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Elmore Leonard - Jack Ryan, Frank Ryan, Ernest Stickley Jr. - 01 - Il Grande Salto
Elmore Leonard - Jack Ryan, Frank Ryan, Ernest Stickley Jr. - 01 - Il Grande Salto
Il grande salto
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Variante (errata) di spic o spik, termine offensivo riferito ai latinoame-
ricani
dire ecco dove puoi cacciartelo, amico caro. Se non l’ho rincor-
so…
- Stava cercando rogne col lanternino, – disse Ryan. – Non
fossi stato io, sarebbe stato qualcun altro.
- È la stessa cosa che ho pensato io, – disse il signor Ma-
jestyk. – Ce l’hai, tempo per un’altra?
- Penso di sì.
- Di un tavolo che ne dici? Ci stiamo più comodi. Ryan lo
seguì. Era un bel posticino. Odore di birra, d’accordo, ma non si
trattava di una bettola di paese o di un bar da una botta e via. Era
un bar da spiaggia, da porticciolo, con tanto di rete da pesca e sal-
vagente e oggetti d’ottone alle pareti bianche, e una buona vista
sulla darsena. Tranquillo, sì, ma non troppo. Un juke- box in sot-
tofondo, e la gente che chiacchierava, si rilassava, nessuno vestito
a festa; gente che se n’era uscita in barca e si era fermata lì a farsi
un paio di birre. Era proprio un bel posticino. Ci aveva fatto subi-
to caso, alla cameriera, e anche lei non era affatto male: bionda,
coda di cavallo, calzoni rossi aderenti. Gli era passata accanto nel
dirigersi verso il bancone a ritirare le consumazioni da servire, in
un punto contrassegnato da maniglie ricurve e cromate, simili alla
sommità della scaletta di una piscina.
Poi, al tavolo, con un grosso boccale di Michelob e un paio
di sacchetti di Fritos e qualche nocciolina salata; il signor Majestyk
che gli faceva domande su Camacho e sulle sue capacità di capo-
squadra, e continuava a sbagliare le consonanti, aveva una bella
lingua sciolta ma accidenti quanto chiacchierava.
Poi, per forse un minuto, non disse più nulla. Ryan si guardò
attorno e bevve un sorso di birra e infine il signor Majestyk ripre-
se a parlare. – Ascolta, vuoi che ti dica una cosa?
- Sentiamo.
- Quando eravamo al bancone, non avevo intenzione di
rivolgerti neanche la parola. E poi mi sono detto: «Ma chi se ne
frega».
- Ah sì?
- Lo sai che hanno un filmino, di te che meni quel tale?
- L’ho sentito dire.
- L’ho visto l’altro giorno. Tre volte.
Adesso Ryan lo stava guardando. – E come mai gliel’hanno
fatto vedere?
- Be’, metti che non avessero lasciato cadere le accuse e fos-
sero andati al processo. Ti sarebbe toccata udienza con me -. Il
signor Majestyk tacque. – Sono il G.P. del posto, il giudice di pace.
Ryan gli tenne gli occhi addosso.
- Ti sto solo dicendo perché ho visto il filmino, ecco tutto.
- E a che scopo, questa birra?
- Sono anche membro della Camera di Commercio.
Ryan non sorrise. – Devo proprio andare.
- Amico, se questa faccenda ti rende nervoso, altroché se fai
bene, ad andare.
- Non c’è proprio niente che mi rende nervoso -. Ryan sor-
seggiò la birra.
- E però ti hanno detto d’andartene -. Il signor Majestyk atte-
se che Ryan si fosse un po’ rilassato. – Non ci sono accuse, contro
di te. Come fanno a costringerti ad andare via, se tu vuoi restare?
- S’inventeranno qualcosa. Vagabondaggio, o roba del gene-
re.
- Soldi, ne hai?
Ryan lo guardò. – Quanto basta.
- E allora, come fanno ad arrestarti per vagabondaggio? Ti è
già successo altre volte?
- No.
- Girava voce su altri tuoi precedenti arresti, un paio. Furto
d’auto?
- Rubata, sì, ma solo per farci un giro. Pena sospesa.
- E questa storia di resistenza all’arresto?
- C’era uno che mi stava rompendo i coglioni. Gliele ho date.
- Lo sbirro?
- No, prima.
- E con cosa?
- Con una bottiglia di birra.
- Rotta?
- No, quel tipo aveva cercato di tirar fuori qualcosa. Non è
che mi hanno arrestato per percosse. È stato dopo, quando lo
sbirro mi ha detto di gettare la bottiglia.
- Non l’hai gettata abbastanza alla svelta.
Ryan si era messo a guardare la cameriera. Lei aveva assunto
quell’aria in maschera tipica delle cameriere, che nulla rivelava, se
non farti sapere che non eri proprio niente di speciale. Ci stava
che non fosse altro che una tipa piena di sé, una che era solamen-
te stupida ma non lo sapeva. Tipe come quella lo facevano incaz-
zare. Eppure era carina: camicetta inamidata, a ruches, e quei cal-
zoni rossi, aderenti, una sorta di completo da spadaccino. Arrivò
con un altro boccale di birra. Ryan guardò il signor Majestyk rifi-
larle una bottarella sul culo, e lei che sembrava non farci caso.
- Com’è che ti chiami, tesoro? – La manona dell’uomo posa-
ta, con delicatezza, su quel fianco fasciato di rosso.
- Mary Jane.
- Mary Jane, ti presento Jack Ryan.
- Già l’avevo visto, – disse lei, e guardò Ryan nel sistemare il
boccale sul tavolo. Lui incrociò gli occhi della ragazza, cosa che gli
provocò una strana sensazione. L’aveva già visto prima. Sapeva
chi era. Aveva già preso delle decisioni sul suo conto. La osservò
voltarsi di nuovo verso il bancone, una piacevole figuretta in cal-
zoni rossi aderenti.
- Con certa gente, l’avrei usata volentieri anch’io, una botti-
glia di birra, – disse il signor Majestyk. – Avevo una mescita a De-
troit, quanto sarà ormai, quindici anni fa? Ci venivano gli operai
alla fine del turno in fabbrica, alla Dodge Main. Tutti quanti, uno
dopo l’altro, un bicchierino e una birra. E io già glieli facevo tro-
vare tutti in fila, sul bancone, ogni sgabello con i suoi bicchieri
davanti, poi arrivavo in fondo, tornavo indietro e mollavo un se-
condo giro a tutti quanti.
Lo sguardo di Ryan segui la cameriera. Un bel nastrino nero
a fermarle la coda di cavallo. Carino, il nero sui capelli biondi.
- Poi risalivo il bancone un’altra volta, – disse il signor Ma-
jestyk, – e boom boom boom, spazzavo via i quattrini. Al terzo viag-
gio, solo a chi ne voleva ancora. Una volta c’era un tipo mai visto
prima e mi fa, «Porca miseria, ma com’è che ti ricordi quel che
beve la gente?» Stupito. E io gli faccio spallucce come se nulla
fosse. Tutti i polacchi della zona non bevono altro che Seven
Crown e Strohs. Sessantacinque cent.
Ryan lasciò il borsone di tela al banco del bar, e se ne anda-
rono a pranzo in un ristorante sulla Main Street, Estellès: bancone
e separé, con piani in formica e tovagliette segnaposto che descri-
vevano il Michigan come The Water- Winter Wonderland?3 Presero
bistecca e patate fritte, visto che Ryan aveva scommesso che le
patate lesse non ce le avevano. Infatti.
Il signor Majestyk lo guardò fisso, ingobbito coi gomiti pian-
tati sul tavolo. – Ti piacciono le patate lesse?
- Patate lesse, certo, così come sono o anche con un po’ di
prezzemolo, – disse Ryan. – È il vero sapore della patata, quello.
- Proprio così! – disse il signor Majestyk, con un tono che
implicava l’esattezza di quella risposta.
- Quando ancora stavo coi miei, – disse Ryan, – la dome-
nica mia madre cucinava arrosto di vitella o di maiale, e patate
lesse. Non purè, no, né fritte o altro. Lesse e basta. Prendi due o
tre patate lesse, le fai a fette, e le sistemi su metà piatto. Poi ci ver-
si sopra la salsa. Ma hai voglia di trovare le patate lesse in un risto-
rante.
- Dov’è che stavi, a Detroit?
- Highland Park. Poco più a nord di dov’era la Ford Tractor.
Dalle parti di Sears.
- Lo so dov’è. Tuo padre lavora alla Ford?
- Lavorava alla DSR, l’azienda trasporti, ma è morto quan-
do avevo tredici anni.
- Avevo certi amici che lavoravano alla DSR. Che diamine,
quando hanno cominciato, ancora esistevano i tram. Adesso sono
tutti in pensione, o hanno cambiato lavoro.
- Mio padre non l’ha mai guidato, un tram. Mi ricordo solo
che guidava un autobus Woodward. Una linea con la scritta RI-
VER all’andata, e FAIRGROUNDS al ritorno.
- Ci ho viaggiato, certo.
Non parlarono molto, indaffarati con bistecche e patate frit-
te. A Ryan tornarono in mente i pranzi della domenica, nella sala
da pranzo che gli faceva anche da camera da letto: sua madre, le
sue sorelle più grandi e il più delle volte i loro ragazzi; suo padre,
invece, non sempre, perché certe volte la domenica era di servizio.
Era un appartamento con due camere da letto, al quarto piano,
l’ultimo, di un vecchio palazzo; una camera per i suoi genitori, le
3
Slogan promozionale utilizzato dal 1965 al 1967 sulle targhe au-
tomobilistiche dello stato del Michigan [N.d.T]
sorelle nell’altra, sempre strapiena di vestiti e riviste e bigodini e
cianfrusaglie varie. Lui dormiva nella sala da pranzo, su un divano
letto coi braccioli in legno d’acero, e teneva camicie calzini e mu-
tande nell’ultimo cassetto del secrétaire del soggiorno. Era lì al
tavolo della sala da pranzo che faceva i compiti, col suono della tv
che gli arrivava dal soggiorno, ed ecco che arrivava suo padre col
suo changer e col berretto grigio azzurro della DSR sulle ventitre,
schiacciato come quelli dei piloti della seconda guerra mondiale.
Se si era già fermato a farsi un bicchierino, massimo un paio, si
capiva subito. Nel suo giorno libero, invece, si piazzava al tavolo
della sala da pranzo, camicia sportiva pulita, capelli ben pettinati e
scarpe lustre, e faceva solitari con le carte. Andava avanti per quasi
l’intera giornata, sigaretta all’angolo della bocca, testa ben eretta e
occhi semichiusi puntati sul tavolo. Nel pomeriggio passava alla
birra e alla lettura del giornale. Non leggeva altro che quello.
- Vuoi un po’ di A- one?
- No, solo del ketchup.
Suo padre non sembrava un autista di autobus. Era di
bell’aspetto. Capelli scuri. Disinvolto. Ben vestito. Ma lo era, un
autista di autobus, ben oltre la quarantina, con una paga di circa
centoventicinque dollari la settimana, moglie e tre figli a carico e
piccolo appartamento in un palazzo pieno di odori di cucina e
dall’atrio scrostato. Aveva voglia di schiacciarsi il berretto e calcar-
selo di traverso, per far finta di pilotare un 707 o una camionata di
esplosivi su per l’Alcan, tanto sempre un autobus della DSR re-
stava, e non c’era proprio verso di farlo sembrare qualcos’altro.
- Il dolce, ti va?
- Non credo -. Ryan bevve un po’ d’acqua. – Sa com’è, mio
padre è morto a quarantasei anni.
- Be’ -. Il signor Majestyk si stava fissando la mano che reg-
geva il bicchiere dell’acqua, e anche gli occhi di Ryan andarono a
posarsi su quella mano, massiccia e indurita, le nocche gonfie e le
unghie scheggiate e ingiallite, una mano che riusciva a far sembra-
re il grosso bicchiere del ristorante minuscolo e fragile. – Che dire.
Si muore, e basta.
- Già. Si muore tutti quanti, mi sa.
- Non volevo dire questo, – fece il signor Majestyk. – Non in
questo senso. Ci tocca morire, questo sì. Uccidersi no, non è leci-
to, ma lo scopo dell’esistenza è proprio questo, morire. Tu sei cat-
tolico? Col nome che ti ritrovi…
- Già. Almeno, lo ero.
- E allora, com’è che non capisci cosa intendo?
- Non ho mai fatto il chierichetto, o roba simile.
- Mica devi aver fatto il chierichetto, per l’amor del cielo.
Qualcosa ti avranno insegnato, o no? In chiesa ci sarai andato.
- Non tocchiamo quest’argomento.
Lo sguardo del signor Majestyk restò saldo, poi iniziò ad al-
lentarsi, per poi fondersi in un sorriso a tutta perfetta e fasulla
dentatura. – Ma che discorsi stiamo facendo, perché si vive e per-
ché si muore. Forza, facciamo un salto al Pier.
Non vide la cameriera in calzoni rossi. Se n’era andata. Al
suo posto ce n’era un’altra, tracagnotta e con un che di indiano.
Qua e là nel locale c’erano anche diverse ragazze, ma tutte sem-
bravano accompagnate. Il rumore era cresciuto, le luci erano acce-
se e la clientela era aumentata. Una lunga tavolata di ragazzotti
che bevevano birra, con l’aria di studenti universitari appena tor-
nati da un giro in barca, a vela o a motore, facevano un gran casi-
no senza mai chetarsi. Non era più il bel posto di qualche ora
prima.
Quando furono tornati ad accomodarsi a un tavolo, con un
boccale di birra, Ryan vide Bob junior fare il suo ingresso in
compagnia di una ragazza. Non la riconobbe subito, perché era
impegnato a osservare Bob junior che fendeva la folla appostata
in fondo al bancone. Lui era tutto tirato a lucido, in una ganzissi-
ma camicia sportiva a scacchi, con le punte del colletto che anda-
vano a toccargli le spalle e le maniche arrotolate una sola volta,
orologio dal cinturino metallico, di quelli elastici, un gran culone
che ormai gli ciondolava dallo sgabello del bar e capelli pettinati
all’indietro come Roy Rogers. La sua compagna si recò subito in
bagno.
- Insomma, c’erano tutti questi tipi della Dodge Main, alla fi-
ne del turno, – stava dicendo il signor Majestyk, – ma prova a far-
celi venire la sera, se sei in gamba.
Bob junior guardò dalla loro parte, verso l’estremità opposta
del bar. Figurarsi se non aveva una fronte bianca come il latte.
- Be’, si era d’agosto, e allora perché non provare col gran-
turco? Mettiamo un cartello fuori che dice CON CINQUANTA CENT
MANGI QUANTO VUOI. Però avevamo un solo pentolone, e di pro-
posito. Un pentolone che non teneva più di una ventina di pan-
nocchie. Così quei tipi venivano a vedere quanto ne riuscivano a
mangiare. Cinquanta cent, che sarà mai. Ma gli toccava sempre
aspettare, perché avevamo una sola pentola e più di tante pannoc-
chie non riuscivamo a cuocere, capisci? E quindi, aspetta aspetta,
finivano sempre per bere, tanto per passare il tempo. Da un lato
gli vendevamo da bere, e dall’altro gli vendevamo il granturco. Ci
conveniva anche con quello, perché ci costava venticinque cent la
dozzina, e a quei tipi veniva cinquanta, giusto? – A questo punto,
il signor Majestyk si rilassò, il vero uomo di successo. – Ma nes-
suno riusciva a mangiarne più di dodici, quattordici a testa, di
pannocchie.
Ryan sorrise, e abbozzò pure una risatina, anche se non era
per questa storia di polacchi e di granturco; è che aveva intravisto
la brunetta riemergere dal bagno delle donne e l’aveva riconosciu-
ta, e una strana sensazione gli era corsa dritta giù per la schiena,
dalla punta dei capelli fino al coccige.
- Lo conosce quella sorta di Roy Rogers, quello che lavora
per Ritchie? – disse poi, a sorriso esaurito.
Il signor Majestyk si stava tergendo un occhio con una ma-
nona nocchiuta.
- See, lo vedo.
- Chi è quella assieme a lui?
A questo punto il signor Majestyk si raddrizzò e si guardò al-
le spalle, con calma e cautela, così da non farsi scorgere da nessu-
no. Bevve un sorso di birra. – Quella ragazzina è nei guai. – Chi è?
- Ho scordato il suo nome. Nancy qualcosa. Dovrebbe essere
una sorta di segretaria di Ritchie, ma è chiaro che si tratta di una
stronzata.
- È lui che la tiene qui?
- Hai detto la parola giusta, amico. La tiene e la mantiene.
- Da che parte?
- In questa casa che ha sulla spiaggia. Quando arriva sua mo-
glie, a quella tipa tocca spostarsi nel capanno da caccia dalle parti
della fattoria.
- Sembra giovane.
- Quanto credi che bisogna avere?
- Intendo per lui. Ritchie.
- Va’ a chiederglielo. Come faccio a saperlo?
- E che ci fa con Bob junior?
Il signor Majestyk tornò a guardarsi attorno. – Quello stupi-
do figlio di puttana. Uno che ha un buon lavoro, una bella fami-
glia, una barca veloce. Il suo vecchio affitta tutte le terre alla Ri-
tchie Foods, per la raccolta dei cetrioli, e a Bob junior non resta
altro da fare che star dietro ai braccianti…
- È una testa di cazzo.
Il signor Majestyk fece spallucce, e una smorfia. – È un tipo
a posto, soltanto un ragazzone. Pensa di essere il Lone Ranger,
roba così.
- Ha detto che la ragazza è nei guai.
- Guida pericolosa. Ha un’udienza fissata presso la mia corte
tra un mesetto.
- E che c’è di così grave?
Il signor Majestyk si sporse sul tavolo, strisciando sugli a-
vambracci. – Mica sto parlando di bucare un semaforo rosso. Ha
quasi spacciato una coppia di ragazzini.
- Sa per certo che è colpa sua?
- Di sicuro. Erano due ragazzini, due tipi di Geneva su una
macchina che stava in piedi per scommessa, che andavano in giro
a fare un po’ di casino, sai com’è, a sfidare qualcuno a chi va più
forte. Hanno beccato quella tipa alla guida di una Mustang, e
quindi l’hanno affiancata e hanno cominciato a fare i grossi, que-
sto e quello, a chiederle se preferiva farsi una corsa o buttarsi in
camporella, ma che ne so.
- E cos’è successo?
- Be’, non l’hanno schiodata neanche di un millimetro, così
hanno tirato dritto per i fatti loro. Solo che qualche chilometro
più avanti hanno svoltato dalla Shore Road su una stradina sterra-
ta e si sono visti una coppia di fari alle spalle. Hanno aspettato che
la macchina li sorpassasse, ma quella non li ha mica sorpassati,
anzi, gli è andata a schiantarsi dritta contro. Quelli, non ci hanno
mica capito un accidente. Hanno provato ad accelerare, e la mac-
china – era sempre quella della tipa – gli si è agganciata di nuovo
al paraurti. Insomma, quelli cercavano di accelerare e togliersela
dai piedi, sterzando a destra e a sinistra, e lei che non li mollava un
istante, ma cominciava a spingerli a oltre novanta, cento all’ora.
- Ah sì?
- Quelli hanno provato a frenare, e hanno bruciato ogni be-
ne. Va be’, ormai erano in balia completa di quella scema, che
continuava a spingere, sempre più veloce, ormai era sui centodie-
ci, giurano quelli, quando a un certo punto lei si toglie da dietro.
Dev’essere perché aveva visto che la strada finiva a un incrocio,
dopo di che non c’era più nulla se non dei campi arati. Fatto sta
che quei ragazzi cercano di sterzare, scavalcano il fosso e vanno a
finire nei campi. Tre volte, gli si è cappottata la macchina.
- Che gli è successo?
- A uno niente di che, qualche taglietto. È l’altro che si è ri-
trovato le gambe rotte e qualche lesione interna.
– Come fanno a sapere che è stata proprio lei?
- L’hanno vista in faccia, Cristo santo.
- Metta che fosse tutta una cazzata, voglio dire.
- Già, col paraurti della macchina di lei ridotto a brandelli.
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Rocky Colavito, celebre giocatore di baseball attivo nel decennio
1956- 1965 [N.d.T].
Lei fece altri due o tre passi, prima di voltarsi, non del tutto e
con lentezza, a gambe un po’ scostate, per poi guardarlo.
- Volevo chiederti una cosa, – fece Ryan. Le lasciò tutto il
tempo per dire Cosa?
Ma lei non aprì bocca. Aspettava.
- Mi chiedevo perché mi stavi guardando, in quel bar, – disse
infine Ryan.
Lei attese un attimo ancora. – Ma sei sicuro che guardavo
proprio te?
Ryan annuì. – Certo che sì. Non credi che possiamo smetter-
la, di girarci attorno?
Lei sorrise appena. – Girarci attorno, e che male c’è -. Il ven-
to le sollevò i capelli e lei se li scostò dall’occhio, li aveva di traver-
so sulla fronte, capelli castano scuro e, forse, occhi castani.
- Perdere tempo, voglio dire, – fece Ryan.
- L’ho capito, che vuoi dire.
Nel valutarlo, nell’esaminarlo, era proprio a suo agio; lui con-
tinuò a sorreggersi al rastrello e le restituì lo sguardo.
- Mi sorprende vederti, – disse Nancy. – Non ti spaventa,
Bob junior?
- Se voglio restare da queste parti, spetta a me decidere.
- Com’è che hai avuto il posto?
- Non lo so. È stato quel tale, a offrirmelo.
- Per l’estate?
- Non lo so. Penso di sì.
- C’è un sacco di cose che non sai, non ti sembra?
Lui la fissò, aspettando di trovare le parole giuste, e lei lo fis-
sò a sua volta. Ryan non aveva mai avuto problemi di conversa-
zione con nessuno, ragazze in particolare, e questa sensazione lo
metteva a disagio. Non gli piaceva. Perché fai così il carino? pen-
sò.
Nancy continuò a guardarlo, senza sorridere né dargli confi-
denza, a guardarlo e basta. – Vogliamo ricominciare? – disse infi-
ne.
- Non saprei, – disse Ryan.
- Potresti venire a casa mia -. Alzò un braccio a indicare la di-
rezione. – Da quella parte, poco più di un chilometro. Una rampa
di scale dipinta di bianco, con un lampione in cima.
- Immagino che il signor Ritchie non ci sia.
- Difatti.
- E chi c’è, con te? Una donna di servizio, qualcun altro?
- Nessuno.
- Non hai paura, da sola?
Lei scosse il capo, tornò a toccarsi i capelli. – Mi piace.
- E cosa fai?
- Un sacco di cose.
- Sarebbe?
- Vieni a scoprirlo, stasera.
- Non saprei.
La guardò fare spallucce e dargli le spalle. Lei si aspettava che
lui le dicesse qualcosa. Lui era certo che lei se lo stesse aspettan-
do: bene così. La guardò che si avviava, sempre in attesa, ma non
certo disposta a tornare a guardarlo. Certo, era una di quelle abi-
tuate a dimenare la coda e far scattare tutti sull’attenti, ma per quel
giorno lui si era già messo sull’attenti a sufficienza. Quel pomerig-
gio sarebbe tornata, oppure il giorno dopo, lo stesso posto, la
stessa ora. Quindi, perché agitarsi? O no?
Mi sa che hai proprio ragione, si disse Ryan.
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Unlawfully Driving Away an Automobile (UDAA) è un reato previsto dal
Codice Penale del Michigan, che si applica a colui che ruba un veico-
lo non per appropriarsene in maniera definitiva, bensì temporanea
dolce. Si ricordava, ancora, sua madre che diceva Magari ci fosse
un supermercato della A&P da queste parti, e si ricordava –
nell’imboccare la porta – che sua sorella aveva risposto, Sì, certo,
l’A&P va benissimo, però non regala i buoni sconto.
Non c’era andato, al Safeway. Si era infilato in un bar sulla
Woodward, nei pressi di Seven Mile, a farsi qualche birra. Forse a
casa stavano ancora discorrendo dell’A&P. Per come se lo ricor-
dava lui, e se lo sarebbe sempre ricordato, la scena era questa: suo
padre con il mazzo di carte, in sala da pranzo, un solitario dietro
l’altro, e sua madre in soggiorno, con la radio accesa, l’uno magro
e coi capelli lisci, l’altra che cominciava a metter su qualche chilo
di troppo. A malapena si rivolgevano la parola. Sua madre che
tirava in ballo la moquette un po’ consunta, o che le era capitato
di vequalcosa, ma quasi sempre tra di loro, e Ryan non riusciva a
sentire cos’è che stavano blaterando. Il silenzio che c’era in quella
macchina sì, se lo ricordava. E poi il suono della sua voce, che
chiedeva dove stessero andando. Il passeggero sul sedile anteriore
aveva risposto, Nel cortile di una scuola. A volte andavano in un
parco o in un deposito di legname, ma quella sera toccava al corti-
le di una scuola. C’è una coperta là dietro, aveva poi detto il tipo.
Ryan sorseggiava la sua birra tiepida. Un minuto più tardi, rom-
pendo di nuovo il silenzio, aveva chiesto quanto gli sarebbe costa-
to tutto quel servizio personalizzato, e il tipo accanto al guidatore
gli aveva risposto, senza voltarsi, Dieci dollari.
Meglio che mi riportate indietro, aveva detto Ryan, perché
non aveva intenzione di comprare proprio un bel nulla. Davanti a
sé vedeva il semaforo di Six Mile Road. Gli si stavano avvicinan-
do, ma la macchina aveva rallentato e girato a sinistra in un vicolo
prima di raggiungere l’angolo. Poi si era fermata; i fari avevano
spazzato una serie di bidoni della spazzatura e di bru- ciarifiuti, e
il buio retro di chissà quanti negozi. Fari che poi si erano spenti, e
il tipo accanto al guidatore, faccia scarna e capello lungo, più o
meno dell’età di Ryan, si era voltato col braccio sullo schienale.
Dieci dollari, aveva detto. Sia che portassero Ryan fino alla scuola
o che lo riaccompagnassero alla stazione di servizio, o dov’è che
voleva andare, sempre dieci dollari erano. Ryan aveva detto No,
aveva cambiato idea. Quel tizio l’aveva guardato. Non c’è niente
aggratis, gli aveva detto. Tutto quanto costa una dieci. Okay, aveva
risposto Ryan, ti propongo un affare. Non c’è bisogno che mi ri-
portate indietro, ci vado da me.
Il guidatore aveva aperto la portiera, e si era accesa la luce
dell’abitacolo. Ryan si ricordò di aver visto la ragazza, i capelli più
chiari di quanto si era immaginato; di aver sentito la birra che gli
correva su per la manica, più fredda sulla pelle che al palato,
quando aveva preso la bottiglia per il collo e aveva visto il tipo
accanto al guidatore andar giù dietro lo schienale. Poi Ryan era
sceso, sbattendo la portiera, spostandosi sul retro della macchina,
scivolando poi sul ghiaino per cambiare direzione. E proprio
mentre il guidatore girava attorno alla parte anteriore dell’auto,
Ryan gli era piombato addosso, schiantandogli la bottiglia su un
lato della testa, da sinistra a destra, così che quello era caduto sul
cofano.
La bottiglia non si era rotta. Nei film le bottiglie si rompono,
ma in questo caso no. Era scappato via che la stringeva ancora in
mano, si era fatto di corsa tutto il vicolo voltando a destra, supe-
rando la fiancata in mattoni di un negozio in direzione Six Mile,
attraversando la strada e imboccando il marciapiede verso est,
senza rendersi conto di avere ancora la bottiglia. Aveva già percor-
so un isolato quando si era reso conto che la macchina gli si era
affiancata. Non voleva guardarla, quella macchina, voleva solo che
andasse via e voleva continuare a camminare.
Ma la macchina non se n’era andata, ed era qui che lui aveva
pisciato fuori dal vaso. Aveva guardato la macchina, perché ormai
lo doveva fare, e appena alzato lo sguardo si era accorto che si
trattava di una macchina nera con le scritte gialle. Polizia. E allora
era scappato di corsa. Senza pensare, di corsa e basta. Più tardi, a
ripensarci, si era reso conto della cazzata che aveva combinato, e
si era ripromesso di non caderci mai più; ma ormai la frittata era
fatta. Di corsa, aveva voltato l’angolo, lungo tutta una recinzione
metallica, e quando era arrivato in fondo l’aveva scalata e scavalca-
ta. Poi si era nascosto nel buio e nel silenzio, contro il muro della
ditta di legnami, nell’angusto spazio tra due pile di assi, roba da tre
metri l’una, e se ne stava lì, in piedi con la bottiglia in mano quan-
do gli avevano puntato una torcia elettrica addosso. Era rimasto
con la bottiglia di birra a mezz’aria e la luce negli occhi, e infine si
era deciso a lasciarla andare.
La mattina seguente, in tribunale, il giudice – un tipo dall’aria
tranquilla, con qualche traccia di grigio alle tempie – gli aveva rifi-
lato sessanta giorni di riformatorio.
Di sfiga ne aveva già avuta abbastanza. Era arrivato il mo-
mento di invertire la tendenza. Da qualche parte doveva pur ini-
ziare, la buona sorte, e forse questa era la volta buona. Era bello
avere di nuovo una macchina. Era bello tornare a guidare la notte
a radio accesa. Era bello infilarsi nel Bay Vista e parcheggiare di
sbieco di fronte all’ufficio. E se questo era il punto di partenza
della sua buona sorte, avrebbe dovuto restare in guardia e farsi
trovare pronto e finalmente, in un certo istante, se ancora le pre-
messe c’erano tutte, avrebbe finito col dire di sì e ficcarcisi dentro
a capofitto e andare sino in fondo.
Perché doveva essere peggio che intrufolarsi in una casa a
fregare televisori e pellicce? O peggio che entrare in camera sua?
Dal letto, seduto di traverso con la schiena contro il muro e
gli scarponi screpolati e scalcagnati che spuntavano di fuori, Frank
Pizarro disse: – Ehi, Jack, come ti butta?
- Scendi di lì.
- Che ti prende? – Pizarro si dette una spinta in avanti e si ri-
trovò seduto sul bordo del letto, con le gambe penzoloni, senza
toccare terra.
- Com’è che hai saputo che ero qui?
- È stato Billy. Insomma, che ti prende?
- Saputo che questa è la mia stanza, dico.
- Un tipo là fuori, quando sono arrivato. L’ho chiesto a lui.
- E lui ti ha detto di accomodarti, di fare il comodo tuo?
- No, ho aspettato un po’ fuori, e poi mi sono detto che ma-
gari dormivi e non mi potevi sentire, così ho provato ad aprire ed
era aperto, ‘scolta, mi hanno licenziato.
- Me l’hanno detto.
- Billy. Ma non ti ha detto dell’autobus.
- Frank, ti saluto, va bene?
- ‘scolta, Camacho vuole che lo guido io l’autobus, a tornare
indietro, per via di tutti i soldi che gli devo. Che lo riporto indietro
con l’autobus e lascio il furgoncino, tanto quel catorcio è un am-
masso di rottami.
Ryan esitò. – A me va benissimo.
- Sicuro, ma tutti quegli altri come ci tornano a casa? Eh?
- Con l’autobus.
- No. Camacho dice: «Mica ce li devo riportare io, a casa». E
io, «Ma se ti hanno già pagato per farsi portare indietro». E lui,
«Quando ero ancora caposquadra. Ma adesso caposquadra non lo
sono più, e quindi non li devo riportare». Poi fa, «Ma se vogliono
dare cinquecento dollari ai proprietari dell’autobus e pagarmi il
viaggio in aereo, allora glielo lascio qui».
- Ma dài. E quelli ci credono?
- E che devono fare? Se gli dicono che a loro non gli va bene,
Camacho li lascia tutti qui.
- E a te che te ne frega? Tu un mezzo di trasporto ce l’hai.
- Che me ne frega? Sono tutti amici miei.
- Andiamo, Frank.
- Dico sul serio. Ci lavoro da sette anni.
- Va bene. Allora perché sei venuto da me?
- Compare, noi eravamo amici, o no? Perché non ci facciamo
prestare i quattrini da Jack, ha detto Billy Il volto schiacciato e
sincero di Pizarro si era piazzato giusto di fronte a quello di Ryan.
- Cinquecento dollari.
- Dice Billy che tu ce li hai. Dice che se li hai già spesi, ne
puoi fare altri facile.
- Dove sta, Billy?
- Non è voluto venire. Sai com’è, a chiedertelo.
- Non mi sembra che la cosa ti turbi più di tanto.
- ‘scolta, mica te li chiedo io, questi soldi. L’ha detto Billy. Io
li voglio solo in prestito, e poi te li rendiamo.
- Secondo te li ho, cinquecento dollari?
- Se non ce li hai, puoi trovarli. Facile.
- E se te li presto, poi tu me li rendi, eh?
- Lo sai. Sicuro.
- E quando?
- L’anno prossimo, quando torniamo.
- È stato un piacere conoscerti, Frank.
- Amico, qui ci sono delle famiglie. Come fanno a tornare a
casa?
- Andiamo. Anch’io ho una famiglia. Eccomi qua.
- Non t’importa di quello che succede a tutta questa gente?
- Ehi, Frank, ci vediamo.
- Okay, compare, – disse Pizarro. Pian piano scese dal letto. –
E vedi di andare a fare in culo.
Pizarro gli passò davanti e aprì la porta; spalle strette e cal-
zoni che gli facevano le borse sotto il culo, a quadri, sporchi e
consunti, senza più forma, tasche in diagonale ed elastico in vita.
- Aspetta un momento, – disse Ryan. – Il furgoncino ce l’hai?
- Te l’ho detto, è scassato.
- E tu vai a piedi?
- No, adesso mi prendo una cazzo di macchina a nolo.
Ryan esitò, nel vedere Pizarro che teneva la porta aperta, ma
solo per un istante. – Ci vediamo, Frank.
8
Si tratta di The Tall T (I tre T, 1957), eccellente western diretto da
Budd Boetticher, su un soggetto di… Elmore Leonard! Il personag-
gio femminile è interpretato da Maureen O’Sullivan [N d T]
- …ancora col cellophan sul paralume. Ehi, la sai quella,
com’è che dice, ah sì, lo sai chi ha vinto il concorso di bellezza tra
le polacche?
Ryan scosse il capo, fingendo pazienza e sopportazione, la-
sciandola parlare.
- Nessuna, – disse Nancy, e scoppiò a ridere, e il signor Ma-
jestyk si girò ancora una volta sulla poltrona per poi schiodarsene,
proprio mentre lo schienale scattava in avanti. Poi fece per avviar-
si alla finestra, ma si voltò di scatto e attraversò di corsa la stanza
per imboccare la doppia porta della veranda.
- Adesso arriva, – disse Ryan. Dall’altra parte della casa si udì
sbattere la porta a zanzariera.
Nancy aveva ripreso a guardare dalla finestra. – Hai ragione.
È tempo di svignarsela.
- Aspetta un attimo.
Prima che riuscisse a fermarla, la ragazza aveva già attraversa-
to la stretta striscia di prato e si era infilata nel campo, nel fitto e
buio macchione, ormai invisibile. Per un istante riuscì a seguirne il
rumore. Voleva togliersi di lì alla svelta, andarle dietro. Ma indu-
giò. Rimase in attesa. Quando infine si decise a muoversi, fu per
girare sul davanti della casa. Il signor Majestyk stava attraversando
il giardino illuminato a giorno, e si era già lasciato alle spalle i due
fenicotteri di plastica.
- Ehi, ma eri tu?
- Cosa?
- C’era qualcuno che rideva.
- Che vuol dire?
- Che c’era qualcuno che rideva. Che ti pensi, scusa?
- Forse qualcuno sulla spiaggia.
- Cristo, ma se veniva proprio da dietro la finestra.
- Non so che dire. Io non ho sentito nulla.
Il signor Majestyk lo stava guardando fisso. – Hai fatto il giro
proprio da quella parte, e dici che non hai sentito nulla?
- Facevo quattro passi.
- E quando cammini, non senti più nulla?
- Guardi che non ho davvero sentito un bel nulla. Quante
volte glielo devo dire?
- Non hai visto ragazze? Sembrava proprio una risata di
donna.
- Né ragazze, né chiunque altro.
- Boh, – disse il signor Majestyk. – Allora sarò io. Allora do-
vrò farmi controllare queste cazzo d’orecchie -. La cosa parve fi-
nire qui. Il signor Majestyk tacque, fece per voltarsi e rientrare in
casa. Poi tornò a guardare Ryan. – Ehi, ti andrebbe di vedere un
bel film?
- L’ho già visto, – disse Ryan.
Non appena si rese conto di quel che aveva detto, e vide il si-
gnor Majestyk aggrottare la fronte, ebbe l’impulso di continuare a
parlare, ma non c’era proprio niente da dire, e tra i due cadde su-
bito un certo quale silenzio.
- Come fai a sapere che l’hai già visto?
- Passavo di qui, ho sentito la tv. Mi è venuto in mente, sa
com’è, mi sembrava familiare. Ricordavo le battute. È un western,
no? Randolph Scott?
- Riesci a sentire la tv da dentro una casa, – disse il signor
Majestyk, – ma non riesci a sentire qualcuno di fuori che ride,
proprio vicino a dove stai passando tu?
- Non ho sentito nessuno. Vuole che glielo metta per iscritto
e glielo firmi, per l’amor del cielo?
- Datti una calmata.
- Col cazzo, che mi do una calmata. Mi vuol credere o no?
- Lascia perdere.
- Non lascio perdere, mi sta dando del bugiardo e non mi sta
bene.
- Ehi, andiamo, non ti ho proprio dato di niente.
Ryan gli si piazzò davanti. – Mi vuol credere o no?
- Okay, ti credo, – disse il signor Majestyk. – Vuoi che te lo
metta per iscritto e te lo firmi?
- Lasci perdere, – disse Ryan. Uscì dal cono di luce e s’infilò
nelle tenebre.
Per prima cosa, alla vista del pick-up – che già aveva sentito
arrivare, e riconosciuto non appena era spuntato tra gli alberi –
Ryan aveva posato il bicchiere sul cofano della Mustang, e si era
guardato attorno. Non che cercasse di far finta di niente, ma ne-
anche voleva affannarsi più di tanto. C’era il grosso ramo di un
albero, sul terreno, appena più avanti, e proprio nel momento in
cui Bob junior si accingeva a scendere dal pick-up, Ryan aveva già
staccato un ramo più piccolo, delle dimensioni di un manico di
scopa, e vi si era appoggiato contro, nella sua ben nota postura da
lanciere.
Dall’interno della Mustang, bicchiere in mano, braccio sul
bordo del finestrino, Nancy disse: – Ehi, Bob! – e si dispose a ve-
dere come sarebbe andata a finire.
Bob junior valutò la situazione. Vide Nancy e il bicchiere
vuoto sul cofano della macchina, e Jack Ryan – dietro la Mustang
– che impugnava un bastone, una mazza o l’accidente che era.
Entrambi aspettavano le sue mosse, come se appunto toccasse a
lui agire per primo. Ryan sembrava volerlo quasi incitare, e questa
parte era davvero semplice: gli aveva detto di levare le tende, a
Ryan, e quel tipo era ancora lì, quindi gli sarebbe toccato dargli
una bella lezione. Ma con Nancy lì che guardava avrebbe dovuto
farla sembrare una sciocchezza, come se quel tipo non fosse certo
un problema. Bob junior si tolse il cappello da cowboy e gli oc-
chiali da sole e li infilò nel pick-up, dal finestrino.
- Bob, – disse Nancy, – ti va un Cold Duck?
- Adesso no, – disse Bob junior. Le lanciò un’occhiata. – Che
stai facendo quaggiù? – E già, nel dirlo, gli suonava fuori posto.
- E che ne so, – disse Nancy. – Mi ci ha portato lui.
- Ti ha infastidito, in qualche modo?
- Vediamo un po’, – rispose lei. – No, infastidito non direi
proprio -.Se la stava proprio spassando.
- Mazza da baseball o bastone, – disse Bob junior, tornando
a fissare Ryan. – Devi proprio aver sempre qualcosa in mano, no?
Ryan non rispose. Era lì che aspettava.
- Fa il grosso, solo perché ha un bastone in mano. Ehi, figlio-
lo, che ne dici di combattere ad armi pari?
Adesso Ryan corrugava la fronte. – Armi pari? E che è, que-
sta, la boxe dei dilettanti?
- Un vero uomo combatte coi pugni, – disse Bob junior.
- Come no. Fatti sotto, amico, e vedrai che randellate che
ti meno.
- Ho un ferro da pneumatici, sul camioncino, – disse Bob
junior. – Forse farei meglio a prenderlo.
- In questo caso, – fece Ryan, – se cominciamo a prenderci a
botte, allora dovresti almeno spiegarmi il motivo.
- Perché tu credi di essere un duro, e di riuscire a mettermi
sotto.
- Te l’ho detta io, una cosa del genere?
- Mica ce n’era bisogno. I furbacchioni come te, li riconosco
all’odore.
Ryan continuò a esaminarlo. – Hai proprio voglia di menare
le mani, eh?
- Non hai idea di quel che ti aspetta, – disse Bob junior.
- Digli che non è mica obbligato a farlo, – disse Ryan a
Nancy.
Lei stava osservando Ryan. – Non è compito mio.
- Diglielo lo stesso.
- Lasciala fuori, lei, da questa storia, – disse Bob junior.
Ryan scosse il capo. – Certo che devi essere proprio stupido,
eh. E lei che vuole una bella scazzottata, non l’hai ancora capito?
- E tu vuoi solo cavarne le gambe, – disse Bob junior.
Erano alla resa dei conti, e Ryan lo sapeva. Ogni volta che si
era ritrovato a menare le mani, fin da piccolo, era il suo stomaco a
fargli capire quando era giunto il momento, oltre a leggerlo negli
occhi dell’avversario. Ci aveva pensato un sacco di volte, al mo-
mento in questione, ed era arrivato alla conclusione che anche il
suo avversario doveva provare e pensare le stesse cose, e non im-
portava certo se era più grosso o cosa, era di sicuro anche lui spa-
ventato o col mal di stomaco, perché nessuno poteva essere mai
sicuro al cento per cento. Ed era questo il momento giusto di me-
narlo ben bene, aveva infine stabilito Ryan, ovvero quando il suo
avversario non era ancora pronto. Picchiare per primo e picchiare
duro; e, forse, la faccenda finiva lì.
Bob junior gliela rese ancor più facile. Arretrò di un paio di
passi proprio mentre Ryan stava per passare all’azione, e fece
mezzo giro su se stesso per infilare un braccio nel cassone del
pick-up. Per individuare il ferro da pneumatici, o un qualche og-
getto simile, fu però costretto a guardarci dentro, al cassone, e
nello sbirciare Ryan con la coda dell’occhio non pensava certo che
qualcuno potesse muoversi con tale velocità. Invece Ryan gli stava
già saltando addosso da qualche passo di distanza, e
quell’accidente di mazza, di bastone, o che diavolo era, già gli sta-
va calando sulla capoccia.
Bob junior si lasciò rotolare lungo il fianco del cassone, nel
tentativo di infilare la testa sotto la spalla, e beccò il primo colpo –
una vera e propria sventola sull’avambraccio che stava tirando su.
Fu l’intero braccio a intorpidirsi. Di sicuro chiuse anche gli
occhi. Non vide il bastone che gli calava di nuovo addosso, si sta-
va proteggendo la testa, e quel cazzo di ordigno gli piombò dritto
sul ginocchio sinistro. Non c’era altro da fare che saltargli addos-
so, anche lui, a quel figlio di puttana, e così facendo si beccò
un’altra bella legnata, stavolta sulla spalla sinistra, prima di riuscire
ad avvicinarsi e ad abbrancare a due mani quel pesante pezzo di
ramo, e a sentirlo duro e ricurvo e ruvido, la corteccia che gli ra-
schiava le mani mentre cercava di portarlo via a Ryan e poi il viso
di Ryan proprio di fronte al suo, teso e sotto sforzo, gli occhi in-
chiodati nei suoi.
- Sei arrivato alla frutta, figliolo, – disse Bob junior, e non a-
veva fatto in tempo a dirla tutta che il pugno sinistro di Ryan la-
sciò la presa sul ramo per stamparglisi dritto in faccia.
Per Ryan era il momento di darci dentro – con Bob junior
che indietreggiava a testa alzata e lasciava scoperto il viso – e non
riusciva a pensare ad altro, darci dentro adesso o mai più, alla svel-
ta, già che lo stava pressando e lo teneva sotto tiro, e gli mollò un
altro sinistro nello stesso punto di prima, con quel tipo che arre-
trava e lui che gli stava addosso, ancora un sinistro e poi un destro
in faccia, forza, chiudiamo la questione, qui e ora, caricando un
sinistro fin da dietro la spalla, un colpo pieno a bersaglio, un col-
po che sentiva ripercuotersi tutto su per il braccio, con quel tipo
che barcollava all’indietro, il sangue che gli grondava dal naso, ep-
pure – che razza di sensazione, la peggiore possibile – mica anda-
va giù, diosanto.
Bob junior mollò la presa sul ramo e restò lì, il volto insan-
guinato, gli occhi fissi su Ryan, a cercare di respirare, a cercare di
riprendere fiato, a passarsi la mano sulla bocca. Poi cercò di passa-
re all’attacco e Ryan alzò la guardia, le braccia già stanche e pesan-
ti.
Nancy si prese tutto il tempo di versarsi un po’ di Cold
Duck, e lo centellinò mentre guardava quei due che se le davano
di santa ragione. Bob junior era più grosso, e Jackie sembrava
mingherlino al confronto, ma era stato proprio lui a far uscire il
sangue per primo, e Bob junior era uno sfacelo, sangue dappertut-
to, sulla bocca e sul davanti della camicia a quadri. Eppure, non
sembrava farci troppo caso. Nancy lo guardò farsi avanti e incas-
sare i pugni di Ryan sulla spalla, poi un’altra bella sventola – wow
– giusto sulla bocca, ma questa volta non aveva intenzione di
fermarsi, fece dondolare quel grosso destro e lo mandò a schian-
tarsi dritto in faccia a Ryan. Colpo accusato, senza dubbio; tanto
da farlo esitare, Ryan, così che Bob potè colpirlo ancora e ancora
e spedirlo in ginocchio.
È fatta, pensò Nancy. Mica male, finché è durata. Ma restò
stupita a vedere Ryan che si rialzava, lento, dapprima molto lento;
poi, che Bob junior ancora non se n’era accorto, di nuovo a muli-
nare cazzotti. Bob ne prese uno in pieno viso, e per un istante re-
starono quasi abbracciati, cercando di colpirsi con ogni mezzo a
disposizione. Fino a quando non fu Ryan a cadere.
Finì a quattro zampe, la testa bassa, e questa volta non tentò
nemmeno di rialzarsi. Cristo, come gli dolevano le mani, e pure la
bocca. Voleva toccarsela, la bocca, e anche la mascella, ma temeva
che a tirarla su da terra, l’una o l’altra mano, sarebbe finito a pelle
di leone. Quel tipo poteva pure starsene lì in piedi, se era quel che
voleva; lui, col fischio che si sarebbe rialzato.
Ma quello non c’era più, in piedi. Ryan girò il capo da una
parte, ed eccotelo seduto a qualche metro di distanza, la testa get-
tata all’indietro e gli occhi chiusi e rivolti al cielo, un fazzoletto
premuto sul naso.
Rotolando su se stesso, Ryan riuscì a mettersi seduto. Cristo,
anche le spalle gli facevano un male cane. Restò seduto a guardare
quel tipo, e finalmente riuscì a proferire verbo. – Non è così che si
fa.
Bob junior aprì gli occhi e provò a guardare Ryan.
- Così non lo fermi mica, – disse Ryan.
- Come no, – disse Bob junior, naso e bocca nel fazzoletto. –
Si getta la testa all’indietro.
- Che stronzata, – disse Ryan. – Bisogna soffiarsi il naso e
stringerlo ben bene, con la testa in avanti.
- Tu sei matto.
- Tutti pensano che si deve gettare all’indietro, la testa, – dis-
se Ryan, – ma non è vero, va mandata in avanti. Forza.
Bob junior si sporse in avanti, e non appena si tolse il fazzo-
letto dal naso il sangue prese a sgocciolare sul terreno.
- Forza, soffialo, – disse Ryan. Gli tenne gli occhi addosso,
per vedere se lo faceva bene.
- Mai visto tutto questo sangue, – disse Bob junior circa un
minuto più tardi, – da quando ho scuoiato un cervo che avevo
beccato proprio da queste parti, lo scorso autunno -. Aveva una
voce nasale, attutita dal fazzoletto.
- Ce n’è parecchi di cervi, da queste parti?
- Parecchi? Va’ a vedere quante piste scendono giù al lago. È
lì che vanno a bere.
- Mai stato a caccia.
- Quel cervo che ho preso, mi è bastato uscire a malapena
dalla strada, e l’ho trovato lì che quasi m’aspettava.
- Che arma hai usato?
- Non ho sempre la stessa. Quella volta avevo dietro un vec-
chio.03, ma vecchio sul serio, eppure la roba che spara quel figlio
di puttana è capace di arrivare fino a Holden.
- Questo tipo, Walter Majestyk, – disse Ryan, – mi parlava di
un capanno da caccia, da queste parti.
- Lo conosci?
- Lavoro per lui.
- Ehi, – disse Nancy. Era ancora in macchina. – Ma cos’è
questo, l’intervallo?
Ryan guardò Bob junior.- Ho l’intenzione di salire in mac-
china e andarmene via. Hai qualcosa da obiettare?
- Ma cosa vuoi che me ne freghi, – disse Bob junior.
Quando se ne andarono, era ancora seduto.
Né Ryan né Nancy aprirono bocca fin quando non furono
usciti dal bosco per imboccare la strada sterrata che portava alle
baracche degli stagionali. Ryan se li sentiva addosso, gli occhi di
lei. – Hai avuto quel che volevi, – le disse infine.
- Non è che sei stato molto carino, a cercare di dar la colpa a
me -. Nancy aveva appoggiato la schiena alla portiera e lo guarda-
va. – Come ti senti?
- Come se mi avessero preso a cazzotti in viso.
- Non sei messo così male. Tieni -. Gli porse il suo bicchiere
e lo guardò che ne ingollava il contenuto, quasi sciacquandosi la
bocca col vino, lasciandolo bruciare ben bene prima di buttarlo
giù. Gli facevano male i denti, gli pareva che gli si fossero allentati;
a muovere la mascella, sentiva un rumore, quasi uno scatto, in
prossimità dell’orecchio. Gli dolevano le mani, che avevano anche
un pessimo aspetto dopo tutte le botte che aveva dato in faccia a
quel tale, quando quello aveva attaccato a sanguinare. Nancy gli
prese il bicchiere, e lui continuò a reggere il volante con una mano
sola, in basso. Più avanti scorse un gruppo di stagionali appena
usciti dal campo di cetrioli, parecchi di loro che camminavano su
un lato della strada e già si erano voltati al sentir sopraggiungere la
macchina.
- Una cosa è certa, – disse Ryan.
- Cosa?
- In quel capanno di caccia, io non ci vado. Non me ne frega
niente, di quanti quattrini ci sono.
Nancy guardò dritta davanti a sé, da dietro il parabrezza; non
aveva certo fretta. – Lo sapevo, che l’avresti detta, questa cosa, –
disse infine, guardando Ryan. – Non ero certa né del come né del
quando, ma che l’avresti detta ero sicura.
- Be’, sei più sveglia di me, – disse Ryan, – perché io l’ho
scoperto giusto ora.
- No che non è vero. Avrai pure pensato di svuotarlo, quel
posto, – disse Nancy, – ma non l’avresti mai fatto. Pensavo che
saresti cambiato, ma non è stato così. Sei un ladruncolo da stra-
pazzo, Jackie. Ecco tutto. Puoi anche sognarlo, di arraffare cin-
quantamila dollari, ma non lo faresti mai.
- Guarda, – disse Ryan, – che quello ci ha visto. Fa’ solo
che la polizia gli chieda se per caso ha visto qualcuno da quelle
parti negli ultimi giorni, e figurati se non si ricorda di noi. Intanto
si ricorda di me, e comincia a fare due più due.
- Mi sa che sei un po’ agitato, – disse Nancy.
- Ci puoi scommettere.
- E ti girano, perché pensi che sia stata io a farvi pestare.
- Quella è un’altra cosa ancora, – disse Ryan.
- Ma il fatto che Bob ci abbia visto non prova un bel niente.
- Non ho nessuna intenzione di rischiare, – disse Ryan.
- Ne parliamo più avanti, quando ti avrò dato una bella ripu-
lita. Che ne pensi?
- Non c’è proprio nulla di cui parlare.
Avevano quasi raggiunto gli stagionali, che si stavano facen-
do da parte per far passare la macchina. – Metti giù il bicchiere, –
disse Ryan nell’avvicinarsi ai braccianti.