo cazzo
di tribunale, non c’è proprio verso di finirlo, il lavoro. Lo capisci,
adesso?
- Be’, prima recupero la mia roba, prima me la squaglio -.
Ryan rifilò a Bob junior il suo sorriso più paesano. – E allora, per-
ché non mi dai un passaggio fino al campo? Se vai da quelle parti,
intendo.
Bob junior scosse il capo, per mostrare la pazienza che ci vo-
leva a sopportare quel tipo. – E va bene, – disse infine. – Prendi la
tua roba e te la fili. Intesi?
- Sì, signore -. Ryan ridacchiò. – Molte grazie.

Durante il tragitto si lesse tutta la prima pagina del supple-


mento dei fumetti, ovvero Dick Tracy e i Peanuts. Bob junior non
glielo aveva lasciato aprire, il giornale, sosteneva di doverlo porta-
re al signor Ritchie. A Ryan non interessava. C’erano solo una de-
cina di chilometri per arrivare al campo, piegando a sinistra una
volta usciti dalla superstrada. Si chiese se Bob junior l’avrebbe la-
sciato lì per poi proseguire verso Geneva Beach – altri tre chilo-
metri più a nord, là dove la superstrada finiva di colpo, a ridosso
del lago Huron – ma Bob junior imboccò la strada in ghiaino che
conduceva al campo senza ridurre la velocità, anzi stringendo più
forte il volante per impedire al camioncino di infilarsi nei solchi.
Anche questo gli andava benissimo. Voleva fare il grosso, facesse
pure. Ryan si sentiva proprio bene. Ogni volta che qualcosa aveva
termine, era sempre una bella sensazione. Dopo sette giorni nella
prigione di Holden, avevano un bell’aspetto anche i campi di ce-
trioli, che si stendevano per lunghi tratti su entrambi i lati della
strada. Poteva rilassarsi e prendersela comoda; darsi una lavata,
radunare le sue cose e tornarsene a piedi alla superstrada. Per le
quattro, le cinque del pomeriggio sarebbe stato a Detroit. Comin-
ciò a pensare a cosa avrebbe fatto una volta arrivato a casa. Una
doccia calda, uno spuntino, e forse più tardi uscire a farsi qualche
birra. E poi, magari, una bella dormita in un vero letto, tanto per
cambiare.
Davanti a sé adesso aveva le casupole della compagnia. Gli
facevano tornare in mente la fotografia di un avamposto militare
abbandonato, roba della Seconda guerra mondiale, che aveva visto
su «Life»: i baraccamenti logorati dalle intemperie, i gabinetti e le
latrine su uno spiazzo in terra battuta; muri grigiastri che avrebbe-
ro già dovuto essere crollati da chissà quanto; finestre chiuse da
assi, schermi di porte mezzi divelti, vecchi giornali e incarti di
dolciumi in mezzo alle erbacce che erano cresciute nei pressi delle
costruzioni. Curioso che non vedesse bambini in mezzo alla stra-
da. Era sempre pieno di bambini. Di adulti non tanto, a meno che
non fosse l’ora di andare o tornare dai campi, ma bambini ce
n’erano sempre; a centinaia, sembrava, sparsi tra le ottantasette
famiglie di stagionali che vivevano lì. Poi gli venne in mente che
era domenica. Di sicuro i bambini erano a messa o a prepararsi
per andarci, oppure nascosti da qualche parte nel bosco.
Ecco tutto. Poi vide gente in movimento, che si spostava dal-
le baracche agli olmi che correvano sul lato sinistro della strada. Il
prete che veniva la domenica allestiva sempre il suo altare da
campo – un tavolino da gioco, in verità – all’ombra di un olmo.
Parcheggiava la sua Olds ai margini della carreggiata e indossava i
paramenti dietro la macchina, mentre una o due donne dispone-
vano una tela bianca sul tavolino, oltre a un crocifisso e al messale
del sacerdote.
- Proprio qui, – disse Ryan.
- Quale?
- La rimessa.
Bob ridacchiò, nel frenare, e guardò dal lunotto posteriore. –
L’alloggio degli scapoli -. Fece scendere Ryan. – Ricordati… –
disse.
Ryan tornò indietro, verso la rimessa. Sentì il pick- up riparti-
re, e un istante dopo udì lo stridio dei freni che bloccavano di
nuovo il camioncino, ma non si guardò attorno. Ne aveva già vi-
sto e sentito a sufficienza, di quel buzzicone, e per quanto lo ri-
guardava Bob junior ormai faceva parte del passato. Aprì la porta
della rimessa e si infilò nel buio e nell’odore di muffa. Un tempo
quel posto era stato un deposito di macchinari o attrezzi; adesso il
pavimento di terra battuta era coperto da giornali, ricoperti a loro
volta da pezzi di iuta e da un vecchio tappeto di paglia. Là dentro
ci avevano abitato in tre. Adesso era tutto per gli altri due, Billy
Ruiz e Frank Pizarro. Era contento che non ci fossero.
A porta aperta, la prima cosa che Ryan vide fu la sua fotogra-
fia, ritagliata dal Free Press e appesa al muro, giusto tra Al Kaline
e Tony Oliva: Ryan con la mazza in mano e Luis Camacho a gam-
be all’aria. La didascalia recitava:

STAGIONALE PESTA CAPOSQUADRA PER RICHIESTA


D’AUMENTO
Una divergenza d’opinioni ha spinto Jack C. Ryan a passare alle vie
di fatto con Luis Camacho, caposquadra di un gruppo di braccianti
agricoli stagionali, provenienti dal Texas e impegnati nella raccolta
dei cetrioli nei campi del Michigan. Luis Camacho è stato ricovera-
to in ospedale. Ryan, accusato di aggressione, è in attesa di giudi-
zio.

E c’era anche qualcos’altro sul tipo che stava girando il film e


si era trovato lì per caso, ma Ryan non lo lesse. Si diresse al suo
posto letto, già togliendosi la camicia. Sapone e rasoio di sicurezza
erano su una mensola a muro; li afferrò al volo, si fece volare un
asciugamano sulla spalla e tornò fuori.
Il pick- up era ancora in mezzo alla strada. Bob junior ne era
sceso, e stava accanto a una Lincoln decappottabile verde scuro,
accanto al finestrino del guidatore, col dito puntato in direzione di
Ryan. Non l’aveva mai vista prima, a tettuccio abbassato, pensò
Ryan superando il camioncino, o forse non l’aveva mai vista così
da vicino. In precedenza non era stata altro che una macchina
verde scuro, che in lontananza sollevava un gran polverone.
Quando erano nei campi a raccogliere i cetrioli, si tiravano su e
c’era sempre qualcuno che diceva: – Ecco il signor Ritchie, – e
tutti restavano a fissare quella macchina fin quando non spariva
alla vista.
Nell’oltrepassare il camioncino, ebbe il tempo di gettare una
buona occhiata al signor Ritchie. Di aspetto non malvagio, sui
quarantacinque, occhiali da sole, fronte alta e abbronzata, i capelli
scuri che cominciavano a diradarsi. Poi si ritrovò a osservare la
ragazza che gli sedeva accanto, al signor Ritchie, con un paio di
grossi occhiali da sole alla Audrey Hepburn; leggeva la pagina dei
fumetti e, mentre Ryan la guardava, si scostò dal viso i capelli scu-
ri con la punta di un dito: capelli scuri e lisci e lunghi, ben sotto le
spalle. Sembrava abbastanza giovane per essere la figlia del signor
Ritchie, ma per qualche motivo Ryan era certo che non fosse così.
Il signor Ritchie e Bob lo stavano guardando e proprio in
quel momento Bob junior, una mano sul bordo del finestrino e
l’altra sul fianco, mosse appena il capo per invitare Ryan ad avvi-
cinarsi. Dalla Lincoln decappottabile veniva della musica e più
oltre, all’ombra degli olmi, Ryan scorgeva il prete nei suoi para-
menti verdi e la gente in ginocchio davanti all’altarino da campo.
- Il signor Ritchie, qui, – fece Bob junior, – mi dice di ricor-
darti che da queste parti non sei più gradito.
- Il tempo di darmi una ripulita e me ne vado -. Si era reso
conto che la ragazza aveva alzato lo sguardo dalla pagina dei fu-
metti, ma non tolse gli occhi di dosso a Bob junior. Poi, quando
fu il signor Ritchie a prendere la parola, si voltò appena – con
l’asciugamano sulla spalla, un’estremità del quale teneva davanti a
sé con la mano – per far sì che la ragazza potesse vedergli il brac-
cio, il sottile muscolo brunito ben aderente al torace.
- Tu non sei uno stagionale, sbaglio? – gli chiese il signor Ri-
tchie.
- Non fino a qualche settimana fa.
- E perché ti sei messo con loro?
- Mi serviva qualcosa da fare.
- Non lavoravi, giù in Texas?
- Ho giocato a baseball, per qualche tempo.
- Baseball?
- Sì, signore, d’estate si gioca a baseball.
Il signor Ritchie lo guardò fisso. – Ho saputo che sei già stato
arrestato altre volte, – disse poi. – Per cosa?
- Be’, una per resistenza all’arresto -. Tacque.
- Che altro? – chiese il signor Ritchie.
- Un’altra per F con S.
- Che roba è, F con S? – fece la ragazza.
Fu la volta che Ryan la guardò davvero, quel naso ben fatto e
gli occhialoni rotondi e i capelli scuri che le incorniciavano il vol-
to.
- Furto con scasso, – disse Bob junior.
La ragazza continuò a guardare Ryan. – Oh, – disse, e tornò
a scostarsi i capelli dal viso con la punta di un dito, un gesto gar-
bato, quasi carezzevole.
Era sui diciannove o sui venti, stabilì Ryan: magra e abbron-
zata, calzoncini bianchi e canottiera a strisce marroni, blu e bian-
che, simile al pezzo superiore di un antiquato costume da bagno,
seduta con le caviglie sotto di sé. Adesso aveva scostato la pagina
dei fumetti, così che Ryan o Bob o chiunque ne avesse voglia po-
teva godersi una bella visuale delle sue gambe abbronzate.
- Andiamo a tirar fuori la barca, – stava dicendo il signor Ri-
tchie a Bob junior. – Potremmo anche lasciarla alla casa sulla
spiaggia, non so.
Bob junior si raddrizzò. – Perfetto. In questo caso manderò
qualcuno a recuperarla.
- Me ne torno a Detroit verso le quattro e mezza. Da lì in a-
vanti, per riprendere la barca ogni momento è buono.
- Perfetto, – disse Bob junior. – Ritorna venerdì?
Il signor Ritchie stava guardando Ryan. – Guarda che non
abbiamo intenzione di trattenerti, se intendi far le valigie e darti
una mossa.
- Non sapevo se avevate finito, con me, – disse Ryan.
- Abbiamo finito.
- Bada bene, – disse Bob junior.
Ryan non staccò lo sguardo dal signor Ritchie. – Mi chiede-
vo, visto che ha appena detto che va a Detroit…
- Cosa ti avevo detto! – La tesa ricurva del cappello da co-
wboy di Bob junior aveva spiccato un balzo verso Ryan. – Adesso,
ti avevo detto. Lo sai, cosa vuol dire? Vuol dire che te ne vai subi-
to. In questo preciso istante.
Ryan avvertì su di sé lo sguardo della ragazza. Il suo, invece,
si spostò dalla solenne espressione del signor Ritchie per offrirle il
ben noto sorriso alla Jack- Ryan- ma- che- bravo- ragazzo. Poi
fece spallucce e, non appena la vide iniziare a sorridere a sua vol-
ta, si avviò verso il lavatoio.
Quando riemerse alla luce del sole, rasato, ripulito, con la
gradevole sensazione di essere di nuovo presentabile, il pick- up e
la decappottabile erano spariti. Sbirciò in direzione degli olmi,
verso il prete paludato di verde e i fedeli inginocchiati di fronte al
tavolino da gioco, e si sentì un po’ a disagio, senza camicia
com’era. Voleva fare in fretta, ma si costrinse a prendersela co-
moda. E che diavolo, mica era in chiesa. Se il prete voleva usarlo
come una chiesa, quel posto, erano fatti suoi. Flebili, lontane, udì
delle frasi: – Sursum corda, – e la ben più profonda antifona dei fe-
deli, – Habemus ad Dominum -. Il prete non parlava spagnolo e i
fedeli lo avevano convinto, settimane prima, a celebrare la messa
in latino. – Gratias agamus, Domino, deo nostro, – disse poi.
Dignum et justum est. Queste parole gli riecheggiavano in testa,
a Ryan. Aveva all’incirca un quarto d’ora, quanto restava della
messa. Certi tipi, che erano diventati suoi amici, gli avrebbero at-
taccato un bottone per l’eternità, lì sotto il sole, se appena gliene
avesse dato l’occasione. Non vide Marlene Desea, ma si convinse
che doveva essere sotto gli olmi. Se non la incrociava, tanto me-
glio. Non che le avesse promesso chissà cosa, ma non sapeva
proprio cosa raccontarle, e con ogni probabilità avrebbe finito per
dirle che sarebbe passato da San Antonio a trovarla, stronzate del
genere. Di Billy Ruiz e Frank Pizarro non si dava certo pena. An-
zi, neanche ci aveva pensato, fin quando non si trovò davanti agli
occhi il furgonato di Pizarro, un Ford del ‘56 di colore azzurro ma
che già da tempo aveva cominciato a virare sul viola, già mangiato
dalla ruggine lungo la parte inferiore della carrozzeria e dei para-
fanghi.
Lo stavano aspettando nella rimessa, Billy che gli mostrava
una tremenda dentatura aperta in un gran sorriso, e Frank Pizarro
sbracato su un lettuccio con tanto di scarponi e occhiali da sole.
- Ehi, Frank, guarda chi c’è, – disse Billy Ruiz. Pizarro stava
già guardando dritto Ryan; eppure, sollevò appena la testa, per
fare un po’ di scena. – Amico, giusto in tempo, eh?
- Neanche lo sapesse, cosa abbiamo scoperto, – disse Billy
Ruiz.
- Sicuro, – disse Pizarro. – Per queste cose ha un gran naso.
Ryan stese sul lettuccio il suo portabiti di tela e lo aprì. Si in-
filò una camicia pulita e ficcò nel borsone tutte quante le sue cose.
- Lui pensa che sta per partire, – disse Pizarro. –
Meglio che glielo diciamo, cosa abbiamo scoperto.
2

- Eccola là, – disse Billy Ruiz. – E marrone, non è che si vede


molto tra gli alberi.
- Io la vedo, – disse Ryan.
- Quelli della barca? Abitano in quella casa. E anche la gente
che accende il fuoco, mi sembra.
- Quanti ce ne saranno, secondo te?
- Non lo so. Una ventina di macchine. A sentire Frank hanno
cominciato ad arrivare prima di mezzogiorno.
- La cosa mi piace, fino a ora, – disse Ryan. Stava fumando
un sigaro, uno di quelli sottili, ormai mezzo consumato. Ci stava
bene, con quel sigaro, perché dava l’impressione di essere del tut-
to a suo agio; lo teneva fermo tra i denti, stringendolo appena,
senza bisogno di giocherellarci o di soffiare fumo a manetta.
Camminavano sulla battigia. La risacca lasciava una striscia di
sabbia umida e levigata. Erano a piedi nudi, i risvolti dei calzoni
arrotolati fino alle ginocchia, le scarpe da tennis nelle tasche po-
steriori; indossavano occhiali da sole e cappellini da pesca con vi-
siera, e se la prendevano comoda, due tizi che magari se n’erano
venuti da uno dei villini della zona o dalla spiaggia libera per fare
un po’ d’esercizio, per dare un’occhiata alle barche e ai bagnanti,
per guardare gli altri villini, quelli arrampicati sul pendio a una
buona sessantina di metri dalla battigia. Era l’ora in cui gran parte
dei bagnanti se n’era andata, tra chi si era fatto una nuotata e chi
aveva preso il sole, anche se c’erano ancora bambini intenti a gio-
care e a scavare buche nella sabbia, oltre a qualcuno che cammi-
nava lungo la riva.
- Ti piacerebbe, eh, una di quelle? – disse Billy Ruiz. – La tipa
col due pezzi rosso.
- Magari tra un paio d’anni, – disse Ryan.
- Carne giovane e tenera, amico.
- Eccone una.
La ragazza usciva da un negozio che fronteggiava la spiaggia.
Aveva occhiali da sole e un maglioncino bianco che le arrivava alle
cosce abbronzate, coprendole il costume da bagno.
- Non si capisce nulla di quel che ha, – disse Billy Ruiz.
- Si muove mica male.
- Ora la casa si vede bene, – disse Ruiz.
La casa era a due piani, col tetto marrone e l’aria cosi vecchia
e sempiterna come quella dei pini che le stavano attorno. C’era un
riquadro bianco, a interromperne la scarsa visuale, una sorta di
striscione di tela appeso a due dei montanti del portico.
Nell’avvicinarsi, si accorsero che si trattava di una vera e propria
insegna.
RADUNO ANNUALE DEGLI EX MEMBRI
DELL’ALPHA CHI, recitava, a lettere rosse in campo bianco.
Sotto il portico c’era un po’ di gente, ma gran parte degli ex
membri e delle loro mogli sembrava essere in spiaggia; in una sor-
ta di accampamento di seggioline da giardino e teli da mare, op-
pure in gruppetti piazzati nei pressi della barca a vela ormai tratta
a riva e attorno al fuoco che stavano allestendo, ciascuno con il
suo bravo bicchiere di carta o una bottiglia di birra in mano.
- Mi piace, – disse Ryan. Strizzò gli occhi per guardare la ca-
sa, masticando appena l’estremità del sigaro.
- Tagliamo di qua, per andare fin laggiù?
- No. Ci passiamo davanti, alla casa, poi via tra gli alberi.
- Un’altra birra non mi farebbe schifo.
- Basta che ci vai piano.
Si erano avvicinati al gruppo nei pressi della barca.
Billy Ruiz fece per entrare in acqua per girargli attorno, ma
Ryan lo toccò su un braccio e lo costrinse a venir loro dietro dalla
parte della spiaggia, fermandosi allo stesso tempo per osservare
gli scafi in fiberglass della barca, di quelle a catamarano, mentre
Billy Ruiz pensava: Diosanto, adesso ci attacca pure discorso.
Quando ebbero superato il gruppetto, Ruiz disse: – Ma vuoi pro-
prio che ti vedano?
- Una barca come quella, non l’avevo vista mai, – disse Ryan.
– Ci hai fatto caso? Due scafi.
- Amico, perché non gli chiedi di farti fare un giro?
Ryan ridacchiò, col sigaro in bocca e gli occhi di nuovo sulla
casa. – Forza, siamo lontani abbastanza -. E così attraversarono la
spiaggia, risalirono il pendio fino a raggiungere un tratto di terre-
no lasciato a se stesso, assediato da cespugli e pini giovani. Si fer-
marono a calzare le scarpe, poi si fecero largo tra gli alberi e arri-
varono al vialetto privato che passava dietro i villini. Da lì si udiva
il traffico della superstrada, la Shore Road che correva proprio
dietro un boschetto, ma non si riusciva a distinguere le macchine.
Il vialetto privato era in buone condizioni e, soprattutto, privato:
niente auto, salvo quelle parcheggiate nei paraggi della casa mar-
rone, sullo spiazzo e su ambo i lati della strada, e pure davanti al
cartello inchiodato a un albero, siete qui, diceva il cartello, e sotto
le due parole c’era scritto qualcos’altro in caratteri più piccoli.
- Proprio un bel movimento, – disse Ryan. – Tutta gente che
si dà da fare.
Billy Ruiz si era messo a scrutare le macchine sul vialetto. –
Quel maledetto Pizarro, – disse.

Ryan si senti contrarre lo stomaco, ma era una sensazione


naturale, e non ci poteva far niente; restò quindi con le mani in
tasca a guardare Billy Ruiz: Ruiz che strizzava gli occhi e aggrotta-
va la fronte, la testa incassata tra le spalle ossute, che faceva qual-
che passo e tornava indietro, che prendeva a pedate un sasso, che
faceva spuntare una sigaretta dal taschino della camicia e sprecava
tre fiammiferi per accenderla.
Erano circa le quattro e un quarto. Avesse lasciato il campo
all’una, a quest’ora sarebbe già stato a Detroit. Ma Pizarro e Billy
Ruiz l’avevano convinto a non partire. Verso mezzogiorno si era-
no fermati a comprare le sigarette in un posto pieno di gente che
acquistava cartoni di birra, ghiaccio, miscele d’ogni genere. Pizar-
ro e Billy Ruiz li avevano seguiti fino alla casa sulla spiaggia, fino a
trovarsela davanti, ragazzi, come se non aspettasse altri che loro,
proprio come ne avevano parlato e parlato tutti quei sabato sera, a
colpi di vino e tequila. Mica poteva andarsene a casa proprio ades-
so. Magari più tardi. E quindi, ora gli toccava almeno darle
un’occhiata. Così avevano preso un cartone di birra ghiacciata e se
n’erano andati al parco, ben oltre la casa, dove si erano fatti tre
birre a testa e avevano discusso della faccenda, con Ryan che vo-
leva fosse Pizarro a introdursi con lui nella casa, mentre Pizarro
insisteva a voler guidare il camioncino perché, in fondo, il ca-
mioncino era suo. (- Puoi guidarlo dopo, – gli aveva detto Ryan,
ma Pizarro aveva risposto di no, – Lo guido sempre e solo io.
Nessun altro. – Frank, – aveva poi detto Ryan, – se Billy gli fa an-
che il minimo graffio, ti ripaghiamo ogni cosa -. No, Pizarro non
ne voleva sapere. – Guido io, – aveva detto. – Nessun altro.) E va
bene, aveva pensato Ryan. Inutile discutere. L’unica sarebbe stata
mollargli un bello sganassone sulle gengive per vedere se si sve-
gliava un po’, ma la soluzione migliore, in realtà, era farla finita
alla svelta e levarsi dai piedi. Così lui e Billy Ruiz si erano avventu-
rati lungo la spiaggia.
- Ci sarà, – stava adesso dicendo Ryan.
- Mica lo sa, che ci mettiamo così tanto.
- E allora, che colpa ne ha? – Proprio in quel momento senti-
rono sbattere una portiera, e videro la macchina che se ne usciva a
retromarcia dal piazzale dietro la casa marrone, per imboccare la
direzione opposta.
Billy Ruiz si irrigidì. – Dov’è che sta andando, quello?
- A comprare un po’ di senape, – disse Ryan. – Hanno porta-
to la carbonella e gli hamburger e i piatti di carta, ma sua moglie si
è scordata la senape.
Nell’osservare la macchina, la vide spostarsi sulla destra per
lasciar passare il furgonato di Pizarro, che proveniva in senso op-
posto. – Quello è un nostro amico, – disse Ryan, e udì il sospiro
di sollievo di Billy Ruiz, mischiato al fumo di sigaretta. Restarono
lì dov’erano, ad aspettare il camioncino.
- Dovevate essere qui, – disse Pizarro. – Sono già passato
prima, ma voi non c’eravate.
- Ci abbiamo messo più del previsto, – disse Ryan.
- Tutto a posto? – La prima e l’ultima volta, pensava.
- Aspetta qui, – disse a Pizarro. – Anche se arriva qualcuno,
tu non ti muovere.
- E se si tratta di sbirri?
- E se lasciamo perdere tutto quanto?
- ‘scolta, voglio solo essere sicuro. Tutto qua.
- E chi è sicuro? – Dal retro del furgoncino, Ryan tirò fuori il
cartone della birra. Era vuoto. Avevano già tolto le bottiglie, quel-
le piene e quelle già bevute. Gettò uno sguardo a Billy Ruiz e si
avviò assieme a lui in direzione della casa marrone, ancora col
mozzicone di sigaro in bocca.
- E se qualcuno ci sta guardando? – chiese Billy Ruiz.
Mai più, pensò Ryan. – Billy, secondo te che facciamo? Stia-
mo consegnando una cassa di birra.
Si insinuarono tra le macchine parcheggiate lungo la strada e
si ritrovarono nel piazzale. – Tu aspetti qui, – disse Ryan, – fino al
mio segnale. Se non vedi segnali, non ti muovi. Ma se ti faccio un
segnale, allora vieni subito, capito?
Billy Ruiz annuì, in piena concentrazione. Guardò Ryan che
s’infilava nell’angusto spazio tra le macchine ammassate sul piaz-
zale, col cartone di birra tra le mani, come se fosse pieno. Guardò
Ryan che saliva sul portico, posava il cartone in terra e bussava
allo schermo della porta. Ryan rimase in attesa. Accostò il viso
allo schermo, riparandosi dalla luce con una mano. Recuperò il
cartone ed entrò in casa.
Fu Billy Ruiz, adesso, a restare in attesa. Questa era la parte
peggiore, lo sapeva. Da dietro gli alberi, sulla Shore Road, gli
giungeva il rumore del traffico. Si voltò per guardare lungo il via-
letto, in entrambe le direzioni, e vide Frank Pizarro che era sceso
dal camioncino e guardava a sua volta verso di lui. Forza, tornate-
ne in macchina! Cristo, che razza di idiota. Gli occhi di Ruiz si
spostarono sulla casa, e non ci fu più il tempo di stare a preoccu-
parsi di Frank Pizarro. C’era Ryan nel vano della porta, che gli
faceva segno di muoversi. Ruiz si gettò tra le macchine e salì sul
portico. Adesso doveva fidarsi di Ryan, mettere tutto nelle sue
mani.
Ryan si tolse il mozzicone dalla bocca e mise una mano sulla
spalla di Ruiz, tirandolo a sé.
- In soggiorno c’è qualcuno, – disse. – Ma non ci dovrebbero
essere problemi. La stanza è proprio in fondo al corridoio, e le
scale sono circa a metà. Salgo prima io. Tu porta la cassa e vienimi
dietro, ma non troppo da vicino. Se mi senti parlare con qualcuno,
taglia la corda. Ma non di corsa.
Ecco tutto. Semplice. Come uno scambio di opinioni sulla
tattica da seguire in una partita di football. Scendi in profondità e
scarta secco al centro. Oppure fa’ uno scatto breve, e fermati di
colpo. Io la passo al primo che vedo smarcato. Può funzionare,
ma non è detto.
Billy Ruiz seguì Ryan per la cucina (che non aveva mai visto
prima d’ora) fino al corridoio, e fu allora che udì una voce in sog-
giorno, una voce di donna, e una risata. Il corridoio era in pe-
nombra, ma le scale erano illuminate dalla luce che proveniva da
due finestre sul pianerottolo. Vide Ryan che saliva e girava
l’angolo. Andò su anche lui e, quando raggiunse il corridoio del
piano superiore, Ryan aveva già trovato la stanza che gli ex mem-
bri dell’Alpha Chi – gli uomini – avevano usato per mettersi il co-
stume da bagno. Ryan entrò nella stanza e chiuse la porta a chiave.
- Va’ a guardare nel bagno, – disse. Prese il cartone della birra
dalle mani di Ruiz e lo mise sul letto, depositò il mozzicone di si-
garo in un portacenere sul comodino, e cominciò a passare in ras-
segna i calzoncini e i pantaloni lasciati sul letto, sulle sedie e sul
cassettone, estraendone i portafogli e lasciandoli cadere nel carto-
ne della birra, frugando anche nelle tasche alla ricerca di bancono-
te sparse. Gli spiccioli, neanche li considerava. Così facendo, si
guardò attorno e scorse le due finestre, che di sicuro si affacciava-
no l’una su un fianco, e l’altra sul retro della casa. Ottimo. La fine-
stra sul retro doveva dare sul tetto del portico.
- Un’altra stanza da letto, – disse Billy Ruiz. Sembrava sor-
preso, ma c’era una bella dose di paura. – Con i vestiti delle don-
ne.
- Ci penso io, – disse Ryan. – Tu aspetta qui -. Passando dal
bagno, si spostò nella stanza da letto adiacente, chiuse la porta che
dava sul corridoio e si preparò ad affrontare gli indumenti sul let-
to, alcuni ben piegati, altri ammucchiati, proprio come quelli degli
uomini. Di chi sarà cosa? pensò Ryan. Ad averci tempo, poteva
essere un giochino simpatico. Provare a indovinare il vestito di
ciascuno. C’erano sette borsette, sul letto. Le portò nella stanza
degli uomini e le gettò sul letto, togliendo i borsellini da quelle che
li contenevano e tastando le tasche interne alla ricerca di rotoli di
banconote. Borsellini e portafogli erano da prendere tutti, per poi
controllarli con comodo.
Ripulite che ebbe le borsette, le riportò tutte quante nella
stanza delle donne. Mai una volta che le mettessero tutte assieme.
Ragazzi. Sette erano qui, le altre sparse di sicuro per tutta la casa
e, al momento di andarsene, una o due donne, mezze sbronze, si
sarebbero messe a ronzare qua e là e a lagnarsi. – Non trovo la
mia borsetta. – Dov’è che l’hai messa? – avrebbe detto il loro
compagno, assai più sbronzo. Passò in rassegna tasche e taschini
di felpe e maglioni, in tutta fretta, ma non trovò nulla, salvo dei
fazzoletti di carta e un paio di pettini.
In bagno si fermò a ispezionare l’armadietto dei medicinali.
Erano buffi, gli armadietti da bagno. Sempre pieni zeppi di roba,
medicinali e cosmetici che non aveva mai visto. Prese un flacone
di Jade East dallo scaffale e si mise a esaminarne l’etichetta, tor-
nando in camera da letto.
Billy Ruiz lo guardò, ancora a occhi spalancati. – Ma che stai
facendo? – Ryan si stava passando il dopobarba sul viso.
Un dito, verticale, andò a mettersi davanti alla bocca di Ryan,
che si fece immobile. Attese, per poi riavvitare con delicatezza il
tappo e gettare il flacone sul letto. Dalle scale giungevano rumori.
Passi nel corridoio, adesso. Il pomello della porta iniziò a ruotare.
Dal suo punto d’osservazione – l’estremità del letto più lon-
tana dalla porta – Ryan riuscì a vedere allo stesso tempo sia il mo-
vimento del pomello sia l’espressione di Ruiz. Va’ da lui, si disse.
Cerca di calmarlo. Si spostò in silenzio accanto a Ruiz, ai piedi del
letto, e gli toccò un braccio, tenendoglielo fermo.
Il pomello della porta ruotò di nuovo, in senso orario e anti-
orario; fu scosso, spinto e tirato.
- Ehi, chi c’è qua dentro? – Una pausa. – Forza, fatemi entra-
re.
Ryan attese. – Un minuto soltanto, – disse, e si accostò
all’armadio per poi iniziare a rovistare all’interno, tra maglioni di
lana, giacche sportive e pantaloni. Scovò tre rotoli di banconote e
li mise nel cartone della birra.
- Ma che state combinando? Devo andare in bagno.
- Usa quell’altro.
- Ehi, ma chi sei?
- Sta’ a sentire, noi… ce ne usciamo, se ti allontani.
- Noi chi?
Silenzio. Vediamo se abbocca, pensò Ryan. Vorrebbe dire
qualcosa, ma non è convinto.
Aspettò fin quando non udì i passi allontanarsi nel corridoio,
e una porta che si chiudeva: quella dell’altro bagno. Adesso, pensò
Ryan, sta’ a vedere se quello stronzo non la apre zitto zitto, la por-
ta, e aspetta di beccare chi esce da qui. Ma che razza di gente.
- È l’ora di andare, – disse Ryan. Si diresse alla finestra che si
affacciava sul tetto del portico, aprì il gancio dello schermo, e fece
cenno a Ruiz di prendere il cartone della birra. Sgusciarono fuori.
Strisciando sullo stomaco, Ryan arrivò fino all’orlo del tetto e si
mise in ascolto, immobile. Ciò fatto, non esitò più a lungo; rotolò
via, reggendosi alla grondaia, e si lasciò cadere a terra. Billy Ruiz
gli calò il cartone della birra e fece altrettanto. Poi si infilarono
entrambi tra i cespugli e gli alberi sul fianco della casa, puntando
subito in direzione del vialetto privato e del camioncino di Pizar-
ro. Tranquilli, senza correre e senza affrettare il passo, perché a
sentire Ryan era questo il modo di fare.
3

Frank Pizarro girò a sinistra sulla Shore Road in direzione di


Geneva Beach, lontana sei, sette chilometri, raggiunse i settanta e
mise la terza. Dietro di lui, nel vano del furgoncino, Ryan – sedu-
to sul borsone di tela, intento ad aprire il cartone della birra – gli
toccò la spalla.
- Dài, forza.
Pizarro sbirciò nel retrovisore esterno, poi dette un’occhiata
alla strada che aveva davanti, due corsie, e fu obbligato a rallentare
per via del traffico della domenica pomeriggio. Ryan guardò dal
parabrezza. Nessuna fretta. Mai avere fretta. Si raddrizzò per
guardare anche dal lunotto posteriore. Niente. Alle spalle avevano
qualche macchina, che arrivava piano piano. Mentre Ryan svuota-
va il cartone della birra, rovesciando portafogli e rotoli di banco-
note sul pavimento del furgone, Billy Ruiz si avvicinò in ginoc-
chio e sparse il bottino tutt’attorno, con le mani, come a volerci
giocare, a gustarne la sensazione.
- Quanto pensi che ci sia? – chiese.
- Non lo so. Trecentocinquanta.
- Qualcosa non l’abbiamo trovato.
- Qualcosa, sì. Certi non si sono spogliati. Oppure l’hanno
fatto in un’altra stanza.
Billy Ruiz ridacchiò. – Sarei curioso di vedere la faccia di quel
tipo, quello del bagno.
Passarono i portafogli al pettine fitto, uno alla volta, frugan-
do negli scompartimenti delle carte di credito e nelle alette di cel-
lophane, tanto per essere sicuri, prendendo però soltanto le ban-
conote e rimettendoli, una volta svuotati, nel cartone della birra.
Ryan separò le banconote a seconda del valore, le rimise tutte as-
sieme, e iniziò a contare.
- Una buona giornata, – disse.
- Quant’è? – chiese Pizarro senza neanche voltarsi. Erano
settecentosettanta dollari, precisi. Gli era andata bene. Anche con
quella sensazione sgradevole, prima di cominciare, alla fine era
andata bene. Perfino il totale sembrava un segno della buona sor-
te. Settecentosettanta.
Ryan contò duecento dollari. – Per Frank, – disse a Billy
Ruiz. Ma poi esitò, si trattenne. Ne contò cento e glieli porse.
Tornò a contarne duecento. – Questi sono per te.
- Ehi -. Pizarro aveva appoggiato le banconote sul volante.
– Che razza di parti sono queste?
- È la tua, – disse Ryan.
- Quanto avete preso?
- Settecento.
- E io mi becco una cento, e basta?
- E’ il minimo sindacale, per chi aspetta nel furgone.
- Amico, te l’ho già detto. A Camacho, ne devo quattro-
cento e cinquanta.
- È vero, – rispose Ryan, – me l’hai già detto. Billy Ruiz lo
stava fissando. Ryan se ne accorse e si mise a guardare quel volto
ossuto e giallastro, quegli occhi sbarrati e invetriati.
- Io non ho aspettato in nessun furgone.
- Cos’è, ti lamenti, Billy?
- Sono venuto dentro con te.
- E senza di me, ci saresti andato?
Ruiz non disse niente. Prese a guardare dal parabrezza, gli
occhi rivolti sulla strada e sulla macchina che li precedeva. Gli oc-
chi di Ryan, invece, si abbassarono sulle banconote – che stava
piegando – senza però perdere di vista Billy Ruiz. Stupido figlio di
puttana. Stupido raccattacetrioli. Da solo, Ruiz non ci si sarebbe
neanche avvicinato, a quella casa. Neanche le sarebbe passato da-
vanti. Stupido, viscido e pure un po’ rintronato, uno che non fa
altro che dirti tutti i posti dov’è stato e quanto riesce a bere e tutte
quelle che s’è scopato, con quei pantaloni troppo lunghi che gli
fanno le borse sul culo, troppo stupido per capire quanto sembra
stupido, quant’è stupido rinsecchito brutto ceffo e in più gli pesa
anche il culo.
Sfilò un paio di venti e un deca dal rotolo di banconote e
dette di gomito a Ruiz. Lui gli sfoderò il suo sguardo vacuo. Poi
abbassò gli occhi sui quattrini e mollò un sorrisetto. Tutto conten-
to. Cinquanta verdoni. Cristo.
Pizarro poteva andare a prenderselo nel culo. Ormai, lui, con
quelli aveva chiuso. Tutti quanti erano stati pagati.
Ma gli era rimasto il tarlo in testa. Non avresti dovuto tirarce-
li dentro, in questa storia, pensava, poi si impose di lasciar perdere
ogni cosa. Tra non molto ci avrebbe messo una pietra sopra, a
questa faccenda, senza alcun bisogno di starsi a preoccupare o
pensarci di nuovo. Guarda quante cose che hai combinato in vita
tua, e ormai neanche ci pensi più, si disse.
- Ehi, è questo il posto, – disse Billy Ruiz. Si stava mettendo
in ginocchio contro la spalliera del sedile anteriore, la testa abbas-
sata a indicare il lato sinistro della strada. – Il campo di golf da
questa parte, lo vedete? Che poi, – attese che il furgoncino passas-
se davanti ai fairways e ai greens sparsi qua e là, – prosegue da quella
parte, ecco. La strada entra là dentro. Lo vedete il cartello? – Era
un cartello in stile Old English, che pendeva da una catena aggan-
ciata a due montanti, e dipinto di verde, su cui era scritto THE
POINTE in lettere bianche e sotto, in lettere più piccole, PRIVATO.
- Ve lo ricordate, cosa vi ho detto? – fece Billy Ruiz. – È que-
sto il posto. È qui che vivono i ricchi. Ragazzi, hanno certe case
da queste parti, grandi, grandi, Cristo, che in confronto quella
marrone sembra un cazzo di pollaio.
Quando imboccarono la strada d’accesso, che proseguiva per
un altro bel pezzo di fairway, Ryan si voltò a guardare dal lunotto
posteriore. Vide che dietro avevano sempre le stesse macchine.
- Ci sei già stato, da queste parti?
- Te l’ho detto, – rispose Billy Ruiz. – Lo scorso anno siamo
venuti a dare un’occhiata in giro, e ci hanno sbattuti fuori a calci.
- Chi è stato, a sbattervi fuori?
- E che ne so. Un tale.
- Polizia?
- No, no. Una sorta di custode. C’era una casetta, proprio là
dove comincia la strada, no? Ci è venuto dietro.
- Non so, – disse Ryan. – Dovrei vedere.
- Te l’ho detto, è perfetto.
- Se lo dici tu -. Lasciamo cadere la cosa, pensò Ryan. Si
accucciò in avanti e si mise a guardare la strada. Entro un paio di
minuti sarebbe terminata; così lui poteva saltarsene fuori col suo
borsone e festa finita. Ma c’era ancora una cosa da sistemare.
Rimase ad aspettare il momento in cui sarebbero passati da-
vanti ai motel della periferia di Geneva Beach, per poi superare il
minigolf Putt- Putt e il Dairy Queen, così da poter vedere i nego-
zi e il semaforo a un paio di isolati di distanza. Il supermercato
IGA era sulla destra.
- Eccoci, – disse Ryan. – Lo vedete, l’IGA?
- È chiuso, – disse Pizarro.
- Ricordatevi dov’è -. Ryan restò all’erta, mentre percorre-
vano un altro isolato. Adesso vedeva l’insegna PIER BAR sulla
sinistra, l’edificio bianco e, dietro di esso, l’imbarcadero. Magari
un paio di birre, pensò. E qualcosa da mettere sotto i denti. Ce
l’avrebbe fatta lo stesso, a essere a Detroit per le nove.
- Fermati qui, – disse a Pizarro.
- Cosa?
- Io vi saluto, – disse Ryan.
- Amico, – disse Billy Ruiz, – ma come fai ad andartene? Ab-
biamo delle cose da fare.
Si stavano avvicinando all’incrocio tra Shore Road e la Main
Street, e Pizarro aveva già iniziato a rallentare per via del semafo-
ro. – Fa’ il giro dell’isolato fino al retro dell’IGA, – gli disse Ryan.
– Vedrai che c’è un mucchio di scatoloni e di cianfrusaglie. Butta-
lo lì, il cartone della birra. Hai capito? Soltanto lì.
- Ascolta, – disse Pizarro. – Già te l’ho detto, io devo tirar su
qualche altro soldo -. Si stava fermando dietro una macchina,
all’incrocio.
Billy Ruiz era già ingrugnito. – E che te ne vai via a fare? Una
cosa come questa, possiamo farne una alla settimana.
- Fatela tu e Frank, – disse Ryan. Quando il furgone si fu
fermato del tutto, aprì il portellone posteriore e saltò giù, tirandosi
dietro il borsone di tela.
Billy Ruiz gli si era fatto vicino, accucciato nel vano del por-
tellone. – Aspetta un attimo. Amico, andiamo a fare due chiac-
chiere da qualche parte.
- Occhio alle dita, Billy, – disse Ryan, e sbatté il portellone.
Nell’avviarsi lungo la strada, verso il Pier Bar, udì Pizarro che gli
gridava qualcosa e udì anche il clacson di una macchina, e poi un
altro ancora, ma neanche si degnò di voltarsi. No davvero. Fac-
cenda chiusa.

- Che significa, che si è portato via le chiavi? – disse Bob ju-


nior.
- Significa che si è portato via le chiavi, – rispose la ragazza. –
Quindi non posso prendere la Mustang.
- Be’, certo, è per via della scorsa settimana.
- Il verme, – disse lei.
- Non vuole che ti ficchi in qualche altro guaio.
- Proprio carino, come gli reggi la parte.
- Be’, – disse Bob junior. – È la sua macchina.
- Non è sua. È intestata a me. Di questo mi sono assicurata,
carino.
- Be’, te l’ha regalata lui.
- Sai che affare.
- Quando ce l’hai l’udienza?
- Non lo so. Il mese prossimo.
- A quanto ho saputo, uno di quelli è messo parecchio male.
- Ma che sfiga, – disse la ragazza.
- Mi sa che è stata colpa sua.
- Ci puoi giurare, – disse lei.
Bob junior si lasciò scivolare sulla sdraio bianca. – Ascolta,
perché non te ne vieni qui? – disse alla ragazza, che si chiamava
Nancy e dai primi di giugno abitava nella casa del signor Ritchie. –
Perché non ti siedi e ti rilassi un po’?
- Vado a infilarmi un maglione.
- Portane uno anche a me.
- Quelli di Ray mica ti stanno.
- Scherzavo. Non mi serve, un maglione.
Si girò, spostando il peso del corpo, per osservare Nancy che
se ne andava verso la casa. Era proprio un oggettino, senza dub-
bio, ma porca miseria, c’era proprio tutta in quegli shorts bianchi e
quella canottiera a strisce tutta da guardarci dentro, e lei questo lo
sapeva benissimo, ogni volta che si chinava. La guardò che faceva
scorrere la porta a vetri che dava nel salottino da relax. Era lì che
stava il mobile bar. Forse sarebbe tornata con un paio di drink.
Mica male, l’idea. Farle allentare un po’ la guardia, farla rilas-
sare. Adesso era tutto tranquillo, non fosse stato per l’irregolare,
flebile e distante ronzio di una barca a motore; tranquillo e grade-
vole, col patio e la piscina e gran parte del prato ormai tutti
all’ombra; tranquillo e appartato, con la palizzata che si stendeva
su ambo i lati del giardino e, sul davanti, contro il cielo, con l’orlo
della ripida discesa che dava dritta sulla spiaggia: quarantotto sca-
lini e due pianerottoli. Lo sapeva bene, perché era stato proprio
lui a installare la nuova scala, alla fine di giugno, aiutato da quei
due stagionali e con Nancy che se ne stava sbracata là attorno a
prendere il sole, con quel due pezzi bianco e l’ombelico all’aria.
Da allora non aveva fatto altro che tornare. Quel giorno aveva
aspettato fino alle cinque e mezza, così che il signor Ritchie avesse
tutto il comodo di ripartire per Detroit. Se invece ce l’avesse tro-
vato ancora lì, il signor Ritchie, Bob junior avrebbe sempre potuto
dire che era venuto a dare un’occhiata alla barca. La domenica, il
signor Ritchie lo faceva spesso: lui e Nancy saltavano sulla barca e
cazzeggiavano lì attorno per un paio d’ore prima di approdare alla
casa, invece di tornare al club nautico. In questo modo il signor
Ritchie poteva cambiarsi, zompare dritto in macchina e partire per
Detroit. Dopo di che, toccava a Bob junior chiamare il club nauti-
co perché mandasse qualcuno a riprendere la barca, un vero
splendore, anche adesso, un dodici metri bianco bordato di verde,
bianco e verde cetriolo, come tutto ciò che possedeva il signor
Ritchie: una casa bianca con un solarium verde, proprio sopra il
tetto di un’ala inferiore, siepi e cespugli verdi, piastrelle verdi at-
torno alla piscina, Mustang verde, Lincoln verde, verde anche tut-
ta l’attrezzatura della fattoria, un capanno da caccia bianco e ver-
de, dall’aria molto svizzera, ai confini della fattoria. Se a uno pia-
cevano il bianco e il verde, aveva concluso Bob junior, nessun
problema, ma i suoi colori preferiti erano il blu e l’oro, i colori
delle divise che si indossavano alla Holden Consolidated.
Lei tornò con un girocollo azzurro che si abbinava bene ai
suoi capelli scuri, senza fretta e anche senza drink, porca miseria.
Strano come camminava lenta, con tutto il pepe al culo che aveva.
- Ero convinta di avere un altro mazzo di chiavi, – disse
Nancy, – ma a quanto pare mi sbagliavo.
- Sai che ti dico. Ti faccio usare il pickup.
- Quel figlio di puttana. Che si crede, che me ne stia seduta
qui tutta la settimana ad aspettare lui?
Bob junior aveva voltato il capo per guardarla. – Non fa par-
te del vostro accordo, questo?
- Il nostro accordo, carino, è una cosa che non ti riguarda.
- Perché non vai a prendere un paio di drink?
- Ho voglia di fare qualcosa.
- Be’, vediamo, – disse Bob junior. – Potremmo andare a far-
ci un giro in barca.
- L’ho già fatto.
- E cosa fai, quaggiù?
Nancy rimase a braccia conserte, con lo sguardo rivolto al
limitare del promontorio, al lago che si stendeva fino alla linea
dell’orizzonte. Neanche si prese la briga di rispondergli.
- Vai a pesca?
Lei gli mollò un’occhiataccia.
- Lo so io cosa. Tu vai a nuotare senza mutande, e dopo lui ti
rincorre per tutta la barca.
- Proprio così, – disse Nancy. – E tu come fai a saperlo?
- Forza, saltiamo in barca. Solo fino a buio.
- Tua moglie si chiederà dove sei finito.
- Se n’è andata a Bad Axe a far visita a sua madre.
- Con tutti quanti i marmocchi? Mentre il paparino… cos’è
che le hai detto che faceva, il paparino?
- Forza, andiamo in barca.
- Non ho nessuna voglia, di andare in barca.
- Allora va’ a prendere qualcosa da bere. Un paio di Cold
Duck, magari.
- Ho voglia di fare qualcosa.
- E questo è qualcosa.
- Ho voglia di uscire.
- E far volare qualche altro ragazzo fuori strada?
Adesso lei lo stava guardando. – Non avresti mai il coraggio.
- So io cosa fare di meglio.
- Non avresti mai il coraggio di portarmi fuori, – gli disse al-
lora. – Vero? T’intrufoli qua dentro quando Ray se n’è già andato,
ma non avresti mai il coraggio di portarmi fuori, vero?
- Tipo dove?
- Fuori. Dove, non lo so.
- Non c’è motivo. Qui, hai già tutto quel che ti serve.
- Voglio andare fuori, – disse Nancy. – Tu vuoi uscire con
me, oppure preferisci andartene a casa?
Erano quasi le sette, quando arrivarono a Geneva Beach.
Bob junior disse – Va be’, visto che vuoi fare qualcosa a tutti i
costi, allora dimmi cosa vuoi fare -. Nancy gli rispose che glielo
avrebbe fatto sapere.
- Allora, se proprio dobbiamo starcene in macchina, bisogna
che mi procuri qualche sigaretta -. Bob junior parcheggiò a spina
di pesce nei pressi di un emporio ed entrò nel negozio.
Nancy rimase ad aspettare sul pick- up, lo sguardo che le si
muoveva pigro sulla gente che passava lenta sul marciapiede. Do-
po un minuto si drizzò sul sedile e prese a sistemarsi i capelli nello
specchietto retrovisore. Alla fine, col pettine ancora in testa, si
spostò di fianco, lo sguardo ben oltre la sua immagine riflessa. Per
un istante rimase immobile. Poi si voltò per poterli avere davanti
agli occhi: Jack Ryan e il tipo massiccio, in piedi accanto al risto-
rante dall’altra parte della strada. Poi i due si avviarono lungo il
marciapiede, attesero il verde al semaforo della Shore Road e at-
traversarono in direzione del Pier Bar.
Quando Bob junior uscì dall’emporio, lei si era pettinata ben
bene. – Adesso lo so, dove voglio andare, – gli disse.
4

A sedici anni, Nancy Hayes faceva la baby- sitter per scelta.


Non ne aveva bisogno, perché quasi ogni sera avrebbe potuto u-
scire con qualcuno. E neanche aveva bisogno dei soldi; tutti i mesi
suo padre le spediva un assegno da cento dollari in una busta con
su scritto personale, che arrivava lo stesso giorno in cui sua madre
riceveva il suo assegno mensile per gli alimenti. Nancy faceva la
baby- sitter perché le piaceva.
All’epoca lei e sua madre vivevano a Fort Lauderdale, in una
casa da trentamila dollari, tutta bianca con le imposte alle finestre
e i pavimenti a mosaico, più una piccola e sinuosa piscina giù in
giardino, a dieci chilometri scarsi dall’oceano. A non molta distan-
za, sull’altro versante dell’Ocean Mile Shopping Center, le case
erano più grandi, costruite sui canali, certune col cabinato ormeg-
giato proprio davanti. I proprietari non erano dei residenti fissi,
ma tutta gente che di solito compariva all’inizio dell’anno per re-
stare fino a dopo Pasqua. Gente che durante la settimana passava
da una festa all’altra, e se aveva bambini – ed era fortunata – riu-
sciva ad assumere Nancy Hayes come baby- sitter. E Nancy face-
va la sua figura: proprio graziosa, capelli scuri e occhi castani e
un’aria proprio carina, in t- shirt e pantaloni stretti a vita bassa.
Era pure una ragazzina educata. Che non si addormentava sul la-
voro. E di solito si portava da leggere.
Quello del libro era un vero tocco di classe. Sceglieva un au-
tore russo, o un’autobiografia, e lo lasciava sul tavolino del salotto,
accanto al divano, fino al momento di andar via, spostando il se-
gnalibro trenta o quaranta pagine in avanti appena prima del ri-
torno dei proprietari. Le prime volte, Nancy passava in rassegna la
casa. Aspettava che i bambini si fossero addormentati, poi si met-
teva al lavoro. Di solito partiva dal soggiorno, e via via raggiunge-
va la camera da letto. Gli scrittoi andavano benissimo, a patto che
ci si potesse trovare qualche lettera o un libretto d’assegni. Le cu-
cine e le sale da pranzo erano una barba. Con le verande coperte
o le stanze comuni c’era solo qualche possibilità. Ma le camere da
letto erano sempre uno spasso.
A Nancy non era mai capitato di trovare qualcosa di davvero
sconcertante, tipo le lettere di un uomo sposato nascoste sotto la
biancheria intima della padrona di casa, oppure delle foto porno
ficcate nel cassetto del marito. La volta che ci era andata più vici-
no era quando una rivista per nudisti era saltata fuori da sotto tre
strati di camicie bianche, ben inamidate; oppure, in un’altra occa-
sione, aveva scovato un revolver tra calzini e fazzoletti. Scarico,
purtroppo, e nel cassetto neanche una pallottola. Di solito erano
sempre di queste delusioni, a forza di aspettarsi di trovare chissà
cosa ma non trovarlo mai. Eppure, era la ricerca in se stessa a di-
vertirla un sacco, quell’aspettarsi una volta o l’altra di trovare ma-
gari qualcosa di buono.
Un’altra cosa che le piaceva fare era rompere qualche ogget-
to. Ogni tanto lasciava cadere un piatto o un bicchiere, in cucina,
ma il vero gusto era far fuori roba di valore, come una lampada,
una statuetta o uno specchio. Anche se non erano certo cose da
farsi in più di una casa dello stesso quartiere, o più di una volta
nella medesima casa, tanto meno poi se il bambino cui doveva
badare era abbastanza grande per spifferare tutto. La strategia mi-
gliore era mettersi a giocare a palla sul pavimento del soggiorno,
se il bambino aveva due o tre anni, poi prendere la palla e scagliar-
la contro una lampada. E riprovarci, in caso di mira sbagliata. Alla
lunga finiva per beccarla, quella lampada, e la colpa se la sarebbe
presa il piccolo Greg (- Sapesse come mi dispiace, signora Peter-
son, era lì che continuava a tirare il cavo, e non ho fatto in tempo
ad arrivare… -). Accidenti, se le dispiaceva.
Un’altra cosa buffa la combinava ai padri che la riaccompa-
gnavano a casa. Non in tutte le occasioni, beninteso, né a tutti i
padri. L’ideale era un genitore sui trent’anni, massimo quaranta,
un elegantone, di bell’aspetto anche se ormai di mezza età, e rien-
trato a casa già mezzo sbronzo, giusto prima di accompagnarla.
Per farla bene, era una cosa che richiedeva una certa cautela e una
certa pazienza, perché ci volevano mesi e mesi, e una buona doz-
zina di viaggi in macchina. La prima volta si comportava alla per-
fezione, libro in grembo, e non apriva bocca se non interrogata.
In tal caso, le chiedevano sempre o del libro o della scuola. Allora,
in un modo o nell’altro, sia che parlasse della classe che frequen-
tava, sia del libro che stava leggendo – roba impegnativa, comun-
que, per una ragazzina – riusciva sempre a far cadere il discorso
sul suo imminente diciassettesimo compleanno. E le volte succes-
sive, quando la riaccompagnavano a casa, si mostrava sempre più
disinvolta, amichevole, estroversa, sincera; dava l’impressione di
una gran lettrice, di una ragazza sveglia e interessata a ciò che ac-
cade al mondo, in particolare alle mode e agli atteggiamenti dei
giovani. Certe volte la discussione si faceva così interessante che
finivano per arrivare a casa di Nancy e, parcheggiati nel vialetto,
continuavano a parlare per altri dieci minuti, un quarto d’ora.
Quindi, una volta o l’altra, di solito tra il quinto e l’ottavo viaggio,
e sempre nel bel mezzo della conversazione, lì nel vialetto di casa,
Nancy era pronta a tirare il primo colpo basso. Tipo: – Secondo
lei è giusto che gli adolescenti abbiano rapporti? – Lui faceva
l’innocentino e le chiedeva di spiegare cosa intendesse con rappor-
ti. – Sa com’è, – rispondeva lei, – parcheggiati da qualche parte.
- Be’, se avete appena parcheggiato, e state ascoltando la ra-
dio…
- Voglio dire che devono essere innamorati, è chiaro, o alme-
no provare una forte attrazione fisica.
- E ti chiedi se è lecito pomiciare un po’?
- Uh- huh. Mica andare per forza fino in fondo, o arrivarci
quasi, ma fare giochetti con la bocca, lasciarsi toccare, insomma,
lo sa benissimo dove.
Poi il tocco di classe. Appena lui apriva bocca per rispondere
– Be’… – lei consultava l’orologio. – Oddio, – diceva, – devo
proprio rientrare! – E, in un turbine di ringraziamenti, gli sbatteva
la portiera in faccia.
Poi, la volta successiva, ci riportava sopra il discorso, oppure
aspettava a vedere se era lui a riprendere l’argomento rapporti
(strusciarsi, pomiciare, come lo chiamava lui). In caso contrario,
Nancy non perdeva tempo e tornava ad affondare il colpo.
- Ma perché i ragazzi sono sempre, come dire, così ansiosi?
- È solo una questione fisiologica. Anche psicologica, imma-
gino.
Con aria innocente, una ragazza schietta, desiderosa di sape-
re: – Anche gli uomini più maturi sono così?
- Gli uomini più maturi, di sicuro. Non troppo maturi, eh.
- Me lo sono sempre chiesta. Com’è che certe ragazze sposa-
no uomini più maturi.
- Be’, se sono troppo maturi…
- Quell’attore del cinema, di recente… non mi ricordo come
si chiama… insomma, lui ha cinquant’anni e la ragazza ventidue.
Ventotto anni di differenza, accidenti!
- Se vanno d’accordo, se hanno eguali interessi, una buona
comunicazione reciproca, perché no?
- Uh- huh. Penso di sì. Se sono innamorati. E poi restava a
guardare quel serio, raziocinante genitore che cominciava a rimu-
ginare su questi discorsi, nel buio della macchina, col cruscotto
illuminato e la radio a basso volume e le gambe abbronzate della
ragazza che spuntavano da quei pantaloncini così corti. – Quanti
anni hai, diciassette? Ci sarebbero solo diciotto anni di differenza,
tra di noi, – diceva lui, calandosi in un sol colpo dai tre ai sei anni
di età. – Riesci a immaginartelo, che so, tra un paio d’anni, e se io
non fossi sposato, riesci a immaginarti, dicevo, io e te assieme?
- Mica l’avevo pensata, questa cosa.
- Ma potrebbe succedere, non credi?
- Be’, penso proprio di sì.
E nell’arco di poco più di una stagione, da dicembre ad apri-
le, sei genitori ancora in preda ai postumi alcolici del dopo- festa,
tutti padri che abitavano a breve distanza l’uno dall’altro ma non
si conoscevano (aveva già controllato), erano ormai arrivati al li-
mite, prefigurandosi la reale possibilità che la graziosa e minuta
Nancy Hayes, con la sua graziosa e minuta figuretta, potesse tra-
sformarsi in qualcosa di più di una baby- sitter. Tre di loro riusci-
rono a cavarsela. Ovvero, non mossero un dito; sembravano pro-
vare un certo interesse per lei; ci facevano volentieri conversazio-
ne; si titillavano con l’eventualità di un qualcosa di più; ma, alla
fine, non ne fecero di niente.
Tre non le sfuggirono.
Uno di questi, nel riaccompagnarla a casa, lasciò la strada
principale e s’infilò a motore spento tra i salici che crescevano
lungo un canale solitario. La tirò a sé, anche se in mezzo a loro,
tra i sedili ribaltabili, si ergeva il vano portaoggetti, la voce di Sina-
tra che usciva a basso volume dal quadro comandi, e con uno
sguardo triste e dolente le dette un dolce, lento bacio sulla bocca.
Al termine del bacio, Nancy gli si fece più vicino e gli lasciò cade-
re la testa sulla spalla.
Il secondo la incontrò per caso, un tardo pomeriggio, davanti
allo scaffale dei paperback nell’emporio dell’Ocean Mile Shopping
Center, e le chiese se voleva un passaggio fino a casa; dopo di che,
visto che era una gran bella giornata, le chiese se per caso le anda-
va di fare un salto a Bahia Mar a guardare il rientro dei pescatori.
La sosta a Bahia Mar durò il tempo necessario a procurarsi una
confezione da sei birre e risalire la litoranea quasi fino a Pompano,
dove stavano giusto costruendo una serie di nuovi condomini re-
sidenziali, vuoti involucri di cemento alla luce del pomeriggio i-
noltrato, che spuntavano quasi dal bel mezzo del nulla. Parcheg-
giarono in quella che di lì a breve sarebbe diventata l’ala est del
Castile, e il genitore si sparò tre birre, concedendole qualche sorso
ogni tanto, via via sempre più lunghi, mentre le confidava la sua
sorpresa nel vedere come fosse più facile parlare con lei invece
che con la moglie, e come davvero si sentisse capito. Fu pieno di
tatto, nel cingerla con un braccio e sollevarle appena il mento, ma
allo stesso tempo determinato nel baciarla, col palmo della mano
ben saldo sulla guancia di lei. Poi Nancy gli lasciò cadere la testa
sulla spalla, lo sguardo ardente, pieno di passione.
Il terzo se ne tornò a casa nel primo pomeriggio – aveva gio-
cato a golf – per scoprire che sua moglie se n’era andata a Miami
a fare shopping, e aveva lasciato Nancy col bambino: Nancy in
costume da bagno, bianco, due pezzi, ancora asciutto, che sorve-
gliava il pupo, quattro anni, là dove la piscina era meno profonda.
Adesso poteva pure andarsene, ma fu lui a chiederle di restare an-
cora un po’, a mettere il bambino a letto mentre lui andava a
cambiarsi. Il genitore si sparò tre bicchierini e una vasca a nuoto,
mentre Nancy lo osservava da una sedia a sdraio. Poi uscì
dall’acqua e le si parò davanti, sgocciolante, per asciugarsi e allo
stesso tempo tirare la pancia in dentro. – Ehi, – le disse, – ancora
non ti sei buttata? – Lei rispose che doveva proprio andare. –
Forza, – disse il genitore, non avere paura -. La tirò su. Nancy op-
pose resistenza quel tanto che bastava, ridendo, e si accorse che
con la scusa di buttarla in acqua le stava allungando una bella ta-
stata. Quando lei entrò in casa, lui le andò dietro per fermarsi in
cucina a farsi un altro bicchierino. Nancy raggiunse la camera de-
gli ospiti, là dove si era cambiata. Chiuse la porta, si sfilò il reggi-
seno del costume e cominciò ad asciugarsi i capelli. Non dovette
attendere a lungo. – Sei presentabile? – disse lui, e aprì la porta.
Nancy lanciò un gridolino e gli voltò le spalle. Poi lo vide avvici-
narsi, riflesso nella specchiera. Ne avvertì le mani sui fianchi, mani
che si mossero poi a circondarle la vita. Lasciò cadere la testa
all’indietro, proprio sulla spalla dell’uomo.
- Lo sai cosa ho intenzione di fare? – disse infine alle sue tre
vittime, mentre la tenevano stretta e con la spalla le sorreggevano
la testa.
- No. Cosa? – risposero in un sussurro tutt’e tre le sue vitti-
me.
- Ho intenzione di scrivere a tua moglie e dirle che hai tenta-
to di approfittarti di una ragazzina di sedici anni, ecco cosa.
E così fece.

Ray Ritchie, padre numero due, quello che aveva dato un


passaggio a Nancy per poi portarla a fare un giro a Pompano,
guardò il biglietto. – Lo sai che le ragazze mi piacciono, – disse a
sua moglie. – Ma c’è un limite a tutto -. Questa, la sua dichiara-
zione. Ray Ritchie aveva quasi sempre una storia tra le mani, dai
fine settimana fuori città a certe tipe che vedeva tutto l’anno giù in
centro, e sapeva che su questa faccenda sua moglie non avrebbe
certo fatto più problemi del solito. Lavorava un sacco, viaggiava
altrettanto, aveva interessi in parecchie società in aggiunta alla Ri-
tchie Foods; sua moglie poteva contare su una casa da 150.000
dollari, una batteria di domestici, la partecipazione a club di ogni
genere, un’ampia disponibilità finanziaria, il loro unico figlio iscrit-
to a un’ottima scuola. Quindi, che credesse quel che le pareva.
Nancy non rivide Ray Ritchie prima del cambio di stagione.
Non faceva più la baby- sitter, ma lavorava in un negozio
d’abbigliamento sportivo all’interno dell’Ocean Mile. Questa vol-
ta, nell’imbattersi in Ray Ritchie, lui non la portò a Bahia Mar né
dalle parti di Pompano. La portò al Lucayan Beach Hotel, Grand
Bahama, per un fine settimana che durò dal sabato fino al marte-
dì.
Quel quattro di luglio, Nancy fu eletta miss Cetriolino Sve-
glio. In costume da bagno verde scuro e tacchi alti del medesimo
colore, si ritrovò a sfilare giù per Geneva Beach dietro la banda
della Holden Consolidated, e a fare ciao ciao con la manina dal
tettuccio della Continental di Ray Ritchie. In agosto, scrisse a sua
madre di aver accettato un lavoro nell’ufficio pubbliche relazioni
della Ritchie Foods. La lettera in questione l’aveva scritta dal suo
appartamento sul Detroit River, 400 dollari al mese d’affitto“.1
In qualità di miss Cetriolino Sveglio, le toccò partecipare a
convention, a feste promozionali, a inaugurazioni di negozi. Assieme
a Ray, si recò a Cleveland, Chicago e Minneapolis. Dovette met-
tersi in posa nei punti espositivi della Ritchie Foods e distribuire
assaggi di sottaceti. Attendere in albergo il ritorno di Ray. Correre
all’aeroporto con Ray. Ritrovarsi in locali per soli uomini assieme
a Ray e al suo gruppo, di solito l’unica ragazza al tavolo. Passare le
giornate nel suo appartamento ad ascoltare la radio o il giradischi.
Cambiare gusti musicali e passare dagli Herman’s Hermits ai Lo-
vin’ Spoonful e ai Blues Magoos e ai Mamas and the Papas. Leg-
gere «Vogue», «Bazaar» e «‘Teen». Aggirarsi per l’appartamento e
finire sempre per scrutarsi allo specchio. Fissare dalla finestra

1 Corrispondenti a circa 2200 dollari attuali [N. d. T.]


l’immobilità invernale del Detroit River, la linea dell’orizzonte che
si identificava col profilo delle fabbriche di Windsor, Ontario.
Trafficare un po’ con un addetto marketing del reparto pubblicità
della Ritchie Foods che fingeva di essere rilassato ma che non fa-
ceva altro che lanciare occhiate alla porta. Passare interi fine set-
timana da sola, le volte che Ray era a Fort Lauderdale con la fami-
glia. E già stava pensando di andarci anche lei, la prossima volta, a
vedere cosa stava combinando sua madre, quando Ray le chiese se
per caso aveva voglia di trascorrere l’estate nella casa sulla spiag-
gia: lui si sarebbe fatto vedere abbastanza spesso, e lì faceva molto
più fresco che a Detroit.
La luce del sole batteva sulle finestre e sulla moquette azzur-
ro chiaro, un pomeriggio di fine maggio, l’appartamento immerso
nel silenzio perché, appena entrato, Ray aveva spento la radio. Lui
aveva dieci minuti di tempo per cambiarsi e buttare qualcosa in
valigia per la notte. Destinazione Chicago. Quaranta minuti per
raggiungere l’aeroporto. Lei gli aveva preparato uno scotch e soda
e si era seduta sul divano, mentre lui si cambiava d’abito, spuntava
parecchie volte dalla camera da letto col bicchiere in mano, rice-
veva due telefonate e ne faceva una, e si decideva infine a fermarsi
a dirle della casa sulla spiaggia.
- E tua moglie, lei non ci va mai?
- Un paio di volte, forse. Di solito se ne sta a casa a gio-
care a golf. Va a giocare a golf tutte le mattine, e passa il pome-
riggio a bere gin and tonic.
- E io che faccio, quando viene?
- Ti sposti nel capanno di caccia. Oppure torni qui, se prefe-
risci.
- Filarsela dal retro, insomma, mentre lei entra dalla porta
principale.
- Se non ti piace così com’è, – disse Ray Ritchie, – ti farò ac-
compagnare da qualcuno all’aeroporto.
- È bello sapere che non puoi vivere senza di me.
- Ti ho promesso forse qualcosa? Al momento siamo pari e
patta, se non sbaglio, se per caso vuoi togliere il disturbo. Sono in
debito con te?
- Ah, ecco che spunta l’uomo d’affari.
- Proprio così, un accordo. Ho forse detto che era qual-
cos’altro?
- Non hai neanche detto cos’era.
- Certo che sei proprio carina, Nancy, – le disse Ray Ritchie.
– Dovessi rimpiazzarti, ci metterei forse una settimana.
Quando se ne fu andato, lei rimase sul divano, conscia del si-
lenzio del pomeriggio e, allo stesso tempo, di essere rimasta sola.
Rimase lì, tranquilla, mentre Ray e il suo gruppo si fiondavano a
Chicago a partecipare a chissà che stupido meeting, o a ispeziona-
re chissà che stupida fabbrica e prendere grosse, importanti deci-
sioni sui loro stupidi affari.
Wow. E lei che se ne stava lì ad aspettarlo. L’indomani
l’avrebbe chiamata, nel corso del pomeriggio, e intorno alle sette
si sarebbe fatto vedere con uno o due tipi del suo gruppo. A lei
sarebbe toccato mettere sul fuoco le bistecche, mentre quelli con-
tinuavano a elaborare le loro grosse, importanti considerazioni e
decisioni, fin verso le undici. Poi lei e Ray sarebbero rimasti soli, e
quel pezzo grosso aziendale trasformatosi nel suo amante avrebbe
pronunciato qualche frase memorabile tipo – Vieni qui, pupa. Ti
sono mancato? – Diosanto. E via con la scena madre. Lei gli a-
vrebbe lanciato uno sguardo di fuoco, capelli a coprirle un occhio,
poi via a fare il giro della casa per spegnere tutte le luci e portare i
bicchieri in cucina, e al momento di entrare in camera da letto se
lo sarebbe trovato davanti, il vestito di taglio italiano, monobotto-
ne, sul pavimento, la pancia in dentro, l’alito che sapeva di scotch
e salsa Worcester.
Da non credere.
Ed era pure capace di rimpiazzarla in una settimana, pensò
Nancy. Lo sapevi, questo?
Okay. Poteva fare le valigie, così su due piedi, e levare le ten-
de.
Poteva far piazza pulita di lampade, piatti e bicchieri, e levare
le tende.
Poteva far venire quelli della Ivory Brothers, l’indomani mat-
tina, a portare via tutta la mobilia e metterla in un deposito.
Niente di tutto questo. Si alzò, andò ad accendere la radio e
cominciò a pensare alla casa sulla spiaggia, chiedendosi se le sa-
rebbe piaciuta e se ci sarebbe stato abbastanza da fare. Dopo un
anno passato assieme a Ray Ritchie, le spettava una liquidazione di
ben altro che qualche mobile e un po’ di vestiti. Ci puoi scommet-
tere il culo, Raymond.
Nella prima parte di giugno si limitò a prendere il sole accan-
to alla piscina e farsi una bella abbronzatura; ma alla fine del mese
provò la necessità di inventarsi ben altro da fare che starsene sdra-
iata qua e là o giocare alla vita domestica le volte che Ray si faceva
vivo.
Con la pistola da tiro al bersaglio se la spassò per circa una
settimana. Era una Woodsman calibro 22 a canna lunga, che aveva
comprato in Florida perché le era piaciuta la linea, o magari per-
ché sentiva il bisogno di avere, di sapere di avere un’arma; forse era
questo il motivo. Il primo bersaglio fu la vetrina di un alimentari
sulla Shore Road. Si ricordava di esserci andata in macchina, da
quelle parti, sul calar della sera, e di essersene poi tornata indietro
sui settanta all’ora. Le restava sulla sinistra, quel negozio, ormai
chiuso ma con una luce all’interno, e a un certo punto appoggiò il
braccio sul bordo del finestrino abbassato e spianò la pistola che
reggeva nella mano sinistra, senza prendere la mira ma puntando-
la all’incirca in quella direzione. Sparò tre colpi e, nel passare da-
vanti al negoziò, udì la vetrina saltar via, proprio mentre premeva
l’acceleratore a manetta per togliersi di lì più in fretta possibile. Il
gioco consisteva nello scoprire se fosse in grado di beccare una
vetrata senza mirare, con la destra o con la sinistra, si trattasse di
villette, fondi commerciali, insegne, spingendo la macchina fino a
un massimo di cento all’ora; una sorta di galleria di tiro ma al con-
trario. Aveva provato anche con le barche, sparando dagli alberi o
da terreni abbandonati, ma di solito quelle erano troppo lontane,
ed era un casino capire se avesse fatto centro o no. Ufficialmente
Nancy era andata solo quattro volte, in giugno, a fare le sue battu-
te di caccia, ma erano state sufficienti a suscitare storie di prima
pagina che evocavano il «Cecchino Fantasma», con tanto di foto
delle vetrate infrante, sia nei giornali di Geneva Beach sia in quelli
di Holden. Aveva anche scorso i giornali di Detroit, senza però
trovare una sola menzione del fatto.
Una volta era anche stata lì lì per raccontare tutto a Bob ju-
nior, ma poi all’ultimo momento aveva deciso di no. Non avrebbe
mica capito. Avrebbe aggrottato la fronte, e detto qualche stupi-
daggine. E comunque, all’inizio, a stuzzicarlo si era divertita.
Mentre Bob junior lavorava al montaggio della nuova rampa
di scale per scendere in spiaggia, installando i pali di sostegno e
inchiodando ringhiere e scalini, Nancy prendeva il sole sulla sab-
bia. Un lavoro che Bob junior avrebbe potuto finire in pochi
giorni, secondo Nancy, ma che lo tenne impegnato un’intera set-
timana. Nancy se ne stava su una stuoia di paglia, col suo bikini
azzurro chiaro, scolorito ad arte, e di tanto in tanto alzava gli oc-
chi a guardarlo: Bob Rogers junior, a torso nudo, con tanto di
cappello da cowboy e grembiule pieno zeppo di chiodi. Aveva una
pelle color marrone rossiccio, e i peli del petto e delle braccia gli
brillavano al sole. Non certo un brutto aspetto, anzi molto anima-
lesco, anche se lo stomaco aveva già iniziato a debordargli sulla
cintola, e tempo qualche anno sarebbe diventato una vera schifez-
za ambulante.
Il pomeriggio del terzo giorno Nancy non si fece vedere, sul-
la spiaggia. Ma verso le tre comparve sull’orlo del pendio, con una
bottiglia di birra in una mano e un bicchiere di vero cristallo
nell’altra, in una posizione un po’ scomposta, a gambe larghe. Lui
sali su, e assieme raggiunsero la piscina, con Bob junior che beve-
va la birra mentre facevano conversazione. Nancy che giocherel-
lava col piede, tracciava disegni con l’alluce e poi alzava gli occhi a
guardarlo, sorridendo. Anzi, a un certo punto perse quasi
l’equilibrio, sul bordo della piscina, e allungò una mano per affer-
rargli il braccio, sentendone contrarsi il muscolo. Che coglione.
Lui si fumò due sigarette e bevve la birra a piccoli sorsi, per farla
durare.
Quando tornò, il pomeriggio seguente, Bob junior indossava
una camicia sportiva, pulita. Non riusciva più a trovare la livella, e
si chiedeva se l’avesse lasciata lì.
Dopo aver fatto su e giù per le scale, con un sacco di scena, a
scrutare il pendio oltre la ringhiera, disse infine no, doveva essere
nel camioncino e non l’aveva vista. Ma già che c’era, non è che
Nancy aveva voglia di farsi un giro?
- Dove?
- Non so. Giù per la spiaggia.
- Perché non restiamo qui? – disse Nancy. – Non c’è nessu-
no, in casa, – aggiunse poi, guardandolo con quegli occhi marroni
carichi di promesse.
- L’hai detto tu, eh, – ridacchiò Bob junior.
A questo punto, lei non era più tanto sicura del da farsi. Tut-
tavia, se lo portò dietro, offrendogli una birra sul patio e rifilan-
dogli il trattamento base: lo sguardo da sotto in su, i capelli scuri
di traverso su un occhio, il piede sull’orlo della sedia di lui, proprio
accanto alla sua gamba, sporgendosi per armeggiare col cinturino
del sandalo e per concedergli una buona panoramica dell’interno
della camicetta. Era già arrivato alla birra numero tre, quando gli
scappò detto qualcosa dei suoi figli. Nancy si chiese perché non ci
avesse pensato prima. Certo che era sposato; trentadue o trentatre
anni, la vita intera passata a Geneva Beach, che altro doveva fare?
- È di Geneva Beach, tua moglie?
- No, lei viene da Holden.
- Ma eravate compagni di scuola.
- Sì. Come fai a saperlo?
- E da quant’è che siete sposati? Dieci anni?
- Nove.
- Vediamo… tre figli.
- Due maschi. Uno di otto e uno di sei.
- E gli fai un po’ da fratello maggiore? Li porti a pesca, in
campeggio?
- Be’, una volta ogni tanto. Mi sono comprato questa barca,
un paio d’anni fa, un sei metri con un bel Mercury da novantacin-
que cavalli.
- Sembra una bella cosa.
- Possiamo spingerci al largo, con questa. E dico al largo
davvero.
- E far cosa?
- Pescare. Quel che vuoi -. La stava fissando. – Dovrò fartela
vedere, una volta o l’altra.
- Quando? – chiese Nancy. Intanto, veniamo al sodo.
Dopo la prima volta, quando a Bob junior toccò accostare il
più possibile a riva perché lei non sapeva qual era la sua barca,
Nancy arrivò a nuoto dalla spiaggia e lui rimase ad attenderla, alla
deriva, guardando le sue bracciate fluide, per poi tirarla su scintil-
lante dall’acqua e spingere allo stesso tempo la pancia in dentro e i
muscoli delle spalle in fuori.
Poi, motore a tutta manetta, Bob junior si sedette al timone,
di lato, sotto il tettuccio di tela, e Nancy si allungò su una sdraio di
plastica, nel pozzetto, proprio accanto al 95 cavalli della Mercury,
così che avesse qualcosa cui pensare al suo ritorno a casa, dalla
moglie originaria di Holden e dal maschio di otto e quello di sei.
La terza volta gli dette qualcosa cui pensare per il resto della
vita. Mentre lui era intento a scrutare in lontananza, a osservare la
prua che fendeva le acque del lago, Nancy si tolse il reggiseno del
bikini e tornò a sedersi, a occhi chiusi.
Le sarebbe piaciuto vedere la sua reazione a quello spettaco-
lo, ma non era il modo giusto di fare. Invece bisognava restare a
occhi chiusi, aria noncurante, una sorta di innocenza del tutto na-
turale. Alla fine il motore si spense, e Nancy avvertì la barca che si
muoveva alla deriva e il peso dell’uomo in coperta.
- Certo che quando dici di prendere il sole, lo prendi proprio
tutto.
Lei aprì gli occhi. – Uh- huh.
- Ho sentito parlare di topless, ma questo…
Era in piedi proprio sopra di lei, e si affrettò a chinarsi su un
ginocchio, a posare un braccio sulla sdraio. – Non si capisce quan-
to è abbronzata una persona, – disse, – finché non si vede la diffe-
renza, eh?
- Per la fine dell’estate vorrei essere abbronzata dappertutto.
- Per me, fa’ pure. Chi vuoi che ti veda, quaggiù?
- Mi sa che non posso.
- Forza. Non può vederti nessuno.
- Tu sì.
- Io? E che diamine, credi che non abbia mai visto una ra-
gazza nuda, prima d’ora?
- Sicuro. Tua moglie.
Lui rise. – Anche qualcun’altra, non ti pensare. Forza, su -.
Di nuovo serio.
- Sta’ buono, – disse Nancy. – Ho bisogno di conoscerti un
po’ meglio -. Poi sorrise, quasi maliziosa. Chiuse gli occhi, si spor-
se all’indietro e appoggiò la testa sull’intelaiatura di alluminio, così
da offrirgli un bel profilo, dal naso all’ombelico.
Trascorso un minuto, fu certa che a questo punto non le sa-
rebbe più saltato addosso. Era un rischio che non era disposto a
correre. Si ritrovava a portata di mano un qualcosa cui non aveva
mai potuto aspirare, in precedenza, e non voleva certo mandar
tutto a gambe all’aria abbrancandola proprio la prima volta.
Per un po’ nuotarono attorno alla barca, e mentre rientrava-
no a riva Bob junior suggerì che forse avrebbero potuto farlo an-
che l’indomani. Nancy disse che era spiacente, ma aspettava una
visita di Ray. E nei giorni successivi gli si tenne ben alla larga,
guardando dal promontorio l’arrivo della barca che dal largo si
spingeva a curiosare e nascondendosi non appena lo sentiva scen-
dere di giri e accostarsi a riva.
La settimana dopo, Nancy si affiancò al pick- up di Bob ju-
nior a un semaforo di Geneva Beach, e vide la sua espressione
vacua rompersi in un largo sorriso ebete, quando lui girò lo
sguardo dalla sua parte e si sporse dal finestrino.
- Ehi, sconosciuta! Ma dov’eri finita?
Nel prendere il largo, il giorno seguente, Bob junior era bello
rilassato e sorridente, oltre a fumare come un turco, e le indicava
le varie formazioni nuvolose e i punti di riferimento lungo la co-
sta, con tutta una serie di considerazioni sul buon comportamento
della barca.
– Sai una cosa, – le disse infine, spegnendo il motore, – non
credo di aver mai avuto a che fare con una come te.
- Magari è solo una sensazione, – rispose Nancy.
- Certo che è una sensazione, ma una sensazione mica male.
- E magari riesco anche a comprenderti meglio di tua moglie
-. E senti adesso che dice, pensò poi. Dice…
- Buffo che tu dica proprio questa cosa.
- E io non ho mai incontrato uno come te, – disse Nancy.
Bob junior aspirò ben bene e fece volare la sigaretta dalla
murata, lontano, poi tornò a guardare la ragazza.
- Pensi di toglierti il reggiseno?
- No, oggi no.
- Che significa, oggi no?
- Fa troppo freddo.
- Troppo freddo! Per l’amor di dio, ma se ci sono più di
trenta gradi!
- Sarà, – disse Nancy. – Avrò beccato un colpo di freddo,
roba così. Ce l’hai un maglione?
Nel rientrare a terra, lui quasi non spiccicò parola. Continua-
va a guardarla, seduta con le gambe sotto di sé e il maglione ben
tirato fin sotto le ginocchia. Di quando in quando lei gli rifilava un
sorriso, tanto per fargli sapere che se proprio la voleva, avrebbe
dovuto inventarsi ben altro che un giro in barca.
E adesso, mentre Bob junior stava ancora cercando di sco-
prire cosa avrebbe dovuto inventarsi, Nancy aveva ormai cambia-
to obiettivo.
In testa aveva un’immagine ben nitida di Jack Ryan, che
sfoggiava la sua muscolatura accanto alla macchina di Ray. Già ne
aveva incontrati, di tipi come Jack Ryan, in Florida, e già riusciva a
vederselo, che si aggiustava i capelli davanti allo specchio, che si
guardava riflesso, che si apriva una birra in cucina: ormai scuro di
pelle e sodo, ben tirato, proprio sopra e sotto le linee
dell’abbronzatura, magro e di movimenti lenti, un vero poseur.
Ma in lui c’era ben altro, ben altro che quell’atteggiamento e
quella fedina penale, vale a dire la resistenza all’arresto e il furto
con scasso e ciò che aveva fatto al caposquadra degli stagionali. Su
Ryan, Nancy aveva una sensazione. Non un qualcosa di emotivo,
una semplice attrazione fisica, ma una sensazione precisa, ben fo-
calizzata. Le era bastato vederlo, per capire all’istante che in Jack
Ryan, o in uno come lui, stava la risposta: la sua via d’uscita, con
ben altro in mano che qualche pezzo di mobilia o un po’ di capi di
vestiario.
L’idea le era venuta all’improvviso, subito dopo averlo visto
al baraccamento degli stagionali. Come idea era folle, così assurda
che il solo pensiero l’aveva fatta sorridere, il pensiero di come ci
sarebbe rimasto Ray Ritchie. Ma più ci rimuginava sopra, più le
piaceva. Era davvero fantastica, fuori di testa, e ben al di là di qua-
lunque cosa avesse mai architettato in precedenza. Il guaio era che
dipendeva in tutto e per tutto da Ryan. Tanto per cominciare, dal
fatto che lui se ne restasse a Geneva Beach invece di tornarsene a
casa, e poi dalla sua faccia tosta, dalla sua sfrontatezza. Nancy era
quasi convinta che sarebbe rimasto volentieri, se solo avesse avuto
un valido motivo per farlo.
E se questo motivo non ce l’aveva, sarebbe toccato a lei pro-
curargliene uno. Cosa che non si preannunciava troppo difficile.
Infine, giocherellarci un po’, per vedere che tipo era.
Ma l’intera faccenda, lui che se ne restava in zona e l’idea di
Nancy che andava avanti, era legata al cento per cento al sangue
freddo di Jack Ryan.
E se questa dote esisteva, avrebbe dovuto scoprirlo lei.
5

- Ehi, ce l’hai un po’ di tempo per fartene una con me? – Il


signor Majestyk aveva fatto perno su se stesso, le gambe massicce
e divaricate, i tacchi ad arpionare il poggiapiedi dello sgabello.
Ryan l’aveva notato, a tre posti di distanza: sembrava una
sorta di ex giocatore professionista di football, forse un’ala, le
braccia tozze piantate sul bancone e nel portacenere un sigaro
ormai spento. Non aveva fatto altro che parlare di pesca al barista,
che quel giorno i persici dovevano essere in sciopero, e Ryan era
stato a sentire perché erano lì vicino e non c’era altro da fare.
L’idea era di farsi un’altra birra, quindi se quel tipo era disposto a
offrire da bere, nessun problema. Poteva andarsene in qualunque
momento. Il tipo si spostò, e guarda caso attaccarono a chiacchie-
rare quasi all’istante: il signor Majestyk a far cadere il discorso sul-
la foto del giornale, Ryan con la mazza da baseball, e a dire che
l’aveva riconosciuto subito, Luis Camacho.
- Certo, l’ho già visto prima, quello spig2 – disse.
Un paio di settimane prima li aveva buttati fuori dalla sua
spiaggia privata, Camacho e una tipa spik. – Finché la gente ci
passa a piedi, sulla battigia, nessun problema. Ma quel tale si era
sistemato con tanto di stuoia, e quindi lui e quella ragazza se ne
stavano su una proprietà privata. E quindi glielo vado a dire, tran-
quillo tranquillo: Guarda che te ne devi andare, questa è proprietà
privata. E lui s’incazza. Cristo, avresti dovuto sentire che linguag-
gio. Niente di nuovo, va bene, ma davanti a tutti i miei clienti.
L’impulso è stato quello di mandarlo a gambe all’aria, quel figlio
d’un cane, ma t’immagini che figura? Che razza di posto è mai
quello, col proprietario che si fa tirare in una rissa? Bisogna saper-
sela cavare meglio di così.
- Com’è messo, il suo posto? Capanne?
- Capanne? Il Bay Vista su Shore Road? – Come a voler dire,
Ma per chi mi prendi? Capanne. – Abbiamo quattordici bungalow,
ciascuno con due camere da letto, bagno, soggiorno e cucinotto,
con veranda coperta, e sette stanze tipo motel. Inoltre c’è anche
una piscina, un tavolo per i tornei di piastrelle, un’area giochi per i
bambini.
- E com’è andata a finire, con Camacho?
- Be’, insomma, la ragazza è su di giri come una puttana in
chiesa, e gli dice qualcosa e così fanno per andar via. Ma a un cer-
to punto lui si gira e mi fancula col dito in aria, sai com’è, come a

2
Variante (errata) di spic o spik, termine offensivo riferito ai latinoame-
ricani
dire ecco dove puoi cacciartelo, amico caro. Se non l’ho rincor-
so…
- Stava cercando rogne col lanternino, – disse Ryan. – Non
fossi stato io, sarebbe stato qualcun altro.
- È la stessa cosa che ho pensato io, – disse il signor Ma-
jestyk. – Ce l’hai, tempo per un’altra?
- Penso di sì.
- Di un tavolo che ne dici? Ci stiamo più comodi. Ryan lo
seguì. Era un bel posticino. Odore di birra, d’accordo, ma non si
trattava di una bettola di paese o di un bar da una botta e via. Era
un bar da spiaggia, da porticciolo, con tanto di rete da pesca e sal-
vagente e oggetti d’ottone alle pareti bianche, e una buona vista
sulla darsena. Tranquillo, sì, ma non troppo. Un juke- box in sot-
tofondo, e la gente che chiacchierava, si rilassava, nessuno vestito
a festa; gente che se n’era uscita in barca e si era fermata lì a farsi
un paio di birre. Era proprio un bel posticino. Ci aveva fatto subi-
to caso, alla cameriera, e anche lei non era affatto male: bionda,
coda di cavallo, calzoni rossi aderenti. Gli era passata accanto nel
dirigersi verso il bancone a ritirare le consumazioni da servire, in
un punto contrassegnato da maniglie ricurve e cromate, simili alla
sommità della scaletta di una piscina.
Poi, al tavolo, con un grosso boccale di Michelob e un paio
di sacchetti di Fritos e qualche nocciolina salata; il signor Majestyk
che gli faceva domande su Camacho e sulle sue capacità di capo-
squadra, e continuava a sbagliare le consonanti, aveva una bella
lingua sciolta ma accidenti quanto chiacchierava.
Poi, per forse un minuto, non disse più nulla. Ryan si guardò
attorno e bevve un sorso di birra e infine il signor Majestyk ripre-
se a parlare. – Ascolta, vuoi che ti dica una cosa?
- Sentiamo.
- Quando eravamo al bancone, non avevo intenzione di
rivolgerti neanche la parola. E poi mi sono detto: «Ma chi se ne
frega».
- Ah sì?
- Lo sai che hanno un filmino, di te che meni quel tale?
- L’ho sentito dire.
- L’ho visto l’altro giorno. Tre volte.
Adesso Ryan lo stava guardando. – E come mai gliel’hanno
fatto vedere?
- Be’, metti che non avessero lasciato cadere le accuse e fos-
sero andati al processo. Ti sarebbe toccata udienza con me -. Il
signor Majestyk tacque. – Sono il G.P. del posto, il giudice di pace.
Ryan gli tenne gli occhi addosso.
- Ti sto solo dicendo perché ho visto il filmino, ecco tutto.
- E a che scopo, questa birra?
- Sono anche membro della Camera di Commercio.
Ryan non sorrise. – Devo proprio andare.
- Amico, se questa faccenda ti rende nervoso, altroché se fai
bene, ad andare.
- Non c’è proprio niente che mi rende nervoso -. Ryan sor-
seggiò la birra.
- E però ti hanno detto d’andartene -. Il signor Majestyk atte-
se che Ryan si fosse un po’ rilassato. – Non ci sono accuse, contro
di te. Come fanno a costringerti ad andare via, se tu vuoi restare?
- S’inventeranno qualcosa. Vagabondaggio, o roba del gene-
re.
- Soldi, ne hai?
Ryan lo guardò. – Quanto basta.
- E allora, come fanno ad arrestarti per vagabondaggio? Ti è
già successo altre volte?
- No.
- Girava voce su altri tuoi precedenti arresti, un paio. Furto
d’auto?
- Rubata, sì, ma solo per farci un giro. Pena sospesa.
- E questa storia di resistenza all’arresto?
- C’era uno che mi stava rompendo i coglioni. Gliele ho date.
- Lo sbirro?
- No, prima.
- E con cosa?
- Con una bottiglia di birra.
- Rotta?
- No, quel tipo aveva cercato di tirar fuori qualcosa. Non è
che mi hanno arrestato per percosse. È stato dopo, quando lo
sbirro mi ha detto di gettare la bottiglia.
- Non l’hai gettata abbastanza alla svelta.
Ryan si era messo a guardare la cameriera. Lei aveva assunto
quell’aria in maschera tipica delle cameriere, che nulla rivelava, se
non farti sapere che non eri proprio niente di speciale. Ci stava
che non fosse altro che una tipa piena di sé, una che era solamen-
te stupida ma non lo sapeva. Tipe come quella lo facevano incaz-
zare. Eppure era carina: camicetta inamidata, a ruches, e quei cal-
zoni rossi, aderenti, una sorta di completo da spadaccino. Arrivò
con un altro boccale di birra. Ryan guardò il signor Majestyk rifi-
larle una bottarella sul culo, e lei che sembrava non farci caso.
- Com’è che ti chiami, tesoro? – La manona dell’uomo posa-
ta, con delicatezza, su quel fianco fasciato di rosso.
- Mary Jane.
- Mary Jane, ti presento Jack Ryan.
- Già l’avevo visto, – disse lei, e guardò Ryan nel sistemare il
boccale sul tavolo. Lui incrociò gli occhi della ragazza, cosa che gli
provocò una strana sensazione. L’aveva già visto prima. Sapeva
chi era. Aveva già preso delle decisioni sul suo conto. La osservò
voltarsi di nuovo verso il bancone, una piacevole figuretta in cal-
zoni rossi aderenti.
- Con certa gente, l’avrei usata volentieri anch’io, una botti-
glia di birra, – disse il signor Majestyk. – Avevo una mescita a De-
troit, quanto sarà ormai, quindici anni fa? Ci venivano gli operai
alla fine del turno in fabbrica, alla Dodge Main. Tutti quanti, uno
dopo l’altro, un bicchierino e una birra. E io già glieli facevo tro-
vare tutti in fila, sul bancone, ogni sgabello con i suoi bicchieri
davanti, poi arrivavo in fondo, tornavo indietro e mollavo un se-
condo giro a tutti quanti.
Lo sguardo di Ryan segui la cameriera. Un bel nastrino nero
a fermarle la coda di cavallo. Carino, il nero sui capelli biondi.
- Poi risalivo il bancone un’altra volta, – disse il signor Ma-
jestyk, – e boom boom boom, spazzavo via i quattrini. Al terzo viag-
gio, solo a chi ne voleva ancora. Una volta c’era un tipo mai visto
prima e mi fa, «Porca miseria, ma com’è che ti ricordi quel che
beve la gente?» Stupito. E io gli faccio spallucce come se nulla
fosse. Tutti i polacchi della zona non bevono altro che Seven
Crown e Strohs. Sessantacinque cent.
Ryan lasciò il borsone di tela al banco del bar, e se ne anda-
rono a pranzo in un ristorante sulla Main Street, Estellès: bancone
e separé, con piani in formica e tovagliette segnaposto che descri-
vevano il Michigan come The Water- Winter Wonderland?3 Presero
bistecca e patate fritte, visto che Ryan aveva scommesso che le
patate lesse non ce le avevano. Infatti.
Il signor Majestyk lo guardò fisso, ingobbito coi gomiti pian-
tati sul tavolo. – Ti piacciono le patate lesse?
- Patate lesse, certo, così come sono o anche con un po’ di
prezzemolo, – disse Ryan. – È il vero sapore della patata, quello.
- Proprio così! – disse il signor Majestyk, con un tono che
implicava l’esattezza di quella risposta.
- Quando ancora stavo coi miei, – disse Ryan, – la dome-
nica mia madre cucinava arrosto di vitella o di maiale, e patate
lesse. Non purè, no, né fritte o altro. Lesse e basta. Prendi due o
tre patate lesse, le fai a fette, e le sistemi su metà piatto. Poi ci ver-
si sopra la salsa. Ma hai voglia di trovare le patate lesse in un risto-
rante.
- Dov’è che stavi, a Detroit?
- Highland Park. Poco più a nord di dov’era la Ford Tractor.
Dalle parti di Sears.
- Lo so dov’è. Tuo padre lavora alla Ford?
- Lavorava alla DSR, l’azienda trasporti, ma è morto quan-
do avevo tredici anni.
- Avevo certi amici che lavoravano alla DSR. Che diamine,
quando hanno cominciato, ancora esistevano i tram. Adesso sono
tutti in pensione, o hanno cambiato lavoro.
- Mio padre non l’ha mai guidato, un tram. Mi ricordo solo
che guidava un autobus Woodward. Una linea con la scritta RI-
VER all’andata, e FAIRGROUNDS al ritorno.
- Ci ho viaggiato, certo.
Non parlarono molto, indaffarati con bistecche e patate frit-
te. A Ryan tornarono in mente i pranzi della domenica, nella sala
da pranzo che gli faceva anche da camera da letto: sua madre, le
sue sorelle più grandi e il più delle volte i loro ragazzi; suo padre,
invece, non sempre, perché certe volte la domenica era di servizio.
Era un appartamento con due camere da letto, al quarto piano,
l’ultimo, di un vecchio palazzo; una camera per i suoi genitori, le

3
Slogan promozionale utilizzato dal 1965 al 1967 sulle targhe au-
tomobilistiche dello stato del Michigan [N.d.T]
sorelle nell’altra, sempre strapiena di vestiti e riviste e bigodini e
cianfrusaglie varie. Lui dormiva nella sala da pranzo, su un divano
letto coi braccioli in legno d’acero, e teneva camicie calzini e mu-
tande nell’ultimo cassetto del secrétaire del soggiorno. Era lì al
tavolo della sala da pranzo che faceva i compiti, col suono della tv
che gli arrivava dal soggiorno, ed ecco che arrivava suo padre col
suo changer e col berretto grigio azzurro della DSR sulle ventitre,
schiacciato come quelli dei piloti della seconda guerra mondiale.
Se si era già fermato a farsi un bicchierino, massimo un paio, si
capiva subito. Nel suo giorno libero, invece, si piazzava al tavolo
della sala da pranzo, camicia sportiva pulita, capelli ben pettinati e
scarpe lustre, e faceva solitari con le carte. Andava avanti per quasi
l’intera giornata, sigaretta all’angolo della bocca, testa ben eretta e
occhi semichiusi puntati sul tavolo. Nel pomeriggio passava alla
birra e alla lettura del giornale. Non leggeva altro che quello.
- Vuoi un po’ di A- one?
- No, solo del ketchup.
Suo padre non sembrava un autista di autobus. Era di
bell’aspetto. Capelli scuri. Disinvolto. Ben vestito. Ma lo era, un
autista di autobus, ben oltre la quarantina, con una paga di circa
centoventicinque dollari la settimana, moglie e tre figli a carico e
piccolo appartamento in un palazzo pieno di odori di cucina e
dall’atrio scrostato. Aveva voglia di schiacciarsi il berretto e calcar-
selo di traverso, per far finta di pilotare un 707 o una camionata di
esplosivi su per l’Alcan, tanto sempre un autobus della DSR re-
stava, e non c’era proprio verso di farlo sembrare qualcos’altro.
- Il dolce, ti va?
- Non credo -. Ryan bevve un po’ d’acqua. – Sa com’è, mio
padre è morto a quarantasei anni.
- Be’ -. Il signor Majestyk si stava fissando la mano che reg-
geva il bicchiere dell’acqua, e anche gli occhi di Ryan andarono a
posarsi su quella mano, massiccia e indurita, le nocche gonfie e le
unghie scheggiate e ingiallite, una mano che riusciva a far sembra-
re il grosso bicchiere del ristorante minuscolo e fragile. – Che dire.
Si muore, e basta.
- Già. Si muore tutti quanti, mi sa.
- Non volevo dire questo, – fece il signor Majestyk. – Non in
questo senso. Ci tocca morire, questo sì. Uccidersi no, non è leci-
to, ma lo scopo dell’esistenza è proprio questo, morire. Tu sei cat-
tolico? Col nome che ti ritrovi…
- Già. Almeno, lo ero.
- E allora, com’è che non capisci cosa intendo?
- Non ho mai fatto il chierichetto, o roba simile.
- Mica devi aver fatto il chierichetto, per l’amor del cielo.
Qualcosa ti avranno insegnato, o no? In chiesa ci sarai andato.
- Non tocchiamo quest’argomento.
Lo sguardo del signor Majestyk restò saldo, poi iniziò ad al-
lentarsi, per poi fondersi in un sorriso a tutta perfetta e fasulla
dentatura. – Ma che discorsi stiamo facendo, perché si vive e per-
ché si muore. Forza, facciamo un salto al Pier.
Non vide la cameriera in calzoni rossi. Se n’era andata. Al
suo posto ce n’era un’altra, tracagnotta e con un che di indiano.
Qua e là nel locale c’erano anche diverse ragazze, ma tutte sem-
bravano accompagnate. Il rumore era cresciuto, le luci erano acce-
se e la clientela era aumentata. Una lunga tavolata di ragazzotti
che bevevano birra, con l’aria di studenti universitari appena tor-
nati da un giro in barca, a vela o a motore, facevano un gran casi-
no senza mai chetarsi. Non era più il bel posto di qualche ora
prima.
Quando furono tornati ad accomodarsi a un tavolo, con un
boccale di birra, Ryan vide Bob junior fare il suo ingresso in
compagnia di una ragazza. Non la riconobbe subito, perché era
impegnato a osservare Bob junior che fendeva la folla appostata
in fondo al bancone. Lui era tutto tirato a lucido, in una ganzissi-
ma camicia sportiva a scacchi, con le punte del colletto che anda-
vano a toccargli le spalle e le maniche arrotolate una sola volta,
orologio dal cinturino metallico, di quelli elastici, un gran culone
che ormai gli ciondolava dallo sgabello del bar e capelli pettinati
all’indietro come Roy Rogers. La sua compagna si recò subito in
bagno.
- Insomma, c’erano tutti questi tipi della Dodge Main, alla fi-
ne del turno, – stava dicendo il signor Majestyk, – ma prova a far-
celi venire la sera, se sei in gamba.
Bob junior guardò dalla loro parte, verso l’estremità opposta
del bar. Figurarsi se non aveva una fronte bianca come il latte.
- Be’, si era d’agosto, e allora perché non provare col gran-
turco? Mettiamo un cartello fuori che dice CON CINQUANTA CENT
MANGI QUANTO VUOI. Però avevamo un solo pentolone, e di pro-
posito. Un pentolone che non teneva più di una ventina di pan-
nocchie. Così quei tipi venivano a vedere quanto ne riuscivano a
mangiare. Cinquanta cent, che sarà mai. Ma gli toccava sempre
aspettare, perché avevamo una sola pentola e più di tante pannoc-
chie non riuscivamo a cuocere, capisci? E quindi, aspetta aspetta,
finivano sempre per bere, tanto per passare il tempo. Da un lato
gli vendevamo da bere, e dall’altro gli vendevamo il granturco. Ci
conveniva anche con quello, perché ci costava venticinque cent la
dozzina, e a quei tipi veniva cinquanta, giusto? – A questo punto,
il signor Majestyk si rilassò, il vero uomo di successo. – Ma nes-
suno riusciva a mangiarne più di dodici, quattordici a testa, di
pannocchie.
Ryan sorrise, e abbozzò pure una risatina, anche se non era
per questa storia di polacchi e di granturco; è che aveva intravisto
la brunetta riemergere dal bagno delle donne e l’aveva riconosciu-
ta, e una strana sensazione gli era corsa dritta giù per la schiena,
dalla punta dei capelli fino al coccige.
- Lo conosce quella sorta di Roy Rogers, quello che lavora
per Ritchie? – disse poi, a sorriso esaurito.
Il signor Majestyk si stava tergendo un occhio con una ma-
nona nocchiuta.
- See, lo vedo.
- Chi è quella assieme a lui?
A questo punto il signor Majestyk si raddrizzò e si guardò al-
le spalle, con calma e cautela, così da non farsi scorgere da nessu-
no. Bevve un sorso di birra. – Quella ragazzina è nei guai. – Chi è?
- Ho scordato il suo nome. Nancy qualcosa. Dovrebbe essere
una sorta di segretaria di Ritchie, ma è chiaro che si tratta di una
stronzata.
- È lui che la tiene qui?
- Hai detto la parola giusta, amico. La tiene e la mantiene.
- Da che parte?
- In questa casa che ha sulla spiaggia. Quando arriva sua mo-
glie, a quella tipa tocca spostarsi nel capanno da caccia dalle parti
della fattoria.
- Sembra giovane.
- Quanto credi che bisogna avere?
- Intendo per lui. Ritchie.
- Va’ a chiederglielo. Come faccio a saperlo?
- E che ci fa con Bob junior?
Il signor Majestyk tornò a guardarsi attorno. – Quello stupi-
do figlio di puttana. Uno che ha un buon lavoro, una bella fami-
glia, una barca veloce. Il suo vecchio affitta tutte le terre alla Ri-
tchie Foods, per la raccolta dei cetrioli, e a Bob junior non resta
altro da fare che star dietro ai braccianti…
- È una testa di cazzo.
Il signor Majestyk fece spallucce, e una smorfia. – È un tipo
a posto, soltanto un ragazzone. Pensa di essere il Lone Ranger,
roba così.
- Ha detto che la ragazza è nei guai.
- Guida pericolosa. Ha un’udienza fissata presso la mia corte
tra un mesetto.
- E che c’è di così grave?
Il signor Majestyk si sporse sul tavolo, strisciando sugli a-
vambracci. – Mica sto parlando di bucare un semaforo rosso. Ha
quasi spacciato una coppia di ragazzini.
- Sa per certo che è colpa sua?
- Di sicuro. Erano due ragazzini, due tipi di Geneva su una
macchina che stava in piedi per scommessa, che andavano in giro
a fare un po’ di casino, sai com’è, a sfidare qualcuno a chi va più
forte. Hanno beccato quella tipa alla guida di una Mustang, e
quindi l’hanno affiancata e hanno cominciato a fare i grossi, que-
sto e quello, a chiederle se preferiva farsi una corsa o buttarsi in
camporella, ma che ne so.
- E cos’è successo?
- Be’, non l’hanno schiodata neanche di un millimetro, così
hanno tirato dritto per i fatti loro. Solo che qualche chilometro
più avanti hanno svoltato dalla Shore Road su una stradina sterra-
ta e si sono visti una coppia di fari alle spalle. Hanno aspettato che
la macchina li sorpassasse, ma quella non li ha mica sorpassati,
anzi, gli è andata a schiantarsi dritta contro. Quelli, non ci hanno
mica capito un accidente. Hanno provato ad accelerare, e la mac-
china – era sempre quella della tipa – gli si è agganciata di nuovo
al paraurti. Insomma, quelli cercavano di accelerare e togliersela
dai piedi, sterzando a destra e a sinistra, e lei che non li mollava un
istante, ma cominciava a spingerli a oltre novanta, cento all’ora.
- Ah sì?
- Quelli hanno provato a frenare, e hanno bruciato ogni be-
ne. Va be’, ormai erano in balia completa di quella scema, che
continuava a spingere, sempre più veloce, ormai era sui centodie-
ci, giurano quelli, quando a un certo punto lei si toglie da dietro.
Dev’essere perché aveva visto che la strada finiva a un incrocio,
dopo di che non c’era più nulla se non dei campi arati. Fatto sta
che quei ragazzi cercano di sterzare, scavalcano il fosso e vanno a
finire nei campi. Tre volte, gli si è cappottata la macchina.
- Che gli è successo?
- A uno niente di che, qualche taglietto. È l’altro che si è ri-
trovato le gambe rotte e qualche lesione interna.
– Come fanno a sapere che è stata proprio lei?
- L’hanno vista in faccia, Cristo santo.
- Metta che fosse tutta una cazzata, voglio dire.
- Già, col paraurti della macchina di lei ridotto a brandelli.

- Ma non gli avevi detto di andarsene? – fece Nancy.


- A chi?
Lei si tolse i capelli dagli occhi e indicò col capo il tavolo di
Ryan. – Quello di oggi, sai.
- Figlio d’un cane. Non ci posso credere, – disse Bob junior.
Nel guardarsi attorno, Bob junior si sentiva la camicia a scac-
chi ben aderente alle spalle. La ragazza, che gli stava proprio ap-
piccicata, gli posò una mano sul braccio.
- Certo che se la prende comoda, non credi? – disse lei.
- Molto più di quanto gli avevo concesso.
- Forse ha deciso di restare.
- Vedrai come se ne va di corsa, quando lo rincorro giù per la
superstrada con un bastone.
- Forse non gli fai paura -. Gli fece scorrere la mano lungo il
braccio, fino alla spalla. – Guarda come ha ridotto il messicano.
- Mica deve aver paura, – disse Bob junior. – Solo un po’ di
buon senso.
- Pensi di andargli a dire qualcosa?
- Se non ha levato le tende prima di noi.
- Io sono sempre pronta, – rispose Nancy.

Il signor Majestyk stava esaminando il bicchiere. – Ascolta, –


disse, – pensavo una cosa. Che ne dici di venire a lavorare al Bay
Vista? – Alzò lo sguardo su Ryan, come sorpreso delle sue stesse
parole. – Ehi, che ne dici? Quaranta verdoni la settimana. Anzi,
cinquanta, più vitto e alloggio, una bella stanza che puoi sistemarti
da solo. – A che fare?
- Tutto quel che c’è da fare. Imbiancare, tenere in ordine la
spiaggia, riparare questo e quello. Io sono pieno di artrite, alle
mani, le vedi queste nocche?
- Per il resto dell’estate?
- Il resto dell’estate, forse anche di più. Pensavo di restare
aperto anche per la stagione della caccia. Vengono dei tipi da De-
troit, gli diamo stanze ben messe, li sfamiamo pure. Mai fatto il
cuoco?
- Una volta, in un posto tipo la White Tower, solo più gran-
de.
- In cucina?
- A friggere.
- Dopo la stagione della caccia, ancora non lo so. Ci vorreb-
be una buona situazione, neve e tutto, per gli sciatori, ma bisogna
risalire fino a Petoskey.
- Chi c’è laggiù, solo lei e sua moglie?
- È due anni che è morta. Ma mia figlia, lei abita a Warren e
viene un paio di volte l’anno coi bambini. Ronnie e Gayle. Dio,
che pesti. È stata mia figlia, a sistemare quei posto, sai com’è, a
scegliere le tende e i divani letto e tutti i quadri, insomma ogni
cosa.
- Già. Be’, non saprei -. La ragazza assieme a Bob junior,
Nancy, aveva ripreso a guardarlo, e questa cosa lo faceva sentire
strano, come se quella tipa di lui sapesse ogni cosa, proprio come
la cameriera dai calzoni rossi. Più di quanto ne sapesse lui, su di
lei. La guardò scivolare dallo sgabello e guardò Bob junior che si
alzava in piedi e lo guardava a sua volta.
Il signor Majestyk si sporse ancor più in avanti. – La vuoi sa-
pere una cosa?
- Solo un istante. Mi sa che abbiamo compagnia -. Il signor
Majestyk si raddrizzò e alzò gli occhi, proprio mentre Bob junior
fendeva gli avventori al bancone e raggiungeva il loro tavolo. La
ragazza restò ad aspettarlo al bar.
- Cos’è che stai cercando di fare? – disse Bob junior a Ryan.
– Stai provando a fare il furbo con me?
- Cristo, – disse il signor Majestyk. – E chi mai vorrebbe fare
il furbo con te?
- Ciao, Walter Bob junior era serio. Mica sorrideva.
- Ehi, il cappello da Lone Ranger, dov’è che l’hai messo?
- Walter, ti secca se dico due parole a questo tipo?
- Fammici pensare, – disse il signor Majestyk. – Mi sa di sì.
Bob junior stava fissando Ryan, senza prestare ascolto a Ma-
jestyk. – Lo sai cosa ti ho detto stamattina. Ti ho detto che non te
l’avrei più ripetuto.
- E allora perché glielo stai dicendo di nuovo? – chiese il si-
gnor Majestyk.
- Meglio che ce ne usciamo un momento, – disse Bob junior
a Ryan.
Il signor Majestyk fece scorrere la mano sul tavolo, in dire-
zione di Ryan. – Resta dove sei.
- Walter, queste sono faccende della compagnia.
- Della compagnia? Perché, lavora per voi?
- Gli abbiamo saldato quanto gli spettava, a patto che se ne
andasse, – disse Bob junior. – In virtù del nostro accordo, intendo
accertarmi che ne rispetti i termini.
- Ehi, Bob, – disse il signor Majestyk, – lascia stare queste
cazzate sugli accordi, va bene? L’avete saldato perché quei soldi
glieli dovevate. Adesso lui non lavora più per voi, e non c’è verso
che puoi costringerlo ad andarsene, se lui non vuole.
- Walter, tu sei amico di mio padre, ma questa è una cosa tra
me e lui.
Ryan finì di bere la sua birra e se ne versò dell’altra. Aveva un
buon autocontrollo, ma stava arrivando al limite, e a perdere la
pazienza non ci voleva ancora molto, con Bob junior accanto al
tavolo con le mani sui fianchi e quella grossa fibbia da cowboy
che gli brillava sul cinturone, proprio al livello degli occhi di Ryan.
- Non ti sei stufato di stare in piedi? – disse Ryan senza alza-
re lo sguardo. – Perché non vi sedete, tu e la tua amica, e vi fate
una birra?

Il signor Majestyk sorrise. – Ecco una buona idea. Bob, che


ne dici? Mica è tardi.
- Abbiamo già bevuto, e ce ne stiamo andando, e mi aspetto
che questo bel tomo, qui, se ne vada assieme a noi.
Ryan alzò lo sguardo su Bob junior. – Non insistere, capito?
Basta.
- Ascolta, ragazzo, se non fossi assieme a qualcuno, ti prende-
rei per la collottola e ti porterei fuori io.
- Col cavolo che ci riusciresti, – disse Ryan.
Il signor Majestyk lo stava osservando. Poi spostò gli occhi
su Bob junior e disse, senza fretta ma prima che Bob junior po-
tesse rispondere: – Sono stato io a invitarlo a bere una birra con
me. Ancora non ho finito, e neanche lui. Forse ce ne faremo an-
che altre, magari una decina. Che ne so. Ma vorrei solo sapere se
hai intenzione di restartene lì in piedi ad aspettare che abbiamo
finito.
- Walter, già gliel’ho detto stamattina, a quello, cosa doveva
fare.
- Bravo, gliel’hai già detto. Allora, Bob, o ti metti a sedere o
te ne vai a stazionare da qualche altra parte, va bene?
- Secondo te sto facendo a cornate. Walter, io e questo tipo
abbiamo degli affari in sospeso.
- Va be’, diciamo che abbiamo ragione tutti e due, – fece il
signor Majestyk: – e che nessuno dei due intende mollare la presa.
Intanto hai lasciato da sola quella bella signorina. Ti pare bello,
Bob? Che ne direbbe tuo padre? E tua moglie?
Bob junior esitò a sufficienza per far loro capire che non a-
veva alcuna intenzione di lasciarsi costringere a fare ciò che non
voleva. E dopo un lasso di tempo che gli parve adeguato, sempre
guardando Ryan e spostando piano gli occhi sul signor Majestyk,
– La riaccompagno a casa, – disse, – ma mi rivedrete ancora, sta-
tene certi -. E volle lanciare un’altra occhiata a Ryan, prima di an-
darsene.
La ragazza attese a braccia conserte, anche lei con gli occhi
su Ryan, poi sull’espressione seria e compunta di Bob junior che
la stava raggiungendo. – Wow, – disse, e lo precedette all’uscita.
- La vuoi sapere una cosa? – disse il signor Majestyk. Aveva
l’occhio un po’ acquoso; cominciava ad accusare la birra, ma par-
lava a bassa voce, con un certo autocontrollo. – Forse ti stai chie-
dendo perché voglio assumerti. Perché proprio te. Vuoi che te lo
dica?
- Sentiamo, – disse Ryan. Tanto glielo avrebbe detto lo stes-
so.
- Potrà sembrarti una scemenza, non so, ma ho visto quel
filmino, va bene? E poi ho parlato di te con gli uomini dello sce-
riffo, e mi sono detto: «Quello è un bravo figlio. Uno che sa tener
duro. Forse ha avuto una vitaccia, a giro per di qua e per di là, co-
stretto a trovarsi un lavoro. Senza potersene andare al college,
senza un mestiere…» Mica ce l’hai, un mestiere, no?
- Nessuna fonte di guadagno.
- Bene, – disse il signor Majestyk. – Non hai fatto il college,
non hai un mestiere. Così mi sono detto: «Che farà mai? E uno in
gamba. Ha qualcosa che gli altri non hanno. Sa tenere duro, quel
figlio d’un cane». Stammi a sentire, certe cose le so. Mica è facile
tener sempre duro. Cioè, è meglio se hai qualcuno a darti una ma-
no, ogni tanto. Non so se mi sono spiegato.
Solo il pensiero della ragazza in piedi al bancone, che aspet-
tava quel tale, e il modo in cui l’aveva guardato prima di andarse-
ne, gli faceva tornare quella strana sensazione.
- Mi sono spiegato o no?
- Già, altro che.
- E allora mi sono detto: «Sei disposto a vederlo sprecare la
sua vita, a vagabondare senza meta, a ficcarsi nei guai, o hai inten-
zione di dargli una mano?
Concedergli un’opportunità, un posto per vivere, qualcosa da
fare».
- È questo ciò che si è detto.
- Magari non con queste precise parole.
- Vengo a lavorare al Bay Vista.
- Diciamo fino al primo maggio, poi vediamo come va a fini-
re.
- Custode in un motel.
- Non è un posto da custode.
- Tuttofare. Divento il suo tuttofare e sono a posto.
- Guarda che non ti sto regalando niente. Se vieni a lavorare
per me devi darti da fare. Magari scopro che sei un buono a nulla
e mi tocca cacciarti via.
- Se accetto il lavoro.
- Se accetti il lavoro, giusto.
- E intende anche proteggermi da Bob junior. Fare in modo
che non mi capiti niente?
Il signor Majestyk gli piantò gli occhi addosso, lo sguardo
impassibile, malgrado il contrarsi delle profonde rughe che gli
correvano ai lati del naso. Seduto, tutto spostato in avanti, gli oc-
chi ancora inchiodati su Ryan. – Saprai anche tener duro, – disse,
– ma certo che sei davvero tonto, Gesù Cristo.
- Mica le ho chiesto io di stare dalla mia parte.
- Allora lasciamo perdere, – disse il signor Majestyk. – Va
bene? – Tranquillo, privo di espressione. – Me ne vado a casa.
Vieni con me, resta qui, non m’interessa. Se ti va, pensa a quanto
ti ho detto, e se hai voglia di lavorare trovati al Bay Vista domani
mattina alle otto in punto. Se non ne hai voglia, come non detto.
Nell’uno o nell’altro caso, fa’ come ti pare.
Si diresse al bar a regolare il conto, e se ne uscì senza guar-
darsi indietro.
- Che è successo? – disse a Ryan la cameriera dall’aria india-
na. – Non si sentiva bene?
- È andato a casa, tutto qua.
- Ha detto che potevi fare come ti pareva. Ryan la guardò. –
Io mica gli ho chiesto niente.
– E chi ha detto nulla? – La cameriera dall’aria indiana portò
via il boccale e i bicchieri vuoti. Qualche minuto più tardi vide
Ryan raccogliere il borsone e uscire.
6

La finestra panoramica della cabana numero 5 si affacciava sul


lato meno profondo della piscina. Erano le nove di mattina e non
c’era ancora nessuno. La superficie della piscina era parzialmente
all’ombra, immobile.
Virginia Murray era in piedi dalle sette meno un quarto. Ave-
va fatto colazione con succo d’arancia, pane tostato e caffè decaf-
feinato Sanka, rassettato il cucinotto, sistemato il letto, si era ficca-
ta sotto la doccia, tolta i bigodini dai capelli e pettinata, per poi
infilarsi il costume da bagno azzurro pallido e l’accappatoio di
spugna. Aveva anche scritto ai suoi genitori per far loro sapere
che razza di meraviglia era non doversi alzare per recarsi in fretta
e furia al lavoro. Adesso non le dispiaceva più che le altre ragazze
non fossero venute. Da sola, si riposava molto di più.
Seduta sul divano che fronteggiava la finestra panoramica, e
con le tende a fiori spalancate, riusciva a spingere lo sguardo fin
oltre la piscina e sulle altre cabanas, e inquadrare il tutto come una
sorta di scena, un palcoscenico già pronto per la rappresentazio-
ne, visto dall’oscurità della platea. Si mise a sfogliare il «Mc-Call’s».
Consultò l’orologio: le nove appena passate. Tirò le coppe del co-
stume da bagno azzurro pallido, intero, che le stringeva sul seno.
Dette un’occhiata all’interno della borsa di paglia al suo fianco,
per accertarsi della presenza del Coppertone. E dei Kleenex. E del
pettine, che ripescò per poi andare in bagno a pettinarsi di nuovo,
di fronte allo specchio, la testa di lato e appena piegata, a sorve-
gliare il movimento del pettine con la coda dell’occhio, occhio che
di tanto in tanto si incrociava riflesso nello specchio e guardava
altrove. Se ne tornò al divano e si sedette sull’asciugamano che
aveva steso a un’estremità. Nel raccogliere il «McCall’s» scorse due
bambini in piedi sul bordo della piscina.
Erano i figli dei Fisher, cabana numero 14, una di quelle pro-
prio davanti alla spiaggia. Tempo qualche minuto e sarebbe arriva-
ta la sorella adolescente, a tenerli d’occhio; poi il padre e ancora
più tardi, verso le undici, la madre. A quell’ora sarebbero già ap-
parsi gran parte degli ospiti del Bay Vista: dapprima i bambini,
bambini dappertutto, all’improvviso, poi a poco a poco gli adulti,
che si davano il buongiorno e sceglievano la propria sdraio con
attenzione, sistemandole l’una accanto all’altra o spostandole al-
trove, rivolgendole di faccia alla piscina o al sole, oppure di spalle.
I Fisher si sarebbero diretti alla piscina.
La coppia un luna di miele si sarebbe diretta alla piscina. Dal-
la cabana numero 10, proprio di fronte a quella di Virginia Murray.
La famiglia con i bambini dai capelli scuri, con ogni probabi-
lità italiani, si sarebbe diretta alla piscina e la madre avrebbe attac-
cato discorso con la signora Fisher, due donne con gambe pesanti
e spolverini da spiaggia e cappelli di paglia dalla banda ornata di
aggeggi molto simili a pigne.
Quelli della cabana numero 1 non si sarebbero mossi dal loro
prato e dal tavolo con l’ombrellone al centro, e dall’ombra avreb-
bero sorvegliato i loro figli sulla spiaggia.
Le due giovani coppie della numero 11- senza figli, o magari
li avevano lasciati a casa – che stavano tirando su una muraglia di
lattine di birra vuote sul parapetto della veranda (la domenica sera
Virginia Murray le aveva contate, le erano parse attorno al centi-
naio), sarebbero scese in spiaggia verso le dieci; uno degli uomini
sarebbe tornato verso mezzogiorno per pescare una birra nel fri-
gobar portatile; tutti quanti sarebbero tornati per pranzo, all’una,
scesi di nuovo in spiaggia alle due, e via di nuovo con la birra alle
quattro, belli tranquilli, con gli uomini che sparavano un fuoco di
fila di battute e tutti e quattro a ridere allegramente.
La donna della numero 9, una rossa che si truccava anche per
andare in piscina, sarebbe apparsa verso le undici, assieme a sua
figlia, una bambinetta che nel frattempo se n’era già uscita non si
sa quante volte per guardare i suoi coetanei. Certe volte la bambi-
na faceva le bizze perché voleva andare in spiaggia a giocare con
la sabbia; Cheryl Ann, – diceva sua madre, – guarda che oggi il
sole picchia troppo.
Al Bay Vista c’era parecchia altra gente, nelle cabanas e nelle
stanze tipo motel che davano sulla Beach Road, che certe volte se
ne veniva in piscina e certe altre giù in spiaggia. Ormai Virginia
Murray li riconosceva quasi tutti, ma non li aveva ancora ben in-
quadrati, né deciso niente sul loro conto.
E poi c’era il signor Majestyk. Sembrava un tipo a posto.
Cordiale, anche se in modo brusco, non molto educato; sempre a
giro in canottiera – e cappellino da baseball – e sempre con qual-
cosa da sistemare o con la zattera dei tuffi da spostare più al largo
o col suo piccolo bulldozer su e giù per la spiaggia. E, dal mattino
precedente, Jack Ryan. Virginia Murray, ormai, non aveva più
dubbi; era la stessa persona della foto apparsa sul giornale, il tipo
con la mazza da baseball. Incredibile che avesse ancora quel gior-
nale, vecchio di una settimana, e che il giorno prima,
nell’avvolgerci le bucce di pompelmo, l’avesse visto in quella foto
per poi ritrovarselo davanti al Bay Vista. Aveva passato l’intero
pomeriggio a osservarlo; era proprio lui, nessun dubbio.
Rimase seduta sul divano, in costume da bagno azzurro pal-
lido, a sbirciare dalla finestra panoramica della numero 5,
nell’attesa che la giornata si animasse e cercando di identificare chi
le ricordava Jack Ryan. Uno di quei tipi da giubbotto di pelle nera.
Una sorta.
Ma non aveva l’aria lercia, untuosa. Era per la sua postura.
Quasi da torero. Ecco, sì, come quello del poster che aveva a casa:
plaza de toros de linares, e sotto la scritta il torero a piedi uniti, la
schiena inarcata e le guance risucchiate in dentro, lo sguardo che
gli scendeva in basso, giù per il torace, fino a posarsi sul toro che
giaceva, scomposto, accanto a lui.
Non l’aveva visto parlare con altri che il signor Majestyk, e si
chiese come poteva essere, rivolgergli la parola, anche se sapeva
benissimo che tra loro non c’era niente in comune; solo, lui non
era il suo tipo. S’immaginò, sola, nella cabana numero 5. Notte
fonda. Si vide a letto, immersa in un libro, poi spegnere la luce e
restarsene sveglia al buio. Non sarebbe accaduto subito. Ma dopo
qualche minuto avrebbe udito il rumore, un raspare – no, più uno
scricchiolare – e la porta a zanzariera che si apriva. Li, al buio, con
gli occhi aperti e qualcuno che sentiva muoversi nella stanza di
fronte. Poi sentirlo nel corridoio, e infine scorgere la sua sagoma
scura nel vano della porta della stanza da letto. Attendere che fos-
se entrato, prima di accendere la luce. Domandargli – Posso esser-
le utile? – E ritrovarsi davanti Jack Ryan, che brandiva un coltello
da cucina e si accostava al suo letto.
Agli eventi successivi, ancora doveva pensarci un po’ meglio.
Non le era ancora chiaro, con precisione, cosa avrebbe detto lei
stessa. Un tono di voce calmo, non certo rassicurante ma col me-
desimo effetto, e gli occhi fissi in quelli di lui, senza mostrare pau-
ra ma soltanto comprensione. Un po’ alla volta, si sarebbe rilassa-
to. Avrebbe posato il coltello. Si sarebbe seduto sul bordo del let-
to. Lei gli avrebbe fatto delle domande, e lui avrebbe preso a par-
lare di sé. Del suo passato, dei suoi problemi, e lei avrebbe saputo
ascoltare, tranquilla e placida, per niente sconcertata dai suoi rac-
conti. Lui le avrebbe chiesto se poteva tornare a parlare con lei, e
lei gli avrebbe toccato il braccio e sorriso, e detto, – Ma certo. Pe-
rò adesso è meglio se te ne vai a letto e ti fai una bella dormita.
O roba del genere. Si immaginò sulla spiaggia in sua compa-
gnia, ma era poco più di un frammento. Più tardi, più tardi. Ci
sarebbe stato tempo anche per questo.
Adesso, seduta sul divano, lo vide spuntare tra la numero io e
la numero 11, con la lunga pertica d’alluminio alla cui estremità
era saldato un retino. Consultò il suo orologio. Le nove e venti.
Guardò Jack Ryan che tuffava il retino in acqua, nel punto
più profondo, e risaliva l’intera lunghezza della piscina, togliendo
dalla superficie foglie e insetti morti. Disse qualcosa ai due bam-
bini Fisher, e loro gli fecero un sorrisetto per poi gettarsi in acqua,
cercando di toccare il retino in cima alla pertica. Lui tornò pian
piano verso la parte più profonda, concentrato sul suo lavoro,
gomiti in fuori e braccia rigide a reggere la pertica: un barcaiolo,
non già un torero, uno scuro gondoliere senza camicia né scarpe
né cintura – un cinturone nero e alto, gli ci sarebbe voluto – e non
certo dei calzoni di tela kaki tagliati sopra il ginocchio, ma di un
altro tipo, di quelli appunto da gondoliere. Quali erano? Virginia
non riusciva a ricordarselo. Erano ormai passati quattro anni, c’era
stata con mamma e papà, l’anno che si era diplomata al Marygro-
ve College.
Quando comparve la figlia adolescente dei Fisher e si in-
camminò lungo il bordo della piscina, Virginia Murray si alzò per
andare in camera da letto. Di fronte allo specchio, si annodò un
foulard sui capelli, gli occhi che non fissavano se stessi nello spec-
chio, ma conscia dell’espressione un po’ attonita, un po’ carica di
aspettative che aveva in volto. Si voltò per uscire. Ma prima si di-
resse alla finestra a ghigliottina di fianco al letto, ne sganciò il
fermo e cercò di sollevarla dal basso. Niente da fare. Non ne vo-
leva sapere. Virginia tornò in soggiorno, si piegò l’asciugamano
sul braccio, prese la borsa di paglia e uscì dalla cabana numero 5,
lasciandosi scattare piano la porta alle spalle. Si mise gli occhiali da
sole, alzò gli occhi al cielo e agli alberi di quella splendida mattina-
ta, si avviò tranquilla verso la piscina.
- Insetti e sporcizia, e basta, – disse il signor Majestyk. – Il
fondo, lo puoi ripulire domani.
- Che altro?
- La spiaggia. Va rastrellata dove hanno arrostito gli hot dog
quei ragazzini. Forse è la cosa che dovresti fare subito dopo que-
sta.
- Per me fa lo stesso.
Il signor Majestyk lo guardò. – E poi il telefono della doccia,
alla numero nove. La tipa continua a dire che sgocciola. Perde allo
snodo.
- Mica le so riparare, le docce.
- Basta dargli una ripulita. Prima lo smonti e lo porti in labo-
ratorio. Poi ti faccio vedere io come si fa a pulirlo. Gli attrezzi so-
no nel ripostiglio accanto al tuo.
- Che altro ancora?
- Devo verificare. Ti faccio sapere.
- Ancora non ho fatto colazione.
- Alzati per tempo, la mattina. Io sono in piedi dalle sette. Se
vuoi mangiare, è alle sette che si mangia.
- Grazie, di cuore.
- Ma ti pare, – disse il signor Majestyk. Poi si incamminò tra
la 11 e la 12.
Dalla tasca dei calzoni, Ryan tirò fuori un pacchetto di Ca-
mel, spiaccicato e quasi vuoto, e accese una sigaretta tenendo sot-
tobraccio la pertica d’alluminio con l’estremità ancora immersa in
acqua. La prima boccata gli fece schifo, proprio perché era ancora
a stomaco vuoto, senza neppure un caffè.
Si riavviò lungo il bordo della piscina, con la pertica bella ri-
gida.
- Non è che ha un momento, – disse Virginia Murray.
Ma lui le era già passato davanti, la pertica in acqua e il retino
che scorreva a pelo.
Lei attese che tornasse indietro. Fin quasi alla sedia a sdraio.
Ecco.
- Non è che può dare un’occhiata alla mia finestra?
- Come?
- Ho una finestra che non si apre. Non ne vuole sapere.
- A che numero sta?
- Numero cinque.
- Okay, vengo a vedere.
- Quando soffia un po’ di brezza dal davanti, nessun proble-
ma. Posso lasciare la porta aperta e mettere il fermo al telaio.
- Vengo a vedere. Numero cinque.
- Quando pensa di potere?
- Be’, ho da finire qui, poi devo fare un’altra cosa.
- La ringrazio tanto -. Lasciò cadere gli occhi su «Mc- Call’s»
e girò una pagina. Gli aveva rivolto la parola.
Ryan fece il giro della piscina, attorno al trampolino, e si di-
resse al punto più basso. Ne aveva raccolti a sufficienza, di insetti,
per una giornata. Andò a riporre la pertica nel magazzino del mo-
tel, passando dall’area riservata al gioco delle piastrelle, la sistemò
sugli appositi sostegni a parete e prese la borsa degli attrezzi, poi
tagliò dritto fino alla numero 9 e bussò alla porta. Fu una bambi-
netta a venirgli ad aprire, e restò poi a guardarlo da dietro lo
schermo della porta.
- Mamma dorme ancora.
- Devo solo riparare la doccia.
C’era uno strano odore, là dentro; quel posto aveva bisogno
di una bella ripulita, soprattutto in cucina. Il latte e i cereali della
bambina erano sul tavolo, assieme a una fetta di pane e a vasetti di
burro d’arachidi e gelatina d’uva, aperti.
- Hai già fatto colazione?
- Uh- huh.
- Io ancora no, – disse Ryan. – Non è che lo sai preparare, un
sandwich di burro d’arachidi e gelatina di frutta?
- Certo.
- E allora perché non me ne fai uno, mentre io rimetto a po-
sto la doccia?
La porta della stanza da letto era aperta, ma nel passarle da-
vanti evitò di guardare all’interno. Il bagno era |
una bolgia, il pavimento pieno di sabbia e asciugamani spor-
chi, la parte superiore dello sciacquone soffocata da un cumulo di
bigodini e cosmetici vari. L’aveva intravista il giorno prima, la ros-
sa, sola con la bambina, e neanche tanto malmessa, anzi proprio
ben fatta, ma in quel momento decise di toglierla dalla sua lista di
papabili. Riuscì ad allentare il telefono della doccia con la chiave
inglese – più semplice di quanto pensasse – e se ne tornò in sog-
giorno.
- Ehi, mica male. Sei proprio brava, a preparare sandwich.
- Mi ha insegnato mamma, – disse la bambina.
- È davvero perfetto. Ascolta, me lo porto via, va bene?
Mangiò il sandwich nel tragitto tra la numero nove e la casa
del signor Majestyk, tagliando da dietro le cabanas ma prendendo-
sela comoda. Il Bay Vista non era poi malaccio: due file di villette
identiche, in blocchi di cemento dipinti di marrone scuro, che si
spingevano fin sulla spiaggia, nascosti alla vista della Shore Road
da un motel di sette unità abitative. Ryan stava nella numero 7,
l’ultima dietro l’ufficio. Tutte le villette davano sulla piscina o sul
patio o sull’area giochi o sugli spiazzi per il barbecue, eccetto la
numero 1 e la numero 14, che si affacciavano direttamente sulla
spiaggia e rispetto alle altre costavano venti dollari la settimana in
più.
La casa a un piano del signor Majestyk, scura anch’essa, sor-
geva proprio sulla spiaggia, accanto alla numero 1. La sua mac-
china, una Dodge station- wagon, era nel garage, a fianco del pic-
colo bulldozer dotato di pala anteriore. Trovò il signor Majestyk
nel passaggio coperto che collegava la casa al garage, in una sorta
di veranda che serviva da laboratorio.
- Ecco il coso della doccia.
Il signor Majestyk annuì. – Hai già sistemato la spiaggia?
- E quel che intendevo fare adesso.
- Ti faccio vedere come si fa a ripulirlo -. Il signor Majestyk si
nettò le mani su uno straccio e prese il telefono della doccia. – Va
liberato dalle incrostazioni, dalle porcherie.
- Forse è il caso che vada a dare una rastrellata alla spiaggia,
prima che arrivi il grosso della gente.
- Già, e metti che quella tipa voglia farsi una doccia.
- Secondo me non se la fa mai.
- Ma chi ti credi d’essere?
- Cosa se la fa a fare, una doccia, adesso? Alle dieci di matti-
na?
- Va’ a sistemare la spiaggia, va’. Questo lo pulisco io. Ascol-
ta, il pranzo è a mezzogiorno o alle sei, dipende se ho udienza.
- Scordavo che è un giudice.
- Di pace. Oggi si mangia a mezzogiorno.
Ryan andò in garage e tornò indietro. – Non trovo il rastrel-
lo.
- È dall’altra parte, sul davanti.
Ryan uscì di nuovo, voltò l’angolo della casa del signor Ma-
jestyk per ritrovarsi al sole e all’ombra dei sempreverdi, il sole bel-
lo caldo che batteva sulla vetrata termica della finestra panorami-
ca, le aiuole contornate da pietre dipinte di bianco: quasi un giar-
dino da avamposto militare, non foss’altro che per la voliera e i
fenicotteri di plastica che vi si nutrivano.
Prese il rastrello, si diresse alla spiaggia e iniziò il suo lavoro,
radunando pezzi di legno bruciato, involucri e incarti, bottigliette
di bibite, tutti gli avanzi della serata degli hot dog. Doveva procu-
rarsi uno scatolone, o qualcosa di simile. Prima, però, era meglio
ripulire tutta la spiaggia e accumulare cinque o sei montagnole di
rifiuti. Si stava bene al sole, faceva caldo, ogni tanto si levava una
piacevole brezza. S’infilò gli occhiali da sole e accese una sigaretta.
Non c’era molta gente, in giro. I bevitori di birra della numero 11
erano ancora tranquilli, non avevano aperto bocca. La coppia del-
la numero io stava per proprio conto su un telo da spiaggia. I
bambinetti della numero 1 giocavano nella sabbia, e qualche ra-
gazzino si gingillava con mazza e pallina da baseball, tutta roba di
plastica.
Rimase a guardare la pallina che si levava in cielo con
un’ampia traiettoria, una presa facile, una di quelle che se c’era
sotto Colavito4, a prenderla, aveva tutto il tempo di battere il pu-
gno nel guantone; quando la pallina attaccò a scendere, poi, scorse
la ragazza in costume da bagno che camminava sulla battigia, pur
sempre a una buona cinquantina di metri di distanza, ma capì su-
bito di chi si trattava. Capelli scuri, occhiali da sole, la ragazza ma-
gra e abbronzata in un due pezzi giallo, quasi un bikini ma non del
tutto: ventre piatto, scuro anch’esso, e la sottile linea gialla, gambe
niente male, esili ma ben fatte.
Guardava dalla parte di Ryan, scostandosi i capelli con la
punta delle dita. L’aveva visto, ne era certo; ma questo non voleva
dire che l’avesse riconosciuto, poteva essere un qualunque addetto
alla pulizia della spiaggia. Magari doveva farle un cenno di saluto,
o spostarsi verso la battigia per andarle incontro, ma d’istinto gli
parve una stupidaggine. La lasciò andare, limitandosi a osservarne
i movimenti, fin quando non si fu fatta così minuscola da fondersi
con le sagome e i colori in lontananza.
Se la casa sulla spiaggia di Ray Ritchie era da quella parte, al-
lora era là che stava andando. Altrimenti, se l’era appena lasciata
alle spalle. Ryan ripensò a quando lei l’aveva guardato al bar, e ri-
pensò a quel che gli aveva detto il signor Majestyk, di Ray Ritchie
che la teneva e la manteneva. Non aveva mai conosciuto una ra-
gazza che viveva con qualcuno. Di ragazze, ne conosceva d’ogni
tipo, ma non come quella. Avrebbe dovuto avere capelli biondi e
un gran paio di tette, più alta, qualche anno di più, scarpe coi tac-
chi. E gli tornò in mente il signor Majestyk che diceva: – Quanto
credi che bisogna avere? – Si chiese, appunto, quanti anni avesse e
da dove saltasse fuori e dove avesse incontrato Ray Ritchie e co-
me avesse fatto, quello, a portarsela in casa, come avesse fatto a
proporle una cosa del genere.
Le avrebbe rivolto la parola, quando fosse riapparsa, ma non
riuscì a pensare a qualcosa da dire, e tornò quindi a pareggiare la
sabbia col rastrello.
Datti una calmata, si disse. Ma che ti prende? Strana cosa, era
certo che sarebbe riapparsa. E non fu per niente sorpreso nel ve-
derla infine tornare indietro, dapprima un puntino giallo assai di-
stante, che ad avvicinarsi – piano piano – ci metteva un’eternità,
ma ancora non gli veniva in mente nulla. Provò a dirsi, mental-
mente, «Ehi, come va?» Poi, «Guarda un po’ chi c’è». Poi, «Ehi,
dov’è che stai andando?» Poi, «Per l’amor del cielo, dacci un ta-
glio».
Si avvicinò alla battigia e riprese a rastrellare, a lisciare la sab-
bia, senza guardare la ragazza ma sempre tenendola d’occhio,
gambe esili e abbronzate, capelli lunghi.
Riuscì a calcolare bene i tempi, e si tirò su quando lei era a
pochi metri di distanza, per appoggiarsi al manico del rastrello
come una sorta di lanciere.
Lei lo guardò. Poi, senza, fretta, guardò altrove. Ryan attese
che fosse passata oltre, così che le sarebbe toccato voltarsi. – Ehi.

4
Rocky Colavito, celebre giocatore di baseball attivo nel decennio
1956- 1965 [N.d.T].
Lei fece altri due o tre passi, prima di voltarsi, non del tutto e
con lentezza, a gambe un po’ scostate, per poi guardarlo.
- Volevo chiederti una cosa, – fece Ryan. Le lasciò tutto il
tempo per dire Cosa?
Ma lei non aprì bocca. Aspettava.
- Mi chiedevo perché mi stavi guardando, in quel bar, – disse
infine Ryan.
Lei attese un attimo ancora. – Ma sei sicuro che guardavo
proprio te?
Ryan annuì. – Certo che sì. Non credi che possiamo smetter-
la, di girarci attorno?
Lei sorrise appena. – Girarci attorno, e che male c’è -. Il ven-
to le sollevò i capelli e lei se li scostò dall’occhio, li aveva di traver-
so sulla fronte, capelli castano scuro e, forse, occhi castani.
- Perdere tempo, voglio dire, – fece Ryan.
- L’ho capito, che vuoi dire.
Nel valutarlo, nell’esaminarlo, era proprio a suo agio; lui con-
tinuò a sorreggersi al rastrello e le restituì lo sguardo.
- Mi sorprende vederti, – disse Nancy. – Non ti spaventa,
Bob junior?
- Se voglio restare da queste parti, spetta a me decidere.
- Com’è che hai avuto il posto?
- Non lo so. È stato quel tale, a offrirmelo.
- Per l’estate?
- Non lo so. Penso di sì.
- C’è un sacco di cose che non sai, non ti sembra?
Lui la fissò, aspettando di trovare le parole giuste, e lei lo fis-
sò a sua volta. Ryan non aveva mai avuto problemi di conversa-
zione con nessuno, ragazze in particolare, e questa sensazione lo
metteva a disagio. Non gli piaceva. Perché fai così il carino? pen-
sò.
Nancy continuò a guardarlo, senza sorridere né dargli confi-
denza, a guardarlo e basta. – Vogliamo ricominciare? – disse infi-
ne.
- Non saprei, – disse Ryan.
- Potresti venire a casa mia -. Alzò un braccio a indicare la di-
rezione. – Da quella parte, poco più di un chilometro. Una rampa
di scale dipinta di bianco, con un lampione in cima.
- Immagino che il signor Ritchie non ci sia.
- Difatti.
- E chi c’è, con te? Una donna di servizio, qualcun altro?
- Nessuno.
- Non hai paura, da sola?
Lei scosse il capo, tornò a toccarsi i capelli. – Mi piace.
- E cosa fai?
- Un sacco di cose.
- Sarebbe?
- Vieni a scoprirlo, stasera.
- Non saprei.
La guardò fare spallucce e dargli le spalle. Lei si aspettava che
lui le dicesse qualcosa. Lui era certo che lei se lo stesse aspettan-
do: bene così. La guardò che si avviava, sempre in attesa, ma non
certo disposta a tornare a guardarlo. Certo, era una di quelle abi-
tuate a dimenare la coda e far scattare tutti sull’attenti, ma per quel
giorno lui si era già messo sull’attenti a sufficienza. Quel pomerig-
gio sarebbe tornata, oppure il giorno dopo, lo stesso posto, la
stessa ora. Quindi, perché agitarsi? O no?
Mi sa che hai proprio ragione, si disse Ryan.
7

Una volta – aveva tredici anni, Jack Ryan – si era lasciato


penzolare dal tetto di casa, sospeso a quattro piani dal marciapie-
de del vicolo, tanto per vedere se era capace di farcela. Al primo
tentativo, non è che fosse uscito del tutto nel vuoto. Era rimasto a
sedere sull’orlo, sul retro del palazzo, in un punto privo di corni-
cione, e poi aveva messo le gambe fuori, sorreggendosi col petto
e gli avambracci, il volto quasi a toccare la superficie incatramata
del tetto. Poi si era tirato su, facendo leva sulle palme delle mani,
fin quando aveva potuto ancorare un ginocchio sul bordo del tet-
to. Da lì in avanti, tutto facile. Infine si era aggirato là sopra per
qualche tempo, con brevi respiri, le mani lungo i fianchi, ad aprire
e serrare le dita, proprio come fanno i velocisti prima di voltarsi,
imboccare la corsia giusta e avviarsi ai blocchi di partenza. Era un
mattino d’estate, e sul tetto non c’era nessuno. Un po’ più in bas-
so, le cime tondeggianti degli olmi, gli spioventi di altre case, i
comignoli, le antenne tv. Udiva le macchine sulla Woodward Ave-
nue, a mezzo isolato di distanza, e un’auto nel vicolo sottostante,
che avanzava a bassa velocità con gran cigolio, e ci metteva un
sacco a passare di lì sotto. Quando si senti pronto, tornò a spo-
starsi sull’orlo del tetto e si mise a sedere con le gambe nel vuoto.
Poteva farlo, sapeva di poterlo fare, a patto di starci almeno un
po’ attento e non farsi prendere dal panico o fare qualche fesseria.
Ma per averlo già fatto non era sufficiente saperlo.
Più tardi, si sarebbe infilato la felpa blu scuro con le maniche
tagliate e il cappellino da baseball con la visiera piegata al punto
giusto e sarebbe andato ad allenarsi al Ford Field. Si sarebbe piaz-
zato a un paio di metri dalla terza base, al sole e alla polvere, men-
tre i battitori si succedevano al piatto, per accucciarsi appena a
ogni lancio, le braccia penzoloni; poi, nell’attesa del lancio succes-
sivo, si sarebbe sistemato il cappellino dalla visiera piegata, gli oc-
chi fissi sulla tasca del guantone giapponese e la punta della scar-
petta chiodata a lisciare il terreno.
Dopo l’allenamento e dopo pranzo, a una certa ora del po-
meriggio, avrebbe convocato qualche amico sul tetto e, prima che
quelli si potessero accorgere di cosa stava succedendo, già sarebbe
stato penzoloni dalla doccia della grondaia, lassù al quarto piano.
Nel tirarsi su, avrebbe visto le loro facce.
O lo fai, o non ne fai di niente, pensò quella mattina, seduto
sull’orlo del tetto; e quindi lo fece. Si mise sullo stomaco e si la-
sciò calare un po’ alla volta, sorreggendosi al bordo della gronda-
ia, che sentiva sfondato e comodo alla presa, e non sembrava ce-
dere; fin quando non si ritrovò completamente nel vuoto, le brac-
cia rigide sopra la testa e i piedi che puntavano dritti verso il vico-
lo. Conta fino a dieci, pensò. Con calma, arrivò fino a cinque, poi
accelerò il conteggio e fece quasi l’errore di tirarsi su con troppa
fretta. Ma riuscì a rilassarsi di nuovo e a issarsi lentamente, con
cautela, per poi piantare le braccia sul bordo del tetto e ritrovarsi a
pancia in giù.
Perché dirlo a qualcuno? Pensò non appena fu risalito, lonta-
no dall’orlo del tetto. Visto che ormai sei in grado di farlo, che
altro puoi volere? Che cosa strana. Non lo disse mai a nessuno,
neanche un minimo accenno. Restò un suo segreto. Ma una volta
ogni tanto tornava a pensarci su.
E ci pensò su un sacco di volte, quella mattina, nel rastrellare
la spiaggia.
- Se non hai niente da fare, stasera, – disse il signor Majestyk,
– resta a guardare la tv.
- Non saprei. Forse ho proprio qualcosa da fare.
- Com’è che si chiama? – Il signor Majestyk ridacchiò, infi-
landosi in bocca un pezzo di braciola di maiale. Poi, masticando, –
Danno McHalès Navy5 Che figlio di puttana. L’hai mai visto?
- Già visto.
Donna aveva apparecchiato in veranda: braciole di maiale,
patate gratinate, piselli, salsa alla mela, birra, pane fatto in casa,
gelatina di frutta per dessert. La sentiva, Ryan, che già rigovernava
in cucina.
- Mi fa tornare in mente l’epoca del servizio militare, – disse
il signor Majestyk. – Mica era come McHalès Navy. Voglio dire,
non è che si facevano quelle cose. Ma me lo fa tornare in mente lo
6
stesso. Li conosci, i Seabees ?
- Credo di sì, – rispose Ryan.
- C.B., Battaglione Costruzioni. Ci occupavamo di questa
striscia d’atterraggio a Los Negros, nelle isole dell’Ammiragliato.
Mai sentite?
- Non mi pare.
- Nuova Guinea?
Ryan annuì. Quella sì che lo sapeva dove stava, sulla carta
geografica. Sopra l’Australia.
- Okay, allora a nord della Nuova Guinea, diciamo un sei-
settecento chilometri, – disse il signor Majestyk. – Quelle sono le
isole dell’Ammiragliato. Ci davano braccialetti e cinturini da oro-
logio, sai quei braccialetti d’identificazione, di acciaio inox o di
alluminio, e noi ci incastonavamo gli occhi di gatto, quelle pietre
che hanno gli indigeni. Sembrano mezze biglie, ce ne sono di
bianche, nere, marroni, forse anche verdi. Poi queste schifezze le
vendevamo ai tipi dei reparti aerei della Marina, e Cristo se si gua-
dagnava. Erano delle vere porcherie, ma i pezzi grossi ti davano

5 Film del 1964, e popolare serie tv con Ernest Borgnine, tra-


smessa in Italia come Un equipaggio tutto matto. Il film è invece u-
scito come Marinai, topless e guai [N. d. T]
6 Battaglione del Genio Militare, impiegato nella costruzione
di basi aeronautiche e navali e piattaforme di sbarco [N d T].
una bottiglia di whisky da trentacinque dollari, per uno di quei
troiai. Il Primo Cavalleria, erano stati loro a difendere l’isola prima
che arrivassimo noi. Ma non certo a cavallo, eh.
- Stanno in Vietnam, – disse Ryan. – Lo so che non ce li
hanno, i cavalli.
- Sono sbarcati in questo posto, mi sembra, – disse il signor
Majestyk, – sul versante ovest dell’isola, dove non c’erano altro
che alberi di cocco e porcherie varie; poi sono arrivati i Seabees a
buttar giù quegli alberi, coi bulldozer, per spianare le postazioni
delle mitragliatrici. Girava una storia, quei tipi, il Primo Cavalleria,
erano ancora lì, non si erano ancora spostati nelle Filippine, e noi
gli vendevamo schifezze d’ogni tipo, insomma questi stavano cer-
cando di impadronirsi di quella striscia di atterraggio, scavando da
una parte, e queste pupe giapponesi, geishe o come si chiamano,
gli andavano incontro proprio su quella striscia, nude come vermi,
senza un accidente addosso, lo giuro su dio, e quei tipi si metteva-
no a berciare «Mani in alto». Ma quelle, col piffero che alzavano le
mani, continuavano ad andare avanti. Fatto sta che allora loro a-
vevano attaccato a sparare, bang bang, a buttarle giù come pere cot-
te, e via via che cadevano, quelle pupattole, gli cadevano anche le
granate che tenevano sotto le ascelle. Capito, cosa volevano fare?
Mischiarsi ai nostri ragazzi, e poi mani in alto.
- Proprio nude, eh?
- Come bachi.
- Ci.sta che le avessero costrette.
- Be’, – disse il signor Majestyk, – sai com’è, si pensa sempre
che i nostri ragazzi siano così valorosi, ma è anche vero che pure
dall’altra parte devono aver fatto la loro parte di cose di valore -.
Il signor Majestyk terminò la sua gelatina, raschiando ben bene il
bordo del piatto. – Tu l’hai fatto il militare?
- Ho cercato di arruolarmi, ma mi hanno scartato.
C’era questo mio amico, che è riuscito a entrare nei Reparti
Speciali, ma a me non mi hanno preso. Mi sono distrutto il ginoc-
chio al liceo, a giocare a football, e poi mi sono stroncato anche la
schiena.
- Hai avuto un incidente?
- Con la schiena, dice? No, solo dei dolori. Poi un giorno ho
fatto per uscire dalla doccia, all’epoca giocavo a baseball, terza
serie…
- Ah, pure a baseball?
- Al liceo, sì, e poi in terza serie.
- Davvero? Io ho allenato un club, nella Legion.
- Nella Legion non ho giocato mai. Ho giocato al liceo, e poi
nella lega di Detroit. Dopo di che, in terza serie, ma in Texas. Sta-
vo uscendo dalla doccia e mi è caduto l’asciugamano. Mi sono
chinato per riacchiapparlo ed è stato come se mi avessero piantato
un punteruolo da ghiaccio nella schiena. Sa, proprio in fondo?
- Certo, è successo anche a me.
- Sono stato due settimane a letto. Non potevo neanche
muovermi. Il solo tentare di girarsi, il dolore più tremendo mai
provato.
- Già, è la sacroiliaca.
- Il medico mi ha detto che avevo un’ernia al disco.
- La sacroiliaca, sì, proprio alla base della colonna vertebrale,
– disse il signor Majestyk. – Io me ne andavo da questo specialista
delle ossa. Ci lavorava un po’ su e mi sentivo come nuovo.
- Adesso non mi dà molto fastidio, – disse Ryan. – Ma
ogni tanto mi rendo conto che c’è ancora.
- Be’, almeno non hai dovuto fare il militare.
Ryan prese una cucchiaiata di gelatina, senza alzare gli occhi.
– Chissà, magari mi sarebbe pure piaciuto.
- Be’, – disse il signor Majestyk. – La vita militare ha i suoi
pregi, se riesci a fartela piacere.
Stavano per terminare il pranzo, quando apparve uno dei be-
vitori di birra della numero 11, dopo aver bussato alla porta a
zanzariera, e chiese al signor Majestyk se poteva cambiargli un
assegno. Nessun problema, rispose lui, e il tipo della 11 ne compi-
lò uno da cento dollari.
Ryan osservò il signor Majestyk che si spostava in soggiorno.
Lo guardò aprire il mobiletto sopra la scrivania ed estrarne una
scatola di metallo. Lo vide contare un certo numero di banconote,
poi richiudere la scatola e girare l’angolo che dava sul corridoio.
- Ti sembra ogni volta di averne portati abbastanza, – disse il
tipo della 11, – ma poi te ne servono sempre altri.
- Troppo giusto, – disse Ryan.
Il tipo della 11 stava sbirciando nel soggiorno. – Bel postici-
no.
- Se le piace il color porpora, – fece Ryan.
Gli tornò in mente la cosa che gli aveva detto il signor Ma-
jestyk, che era stata sua figlia a scegliere l’arredamento, quella che
stava a Warren. L’insieme non era certo quello della tipica casa
della zona. In terra, moquette color porpora, solo un po’ più chia-
ra. Tendaggi porpora, gialli e grigi. Un divano a strisce nere e por-
pora, con delle righe argento, e due sedie in tinta. Sul tavolo da-
vanti alla finestra c’era una lampada di legno vecchio, forse recu-
perato in acqua. Alle pareti, stampe di strade dall’aria parigina,
incorniciate di bianco. C’era anche la foto di un cane da caccia,
sopra il caminetto di marmo nero. Un televisore portatile Sylva-
nia, bianco e, giusto di fronte, la poltrona del signor Majestyk.
Doveva essere la sua, una Recline- O- Rama nera, perché Ryan se
lo immaginava proprio, il signor Majestyk, seduto lì dentro in ca-
nottiera guardare la tv, un cuscino con su impressa la foto del Ma-
ckinac Bridge dietro la testa. L’avrà pure arredata sua figlia, pensò,
quella di Warren, Michigan, ma certo era stato il signor Majestyk
in persona a piazzare le targhette sulle porte della credenza incas-
sata e in altri punti della casa:
PERICOLO, BEVUTE IN CORSO
UNA COSA SOLA, IL DANARO NON PUÒ COMPRA-
RE: LA POVERTÀ
CERTO CHE MI MANCA, IKE CHE DIAMINE, MI
MANCA PERSINO HARRY
E, sopra la scrivania, la passatoia rossa in miniatura con la co-
roncina dorata, IL BENVENUTO UFFICIALE DELLA RED
CARPET. IL VOSTRO ARRIVO CI RIEMPIE DI GIOIA!
Nessun problema con quelle targhette, ma certo non sem-
bravano entrarci poi molto col resto dell’arredamento. Insomma,
quel posto era messo come una casa di città, di Detroit, non un
luogo di villeggiatura. Ci sarebbero voluti dei mobili in acero, per
dire, che se ci mettevi i piedi sopra non c’era nulla di male, e un
caminetto in pietra con quella roba bianca tra una lastra e l’altra, la
malta, ecco.
Ryan scrutò il signor Majestyk che dal corridoio rientrava in
soggiorno. Che apriva di nuovo la scatola metallica e si toglieva di
tasca un rotolo di banconote.
- Non è che voglio lasciarla a secco, – disse il tipo della 11.
- Ma le pare, – rispose il signor Majestyk.

Accanto alla casa del signor Majestyk c’era un lotto vuoto.


Non era di sua proprietà, ma il signor Majestyk disse a Ryan di
tenerlo ugualmente d’occhio e sotterrare tutti i rifiuti. Era vicino
al Bay Vista, e quindi faceva una pessima impressione, tra le latti-
ne di birra e gli avanzi dei party sulla spiaggia. Ryan ci perse un
po’ di tempo, levando di mezzo le lattine e gettandole tra i cespu-
gli, là dove si erano trincerati i vietcong. Avrebbe dovuto usare il
bulldozer per togliere i detriti più pesanti, pietre e ciocchi carbo-
nizzati, e per scavare una buca. Arrivare sulla spiaggia con la pala
del bulldozer sollevata, a mo’ di scudo contro le armi automatiche
dei vietcong. Immaginatevi di doverlo fare in guerra, di aprire le
postazioni per le mitragliatrici con quei bastardi che ti sparano
addosso.
Raccolse una lattina di birra, fece due mezzi passi, e la gettò
dritta tra i cespugli.
- Bel lancio, – disse il signor Majestyk, dal limitare del giardi-
no di casa sua. Ryan non l’aveva visto arrivare.
- Un tempo me la cavavo bene. Poi non so cos’è successo.
- In che ruolo giocavi?
- Per lo più in terza base. Tre stagioni in terza serie. Poi per
due stagioni la schiena mi ha impedito di giocare. In giugno ho
tentato di nuovo; mi sembrava che la schiena fosse tornata a po-
sto e credevo di potercela ancora fare.
- E quindi?
- Ma ho scoperto che due anni fermo, senza far nulla, fanno
la differenza.
Il signor Majestyk ridacchiò. – E te ne sei già accorto alla tua
età. Aspetta ancora un po’, amico, e vedrai -. Alzò gli occhi al cie-
lo. – Va a piovere. Quando soffia da questa parte.
Anche Ryan alzò lo sguardo. – Ma se c’è il sole.
- Non per molto, – disse il signor Majestyk. – Tanto vale che
fai un salto in paese a prendere la vernice, visto che fuori non ci
potrai lavorare.
- Che vernice?
- Vernice. Come, che vernice?
- Come faccio a sapere di che vernice parla?
- Te lo dico io, – fece il signor Majestyk. – Altrimenti come
fai?
Stupido figlio di puttana. Però sulla pioggia aveva ragione.
Prima ancora di arrivare a Geneva Beach Ryan aveva già dovuto
azionare il tergicristallo. Nel tempo che ci mise a entrare in paese
e trovare un parcheggio, il cielo si era oscurato ben bene e la
pioggia veniva giù fitta.
Per esser un giorno feriale, c’era più traffico del solito, un
sacco di gente che aveva avuto la stessa idea, scendere in paese
perché non c’era altro da fare. Gente, per lo più bambini e ragaz-
zetti, che correva da un negozio all’altro e si accalcava alle porte
d’ingresso, macchine a passo d’uomo che si fermavano in doppia
fila per farli scendere o risalire. Buffo come a nessuno piacesse
bagnarsi. Ryan si avviò a piedi, senza fretta; se poi si bagnava, be’,
che male c’era?
Andò a procurarsi la vernice, poi si fermò a comprare siga-
rette, un flacone di Jade East e l’ultimo numero di True.
Nell’uscire vide che il cielo si stava rischiarando, rasserenando, e il
sole iniziava a fare capolino. Infilò la vernice nel baule della
station- wagon, salì a bordo e avviò il motore. Fosse arrivato un
attimo prima o un attimo dopo, non avrebbe forse beccato Billy
Ruiz, ma eccotelo venire verso la macchina, di corsa, ingobbito e
sorridente. Saltò su e sbatté la portiera.
- Ehi, pensavo che te n’eri andato! – Si era già messo a
toccare il sedile e il cruscotto. – E hai pure una macchina!
- È del mio datore di lavoro.
- Lavoro? Dov’è che lavori?
- Un posto appena fuori della Beach Road -. Ryan esitò,
nel guardare Billy Ruiz e vedergli ancora in volto la sorpresa e
quel sorrisetto idiota. – Il Bay Vista.
- Certo, lo so dov’è. Lavori laggiù, eh?
- Da ieri.
- Posticino tranquillo, amico.
- Mica ci abito, ci lavoro e basta.
- Eggià, con tutto quel ben di dio che se ne va a giro in co-
stume da bagno, eh? – Il ghigno di Billy Ruiz si fece più ampio. –
Non me lo dire.
- Meglio che raccogliere cetrioli.
- Tutto è meglio di quello.
- Avete quasi finito?
- Ancora qualche giorno, – fece Billy Ruiz. – Sai che han-
no fatto venire questi bei tomi da Bay City e da Sa- ginaw, a darci
una mano? Cristo, neanche il naso si sanno trovare. E per metà
neanche si sono fatti vedere, stamattina.
- così resta più lavoro per voi.
- Già mi basta quel che ho. Ehi, hai sentito di Frank?
- Che ha combinato, adesso?
- L’hanno buttato fuori.
- Ma come, se siete anche a corto di manodopera.
- Dico sul serio. È sbronzo dalla mattina alla sera, sai com’è,
da quando ha quei pochi quattrini. Ieri non si è visto. Stamattina
neanche, e così Bob junior l’ha sbattuto fuori e gli ha detto di le-
varsi dalle palle.
- Com’è che si è messo a bere?
Billy Ruiz aggrottò la fronte. – Perché ha due soldi in tasca,
che ti credevi?
- Stupido figlio di puttana.
- Certo. Diglielo tu.
- Se n’è andato a casa?
- Dice che il suo furgoncino in Texas mica ci arriva.
- Allora non gli resta che saltare su un autobus.
- Non gli si può dire proprio nulla, a quel tipo.
Ryan accompagnò Billy Ruiz alle baracche degli stagionali –
fino alla strada che portava al campo – e poi se ne tornò a Geneva
con Frank Pizarro in testa, quei suoi capelli unti e bisunti e gli oc-
chiali da sole e quant’era boccalone. Uno sbaglio, Frank Pizarro.
Andava ad aggiungersi a tutti gli altri sbagli che aveva fatto e che
si era ripromesso di non fare più. Le promesse erano roba da nul-
la, però era molto più facile ricascare nei medesimi errori, diosan-
to.
Imboccò la Shore Road, e all’ultimo istante svoltò di nuovo a
sinistra, al primo isolato, e si ritrovò proprio sul retro del super-
mercato IGA. C’erano così tante auto nel parcheggio che gli toc-
cò accostarsi con la macchina, per andare a dare un’occhiata al
mucchio di scatoloni di cartone ammassati nei pressi della porta
posteriore. E quando riuscì a scorgerli, vide che non si trattava
altro che dell’ennesima pila di scatoloni, simile a tutte le altre. Po-
teva essere la stessa identica pila del sabato precedente, a parte la
mancanza del cartone rosso di birra Strohs.
Nell’uscire dalla Beach Road continuò a pensare al cartone
della birra, a chiedersi dove fosse finito, fin quando non si disse O
fai qualcosa o lasci perdere, basta che la smetti di starci a pensare.
Non c’era verso che riuscisse a rintracciare un cartone di birra
vuoto e gettato via due giorni prima, e allora molto meglio lasciar
perdere. Chi non riusciva a levarsi dalla testa, però, era Frank Pi-
zarro. Non avrebbe neanche dovuto farselo venire vicino, un tipo
simile. Avrebbe dovuto saperlo che tipo era, fin dalla prima volta
che l’aveva visto. Non era una bella sensazione, avere qualcosa che
ti stava addosso in quel modo. Un qualcosa che non andava fatto.
E invece.
Oppure un qualcosa che avrebbe dovuto fare, ma che si era
scordato. Gli tornò subito in mente, non appena vide la ragazza
della numero 5.
Aveva messo la macchina del signor Majestyk in garage, e
stava risalendo il vialetto che correva dietro le cabanas e portava
alla sua stanza, quando vide la ragazza e gli tornò in mente tutto
quanto. Lei stava uscendo a retromarcia dal suo posto macchina,
piano piano, a bordo di una Corvair scura e lustra. Poi aveva pre-
so a fissarlo, aspettando che la raggiungesse.
- Mi chiedevo… Pensavo che sarebbe venuto a sistemarmi la
finestra.
Non l’avrebbe certo riconosciuta, se non l’avesse vista uscire
dalla numero 5. Era tutta in tiro: collana bianca, fermacapelli
anch’esso bianco, occhiali da sole dalla montatura bianca, bordati
di perline, ben truccata e ben vestita, maglioncino e borsetta sul
sedile del passeggero.
- La finestra, – disse Ryan. – Senta, non è che me ne sono
dimenticato. Ho solo avuto da fare.
- Pensa di potere, domattina?
- Prima cosa.
- Be’, non troppo presto. Sono pur sempre in vacanza -. Rise.
- Mi dica lei quando.
- Va bene, allora -. La vide esitare. – Le serve un passaggio?
Sto andando a Geneva.
- Torno giusto da lì -. Non sembrava male. Di terza fascia,
diciamo, ma nient’affatto male, così rivestita.
- Be’, allora, grazie, – disse Virginia Murray, e indietreggiò
ancora un poco, sempre a bassa velocità, prima di avviarsi una
buona volta.
Ma di che lo stava ringraziando?
La porta posteriore della numero 5, e la finestra che pareva
fuori uso, erano proprio a due passi. Ryan dette un’occhiata alla
finestra, non da vicino ma pur sempre da breve distanza. Poi ri-
prese il cammino verso la sua stanza.
Più tardi imboccò la strada che portava al drive- in A&W,
dove prese un paio di cheeseburger e una root beer, e fece un paio
di percorsi di minigolf. C’era anche la rossa della numero 9, as-
sieme a sua figlia, e indossava calzoni aderenti e grossi orecchini
bianchi, e anche una fascia tra i capelli. Sembrava davvero Carlna,
ma Ryan lasciò correre; non lo attirava proprio, l’idea di quella
bambina tra i piedi. Quando rientrò al Bay Vista, erano già passate
le otto. Nel patio, due uomini fumavano sigari, e dei bambini gio-
cavano a piastrelle, ma ormai gran parte della gente si era ritirata
all’interno, tra chi giocava a carte e chi era andato a mettere i figli
a letto. Ryan valutò se fare un salto dal signor Majestyk, ma non
gli parve una grande idea. Cosi se ne andò a letto con la sua copia
di «Trae», la Rivista per l’Uomo. Si lesse tutto traditore ed eroe:
così l’ha perdonato la Francia, saltò a piè pari breve la vita felice
della macchina volante del kansas e arrivò a circa metà di il piano
da io milioni di dollari: ecco come stalin voleva inondare gli stati
uniti di moneta falsa. A questo punto, si era già stufato. Prese le
scarpe da tennis e uscì.
8

Gli piaceva, starsene da solo. Non sempre, ma le volte che si


ritrovava da solo, gli piaceva. Come in quel momento, col rumore
della risacca e il vento che si agitava nel buio. Poteva essere su una
spiaggia in qualunque parte del mondo. Le case che spuntavano
tra gli alberi, alle sue spalle, erano sagome scure proprio come le
capanne di un villaggio. Le barche tirate a riva potevano essere
sampan di quelli che usavano i vietcong. Girava voce che avessero
trasportato un bel po’ di mortai e armi automatiche, roba fabbri-
cata e fornita dalla Cina comunista, e lui era impegnato in una so-
litaria operazione di pattugliamento in qualche posto a nord di
Chu Lai; penetrare tra le fila nemiche e comunicare la posizione
dei depositi di munizioni dei vietcong e quella delle loro postazio-
ni radio alla flotta che attendeva al largo, a cinque miglia di distan-
za. Buffo come la gente avesse paura del buio. Certe cose le face-
vano in guerra, quelli della Demolizione Subacquea o dei Reparti
Speciali, che si muovevano di notte nella giungla armati di M- 16 e
con la faccia tinta di nero. Un passo falso e ti ritrovavi un bastone
appuntito su per il culo. E certa gente aveva pure paura di starse-
ne al buio su quella spiaggia. Se riesci a trovare abbastanza corag-
gio da infilarti di soppiatto tra tipi che non aspettano altro che
farti secco, allora non ce ne vuole poi molto a infilarti tra gente
che gli dà fastidio il buio. Questa paura era buffa, certo, ma allo
stesso tempo molto utile.
Il fatto è che a una cosa del genere ci si faceva l’abitudine.
Bastava convincersi di essere in grado di farlo, e non lasciarsi
prendere dal panico. Era questione di saper mantenere la calma,
una procedura che si imparava a seguire. No, altro che calma.
Molto di più. Cristo, già erano tutti convinti di essere calmi a suf-
ficienza. Freddezza, ci voleva, ecco cosa. Il vero professionista,
con l’acqua gelida che gli scorre nelle vene. Come Cary Grant,
quando versa lo champagne alla sua bella, o si ritrova in cima a un
tetto e c’è quel tipo con l’uncino al posto della mano, che gli salta
addosso, e lui è sempre lo stesso identico Cary Grant. Neanche
una stilla di sudore. Proprio come quando poi lo butta giù dal tet-
to, quel tipo con l’uncino, e quello va di sotto e il gancio gli ra-
schia sulle lastre di metallo, tutta una scintilla.
Come ladro di gioielli, Cary Grant era uno in gamba. Ma non
lo facevano mica vedere, cosa ci faceva con quei gioielli, dopo che
li aveva rubati. C’era un tizio, a Highland Park, un ricettatore ar-
meno, che prendeva senza problemi apparecchi tv, abiti, pellicce,
roba così; ma se uno gli andava a portare una collana di diamanti
da centomila dollari? «Harry, ho questa collana di diamanti da
centomila dollari. Cos’è che mi puoi dare?» Te la immagini, la fac-
cia di Harry?
Ma basta con queste storie. Senza macchina, e a 250 chilome-
tri dal più vicino banco di pegni, televisori e valigie se li potevano
pure tenere. No, basta così, davvero.
Quando lavorava con quel tipo di colore, Leon Woody, il
primo obiettivo era sempre quello più facile: case col giornale sui
gradini, o ancora buie al calar della sera, con le imposte ancora
chiuse, oppure col prato non più tagliato da tempo. E di quelle
che sembravano promettere meglio, prendevano nota. Quali lam-
pade erano ancora accese, e a che ora, e se erano le stesse lampade
ad accendersi per due o tre sere di fila – una o due al pianterreno
e una al piano superiore – poi andavano a suonare il campanello e,
se nessuno rispondeva, via dentro.
Il metodo preferito di Leon era scegliere una casa e, di po-
meriggio, provare a suonare alla porta. A chi veniva ad aprire, si
dichiarava in cerca di qualche lavoretto: imbiancare o rinfrescare
le pareti, dare una sistemata al giardino. Di solito si sentiva ri-
spondere di no – era quasi sempre una signora – e allora passava a
chiedere informazioni su quelli della porta accanto, se potevano
essere in casa. Certe volte la signora diceva di no, che erano andati
a passare l’estate in Florida, e allora era fatta. Leon Woody scuo-
teva il capo, con una certa aria solenne. – La miseria, certo che
butta proprio male, – con una ben studiata aria da negro tonto, e
un sorrisetto appena accennato. Se invece la donna aveva qualcosa
da fargli fare, ecco che Woody cambiava strategia. – Oh, grazie,
signora. Molto gentile, da parte sua. Ma visto che ormai è tardi,
forse è meglio che ce ne torniamo domattina -. E,
nell’allontanarsi, – Domattina, col cazzo, – borbottava a Ryan.
Altra possibilità: non rispondeva nessuno. In tal caso si fer-
mavano con la macchina nel vialetto e bussavano alla porta poste-
riore. Se ancora nessuno si faceva vivo, si intrufolavano in casa; di
solito, da una finestra del seminterrato, e filavano dritti a cercare
qualche valigia per riempirla di bottino. Poi se ne uscivano dalla
porta principale, con le valigie piene zeppe di vestiario, pellicce,
argenteria, apparecchi radio e tv – insomma, tutto quel che aveva
l’aria di valere qualcosa – e le caricavano in macchina.
Durante i loro F con S riuscivano sempre a mantenere la
calma, a celarsi le reciproche emozioni: che c’erano, eccome. Mai
una volta che dicessero: «Forza, filiamocela», o si mostrassero an-
siosi di tagliare la corda. L’idea di base era introdursi nelle case,
valutare la situazione e portare via solo la roba di un certo interes-
se. Una volta a Ryan era capitato di entrare in uno studiolo per
trovarci Woody già seduto in poltrona, con un drink in mano e
intento a sfogliare una rivista. Era stata forse la scena più incredi-
bile, almeno fino al pomeriggio in cui alla porta si era presentato il
garzone del lavasecco. Ryan era andato ad aprire, aveva ritirato
due completi e un soprabito, ringraziato il fattorino e non aveva
fatto poi altro che mettere quella roba dritta in valigia. Un vero
tocco di classe, i ringraziamenti a quel tale. Leon Woody c’era an-
dato vicino, la volta che aveva risposto al telefono e all’altro capo
c’era un tale che voleva sapere con chi diamine stava parlando, e
dov’era finita sua moglie. – È a letto che mi aspetta, amico, cosa ti
credi? – aveva risposto Leon Woody, chiudendo lì la conversazio-
ne. Si erano concessi ancora qualche minuto, giusto il tempo per
trovarsi a un isolato di distanza proprio nel momento in cui l’auto
della polizia si fermava davanti alla casa.
Un’altra volta Leon Woody si era presentato con una borsa di
attrezzi fregata chissà dove, per poi collegare un trapano elettrico
al filo della luce della veranda e far saltare la serratura della porta.
Secondo Ryan aveva fatto troppo casino. Vero, aveva risposto
Woody, ma gli era parso un sistema ben più professionale. Insi-
stendo, anzi, che era bene usare metodi sempre diversi, così che i
loro F con S non si rassomigliassero troppo. Leon Woody era un
buffo tipo, un nero alto e segaligno che aveva giocato a basket al
liceo, tanto da ricevere qualche buona offerta da squadre universi-
tarie. Il fatto è che non era riuscito a superare l’esame di ammis-
sione neppure ai college più scalcinati. Il suo problema era
l’eroina. Per tutto il tempo che si erano frequentati, Ryan l’aveva
sempre visto strafatto, una situazione che gli costava almeno set-
tanta, ottanta dollari al giorno. Ma era un bravo figliolo, e si sa-
rebbe gasato un sacco nel ritrovarsi a fare il lavoretto della dome-
nica precedente, quando Ryan si era infilato in quella casa con
cinquanta persone in giardino a strafogarsi di hamburger.
C’erano delle luci, nell’oscurità, ma poco più di capocchie di
spillo, freddi e minuscoli puntini perduti nella notte, lontani come
stelle, non certo parte della spiaggia né tanto meno di quel preciso
istante.
Sopra di lui c’era un’altra luce, di un flebile color arancione.
La sponda del lago si era, un po’ alla volta, fatta sempre più sco-
scesa, passando dalla piattezza della spiaggia del Bay Vista a un
ripido promontorio coperto di cespugli e solcato ogni paio di cen-
tinaia di metri da scalinate di legno che salivano fino a perdersi
nelle tenebre.
Ryan continuava a camminare e scrutare il dislivello, fin quan-
do la consapevolezza di essere lì a perdere tempo iniziò a ronzar-
gli in testa, per trasformarsi poi in una vera e propria certezza.
Infine si fermò. Avrebbe fatto meglio a restarsene a letto. Ma che
doveva fare, indovinare qual era la scalinata giusta? E poi, una vol-
ta azzeccata? Salire, bussare alla porta, metter su un’aria innocen-
te? – Salve, passavo giusto di qua -. Ma vaffanculo.

Nancy lo guardava. Dall’alto, dalla cima della scogliera, l’aveva


guardato passare. L’aveva guardato fermarsi e, per un istante, met-
tersi a scrutare su per la collina; adesso, invece, ecco che se torna-
va indietro. Nancy entrò sotto il bagliore aranciato del lampione –
una ragazza in maglione scuro, calzoncini, scarpe da tennis – per
uscirne poi subito, sagoma indistinta che scendeva la scalinata
verso la spiaggia.
Restò in attesa, una mano sulla ringhiera. Lui guardava in su, e
fu solo quando si ritrovò la ragazza quasi accanto, che abbassò gli
occhi. Eccola lì, che lo costringeva a fermarsi a pochi passi di di-
stanza.
- Guarda un po’, Jack Ryan, – disse lei. – Ma che sorpresa.
Ryan la raggiunse. Lei non si ritrasse né mutò posizione. Era
proprio a suo agio. Lo stava aspettando, era certa che sarebbe ar-
rivato, Ryan lo capiva benissimo.
- Facevo due passi, – disse lui.
- Uh- huh.
- Che ti credi, che ero venuto a cercare te?
- No, certo, stavi solo facendo due passi.
- Sulla spiaggia, sì, senza una meta precisa.
- Ci credo, – disse Nancy. – Vuoi che ti faccia compagnia?
- Tornavo indietro.
- Perché non cerchi di rilassarti?
Camminare sulla spiaggia, fare qualcosa, lo fece sentire me-
glio, pur sempre consapevole della ragazza al suo fianco. All’inizio
dissero ben poco, solo qualche domandina esplorativa, da parte di
Nancy, sulle baracche degli stagionali e su Camacho e sulla raccol-
ta dei cetrioli. Le risposte di Ryan furono brevi. Le baracche erano
okay. Di Camacho non gliene fregava un accidente. Sì, raccogliere
cetrioli era un’autentica sfacchinata. Si fermarono ad accendersi
una sigaretta, e Ryan sentì i capelli di lei che gli sfioravano le mani
chiuse a coppa, e ne scorse nitido il volto, per un istante, appena
rischiarato dalla fiamma. Era davvero carina. La ragazza ricca dei
film.
- Sembri una del cinema, – le disse. – Chi?
- Non mi viene in mente, il nome.
- Descrivi un po’ il tipo.
- Ti somiglia. Capelli scuri, lunghi.
- Sexy?
- Direi di sì.
- In che film l’hai vista?
- Non me lo ricordo.
- Mi sa che non l’ho visto neanch’io. Mica ci vado spesso. So-
lo ogni tanto.
Proseguirono in silenzio. – E la tv la guardi? – chiese Ryan.
- Quasi mai. E tu?
- Se danno qualcosa di buono.
- Vale a dire?
- Un film di guerra, cose così. O di spionaggio.
- Wow. Realtà romanzesca.
- Che mi frega se non è roba vera. Basta sia buona.
- È una pizza.
- Allora, cos’è che ti piace?
- Fare qualcosa -. Lo guardò, i capelli scuri quasi a coprirle un
occhio. – Qualcosa di significativo, che lasci il segno.
- Sarebbe?
- Che ne so. Una pallottola, forse. Ecco, quello sarebbe un ot-
timo esempio.
- Sparare a qualcuno?
- A qualcosa. Sentire che salta in aria.
- Dinamite. Che ne dici?
- Una meraviglia. Dico che la dinamite sarebbe un vero spas-
so.
- Però bisogna piazzare i detonatori e collegarli alle cariche e
stendere i fili. Non sarebbe meglio una bomba a mano?
- Accidenti, una bomba a mano! Certo. Prima strappi la lin-
guetta e poi la tiri, la bomba.
- Oppure la agganci a un comando a distanza, – disse Ryan. –
Così, tanto per fare.
- Mi sa che preferisco tirarla, – disse Nancy. – A fare come di-
ci tu, si rischia di dover aspettare un bel pezzo.
- Okay. Allora, dov’è che la tiri?
- Ci devo pensare, – disse Nancy. – L’idea è di tirarla su una
veranda, o dentro una finestra. Non è uno sballo?
- Mi diceva un tizio che durante la Seconda guerra mondiale i
giapponesi spedivano queste ragazzine, queste geishe, su per le
nostre linee, nude come vermi ma con delle bombe a mano sotto
le ascelle, così i nostri le vedevano, gli dicevano Mani in alto, e
boom.
- E tu ci credi?
- Me l’ha detto uno che c’era.
- Io non ci credo.
- Perché no?
- Non vedo il senso di mettersele sottobraccio, quelle bombe,
e andarci di persona. Non bastava tirarle?
- Perché erano quelli gli ordini. Geishe.
- E perché senza vestiti? Secondo me il tuo amico ti sta a
prendere per il culo.
- Non è un amico. È solo un tale che conosco.
- Scommetto che neanche c’era, lui,- disse Nancy.
- Che me ne frega, – disse Ryan. – È successo dav- ogni paro-
la. – L’hai sentito? – disse, al sopraggiungere di Ryan.
- Sentito, io? Ma se l’hanno sentito fino a Geneva.
- così forte? Wow. Immaginati una bomba vera.
- Sai, lanci proprio come una ragazzina. Buffo, pensavo di no.
- Si è accesa qualche luce? – Adesso cercava di guardare tra i
cespugli, si stava calmando piano piano.
- Non ne ho viste. Mi sa che hai ragione tu, sono tutti al club.
Lei lo guardò. – Proviamone una con qualcuno dentro.
- Ti sembra divertente, eh?
- Vedere la faccia che fanno.
- Basta restare in zona, e stare a guardare.
- Non so -. Tracce d’irritazione, nella voce. – Prima scegliamo
la casa.
The Pointe era un vecchio villaggio in mezzo a un mucchio
d’alberi, un villaggio con piacevoli dimore tra i boschi della zona
nord, con case di grandi dimensioni e in posizione arretrata ri-
spetto agli olmi della litoranea, e con altre case più piccole ma di
pregio, infilate lungo le stradine tortuose che correvano tra i pini e
i boschetti di betulla. Molte più case di quel che si era immaginato
Ryan, ridotte adesso a sagome indistinte nell’oscurità degli alberi,
le tenui luci dei lampioni che lasciavano scorgere finestre e veran-
de chiuse in fondo a prati ben curati. Qua e là era visibile il baglio-
re metallico delle automobili, ma nessuna di esse era in movimen-
to, niente fari che avanzavano piano sui vialetti d’accesso o com-
parivano all’improvviso in mezzo agli alberi. A Ryan la situazione
parve ben più tranquilla di come doveva essere già di suo, soprat-
tutto dopo il frastuono della vetrata che andava in frantumi.
Seguirono la fila degli olmi, attratti dalla luce delle case, Nancy
che guidava la marcia, poi attraversarono in fretta la strada per
spostarsi tra i pini allineati su un lato di una casa a due piani in
stile coloniale, legno e mattoni.
- Ti va bene questa?
- Non lo so -. Esaminò la casa per qualche tempo.
- Luci, ma dentro non c’è nessuno.
- Sono tutti sul retro, in cucina. A bersi un bicchiere di latte
prima di andare a letto.
- Molliamogliene uno lo stesso. Tanto per far pratica.
Non esitò. Tagliò per il prato a un angolo che l’avrebbe porta-
ta a nemmeno sei metri dalla casa, poi attraversò il vialetto che
arrivava fino all’ingresso principale, si fermò e si voltò per lanciare
con la sinistra. Ryan, col movimento fluido del lanciatore che for-
za il gioco con una palla improvvisa in seconda base, lasciò partire
un tiro violento e laterale, e udì la sua finestra esplodere un mezzo
secondo dopo quella di Nancy: uno- due, ma quasi sovrapposti.
Infine la seguì tra gli alberi, dall’altra parte del prato, e assieme si
fecero largo fin sulla strada, attraversando in fretta per mettersi al
riparo tra le ombre degli olmi.
- Eccoli, – disse Ryan. – Stanno uscendo.
Videro l’uomo in piedi, nella veranda illuminata, che scendeva
sul vialetto e si guardava attorno, per poi accostarsi alle due fine-
stre. Incorniciata in una delle finestre, riuscirono a scorgere anche
un’altra sagoma, questa volta femminile.
- Lei gli sta dicendo di rientrare in casa, – disse Ryan. – Torna
dentro, gli dice, chissà chi si è nascosto nel buio.
- Solo noi cacasotto, – disse Nancy. – Mi piacerebbe proprio
sapere cosa si stanno dicendo. Ma siamo troppo lontani.
- Adesso torna in casa per chiamare la pula.
- Dici che lo fa davvero?
- Tu che faresti?
- Vero, forse farei lo stesso. Ehi, che ne dici se aspettiamo la
macchina della polizia e poi, quando arriva, zap- zap.
- Che ne dici se invece ce ne andiamo a farci una birra?
- Siamo ancora troppo lontani, – disse Nancy. – Forza.
Tornò ad avviarsi tra le ombre degli alberi, con Ryan alle co-
stole che le scrutava le gambe – e anche dove metteva i piedi –
che le si fermava accanto quando si fermava lei, che le appoggiava
la mano sulla spalla e ne avvertiva la fragilità della clavicola sotto
le dita. Nancy sapeva di buono; non di profumo, ma forse di tal-
co, o di sapone. Sapeva di pulito.
- Ci siamo, – disse lei. – Perfetto.
Ryan ne seguì lo sguardo, dall’altra parte della strada e del va-
sto prato, fino a scorgere una casa dal tetto basso e dall’aria nuova
di zecca, inferriate in ferro battuto, immersa in un raggio di mor-
bida luce grigio- rosa fornito da un riflettore che spuntava dai
bassi cespugli. Ogni finestra era illuminata da una lampada a bassa
intensità, così come la veranda chiusa che correva lungo la parte
destra della casa, giusto di fronte a un boschetto di betulle.
- Una festicciola tranquilla, – disse Nancy. – Qualche amico
venuto a farsi il bicchierino della staffa.
Ryan ne contò cinque, in veranda. Tre donne. Dall’interno
spuntò un uomo con un bicchiere per mano.
- Un goccetto, – disse Nancy. – Un goccetto e un bicchierino.
Certe volte un drinkettino, o magari un Martin- ai.
- Giù la testa, – disse Ryan.
Da dietro la curva del vialetto, una coppia di fari spazzò gli al-
beri. Oltre ai fari, si videro passare accanto lo stemma dell’ufficio
dello sceriffo, impresso sulla portiera. Le luci posteriori della mac-
china si installarono nell’oscurità e, a qualche decina di metri da
Ryan e Nancy, si fecero color rosso vivo.
- In casa, ci staranno una decina di minuti, – disse Ryan. – Poi
cominceranno a ronzare qua attorno.
- Come fanno a pensare di trovare qualcuno in macchina.
- Sono obbligati a seguire la procedura.
– Stupido nulla burocratico.
- Come?
- Ascolta, stavolta giri tu attorno alla casa e gliene schianti uno
nella finestra della cucina, – disse Nancy.
- Ah sì?
- Non ti torna?
- E tu resti ad aspettarmi tra gli alberi, vicino alla veranda?
- Perfetto.
- Abbiamo solo cinque minuti.
- Basta e avanza.
- Aspetta un attimo, – disse Ryan. – Non ho più sassi.
Nancy gliene porse uno. – Solo se poi facciamo pari.
E se ne andò. Nell’attraversare la strada, Ryan guardò i due
puntini rossi in lontananza. Tra una casa e l’altra, c’era una serie di
cespugli, oltre a una siepe di una certa altezza. La costeggiò, te-
nendosi sul bordo del prato fino a raggiungere la casa, e poi tagliò
per il cortile, illuminato in parte dalla luce della cucina e della sala
da pranzo, e arrivò infine su un lato del garage. Se mai gli fosse
capitato di imbattersi di nuovo in Leon Woody, se mai Leon Wo-
ody fosse riuscito a cavare le gambe da Milan, penitenziario fede-
rale, gli avrebbe detto – Ehi, amico, ne ho una nuova per le mani.
– Di che si tratta, compare, – avrebbe chiesto Leon. – Rompere i
vetri alle finestre, ecco cosa. Si va a giro di notte a rompere i vetri
alle finestre. – Rompere i vetri, – avrebbe risposto Leon. – Eggià,
come no, non butta mica male, amico -. Cristo santo, si disse
Ryan, e lanciò il sasso contro la finestra prima di avere il tempo di
ripensarci.
Arretrò fin sul cantone del garage, vi si nascose dietro, in par-
te, e rimase di vedetta. All’apparire dell’uomo in cucina – quel tale
entrava e si guardava attorno senza sapere cosa aspettarsi, e poi
tutti gli altri gli venivano dietro – si decise ad andarsene. Si infilò
tra le betulle, diretto verso la veranda della casa. Cercò di indivi-
duare la ragazza tra gli alberi, la sua sagoma nelle tenebre. Poi ar-
rivò all’altezza della veranda. Nel boschetto, lei non c’era.
Era sulla veranda, adesso vuota. In mano reggeva una botti-
glia e due bicchieri, e cercava di arraffare qualcos’altro. Infine si
decise a mettersi la bottiglia sottobraccio. Poi, i due bicchieri in
una mano, un secchiello del ghiaccio nell’altra e la bottiglia ancora
sottobraccio, spalancò la porta della veranda con un colpo di culo
e attraversò il prato in direzione di Ryan, fermo sul limitare del
boschetto. Vedi, Leon, non basta mica far saltare le finestre. Prima
le fai saltare, e poi t’infili in casa e porti via una bottiglia di whisky
e un po’ di ghiaccio. E cosa avrebbe detto Leon Woody? – Eggià,
sicuro, amico, il ghiaccio ci vuole proprio.
9

- Mi piacciono, le labbra screpolate.


- È per via del sole, – disse Ryan. – A forza di stare al sole
tutto il giorno.
- C’è più gusto. Secondo me quei baci a ventosa che sbavano
tutt’attorno non sanno di niente.
- C’è gente che dice che così si arriva prima al sodo.
- Al sodo di che? – Accanto a lui nella sabbia Nancy si spor-
se, gli si rannicchiò contro, gli strofinò la bocca sulla guancia, gli
mordicchiò il labbro inferiore.
- Mi sa che in fondo hai ragione, – disse Ryan.
- In fondo quanto?
Lui se la prendeva comoda; non aveva intenzione di affretta-
re le cose e passare da buzzurro, ma non era certo facile. – Lo
vuoi, un altro drink? – le disse. Nancy scosse il capo. Ryan si issò
su un gomito e infilò la mano nel secchiello del ghiaccio. – Acqua,
– disse. – Che ne dici di bourbon e acqua ghiacciata?
- Mi pareva che stessimo bevendo scotch.
- Te la sei cavata bene.
- Grazie.
- Mica male, l’uscita da quella veranda. Ho un amico, che gli
sarebbe piaciuta un sacco.
- Uno che ci lavoravi assieme?
- A pulire tappeti, moquette.
- Dicevo l’altra cosa. F con S. Mi piace, F con S, suona bene.
Non è buffo? così semplice, due lettere e basta.
- Perché non andiamo a casa tua a prendere del ghiaccio? –
Erano sulla spiaggia, a poca distanza dalla luce arancione proietta-
ta dal lampione che stava in cima alla scogliera. Nel mettersi sedu-
to, Ryan ne vide il puntino di luce contro il cielo.
- Ho voglia di un’altra cosa, – disse Nancy.
- Cioè?
- Cold Duck. Ma non ce n’è, in casa -. Poi si tirò su anche lei,
proprio di fianco a Ryan. – Però lo so io, dove trovarlo. Vieni.
Ecco fatto. Ryan raccolse bottiglia e secchiello e bicchieri e
seguì la ragazza giù per la spiaggia, conscio che le stava appunto
andando dietro, e si affrettò a raggiungerla. Lei si era messa a
guardare il lago, le buie profondità dell’acqua e le meno buie pro-
fondità del cielo.
- Laggiù, – disse Nancy.
- Non vedo niente.
- La barca.
Ryan scorse una sagoma bianca, forse un cabinato, che se ne
stava al largo, a cinquanta- sessanta metri di distanza. Si accorse,
nel medesimo istante, che erano finiti proprio di fronte alla casa di
Nancy, col bagliore aranciato del lampione lassù, in cima alla sco-
gliera.
- È quella di Ray, eh?
- Doveva andarla a prendere qualcuno del club, – disse lei, –
ma non si è visto nessuno -. Poi guardò Ryan. – Quella roba non
ci serve più.
- E cosa ne faccio?
- Lasciarla qui, no, eh?
- E magari qualcuno la trova proprio davanti a casa tua.
- E allora?
- Meglio sottoterra.
Andò a scavare nella sabbia ai piedi della scogliera, abbastan-
za in profondità per ricoprire il secchiello del ghiaccio e i bicchieri
e la bottiglia. Nell’attraversare di nuovo la spiaggia e raggiungere
la battigia, vide che Nancy era sparita. C’era solo un mucchietto di
vestiti.
Ryan si tolse camicia e pantaloni, ripiegò tutto quanto e lo si-
stemò accanto al maglione e ai calzoncini di Nancy, che lei aveva
lasciato lì. Entrò in acqua in mutande, subito dentro, senza nem-
meno provare col piede se era fredda. Non era profonda; a metà
tra la riva e la barca gli arrivava a malapena alla vita, ma senza più
il sole era gelida eccome, diosanto. Gli toccò immergersi tutto, e
bagnarsi ben bene, per poi riaffiorare e cominciare a nuotare
sott’acqua, nel tentativo di acclimatarsi. Nel tornare a galla, prese
a nuotare su un fianco, alla marinara, e raggiunse la poppa della
barca dal lato destro, issandosi sul parapetto laterale e infilandosi
poi sotto il telone di copertura del castello di poppa.
- Dov’è che sei?
- Qua dentro.
Seguì il suono della sua voce fino al portello del boccaporto,
aperto, e poi giù per tre gradini che davano nella zona notte, at-
traverso un breve corridoio che sfociava nella luce artificiale della
cambusa. Eccola, nello stretto passaggio, intenta ad aprire una
bottiglia che aveva tutta l’aria di essere champagne, i capelli bagna-
ti e incollati sul cranio e sul viso. Addosso aveva un maglione, ne-
ro e dallo scollo a V, che le aderiva alle cosce.
- Mi piace, – disse Ryan.
- È il mio abito da cocktail -. Lo guardava dritto.
- Intendevo la barca, – fece lui. Bene così. Non concederle
un solo metro. Stava aspettando che lui si facesse avanti, stuzzi-
candolo col maglione e con tutto il resto. Ci stava giocando, con
lui, che se ne stava in piedi con le mutande fradicie d’acqua, una
sorta di seconda pelle.
- C’è un asciugamano, nel gabinetto.
Ryan fu di ritorno che ancora si asciugava, con gli occhi fissi
sul soffitto a coppale e la lampada d’ottone. Oltre il frigorifero e
l’acquaio d’acciaio inox c’era un altro posto letto. Un
bell’arredamento, ottone e legno ben lucidato, il tavolo ancorato
alla parete. Un posticino bello comodo. Che te ne facevi dello
champagne – o del Cold Duck, tanto per dire. Ne aveva intravisto
l’etichetta, mentre Nancy riempiva i bicchieri.
Si sedette al tavolo. Sentiva un cigolio continuo, avvertiva il
movimento della barca che strattonava l’ancora. Proprio un bello
stare. Ci si poteva vivere, su una barca simile, andarsene a piaci-
mento in lungo e in largo.
- Quanto costa un oggetto del genere?
- Sui venticinque.
- Venticinque cosa?
- Venticinquemila -. Lo stava guardando.
- Andiamocene in crociera, – disse Ryan. – Giù, verso Nas-
sau.
- Ci sono già stata, – disse Nancy.
- Su una barca come questa?
- No, era una tartana, una barca a vela. Nove persone, equi-
paggio compreso. Amici di mia madre.
- E ci hai dormito sopra?
- Quasi sempre.
- Mica male, – disse Ryan.
- Uh- huh, giornate intere a starsene seduta in barca e tutti
strafatti alla grande da mattina a sera. Alle cinque di pomeriggio
erano già tutti quanti fuori come terrazze, dal primo all’ultimo.
- Stavi con i tuoi?
- Tra un padre e l’altro. «Tesoro, – diceva mia madre, – per-
ché non te ne scendi sottocoperta a farti un sonnellino?» Oppure,
«Perché non ti fai una nuotata, o cerchi qualche conchiglia interes-
sante?» O magari ti tagli le vene, ecco cosa intendeva, sotto sotto.
All’epoca, era tutto interessante. «Perché non fai due chiacchiere
con quel ragazzo dall’aria così interessante? Più o meno è della tua
età, tesoro».
- E quanti anni avevi?
- Quattordici.
- Sei rimasta in buoni rapporti, con tua madre?
- Non ci vediamo più.
- Lo sa, cosa stai facendo? Dove sei finita, voglio dire.
- E tu l’hai detto a tua madre, che facevi il ladro?
- Mica lo faccio più, – disse Ryan.
- Ai tempi dei tuoi F con S, o come li vuoi chiamare, gliel’hai
detto?
- No.
- Io, alla mia vecchia, gliel’ho detto che mi ero intruppata con
Ray Ritchie, – disse Nancy. – Ma lei, neanche ci voleva pensare.
Tutto deve essere bello, tutto deve essere carino, per quel che la
riguarda.
- Be’, cosa ti vuoi aspettare?
- Proprio un bel nulla. E che lei vive fuori dal mondo. Almeno
così pare, in superficie -. Nancy tastò il pacchetto di sigarette e lo
schiacciò nel pugno. – Cazzo, siamo rimasti senza.
- Che intendi, che è fuori dal mondo?
Nancy sembrava pensierosa, raggomitolata sulla panca di
fronte a lui, nel suo maglione extralarge. – Fa finta di essere la
perfezione in persona. In superficie, te l’ho detto, lo è davvero,
con la vita perfettamente normale che conduce. Ma il suo vero
carattere se lo tiene ben nascosto dentro questa corazza di perfe-
zione, e lì dentro sì che è davvero fulminata alla grande. A provar-
lo, ci sono tre matrimoni andati a puttane.
- E sta nascosta dentro quest’altra persona, eh? – disse Ryan.
- Non lo ammetterà mai che il suo autentico io sta lì dentro,
ma è proprio così. E ogni tanto lo vedi, il suo vero carattere, che
sbircia fuori Nancy sorrise. – È buffo, sai, cercare di farlo sbircia-
re fuori. Il bello è che ormai lo fa spesso, e certe volte si vede
spuntare qualcosa di più di una semplice occhiata. Ma non sono
mai riuscita a farla venire tutta allo scoperto.
- Non è che capisco tanto bene, – disse Ryan.
- Non importa. Ci fosse qualche sigaretta, – disse poi la ragaz-
za. Sorseggiò il suo Cold Duck e tornò a riempire entrambi i bic-
chieri. – Ti piace?
- Tutto a posto.
- Ma avresti preferito un whiskino e una birra.
- O questo o quella.
- Il buon vecchio Bob junior, per lui birra e basta. Ray va a
Martini.
Ryan si sporse in avanti, poggiando le braccia sul bordo del
tavolo. – Posso chiederti una cosa?
- Che ci faccio qui, – disse lei.
- Più o meno.
- Mi lascio trasportare dagli eventi, mi sa, – disse Nancy. – E
aspetto la grande occasione, proprio come chiunque altro.
- E perché Ray Ritchie? Uno con vent’anni più di te?
- Venticinque, tesoruccio.
- Va bene, ma perché?
- E tu perché rubi?
- Te l’ho detto, non lo faccio più.
- Soldi, ne hai mai rubati?
Ryan esitò. – A volte, se mi capitavano sottomano.
- Quant’è il massimo che hai fatto?
- Settantotto dollari.
Nancy aveva preso a girarsi lo stelo del bicchiere tra le dita,
con lentezza. – E se sottomano te ne capitassero cinquantamila? –
Alzò gli occhi su Ryan. – Tra i cinquanta e i cinquantacinquemila.
Ce l’avresti, il coraggio di metterteli in tasca?
Ryan trovò una posizione più comoda, rilassato, con gli occhi
piantati in quelli di lei, conscio del lieve cigolio che era tornato a
farsi sentire e, per quel che valeva, curioso di vedere cosa ne a-
vrebbe fatto, la ragazza, di quel silenzio e del modo in cui la stava
fissando. Non le sorrise, né aprì bocca, tanto meno per fare una
qualche battuta; non doveva certo chiederle se diceva sul serio.
Aveva capito all’istante, appena Nancy aveva affrontato
l’argomento, che era quello il nodo dell’intera faccenda: il motivo
per cui entrambi si erano ritrovati in quel posto, sia lui che lei.
- Certo, se non ti va nemmeno di parlarne… – disse Nancy.
- Cinquantamila. Di chi? Ray?
- Uh- huh.
- Dove?
- Nel suo capanno di caccia.
- Tiene una cinquantamila nel capanno di caccia. Così.
- Solo la notte prima del giorno di paga degli stagionali
Nancy lo guardava. – Moltiplica trecentocinquanta braccianti per
centocinquanta dollari a testa. Non è la paga media?
- Suppergiù.
- Fa cinquantaduemila e cinquecento. Contanti, niente asse-
gni. Dentro le buste paga. Trecentocinquanta buste paga in due
scatoloni di cartone.
- E tu come lo sai?
- Dall’ anno scorso, e anche quando sono già stati pagati
quest’anno dopo la semina, o quel che era.
- Li porta Ray, i soldi? Come ci arrivano?
- Non ne sono sicura. Lo scorso anno c’eravamo noi, al ca-
panno, ed è arrivata una macchina della polizia, è sceso Bob junior
con gli scatoloni e li ha messi nell’ufficio di Ray, nello studiolo
insomma.
- Sono già nelle buste paga, i soldi?
- Uh- huh. Poi il giorno dopo Bob junior si piazza dietro un
tavolino da gioco e quelli si mettono in fila e lui li paga.
- Come fai a sapere che li porta sempre il giorno prima, i sol-
di?
- Me l’ha detto Bob junior.
- Gliel’hai chiesto tu?
- così, senza parere. Mi ha detto che hanno sempre fatto così.
- E li lasciano lì, tutti quei quattrini, per una notte intera.
- Non proprio -. Nancy tacque, e poi riprese. – Mi ha detto
Bob junior che ci resta lui. Nella stessa stanza, oppure nel capan-
no, non so di preciso.
- Be’, se ci si mette lui, di guardia agli scatoloni, come fac-
ciamo a prenderli?
Nancy fece spallucce. – E che ne so. Forse bisogna aspettare
che vada al gabinetto.
- Ci dev’essere un modo per infilarsi là dentro, – disse Ryan.
– Con un solo minuto a disposizione, non si può certo stare a
cazzeggiare con i vetri o le serrature.
- E se ci entriamo il giorno prima e sistemiamo tutto quanto?
Ryan finì di bere il suo Cold Duck. – Sicura che sono finite le
sigarette?
- Ho guardato prima.
- Quant’è che ci stai rimuginando, su questa cosa?
- Solo dal momento che ti ho visto, domenica.
- E perché proprio io?
- Non fare il modesto. Perché è il tuo mestiere.
- Una cinquantamila non è come un televisore.
- Di sicuro pesa di meno, – disse Nancy. – Mettila così.
- Voglio dire, perché mettere su questa faccenda? Non hai già
tutto quel che vuoi?
- E anche quel che non voglio -. Nancy si allungò in avanti, i
capelli che le cadevano sul volto. – Lasciamo perdere i perché e i
percome, va bene?
Ryan tornò a concentrarsi sulla cinquantamila. – L’idea è di
spartire?
- Ma certo. Mica sono così avida.
- E se mi prendo tutto io?
- Ma tu sai che io so, e non ti farei chiudere occhio finché
non ti avessero beccato.
- E quando li abbiamo presi, che succede? Com’è che taglia-
mo la corda?
- E chi si muove? – disse Nancy. – Li nascondiamo, e basta.
- Dove?
- Nella casa sulla spiaggia.
- Ma dài.
- Sul serio. È il posto migliore. Proprio sotto il naso di Ray.
Tu te ne resti a Geneva Beach fin quando Ray non chiude casa,
alla fine dell’estate, poi ti ci infili dentro e recuperi tutto quanto.
Io rimango con lui per un altro paio di settimane, a Detroit, poi ci
faccio una bella litigata e lo pianto in asso.
– Ci rivediamo a Detroit, – disse Ryan. – E dopo?
Nancy sorrise, incassò la testa tra le spalle come una ragazzi-
na. – Boh. Tu che vuoi fare?
- Prendermi un po’ di riposo, mi sa.
- O una bella crociera. Come quella che ti raccontavo prima.
- Potrei farmi la barca.
- E una macchina, e un po’ di vestiti nuovi. Quel che ti pare.
Ryan annui, al pensiero. – Più o meno -. Tornò a guardarla. –
E tu? Cos’è che vuoi?
Nancy bevve una sorsata di Cold Duck. – Davvero lo vuoi
sapere?
- Certo, spara.
- Potrei fare un salto a Hollywood. Venticinquemila dollari in
tasca dovrebbero bastare, per tentare la sorte.
- Dici sul serio?
- Perché no? Prendere all’amo un produttore. Un produttore
bello ricco.
- Ma tu pensa.
- Secondo me, riuscirei a farli zompare dalle scarpe quasi tut-
ti, tempo quattro minuti.
- Vorrai dire dalle mutande.
Lei fece spallucce. – Scommetto di sì.
- E a recitare, come te la cavi?
- Posso fingere anche lì, – disse Nancy. – Sbaglio, o è proprio
la stessa cosa?
- Quindi non pensavi a noi due, a restarcene assieme.
Nancy riattaccò con le spallucce. – Non lo so. Al momento
non è che mi serve un amante, Jackie, ma solo uno specialista di
furto con scasso.
Ancora Jackie. Ryan non disse niente.
- Io voglio i soldi, – disse Nancy. – E se proprio devo trovare
una giustificazione per questa cosa, allora è perché Ray me li deve.
Tu, scegli tutte le ragioni che ti pare. Mica devi rendere conto a
me.
- D’accordo. Cos’è, ci devo pensare?
- Solo se non sei in grado di darmi una risposta subito.
- Tu è già un bel pezzo che ti ci trastulli, con questa storia. Io
no.
- Guarda che è molto semplice, – disse lei. – O ti va, o no.
- Prima devo dare un’occhiata a quel capanno, – disse Ryan.
– Poi ti faccio sapere.
- Domani è mercoledì. Se i soldi li portano venerdì, non è
che ti resti tutto questo tempo.
- Magari riesco a farmi prestare la macchina dal tipo che mi
ha preso a lavorare. Così ci faccio un salto domani, a una certa
ora. Gli dico che ho una cosa da fare in paese.
- Quel pidocchio di Ray, – disse Nancy. – Si è portato via le
chiavi. Altrimenti potevi prendere la mia.
Ryan annuì. – L’ho sentito dire, che avevi una macchina -.
Cercò di immaginarsela, Nancy, che mandava fuori strada quei
due tipi, e gli venne anche voglia di chiederle com’era andata. – E
se riesco a metterla in moto io? – disse invece.
- Senza chiavi?
- Trovami un filo elettrico, ed è fatta.

Era stato un amico di Ryan, Bud Long, a insegnargli come


fare, con i cavi dell’accensione; come mandare in corto il motori-
no d’avviamento e collegare un filo elettrico dalla batteria alla bo-
bina, soprattutto collegarlo nel modo giusto, così che non bru-
ciasse le puntine. Bub Long lavorava per un’agenzia di prestiti a
Detroit, sulla Livernois, proprio nella zona dei rivenditori di auto
usate, e la maggior parte delle pratiche di quell’agenzia riguarda-
vano appunto prestiti per l’acquisto di automobili. Quando uno
dei loro clienti restava indietro con le rate, e ignorava anche gli
avvisi di pagamento, toccava a Bud Long andare a portargli via la
macchina, nottetempo, bypassando l’avviamento con un filo elet-
trico. Certe volte ci andavano anche Ryan e qualcun altro, con lui,
alla ricerca di qualcosa da fare, e Bud Long gli lasciava collegare il
filo. Poi, di solito, salivano in macchina e via. Ma in un paio di oc-
casioni erano stati visti, e gli era toccato lasciarla lì, la macchina, in
fretta e furia, a cofano aperto e col filo ciondoloni, e tagliare in
mezzo alle case per raggiungere l’auto di Bud parcheggiata nella
strada accanto. Una di quelle volte si erano anche beccati una sca-
rica di pallettoni calibro 16 nel lunotto posteriore, ma erano riu-
sciti comunque a tagliare la corda (e secondo Bud Long quel figlio
di troia era indietro anche con le rate della lupara).
Era proprio un bel lavoretto, fregare le macchine assieme a
Bud Long; era legale, o almeno sembrava legale, e Bud sapeva il
fatto suo. Ma poi un paio di quei tipi avevano cominciato a pizzi-
care le macchine solo per il gusto di andare a farsi un giro le volte
che erano senza, e farsi immischiare in cose simili era una vera e
propria puttanata. Qualche volta Ryan ci si era trovato nel mezzo,
quando a cose fatte erano passati a prenderlo. Se ne andavano giù
in centro, o in qualunque altro posto, lasciavano la macchina li e
via. Ma una notte – le due e mezza di mattina sulla East Jefferson,
nei pressi della fabbrica della Uniroyal – quel cazzone figlio di
puttana che aveva in macchina, Billy Morrison, aveva gettato una
bottiglia di birra, vuota, dal finestrino, con un’autopattuglia dietro
di loro, a mezzo isolato di distanza. Li avevano fermati, controlla-
ti, e portati alla stazione di polizia sulla Beaubien, per poi incrimi-
narli per furto d’auto. Ryan aveva chiamato la maggiore delle sue
sorelle, Marion, al cui marito avvocato aveva poi raccontato
l’accaduto, e quel tesoruccio di cognato, Carl, gli aveva detto di
restarsene pure in galera, così almeno questa volta gli sarebbe ser-
vita da lezione, e che cazzo. Davanti al giudice, la mattina dopo, si
era dichiarato non colpevole, e per lui era stata fissata una cauzio-
ne di cinquecento dollari. Il fatto era che senza l’aiuto di suo co-
gnato non poteva certo permettersi di pagare l’intera somma, e
quindi aveva finito per restare otto giorni ospite della prigione
della Wayne County. In fase d’istruttoria, poi, Carl aveva scambia-
to due parole con l’avvocato di Billy Morrison, tutti e due in piedi
a fare di sì con la testa e con la valigetta sottobraccio, e com’è
come non è si erano ritrovati a dichiararsi colpevoli, lui e Billy
Morrison, di furto d’auto temporaneo7, e spediti dritti davanti alle
corti giudicanti, sessioni mattutine. Visto che era il loro primo
reato, erano stati entrambi affidati a un anno di servizi sociali, e il
cognato di Ryan l’aveva portato fuori a pranzo, così, per dirgli
«due paroline».
Il giorno dopo – e questo, aveva pensato Ryan, non poteva
che essere il record del mondo nel campionato del posto sbagliato
al momento sbagliato – si era ritrovato ancora una volta in tribu-
nale, in attesa di finire davanti al solito giudice, e stavolta dentro le
gabbie dei barboni alcolizzati e delle puttane di colore. Stavolta,
però, non erano Billy Morrison e Jack Ryan. Solo Jack Ryan.
Posto sbagliato, momento sbagliato, senza dubbio, ma anche
una sfiga cosmica, e delle più merdose, perché un fatto del genere
non doveva succedere.
Se n’era andato a pranzo con Carl, per l’appunto, a sentirsi
dire quelle due paroline; poi al cinema e infine a casa. Prima o poi,
a casa ci doveva tornare, e così aveva fatto.
Vivevano ancora nell’appartamento di Highland Park: lui e
sua madre e, da sette mesi, l’altra sua sorella Peggy assieme al ma-
rito Frank, che faceva il fornaio e quindi lavorava di notte. Ryan si
era ritrovato a dormire sul divano letto della sala da pranzo. Al
suo ritorno a casa, madre, sorella e cognato erano lì. Sua madre,
preoccupatissima, perché Carl le aveva detto di non andare a tro-
vare Ryan in prigione né di recarsi all’udienza. A Ryan era venuto
in mente che dovevano aver già cenato (mangiavano alle cinque e
mezza, perché alle sette meno un quarto Frank doveva andare al
lavoro, e amava mettersi un po’ in poltrona a guardare la tv e but-
tar giù la cena). Ma non gli avevano tenuto niente da parte, perché
mica lo sapevano che lui stava tornando a casa. Poi sua madre che
si era messa a frugare nella borsetta, per chiedere infine a Frank,
Ma non ti ho prestato cinque dollari la scorsa settimana? e dover-
glielo chiedere due volte perché lui stava guardando la tv, seduto
con quel collo lungo lungo e un cestone di capelli neri, e sua so-
rella Peggy seduta accanto a Frank, la bocca piena di mollette e a
sistemarsi i suoi, di capelli, e Frank che si degnava finalmente di
risponderle che i soldi glieli aveva già restituiti. Ryan aveva detto
che ce l’aveva lui, qualche soldo, e sua madre gli aveva risposto –
questo se lo ricordava – di non andare da Major’s, piuttosto da
Safeway, che quella settimana loro gli hamburger li facevano un
dollaro e cinquanta al chilo. E si ricordava anche che gli aveva det-
to, sua madre, che anche l’arrosto di maiale era in offerta, e se ne
trovava ancora e gli avanzava qualche dollaro l’avrebbero potuto
cucinare quella domenica, visto che Frank avrebbe portato un

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Unlawfully Driving Away an Automobile (UDAA) è un reato previsto dal
Codice Penale del Michigan, che si applica a colui che ruba un veico-
lo non per appropriarsene in maniera definitiva, bensì temporanea
dolce. Si ricordava, ancora, sua madre che diceva Magari ci fosse
un supermercato della A&P da queste parti, e si ricordava –
nell’imboccare la porta – che sua sorella aveva risposto, Sì, certo,
l’A&P va benissimo, però non regala i buoni sconto.
Non c’era andato, al Safeway. Si era infilato in un bar sulla
Woodward, nei pressi di Seven Mile, a farsi qualche birra. Forse a
casa stavano ancora discorrendo dell’A&P. Per come se lo ricor-
dava lui, e se lo sarebbe sempre ricordato, la scena era questa: suo
padre con il mazzo di carte, in sala da pranzo, un solitario dietro
l’altro, e sua madre in soggiorno, con la radio accesa, l’uno magro
e coi capelli lisci, l’altra che cominciava a metter su qualche chilo
di troppo. A malapena si rivolgevano la parola. Sua madre che
tirava in ballo la moquette un po’ consunta, o che le era capitato
di vequalcosa, ma quasi sempre tra di loro, e Ryan non riusciva a
sentire cos’è che stavano blaterando. Il silenzio che c’era in quella
macchina sì, se lo ricordava. E poi il suono della sua voce, che
chiedeva dove stessero andando. Il passeggero sul sedile anteriore
aveva risposto, Nel cortile di una scuola. A volte andavano in un
parco o in un deposito di legname, ma quella sera toccava al corti-
le di una scuola. C’è una coperta là dietro, aveva poi detto il tipo.
Ryan sorseggiava la sua birra tiepida. Un minuto più tardi, rom-
pendo di nuovo il silenzio, aveva chiesto quanto gli sarebbe costa-
to tutto quel servizio personalizzato, e il tipo accanto al guidatore
gli aveva risposto, senza voltarsi, Dieci dollari.
Meglio che mi riportate indietro, aveva detto Ryan, perché
non aveva intenzione di comprare proprio un bel nulla. Davanti a
sé vedeva il semaforo di Six Mile Road. Gli si stavano avvicinan-
do, ma la macchina aveva rallentato e girato a sinistra in un vicolo
prima di raggiungere l’angolo. Poi si era fermata; i fari avevano
spazzato una serie di bidoni della spazzatura e di bru- ciarifiuti, e
il buio retro di chissà quanti negozi. Fari che poi si erano spenti, e
il tipo accanto al guidatore, faccia scarna e capello lungo, più o
meno dell’età di Ryan, si era voltato col braccio sullo schienale.
Dieci dollari, aveva detto. Sia che portassero Ryan fino alla scuola
o che lo riaccompagnassero alla stazione di servizio, o dov’è che
voleva andare, sempre dieci dollari erano. Ryan aveva detto No,
aveva cambiato idea. Quel tizio l’aveva guardato. Non c’è niente
aggratis, gli aveva detto. Tutto quanto costa una dieci. Okay, aveva
risposto Ryan, ti propongo un affare. Non c’è bisogno che mi ri-
portate indietro, ci vado da me.
Il guidatore aveva aperto la portiera, e si era accesa la luce
dell’abitacolo. Ryan si ricordò di aver visto la ragazza, i capelli più
chiari di quanto si era immaginato; di aver sentito la birra che gli
correva su per la manica, più fredda sulla pelle che al palato,
quando aveva preso la bottiglia per il collo e aveva visto il tipo
accanto al guidatore andar giù dietro lo schienale. Poi Ryan era
sceso, sbattendo la portiera, spostandosi sul retro della macchina,
scivolando poi sul ghiaino per cambiare direzione. E proprio
mentre il guidatore girava attorno alla parte anteriore dell’auto,
Ryan gli era piombato addosso, schiantandogli la bottiglia su un
lato della testa, da sinistra a destra, così che quello era caduto sul
cofano.
La bottiglia non si era rotta. Nei film le bottiglie si rompono,
ma in questo caso no. Era scappato via che la stringeva ancora in
mano, si era fatto di corsa tutto il vicolo voltando a destra, supe-
rando la fiancata in mattoni di un negozio in direzione Six Mile,
attraversando la strada e imboccando il marciapiede verso est,
senza rendersi conto di avere ancora la bottiglia. Aveva già percor-
so un isolato quando si era reso conto che la macchina gli si era
affiancata. Non voleva guardarla, quella macchina, voleva solo che
andasse via e voleva continuare a camminare.
Ma la macchina non se n’era andata, ed era qui che lui aveva
pisciato fuori dal vaso. Aveva guardato la macchina, perché ormai
lo doveva fare, e appena alzato lo sguardo si era accorto che si
trattava di una macchina nera con le scritte gialle. Polizia. E allora
era scappato di corsa. Senza pensare, di corsa e basta. Più tardi, a
ripensarci, si era reso conto della cazzata che aveva combinato, e
si era ripromesso di non caderci mai più; ma ormai la frittata era
fatta. Di corsa, aveva voltato l’angolo, lungo tutta una recinzione
metallica, e quando era arrivato in fondo l’aveva scalata e scavalca-
ta. Poi si era nascosto nel buio e nel silenzio, contro il muro della
ditta di legnami, nell’angusto spazio tra due pile di assi, roba da tre
metri l’una, e se ne stava lì, in piedi con la bottiglia in mano quan-
do gli avevano puntato una torcia elettrica addosso. Era rimasto
con la bottiglia di birra a mezz’aria e la luce negli occhi, e infine si
era deciso a lasciarla andare.
La mattina seguente, in tribunale, il giudice – un tipo dall’aria
tranquilla, con qualche traccia di grigio alle tempie – gli aveva rifi-
lato sessanta giorni di riformatorio.
Di sfiga ne aveva già avuta abbastanza. Era arrivato il mo-
mento di invertire la tendenza. Da qualche parte doveva pur ini-
ziare, la buona sorte, e forse questa era la volta buona. Era bello
avere di nuovo una macchina. Era bello tornare a guidare la notte
a radio accesa. Era bello infilarsi nel Bay Vista e parcheggiare di
sbieco di fronte all’ufficio. E se questo era il punto di partenza
della sua buona sorte, avrebbe dovuto restare in guardia e farsi
trovare pronto e finalmente, in un certo istante, se ancora le pre-
messe c’erano tutte, avrebbe finito col dire di sì e ficcarcisi dentro
a capofitto e andare sino in fondo.
Perché doveva essere peggio che intrufolarsi in una casa a
fregare televisori e pellicce? O peggio che entrare in camera sua?
Dal letto, seduto di traverso con la schiena contro il muro e
gli scarponi screpolati e scalcagnati che spuntavano di fuori, Frank
Pizarro disse: – Ehi, Jack, come ti butta?
- Scendi di lì.
- Che ti prende? – Pizarro si dette una spinta in avanti e si ri-
trovò seduto sul bordo del letto, con le gambe penzoloni, senza
toccare terra.
- Com’è che hai saputo che ero qui?
- È stato Billy. Insomma, che ti prende?
- Saputo che questa è la mia stanza, dico.
- Un tipo là fuori, quando sono arrivato. L’ho chiesto a lui.
- E lui ti ha detto di accomodarti, di fare il comodo tuo?
- No, ho aspettato un po’ fuori, e poi mi sono detto che ma-
gari dormivi e non mi potevi sentire, così ho provato ad aprire ed
era aperto, ‘scolta, mi hanno licenziato.
- Me l’hanno detto.
- Billy. Ma non ti ha detto dell’autobus.
- Frank, ti saluto, va bene?
- ‘scolta, Camacho vuole che lo guido io l’autobus, a tornare
indietro, per via di tutti i soldi che gli devo. Che lo riporto indietro
con l’autobus e lascio il furgoncino, tanto quel catorcio è un am-
masso di rottami.
Ryan esitò. – A me va benissimo.
- Sicuro, ma tutti quegli altri come ci tornano a casa? Eh?
- Con l’autobus.
- No. Camacho dice: «Mica ce li devo riportare io, a casa». E
io, «Ma se ti hanno già pagato per farsi portare indietro». E lui,
«Quando ero ancora caposquadra. Ma adesso caposquadra non lo
sono più, e quindi non li devo riportare». Poi fa, «Ma se vogliono
dare cinquecento dollari ai proprietari dell’autobus e pagarmi il
viaggio in aereo, allora glielo lascio qui».
- Ma dài. E quelli ci credono?
- E che devono fare? Se gli dicono che a loro non gli va bene,
Camacho li lascia tutti qui.
- E a te che te ne frega? Tu un mezzo di trasporto ce l’hai.
- Che me ne frega? Sono tutti amici miei.
- Andiamo, Frank.
- Dico sul serio. Ci lavoro da sette anni.
- Va bene. Allora perché sei venuto da me?
- Compare, noi eravamo amici, o no? Perché non ci facciamo
prestare i quattrini da Jack, ha detto Billy Il volto schiacciato e
sincero di Pizarro si era piazzato giusto di fronte a quello di Ryan.
- Cinquecento dollari.
- Dice Billy che tu ce li hai. Dice che se li hai già spesi, ne
puoi fare altri facile.
- Dove sta, Billy?
- Non è voluto venire. Sai com’è, a chiedertelo.
- Non mi sembra che la cosa ti turbi più di tanto.
- ‘scolta, mica te li chiedo io, questi soldi. L’ha detto Billy. Io
li voglio solo in prestito, e poi te li rendiamo.
- Secondo te li ho, cinquecento dollari?
- Se non ce li hai, puoi trovarli. Facile.
- E se te li presto, poi tu me li rendi, eh?
- Lo sai. Sicuro.
- E quando?
- L’anno prossimo, quando torniamo.
- È stato un piacere conoscerti, Frank.
- Amico, qui ci sono delle famiglie. Come fanno a tornare a
casa?
- Andiamo. Anch’io ho una famiglia. Eccomi qua.
- Non t’importa di quello che succede a tutta questa gente?
- Ehi, Frank, ci vediamo.
- Okay, compare, – disse Pizarro. Pian piano scese dal letto. –
E vedi di andare a fare in culo.
Pizarro gli passò davanti e aprì la porta; spalle strette e cal-
zoni che gli facevano le borse sotto il culo, a quadri, sporchi e
consunti, senza più forma, tasche in diagonale ed elastico in vita.
- Aspetta un momento, – disse Ryan. – Il furgoncino ce l’hai?
- Te l’ho detto, è scassato.
- E tu vai a piedi?
- No, adesso mi prendo una cazzo di macchina a nolo.
Ryan esitò, nel vedere Pizarro che teneva la porta aperta, ma
solo per un istante. – Ci vediamo, Frank.

Pizarro aveva notato la Mustang davanti all’ufficio. Nel pas-


sare di lì, le aveva dato un’occhiata. Aveva qualcosa di familiare.
Ce n’erano un sacco, di Mustang verde scuro, ma in testa gli ron-
zava qualcosa a proposito di una Mustang. Raggiunse la prima
stradina laterale dopo il Bay Vista e tirò via il suo furgoncino da
sotto gli alberi, per poi dirigersi verso Geneva Beach alla massima
velocità permessa dalle condizioni di quel rottame. Ma quando
arrivò a destinazione tutti i bar e le bottiglierie erano già chiusi,
con l’intero paese già bello sbarrato per la notte. Maledetto Ryan.
Quando era ad aspettarlo, in camera sua, e non aveva trovato
niente da bere, gli era venuto in mente di andare a procurarsi una
bottiglia, tequila o gin. O una di rosso. Se prendeva del vino, gli
sarebbe avanzato qualche dollaro. Dei cento che gli aveva dato
Ryan, ovvero la sua parte, gliene erano rimasti quattro, più sessan-
ta centesimi. Sì, va bene, era rimasto ad aspettare sul furgoncino.
Ma che cazzo, era il suo; era lui che lo guidava. Avrebbe fatto me-
glio a fermarsi e a dirgli le cose come stavano. – Ehi, amico, dov’è
la mia parte? Non questa cazzo di miseria di cento dollari, la mia
parte -. Sbattergliela sul muso, la situazione, e mettere le cose in
chiaro. Con Camacho, a Ryan era andata bene; ma non era detto
che gli girasse sempre nello stesso modo.
Ryan non gli era mai piaciuto. Già da quella volta a San An-
tonio, alla stazione di servizio: Ryan che se ne stava lì a cercare un
passaggio, borsone in mano, a squadrarli ben bene mentre arriva-
vano, l’autobus, il furgoncino e due macchine, tutti stagionali; poi,
che si metteva a parlare un po’ con Camacho e infine montava
sull’autobus. Da quella volta. E proprio da quella volta, nel viag-
gio di andata, Ryan aveva cominciato a entrarci lui, nei posti in cui
loro avevano problemi a farsi servire, per prendere lui le bibite
gassate e la roba per preparare i sandwich. Da quella volta in O-
klahoma, che aveva convinto il benzinaio a fargli usare a tutti
quanti quel gabinetto scassato e puzzolente e poi si era montato la
testa pensando di aver fatto chissà che. Da quella volta che aveva
attaccato bottone con Marlene Desea e non erano ancora usciti
dal Missouri che l’aveva già convinta a scendere dal furgoncino e a
fare il viaggio in autobus assieme a lui. Qualcun’altra, una delle
ragazze, aveva detto: – Frank, ci vengo io con te sul furgoncino -.
Ma lui le aveva risposto: Niente da fare, adesso sul furgoncino
non ci sale più nessuno.
Camacho aveva ragione, proprio come aveva detto quando
erano arrivati ai campi di cetrioli: Ryan voleva solo un passaggio.
Aveva ottenuto ciò che voleva e nessuno più lo poteva trattenere:
non già Marlene Desea, figuriamoci tutto il resto. Si era servito del
furgoncino. Si era servito di Billy Ruiz. Si era servito di tutti quan-
ti, e quando aveva raggiunto il suo obiettivo aveva levato le tende.
Sicuro, proprio quel tipo di persona.
Passata Geneva Beach e imboccata la superstrada verso sud,
infilò la strada sterrata che tagliava tra le coltivazioni per raggiun-
gere le baracche degli stagionali.
Maledetti cetrioli. Aveva chiuso, coi cetrioli. Lui ne raccoglie-
va dieci volte di più di quei maledetti ragazzini che avevano fatto
venire da Saginaw e Bay City, ma se a lui preferivano i ragazzini,
fatti loro. Dallo scorso sabato aveva alzato un po’ troppo il gomi-
to, si era scolato almeno un centinaio di dollari, anche se di bevute
ne aveva offerte un sacco. Quel centone era ormai svanito e a
Camacho ne doveva quattrocento e cinquanta e un lavoro non ce
l’aveva più e San Antonio era a quasi tremila chilometri di distan-
za.
Ma Ryan no, non era svanito. Anzi, ce l’aveva sottomano.
Non doveva far altro che trovare il sistema di dirglielo, il modo
giusto di dirglielo senza farsi rompere il muso. Tipo:
- Ehi, Jack. Sai quella cassa di birra, quella con i portafogli
che ci avevi detto di buttare via? Mica l’abbiamo buttata via, ami-
co. L’ho nascosta dove so io.
Allora Ryan avrebbe detto qualcosa, e lui avrebbe detto a
Ryan: – Quant’è che mi dai per quella cassa di birra, bello? Se non
vuoi che finisca nelle mani di qualcuno, col tuo nome sopra.
Questa sarebbe stata la parte più difficile, far capire a Ryan
che non aveva altra scelta se non pagare per la cassa di birra coi
portafogli. – ‘scolta, se mi molli uno sganassone quella cassa non
la rivedi più, capito?
Quel figlio d’un cane, vattelo a sapere cos’era capace di fare.
Meglio dirglielo subito: – Se mi succede qualcosa, un mio amico
porta la cassa di birra alla polizia. Che te ne pare, bello?
Poi tirargli la stoccata. Cinquecento dollari per la cassa. No,
facciamo seicento. Se non li ha, allora gli toccherà andare a trovar-
li da qualche parte.
Il suo piano era di dirglielo quella sera stessa, a Ryan.
Attaccare con la balla dell’autobus e vedere se così riusciva a
spillargli qualcosa, senza troppa fatica. Poi affondare il colpo con
la storia della cassa di birra. Ma quando Ryan era arrivato e gli si
era piazzato davanti, non era riuscito a dirgli un bel nulla.
Forse poteva metterglielo per iscritto. Procurarsi un foglio di
carta e una penna. Scriverglielo bello chiaro e andare a infilarglielo
sotto la porta, una sera o l’altra. Ma prima o poi gli sarebbe tocca-
to vederlo di persona, Ryan, se no come faceva a farsi dare i quat-
trini? Maledetta la miseria, perché doveva essere così complicata,
questa faccenda?
Per un motivo di cui Frank Pizarro non sarebbe mai stato
certo – oltre al fatto di averla magari vista, quella macchina, passa-
re davanti al campo con la ragazza a bordo, passare davanti alla
baracca dove lui si stava giusto fermando – gli tornò in mente la
Mustang verde scuro e gli tornò subito in mente anche la sua
proprietaria. La ragazza del signor Ritchie. Sicuro, la stessa
Mustang verde scuro ammaccata sul davanti, le stesse identiche
ammaccature della macchina che aveva visto da Jack Ryan.
Pizarro spense il motore e i fari, ma non scese subito dal fur-
goncino. Restò lì a pensare alla Mustang verde, perché lo sapeva
benissimo, cazzo se lo sapeva, che con quella macchina Jack Ryan
qualcosa a che fare ce l’aveva eccome.
10

- È un ottimo affare, – disse il signor Majestyk. – Trenta dol-


lari la settimana, e viene tutti i giorni, domenica esclusa. La do-
menica me la metto da solo, una bistecca sulla griglia, là fuori, una
bella lombata, quel tipo all’IGA le taglia alte cinque o sei centime-
tri.
Il signor Majestyk affettò un pezzo di kielbasa e la tuffò nella
salsa chili. Poi infilò la forchetta nei crauti e li accatastò sulla sal-
siccia con il coltello. Masticando, prese un pezzo di pane e ne im-
burrò l’intera fetta. Sempre masticando, disse: – È lei che lo fa.
Da sola, a casa sua, lo prepara due, tre volte la settimana e lo por-
ta sempre fresco. Ma fresco sul serio.
- È davvero buono, – disse Ryan.
- E lo tiene pulito, questo posto. Gliene dà di aspirapolvere,
due volte la settimana.
Ryan mangiava con una certa velocità. Aveva saltato di nuovo
la colazione e aveva una gran fame. L’idea era quella di alzarsi pre-
sto e fare un salto al capanno da caccia di Ritchie per dare una
bella occhiata, prima che magari arrivasse qualcuno. Ma aveva
dormito troppo, e finito per saltare la colazione. Gli sarebbe toc-
cato andarci dopo il lavoro, però adesso era troppo affamato per
starci a pensare. – Certo che sa cucinare, – disse.
- Non sapesse, non la lascerei fare, – disse il signor Majestyk.
- Ha una qualche storia con lei?
- Con Donna? – Il signor Majestyk lanciò un’occhiata verso
la porta che dava in soggiorno. – Cristo, ma che ti pensi, che sono
messo così male?
- Sarà vecchia, ma mica è tanto brutta, – disse Ryan. – In-
somma, sempre meglio di nulla.
- Tu sei giovane, ce l’hai piantata nel cervello, questa cosa.
- Be’, è un fatto naturale, no?
- Naturale non significa che devi stare a pensarci tutto il
tempo.
- Ah sì? E lei a cos’è che pensa?
- A un sacco di cose, – disse il signor Majestyk. – Per esem-
pio: dovrei restarmene qui tutto l’anno? Voglio dire, che c’è da
fare a Detroit? Tanto varrebbe che vivessi fisso quaggiù. Ti ho già
accennato alla faccenda della stagione di caccia?
- Mi ha detto qualcosa, sì.
- Be’, mi è venuta un’altra idea. Un capanno da caccia.
- Come quello di Ritchie?
- Naa, quella è una vecchia fattoria che lui ha riattato. Lo sai
cos’è una struttura a forma di A?
- Non ne sarei così sicuro.
- Come uno di quei posti svizzeri, sai quei tetti a punta che
toccano quasi terra? Per la gente che va a sciare. Li stanno già co-
struendo dappertutto, su al nord. Prefabbricati.
- Li ho visti in foto.
- Prendine due, – disse il signor Majestyk. – Belli grossi, da
poterci mettere dentro una decina di persone, soppalco compreso,
e li colleghi con un impianto di riscaldamento centralizzato.
- Ma se ha già le cabanas, – disse Ryan.
- Dovrei installare un impianto nuovo in tutte quante. Col
termometro a trenta sottozero, i termosifoni piccoli saltano. No,
mica intendo qui. C’è un pezzo di terreno che un tipo che cono-
sco ha messo in vendita, isolato, c’è un bosco, un lago. Sai quella
strada che passa per il campo degli stagionali e inizia a salire dopo
il capanno di Ritchie?
- Sì?
- Fai altri ottocento metri e trovi un cartello, ROGERS, giri a
sinistra e arrivi in cima alla collina, in mezzo al bosco.
- Lontano da tutto.
- Esatto. Li costruisci lassù, quei prefabbricati a forma di A,
trovi venti cacciatori, a venticinque dollari al giorno a persona –
tre pasti completi, bevande, ghiaccio e tutto compreso per venti-
cinque dollari al giorno.
- Mi sembra ottimo.
- Proprio là dove vivono i cervi. Ma quando c’è un lago ci
sono anche quelli che vanno a caccia di volatili. Questa gente, Cri-
sto, ne conosco almeno una decina che a chiamarli non ci mette-
rebbero un istante. E tutti i loro amici sono cacciatori.
- Perché non lo fa davvero?
Il signor Majestyk guardò Ryan, poi fece spallucce.
- Forse. Chi lo sa.
- Si metterebbe in tasca cinquecento dollari al giorno.
- Lordi. Vero, però poi mi servirebbe qualcuno, forse due, in
grado di cucinare ma anche di maneggiare le armi.
- E che problema c’è?
- Nessun problema, sta solo nel trovare le persone giuste. Te
ne intendi di armi?
- Un tempo le vendevo, – disse Ryan. – Fucili da caccia,
doppiette, in questo negozio di articoli sportivi.
- Credevo che tu fossi un cuoco.
- Già, ho fatto pure quello. Addetto alla frittura.
- Sei in gamba, come cuoco?
- Sicuro. Più che altro erano chefburger, ma all’ora di pranzo
capitava d’ogni cosa – involtini, uova fritte, pancakes, sandwich al
prosciutto. Le cameriere ti portavano gli ordini e tu dovevi prepa-
rare tutto assieme.
- Per essere così giovane, – disse il signor Majestyk, – certo
che ne hai fatte di cose.
- Un po’ -. Poi Ryan raccontò al signor Majestyk di quando
lavorava al The Chef e al negozio di articoli sportivi e da Sears,
senza però far parola del periodo in cui aveva pulito tappeti e mo-
quette, perché era là che aveva conosciuto Leon Woody.

Era stato un amico di Ryan, dapprima, ad avere quel posto.


Un amico che aveva deciso di licenziarsi per iscriversi a un corso
di elettronica, ma che non voleva lasciare il suo capo in brache di
tela, a sentir lui, e così ne aveva parlato a Ryan. La paga era buona,
il lavoro non troppo impegnativo, e si andava a farlo in queste bel-
le case, roba di lusso, e vedessi che donne, tutte queste pupe piene
di quattrini, giuro che non ci puoi credere che razza di cose si
mettono addosso per stare in casa, ti mostrano ogni ben di dio,
ragazzi, certe sembra che stiano lì solo per chiedertelo. Ah sì? dis-
se Ryan. Sai quando si piegano in avanti per fare qualcosa, disse il
suo amico, e non c’è traccia di reggiseno? Oppure che se ne van-
no in giro con la vestaglia spalancata?
In seguito, mai una volta che a Ryan fosse capitato di trovarsi
in situazioni simili. Già era tanto se riusciva a vedere qualcuno, a
parte quando si presentavano al lavoro e quando se ne andavano
via. Ci mise qualche settimana a capire che il suo amico gli aveva
solo indorato la pillola, con questa storia delle donne, e va be’,
lasciamo fare. Tanto, quel lavoro gli piaceva. Soprattutto, apprez-
zava il fatto di andare in case sconosciute e trovarsi sotto gli occhi
una serie di oggetti personali, di proprietà di gente anch’essa sco-
nosciuta. Non era certo come in casa di amici. Era una strana sen-
sazione, in particolare quando restava da solo in una stanza, nel
silenzio che seguiva allo spegnimento dei suoi macchinari, o
quando da solo saliva una rampa di scale per andare a sistemare
una camera da letto. Insomma, proprio come se stesse per succe-
dere qualcosa.
Era dai tempi delle elementari che Ryan non rubava più nul-
la. A quei tempi gli piaceva sgraffignare pettini e duri di menta dal
negozietto di quartiere. Il colpo più grosso che aveva portato a
termine, da allora, era una uniforme da baseball fregata a Sears,
completa di guanto, cappellino, scarpini chiodati e una felpa verde
con le maniche gialle. E non era stato neanche troppo difficile.
C’erano riusciti tutti quanti, i membri della squadra di baseball
della terza media, a forza di quattro viaggi a testa, in ore differenti,
muniti di impermeabili o borse della spesa, dodici ragazzini e
nemmeno uno che si fosse fatto beccare, anche se due avevano
arraffato felpe di un colore sbagliato, e quando erano tornati a
riprovarci, quelle verdi e gialle erano terminate.
Era stato in una di quelle occasioni, da solo in una stanza,
che a Ryan era venuto in mente di tornare in quella casa a tempo
debito. Alla padrona di casa era scappato detto che lei e suo mari-
to stavano giustappunto partendo per la Florida, il giorno dopo.
Ryan puliva la moquette e ci pensava su, cercando di immaginarsi
come poteva essere il ritrovarsi tutto solo, di notte, in quella casa.
Iniziò quindi a chiedersi se aveva il fegato necessario per introdur-
si in casa d’altri, con i proprietari immersi nel sonno, oppure igno-
rando se fossero svegli, addormentati o chissà cosa. Cristo, certo
che bisognava essere davvero in gamba, per rischiare in quel mo-
do. Ma a conoscere bene la disposizione delle stanze, a essere certi
dell’assenza di un cane, e a sapere come intrufolarsi senza troppi
problemi, la cosa si poteva fare, eccome.
E il modo giusto di farla gli venne in mente che già lavorava
in coppia con Leon Woody. Di solito spostavano i mobili al cen-
tro della stanza, e iniziavano a passare il detergente ai quattro lati
della moquette, poi risistemavano la mobilia al suo posto, con tan-
to di dischetti di stagnola sotto le zampe. Quella volta Ryan aveva
finito di sistemare un tavolinetto contro una parete, aveva allunga-
to una mano tra le tende e aperto una finestra laterale.
Nell’infilare una mano all’esterno, aveva scorto Leon Woody che
lo guardava.
Leon Woody aveva scosso la testa, ridacchiando. – Che ti
prende? – aveva detto Ryan.
- Nulla, – aveva risposto lui, senza smettere di sorridere.
Più tardi, a bordo del camioncino, era tornato
sull’argomento. – Guarda che non è mica il caso di mettere la ditta
nella merda. Se proprio vuoi entrare in una casa, pescane una in
cui non siamo stati.
O sei scemo, gli disse Ryan, oppure stai parlando a vanvera.
- Credi che non lo sappia? – disse Leon Woody. – È un po’
che ti tengo d’occhio, sai, lo vedo che ti guardi attorno. Sta’ a sen-
tire. Se fai una cosa del genere senza sapere se in casa c’è qualcu-
no oppure no, prima o poi finisce che qualche testa calda ti fa sal-
tare le cervella. È quando non c’è nessuno, che ci puoi entrare,
quando lo sai per certo, e magari anche per iscritto, che quelli non
sono in casa.
- Tu l’hai già fatto?
- Lo faccio, amico. Lo faccio ancora.
- Io, una volta sola.
- E stavi per farlo una seconda.
- Non volevo mica prendere niente.
Leon Woody lo guardò. – E allora, perché ci volevi entrare?
- Non ho idea -. Questa sapeva tanto di stronzata. – Solo per
vedere se ci riuscivo, mi sa -. Sapeva di stronzata, anche questa.
- Tipo un gioco?
- Già, suppergiù.
- Lo sai che ti capita, se a questo gioco ci perdi?
- Fa parte dello spasso. Il rischio. Un rischio ci dev’essere.
- E il resto qual è?
- Vedere se ci si riesce, immagino.
- No, bello, non è questo. Il resto è una Mercury decappotta-
bile, bianca, e quindici abiti interi e dodici paia di scarpe e non so
più quante pupattole che posso chiamare a tutte le ore del giorno
e della notte. A tutte le ore.
- Se ti interessano i quattrini, – disse Ryan, – allora è un’altra
faccenda.
- Amico, è tutta un’altra faccenda. Non vorrai mica dirmi che
a te non interessa?
- Sicuro, tutti vogliono la tranquillità economica. Anche a me
interessa vivere bene.
- E ti sembra di vivere bene?
- Tiro avanti.
- Ma vivi bene?
- Non certo, come si dice, con tutti gli agi.
- E allora, amico mio, – disse Leon Woody, – vediamo un po’
di procurarteli, tutti questi agi.
Era difficile, le volte che ci pensava, non vedere l’intera fac-
cenda come un gioco. Uno spasso. Stava violando la legge e lo
sapeva benissimo, ma non l’aveva mai vista in questo modo. Buf-
fo, certo, ma era proprio cosi. Certo, era un reato penetrare in ca-
sa d’altri, va bene, ma mica si impossessava di cose davvero indi-
spensabili. Un televisore, una giacca di pelliccia, un paio di orolo-
gi, tutta roba assicurata; e forse avrebbero ottenuto mille, mille-
duecento dollari di risarcimento. L’assicurazione è chiamata a pa-
gare, e il padrone di casa ricompra un altro televisore, un’altra pel-
liccia per la moglie, un nuovo paio di orologi, e tutto a sconto,
perché lui è un pezzo grosso e ha entrature d’ogni genere. Ci sta
anche che in partenza i quattrini quel tipo li abbia fatti fregando
qualcuno sul lavoro. Guarda un po’, negli affari tutto è lecito,
mentre entrare in casa d’altri dalla finestra del seminterrato non va
bene. Come mai?
Forse non era questa la logica. Forse non si poteva giustifica-
re un’effrazione, vero, ma quanti fatti della vita sono impossibili
da giustificare? Se ti beccano, ti beccano. Niente scuse. E niente
soffiate. Va bene? L’unico modo di vederla era questo. Anche se il
modo migliore era non starci nemmeno a pensare. Agire e basta,
senza farla tanto lunga.
E alla faccia di Leon Woody, doveva a tutti i costi introdursi
in qualche casa senza essere sicuro della presenza o dell’assenza
dei proprietari, e così fu. La prima volta si limitò al pianterreno,
cercò di raccapezzarsi tra una stanza e l’altra, e in un paio di minu-
ti era già fuori, senza prendere niente. La seconda volta si spinse
al piano superiore, saggiando ben bene ogni scalino, fino a rag-
giungere il ballatoio. Da lì si infilò in una camera da letto, in cui
una coppia ancora dormiva, e razzolò settantotto dollari da un
portafoglio sul cassettone. Stava quasi per spifferare ogni cosa a
Leon Woody, ma all’ultimo istante decise di non farne di niente.
Magari quello lo prendeva pure per scemo.
Che poi andò a finire che non si dovette più preoccupare di
Leon Woody o della sua opinione. Due volte lo pizzicarono, Leon
Woody: custodia cautelare. Chissà come, la polizia l’aveva scoper-
to. Si erano presentati a casa sua con tanto di mandato, per sapere
com’è che poteva permettersi quella macchina e tutti quei vestiti
costosi. Scommesse, aveva risposto lui, cavalli. La terza volta li
beccarono entrambi, Ryan e Leon. Avevano svaligiato una casa e,
sulla via del ritorno, si erano fermati a farsi un paio di birre. Era-
no rimasti in quel bar neanche una mezz’oretta, ma all’uscita
c’erano già due sbirri in borghese ad aspettarli davanti alla mac-
china di Leon con un mandato. Li avevano poi incriminati per
furto con scasso. Sentenza sospesa. Leon si era preso sei mesi per
detenzione di merce rubata, oltre a perdere il lavoro nella pulitura
tappeti e moquette. Una volta rilasciato, era stato arrestato di
nuovo, stavolta per possesso di droga, e spedito al penitenziario
federale di Milan.
Per un po’, Ryan aveva continuato a scrivergli, ma Leon Wo-
ody si degnava a malapena di rispondere. Di sicuro aveva messo
su qualche altro traffico, a Milan, e aveva troppo da fare.
Negli otto mesi di quel secondo lavoro – furti con scasso –
Ryan aveva raggranellato circa quattromila dollari. Non li aveva
spesi in vestiti firmati e neanche aveva cambiato casa, perché sa-
peva benissimo che sua madre avrebbe cominciato a sospettare
qualcosa e a fare domande. Anche se la volta che era tornato a
casa con un televisore rubato, visto che a quello che avevano gli
era saltata una valvola, ci fosse uno che gli avesse chiesto dove
l’aveva preso: né sua madre né sua sorella, né suo cognato Frank.
A giugno, Ryan era saltato su un pullman Greyhound diretto
in Texas, per fare un nuovo tentativo col baseball, terza serie.

- È lo stare al chiuso tutto il tempo che ti rovina, – disse il si-


gnor Majestyk. – È per questo che l’ho mollata, la mia bettola.
Bisogna forzarsi a uscire, a fare quel che ci si sente di fare, a sen-
tirsi padroni di se stessi. Capisci?
- Quando ho lasciato Sears, – disse Ryan, – mi sentivo
proprio così.
- Sicuro, ti posso capire benissimo. E il baseball?
- Gliel’ho detto, è la schiena che mi ha fregato.
- Quando giocavi in terza serie, intendo.
- Solo per tre stagioni, mi sembrava d’averglielo già detto, –
fece Ryan. – Il resto dell’anno, facevo questi altri lavori. Poi per
due stagioni non ho potuto giocare per via della schiena. Quando
mi è parso di essere guarito, lo scorso giugno, ho tentato di nuovo.
Credevo di potercela ancora fare.
- E allora? – Il signor Majestyk era interessato.
- Ma la schiena… che ne so, mi impediva di battere al meglio.
Qualcuno mi lanciava una palla curva e io andavo tutto fuor di
sesto. così me ne sono tornato a casa, meglio lasciar perdere.
- Ti sei imbarcato con quegli stagionali, eh?
- Proprio così. Quel caposquadra mi ha offerto un lavoro, e
mi sono detto, Perché no?
- Cristo, certo che l’hai proprio conciato per le feste.
- Se l’è cercata col lanternino. Se non ero io, sarebbe stato
qualcun altro.
Il signor Majestyk finì la sua birra e si nettò la bocca con un
tovagliolino di carta. – Che ti resta da fare?
- Sto ancora finendo di sistemare quel terreno vuoto, tra le-
gno alla deriva e cianfrusaglie varie.
- Ehi, neanche abbiamo parlato del tuo giorno libero.
- Pensavo al sabato, – disse Ryan.
- Il sabato è da escludere. È il giorno più incasinato, tra chi
parte e chi arriva. O domani o venerdì.
- Domani va benissimo. Non fa differenza.
- Se non hai niente da fare, va’ a dare un’occhiata a quella
proprietà, rogers, dice il cartello -. Poi il signor Majestyk tacque.
Infine si decise e guardò Ryan dritto in faccia. – Vedo che ti sei
procurato una macchina, – disse.
- Me l’hanno solo prestata.
- Non pensavo certo che te la regalasse, quella tipa.
Quando il signor Majestyk tacque di nuovo, Ryan rimase in
attesa. Non voleva certo rendergli le cose più facili. Se quel tipo
voleva ficcare il naso nei suoi affari, avrebbe dovuto cavarsela da
solo.
Infine il signor Majestyk tornò a parlare. – È con quella mac-
china che ha spedito i due ragazzotti fuori strada.
- Me l’ero immaginato, – disse Ryan, – per via dei bozzi sul
davanti.
- Uno si è ritrovato le gambe rotte e qualche lesione interna.
- Me l’ha già detto.
- Basta che te lo ricordi, – disse il signor Majestyk. La piantò
lì.
Ryan si fumò una sigaretta e restò a stiracchiarsi al sole per
una mezz’oretta, poi tornò al suo lavoro di sgombero, rastrellando
gramigna ed erbacce e porcherie varie e ammassando il tutto in un
mucchio unico. Gli aveva già dato fuoco, quando vide arrivare il
signor Majestyk, che a bordo del suo piccolo bulldozer avanzava a
scossoni sul terreno irregolare. Più piccoli di quel tozzo aggeggio
giallo, pensò Ryan, impossibile che ne possano fare, e poi, Cristo,
senti che casino quel motore diesel. Il signor Majestyk gli fece ve-
dere come funzionava il cambio e come alzare e abbassare la pala,
e per le due ore successive Ryan se ne stette a giocare col bulldo-
zer, riuscendo un po’ alla volta a scavare una buca abbastanza
profonda per seppellirci tutto ciò che non si poteva bruciare.
Quando i bevitori di birra della numero 11 fecero la loro
comparsa armati di frigobar portatile, Ryan capì che dovevano già
essere passate le quattro, l’ora di darci un taglio. A finir di seppelli-
re quella roba ci avrebbe pensato l’indomani. No, venerdì. Due
ore e mezza in quel campo l’avevano ridotto uno straccio: accal-
dato e in un bagno di sudore. Addosso aveva solo i calzoni di tela
kaki, quelli tagliati al ginocchio, e così andò a tuffarsi nel lago per
raggiungere a nuoto la zattera dei tuffi, e ritorno. Come nuotatore
valeva poco; non aveva un briciolo di resistenza, ma era pur sem-
pre in buona forma, e arrivare fin laggiù non era certo più fatico-
so di quando, la sera prima, se l’era fatta fino alla barca. Che buffa
cosa, alla ragazza non aveva pensato una sola volta in tutto il
giorno. Quel che aveva in mente adesso era una birra, e attraversò
la spiaggia a nemmeno tre metri di distanza dai tipi della numero
11, pronto a ricambiare un loro eventuale saluto o una semplice
occhiata, ma quelli se la stavano ridendo della grossa e non parve-
ro neanche accorgersi di lui.
- Ehi, ti hanno cercato al telefono -. Il signor Majestyk era
uscito di casa e stava passando davanti alla numero i.
- Dov’è?
- No, ha lasciato un messaggio. Le ho detto che eri al lavoro.
Alle sei, mi ha detto di farti sapere.
- E le ha detto anche chi era?
L’espressione solenne del signor Majestyk si fissò sul volto di
Ryan. – Tu sarai anche matto, ma lei no.
Ryan tirò dritto. Ma andasse all’inferno, lui e quel che gli pas-
sava per la testa.
Aveva quasi raggiunto la piscina, quando Virginia Murray
spuntò fuori dalla numero 5. Ryan capì che lo stava aspettando, e
che ormai non poteva farci niente.
- Salve. Pensavo che venisse a sistemarmi la finestra.
Aveva il costume da bagno azzurro pallido. Era appena tor-
nata dalla piscina, aveva visto Ryan, si era tolta l’olio solare dal
viso, ed era uscita di nuovo.
- Ehi, me n’ero scordato. No, non me n’ero scordato, è solo
che oggi non ce l’ho fatta.
- Può mica darle un’occhiata adesso?
Non era certo fatta male. Anzi, proprio carina: belle tette,
gambe discrete, non troppo abbondante, ma bruciata dal sole e un
po’ sbatacchiata; una settimana che era lì e ancora le dava fastidio
il sole.
- Ascolti, lo farei volentieri ma devo proprio scappare. C’è
una persona che mi aspetta -. Si era già avviato. – Domani, stia
sicura, va bene? – Lei faceva sì col capo, ma lui le aveva ormai
dato le spalle e la cosa finì lì.

Lasciò la Shore Road e seguì la stradina tortuosa che correva


tra gli alberi fino a Old Pointe Road, poi avanzò a velocità ridotta
fino a scorgere la casa: bianca, due piani, dall’aria recente, con ga-
rage annesso e siepi ben curate. Il nome sulla cassetta delle lettere,
R. J. Ritchie, lo fece esitare. La notte precedente non aveva mica
guardato tanto bene, da quella parte. Avevano fatto il giro dal lato
degli alberi, e lui era rimasto in attesa nei pressi del garage, mentre
Nancy si procurava il filo elettrico. Piano piano, imboccò il vialet-
to di Ritchie.
- Sei in ritardo, Jack.
La voce veniva dall’alto. Da una delle finestre del piano supe-
riore. Alzò gli occhi e la vide, che si sporgeva dal davanzale e lo
guardava. – Entra pure, – disse poi. – La porta è aperta -. In ma-
no, teneva qualcosa. Ryan accostò vicino al garage e fermò la
macchina. Nel guardare avanti a sé, adesso, vide la pistola. Nancy
gliela puntava dritta addosso.
11

Ryan passò dalla cucina al soggiorno, con calma, guardandosi


attorno, con l’aria esperta di chi sa ben valutare un luogo: pareti
bianche e legno scuro nella quiete della sera appena iniziata, il pa-
vimento in abete e il tappeto orientale e la scala in ferro che parti-
va dal soggiorno e con una sola curva andava a infilarsi nel soffit-
to. Anche nella sala da pranzo, che si scorgeva dalle porte soc-
chiuse, predominavano il bianco e i colori scuri, con un tavolo
massiccio e oggetti di ferro battuto alle pareti.
Più che di un uomo delle pulizie, là dentro, c’era bisogno di
un sollevatore di pesi. Si avvicinò allo studiolo e sbirciò
all’interno. Rivestito di pannelli di legno trattati in grigioverde, con
poltrone in tela e grossi portacenere blu e grigi. Non era in grado
di esprimere un giudizio sui quadri; forse andavano bene, ma non
avrebbe saputo dar loro un prezzo. Dall’apparecchio tv, a colori,
poteva tirar fuori un centocinquanta dollari. Tornò in soggiorno e
si accostò alle porte a vetro, scorrevoli, che si aprivano sulla fac-
ciata. Più in basso, poco oltre il solarium, scorgeva la piscina e il
prato. Ad avvicinarsi alla vetrata, riusciva a vedere anche parte del
patio.
Si voltò, ed ecco che Nancy scendeva le scale: gambe ab-
bronzate e borsa di paglia, poi calzoncini marrone scuro e ma-
glioncino e capelli castani.
- Ci sei andato, al capanno? – gli chiese.
Fu un piccolo shock, per lui, rendersi conto che no, a dare
un’occhiata al capanno non c’era andato, che gli era proprio passa-
to di mente.
- Non ho avuto tempo.
Lei lo fissò per un istante, per poi voltarsi, allontanarsi.
- Ho avuto un sacco da fare, al lavoro, – disse Ryan, nel se-
guire Nancy giù per quei pochi gradini che davano nel salottino da
relax, quello col mobile bar, e varcare poi le porte scorrevoli che
davano sul patio: la guardò che posava la borsa sul tavolino
dell’ombrellone.
- E carica?
Adesso lei gli stava di fronte, lo sguardo gelido ormai svanito,
un leggero sorriso. – Certo che è carica.
- Che roba è?
- Una ventidue.
- Hai intenzione di sparare a qualcosa?
- Potremmo. Le finestre non sono male.
- Abbiamo già dato, con le finestre.
- Non con la pistola.
- E tu?

- È tanto che non lo faccio. Ehi, avrai mica fame?


- Mi sa di sì. Erano queste, le finestre?
- Uh- huh, la prima volta che sono venuta. Già sapevo che
non ci sarebbe stato un bel niente da fare.
- Quindi ti sei portata dietro una pistola per sparare alle fine-
stre.
- E alle barche. Le barche sono uno spasso.
- Posso immaginare. E le macchine?
- Alle macchine non ci ho pensato -. Sembrava piacevolmen-
te impressionata. – Non è buffo?
- Certo che è buffo.
- Volevo solo farti sapere che una pistola ce l’abbiamo.
- Guarda che c’è una bella differenza, – disse Ryan, – tra il
furto con scasso e la rapina a mano armata.
- E c’è anche una bella differenza tra settantotto e cinquan-
tamila dollari, – disse Nancy. – Tutto sta nel capire quanto davve-
ro ti interessa la cosa.
Nel salottino da relax attaccò a squillare il telefono.
Nancy tenne lo sguardo fisso su Ryan; stava osservando le
sue reazioni. Lui faceva l’impenetrabile, ricambiava lo sguardo, e
infine lei accennò un lieve sorriso e si avviò a rispondere alla
chiamata.
Quando fu entrata in casa, Ryan prese dalla borsa la pistola a
canna lunga, tipica arma da tiro al bersaglio. Lo conosceva, quel
modello; gli era già capitato di venderlo, al negozio di articoli
sportivi. Allungò il braccio, puntò la pistola e diresse il mirino sul
lampione. Estrasse il caricatore dal calcio in noce americano ben
levigato: era pieno, altro che. Poi lo reinserì al suo posto e tornò a
infilare la pistola nella borsa.
Si avvicinò alla piscina, mani in tasca, la oltrepassò per poi at-
traversare il prato. Ancora gli sembrava di avere quel calcio tra le
mani, liscio, piacevole al tatto, così come l’ottimo bilanciamento
dell’arma. Si vide sfoderare la pistola dall’impermeabile e acco-
starsi alla cassa – non di una banca, dio ce ne scampi, quella no –
di una piccola agenzia di prestiti come quella per cui lavorava Bud
Long, con due o tre persone dietro lo sportello. E mentre lui tira-
va fuori la pistola Leon Woody, che si era finto affaccendato a
compilare un modulo di richiesta prestito, scavalcava il bancone e
faceva piazza pulita. La disposizione di quel posto l’avevano già
studiata in precedenza, oltre a calcolare bene i tempi, così da deci-
dere di fare il colpo pochi minuti prima della chiusura. Una botta
e via, il più in fretta possibile. Ne avevano parlato una sola volta.
E quella sola. Perché si trattava di rapina a mano armata, e ci sa-
rebbe voluto tutto il fegato che avevano usato nei loro F con S,
tutto insieme, e anche così poteva non rivelarsi sufficiente a entra-
re là dentro con la pistola in pugno.
Arrivò al termine del prato, fino alla scogliera che scendeva a
picco sulla spiaggia, giù fino alla sabbia e al mare. La barca era
sparita; il tipo del club doveva essere venuto a recuperarla.
C’era un gran silenzio, e l’erba sapeva di buono. Si voltò e ri-
partì verso la casa. Che strano. Non gli era mai capitato di tagliare
erba, in vita sua. Quella era stata tagliata di fresco, molto meglio di
qualunque diamante su cui avesse mai giocato a baseball. Su un
campo del genere, era necessario adottare tutto un altro stile di
gioco, la pallina avrebbe preso degli strani effetti, là sopra. Bastava
farci un po’ l’abitudine e non sarebbe andata poi tanto male.
Nancy era tornata sul patio, con un vassoio tra le mani, e lo
stava sistemando sul tavolino dell’ombrellone, gli occhi rivolti allo
stesso tempo su di lui.
Ryan si sentiva bene, ma non del tutto a suo agio. Era una di
quelle sensazioni che precedono l’inizio di un incontro di baseball,
o di quando ci si aggira in casa d’altri. Non che si vedesse, certo,
ormai aveva fin troppa pratica nel controllare le sue emozioni, ma
questo era così che si sentiva e non poteva farci niente. La ragazza
e la piscina e il patio, ma c’era qualcosa di storto. Per chissà che
motivo, non era certo come farsi una birra gelata alle sei del po-
meriggio, al Pier Bar, senza un pensiero per la testa.
- Birra, o Cold Duck? – Nancy lo stava aspettando, due bot-
tiglie di birra sul vassoio, una di Cold Duck e un secchiello di pol-
lo fritto. – L’ho ordinato per telefono, – disse. – Niente di che,
come pollo, ma non pensavo che tu mi portassi fuori a cena.
Ryan apri una birra e si sedette su una poltroncina di tela.
Accese una sigaretta e attese. Ma lei aveva deciso di dargli del filo
da torcere, sotto questo aspetto, così fu lui a finire per chiederle: –
Chi era? Ray?
- Ray ha già chiamato oggi pomeriggio. Era Bob junior, –
disse Nancy. – Vorrebbe fare un salto qui.
- E tu che gli hai detto?
- Che sono stanca e voglio andare a letto presto. Allora lui ha
fatto lo spiritoso, e io gli ho detto che se solo vedevo il suo ca-
mioncino su per il vialetto, mi attaccavo al telefono e chiamavo
sua moglie.
- Non lo capisco, – disse Ryan. – Uscire con lui, voglio dire.
- Era una cosa che andava fatta -. Stava riempiendo un bic-
chiere di Cold Duck. – Per vedere se ne aveva davvero il coraggio.
- Hai una vera fissa, con questa faccenda del coraggio.
Lei si voltò, il bicchiere in mano. – E che altro c’è?
Su cui contare, intendo.
- E se il tuo coraggio finisce per metterti nei guai? E se
Ray scopre tutto quanto?
- Su Bob junior?
- O se qualcuno va a spifferargli che ci hanno visto assieme -.
Nancy fece spallucce, di nuovo con quel gesto da ragazzina. –
Che ne so. Mi toccherebbe inventarmi qualcosa -. Accostò una
sedia a quella di Ryan e sedette. – Perché tutte queste domande?
Un po’ nervoso, cocco?
- Ray ha già chiamato, dicevi.
- Non si farà vedere fino a sabato. Deve andare a Cleveland.
- E questo che significa?
- Significa che sarà a Cleveland, e quindi venerdì sera non
verrà quassù. Che te ne pare?
- Ma il danaro sì.
- Quello deve esserci per forza, se li vogliono pagare sabato -.
Nancy attese. – È per questo che ho deciso che dobbiamo andare
stanotte, a infilarci nel capanno.
Ryan scosse il capo. – No. Prima devo vederlo alla luce del
giorno.
- L’hai già visto prima.
- Non con questa faccenda per la testa.
- È tutto il giorno che ci sto pensando, – disse Nancy. –
C’intrufoliamo là dentro e impariamo a muoverci al buio.
- Domani ho il giorno libero, – disse Ryan. – Posso an-
darci domani, a una certa ora.
- Okay, allora vengo con te. Operazione rimandata a do-
mani sera.
A Ryan venne la voglia di attaccar briga, di darle una scrolla-
tina. – Non è detto che funzioni, – le disse. – Lo sai che c’è sem-
pre questa possibilità.
- Ma se non ci proviamo, non lo sapremo mai, – disse Nancy.
– O no?
Ryan assaggiò un po’ di pollo e alla seconda bottiglia di birra
iniziò a rilassarsi. Ma nel rilassarsi si rese conto che stava succe-
dendo qualcosa. Nancy gli sedeva vicina, di fronte, un ginocchio
abbronzato quasi a toccargli la poltroncina. Tra le mani teneva un
pezzo di pollo, e lo mordicchiava senza togliere gli occhi di dosso
a Ryan. Poi sorseggiava il vino e tornava a guardare Ryan da sopra
l’orlo del bicchiere. Infine si scostava i capelli dall’occhio e li la-
sciava ricadere. Mangiarono in silenzio, e lui lasciò che il tutto gli
facesse effetto. Ben sistemato nella poltroncina, la sigaretta accesa,
conscio della ragazza dai capelli scuri che gli stava vicino e gli lan-
ciava occhiate roventi, Ryan non potè fare a meno di dirsi, Guarda
che ti stanno mettendo in mezzo.
Quella che gli ballonzolava sotto il naso era una vera e pro-
pria esca, la promessa di ciò che poteva accadere. Neanche
l’avesse portato Ann Margret in cima a una montagna, davanti a
tutti i regni della terra, tutto questo sarà tuo. Mentre, a breve di-
stanza, dall’altra parte del patio, le luci subacquee della piscina
scintillavano nell’oscurità.
Com’è che puoi essere così sicuro di te stesso? pensò Ryan.
E poi pensò, È lei che te lo fa sembrare facile. Lei lo fa una
volta sola e si becca cinquanta bigliettoni e non saprà mai la fatica
che ci vuole.
Lui poteva intrufolarsi in qualsiasi posto, e Leon Woody po-
teva fare altrettanto, e anche un sacco di altri tipi, tutta gente o
mezza scema o strafatta fino agli occhi, ma questo non voleva dire
che anche lei potesse farcela. Non era mica come tirare una sassa-
ta e poi darsela a gambe, non era un gioco; era una cosa seria, e
forse lei poteva anche cavarsela senza lasciarsi prendere dai nervi,
ma come faceva a saperlo prima di arrivare in fondo e scoprire di
cosa si trattava? Era questo che a Ryan dava da pensare. Se l’intera
faccenda era un gioco da ragazzi, perché aveva bisogno di lui?
Neanche l’avesse preso per una sorta di uomo di fatica. Come se
fosse in grado di farcela benissimo da sola, ma non volesse ri-
schiare di farsi venire un’ernia.
- Se tu volessi entrare da qualche parte, – disse Ryan, – com’è
che faresti?
Nancy ci pensò un istante. – Per cominciare, proverei con la
porta.
- E se c’è qualcuno in casa?
- Oh, pensavo tu parlassi del capanno.
- Un posto qualunque, se tu volessi entrare.
- Sempre dalla porta, – disse Nancy, – mi sa -. Poi accennò
un sorriso. – Facendo piano, però.
- E se è chiusa a chiave?
- Allora dalla finestra.
- Metti che anche le finestre sono sbarrate.
- Non so. Diciamo che ne romperei una.
- E lo sai come si fa?
- Guarda che d’estate non ce n’è mica bisogno, – disse lei. –
Basta tagliare la zanzariera.
- Ammesso che ci sia una finestra aperta.
Lei tirò su la schiena. – Facciamolo. Entriamo in casa di
qualcuno.
- Per che fare? Non ce n’è motivo.
- Per divertimento.
Com’è che aveva detto, Leon Woody? – Un gioco, amico? –
E lui gli aveva risposto, a Leon Woody, sul furgoncino della ditta
di pulitura tappeti e moquette: – Già, una specie di gioco.
- Ti è mai capitato di farlo? – disse Ryan.
Nancy scosse il capo. – Non proprio.
- Che vuoi dire, non proprio? O sì o no.
- Ho sbirciato nelle case della gente quando non c’era nessu-
no.
- E ti sembra uno spasso.
- Uh- huh. A te no?
E Leon Woody aveva detto: Lo sai che ti capita, se a questo
gioco ci perdi? E lui gli aveva risposto, a Leon Woody: Fa parte
dello spasso. Il rischio.
- Come fai ad essere sicura di avercelo, il coraggio? – le chie-
se Ryan.
- Oh, andiamo -. Nancy allungò una mano a prendere una si-
garetta sul tavolino. – Che ci vorrà mai, a intrufolarsi in casa
d’altri.
Ecco qua.
Ryan attese. La guardò accendersi la sigaretta e soffiare il fu-
mo sul fiammifero. Attese, fin quando i loro occhi non si incon-
trarono, e solo allora le disse: – Vuoi fare un tentativo?

- Niente sassi, stasera, – disse Ryan. – Okay?


- Niente sassi, – fece Nancy. – Ho deciso che se non ci sono
luci accese, vuol dire che in casa non c’è nessuno. È abbastanza
buio, ma non credo che siano già andati a letto. È troppo presto.
- Forse se ne stanno in veranda.
- Forse, – disse lei. – Certo, non è detto che siano per forza
in casa, anche con le luci accese. Io la lascio sempre, una luce ac-
cesa.
- Come fanno quasi tutti.
- Il che vuol dire che ci toccherà andare a dare un’occhiata da
vicino.
Nancy era proprio a suo agio, Ryan lo sentiva benissimo. E
non poteva immaginarsela in altro modo. Però, va’ a saperlo, po-
teva pure fingere. Erano ancora alla fase delle parole e non dei
fatti, e per collegare le due cose ci volevano chilometri e chilome-
tri di coraggio.
- Quale casa? – disse Ryan.
- Pensavo a quella scura, laggiù.
- Andiamo.
In seguito, si sarebbe ricordato di essere stato lui a suggerire
di muoversi. Non aveva dovuto insistere, Nancy, né pregarlo. Sta-
va li, bella tranquilla, e quando lui aveva detto «Andiamo», gli ave-
va sorriso – pure questo, si sarebbe ricordato – e l’aveva seguito
attraverso la spiaggia, fino a raggiungere l’oscurità che gli alberi
proiettavano sulle case, e poi fuori dal fitto degli alberi e attraver-
so un prato e su per i gradini della veranda di quella casa in cui
non brillava luce, facciamolo subito e togliamoci il pensiero, spe-
riamo almeno di farle prendere una bella scossa.
Ryan suonò il campanello.
- E se risponde qualcuno, che gli dici? – La voce di lei era
calma, poco più di un soffio.
- Chiediamo se per caso sanno qual è la casa dei Morri-
son.
- Metti che anche loro si chiamino così.
Suonò ancora il campanello e attese il tempo sufficiente per
consentir loro di scendere, caso mai fossero già stati a letto, di
sopra. Attese ancora un istante per scartare del tutto questa ipote-
si, poi aprì lo schermo della porta e provò a girare la maniglia. Era
aperta.
- Te l’avevo detto che non era così difficile, – disse Nancy,
ed entrò in casa per prima.
- Aspetta. Fammi dare un’occhiata.
Ryan entrò, e nell’oscurità si diresse verso il retro della casa,
in cucina, dove si affacciò alla finestra e riuscì a scorgere la parte
posteriore di un’auto che spuntava dal garage. Tornò sui propri
passi.
Nancy era seduta sul parapetto della veranda a fumarsi una
sigaretta. Lui gliela tolse di mano, con l’intenzione di buttarla via,
ma si accorse dell’occhiata che lei gli stava lanciando, e si limitò a
tirare anche lui una boccata, a passarle di nuovo la sigaretta.
- Allora?
- Sono rimasti in zona. Non staranno fuori molto.
- Com’è che lo sai?
- Lo so e basta. Okay?
Lei fece spallucce e si tirò su. Lui la vide muoversi, e forse
vide anche un leggero sorriso, anche se in quel buio non ne era
poi così sicuro. Lei scese i gradini e gli andò incontro. Attraversa-
rono il prato che arrivava fino alla spiaggia.
- Se c’è la macchina, – disse Ryan, – non possono essere
andati lontano.
- Pensavo una cosa, Jackie. Dov’è tutto il divertimento, se en-
triamo in una casa vuota e già lo sappiamo prima?
Ryan la guardò fissa, e udì la voce di Leon Woody che diceva:
«È quando non c’è nessuno, che puoi entrare, quando lo sai per
certo, e magari anche per iscritto, che quelli non sono in casa».
Continuò a fissarla fin quando lei non fece per aprire bocca,
e fu allora che le disse: – Andiamo, – e dalla spiaggia tornarono a
infilarsi tra gli alberi, verso la prima casa illuminata, correndo a
testa incassata tra le spalle – proprio come avevano fatto quella
volta dei sassi – e restando tra gli alberi e i cespugli e le ombre più
fitte, fin quando non raggiunsero la casa, per poi accostarsi a una
finestra e sbirciare all’interno.
- Giocano a carte, – disse Ryan.
- Gin rummy. Lei è rimasta incartata, e lui s’è incazzato.
- Andiamo.
Non c’era altro da vedere. Né ci sarebbe stato, Ryan ne era
certo. Non quando uno è lì ad aspettarsi qualcosa. Proprio come
quando pulivano la moquette e si aspettavano di trovare tutte
quelle donne mezze nude. Si spostarono alla casa successiva, pas-
sando dalla spiaggia, e poi a quella dopo, e ancora e ancora. Vide-
ro gente che giocava a gin, gente che leggeva, gente che guardava
la tv, gente che mangiava, gente che beveva, gente che parlava, e
ancora gente che beveva.
- Forse riusciamo a beccare qualcuno a letto, – disse Nancy.
- Se sono andati a letto, avranno già spento la luce.
- Mica tutti.
- Perché, a te piacerebbe che qualcuno ti guardasse?
- Non ci ho mai pensato, – disse Nancy.
Videro gente che giocava a bridge e gente che se ne stava a
sedere e non faceva un bel niente. Videro una donna, sola, che
leggeva, e Nancy fece scorrere un’unghia sulla zanzariera. La
donna saltò sulla poltrona e sbarrò gli occhi sulla finestra, senza
neanche il coraggio di muoversi.
- Questa mi è piaciuta, – disse Ryan quando furono di nuovo
tra gli alberi. – Magari riusciamo a trovare qualche vecchia signora
che soffre di cuore.
Non la riconobbe, Ryan, la casa marrone, quando vi si trova-
rono davanti. Fossero arrivati dalla spiaggia, allora sì, anche al bu-
io. Sapeva che la casa era da quelle parti, ma non è che la stesse
cercando, e quando si ritrovò ad attraversare un lato del giardino
per raggiungere la veranda, le era andato ormai troppo vicino per
poterla riconoscere.
Le girarono attorno, passando davanti a finestre buie, e arri-
varono alla veranda posteriore, ma ancora non l’aveva mica rico-
nosciuta. Adesso si era messo a guardare Nancy, che filava dritta
al garage e dava un’occhiata all’interno.
- Là dentro macchine non ce ne sono, – gli disse poi la ra-
gazza, tornando indietro. – Va be’, entriamo lo stesso.
Entrambe le porte erano chiuse a chiave, quella principale e
quella sul retro, ma non fu comunque un grosso problema. Entra-
rono da una finestra del soggiorno, che dava sulla veranda, dopo
che Ryan ebbe sfondato la zanzariera con un bastone e sganciato
il fermo; prima passò lui, e poi Nancy. Lei lo seguì nell’atrio e gli
rimase vicino, mentre lui andava a controllare la porta posteriore,
aprendola e chiudendola senza far rumore, già rassicurato
dall’esistenza di possibili vie di fuga su ben tre lati della casa.
Fu una luce che gettava un’ombra sul muro a farlo sussultare,
a fargli dare le spalle alla porta.
Nancy aveva aperto il frigorifero.
- Birra? – Con la testa infilata all’interno, a guardare cosa
c’era dentro, porgendogli una lattina con la mano dietro la schie-
na. – Non che abbiano chissà cosa, da offrire.
- Mica lo sapevano, che venivamo a fargli visita, – disse Ryan.
Fece saltare la linguetta e ingollò una robusta sorsata di birra.
- Condimento da insalata, senape, latte, cetriolini sottaceto,
marmellata, senape – alla faccia della senape, diosanto – quattro
vasetti, e ketchup – due, tre – questi campano a senape e ketchup.
- Forse hanno dato una festa.
Nel pronunciare queste parole, nel togliersi dal vano della
porta per spostarsi nell’atrio, si rese conto di dove si trovavano, e
ne fu del tutto certo prima ancora di raggiungere l’atrio stesso e
scorgere la rampa di scale sulla destra e la flebile luce esterna che
entrava dalle due finestre sul ballatoio.
- Le cucine non sono un gran che, – disse Nancy. Gli era ar-
rivata alle spalle. – Mi piacciono di più le stanze da letto.
Buffo, trovarsi lì. Dapprima, il sapere dov’era finito gli pro-
vocò una sensazione di disagio, di restare all’erta, come se ci fosse
qualcosa di storto. Ma andava tutto bene. E quindi si trattava della
stessa casa. Poteva anche essere quella dopo, o un’altra ancora, tra
quelle affacciate sulla spiaggia; era pur sempre una casa. Finirci
dentro una seconda volta non voleva dire niente. Giusto? E Leon
Woody avrebbe commentato: «Giusto, amico, non significa pro-
prio niente. Entri nella stessa casa e manco te ne accorgi». Con
tono scherzoso, però. Mica faceva sul serio.
Salirono le scale reggendosi al corrimano, Ryan ancora per
primo. Arrivato in cima si fermò un istante, in ascolto, poi entrò
nella prima stanza sulla destra, la camera da letto dove lui e Billy
Ruiz avevano trovato i vestiti degli uomini. Quella stanza gli era
ormai familiare: la finestra che dava sulla veranda posteriore, il
cassettone, i letti gemelli, il comodino su cui aveva appoggiato il
sigaro. Gli tornò in mente che doveva aver finito per lasciarlo nel
portacenere, quel sigaro, e si insinuò tra i due letti per vedere se
per caso era ancora lì, non aspettandosi certo di trovarlo, ma pur
sempre curioso. Nancy andò dritta al cassettone e attaccò a fru-
garvi dentro.
Ryan si mise a sedere sul letto, sorseggiando la birra e osser-
vando la ragazza. Aveva aperto un cassetto, ne esplorava l’interno,
ed era già passata a chiuderlo e ad aprirne un secondo, infilando le
mani sotto gli indumenti e tastandone ben bene il contenuto. «Ve-
di, sta frugando dappertutto per accertarsi che non ci sia nascosto
qualcosa di valore». E Leon Woody avrebbe fatto: «Già, roba di
valore. Ehi, amico, non è che le hai detto che si fa prima a rove-
sciarli in terra, tutti quei cassetti, per arraffarla tutta quanta, quella
roba di valore?»
No che non gliel’aveva detto. Finì la birra e passò nell’attigua
stanza da letto, attraverso il bagno, lo stesso bagno che le donne
avevano usato quella domenica, e controllò il piano del cassettone
e l’intero contenuto del mobile. Dall’altra parte dell’atrio c’erano
altre due camere da letto. Guardò in entrambe, senza però trovare
nulla che valesse la pena, quanto meno non a duecentocinquanta
chilometri da Detroit, e senza una macchina a disposizione. Poi gli
venne in mente una cosa, e tornò nel bagno passando dalla se-
conda camera da letto, a frugare nell’armadietto dei medicinali. Il
Jade East era ancora lì. Se ne sfregò qualche goccia tra le mani e
poi sul mento, lo sguardo fisso nello specchio, senza però riuscire
a scorgere, in quel buio, nulla di più di un semplice riflesso.
Entrò nella stanza da letto in cui aveva lasciato Nancy, stanza
che adesso era immersa nel silenzio. Dapprima non la vide, la ra-
gazza, perché si era aspettato di trovarla accanto al cassettone o
all’armadio. Gettò un’occhiata verso la porta e, nello spostare lo
sguardo, scorse un movimento sopra il letto, dentro il letto, ecco
dov’era finita, sotto le lenzuola col copriletto tirato fin sotto il
mento. E lo stava guardando, aspettava di essere trovata, lo stava
guardando infilarsi nello spazio tra i due letti gemelli e sedersi su
quello vuoto.
- Io ci do un taglio, – disse lui. – Tu che stai facendo?
- Aspettavo te, – disse lei, sguardo assassino e capelli scuri sul
bianco della federa. – Indovina un po’ se sono ancora vestita.
- Vorrai scherzare.
- Indovina.
Allora lui cominciò ad annuire, con calma. – Non ti manca
certo il coraggio, o sbaglio?
- Risposta esatta, – disse Nancy. – Sai cos’è che hai vinto?
- Sta’ a sentire, so di posti migliori.
- Dove?
- La mia stanza.
- Naaa. Qui.
- Perché?
- Non credo che sia mai successo, prima.
- Ci credo, e ti dirò anche il perché, – fece Ryan.
- In casa d’altri, intendo, dopo che sei entrato di soppiatto. È
questo il nuovo gioco.
- Ho sentito dire che non è poi un gran che, sempre con
l’orecchio teso, a sentire se arriva qualcuno.
Nancy sorrise. – E non sarebbe carino? T’immagini che fac-
cia che fanno?
- Dimmi solo il perché, – fece Ryan. – Okay?
- Perché. Non sai dire altro. Sai una cosa, Jackie, sei davvero
una gran pizza. Pensavo tu fossi divertente, ma non so proprio…
- Spostati.
- Prima togliti i vestiti. È la regola.
- Scarpe?
- Tutto quanto.
Lui prese a sbottonarsi la camicia e a togliersela dai calzoni,
in piedi accanto al letto, adesso, e con gli occhi puntati su di lei.
- Ogni cosa, – disse Nancy.
- Un attimo -. Ryan si infilò accanto alla ragazza, le cui mani
erano ben salde sul copriletto ben teso sotto il mento.
- No, devi toglierti tutto.
Lui si fece più sotto, appoggiò le mani sul cuscino così che
lei fosse costretta a guardarlo negli occhi, in mezzo alle sue brac-
cia.
Lei fiutò l’aria. – Che è questo?
- Ti piace?
- Te ne sei messo troppo.
- Ti va di parlare o cosa?
- Ti ho detto la regola…
Lui le si fece ancora più addosso, una giusta angolazione a
favorire il perfetto incontro delle loro bocche, con lei che doveva
contorcersi appena, ed eccolo esitare d’un tratto, fermo, immobi-
le.
Con la bocca quasi sulla sua, lei disse: – Che c’è?
- Shhhh.
Non si mossero. La stanza, la casa, erano immerse nel silen-
zio.
- Non sento niente.
Ryan si tirò su, lentamente, togliendo le mani dal cuscino. Si
portò un dito alla bocca, nell’alzarsi, nel girare in silenzio attorno
al letto e dirigersi alla porta. In piedi, una mano sulla cornice della
porta, a sporgersi nell’atrio, a restare in ascolto. Poi le lanciò
un’occhiata, ed eccolo tornare a muoversi, chiudere la porta e gi-
rare la chiave, con cautela, accostarsi alla finestra per guardare
fuori, aprire la zanzariera e abbassarla sul tetto della veranda. Infi-
ne chinarsi per uscire dalla finestra, e lanciarle un’altra occhiata.
- Cos’è, li vuoi aspettare?
- Dove sono?
Con un gesto della mano, le indicò il pavimento. – Andiamo.
E uscì dalla finestra, raggiunse l’orlo del tetto e rimase per un
istante penzoloni, prima di lasciarsi andare. Era già nel campo a-
diacente al cortile, tra i cespugli, quando si voltò per vedere
Nancy che usciva a sua volta dalla finestra, completamente vestita.
Era lì che guardava di sotto, indecisa, e a Ryan venne da sorridere.
Attese, paziente, sicuro che sarebbe comunque saltata giù, visto
che non aveva altra scelta, e che ogni secondo, in quel frangente,
doveva sembrarle un minuto. La vide mettersi in ginocchio e tor-
nare a guardare di sotto, poi lasciarsi rotolare, piano, e far ciondo-
lare le gambe e il bacino nel vuoto. Ti bruceranno i piedi, pensò
Ryan, ma non c’è altro modo. La vide venir giù e ruzzolare e ri-
mettersi infine in piedi, per poi restare immobile.
- Ehi, – la chiamò a bassa voce, dal limitare dei cespugli, e at-
tese che lo raggiungesse. Poi la prese per un braccio e si fece stra-
da tra il macchione, verso la spiaggia, quasi di corsa, trascinando-
sela dietro. Nel raggiungere la leggera salita che appena sovrastava
la spiaggia, si voltò per acchiappare la ragazza e, grazie al peso e
alla velocità di lei, lanciarsi oltre il ciglio della duna, così che en-
trambi rotolarono giù nella sabbia aggrappati l’un l’altra, per fer-
marsi infine, con Ryan che in parte le giaceva sopra, una gamba
sopra le sue e il peso che gli poggiava sulle braccia, rimaste sotto
di lei. La sentiva respirargli addosso, nel tentativo di riprendere
fiato, il bel nasino e la bocca appena socchiusa quasi appiccicati al
suo viso, gli occhi chiusi. E attese infine che li riaprisse, poi attese
ancora un po’, la guardava, la sentiva rilassarsi.
- Ti sai vestire alla svelta.
L’espressione di lei era calma, ma lo sguardo era fisso sul suo,
speranzoso, intento a cogliere qualcosa nei suoi occhi o nel suo
tono di voce.
- Non hai mica sentito nessuno, – disse infine. – Non hai
sentito un bel nulla.
- Restiamocene in silenzio, giusto per un po’, – disse Ryan. –
Okay?
- Se dobbiamo proprio starcene zitti, – disse Nancy, – allora
preferisco un altro posto.
- La sabbia non ti piace?
- Non mi fa impazzire, la vita all’aria aperta, Jackie. Tanto va-
le che tu lo sappia.
- Non so se riesco a muovermi.
- Prova.

In certe occasioni, Ryan amava guardarsi dall’esterno, a volte


quando era da solo come ad esempio nel ritrovarsi due metri fuori
dalla terza base, il cappellino alla giusta inclinazione, o nel cammi-
nare lungo la spiaggia o nel guidare una macchina – ma di solito
gli capitava quand’era in compagnia di certa gente. Con il signor
Majestyk no. Ma con Nancy quasi sempre; si vedeva e si ascoltava
con un certo distacco e il più delle volte finiva per trovarsi un po’
tonto. Grande, grosso e tontolone, sempre a sparare fesserie per
fare impressione su quella ragazza. Non riusciva a entrare nel giu-
sto stato d’animo per sentirsi sicuro di sé. Fingere, sì, certo; com-
portarsi dà gran piacione; ma si sentiva sempre addosso lo sguar-
do di lei, che ancora molto impressionata non era, e forse se la
rideva, di lui. Insomma, mai che si sentisse padrone di se stesso
per più di un istante. Che lei, invece, fosse del tutto a suo agio era
abbastanza evidente. Eppure, mettiamo che anche lei stesse reci-
tando la commedia. Che anche lei, nell’intimo, fosse tutta un’altra
persona, così come gli aveva descritto sua madre, ovvero una che
stava ben nascosta dentro una sorta di corazza, a sbirciare
dall’interno. E sì, magari anche lei fingeva. Faceva la disinvolta,
proprio come lui, ed entrambi facevano a gara a chi era più disin-
volto dell’altro, anche se a forza di fare i disinvolti, si era convinto
Ryan, si sarebbero ritrovati a non muovere più neanche un dito,
tanta era la paura di combinare la più piccola stupidaggine. Di che
sapeva, fare tanto i disinvolti, se non era questa la tua vera natura?
Qualunque fosse, beninteso, questa natura.
Era seduto al volante, consapevole del suo atteggiamento
spontaneo, senza dirle dov’è che stavano andando e, infine, senza
avere più bisogno di dirglielo (visto che avevano appena superato
la grossa insegna luminosa e azzurrata del Bay Vista, con la picco-
la dicitura completo a brillare giù in fondo.
- Adesso ti faccio vedere dove abito.
Uscì dalla macchina, e assieme girarono attorno al motel per
raggiungere la sua stanza.
- Wow, – disse Nancy. Guardava in direzione della piscina, e
dell’area recintata tra le cabanas, che si stendeva fino alla spiaggia.
- Che c’è?
- Sono tutti quanti attorno alla piscina, – disse lei.
- Operai e metalmeccanici nei loro completini delle vacanze.
- Alcuni se ne scendono pure in spiaggia.
- Sai che spasso. Come in un villaggio vacanze sul Mar Nero.
Aprì la porta della numero 7. Lei varcò appena la soglia e si
guardò attorno. Ryan dovette spostarla, per chiudere la porta. Poi
rimase a guardare, assieme a lei.
- Sì, è proprio carino.
- A me basta e avanza, – disse Ryan. – Il letto è comodo. Le
pareti andrebbero imbiancate. Ma non credo che starò a perderci
del tempo.
- Appendici un po’ di quadri.
- Certo, come no. Un po’ di quadri. Proprio sopra le scrosta-
ture.
- Sai di quelle vecchie stampe antiche, le vendono nei nego-
zietti da due lire.
- Le hanno anche qui?
- Cristo, ne saresti davvero capace.
- Be’, per coprire i punti più brutti.
- Che altro vuoi farmi vedere?
- Basta così. Volevo solo mostrarti dove abito.
- Fantastico, – disse Nancy. Si girò verso la porta.
- Potremmo anche metterci a sedere, – disse Ryan.
- O sdraiarci un po’.
Ryan sorrise.
- Prima fammi vedere il resto.
Fuori, di nuovo, lei tornò a guardare in direzione della pisci-
na e degli alberi e delle luci che erano apparse nelle finestre delle
cabanas.
- Si salta come grilli in questo posto, no?
- È pieno di famiglie. Con bambini.
- Oh, – disse Nancy. – Con bambini. Sai che spasso.
Si avviò alla piscina, Ryan dietro. Si fermò sul bordo e guar-
dò giù in acqua. A qualche passo di distanza, Ryan la teneva
d’occhio. «Ma schiantale un calcio in culo», pensava, «e vatti a fare
una birra».
E a cosa sarebbe servito?
Be’, magari proprio a un bel niente, ma era un pensiero come
un altro. Adesso, dalla numero 11, sentiva dei rumori, i bevitori di
birra, la loro muraglia di lattine che brillava flebile nell’oscurità. Si
guardò attorno. C’era una luce, nella numero 5, dietro le tende
tirate. La numero 5, quella della tipa e della finestra. O di chissà
che inghippo che stava mettendo su. Certo, poteva andarci anche
subito e bussarle alla porta e dire: «Tesoro, la diamo adesso,
un’occhiatina alla finestra,» beccandola alla sprovvista, e a lei ma-
gari sarebbe scappato detto: «Che finestra?»
- Mi spiace, – disse Nancy.
Gli era arrivata alle spalle, adesso se n’era accorto, e riusciva a
immaginarsela, che aspettava che lui si voltasse, piccola carina ra-
gazza dai capelli scuri in paziente attesa, che gli gettava quieta la
sua esca e lo prendeva di nuovo in contropiede, come un cazzo di
passo doppio.
- Di cosa, ti spiace? – Nel dirlo, fece un mezzo giro su se
stesso.
- Non lo so. Ma sento che ce l’hai con me.
- Non ce l’ho con te.
- E ‘solo che non mi andava, di starmene là dentro.
- Be’, in effetti l’hai appena detto, che non sopporti la vita
all’aria aperta.
- Ho solo detto che non mi fa impazzire -. Si spostò appena
di lato, per mettersi proprio di fronte a lui. – Più tardi, mi verrà
voglia. Va bene?
- Mi fa molto piacere.
- Non prendertela con me. Dai, facciamo qualcosa.
- Già, ma certo, sta’ sicura che se fai saltare qualche finestra,
qua attorno, posso dirti subito a chi è che tocca ripararla.
- Così va meglio -. Gli stava sorridendo. – No. Diamo
un’occhiata qua attorno.
- Alle famigliole sceme e ai loro bambinetti scemi?
Lei si alzò sulle punte dei piedi, gli prese il volto tra le mani,
gli si allungò contro e lo costrinse ad abbassare la testa; poi lo ba-
ciò sulla bocca, leggera, dolce, muovendosi appena un po’ ma, in
sostanza, restandosene immobile, premendo più forte solo nel
momento in cui Ryan la cinse con le braccia e le allargò le mani
sulla schiena.
Poi lo prese per mano. – Forza, fammi vedere il Bay Vista.
Adesso si erano incamminati verso la spiaggia, mano nella
mano, Ryan già in fase di osservazione, sia di lei sia di se stesso,
contento che fosse già buio.
- È tutto qui, quattordici cabanas…
- Cabanas?
- Così le chiama, lui. E il motel.
- Lui chi?
- Il signor Majestyk.
- Quello che era assieme a te al Pier?
- Proprio lui.
- E dove abita?
- Ha una casa dietro la numero 1.
- Fa’ vedere.

- E’ una casa come un’altra.


Dal tronco di un abete, un raggio di luce partiva a illuminare
a giorno il giardino del signor Majestyk, le siepi ben potate e le
aiuole contornate da sassi dipinti di bianco, i fusti lisci e slavati
delle betulle, la coppia di fenicotteri alla mangiatoia dietro la volie-
ra.
- Ma che bello, – sussurrò Nancy. Stavano attraversando il
prato, nell’oscurità, alle spalle del faretto.
- È in casa, – disse. – E magari sta guardando la tv.
- Non ho dubbi, – disse Nancy. – Mi piace un sacco, quella
lampada alla finestra.
- È stata sua figlia, ad arredargli la casa.
- Voglio vederla.
Si stavano avvicinando al termine del prato. Nancy si diresse
senza esitare verso la casa, sul lato più in ombra, quello che fron-
teggiava il lotto di terreno abbandonato. C’era una finestra aperta,
che dalla zanzariera lasciava scorgere un riquadro di luce sfumata
di rosa.
Ryan la prese per il braccio. – La porta è dall’altra parte.
- Guarda che mica voglio entrare.
Si liberò dalla sua stretta e a lui non restò altro da fare che
seguirla alla finestra. Le rimase accanto, addossato alla parete,
mentre lei sbirciava all’interno.
Il signor Majestyk era seduto nella sua poltrona reclinabile, di
fronte alla tv. Guardava, concentrato, un film western, munito di
sigaro e lattina di birra. Ogni tanto si sporgeva in avanti a conce-
dersi un sorso di birra, gli occhi fissi sullo schermo, e lo schienale
della Re- cline- O- Rama gli andava dietro, seguendolo fino in po-
sizione eretta. Poi, con una boccata al sigaro, si gettava di nuovo
all’indietro, spingendo e rimbalzando con violenza contro lo
schienale, ed entrambi – il signor Majestyk e la poltrona – torna-
vano nella posizione iniziale.
- Wow, – disse Nancy.
Ryan riusciva a sentire il dialogo del film, una voce a lui fami-
liare, bassa, un accento del West, poi una voce femminile. Rico-
nobbe quella cantilena; seppe all’istante di chi si trattava. Si acco-
stò alla finestra e guardò dentro, dall’altra parte della stanza, fino a
scorgere Randolph Scott col suo bel cappello, imbarcato al punto
giusto. Della donna, non si ricordava il nome, non era brutta, no,
ma aveva una certa età. Dalla voce sembrava stanca, come se or-
mai si fosse arresa, e diceva che di ciò che le poteva accadere non
le interessava più niente. E Randolph Scott, allora: «Quando avrai
finito di compiangerti, ti dirò una cosa… tu sei viva, e lui è morto,
e la differenza è tutta qui».
- Mi piacciono un sacco, il porpora e l’argento, – bisbigliò
Nancy. – E il color lavanda.
L’aveva già visto, quel film. Adesso se lo ricordava, non era
affatto male8. Richard Boone era il cattivo. Lui e un paio di suoi
complici assaltano la diligenza e prendono prigionieri Randolph e
la donna e il marito di lei, con l’idea di chiedere un riscatto perché
il padre della donna è un riccastro. Il marito è un codardo e finisce
sparato, e si capisce subito che anche Randolph e la donna faran-
no la stessa fine, una volta pagato il riscatto, a meno che Ran-
dolph non s’inventi qualcosa.
- I quadri, – disse Nancy. – Sono proprio quelle, le autentiche
riproduzioni da negozietto che ti dicevo prima.
- Shhh.
- Con le cornici bianche, falso antico. Splendido.
Il signor Majestyk e la sua poltrona scattarono in su.
L’uomo girò su se stesso per guardarsi alle spalle, in ascolto,
e Ryan e Nancy dovettero schizzar via dalla finestra.
Cadde il silenzio. Ryan era in piedi, al buio, le spalle contro il
muro. Sentiva il rumore dei cavalli, dall’interno, il rumore di zoc-
coli che si allontanavano. Non c’era musica né parlato, in quel
momento. Stava per succedere qualcosa. Forse erano al punto in
cui Randolph si avventura nella cava dietro al tipo di nome Billy
Jack – quello era un passaggio interessante -, il tipo che cercava di
insidiare la donna mentre i suoi compari erano via. Randolph arri-
va di soppiatto alle spalle di Billy Jack e sta per suonargliene di
santa ragione, quand’ecco che Billy Jack si volta e uno cos’è che
pensa, in quel momento? Vai, adesso c’è una bella scazzottata, e
invece no, Randolph riesce a ficcare il canne mozze proprio sotto
il mento di Billy Jack e wham, la faccia di quel tipo svanisce
all’istante, proprio come succede nella vita vera, senza nessuna di
quelle scazzottate fasulle.
Nancy si era riaffacciata alla finestra. – Bellissimo, – sussur-
rava ridacchiando.
- Filiamocela, – disse Ryan.
- Un attimo ancora.
- Finirà per sentirti.
Wham, disse il canne mozze, e Ryan guardò dentro. E sì, era
proprio quello il punto. Randolph aveva lui il canne mozze, ades-
so, e la pupa si teneva le mani sulla bocca, forse se l’era già fatta
addosso.
- Cristo, ma secondo te dove li compra, quei mobili?
- Forza, andiamo.
- Vanno per forza visti, altrimenti è da non crederci. La lam-
pada accanto alla finestra…
- Ti muovi o no?

8
Si tratta di The Tall T (I tre T, 1957), eccellente western diretto da
Budd Boetticher, su un soggetto di… Elmore Leonard! Il personag-
gio femminile è interpretato da Maureen O’Sullivan [N d T]
- …ancora col cellophan sul paralume. Ehi, la sai quella,
com’è che dice, ah sì, lo sai chi ha vinto il concorso di bellezza tra
le polacche?
Ryan scosse il capo, fingendo pazienza e sopportazione, la-
sciandola parlare.
- Nessuna, – disse Nancy, e scoppiò a ridere, e il signor Ma-
jestyk si girò ancora una volta sulla poltrona per poi schiodarsene,
proprio mentre lo schienale scattava in avanti. Poi fece per avviar-
si alla finestra, ma si voltò di scatto e attraversò di corsa la stanza
per imboccare la doppia porta della veranda.
- Adesso arriva, – disse Ryan. Dall’altra parte della casa si udì
sbattere la porta a zanzariera.
Nancy aveva ripreso a guardare dalla finestra. – Hai ragione.
È tempo di svignarsela.
- Aspetta un attimo.
Prima che riuscisse a fermarla, la ragazza aveva già attraversa-
to la stretta striscia di prato e si era infilata nel campo, nel fitto e
buio macchione, ormai invisibile. Per un istante riuscì a seguirne il
rumore. Voleva togliersi di lì alla svelta, andarle dietro. Ma indu-
giò. Rimase in attesa. Quando infine si decise a muoversi, fu per
girare sul davanti della casa. Il signor Majestyk stava attraversando
il giardino illuminato a giorno, e si era già lasciato alle spalle i due
fenicotteri di plastica.
- Ehi, ma eri tu?
- Cosa?
- C’era qualcuno che rideva.
- Che vuol dire?
- Che c’era qualcuno che rideva. Che ti pensi, scusa?
- Forse qualcuno sulla spiaggia.
- Cristo, ma se veniva proprio da dietro la finestra.
- Non so che dire. Io non ho sentito nulla.
Il signor Majestyk lo stava guardando fisso. – Hai fatto il giro
proprio da quella parte, e dici che non hai sentito nulla?
- Facevo quattro passi.
- E quando cammini, non senti più nulla?
- Guardi che non ho davvero sentito un bel nulla. Quante
volte glielo devo dire?
- Non hai visto ragazze? Sembrava proprio una risata di
donna.
- Né ragazze, né chiunque altro.
- Boh, – disse il signor Majestyk. – Allora sarò io. Allora do-
vrò farmi controllare queste cazzo d’orecchie -. La cosa parve fi-
nire qui. Il signor Majestyk tacque, fece per voltarsi e rientrare in
casa. Poi tornò a guardare Ryan. – Ehi, ti andrebbe di vedere un
bel film?
- L’ho già visto, – disse Ryan.
Non appena si rese conto di quel che aveva detto, e vide il si-
gnor Majestyk aggrottare la fronte, ebbe l’impulso di continuare a
parlare, ma non c’era proprio niente da dire, e tra i due cadde su-
bito un certo quale silenzio.
- Come fai a sapere che l’hai già visto?
- Passavo di qui, ho sentito la tv. Mi è venuto in mente, sa
com’è, mi sembrava familiare. Ricordavo le battute. È un western,
no? Randolph Scott?
- Riesci a sentire la tv da dentro una casa, – disse il signor
Majestyk, – ma non riesci a sentire qualcuno di fuori che ride,
proprio vicino a dove stai passando tu?
- Non ho sentito nessuno. Vuole che glielo metta per iscritto
e glielo firmi, per l’amor del cielo?
- Datti una calmata.
- Col cazzo, che mi do una calmata. Mi vuol credere o no?
- Lascia perdere.
- Non lascio perdere, mi sta dando del bugiardo e non mi sta
bene.
- Ehi, andiamo, non ti ho proprio dato di niente.
Ryan gli si piazzò davanti. – Mi vuol credere o no?
- Okay, ti credo, – disse il signor Majestyk. – Vuoi che te lo
metta per iscritto e te lo firmi?
- Lasci perdere, – disse Ryan. Uscì dal cono di luce e s’infilò
nelle tenebre.

Se Jackie non l’aveva seguita a piedi dalla parte della spiaggia,


concluse Nancy, allora doveva per forza aver preso la macchina,
cercando in tutti i modi di arrivare prima di lei per poi abbordarla
con qualche battutina furba tipo: «Ma dov’eri finita?». E da lì in
avanti l’obiettivo di tutte le sue mosse sarebbe stata la camera da
letto. Ti pareva. Se una ragazza ti chiedeva di darle una mano a
rubare cinquantamila dollari, non si sarebbe certo rifiutata di fini-
re a letto con te, per l’amor di dio. Figuriamoci se anche Ryan non
la pensava così, e d’altra parte ne aveva anche tutte le ragioni. Tut-
to questo, per Nancy, non era che una parte del suo piano,
l’interludio romantico della Grande Rapina alle Paghe dei Cetrioli.
Oppure, Nancy & Jack sulla Riva del Mare. Anche se a dirla tutta
era solo un lago. Oppure, ancora, Due Complici Che Cercano Di
Farla Franca. E ci sarebbero riusciti, Nancy ne era quasi certa, an-
che se in caso di complicazioni la patata bollente sarebbe rimasta
in mano a Ryan, e lei avrebbe persino negato di conoscerlo. Que-
sta parte, se mai fosse capitata, si sarebbe chiamata Cazzi Amari,
Bello Mio. Oppure, Non È Sempre Caviale.
Però sarebbe stato un gran peccato, perché Jack Ryan le pia-
ceva. D’aspetto, certo. Le piacevano il suo viso e i suoi occhi, la
sua agilità di uomo asciutto, abbronzato. E come se ne stava con
le mani sui fianchi, un po’ fasullo ma non troppo, poi. E il suo
modo di parlare sottovoce, e un certo suo spirito ironico. Peccato,
davvero, che Jack non fosse al posto di Ray. Se invece di Ray Ri-
tchie ci fosse stato Jack Ryan, l’intera situazione avrebbe preso
tutta un’altra piega. Non certo da farle valutare la possibilità di
restare per sempre con Ryan, su questo avrebbe dovuto rifletterci
bene più avanti; ma intanto se la sarebbe spassata parecchio di
più. Era davvero un peccato, che Jack non fosse Ray. E un pecca-
to che tutti i Ryan e i Ritchie di questo mondo non si potessero
scambiare di posto.
Appena arrivata a casa, avrebbe acceso una lampada e anche
il giradischi, per poi osservare Jackie che arrivava al sodo. Come
sua abitudine, certo sarebbe rimasto in silenzio, misurato nelle sue
mosse, ma senza tirarla tanto per le lunghe. Forse, prima, sarebbe
stato il caso di farsi una bella nuotata, lui e lei, senza niente addos-
so: per capire, una volta per tutte, quanto fosse sicuro di sé.
Nancy risali la scalinata che portava al prato antistante la ca-
sa. La piscina aveva un aspetto così sensuale, con le luci sommer-
se che coloravano l’acqua di verde. A esserne certa, che lui era già
lì a guardare, avrebbe potuto offrirgli un piccolo antipasto, prima
del piatto principale. Il soggiorno era immerso nell’oscurità. Chia-
ro, altrimenti come poteva starsene seduto sul divano, al buio, con
una buona visuale del prato e della piscina, a ripassare mental-
mente la sua battuta a effetto? Poteva già essere lì a guardarla.
E la stava guardando; lo sentiva, senza alcun dubbio.
Nancy si spostò sul bordo della piscina. Si tolse le scarpe da
tennis e affondò un piede in acqua. Si sfilò il maglioncino e scrol-
lò i capelli. Si sbottonò la camicetta e di nuovo saggiò l’acqua con
il piede, senza fretta. A questo punto lui doveva già essere mezzo
fuori del divano. E nel vedere che, sotto il maglioncino, di reggi-
seno non c’era traccia, sarebbe partito per la tangente. Okay, Ja-
ckie, pensò Nancy, datti una mossa. Si sbottonò i calzoncini e li
fece calare sui fianchi nudi. Un piccolo assaggio, pensò ancora. Si
girò lentamente verso la casa, le mani sui fianchi. Poi, con la stessa
calma, ruotò su se stessa e si gettò in acqua.
Fece tutta la piscina a nuoto, sott’acqua, risalì a prendere fia-
to, tornò sotto, avanzò lungo il bordo vasca. Poi, circa a metà pi-
scina, tornò di nuovo in superficie per raggiungere con lente, co-
mode bracciate il punto più profondo. Cambiò direzione e nuotò
placida in direzione del trampolino. Solo allora vide una figura che
usciva dalla casa, dalle fitte ombre del patio. Nancy scese a fondo,
dandogli tutto il tempo di raggiungere il bordo della piscina, e nel
risalire – fendendo appena il pelo dell’acqua – vide il cartone di
birra che lui si era portato dietro, e si chiese come mai avesse con
sé un intero cartone di birra, e capì nello stesso preciso istante che
quello non era Jack Ryan, che era un tale mai visto né conosciuto,
una sagoma scura che si stagliava adesso contro l’oscurità, con le
luci della piscina che si riflettevano sugli occhiali da sole.
- Ehi, esci di lì, – ridacchiò Frank Pizarro. – Ho una cosa per
te.
Nancy lo squadrò ben bene, una mano sul bordo della vasca.
– Fuori di qui, – disse.
- Ascolta, niente strilli o urli o roba simile, va bene?
- Il signor Ritchie ha delle guardie private che girano da que-
ste parti, e mi sa che è quasi il momento…
- Vengono a vederti nuotare, eh? Cazzo, – disse Pizarro. –
Dagli pure torto.
- Mi dica cosa vuole, – disse Nancy, – e poi se ne vada.
- Ho da venderti una cosa.
- Questa è violazione di proprietà, – disse Nancy. – Lei sta
solo perdendo tempo, e lo fa perdere a me, e se la ritrovo ancora
qua all’arrivo della polizia finisce che si mette in guai davvero seri.
Tutto questo è sufficiente per farla arrestare e sbattere in galera
senza tante domande.
Paziente, Pizarro attese che avesse finito. – Portafogli, – dis-
se.
- Cosa?
- Portafogli. Ho dei portafogli che ti vendo per cinquecento
dollari.
Nancy esitò. Poteva essere strafatto di chissà cosa, oppure un
mezzo matto. – Non ho bisogno di portafogli, – disse tranquilla. –
Se ne vuole andare, per cortesia?
Pizarro fece spallucce. – E va bene. Non li vuoi, questi por-
tafogli, allora li porto a quella cazzo di polizia -. Spostò il cartone
della birra proprio sul bordo e vi si inginocchiò sopra, sporgendo-
si verso di lei. – Questi portafogli vengono da un posto che è sta-
to svaligiato. Capito?
Lei si era ormai convinta che era inutile cercare di capire cosa
diceva quel tipo; ma non sapeva ancora quale fosse la minaccia
più efficace per costringerlo ad andarsene. – Certo, – disse, – che
dovrebbe portarli alla polizia. Gliene sarebbero molto grati.
- Sicuro, – disse Pizarro. – Posso anche dirgli chi è stato a
rubarli. Oppure lasciare questo cartone da qualche parte e farglie-
lo trovare, alla polizia. Col nome del ladro scritto dentro -. Pizarro
la guardò. – Non so se mi spiego.
- Io so solo che da un momento all’altro arriverà la sorve-
glianza.
- Ehi, – disse Pizarro. – Basta con queste stronzate sulla sor-
veglianza, va bene? Sono tre ore che sto qui e di questa sorve-
glianza che dici non ho visto arrivare nessuno -. Poi ridacchiò, nel
tentativo di scorgerla meglio attraverso il riflesso dell’acqua. – E-
sci fuori di lì, va bene? Devo raccontarti una cosa.
12

Perché il ferretto del reggiseno doveva proprio farle così ma-


le, pensò Virginia Murray. Eppure quel costume azzurro pallido le
piaceva così tanto. Era proprio carino, con quei bottoncini bianchi
sul davanti: insomma, le stava proprio bene. Ma era così scomodo,
per la miseria. Il bordo del reggiseno, che le girava sotto il braccio
destro, stringeva un sacco e le lasciava un segno profondo (la pri-
ma volta che se n’era accorta, il primo giorno di vacanza, si era
presa un bello spaghetto, perché a toccarlo con le dita, le era par-
so di avere un nodulo al seno). Il guaio era che l’unico altro co-
stume da bagno che aveva in valigia era quello giallo e verde, e
messo assieme alla gonna la faceva sembrare una vera hippy.
Aveva già fatto colazione. Aveva scritto ai suoi. «Non posso
credere che siamo già a giovedì, che è quasi l’ora di tornare a casa.
Queste due settimane sono passate in un lampo. Penso di partire
sabato mattina attorno alle dieci (senza fretta) e di essere a casa
prima delle due. Mi siete mancati davvero tanto».
Si era pettinata, infilata il costume azzurro pallido e pettinata
di nuovo. Si era accomodata sul divano letto per osservare l’inizio
delle attività mattutine e aveva sfogliato il nuovo «Cosmopolitan»
che, già lo sospettava, da qualche tempo la stava buttando decisa-
mente sul sexy.
E rimase sorpresa, Virginia, quando fu il signor Majestyk a
presentarsi a ripulire la piscina, al posto di Jack Ryan. Era la prima
volta, quella settimana, che Ryan non era apparso tra le nove e un
quarto e le nove e venti con la sua pertica in alluminio.
Di sicuro stava facendo qualcos’altro. Tipo rastrellare la
spiaggia.
Poteva andarci anche lei, ma in questo caso avrebbe dovuto
restarci almeno un po’, e sdraiarsi sulla sabbia non le piaceva, ne-
anche su un telo da spiaggia. Faceva troppo caldo, e sarebbe mor-
ta di sudore. Strana questa cosa, comunque, quest’immagine che le
era venuta in mente di lei e Jack Ryan sulla spiaggia. Strana, sì,
perché di solito s’immaginava di restarci da sola, con lui. Tardo
pomeriggio, lei sdraiata sulla schiena a occhi chiusi e nascosti dagli
occhiali da sole, bella abbronzata, le spalline del costume azzurro
pallido slacciate. E la sensazione che fosse arrivato qualcuno, e
aprire gli occhi per vedere Jack Ryan, in piedi proprio sopra di lei.
E guardarlo, tranquilla, percorrere con gli occhi le curve muscolo-
se del suo petto nudo. «Ti spiace se ti faccio compagnia?» E ri-
spondergli: «Ma ti pare». E lui che si inginocchiava e lei che si
metteva seduta e si reggeva il davanti del costume. E mentre par-
lavano del più e del meno avere l’impressione che lui volesse pro-
prio dirle qualcosa. E dopo un po’, una bella nuotata nel lago Hu-
ron, lui e lei; cinque, seicento metri al largo, per poi riposarsi un
attimo e tornare indietro.
Infine, saltare sulla macchina di lei e recarsi a un ristorante
sulla spiaggia con vista sul mare, e prendere trota alla griglia e vi-
no bianco e starsene a guardare il tramonto. E, al ritorno, lui che
cercava il modo di dirglielo. Un po’ a disagio, certo, perché non
aveva mai provato a esprimere i suoi sentimenti. Mai incontrata,
una come lei. Le ragazze di sua conoscenza erano tutte a caccia
anche della minima occasione. Ma lei era diversa. Era, diciamo,
garbata. Carina. No, non soltanto carina, molto di più. Lo faceva
sentire bene, ecco. E Virginia a sorridere, mica per prenderlo in
giro, no, sorridere con calore. «È proprio gentile da parte tua, ma
guarda che io sono soltanto una normalissima ragazza della porta
accanto, non è che ho chissà che talento o desiderio speciale». E
lui: «Allora cosa sarà mai?» E lei: «Be’, forse il segreto è che riesco
a vedere il lato buono delle persone, insomma quella sorta di bon-
tà, di dono divino che tutti possono scoprire in se stessi». E poi,
con un sorriso malinconico: «Se solo avessero la voglia di guarda-
re».
Non era ancora sicura di cosa sarebbe successo poi.
Ma di una cosa era sicura, maledetta la miseria (nel cercare di
allentare il reggiseno che la segava sotto il braccio); andare subito
a togliersi il costume azzurro pallido e infilarsi quello verde e gial-
lo e starsene bella comoda, una volta tanto, anche se la faceva
sembrare una hippy.
Andò in bagno. Il costume verde e giallo pendeva da uno dei
due ganci appendiabiti, proprio accanto all’accappatoio di spugna,
sulla porta che dava all’esterno. Quella porta era un’ottima idea.
Consentiva di entrare in bagno direttamente da fuori, senza biso-
gno di riempire di sabbia il resto della casa; certo, bisognava sem-
pre stare attenti che fosse chiusa a chiave.
Virginia si sfilò il costume azzurro pallido. Si girò verso la
porta e si vide per un istante riflessa nello specchio
dell’armadietto dei medicinali. Raccolse il costume, sempre sbir-
ciando nello specchio. Stava per prendere quello verde e giallo,
nuda e con il costume azzurro in mano, quando bussarono alla
porta, parecchi colpi in rapida successione, a poco più di mezzo
metro di distanza.

Ryan arrivò a Geneva Beach giusto in tempo per colazione.


Dopo aver piantato in asso il signor Majestyk, la sera prima,
se n’era tornato in camera sua ad aspettare Nancy. La macchina
era ancora lì, e non riusciva a immaginarsi la ragazza che se ne
tornava a casa a piedi- così si era sdraiato sul letto, nell’attesa, e si
era messo a leggere un articolo di «True» su un tipo di Norwich,
Inghilterra, che aveva preso all’amo, sfidato, tirato su e infine ri-
buttato in acqua più di un paio di migliaia di lucci nell’arco di
quindici anni. Quando infine si era convinto che Nancy non sa-
rebbe più venuta, pensò di prendere la macchina e andarci lui, a
casa sua. Ma se il signor Majestyk ronzava ancora da quelle parti,
l’avrebbe di sicuro visto o sentito partire, e capito subito dove sta-
va andando, visto che sapeva di chi era la macchina. E non ci a-
vrebbe messo niente a fare due più due e convincersi che era pro-
prio Nancy, la ragazza che gli era scoppiata a ridere sotto la fine-
stra. Magari erano tutte seghe mentali. Però non vedeva il bisogno
di mettergli, a quel tipo, un ulteriore tarlo nel cervello. Già par-
cheggiare la Mustang davanti al Bay Vista non era stata una mossa
tanto brillante. Avrebbe potuto farne a meno, adesso, e andarci a
piedi, da Nancy, anche se l’indomani l’avrebbe vista da mattina a
sera. C’era un articolo niente male, su «True», su come Early
Wynn spediva al tappeto i battitori e una volta, addirittura, aveva
mandato a gambe all’aria anche suo figlio, quando il ragazzo gli
aveva fatto volare una palla sopra la testa, in allenamento. Se lo
lesse tutto e piombò nel sonno.
Da Estellès ordinò uova poco cotte, un salsicciotto e un bic-
chiere di latte, poi si fece un caffè mentre dava un’occhiata alla
pagina sportiva del «Free Press». Quella sera i Tigers giocavano in
trasferta, a Washington, e il giorno dopo a Boston, le partite ini-
ziali di piccolo torneo di cinque incontri. Di quella stagione non
ne aveva ancora visto uno, di incontri. Appena qualche inning alla
televisione.
Forse potevano guardarsi l’incontro di quella sera, ammesso
che lo passassero in tv. Non riusciva a immaginarsi Nancy che
guardava il baseball alla televisione; forse, comunque, non avrebbe
avuto da ridire se lo guardava lui.
Il programma odierno consisteva nel fare un salto al capanno
di caccia di Ray, controllare la situazione e poi, in tarda serata, in-
stallarsi là dentro e preparare ogni cosa per venerdì notte. A ispe-
zionare il posto, non gli ci sarebbe voluto molto. Poi avrebbero
potuto passare la giornata da Nancy. Lui, portare la birra e il vino
che le piaceva tanto, oltre a un paio di bistecche, e trascorrere un
tranquillo pomeriggio domestico. Era ancora troppo presto per
passarla a prendere. Probabile che dormisse fino a tardi.
Di ritorno al Bay Vista, dopo colazione, Ryan non aveva an-
cora deciso cosa fare. Non voleva mettersi a girellare a vuoto e
rischiare di intoppare nel signor Majestyk, e non voleva nemmeno
starsene in camera sua a leggere. Chissà perché, gli venne in men-
te la tipa della numero 5, quella con la famosa finestra bloccata.

Virginia Murray non si mosse. Anche se avrebbe voluto. A-


vrebbe voluto togliersi da lì, oppure arraffare l’accappatoio di
spugna e infilarselo senza nemmeno sfiorare la porta. E se invece
faceva un qualche rumore? Le sarebbe toccato inventarsi subito
qualcosa, tipo: «Solo un istante». Oppure «Chi è là?» Allora sì che
avrebbe potuto muoversi a piacimento. Ma ormai era troppo tar-
di.
Ricominciarono i colpi, con una certa qual sconcertante e-
nergia, e Virginia vide il bordo della porta che vibrava. Poi più
nulla. Al prolungarsi del silenzio, Virginia iniziò a rilassarsi. Che
sciocchezza. Bastava aspettare che, chiunque fosse, si togliesse dai
piedi. Mica sarebbe rimasto lì per sempre. Ma nel vedere il pomel-
lo che girava a piccoli scatti sobbalzò di paura, e quella che udì era
la sua stessa voce, prima di rendersi conto che si era messa a stril-
lare.
- Che cosa vuole?
Un attimo di esitazione. – Vengo a riaggiustarle la finestra.
Doveva dire qualcosa. – Non può tornare più tardi?
- È il mio giorno libero. Ho pochissimo tempo.
- Solo un istante, per favore.
Virginia si infilò l’accappatoio di spugna, cercando di fare in
fretta ma di mantenere la calma. Si annodò in vita la cintura e si
guardò allo specchio, nel tentativo di accostare il più possibile i
risvolti; ma non appena tirò via le mani, quelli tornarono ad allar-
garsi. Schizzò in camera da letto e si tolse l’accappatoio, cosa della
quale si pentì subito: lei nuda e lui fuori ad aspettare. Se ci metteva
troppo, lui avrebbe capito subito di averla beccata in bagno senza
vestiti. Doveva sbrigarsi. Doveva pensare (Madre di Dio, aiuta-
mi!). Doveva mettersi qualcosa addosso. Infilò una mano
nell’armadio. Tolse un abito dalla gruccia, una cosuccia azzurro
chiaro, quasi una sottoveste. Mio Dio, com’era trasparente. Ma le
toccava indossarlo comunque, perché ce l’aveva già in mano, per-
ché la lampo era già abbassata, e ci aveva già infilato le gambe e
stava già tirando su la lampo, quasi fino in cima, lisciandosi il tes-
suto sui fianchi e sbirciandosi allo specchio. Rimase stupefatta.
Stava proprio bene: aveva anche un’aria tranquilla.
Fu solo quando aprì la porta che si accorse di essere scalza.
- Non era lei ad avere una finestra bloccata?
- Sì. Entri, prego -. Virginia esitò. – Nella camera da letto.
Ryan aveva con sé la borsa degli attrezzi. Nel chiudersi la
porta alle spalle, vide il costume azzurro pallido che giaceva sul
pavimento. Vide anche che la ragazza era senza scarpe ma col ve-
stito, e ci dovette pensare un po’ su, mentre lei gli faceva strada in
camera da letto. La vide chinarsi di scatto per raccogliere qualcosa,
accanto al letto, e vide come il vestito le si tendeva, ben stretto ma
morbido, sul didietro; e bello liscio sulla schiena, senza quella pic-
cola sporgenza provocata dal fermaglio del reggiseno. Quando
Virginia alzò la cortina della finestra, e si ritrovò addosso la luce
del mattino, Ryan fu assolutamente certo che non avesse niente
sotto.
Posò la borsa degli attrezzi sul pavimento. – Mi faccia dare
un’occhiata.
Virginia si era messa a cercare di tirar su la finestra, nel tenta-
tivo di fargli vedere che non si apriva. Alle sue spalle, Ryan allun-
gò la mano per provare a sua volta. Lei tolse di scatto il suo, di
braccio, finendo per sbattere la mano sul davanzale, e gli indu-
menti che teneva in quella mano finirono in un mucchietto bianco
– sul pavimento. Ryan abbassò lo sguardo e vide che un paio di
mutandine gli erano andate a finire sulla scarpa.
così alzò gli occhi a guardare la ragazza. Mica male. Carna-
gione gradevole. Occhi sul verde. Un buon profumo. Una tipa
pulita. Con uno sguardo strano, come se fosse arrivata al giusto
punto di cottura, visto che era lì tutta sola ormai da quasi due set-
timane, anni diciamo ventisette, forse pure sposata: certo, non la
pupa più bella del mondo, ma una donna vera e propria, in carne
e ossa, una con la sua parte di esperienze.
Ryan le mise le mani sulle spalle e fece per scostarla dalla fi-
nestra. Lei continuò a tenergli addosso quello sguardo strano, gli
occhi quasi sbarrati. Lui si fece più vicino, le fece scivolare le mani
sulle braccia per passargliele poi attorno alla vita e sulla schiena, e
infine tirarla a sé; e quando poi gli parve il momento giusto, le
copri la bocca con la sua e piombò con la ragazza sul letto.
Lì per lì non si era reso conto che lei opponeva resistenza.
Aveva pensato che si stesse solo dimenando, che volesse enfatiz-
zare la cosa, ma poi aprì gli occhi che ancora la baciava e la teneva
stretta, e se li ritrovò dritti nell’occhio di lei, una sorta di occhio
gigante e onniveggente che gli frugava dentro, saturo di terrore.
No, via, non era proprio terrore. Era frenesia, sconvolgimen-
to.
Le si rannicchiò contro, con baci leggeri sulla bocca e sulla
guancia, il buon vecchio metodo Jack Ryan, la accarezzò sul fian-
co per poi risalire fin sotto il braccio.
- Chiudi gli occhi, – le disse in un sussurro, scostando appena
la bocca dalla sua. La baciò ancora sulla guancia. Lei chiuse gli
occhi e li aprì e li richiuse e lui le baciò le palpebre, il naso e, ap-
pena appena, gli angoli della bocca e infine il labbro inferiore,
mentre la sua fidata mano sinistra si dava da fare sotto il braccio
di lei, il polpastrello del pollice che si faceva sempre più vicino,
come no, e iniziava a toccare… e lei che sussultava, si ritraeva,
apriva gli occhi.
- Che succede? – disse Ryan, ancora a bassa voce, ancora
rannicchiato, ancora stretto a lei.
- Mi fa un po’ male, lì, – bisbigliò Virginia. Sembrava mezza
addormentata, quasi drogata.
- Male?
- E stato il costume da bagno. Mi ha sfregato.
- Oh, scusa -. Tolse la mano, gliela spostò sulla schiena, dita
gentili che andavano alla ricerca della lampo, la facevano scorrere
e, nell’aprirla, le si posavano sulla pelle nuda. Fu solo quando si
ritrovò il vestito aperto fino alla vita che lei parve rendersi conto
di cosa stava facendo Ryan. La mano di lui le andò a fermarsi sulla
curva dell’anca. Gli occhi, a pochi centimetri dai suoi, le si spalan-
carono quasi con violenza.
- No.
- No cosa?
Lei non rispose. Rimase immobile. Continuava a fissarlo.
- Ti ho fatto ancora male?
- No, ti prego.
- No cosa?
E ancora continuava a fissarlo.
- Dimmi solo perché no, – bisbigliò Ryan, con voce gentile e
paziente.
La voce di lei era bassa, ma nitida. – Perché è un peccato.
- Che vuol dire, un peccato?
- È un peccato.
- Un peccato? Ma cosa stiamo facendo?
- Lo sai, cosa stiamo facendo, – disse Virginia.
- Ma è una cosa naturale. Insomma, siamo fatti cosi.
- Bisogna essere sposati, – disse Virginia Murray.
- Guarda che ce la stavamo solo spassando un po’ -.
Ryan le sorrise.
- Per me è un peccato -. Virginia esitò un istante, prima di
aggiungere, quasi sottovoce: – Io sono cattolica.
- E che problema c’è? – disse Ryan. – Pure io.
- Tu no.
- Invece sì. Lo giuro su Dio.
- Recitami il Credo.
- Dài, andiamo.
- Se sei cattolico, il Credo lo devi sapere.
- O Dio mi pento e mi dolgo…
- Questo è l’Atto di Dolore!
- Credo in Dio, Padre Onnipotente, – disse Ryan. – Creatore
del cielo e della terra… Ma insomma, che storia è questa?
- Ti togli di dosso, per favore?
- Cristo, ma se hai cominciato tu.
- Modera i termini, per favore.
- Sei tu che te ne vai a giro senza mutande.
Virginia gli scivolò dalle braccia e si coprì il viso con le mani.
– Ti prego, vattene, – gli disse con voce attutita.
- Come?
- Vattene!
- Cristo, e che ti credi? Che ho voglia di restarmene qui? –
Ryan si tirò su dal letto e si lisciò i pantaloni. – Secondo me, –
disse poi, – dovresti deciderti una volta per tutte, ecco cosa.

- Pensavo che saresti venuto, ieri sera, – disse Nancy.


Ryan era al volante della Mustang. Le lanciò un’occhiata e ri-
portò lo sguardo sulla strada. Avevano attraversato Geneva Beach
e stavano sbucando sulla superstrada in direzione sud, ormai in
pieno sole, via dall’ombra fornita dagli alberi. – La voglia ce
l’avevo, – disse, – ma c’era sempre quel tipo tra i piedi.
- Ebe’?
- Era lì di vedetta, dico.
- E allora?
- Non mi andava che si mettesse a fare domande.
- Hai paura di lui?
Ryan le lanciò un’altra occhiata. – No, non ho paura di lui.
Perché dovrei?
- Mi piace un sacco, casa sua, – disse Nancy. – Dio- santo.
- A lui va bene così.
- È il giudice di pace, – disse Nancy. – Lo sapevi?
- Mi ha detto che hai un’udienza già fissata con lui.
- Non vedo l’ora.
- Perché hai fatto una cosa del genere? Buttare quei due fuori
strada.
- Perché se l’erano cercata.
- Avresti potuto ammazzarli.
- Devo ancora decidere come comportarmi, all’udienza, col
tuo amico, – disse lei. – Che ne dici, meglio fare la ragazzina inge-
nua o buttarla sulla buona impressione?
- Ma che ne so, – disse Ryan. – Mica l’ho mai visto, in udien-
za. Te l’ha già trovato, Ray, un avvocato?
- Penso di sì. Non ne abbiamo parlato.
Fuori della superstrada, nell’affrontare lo sterrato la Mustang
sollevava un velo di polvere, che saliva per poi svanire nel nulla
alla luce del sole. I campi, ai due lati della strada, si stendevano
piatti e vuoti fino ad arrivare ad alberi assai lontani.
- Qui non è rimasto più niente da raccogliere, – disse Ryan. –
Adesso stanno scendendo verso Holden, e voglio sperare che an-
che Bob junior sia della compagnia -. La Mustang avanzava a pas-
so d’uomo, il ghiaino che schizzava contro la parte inferiore del
telaio.
- Laggiù, – indicò Ryan. – Ecco degli stagionali -. Rimase in
silenzio fin quando non ebbero fatto un altro po’ di strada, arri-
vando all’altezza circa dei braccianti. – Vedi come ci si mette a
cavalcioni del filare? Questa gente è l’unica che riesce a stare in
quella posizione per giornate intere.
- Pure tu, – disse Nancy.
- Io mi sono quasi rotto la schiena. Alla fine del primo gior-
no avevo già deciso di lasciar perdere. Devi esserci nato e cresciu-
to, per raccogliere i cetrioli. Billy Ruiz, quella mezza cartuccia, lui
fa le scarpe a chiunque altro.
Avanzarono ancora su quella sorta di trattura, Ryan che striz-
zava gli occhi per guardare i campi ancora battuti dal bollore esti-
vo e i gruppetti di braccianti, in lontananza, tutti intenti a passare
in rassegna e con metodo i filari, pur dando l’impressione di asso-
luta immobilità.
- Devono per forza finire il raccolto entro la settimana, – dis-
se Ryan. – Ancora pochi giorni e saranno troppo grossi per tra-
sformarli in sottaceti. Il rischio è di ritrovarsi nient’altro che dei
cetrioloni.
- L’argomento cetrioli mi fa impazzire, – disse Nancy.
Ryan la guardò. – Ci hai mai pensato?
- Non faccio altro.
- Se il coltivatore non trova braccianti a sufficienza, gente in
gamba, intendo, per raccogliere i cetrioli in tempo, ci rimette an-
che la camicia. È per questo che va a caccia di stagionali.
- E anche l’argomento braccianti agricoli, non è da meno.
La Mustang si avvicinò alla rimessa e ai fabbricati attigui, ol-
tre i quali si apriva una fila di costruzioni a un piano, ridotte da
sole e pioggia a un colore grigio chiaro e piazzate nel bel mezzo
del nulla come un avamposto dell’esercito lasciato andare in malo-
ra. Qui, però, c’erano segni di vita: indumenti stesi ad asciugare e
schiamazzi di bambini festanti.
I bambini, radunati su un Campetto di terra battuta proprio di
fianco alla rimessa, restarono per un attimo a guardare la
Mustang, poi attaccarono a rincorrerla, strillando in un misto di
inglese e spagnolo. Una donna in t- shirt e blue jeans stava in pie-
di nel vano della porta di casa; un’altra sedeva su una vasca da ba-
gno capovolta, in testa un cappello di paglia da uomo. Altre donne
si scorgevano all’ombra della lavanderia, un’altra ancora in pieno
sole, mezza girata, immobile, le braccia alzate ad armeggiare al filo
del bucato, pieno zeppo di jeans stinti e calzoni di tela kaki, lo
sguardo a seguire la Mustang e i bambini che le correvano dietro,
nella scia polverosa.
Ryan sentiva, allo stesso tempo, il rumore dei bambini e lo
sguardo delle donne. – La vedi quella rimessa? – disse a Nancy. –
Io abitavo là dentro, ci stavamo in tre.
- Però.
- Be’, che dire. Non era poi così male, – fece Ryan. – Tante
cose che si sentono dire sui campi degli stagionali sono vere, su
come non se la passano certo bene. Ma quando ti ci ritrovi di per-
sona, voglio dire che ci vivi, assieme a loro, finisce che ci fai
l’abitudine e per certe cose la prendi sul ridere. Non è malaccio,
davvero. La sera si giocava a baseball, oppure qualcuno tirava fuo-
ri la chitarra e tutti si mettevano a cantare.
- Un vero spasso, insomma, – disse lei.
Ryan la guardò. – Va bene, non era certo uno spasso, ma ne-
anche poi così male.
- Ti va? – Nancy stava versando Cold Duck in un calice. Si
era portata dietro la bottiglia, in una sorta di borsa termica, assie-
me a un po’ di ghiaccio tritato e due bicchieri.
- Adesso no, – disse lui.
La strada se ne usciva dal campo, con una curva e una picco-
la rientranza, e sembrava farsi più stretta, a causa degli alberi che
le correvano su entrambi i lati. Un centinaio di metri più avanti,
infine, raggiunsero il capanno di Ray. Sorgeva su una radura, con
tanto di vialetto d’accesso a tracciato circolare, una vecchia fatto-
ria a due piani che era stata rivestita di tronchi verdastri e trasfor-
mata in un capanno da caccia.
- Ci sei già stato, qua dentro? – disse Nancy.
- No, mai più vicino di così.
- Alle pareti ci sono teste di cervo e coperte indiane.
- Se no, che capanno da caccia sarebbe?
Voltò sul vialetto e lo percorse a velocità molto bassa, per e-
saminare bene la situazione. Non c’erano auto, né persone; il po-
sto sembrava deserto. Non fermò tuttavia la macchina, proceden-
do per l’intera lunghezza del vialetto circolare fino a immettersi di
nuovo nella strada.
Nancy lo stava osservando. – Non mi pare chissà che occhia-
ta approfondita.
- Voglio solo vedere se c’è una strada che arriva da dietro, –
disse Ryan.
Scorse il cartello, più avanti, prima ancora di riuscire a legger-
lo. Era sulla destra, un pannello dipinto che indicava qualcosa
dall’altra parte della strada, in mezzo al bosco. Non è che Ryan
stesse proprio cercando un cartello, e la sua presenza non gli disse
un bel niente fin quando non gli furono così vicini da poter legge-
re quel che c’era scritto – rogers – e solo allora gli tornarono in
mente i discorsi del signor Majestyk a proposito di quel posto in
mezzo al bosco che sarebbe stato perfetto come capanno da cac-
cia, e del suo piano che consisteva nel tirar su un paio di strutture
ad A e collegarle assieme e installare un riscaldamento centralizza-
to. Era lo stesso posto.
- Adesso dove? – si sentì dire da Nancy, nel girare a sinistra
su una stradina sterrata. Anche lei doveva aver visto il cartello, ma
non fece altri commenti.
- Questa dovrebbe riportarci lassù, – disse Ryan.
Era un viottolo con due profondi solchi, stretto e tortuoso,
in certi punti così stretto che rami e cespugli raschiavano con faci-
lità i lati della macchina. Avanzavano piano, con gran cigolio di
sospensioni, la forma piatta del cofano che si alzava e si abbassava
a ogni buca. La strada iniziò a salire, tutta curve e montagne russe,
sormontata da alberi di notevole altezza, immersa nel silenzio e
nella penombra, con raggi di sole e squarci di cielo che riuscivano
a filtrare tra i rami. Nessuno dei due aprì bocca per tutto il tempo
della salita, fin quando non ebbero raggiunto la cima e la strada
finì per allargarsi in uno spiazzo. – Be’, eccoci arrivati, – disse solo
allora Nancy.
Accidenti, che tranquillità. Si poteva quasi toccare con mano.
Ryan sbatté la portiera con violenza e, appena sceso, rimase per
qualche tempo immobile. Poi si avviò; udiva solo il rumore delle
sue scarpe sulle foglie. Era uno slargo di non piccole dimensioni,
ripulito ben bene e,con ogni evidenza, abbastanza frequentato.
Vide qualche lattina di birra, arrugginita, e una bottiglia di whisky
di vetro marrone, oltre a cartacce di vario genere. così a occhio
c’era già qualcuno che lo conosceva, quel posto, ma era pur sem-
pre una sorta di paradiso, così lontano da tutto. Gli unici boschi
che aveva visto di persona erano a Detroit, a Palmer Park e su
Belle Isle, boschi dal cui interno si sentiva sempre gente che, in
qualche radura, stava facendo un picnic o giocava a baseball. Non
era mai stato in un bosco degno di questo nome, uno di quelli del
nord.
- E ora che si fa? – chiese Nancy.
Non le rispose. S’incamminò a un’estremità dello spiazzo, af-
facciata su un lago, stretto e curvo e solitario, dalle rive costellate
di alberi massicci. Percorse l’intero limitare di quella radura, get-
tando lo sguardo in una fitta boscaglia dall’aria impenetrabile, fino
a giungere alla parte opposta, che recava un varco dal quale si riu-
sciva a scorgere il capanno di caccia e, dietro di esso, parte dei
campi di cetrioli e del baraccamento degli stagionali, a notevole
distanza, le sagome nitide e allineate delle varie costruzioni, alla
luce del sole, ben delineate dalle ombre. Vedeva anche tutto il par-
co macchine, veri e propri rottami, sul retro delle baracche, e un
piccolo riquadro giallo, l’autobus di Luis Camacho.
Quasi duecentomila chilometri sul groppone, quel trespolo.
- Si vedono le baracche degli stagionali, – disse Ryan.
Nancy era ancora in macchina, a cinque, sei metri di distanza.
– Davvero? – disse.
- Se vieni qui, lo vedi proprio bene. Quello è l’autobus che ci
ha portato fin qui.
- Un’altra volta, magari, – disse lei.
- Non so proprio come abbia fatto, quell’autobus. È stato il
viaggio più assurdo della mia vita. Altro che viaggio, in pratica ci
abbiamo vissuto per quattro giorni, là sopra -. Ryan guardò verso
di lei, poi le andò incontro. – Adesso lo bevo volentieri.
Nancy versò il Cold Duck in un bicchiere e glielo porse.
Ryan lo alzò, osservandone il colore rosso scuro, e sorrise.
- Mi fa venire in mente Billy Ruiz. Lui non beveva altro che
Rock and Rye. L’hai mai assaggiato? E whisky aromatizzato alla
frutta. Fa veramente schifo.
- Magari è pure gassato.
- È tremendo. Con questo colore rossiccio -. Ryan tornò a
sorridere, a rimirare il calice. – E lo teneva sempre sollevato, per
vedere quanto gliene era rimasto. Magari era lì che si faceva un
panino, gli dava un morso, inghiottiva, e poi eccolo alzare la botti-
glia, guardare quanto ce n’era dentro, cercare di farselo bastare. Mi
è tornato in mente.
- Andiamo, – disse Nancy.
Ryan aveva dato le spalle alla macchina. Adesso guardava tra
gli alberi, in direzione delle baracche degli stagionali.
- Proprio non lo so, – disse. – Per come se la passano, e tutto
il resto, sembrano sempre tirare avanti. È gente che non si lamen-
ta mai, anzi ci scherza su. A me fanno l’impressione di persone
abbastanza felici. Non semplici, beninteso, né spensierati, sai
com’è…
- No, – disse Nancy, – non lo so. Spiegati.
Ryan la guardava, adesso. – Voglio dire che hanno una bella
capacità di sopportazione. E forse anche più del lecito, che ne so.
Ma anche per la vitaccia che fanno, hanno pur sempre qualcosa
che non è certo di tutti.
- Lo so bene, – disse Nancy. – La dignità.
- Neanche per sogno.
- Nobiltà d’animo, allora?
Ryan finì di bere, cercando di restare calmo.
- Forza, lo voglio sapere.
- Vedi un po’ di andare a fare in culo, – disse lui.
Nancy sorrise, scoppiò a ridere, gettò la testa all’indietro e ri-
se ancora più forte. Ryan restò a guardarla. C’era qualcosa di stra-
no, e continuò a guardarla fin quando non capi di cosa si trattava.
La conosceva da tre giorni, ma quella era la prima volta che
l’aveva sentita ridere.

Un tale che di nome faceva A. J. Banks, dell’Associazione


Coltivatori, aveva chiamato Bob per chiedergli quanto sarebbe
costato radere al suolo e rimuovere le baracche degli stagionali,
così da poter seminare l’intera area per la stagione successiva. Bob
aveva risposto che quella mica era una ditta di demolizioni, perché
lo chiedeva proprio a lui? E A. J. Banks aveva detto che visto che
l’aveva tirata su, quella roba, che cazzo, allora doveva pur sapere
quanto gli ci voleva a tirarla giù, o no? Bob junior aveva risposto
che ci avrebbe pensato su e gli avrebbe fatto sapere. Era per que-
sto motivo che adesso si stava recando al campo e che gli pareva
d’aver visto la Mustang di Nancy – anzi, era pronto a giurarlo –
imboccare la strada che passava da dietro, proprio mentre lui rag-
giungeva le baracche dei braccianti. O forse no.
Magari, invece, era proprio la macchina di Nancy. Quando
ebbe finito di esaminare le baracche, e si fu fatto un’idea di quante
camionate di legname ci sarebbero state da portar via, andò anche
lui a imboccare la strada sul retro. Su, al capanno del signor Ri-
tchie, non c’era traccia della Mustang. Alle spalle del capanno la
strada non portava da nessuna parte; tagliava attraverso i pascoli e
il bosco per finire sulla riva del lago, a circa venticinque chilometri
da Geneva Beach. Era dalla scorsa primavera che Bob junior non
passava da quelle parti, da quando avevano deciso di vendere quel
tratto di bosco e avevano piazzato il cartello lungo la strada. Ogni
tanto c’era qualcuno tipo il signor Majestyk che veniva a dare
un’occhiata, ma di solito ci capitavano ragazzoni alla caccia di po-
sti buoni per spassarsela un pochettino. I segni di pneumatico po-
teva averli lasciati chiunque, sembravano vecchi. Ma poi gli tornò
in mente che era piovuto, due giorni addietro.
E quando vide due nitidi solchi lasciati da ruote che imboc-
cavano la strada privata, si rese conto che qualcuno era stato lì da
non molto. Non pensava a Nancy, adesso. Si era convinto che non
poteva essere stata la sua, di macchina. Ma quelle tracce di gomme
lo incuriosivano, e non poco. Per questo aveva innestato la prima
e spinto il pick-up su per la strada privata.

Per prima cosa, alla vista del pick-up – che già aveva sentito
arrivare, e riconosciuto non appena era spuntato tra gli alberi –
Ryan aveva posato il bicchiere sul cofano della Mustang, e si era
guardato attorno. Non che cercasse di far finta di niente, ma ne-
anche voleva affannarsi più di tanto. C’era il grosso ramo di un
albero, sul terreno, appena più avanti, e proprio nel momento in
cui Bob junior si accingeva a scendere dal pick-up, Ryan aveva già
staccato un ramo più piccolo, delle dimensioni di un manico di
scopa, e vi si era appoggiato contro, nella sua ben nota postura da
lanciere.
Dall’interno della Mustang, bicchiere in mano, braccio sul
bordo del finestrino, Nancy disse: – Ehi, Bob! – e si dispose a ve-
dere come sarebbe andata a finire.
Bob junior valutò la situazione. Vide Nancy e il bicchiere
vuoto sul cofano della macchina, e Jack Ryan – dietro la Mustang
– che impugnava un bastone, una mazza o l’accidente che era.
Entrambi aspettavano le sue mosse, come se appunto toccasse a
lui agire per primo. Ryan sembrava volerlo quasi incitare, e questa
parte era davvero semplice: gli aveva detto di levare le tende, a
Ryan, e quel tipo era ancora lì, quindi gli sarebbe toccato dargli
una bella lezione. Ma con Nancy lì che guardava avrebbe dovuto
farla sembrare una sciocchezza, come se quel tipo non fosse certo
un problema. Bob junior si tolse il cappello da cowboy e gli oc-
chiali da sole e li infilò nel pick-up, dal finestrino.
- Bob, – disse Nancy, – ti va un Cold Duck?
- Adesso no, – disse Bob junior. Le lanciò un’occhiata. – Che
stai facendo quaggiù? – E già, nel dirlo, gli suonava fuori posto.
- E che ne so, – disse Nancy. – Mi ci ha portato lui.
- Ti ha infastidito, in qualche modo?
- Vediamo un po’, – rispose lei. – No, infastidito non direi
proprio -.Se la stava proprio spassando.
- Mazza da baseball o bastone, – disse Bob junior, tornando
a fissare Ryan. – Devi proprio aver sempre qualcosa in mano, no?
Ryan non rispose. Era lì che aspettava.
- Fa il grosso, solo perché ha un bastone in mano. Ehi, figlio-
lo, che ne dici di combattere ad armi pari?
Adesso Ryan corrugava la fronte. – Armi pari? E che è, que-
sta, la boxe dei dilettanti?
- Un vero uomo combatte coi pugni, – disse Bob junior.
- Come no. Fatti sotto, amico, e vedrai che randellate che
ti meno.
- Ho un ferro da pneumatici, sul camioncino, – disse Bob
junior. – Forse farei meglio a prenderlo.
- In questo caso, – fece Ryan, – se cominciamo a prenderci a
botte, allora dovresti almeno spiegarmi il motivo.
- Perché tu credi di essere un duro, e di riuscire a mettermi
sotto.
- Te l’ho detta io, una cosa del genere?
- Mica ce n’era bisogno. I furbacchioni come te, li riconosco
all’odore.
Ryan continuò a esaminarlo. – Hai proprio voglia di menare
le mani, eh?
- Non hai idea di quel che ti aspetta, – disse Bob junior.
- Digli che non è mica obbligato a farlo, – disse Ryan a
Nancy.
Lei stava osservando Ryan. – Non è compito mio.
- Diglielo lo stesso.
- Lasciala fuori, lei, da questa storia, – disse Bob junior.
Ryan scosse il capo. – Certo che devi essere proprio stupido,
eh. E lei che vuole una bella scazzottata, non l’hai ancora capito?
- E tu vuoi solo cavarne le gambe, – disse Bob junior.
Erano alla resa dei conti, e Ryan lo sapeva. Ogni volta che si
era ritrovato a menare le mani, fin da piccolo, era il suo stomaco a
fargli capire quando era giunto il momento, oltre a leggerlo negli
occhi dell’avversario. Ci aveva pensato un sacco di volte, al mo-
mento in questione, ed era arrivato alla conclusione che anche il
suo avversario doveva provare e pensare le stesse cose, e non im-
portava certo se era più grosso o cosa, era di sicuro anche lui spa-
ventato o col mal di stomaco, perché nessuno poteva essere mai
sicuro al cento per cento. Ed era questo il momento giusto di me-
narlo ben bene, aveva infine stabilito Ryan, ovvero quando il suo
avversario non era ancora pronto. Picchiare per primo e picchiare
duro; e, forse, la faccenda finiva lì.
Bob junior gliela rese ancor più facile. Arretrò di un paio di
passi proprio mentre Ryan stava per passare all’azione, e fece
mezzo giro su se stesso per infilare un braccio nel cassone del
pick-up. Per individuare il ferro da pneumatici, o un qualche og-
getto simile, fu però costretto a guardarci dentro, al cassone, e
nello sbirciare Ryan con la coda dell’occhio non pensava certo che
qualcuno potesse muoversi con tale velocità. Invece Ryan gli stava
già saltando addosso da qualche passo di distanza, e
quell’accidente di mazza, di bastone, o che diavolo era, già gli sta-
va calando sulla capoccia.
Bob junior si lasciò rotolare lungo il fianco del cassone, nel
tentativo di infilare la testa sotto la spalla, e beccò il primo colpo –
una vera e propria sventola sull’avambraccio che stava tirando su.
Fu l’intero braccio a intorpidirsi. Di sicuro chiuse anche gli
occhi. Non vide il bastone che gli calava di nuovo addosso, si sta-
va proteggendo la testa, e quel cazzo di ordigno gli piombò dritto
sul ginocchio sinistro. Non c’era altro da fare che saltargli addos-
so, anche lui, a quel figlio di puttana, e così facendo si beccò
un’altra bella legnata, stavolta sulla spalla sinistra, prima di riuscire
ad avvicinarsi e ad abbrancare a due mani quel pesante pezzo di
ramo, e a sentirlo duro e ricurvo e ruvido, la corteccia che gli ra-
schiava le mani mentre cercava di portarlo via a Ryan e poi il viso
di Ryan proprio di fronte al suo, teso e sotto sforzo, gli occhi in-
chiodati nei suoi.
- Sei arrivato alla frutta, figliolo, – disse Bob junior, e non a-
veva fatto in tempo a dirla tutta che il pugno sinistro di Ryan la-
sciò la presa sul ramo per stamparglisi dritto in faccia.
Per Ryan era il momento di darci dentro – con Bob junior
che indietreggiava a testa alzata e lasciava scoperto il viso – e non
riusciva a pensare ad altro, darci dentro adesso o mai più, alla svel-
ta, già che lo stava pressando e lo teneva sotto tiro, e gli mollò un
altro sinistro nello stesso punto di prima, con quel tipo che arre-
trava e lui che gli stava addosso, ancora un sinistro e poi un destro
in faccia, forza, chiudiamo la questione, qui e ora, caricando un
sinistro fin da dietro la spalla, un colpo pieno a bersaglio, un col-
po che sentiva ripercuotersi tutto su per il braccio, con quel tipo
che barcollava all’indietro, il sangue che gli grondava dal naso, ep-
pure – che razza di sensazione, la peggiore possibile – mica anda-
va giù, diosanto.
Bob junior mollò la presa sul ramo e restò lì, il volto insan-
guinato, gli occhi fissi su Ryan, a cercare di respirare, a cercare di
riprendere fiato, a passarsi la mano sulla bocca. Poi cercò di passa-
re all’attacco e Ryan alzò la guardia, le braccia già stanche e pesan-
ti.
Nancy si prese tutto il tempo di versarsi un po’ di Cold
Duck, e lo centellinò mentre guardava quei due che se le davano
di santa ragione. Bob junior era più grosso, e Jackie sembrava
mingherlino al confronto, ma era stato proprio lui a far uscire il
sangue per primo, e Bob junior era uno sfacelo, sangue dappertut-
to, sulla bocca e sul davanti della camicia a quadri. Eppure, non
sembrava farci troppo caso. Nancy lo guardò farsi avanti e incas-
sare i pugni di Ryan sulla spalla, poi un’altra bella sventola – wow
– giusto sulla bocca, ma questa volta non aveva intenzione di
fermarsi, fece dondolare quel grosso destro e lo mandò a schian-
tarsi dritto in faccia a Ryan. Colpo accusato, senza dubbio; tanto
da farlo esitare, Ryan, così che Bob potè colpirlo ancora e ancora
e spedirlo in ginocchio.
È fatta, pensò Nancy. Mica male, finché è durata. Ma restò
stupita a vedere Ryan che si rialzava, lento, dapprima molto lento;
poi, che Bob junior ancora non se n’era accorto, di nuovo a muli-
nare cazzotti. Bob ne prese uno in pieno viso, e per un istante re-
starono quasi abbracciati, cercando di colpirsi con ogni mezzo a
disposizione. Fino a quando non fu Ryan a cadere.
Finì a quattro zampe, la testa bassa, e questa volta non tentò
nemmeno di rialzarsi. Cristo, come gli dolevano le mani, e pure la
bocca. Voleva toccarsela, la bocca, e anche la mascella, ma temeva
che a tirarla su da terra, l’una o l’altra mano, sarebbe finito a pelle
di leone. Quel tipo poteva pure starsene lì in piedi, se era quel che
voleva; lui, col fischio che si sarebbe rialzato.
Ma quello non c’era più, in piedi. Ryan girò il capo da una
parte, ed eccotelo seduto a qualche metro di distanza, la testa get-
tata all’indietro e gli occhi chiusi e rivolti al cielo, un fazzoletto
premuto sul naso.
Rotolando su se stesso, Ryan riuscì a mettersi seduto. Cristo,
anche le spalle gli facevano un male cane. Restò seduto a guardare
quel tipo, e finalmente riuscì a proferire verbo. – Non è così che si
fa.
Bob junior aprì gli occhi e provò a guardare Ryan.
- Così non lo fermi mica, – disse Ryan.
- Come no, – disse Bob junior, naso e bocca nel fazzoletto. –
Si getta la testa all’indietro.
- Che stronzata, – disse Ryan. – Bisogna soffiarsi il naso e
stringerlo ben bene, con la testa in avanti.
- Tu sei matto.
- Tutti pensano che si deve gettare all’indietro, la testa, – dis-
se Ryan, – ma non è vero, va mandata in avanti. Forza.
Bob junior si sporse in avanti, e non appena si tolse il fazzo-
letto dal naso il sangue prese a sgocciolare sul terreno.
- Forza, soffialo, – disse Ryan. Gli tenne gli occhi addosso,
per vedere se lo faceva bene.
- Mai visto tutto questo sangue, – disse Bob junior circa un
minuto più tardi, – da quando ho scuoiato un cervo che avevo
beccato proprio da queste parti, lo scorso autunno -. Aveva una
voce nasale, attutita dal fazzoletto.
- Ce n’è parecchi di cervi, da queste parti?
- Parecchi? Va’ a vedere quante piste scendono giù al lago. È
lì che vanno a bere.
- Mai stato a caccia.
- Quel cervo che ho preso, mi è bastato uscire a malapena
dalla strada, e l’ho trovato lì che quasi m’aspettava.
- Che arma hai usato?
- Non ho sempre la stessa. Quella volta avevo dietro un vec-
chio.03, ma vecchio sul serio, eppure la roba che spara quel figlio
di puttana è capace di arrivare fino a Holden.
- Questo tipo, Walter Majestyk, – disse Ryan, – mi parlava di
un capanno da caccia, da queste parti.
- Lo conosci?
- Lavoro per lui.
- Ehi, – disse Nancy. Era ancora in macchina. – Ma cos’è
questo, l’intervallo?
Ryan guardò Bob junior.- Ho l’intenzione di salire in mac-
china e andarmene via. Hai qualcosa da obiettare?
- Ma cosa vuoi che me ne freghi, – disse Bob junior.
Quando se ne andarono, era ancora seduto.
Né Ryan né Nancy aprirono bocca fin quando non furono
usciti dal bosco per imboccare la strada sterrata che portava alle
baracche degli stagionali. Ryan se li sentiva addosso, gli occhi di
lei. – Hai avuto quel che volevi, – le disse infine.
- Non è che sei stato molto carino, a cercare di dar la colpa a
me -. Nancy aveva appoggiato la schiena alla portiera e lo guarda-
va. – Come ti senti?
- Come se mi avessero preso a cazzotti in viso.
- Non sei messo così male. Tieni -. Gli porse il suo bicchiere
e lo guardò che ne ingollava il contenuto, quasi sciacquandosi la
bocca col vino, lasciandolo bruciare ben bene prima di buttarlo
giù. Gli facevano male i denti, gli pareva che gli si fossero allentati;
a muovere la mascella, sentiva un rumore, quasi uno scatto, in
prossimità dell’orecchio. Gli dolevano le mani, che avevano anche
un pessimo aspetto dopo tutte le botte che aveva dato in faccia a
quel tale, quando quello aveva attaccato a sanguinare. Nancy gli
prese il bicchiere, e lui continuò a reggere il volante con una mano
sola, in basso. Più avanti scorse un gruppo di stagionali appena
usciti dal campo di cetrioli, parecchi di loro che camminavano su
un lato della strada e già si erano voltati al sentir sopraggiungere la
macchina.
- Una cosa è certa, – disse Ryan.
- Cosa?
- In quel capanno di caccia, io non ci vado. Non me ne frega
niente, di quanti quattrini ci sono.
Nancy guardò dritta davanti a sé, da dietro il parabrezza; non
aveva certo fretta. – Lo sapevo, che l’avresti detta, questa cosa, –
disse infine, guardando Ryan. – Non ero certa né del come né del
quando, ma che l’avresti detta ero sicura.
- Be’, sei più sveglia di me, – disse Ryan, – perché io l’ho
scoperto giusto ora.
- No che non è vero. Avrai pure pensato di svuotarlo, quel
posto, – disse Nancy, – ma non l’avresti mai fatto. Pensavo che
saresti cambiato, ma non è stato così. Sei un ladruncolo da stra-
pazzo, Jackie. Ecco tutto. Puoi anche sognarlo, di arraffare cin-
quantamila dollari, ma non lo faresti mai.
- Guarda, – disse Ryan, – che quello ci ha visto. Fa’ solo
che la polizia gli chieda se per caso ha visto qualcuno da quelle
parti negli ultimi giorni, e figurati se non si ricorda di noi. Intanto
si ricorda di me, e comincia a fare due più due.
- Mi sa che sei un po’ agitato, – disse Nancy.
- Ci puoi scommettere.
- E ti girano, perché pensi che sia stata io a farvi pestare.
- Quella è un’altra cosa ancora, – disse Ryan.
- Ma il fatto che Bob ci abbia visto non prova un bel niente.
- Non ho nessuna intenzione di rischiare, – disse Ryan.
- Ne parliamo più avanti, quando ti avrò dato una bella ripu-
lita. Che ne pensi?
- Non c’è proprio nulla di cui parlare.
Avevano quasi raggiunto gli stagionali, che si stavano facen-
do da parte per far passare la macchina. – Metti giù il bicchiere, –
disse Ryan nell’avvicinarsi ai braccianti.

Dopo il passaggio della macchina, Frank Pizarro apparve nel


vano della porta della rimessa e rimase a guardare la polvere so-
spesa a mezz’aria. Dall’altra parte della strada c’era Billy Ruiz, che
se n’era uscito dal campo e aveva varcato il fosso per restarsene
sul bordo della carreggiata a guardare l’auto che si allontanava;
adesso stava attraversando la strada, diretto alla rimessa.
- Quello sembrava Jack, – disse.
- Era lui sì, – fece Pizarro. – Che ci sventolava sotto il na-
so la macchina e la pollastrella.
- Io l’ho salutato, – disse Billy Ruiz, – ma lui era già passa-
to.
- Ti ha visto.
- Credo di no.
- Guarda che ti ha visto, – disse Pizarro. – Ci ha visti tutti
quanti.
- E allora perché non ha risposto al saluto?
- Perché quando è in macchina è il signor Jack Ryan.
Billy Ruiz scosse il capo. – No che non ci ha visto.
Avrebbe salutato.
- Cristo, ma falla finita con questa storia dei saluti! Che vuoi
che gliene freghi di noi. Neanche ti vede più.
Pizarro si voltò, per entrare nel buio della rimessa. Scovò una
sigaretta, l’accese e si gettò sulla sua coperta, per tenersi lontano
da Billy Ruiz e da tutti gli altri e poter pensare a Ryan e alla ragaz-
za senza vestiti, e chiarirsi un po’ le idee.
D’accordo, era riuscito a vendere alla ragazza il cartone di
birra pieno di portafogli. Quel che era successo la sera prima, non
riusciva a toglierselo dalla testa: la ragazza che se ne usciva dalla
piscina e si asciugava di fronte a lui, senza neanche cercare di na-
scondersi, sempre discutendo di Jack Ryan e dei portafogli. Si era
infilata camicetta e calzoncini e lui le aveva ripetuto Cinquecento
dollari, quello era il prezzo. Poi lei che era entrata in casa per tor-
nare con ottanta dollari, la camicetta ancora sbottonata. Avrebbe
dovuto tenerlo lui, il cartone della birra, fin quando lei non avesse
fatto saltar fuori dell’altra grana, ma ottanta dollari erano ottanta
dollari; non certo i cinquecento che avrebbe voluto, ma sempre
ottanta dollari che lei gli stava offrendo.
Avrebbe dovuto venderglieli uno per volta, quei portafogli.
Tornare una volta la settimana, e allora sì che le sarebbe toccato
pagare, e pure senza vestiti.
Avrebbe dovuto saltarle addosso, in casa, o magari lì
sull’erba. Se la stava proprio cercando, e se lo sarebbe proprio me-
ritato, la cara ragazza del signor Ritchie; ma proprio perché era la
ragazza del signor Ritchie, non l’aveva nemmeno sfiorata, perché
non riusciva a crederci – al fatto di averla vista nuda – e perché
temeva che, a torcerle soltanto un capello, sarebbe successo qual-
cosa. Cosa, non lo sapeva. Qualcosa.
D’accordo, avrebbe dovuto farne un sacco di cose, ma ormai
era troppo tardi. Una, però, poteva ancora farla, se solo riusciva a
decidere come dirgliela e come fargliela bere. C’era ancora la fac-
cenda di Ryan, e poteva ancora chiamare la polizia e spifferare che
era stato Ryan a ripulire quella casa, la scorsa domenica.
E così l’idea era di andarci col buio, dalla ragazza, quando
Ryan non c’era più, e dirle quanto le sarebbe costato fargli tenere
la bocca chiusa con la polizia. Cinquecento, stavolta, senza sconti,
senza calare a ottanta pidocchiosi dollari.
Iniziò a cercare di mettere assieme le parole, a studiare come
gliel’avrebbe detto. Tipo: «Se non ce li hai, i quattrini, di’ al tuo
amichetto di rubarli lui. Dove li prendi, non sono fatti miei.
E il succo della questione: «Fammi avere cinquecento dollari,
altrimenti chiamo la polizia.
Eppure, sdraiato su quella coperta, a fumarsi una sigaretta, in
quel posto semibuio e caldo come un forno, dal tetto di lamiera e
dall’odore di muffa, Frank Pizarro finì col dirsi: Aspetta un atti-
mo. Ma cos’è questa storia della polizia? Perché la polizia? Amico,
ma ancora non l’hai capito? C’è ben altro che la polizia.
Non paghi? E io scrivo una lettera al signor Ritchie.
13

All’inizio, ad aprire gli occhi e muoversi, per poi avvertire


l’indolenzimento delle spalle, Ryan non riusciva a rendersi conto
di dove si trovasse. Nel tentativo di ricomporsi, allungare quindi le
gambe e muovere le mani sulla fredda superficie d’alluminio della
sedia a sdraio, quell’indolenzimento gli provocò quasi un certo
piacere, la sensazione di un lavoro ben fatto, portato a termine.
Era contento di essersele date, con quel tipo, e che la cosa fosse
infine arrivata in fondo. Era anche contento che quel tipo li avesse
visti.
Forse non aveva davvero mai avuto l’intenzione di svaligiare
il capanno di caccia: erano state solo parole. Forse, non fosse
spuntato Bob junior, avrebbe pensato a qualche altra scusa. O
forse, al momento decisivo, si sarebbe tirato indietro. Non ne era
sicuro.
Oppure era solo stanco. No, non era questo. Era stanco, sì,
nessun dubbio, e tutto un livido; ma questa cosa non c’entrava
niente col resto. C’era ben altro.
Era una sensazione di sollievo. Non devi più entrare di sop-
piatto in quel posto, adesso poteva ammetterlo. Non devi più
prendere quel denaro eccetera eccetera. Non devi sentirti incastra-
to e starti a preoccupare che lei possa spifferarlo a qualcuno. Non
devi più aspettare che succeda qualcosa. E non devi neanche star-
ci più a pensare.
Aveva voglia di una sigaretta. Si tastò il taschino della cami-
cia; niente. Non riusciva a vedere se c’erano delle sigarette, sul
tavolino dell’ombrellone; era troppo buio, laggiù. Nel girarsi a
guardare da quella parte, finì per voltarsi ancora di più e dare una
buona occhiata alla casa. La stanza che dava sul patio era buia, o
forse appena rischiarata da una flebile luce. Le finestre del piano
superiore erano altrettanto buie. Ryan si chiese se la ragazza fosse
andata a letto. Non aveva idea dell’ora. Le dieci passate, di sicuro.
Doveva aver dormito quasi tre ore. Valutò se farsi una nuotata,
per rilassare un po’ i muscoli, ma poi gli parve una cosa troppo
complicata, che non gli sarebbe stata di molto aiuto. L’indomani,
al risveglio, si sarebbe comunque sentito rigido come un pezzo di
legno, incapace anche del minimo movimento, e non c’era proprio
nulla da fare. Si chiese anche perché Nancy non avesse lasciato
almeno una luce accesa.

Nancy l’aveva sentito risalire la scalinata esterna e adesso, se-


duta nella poltrona gigante, al buio, lo vedeva transitare nel sola-
rium; poi far scorrere la porta a vetri ed entrare in casa; infine
fermarsi, per recuperare un minimo d’orientamento, e avviarsi allo
studiolo. – Ciao, – gli disse quando se lo trovò a pochi passi dalla
poltrona.
Lui non rispose subito. Era stato preso alla sprovvista, e gli ci
volle qualche secondo per localizzare la posizione della ragazza e
pensare a qualcosa da dire.
- Volevo farti una sorpresa, – disse poi.
- Non è che dormo qui nello studiolo -. Nancy rimase in at-
tesa.
Ryan le si fece più vicino per accendere la lampada.
- E dov’è che dormi?
- Di sopra.
- Fa’ vedere.
- Più tardi, – disse Nancy. – Lassù ho tutto quel che mi serve.
- Sarebbe?
- Roba che ho preso dal mobile bar -. Nancy lo guardò, a te-
sta appena abbassata, ma gli occhi sollevati. Ryan le restituì lo
sguardo. Aveva preso quella sua tipica aria un po’ da deficiente,
alla Ann- Margret, ma poteva pure andare.
- La birra è in frigo, – disse lei. Non si mosse.
- Non ho mica voglia di niente.
- Io sì, – disse Nancy.
- Non sapevo che ti piacesse la birra.
- A volte. Me ne prendi una? – Lo guardò che andava in cu-
cina e, con la coda dell’occhio, lo vide allungare una mano per
accendere la luce. Poi udì aprirsi la porta del frigorifero e richiu-
dersi dopo un istante.
- Non ce n’è, birra, – disse lui dalla cucina.
Nancy fissò la porta scorrevole, a vetri, il buio fuori, il debole
riflesso della stanza. Riusciva a vedersi, seduta in poltrona. –
Guarda nella credenza accanto al frigo. Giù in basso.
- Che sei, inglese, che ti piace la birra tiepida?
- Mettine un paio di bottiglie nel freezer. Ci vuole solo qual-
che minuto.
- Non è meglio prendere qualcos’altro?
- Non voglio qualcos’altro, voglio una birra.
Ryan si affacciò alla porta. – Ci credo.
Nancy attese. Lo udì aprire la credenza. Qualche piccolo ru-
more. Poi silenzio. Si mise a contare. Mille. Mille e uno. Mille e
due. Mille e tre. Mille e quattro…
- Non ce n’è mica, di birra, – disse Ryan.
Lei voltò la testa e guardò Ryan da dietro l’angolo dello
schienale.
- C’è solo un mucchio di vecchi portafogli, ma niente birra.
Nancy girò su se stessa, appoggiandosi al bracciolo. – Li hai
riconosciuti?
Lui la fissò. Pensoso, metodico. Infine si decise a entrare in
soggiorno. Accostò il poggiapiedi della poltrona di Nancy e si mi-
se a sedere.
- Non ho mai trattato male una ragazza, – disse. – Mai alzato
la voce, o messo le mani addosso.
- C’è della birra, giù dabbasso, – disse Nancy.
- Mi sa che prendo un’altra cosa.
- Fa’ pure. Dietro il mobile bar. La birra è nel frigo, proprio
in fondo.
- Lo chiami sempre così?
- Cosa.
- Il frigo.
Lei aggrottò appena la fronte. – Non sempre.
- È una parola stupida, – disse Ryan. Si alzò e imboccò la
scala a chiocciola che dava nel salottino da relax. A un’estremità
del bancone del bar c’era una lampada che diffondeva sul legno
ben trattato una morbida luce rosa. Scovò una bottiglia di bour-
bon e se ne versò una dose in un bicchiere da Old Fashioned. Dal
frigorifero prese il ghiaccio e la birra, mise due cubetti nel bicchie-
re e aprì la birra. Sul bancone c’era un piattino con delle sigarette
col filtro. Ne accese una, tirò una lenta boccata e bevve un sorso
di bourbon.
Nancy non si era mossa. Attese che Ryan sistemasse la birra,
un bicchiere e la bottiglia di bourbon sul tavolino accanto alla pol-
trona, e si mettesse a sedere sul poggiapiedi.
- Va bene, – disse lui. – Dimmi a che gioco giochiamo -. La
guardò, paziente.
- In certi momenti, – disse Nancy, – prendi tutto un altro to-
no. Devi essere un tipo umorale.
- Dimmi a che gioco giochiamo.
- Essere umorale va bene, se c’è una ragione valida per esser-
lo, ma secondo me un sacco di gente se ne approfitta.
Ryan finì il bourbon e si alzò in piedi. – Ti saluto.
- Il nome del gioco è questo, – disse Nancy. – Se non ti com-
porti da bravo bambino e fai quel che dico io, vado alla polizia di
stato con quei portafogli. Ha un nome un po’ lungo, questo gioco,
ma è un vero spasso.
- Come nome è proprio lungo, – disse Ryan. – Cosa ti fa
pensare che io c’entri in qualche modo?
- Me l’ha detto il tuo amico. Frank Comesichiama. È venuto
qui la scorsa notte e mi ha minacciato di andare alla polizia se non
gli davo cinquecento dollari per quei portafogli.
- Cinquecento dollari?
- Ci siamo messi d’accordo su ottanta.
- E perché pensava che fosse roba di tuo interesse?
- Immagino perché ti ha visto con la mia macchina. E ha
concluso che dovevamo avere una qualche storia, io e te.
- Be’, – disse Ryan, – questo è quel che dice lui.
- No, adesso lo dico io. E posso sempre dire che ti ho visto
uscire da quella casa. Ti ho seguito e ho raccolto il cartone della
birra quando l’hai gettato via.
- Ti stai dando un gran daffare.
- È perché ho bisogno di te.
Ryan scosse il capo. – No. Mi sa che hai scelto il tipo sbaglia-
to.
- E vedrai che se il tuo amico finisce in galera, – disse Nancy,
– darà tutta la colpa a te.
Ryan tornò a sedersi. Versò dell’altro bourbon sul ghiaccio
che già si stava sciogliendo. Bevve, davanti agli occhi l’immagine
di Frank Pizarro in una sedia bella rigida e l’agente dell’ufficio del-
lo sceriffo, J. R. Coleman, in piedi a interrogarlo.
- Mi sa che hai qualcosa in mano, – disse infine.
- Bene.
- Già. Capisco.
Nancy sorrise. – Molto bene. Ero quasi certa che da princi-
pio ti saresti incazzato, ma ti stai comportando proprio da bravo
ometto.
- Mettiamo le cose in chiaro, – disse Ryan. – Se io mi chiamo
fuori dal tuo piano, tu vai dritta alla polizia e la metti alle calcagna
di Frank Pizarro.
- Esatto.
- Di Bob junior che ci ha visto, non te ne frega un bel nulla.
- Proprio nulla.
- Ci devo pensare, – disse Ryan. Alzò il bicchiere. – C’è
dell’altro ghiaccio?
- Serviti pure.
- Non è che vuoi un’altra birra.
- Mi fa schifo, la birra.
Ryan andò in cucina a prendere il ghiaccio e tornò con il car-
tone della birra. Nancy lo guardò che lo piazzava sul poggiapiedi.
- Ci ho già pensato, – disse Ryan. – La risposta è no.
Nancy attese un istante. – Okay.
- E quindi questo la prendo io.
- Fa’ pure. A me non serve.
Lui sedette sul bordo del poggiapiedi, di faccia a Nancy, le
ginocchia a sfiorare le gambe della ragazza, piegate sotto il sedere.
– Guarda, – le disse, – vedi di non fare stupidaggini, va bene?
Quando la gente comincia a fare la spia, succede un gran casino.
La polizia comincia a farti domande e la faccenda va a finire sul
giornale e ti piaccia o no tutti quanti sapranno gli affari tuoi. Non
mi sembra una grande idea, non credi? Voglio dire, le cose qui ti
vanno più che bene. Perché vuoi mandare tutto a gambe all’aria?
- Pensavo solo che il tuo lavoretto di domenica sarà già nel
giornale di domani. E figurati quanto ne parleranno, a Geneva.
- Per un paio di giorni, forse.
- E tutti chiuderanno la porta a chiave.
- Questa è un’altra cosa ancora, – disse Ryan. – Bob junior
leggerà la notizia di un grosso furto e gli verrà in mente ogni cosa.
Insomma, abbiamo scelto il momento sbagliato.
- Perché non ti rilassi? – disse Nancy. Gli prese la sigaretta e
tirò una boccata, per poi adagiarsi di nuovo contro lo schienale.
Sfoderò il suo bel sorriso, e impostò uno sguardo dolce, intenso.
- Era solo un gioco, – disse poi. – Davvero pensavi che sarei
andata alla polizia?
- Se ti sembrava una cosa divertente.
- Jackie -. Con tono ferito, dispiaciuto.
- E se pensavi di riuscire a starne fuori, – disse Ryan. – Ma
non ce la puoi fare, a restarne fuori. Finisci con la foto sul giorna-
le, la storia della tua vita, ed ecco che di colpo tutti quanti vengo-
no a sapere i fatti tuoi. E finisce che Ray è nell’occhio del ciclone,
e ti butta via come una patata bollente.
Nancy si addossò al bracciolo, facendogli spazio sulla poltro-
na e battendo con la mano sul cuscino. – Vieni qui, – disse, e gli
rifilò il suo sguardo imbronciato ma allo stesso tempo comprensi-
vo. – Dai, facciamo pace.
Non devo accelerare troppo i tempi, pensò Ryan. Era un ri-
schio, proprio come tentare di accarezzare un animale e rischiare
di lasciarci una mano per mancanza di tatto. Tutti i portafogli sta-
vano nel cartone della birra, tutti quanti col nome del proprietario
all’interno, della persona derubata, e appena un istante prima lei si
era detta pronta a metterlo nei guai, senza scrupoli. Adesso invece
faceva la ragazzina e cercava di infinocchiarlo alla vecchia manie-
ra, sicura di poterci riuscire alla grande. E anche se si vedeva lon-
tano un miglio che fingeva, l’effetto era di gran lunga il migliore
che lui avesse mai visto.
Quel che fece, insinuandosi accanto a lei, fu di appoggiare le
mani alla spalliera della poltrona e avvicinarsi con la bocca alla
sua; mani che lo sostenevano, prima di spostarsi sulle spalle di
Nancy, mani – quelle di lei – che passavano attorno al collo di
Ryan, a giocherellare con i capelli; e lei che infine gli si stringeva
contro. Le loro bocche si separarono per un istante, il tempo ne-
cessario perché Nancy dicesse: «Andiamo di sopra».

Si incamminò verso casa con il cartone della birra, lungo la


spiaggia, lungo la battigia fredda e sabbiosa, con addosso la brez-
za della notte e il dolore nella mascella e nelle spalle. Si vide avan-
zare sulla spiaggia, nel buio, poi si vide accanto al letto, ad abbot-
tonarsi la camicia e infilarsela nei calzoni, Nancy una forma mor-
bida e scura contro le lenzuola bianche, che giaceva sulla schiena,
immobile, una mano sullo stomaco e le gambe appena divaricate,
gli occhi che lo guardavano con aria tranquilla e inespressiva. Gli
era già successo, di vestirsi davanti a ragazze ancora a letto. Gli era
già successo di dire cose che le facevano ridere, ridacchiare o sor-
ridere; cose che l’avevano spinto a saltare di nuovo addosso, a
quelle ragazze, a mettersi a fare la lotta con loro e cadere giù dal
letto con loro e dar loro una pacca sul sedere e salutarle con un
«Ci vediamo», e certe gli era capitato di rivederle, certe altre no.
Gli piacevano, le ragazze. Non aveva mai dovuto costringerne una
a venire a letto con lui, se vedeva che non ne aveva voglia. Né a-
veva mai detto un «Andiamo, se è vero che mi vuoi bene». Si era
divertito, con le ragazze, e le ragazze si erano divertite con lui. E
anche con Nancy gli era parso di essersi divertito. Adesso, però,
non ne era più tanto sicuro. Si era divertito perché c’era stato as-
sieme, oppure si era divertito perché era stata tutta una gigantesca
finzione, ed era forse quello il lato divertente di tutta la faccenda?
Ogni ragazza con cui aveva avuto a che fare era una persona
reale, in carne e ossa, e si ritrovò a chiedersi se avesse mai pensato
a Nancy come a un essere umano. Non riusciva a raffigurarsela,
da sola. Non riusciva ad immaginarsela che sbadigliava senza darlo
a vedere. La ragazzina sul sedile posteriore della station- wagon, la
ragazzina da dieci dollari con i due tipi e un dollaro per la birra,
ecco, neanche lei riusciva a immaginarsela come una persona rea-
le. Ma non aveva senso, lo starsene a pensare a tutto questo, e in
breve tornò a focalizzarsi su se stesso, sulla sabbia e l’oscurità e la
risacca. Mise giù il cartone della birra e con le mani a coppa tentò
di accendersi una sigaretta. E si vide le mani, alla luce del fiammi-
fero. Si vide rimettersi in cammino: Jack Ryan, gran scopatore, che
aveva aggiunto l’ennesima tacca alla pistola e poteva adesso con-
cedersi la sua brava fumatina.
E Leon Woody che dice:
No, Leon non dice proprio un bel niente. È Jack Ryan, a dir-
lo. Dice che il vero scopatore pensa solo di aver colpito e affonda-
to il suo bersaglio, come ogni buon scopatore che si rispetti. Ma la
verità è che è stato lui, il bersaglio di tutta questa faccenda. Preso
all’amo, colpito e affondato.
Qualunque mossa decidesse di fare, ormai, doveva prima si-
stemare la questione del cartone di birra, una volta per tutte. Si
stava avvicinando al Bay Vista, e gli venne in mente il terreno ab-
bandonato accanto alla casa del signor Majestyk.

Ryan era proprio come si era immaginata Nancy. Molto terra


terra, ma padrone di se stesso, e pure assai meticoloso. Sembrava
esserci nato, per quello. Un bel fisico – struttura ossea, muscolatu-
ra, movimenti studiati – che aveva di sicuro tenuto in conto, ap-
pena aveva scoperto che il mondo era pieno di ragazze. E, a cose
fatte, non aveva resistito a mettersi in posa, a prendersela comoda
nel rivestirsi, e anche questa cosa lei se l’era già immaginata.
Jackie era un tipo a posto. Sarebbe stato uno spasso, arraffare
la grana e dargli appuntamento a Detroit e passarci una settimana
assieme, in Florida o alla Grand Bahama e poi, prima di darci un
taglio, portarlo a casa a fargli conoscere sua madre.
Sdraiata sul letto, una mano sullo stomaco e l’altra a gioche-
rellare con una ciocca di capelli, Nancy si udì dire: «Mamma, ti
presento Jack Ryan». E vide sua madre, all’ombra di una palma;
portasigarette, accendino, vodka e acqua tonica sul piano di vetro
del tavolino. Vide sua madre posarsi in grembo il grosso romanzo,
togliersi gli occhiali da lettura e tenerli, così interrotta, appena sot-
to il mento, gli occhi fissi su Ryan e la bocca ad atteggiarsi in una
parvenza di sorriso. La testa, poi, leggermente piegata, all’erta,
quasi a voler annuire, un leggero sorriso e un lieve cenno del ca-
po, con uno sguardo che però non rivelava alcunché: riservata, lo
sbirciava attraverso due pietruzze marroni, lo scrutava e già senti-
va che c’era qualcosa di storto.
- Jack viene da Detroit, Mamma.
Occhio agli occhi, quelle pietruzze marroni. Occhio a Jack
Ryan. Lui allontana lo sguardo da Mamma. Mamma è mica male,
per i quarantaquattro anni che ha, un tipino chic e tutta in tiro,
perle e abiti bianchi per mettere in risalto l’abbronzatura. Ma Ryan
non è che si fida tanto. Lei non ha ancora aperto bocca, ma gli
mette comunque pensiero. Mammina lo fa sbarellare, imperturba-
bile com’è. Lui si infila una mano in tasca, per mostrare di essere a
suo agio, e dà un’occhiata alla piscina, piccola, di forma irregolare,
e poi alla casa, bianca e decorata a stucco, e cerca di farsi venire in
mente qualcosa da dire. Una bella scenetta, pensò Nancy. Un vero
spasso, portarlo fin laggiù e vedere che succede. Un vero spasso,
guardare Mamma che guarda Ryan, nel terrore che lui possa toc-
care qualcosa o venirle incontro, che lo guarda tranquilla ma inca-
pace di muoversi, nella speranza che lui se ne vada alla svelta.
- Mamma, ti presento Jack Ryan. Specializzato in furti con
scasso. Anche a randellare la gente non se la cava male. Ne ha
quasi ammazzato uno -. Questo, forse, l’avrebbe scrollata un po’.
Forse. Anche se nemmeno la faccenda di quei due tipi a
Lauderdale l’aveva schiodata più di tanto – i due che aveva cono-
sciuto al Bahia Mar e si era portata a casa visto che Mamma era
fuori e che ci sarebbe stata soltanto Loretta, la donna di servizio.
Aveva quindici anni, all’epoca. Ancora se li ricordava, quei
due tipi, con le mani sui fianchi, in calzoncini e magliette da foo-
tball, aderenti, con tanto di numero, 23 e 30 qualcosa. Erano alti
più di un metro e ottanta, capaci di ingollare una lattina di birra in
venti secondi scarsi, alti e un po’ scomposti e con le mani sui fian-
chi, tipica posa da timeout, ma pur sempre due ragazzini. Non li
metteva certo nella stessa categoria di un Jack Ryan. E non era
questione di dimensioni. Tutti quelli sotto i 21 anni o non ancora
sposati (un nuovo requisito), o mai finiti dentro per aggressione,
per lei erano ancora minorenni.
Si erano piazzati accanto alla piscina con tre confezioni di
birra da sei e una radiolina a transistor e i due ragazzi battevano il
tempo sul bracciolo delle poltroncine, quando non avevano una
birra in mano. Loretta, nera di pelle ma bianca di uniforme, com-
pariva ogni tanto sulla porta che dava nel solarium, a fronte ag-
grottata, nel tentativo di catturare l’attenzione di Nancy. – La do-
mestica ti vuole, – le aveva detto uno dei due. Ma Nancy aveva
fatto finta di non vederla, Loretta, e ai due ragazzi era venuta
l’idea.
- Questo fatto di essere spiati, mica mi piace tanto, – aveva
detto lei. – Da soli, ce la spasseremmo molto di più. – Vero, – a-
veva detto uno dei ragazzi. – A far cosa? – aveva chiesto l’altro. –
Tipo nuotare, – aveva detto Nancy. – Ma non ce l’abbiamo, il co-
stume. – E allora? – aveva detto lei.
Li aveva guardati farsi un’altra birra, mentre pensavano al si-
stema di togliersi Loretta dai piedi, anche se Nancy sapeva fin
dall’inizio come fare. Non la potevano certo chiudere a chiave
nella sua stanza; Loretta aveva la chiave.
E così avevano preso il materasso e la rete del letto di Nancy,
trascinandoli senza far rumore fino alla porta aperta della camera
di Loretta. Lei non se n’era accorta. Quando aveva alzato gli oc-
chi, e loro avevano udito la sua voce ormai attutita, nel vano della
porta c’era un materasso a strisce. I due ragazzi si erano messi a
ridere, e Nancy con loro, appoggiandosi alla rete del letto e am-
massando sedie a mo’ di cuneo tra il materasso e la parete oppo-
sta del corridoio. Poi erano scappati fuori, si erano tolti i vestiti
per poi gettarsi in acqua. I ragazzi. Nancy, invece, era andata in
camera sua e si era messa un costume a due pezzi, una sorta di
bikini. Poi aveva spento tutte le luci di casa, e anche quelle della
piscina, mentre i ragazzi strillavano: «Ehi, ma che succede!» Ma
quando era uscita e loro l’avevano vista, non avevano potuto trat-
tenere un gran sorriso: uno dei due si era fatto scappare un fi-
schio, e l’altro aveva detto: «E vai!» Giovani, bagnati atleti dalle
mutande fradicie.
Avevano giocato a chiapparello, più dentro che fuori, sempre
a tuffarsi e toccarsi sott’acqua, a spararsi un po’ di birra ogni cin-
que minuti. Alla fine, Nancy si era gettata su una sdraio a ripren-
dere fiato, il seno che le andava in su e giù e la pancia, già piatta di
suo, che le rientrava ancor più in dentro a ogni respiro. Quei due
erano rimasti a fissarla fin quando non si era alzata e stiracchiata e
gli aveva ancora mostrato un bel po’ di ventre piatto, per poi an-
nunciare che adesso andava a cambiarsi.
Ma già che c’erano, non è che a uno di loro gli seccava sgan-
ciarle il reggiseno? Le restava così difficile, arrivarci.
Si erano lanciati come un sol uomo, e mentre lottavano per
garantirsi l’esclusiva, Nancy aveva allungato una mano dietro la
schiena e se l’era sganciato da sola. Nell’avviarsi alla porta del so-
larium, sapeva benissimo che la stavano guardando. Entrò, si
chiuse la porta a vetri alle spalle e girò il fermo. Poi si tolse il reg-
giseno. Restò con la schiena rivolta alla porta fin quando non fu
certa che quei due si erano avvicinati alla porta, e uno di loro sta-
va cercando di girare la maniglia. Poi si voltò.
- Ehi, andiamo. Apri la porta, – disse uno dei due.
Nancy li guardò, uno per volta, quegli alti e snelli atleti che
cercavano di mostrarsi disinvolti, pur con le mutande bagnate. Si
infilò i pollici nella vita bassa delle mutandine del bikini e sorrise.
- Andiamo, apri.
- Cosa mi date in cambio? – chiese Nancy.
- Già lo sai -. Tutti e due risero.
- Andiamo, – ripetè quello di prima.
- Io me ne vado a letto, – disse Nancy.
- Apri la porta, che veniamo anche noi.
- Cosa mi date in cambio?
Adesso la stavano guardando, entrambi, seri e silenziosi. –
Cos’è che vorresti? – disse infine uno dei due.
- Cinquanta dollari, Charlie. A testa.
Ancora aveva in mente la loro espressione scema.
E quella di sua madre, qualche giorno dopo, il suo sguardo-
non- sguardo.
- È vera questa cosa, Nancy?
Sua madre aveva scoperto la faccenda dei due ragazzi perché
uno dei due aveva un ottimo rapporto col padre, una sorta di fra-
tello maggiore, e gli aveva raccontato tutto. Il padre- fratello mag-
giore l’aveva detto alla moglie, che l’aveva detto a un’amica, che
l’aveva detto alla madre di Nancy, con l’amica che aveva detto che
non credeva a una sola parola di tutta questa storia, ma che co-
munque la madre di Nancy non avrebbe fatto male a dare una
controllatina. E poi la scena (madre): sua madre seduta in sog-
giorno e Loretta qualche passo indietro.
- È vera questa cosa, Nancy?
Le pietruzze marroni negli occhi di sua madre le si erano in-
chiodate addosso. – Sì, è vera, – aveva risposto lei, osservando
con attenzione quegli occhi gravi, solenni.
Occhi che non parvero mutare espressione. – Ti rendi conto
di cosa stai dicendo? – le chiese sua madre. – E noi dovremmo
credere che ti sei concessa a quei ragazzi?
- Uh- huh.
- Non dire uh- huh, cara. O sì o no.
- Sì.
- D’accordo. Adesso dimmi il perché.
- Non lo so.
- Se questa ti sembra una cosa simpatica, hai mica pensato
alle conseguenze?
Nancy aveva esitato, incuriosita. – Quali conseguenze?
- Che la gente, – aveva detto con calma sua madre, – pos-
sa venirlo a sapere.
Nancy aveva iniziato a sorridere. Non riusciva a trattenersi. –
Mamma, sei davvero un tesoro.
- Non ci trovo nulla di divertente, – aveva detto sua ma-
dre. – Voglio sapere cos’è successo.
Nancy guardò Loretta, che guardò a sua volta la madre di
Nancy. – Quel che hai sentito è quasi sicuramente vero.
- Dice Loretta che se ne sono andati prima di mezzanotte.
- Perché, quanto pensi che ci voglia? – disse Nancy.
L’espressione solenne di sua madre non perse terreno. – Vo-
glio che tu ammetta che per te questa cosa non era altro che un
gioco, e assai poco divertente.
- Mamma, guarda che è vero. Sono stata io a farmi avanti.
- D’accordo, – disse sua madre, alzandosi e lisciandosi il ve-
stito sui fianchi. – Mi sembra che stiamo solo perdendo tempo.
- Davvero. Proprio così.
- Tocca a te decidere, – disse sua madre. – Ma fin quando
non dici la verità e cominci a fare discorsi sensati, tu fuori da que-
sta casa non metti più il naso -. Sua madre si voltò e fece per usci-
re dalla stanza.
- Posso dirti tutto quel che abbiamo fatto, – le lanciò alle
spalle Nancy. – Ti interessa sentirlo oppure no?
Non le interessava.
Qualche giorno dopo, Nancy disse a sua madre che solo una
parte della storia era vera, quella del materasso davanti alla porta
di Loretta. Allora sono stati quei ragazzi, disse sua madre, a inven-
tarsi tutto il resto, come una sorta di scherzo malvagio. Esatto,
disse Nancy, e le fu di nuovo permesso di uscire di casa a giocare.
Era andato tutto bene, ma si era trattato di un’autentica qui-
squilia. All’epoca era una ragazzina, mentre adesso era grande e
doveva pensare come tale. Tutto era relativo. E diventava relativo,
via via che cambiava il modo di accostarsi alle cose, e si passava a
sempre maggiori opportunità.
Giocare con i due ragazzotti era stato uno spasso.
Inventarsi tutta quella storia coi padri che la riaccompagna-
vano a casa era stato uno spasso.
Mandare su di giri Bob junior era stato uno spasso.
Cazzeggiare con Jack Ryan e pensare a come fregare i cin-
quantamila di Ray era stato uno spasso. Ma anche questo sapeva
di poco, a paragone di ciò che aveva in mente ora.
Se riusciva a metterlo in piedi. Se riusciva a far coincidere i
tempi, sai che botto sarebbe venuto fuori. Il più grosso di tutti.
14

Ryan finì di ripulire la piscina, coi bambini Fisher che lo


guardavano e gli chiedevano se potevano saltare in acqua a cercare
di toccare l’estremità della pertica, e lui che gli rispondeva che an-
dava un po’ di corsa e non aveva tempo di stare a giocare con lo-
ro. Oltretutto, non ne aveva voglia. Andò a prendere il rastrello e
la scatola di cartone senza incocciare nel signor Majestyk, e li por-
tò sulla spiaggia. Ancora non si era visto nessuno: un ottimo po-
sto per pensare.
Primo punto: c’era da preoccuparsi di qualcosa, oppure no?
C’era sempre, da preoccuparsi di qualcosa, quando gli altri si
mettevano in mezzo.
Anche prima che Nancy gli si parasse davanti con il cartone
della birra, c’era qualcosa di cui preoccuparsi. E comunque era
riuscito a disfarsene. Giusto quella mattina. Sepolto a un metro e
mezzo di profondità, nel famoso terreno abbandonato. Ma di
Nancy no, non era ancora riuscito a liberarsi. E neppure di Billy
Ruiz, o Frank Pizarro. Gli stavano ancora tutti addosso, e c’era il
rischio che gli cadessero dritti in testa. Forse l’unica soluzione era
levarsi di sotto appena in tempo. Sparire.
Poteva ancora intrufolarsi nel capanno di Ray. C’era ancora
tempo e modo per sistemare la cosa.
Era davvero strano. Si vedeva, introdursi là dentro, quello sì,
ma non gli suonava giusta. Si vedeva anche in compagnia di
Nancy, in giro qua e là, una grande coppia di ladri, ma anche que-
sta mica gli suonava giusta. Gli pareva d’essere scemo, a fare que-
sta cosa solo perché lo voleva lei. Un gioco, mica una cosa vera. E
il bello è che lei parlava della vita vera. Figuriamoci cosa c’entrava
questa storia con la vita vera. Non era certo come andarsene in
giro con Leon Woody. Quella sì che era stata vita vera. Ma adesso
sembrava appartenere a un passato lontano, un qualcosa destinato
a non ripetersi mai più. Come quando si era lasciato penzolare dal
tetto. L’aveva fatto, ed era una cosa che ancora poteva considerare
con soddisfazione, ma sapeva benissimo che non l’avrebbe ripetu-
to mai più.
Nella scarpa destra gli era entrata della sabbia. Se l’era appe-
na sfilata, e ne stava facendo uscire la sabbia, quando vide il si-
gnor Majestyk che attraversava la spiaggia. Non lo vedeva da mer-
coledì sera, dalla volta che gli avevano sbirciato nella finestra. Ma
andasse pure al diavolo, si disse Ryan, e gli piantò gli occhi addos-
so.
Lo sguardo del signor Majestyk passò oltre Ryan e si aggirò
per tutta la spiaggia, appena velato dalla luce del sole. – Che stai
facendo? – disse.
- Che sto facendo? Sto rastrellando la spiaggia.
Il signor Majestyk si era messo a guardare Ryan, adesso, la
fronte aggrottata. – Che ti è successo?
- Nulla.
- Non mi pare.
- Io e un tale abbiamo avuto da ridire.
- Figliolo, ogni volta che hai una discussione inizi a menare le
mani, non è vero?
- Non sono stato io a cominciare.
- Ascolta, c’è da passare un po’ di vernice alla numero cin-
que. L’avevo già fatto quasi tutto io, in primavera, ma è rimasta
fuori la cucina.
- E la spiaggia? – Ryan lanciò un’occhiata nella direzione di
una possibile comparsa di Nancy.
- Lasciala stare, – disse il signor Majestyk.
- Tra un po’ comincia ad arrivare gente.
- Va bene così. Mica è messa male.
- Non ne sono tanto sicuro, – disse Ryan. – Laggiù c’è un po’
di sporcizia, anche sui gradini.
- Va bene, quella toglila pure. Poi vieni a prendere la vernice.
C’è solo la cucina, da sistemare, una parete che è una vera schifez-
za. Numero cinque.
Ryan lo guardò, e si rese conto che il signor Majestyk l’aveva
già detto prima. – Cinque? La tipa che sta tutta sola?
- Già. Se n’è andata giusto ieri, e quindi siamo appena in
tempo prima che arrivino i nuovi clienti, domani.
- Numero cinque?
- Ho detto cinque, o no?
- A che ora è partita?
- Nel pomeriggio.
- E come mai? Che ha detto?
- Che ne so, come mai. Ha detto che se ne andava, e se
n’è andata. Mica le ho chiesto il perché. Spero che sia stata bene e
che voglia tornare, le ho detto. Tutto qui. Insomma, vedi un po’ di
raccattare quel sudicio e poi vieni a prendere la vernice -. Fece per
andarsene, poi tornò a girarsi verso Ryan. – Perché stavi facendo
tutto quel casino, stamattina?
- Che casino?
- Col bulldozer, Cristo santo, alle sette e mezza di mattina.
- Cercavo di finire alla svelta. Pensavo che sarebbe stata
una giornata piena, oggi.
- Cristo, alle sette e mezza. Stavo quasi per venire fuori. Poi
hai smesso.
- Be’, ormai è fatta, – disse Ryan.
Lasciò passare un’altra mezz’ora buona, a rastrellare la spiag-
gia, fin quando il signor Majestyk non riapparve e gli berciò di
darci un taglio, che era ora di pranzo. Nello scrutare in lontananza
non vide ancora traccia di lei. Smetti di preoccuparti, pensò. Se
proprio lo voleva, le sarebbe toccato venirlo a cercare.
Insalata di tonno e cipolle, per pranzo, con pomodori e pe-
peroni e un po’ di mais dolce e quel pane fatto in casa, e un paio
di birre a testa. Si misero a discutere se la birra era meglio in bot-
tiglia o in lattina, e poi se era meglio in bottiglia o alla spina, e alla
fine si trovarono d’accordo sul fatto che non faceva un beato caz-
zo di differenza. Bastava fosse fredda.
Il signor Majestyk disse Ehi, c’è la partita stasera. Detroit, a
Boston. McLain contro McDermott.
- Mi sa che comincia alle otto, massimo otto e mezza.
- Adesso vedo, – disse Ryan.

Un lavoro da imbianchino non l’avrebbe preso neanche mor-


to, anche se una volta ogni tanto ci poteva pure stare. Era una co-
sa un po’ diversa, in fin dei conti, e là dentro si stava tranquilli.
Finì uno sportello della credenza e scese dalla sedia. Ancora
aveva davanti agli occhi il volto di quella tipa. Si accese una siga-
retta e andò in camera da letto. Se la ficcò in bocca, tolse il fermo
alla finestra e cercò di sollevare il telaio. Si fece più sotto, e provò
a spingere con i palmi delle mani. Batté qualche colpo sul telaio e
tentò di nuovo. Niente da fare. C’era della vernice secca, a blocca-
re la finestra contro il davanzale. Probabile che non fosse stata più
aperta dalla scorsa primavera.
E ancora vedeva il volto della ragazza, a breve distanza, gli
occhi sbarrati e fissi nei suoi. Al grande amante che gli pareva
d’essere, quello era stato uno sguardo di selvaggia passione. Ades-
so, in quella stanza vuota, si rendeva conto che non era altro che
panico, puro e semplice. Quella povera figliola non voleva altro
che farsi aprire la finestra, e lui l’aveva mezza violentata.
Se almeno se la fosse trovata ancora davanti, anche solo per
un minuto. – Ascolta, – le avrebbe detto, – mi spiace che non ci
siamo capiti. Avevo pensato, vedi… – No, questo meglio di no;
qualcosa di simile, magari. E qualcosa le avrebbe pur dovuto dire.
Macché. Non l’avrebbe rivista mai più.
Però, ogni tanto, continuava a tornarle in mente, via via che
procedeva di pennello, e ogni volta che se la vedeva davanti mol-
lava una pennellata più robusta.
Avrebbe dovuto restare un giorno in più. E lui avrebbe potu-
to comportarsi meglio. Un po’ d’educazione. Avrebbe potuto invi-
tarla fuori, offrirle un Tom Collins, una cosa che di sicuro non le
era mai capitata.
Anche l’altro giorno avrebbe potuto trattarlo un po’ meglio,
Billy Ruiz.
Si mise a pensare a Billy Ruiz e a tutti gli altri, a chiedersi
come avrebbero fatto a rientrare a casa, se non potevano pagare a
Camacho il viaggio di ritorno.
Ammesso che fosse vera, la storia dell’autobus, che davvero
Camacho da loro voleva cinquecento dollari.
E Pizarro che ne voleva altrettanti per quei portafogli. Ma
che razza di storia era? Tutto quanto costava cinquecento dollari?
La prima cosa da fare, caso mai, era andare a scambiare due paro-
line con Frank a proposito dei portafogli e scoprire la verità
sull’autobus.
Arrivò il signor Majestyk a guardare come erano venute le
pareti, con quel colore verde chiaro.
- Anche dentro la credenza, – disse.
- Dentro? E chi ci guarda, dentro?
- Ne hai ancora, vernice?
- Credo di si.
- Ti vogliono al telefono, – disse il signor Majestyk.
- Ah sì? E chi è?
- Secondo te?
Seguì il signor Majestyk fino a casa sua, pulendosi le mani
con uno straccio imbevuto di diluente. Nel soggiorno, s’infilò lo
straccio nella tasca dei calzoni e sollevò la cornetta con la punta
delle dita. Il signor Majestyk se ne andò alla scrivania ad aprire e
chiudere cassetti, per poi mettersi a rovistare tra un mucchietto di
corrispondenza varia, stampe per lo più.
- Pronto?
- Ciao. Ho dormito fino a tardi, stamattina, – disse Nancy. –
Dopo la nostra sfacchinata.
- Me lo chiedevo proprio, – disse Ryan. – Non ti avevo visto.
- Pensi di fare un salto qui, stasera?
- Potrei, in effetti.
- Nove e mezza, – disse Nancy.
- così tardi?
- Ho una sorpresa per te.
- No, non è cosa, – disse Ryan. – Basta con le sorprese.
- Davvero. Però devi arrivare puntuale.
- D’accordo, allora.
- Dunque vieni?
- Sì, va bene.
- C’è qualcuno, con te?
- Uh- huh.
- Quello che ha risposto?
- Esatto.
- Si dev’essere incazzato, a doverti venire a cercare. Gli ho
detto che era una cosa urgente.
- Uh- huh.
- Penserà che devo avercela in fiamme.
- Allora d’accordo, ci vediamo più tardi.
- Nove e mezza, – disse Nancy. – Sali di sopra, lascerò la
porta aperta. Va bene?
- Va bene, – disse Ryan.
Nancy tolse la comunicazione.
Appena Ryan riabbassò la cornetta il signor Majestyk si alzò
dalla scrivania. – Già che sei qui, – disse, – puoi pure prendere
dell’altra vernice.
- Ne ho a sufficienza.
- Non si sa mai.
- Ne ho fin troppa.
- Ascolta, – disse il signor Majestyk. – Quella tipa al telefo-
no…
- Sì?
Il signor Majestyk sorrise, un po’ imbarazzato, mostrando
denti bianchi e perfetti. Poi fece spallucce. – Non vedo perché
dovrei dirti qualcosa, o sbaglio? Sei grande abbastanza.
- Stavo proprio per dirglielo io, – fece Ryan. Si avviò
all’uscita, ma si fermò sulla porta e tornò a guardare il signor Ma-
jestyk. – Come si chiamava la tipa alla numero cinque?

A lavoro ultimato chiese al signor Majestyk se poteva pren-


dere in prestito la sua macchina per andare a comprarsi qualcosa
da mangiare. Il signor Majestyk disse che poteva cenare con lui,
affettati misti e insalata di patate. Ryan lo ringraziò, ma doveva
procurarsi anche qualche oggetto personale, e quindi tanto valeva
che mangiasse un boccone giù in paese.
Non si fermò a Geneva Beach. Andò dritto alle baracche de-
gli stagionali e si fermò proprio accanto alla rimessa. Dentro, c’era
il solo Billy Ruiz, che si illuminò in viso alla vista di Ryan.
Ryan si guardò attorno. – Perché non l’hai lasciato dove ti
avevo detto io, il cartone della birra, là dietro il supermercato? –
L’espressione stupefatta che prese Billy Ruiz parve non vo-
lerne sapere di sparirgli dalla faccia. – Dove sta? – disse Ryan.
- Mi ha detto Frank che l’aveva gettato via quella sera stessa.
Col buio era meglio, secondo lui.
- E lui dov’è?
- Te l’ho detto, l’hanno buttato fuori.
- Ho sentito dire che doveva riportare indietro l’autobus
per conto di Camacho.
Billy Ruiz aggrottò la fronte. – E perché? Ha il suo, di fur-
goncino.
- Ho anche sentito che quel furgoncino era rotto.
- È sempre rotto, ma lo fa viaggiare lo stesso. Secondo te lo
lascerebbe qui?
- E allora chi è che lo guida, l’autobus?
- Non lo so. Adesso c’è un caposquadra nuovo, troverà qual-
cuno lui.
- Allora siete a posto, – disse Ryan.
- Sicuro, domani è giorno di paga, e poi ce ne torniamo a ca-
sa. Magari l’anno prossimo ci rivediamo, se ricapiti da queste parti.
- Magari, – disse Ryan. – Va’ a saperlo.
Sulla via del ritorno decise che mangiare qualcosa non era
una cattiva idea. Si fermò da Estellès, e poi andò al Pier Bar a farsi
un paio di birre e a guardare il sole che tramontava. Era proprio
un bel posticino.
15

Qualche minuto prima delle nove, Nancy si spogliò e si infilò


un pigiama dai calzoncini corti. Lasciò una lampada accesa in ca-
mera da letto, poi scese dabbasso e spense tutte le luci, inclusa
quella della cucina, e si assicurò che la porta sul retro fosse chiusa
a chiave. La porta del salottino da relax, al piano interrato, era
anch’essa chiusa a chiave. L’unica porta non sbarrata, in tutta la
casa, era quella a vetri che dal solarium dava accesso al soggiorno.
Nancy la fece scorrere, in silenzio, e tornò ad accostarla.
E adesso la grossa poltrona, quella col panchetto poggiapie-
di. La spinse un po’ in avanti, di modo che si trovasse più in linea
con la porta, più vicina ma sempre in penombra; poi si dedicò al
poggiapiedi. Era grosso e quadrato e pesante, senza rotelle; pote-
va sedersi in poltrona e puntare i piedi sul bordo interno di
quell’aggeggio, così massiccio che non si sarebbe spostato nean-
che di un millimetro.
Fu allora che si sedette, e mise la mano sul tavolino di fianco
alla poltrona. La tolse subito, per poi appoggiarla di nuovo e spo-
stare la lampada di qualche centimetro.
Lui poteva arrivare da un momento all’altro. Gli aveva detto
alle nove e mezza. Ma ci stava che avesse un po’ di ritardo, se ma-
gari era andato al The Pier e non riusciva a trovare un passaggio
per tornare e finiva per doversela fare a piedi. Ma non era mica
detto; poteva anche arrivare in anticipo, se era curioso. Che non si
facesse vedere, era un dubbio che non la sfiorava nemmeno. Era
da martedì sera che Ryan andava lì, e dopo l’ultima volta Nancy lo
considerava ormai preso all’amo. Poteva mettersi in posa quanto
gli pareva, e proclamare la sua indipendenza, ma in fin dei conti
era proprio come tutti gli altri, e lei non riusciva a immaginarselo
che rinunciava a un’occasione del genere.
Iniziò a pensare al giorno dopo, cercando di immaginarsi la
faccia di Ray nell’apprendere la notizia. Già si vedeva davanti agli
occhi la sua espressione, al suo ingresso in casa, lo sguardo torvo.
Sarebbe stata dura non scoppiargli a ridere sul viso, figuriamoci
trattenere il sorriso.
Ma quel che doveva fare adesso era restare all’erta e tenere gli
occhi bene aperti sul tratto di prato oltre la scura sagoma della
piscina. L’unica luce, all’esterno, era quella del lampioncino aran-
cione. Nell’avvicinarsi alla casa, lui ci sarebbe passato proprio sot-
to.

- Ehi, dov’è che te ne stai andando? – Eccolo, il signor Ma-


jestyk, proprio sul limitare del prato di fronte a casa sua. Alle sue
spalle, oltre le betulle, il faretto illuminava i silenziosi fenicotteri di
plastica e le pietre dipinte di bianco.
- Mi era parso che eri tu, – disse.
Ryan gli si avvicinò. – Me ne andavo un po’ sulla spiaggia.
Il signor Majestyk, una boccata dopo l’altra, si stava accen-
dendo un sigaro con un fiammifero da cucina, che poi spense
scuotendo la mano. – La partita è già cominciata. Ero andato a
guardarmela dai Fisher, ma dovevano mettere i bambini a letto.
- Chi è che aveva detto che gioca? Baltimora?
- Boston.
- Ah già, McLain. Magari mi fermo più tardi.
- Neanche un punto, nel secondo inning, – disse il signor Ma-
jestyk. – Il tuo amico è stato qui un’ora fa, – aggiunse poi, quasi
senza riprendere fiato.
- Chi sarebbe?
- Bob junior -. Il signor Majestyk tirò una boccata, gli occhi
su Ryan. – Dice che ti ha visto al capanno di caccia e ha creduto
che stavi sconfinando.
- È così che ha detto?
- Ha detto che tu gli hai detto che lavoravi qui, e che era ve-
nuto a controllare.
- E lei gli ha detto che era vero?
- Lavori qui o no? Gli ho detto che dovreste farvi un paio di
birre assieme, tu e lui, una volta o l’altra, e piantarla con le stron-
zate.
- Già me la vedo, questa cosa.
- Non è un cattivo figliolo -. Ryan tacque. – Com’è quel ter-
reno? – chiese il signor Majestyk. – Che ne pensi?
- Non saprei. Sembrerebbe a posto.
- Offre delle possibilità, secondo te?
- Be’, lui dice di aver beccato un cervo con uno.03, proprio
lassù, quindi le premesse sono buone.
Il signor Majestyk strizzò gli occhi per via del fumo. – Ma
che stavate combinando, voi due? Facevate a botte, Cristo santo, o
parlavate del più e del meno?
- Mi sa che era una situazione un po’ strana, – disse Ryan.
- Mi sa anche a me. Ascolta. Io voglio vedermi la partita. Se ti
va, fatti vivo -. Mollò un altro paio di boccate e rimase a guardare
Ryan che s’inoltrava nell’oscurità. Infine, senza fretta, attraversò il
prato di fronte a casa.
Ryan superò di una buona cinquantina di metri il lotto ab-
bandonato, prima di rendersi conto che ormai ci aveva già riflettu-
to sopra a sufficienza, e decidere di fermarsi. Guardò verso il lago,
verso i puntini di luce in lontananza. Guardò indietro, verso la
casa del signor Majestyk, verso il giardino e i fenicotteri illuminati
dal faretto. La finestra che scorgeva su un lato, un riquadro di lu-
ce, era la stessa in cui avevano sbirciato lui e Nancy. Quella non
era serata di western, ma di baseball, e quel tipo se ne stava avvita-
to alla poltrona, birra in mano e occhi inchiodati alla tv. Ryan a-
spettò ancora un paio di minuti, prima di prendere la sua decisio-
ne definitiva.
Tagliò per il terreno abbandonato e si avvicinò alla casa,
sempre dallo stesso lato, con la tv accesa e la voce del telecronista
– George Kell, l’aveva riconosciuto subito, con quel lieve birignao
campagnolo dell’Arkansas – e infine raggiunse la finestra e vide il
teleschermo e il signor Majestyk che lo guardava ipnotizzato, le
gambette corte allungate il più possibile sul poggiapiedi pieghevo-
le.
C’era Boston, alla battuta. Il lanciatore, per Detroit, era
McLain, che si concentrava, si piegava su se stesso e lasciava parti-
re una palla veloce e tesa, a scendere, che infilava il battitore senza
nemmeno permettergli di ruotare la mazza. George Kell, bello
tranquillo, disse che in tre inning quello era il quarto eliminato, per
McLain. Ragazzi, disse, quando quel ragazzino era in palla non ce
n’era per nessuno. Poi Ryan vide i Tigers, nel quarto, andare fuori
uno dopo l’altro, uno due e tre. Con Boston di nuovo alla battuta,
e McLain a fare i suoi lanci di riscaldamento, decise che insomma,
ma che cazzo, poteva pure sedersi a guardare un paio di inning.
Mica c’era fretta.

Dalle cinque del pomeriggio, Frank Pizarro si era già scolato


due bottiglie di rosso, e una da tre quarti di vodka. Vodka, perché
quel cazzo di emporio non ne aveva più, di tequila. – L’avete
comprata tutta voi, – diceva il commesso. Ma vaffanculo, tra un
paio di giorni si sarebbero tolti di lì, e allora l’avrebbe visto, quel
tipo, come se ne andavano a gambe all’aria i suoi affari.
Voleva tenerla in serbo, la vodka, portarsi dietro una bottiglia
intera, ma quel cazzo di vino gli aveva messo addosso una gran
sonnolenza, e quindi gli era toccato aprire la vodka per cercare di
tirarsi un po’ su. Adesso si sentiva bene, e vedeva tutto chiaro, le
case nell’oscurità, le luci alle finestre, in mezzo agli alberi. Si senti-
va bene, ma ci sarebbe voluta anche una sigaretta.
La ragazza sì che ce l’avrebbe avuta, una sigaretta.
Eccome. Forse ci sarebbe stato anche Ryan, e allora avrebbe
dovuto aspettare. Poco male. Prima o poi Ryan se ne sarebbe an-
dato, e la ragazza del signor Ritchie e del signor Ryan sarebbe ri-
masta da sola. E farla diventare la ragazza del signor Ritchie e del
signor Ryan e del signor Pizarro? Poteva mostrarle certe cose, lui,
altro che il signor Ritchie e quel cazzo di signor Ryan.
Lui, poteva aspettare, e appena era rimasta sola… insomma,
cosa avrebbe mai potuto combinare, lei? Ma se non doveva aspet-
tare era meglio.
Poteva uscire dall’ombra della casa e dai cespugli e vedersela
davanti, la ragazza, nella piscina, i capelli scuri e quel bel corpicino
che splendevano nell’acqua. Poteva tirar fuori la vodka e sedersi al
tavolino, questa volta, e sollevare la bottiglia quando lei finiva il
suo bagno.
No, niente vodka. Meglio reggerle l’asciugamano. Lei che se
ne arrivava con le mani sui fianchi e lo vedeva già pronto con
l’asciugamano. E lui poteva alzarsi e dirle: – Ecco, lasciati asciuga-
re, – reggendole quel cazzo di asciugamano neanche fosse un to-
rero.
Cristo, pensò Pizarro. Poteva già sentirla tra le sue braccia,
quando l’avvolgeva nell’asciugamano. E l’asciugava ben bene.
Poteva giocherellare un po’, nell’asciugarla, e lei che si mette-
va a ridere e gli appoggiava la testa sulla spalla e lui che, solo allo-
ra, la infilzava. – Voglio che mi dai cinquecento dollari -. E lei: –
Perché dovrei darti cinquecento dollari? – E lui: – Perché se no
vado a spifferare a qualcuno cos’è che stai combinando con Jack
Ryan -. E lei: – A qualcuno chi? – E lui: – A un certo signor Ray
Ritchie.
Ma quella casa del cazzo sembrava tutta al buio, sembrava
deserta. Lui aveva lasciato il furgoncino dall’altra parte della Shore
Road e se l’era fatta a piedi fino a The Pointe. La casa era quella,
non poteva sbagliare; ma luci, almeno da quella parte, non ce
n’erano. Allora fa’ il giro, si disse.
E se c’era Ryan, seduto nei pressi della piscina, e lo sentiva?
Già gli era andata bene, la volta prima, che Ryan non era in zona.
Ma poteva passare dal lato della casa che dava sulla spiaggia. Sicu-
ro, da quel lato c’era una visuale migliore. Poteva fare il giro largo,
passare dalla strada successiva, arrivare fino alla spiaggia e tornar-
sene indietro da quella parte. E anche se la ragazza non c’era, an-
dava bene lo stesso. Poteva aspettarla, oppure infilarsi in casa e
dare un’occhiata attorno. Sicuro, magari il signor Ritchie aveva
anche della tequila, da qualche parte, là dentro.

- Tutto a posto? – chiese il signor Majestyk.


Ryan era seduto sull’orlo del divano. Raccolse la lattina di
birra che aveva tra i piedi e la agitò. – Non ancora.
- Lo sai dov’è -. Il signor Majestyk si lasciò andare contro
lo schienale e riprese a guardare la partita e per un istante rimase
in silenzio.
- Quanto stanno?
- Uno pari.
- Due eliminati, uno in seconda, il terzo in battuta, – disse il
signor Majestyk. – Tu che lancio faresti?
- Forse una palla curva, bassa e fuori portata -. Ryan vide il
battitore che spediva la pallina in foul, nei pressi del box del sugge-
ritore di terza base.
- Mica ha intenzione di prenderla, – disse il signor Ma-
jestyk.
Ryan non toglieva gli occhi dallo schermo. – Non è detto. Se
la fai volare sopra quel muretto, sulla sinistra, ti becchi due basi
come niente.
E George Kell, una voce da dentro il televisore, disse: –
McLain finirà proprio per trovarseli davanti tutti quanti, i battitori
di Boston.
- Dritto sulle mani, forza, – disse il signor Majestyk.
- Fallo indietreggiare, quel figlio di puttana. Così, se per caso
la prende, la prende col manico.
- Meglio una palla bassa, – disse Ryan.
- Te l’avevo detto, – fece il signor Majestyk quando il battito-
re colpì la palla dritta verso il seconda base.
- Comincia il sesto inning, due punti di vantaggio, vediamo se
i Tigers riusciranno a combinare qualcosa di buono. Immagino
che a Denny McLain non darebbe tanto fastidio.
- È in gamba, – disse il signor Majestyk. – Lo sapevi?
- Kell, – disse Ryan. – È stato un buon giocatore.
- Lo sai che in carriera ha conquistato più di duemila basi?
- Duemilacinquantadue, – fece Ryan.
- E lo sai che dov’è nato – Swifton, Arkansas – hanno messo
un cartello all’ingresso del paese? SWIFTON, ARKANSAS: IL PAESE
NATALE DI GEORGE KELL.
Ryan bevve un sorso di birra. – Mica lo so, se mi piacerebbe
un cartello del genere. Magari arriva qualcuno, capisce che sei
chissà dove a giocare a baseball, e a casa tua non c’è nessuno, en-
tra dentro e si porta via tutto. Oppure hai un periodo che giochi
di merda, e qualche cretino di tifoso ti viene a prendere a sassate
la finestra.
- Può succedere, – disse il signor Majestyk. – Ma quando uno
è bravo come Kell, deve anche saper accettare un momentaccio, e
non buttarsi giù più di tanto. D’accordo, un tale ti prende a sassa-
te. E tu fai riparare la finestra. Ascolta, se batti come batteva Kell,
i lanciatori ti tirano d’ogni cosa, in continuazione, ed è peggio di
qualunque sassata, perché si tratta della tua vita, di quel che fai tu.
Te ne stai lì, e questo è quanto. Quando ti arriva una palla buona,
la batti e via.
- O aspetti che sbaglino, – disse Ryan.
- Certo, anche così. Ma in un modo o nell’altro ti tocca star-
tene lì. Forse, se tu fossi rimasto, – proseguì il signor Majestyk, –
nel mondo del baseball, intendo, forse un giorno o l’altro avreb-
bero messo un cartello anche per te.
- Sicuro.
- Voglio dire, se non era per quella schiena.
- La vuole sapere una cosa? – disse Ryan. – Anche con la
schiena a posto, una cazzo di palla curva non l’avrei mai saputa
beccare.
Nancy vide il movimento, proprio in fondo al prato: la sa-
goma che veloce passava sotto la luce arancione, per poi uscirne
subito, invisibile per un attimo, e che adesso attraversava il giardi-
no e s’infilava nella fitta ombra dei pini; e continuò a passarsi il
dito sulla ciocca di capelli, giù lungo la fronte. Si era messa bella
comoda, i piedi a toccare il bordo del grosso panchetto, le ginoc-
chia piegate e quasi all’altezza degli occhi. Non si mosse. Per un
istante si chiese che bisogno avesse, lui, di muoversi così di sop-
piatto. Non doveva far altro che attraversare il giardino ed entrare
in casa. Poi, quando riuscì a scorgerlo di nuovo, accanto alla pisci-
na, dovette togliersi la mano dal viso, per lasciarla cadere sul tavo-
lino e, non certo a tastoni, avvolgerla attorno al calcio – duro, li-
scio – della pistola da tiro.
Nancy rimase in attesa. Chissà se lui aveva girato attorno alla
casa, pensò, per passare dal retro. Non c’era ragione, in realtà, a
meno che non volesse dar prima un’occhiata al garage o alla stra-
da, tanto per essere sicuro. Rumori non ce n’erano, né dentro né
fuori.
Rimase in attesa, perché sapeva che lui sarebbe riapparso.
Sapeva anche – lì seduta, di fronte alla porta a vetri scorrevole a
neanche cinque metri di distanza dalla poltrona, gli occhi piantati
sul vetro e assolutamente immobili – sapeva alla perfezione quel
che stava per fare.
Rumori, neanche uno. Poi, sì, eccone uno, appena accennato.
Come di qualcosa che strisciava sulle scale di legno. Vide spuntare
la sua testa, una forma scura a contrasto col solarium, le spalle, il
corpo. Eccolo, che per un istante guardava giù nel prato. E mentre
lui si voltava verso la porta, Nancy alzò la pistola e ne appoggiò la
canna sulle ginocchia piegate. E mentre lui faceva scorrere, con
calma, la porta a vetri, ed entrava nella stanza, Nancy disse: – Cia-
o, Jackie.
E lo udì dire: «È…», o qualcosa del genere, ma niente più.
Con la pistola ben puntata, ad altezza occhi, bersaglio al centro
del mirino, Nancy sparò quattro volte e continuò a sparare anche
quando lui era già arretrato, barcollante, nel solarium per poi an-
dare giù, e sarebbe stata pronta a giurare di aver sentito un rumo-
re di vetri rotti, nel patio, come se qualcuno avesse lasciato cadere
una bottiglia, un bicchiere.
Nancy si tirò su dalla poltrona. Era più d’un’ora, che stava
seduta lì. Avrà gli occhi aperti, o chiusi? si chiese, avviandosi al
solarium.

- Perché lo sostituiscono, McLain? Cristo santo, gli ha con-


cesso un paio di battute e quelli lo fanno fuori.
- Erano due belle sventole, – disse Ryan. – Tutt’e due.
- E così hanno due basi occupate.
- A quello in seconda, – disse Ryan, – bisogna che ci stiano
attenti. Ehi, sa mica che ore sono?
Il signor Majestyk consultò l’orologio. – Un quarto alle dieci.
Io non lo toglierei. Quante battute ha concesso?
- Sei, più o meno.
- Sei valide. Tutte singole? Insomma, non è che lo freghi tan-
to bene, questo ragazzo.
Guardarono il manager che se ne tornava alla panchina.
McLain rimase al suo posto, sulla montagnola, continuando a sba-
tacchiare la palla nel guantone.
- Be’, sembra proprio che Denny resti dov’è, – disse George
Kelly. – Per ora, non è messo tanto male. Due uomini in base,
uno in prima e uno in seconda.
Il signor Majestyk si stava districando dalla poltrona reclina-
bile. – Proprio adesso, mi deve scappare da pisciare. Vuoi una bir-
ra, già che sono in piedi?
- Sono a posto.
- Vuoi qualcosa di più forte? Uno highball? Non fare compli-
menti.
- Dovevo vedere una persona, alle nove e mezza, – disse
Ryan.
- Credevo tu l’avessi già vista -. Il signor Majestyk fece don-
dolare i piedi nel vuoto.
- No, avevo solo fissato. Perché non guardare un paio di
inning, mi sono detto poi.
- Pensi che finirà per prendersela?
- Non ne ho idea.
- E te ne frega qualcosa?
- Be’, prima o poi le devo parlare.
- Tocca a te decidere.
- Sarà meglio che mi tolga il pensiero, – disse Ryan.

Qualcuno, concluse Nancy, avrebbe dovuto scrivere un pez-


zo su Jack Ryan per il «Reader’s Digest», LA PERSONA PIÙ FORTU-
NATA CHE HO CONOSCIUTO IN TUTTA LA MIA VITA, MA PROPRIO
TUTTA.
Dapprima, nel trovarsi sotto gli occhi Frank Pizarro, si era
spaventata, risentita e, infine, incazzata. Però non era andata del
tutto storta, aveva poi cominciato a pensare, nel trascinare Frank
in soggiorno e farsi scivolare la porta alle spalle. Quel tipo se l’era
meritato, né più né meno di Ryan. Doveva prenderla con filosofia,
accettare questi piccoli inconvenienti come farebbe una persona
adulta. Non aveva beccato Ryan, ma il suo amico sì, e anche
quest’ultimo le avrebbe fatto gioco. Era morto, e l’aveva ucciso lei.
Accese tutte le luci del soggiorno, poi quella della cucina e
anche la lampada da tavolo, nello studiolo. Prese la cornetta del
telefono, poi la rimise giù e si spostò in fretta verso il tavolino di
fianco alla poltrona. Si era quasi dimenticata le prove. Dal cassetto
del prese tavolino il suo portamonete, un orologio, una collana di
perle, alcune spille, e infilò il tutto nelle tasche di Frank. In testa le
ronzava la voce di un poliziotto, o di chissà chi, che le chiedeva:
«Se l’è trovato in camera?» E la sua stessa voce, a rispondere:
«L’ho sentito, sì, ma ho cercato di non fare rumore. Sono rimasta
ad aspettare. Non mi sono azzardata a scendere giù fin quando
non mi è parso che se ne fosse andato. Non so cosa mi ha spinto
a prendere la pistola. L’avevo comprata io, con l’intenzione di re-
galarla al mio boss, il signor Ritchie». Quest’ultimo tocco la fece
sorridere. Geniale. Soprattutto se i giornali lo riportavano parola
per parola. «Il mio boss». Oppure, ancora meglio, «Zio Ray».
Era nello studiolo e stava per impugnare di nuovo la cornet-
ta, appena dentro la porta e con lo sguardo rivolto in direzione del
soggiorno. Di colpo tornò a rimettere a posto il telefono e si tolse
dalla soglia.
Wow. Ecco Jackie che arrivava dal solarium.
Gli concesse tutto il tempo di dare una bella occhiata a Frank
Pizarro. Poi inspirò a fondo, espirò piano piano e si lisciò lo scollo
a V del pigiama. Infine entrò nel soggiorno proprio mentre Ryan
si stava rialzando dalla sua posizione inginocchiata. Lo vide passa-
re sopra le gambe di Frank Pizarro. Vide anche il suo sguardo che
saliva di colpo.
- Sempre in ritardo, – disse Nancy. – O sbaglio?
- Credo di sì, – disse Ryan. – Lo sai, che è morto?
Lei annuì, conscia che Ryan le aveva piantato gli occhi ad-
dosso. – È venuto a chiedermi degli altri quattrini, – disse. – Ha
detto che altrimenti sarebbe andato a denunciarti alla polizia.
- Vi siete messi a parlare e poi tu gli hai sparato.
- Solo quando mi è saltato addosso. Mica subito.
- Per caso avevi una pistola.
- L’ho presa quando l’ho sentito bussare, – disse lei. – Non
sapevo chi era, e così ho cercato subito la pistola.
- L’hai già chiamata, la polizia?
- Ancora no.
- Cos’hai intenzione di raccontargli?
Lei sostenne il suo sguardo. – Che ho sparato a un malinten-
zionato.
^ E poi, domani, – disse Ryan, – ti ritrovi la foto sul giornale.
- Mica ci avevo pensato.
- E forse anche su qualche rivista. Life, magari.
- Lo credi davvero?
- Basta che ti metti un paio d’occhiali scuri, quando esci di
casa, e vedrai come la gente ti segna a dito. «Eccola, è lei».
- Sul serio?
- E metti che a qualcuno, giù a Hollywood, capiti di vedere
questa ragazzina tanto graziosa, capelli lunghi e bel culetto, che ha
sparato a un tizio nella casa al mare del suo amichetto miliardario,
ed è fatta.
- Ehi, mica male.
- Ray è nella merda perché tutti quanti, a cominciare da sua
moglie, sanno cosa stava combinando, ma tu mica puoi stare a
preoccuparti di Ray, in questo momento, no?
- Ma che sfiga, poveretto, – disse Nancy.
- Che te ne fai, di quei cinquantamila. T’è bastato sparare
a un raccoglicetrioli, per trovare la felicità.
- Tipo la favola di Cenerentola, – disse Nancy. – Mi piace,
questa storia -. Si diresse alla poltrona e si lasciò scivolare dentro,
con l’aria di chi rimugina sull’intera faccenda e la trova di suo gra-
dimento.
- Quante volte gli hai sparato?
- Non lo so. Mica le ho contate.
- Gli hai sparato quando entrava.
- No, prima l’ho sentito. Ma dalla mia stanza sono uscita solo
quando ho creduto che se ne fosse andato via. Poi, quando sono
scesa dabbasso, era lì che mi aspettava.
- Guarda che gli hai sparato mentre entrava dalla porta, –
disse Ryan. – Sette volte. Mica ha bussato. È entrato, e basta.
Nancy prese un’aria un po’ stupita. – Certo. Perché l’avevo
lasciata aperta per te, quella porta. Però lui ha bussato.
- Quel che voglio dire, – fece Ryan, – è che tu non volevi cer-
to uccidere Frank.
- Ma certo che lo volevo uccidere.
- Pensavi che fossi io, invece.
- Come no.
- Volevi uccidere me.
Nancy mantenne la calma. – Io volevo… cosa?
- Per un mucchio di ragioni, – disse Ryan. – Ma soprattut-
to perché ti sembrava un vero spasso -. Tacque, per poi andare a
sedersi sul poggiapiedi, proprio di fronte a lei.
- E lo è stato? – le chiese poi.
- Non è stato male.
- Ma non come credevi.
- Non è buffo?
Nancy lo seguì con gli occhi. Ryan si era alzato e si dirigeva
verso lo studiolo. – Dov’è che vai?
- A chiamare la polizia.
- Lo faccio io.
- Rischi di sbagliare tutto.
- Se fai la spia, Jackie, giuro che ti metto in mezzo.
Ryan si fermò sulla soglia. Era stanco. Scosse la testa, lenta-
mente. – Ehi, andiamo, d’accordo?
- Faccio sul serio. Dirò che eravate assieme, tu e lui. Tirerò
fuori la storia dei portafogli.
- Va bene, – disse Ryan. – Diglielo pure, dei portafogli.
Entrò nello studiolo e prese il telefono, e lei lo udì chiamare
il centralino. – Vorrei la polizia di stato -. Un lungo silenzio. Lo
udì dire: – Intendo denunciare una sparatoria, – e ancora silenzio.
Poi, altre parole: – A The Pointe… L’abitazione di Ray Ritchie…
Eh?… No, lo vedrete al vostro arrivo.
Mentre tornava in soggiorno, fu Ryan a udire la voce di lei. –
D’accordo, Jackie. Te la sei proprio cercata.
Col piede, Ryan spinse il pesante panchetto di fronte al mas-
siccio mobile tv in noce, dal quale avrebbe potuto ricavare un cen-
tocinquanta dollari, e si mise a smanettare sulle manopole fin
quando non ottenne un’immagine soddisfacente, a fuoco, con
McLain che era ancora sulla pedana del lanciatore. – Due sulle
basi, due eliminati, nono inning, – disse George Kell. Ryan si se-
dette sul poggiapiedi, si mise comodo.
Nancy si appoggiò al bracciolo della poltrona e rimase a
guardarlo per parecchi lunghi secondi, quasi un intero minuto.

- Jackie? – gli disse, e attese. – Jack, furbacchione che non sei


altro. E se gli dicessi che sei arrivato tu e l’hai colto sul fatto e vi
siete pestati ben bene? Che ne dici? Già lo sembri, reduce da una
scazzottata.
Silenzio.
- Gli dirò che mi hai salvato la vita. Che me l’hai tolto di dos-
so e – sta’ a sentire – che sono andata a prendere la pistola, men-
tre voi due vi stavate picchiando. Che lui stava per colpirti con
qualcosa, che so, l’attizzatoio, e io sono stata costretta a sparargli.
Il solito, piccolo sguardo stupito le fece spalancare gli occhi.
– Ehi, Jack, in questo modo avremo entrambi la foto sul giornale.
E pure su Life. Una foto bella grossa, tutti e due con gli occhiali
da sole. E ci finiamo tutti e due, nel mondo del cinema. Non ti
sembra uno schianto? – Poi spalancò anche la bocca, oltre che gli
occhi, chiaro che fingeva ma, in fondo, quell’idea non le suonava
poi tanto male.
Ryan la guardò. La guardò finché non fu certo che lo stesse
guardando – e ascoltando – anche lei. – Già ci sono finito, in un
film, – le disse.
Riportò gli occhi sullo schermo, proprio mentre McLain tira-
va in su la gamba e lasciava partire un lancio dall’altezza della spal-
la, con un uomo in base. Quel figlio d’un cane era bravo, certo,
ma si metteva sempre nei guai.
- Guarda che dico sul serio, – fece Nancy. – Potrebbe fun-
zionare. Sarebbe più divertente, con qualcun altro -. Attese anco-
ra, lo guardò. – Mi vuoi stare a sentire? Sarebbe uno schianto. Gli
raccontiamo la nostra storiella e in capo a un paio di giorni sal-
tiamo in macchina e via, dove ti pare, basta partire. Jack, ascolta-
mi!
McLain lanciò un’occhiata al corridore in prima base, si fer-
mò un istante, e poi lanciò. – Palla veloce, interna e un po’ alta, –
disse George Kell.
- Possiamo farla sembrare buona, – disse Nancy. Tacque,
pensierosa, prima di alzarsi dalla poltrona. – Dire che era un uo-
mo violento. E infatti, – le sue mani salirono allo scollo a V, –
prima che riuscissi a prendere la pistola, mi aveva già abbrancato
per strapparmi il pigiama -. E lacerò la giacca del pigiama, dalla
punta dello scollo fino all’orlo. Poi ne spalancò i lembi. – Jackie, –
disse, – guarda cosa mi ha fatto.
Ryan alzò gli occhi. Annuì e tornò a guardare la tv.
Nancy ci pensò su per un istante. – E poi, all’improvviso, ha
dato fuori di testa e si è messo a spaccare tutto.
Afferrò l’attizzatoio e lo schiantò contro il quadro appeso
sopra il caminetto. Il faretto che lo illuminava fu ridotto in bran-
delli. Fece scempio di una vetrinetta, in soggiorno, e si diresse in
sala da pranzo, seminando distruzione al suo passaggio; ogni mi-
nimo pezzo di vetro e cristallo e porcellana che le capitava a tiro,
vasi e vasetti, portacenere, figurine e uno specchio finirono per
scomparire in mille pezzi. Spaccò l’intera vetrata isolante –
un’intera parete – che fronteggiava il solarium, staccando persino i
frammenti di vetro che ancora spuntavano dall’intelaiatura. E le
lampade le lasciò per ultime, massacrandole una a una, con la
stanza che via via si faceva sempre più buia, illuminata alla fine
soltanto dalla luce opaca e biancastra dello schermo della tv.
Cadde il silenzio. Nancy era accanto alla poltrona, nel suo pi-
giama tutto strappato. In tutto quel silenzio, con lei immobile,
l’unico segno di vita era la voce di George Kell. – Parità assoluta,
alla fine del nono inning, con Detroit adesso alla battuta. Se pro-
prio devono giocarsi tutte le loro carte, questo è il momen…
Ryan tolse l’audio. La testa incassata tra le spalle, illuminato
dal bagliore biancastro del tubo catodico. Alle sue spalle, Al Kali-
ne provò un paio di swing nel cerchio del battitore.
- Hai rotto ogni cosa? – le chiese.
Lei parve annuire. – Mi sembra di sì.
- Allora, perché non ti siedi?
- Jackie…
- Basta così, d’accordo? Una sola parola e ti mollo una sberla,
e non vorrei proprio arrivare a tanto.
Proprio mentre Al Kaline prendeva posto nel box di battuta
e si metteva in posizione, toccando il piatto con la punta della
mazza e scavando una buca per il piede con lo scarpino chiodato,
udirono la prima, flebile sirena che risaliva Shore Road.
- Siediti, datti una calmata, – disse Ryan. – Non devi pensare
ad altro.
Nancy si raggomitolò nella poltrona, adagio, sostenendosi a
uno dei braccioli, il viso nel palmo della mano. Prese a fissare la
piscina e il prato e il puntino di luce arancione che si stagliava
contro il cielo notturno. Un dito iniziò a scorrerle lieve giù per la
ciocca di capelli, liscia, scura, morbida.

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