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L’analisi strutturale di bilancio (attraverso la determinazione dei vari margini dello SP) e l’analisi
per indici offrono informazioni utili ma incomplete, perché risentono di un limite che caratterizza la
struttura dello SP. Questo limite viene superato attraverso l’analisi di bilancio per flussi.
Il limite dello SP
Lo SP si differenzia dal CE innanzitutto perché il primo presenta la composizione del patrimonio,
mentre il secondo presenta la composizione del reddito prodotto. Un’altra differenza rilevante tra
questi due prospetti, riguarda il modo in cui sono presentati i valori. A differenza del CE, che
presenta i valori dei componenti positivi e negativi del reddito intervenuti nel corso di un esercizio,
lo SP presenta i componenti del patrimonio (impieghi e fonti) con riferimento ai valori presenti al
termine dell’esercizio. Così, ad esempio, mentre nello SP è presente solo l’importo del risultato
dell’esercizio, nel CE è possibile esaminare la composizione degli elementi che hanno contribuito a
determinare, nel corso dell’esercizio, quel particolare risultato. Questo rende molto più interessante
il CE per l’analisi del come è stato prodotto il reddito.
Se si volesse fare un’analisi che consenta di evidenziare come si è pervenuti, nel corso
dell’esercizio, ad una particolare struttura del patrimonio, ciò non sarebbe possibile sulla base delle
informazioni presenti nello SP.
Anche l’uso di uno SP a stati comparati, che mette a confronto i valori conseguiti in due esercizi
consecutivi, non consente di risalire alle variazioni intervenute nel patrimonio aziendale nel corso
dell’esercizio.
Nello SP, ad esempio, confluiscono i valori delle immobilizzazioni presenti in azienda al termine
dell’esercizio, ma non è possibile risalire alle acquisizioni e cessioni di immobilizzazioni
intervenute nel corso dell’esercizio e che, a partire dal valore iniziale, hanno prodotto il valore
finale delle stesse immobilizzazioni.
Immobilizzazioni
Sostanzialmente, il limite dello SP consiste nella sua presentazione di un sistema di valori che fa
riferimento ad un istante invece che all’esercizio di riferimento (come invece accade per il CE). Gli
importi dello SP non sono altro che consistenze (dette anche fondi) di valori presenti in un dato
momento che non evidenziano le variazioni, cioè i flussi di valori, intervenute nel periodo.
Equazioni di bilancio
(Acn - Acn-1) + (Imn - Imn-1) = (Pbn - Pbn-1) + (Pcn - Pcn-1) + (Cpn - Cpn-1) + (Rnn - Rnn-1)
i
Consideriamo ora i mastri per l’anno n dei gruppi presenti nello SP riclassificato:
Quindi
∆Ac = Acn - Acn-1 = Incrementi Ac – Riduzioni Ac
(Utile d’esercizio n –
Utile d’esercizio n – 1)
Totale variazioni degli impieghi Totale variazioni delle fonti
Per costruire un prospetto che superi i limiti dello SP è ora sufficiente riportare tutti i flussi
intervenuti nel sistema dei valori patrimoniali, mantenendo distinte tutte le variazioni in aumento e
in diminuzione. Una schematizzazione possibile è la seguente:
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La redazione di questo prospetto è facilmente realizzabile facendo uso dei mastri relativi a ciascun
raggruppamento. Per gli analisti esterni, che non possono fare riferimento ai documenti della
contabilità generale delle aziende, è tuttavia possibile fare ricorso alla informazioni contenute nella
Nota Integrativa che è parte integrante, obbligatoria, dei bilanci.
Nella prassi contabile il prospetto delle variazioni integrali viene utilizzato soprattutto come base di
riferimento per approfondire l’analisi delle risorse finanziarie dell’azienda. Vengono individuate
sostanzialmente due diverse nozioni di risorsa finanziaria, una è riferita al Capitale circolante
netto e l’altra alla liquidità (Cassa, Banche c/c e Posta c/c). Si sono così diffuse due forme
particolari di rendiconto, il Rendiconto finanziario delle variazioni del Capitale circolante netto
ed il Rendiconto finanziario delle variazioni della liquidità. Il primo ha lo scopo di evidenziare
in particolare i flussi di risorse patrimoniali che hanno concorso alle variazioni del Capitale
circolante netto (Attivo circolante – Passività a breve), il secondo è rivolto all’esame della
situazione finanziaria a brevissimo termine e quindi della liquidità aziendale.
Per redigere il prospetto che mette in evidenza la composizione delle variazioni intervenute nel
CCN e la composizione delle variazioni degli altri elementi del patrimonio aziendale che hanno
assorbito o generato risorse finanziarie, è opportuno partire dallo SP riclassificato a stati comparati,
per evidenziare anche la relazione che lega le variazioni del CCN alle variazioni degli altri elementi
del patrimonio aziendale.
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Determiniamo le variazioni intervenute nel capitale circolante netto (∆CCN) a partire dalle
equazioni di bilancio di due esercizi consecutivi:
∆Ac - ∆Pb = ∆Pc + ∆Cp + ∆Rn - ∆Im
Il lato sinistro della precedente relazione consente la determinazione delle variazioni intervenute
(nel corso dell’anno n) all’interno del capitale circolante netto; gli elementi che sono inseriti a
destra spiegano invece come la variazione complessiva del capitale circolante netto sia stata
finanziata (fonti, nel caso di un incremento del CCN) o utilizzata (impieghi, nel caso di una
riduzione del CCN).
Esempi:
Una variazione positiva del CCN potrebbe essere costituita da un incremento nell’attivo
circolante ed essere spiegata da una diminuzione delle immobilizzazioni a seguito di una vendita
(fonte);
Una variazione positiva del CCN potrebbe essere costituita da una diminuzione delle passività a
breve ed essere spiegata da un aumento delle passività consolidate (fonte) che hanno consentito
di reperire la liquidità necessaria per il rimborso di debiti a breve termine;
Una variazione negativa del CCN potrebbe essere costituita da una riduzione dell’attivo
circolante ed essere spiegata da un incremento delle immobilizzazioni a seguito di un acquisto
(impiego);
Una variazione negativa del CCN potrebbe essere costituita da un aumento delle passività a
breve ed essere spiegata da una riduzione delle passività consolidate (impiego) dovuta alla quota
di debito a medio e lungo termine in scadenza.
Ovviamente, di solito, non è possibile individuare un legame così diretto tra ciascuna fonte e gli
incrementi del CCN, così come non è possibile stabilire un legame diretto tra ciascun impiego e le
riduzioni del CCN. Le operazioni di gestione sono numerose e complesse, così che, ad esempio, la
variazione dell’attivo circolante potrebbe essere generata da più di una causa. Un incremento
dell’attivo circolante normalmente è generato da più fonti al netto di più impieghi. Cionostante, è
molto utile disporre di una informazione relativa agli impieghi ed alle fonti che complessivamente
hanno generato una variazione del CCN.
La forma che può assumere il rendiconto dellle variazioni del CCN può essere diversa, una
possibile schematizzazione che parte dal prospetto delle variazioni integrali presentato in
precedenza è la seguente:
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Dal prospetto precedente è evidente la relazione che sussiste tra variazione del CCN e variazioni
degli impieghi e delle fonti di risorse finanziarie:
La Parte III, invece, ha un rilievo particolare perché prende in considerazione quelle variazioni
intervenute nel patrimonio aziendale che hanno rappresentato uno spostamento di valori tra gruppi e
che non hanno quindi avuto alcun effetto sul CCN. Ad esempio, la conversione di una quota in
scadenza di un prestito obbligazionario convertibile in nuove azioni porta ad un incremento del
capitale proprio ed una corrispondente riduzione delle passività consolidate, senza che questo
comporti né un impiego e né tantomeno una fonte di nuove risorse finanziarie. E’ evidente che
questa informazione è molto rilevante, perché altrimenti si finirebbe per includere tra le variazioni
che hanno modificato il CCN anche quelle che in realtà hanno avuto un impatto nullo.
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Nel redigere quindi il rendiconto del CCN, occorre non solo valutare le variazioni integrali
intervenute nei componenti del patrimonio aziendale ma anche individuare quella parte di queste
variazioni che non ha avuto alcun impatto sul CCN. Il secondo aspetto che è importante notare
riguarda il posto di rilievo assegnato nella Parte I alle Risorse generate (o assorbite) dalla
gestione reddituale. Invece di considerare il risultato dell’esercizio n, giustamente si osserva che
esso è il risultato netto di un flusso di componenti negativi e positivi del reddito. E’ molto più
informativo considerare come questi componenti hanno influito sulle variazioni del CCN, piuttosto
che limitarsi alla considerazione del loro impatto netto. Quindi non è l’utile (o la perdita)
d’esercizio che deve essere preso in considerazione, ma piuttosto i costi ed i ricavi d’esercizio che
hanno influito sulle variazioni del CCN.
Non esiste un procedimento obbligatorio che porti alla redazione del rendiconto del CCN; di solito
è utile partire da uno SP riclassificato a stati comparati e poi predisporre un prospetto preparatorio
che consenta di effettuare anche dei controlli sui valori considerati. Lo SP riclassificato è
importante perché consente di raggruppare gli elementi che fanno parte del CCN e di inserire le
altre voci dello SP in gruppi omogenei dal punto di vista finanziario. Prima di costruire tale
prospetto può essere utile considerare le diverse causali delle variazioni integrali nei diversi gruppi:
Immobilizzazioni
Passività consolidate
Capitale proprio
Ammortamenti ▄
La colonna delle Variazioni nette ha una funzione di controllo, infatti la somma algebrica delle
Variazioni integrali deve sempre essere uguale al valore delle Variazioni nette. Lo SP riclassificato a
stati comparati consente di determinare facilmente le Variazioni nette.
Il segno da attribuire agli importi delle Variazioni integrali è positivo per variazioni in aumento e
negativo per variazioni in diminuzione. Per gli analisti esterni, le informazioni necessarie per
determinare queste variazioni sono reperibili nella Nota Integrativa che presenta, tra l’altro, il
prospetto delle Variazioni intervenute nelle immobilizzazioni materiali e immateriali ed il prospetto
delle Variazioni intervenute nel patrimonio netto.
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Nella colonna delle Variazioni da escludere devono essere inserite quelle variazioni che non
riguardano il CCN, come per esempio l’apporto di immobilizzazioni da parte di soci per aumenti di
capitale che modificano le immobilizzazioni (impiego) ed il capitale proprio (fonte) senza
modificare il CCN. Inoltre, fanno parte delle Variazioni da escludere tutte quelle che hanno la loro
origine nella formazione del reddito dell’esercizio n. E’ questo il caso, per esempio, delle
Plusvalenze (o delle Minusvalenze) da realizzo, che vengono conseguite nel caso di vendita di
immobilizzazioni materiali o immateriali a valori superiori (o inferiori) a quelli contabili. E’ chiaro
che il maggiore (o minore) ricavo conseguito nella vendita, e quindi il maggiore (o minore) credito
conseguito, è già compreso nella variazione rilevata con la vendita delle immobilizzazioni, mentre
l’incremento (la diminuzione) di valore delle immobilizzazioni registrato dalle Plusvalenze
(Minusvalenze) non assorbe (genera) risorse per il CCN. Altro esempio significativo è
rappresentato dagli ammortamenti che, pur indicando una diminuzione di valore delle
immobilizzazioni, non producono alcun incremento del CCN, come invece avviene per le
diminuzioni delle immobilizzazioni dovute a vendite. Infine, gli accantonamenti a medio/lungo
termine, come quelli che si riferiscono alle quote maturate a favore dei lavoratori nei Debiti TFR,
incrementano le passività consolidate ma ad essi non corrisponde un incremento delle liquidità.
Completati gli inserimenti nella colonna delle Variazioni da escludere, il prospetto richiede
l’inserimento tra le fonti e gli impieghi degli importi che non sono stati esclusi.
Nel prospetto non viene considerato il contributo della gestione reddituale dell’esercizio n alle
variazioni del CCN, infatti è presente solo il reddito dell’esercizio n – 1. Mentre l’analisi relativa
all’impatto del reddito dell’esercizio n – 1 si riduce alla determinazione della quota di utile che è
stata distribuita ai soci ed alla parte rimanente che è stata accantonata alle riserva o utilizzata per
aumenti gratuiti del capitale sociale, l’analisi della relazione che sussiste tra il reddito dell’esercizio
n e le variazioni del CCN è meno semplice. Occorre infatti individuare i componenti del reddito che
hanno generato risorse finanziarie (aumenti del CCN) e i componenti che hanno assorbito risorse
finanziarie (diminuzioni del CCN). Per fare ciò si fa riferimento alla nozione di costi e ricavi
monetari. Sono considerati monetari tutti quei costi e ricavi che hanno comportato variazioni del
CCC. Esempi tipici di costi e ricavi monetari sono gli acquisti e le vendite di merci, mentre esempi
tipici di costi e ricavi non monetari sono gli ammortamenti e gli incrementi delle immobilizzazioni
per lavori interni.
Un elemento dei componenti del reddito richiede una particolare attenzione: l’accantonamento TFR.
La quota di accantonamento TFR maturata nel corso dell’anno a favore dei lavoratori sembrerebbe
un costo non monetario in quanto ad essa non corrisponde alcuna uscita o debito a breve termine. In
realtà, una parte di questa quota non viene accantonata ai Debiti TFR perché corrisponde ad una
imposta sostitutiva (la ritenuta fiscale sulla rivalutazione del debito preesistente) che costituisce un
debito tributario a breve termine per l’impresa. Quindi è soltanto la quota di accantonamento TFR al
netto dell’imposta sostitutiva che costituisce un costo non monetario. Inoltre, una quota del costo
per l’accantonamento al TFR può corrispondere al TFR maturato e liquidato nel corso dell’anno per
cessazione del rapporto di lavoro, questa quota è quindi da classificare come costo monetario.
Nel Conto Economico che segue è riportata la classificazione le voci di costo e di ricavo più
comuni.
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Costi monetari + Costi non monetari + Utile d’esercizio = Ricavi monetari + Ricavi non monetari
Quindi per determinare il flusso generato dalla gestione reddituale si può procedere come segue:
Costi monetari – Ricavi monetari = Costi non monetari + Utile d’esercizio – Ricavi non monetari
Esistono quindi due procedimenti alternativi, anche se equivalenti, per determinare il flusso di CCN
generato dalla gestione reddituale: il lato sinistro dell’uguaglianza viene indicato come
procedimento diretto, mentre il lato destro viene indicato come procedimento indiretto.
NOTA BENE: Ovviamente, la differenza tra fonti e impieghi deve coincidere con l’importo
relativo alla variazione del Ccn, come controllare se ci sono stati errori?
Innanzitutto verificare che le variazioni del capitale circolante siano uguali alle variazioni totali
degli altri gruppi (includendo la differenza tra il reddito dell’esercizio n ed il reddito
dell’esercizio n – 1, cioè verificare che ∆Ac – ∆Pb = + ∆Pc + ∆Cp + ∆Rn – ∆Im);
per ogni gruppo considerato nella colonna delle Variazioni integrali, la somma degli importi
deve essere pari all’importo considerato nella colonna delle Variazioni nette per quel gruppo;
tutti gli importi presenti nella colonna delle Variazioni integrali devono trovare collocazione in
una delle tre colonne successive;
tutti gli importi presenti nella colonna delle Variazioni da escludere devono trovare un loro
corrispondente, di pari importo, in un altro gruppo ma con segno opposto, oppure nei costi e
ricavi non monetari del reddito dell’esercizio n.
Controllare che la somma dei ricavi monetari e non monetari meno i costi monetari e non
monetari coincida con il reddito dell’esercizio.