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O
TRASFORMAZIONE DEL S.S.P.
La professione del servizio sociale, ha manifestato sin dalla sua nascita una notevole
capacita’ di cambiamento. Oggi si stà attraversando una fase di cambiamento che
interessa l’identità stessa della professione.
Innanzitutto, essi riguardano i mutamenti nella formazione della professionalità. Il
D.P.R. n. 14 del 15 gennaio 1987 e il successivo D.MURST. del 23 luglio 1993 hanno
rispettivamente conferito al titolo di Assistente Sociale un valore legittimo al
diploma universitario in Servizio Sociale, riconoscendo alla disciplina una dignità
accademica, rafforzata dalla legge n. 84 del 23 marzo 1993.
Fra il 2000 e il 2001, nel nostro paese si verificano due straordinarie spinte
propulsive per la professione: la legge n. 328/2000 “legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” e il D.P.R.
n.328/2001 “modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione
all’esame di stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni”. Queste
due norme condizionano la formazione in termini di contenuti e forma mentis.
Per esempio, con la legge di riforma n.328/2000, la professione è chiamata a
spostare l’attenzione da un eccessivo investimento sul case-work, al lavoro di
comunità e a modalità di lavoro più improntate alla ricerca, al progetto, ai processi
partecipativi. Anche il welfare assume una forma più definita e autonoma rispetto al
passato attraverso l’ambito sociale territoriale, l’ufficio di piano e il piano di zona,
che impongono a tutto il paese modalità operative integrate come mai nel passato.
Il terzo settore, inoltre, assume adesso il ruolo protagonista delle politiche sociali.
Per quanto concerne il profilo professionale dell’assistente sociale , invece, esso
promuove l’autonomia e la valorizzazione delle risorse personali e sociali dei
cittadini in condizioni di vulnerabilità o di disagio sociale mettendo in relazione gli
utenti con le risorse istituzionali e solidaristiche. L’assistente sociale deve avere 3
punti focali: utente, organizzazione di appartenenza, contesto sociale e territoriale in
cui opera. Tramite l’analisi e valutazione dei bisogni espressi dai cittadini,
contribuisce alla programmazione delle politiche della propria organizzazione e del
proprio territorio. Per esercitare le sue funzioni deve lavorare all’interno di una rete
di relazioni che le permetta di conoscere le risorse da attivare in favore dell’utenza.
Quella dell’assistente sociale è una professione multidimensionale, o meglio,
multifocale. I due documenti fondamentali per la definizione della professione, sono
il codice deontologico dell’assistente sociale e la legge di riforma 328/2000.
Se il Welfare state contemporaneo è “un compiuto assetto di politiche pubbliche,
integrate da azioni societarie” è chiaro che il welfare state italiano è ancora
incompiuto, in quanto la legge 328/2000 non è ancora completamente applicata.
Il welfare è la strategia politica volta alla promozione/protezione delle classi deboli
della popolazione. Wilensky formulava che l’essenza dello Stato Sociale ( welfare
State) consiste nell’impegno ad assicurare ad ogni cittadino livelli minimi di reddito,
sussistenza, servizi sanitari e previdenziali, istruzione e abitazione. Inoltre gli
obbiettivi del Welfare State possono essere identificati, nell’assicurare un tenore di
vita minimo a tutti i cittadini, dare sicurezza a individui e famiglie, garantire a tutti i
cittadini l’accesso ai servizi fondamentali. Gli strumenti tipici del welfare state sono:
corresponsioni in denaro nelle fasi non occupazionali del ciclo vitale e nei casi di
incapacità lavorativa, erogazioni di servizi quali istruzione, sanità, abitazione,
concessione di benefici fiscali etc.
Per quanto riguarda la situazione italiana, è più coerente parlare di politiche sociali:
espressione che indica un processo più realistico rispetto all’incompiuto welfare, che
consiste nell’ideazione e condivisione di risposte possibili ai problemi comuni.
Diversi autori sostengono che lo Stato è solo uno dei protagonisti delle politiche
sociali. Politiche sociali e welfare, più in generale, sono caratterizzate da una
molteplicità di attori che interagiscono fra loro. In particolare si fa riferimento oltre
che allo stato, anche alla famiglia, mercato e terzo settore. A tutti questi si sta
progressivamente affiancando l’idea di comunità. Per quanto riguarda la famiglia,
qui si fa riferimento al nucleo familiare, che può essere formato da un nucleo più
altri membri aggregati, da più nuclei o da nessun nucleo. Una famiglia, può, infatti
essere costituita anche da una sola persona.
L’attore-stato.
Lo stato è la comunità, il gruppo sociale residente su un determinato territorio. Lo
stato esercita i propri compiti e le proprie funzioni nelle politiche sociali, mediante la
pubblica amministrazione. Si suddivide in 3 principali sotto-settori: amministrazione
centrale, amministrazioni locali, enti di previdenza. Lo stato svolge funzioni proprie,
esclusive o sussidiarie. Le principali consistono nel regolamentare, redistribuire,
assicurare, produrre.
L’attore-mercato.
La definizione economica più diffusa consiste nel termine che indica il luogo dove si
incontrano domanda e offerta di uno o più beni e servizi, determinandone il prezzo.
Il mercato, però, è anche un principio in quanto sottende la libertà illimitata
dell’individuo di agire in nome dei propri interessi. Le funzioni del mercato sono di
tipo produttivo e allocativo dei beni, servizi e prestazioni. Nel welfare, il mercato è in
grado di rispondere più dello stato e della famiglia ai bisogni del singolo, che tuttavia
perde lo status di cittadino acquistando quello di consumatore.
Il terzo settore.
L’ultimo attore tradizionale del welfare è il terzo settore anche detto no profit. Il
terzo settore è l’aggregato delle organizzazioni che concorrono, su base no profit,
alla produzione di servizi di rilevanza e interesse sociale, ed entrano in relazione con
le organizzazioni formali dello stato e del mercato. Le figure tipiche del terzo settore
sono: cooperative, associazioni di volontariato, fondazioni, ONG, ONLUS. I principi ai
quali esso risponde sono: solidarietà, sussidiarietà, cooperazione, promozione
sociale, responsabilità sociale.
CAP.6
La legge 328/2000 conferisce valore inedito alla prevenzione. intervenendo,
infatti, a livello di informazione/formazione/crescita culturale generale o
all’esordio di una patologia o, ancora, per la riduzione/contenimento del danno,
l’assistente sociale può evitare grandi sofferenze. Altri principi innovativi sono:
sussidiarietà, partecipazione attiva dei cittadini, il diritto alle prestazioni per i
cittadini italiani e profughi, stranieri e apolidi, l’universalità del sistema integrato.
La SUSSIDIARIETA’ è il principio che indica la priorità delle iniziative che nascono
dal basso, dalle persone e dalle comunità, per la realizzazione del bene comune e
impone ai livelli superiori di organizzazione sociale di non sostituirsi a quelle
inferiori, ma di intervenire, se necessario, solo in loro aiuto. Alla base della
sussidiarietà c’è il valore unico della singola persona. Rispettare il principio di
sussidiarietà significa rispettare e sostenere la libertà e la responsabilità delle
persone. Vi è inoltre, una forte affermazione del principio dell’integrazione.
Integrare significa: fare sistema, evitare incoerenze, riconoscere problemi
emergenti ancora senza adeguata risposta istituzionale, evitare sprechi di risorse,
focalizzare l’attenzione sul fruitore finale. L’art. 19, sul piano di zona, in realtà,
avrebbe dovuto intitolarsi “ambito sociale territoriale”: i comuni sono chiamati
ad associarsi e ad assumersi le responsabilità delle scelte politiche in materia di
assistenza sociale. Il protagonista di questa rivoluzione è dunque l’ambito sociale
territoriale. Si tratta di una delimitazione territoriale operata dalla regione
coincidente con i distretti sociosanitari. Ma l’ambito è anche una agenzia
autonoma, costituita dai servizi sociali degli enti locali che vi afferiscono, avente
una propria cassa e quindi un proprio bilancio. L’organizzazione dell’ambito si
compone di un coordinamento istituzionale ( composto da sindaci e assessori), di
un ufficio di piano (tavolo tecnico formato dai capi settore ai servizi sociali,
assistenti sociali, personale amministrativo), e di un responsabile dell’ufficio di
piano. Inoltre, dall’ambito sociale, dipendono anche la PUA (porta unica di
accesso per i bisogni generici) e l’UVM(unità di valutazione multidimensionale,
per i bisogni di disabilità e di carattere sociosanitario). Il cittadino –utente può
rivolgersi al servizio sociale dell’ente locale, sia alla PUA per situazioni più gravi ,
per la quali si possono elaborare PIANI DI ASSISTENZA INDIVIDUALI( pai).
Anche la programmazione economica sociale subisce forti cambiamenti.
L’innovazione maggiore consiste nel piano regionale delle politiche sociali (PRPS)
e nel piano di zona (PDZ). Il primo è il documento triennale di programmazione
regionale dei beni, servizi e prestazioni di carattere socio-assistenziale, realizzato
dall’assessorato regionale alle politiche sociali o al welfare. In questo documento
sono distribuite ai singoli ambiti regionali risorse, disposizioni, obbiettivi. Il piano
di zona, invece, è il documento di programmazione del singolo ambito, nel quale
sono programmate, distribuite e allocate le risorse ai singoli servizi, secondo le
priorità dettate da ragioni statico-demografiche, politiche, sociali ed economiche.
Il bilancio dell’ambito è costituito dai trasferimenti statali, dal fondo regionale
programmato ogni 3 anni all’interno del piano regionale politiche sociali dalle
compartecipazioni comunali e da altri finanziamenti. Il fondo unico di ambito è
aperto cosi’ a molteplici forme di finanziamento: oltre alle risorse ordinarie, vi
sono risorse aggiuntive, e i fondi comunitari.
CAP.7
Il welfare state, che ha rappresentato lo scenario delle politiche sociali degli anni
30-40 fino agli anni 70-80 del secolo scorso, ha dovuto cedere il passo al welfare
mix degli anni 90-2000, ossia ad un’idea di compresenza del settore pubblico e di
quello privato fondata sui principi di integrazione e sussidiarietà, supportata dalla
legge 328/2000. Man mano ci si è resi conto delle lacune prodotte anche da
quest’ultimo modello, introducendo l’ipotesi di un modello di welfare
community , informato al principio di sussidiarietà orizzontale, nel quale alle
organizzazioni della società civile è riconosciuta la capacità di programmare gli
interventi e le scelte strategiche finalizzati al perseguimento dell’interesse
generale, di concerto con l’ente pubblico, che mantiene una funzione di garanzia.
Tuttavia di recente si stanno affermando due nuove definizioni sul welfare: il
secondo welfare e il welfare generativo. Il secondo welfare si propone di trarre
risorse da fonti inedite per il sistema socio-assistenziale (assicurazioni private,
fondi di categoria, fondazioni bancarie, associazioni ed enti locali), questo
modello può rispondere ad esigenze sociali emergenti ma trascurate, come la
non-autosufficienza, povertà, esclusione sociale, disagio abitativo.
Il modello del welfare generativo è realmente innovativo, in quanto si pone
l’obbiettivo di trasformare il welfare da costo a investimento sociale. Una ricerca
sul welfare generativo è stata realizzata dalla fondazione zancan, il modello del
welfare generativo può essere sintetizzato con la regola delle 5R: -raccogliere-
redistribuire-rigenerare-rendere-responsabilizzare. Raccogliere e redistribuire
rappresentano funzioni storicamente in capo allo stato, alle pubbliche
amministrazioni e alla politica. A queste due funzioni si devono aggiungere oggi
le altre 3 che, invece, afferiscono alle comunità locali. Il modello di welfare
generativo prevede, quindi, un forte investimento sulle capacità prodotte dalla
somma delle risorse, titoli e dotazioni individuali.
CAP.8
I 4 metodi indispensabili e funzionali al lavoro di comunità sono: networking,
processo partecipativo, documentazione professionale e la valutazione.
Lavoro di rete/in rete o networking. La rete è una metafora che indica un
modello sistemico di organizzazione sociale. Il soggetto vero, nel lavoro sociale,
non è un operatore o un’istituzione ma è sempre una rete, cioè un insieme di
attori collegati. Definiamo come lavoro di rete innanzi tutto questa azione di
raccordo, uno sforzo diretto a facilitare le sinergie tra i molteplici poli-
formali/informali- coinvolti nell’aiuto ad una singola persona o una categoria di
persone con problemi. Il lavoro di rete prevede, inoltre, un’azione di supporto
alle reti già esistenti e un’azione di estensione della rete, cioè lo sforzo di attivare
nuovi soggetti disponibili a collocarsi nella rete come ulteriori poli per l’aiuto. Tali
nuovi apporti sono da ricercare fra le reti informali della comunità locale, come le
famiglie, i vicinati, l’associazionismo. Le reti informali si contrappongono a quelle
formali, nelle quali i punti (soggetti) sono collegati gli uni agli altri da vincoli non
spontanei, ma stabiliti da codici imposti, come accade per le reti fra dipendenti di
un’organizzazione o fra istituzioni diverse. Gli studi sulla rete/reti e l’analisi sul
funzionamento della rete (network analysis) sono di origini americane e nord
europee. E’ corretto distinguere il networking in: lavoro in rete, lavoro di rete e
lavoro della rete. E’ importante ricordare che ogni intervento con la rete nasce
da una ricerca dei caratteri propri del territorio e della comunità nei quali
operiamo. Tale ricerca produce la mappa del territorio, documento in continuo
aggiornamento indispensabile per censire bisogni, risorse, servizi.
Il lavoro in rete coinvolge l’operatore nella rete stessa, che in questa dimensione
si muove “ in orizzontale “, contribuendo con il proprio know-how al buon
funzionamento della rete, rispettando i limiti del mandato istituzionale e la
mission del proprio ruolo professionale. Nel lavoro di rete l’assistente sociale
assume un ruolo più esterno rispetto agli altri nodi. Il professionista, diventa una
sorta di regista, che consente la facilitazione dell’incontro e degli scambi positivi
fra nodi e reti diverse. Il lavoro delle reti ha, invece, funzionamento autonomo,
autoregolato, verso il quale l’assistente sociale può avere un ruolo di
supervisione, ed eventualmente di rettifica. Per comunità si intende un sistema
umano complesso e dinamico, di dimensioni variabili, nel quale i singoli individui
condividono lo stesso contesto spaziale (ossia il territorio, i luoghi, le risorse
naturali); lo stesso contesto temporale ( ossia una storia comune); gli stessi
fondamenti culturali , costituiti dalla storia, lingua, miti, riti, arte etc.; i sistemi di
regolazione della convivenza civile, come le norme, i valori, il livello di capitale
sociale, il comune senso di appartenenza, di solidarietà etc.. Questa definizione
costituisce un quadro di riferimento generale che però presenta delle eccezioni.
Alcuni esempi della complessità e ambiguità dell’idea di comunità li troviamo
nelle comunità a-spaziali, i popoli senza terra, che per ragioni storiche e sociali
non si sono mai costituiti in forma di stato-nazione (rom-sinti-caminanti etc.), le
comunità di pratiche ( ossia gruppi umani che si riconoscono esclusivamente in
alcune funzioni), le comunità ideologico-politiche ( che si costituiscono e si
riconoscono esclusivamente in un credo religioso o in una ideologia politica), le
comunità linguistiche ( individui che interagiscono sulla base di sistemi linguistici
comuni), le comunità virtuali (prodotte dalle attività dei nuovi mezzi di
comunicazione di massa.) La connotazione che interessa l’assistente sociale
rimane la comunità locale. Essa rappresenta la dimensione ideale nella quale è
possibile trasferire il proprio operato dal caso alla rete e nella quale è possibile
inquadrare il caso nel contesto della rete. In essa il case-work può diventare
case-management. Per comunità competente si intende una comunità capace di
riconoscere i propri bisogni e di mobilitare e impiegare le risorse necessarie per
soddisfarli. Un gruppo umano caratterizzato da autonomia e autosufficienza nel
problem solving. Ma una definizione di comunità competente ancora più precisa
è: comunità non fruitrice passiva di beni e servizi, ma soggetto capace diacquisire
potere attraverso l’interazione con le istituzioni, tesa alla crescita sociale e al
soddisfacimento dei bisogni. Sostenendo e valorizzando l’associazionismo tra
famiglie, promuovendo il mutuo sostegno familiare e creando così reti di
solidarietà, si vuole favorire la partecipazione dei cittadini nelle formazioni in cui
sono inseriti. La comunità diventa non un bacino di utenza, ma un attore sociale
dotato di risorse e competenze. Comunità competenti significa, quindi, anche
acquisizione di potere e di influenza economica e politica. Anche la metodologia
necessaria per aiutare le comunità a divenire competenti porta, in sé, il concetto
di potere: si tratta, infatti, dell’ EMPOWEREMENT e delle relative tecniche dei
processi partecipativi da attuare nei laboratori urbani. Per empowerement, si
intende quel processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le
organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine
di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la
qualità di vita. Per sollecitare, promuovere, implementare l’empowerement di
comunità, l’assistente sociale utilizza le tecniche dei processi partecipativi che
comprendono
-brainstorming: consiste in una tecnica creativa esercitata in un gruppo da un
conduttore. Il conduttore presenta l’idea iniziale e successivamente, a turno,
ciascuno dei partecipanti può agganciarsi all’idea iniziale mediante libera
associazione di idee. Il conduttore prende nota delle idee emerse e al termine del
lavoro sintetizza le proposte, condividendo con il gruppo le conclusioni.
-benchmarking: significa identificare segni. È il processo di identificazione,
comprensione, adattamento delle migliori pratiche, proprie o di altre
organizzazioni, allo scopo di migliorare la performance. Questa tecnica consente
di individuare le buone pratiche e di adattarle al proprio contesto.
-project cycle management (pcm): è una modalità che si sviluppa in sei fasi:
programmazione-identificazione-formulazione-finanziamento-realizzazione-
valutazione. Essa si utilizza per la condivisione di un’ipotesi progettuale
complessa.
-goal oriented project planning (gopp): è un laboratorio di gruppo. È possibile
adoperare il gopp nella fase di identificazione del problema, di formulazione delle
line progettuali, nella verifica in itinere ed ex post. Il workshop gopp è condotto
da un facilitatore, che deve mantenere un distacco emotivo dalle posizioni dei
partecipanti e dal tema oggetto dell’incontro. I partecipanti, invece, sono
stakeholders, ossia portatori di interesse. Esso prevede una fase di apertura,
nella quale si sollecitano le presentazioni reciproche e le motivazioni di ciascuno
alla partecipazione. La fase dello svolgimento è costituita da un primo
brainstorming sui problemi della costruzione dell’albero dei problemi ossia uno
schema sintetico e condiviso che rispetta la gerarchia dei problemi, come
percepita dai presenti: dal più immediato alla macro-causa che li genera tutti.
Successivamente il gruppo si confronta sempre in brainstorming su ogni singolo
aspetto, provando a convertire i problemi in proposte o ipotesi risolutive, si
forma così l’albero delle soluzioni. La chiusura del laboratorio avviene con la
redazione di un quadro logico, che rappresenta lo schema di base sul quale è
possibile costruire il report conclusivo del laboratorio.
-open space technology (ost): tecnica funzionale alla conduzione di gruppi di
lavoro, il cui maggior punto di forza è costituito dall’inclusione di un numero
anche molto ampio di partecipanti. Esso può essere utilizzato per azioni di
informazione specifica su larga scala, sensibilizzazione su un tema, formazione,
poiché rende la trasmissione di conoscenze più interattiva e interessante. La
tecnica è stata sviluppata da Harrison Owen, antropologo e consulente aziendale.
Oggi è applicata regolarmente nei 5 continenti. La tecnica poggia su 4 regole
fondamentali e inderogabili:
1. chiunque venga è la persona giusta
2.qualunque cosa accada è l’unica che poteva accadere
3.qualunque momento in cui si comincia, è il momento giusto
4.quando è finita, è finita.
L’unica legge osservata è quella dei “ due piedi”, in quanto chiunque non ritiene
interessante l’argomento può cambiare gruppo o allontanarsi liberamente. Il
gruppo è condotto da un facilitatore esperto. Grazie a questa tecnica, i
partecipanti al gruppo sviluppano dinamiche di autoeducazione all’ascolto, alla
conoscenza e al rispetto reciproco, al confronto, alla responsabilità,
all’accettazione di punti di vista diversi. Il setting deve essere confortevole per
permettere la concentrazione dei partecipanti.
Ogni singola fase del processo di aiuto, richiede la produzione di un documento
scritto: si comincia dalla scheda anamnestica o dalle schede di colloquio, poi vi è
la relazione di servizio sociale, la cartella sociale, il diario del caso, la stesura del
progetto di assistenza individualizzata (PAI), la redazione di atti amministrativi
collegati alla gestione dei casi e al rapporto con l’ente di appartenenza ( verbali,
circolari, elenchi, mappe, delibere e determinazioni dirigenziali, disposizioni di
servizio, cura della corrispondenza, contratti), elaborazione di documenti tecnici
(protocolli d’intesa, accordi di programma, linee guida, report di ricerca o di
progetto). Ciascuna delle funzioni citate, necessita di specifiche scritture. Ad
esempio:
-la relazione necessita della scrittura tecnico- amministrativa, le cui
caratteristiche sono indicate nel codice deontologico.
-ricerche e report di progetto si scrivono in chiave tecnico scientifica , acquisita
da letture costanti e pertinenti di documenti originali, normative, statistiche,
appunti, diari, siti internet etc.
-i progetti si scrivono con la scrittura tecnica, scientifica, amministrativa,
connessa al format dei bandi, ai contenuti tecnico-professionali, alle norme etc.
Fanno parte delle metodologie:
-l’OSSERVAZIONE: può essere declinata attraverso 3 funzioni: il vedere, ossia la
mera funzione fisiologica propria del senso della vista; il guardare, cioè l’atto del
vedere con maggiore attenzione un oggetto selezionato che interessa più da
vicino, l’osservare, che implica non solo uno sguardo più attento ma anche la
volontà di approfondire la conoscenza dell’oggetto stesso. La legge 328/2000 ha
espressamente previsto che l’osservazione dei fenomeni sociali sia codificata con
precisione. L’osservazione assume, così, il valore del primo, indispensabile,
passaggio nel percorso della programmazione dei servizi. Il monitoraggio consiste
in una funzione continua che utilizza la raccolta sistematica dei dati relativi a
indicatori stabiliti per fornire, in corso d’opera, all’ente esecutore e alle principali
parti interessate, indicazioni sullo stato di avanzamento, sul conseguimento degli
obbiettivi e sull’utilizzazione dei fondi. Il monitoraggio è quindi la raccolta di info
rese disponibili per utilizzi diversi, inclusa la valutazione, che di per sé non
esprime giudizi. La valutazione, secondo il glossario OCSE è l’apprezzamento
sistematico e oggettivo su formulazione, realizzazione ed esiti di un progetto,
programma o politica di sviluppo che si effettua in corso d’opera o dopo il
completamento delle attività previste. Essa si propone di esprimere un giudizio
sulla rilevanza e il raggiungimento degli obbiettivi, su efficienza, efficacia, impatto
e sostenibilità. Essa prelude ad ulteriori metodologie altrettanto indispensabili ed
espressamente previste da gran parte della legislazione sociale, come
l’accountability, ossia la responsabilità del risultato conseguito da un attore dei
servizi sociali sulla base delle capacità, abilità, etica dimostrate. la certificazione,
ossia una forma evoluta di riconoscimento della qualità e pone i cittadini
beneficiari in una posizione di maggiore tutela e difesa dei propri diritti. È la
certificazione che consente l’autorizzazione al funzionamento di un servizio e
l’accreditamento, che garantisce la qualità dell’assistenza e dei servizi e riguarda
strutture, tecnologie, professionisti (ad esempio le norme ISO). La supervisione è
una metodologia che prevede l’osservazione critica e il più possibile obiettiva di
un determinato processo sociale, da parte di un esperto o autorità riconosciuta,
definito supervisore. la supervisione individuale consiste in un processo nel quale
il professionista è messo nelle condizioni di riflettere sugli aspetti problematici
del suo lavoro o vita, in modo da accrescerne la consapevolezza e aiutarlo a
individuare le migliori strategie per il superamento dei problemi.
Cap.9
Le categorie di tecniche indispensabili per il lavoro sociale di comunità sono 3:
ricerca sociale, progettazione, formazione. Si tratta di tecniche prodotte dalla
contaminazione culturale di diversi altri linguaggi e discipline. La ricerca è
fisiologica, perché è dentro ciascuno di noi. Essa è necessaria, perché serve a
descrivere i fenomeni, a spiegarli a coloro che non li conoscono o che ne danno
descrizioni fuorvianti, a prevederne le conseguenze. La poliedricità del mandato
professionale, si manifesta anche nella ricerca sociale. L’assistente sociale
necessita di una visione metodologica “multiprospettica” della ricerca.
Ad esempio, anche solo per la redazione di un piano di zona o di un progetto, si
può fare ricorso ad una o più delle seguenti forme di ricerca:
1. Quantitativa: con matrice di dati nella quale organizzare le info rilevate: ad
esempio, dati demografici sulle caratteristiche della popolazione componente
la comunità di riferimento; dati numerici e statistici sui fenomeni
caratterizzanti e problematici e sull’offerta dei servizi e delle prestazioni.
2. Qualitativa: senza matrice di dati, che analizza le info in profondità, ad
esempio il grado di soddisfazione degli utenti-beneficiari di beni, servizi,
prestazioni; il rapporto fra efficacia ed efficienza nella percezione degli
operatori; le ricadute di scelte di politica sociale nella qualità della vita delle
persone e della comunità.
3. Induttiva: in quanto l’operatore riscontra/può riscontrare sul campo
problemi, risorse, contenuti differenti rispetto a quelli stabiliti dalle teorie e
dalle ipotesi di partenza.
4. Deduttiva: nella quale, al contrario della prospettiva induttiva, la rilevazione
degli elementi sul campo dà luogo all’elaborazione di un’ipotesi/teoria; le
premesse, quindi, coincidono con le conclusioni.
5. Teorica o compilativa. Consiste nella raccolta libera di documenti, testi di
letteratura sul tema, normativa, ecc.. Ad esempio, per avvalorare le ipotesi di
partenza di un progetto sociale o di un intervento specifico da inserire nel
piano di zona.
6. Applicata/a-teorica: non libera, vincolata alle richieste della committenza, si
realizza intorno ad un oggetto definito, evita le teorie, perché è finalizzata a
scoprire nuove conoscenze sul problema dato. È svolta, quindi, solo a livello
empirico, raccogliendo info nei diversi contesti di osservazione.
7. Standard: di tipo quantitativo, nella quale esiste una teoria assunta come
valida in partenza, dalla quale si ricavano con passaggi logici precisi, ipotesi
specifiche e strumenti di rilevazione; la raccolta dei dati è organizzata in una
matrice dei dati.
8. Secondaria: consiste nell’utilizzare dati prodotti da altre ricerche sul problema
che ci interessa o su problemi simili.
9. Comparativa: in benchmarking, in quanto possono essere inseriti nel piano di
zona o nel progetto i contenuti/le buone pratiche presenti in luoghi anche
molto lontani dalla comunità della ricerca.
Tuttavia, la distinzione classica fra le diverse tipologie di ricerca è quella fra
quantitativa e qualitativa, i cui tratti caratterizzanti e distintivi possono essere
sintetizzati come segue. Nella ricerca quantitativa vi è un ampio ricorso alla
statistica ed è impiegata una matrice di dati. L’assistente sociale deve sempre tener
presente che il “ numero “, da un lato è garanzia di oggettività, ma dall’altro è sterile
ed incomprensibile se non opportunamente spiegato. I passaggi metodologici di
questa ricerca sono: -definizione della matrice dei dati-costruzione della matrice-
individuazione dell’universo e campionamento-scelta delle tecniche di
campionamento-elaborazione delle ipotesi-costruzione del questionario-
elaborazione statistica-definizione della tesi.
La ricerca qualitativa è decisamente più vicina e diffusa nel lavoro dell’assistente
sociale. in essa non c’è matrice di dati. Ed è proprio a causa del ridotto apporto di
parametri numerici, che necessita di una preparazione, realizzazione e
comunicazione accurata. essa si usa nelle indagini sociologiche, etnografiche, negli
studi di comunità. le tipologie di ricerca qualitativa più diffuse nel lavoro sociale
sono: l'’assessment, la ricerca etnografica, le narrazioni autobiografiche.
L’assessment è un termine che è usato per indicare una forma di valutazione. Si
riferisce alla raccolta di info e all’analisi effettuata dall’operatore sociale rispetto alla
situazione di una singola persona o di una famiglia e significa “valutazione” e
“accertamento” di fatti e situazioni in vista di un giudizio discrezionale e di una
successiva presa di decisione. La ricerca etnografica si rivela particolarmente
indicata nel lavoro sociale di comunità, per la profondità dell’accertamento del dato
e l’elevata valenza qualitativa. Il ruolo centrale è attribuito all’osservazione
dell’azione sociale, a ciò che le persone fanno in certi contesti, alle loro intenzioni,
all’interazione sociale. Le fasi della ricerca etnografica sono le seguenti:
-preparazione della ricerca: si identifica e si analizza il problema della ricerca, si
esaminano i dati del fenomeno individuato, si circoscrive il luogo, si pianificano i
tempi, si interpellano gli esperti.
-elaborazione del piano di lavoro: si formula l’ipotesi della ricerca, si effettua la
valutazione delle competenze necessarie e la loro eventuale acquisizione.
-individuazione delle tecniche e degli strumenti di documentazione: individuazione
delle tecniche di registrazione dei dati
-costruzione del rapporto col terreno: è la fase più ardua della ricerca, in quanto per
il ricercatore non è facile stabilire rapporti di fiducia e accettazione reciproca con la
comunità che vuole osservare.
-osservazione: l’osservazione partecipante di matrice etnografica, prevede che il
ricercatore, pur rimanendo tale negli obbiettivi del suo lavoro e nel suo rapporto
con il campo, si spogli del proprio ruolo e si sforzi di integrarsi pienamente nella
comunità osservata. È uno strumento caratterizzato dal fatto che un ricercatore
raccoglie info sulla cultura e sulla vita quotidiana di un certo gruppo sociale,
osservando direttamente le attività ordinarie delle persone di quel gruppo e in
qualche caso partecipandovi direttamente. Dovrà però evitare comportamenti di
eccessiva intimità o eccessivo distacco, non creare false aspettative rispetto alla
soluzione di problemi che emergono, mantenere un comportamento equilibrato e
obbiettivo con tutti, un atteggiamento disponibile e discreto.
-intervista: è opportuno sottolineare che esistono diversi tipi di intervista,
biografiche, focalizzate, in profondità, motivazionali, non direttive. Sarà compito
dell’assistente sociale cogliere la linea di demarcazione fra il colloquio professionale
e l’intervista.
-analisi ed elaborazione dati: presuppongono una buona padronanza del linguaggio
scritto tecnico-professionale, buone conoscenze scientifiche sull’argomento oggetto
della ricerca e la disponibilità di una valida rete, anche interdisciplinare di
professionisti disposti a contribuire al documento conclusivo della ricerca.
- divulgazione dei risultati: la diffusione dei risultati di una ricerca sociale ed
etnografica deve necessariamente rispettare tutte le norme e le indicazioni tecniche
sulla tutela della privacy delle persone contattate e sul segreto professionale.
Gli strumenti operativi ai quali l’etnografia fa ricorso, sono: il colloquio, l’intervista,
l’inchiesta sociale, il questionario, il focus group.
- Il colloquio: il servizio sociale si fonda quasi completamente sul colloquio,
nelle sue diverse articolazioni, come il colloquio motivazionale, propedeutico,
intervento specialistico etc. all’interno di una ricerca etnografica, il colloquio
sostenibile è quello rivolto agli stakeholders particolarmente attivi sulla
questione oggetto della ricerca oppure sugli osservatori/testimoni privilegiati,
ovvero persone particolarmente informata sulla questione e disponibili al
racconto della propria esperienza.
- Intervista: l’intervista consiste in una interazione/relazione sociale tra
intervistatore e intervistato volta ad acquisire info attraverso la proposta di
domande. L ’intervista deve essere palese e la sua finalità accettata dal
soggetto rispondente. La relazione tra intervistatore e intervistato, può essere
simmetrica o asimmetrica, in quanto essa può svolgersi all’insegna della
cooperazione o competizione. Per sollecitare la cooperazione, l’intervistatore
deve costantemente motivare, informare, legittimare, rassicurare, spiegare.
Le interviste possono essere distinte secondo il criterio di standardizzazione e
sono le seguenti: libera, guidata, focalizzata su un tema, con questionario non
strutturato, con questionario semi strutturato, semi-strutturato, strutturato.
-inchiesta sociale: è una ricerca etnografica complessa, costituita da colloqui e
interviste integrate con sufficiente documentazione scientifica.
-questionario: è un insieme strutturato di domande, aperte o chiuse, poste in
sequenza secondo un criterio prestabilito. Ogni domanda rappresenta un
elemento di classificazione. La sequenza prevede di suddividere le domande
in aree tematiche omogenee, disporre quest’ultime in successione e le
domande all’interno di ciascun area in base alla loro generalità. Le domande
dovranno essere di numero contenuto, strettamente pertinenti e logicamente
consequenziali ai materiali raccolti. È opportuno che vi siano almeno 3
indicatori. Gli indicatori sono definizioni che suddividono in parti un concetto.
-focus group: consiste in una tecnica basata sulla discussione all’interno di un
gruppo di persone riguardo all’atteggiamento personale nei confronti di un
tema specifico. Il suo obbiettivo è quello di studiare in profondità uno
specifico argomento in relazione ad obbiettivi specifici. Esso facilita
l’emergere di contenuti definiti in modo ordinato, chiaro, collaborativo,
l’interazione reciproca, l’ascolto attivo.
L’assistente sociale fa ricorso alla ricerca qualitativa tutte le volte che sia
possibile risalire attraverso la conoscenza approfondita di una o poche storie
specifiche, a comportamenti, orientamenti, stili di vita, problematiche
complesse che interessano l’intera comunità.
La riscoperta della legittimazione della storia orale è recente, essendo
avvenuta sia in usa che in europa solo nel 900’. In europa, gli anni 30 furono
caratterizzati congiunture storiche che ebbero origine dalla rivoluzione
industriale, dall’affermazione di grandi regimi totalitari, dalla formazione delle
organizzazioni assistenziali, ricreative, culturali, cooperative, sindacali,
dall’avvio del sistema capitalistico. Inizialmente, in quel contesto, la storia
orale emerge dal basso, dalle masse operaie e contadine, dal proletariato che
assoggettato alle nuove esigenze del capitalismo, avverte alcune necessita,
come quella di conservare il più possibile la memoria delle proprie radici
culturali e cercare, attraverso un nuovo modo di raccontare la storia, di
contrapporre le proprie ragioni e le proprie rivendicazioni sociali alle
motivazioni e alle scelte di puro profitto dei padroni. La storia orale italiana
negli anni 50, diviene sempre più consapevole delle proprie funzioni anche
grazie all’enorme mole di documenti e testimonianze raccolte attraverso le
fonti orali. Al contrario, le storie minori, sarebbero state travolte dagli
immensi drammi del conflitto mondiale. È dunque, il momento delle grandi
inchieste. Negli anni 60/70, nascono alcune fra le esperienze più
rappresentative della storia orale, come l’istituto Ernesto de Martino, del
movimento operaio Gianni Bosio, ecc. questo profondo rinnovamento ha
condotto negli anni 80, ad una piena legittimazione della disciplina e a risultati
scientifici attribuiti alle fonti orali fortemente apprezzati anche in campo
accademico. Per il servizio sociale professionale, l’approccio autobiografico
della ricerca qualitativa si articola come di seguito: 1. Autobiografia 2.
Eterobiografia 3. Etnografia 4. Servizio sociale professionale.
1. Autobiografia: letteralmente il racconto scritto di sé. Si basa su 2
consapevolezze: su quanto la routine quotidiana e l’ansia da performance
possano allontanare le persone da se stesse e quanto siano potenti, sul
piano preventivo e terapeutico. La parola e la parola scritta. Scrivere la
propria storia, sia personale che professionale, è una esperienza che
consente alla persona di conoscersi meglio, prendersi in carico negli errori
commessi e nei successi, prendersi cura di sé e ricreare condizioni
favorevoli al proseguimento delle esperienze future. È fortemente
consigliabile che l’assistente sociale partecipi ad uno dei numerosi
laboratori autobiografici per ripensarsi nel proprio contesto di vita e di
lavoro.
2. Eterobiografia: è stata interiorizzata dal servizio sociale come
metodologia, che consiste nell’accoglimento del racconto di vita dell’altro.
L’assistente sociale deve aiutare l’utente, attraverso un’azione di ascolto
partecipato a riordinare il caos dei ricordi e accompagnarlo nel processo di
ricostruzione del senso della sua vita e identità.
3. Etnografia: si avvale dell’approccio autobiografico prima di tutto nei
confronti del testimone privilegiato, la cui autobiografia, specie se resa in
gruppo, aiuta i partecipanti a stabilire con l’operatore un rapporto di
fiducia ed empatia. La ricerca etnografica può essere considerata
l’autobiografia di una intera comunità.
4. Servizio sociale professionale: deve attingere dai risultati di queste
esperienze di ricerca, per migliorarsi, migliorare il contesto in cui opera e
arricchirsi di nuovi contenuti.
La seconda tecnica fondamentale per il servizio sociale è la progettazione
sociale. Il progetto sociale è un sistema complesso di azioni che assolve a 3
funzioni:
- Prevenire/contenere/ridurre/contrastare i problemi
- Gestire/curare azioni positive di crescita, sviluppo, emancipazione di persone
e comunità
- Ripristinare/recuperare una situazione positiva preesistente nella vita delle
persone.
A livello metodologico, il progetto assume il valore di un dispositivo realizzato
da attori sociali i quali, sulla base di una previsione, identificano strategie e
azioni adeguate al raggiungimento – in dato tempo e dato luogo- di obiettivi
per i quali esistono o sono ottenibili risorse dedicate, al fine di produrre un
cambiamento in ordine alla soluzione di problemi o alla riduzione di disagi
umanamente e socialmente rilevanti.
Nel management:
con il temine progetto non si intenderà la sola attività di progettazione di
un’opera, ma in esso si ingloberanno tutte quelle attività che costituiscono nel
loro insieme, la realizzazione dell’opera stessa . attività che vanno dalla sua
concezione originaria allo studio di fattibilità tecnico-economico, alla
progettazione, sino alla costruzione vera e propria, per giungere, in alcuni
casi, anche alla messa in funzione e persino alla gestione dell’opera compiuta.
In filosofia, il progetto è l’anticipazione delle possibilità. Il progetto sociale,
così, si mette al centro fra il pensare e l’agire. Una previsione orientata al
problem solving. Il progetto sociale è un’ipotesi, un processo di cambiamento
da una data situazione insoddisfacente A ad una migliore situazione B,
potenzialmente già compresa nella situazione A di partenza, ma che
l’operatore vede prima e più chiaramente di altri. Esso quindi rappresenta la
modalità concreta per dare soluzione ai problemi della persona, considerata
nella sua unicità. Il progetto di azione sociale a dimensione collettiva,
risponde a problemi presentati da più persone, dei quali è importante cogliere
gli elementi comuni al fine di individuare soluzioni innovative, contrastare,
prevenire situazioni di rischio, promuovere condizioni di benessere.
Per PIANO si intende uno strumento concettuale e amministrativo
predisposto dai livelli politico-amministrativi-tecnici di un territorio, a seguito
della individuazione di un macro-problema. Esso non ha una durata definita
ed è generale sulla gran parte dei suoi aspetti.
Il PROGRAMMA è l’equivalente del piano, ma ad un livello più decentrato e
per contesti territoriali limitati, può avere una durata definita ed essere più
specifico del piano.
Il PROGETTO è invece una attività singola, non divisibile, con un obbiettivo
operativo. è delimitato in termini di scadenze e budget, e può essere parte di
un programma o di un piano, come può rappresentare un’esperienza
estemporanea.
Le principali caratteristiche del progetto sono:
-è un insieme di attività chiaramente delimitate
-richiede un finanziamento ben definito
-è finalizzato al raggiungimento di uno o più obbiettivi
-è dotato di coerenza interna
-costituisce l’unità minima della programmazione
-costituisce uno strumento operativo
SLIDE LEZ.1
tre sono i documenti fondamentali per il servizio sociale di comunita’:
1.IL CODICE DEONTOLOGICO DELL’ASSISTENTE SOCIALE (artt. 33-39)
(Testo approvato dal Consiglio Nazionale nella seduta del 17 luglio 2009)
2. LEGGE 8 novembre 2000, n. 328
(Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali)
3. DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO
(approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite)
in nessuno dei tre documenti compare la parola “welfare”, tuttavia, sono ben
presenti e reiterati i termini
“POLITICA/POLITICHE SOCIALE/I”
“INTERVENTI” E “SERVIZI SOCIALI”
quali sono le differenze fra questi due gruppi di concetti?
Il welfare comprende pertanto il complesso di politiche pubbliche dirette a
migliorare le condizioni di vita dei cittadini.(Treccani)
Welfare State: indica il complesso delle istituzioni e delle politiche
economiche e sociali pubbliche volte a garantire a tutti i cittadini una soglia
accettabile di benessere attraverso l’erogazione di servizi essenziali, quali ad
esempio l’assistenza sanitaria, l’istruzione e la previdenza sociale.
Lo sviluppo di interventi di protezione sociale, in risposta al problema storico
dell'insicurezza di individui, famiglie e gruppi sociali, assume nel corso del
tempo forme sempre più strutturate sino a trovare, nel welfare state
contemporaneo, un compiuto assetto di politiche pubbliche, in vario modo
integrate da azioni societarie.
Nel nostro Paese è chiaro che si tratta di un “welfare perennemente
incompiuto. Ecco perché, in assenza di un «compiuto assetto di politiche
pubbliche e integrate», preferiamo parlare di POLITICHE SOCIALI
ossia di INVESTIMENTI pubblici e privati di RISORSE umane, strutturali,
economiche, logistiche, strumentali in BENI, SERVIZI, PRESTAZIONI
che consentono di intervenire su specifici PROBLEMI (in attesa che sia
completata l’attuazione del Sistema integrato di interventi e servizi sociali ai
sensi della Legge 328/00).
LE POLITICHE SOCIALI.
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI
ARTICOLO 25
Ogni individuo ha DIRITTO ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute
e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo
all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi
sociali necessari; ed ha DIRITTO alla sicurezza in caso di disoccupazione,
malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di
sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
La maternità e l'infanzia hanno DIRITTO a speciali cure ed assistenza.
Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della
stessa protezione sociale.
I SERVIZI SOCIALI
DECRETO LEGISLATIVO 31 MARZO 1998, N. 112
CAPO II -SERVIZI SOCIALI -ART. 128
(BASSANINI)
Oggetto e definizioni
2. Ai sensi del presente decreto legislativo, per
"servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed
erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche
destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la
persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle
assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle
assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
“IL SERVIZIO SOCIALE”
il servizio sociale professionale nasce come disciplina “plurale”, quindi
“politica”, quindi di difesa dei diritti. L’ASSISTENTE SOCIALE promuove
l’autonomia e la valorizzazione delle risorse personali e sociali dei cittadini in
condizione di vulnerabilità o di disagio sociale mettendo in relazione gli utenti
con le risorse istituzionali e solidaristiche (dalle relazioni di vicinato alle
associazioni di volontariato, ecc …).
L’ASSISTENTE SOCIALE deve avere tre fuochi principali di attenzione: l’utente,
la propria organizzazione di appartenenza ed il contesto sociale e territoriale
in cui opera. Tramite l’analisi e la valutazione dei bisogni espressi dai cittadini,
contribuisce alla programmazione delle politiche della propria organizzazione
e del proprio territorio. Per esercitare le sue funzioni deve lavorare all’interno
di una rete di relazioni che le permetta di avere presenti le risorse da attivare
in favore dell’utenza. In realtà possiamo affermare che l’Assistente sociale è
una professione multidimensionale, anzi, MULTIFOCALE.
le tecniche del servizio sociale di comunita’ sono previste innanzi tutto nel
codice deontologico.
CODICE DEONTOLOGICO.
RESPONSABILITÀ DELL’ASSISTENTE SOCIALE NEI CONFRONTIDELLA SOCIETÀ
Partecipazione e promozione del benessere sociale
33. L’assistente sociale deve contribuire a promuovere una cultura della
solidarietà e della sussidiarietà partecipazione volte a costruire un tessuto
sociale accogliente e rispettoso dei diritti di tutti; in particolare riconosce la
famiglia nelle sue diverse forme ed espressioni come luogo privilegiato di
relazioni stabili e significative per la persona e la sostiene quale risorsa
primaria. (EMPOWERMENT).
34. L’assistente sociale deve contribuire a sviluppare negli utenti e nei clienti
la conoscenza e l’esercizio dei propri diritti-doveri nell’ambito della collettività
e favorire percorsi di crescita anche collettivi che sviluppino sinergie e aiutino
singoli e gruppi, soprattutto in situazione di svantaggio.
(PROGETTAZIONE SOCIALE)
35. Nelle diverse forme dell’esercizio della professione l’assistente sociale non
può prescindere da una precisa conoscenza della realtà socio-territoriale in
cui opera e da una adeguata considerazione del contesto culturale e di valori,
identificando le diversità e la molteplicità come una ricchezza da
salvaguardare e da difendere, contrastando ogni tipo di discriminazione.
(RICERCA)
36. L’assistente sociale deve contribuire alla promozione, allo sviluppo e al
sostegno di politiche sociali integrate favorevoli alla maturazione,
emancipazione e responsabilizzazione sociale e civica di comunità e gruppi
marginali e di programmi finalizzati al miglioramento della loro qualità di vita
favorendo, ove necessario, pratiche di mediazione e di integrazione.
(VALUTAZIONE)
37. L’assistente sociale ha il dovere di porre all’attenzione delle istituzioni che
ne hanno la responsabilità e della stessa opinione pubblica situazioni di
deprivazione e gravi stati di disagio non sufficientemente tutelati, o di iniquità
e ineguaglianza. (COMUNICAZIONE/DOCUMENTAZIONE)
38.L’assistente sociale deve conoscere i soggetti attivi in campo sociale, sia
privati che pubblici, e ricercarne la collaborazione per obiettivi e azioni
comuni che rispondano in maniera articolata e differenziata a bisogni
espressi, superando la logica della risposta assistenzialistica e contribuendo
alla promozione di un sistema di rete integrato. (NETWORKING)
39.L’assistente sociale deve contribuire ad una corretta e diffusa informazione
sui servizi e le prestazioni per favorire l'accesso e l'uso responsabile delle
risorse, a vantaggio di tutte le persone, contribuendo altresì alla promozione
delle pari opportunità.
(COMUNICAZIONE/DOCUMENTAZIONE)
ANCHE NELLA LEGGE N. 328 DEL 2000 SONO PREVISTE LE TECNICHE
DEL SERVIZIO SOCIALE DI COMUNITA.
Legge 8 novembre 2000, n. 328
Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali.
Art. 8.(Funzioni delle regioni)
Alle regioni, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, spetta in particolare l’esercizio delle seguenti funzioni:
Determinazione […] degli ambiti territoriali […] coincidenti con i distretti
sanitari già operanti per le prestazioni sanitarie […]
a) definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente,
sanità, istituzioni scolastiche, avviamento al lavoro e reinserimento nelle
attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni;
LA RICERCA QUALITATIVA
C’è il ricorso alla ricerca sul campo e all’osservazione partecipante.
Non c’è matrice di dati. Si usa per descrivere gli aspetti non
«oggettivamente misurabili» dei fenomeni. Si usa nelle indagini
sociologiche, etnografiche, negli studi di comunità, nelle analisi delle
organizzazioni e dei piccoli gruppi.
ESEMPI DI RICERCA QUALITATIVA
• IL LAVORO DI RICERCA SUL CAMPO (il colloquio, l’intervista)
• L’INCHIESTA SOCIALE,RASSEGNE, CENSIMENTI
• RICERCHE IN PROFONDITA’:
• LA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA
• IL DOCUMENTARIO
• LE IILLNESS NARRATIIVES
• LE PATOGRAFIIE
Le storie di vita
Sono interviste che vengono condotte sulla base di una traccia più o meno
strutturata – in certi casi analoga a quella di un’intervista guidata, in altri a
quella di un’intervista focalizzata - partendo da un invito volutamente
generico, rivolto dall’intervistatore all’intervistato, a raccontare la vicenda
della propria esistenza, iniziando da un momento qualunque e seguendo
un percorso discorsivo che egli stesso può liberamente scegliere.
Il focus group
Il focus group è una tecnica di raccolta delle informazioni che coinvolge non un
intervistato soltanto, ma più persone contemporaneamente. I partecipanti al focus
group vengono invitati a discutere tra loro di un particolare argomento o insieme di
argomenti tra di essi collegati, quello o quelli che la ricerca ha interesse a «mettere a
fuoco» e ad approfondire. L’assunto su cui il focus group si basa è che
nell’interazione diretta con altre persone sia più facile far emergere ed esprimere in
modo immediato e spontaneo non solo opinioni, ma anche sentimenti, motivazioni,
riferimenti a valori, immagini di realtà e quant’altro potrebbe risultare più difficile da
esternare in un colloquio individuale con un intervistatore. Nel corso della
discussione possono verificarsi le seguenti evenienze, tutte positive dal punto di
vista del ricercatore: i partecipanti, grazie al confronto con gli altri, sono agevolati
nel definire, chiarire, approfondire e comunicare in modo articolato e coerente la
propria posizione; la particolare situazione d’interazione tra «pari» gioca a favore di
un indebolimento dei meccanismi di difesa che spesso sono a monte di sospetti,
timori, esitazioni, reticenze e, più in generale, della tendenza a non rispondere in
modo sincero e collaborativo. la discussione può sollecitare il ricordo e far affiorare
elementi che, diversamente, rimarrebbero inespressi; l’interazione con gli altri
favorisce la riflessione e l’analisi, e può stimolare l’emergere di idee nuove, di
«cose» che altrimenti non sarebbero venute in mente; il rapporto di complicità e di
reciproco sostegno tra i partecipanti aiuta ad affrontare argomenti particolarmente
delicati e imbarazzanti, riducendo in tal modo la propensione di alcuni, consapevole
o inconsapevole che sia, a dare informazioni su di sé in termini di «desiderabilità
sociale».
Capo III
Riservatezza e segreto professionale
25. L’assistente sociale deve adoperarsi perché sia curata la riservatezza della
documentazione relativa agli utenti ed ai clienti, in qualunque forma prodotta,
salvaguardandola da ogni indiscrezione, anche nel caso riguardi ex utenti o clienti,
anche se deceduti.
LA PROGETTAZIONE SOCIALE
Che cos’è un Progetto
È un insieme non divisibile di operazioni da effettuarsi in tempi definiti e con risorse
prestabilite che produce effetti verso specifici beneficiari e su un determinato
contesto.
A che serve progettare
Il Progetto (sociale) è un sistema complesso di azioni che assolve fondamentalmente
a 3 funzioni:
1. PREVENIRE/ CONTENERE/ RIDURRE / CONTRASTARE I PROBLEMI
2. GESTIRE/CURARE AZIONI POSITIVE DI CRESCITA, SVILUPPO, EMANCIPAZIONE DI
PERSONE E COMUNITA’
3. RIPRISTINARE/RECUPERARE UNA SITUAZIONE POSITIVA PREESISTENTE
Cos’è il Project Cicle Management
È un metodo di progettazione costituito da 5 fasi:
FASE 1. IDEAZIONE = idea creativa – ipotesi di progetto studio di fattibilità -
promotori e partner – obiettivi – destinatari – attività – prodotti - risultati – tempi e
luoghi
FASE 2. ATTIVAZIONE = verifica risorse umane, finanziarie e strumentali – compiti e
funzioni (chi fa cosa) – identificazione del problema e delle strategie di intervento –
ottenere un consenso allargato e chiarire la domanda della committenza
FASE 3. PROGETTAZIONE = dettaglio della idea progettuale – cronoprogramma
(Gantt) – dettaglio dei costi
FASE 4. REALIZZAZIONE = attuazione delle azioni previste contestualmente alle
attività istituzionali (gestione amministrativa, monitoraggio, promozione e
comunicazione)
FASE 5. VERIFICA = supervisione in itinere e valutazione conclusiva dei risultati
DEFINIZIONE METODOLOGICA
Si tratta, come abbiamo detto, di un dispositivo metodologico posto in atto da attori
sociali i quali, sulla base di una previsione, identificano strategie ed azioni adeguate
al raggiungimento – in dato tempo e in dato luogo – di obiettivi per i quali esistono o
sono ottenibili risorse specificamente dedicate, al fine di produrre un cambiamento
in ordine alla soluzione di problemi o alla riduzione di disagi umanamente e
socialmente rilevanti
MANAGERIALE
col termine progetto non si intenderà la sola attività di progettazione di un’opera,
design appunto, ma in esso si ingloberanno tutte quelle attività che, nel loro
insieme, costituiscono la realizzazione dell’opera stessa. Attività che vanno dalla sua
concezione originaria allo studio di fattibilità tecnico-economico, alla progettazione,
sino alla costruzione vera e propria, per giungere, in alcuni casi, anche alla messa in
funzione (chiavi in mano) e persino alla gestione dell’opera compiuta.
STORICO-CULTURALE
Opere di civiltà antiche, come le Piramidi, il Colosseo, la Muraglia cinese, gli
Acquedotti romani, sono alcuni fra i più famosi esempi di forme organizzative
complesse, che hanno richiesto la soluzione a problemi legati alla logistica, alla
manipolazione dei materiali, alla gestione della forza lavoro. Tuttavia, bisognerà
attendere i primi del 1900 perché H.L.Gantt elabori un diagramma in grado di
“calendarizzare” le attività
Il PIANO è predisposto dai livelli politico-amministrativi di un territorio, a seguito
della individuazione di un macro-problema. Non ha una durata definita ed è
generale sulla gran parte dei suoi aspetti.
Il PROGRAMMA è l’equivalente del PIANO, ma a livello più decentrato e per contesti
territoriali limitati. Può avere una durata definita ed essere più specifico del PIANO.
Il PROGETTO invece ha le seguenti caratteristiche: E’ un insieme di attività
chiaramente delimitato. Richiede un finanziamento ben definito. È finalizzato al
raggiungimento di uno o più obiettivi. È dotato di coerenza interna. Costituisce
l’unità minima della programmazione. Costituisce uno strumento operativo.
Contiene localizzazioni e decisioni sui costi e sugli effetti che produce.
nel sociale si può progettare: una RICERCA o una RICERCA-AZIONE, un INTERVENTO
specifico, un insieme di ATTIVITA’ o INIZIATIVE, un percorso di FORMAZIONE,
un’esperienza di COMUNICAZIONE pubblica, un’opera INFRASTRUTTURALE, uno
spazio di ASCOLTO – CONFRONTO DISCUSSIONE – CONSULENZA – COLLABORAZIONE
– ANIMAZIONE, ecc.
l’ETICA della progettazione sociale:
1. Servire sempre il pubblico interesse
2. Sostenere la partecipazione dei cittadini
3. Riconoscere la natura generale della programmazione
4. Ampliare le possibilità di scelta e le opportunità per i cittadini
5. Facilitare il coordinamento durante tutto il processo
6. Evitare il conflitto di interessi
7. Offrire un servizio di programmazione diligente e accurato
8. Non cercare di ottenere né offrire favori
9. Non rivelare informazioni per ottenere un guadagno
10. Garantire l’accesso agli atti
11. Assicurare la diffusione di informazioni nel corso delle fasi pubbliche del
progetto
12. Mantenere la fiducia del pubblico
13. Rispettare i codici deontologici professionali
il PROGETTO può essere elaborato solo a partire da DUE precise situazioni:
1. C’ E’ UN BANDO (AVVISO, GARA, PREMIO…) PUBBLICATO SU UNA G. U. – SIA DI
PAB, SIA DI NO PROFIT - AL QUALE POSSIAMO RISPONDERE SOLO CON
DOCUMENTAZIONE REDATTA SU APPOSITA MODULISTICA
2. NON C’ E’ UN BANDO OPPURE C’ E’ UN BANDO APERTO, ANCHE DI PRIVATI, AL
QUALE POSSIAMO RISPONDERE CON UN LIBERO PROGETTO.
DESCRIZIONE:
-TITOLO DEL PROGETTO
-PREMESSA: individuazione di una o più ipotesi di intervento, studio della normativa
di settore
-DESCRIZIONE DEL CONTESTO/ORIGINE: analisi dei bisogni del territorio/ della
comunità dalla quale ha preso l’avvio l’esigenza progettuale, raccolta dei dati utili
all’elaborazione del progetto (risultati di eventuali progetti e ricerche precedenti,
interviste al potenziale target, distribuzione ed elaborazione di questionari,
elaborazione di ipotesi progettuali), analisi della localizzazione del progetto
(dimensioni del bacino territoriale e del bacino d’utenza interessato dalle azioni,
descrizione degli immobili/strutture interessate dalle azioni, sia sul piano dello
svolgimento delle attività sia per quanto concerne eventuali strutture da recuperare
e da attrezzare per le finalità progettuali), analisi della disponibilità attuale di risorse
e di quella prevista a seguito dell’intervento progettuale, analisi della possibile
domanda/offerta dell’intervento;
-FINALITA’ E OBIETTIVI: finalità = hanno un carattere più generale ed etico;
obiettivi= singoli componenti delle finalità generali che consentono di trasferire le
idee dal macro al micro; possono essere misurati mediante gli indici di performance,
ossia tramite la descrizione di un obiettivo e la dimostrazione dell’effettiva
possibilità di realizzazione dello stesso;
- TARGET DELL’AZIONE: beneficiari diretti degli interventi, beneficiari indiretti;
-SOGGETTO PROPONENTE DEL PROGETTO: soggetto/ ente promotore, gestione e
direzione del progetto, soggetti partners in collaborazione continuata (specificare le
modalità di formalizzazione del partenariato: protocolli d’intesa, accordi di
programma, ecc.), soggetti in collaborazione estemporanea;
-DESCRIZIONE DELL’ INTERVENTO: contenuti del progetto, strategie di realizzazione,
metodologie utilizzabili per rendere fruibili i contenuti;
-PIANIFICAZIONE: durata complessiva del progetto, fasi e tempi delle singole azioni
del progetto (diagramma di Gantt)
-FORMAZIONE DEGLI OPERATORI: individuazione del numero degli operatori
coinvolti nelle attività progettuali, indicazione dei criteri di selezione degli operatori,
indicazione delle relative professionalità, indicazione del ruolo nelle attività
(progettista, coordinatore, addetto alle relazioni esterne, operatore sociale,
culturale, contabile, ecc..);
-RISORSE LOGISTICHE E STRUMENTALI: indicazione e descrizione degli ambienti nei
quali si prevede la realizzazione delle attività progettuali, elencazione e descrizione
degli strumenti già disponibili
-CARATTERISTICHE DEL PROGETTO: originalità del progetto all’interno del contesto,
innovatività dell’azione progettuale, multi/inter – disciplinarietà, benchmarking,
interistituzionalità e modalità di lavoro in rete, compatibilità e continuità con le
normative locali, regionali e nazionali, grado di coinvolgimento degli stakeholders e
di altri singoli e gruppi della comunità civile, possibilità del progetto di innescare
processi virtuosi, possibilità del progetto di produrre un risparmio economico per gli
attori nel medio-lungo periodo; valore preventivo delle azioni progettuali; chiarezza
e definizione dei ruoli della leadership, del team del progetto e dei partners.
–VALUTAZIONE: previsione degli attori della valutazione: interni al progetto, esterni
ad esso (sia di tipo istituzionale sia selezionati a campione nel contesto del target);
pianificazione iniziale della valutazione ex- ante, in itinere ed expost, con riferimento
alle modalità di verifica ed alla relativa modulistica; analisi SWOT, per
l’individuazione di punti di forza e dei punti di debolezza del progetto; valutazione
mediante un processo di benchmarking non competitivo, ossia la comparazione con
esempi di successo e la revisione di processi interni all’organizzazione a progetto
concluso.
-COSTI/ FINANZIAMENTI: indicazione del funzionario referente per la contabilità
del progetto, finanziamento complessivo richiesto, individuazione delle possibili
fonti di finanziamento, costo rapportato alle singole voci di spesa, indicazione dei
preventivi di spesa, indicazione delle modalità di rendicontazione delle voci di spesa
-MODALITA’ DI INFORMAZIONE E DI PUBBLICIZZAZIONE DELL’ESPERIENZA
PROGETTUALE E DEI RISULTATI DEL PROGETTO: individuazione di un referente
responsabile per l’informazione, indicazione delle modalità di informazione e
pubblicizzazione, individuazione dei soggetti collaboratori per questa fase
progettuale, trasferimento e diffusione del progetto dopo la valutazione
-ATTENTA E CORRETTA COMPILAZIONE DELLA MODULISTICA PREVISTA DAL
BANDO
Per fare un buon progetto PARTECIPATO, è necessario che esista un TEAM WORK
nel quale vi sia affiatamento e fiducia. Prima di elaborare un qualunque Progetto è
bene aver costituito la CABINA DI REGIA, composta da due o più persone, non scelte
a caso, ma delegate a rappresentare il Team Work. Se il TW è composto da una
partnership fra più Soggetti proponenti, è bene che la CABINA DI REGIA sia
composta da un delegato per ciascuno dei Soggetti. La CABINA DI REGIA (o
coordinamento, gruppo di pilotaggio, ecc..) rappresenta il legame interno al team:
fra il/i Soggetto/i proponente e gli Enti esterni ad esso/i; fra gli agenti e gli attori del
Progetto; gli attuatori e i beneficiari. Ecco perché coloro che compongono la CABINA
DI REGIA devono rappresentare, e non sostituire, il Team.
IL PROJECT MANAGER
Oltre alla Cabina di Regia il PM è l’Organo di coordinamento indispensabile per il
successo di ogni Progetto. In questa fase della nostra FORMAZIONE non possiamo
approfondire molto questa figura, ma è importante sapere che La figura funzionale
preposta a gestire il coordinamento del Progetto è il PROJECT MANAGER (PM). Si
tratta di una figura prettamente esperienziale, che può valere anche per un solo
progetto, chiamata a comprendere l’organizzazione e il contesto nei quali si sviluppa
il Progetto. Deve relazionarsi efficacemente con tutti gli Attori, possedere spirito
d’iniziativa, flessibilità e tolleranza allo stress e alle situazioni di incertezza.
IL BILANCIO DELLE COMPETENZE
Fondamentale in questa fase risulta anche il BILANCIO DELLE COMPETENZE che
ciascuno dei componenti del team può/deve fare per chiarire a sé stesso e agli altri
componenti del team le proprie reali CONOSCENZE – COMPETENZE – ABILITA’.
Il BDC “è un intervento che ha come finalità l’aumento di consapevolezza dell’utente
circa le proprie caratteristiche, risorse e potenzialità (personali, formative e
professionali) in vista della costruzione di un PROGETTO personale che sia
congruente, si avvalga del percorso di consapevolezza sviluppato durante il bilancio,
sia scelto in modo autonomo e pienamente responsabile dal cliente.
Obiettivi del BDC
1. Fornire supporto nella disamina critica del passato e del presente professionale
del Soggetto partendo dalla percezione del Sé e cercando di tradurre le esperienze
maturate in ambito professionale o extraprofessionale in abilità e competenze
spendibili all’interno dei contesti lavorativi;
2. Facilitare l’identificazione dei valori, delle preferenze, degli interessi e delle
aspirazioni del Soggetto;
3. Facilitare la costruzione del Progetto personale e professionale dell’individuo
inteso come negoziazione tra piano ideale e piano reale mediato dalla
revisione/integrazione tra le possibilità individuali e le possibilità contestuali.
Perché si elabori correttamente un Progetto è necessario calcolare anticipatamente
i suoi RISCHI, al fine di prevenirli, contenerli o superarli nel migliore dei modi. Per
fare questo calcolo è necessario conoscere gli elementi fondamentali del RISCHIO.
Tutte dobbiamo saper distinguere il RISCHIO dal CASO: il primo è sempre prevedibile
perché attiene all’azione umana, mentre il secondo non è prevedibile perché attiene
alla fatalità. Alcuni distinguono fra RISCHI GENERICI (ad es. i requisiti non chiari di un
bando, l’uso di prodotti non controllati o malfunzionanti, la mancanza di
comunicazione nel team) e RISCHI SPECIFICI (come i requisiti inappropriati nel
bando, fallimenti nelle tecnologie e forniture, fuoriuscite di personale, budget non
realistico). Per prevedere i primi non ci sono grandi difficoltà, ma per i secondi è
necessario un piano per la gestione del rischio. Secondo alcuni, sono: il CONTRATTO,
il PROCESSO, il PERSONALE, le TECNOLOGIE. Secondo altri esperti, il RISCHIO di un
Progetto è definito dalla probabilità di andare oltre i tempi o i costi previsti
inizialmente (Amato - Chiappi). Mentre, uno dei “classici” modelli, quello di
McFarlan, individua i fattori elementari di Rischio nelle seguenti aree: DIMENSIONE
– INNOVAZIONE – DIFFICOLTA’ TECNOLOGICA GENERALE.
cosa fare?
La Risk Analysis si avvia a diventare una vera e propria scienza, anche se fino ad oggi
rappresenta l’insieme delle conoscenze sul concetto di “Rischio” che le singole
discipline applicano specificamente ai singoli ambiti vitali. Per la stesura di un’analisi
del rischio, in estrema sintesi, il consiglio è quello di avvalersi dellaseguente mappa
concettuale:
EVENTO DANNO CONSEGUENZE FINANZIARIE