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GIORGIO BERNARDI PERINI PROPEDEUTICA AL LATINO UNIVERSITARIO SESTA EDIZIONE RIVEDUTA E AGGIORNATA CLAUDIO MARANGONI PATRON EDITORE TESTVE MANUALI PER L'NSEGNAMENTO. UNIVERSITARIO DEL LATINO. ‘Coltees deta da ALFORSO TRAINA 1. TRAINA A. Lofft 6 in promuncia del iting. 52 od. agpomata, agg. 108 2 BERNARD! PERINI G. Lsccento tnune, 4 cd, media, pagy worie4 3 STOLZ F - DEBRUNNER & - SCHMIO WP. Storln dalla tingus tetina. Tisdunone dela <8 od. (1986) 9 cum dh C. Benediaer lnwocuzions @ nels a A. Troma Aapenice La formasione Geile tngue ttteraei lating G.I. Tionshy 4# 26 eweduta © agpomsia 8 utd dE Vinwis. pag, UXXIr-Z64' 4. QUESTA C., iniroduttone alla metrics dl Plavto, pagg. XiL264 5. PALADIN V, - CASTORINA €., Storia det leversturs toting, Vol.1- Gisagno stories. ogg. Val-536 6 PALADIN Y= CASTORINA E. Storia della tetterstura tating, Voll = Problem erie). 39 ed. con supplementt © agemament cura oP. Fodeh. pagg. $84 7. PALADIN V. - OE MARCO M., Ungua @ loneratuca mediotstine, 28 04, cowetta @ eggiomete, pega. ViN-320 18 VAANANEN ¥. inroduzlone al lative volgare 2 cura A, Limentari, ‘A. Grandesso Sivesti 32 ed. pagg. 420 0. TRAINA A - BERNARDI PEIN) 6. Propedeutia tt ltina univer. ‘tert, 6 ec. vedi # appemata a cura &C. Marangor. page S40 11, TRANA A. Lo ttle “deammutice” del Rlosote Seneca. «2 od. aggomeia,pa99. Vi-296 12. La lingua poxtice iting. A cura ot A. Lunel (S29gi di W. KROL. HH JANSSEN, MLEUMANN, Promgssa, bibfografia, aggioma: meni 9 wtegtazione dab cuvafore), 38 ed. rhveduta « amphala, page, LXV 238 19, SCHRUNEN S.. | career dal lating extetlane ention: con ‘ap: endica dC: Motwmann, Bape quarantanal. acura &'S. Bosch, 48 ed. aggomale, psog. 172 14, BINL ML Index torsienus sive verborum postanim Latinorum quiln Mocellana eattiona eontinentur, 0009. 216 15 HOFMANN .JB.. La ngue ‘uso latina, Irroduzione, tacuriane ole a cure di L. Rlcofil, 28 nd aggiomala, pogg. Vil-46d OE MED C.. Lingua teniche del latino, 28 20. angiomaia, egg. 244 17, FACCHINN TOSI C.. La sipattzione tesatcale nel. post latin. Vent ‘ann dl stodt (1960-1980). pagy. 144 18. GHISELL| A. Orazle. Qde 1,1 90 94, veouta @ amplians, pagg. 168 19. MOSCI SASSI M.G.. 1) serme exstrenale’. e299. 160 esau. 20. PASCOLI G. Thathina, Inirockinone, testo. Irduzione © commerto 2 cura & A Teans, 90 ad, conatia © aggomala, pagy 120 21. TRAINA A.. Adotto Gandigite. Un "grammatico” ta due monel, on una vaduzione medna d| Pomponia Grecine 0 une Deaograta ragionsla cegh seein del Gandigho a cura di Ml. Bint. pagg. 140 CUGUS! P."Aspett letterarl del Carmine Latine epigraphica, 2 ed. pogg. 414 ‘Supplementum Moretlanum. 4 cura & A. Traina, M. Bini, 28 od. Wvedula ¢ amglila. pap9 62 LOR! Carmina. Iritodurone, tesio eric © commento a curs dt €.01 Goving, gagg. 168 ‘BELLANON F, Pacale: dal ~Vorba Togae” al solipaisme swiatco. Sud af Cooter: 6 w poste & Aub Pari Reco. 28 ed. 209. SETAIOL! A. Seneen ¢ I grecl. Citezon« traduzioni rete opare flosctiche. pagg $46 27. DIONIG! 1, Luemazto, Le parole « te cose. 2 0d. pagg 192 20, PASINIG F. Dosaler aulle critica dalle font (1896-1900), pgg 192 28. ONIGA R., Leompoet) wominall tatinl, Una merologie goneratinva, agg. 256 30, MAZZINN |, iredusione ala trminologle madies, Decodfcanone compost @ deriva d} engine grace lana. pagg. 224 1. RIGANTI E., Leeslco latino fondamertals, pagg. 250 92, SENECA LA, Phaedra, 8 cura of C. do Mee. 28 69. aveauta 0 agpemsla. negg 228 92, Le nazz di Polemlo # Araneoie (Sidonio Apotinare. Carmina XIV- XV) Axa dG Ravenna. pagg. 102 RRB B TESTI E MANUALI PER L'INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO DEL LATINO: Collana dirctta da ALFONSO TRAINA 9 ALFONSO TRAINA - GIORGIO BERNARD! PERINI PROPEDEUTICA AL LATINO UNIVERSITARIO SESTA EDIZIONE RIVEDUTA E AGGIORNATA ACURA DI CLAUDIO MARANGONI PATRON EDITORE BOLOGNA 1998 Copyright © 1998 by Pitron editore - Quarto Inferiore - Bologna \ dirt di traduzione ¢ di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo sone 1se1 vali per cutti i Pacsi. E inotire vietata la ipraduzione. anche parziale. compresa la tote copia, anche ad uso interno o didaltico, non autor 27ata. 1 edizione: vol. 1, 1971; vol. Il, 1972 1 ristampa: vol. 1. 1972; vol. Il. 1973 I cistampa: vol. 1, 1973; vol. Il, 1974 I edizione: vol. unico, 1977 1 ristampa: 1978 Ml edizione: 1981 1V edizione: 1992 V edizione: 1995 VI edizione: 1998 Ristampa 634321 2008 2007 2006 2008 2004 2003 PATRON EDITORE - Via Badini, 12 40050 Quarto Inferiore (BO) Tel. 081 767003 Fax 051 768252 E-mail: info@patroneditore.com Sito: www.patroneditore.com -alalogo generale 2 visibile nel nosiro sito weh. Sono possibili riecrche per: autore. Uitolo. matetia ¢ cotlana. Per ogni volume & presente il sommario ¢ pet Ie auvild la co- pertina dell'opera ¢ una sua breve descrizione. ‘Stampa: Stabilimemio Editoriale Patron Via Badini 12 - 40050 Quarto Inferiore - Bologna INDICE Prefazione lla prima edizione . Prefazione alla seconda edizione : Prefazione alle terza edizione Prefazione alla quarta editione. Prefazione alla sesta edizione . ~ LA STORIA DEL LATING © 0 I. Diacronia e sincronia 2. Liindoeuropeo . . 3, Le fasidel lating» | 2 4, Gli swrati del ating | oe 3. WH latino dopo Roma. 2 3 se Bibliografia . an UID) Lapronunzia . Storia della questione ©. 6. ee . La pronunzia «classica» : ¥ ditonghi. . Ui coms mediuis Lt yU semivocale WS ; Liaspirazione. . |. pi Ti davanti a vocale | ane . Le velari davanti a vocale palate «ei flit . I gruppo gn. ; L’aspetto pratico delia qvestons a © pronunzia classica? .. Bibliografia. 2... ° INDIE GL WALE Hi, Ls ouannma & v'accenTo pap 78 1. «Anima uocis» . tone no oe “ 7s 2, Altezza e imensita. . . . ” 7 3. La «natura dell'accento lating, |) 1) 8 aD 4: Fonemi e sillabe . Dnt > 5. Durata e quantita. | : > BB 6 anita di sillaba | » 85 3. Confini sillabici ¢ quantita «di postzione. » BB 8. Le leggi dell’accento latino. an > 92 9. Enclisi ed epéctasi : > 93 10. Particolarita. : > 9% 11, Per una corretta accentazione Dit > 100 Bibliografia » 4 IV. PROBLEM! DI FONETICA . pag. 117 1. Apofonia indoeuropea Lae = 17 2. Apofonia latina (c sincoy Lt > 120 3. Natura ¢ cause eink ja latina » 126 4. i vocalismo . . = 128 5. taliani del vocalismo latino . > 132 6 ae » 134 7, Aleuni fati di consonantismo > 136 Bibliografia > 140 Vy PROBLEM! DI MORFOLOGIA. . «pag. 147 L. Radice. tema, desinenza . . . a7 2. La flessione nominale: 1emi e desinenze . » 154 ;& Le principali anomalie della Messione nominale > 156 ‘4 La ione verbale » 169 5. ipi di verbi » 17 © LP tonteion del Perec > 181 7. Fverbi anomali . . it > 186 Bibliografia. . Leon 194 VIL PROBLEM DI SINTASSI . pag. 201 . I lacativ Lae » 201 2. L pronomi indefiniti : = 205 3. Facto con Vinfinito: un aspetto del causative > 208 4. L’aspetto verbale . . » 210 5. La paratassi e le principali congiunzioni ipotattiche » 219 (NDICE, GENERALE Bibliografia . VII FONDAMENTH DI METRICA Tl tempo primo tomoras i. I metro . Arsi e tesi. }. Schema dell’esametro |. La cadenza finale. . . Variabilita iniziale, fissita finale Gli esametri spondiac . La cesura . : |. La dieresi . La cesura centrale | |. Funzioni stilistiche della cesura . La dieresi bucolica . " Origine del pentametro. : ; Struttura spentemimeres del | ‘pentametro : . Ul distico elegiaco . : I ritmo verbale Ritmo poctico Ritmo nella prosa. I ritmo latino Ritmo, quantita, acento. ; Continuita della catena sillabica Il sandhi . La sillabazione fonosintattica Sinalefe e non velisione» . ied fomi dei piedi - si come elemento-guida det ‘iato ‘Hl eosiddeto sallungamenta asi i davai a cesuras .. «Se cadiica . . Gli aipermetri» : . La combinazione delle parole nella cadenza finale - . Le clausole «eccezionaliv . . » La coincidence di accento ¢ arsi_ nella sadenza nale . Bibliografia . + Pag. 8 INDRA NE RALD VIIL. La crimica DEL TESTO pay. 401 1, Terminologia essenziale. : : » ao 2 Critica del testo ¢ testi classici. | | » Wz 3. Genesi e tipologia dell'errore di H copiatura + 304 4. Le correzioni erronee . . > 3ju9 5. I cosiddetto «originale» |. | 2 32 6. La tradizione indiretta . eee » 316 7. La ccitica testuale dall'antichita all'Gttocento » 322 8. Attuali orientamenti della critica testuale. . 2...» 327 9. L'edizione critica . . » 333 10. Edizioni critiche ¢ apparati critici. Collane, sillogt, edizioni «classiche» + 339 Bibliografia, so 8? IX GusmuMe. pag, 369 1. Bibliogsafie 2 369 2. In » 374 3. Lessi » 380 4. Sinonimie, fraseologie € > 394 5. Storie della letteratura € oper enera sulla civit romana. . we » 399 6. Commenti fondamentali. Bo ew RD APPENDICE Latino perché? Latino per chi?.. 6 2... ss pag. 429 ‘SUPPLEMENT! E AGGIORNAMENT] . . » 439 Inpicr Tavola dei segni convenzionali Pag. 48) Indice degli autori antichi > 483 Indice dei nomi. > 493 Indice delle parole latine - » 509 Indice dei concetti e dei termini tecnici » 527 PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE Sed tamen est artis twistissima ianua nostrae et labor est unus, tempora prima pati. ‘Ovini0 Ul faut avoir beaucoup étudié pour savoir peu. MonTesouieu Questa Propedeutica nasce sotto if segno di una rinuncia. Fumio molto esitanti a porvi mano. Non che un maruale uni- versitario di propedeutica al latino non fosse nei nostri progetti gia da molti anni; ma fo intendevamo come un complesso di valumetti omogenei ed autonomi, uno per ogni setiore (due, quel- Ui dedicati alla pronunzia e all'accento, erano giunti in porto)'. Condensando tutia la materia in un volume unico si pud correre il rischio di un certo schematismo. E i catechismi non hanno mai giovate alla scienza (forse nemmeno alla fede), tanto meno in tempi dé rapide awicendamento di metodi. D’altra parte, le uttuali condizioni dell'insegnamento universitario richiedono, anzi esigono, un mtanuale di questo tipo. Bisogna arretrare su una li- nea irrinunciabile di nozioni chiare ed essenziali a un decoroso insegnamenio del latino. Chi vuole, potrd spingersi oltre: le parti in corpo minore € le bibliografie, selezionate a fini essenzialmen- te pratici, gli indicherarmo ta direzione. Per gli altri, ci auguria- ma anche rimeditati. 0 PREFAAIONL mo che la sinieticita della vattazione non ne veli troppo ta pro- blematicita. Gli autori si sono divise le parti in modo che i capp. 1, Hl. V, VI, X fossero di A. Traina, i capp. Hi, IV, Vil, VIII, IX di G. Berardi Perini. Ognuno risponde def suo; ma la siretta col- laborazione e la comune esperienza didattica dovrebbero assicura- re l'unita metodologica del libro. Alla fine, l'indice-glossario, g1 sperimentato in precedenti pubblicazioni, fornisce — o ripete — le definizioni dei termini tecnici e la cronologia delle fonti anti- che. Domani si potra far meglio, 0 meno peggio: promettiamo fin d’ora, se avremo fortuna, un‘appendice su Problemi di lessi- co la cui importanza 2 sotiovalutata dalla scuola rispetto alla grammatica. Oggi non si poteva, per motivi di spazio e di tem- po. Sulficit diei malitia sua. maggio 1971 NOTA: a distanza di un anno la Propedeutica si completa col secondo volume: abbiamo colto Uoccasione per ritoccare ¢ aggiomare il primo. Motivi pratici ci hanno consigtiato sia di conservare la divisione in due volumi', sia di presentarli rilegati in un volume unico come gli altri della medesima Collana. maggio 1972 ' Vedizione in due volumi non ¢ pid disponibile. PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE “Oifws Song tig imoyias toxe ud fmorv... Evrrerve, fr. 910 N? Che una Propedeutica al latino universitario approdi oggi al- fa seconda edizione é cosa consolante, e non solo per Ueditore. (Meno consolante @ il saccheggio che ne hanno fatto fortunati autori di libri scolastici; ma ci siamo abituati: sic uos non uo- bis). Abbiamo correo sviste ed errori, e ringraziamo chi ce li ha segnalati; raramente, per owie necesita tipografiche, siamo intervenuti sul testo, ritoccando qualche formulazione e aggiun- gendo qualche esempio. Gli aste: in margine al testo riman- dano all'appendice di Supplementi ¢ aggiornamenti, che, sempre nei limiti di una bibliografia selettiva, sono la doverosa novita di questa riedizione. Non abbiamo potuto invece manienere la Promessa di un nuove capitolo su Problemi di lessico, e ce ne scusiamo. I! materiale era pronto: astratti, diminutivi, composti nominali e le loro valenze stilistiche. Augurarsi che un giorno si possa significa augurare tempi migliori alla nostra scuola e alla nosira economia. novembre 1976 PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE Wer hatte je einem Griechen schreiben gelerni! Wer hatte es je ohne die Romer gelernt! F. Nierzscue La proliferazione della bibliografta e ta disfunzione delle bi- blioteche rendono sempre pit difficile aggiomamento sistematico di un campo cosi vasto. Abbiamo fatto quanto abbiamo potuto, anche con Vaiuto di amici che ringraziamo, riscrivendo pratica- mente le «pagine azzurre» dei Supplementi e Aggiornament Riscrivere si sarebbero dovuti, a dieci anni di distanza, anche al- cuni capitoli, come quelli sulla sintassi e sulla metrica: ma I'o- perazione sarebbe stata antieconomica, soprattutto per un pubbli- co di studenti; e non c’? da sperare che le cose cambino presto. C% poi chi, im autorevole sede, ha lamentato la mancanza di una tratiazione completa della grammatica e della metrica: pos- siamo condivideme, se non ta critica, l'utopia '. aprile 1981 * Quanto alla stilistica, ci auguriame di poler presto pubblicare una Sritisti+ ca lating di A. Ghiselli. PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE Un’epoca a cui non sembrasse valer pid la pena di occuparsi del passato, esprimerebbe in tal modo la sua disperazione. U. VON HOFMANNSTHAL « Questa propedeutica », cosi iniziavamo ta prefazione alla I edizione, «nasce da una rinunzia». Anche questa IV edizione nasce da una rinunzia: la rinunzia dei due aufori a curare diret- tamente quella riscritiura dellopera che a vent'anni di distanza appariva indifferibile. Non eadem acias, non mens. L'abbiamo af- fidata a un giovane, ferratissimo studioso, che ha lavorato in stretta collaborazione con gli autori (i quali tuttavia si dichiara- no responsabili dei loro niocchi o ripensamenti su due punti: la questione arsi/tesi e la crisi della storia letteraria). Ed ecco ¢ risuliati: sistematico aggiomamento, almeno sino al 1990 fe quando si & potuio anche oltre) di tutti i capitoli; ritocchi for- mali dove li suggeriva Vesperienza didattica, nostra e altrui: sfol- timento delle « pagine azzurre », ormai troppo numerose, e loro fusione nei rispettivi capitoli, per rendemne pitt agevole e fluida Putilizzazione; stralcio del cap. IX sulla didatiica, irrimediabil- mente datato, soprattutio in presenza di manuali specifici: lo si & compensato in parte con la bibliografia aggiunta al cap. gia X e ora IX (Gli strumenti), in parte con ta ristampa di un artico- fo di uno di noi che conclude it volume con alcune disincantate riflessioni sul presente e il futuro del latino. Purtroppo Alfredo Ghiselli non ha potuto manienere la pro- messa di darci un manuale di stilistica latina che integrasse la lo PRELAZIONE nostra Propedeutica, né era pensabile condensame la smuteria ne- gli angusti confini di un capitolo. Ce lo dard, speriamo, wn va- lente altievo del Ghiselli, Gilberto Biondi. «Per digerire il sapere», diceva um personaggio di A. France, « bisogna averlo mangiato con appetito ». Ci auguriamo di avere imbandito ai nostri giovani convitati una pietunza, se non pro- prio appetitosa, almena non troppo indigesta. ottobre 1991 PREFAZIONE ALLA SESTA EDIZIONE Cercare di rievocare il passato & come tentare di afferrare il significato delfesistenza. J. Brodskij Dopo il rapido esaurimento della quinta edizione abbiamo rite- nuto doveroso, anche se gravoso, procedere a nuovo, sistematico ag- giomamento (sino ai primi mesi del 1998), ¢ abbiamo approfittato delloccasione per aggiungere nell'Indice-Glossario la definizione di quei tennini della retorica e della linguistica che non compaiono nel testo. Per facilitare la consultazione abbiamo poi spostato alla fine e unificato gli indici. Siamo grati alla disponibilita dell’Editore ¢ al costante favore dei Colleghi. aprile 1998 1 LA STORIA DEL LATINO § 1. Diacronia e sincronia So Consideriamo una cattedrale, opera di molli secoli e di mol- te generazioni, Possiamo indagare la storia della sua costruzio- ne, le successive modificazioni dei modelli, Vinflusso dei vari stili_ ¢ delle diverse personalita artistiche, l'incidenza delle con- dizioni socio-economiche, etc. Ma possiamo anche prescindere da tutto questo per esaminare la struttura della pianta, la fun- zionalita degli elementi architeuionici, i] ritmo dei vuoti e delle masse, l'effetto della decorazione pittorica ¢ scultorea, etc. Cosi é anche per la lingua. Essa si pud considerare da due punti di vista diversi: diacronico e sincronicg. La ‘djagrouis Gal greco du, « altraverso », e xodvog, « lempé>) studia la lingua auraver- so_il_tempo, ossia come una serie di rapporti successivi; la_sim- ain aa {dal greco awv, «con», ¢ xpdvos) studia ta lingua a pre- scindere dal tempo, ossia come un. complesso di rapporti sinmul- pri Tasi_di_una lingua; if, stato_di lingua. Graficamentc, le due dimensioni potrebbero Tap- Presentarsi come una linea e un piano. Entrambe soddisfano a due esigenze diverse ma egualmente legittime: la_diacronia alla ‘Storiciia, la sincronia alla sistematicita. E corrono ‘vischio di cadere rispettivamente ii Lytennn im? Fu il “padre della moderna linguistica strutturale, Ferdinand 1% CARITOLO sure, a porre neltamente questa antitesi fra diacronia ¢_ sincronia nel suo Cours de linguistique générale uscilo postumo nel 1916. Optando per la linguistica sincronica (0 « statica » 0 « descrittiva »), il Saussure reagiva all'evoluzionismo che aveva caratterizzato la glottologia del sec. XIX, anzi, che l'aveva fon- data come scienza autonoma. Prima degli inizi del secolo scor- so, la lingua era oggetto o dell’empirismo normativo della grammatica e della retorica, o della speculazione logicistica del- la filosofia (da Aristotele agli Stoici, dagli scolastici modi signi- ficandi alla Grammaire générale et raisonnée di Port-Royal). Ai imi dell'800 col dancse asi) e col tedesco Gopp) (la cui ope- ra sul sistema di coniugazione del sanscrito paragonato a quelli del greco, latino, persiano e gotico fu edita un secolo prima del Cours saussuriano, nel 1816) avviene una fivoluzione nel campo degli studi linguistici: nasce_la_grammatica_storica_e somparata. Occorreva, per questo, la scoperta del sanscrito o antico indiano ¢ delle sue affinita con le lingue classiche ¢ ger- maniche. Dalla «comparazione » tra le forme corrispondenti di _queste lingue si risaliva a una forma unica originaria, che si. sarebbe poi differenziata nel tempo. Affinando sempre pid il metodo storico-comparativo, la glottologia oltocentesca accumuld e sistemd un enorme materiale, specialmente nel campo della fonetica ¢ della morfologia. Era finalmente possibile rendersi conto di tante anomalie grammaticali (per es. del locativo lati- no)', risalendo a una fase anteriore del fonema o del morfe- ma, tramite la comparazione con le lingue affini. II concetto di «eccezione » perdeva cosi la sua empiricita per inquadrarsi nel- la storia della lingua, come residuo di una _norma pid anlica. La validita delle equazioni linguistiche fu garantita dalle cosid-- VL p. 201 as, LA STORIA DEL LATINO " dette «leggi fonetiche », ossia da regole relativamente costanti df irasformazione dei fonemi (per es. fScum > fuoco, cum > luogo, bonum > buong, etc.: 6 tonico y latino in siflaba aperta da uo in_jtaliang)?. In tal modo si dava una basé scientifica ‘anche all’etimologia, finora lasciata a intuizioni sporadiche o a speculazioni dilettantistiche (del tipo fucus a non lucendo)?. Questo immenso lavoro sfocid, a cavallo dei due secoli, nel . Compendio di grammatica comparata delle lingue indogermaniche di K. Brugmann e¢ B. Delbrick, che 2 tuttora la base, diretta o indiretta, delle nostre grammatiche storiche latine. Di fronte alla grammatica normativa con i suci schemi secolari, la grammati- ca storica si pose, four court, come la sola grammatica scienti- fica* e inizid una lenta penetrazione nell’insegnamento scolasti- co. Ma nell'ultimo settanternio abbiamo assistito a un nuovo ro- vesciamento di concezioni e di metodi. In armonia con le ten- denze del pensiero contemporanco — neopositivismo logico, ci- bernetica, « quantificazione » delle scienze umane_ sull'esempio 2¥. pp. 101 ¢ 133 Dinvece ticus viene proprio dalla radice *leuk- di tux luceo: ¢ ta raduru tu. minosa nel basco. Ma ancora Freud, studiando il comportamento del sogno di fronte alle categoria di contrast ¢ di contraddizione, poteva dire nel 1910, sul la scorta delle teorie di K. Abel (1894), secondo il quale nelle lingue pity anti che sarebbero state presenti numerose parole esprimenti due sighilicali diame. tralmente opposti: «in questo modo forse anche la tamo derisa derivazionetu- cus @ non lucendo avechbe un sensa> (Ober den Gegensinn der Urwene. sJahrbuch for psychoanalytische und psychopathologische Forschungen » 2, 1910, pp. 179-184 (una trad. ital. recente, Signi{icato opposto delle parole pri- maordiali, in S. Futup, Psicanalisi della cultura, Milano 1989, il nostro passo a p. 73; sull’argomento v. G.C. Lerscuy, Freud, Abel € gli opposti, in Sulla lingui- Mica modema, Bologna 1989, pp. 349-378). CG’ Si & preteso fosse possibile considerare scientificamente la lingua in mo- do diverso dallo suxdio storico. fo debbo nogarlo»: sono parole di H. Paul. seritie nel 1880 {cito da C. TacLavint, dntroduizione alla glottologia, Bologna 19697, 1, p. 304, 20 CAPITOLO I delle scienze naturali® — la grammatica storica ha perso lerre- no di fronte alla linguistica sincronica o descrittiva (strutturali- smo, grammatica generativa®), Mediante I'uso di formule alge- briche ¢ di modelli geometrici si simbolizza ta rete di rapport intercorrenti all'interno di un sistema linguistico. Purtroppo la linguistica sincronica, divisa in molte scuole e aristocraticamen- te chiusa in una terminologia esoterica, non @ ancora giunta, almeno per il latino, a una globale e concorde reinterpretazione delle sue strutture. Oggi il compito pit urgente della. linguistica generale sembra quello di armonizzare diacronia ¢ sincronia. ® Dove «les differences qualitatives sont ramenécs toujours plus 4 des diffé- rences quantitatives » (M. PLaNck, Limage du monde dans 4a physique modeme, Geneve 1963, p. 9). Questa esigenza @ stata affermata non solo per la linguist ca («si la scienve du langage doit se choisir des modéles, ce sera dans tes di- seiplines mathématiques ou déductives, qui rationalisent complécement leur objet en le ramenant & un ensemble de propriétés objectives munies de definitions constantes », E. BENVENISTE, Problémes de lingistiqne générale. Paris 1966, p. 8 [wad. it. Milano 1971, p. 14 s.] e aggiungi L. HEILMAN, Aspeiti guantitativi ¢ aspetti quatitativi delVanatisi del linguaggio. ogei, « De homine + 15-16, 1964, p. 229 ss,, ed ancora in Dallo sinsiuralismo alla tinguistica del testo (lezione del 1981], in Linguaggio, fingue, culture, Bologna 1983, p. 22 = Linguistica ma nismmo, Bologna 1983, p. 250), ma anche, paradussalmente per una disciplina umanistica come la filologia (« mi sembra che di wui gli studios! del mondo antico pid rispondano alle esigenze moderne coloro che ci presentano i dali ¢ gli clementi della ricerca nel mado pit algcbrico possibile ». G. Catvoui, La for matione oratoria di Cicerone, «Vichiana» 2, 1965, p. 5); ma v. contra \'afler- mavione di K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della mostra civilta, trad. Milano 1974, p. 129 s: «Cerle ben note formule, come quella secondo cui ogni indagine sulla nature @ scienza nella misura in cui conliene matematica, «sano sia dal punto di vista umano che da quello gnoscologico la pit grande sciocchezza che sia stata mai detia da persone che avrebbere dovuto saperne di pitn»: e cost N. Ruwer, Linguistica e poeiica, ediz. ital, civ. da Blisa Stussi, Bologna 1986, p. 162: «1 migliori filosofi analitici ... diffidano sempre pid della trasposizione nelle scienze ‘morali’ dei metodi delle scienze naturali » ; v. anco- ra R. CARDONA, Inirodutione alla sociolinguistica, Torino 1987, p. 47. Rivelatri¢i di questa ossessione dei modelli scientifici sono le parole di H. StemtHat, Sul- Tusa di una grenimatica generativo-trasformazionole vell'insegnamento del tatino, in AANV., Lo sfida linguistica (v. infra, p. 237), p. 227: « Si_possono ... imma- ginare i rapporti di reggenza (riferendoci a! “valore chimico™ del verbo) all'in- Cirea come un sistema di pianeti o come un modello aiomico di Bohr . * Sulla grammatica generativa v. infra, Premiessa alla bibliografia del c, VI. LA STORIA DEL LATINO a & 2, L’indoeuropeo Come si @ detto, nella prima meta del secolo scorso il meto- do comparativo permise di scoprire che non solo le due lingue classiche, il latino e il greco, ma anche altre lingue europee e asiatiche avevano.un’affinita genetica ¢ risalivano a una « lingua madre» comune, chiamata dai Tedeschi « indogermanico»> e dagli studiosi di altre nazianj (+ arii », cio’ « signori », si chiamavano i conquistatori indoeuropei dell'India). ? Panticolarmente importante il sostrato mediterraneo, oggi sopravvissuto per es. nel basco. » Panicolarmente conservatrici, Pec es.. i corrispondenti di réx si trovane so- Jo nel celtico (in antroponimi come Vercingeté-rix) ¢ nell'indo-iranico (cfr. san- scrito mahd-rdja, «magnus rex), | cordanze ereditarie col greco sono meno importanti di quelle acquisite nel corso di un lungo contatto culturale, v. infra, § 3. > <§ 3} Le fasi del latino ) latino € dunque una lingua indoeuropea, «sorella» del greco, Pare che avesse punti di contatto con la lingua dei Si- culi', il che proverebbe, in epoca preistorica, la diffusione dei protolatini in Sicilia. Ma, in epoca storica, il latino é or- mai solo ta lingua della citta di Roma, con poche varianti dia- lettati note (per es. a Faleri c a Preneste). Esso confinava a est e a sud con l’osco, a nord con |’etrusco (quasi certamente non indoeuropeo), di_cui subi un moderato influsso, soprattutto in seguito alla dominazione etrusca su Roma (monarchia dei Tar- quini). Lo stesso alfabeto latino @ derivato da un alfabeto greco. occidentale {precisamente quello calcidico di Cuma), ma attra- verso un. intermediario ¢trusco che ha lasciato le sue tracce?. Incomparabilmente maggiore e ininterrotto fu T'influsso del gre- co: di grecismi lessicali (assai meno sintatlici) il latino si arric- chisce per tutto I'arco della sua storia, mediante tre canali principali: il commercio, la tecnica, la culura. Si @ perfino af- fermato che I'influsso del greco non sarebbe estraneo alla tra- Per es., il nome dell’Aetna sembra da accostare alla vadice di aestus, «cal on € di gedes, propr. « focolare ». “se _il_latino serive Gaius, Gnaeus (non Caius, Cnaeus!) ma_sighC.. Cn. m eC. tulius Caesar, ma ubi ta Gaius, ego Gaia), & perché Valfabeto_etra era $co_aveva un segne_unico per Ja. velate sorda (c) ¢ Je velare sonora (¢). Solo ‘Blitacdi., “sotto Tinflusso deff'aifabeto greco, si_introdusse il segno G (ottenuto iante una sbasretla orizzontale) per_il suono della ‘one Vattribuisce al maesiro di scuola Spurio Carvil . a.Cr.: v. ora, al proposito, R. WarcHeR, Aldlateinische Insclirifien, Bern-Frankfurt am M.-New York 1987, pp. 324-333; ma U'introduzio- ne andra anticipata; cfr. G. Bernaro Perini, Le « riforme» oriografiche latine di eta repubblicana, «Aion >, Sez. ling., 5. 1984. p. 146 s.). tn epigrafi arcaiche ai legge ancora CRATIA (CIL F? 60). ete. 1A STORIA DEL LATING n sformazione del latino nelle lingue romanze. Certo @ che il lati- ‘flo, mentre segui l'espansione di Roma prima in Italia, poi nel- Ta parte nord-occidentale dell'impero, dalla Dacia alla penisola iberica?, non poté far breccia nell’oriente ellenizzato. Relativa- mente pochi ¢ limitati soprattutto al settore politico e¢ militare sono i latinismi nel bizantino*. L'impero fu sempre, finché ri- mase unito, bilingue, come bilingue fu la cultura romana. ——Pr-Nella storia del latine si distinguono grosso modo le seguenti fasi: latino sing_al principio del IIT seca, at- testato da scarse joni e da qualche frammento indiretto, ma ricostruibile in parte col metodo storico-comparativo; lating axgaigp, da Livio Andronice (nel 240 cade la sua prima rappre- sentazione) all'ir del_i sec. a.Cr. (etd di Sills, morto nel 78): la pitt perspicua documentazione si ha nella 2alliatg e nel- la prosa di Catone; Igtipo claggicn, nel 1 sec. aCr. (etd di sare e di Cicerone); lating guguatep (14 d.€r. morte di Augu: sto), rappresentato soprattutio dai pocti augustei ¢ in prosa da vio; lating mostclaasice o Wnperiale nei primi_dus secoli .del- ‘imperg (180 d.Ce. morte di Marco Aurelio), caratterizzato dal Progressivo convergere di lingua poetica ¢ prosastica e dal pro- gressivo divergere di lingua letteraria e lingua parlata; \atipp tigtiane. che @ ja particolare forma di latino imperiale attesta- to negli scrittori cristiani a partire dalla fine del IF sec. d.Cr,, ricco di semitismi, grecismi, volgarismi‘; tandolating o basse “Ol latino d’Africa, im cui s'cra espressa una grande cultura. fu sparzato dalf'invasione araba "A cominciare dal nome ufliciale dei bizantini, Pupaio,, Gos + “C:Valga come esempio il noto detto di Luca (4, 4): seriptiem est quia non in solo pane uiuit homo. Esso contiene un grecism volgarc, la rativa con quia invece delVinfinitiva, calco di'éy (benché preparato da alcuni sintagmi la lini del tipo doleo quod) 2 antecedente del nostro «che»; ¢ un semitismo, ly We preposizione in con valare strumentale («di solo pane +), perché in ebraico una medesima panticella indicava sia il rapporto locale che lo st lo urascrissero con éy 0 éni, chi tro la logica del loro sistema linguistico. Ne rimasta traccia nel nostro « in nome di Dio (#4 nomine Dei, propr. «col nome di Dia», per cs. daemonia etcere. latine, in parte parallelo al latino cristiano (dipende dal punto di vista che si assume), negli ultimi secoli (S24 morte di Boe- zip). § 4\GHi strati del tatino Come si @ detto sopra, le diflerenze all'interno del latino non sono solo diacroniche o vertical, ma anche sincroniche o_ orizzontali. Se prendiamo uno stato qualunque del latino in qualunque fase (tranne, in parte, quella preletieraria) e ne consi: deriamo lo spaceato, lo vedremo composto di diversi strati o li- velli stilistici: la Lingus teteraria: foriemente stilizzata; le Hague -delle varie arti e aftivita (fra cui le pid imporianti per iI loro influsso sul lessico comune quella agricola', giuridica, sacrale?, politica e militare); la Hingum d’ugo-della conversaz ne e della corrispondenza; il latino volgare degli indotti o_s¢ midotti, che_ci pud dare una certa idea del parlato (approssi mativa perché le sue testimonianze sono necessariamente filtra- te, € quindi in parte alterate, atiraverso Ia lingua scritia: Zin particolare ly_origini agricole di Roma hanno lasciato forti trace nella lingua: ayers & spingere innanai it bestiame (opposto c, guidarlo prec dendoto}, gecumia ricorda che Vantico mezio di scambio cra il bestiame (pec). Jeong © lo siampo.del (ormaggio. yihi! significa ctimologicamente « neppure un fuscelle Usfum)*, mbyr @ la covere, lacius vale propriamente, « concimato » (clr. faciamen), puta © » potare » © come; » (eribram & i) setace dal suo diminutive cribellum il nostro’ « . etc. Persino termini milita- Ti comm gohers ¢ menipylus wadiscono un'origine rurale: crano rispettivamente i recino 9 poornicd le persone ivi contenute) ei fascello di grano che Sta_nel pune. 7 "Da cui vengono termini pi o meno lsicizzati come contemplor (emplum ra lo spavio sacro da dove 'augure asservava gli auspici, dalla medesima radi- ce di tev, « tagliare »), faygo (indicava i favore degli dei), macte (+ sii onora- to», poi «bravals), augustus (connesso con auger, atigurivm), et. LA STORIA DEL LATINO B iscrizioni, opere tecniche come la Mulomedicina Chironis >, in- formazio: grammatici come Vautore della Appendix Probi‘, utilizzazione di elementi popolari a fini artistic’ come nel Saty- ricon di Petronio *), + Ma « lingua letteraria» @ concetto ancora troppo compatio e uniforme. Ai suo interno, la teoria dei generi letterari prescrive- va nette differenze stilistiche: Orazio nega il nome di poeta a chi non sappia seruare operum colores, «conservare la patina stilistica dei vari generi» (ars 86). Una_prima biforcazione & ita lingua. della prosa-e lingua, € quella a sua vol ta si alteggia diversamente neil'oratoria, nella_storiografia, e quesia_conosce iJ tono alto dell’epica ¢ della tragedia, ii tone medio dell’elegia, il tono umile della commedia e della satira, etc, La teoria e la prassi greca, che caratterizzavano ogni gene- Te con un dialetto, spingeva i poeti latini verso il plurilingui- smo. Ma i Romani pon. aveyano dialeui, banditi_ dal purismo nitgs, it latino dell'urbs), che _& il_ corrispondente_lingui deli’accentramento -politice: la differenziazione stitist neri fu il toro problema letterario pitt grosso, e lo risolsero es- senzialmente sul piano lessicale (meno su quello sintattico e an- cor meno su quello morfologice). Da quesio punto di vista va impostata la questione dei.sinonimi. Per molte serie sinonimi- che la differenza non 2 seriantica, ma stilistica (ci fu chi disse che la sinonimia @ un fatto sociale). E il confine fra le varie 8 Trattato di veterinaria del IV sccolo, * Contiene una lista di forme scorrette con le relative corretioni, ed & cosi detta perché trasmessa in appendice a un codice del grammatico Probo: comu- pemente,.2 datata_nel. sec. I, ma ¢ datazione discussa (% altribuita ora alla meta del V sec. da P. Fronerr, La dare de l'Appendix Probi, in AAWV., Filolo- gia © forvie letterarie, Studi offerti @ Francesco della Cone, 1V, Urbino 1987. pp. 299.320). * Un esempi ¢ dei suoi convitati (39, 5 s. ciuile (122. v. 134; 123, v. 198). Petronio usa il volgarismo cuelus sulla bocca di Trimalchione 45, 3), ma caclum nei versi epici del Betlurt y CAPITOLO I cennotaziom era pid sentito che nell'italiano moderno, dove i termini esclusivamente letterari sono caduti in disuso. II gladius non era materialmente diverso dall'ersis ®: ma il primo é il ter- mine usuale (+ spada »), il secondo il termine poetico (« bran- doz). La stessa differenza passa tra agrigdla © ryricdla, benché appaiano entrambi formati secondo il medesimo modulo compo- sitive: ma quello appartiene al pid antico fondo della lingua e questo @ una neoformazione .probabilmente ovidiana. E, per fi- nire, al concetto di « cayallo» cisponde una triade ben differen- ziata: equys. @ il termine medio, ai due estremi stanno i) com- Posto sgnipys esclusivamente della poesia elevata (« destriero ») e caballug. « ronzing ». essenziatmente della lingua d’uso 7. Naturalmente i diversi strati non ,erano compartimenti stagni. C’era un continuo ricambio. fra loro. Molta terminologia tecnica_ passava nella lingua d'uso, Dal_basso, 1 i volgari, ricchi di espressivita, salivano verso la lingua letteraria, donde in cambio scendeyano paradigmi linguistici ricchi di prestigio. La storio- grafia, pid che la filosofia o l’oratoria, civettava con la lingua poetica. La quale, a sua volta, nella sua esigenza di libertad e- spressiva, non di rado ha sintagmi in comune con la lingua d'uso*. Ma, in complesso, le differenze restano netie. Anzi, il ingua letteraria, ancorata ai grandi modelli classici gua parlata’ si approfondisce sempre pid nell'epo- ia Tea imperiale. Ad aggravarlo, si aggiunge i! fatto che il latino era ormai parlato in un immenso territorio, da genti originariamen- te alloglotte, che non potevano non lasciarvi tracce, soprattutto > buguer f : dtd at nihil significatiomts, gue porius vuaris, intersit, ui ensis et gladius. Clr. anche Bocth. de Trin. 3. ~ ‘Zl medesimo proverbio suana in Ovidio (rem. 394): principio clivi noster anmhelar equus, in Petronio (134, 2): fassus tamquam cabailus in cliuo. <@Si pensi, per es.. all'infinito «finale» del tipo uenio uisere, che permeneva Neconomia di un costrutte gerundivo (ad uisendum) 0 ipotattico (ui isan: v. pp 210, ¥e 219 Ls STORIA DEL LATING 2” fonetiche, della loro lingua originaria. Sinché resto in piedi i potere centrale e la sua organizzazione, anche il latino restd relativamenie unitario nelle varie parti dell'impero, pur nella sua dicotomia di latino leterario e latino parlato. Ma col pre- valere delle forze centrifughe e col disintegrarsi dello stato il latino parlato subi un rapido process di differenziazione geo- ‘Bfalica, agevolata dall'isolamento culturale e¢ dal declassamento economico delle popolazioni. Gia questo mutamento non sfuggi- va a S. Girolamo: cum et ipsa Latinitas et regionibus cotidie mutetur et tempore (in Gal. 2, praef.)°. Dopo la caduta dell'im- pero sia alla fingua Latina, la lingua letteraria, che alla Theo- tisea lingua degli invasori comincia a essere contrapposta la rustica Romana lingua, Ja lingua parlata dei vinti. Siamo all’al- ba delle lingue_romanze ‘ine: da est a ovest il rumeno, Vitaliano, , il portoghese (senza contare quelle estinte come il dalmatico o ridoue a dialetti come il /a- dino, il provenzale ¢ il sardo). 1 primi documenti romanzi risal- gono al secolo VILL o_ (8 5.. II latino dopo Roma Litaliano & dunque la fase pit recente del latino parlato, senza soluzione di continuita. E il latino letterario? Fu salvato dalla Chiesa, che lo cristianizzd e ne fece la lingua liturgica dell’occidente. Siccome la Chiesa fu per tutto il medioevo la principale se non I'unica depositaria della cultura, il Jetingoms* ° fu, sia pure imbarbarito, la lingua colta internazionale dell'Europa occidentale, riflesso e strumento di una civilta unitaria. Questo latino tocca il punto pit basso della + Cosi §, Girolamo. dalmata, pronunziava kelum quello che il suo cumempo raneo gallico. Ausonio, doveva pronunziare sefum (caelum). v. p. 61 2B CAPITOLO 1 sua parabola nell’eta merovingia !; ma la riforma di Carlo_Ma-_ gno, che chiamé alla sua corte dotti dall'Italia, dove non s'era del tutto spenta la tradizione scolastica antica, e dall'Irlanda, che, mai occupata dai Romani, aveva conservato nei suoi chia- stri il latino relativamente corretto dei primi missionari, arrest} e ridusse lo sfaldamento delle strutture fonetiche ¢ morfologi- che. 1 punti di maggior cedimento furono la sintassi e, soprat- tutto, il lessico, e non solo per Ja massa di neologismi e barba- rismi. Lingua di superstrato, il mediolatino dovette reagire al sue limitate possibilita di rinnovamento altraverso un’erudita opera di recupero e di modifica del materiale antico: hapax, glosse salvate dai grammatici, grecismi isolati vengono messi in circolazione ?; si scompongono vecchi composti ¢ se ne com- di nuovi*; si,coniano innumerevoli derivati, specie di- si operano mutamenti semantici sulla base di false analogie: tutti modi d’innovare nella tradizione. Questa lingua giunse a maturita espressiva soprattutto nella filegafie dove la #4 Verso I'anno 700, questo latino era divenuto completamente caotico. Una lingua dove vidi, caus, abis, diligo, haec contra, possono avere il senso di vitac, quos, lubes, delego, econtra, dove se pud voler dire si, sed, sit, dove a, ab ad si confondono ..., una tale lingua non é pit adatta a servire come mezzo di comunicazione » (D. NoRBERG, Munuale di latino medievale, Firenze 1974, p. 42. wad. ital. a cura di M. Oldoni di Manuel pratique de latin médiéval, Paris 1968). @E. Emancescuna. (fr = vola manus, «Arch. Latinitatis Medii Aevi» 22, 1981-52, pp. 17-32 = Scriti di filologia latiia medievale, 1, Padova 1976, pp. 271-286) ha mostrato come si diffonda nel Medio Evo il termine fir (wi fiche ir, chir), «palma della mano», tratto da un verso corrotto di Lucil (II5S Marx} iramandato dai grammatici, da Carisio a Priscianos Anzi si cred il verbo denominative chirrare, «tenere per mano» (Norberg, op. cit, p. 69). Dinteressanti esempi in D. Nonsers, Enidition et spéculation dans fa tangue Jatine médievate, «Arch. Latin, Med. Aevi» 22, 1931-52, pp. S16 = Au seuil du Moyen Age. Erudes linguistiques, méiriques et liuéraires, Padova 1974, pp. 72-83: da deinceps si estrac inceps.e si foggia ubincens intempesta nocte & var Fiato con sempesia nocte @ in tempesta noctis; il rapporto coniungo/iungo auto- rizza_conivx/iux; € dello stesso autore v. ancora Latin scolaire et tatin vivant, ibid. 40, 1975-76, pp. 51-63. LA STORIA DEL LATINO 2 scolastica piegd il. mediolatino. a.un’astramezza.concelluale € a una sottigliezza dialettica ignote al latino antico. La lirica attin- se rari culmini sondando una zona inesplorata della psiche, tra lo slancio _mistico e il senso. del peccato; © qualche soffio’ di freschezza popolare alité attraverso la topica convenzionale sui canti_dei goliardi. Ma, in_generale, la_grande poesia at linguistico totalmente nuovo, il_romanzo. jmanesimo parve segnare una caeonda primavera del lati- not ne eta il luminoso autunno. Epurato dal logicismo medigya- le, ricondotto ai modelJi classici da un’élite di doui, il =e andd lentamente irrigidendosi ed alienandosi dalia ell Europa. Decade col cadere del grande ideale unitario dell'Europa medievale. La Riforma spezza |'unitd religiosa; i na- zionalismi si aflermano a spese dell'idea imperiale: due colpi mortali per il latino, nella sua lotta contro le [i i . Tra il loro paladino, Lutero, e I’assertore del purismo ciceronia- no, Pictro Bembo, i compromesso crasmiano di un latino mo- derno, che personis _et_rebus, pragsentibus congruat*, & destinato a fallire. Resta, dell’amanesimo quatirocentesco, una prosa volta a volta agile e vigorosa, pur nelle sue cadenze oratoric. La poesia, ancora una volta, delude. Le sue voci migliori sono, in ltalia, la virile nostalgia del Marullo, la sensualissima musicalita del Pontano, la grazia idillica del Sannazaro. [| materiale lin- guistico, compreso il metro, & maneggiato con maestria: ma é, in complesso, quello della tradizione classica, variamente com- binato in uno scaltro intarsio. L'incidenza dell'italiano, ormai da due sccoli lingua letteraria, & minima 5. Sara un moderno, il CE Ciceronianus, 1696 Gambaro. 5 La tesi di R. SPONGANO (W/m capiiolo di storia della nostra prose d'arie, Fi- renze 1941 [= Due saggi sull'umanesimo, Firenze 1964), che la prosa lana degli umanisti risenta di costrutti italiani, non tiene conto del fatio che in lati no, accanto allo stile strofico di Cicerone, c‘era anche lo stile paratattico di Se- neca. au CAPITOLO | Pascoli, a mostrare come la compresenza dei due sistemi li guistici possa ridare una vila poetica al latino, rimettendo in moto la dialettica fra wadizione e innovazione. Dopo il secolo XVI la poesia latina continua una sua esi- stenza umbratile, nel chiuso dei seminari ¢ delle accademie, ai margini della cultura. Ma, in prosa, il latino si fa veicolo terzo_universalismo, la scienza. Per circa due secoli, da C nico a Linneo, astronomia e matematica, anatomia e botanica geltano, prevalentemente in. latino, le basi del mondo modetne. Poi. con lanticlassicismo romantico, il silenzio. Non basta, a tomperlo, I'uso professionale del latino in un ramo_ periferico della cultura, la filologia classica. E anch'esso, del resto, va perdendo sempre pit terreno. L'ultima roccaforte del latino, la Chiesa romana, @ capitolata col Conci Vaticano secondo. I latino resta I'indispensabile ponte per penetrare nel nostro pas- sato, la matrice unitaria della civiltt europea, e quindi per ca- pire meglio noi stesst: che altro @ la cultura se non la coscien- za della propria storicita? «Non si imparava il latino e il gre- co per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i cor- rispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamen- te la civilta dei due popoli, presupposto necessario della civilta moderna, cio® per essere se stessi e conoscere se stessi consa- pevolmente » (A. Gramsci)*. O per dire con parole pitt antiche: «Come usiamo lo specchio per riflettere le forme delle cose, cosi studiamo I'antichita per comprendere i) presente » (Confu- cio) ” Cit. da A. Cornacewia, Hf fanne nella scuola defhaha una, Bologna 1979 pb 149. BIBLIOGRAFIA 1. I Saussure parla di diacronia e di sincronta nel ¢. JM del Cours (Paris 19494, rist. 1968, p, 114 ss, = 98 ss. della trad, ital. di T. De Mauro, Bari (967', 1989*, con note); si aggiungano le pagine dell’?n- troduzione al 2° corso di linguistica generale (1908-1909) a cura di R. Godel, trad. ital. a cura di R. Simone, Roma 1970, p. 62 ss. Riflessio- ni critiche sulla « lettura» dell'antinomia saussuriana in J.-L. CHIss. Syuchronie-diachronie: méthodologie et théorie en linguistique, « Langa: ges» 49, 1978, pp. 91-111. Mette a punto il problema R. AMBROSINI. Sincronia e diacronia: su alcune tendenze della linguistica attuale. «Arch. glottol. ital. » $9, 1974, pp. 1-30. Sui precedent; della distinzio- ne, segnatamente presso G. von der Gabelents (1891), si pud vedere E. Coseriu, Lezioni di linguistica generale, Torino 1973, p. 14 s. Sulla storia della linguistica A. PAGLIARO, Sommario di linguistica ariceuropea, \, Roma 1930; C. Taauiavint, Introduzione alla glottologia, cit. (1936), [, pp. 69-380; G. MOUNIN, Histoire de la tinguistique des origines au XX¢ sidcle, Paris 1970? (1967'; trad. ital. di Maria Maglio- ne, Storia detla linguistica dalle origini al XX secolo, Milano 19817: 19684), e dello stesso, La finguistique du XX’ sidcle, Paris 1972 (trad. ital. di B. Bellotto, Storia della linguistica del XX secolo, Milano 19837; 1974"); RH. Rosins, A Short History of Linguistics, London 1979? (1967!; trad. ital. a cura di E.T, Saronne, Storia della linguisti- ca, Bologna 19817, 1971"); dello stesso; ma pit orienlato verso il mo: derno, Ideen- und Problemgeschichte der Sprachwissenschaft, Frankfurt 1973 (trad. ital. di S. Speranza, Idee e problemi della linguistica, Bari 1981). Inoltre il vol. I di AAVV., Teoria e storia degli studi linguistici «Atti del VII Congr. Intern. della Soc. ting. ital.e, Roma 1975 (in particolare R. SIMONE, Teorie linguistiche e storia della linguistica, pp. 111-150, e gli articoli della Parte {1: Figure e corenti nella storia dello linguistica). Inveressanti considerazioni su queste storie della linguistica fa G.C Lerscey, Mutamenti di prospettiva nella linguistica. Bologna 32 CAPITOLO 1 1981, pp. 127-141. Lo stesso Lepschy é il curatore di un'ampia Storia delta Tinguistica, programmata in tre volumi, due dei quali gid pub! cali, Bologna 1990. La linguistica presirutturale si intitola una recente € ben documentata panoramica di G. Brincat, Bologna 1986. Limitato all’antichita (ma assai pid greca che latina) M. Leroy, Théories linguis- tiques dans VAntiquité, «Les dudes class.» 41, 1973, pp. 385-401, ¢ cosi pure il pitt recente M. BaRATIN, Frangoise Dessoxves, Lianalyse linguistique dans VAntiquité classique, \, Les Théories, Paris 1981, con antologia di testi. Sul metodo comparativo A. Meier, La méthode comparative en lin- guistique historique, Oslo 1925 (1rad. ital. di Simona Cigliana, con in- trod. di T. De Mauro, ff metodo comparativo in linguistica storica, Ca- tania 1991); Linguistique historique et linguistique générale, Paris, 1, 1948? (1921"), LL, 1956? (1936"). La linguistica storica, dopo un perio- do di eclissi, sembra aver ripreso lena, anche sull‘onda della gramma- tica generativa € del suo interesse per la dinamica delle struuure [i Buistiche: clr. R. Kinc, Historical Linguistics and Generative Granunar, Englewood Cliffs/NJ. 1969 (irad. itak a cura di Maria © S. Scalise, Linguistica storica ¢ grammatica generutiva, Bologna 1973, ed anche R. Amarosini, Nuove tendenze nella linguistica storica: verso una nuova Jinguistica 0 verso una linguistica nuova?, in AANV., Nuovi meiodi e problemi nella tinguistica storica, a cura di Giulia Mazzuoli Porru, Pi- sa 1980, pp. 11-40). Dello stesso Ambrosini una chiara Introduzione al- Ja linguistica storica, Pisa 1976, con cenni storici ¢ lineamenti general detle lingue indoeuropee (un po’ sacrificate le lingue classiche). Il vo- lume di Theodora ByNon, Historical Linguistics, Cambridge 1977 (trad. ital. a cura di L. Rosiello, Linguistica storica, Bologna 1980), la studia in rapporto sia ai madelli di sviluppo linguistico (neogrammatico, strutturalistico, generativo-asformazionale) sia al contatto linguistic. I principali aspetti della disciplina sono trattati da E. Campanive, B. DE Feuice, R. Gusmant, R. Lazzeroni, D. SILVESTRS in Linguistica storica, a cura di R. Lazzeroni, Firenze 1987 (nessuna apertura alla grammatica generativa che si ritiene non aver portato contributi Sostanziali). Sulla ciimologia Varticalo Erimologia di B. Terracins nella Enciclo- pedia Italiana (1936); V. PISANI, L’etimologia, Brescia 1967? (Milano 1947"), P. Gutraup, Létymologie, «Que sais-je?», Paris 1979* (1964), Fecentemente sostituito nella collana dall’omonimo volumetto di C. Brucker, Paris 1988 {su cui v. tuttavia le forti riserve di P. SwiGGERS in «Bull, Soc. Ling. Paris» 84, 1989, pp. 114-116) assai denso A. MIBLIOGRAFLA, 33 ZamBonl, L’etimologia, Bologna 1976. Un utilissimo repertorio di tutte le etimologie latine reperibili nei testi antichi @ offerto da R. Matrey, A Lexicon of Ancient Lain Etymologies, Leeds 1991. L’etimologia popola- re latina era stata oggetio dello studio di O. KELLER, Laieinische Volks- elymologie und Verwandtes, Leipzig 1891 (= Hildesheim 1974); pitt re- cente il Saggio sulf‘etimologia popolare in latino e nelle lingue romunze di Resalinda Berrotorn, Brescia 1958: per il periodo medievale Ros- witha K.INK, Die lateinische E1ymologie des Mitelalters, Munchen 1970. Sulla linguistica moderna J. Venorves, Sur les taches de la linguisti- que statique, «Journal de Psychologie » 30, 1933, pp. 172-184 (rist. in Choix d'études linguistiques et celtiques, Paris t952, pp. 26-38); E. Benveniste, Tendances récentes ett linguistique générale, «Journal de Psychologie » 47-51, 1954, p. 130-145 (= Problémes de linguistique gé- nérale, cit, pp. 3-17 = pp. 9-26 della trad. ital); Carla ScHick, Orien- famenti e tendenze negli studi linguistici contemporanei, « inerari » 3, #955, pp. 159-177; M. Leroy, Les grands courums de la linguistique moderne, Bruxelles 1971? (Bruxelles-Paris 1963'; trad. ital. di Anna Da- vies Morpurgo, Profilo storico della linguistica moderna, Bari 1973*; 19654); B. MaLMBERG, Les nouvelles wndances de la linguistique, Paris 1966 (ediz. ital. a cura di E.T. Saronne, La linguistica contemporanea, Bologna 1972), poi sostituita da L’analyse du langage au XX* sidcle. Théories et méthodes, Paris 1983 (ediz. ital. a cura di S. Stati, L’enali si del linguaggio nel XX secolo. Teorie e metodi, Bologna 1985); G. Lepscty, La linguistica de! Nowcento, Bologna 1992, ed anche la sillo- ge di saggi intitolata Sulla linguistica moderna, Bologna 1989. Sullo strutturalismo L. HEILMANN, Orientamenti siruiturali nellindagi- ne linguistica, «Rend. Acc. Lincei», cl mor. $. VIII, V. X, 1955, pp. 136-156; Origini, prospettive e limiti dello sirutturalismo, « Convivium + 26, 1958, pp. 513-526; Lo strutturatismo linguistico, «M Verri» 24, 1967, pp. 7-14 (iutto il numero 2 dedicato allo strutturalismo); Corso di linguistica teorica, Milano 1971; G.C. Lepscuy, La linguistica strut rale, Torino 19904 (1966'); L. PiaGet, Le structuralisme, « Que je? », Paris 1992" (1968'; trad. ital. a cura di A. Bonomi, Milano 1968); O. Ducrot, Le sinicturalisme en linguistique, in AAWV., Quiest-ce que fe structuralisme?, Paris 1968, pp. 13-96 (trad. ital. di M. Antomel- li, Che cos@ to streturalismo?, Milano 1971, pp. 7-102); L. HEILMAN, E. Ricorn, La linguistica: aspenti e problemi, Bologna 1975 (pp. 37- 178: H concetto di struttura ¢ gli sviluppi dello strutueralismo, con an- tologia): G.C. Lersciry, Strutiuralismo, in Mutamenti di prospeitiva nella M CAPITOLO 1 linguisiica, cit. pp. 7-35 (= Sulla linguistica moderna, cit, pp. 13-44). Un awio relativamente non troppo difficile alle teorie strutturalistiche possono fornire le opere di A. Marriner. Eléments de linguistique géndra- Je, Paris 1969* (1960!; wad. ital. di G.C. Lepschy, Elementi di linguisti- ca generale, Bari 1971; 1966"); A Functional View of Language, Oxlord 1969? (1962!; trad. ital. di G. Madonia, La considerazione funzionale del linguaggio, Bologna 19847; 1965!). Applicazioni dello strutturalismo alla stilistica ¢ alla critica in R. JakoBSON, Essais de linguistique générale, Paris 1963 (ediz. ital. a cura di L. Heilmann, Milano 1966, ¢. XI} ¢ Questions de poétique, Paris 1973, ¢, trad. ital, Poetica & poesi cura di R. Picchio, Torino 1985. Ap ioni didattiche alle teorie li guistiche pid recenti in E, ARCAINI, Principi di linguistica applicata, Bo- fogna 1967: E. Router, Théories grammaticales, descriptions et enseigne- meni des langues, Paris 1972 {ediz. ital. a cura di Annarita Pugliell Teorie grammaticali e insegnamento delle lingue, Bologna 1980). Un'ap- plicazione all'italiano, ma utile anche per il latino, in Monica BERRETTA, Linguistica ed educazione linguistica, Guida all’insegnamento dell’italia- no, Torino 1977 (da ritenere I'aflermazione di p. IX: «le auspicate ap- plicazioni della linguistica allinsegnamento si vanno rivelando assai pit problematiche ¢ meno risolutive del previsto »: il che dipende anche dal pluralismo dei modelli e della terminologia. Scciticismo esprime anche G.R. Carpona, Prospettive linguistiche per lo side ¢ T'insegnamento det latino, « Aufidus » 1, 1987. p. 105: «& daverose dire che non siamo og- gi in grado di fare pid o meglio della grammatica tradizionale »). Come intraduzione linguistica al latino pud essere utile leggere qualche volume sintetico sul linguaggio, per es. B. MiGLioniNi, Lingui- stica, Firenze 1968° (19461; rist. 1972}; M. Canen, Le langage. Strectu- re et évolution, Paris 1950; J. PeRROT, La linguistique, « Que sais-je? », Paris 1989'* (1953!; trad. ital. di A. Severino, La linguistica, Firenze 1961); Carla Scinck, ff linguaggio, Torino 1960; G. Mounin, Clefs pour da linguistique, Paris (971? (trad, ital. di L. Pero © M. Spada, Guide alla linguistica, Milano 2971; rist. 1987). Celebre, ma invecchiato, J. VeNoRYES, Le langage, steso entro il 1914 © pubblicato nel 1921, € ri- proposto a Parigi nel 1950 (rist. 1968 con aggiornamento bibliografico di P. Grauer), Anche La linguistique di J. Marouzeau, Paris 19442, ri- sente del tempo della sua stesura (1917'), ma ha il vantaggio di essere opera di un latinista nonché studioso di stilistica. Benché non molto pid recente del Vendryes il Language di E. Sarin, New York 1921 (trad. ital. con introd. di P. Valesio, Torino 1969), & pit attuale grazie a un HIBLIOGRAFIA 35 pensiero ricco © originale agli apporti delie lingue amerindie. Rac- comandabile anche W. von Wartpurc, Einfihrung in Problematik und Methodik der Sprachwissenschaft, Tabingen 19627, con aggiunte di S. Ullmann (1970; Halle 1943"; trad. ital. a cura di E. Arcaini, Problemi e metodi della linguistica, Bologna 1971). Ogei il diffuso interesse per la linguistica ha moltiplicato le opere divulgative in tutte le lingue. specie in inglese. Segnaliamo alcuni chiari manuali di linguistica gene- rale; R.H. ROBINS, Generul Linguistics. A fntroductory Survey, London 1964 (ediz. ital. di R. Simone, Manuale di linguistica generale, Bari 1969); F.P. DINNEEN, Art Introduction to General Linguistics, New York 1967 (ediz. ital, a cura di L. Heilmann, trad. di M. Grandi ¢ T. Collo- ca, Introduzione alla linguistica generale, Bologna 1970); J.L. Lyons, An Iniroduction io the Theoretical Linguistics, Cambridge 1968 (trad. ital. di Elena Mannucei e F. Antinucci, fntroduzione alla linguistica weorica, Bari 1971: forse il pitt utile per un filologo classic); R. Simo- NE, Fondamenti di linguistica, Bari 1990. Enciclopedie linguistiche di comoda consultazione sono La linguisti- que. Guide alphabétique, sous la direction de A. Martinet, Paris 1969 (trad. ital. di G. Bogliolo, La linguistica. Guida alfabetica, Milano 1972), e O. Duckot, T. Teporov, Dictionnaire encyclopédique des scien ces du langage, trad. ital. a cura di A. Caravaggi, Dizionario encictope- dico delle scienze del linguaggio. Milano 1972). Per alcuni dizionari di linguistica v. p. 195. A Linguistique et latin @ dedicato il N. 50 di « Langages », 1978, a cura di C. Touratier (il cui articolo omonimo apre il fascicolo, pp. 3-16: di alcuni lavori ivi compresi, pertinenti la sintassi, ditemo infra, pp. 204, n. $ € 237). In quest'uhimo decennio gli studi sul latino improntati alle pia moderne teoric linguistiche si vanno moltiplicando. Ricorderemo che dal 1981 al 1991 si sono succeduti a scadenza biennale sei conve- gni internazionali di Latin Linguistics (Amsterdam 1961; Aix-en-Provence 1983; Bologna 1985; Cambridge 1987; Lovanio 1989; Budapest 1991: gli atti dei primi cinque pubblicati con i tiloli: 1. Latin Linguistics and Li guistic Theory, a cura di H. Pinxster, Amsterdam-Philadelphia 1983; 2. Syntaxe et latin, a cura di C. TouraTier, Aix-en-Provence 1985; 3. Subor- dination and Other Topics in Latin, a cura di G. Catsou, Amsterdam- Philadelphia 1989; 4. New Studies in Latin Linguistics, a cura di R. Co- LEMAN, Amsterdam-Philadelphia 1991; 5. Actes du V° Colloque de Lingui- stique Latine, a cura di M. Lavency e D. Lonorée, Louvain-la-Neuve 1989. Una serie di otto conferenze del 1987 sono ora raccotte da G. 36 ‘CAPITOL 1 SERBAT sotto il titolo Linguistique latine et linguistique générale, Lou- vainla-Neuve 1988. Ulteriore materiale @ descritto nella rassegna di A. Manzo, Problematica finguistica € linguistica latina, « Riv. st. class. » 25, 1977, pp. 385-404 (il perioda coperto 2 di circa un trentenniv), € nella ben documentata Iniroduccién a la lengua y literatura latinas di J. Si Les, Madrid 1983. Per I'apporto dei metodi statistici e quantitativi v. B. Moreux, L'utilisation des méihodes quantitatives en linguistique grecque et latine, « L’antiq. class. » 51, (982, pp. 291-338 (con bibliografia). Ancora utile @ la scorrevole Introduction au latin di J. MAROUZEAU, Paris 1954? (rist. 1970; 1941"), di carattere linguistice-filologico (pro- nunzia, storia del latino, differenze dei vari stili, la trasmissione dei te- sti, etc). 2. Sull'indoeuropeo, chi non voglia rivolgersi alla monumentale sin tesi di G. Devoro, Origini indoeuropee, Firenze 1962, ha a disposizione libri pit maneggevoli come quelli di V. Pisani, fntroduzione alla tingui- stica indoeuropea, Torino 1975% (Arona 1944"); Le lingue indoeuropee, Brescia 1964? (Milano 1944!); C. Bartist, Alle font del latino, Firenze 1945; J. MANessy-Gurrton, L’indo-européen, in AA.VV.. Le langage, sous la direction de A. Martinet, Paris 1968, pp. 1240-1287; J. Haupry, Lindo-européen, « Que sais-je? », Paris 1984? (1979!); A. Marriner, Des Steppes aut océans. Litndo-européen et les « Indo-curnpéens », Paris 1986 (trad. ital. di M. Barba, L’indoeuropeo. Lingue, popoli e culture, Bari 1987). Dalla lingua alla cultura indoeuropea risale la suggestiva opera di B. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Paris 1969, voll. 2 (ediz. ital. a cura di Mariantonia Liborio, 1H! vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino 1976). Fra i manuali di linguistica indoeuropea citiamo A. MEILLET, /nroduction @ I’éiude comparative des langues indo-européennes, Paris 1937° (1903'; rist. 1948 = Univ. Ala- bama 1964); V. Pisani, Glontologia indoeuropea, Torino 1971* (1947"); H. Krane, Indogenmanische Sprachwissenschaft, Berlin 1966%, voll. 2 (1943!; wad. spagn. di J. Vieufia, Lingufstica indoeuropea, Madrid 19642; 1953!: assai pitt succinta); pit recenti O. Szemerénvi, Einfiih- rung in die vergleichende Sprachwissenschaft, Darmstadt 1990* (1970!; trad, ital, a cura di G. Boceali, V. Brugnatelli, M. Negri, Introduzione alla linguistica indoeuropea, Milano 1985); F.R. ADRADOS, Lingiiistica indoeuropea, Madrid 1975, voll. 2 (ampio e divulgative, ma senza bi- bliografia); A. ANcnotn, Elogio del variabile. Intreduzione alla lingui- stica storicu: V'indoeuropeistica, Milano 1988 (tende a collegare lingui- HIDLIOGRAFIA 37 slica storica € acquisizioni della linguistica teorica): nello Szemerényi ¢ nelVAncilloti la sintassi manca, nell’Adrados é ridottissima (v. p. 240). Sul latin nell’ambito delle lingue indocuropee cfr. l'anticolo di M LeseuNe, La position des latin sur le domaine indo-curopéen. in AAV. Mémorial des études latines, Paris 1943, pp. 7-31, la panoramica di G.R. Sota, Zur Stellung der laweinischen Sprache, « Sitz. Oesterr. Akad. Wien », Phil-hist. Klasse, B. IV, Abh, IV, H. II (1974), pp. 1-85 (in appendice analisi di testi latini arcaici), e ill pid recente contributo di Maria Luisa Porzio Gernia, La dialeuica tra arcaicita e innovazione nella tradizione latina, in AANV., Innovazione ¢ conservazione nelle lin- gue, Pisa 1991, pp. 11-30. Un'agile ¢ chiara introduzione alla linguistica latina nel quadro dell'indoeuropeo 2 offerta da A, BAMMESBERGER, Lutei- nische Sprachwissenschaft, Regensburg 1983. Singoli capitoli sono de catia Lingue ¢ dialetti dell Talia antica da vari specialisti nell’omor ma miscellanea a cura di A. Prospocimn, Roma 1978 (vol. VI di Popoli € civilta deli’halia antica; un fascicolo di Aggiornamenti e indici a cura di Anna MaRINETTI @ uscito a Padova nel 1982): il cap. non molto ori- ginale, su I latino di Roma 2 di G. Devoro (pp. 469-485: ristampato in Storia della lingua di Roma, 1983, cit. infra, 1. pp. XXXVII-LIV), quello su It siculo (v. supra, p. 22) di A. ZaMBONI (pp. 943-1012). 3. Le pid accessibili storie del latino sono: F. Sto1z, A. DEBRUNNER, W.P. ScumiD, Geschichte der lateinischen Sprache, Berlin 1966" (Leipzi 1910}; trad. ital. con introd. ¢ note di A. Traina e in appendice La for- matione della lingua leteraria latina di JM. TRONSKU trad, dal russo, Bologna 1973? [1968!; rist. 1981: in preparazione una IV ediz. a cura di E. Viweis)); A. Mewer, Esquisse d'une histoire de ta langue latine, Paris 1952° (19281; rist. con bibliografia aggiomata a cura di J. Perrot, 1966: panorama illuminante); G. Devoro, Storia della lingua di Roma, Bologna 1944? (1940!; tad. tedesca con aggiornamenti Heidelberg 1969; del 1983 @ una ristampa anastatica in due volumi (= 1991 in volume unico) curata da A. PROSDOCIMI, con una premessa ¢ un‘appen- dice dello stesso Prosdocimi, un’appendice di testi del Devoto (tra cui Hi latino di Roma, cit, supra) ¢ un'appendice bibliografica di Annalisa Francit De BELLIS: @ opera densa ¢ sempre ricca di problematica: !'ap- pendice di carattere teorico fu ampliata ne J fondamenti della storia linguistica, Firenze 1951; una siniesi spazio temporale 2 offerta dal De- voto in Hl linguaggio d'fialia, Storia ¢ struiture linguisticke italiane dal- fa preistoria ai nostri giorni, Milano 1974 (= 1977); J. Cousin, Evolu- 3M CAPITOLD tion et structure de la langue latine, Paris 1944 (molto discussay; L.R. Pamer, The Latin Language, London 1961 (1984!: diviso in storia del- la lingua e grammatica storica; se ne ha una pessima trad. ital. di M. Vitta, La fingua tatina, Torino 1977, da adoperarsi quindi con molta cautela, cfr. » Riv. Filol. ¢ Istr. Class. » 106, 1978, pp. 204-209; ‘opera ® stata tradotla anche in spagnuolo da J.J. € L.F. Moralejo, fniroduc- cion al latin, Barcelona 1974! (19887); G.B. Pru, Storia def latino, V. Ussani, F. ARNALDI, Guida allo studio della civilia romana antica, Napoli 19617, Il, pp. 185-232 (1954!, pp. 181-228); Storia della lingua latina, Torino 1968 (la seconda @ un ampliamento della prima: entram- be asciutte ¢ rigorose); V. Pisani, Storia della lingua latina, I, Le origi- nie da lingua letieraria fino a@ Virgilio e Orazio, Torino 1962 (incentra- la sulla lingua letteraria, lascia a desiderare dal punto di vista filologi- co, cfr. A. Traina in «Convivium» 32, 1964, pp. 84.90); J. Cottart, Histoire de la langue fatine, « Que sais-je? », Paris 1972* (1967': molto sintetica); di utile lettura M. DURANTE, Dal latino alf'italiano moderno. Saggio di storia linguistica ¢ culturale, Bologna 1981 (c. I: Latino clas- sico e volgare, pp. 1-72). Per ulterior’ ragguagli si consulti Ia bibliogra- fia premessa alla trad. ital. dello Stolz-Debrunner-Schmid, cit., p. 00d. Sull'alfabeto latino A. Tratna, Lalfabeto ¢ fa pronunzia del latino. Bologna 1973* (1957"), v. infra, c. II, © tra i recenti lavori di epigra- fia R. Warcuer, Altlateinische Inschriften. Spracklicte und epigraphische Untersuchungen zw den Dokumenten bis etwa 150 v. Chr., cit. Grecismi: manca una ricerca storica complessiva. II volume di 0. Weise, Die griechische Worter im Latein, Leipzig 1882 (= 1964) & pit che altro un repertorio diviso per campi semantici. Un‘ampia cornice sociolinguistica nel pit recente J. Katmio, The Romans ond the Greek Language, Helsinki 1979 (conoscenza ¢ uso del greco nella vita pubbli- ¢a, privata, culturale, etc.); € v. anche J. Kramer, Liinfluence du grec sur le latin populaire: quelques réflesions, «Studi clasice» 18, 1979, pp. 27-135. Sui grecismi lessicali un rapido schizzo di J. PERRET, Les hellénismes du vocabulaire latin, «L'inform. litt.» 3, 1951. pp. 183- 190, e le pid recenti considerazioni di Fréderique Bivitte, Grec et fa- tin: contacts linguistiques et création lexicale. Pour une typologie des hellénismes lexicaux du latin, in AANV., Actes du Ve Colloque de Lin- guistique Latine, cit., pp. 29-40 (e della stessa Biville v. i titoli citati infra, p. 70); sui grecismi sintattici 'invecchiato ma non ancora com- Pletamente sostitwito L. BRenous, Les hellénismes dans la syntaxe tati- ne, Paris 1895 (= Roma 1966), € pid recentemente R. COLEMAN, Greek BIBLIOGRAFLA Bu Influence on Latin Syntax, « Trans. of the Philol. Soc.» (Oxford) 1975. pp. 101-156 (che ne sottolinea lo scarso rilievo globale). Sui latinismi nel mondo greco ¢ bizantino E. Garcia DomINGo, Latinismos en la Koi- né fen los documentos epigraficos desde ef 212 a. J.C. hasta ef 14 d. JC), Burgos 1979; H. e Renée KAusNe, in Reallexikon der Byzantini- stik, vol. L. fasc. 5, Amsterdam 1972, s.u. Abendland und Bysanz. Lite- ratur und Sprache, pp. 499-536: e v. anche S. Daris, H lessico latino nella lingua greca d'Egitto, « Aegyptus» 40, 1960, pp. 177-314, e poi WH lessico latino nel greco d'Egitto, Barcelona 1971', 19917. Del bi- & plurilinguismo in Italia (e quindi anche dei rapporti greco-latini) si é eccupato A. Prospocimt, Il conffitto delle lingue, im AANV., La Magna Grecia € UHalia, Napoli 1976, pp. 130-221; Contatti e conflitti di lin. gue nell'alia antica: Velemento greco, in AANV., Lingue e dialetti del- Ualia antica, cit., pp. 1029-1088; Le lingue dominanti e le lingue lo» cali, in AAWV., Lo spazio letterario di Roma antica, UM, La circolazione del testo, Roma 1989, pp. 11-91. Per l'epoca preleneraria gli studi di E. Peruzzi, raccolti in Aspetti culturali de! Lazio primitive, Firenze 1978, e in Mycenaeans in Early Latium, Roma 1980, hanno rivoluzio- nato molte etimologie: dello stesso Peruzzi v. anche, in rapido schizzo. La lingua greca nel Lazio preromano, in AANV., Greci e Latini nel La- zio antico, Roma 1982, pp. 9-26. Per il latino arcaico eccellente la silloge di A. Ernout, Recueil de textes latins archaiques, Paris 1966) (1916'); un recente quadro com- plessivo @ quello offerto da G. RADKE, Archaisches Latein, Darmstadt 1981. Le prime fasi della lingua latina ¢ il costituirsi della lingua let- teraria nella succosa sintesi di $. Boscuerini, La costituzione del fati- no, in AAVV., Storia di Roma, IV, Caratieri e morfologie, Torino 1989, pp. 661-678. Si tenga presente che I'inautenticita della fibula Praenesti- ma, ora documentata da Margherita Guarpucci (La cosiddetia fibula Praenestina. Antiquari, eruditi e falsari nella Roma dell’Oitocemo, « Ati Acc. Lincei », Mem. cl. mor., 8. VII, V. XXIV, 1980, pp. 411-574, € La cosiddetta fibula Praenestina, Elementi nuovi, ibid. V. XXVIII, 1984, pp. 128-177; ma non tutti sono d’accordo: v., tra gli altri, E. CAMPA- NILE, Peparai modello di fheifiaked?, «Studi class. € orient.» 36, 1986, pp. 13-16) ci obbliga a rivedere molti dati del latino preletiera- fio. Per il latino d’epoca imperiale una panoramica recente offre G. Bonrante, La lingua latina partata nell'etd imperiale, in ANRW I 29,1 (1983), pp. 413-452 (poi anche in Scritti scelti di Giuliano Bonfante, 11, Latino € romanzo, Alessandria 1987, pp. 587-630). Sul latino cristiano poco da il Manuel die latin chrétien di A. BLAL- SE, Strasbourg 1955. Incomparabilmente pit ricchi ¢ originali, anche se non sislematic quattra volumi di Christine MowaMmann, Etudes sur Je latin des Chrétiens, Roma, {, 1961? (1958'); II, 1961; LIL, 1965; 1¥, 1977. Quest’ultimo volume contiene in appendice (pp. 367-404) la stampa di un‘operetta fondamentale per il latino cristiano, Charukeri- stik des alichrisilichen Laiein di J. ScRUNEN {Nijmegen 1932), di cui ora si ha la trad. ital. aggiornata a cura di S. BOSCHERIN, I caratieri dei latino cristiano antico, Bologna 1977', 1986, con un’Appendice della Mohrmann che fa il punto della situazione (Dupo quarant ‘ari: i testo tedesco, Nach vierzig Jahren, nelle Etudes IV, pp. 111-140). La Mohrmann é autrice anche di Liturgical Latin. is Origins and Charace ter, Washington 1957 (= London 1959). Divulgativi G. Catto, Hf fatino cristiano, Bologna 1965 e L. Leone, Lativitd cristiana. Introduzione al- fo suidio det latino cristiano, Lecce 1977. La pit recente sintesi critica & 3 mia conoscenza, V‘opuscolo di V. Loi, Origini ¢ caratteristiche det- Ja tatinita eristiana, Roma 1978. Bibliografia ragionata in Elena MALA- SPINA, Gli studi sulla latinita eristiana (1951-1978), I, «Cultura e Scuo- lav 71, 1979, pp. 40-47; Il; ibid. 72, 1979, pp. 64-70. Benché di am- bito pik circoscritio, segnalo I'analisi comparata di passi bibli gui (semitici, greci ¢ latini) condotia da A. Ceresa-Gastatoo, ff fa- tino delle antiche versioni bibliche, Roma 1975. Per il tardolatino & ormai classico E. Lorstept, Late Latin, Oslo 1959 (ediz, ital. con una nota © una ricchissima appendice bibliografi- ca di G. On.anpi, H latino tardo, Brescia 1980: nell’opera capitoli an- che sul latino cristiano e medievale). Recente A. DE Prisco, If latino tardoantico e aliomedievale, Roma 1991. 4. Im generale 'invecchiato ma non tramontato O. Weise, Charakre- ristik der lateinischen Sprache, Leipzig-Berlin 19094 (Leipzig 1891': trad. franc. rimaneggiata di F. ANTOINE, Les caractéres de la langue la- tine, Paris 1896; trad. ingl. di H.A. Strong ¢ A.V. Campbell, London 1909); J, MaRouzeau, Introduction au lasin, cit.; Traité de stylistique ta- fine, Paris 19624 (rist. 1970; 1935'). La «stilistica» del Marouzeau non & Ia stilistica normativa, che insegna a scrivere in buon latin, moderna erede della retorica (bibliografia infra, p. 396 ss.), né la cosi detta stilistica letteraria o critica stilistica, che valuta lo stile dei singoli serittori (cfr, A. ScuiaFFINi, La stilistica letteraria, in Momenti di storia BIBLIOGRAFIA 4 delta lingua italiana, Roma 1965?, pp. 165-186 [Bari 1950'), ed anche in ftaliano antico e modemo, Milano-Napoli 1975, pp. 241-260; € v. anche Vintroduzione, la bibliografia ¢ l'antologia forientata verso la lel- leratura italiana) di D. IsELLA in AA.VV., / melodi attuali deila critica in Halia, a cura di Maria Cort! e C. Secre, Torino 1970, pp, 159-214 e la panoramica di E. Raimonoi, L. Borroni, Teoria della leieratura, Bologna 1975, c. 12 (pp. 255-276; bibliografia pp. 453-456)): essa & invece la stilistica descrittiva, ciot V'inventario dei mezzi espressivi che rendono possibili le scelte stilistiche in una determinata lingua (cfr. P. Guteaun, La stvlistique, « Que sais-je? », Paris 1972? (1954"], ora sosti- uito nella collana, con lo stesso titolo, dall’ottimo, solo eccessivamente francocentrico, G. Mouinié, Paris (9917, (1989); il c. XIV, Stile e stiti- stica, della Teoria della tetteratura e¢ metodologia dello studio letterario di R. WELLEK © A. WaRREN, trad. ital. Bologna 1969° [1956']; il ricco ma confuso volume di B, TERRACINI, Analisi stilistica, Milano 1966; Vamologia di leuure a cura di P. Guiraup e P. Kuenrz, La sivlistique, Paris 1970; interessa soprattutto il mondo anglosassone N. ENkvist, J. SPENCER, M.J. Grecory, Linguistics and Stvle, Oxford 1965, con biblio- grafia: un ampio Dizionario di siilistica da ora Katie Waves. trad. ital. Firenze 1991). Le applicazioni delle varie metodologie stilistiche all lat no sono oggetto di un serraio, ¢ non sempre aggiornato, volume W. Ax, Probleme des Sprachstits als Gegenstand der laicinischen Philo- logie, Hildesheim 1976, ¢ di un breve articolo di G. Catsoul, Rhetorik und Stilistik in der griechischromischen Welt und heute, « Acta philol. Aenipontana» 4, 1979, pp. 28-33. La lingua letteraria @ alla base del latino che si insegna nelle scuo- le, Bastera rimandare a J. MAROUZEAU, Quelqucs aspects de la formation du latin lingraire, Paris 1949, Sulle fingue tecniche J. Cousin, Les langues spéciales, ¢ E. De SAINT- Denis, Des vocabulaires techniques en tarin, entrambi in AA.WV., Mémo- rial des é1udes latines, cit., rispeti. pp. 37-54 e 55-79, ed ora soprattut- to C. DE Meo, Lingue tecniche det latino, Bologna 1986? (1983!), che esamina partitamente le lingue doll'agricoltura, giuridica, sacrale, mili- tare, politica, della medicina, dell’astronomia ¢ dell'astrologia, della na- vigazione. Per le singole lingue tecniche si rinvia alle ampic note bi- bliografiche di questo volume, € limita qui a segnalare qualche complemento: E, Risch, Zur alilateinischen Gebetssprache, « Incontri lin- guistici » 5, 1979, pp. 43-53: D. Lancstow, Latin Technical Language: Synonims and Greek Words in Latin Medical Terminology, «Trans. of az CAPITOLG I the Philol. Soc.» (Oxford), 87, 1989, pp. 37-53, The Formation of’ La- tin Technical Vocabulary with Special Reference to Medicine, in AA.VV., New Studies in Latin Linguistics, cit., pp. 187-200, € The Development of Latin Medical Terminology: Some Working Hypotheses, « Proceed. of the Cambridge Philol. Soc.» N.S. 37, 1991, pp. 106-130, AAVV., Le latin médical. La constinuion d'un langage technique, Saint-Etienne 1991: A. Le BOEUFFLE, Asironomie, Asirologie, Lexique latin, Paris 1987; Ornella CasTELLAN! Powuwori, 7 pid antichi grecismi nautici in latino. , 1986, pp. 5-18; L. CALLEBAT, Langages techniques et langue comune, in AAWV., Latin vul- gaire-tatin tardif, WL, Tubingen 1990, pp. 45-56 {netia distinzione tra Tingue tecniche, relative alle arti ¢ ai mestieri iali, come quelle, ad es., della politica e dell'agricoltura; sulle relazioni ¢ opposizioni con fe forme e fe strutture della lingua comune); Carmen Coposer, Proedimientos de formacién iéxica en « lenguajes » especiales, «Voces » 2, 1991, pp. 51-61. La lingua d'uso & oggetto di un volumetto a 1uu’oggi insostituibile Lateinische Umgangssprache, Heidelberg 1951" I. trad. ital. con aggiornamenti a cura di Licinia Ri- commu, La lingua d'uso latina, Bologna 1980', 19852); da aggiungervi le osservazioni ¢ le riserve avanzate da G. Pasquat! nella recensione in « Riv. Filol. ¢ Istr. Class. » 5, 1927, pp. 244-250 (= Siravaganze quarie © supreme, Venezia 1950, pp. 77-84 = Pagine stravaganti, Il, Firenze 1968, pp. 329-335). Nell'edizione italiana I'ampia Introduzione della Ri- couilti valuta fra V'altro la validita attuale delle teorie hofmanniane. contestate da pid parti, per es. da H. Harp, Die lateinische Umgangs- sprache und die Kunstsprache des Plautus, «Glotta> 45, 1967, pp. 60- 104. Una citarione a parte va riservata, in quest'ambito, al bel lavoro in cui W. Heaacus descrive quanto rimane attestato del panticolarissi- maOGRANA 4a mo linguaggio familiare dei bimbi © delle balie, Die Sprache der romt- sehen Kinderstube, « Arch. lat. Lex.» 3, 1903, pp. 149-172 {con ag- giorn. in Kleine Schriften, Heidelberg 1937, pp. 158-180). Ni latino volgare é una scienza a sé articoli di G.B. Prout, #1 latino cosi demo volgare, « Convivium » 19, 1951, pp. 103-112 e di Christine Monnmann, Latin vulgaire, latin des Chrétiens, latin mé- diéval, Paris 1955; fra i manuali 'Awiamento allo studio del latino volgare di C. Barris, Bari 1949 ¢ Wintroduction au latin vulgaire di V. VAANANEN, Paris 1981? ((963!; trad. ital. a cura di A. Limentani, Bologna 1971'. 19812); inoltre la limpida sintesi di J. Herman, Le latin vudgaire, « Que sais-je? », Paris 19753 (1967)); un recente panorama di studi @ offerto da B. Lorstept, Ruckschau und Ausblick auf die vulgar lateinische Forschung: Quellen und Methoden, in ANRW, 11 29, 1 (1983), pp. 453-479, Sulle differenze stilistiche dei generi letterari testimonianze antiche € analisi di testi in J. Manouzeav, Pour mienx comprendre ies textes ta- tins (Essai sur la distinction des styles), « Rev. de Phil.» 45, 1921, pp. 149-193; pit e meglio in W. Kou, Die Dichtersprache, in Studien aunt Versiindnis der rémischen Literatur, Stuttgart 1924 (= Darmstadt 1964, © anche New York-London 1978), pp. 247-279; M. LEUMANN, Die lateinische Dichtersprache, » Museurn Helveticum » 4, 1947, pp. 116-139 (= Kleine Schriften, Zirich 1959, pp. 131-156): entrambi tradotti ed aggiornati (assieme a un saggio di H.H. JANSSEN) in La lingua poetica latina, a cura di A. LUNELLI, Bologna 1974!, 19883, con ricca biblio- grafia. Un discutibile manuale dei mezzi espressivi della lingua poctica latina, corredato da un‘antologia di testi, offre G. Mauracn, Enchiridion poeticum, Darmstadt 1989? (1983'; ediz. ital. a cura di D. Narbo, Bre- scia 1990). Riguarda il lessico A, Ernour, Le vocabulaire potrique. «Rev. de Phil,» 21, 1947, pp. 55-70 (= Philologica, H, Paris 1957. pp. 66-86: articolo nato come discussione detl‘ancor valide libro di B. AXELSON, Unpoetische Worier, Lund 1945). Limitato ai poeti danilici E. Beonara, De sermone dactylicorum Latinoram, «Arch. lat. Lex.» 14, 1906, pp. 317-360, 532-604. Sulla lingua della prosa cetebre E. NORDEN, Die antike Kunstprosa vom VI. Jahrhunden v. Chr. bis in die Zeit der Renaissance, voll. 2, Leipzig-Berlin 1915S? (1898'; ultima rist. Darmstadt 1983; ediz. ital. a cura di Benedetia Heinemann Campana, con una nota di aggiorna- mento di G. CaLpoul € presentazione di S, Mariomm, La prosa d’ane antica. Dal VE secolo aC. aller della Rinascenza, voll, 2. Roma “a CAPITOLO { 1986); da integrare con il pid recente A.D. LEEMAN, Orationis ratio. The Stilistic Theories and Practice of the Roman Orators, Historians and Philosophers, voll. 2, Amsterdam 1963 (trad. ital. di G.C. Giardina ¢ Rita Cuccioli Melloni con intr. di E. PASOU, Orationis ratio. Teoria ¢ Pratica stilistica degli oratori, storici e filosofi tatini, Bologna 1974); di Leeman anche, per la storiografia in particolare, Le genre ef fe siyle historique & Rome. «Rev. Et. Lat.» 33, 1955. pp. 183-208; i procedi- menti narrativi degli sterici sono minuziosamente indagati da JP. CHAUSSERIE-LAPREE, Liexpression narrative chez les historiens latins. H loire d'un style, Paris 1969. 5. Il latino medievale non & molto studiato. Gli strumenti pi re- centi sone il citato Manuel pratique de latin médiéval di D. NORBERG, con antologia commentata, ¢ la 1 parle del manuale di V. PALADINI, Maria De Marco, Lingua ¢ letterutura mediolatina, Bologna (970! 19802. Citiamo inoltre G. Cremascut, Guida allo studio del latina me- dievale, Padova 1959. Non ancora da dimenticare Die lateinische Spra- che des Mittelalters di L, Taube, in Einleitung in die lateinische Philo- logie des Mittelalters. Mimchen 1911 (= 1965), pp. 31-121. Moho stringato K. Lancoscu, Laieinisches Mittelulter. Einfahrang in Sprache und Literawr, Darmstadt 19885 (1963!: meno di trenta pagine sulla lingua); deludente per la parte Linguistica la nota Einfishrung in das Mittelatein di K. STRECKER, Berlin 1939* (1928!; tradotta in francese € in inglese). Altra bibliografia generale nella introduzione allo Stolz-De- brunner-Schmid, cit, p. XXVI s. Un oltimo panorama di studi offre la silloge curata da A. ONNERFORS, Mittellateinische Philologie, Darm- stadt 1975 (lavori di F. Buart, P. Kuorscu, E. Loesteor, F. Munari, D. Norserc). Un'agile e chiara introduzione alle problematiche della lati- nitd- medievale, quella linguistica compresa, si ha negli atti del Collo- que de Association des Professeurs de Langues Anciennes de L'Ensei- gnement Supérieur: le latin médiéval pubblicati nel « Bull. Assoc. G. Budé « 1981, pp. 354-416 (interventi di J. Fontaine, L. Hourz, Y. Lere- vre, P. BOURGAIN). Sulla stilizzazione letteraria del latino medievale quale Kultursprache della wadizione scolastica ¢ del cristianesimo v. le Pagine di Christine MOHRMANN, Die Kontinuitat des Latein vorn 6. bis zum 10. Jahrhundert, «Wiener Studien» N.F. 10, 1976, pp. 239255. Sui neclogismi nel latino medievale 0. Prunz, Mittellateinische Wortne- bildungen. Ihre Enswicklungstendenzen und ihre Triebkrifie, « Philolo- gus» 122, 1978, pp. 249-275. Sut latino medievale quale lingua chiro- UIBLIOGRAFIA 45 grafica WJ. ONG, Orality and Literacy. London-New York 1982 (ediz. ital, a cura di Rosamaria Loretelli, Oralird ¢ serinura, Bologna 1986, p. 160). Ancor meno suidiato ii latino umanistico nel suo complesso: abbi mo da citare R. Samwavint, Storia del Ciceronianismo, Torino 1886: ULE. Paoul, 4 larino degli wmanisti, in AANV.. Storia iltustrata della levreranzra italiana, 1, Milano 1942, pp. 315-328; L. Spirzer, The Pro- blem of Latin Renaissance Poetry (1955), in Romanische Literatursi- dien, Tabingen 1959, pp. 923-944 (sul piano stilistico); A. FontAn, Ed fatin de los humanistas, «Estudios Clésicos» 16, 1973, pp. 183-230 (= Humanismo Romano, Barcelona 1974, pp. 255-272); F. Biart, Die letzte Phase der tateinischen Sprache, « Arch. Latinitatis Medii Aevi » 40, 1975-76, pp. 67-75; Silvia Rizzo, # latino dell'Umanesimo, in AAW, Letteratura italiana, V, Le questioni, Torino 1986, pp. 379-408. ho studiato in Poet latiné del Quattrocento, 1 @ If, in Poeti latini (¢ neolatinij, Bologna 1975! (19867), pp. 337-377; altre osservazioni in Artologie umanistiche e Note sul testo del Marrasio, cistampate in Poeti latini (e neolatini), 11, Bolo- gna 1981, pp. 163-184, Un’interessante ¢ gustosa rassegna di impieghi, spesso insospettati, del latino dopo il 1500 € fino alle soglie del 1900 é offerta, in chiave sociolinguistica, dallo storico inglese P. Buaxe, Lin- gua, societd ¢ storia, c. I, «Hew domtine, adsunt Turcae », Roma-Bari 1990, pp. 33-61 e 96-104 (originariamente pubblicato per la corrispon- dente silloge tedesca intitolata Kiichenlaein, Berlin 1989, pp. 31-59): sono considerati il latino della Chiesa, il latino accademico ¢ il latino pragmatico. I] mio Saggio sul latina def Puscoli, Firenze 1971? (Pado- va 1961"), pone il problema del bilinguismo poetico. Altre indicazioni bibliografiche in J. lsewun, Companion to Neo-Latin Studies, Amster- dam 1977', Louvain 1990? (ma della I ediz. 2 pubblicato finora solo il primo volume, relative ai fai storico-lewerari). nl LA PRONUNZIA cae Storia della questione Il problema della pronunzia del latino non @ di oggi, ¢ nep- pure di jeri: & antico quanto le variazioni di tale pronunzia. Da Principio, fu un aspetto della lotta che la urbanitas il puro la- tino .del. centro urbano, combatté contro la rusticitas, il latino dialettale delle campagne. ¢ la peregrinitas, il latino provinciale. Cicerone dichiara espressamente che, per parlare Latine, occor- re controllare non solo la grammatica ¢ il lessico, ma anche la pronunzia (lingua et spiritus et uocis sonus est ipse moderan- dus). cvitando sia la rustica asperitas, sia la peregrina insolentia {de or. 3, 42 ss.). Un secolo dopo, Quintiliano definiva negli stessi termini la retta pronunzia del latino: (ratio pronuntiandi) emendata erit, si fuerit os... urbanum, id est in quo nulla neque musticitas neque peregrinitas resonet (11, 3, 30). Ma, alla fine del II sec. d.Cr., il Latine fogui era minacciato da un altro awver- sario, il barbare loqui (Gell. 13, 6). Anche nella pronunzia, si profila il drammatico contrasto che opporra in tutti i campi, negli ultimi secoli dell'imperc, Latinitus e burbaria. La_scomparsa di Roma come centro politico e culturale comporté la perdita di ogni paradigma, e la pronunzia del lati- po and® sempre pitt dilferenziandosi secondo le tendenze fone- tiche, dei tispettivi sostrati. Il medicevo non tentd formare tale pronunzia: sia perché gli{mancava ogni pur appoggio nella tradizione grammaticale antica (che conosce trat- 48 CAPITOLO 11 lati ortografici ma non ortofonici),?sia perché la Chiesa, che so- la avrebbe potuto, non volle oscurare ancor pid la comprensio- ne dei testi liturgici leggendoli con una pronunzia diversa dalla volgare. Selo con Jo storicismo umanistico la questione passd dal piano normativo a quello teorico. Per riformare ¢ uniformare le varie pronunzie nazionali bisognava prima stabilire quale { stata la pronunzia storica dei Lalini. La risposta degli umanisti, ben documentata sui testi antichi, fu sostanzialmente esata. Ma attuarla nella prassi, era iuu’alura cosa. Neppure la voce pitt autorevole, quella di Erasmo (autore nel 1528 di un celebre De recta Latini Graecique sermonis pronuntiatione dialogus). ci riue scl. O meglio, riusci solo, e in parte, per il greco', su cui non pesava una secolare tradizione religiosa e scolastica. Della dico- tomia fra aspetto pratico e aspetto teorico della questione ¢ or- mai ben consapevole Giusto Lipsio, quando scrive nella dedica del suo De recta pronuntiatione Latinae linguae dialogus (1586): pauct haec ad animum sive aures admittant, ef sigui, tamen hactenus, ut scire ea velirtt, non uli. La situazione di oggi non @ molto mutata. Ci sono le pro- nunzie nazionali, cosi diverse l’una dall’altra che nel @égar degli Italiani, nel sear dei Francesi, nel isgsar dei Tedeschi, nel séca. degli Inglesi si sienta a riconoscere la medesima parola, il Cag- sar dei Latipi. C’t la pronunzia ecclesiastica, che @ in fondo quella italiana: invano Pio X nel 1912 tentd di estenderla a tui- ta la Chiesa. E c’é la pronunzia « classicay (i Francesi la chia- mano « restituée »), che, grazie i della linguistica stori ca € comparata, conosciamo con pill esattezza degli umanisti. Essa & insegnata e, sia pure fra molte resistenze (in Francia si © La pronunzia_eragmiana del, greco, si_chiama perché ristabilisce i (pronunzia {uacistiea). Una pronunziaia # jo_bizanting delle prove di Erasmo (e gid di Aldo Manuzio nel 1512) fu lonomatopea con cui il poeta comico Cratino rendeva il belalo delle pecore (fr. 45 K-A): fii (suona vi in dizantino). LA PRONUNZIA ay fondd persino una Société des amis de la prononciation frangai- se du ftatin?), diffusa dalle universita. Ma laspetio teorico e quello pratico non sono necessariamente congiunti. Se non si pud studiare scientificamente, il latino. senza conoscerne la pro- nunzia_storica, che & parte della sua fonetica,.conoscerla non significa senz‘altro adotlarla. Tratteremo uno dopo T'aliro i due aspetti della questione. (2. La pronunzia « classica » Non esisie «una» pronunzia una data lingua. Al limite, esistono tante pronunzie quanti sono i parlanti. Prescindendo ovviamente dalle variazioni individuali, vi sono tre cause di dif- ferenziazione: storiche, geograliche, sogialj. Fu cosi anche per it latino antico, come eae visto nel § precedente. Occorre quindi preliminarmente dare una definizione sincronica della pronunzia «classica», che tenga conto delle tre componeati suddette, il tempo, il luoge ¢ la condizione sociale. Intemdigage ia pel I weg, w.Cr.: ¢ la pronunzia di Cesare e Cicero- Bs, che Dud. valere, con poche varianti, anche per tutto il tem- poche va da.Plauto a Tacito, e intercssa quindi la parte pit significativa della letteratura latina pagana. @@ Abbiamo vari mezzi per ricostruire la pronunzia classica con _sufficiente .approssimazione (qualche punto resta sub iudice): + ©) le testimonianze dirette dei grammatici aptichi, quando de- scrivono i suoni della loro lingua o correggono gli errori dei loro contemporanci (tali testimonianze sono perd oscurate dalla imprecisa terminologia fonetica);>2} le testimonianze indirette 2 Ma una circolare ministeriale de! 1960 ha introdotty la pronunzia + resti tuge» nell'insegnamento medio. In Italia non si sono avute prese di posizione ulficiali su CAPITOLO 1 degli antichi scrittor, quando tanno giochi di parole o usano figure di_suono, soprattutto onomatopee (purché non si dimenti- chi Vonomatopea é un'interpretazione soggettiva, e non una mimesi oggettiva de] suono)#3} le scritture fonetiche delle isc: zigni,. spesso incise da scalpeltini (o lapicidi) incolti che scrive- vano come pronunziavanow4) la trascrizione di parole latine_in greco © viceversa (nei limiti in cui ci é nota la pronunzia gre- ca);*5) i termini latini passati in epoca antica in altre lingue, specie nel germanico (col presupposto che la trasmissione sia avvenuta per via orale, ¢ non soltanto per via scritta, nel qual caso la testimonianza potrebbe valere solo per la grafia)46) i dati della. fonetica comparata. indoeuropea per il punto di par- tenza, e romanza per il punto di arrivo. Nei §§ che seguono esporremo schematicamente la pronun- zia classica solo nei punti dove diverge da quella italiana, cor- redandoli delle testimonianze pitt significant. (©3)1 dittonghi © Tutti_i_dittonghi si pronupziane comstalj; cio’, praticamen- tc, Come si scrivono, purché si badi che il, secondo. elemento. non fa_sillabg’ (« vocale asillabica », v. p. 87) € non pud_potta:. re accentg: dunque dgias, destimo, edus, préclizm '. Diamo a Cesare quel che é di Cesare, pronunziando rettamente il suo nome Cdesar: vi_sentiremo U’antenato del tedesco Kaiser, « impe- ralore », che conserva ancor oggi il dittonge? (i rapport fra Pion dunque eétus, progam (sarebbe come pronunciare catésa, Clasidieas!, Tutti i dittonghi latini suno discendenti, cio’ accentati sulla prima vocale. ‘CAe viene da_ai ben testimoniato dalle iscrizioni arsaicbe (ALDILIS & negh elogi degli Scipioni} © rimasio come grafia arcaizzante (proprio KAISAR ¢ del- Veta di Claudio) 1A PRONUNZIA I Roma e i Germani furono frequenti a partire da Cesare: anzi sotto l'impero i Germani erano numerosi nelle guardie del cor- po imperiali). L’allitterazione, eredita della lingua sacrale italica, ono pit utilizzate dalla poesia latina, roprio l’allitterazione costringe a leggere dittongato il cdenda di una clausola enniana (sc. 292 Vahl. *): caua caerula candent, «la we celeste rifulge ». La _chiusura di. era. dialettale. Capitava a un certo Caecilius, pretore urbana “fa “IL sec. a.Cr., di pronunziare ae come noi. E quella mala lingua di Lucilio, giocando sul doppio senso di urbanus: Cecilius non é un pretor urbanus, ma... nusti- cust! (1130 Marx). Anche Varrone (ling. Lat. 5,97) attesta che héedus, «il capretio», in campagna veniva pronunziato edu: cioe senza aspirazione? e senza dittongo. Non per nulla é origine rurale tutta una serie di doppioni, dove alternano forme con ¢ forme senza diltongo: faenum / enum, saepes / sépes. glaeba / gléba, caepa / cépa, etc. *. Il mediolatino elimind i dittonghi ae ¢ ce anche graficamen- te restaurazione della grafia dittongata si deve agli umani- gi ay La_ipsiton 0 i greca, come dice il suo nome, ¢ una leniera _greca, che indica un suono estraneo al latino e fu aggjunta alla “Mp S55. * Anche il diuongo uu tendeva a chiuderst un nel tatine _custicg. il che provocd una..serie di doppioni latini (caupo, «oste »/copa, + ostessa», aula = pentola» (efr. Aulularia]/ alla, Claudins /Clodius) e ialians i Uaai, di cui il primo di tradizione dotta ¢ il secon a/cosa, Mauro / Moro, rauco/ reo, aureo foro, etc.) V infra, pp 10. 130. 0 Ze 133s. 52 CAPITOLO I fine dell’alfabeto latino, dopo la X!, solo nel I sec. a.Cr., per tascrivere i nomi greci. Prima, essa era wascrina con la lette- ga. @ come mosirano i pit anti grecismi (guberno << xv. Beovis, etc.). Il titolo della commedia di Plauto era Ampitruo di fronte alla forma classica, fedelmente traslitterata dal greco, Amphitryon ?. La(Q)sugna ovwiamente come in greca (ionico-attico), @ cive come I'u francese o lombardo. Lyra va pronunziata esattamente come diga. Ma tale pronunzia era dotta. La pronunzia popolare oscilid. sempre tra(e(@ ¢ tale oscillazione si riflette negli esiti romanzi: gyrus > gires > giro, crypia > cnipia > grotia>. Tuttavia la pronunzia i dovette essere pit diffusa e penetrd an- che nel tardo insegnamento grammaticale: ne ¢ prova il nome stesso di i Graeca. Tl « sonus medius » Cosi Quintiliano, in un passo d’incerta lezione (1, 4, 8), denomina un medius... guidam u et é litterae sonus, «un suono intermedio fra la ue la im: troviamo infatti resa_con un'oscillazione grafica trau ¢ i una_vocale breve, sia_tonica sia, soprattutto, atona, dinanzi a labiale in tithes { Uibet, optimus / optinuss, campiifes (camifex, etc. La grafia pit an- ticg-eray: fu_Fanalogista Cesare, come c’informa Quintiliano (I, 7, 21), a generalizzare.Ja.j, ma la u rimase come segno di arcaismo. Sul- la reale pronunzia di questo fonema variano tuttora le opinioni: la pid probabile ci sembra quella di chi lo considera una vocale indistinta, che nei proparossitoni poteva preludere alla sincope, clr. regimen / tegi- men { tegmen. whe sey leas he wede | Lialfabeto latino quale si fiseb itorno aj I sec. aCr., consta di 23 lettere cosi denominate: a be ce (leggi ke) de e ef ge (loggi yhe) ha § ka ef em eno pe qu er es te u ix hy zeta. Su tali denominazioni si veda il mio citato lavoro su 4% Lialfabeta ¢ ta pronunzia def latino, pp. 22-24 « 27, 1 ph rosa con la semplice pv. p. $7. * Criptu & Valiotropo dotio. LA PRONUNZIA, 33 Ga U semivocale (v) Noi distinguiamo trai @) da estan | be ile Saf invece, ugavang.u della pe ean scriverano. quia VIVO, VNVS, uno, 7 I segni Y ¢ yentrarono nell'uso solo con_gli umanisti, segnatamente a opera di Pierre de La Ramée (Peisus Ramus, 1515-1572), da cui presero il nome di « letlere famiste »' (ma Galileo conosceva ancora un alfabeto di « venti caratteruzzi», quindi senza la v). i_Latini non avevano il segno della_u_quasi_certam: iche..il_suono (fricativa labiodentale so- classica la di yiyo si_distingueva dalla wedi yous in_quanto questa é_una_yosale, come nell‘italiano uno, quella una semivocale come nell‘italiang 20vo) (oma) (che difatti_ sono on trisillabi, non potendo_una semivoca- Je_costituire sillaba)2, nel francese oui (u), nelinglese well (él). etc. Abbiamo due ordini di_prove: la trascrizione in greco mediante ov, costante in epoca. repubblicana (Polibio, per es., ha Oiadéqug da Valerius, Ovevovoia da Vendsa); paronomasie ¢ onomatopee. Tra le prime si suole citare il grido di un vendito- YPPOROM A Qleamsaaho oy patel dd squhette | thavte La patrace Oa prova della seriorita della v2 i suo stesso nome, oscillante tra vi © vu (quest‘ultimo oggi tende a prevalere per opera della TV); il Ramus Ja chiamava grecamente va, Secondo il criterio di denominazione delle letiere dell'allabeto, lav, in quanto continua, dovrebbe chiamarsi eve (clr. effe, elle, esse, etc. ri- Spat. dal latina ef, ef, es. v. p. 32, n. 1), Lialtra letiera ramisia Adi cu Latini ignoravano it segno. pur conoscendone il valore fonetico di ¢ semivocale: jaces (> ital. giaccio) t trisiltabo Ga-ce-o), iam (> ital. gia) monosillabo (jan), @ in metrica Ia loro i non entra in sinalefe. V. la nota seguente. ®.Gia Nigidio Figulo ammoniva di non considerare vocali la Ve la I rispet- tivamente di Valerius e iocus: hae fitterae, cum praceunt, ne uocales quidem seat (Ir, 53 Swob,, ap. Gell, 19, 14, 6). ¥. p. 134 ss. + Se Sea e [9 GS 54 CAPITOLO 1 te ambulante. Cauneas, « (vendo) fichi di Cauno », interpretato come un monito a Crasso che stava imbarcandosi per la sua disastrosa spedizione partica (Cic. diu. 2, 84): caue ne eas — € universale, che @ alla base di 4 Jebre romanzo di Pasternak, i! dottor Zivago: 4ué ué. pigolavano i piccoli»). Il termine latino non ha dun- que perduto, come il corrispondente italiano, la sua evidenza mimetica, e lo conferma Varrone (ani. div. fr. 107 Card. ap. Gell. 16, 17, 2): «i bambini appena nati emettono come prima voce la prima sillaba della parola Vuticanus, e percid si dice uagire, una parola che rende il suono della > Gualche difficolta pud presentare la pronunzia del gruppo uu di uiuus, seruus, uulgus, uiuunt, uoluunt, eic. Ma_questa Btafia ¢ postclassica, € Quintiliane (1, 7, 26) aftesta che i suoi aesiri, insegnavano ancora a scrivere seruos, uolgus, uinont, etc., che era la grafia_classica. dacumentata anche dalle igcri- zioni. La pronunzia classica era dunque col primo elemento_se- 0, D)(uivwos. wolgus, seruas, uiyont, woliont), che fino al primo’ secolo dell'impero impedi alla 3/seguente di chiudersi in, (come era avvenuto quando non precedeva u, clr. filius < fi- ‘lios, iremunt < tremonti)S, © Dal [ sec. d.Cr. 4 pare evolversi verse un suono fricative bilabiale sonoro, 6, donde le trascrizioni greche con B (Népfa, 1G 1X 1, 200) & lo scambio epigrafico tra V e B (POTABI per POTAVI. CE 1499). eget uaghire ev. p. 0 > “W. Henagus, Kleine Schrifien, cw. p. 178 ha segnalato in Petronic (63. 8) 4 termine uanaténem, «bambino che dice ua wa» “VY pp. 62s. ¢ 151. n 16 LA PRONUNZIA SS @> Perché si dice «non valere un'acca»? Perché 4, in italiano, @ una lettera muta. Questa tendenza a eliminare laspirazione {di cui h @ il segno) risale gia al latino, ma vi fu contrastata dalla lingua colta e dalla scuola. La storia di questo contrasto ha un interesse non meno sociologico che fonetico. Distinguiamo, intanto, tre specie di aspirazione. ‘aspirazione I. Aspirazione vocalica iniziale: homo, habeo, etc. Si conscr- ¥8 nel latino «urbano», anche per influsso dello spirito aspro “greco', e non ne mancano prove. Cicerone riporta la frecciaia di un oratore contro un awersario male olens (de or. 2, 249). uideo me a te circumuentiri. Si pronunzi l'ultima parola alla fio- rentina, aspirando la c iniziale, ¢ si sentira nel primo elemento del composto l’accusativo di hircus, « caprone ». Varrone attesta Vaspirazione espressiva di hinnitus, «nitrito» (fr. 265, 130, p. 282 Fun), Festo quella di hefluo, «ghiottone » (88 Linds.). Nel IV sec. &Cr. il grammatico Mario Vittorino ne prescrive una pronunzia certo un po’ caricata, forse per reazione contro la deaspirazione popolare: profundo spirit, anhelis faucibus, explo- so ore fundarur (V1 34 K.); e a quesia prescrizione scolastica allude ironicamente S. Agostino nelle Confessioni (1, 29): era pit) importante pronunziare bene homo con Iaspirazione secon- do la legge della grammatica che amare |’uomo secondo la leg- ge di Dio. ‘Nel latino rustico l'aspirazione iniziale si perse per tempo? (in una parola di carattere rustico come anser, «oca», si pud ricostruire solo mediante fa comparazione con altre lingue in- "BL segno dello spirito aspro, . deriva dalla meta sinistra (1) della leaera H, usata come segno di aspisazione negli alfabeti greci occidemtali: cfr. H. PeR- Nor, D'Homere 4 nos jours. Paris 1921, p. 73. 7 Si ricordi la testimonianza di Varrone sulla deaspirazione rustica di hae. dus (vp. SI, 56 CAPITOLO 1 doeuropee). Capitava che chi volesse parlar fino, aspirasse a sproposito — facesse cioe degli « ipercorretiismi » —, come og- gi_un venete che, abituato nel suo dialetto a non avere conso- nanti doppie, le mettesse in italiano anche dove non ci sono. E quello che ci dice Nigidio Figulo, contemporaneo di Cicerone: rusticus fit sermo, si adspires perpéram (fr. 39 Swob.), ed & quello che troviamo in grafie epigraliche: ORATIA per HORA- TIA (CIL FP 1124, di cpoca repubblicana), ¢ inversamente HI- RE per IRE (CIL IV 1227, a Pompei). Ne risullé una serie di doppioni gralici in parole della lingua agricola (holus / olus, arena / arena, hedera / edera, harurdo | arundo). Il. Aspirazione vocalica interna’ (per lo pid intervocalica): mihi, nihil, etc. Era gia muta in epoca preletterai non aven- do impedito né la contrazione (nemo < “ne-hemo, «non un uomo »3: praebeo < * prai-habeo), né il rotacismo (diribeo < *dis-habeo esattamente come dirimo < *dis-emo, v. p. 136 5.). La pronunzia corrente di mihi e nihil fu certo in tutte le epo- che mie nil. L'h rimase come segno grafico, o per ragioni eti- mologiche nei composti (in-himanus, ex-halare), 0 per separare le sillabe (co-hors. tra-ho, ue-ho, a-hénus *, pre-hendo: ma la for- ™a contratta prevalse nel derivato prenso e nei composti de- prendo, reprendo®, cfr. Vitaliano prendo). Dunque nella pronunzia classica laspirazione vocalica inter- na, a differenza di quella iniziale, non si fa sentire, La grafia e la relativa pronunzia miciti iichif sono tardo-antiche e medieva- * Homo & da themo 0, come si vuole da altri, ¢ due termini costituiscono un‘aernanza antica, * Si ha ahénus rispetto ad ces perché la caduta di s in *aes-nos ha allunga- to per cumpenso la vocale precedente, distruggendo il diuongo. E corrente an- che la grafia aénes, * Quintitiano lasciava ta scelta ira deprehendere, vohuto dalla ratio o analogia, € deprendere, voluto dalla consuerudo 0 uso linguistico (9, 4, 59). (A PRONUNZIA 37 lie sembrano nale da un ipercorrettismo scolastice. Oggi so- pravvivono in qualche seminario °. Ill. Aspirazione consonantica: ch, th, ph’. Era _originaria- mente estranea al latino, e fu introdotta nella Hf meta del ID ‘sec. a.Cr._(il primo esempio & forse da vedersi in ACHAIA ai CIL TF? 626, Degrassi 122, che potrebbe risalire al 142)*, per tendere con pitt fedclta le aspirate greche (x 9), che ameter, ‘mente cfano state trascritte con Ie rispeliive. temui lating (c 1 ‘p): nell'epigrafe citata accanio ad ACHAIA si legge CORINTOS (Kégevitog), e nel senatusconsuliemt sui Baccanali del 186 a.Cr. Baxyn @ twascritto con baca. Poi tali grafie vennero ammoderna- te con l’aggiunia dell’h, ma la tenue si conservd in parole or- mai consacrate dall’uso, come Poeni di fronte a Phoenices, pur- pura < noggiga di fronte all'antroponimo Porphyrion, « Porli- rione »”, il diminutive ampulla < *ampor(aNa di frome ad amphora (da éupogets). In conclusione, ta presenza di un'aspi- rata in latino @ indizio di un grecismo, vero presunto ', * E nei termini dotti annichitire, nichitismo, 7 Si aggiunge rh, usata, dal I sec. a.Cr., per uascrivere il Q- aspirato inizia- le greco, per es. birwg > rhetor (mediolatina & ta metatesi dell'aspiracione in rethor). * Si watta di un'iscrizione per un tempio dedicato a Ercole da L. Mummio, conguistatore di Corinto: diversi autori rivengono possa wratiarsi di grafia am- modernata, eseguila in occasione di una ristruturazione det tempio. Per esempi assolutamente sicuri di aspirazione consonantica bisogna scendere agli ulimi anni del secola: sulla questione v. JL. MORALEIO, Notacién de la aspiracién con- sondnica en ef latin de ta repiiblica, Bologna (968, in part. p. 30 ss. * Nella conservazione della sevonda p di purpura avré senza dubbio inftuito fa geminazione espressiva (pur-pur), che allineava la parola a munnur, turtur, furfur, ec.. 1© Moki vocaboli tatini furono corredati di un’h in seguito ad accostamenti pseudaetimologici con vocaboli greci, per es. pulcher (mokizgous, « multicolo- Fer), fethum Osim, «oblio +), etc. Un fauo simile avvenne con lay: sya (hy, «materia »), styles (ovdo¢. « colonna +), donde franc. ¢ ingl. style: la loro cor- retta grafia & sila e stifus. sk CAPITOLO IL Noi pronunziamo queste aspirate modo incoerente: ch co- me k, th come t, ph come f. Teoricamente, esse andrebbero pronunziate come le corrispondenti greche, cioé come tenui se- guite da aspirazione: k-h (k-harta, k-himaera), t-h (-hesis), p-h (p-hilosop-hus). Praticamente, ammetto che non sia facile pro- sunziare T-heop-hrastus 0 P-haet-hon '!. Si faccia particolare at- tenzione alla differenza trawh, muta labiale aspirata, ed {, con- tinua fricativa labiodentale. Appunto perché labiale, ph & prece- duta dalla nasale bilabiale m: triumphus; invece la [ @ preceduta dalla nasale dentale #: trionfo. Noi in realta scrivia- mo friumphus, ma pronunziamo triunfus. La diversita dei due fonemi 2 bene attestata anche da due aneddoti: un 1cstimone greco fu deriso da Cicerone perché non sapeva pronunziare la prima lettera di Fundanius (Quint. 1, 4, 14), € inversamente un avvocalo. per far riconoscere a un romano campagnolo il nome greco Amphion, dovette togliere Uaspirazione (Quint. 12, 10, 57). Ma in epoca imperiale, in seguite all'evoluzione di y in. fricativa, i due suoni si avvicinarono, e gia iscrizioni pompeia- ne trascrivono @ con f invece che con ph, Nella storia dell’aspirazione latina — ancor pit che in quella dei dittonghi — si possono quindi individuare due correnti: una doua che conservava l’aspirazione vocalica iniziale ¢ consonan- tica, € una popolare che l'eliminava o l'usava a sproposito Facciamo seguire tre documenti letterari di questa storia. Catullo, c. 84: « Quando voleva dire commoda, Arvio'? pronunziava chommoda, ¢ hinsidiae per insidiae, © si illudeva di avere una pronun- 4ia chic quando aspirava a tutta forza hinsidiae... Partito costui per la Siria, fu un sollievo generale per le orecchie..., quand'ecco giunge una notizia agghiacciante, che i fluti fonif, all'arrivo di Arrio. non sono pid fonii, ma Hionit ». “* Praticamenie impronunziabile la doppia aspiravione: i gruppi yt ¢ xb era: ‘oy semplificati fanche se non sempre graficamente) In pth ¢ crh (tia: Prhiv, Eguxtinog: Ericihonius). "? Personaggio non bene identificato, probabilmente di umili origini. LA PRONUNZIA sy 160: «Sapendo che i nostri padri usavano solo l'aspi- pronunziavo pulcri, Cetégi, triumpi, Kartago; ma alli- ne, in seguiio alle proteste dell’orecchio, mi arresi all'uso linguistic della gente, riservando per me la conoscenza scientifica. Pronunziavo tultavia Orciuii e Matones, Ofones, Caepiones, sepulcra, coronae, lacri- mae, perché lorecchio ce lo consente ». Qi iano, 1, 5, 20: «Il criterio ha variato col tempo. Gli antichs usavano pochissimo laspirazione anche nelle vocali, dal momento che pronunziavano aedi c irci invece di huedi e hirci, termini rurali). Poi per un pezzo si osservd la regola di non aspirare le consonanti, per es. in Gracci ¢ triumpi. Per breve tempo dilagd un uso esagerato del Vaspirazione, di cui restano trace epigrafiche in choronae, chemturio: ‘nes, praechones: vi allude un noto epigramma di Catullo [il ¢. 84]. Da quel tempo sono rimasti uehemenier. comprehendere. mili » 8@) Ti davanti a vocale ‘i ita. ciot senza assibilazione. Sino al I sec. d.Cr. non si ha traccia che la suonasse diversamente in sentio e in sentis, in Latium e¢ in lateo, in gratia' e in gra- tus. Anzi, Polibio trascrive Terentius con Tegévmos, e Dionisio di Alicarnasso, all'epoca di Augusto, Martius con Mégnos. La prima testimonianza epigralica dell‘assibilazione & del. 140.d.Cr: CRESCENTSIAN(us) (CIL XIV 246). Era avvenuto che la é, venuta da vocale (gra-ti-a trisillabo) semivocale in iato (gra-tia bisillabo), aveva intaccato la dentale precedente. Quando nel |: tino tardo e medievale anche ci davanti a vocale si assibild, i _due_segni si confusero, dando luogo a doppioni omofoni come Pronuntiatio / pronunciatio, antenati degli allétropi italiani pro- nunzia € pronuncia. ' Ma cfr. gras, che @ propriamente ‘ablative plurale gratis contraity p. 98). 0 ‘CAPITOLO I § 9. Le velari davanti a vocale palatale (e/ i) E il punto di maggior distanza tra la nostra pronunzia e la classica. Eppure di poche norme siamo piil sicuri: ¢ e g suoma- vano sempre «dure», anche davanti a ¢ e #4. Dunque kikero e non didero, genus (come nel greco yévos, nell'italiano ghetto ¢ nel tedesco gehen) ¢ non genus. Le testimonianze si affollano. Cicirrus era il soprannome onomatopeico di un buffene osco dalla voce stridula, incontrato da Orazio nel suo viaggio a Brindisi (sat. 1, 5, 52 ss.). Siccome sappiamo che nella grecita italica ximgoog significava « galletto» (Esichio 2, 481), dobbia- mo pronunziare kikirrus: altrimenti sarebbe come se dicessimo che il gallo fa ciccirici. Del resto lomofonia di ¢ ¢ k @ docu- mentata dai frequenti scambi epigrafici delle due lettere: DE: KEM(bris) (CIL 1? 1038), MARKELLINO (CIL V 3655)”. I La- tini trascrivevano con ¢ il x greco, per es. cerx < xépu§ in Seneca (rang. an. 4, 5), i Greci, a loro volta, con x il ¢_ lati- no, per ¢s. xigxog < circus in Polibio, Kixéguw < Cicero, ud- xeMov < macellum in S. Paolo, etc. Se vi avessero sentito una ¢ palatale, l'avrebbero trascritto con 16, come faranno pitt tardi i Bizantini (nel VI sec. in Procopio Muciani castellum diventa Movikiavindotedov, con diverso segno per ¢ ormai palatalizzata davanti a fe per c velare davanti ad a). Anche i prestiti latini nelle altre lingue fanno la spia. Per li- mitarci al germanico, Keller, «cantina» e¢ Zelle, «cella» risal- gono rispettivamente a cellarium e a cella: ma la prima parola fu importata in epoca impcriale dai coltivatori che la pronun- ziavano con la velare, kellarium, la seconda dai monaci cristia- ni che la pronunziavano ormai come noi. La velare sonora g era piti rara della sorda c: percié le te- stimonianze sono pili scarse. Ma l'equivalenza col y greco é at- ' B cost anche in sc seguito da voeale pelatale {v. p. 89). * E nella iscrizione bilingue di Vercelli, scoperta asc! 1960. al celtico Akisios risponde il latine Acisius: v. Maria Grazia TIBILETH, La riuova iscrizione epicorica di Vercelli, « Rend. Acc. Lincei», cl. mor. S. VII, V. 00, 1976, pp. 355-376. LA PRONUNZIA 61 testata, per es., dalla trascrizione fegio/Aeyuiw nel Nuovo Testa- mento e dall'omofonia dei due imperativi dege /Aéye affermata da S. Agostino (docir, Christ. 2, 24, 37). Quando awvenne la palatalizzazione delle velari? Non si pud dare una risposta univoca, che non tenga conto delle differenti condizioni fonetiche, geografiche e sociali. Il dalmata S. Girola- mo, tra il IV e il V secolo, sembra conoscesse solo il suono “Velare 5; ma nello stesso periodo la paronomasia sale/solo/caelo ‘del gallo Ausonio (epigr. 52 Peip.) fa pensare che caelum fosse _Bronunziato selugt, cioé non solo palatalizzato come nell'italiano cielo, ma gia assibilaio come nel francese ciel. Invece in un'a- rea isolata della Romania, in Sardegna, la velare si 2 conserva- ta fino ad oggi, per es. nel logudorese kentu < centum4 e nel nuorese fakere. § 10.'1l gruppo gu * Se la_g aveva sempre un suono velare, ne consegue che il “gruppo gn non poteva classicamente essere pronunziato come in italiano, con la cosiddewa_schiacciata (#), cfr. agnello, ma “come velare_tnasale (n), come nel tedesco Wagner. Dunque “agnus suonava agnus ¢ non afius, gigno gigno (clr. yeyvopal) € non ito, ignosco ignosco (cfr. yi-yvious) e non ifosco. * Altrimenti non avrcbbe detio che & in latino & una lettera superflua, ma Tavrebbe usata per trascrivere il kof cbraico (greco kappa), cfr. Lib. ini. Hebr. nom., p. 137 Adriaen. * Proprio il termine latino centum (u scelto a simboleggiare quelle lingue in- doeuropec, prevalentemente occidentali (greco, latino, italico, germanico, celtic, inita © tocario) che hanno solo la velare. 2 CAPITOLO U1 Ci® pud bastare per I'applicazione pratica. Sul piano della teoria, ¢ pitt prababile, per ragioni che ho discusso altrove '. che nel gruppo gn la g, assimilandosi alla n seguente, suonasse come una nasale velare 8), cioe come la prima y di ayyehosg ¢ lan di ungults © di angolo. In tal caso la pronunzia di agnus, artnus, si avvicinerebbe pid a quella di anmus, «anno» (ma con un'inflessione velare della prima m) che a quella di agnetto. Si discute anche se in gn- iniziale (per es. gnatus, Gnaeus) la g si tacesse sentire — sempre dural — o fosse caduta nella pronunsia, so- prawivendo solo nella grafia (come il k dell’inglese know), sffn Il gruppo quu La Jabiovelare sorda qu (K) non pone problemi di pronun- zia agli Naliani (quaruor come quatiro, gui come gui), wranne che davanti a uw: equus, sequuniur, etc. Noi pronunziamo ecuus, secuuntur, con due “, ma a torto. Sembra che classicamente coesistessero due grafie e_rispeitive pronunzie: una, fonelica e abe viduceva la labiovelare qu alla velare pura c di- nservando inello slesso tempo anche la 6 origi- equontur (ricorda il caso analogo di seruos, ‘uiwont al § 6). La prima aveva il vantaggio di allineare la desi- nenza con quella degii altri nominativi singolari_maschili della Il_declinazione (ecus come filius, dominus) e delle altre terze_ “persone plurali_mediopassive (secumiur come feguniur, moriun- tur); la_seconda ayeva il vantaggio di mantenere l'unit®-fonetica del_paradigma, mantenendovi ovunque la labiovelare (equos co- Lalfabeto © la pronunzia det latino, cit., pp. 5961 v 72 (alle testimoniante qui citate sulla presenza della nasafe velare nei dialewi italiani si aggiunga F. Coco, Hi dialetto di Bologna. Bologna 1970, p. 61 ss. 1A PRONUNZIA 63 me eqiti, equé, etc.: sequontur come sequimur, sequimini, etc.) ! Nel 1 sec. dell'impero si giunse a un compromesso fra le due analogie con le forme equus, sequuntur. Ma fo un compromes- so meramenie grafico: la pronunzia era con una sola u 4ecus. Secuntur), secondo l'inequivocabile testimonianza di Velio Longo (VII 58 s. K.: «Si fa questione se equus si debba scrivere con una # o con due... All'orecchio bastava che si scrivesse con una sola u [cioé ecus}, ma l'analogia [delle altre forme] ne ri- chiede due ». Riepilogando, si legga equos, sequontur se cosi si trova scrit- tw; se imvece si trova scritio equus, sequuntur, che 2 la grafia pid diffusa, si legga ecus, securtur. 8(12) -& intervocalica ° B sempre sorda, come s- iniziale: (rosa come sacer), mentre Vitaliano settentrionale la pronunzia come sonora (roca). Rosa dunque in latino suonava come oggi in siciliano, con la mede- sima s di sacro e di Carso. Non che il latino non possedesse _l-s- intervocalica sonora: ma questa entro il IV sec. a.Cr. si ro- “iacizzd, ciod passd a_-r, come vedremo meglio a p. 136 s., ebbe quindi aurora < * ausesa (ma rimase la s nell'et Ausoni, «gli uomini dell'est »), cineris < "cinisis' (ma rimase "1 pronome relative mantenne 1a labiovclare nel genitive quows © nel dani- +o quvi sino alla gioventis di Quiniiliano (cfr. 1. 7, 27), poi prevalse la forma fonetica cuius € cui. Aleuni derivali © compostt generalizrarono Ia c, come ecu: iminutive di equus. ¢ sccundus < * sequondos. «che se- gue», antico gerundivo di sequor (v. p. 152), altri escillarono, come coitidies quottidie (v. p. 205). Quom, « quando » (radive di qui). per tut epoca class ca si diflerenziava da cum < ‘kom. «con: solo in eta imperiale le dur particelle si confuscro anche graficamente (la grafia quum non é anteriore al W sec. d.Crp. "UW passaggio di -i a ¢- & dovuto ar, v. p. 122 ot CAPITOLO I la s non intervocalica del nominativo ciris)?, anta-re < * ama- se (ma es-se}?, etc. Restarono solo -s- intervocaliche sorde:_i parole di origine non indoeuropea (rosa, asinus, mediterranee), partire dal I sec. a.Cr.), 0 dove la -s- deriva dalla semplific: zione di una doppia -ss- (causa, casits, sino alt'eta di Augusto scritte cassa_e cassus), 0 dove il rotacismo non aveva avute luogo per dissimilazione con una r (miser, Caesar), 0 nei com- posti (de-sipio, de-sino)*, etc. $13) Il gruppo ns E preletieraria la tendenza del latino a eliminare la n da- Yanti alla s, allungando per.compenso la vocale precedente: fs- pos < *lupons < *lupo-m-s (cioé tema lupo + desinenza del- Vaccusativo + desinenza del plurale, v. p. 155). Questa tenden- za_continua ad agire nella pronunzia classica anche in contra- sto con la gralia, riducendo fa n davanti alla s nelle sillabe ra dicali Gnensis, sponsa, etc.) a una debole appendice nasale della ~xocale_ precedente, che si allungg: mé"sis, spdtsa, clr. ital. mese, sposa' e le grafie fonetiche delle iscrizioni MESES (CIL IX 4032), SPOSA (CIL VI 10013). Per questo la sigla di consul @ €0$> (plurale COSS.), ¢ la pronunzia cé"sules & confermata da Quintiliano: consules exempta n litera legimus (17, 29). Velio Longo (VII 78 s. K.) informa che Cicerone preferiva la pronun- 2 In altri nominativi della terza declinavione I'-s originaria si muta in -r per analogia dei casi obliqui, cfr. honos/ Honor, robus {robur, etv. tv. p. 137). Vv. p. 169. 4 Ma v. diribeo < ‘dis-habeo, dirimo < *dis-emo, dove tultavia la -s- ap- paricneva al preverbio ¢ non al verbo. " E da Consentia si ha Cosenza. (A PRONUNZIA 05 aia hortésia (hortensia sono gli ortaggi), e l’'antroponime omofo- no Hortensia si trova elfettivamente trascritto ‘Opmota in gre- co?, Per ipercorrettismo, la era aggiunta davanti alla s anche dove in origine non. era, per es. in formonsus (da forma, come famosus da fama) e nel grecismo thensaurus rispetto a tyoav- 8s, Ho parlato sopra di sillabe radicali. Se la caduta delta nasa- le continuasse ad operare anche in sillaba finale, é controversq, Da_una_parte abbiamo Varrone. per il quale Gos-(cfr. com-pos, « padrone »),€ pond erano omofoni (ling. Lat. 5, 4), ¢ la serie di doppioni praegnans (-antis)/praegnds (-dtis), quotiens / quotiés, etc; dall’altra, l'analogia dei casi obliqui dentis, amantis, etc. restaurava la 7 nel nominativo dens, amans, eic.>, nella grafia ¢ verisimilmente nella pronunzia. Forse partendo da questi casi la pronunzia «grafica» ns si 2 generalizzata nell’insegnamento scolastico del latino, mentre la fonetica romanza procedeva do- vunque a ridurre ns a s: per es: franc. trés < trans, sicil. trasi- re, «entrare» < transire, etc. Abbiamo dunque nella pronunzia del gruppo ns un’'insolita divergenza tra pronunzia scolastica del latino ed esito romanzo, che in genere coincidono. + PASAE per PANSAE @ in un‘iscrizione del 43 a.Cr. (CLL VI 37077, 421 Degrassi). 3 Un meceanismo analogica simile scatiava nei campesti, preservando la #t delle particella i-sanus, con-sido, ete 66 CAPITOLO IL 3 @ Tavola riassuntiva Riassumiamo in una tabella sinottica le conclusioni raggiunte: GRAFIA SCOLASTICA | PRONUNZIA CLASSICA. | PRONUNZ! ae © oe e y i v v vu vw he muta che muta ch k th L ph f ti + vocale a ce, Ci te, ci Be, Bi Be, Bi -gn- ii gn fi qua kuu s ¢ -ns- 8 ns ns | ns (s?) ns S15 L'aspetto pratico della questione: pronunzia italiana o pronunzia classica? Nei §§ precedenti abbiamo ricostruito la pronunzia classica. Ma non illudiamoci: per esatta che sia scientificamente questa ricostruzione, avremo ricostruito solo I'anatomia e non la fisio- logia di quella pronunzia. Perché essa sia viva mancano troppi VA PRONUNZIA 67 elementi, che ci sfuggiranno sempre: prima di tutto l’aecento; anima uocis (v. p. 75 ¢ n. 1), sulla cui natura probabilmente musicale (come in svedese) si veda il cap. IJ; poi la quantita yocalica, che ha rilevante funzione semantica (distinguendo, per es., luis da léuis, uénit da uénit, réfert da réfert) € metrica, co- me fondamento del ritmo, mentre a noi manca (né si porti I’ sempio italiano di fate /fatio, perché tale opposizione non é di- stintiva, essendo la distinzione per i) nostro senso linguistico af- fidata alla differenza della quantité consonantica, ¢/ti). Di contro, la pronunzia italiana ha sulficiente legittimita e conti- nuita storica, risalendo all’alto medioevo, ¢ fu veicolo di un al- tro grande ciclo culturale. Cicero fu pronunziato come noi dal Petrarca e dal Pascoli; kikero solo il simbolo di una pronun- zia la cui realté ci sfugge per sempre. Non corriamo il rischio di sostituire un dato autenticamente storico, sia pure anacroni- stico, con una sia pur verisimile astrazione? Riascoltiamo la le- zione di Renato Serra, valida anche per i Latini: «La poesia det Greci noi non la possediamo pit. Le parole scritte sono un simbolo. Noi non le leggiamo come loro, non poniamo laccen- to della nostra voce e l’enfasi del nostro spirito 1a dove essi la ponevano. Dove? » '. A queste perplessita se ne aggiungono altre, a sconsigliare Yapplicazione scolastica (a livello medio, s'intende) della pro- nunzia classica. Anche se si sorvola sui punti ancora incerti o malcerti, che non sono molti, essa richiede abitudini fonetiche contrastanti con le nostre, come nel caso delle aspirate; e so- prattutio postuta la riforma della nostra ortografia latina. Sareb- be illogico scrivere vivo, equus e pronunziare uiuo, equos. Do- vremmo quindi coerentemente adottare l'ortografia antica, come avviene, ¢ non sempre, nelle edizioni critiche. Ma poi come leggeremo il latino del tardo impero, quello della liturgia catto- lica, quello degli umanisti? Qui la pronunzia classica sarebbe ' Sul modo di leggere i Greci. in Seriti, I. Firenze 1958%, p. 469. 68 CAPITOLO tt tanto astorica quanto la pronunzia italiana del latino classico. Occorrerebbe dunque introdurre nella prassi scolastica una fa- stidiosa dicotomia, imbarazzante specie quando si debbano con- frontare testi antichi ¢ testi medievali o umanistici. Per noi, la soluzione pratica sta in un compromesso. Conti- nuare a usare nella scuola la pronunzia italiana; ma conoscere e far conoscere ai ragazzi — sempre curiosi, come prova l’e- sperienza, di ogni prospettiva storica — gli elementi della pro- Qunzia classica: perché si rendano conto, quando é il caso. dei giochi fonici della retorica antica, e perché non cadano dalle nuvole nei rapporti con i loro colleghi europei ?. Non si tratta d'insegnare una specie di doppia verita?, ma di far capire che la verité si muove, perché @ storia *. + «Sento con raccapriecio pronunciare cee © vognascere come li direbbe un tedesco, e mi ribello » (« Epocas, 31, 1, 1954). > Clr. G. Pasouat!, La pronuncie def latino. (V. Bibliografia: p. 615 = 256 = 186 = 146), + E proprio nella pronunzia moderna, anzi nelle varie pronunzie nazionali, she sono il prodotto di un'ininterrotta evoluzione, viene individuato {+ ultimo residuo di vitalitd + def latino da W. Be.armi, 1! farino oggi. Lingua viva o lin gua morta?, in Linguistica generale, filologia ¢ critica dellespressione, Roma 1990, p. 244. BIBLIOGRAFIA Questo capitolo sfronda e condensa il mio libro L'alfabeto ¢ fa pro- nunzia del latino, Bologna 1973* (1957'), Ad esso rimando per un'ana- lisi pid minuziosa delle singole questioni, qui integraia per il periodo pid) recente. Per tutia Ja materia tratiata citiamo in apertura l'ampio ¢ aggiornato repertorio di L. Sremz, Bibliographie zur Aussprache des La- tein, Saarbriicken 1987. 1. Uno dei pit autorevoli campioni della pronunzia classica stato J. Marouzeau col suo brillante ¢ fortunate volumetto La prononciation du latin (Histoire, théorie, pratique), Paris 195S* (19311), cui si agetun- gano Récréations latines, Paris 1940, pp. 31-36, ¢ Iittroduction aw la- tin, cit. pp. 14-26. L'Htalia non ha molto sentito il problema. Nel biennio 1929-30, in pieno clima nazionalistico, mossero le acque due articoli di G, PASQUALI, Latino francese, latino italiano ¢ latino fatino, «Pégaso» 1, 1929, pp. 733-738 e La pronuncia def tatino, ibid. 2, 1930, pp. 611-615 (= Pagine stravaganti di un filologo, Lanciano 1933, pp. 235-256 = Vecchie e nuove pagine stravaganti, Firenze 1952, pp. 170-186 = Pagine siravaganti, 1, Firenze 1968, pp. 134-146). Le discussioni si sono infittite particolarmente negli anni sessanta, ma Vinteresse per la questione andato in seguito via via spegnendosi: v. la bibliografia del § 15. 2. I testo di base per la pronunzia del latino resta E. SEELMANN, Die Aussprache des Lateins nach physiologisch-historischen Grundsatzen, Heilbronn 85. Da allora si sono moltiplicaté i lavori sia scientifici sia divulgativi, in tutte le lingue. Per il francese abbiamo gia citato, fra i tanti, i] Marouzeau; per il tedesco citiamo M, SCHLOSSAREK, Die richtige Aussprache des Lateinischen und ihre schulpraktische Bedew- tung, Darmstadt 1953+ (Breslau 1924"); in inglese ottimi E.H. Srurte- vant, The Pronunciation of Greek and Latin, Philadelphia 1940? (= Groningen 1968. € Chicago 1975: Chicago 1920!) e il pid recente ci) CAPITOLO 11 WS. ALLEN, Vox Latina. A Gutde to the Pronunciation of Classical La- tin, Cambridge 1978? (1965!), che @ anche I'ultima pubblicazione com- plessiva sull'argomento. In Italia, oltre allo schematico anticolo di G.B. Pichi, La pronunzia def latino, « Aevum » 8, 1934, pp. 215-233 (= Us- SANL-ARNALDI, Guida alto studio della civiltd romana antica, cit., IW. pp. 216-225 = pp. 220-229 della seconda ediz.), segnaliamo per la sua compiutezza Maria Boto.i, Le pronuncia del latina nelle scuole dal- Vantichita al Rinascimento, t, Torino 1962; compilativo L. Leone, Ma- tia Greco, La pronunzia del latino dall’antickita ai nostri giomi, Lecce 1972. Nella fatroduzione allo studio della cultura classica, a cura di F. Detta Conte (v. infra, p. 376), L’alfabeto e ta pronunzia def latino so- no stati sinteticamente esposti da Adriana Detta Casa, vol. I (1973), pp. 363-380. Per il latino volgare J. KRAMER, Literarische Quellen wr Aussprache des Vulgarlateins, Meisenheim am Glan 1976 (su cui v. (ut- tavia E. LI€NARo in « L’antig. class. « 46, 1977. p. 314 s.). Sulla tra- scrizione in greco dei termini latini v. i gid citati lavori di Danis, i fessico latino nella lingua greca d'Egivio © Il lessico latino nel greco Egiuo, e di Garcts Donunco, Latinismos en la Koiné; inolire il reper- torio di HJ. MASON, Greek Terms for Roman Institutions. A Lexicon and Anatysis, Toronto 1974 (vi sono comprese le trascrizioni); specifi- co anche J. KRAMER, Bemterkungen zur Aussprache des Lateinischen auf Grund griechischer dokumentarischer Papyri, «Ziva Antika» 26, 1976, pp. 11-117; e v. inoltre Fredérique BIVILLE, Quelques jalons latins dans l'évolution da phonétisme grec, «Mnemosyne + IV S., 42, 1989, pp. 273-293, Un quadro completo dei tipi di trascrizione in latino dei vari fonemi greci ¢ della relativa pronunzia @ presentato dalla medesi- ma auirice in un agile volumetto intitolato Graphic et prononciation des mots grecs en latin, Paris 1987 (e sempre alla Biville si deve 'am- pia indagine complessiva Les emprunts du latin aw grec. Approcke pho- nétique, di cui 2 stato pubblicaio finora, dei due previsti, il 1 vol., Ir- troduction et consonantisme, Louvain-Paris 1990). 3. L. Deroy, La prononciation du grapheme ae en latin, «Rev. de Phil. » 54, 1980, pp. 209-225 opina per una pronunzia monottongata ¢ sin dal SII sec. a.Cr, almeno in ambito popolare, ma senza dare una soluzione decisiva del problema, che presenta dati contrastanti (biblio- grafia p, 209); v. anche le considerazioni in chiave di sociolinguistica di R. GIACOMELLI, Graeca Italica, Brescia 1983, p. 49 ss. € infra p. 144. Sui doppioni in ae/e e au/o puntualizzazioni recenti di R. COLE- UIBLIOGRAFIA a Man, Dialectal Variation in Republican Latin with Special Reference to Praenestine, «Proceed. of the Cambridge Philol. Soc., N.S. 36, 1990, pp. 12-14. A proposito dell‘eliminazione grafica del dittongo ae v. G. PoLara, Problemi di grafia del latino fra tardo antico ¢ alto medicevo, in AAWV,, La cultura in Htalia fra tardo antico ¢ alto medioevo, 1, Ro- ma 1981, p. 486 ss., il quale segnala come nel V sec. Fabio Planciade Fulgenzio sostituisca con ¢ tutti gli ae nella prima delle ventitré sezio- ni del De aetatibus mundi et hontinis, stravagante opera in ciascuna sezione della quale @ interdetto {'uso di una lettera dell‘alfabeto. 4, Per la i Graeca in latino ampio e ben documentato G. Perl, Die Einfuhrung der griechischen Buchstaben «¥» und «Z» in das lateini- sche Alphabet, « Philologus » 115, 1972, pp. 196-223. 5. Nel cit, volume Graeca iialica, p. 69 ss., R. GIACOMELLI esclude esistenza di un suono intermedio tra ie u ¢ pensa a due pronunzie effettivamente distinte in un‘articolata dinamica sociolinguistica. 6. Ricco materiale per lo scambio wa V ¢ B nelle iscrizioni in J.L. Barearino, The Evolution of the Latin /bi-/y/ Merger: A Quantitative and Comparative Analysis of the B-V Alienation in Latin Inscriptions, Cha- pel Hill 1978; pitt recente Concepcion FERNANDEZ MARTINEZ, Razones fonéticas det Hamado betacismo, « Faventia » 8, 1986, pp. 21-25 (inven tario dei fonemi precedenti w > © in inizio di parola); anche per que~ sto scambio v. le considerazioni di GIACOMELLI, op. cit., p. 19 ss. 7. Maria Luisa GERNIA PoRzio, Vicende storiche ¢ sirutturali dell'aspi- razione latina, « Arch, glottol. ital.» 59, 1974, pp. 56-102, considera genuinamente latino il fenomeno della deaspirazione (contrastato dal ripristino erudito di h- nel II-I sec. a.Cr.), e, di converso, ritiene musti- ca la tendenza al mantenimento dell'aspirata; sull’argomento v. anche il gia citato COLEMAN, Dialecial Variation in Republican Latin, p. 14 s. Sull'aspirazione consonantica G. PURNELLE, La transcription des noms grecs dans les inscriptions latines: le cas des aspirées, in Actes du Colloque de Linguistique Latine, cit., pp. 355-366 (analisi statistica di un campione di pit di cinquemila occorrenze di nomi propri), ¢ le pp. 137-211 del cit. I vol. di Les emprunts du latin au grec della B)- VILLE. 2 CAPITOLO 10. Sul gruppo gn- iniziale L. STEPHENS, Universal of Consonant Clusters and Latin gn-, « Indogerm, Forsch, » 83, 1978, pp. 290-300, © Latin gn-, Further Considerations, ibid. 85, 1980, pp. 165-175 (pronun- zia fin almeno per il periodo fra il senatoconsulto de Bucunalibus (186 a.Cr.) e l'epoca ciceroniana, € in seguito », salvo letture etimologiche; v. perd le riserve di Stefania Giannini, Di alcuni nessi con nasule in latino, «Studi e saggi linguistici » 27. 1987, pp. 189-209. 11. Sulla pronunzia del gruppo quu v. le conclusioni, sostanzial mente identiche a quelle qui proposte, di Giovanna Marotta, f/ proble- ma delle labiovelari latine nel confronto di due teorie fonologiche, « An- nali Pisa», $, U1, V, XXXVI, 1982, pp. 1023-1025 tindagine condona secondo i criteri della fonologia generativa). 12. R. Guacoments, Di alcune parole latine con -s-, «Paideia » 36, 1981, pp. 39-44 (poi in Graeca Malice, cit, pp. 95-103) analizza un manipolo di termini con -s- intervocalico conservato, alcuni dei quali, carissimi peraliro, vengono interpretati come arcaismi di ambito cul- tuale (adasia, aser, Rusina, inmusulus; analisi anche di asilues, ugaso. equiso, murgiso, indusiuem, amasius, caesaries, miser, caseusi-m, fusus. 15. Tentativi di unificare la pronunzia del latino, almeno nell'uso scientifico internazionale, sono stati [atti soprattutto a cura dei vari Congressi « pour le latin vivant» (nel 1, tenuto ad Avignone nel 1956, la relazione sulla pronunzia fu di E. Burck, pp. 58-65 degli Actes) fon sembra perd che abbiano avuto successo, a giudicare da quante si @ sentito, a dieci anni di distanza, nel [V Congresso, tenuto a Roma nel 1966. Non si sono [atti molti progressi dal tempo in cui i latino di un inglese pareva a Giusto Lipsio incomprensibile come il turco. La situazione in Talia fu caratterizzata negli anni sessanta da due elementi: il crescente interesse per it problema, non solo a livello uni- versitario, ¢ lorientamento a favore della pronunzia italiana nella scuo- la media. Si vedano per tutti l'articolo di D. Pieracciont, Ancora sulfa pronuncia del latino, «Belfagor» 31, 1966, pp. 67-72, ¢ gli interventi su La promuncia del latino nelle scuole promossi dalla rivista « Maia», 18, 1966, pp. 254-262 € 19, 1967, pp. 255-278: vi parteciparono G. Bonrante, A. Tracuia, E. Turoua, E. De FELice, L. ALFONSL, A. TRAINA, S. Marios, A. GiseLu, M. Barcntesi, G, Scarat. { Bonfante fu quasi solo a sostenere Vapplicazione della pronunzia classica. Dal mio inter- WBLIOGRAFIA a vento (pp. 255-258) deriva in buona parte il § 15. Da allora, con il passare degli anni, la questione della pronunzia del latino ha perso di attualita di fronte alla crisi generale dello studio del latino: v. V.F. Ci- cERONE, La pronuncia del latina nelle scuote: verifica del problema, Ate- ne ¢ Roma, N.S. 25, 1980, pp. 57-62. Basta una scorsa alla citata bi- bliografia dello Steitz per vedere come gia dagli anni settanta gli studi sull'argomento sono andati progressivamente diradandosi, fino a scom- parire quasi del tutto. Il LA QUANTITA E L’ACCENTO s(. « Anima uocis » I grammatici lat che definirono Taccento anima uocis' non potevano immaginare che una fra le pid recenti branche della linguistica moderna — la accentologia — avrebbe ribadito Vesattezza tecnica della loro poetica immagine, che fissa la fun- zione vitale dell’accento nei confronti della parola. Ben altra, s‘intende, @ oggi la terminologia ma non diverso il concetto: «L'accento ha o di fomine un contrassrgnoformale Sao an eesmamadeale _intermedia_fra_l'unita: _srammaticale ¢_Vunita grammaticale__ sin frase»; percié senza accento non si da parola: . In questo senso si parla oggi di una funzione centraliauamée deil'accento: una funzione veramen- te vitale, che nell'atto di definire i) contenuto semantico della struttura fonetica si rivela effettivamente il generatore della pa- rola, Vanima uocis *. * Prescindiamo dal cosiddetta « accemto secondaria », particolarmente sensi le elle parole di una certa esiensione: cosi in wlocemente risulte accemala in qualche misura anche fa sillaba we-, perché laccento principale (ens) non é in grado di reggere con uguale autorita tutto Marco delle cinque sillabe. Nella muggior parte delle lingue, il raggio di autonomia dell'accento principale sem- bra limitato all'ambito di due sillabe, oltre le quali (davanti o dictro) compare inevitabilmente Uaccento secondario (Gaaue. p. 57; egli tuitavia preferisce per questo acento ausiliare ill termine «eco dell'accenta +, riservande la denomina- tione di «accento secondario + all'accenta che insorge nei compusti come se- gro della situarione originaria: cosi, nel nostro esempio, si ha una » eco in ve-, un accent secondario » in -lo-). + In questo capitolo useremo « parola» nel senso corrente, di parola ivolata dal contesto della frase, cosi come @ rispecchiata dalla nostra consuctudine gra- fica. La realta accentuativa ripartisce invece la frase in gruppi sillabici i cui confini possono congiobare elementi semantici diversi, come gli anicali, le pre- posizioni, le congiunzioni monosillabiche, yeneralmente proclhici: per esempio, ital, fa casa, lat. ab oris sono parole uniche sotto il profilo dell'accento (« pa- role fonetiche »): Jacasa, ahdris. Su questa via si apre il piit vaste dominio del. ta fonasintasst tv. ¢. VID. LA QUANTITA & U'ACCENTO n §(2,)Altezza e intensita Si_@ creduto a tungo che la realizzazione meccanica dell’ac- cemto_avvenisse mediante il potenziamento —. in cerrispondenza della sillaba accentata — o della intensita 9 dell'altezza, che so- no due fra le caratteristiche costantemente “presenti neli’emissic _ne_di un suono! (diremo anzi, d’ora in poi, di un fonema: questo termine designa il suono in quanto assume una funzione fonologica, cioé linguisticamente rilevante; un suono pud non essere un fonema se non é@ utilizzato in sede di Lingua, ossia come elemento costitutive dell'unita semantica; v. infra). L tensita @ data dalla forza con cui la colonna d’aria in emissi ne viene spinta altraverso gli organi fonatori: la sua maggiora- zione consiste dunque in un maggiore sforzo muscolare. L’altez- za_— nel senso musicale del termine, per cui una nota pud essere pid o meno alia rispetto ad altre — dipende dalla fre- _quenza (ossia dal numero dentro lunitd di tempo) delle vibra- zioni a cui sono sollecitate le corde vacali in seguito al passag- gio della colonna d’aria: l'aumento dell’altezza @ percid connes- so all’aumento di tale frequenza. Lop’ idetia_condusse. a_una sigorosa distinzione ira lingue ad sccamta intensive (0 dinamico o espiratorio) ¢ lingue ad gecente di alterza (0 melodico o musicale 0 cromatico); po- sto, per esempio, l'accento italiano come intensivo e quello lati \- no come melodico, la diversa sitwazione poteva essere visualiz- zata in questo modo: CEN ACCENTO ac Tvs. Per il latino, in realta, la cosa non era aflatto pacifica: mancando, come & ovvio, la possibilita del controllo acustico, le * Le alire due sono_la_duraja (ossia il tempo imptegato ncll’emissione. v. p. 83 5) ¢ Tarttcolazione (cide la particolare disposizione assunta dagti organi fo- ralori nelatte dell'emissione). B CAPITOLO I illazioni sulla effettiva natura del suo accento prestavano facil- mente il fianco alle critiche, e le discussioni finirono per pola- rizzarsi e infine bloccarsi senza vie d'uscita su due opposte teo- rie: quelle predicate dalle cosiddette « scuola tedesca » {intensi- vistica) e « scuola francese » (melodistica). Un_primo colpo alle rigide contrapposizioni di « scuola »_fa portato dai_risultati_della fonetica sperimentale, La constatazio- ne della contemporanea presenza, in ogni foncma, sia dell'altez: za che dell'intensita_si tradusse in un’altra importante osserva- zione: che a_ogni variazione di intensita o di altezza corrispon- de sempre una concomitarite, solidale variazione di altezza_o, rispettivamente, d'intensita; non_esiste_percid né un puro_au- mento—dintensita (tradizionale accento intensive) né una pura. elevazione di tono (tradizionale accento melodico). In ogni silla- ba accentata si ha simultaneamente I'una e U'altra variazione: cEN CEN ac TO AC TVS. Perché allora nelle lingue viventi, soggetie alla nostra verifi- ca acustica, i parlanti sono in grado di sentire solo I'una o Yaltra variazione? (da cid era nata, evidentemente, la distinzio- ne tra lingue « intensive» € lingue « melodiche »). La risposta viene, oggi, da una pit) completa ¢ adeguata concezione del fat- to linguistico; essa non si, identifica con la pura e semplice ‘Produzione di suoni ma, per la sua natura eminentemente so- le e ta sua funzione di «comunicare », si vale nel rapporto. bipolare parlante-uditore.di una sua precisa « economia ». In ta- le rapporto la funzione dell'uditore non @ meno essenziale -di. quella del parlante: in una determinata comunita di parlanti (= lingua) sono socializzate anche le sirutture uditive. Cosi av- viene che fra tutte le innumerevoli possibilita di tipi fonetici realizzabili (« suoni ») solo un numero relativamente esiguo ven- ga utilizzato in fase di rapporto linguistico (« fonemi »), ¢ cio& poco pit d’una ventina, come risulta dai nostri alfabeti. Di tut- te le caratteristiche fonetiche inerenti ai fonemi prodotti, solo (A QUANTITA E LACCENTO 9 aleune vengono tipizzate e accolte dall'uditore: per esempio, alle | lingue neolatine o anglosassoni non interessa che-una r sia del dipoapicale (il tipo «normale » in italiano) o uvulare (la cosid- detta r *moscia»), ma_solo che sia riconoscibile comer anzi- ché, poniamo, come s o £ quanto basta per distinguere caro da caso, faro da fato. Alla stessa stregua, per cid che riguarda Vaccento, alcune comunita linguistiche utilizzano nella sillaba accentata la variazione d‘imtensita e non quella d’altezza, altre viceversa. Cosi, per rimanere tra le lingue parlate oggi, in_ita- liano_francese_tedesco spagnolo si. utilizza J‘aumento_d'intensita, in in_nonegee «sed e svedese aumento di_altezza, Che il_potenzia- non_arrivi alle soglie ‘soglie della ica che non sia anch’essa presente: ct mi ma non viene utilizzata, resta Jettera_morta perché non Jingua. Solo l'altra viene percepita, amente si dice, un valare distintive 2. In_queste senso, ¢ solo in quesio, si-pwd. ancora accettare la distinzione fra lingue ad_accento intensivo e lingue ad accento aeladico. L’accanita disputa che per tanto tempo ha diviso gli studiosi in due schiere fieramente contrapposte pud essere, og- gi. sdrammatizzata ¢ ricondotta a termini di pit agevole awici- namento, se non ancora di completa conciliazione, solo che si sposti la considerazione dall’accento come fatto meccanico al- Yaccento come funzione fonologica, centralizzatore della parola. 2 Del resto, anche Ie lingue ad accento intensivo wilizzano Velemento melo- dico ‘per altse funzioni, in particolare per la tntonazione della frase, 1a quale. i miativa, ccc... assume, intonaziani..diverse, .cap:. presentabili con vere € proprie curve melodiche; venite! 80 CAPITOLO La « natura » dell'accento latino Melodica fu la natura dell’accento greco in epoca classica — 0 meglio, melodica fu la coscienza che ne ebbero i Greci: lo garantisce la terminologia tramandata dai loro grammalici, a partire dal nome stesso che fu dato all’accento, xgoowdia, com- posto proprio dal nome del canto, dy; e la_distinzione dei tre tipi-di-aceento, acuto grave circonflesso, si richiama apertamen- ea .considerazioni_melodiche: acuta (d§cia) @ la sillaba che acuisce il_suo_tono, ossia lo innalza sopra le altre; grave (fa- etia) quelia che rispetto all'acuta é di tono pitt bassa. (percid «grave» definisce la sillaba atona, e I'« accento grave» non é in realta un accento bensi il segno che indica I'assenza d’ac- ceplo); perispomena (nepiommpévn) @ la sillaba che consente, per la lunghezza della sua vocale, una modulazione della voce che dal tono alto scende al tono basso: l'immediato susseguirsi, ciog, di un acuto e di un grave, come indica la sua originaria notazione grafica: A '. 1 Latini adottarono in blocco la terminolagia greca deli’ac- cento: accentus, acutus, grauis, flexus o circwnflerus, non sono altro che calchi dei corrispettivi termini greci. Tale acquiescen- za non sorprende, perché @ risaputo che quasi tutta la termino- logia grammaticale latina (e non solo questa) é mutuata dal greco. Piuttosto, sarebhe sorprendente il constatare che i Latini potessero ricalcare i termini « melodici» dell’accentologia greca € avessero invece una coscienza « intensiva» del proprio accen- ta Questa coniraddizione sarebbe comprensibile tutt’al pid nei grammatici del tardo impero, eredi inerti e sordi d’una tradi- zione scolastica meccanicamente recepita; non é ammissibile in testimoni autorevoli ¢ sensibili dei fatti linguistici quali furono Cicerone ¢ Quintiliano, che in pid d'un [uogo hanno lasciato attestazioni difficilmente contestabili (sebbene indirette: la que- * Si [a risalire ad Aristofane di Bisanzio, il grande maestro della filalogia alessandrina, Vinvenzione dei segni dell’accento (clr. B. Lau, Bas alexandrini- sche Alcentuatiomssestem, Paderborn 1928 = New York-London 1967) LA QUANTITA, 6 L4tENTO: ¥ stione non si peneva per loro, almeno nei nostri termini) di una considerazio"® Melodica dei fatti di accento?. E bastereb- be. a dirimere [9 Westione, il fatio che essi accolsero e utiliz- zarono senza alicia tiserva, per la loro lingua, il termine e la zione di «ci cid non avrebbe alcun senso al di ay js@.coscienza melodica dell-accemta. Percid sembrd ragionevole concludere che il latino ctassico_ ‘gbbe un accento Melodica: e «classico», qui, si rilerisce al pe- tiodo che va dabli inizi della leteratura latina (convenzional- mente fissati al 240 2-C.) fino a un'epoca non precisabile in ci- fre ma da colloc*i nei primi secoli dell'impero. Il_disgregarsi dell’unita roman? On fu solo una vicenda. politica ec ammin strativa: fo anché UD. da Jinguistica.e. condusse, col tem- po, alla_formazio-dellelingue ramanze. Questo lento ma inar- estabile moto cbbe le sue conseguenze nei, confronti_dellaccen- 410: prevalsero, all? fine, le nuove strutture uditive delle rinnova: Te comunita di f2Flanth prevalse ta coscienza dell'imtensitA sy quella della melodia. Cosi tutte le lingue romanze acquistarono =e ancora oggi Mantengono — un accento intensive, Mutamenti di (esto genere non sono aventibili né misura- bili sul metro di 44 © di alcune generazioni: chi pure parteci- pa di tali cambi#menti non é assolutamente in grado di assu- za, Questo spiega le incertezze ¢ le contraddizioni dei grammatici #Tdoimperiali: erano, per cosi dire, nell’occhio del tifone ¢ non '© sapevano, ¢, come spesso accade ai trattati- sti, agli « artigraf® Sempre in ritardo cispetto al magma incan- descente delta i#@U¥@- non avevano altra realta fuori di quella consegnata una yolta per tutte dai precetti della tradizione. meme coscien: auenta anat®! del passo chiave di Cicerone di S. INGALLINA. Cicerone, Or, $658 e Tuccema Wwiino, = Studi ¢ ricerche dels. di tatina + (Magist. Ge- nova) 1, 1977, pp. 9 105: da parte sua Maria Gneco, Fenomenoliyia dell wccen- fo elle lingies Torin“ Quaderni delist, di ingue v let. clase.» (Magist. Lec: CT. 1986. pp. 85409 Fiduce limportanra della « qucrelle » sulla natura del Taccento in fore # N9 esate del sisiema accentuale rapportato alla strutura della lingua a CAPITOLO 11 Quanto al latino dell‘epoca Préletteraria, si @ supposio che la sua natura sia stata, per qualche secolo, intensiva. Ma le basi di tale ipotesi, che ha goduto di molto credito, sembra che si possano di nuovo mettere in discussione (se ne parlera pit dif. fusamente nel cap. IV). . § 4.)Fonemi e sillabe Si & detto (§ 1) della lingv? Patlata come « catena » di silla- be: la definizione, risalente at Saussure ‘, @ stata foriera di im- portanti conquiste nell'analisi 4! linguaggio, La.Siflabi-e I'ele- mento di base della lingua, di cui costituisce, dal punto di vista fonologico, la pit piccola ynilt dolata di autonomia: non per nulla si constata oggi che, nella storia della civilta, Je scritture sitlabiche hanno preceduto le scrilture alfabetiche ?. Sopra la sillaba si fonda Ja Geosodia’. L'equivoca. nacque.dal malinteso significato della parola « pasi- zione », che traduceva passivamente il latino positio*; ma que- sto termine, a sua volta, non @ che la traduzione latina del greco thésis, che ificava « convenzione » (e cfr. anche J'uso del verbo «pore» in frasi come « poniamo che. siccome i grammatici antichi non possedevano, nemmeno essi, il concetto della quantita consonantica, ma sentivano benissimo che in cer: ti casi la vocale breve si trovava in sillaba lunga, la chiara co- scienza del contrasto e l’incapacita di spiegarlo li condusse a parlare semplicisticamente di «convenzione ». In seguito, astrat- ta dal contesto, la parola latina fini per essere intesa nel senso immediato di «collocazione », «situazione », cio& appunto di «posizione », dato che, a una superficiale analisi visiva, risulta- va che in quei casi la vocale era seguita da due (0 pit) conso- nanti. Tali concetti, oggi, non hanno pid alcuna giustificazione 5. > Vv. p. LOL. * Gia almene in Quintiliano, 1, 5, 28, + Una singolare battaglia di retroguardia contro la dottrina della quantita sil- fabica e a favore della quantita «di convenzione» appare quella condoua da DE. HILL, Quaestio prosodiae, «Glotia» $2. 1974, pp. 218-231: sostanzialmente non dissimile ['esito di E. PuLcRam, Prosodics of Vowel and Syllable in Groek and Latin, «Indogerm. Forsch.» 79, 1974, pp. 78-91, che cerca di conferire realta fonetica (pur riconoscendone Tassurdita fonolagica) all's allungamento » della vocale breve davanti a pit consonanti: a suo modo un piccolo capolavoro i contorsionismo linguistico che parte dal recupero (ben altrimenti fruttuoso in ALEX, v. Bibliografia) de! concetto di + peso sillabico » proprio della grammati- ca indiana. In E. Pantuov, Le basi delle sillabe fonologiche nel latino classico, «Arch. glottal. ital.» 62, 1977, pp. 83-97 l'avvio a un imventario delle sillabe latine secondo la qualita dei fonemi di chiusura. LA QUANTITA E L’ACCENTO 1 L'analisi sillabica @ in grado di spiegare senza residui d’incer- lezza la struuura prosodica. Cosi, anche la cosiddetta positio debilis ova nelle rinnovate prospetlive un'adeguata spiegazione: non si potra pid dire che una vocale breve seguita da due con- or di cui la prima sia « muta» e T'altra sliquida > non, si allunga. per «posizione » se non, eventualmente, in poe- sia. Si dira invece che il nesso occlusiva+liquida’ costituisce in latino un unico gruppo consonantico, iniziale di sillaba e privo percid di valore quantitativo: la normale sillabazione di una parola come patrem & pdjirem®. In sede metrica, perd, la prima sillaba di patrem viene talvotta misurata come lunga: cid significa che, all'occorrenza, il nesso -tr- si pud scindere, cosic- ché Tocclusiva ¢ si aggrega, quale consonante di chiusura, alla vocale precedente e da luogo a una sillaba chiusa, cioé lunga: patfrem , icolane ent (densa: D. I waditonst ve at «mute si deve alla considerazione che queste consonanti non sono pronunciar bili se non hanno lappoggio di una vocale. 7 Ad ess0 si pud assimilare il nesso f+ liquide, v., da ultimo, H.M. Hoentes- wato. .. f and fignid, «Class. Quarterly » N.S. 40, 1990, pp. 272-274. ® Nei composti prevale perd it fattore semantico: sempre db/ripio, dbvlitus. ? Secondo A. Memtier, J. Venprves. Truiié de granmnaire compurée des lan- gues classiques, Paris 19795, pp. 130-132, Vorigine del fenomeno in greco (dan- de & passato al latino) sarebbe da ricercare nclla geminazione dell occlusiva, che provoca I'insorgere d'un fonema di chiusura nella sillaba precedente: *pat/ trem. La spicgazione 2 tanto pil persuasiva se si pensa a una pronuncia enfati- a, particolarmente adatta a spiegare la limitazione del fenomeno allo stile « al- fo» della poesia, Tura la questione di mute cum liquida 2 riesaminaia in G. Bernanpi Penint. Due problemi di jonerica latina, Roma 1974, pp. 11-109: con successivi interventi di G. Pascucct, Ancora sul problema di muta cum tiquida, «Arch. glottol. ital.» 60, 1975, pp. $9-73, di C. Questa, «Mula cum liquida» in Plauto (Mos. 112}, «Boll. Com. ediz. naz. class. greci ¢ latini» NS. 24, 1976, pp. 122-131 € di O. Bianco, Terenzio, Heaut. 6 (e «muta cum liquida »), in AA.VWV., Studi di poesia latina in onore di A. Traglia, Roma 1979, pp. 87-92; € v. anche, con riguardo al latino volgare, M. Ropaicvez PanTows, Acento laiino elésico y acento «vulgar»: ef tipo tenebrae, « Revisia Espahola de lingitstice » 17, 1987, pp. 371-381. 2 CAPTTOLO 1 §(8.) Le leggi dell’accento latino L'accento latino non pud risalire oltre la terzuitima sillaba: nec a postrema syllaba citra tertiam (Cicerone or. 58); intra nue menun trium syllabarum, siue eae sunt in uerbo solae siue ulti- mae (Quimiliano 1, 5, 30). Questa limitatrice legge del tristila- ‘pismo accomuna il latino al greco in una fondamentale innova- zione rispetto all'ambito indoeuropeo (che non vincolava Yaccento a nessuna sede particolare), e conferisce alle due lin- gue classiche una specifica fisionomia ritmica. Ma, come avvertiva gia Quintiliano, non tutte le tre ultime sillabe sono accentabili, bensi solo la penultima o {a terzasltima: aut proxima extremae aut ab ea tertia; non l'ullima, che deve sempre essere di «tono grave », Bagi vévoc. Questa legge delle baritonésl, ancora di tipo limitativo, i co (a parte taluni dialetti eolici, che praticano anch’essi la bari- tonesi); una sua naturale conseguenza @ che le parole bisillabi- che vanno accentate senz’altro sulla prima sillaba ‘ Ma Ja legge pid importante, perché, dentro i posti dal- le due precedenti, fissa la sede effettiva dell’accento, & la legge- della penultima, rigidamente fondaia sulla quantita della penul- tima sillaba: penuitima tunga porta I'accento, penultima breve fa accentare la terzultima: L’osservazione rigorosa di queste tre leggi porta ad accenta- re con esattezza la parte maggiore del lessico latino (per un‘al- tra parte, ristretta ma non trascurabile, occorre tenere presenti certi fenomeni di origine secondaria, che solo in apparenza contraddicono I'una o Ialtca delle tre leggi; v. § 10). Ma il. pre- supposto fondamentale @ che siano osservate non meno rigoro- samente le norme latine della sillabazione, che spesso ri- schiano di essere tradite dalle abi della lingua italiana. * Salvo i casi di ossitonia secondaria (v. p. 97 5.1 Va da sé che i monosil- tabi non pongono alcun problema. (A QUANTITA E L'ACCENTO a Per esempio, I'abitudine pud portare alla pronuncia di exiguitas ¢ Cleopdira: la coscienza delle norme latine condurra invece a dire esattamente exigiitas e Cleépdtra?. 8(0> Enclisi ed epéctasi Una_quarta legge dell'accento latino. — vera ¢ propria legge. benché di solito relegata fra le « eccezioni » alla legge della pe- nultima — 2 la legge dell'enciiel” II fenomeno dell’énclisi, come quello del trisillabismo, accomuna il latino al greco, anche se le sue norme sono diverse nelle due lingue. Appunto il greco rivela chiaramente che Ienclisi ¢ una con: dizione diversa. dall‘atonia: in situazioni panicolari, le parole enclitiche sono capaci di possedere un accento proprio (Aéyou wvbs), € tale autonomia tonica_(« ortotonési ») sembra originaria, poiché alla precisa individualitd semantica (parola) non pud non corrispondere una propriet& tonica', Le parole enclitiche sono dunque parole che si appoggiano alla parola precedente (Gon) perché siano, in assoluto, prive di acento proprio ma per- ché tendono a privarsene o per I'esiguita del corpo fonetico (in 2 Per ec/si/Gv/1/ TAS v. p. 89; in CLE/O/PA/TRA il sulfisso -paira & della stessa famiglia di péier. nav ¢ cid garantisee -d-. Che molti dizionari tatini registrino Cleopdtra 2 frutte di un equivoco provocate dalle testimonianze pocti- che, wue esametriche (Lucan, Stazio, Giovenale) © quindi costrette a sfrutiare fopportunita di scindere il nesso muta cum tiguida (Cleopatra) per evitare ta sequenza di tre brevi (C#/6/pd-). Ma cid che si allunga — indubbiamente — 2 la sillaba, non la vocale. ‘Cir. P. Fersanino, Lenclitica bisitlabica di parossitono, «Studi italiani di Glologia classica » N.S. 17, 1940, pp. 55-68 (= Scritti scelti, Firenze 1986, pp. 129-141). 94 CAPITOLO It latino, a quanto pare, esistono solo enclitiche monosillabiche) 9 per la funzione, generalmente accessoria, del valore semantico (congiunzioni e particelle). Sta di fatto che in latino, quando viene a formarsi un nesso tra parola ortotonica e parola enclitica, sorge una nuova unita fonica, per !a quale il ritmo trisillabico esige un unico accent @ questo accento non s’identifica con nessuno dei due accenti originari, @ un terzo e nuovo accento, l’accento..d’enclisi, con una sua sede obbligata nella sillaba che precede I'enclitica ¢ senza pid riguardo a rapporti quantitativi: armdque come rosd- que. La contraddizione con la legge della penultima @ solo ap- Parente: la legge della penultima @ !a legge dell'accento di pa- rola; nel nesso encliticale, dove I'individualita semantica dei componenti @ trascesa dall’unitd fonica, una penultima sillaba, a Tigore, non esiste pit. Le enclitiche pid comunemente usate in latino sono -que -ne_-ue ce met te dem -nam -dum e Vindefinito quis? Tuttavia, per -dem ¢ -nam l'accento d’enclisi non @ sicuro: Vaccentazione ibidem ubinam potrebbe essere dovuta, anziché all’enclisi, a un ripristino dell'origina- ria quantita lunga nella sillaba -bi- (If © dbf sono frutto di « abbrevia- mento giambico *: v. p. 130 s.), e non 2 pit possibile stabilire se in ibidem ubinam i parlanti sentissero ancora distinti i valori di ibi+dem, ubi+nam. Quando il nesso encliticale finisce con Ja. smarrire nella co: scienza dei parlanti ill valore originario ¢ fa coincidere con l'unita fo- nica_un valore semantico nuovo ¢ unitario, allora si crea una nuova c pereio ricade sotto la legge della penultima: é il fenomeno col nome di emectagh (éxéxraox, propriamente « estensio- ne, che @ indiscutibile in indidem itidem idtidem édem e, per la se- Fie di -nam, in sitinam. Sembra da escludere in latino |'esistenza di enclitiche bisillabiche {frequente invece nel greco): ill tipo siquando néquando alfquando, rac- comandato dai grammatici tardoimperiali per wtt‘altri motivi3, ha le * Per -dutt © quis v. rispett. p. 229 € 207. > Secondo Prisciano, II 67 H., ci sarebbe bisogno di differenziare siquando, néquando da si quando, ne quando, e aliquando da aliquénto! VA QUANTITA & L’ACCENTO 95 stesse probabilita di écinde périnde suibinde; si tratta, con ogni verosi- wiglianza, di indebite estensioni analogiche di accentazioni legittime come siquis e néquis, déinde e préinde *. Anche per tantimmddo sfquidem quandéquidem ® prudente pensare a casi di vera e propria composizione o giustapposizione anziché di enclisi_o di epectasi. [era epectasi 2 certamente dénigue, in cui si riconosce l'agglomera- vione di tre diversi elementi: la particella locativa de e le enclitiche ne © que. Qualche incertezza per izague: la distinzione, affacciata gid dai grammatici antichi, fra ftdque avverbiale (= «pertanto ») e itéque = et #2, & tanto sottite sul piano semantico da lasciare dubbiosi della sua reale consistenza; e l'uso di isague nei versi ritmici tardolatini, in cui la sillaba -1a- 2 sempre in posizione atona, fa propendere per I'e- tasi: itaque. mn -si ha, infine, né *strdque né * plérdque, come richiedercbbe epectasi, bensl, a causa della preponderante azione analogica degli al- tri gencri all'interno dei rispettivi paradigmi, urdque e plerdque. 8/10) Particolarita a) IL TIPO VALERI I nomi_della_cosiddena secenda. declinazione che formano il ‘tema col suffisso -id- invece che con la sola vocale tematica -3; (filius imperium Valerius da fil-ié-s imper-ié-m Valer-i6-s) pre- sentano un’apparente difficolta nei vocativi del tipo Valéri: Véle- i, come pretendeva, nel I secolo a.C., il dottissimo Nigidio Fi- gulo, oppure Valéri, come era l'uso comune (cosi risulterebbe da Gellio 13, 26, che riferisce la tesi di Nigidio)? Anche am- messo che il vocativo in -i non risulti dalla contrazione o dal- Yapocope di un pia antico -ie (che farebbe della sillaba -le- 4 In déinde ¢ préinds sono da sentire senz‘altro due bisillabi, con sinizési di -#i-, -0i-, come attesta il normale use metrico delle due parole (e dein, proin, di solito usati dinanzi a consonante, sono sempre monosillabi). % CAPITOLO tht un‘originaria terzultima), Vaccentazione di Nigidio sembra il frutto di una pedanteria erudita (si sa che egli apparteneva al- Vindirizzo « analogistico »); Valéri era comunque suggerite dal- Vanatogia det rimanente paradigma: Valérius Valérium ece. Anche pid semplice il caso del genitive impéri Valén: l'uso grafico unificava le due i etimologiche (impérii Valérii) rispec- chiando Ueffettiva realtd fonetica, che di duc i consecutive fa sempre un unico fonema (cfr. anche mihi/mi, gratiis/gratis); ma il fatto che con i primi tempi del periodo imperiale si imponga ¢ si generalizzi la grafia -ii, garantisce che non si era mai_per- sa la coscienza che le effettive tercuhime crano -pe- in impéni, ste in Valeri, 5) 1 COMPOSTI DI FAC/O NON APOFONICI Come & noto, i composti di facio sono ripartiti in due cate- gorie: il tipo conficig (passive conficior) ¢ il tipo calefacio (pas- sivo calefio). Nella prima categoria, facio si % unito con gli usuali preverbi e ha subito ta naturale conseguenza dell’apolo- nia latina (v. p. 120 ss.); nella seconda, I'unione con avverbi (satis-facio) 0 con veri € propri temi verbali (cale-facio are-facio assue-facio made-facio ece.; cfr. caleo are-o assue-sco made-o ecc.) non é giunta, in realta, alla composizione vera e propria ma piuttosto si 2 limitata a una giustapposizione, ossia a un al- lineamento, senza una rigorosa saldatura dei due elementi; per- cid non @ raro il caso, specialmente nel latino arcaico, di tro- varli smembrati: Catone ha ferue bene facit (agr. 157, 9), Lucre- zio facit are (6, 962), rareque facit (6, 233); anche Varrone La questions di Valeri & ripresa in G, Beananut Penini, ff sistema eterogra fico di Nigidia Figuio (frr. 35-38 Swoboda), « Orpheus » N.S. 3, 1982, pp. 1-33: e di essa trattano ora ampiamente. con altra prospettiva. W. BELARDI, Palmira CIPRIANO, Casus interrogandi. Nigidio Figutn e la teorta sioica della tingua, Ro- ma 1990, 1A QUANTITA E L'ACCENTO. 7 wiunge a scrivere perferue ita fil, consue quogue faciunt, excan- de me fecerunt (rr. 1,9, 2;2,9, 13;3,4, 1). primo elemento di questi giustapposti non @ dunque un vero e proprio prever- bio ma piuttosto una parola indeclinabile, quasi un avvei nel giustapposto l'unico elemento vitale @ il verbo facio, che conserva intatta la_sua fisionomia anche sotto il profilo dell'ac- cento. questo percid viene regolato esclusivamente nell'ambito di facio (o di fio) mentre il Primo elemento si comporta da pro- qui, come nel caso di Valéri, 'accento svolge una funzione del- la lingua, funzione chiarificatrice e vitale. ¢) LE OSSITONIE SECONDARIE Se l'ossitonia del tipo calefis ha una sua precisa motivazione semantica, il latino registra alire ossitonie dovute a processi fo- netici; in ogni caso, gli ossitoni del latino sono frutto di un processo linguistico uleriore, sono cioé fenomeni secondary. Lossitonia procurata da riduzioni fonetiche si pud ricondurre in sostanza a un unico tipo: parole originariamente accentate sulla penultima subirono la scomparsa dell'ultima sillaba in epoca posteriore alla definitiva fissazione dell’accento (e non di rado la forma integra rimane attestata dalla lingua arcaica o arcaizzante); la penultima, diventata ultima in questo stadio successivo, conserva cosi il suo accento: non c’é nessuna effetti- va infrazione alla legge della baritonesi. 2 Accanto a calefacio & sporadicamente attestata {in Celio Rufo, Cicerone, Svetonio © probabilmente in Ovidio, ers 2, 214) una forma apofonica caificio, su cui v. A. CavARZERE nella sua ediz. commentata delle Lettere di Celio, Bre- scia 1983, p. 290, on CAPITOLO tH Si ha in particolare: 1) apocope di nell'enclitica -cé: ” illic rc “illice istic da istice adhtic da adhiice posthdc da posthdce ecc. 2) apocope di @ nellenclitica - ne tantén fantone audin da audisne uidén da uidésne satin da satisne nostin da nostine ecc. 3) apocope di -é nell'imperativo dei composti di dico du: co (non di fero, il cui imperative @ atematico, v. p. 169 en. 1): addtc da addice eddie da addiice ecc. 4) sincope di -i- nella sillaba finale dei nomi in -dris_e this: nostrds da “nostrdt(i)s primés da “primatti)s Arpinds da *Amindilids Maecends da *Macendt(i)s Quiris da "Quirttli)s Samnis da “Samnitti)s ec. 5) sincope di - nei perfetti del tipo audit (da audiit, a sua volta da audiuit). : 6) sincope di -uh nei perfetti del tipo funds (da fumduit) Questi due ultimi tipi richiedono un cenno particolare. [1 tipo di perfetto audit perf doveva essere molto diffuso nella lingua parlata, come testimoniano te forme italiane ud! peri, e nasce dalla normale caduta di 4 consonantico tra due vocali di timbro uguale: audi(w)ir peri(udit, con la successiva unificazione delle vocali in contatto: ma va 1A QUANTITA E UACCENTO: ” tenut presenie che, dopo la sincope di... poteva aversi, come si eb- be_un‘evoluzione diversa,_ossia jiazione di -j- davanti alla seguente, secondo la_norma_uoca uocalem corvipitur (v. p. 131): mportava la ritrazione dell'accento: audi(ujit > dudiit, Ml tipo jumdt, invece, non ha una soddisfacente spiegazione fonetica, ¢ non ri- mane che pensare a una formazione analogica sul tipo audi. d) IL TIPO VOLVCRES / VOLVCRES Si é gia detto della possibile oscillazione prosodica del nesso muta+liquida, riservata ai contesti metrici (p. 91); & owio che, se tale oscillazione riguarda la penultima sillaba, ne resta coinvolta_anche la posizione dell'accento: nei versi si. potra sempre avere udlucres o uobicres, ténebrae o tenébrae, dlacrem o aldcrem e cosi via (donde neWitaliano poetico tenébre, etc.). Ma non si deve perdere di vista la quantita «naturale », ossia vocalica: l'oscillazione dell’accento non @ possibile in parole co- _me_saliibris 0 delitbrum, dove la quantita della penultima é fis- sata_dalla vocale lungg. e) (L TIPO ABIETE / ABIETE Sempre in sede metrica, va segnalato il caso di parole pro- celeusmatiche (che offrono ciot lo schema prosodico del proce- leusmatico: UUUU). Esse non potrebbero, come tali, entrare nell'csametro, eppure abiété, pdriéiibus, dri#ié, ecc. si trovano usate, per esempio, da Virgilio. In questi casi il poeta sfrutta la tendenza di i interna prevocalica ad assumere la caratteristica di _consonante che @ propria della i iniziale prevocalica (jam, Touem, Julius); questa tendenza si svilupperd poi nel passaggio dal latino al romanzo (cfr. ital. viola, bisillabo, di fronte a lat. ut-d-la: figtiolo, trisillabo, rispetto a fi-l-d-lus, ecc.). Il passag- gio da i vocale a i consonant provoca nelle parole suddette la riduzione di una sillaba e la trasformazione della sillaba prece- too CaPITOLO tH dente da aperta e breve in chiusa e civ@ lunga: 4-bi- ab-j2-1e; se l'accento, prima della riduzione sillabica, stava sulla -i, passa necessariamente sulla vocale della nuova terzulti Gb-id-te dr-ié-te pdr-id-te. § 11, Per una corretta accentazione fl predominare, nella scuola di latino, della parola fetta sulla parola parlata (dell’occhio, cio’, sull'orecchio, cid che significa, soprattuito, l’abbandono del criterio quantitativo) facilita e addi- rittura propizia l'errore di accento. La legge della penultima ri- mane inoperante: a essa, finiscono per sovrapporsi criteri tivi, di origine diversa ma tutti riconducibili, in ultima analisi, ad analogie indebite. Cosi si tende a mantenere nei composti Yaccento della parola semplice ¢, nella coniugazione, l'accento della voce di base (invece: dgo / pérdgo, commdneo / com- méues), ad attribuire lo stesso accento a parole pitt o meno identiche (éblitus / oblitus), a subire l'influsso della continuazio- ne italiana (lat. cddére sdpére, ital. cadére sapére), € cosi via. Dubbi sull’accento possono nascere, naturalmente, solo per le parole con pitt di due sillabe e con penultima aperta; monosil- labi, bisillabi (che non siano tronchi!) e parole con penultima chiusa non consentono incertezze. Nei polisillabi con penultima aperta il problema é@ di ricanoscere o ricordare la quantita del- la penultima vocale: per evitare i] continuo ricorso ai dizionari una semplice riflessione linguistica o un ricordo agevolmente fissato nella memoria potra climinare facilmente un‘alta percen- tuale di perplessita. In particolare: in- a) il trattamento apofonico della vocale interna garantisce la quantita breve (céncido, e non concido, da cado: altri esempi infra, e cir. p. 120 ss.); 5) una vocale uscita da un dittongo @ sempre lunga (conci- do, e non céncido, da caedo); FA QUANTITA & LIACCENTO to c) una sillaba aperta seguita da vocale @ generalmente bre- @) lat, i, 4 continuati da ital. ¢, 0 sono brevi, (énuideo, tudes ¢ non inuides, perché lat. uides > ital. vedi; confugio, cinfiigis e mon confiigis perché lat. ftiga > ital. foga. v. p. (32 5.) ¢) lat. ¢, 0 continuati rispettivamente dai ditionghi italiani ie, tw sono brevi (conuenio, cénuénis ¢ non conuénis: ital. convie- ni, conviene; commoueo, cémmbues ¢ non comméues: ital. cont- muove, v. p. 132 5.3: ) un contests metrico di pronto riferimento (specialmente la parte finate dell'esametro: — U uv — 3) @ il pid immediato dei controlli; per es., le forme uolfito uoltiat uoldians sono spesso in chiusura di esametro: la penultima della parola é an- che la penultima del verso; g) a volte basta richiamare altre parole dello stesso tema ¢ sul cui accento non esistano incertezze: per es., labor labéris non fara dubitare di adfabéro. collabéro: 4) poiché il greco distingue graficamente le due quantita die e dio (€, 7; 0, w), il confronto pud fornire istruttivi pa- ralleli, sia nel caso di prestiti fra le due lingue sia in quello di sviluppi indipendenti. da una stessa base indoeuropea (pi- Bonding > bibliopéla; la stessa radice di niwxknu @ in replé tus, locuplétem), In ogni modo, per agevolare il riconoscimento delle pid. co- muni occasioni di errore, eccone un elenco, diviso, fin dov'era possibile, in categorie corrispondenti ad altrettante fonti di dub- bio. "Mav p. [3 102 CAPITOLO It 1, Omografi non omofoni: parole di scrittura totalmente o parzialmente identica arrivano a distinguersi per la diversa gvantita della penultima, ossia per la diversa posizione dell'ac: cento. Ricorderemo anzitutto le coppie di verbi con diversa quantitd radi- fale, come dico, -as ¢ dico, -is, -diico,.:as e diico, -is, Wigo, -is ¢ igo, 245, cOla.-is e chlo, -as, ntdneo, -es e mano, -as, paro, -as e paren, -es, niteo ¢ nittor, che in certe voci det composti giungono all’assoluta omografia: dbdico / abdico, réléga / reldga, édiico / ediico, pércdlo / per- edlo, émdnes (ind.) / emdnes (cong.), dppares (cong.) / appdres (ind.), énitens / enttens. Tra i composti di cddo e caedo, sédeo e sido. \‘assimi-. lazione. grafica @ frurto di evoluzione apofonica: céncido { concido, ds- sides (pres.) / assides (fut); anche due compost cindo rischiano di confondersi coi rispettivi composti di caedo nel perfetio: abscidi éx(s)ci- di (da abscindo exscindo) ¢ abscidi excidi (da abseldo excido). Alcune coppie di verbi provenienti dalla stessa radice lasciano alla -yocale tcmatica il compito di differenziare I'accento: da iacio pario pendo V'infinito & idegre pérére péndére; da iaceo. pareo pendeo si ha in- vece iach partre pendére. Nell’'ambilo di un medesimo verbo, come uenio, la quantita della penultima distingue addiritura i tempi nel ca- so di uénimus, pertento, di Fronte a uerimus, presente (v. p. 185 e n. 9). Singole voci verbali sono omografe di singole voci nominali: éx(s)¥- lis da exsilio e exilis «esile », indicis da indfeo-e indlois da iudex, reif- qui da relinquo e réliqui,-ae,-a, elfgi da éligo e élégi «versi ele; ci», pérséna imperative di pérséno e perséna «maschera», maledico, -is e malédico dat-abl. di malédicus, caligas da caligo «offuscare» € céligas (acc.) «calzature »; irrito, -as e frrito dat-abl. di irritus. décdro, -as e decdro dat-abl. di decdrus, -a, -um. Omografie si realizzano anche tra participi: cénditus da condo «fondare » e_condiims da condio «condire »; dblinus da dblino « spal. mare» ¢ oblitus da obliuiscor « dimenticare »; ¢ tra sostantivi: édium «antipatia» € odfum (forma che alterna con odéum, dal greco dieiov) «teatro >; lépdrem da lepus «lepre» e lepdrem da lepos « garbo »; pri- * Darema solo un composte © una voce per ogni esempio, anche se spesso si potrebbe allungare I’elenco. 1A QUANTITA E L'ACCENTO 103 vérum da précéres «i capi» e procérum da procérus, -a, -um «alto». Infine, anche se Yomografia non @ perfetta, va ricordato che ben di- verso @ V'accento di nibicen «suonatore di tromba» (tba + cano) ¢ tibfcen « suonatore di Mlauto » (tibid + cdno). 2. False analogie con I'itaHano: nella evoluzione dal latino all'italiano molte parole conservano la sede dell’accento latino, ma molte altre lo mutano. “vocalica (gia latente nel latino elassico, Vv. “posta sistematicamaente, 'agcelo dalla j alla silsbe seguentefin nw merosi casi, come ablgtem > abéte, arfétem > aritte, bestiéla > be- stidla, caprédlun > *capri6lum > capridlo, comédlum > * comidtum > comnidlo, filiéla > figlibla, filfSlum > figlidlo, gladiolum > giaggidlo, tusciniéla > Vusigndlo?, muliérem > moglidra (toseano), parigiem > paréte, phasédlum > *phasidlum > fagidlo, uidla > vidla. Nella stes- sa fase preromanza si molipticano gli scambi di coniugazione fra temi in ¢-¢ in & (€ efr.. gid nel latino classic, i doppioni del tipo filgo/ fulgeo, feruo/ ferueo): da un lato cédére.e sdpire diventano « cadére » € «sapére », dall’altro indulgdre miscére mordére pendére respondére ter- sére_torquére danng luogo a «inddlgere méscere mérdere péndere ri- spondere targere torcere ». Hl fenomeng pi diffuse 2 2 comunque suelo. del_passaggio dall’accento lati * peoultima: una tendenza Iatino e partico- “Tarmente owia nei composti, perché da quando, scaduto il senso della quantita, decaddero anche le norme che le erano connesse, i parlanti furono portati a mantenere nei compasti lo stesso accento de! verbo semplice (ricomposizione); cosi si dovette passare, per esempic, da acompéio repéio, e cosi prese avvio la tendenza a ge- ferulizrare Taccemo «piano». Del foltissimo elenco che si potrebbe Tedigere daremo solo una rapida selezione: circiimddre circtmdatus > sircondare_circondal, cémminor > commino, cémpdro_ > compare, 2 Da notare il fenomeno della discreztone dell‘articolo nel passaggio dal lat fu. allital. fu- {il fenomeno opposto & detto concrezione o conglutinazione: lat. mediev. astracum [dal gr. datgaxov] diventa if lastrico). tod CAPITOLO Itt cémprimo > comprimo, céngrégo > congrége, cénséquor > conséguo, cOrrigo > corréggo, déndio > dendto, déstino ébstino > destino (mi) ostin, déudro > divoro, dirigo > dirigo, dinius > dirino. éligo > cléggo, émigra > emigro, éxpio > espio, durdho > esiraggo, inudco > invoco, prdeparo > preparo, prétégo > proléggo, rénduo > rinnd- vo, stiblzuo > sollévo. Tra i composti nominali, ricorderemo inuicen > invece, préecdcem > precice, produns > proavo; sulla scia della tendenza all'accento piano, ma con Uimervento di altri fattori analogi- ci, si spiegano casi come medfdcris muliéhris > medidcre muligbre (probabile influsso della « posizione» di muta+liquida), abélius > abalito (analogia dei participi in ito, come «finito, udito, vestito » tce.}. I caso inverso, del passaggio da un acento latino di penulima a un accento italiano di terzultima, 2 pit raro, e va ascritto in_linea generale a una ceaziane.siperurbanistica», tipica del partanic. incolio a semicolio (v. p. 56 € 58 s.): usseudro perseugro > asstvero perstve- ro, collabéro elabéro > collaboro elaboro, confidio refiito > cdnfuto xt futo, euapdro > evaporo, eufio > évito, exauctéro > esautoro, exilix > ésile, fortutius gratuitus > fortaita gratitito, inuestigo > investigo. inwolticram > involucro, dbsiéirix obstetricis > ostetrica, permite > pérmuto, radtco(r) eradico > ridico sradico, resina > résina. La wa- smissione di parole latine per via veramente dotia ha dato luogo inol- tre a numerose coppie di « allotrapi», che spesso lasciano riconoscere anche dall’accento la diversa provenienza: per esempio, ital. alacre, in- tegro riprendono direttamente dal latino classico la foro struttura fone- tica, mentre i rispettivi esiti popolari allégro, intéro denunciano chiara-— mente Vorigine «orale» (v. p. 51 en. 4). 3. Llaccento « colonnare ». Una tendenza tipica dell’apprendi- mento scolastico, per «paradigmi », dei verbi latini @ quella di mantenere l’accento sulla sillaba che lo porta nelle voci iniziali. Questo accento « colonnare » (sempre sulla stessa sillaba, lungo tutta la colonna dello schema) @ spesso erroneo, come si vede, per esempio, dal diverso comportamento di capio e uenio nel presente indicativo: VA UUANTITA FE L'ACCENTO tos cépio uénio edpis uénis capit uénit cdpimus uentmus cdpitis uenttis edpiunt uéniunt Come sempre, 2 unicamente la legge, della_penultima a fissa- i volta in volta la sede dell'accepto quando la parola & pi bisillabica; ¢ in cdpimus cépitis, uenfmus uenttis la quant 1) della penultima @ data dalla vocale tcmatica dell’infectum: 7 per capio (e si conserva intatta lungo tutte il paradigma); 7 per uenio (e si abbrevia ante uocalem nella 1* persona singolare ¢ tiella 3* plurale, oltre che nella 3® singolare davanti a conso- nante finale diversa da efr. p. 132). Per evitare ervori di questo genere conviene lenere presente lo schema delle classi in cui si pud ripartire la coniugazione tematica >: vocale tematica lungas amd-mus delé-mus — uent-mus amd-tis — delé-tis vent -tis vocale tematica breve: légi-mus — capi-mus légt-tis ——cpt-tis La stessa scolastica tendenza all’accento «colonnare» va sorvegliata, a scanso di errori, nei verbi composti che perdono una sillaba. passando dalla 1” alla 2* persona: in questi verbi (emi in 5 la 1* persona ha sempre V'accento sulla sil- Jaba radicale, che la terzuhima, dato che la penultima & co- stituita dalla vocale tematica che, s¢ non @ breve di natura, si abbrevia di necessita davanti a_ della desinenza (comméudo, reciplo, conuénio); ma nella seconda persona la penultima @ co- stituita proprio dalla sillaba radicale, che. dunque pud mantene- re Taccento solo se lunga (per es. persuddes; ma commoues ré- Vv. p. 170 5. 106 CAPITOLA 11 cipis cOnuénis). Si ricordi percid che sono a radicale breve i composti di *: cdpio: accipio accipis (concipio, decipio ecc.) addéceo addoces (edeceo, perdecee ecc.) indigeo indiges afficio afficis (conficio ecc.) io: confédio cénfodis (effodio ecc.) ; configio cénfugis (elfugio ecc.) kdbeo: adhibeo adhibes (prohibeo ccc.) idcio: ablcio abicis (conicio ece.; anche amicio, passato alla 4* coni gazione) {écio: allicio Allicis (delicio, illicio ec.) mdneo: perméneo pérmanes (remaneo ec.) méneo: adméneo 4dmones (commoneo ecc.) mdueo: adméueo 4dmoues {commoueo ecc.) nifteo: eniteo énites (reniteo ecc.) leo: reddleo rédoles (anche abéleo dboles, che perd non ha che fare con oleo bensi con la radice di dfo) Pario: compério comperis (reperio ecc., passati alla 4* coniugazione) * -pidio (da pes pédis): expédio éxpedis (impedio) placeo: complaceo cémplaces (displiceo) polio: expélio éxpolis (perpolia) quatio: conctitio céneutis (excutio ec.) ripio: arripio rripis (corripio ecc.) io (da ridis); eradio érudis sdlio: desilio désilis (insilio ec.) sdpio: desipio désipis (resipio ec.) sédea: assideo dssides (dissideo ecc.) spicio: aspicio dspicis (conspicio ec.) 4aceo: reticeo rétices i2neo: contineo céntines (retineo ece.) uénio: aduénio 4duenis (conuenio ecc.) uideo: inuideo inuides (prouideo ecc.) udueo: deusueo déuoues. + Nella maggior parte dei casi la brevita della sillaba radicale & resa vviden- te dall'spofonia (v. p. 100). LA QUANTITA E L'ACCENTO 107 A. questi composti si aggiungano i desiderativi col suffissa -drio testirio ésuris, emptirio émpturis, partirio pérturis): ¢ inoltre il verbo sepilio sépelis, Hanno invece la radicale. ynga i composti di: laceo: colliceo colluices + .nideo: renideo renides * -tiveo: coniueo coniues pareo: appéreo appares (comparco) : dissuddeo dissuddes (persuadeo ece. derivati col suffisso espressivo -stio: balbsitio balbiitis, cactitio cae- La radicale breve dei tre temi deponenti in -I-: gridior marior pa- ior ripropone infine il consueto gioco di accenti fra indicativo e infi- nito. presente: aggrédior dggredi (congredior ecc.), commérior cémmori (emorior ccc.) perpétior pérpeti; cid accade, naturalmente, anche nel passivo dei temi in -i- tutti caraterizzati dalla radicale breve: concipior céncipi, afficior éffiei ec. 4, Altri composti e derivati. Altri casi di composizione e de- rivazione si prestano a errori di accento, sempre per false ana- logie o per spinte istintive. In panticolare, tra i composti: * -dgro (da ager): péragro (clr. peregrinus) amo: 4damo déamo rédamo bene: pérbene (fr. bien ») pérbonus (« buono +) is: pérbreuis célor: bicolor céncolor multicolor cdguo: céncoquo (« cuocere ») erépo: céncrepo discrepo increpo ec. cui (monosiltabo): alicui {trisillabo per tutta l'epoca classica) dire: circiimdare pessimdare uemimdare (reddere) * déc-: Addecet céndecet dédecet; dédecus; fndecens 4do: cémedo éxedo péredo ecc. tog CAPITOLO HHL (faber’: Affabre infabre fat(iscor): éffatim fore: Aflore préfore ec. frémo: cénfremo infremo ec. grduis: pérgravis ituo: Adiuuo (« giovare ») luis: pérleuis (« lieve »; ma da léuis, «levigato », il verbo coliéuo « le- vigare ») minus: nibiléminus quéminus (« meno ») méd(us): 4dmodum dimmodo buiuscémodi huitismodi propémodum quod’mmodo quémodo solimmodo tanttimmodo ops opis: inops inopis Spus; péropus (« uopo ») * plé-: Iécaples locuplétis, locupléo -as qufror: conqueror guider: quandéquidem siquidem -ritas (participo di rio): érutus ébrutus semirutus idmen: S&itamen uerimiamen udius: péruetus (« vieto ») uigit: pérvigil E tra i derivati per varia suffissazione (oltre ad alcune parole di etimologia non ancora chiarita): addilo(r) Ambtorix Ambiorigis Diimnorix Dumnorigis Vercingétorix Vercin- getorigis drbittus assidiitas exigtitas auditor petttor célitmen régiment spécimen (ma fulcimen) cruména o crumina donntio farmido -as formt- do -inis latrécinor pitutia tabdnus tellus telliiis uolite (v. p. 172). 5. 1 grecismi. E appena il caso di ricordare che le divergen- ze fra accentazione greca.e accentazione latina vanno ricondot- te alla diversita di norme fra le due lingue: norma dell'ultima vocale in greco, della penultima sillaba in latino; e inoltre (v. Pp. 92) norma dell'ossitonia in greco, della baritonési in latino. Come si comportavano, allora, i Latini fronte alla numerosa schiera di parole greche passate nell'ambito del loro lessico? Seguivano le norme greche o quelle latine? Non si pud dare una risposta univoca: il comportamento vari secondo le epo- 1A QUANTITA ACCENT (09 che (diversita di atteggiamento culturale, ora pit ora meno na- vionalistico), secondo la classe sociale (diversita di livello cultu- rale), secondo le possibilita di ambientamento del grecismo stes- $9 (diversitd di stratificazione lessicale). Di qui le incertezze della wadizione scolastica, codificate dall'anonimo adagio Graeca per Ausoniae fines sine lege uagantur, e a cui, sempre in sede di precettistica, convicne sostituire l'altro esametro memoriale, coniato da Alessandro di Villedieu (Doctrinale, 2329 Reichling): Graeca per accentum debes proferre Latinum *, sempreché, be- ninteso, non sia evidente che si tratta di mere traslitterazioni, nel qual caso appare legittimo conservare l'accentazione origi- naria. Soprattutto & da sorvegliare I'influsso, sovente deleterio, dell'uso italiano, che nell’accentare i grecismi. riflette ora I'uso latino. ora I'uso greco (specialmente per il tramite bizantino) ora addirittura I'uso francese (per fare solo un esempio, l'erro- neo ma divulgatissimo diatriha non si spiega né col greco bi- TPA né col latino didtriba ma piuttosto col francese diatribe). L'unico criterio sicuro.per accentare { grecismi in latino Mane percié, quello di risalire ogni volta. alla base greca ¢ rica- vane, la quantita, della penultima. A titolo d'esempio ecco una scelta di casi, a partire da alcune categorie suffissali particolar- mente diffuse e scolasticamente « pericolose ». 1. fa e -ia. Il suffisso. greco GD largamente formativo di nomi derivati, presenta i, ¢ rimane prosodicamente intatto quando si_aggiunge a temi o radici consonantiche (iorogia, gi- + Ansistevane anche gli umanisti per laccentazione latina delle parole greche: cost Erasmo mel De recta Lutini Grascigue sermonis pronuntatione dialogus (1528), ed, 2 cura di J. Kramer, Meisenheim am Glan 1978, p. 42; cosl A. De Nebrija nella sua Grammatica Latina postuma, 1833 (v. A. Taaina nell'art. cit. infra, n. 9): cost Alejo Venegas nelle liste del suo Tractado de orthographia y accentos en tas tres fenguas principales (1531), recentemente riproposta da L. NIETO, Madrid 1986, p. 80 ss. 0 CAPITOLO Ub dooopta); ma spesso_si_agglutina a temi it casi da provo- care la formazione del ditionga e1 (éAéyeia, “Aletavogeia,_ xen). Nel_primg caso il latino riproduce fedelmente la situazione_ prosodica dell'esemplare greco (histérid, philosdphig); nel_secon- do, coerentemente alla sua tendenza fonetica (v. p. 130, n. 3). evolve itwongo ef in@) auraverso la fase 2) che a volte resta Vuni testata, o anche rimane coesistente con l'ulteriore fase t (¢legia, Alexandréa o Alexandrfa, panacéa). Esempi di gr. -ia > lat. -la: allegéria (€ categéria), analdgia (e apologia, philoldgia), anomdlia, antonomdsta, apéria, Castalia, chinirgia, coméedia (e palinddia, parddia, prosddia, tragéedia), ecclésia, harménia, historia, homilie, hydrophdbia, idololétria (idoldtria)*, latémiae (lautimiae), metonymia (¢ homonyntia), mondrchia, naumdchia, phantdsia. philosdphia, prosopopéeia, symphénia. Esempi di gr. -gua > lat. +éa, Ya: Academia, Alexandréa (Ale- xandria), Antiochéa (Antiochia), apathia (e sympathta), elegia, epiphanta, Heracléa (Heraclia), Hippodamia, Iphigenia, ironta, Laodamia, Laodicéa, magia, Nicodemfa, panacéa, synaphia. Rientrano qui anche platéa e choréa (nhateta, yooeta) accanto a cui, perd, esistono anche pldiga e chéréa: queste ultime forme sono anche le pid antiche, come indica l'avvenuto abbreviamen- to ante uocalem; le altre sono dovute a un successivo restauro della quantita greca originaria, in sede di lingua colta; ma le forme antiche rimasero nell‘uso, anche poetico dato che veniva- no a costituire una comoda allotropia metrica (conservata in italiano: platea e piazza < * platia). ° Gr. ciduholengiu: questa (e non eibwholangsia came viene erronvameme as- sunto anche dal Thes. ¢. £.) @ la forma correta della parola greca: non un composto di Jargeia ma un diretta derivato dal sostuntivo cidwholdvons. Cir. F. BOCHSEL in Grande lessico del Nuovo Testamento (trad.). UII, Brescia 1967. p. 135 ss, 1A QUANTITA & UACCENTO uw Il. -ides ¢ -fdes. Il suffisso patronimico -iimg subisce te stesse vicende di -fa: ar. ing > lat. -ides: Dardénides, Euripides, Pridmides, Tantdlides gr. -eiins > lat. fides: Aristides, Atrides, Euclides, Pelt- des, Tydtdes III, -ews e -2us. Al sulfisso onomastico -st il latino ri- sponde con -exs che conserva le caratteristiche del dittongo ev ed 2 quindi monosillabico; al suffisso aggetiivale -evs risponde ancora conus, perfettamente omografo al precedente ma qui bisillabico: --us, con -€ che rifletie il dittongo e non ancora evoluto a i. Tale evoluzione si wova spesso altuata, ma meno diffusamente che in -eu > -¢a -fa, forse proprio per la resi- stenza oferta dall'analogia con -eus monosillabico. gr. -e0g > lat. ae: Atreus, Bridreus, Cépaneus, Eury- stheus, Idé6méneus, Iidneus, Morpheus, Néreus, Ofleus, Proteus, Typhéeus. e gr. -eyg > lat. dis, -lus: Aesopéus (tus), Aristoteléus (lus), bacchéus (tus), palimbacchtus, Daréus (-fus), epicedium, gynaectum (-furn)?, Lycéan (Lum), odéon. (oddum, odfum), pae- dagogium, phalaecéus, sotadéus. Coppie omografe (nome proprio in -eus, aggettivo in -éus): Eréchtheus | Erechthéus, Lynceus 7 Lyncéus, Orpheus / Orphéus, Pérseus / Pers€us, Proméiheus / Promethéus, Théseus / Theséus. IV. Temi in -dn-; suffisso -feus. Di fronte ai pit comuni temi in -wv- esistono anche temi in -ov- {allungamento in -w 7 Ma Plauto Most. 759 ho gaeceum con abbreviamento ante uocalem uz CAPITOLO IN soltanto al nominativo!) che esigono in latino, nei casi obliqui, l'accento di terzultima (lo stesso vale per i corrispondenti fem- minili in -ovy > One): dleyon alc¥onis, Alcyone, Arfon Arfonos, Aristogtio Aristo- guonis (e Giton Gitonis in Petronio), déemon déemonis, Gorgo Gérgonis, Hermione, Hyperion Hyperionis, fdson (trisillabot) 14- sonis, Lycdon Lycéonis. Anche il suffisso -Ivog procura in latino accenti di terzulti- ma, pressoché sconosciuti al comune uso italiano: acdnthinus, adamdntinus, crysidilinus, elephdntinus, hya- cinthinus, mfrrhinus (e Myrrhina il personaggio terenziano), pa- pyrinus. V. Altri casi: con penultima breve: acinaces, Acacus, dgape, Agathocles (Néocles, Stra- tippoctes), anadyémene, andthema®, Ardea, Areépagus, asphédelus (-ilus), Céppadox Cappddocis, Cétana, cdthetus, chiragra (¢ pddagra), chrysén- themum, Cinara, Cleopatra, clépsydra, Cbele, diddochus, didtriba, Didge- nes, Didphanes, Hecate, Elea (= Vélia), epitritis, Erato, Eratdsthenes, Eridanus, Euérgetes, Eumenes, Eunjdice, hderesis, hexaémeron (pentasil- labo), Himera, fdpetus (quadrisillabo), s4pyx (risillabo) Jdpygis, tdea, (dolum*, Ladcoon, Lachesis, Leucépetra, Leucéthea, Neopiélemus (e Triptélemus), Nimidae, oeciimene, Oedipus, Oendmaus, Ogyges, Ompha- te, Gnager (énagras), Pasiphdé (quadrisillabo), Pasithea, perfocha, phdre- "Gr. évétepa, ital. anatéma. diverso da avatmpa, lat. anathema (= «oferta votiva +). + —* Gr, tibohoy, traslitterato con idélum nel latino classico, fu poi ripreso dai cristian’ (spec. Prudenzio, IV secolo) che latinizzarono la parola partcndo pero dalWaccento originaria, at quale adeguarono la quantita della peaultima: iddfum. Cle. A. Taaina, De uerbi widoli« sive «eidoli » accents, « Lativitas », 13, 1965, pp. 58-61 1A QUANTITA E L’ACCENTO m3 tra, Phdmaces, phiala, Poecile, Poljrena, plisana, pyramis, Silures, Séta- des, sycémonus, trighyphus, Troglédytae, Vranus. con penultima lunga: aconitum, acrodma, Aetéli, Agdue, anathéma , aneméne, anésum (anfsum), antiphéna, apocolocyntdsis, apophoréta, bi- bliopéla (¢ pharmacopéla), bombyx bombjcis, Ceramicus, character cha- ractéris, Creisa (wisillabo), diapdson, divecésis, Dionysus, Diosciiri, ephébus, ertee (erica), Eriphfle, Gaeuili, haldsis, Heraclitus, herpes hi Pétis, Homeromastix Homeromastigos (¢ Vergiliomastix Vergiliomastigos), idélum"', isoodlum (e tricélum), Lacénes, lehes lebétis, Mausdlus, meta- morphésis, metropolita, monochrémus, octag6nus (e pentagonus, polygs- ius, tetragénus). olympionicus, oxymérus, Pacidlus, Pharsélus. philan- thrépus, Polyciésus (Polyclitus), Pridpus, progndsis, prondus, Seriphus, sindpi (sindpe). Sindpe. sorties, Thessalonicu, Thrasybitlus (e Cleobtilus. Critobiilus). BIBLIOGRAFIA Tutto il capitolo condensa la materia svolta nei manuale L'accento latino. Cenni teorici e norme pratiche, Bologna 1986* (1964"), al quale si rinvia per la minuta documentazione bibliografica e una pit vasia analitica presentazione del materiale lessicale portato came esempio. Qui bastera ricordare la fondamentale raccalta delle testimonianze lati- ne sull'accento di F. SCHOELL, De accemtu linguae Latinae uererum grammaticorum testimonia, + Acta Societatis Philologae Lipsiensis » 6, 1876, pp. 1-231: le opere che diedero alla discussione tra «scuole », ¢ cioé, da un lato (accento melodico), H. Welt, L. BENLOEW, Théorie générale de Vaccentuation latine, Paris 1855, ¢ W. Corssen, Ue- ber Aussprache, Vokalismus und Betonung der lateinischen Sprache, tl. Leipzig: 1870? (1859"); dall'altro (accento intensivo), P. Lancen, De grammaticorum Latinorum praeceptis quae ad accenium spectant, Bonn 1857, ¢ la gia citata Aussprache des Lateins del SEELMANN; i lavori di A. Scumirr che hanno introdowo nella questione il conceuto di « centra- lizeazione »: Untersuchungen zur allgemeinen Akzentlehre. mit einer An- wendung auf den Akeent des Griechischen und Lateinischen, Heidelberg 1924, @ Musikalischer Akcent und antike Metrik, Minster 1975? (1953!) (sulla teoria dello Schmitt v. M. Barcwiest, Nevio epico, Padova 1962, pp. 298-300); e il gid citato libretto del Garne, che riesamina, in sede di linguistica generale, tutta la problematica dell'accento alla luce delle teoric di André Martinet. Bibliografie sull'accento latino hanno fornito via via L. LAaURAND, Liaceent grec ef latin, « Rev. de Phil.» 12, 1938, pp. 133-148 (poi in Pour ntieux comprendre Vantiquité classique, Paris 1939 [nuova ediz. a cura di A. Lauras 1949], pp. 263-281, G. BoLo- GNESI, Profilo storico ¢ critico degli studi linguistic’ greci ¢ fatini, in AAW... Iniroduzione alla filologia classica, Milana 195, pp. 429-432 {rassegna ampliata da G. Boocnesi, B. Zuccnetu nel III vol. (1974) del- la Imtroduzione allo studio della cultura classica (v. p. 376). pp. S11-516, PI Enk. The Latin Accent. « Mnemosyne» IV S., 4. 1953, pp. 93-109, MIBLIOGRAFIA us E. Faris, Fonética histérica do Latim, Rio de Janeiro 1957? (1955"), pp. 298-300; ma il punto di partenza & sempre la rassegna di M. Lev: MANN, Lateinische Lawt- und Formentehre, Minchen 1977, pp. 235-254 (1928! = 1963, pp. 180-189), € un repertorio assai_ ricco @ costituito da G.C. Lerscuy, i! problema dell’accenio latino. Rassegna critica di studi sull'accento latino e sullo studio dell'accento, » Annali Pisa», S U,V. X0OU, 1962, pp. 199-246. Ad Akzent/Quantitat & riservata la lerza sezione della citata Bibliographie zur Aussprache des Latein dello Stesz. Sillaba, quantita e accento sono il fulcro delle trattazioni di due linguisti particalarmente sensibili ai problemi prosodici delle lingue classiche: W.S. ALLEN, Accent and Rhythm. Prosodic Features of Latin and Greek: a Study in Theory and Reconstruction, Cambridge 1973, forse il pitt cospicuo comtributo della moderna linguistica generale, ric- chissimo di illuminanti riferimenti alle altre tingue, antiche e moderne (dello stesso autore v. anche Some Reflections on the « Penultimate + Accent, « Winois Class. Stud.» 8, 1983, pp. 1-10); E. PULGRAM, Latin- Romance Phonology: Prosodics and Metrics, Minchen 1975, specialmen- te impegnato sul versante del latino « volgare », sostenitore di una di- scutibile dicotomia tra latino « parlato», con accento intensivo, e lati no «scritto » (cioe letterario, colto), con acento melodico (confutazio- ne nell'importante contributo di A. Roncactia, L'effondrement de la quantité phonologique latine, « Romanobarbarica » 6, 1981/82, pp. 291- 310). Buona sintesi dei principali fatti relativi all'accento latino nella prima parte del lavoro di D. WANNER, Die Bewuknung der lateinischen Hauptionstelte im Romanischen, «Vox Romanica» 38, 1979, pp. 1-36. Liaccent latin. Colloque de Morigny 2 il titolo degli Atti di un conve- no francese de! 1979, pubblicati a Parigi nel 1982 (ne dd notizia in Luccento latino, cit, p. 6, 0. 15). Una nuova e articolata proposta diacronica per I'accento latino ¢ italico offre A.L. PRospocim, Sulf‘ac- cento latina e italico, ia AANV., 0-v-pe-ro-si. Festschrift fir BE. Risch. Berlin-New York 1986, pp. 601-618 (una prima fase con accento fisso sulla penultima, in stretta connessione con l'abbreviamento bico: una fase passeggera in latino con accento protosillabico, cui si rappor- tano l'apofonia latina, sulla quale v. infra, p. 120 ss., e l’affermarsi della regola della terzultima), Un interessante esame delle testimonian- 4e dei grammatici antichi sull‘accento latino & presentato da X. BALLe- ster, El acento latino segin los antiguos. «Emerita» 58. 1990, pp. 311-321, Una originale sistemazione delle strutture prosodiche latine @ offerta No CAPITOLO UL da R.A. ZiRiN, The Phonological Basis of Latin Prosody, The Hague-Pa- ris, (970; ma per la quantita sillabica v. J. Sararewicz, Note sur la longueur de syllabes par position en latin classique, in AA.VV. Italia tin- guistica nuova ed antica. Studi in onore di O. Parlangeli, 1, Galatina 1976, pp. 231-236. Sulla struttura della sillaba ¢ la sua evoluzione dal latino classico alle soglie del remanzo, buon reperiorio di dati fonetici in S. Kiss, Les transformations de ta structure syllabique en latin tar- dif, Debrecen 1972; tale evoluzione si definisce nel senso di una ten- denza a passare dalla sillaba chiusa alla sillaba aperta: Maria Luisa Porzio GERNIA, Tendenze siruiturali della sillaba latina in eta arcaica classica, in AAVV., Suudi in onore di G. Bonfante, Brescia 1976. pp. 757-779. Un manuale di informazione elementare: V.J. HERRERO-LLOREN- Te, La lengua latina en su aspecto prosédico, Madrid 1971; ed anche S. MARINER BiGorsa, Elementos de prosodia, » Estudios clésicos > 22, 1978, pp. 213-236, Iv PROBLEMI DI FONETICA § 1. Apofonia indocuropea Conosciuto anche come alternanza vocalica o movimento vo- calico (in tedesco Ablaus}, il fenomeno della cosiddetta « apofo- nia indocuropea » riguarda tutte le antiche tingue del ceppo in- doeuropeo, e quindi non solo il latino ma anche, per esempio, il greco, che anzi conserva la situazione originaria molto me- glio del latino. Questa apofonia (= «cambio di suono ») consi- ste nella variazione de] timbro vocalico che caratterizza gli ¢le- menti costitutivi della parola (radici, suffissi, desinenze): tale va- riazione fonica @ destinata a modificare la funzione morfologica e semantica della parola. Si considerino a titolo di esempio queste serie del greco: 1) Aetrw Rédowne. exov 2) yévog yeyova vyiyvopat 3) noréga maIg6s Nella serie | I’elemento radicale appare caratierizzato nel presente dal dittongo «1, che passa a ot nel perfetto, alla sem- plice vocale « nell’aoristo: cid che muta di volta in volta é in realla solo la vocale, € nel presente, variata in o nel perfetto, scomparsa, cioé ridotta a « zero» (termine tecnico per indicare Vannullamento) nell’aoristo, dove percid la +, consonantica nei 1B CAPITOLO IV dittonghi, diventa vocale. La serie 2 mostra ael radicale le stes- se variazioni dell'esempio precedente: ¢/0/ zero, e l'alternanza non & pid soltanto fra tempi diversi d‘un verbo ma anche fra sostantive (yévos) e verbo (yéyova, yfyvoyat). La serie 3, infine, presenta un’alternanza ¢/zero fra due diversi casi d'un sostan- tivo: la variazione riguarda ora non pit il radicale ma il suflis- 30. Allo stesso modo il latino, benché con meno rigore e am- piezza del greco, conserva tracce di tale situazione, che nell’i- potetico « indoeuropeo comune» doveva dare luogo a una vera propria categoria grammaticale, per cui a ogni alternanza corrispondeva una specifica variazione morfologica (e quindi se- mantica). Questo movimento vocalico era regolato secondo una grada- zione quantitativa (normale, di quantita breve, e allungata) e timbrica (limbro medio: e; timbro forte: 0), cosicché si potevano avere anzitutto quattro alternanze: grado normale medio. é@ grado normale forte: 6 grado allungato medio: @ grado allungato forte. 6 Ma sia il grado normale che il grado allungato potevano su- bire una riduzione: per il grado normale essa comportava la scomparsa assoluta della vocale, mentre per i] grado allungaio «lasciava sussistere, 14 dove la parola sarebbe divenuta irrico- noscibile (come in facio ratus satus datus catus ma non in nep- tem genetricem), una vocale evanescente, di timbro indistinto, chiamata sc(eWwa nella terminologia linguistica, che in latino di- venta @»'. Si hanno percid due ulteriori gradazioni: | M, NiEDERMANN, Phonétique, cil, p. 83. Il segno dello seed (0 sevd) 2 una «© rovesciata: 2 ; i] suo suona corrisponderebbe alla ¢ francese, 0 alla vocale fi- ale, evanescente, di molti nostri dialetti meridionali. speciatmente napotetano (Wapul2 per Napoli). ng FMOMLEMI DE FONETICA ‘onep wnugp smig2 590 nips: waugs sangs uu orp ah ma 1ayouad uaagnad | dada warden (uasgiou <) mrasprous {smow <) spam soisqrout soqie. suoqio zon oogrt ape wernpo way o1pay (tuaspuoy <) wiasquoy , smisguoy ‘sopes (opis <) opais, | (uenos <) uompos , copes Mug omg ised <) sped, waged py (smpaoj <) sopigl | (opt <) opie {O05IP <) O25-7PIP » 09297 (org: <) so-mng swigry oud? seg sup or? mune se (se <<) sgnba anbo 2yney ior ofr sugne out opuod opupd —______|— fpyosee cousoara 9 vateoa 2 so1wan ‘0492 sousoare @ santos 7 oaaW ‘QLYONATI OavED ‘FTWWWION OarED 120 CAPITOLO IV grado normale ridotto: zero grado allungato ridotio: zero oppure 2 (lat. a) Testimonianze concrete di tale complessa situazione origina- ria sono rintracciabili in latino, ma parziali e sporadiche. Per comodita, abbiamo riprodotio a p. 119 gli esempi raccolti dal Niedermann 2, schematizzati secondo laccennato sistema di gra- dazioni timbrico-quantitative. Si pud dedurre da questi esempi che la lingua non sfrutta pienamente te possibilita offerte dal sistema delle alernan: anzi, cid che pid conta, questo sistema cessa di essere produt vo gia nello stadio pid antico del latino di cui siamo a cono- scenza. Se @ vero infatti che — per limitarci al verbo — le al- ternanze del tipo sédeo / sédi, uério / uéri, uideo / uidi man- tengeno una lore precisa funzionalita lungo tutto l’arco del latino classico, in quanto determinano la neta ripartizione te- matica tra infecumt e perfectum, ® anche vero che la stessa funzione viene contemporaneamente svolta anche al di fuori dell'alternanza radicale, per esempio dalla sulfissazione in -ui per tutta una categoria di verbi (amo / amaui, deleo / deteui, audio / audiui), che finisce anzi per essere nel latino storico la pit diffusa e I'unica veramente produttiva (v. p. 182 s.). § 2. Apofonia latina (e sincope) Un altro tipo di apofonia si riscontra in latino, e solo nel latino, almeno con le caratteristiche che diremo, fra tutte Ie tin- gue indocuropee: percié esso va tenuto nettamente distinto dal- lapofonia « indoeuropea ». Questa apofonia fatina interessa uni- camente le vocali brevi, come risulta dagli esempi seguenti: ¢ Op. cit. p. 71 ss. PRN MI- DE RONETICA rr) a) facie: conficio b) equés: equitis médius: dimidius itd: itidem lécus: ifico capi: capitis taberna: contibernalis maniis: manica lege: legite aucéps: auctipis Si trata dunque di mutamenti del timbro vocalico, che han- tw luogo quando una sillaba con vocale breve, originariamente in posizione iniziale (2) o finale (6) di parola, viene a trovarsi, per composizione o derivazione o Mlessione, in posizione inter- na, Gli esempi di a e & mostrano che la vocale apofonica, qua- lunque sia il timbro originario (purché di quantita breve), si cambia 0 in i o in & Non si tratta di una vera legge, sia per- ché spesso, come si vedra, viene completamente elusa dalla lin- gua, sia perché Mevoluzione in ¢ 0 # viene raggiunta solo se, come negli esempi dati, la vocale breve viene a trovarsi in sil- laba aperta. E perd una tendenza ben precisa, come si ricava anche da cié che avwviene in sillaba chiusa, dove l'evoluzione verso 7 @ arrestaia dalla consonante di chiusura (che agisce, per cosi dire, da scudo protettivo contro la riduzione del tim- bro) allo stadio & (cosicché una é di parienza rimane immuta- ta): factus: conféctus Gnnus: biénnium cérno: discémo. A sua volta, Vevoluzione verso a si compie in sillaba chiusa solo a partire da 6, come in mdrtem: promunurium, onds (poi oniis per altro motivo: ogni originaria 6 in sillaba finale chiusa «si oscura» in a: cfr. dominis < domind-s): ontstus. Inoltre, sia in sillaba chiusa che in sillaba aperta il muta- mento del timbro pud essere variamente condizionate dalla qua- lita dei fonemi contigui. Per esempio: (22 CAPITOLO 1 tdngo: uttingo frango: confringo séptem: septingenti nonostante la sillaba chiusa, 4 € ¢ passano a f davanti a n velare Pario: pepéri dare: reddére cints: cinéris nonostante la sillaba aperta, le vo- cali brevi passano a é davanti a r! davanti a ! palatale (= seguita da: salio: desilio 0 geminata) Yapofonia @ quella allo: feféiti prescritta; davanti a / velare (= se- délus: sedalus guita da a, 0, uo da altra conso- eri nante) l'esito & invece a, sia in sil- laba aperta sia in sillaba chiusa ? L’apofonia latina svolge un ruolo molto importante anche nell’evoluzione dei dittonghi interni -ai- ¢ -au-. La tendenza del- la lingua @ quella di evolvere ai in ae (cid che avviene regolar- mente in sillaba iniziale o finale: *caido > caedo, * rosai > rosae), au in 6 (almeno nella lingua parlata; nella lingua scritta © colta ha sapore di volgarismo: v. p. 130, n. 3; ma @ questa la tendenza che infine s'impone nei passaggio alle lingue ro- manze: cfr. aurum > ital. ore, faucem > ital. foce). Ma poiché it dittongo @ in sostanza una sillaba chiusa con vocale breve (v. p. 87s), la vocale d dei dittonghi ai e au subisce anch’essa. in sillaba interna, il crattamento riservato normalmente ad d in sillaba chiusa, Percid, per esempio, di fronte a caedo (da * cai- do) e claudo si ha in un primo tempo la seguente evoluzione: * Ed @ permane: fénus: efférus. 2 In desitui va vista una forma recente per *desului, rifatta sul presente, cv si come inswliamus di Plaut Mil. 279 2 rifatto su *insului, clr. J. ANDed, Re- marques sur Vapophonie de -& lauin en syllabe ouverte devanr 1- velaire, « Bull Soc. Ling. Paris « $4, 1959. pp. $3.89. PROBLEM! DI FONETICA 123 “decaido > * decéido *exclaudo > * excléudo con la formazione dei dittonghi et, eu: questi hanno poi subito Yulteriore evoluzione che, indipendentemente dall'apofonia, toccd in latino a wui i dittonghi ef e eu originari: ei > i er > & (v. p. 130, 0. 3) *deceido > decido *excleudo > exclido. Questi dunque, in linea generale, gli esiti dell'apofonia latina Essi compaiono gia realizzati in epoca letteraria, e il loro svol- gimento va quindi collocato in un'epoca precedente, anteriore al II] secolo a.C. ma non facilmente precisabile; cid consigli di parlare, genericamente, di un’epoca « preletteraria ». Tuttavia accade di constatare, tutt‘altro che raramente, |’assenza dell’apo- fonia in casi nei quali pure sussistono tutte le condizioni che avrebbero dovuto provocarla. Si confrontino le serie segue! facio conftcio calefacio ago exigo perdgo paro impéro compara néco enico enéco ands anites andtes. La terza colonna presenta esempi di parole completamente sottratte al mutamento apofonico, per motivi che trovano di volta in volta una loro giustificazione. In particolare: calefacio, come si @ gia visto (p. 96 s.). non @ un vero composto ma semplicemente un giustapposto; cale- si comporta come elemento proclitico, cosicché fa- non @ propriamente una sillaba mediana e, come le sillabe iniziali, resta immune dall’a- pofonia; perdgo @ un composto formatosi, verosimilmente, in un'e- poca in cui l'apofonia aveva cessato di essere operante; lo stes- (26 CAPITOLO 1S so si deve dire di comparo, senonché I'italiano compie)rare (e cosi rispetto a sepdro il francese sevrer, « separare dal petto materno», « svez- zare ») testimonia con sicurezza che nel latino parlato esisteva effettivamente un apofonico * compero (rispettivamente * sepero): allora compdaro (e cosi sepdro) si spicga come ricompesizione analogica. ossia come una reazione della lingua che restituisce al composto il vocalismo del verbo semplice in nome della co- scienza etimologica; il caso enéco, coesistente con enico, offre una testimonianza diret- ta e completa della stessa situazione: e ii fatto che enico sia Vunica forma usata dalla lingua « popolarc » dei comici mentre il latino classico, «colto », attesta solamente enéco, consente di ripartire le due forme secondo precisi livelli stili: Diversa- mente si spiega, invece. la coesistenza di andtes e anites: per i casi obliqui di ands le forme apofo- niche sono rarissime. perché sopraffatte da quelle che restitui: scono i} vocalismo originario non gid in base a una reazione etimologica (che presuppone sempre un certo livello di cultura), ma, def tutto casualmente, per quella tendenza innata della lin- gua che viene definita come assimilatrice: la 4 interna al posto della f apofonica @ provocaia dall'assimilazione al timbro della vocale iniziale (questo spiega, per esempio, anche i casi obliqui di Caesar: Caesdris in luogo di Caeséris 3). Altri casi degni di nota, in cui l'apofonia resta del tutto ino- Perante, sono dati dai composti di amo: adamo dedmo redamo. chiari esempi di composizione tardiva *; da quelli di édo: come. * La forms apofonica compare perd non intrequentemenie nelle isceizioni, v Thes. 1 L., su. € L, VioMAn, Der Name Cuesar im Vulgdrlaiin, « Listy Filologic- ké + 99, 1976, pp. 156-163. “DL primo ¢ lultimy ignoti prima di Cicerone; in particolare su redamo, cal- cv ciceroniano del greco dvagiéw, v. A. Teatwa, Idol scholae, 3, « Atene ¢ Ro- ma» NS, 2, 1957, p. 97 ss. Sulla mancata o parziale apafonia nei composti di verbi che pure sono di largo uso (stquor/conséguer, perséquor ecc.; uénia { con- PROBLEM D) FONETICA 128 do exédo ecc., nei quali il mantenimento del timbro ¢ fu senza dubbio favorito dalle voci atematiche és ést ésse (v. p. 192 s.) dove la vocale lunga era insensibile all'apofonia; ¢ va infine no- lato che I'apofonia non ha mai turbato una 6 nei composti ver- bali (udce / inudco, fodio / effdio, marior / emédrior, ec). Nel complesso, dunque, l'apofonia latina tende a portare i timbri pid « chiari» (a, e) verso i timbri pid «scuri» (i u): in termini di meecanica fonatoria, tende a restringere progressiva- mente la camera di risonanza che si forma nella cavita orale (ra la lingua e il palato duro (a ¢ i: serie palatale) o [ra la lingua e il velo palatine (a o u: serie velare). Si tratta in so- stanza d'un indebolimento della vocale, una vera e propria ri- duzione che, spinta a) limite, pud condurre alla totale scompar- sa, 0 sincope, delia vocale interessata. Fenomeni di sincope vo- calica sono comuni a tutte le lingue, e anche if latino di epoca storica ne attesta diversi casi — tipici sopratiutto della lingua parlata — che hanno portato alla costituzione di numerosi dop- pioni (calidus /caldus, ualide/ualde, solidus /soldus); ma nella maggior parte delle sincopi di sillaba interna va senz‘aliro rico- nosciuta una pura e semplice prosecuzione o esasperazione del fenomeno apofonico: quétio — * conqudtio > concittio® nenio, peruénio ecc.: gradior /congrédior invece di * congridior ece.: pation / per- petior invece di * perptiar) non mancano i tentativi di spiegazione, nessuno dei quali @ tuttavia pienamente persuasive. Si noti infine che di (ronte a ago /exigo si ha dctus /exdctus, cam'é ovwio dato V'allungamento della quantita radicale nel participio passato: meno owvia, invece, la causa dell'allungamento stesso, per quale non sembra pid valida la cosiddetia « legge di Lachmann » (allungamento di compenso per Ie vibrazioni perdute nell'assimilazione della sonora ¢ alla sor- dat: Tag-tos > de-1s), oggi messa in crisi dall'intervento di J, Kunveowcz, A Remark on Lachmann's Law, «Harvard Stud. Class. Philol, » 72. 1968. pp. 295- 299, sut quale rinviamo a Liaccento latino, cit, p. 33, n. 30. Vp. 80 2 (2p CAPITOLO 1 tacio conjicio > conicio® uideo prouidens > * proudens > pridens sino *posino > “posno > pono rego * subsrégo > surgo semis * semistertius > sestertius quingue * quinguédecem > quindecim. § 3. Natura e cause dell’apofonia latina Uapofonia latina non incide sui valori grammaticali e se- mantici della parola che ne interessata: conficio rispetto a fa- cio non comporta alcuna variazione nella categoria morfologica, e il passaggio del significato da «fare » a «compiere » dipende esclusivamente dalla prefissazione (con-), non dall'oscuramento di a in i. La grande differenza tra l’apofonia indoeuropea e t'a- pofor latina 2 appunto questa: la prima é funzionale, la se- conda @ meceanica; luna investe nello stesso tempo il dominio fonetico e quello morfologico-semantico, I'altra 2 puramente fo- netica. Per quanto irrilevante sul piano funzionale, l’apofonia meccanica si rivela tttavia preziosa ai fini dell'analisi_prosodi. ca: siccome il meccanismo interessa solo le vocali brevi, baste- ra constatarne la presenza per essere sicuri della quantita breve nella vocale, sia in quella d'origine che in quella risultante (a parte, naturalmente, l'esito dei dittonghi). Questo criterio @ di per sé infallibile, ma bisogna ricordare che l'apofonia meccani- ca @ una tendenza e non una legge, per cui, come si @ visto, si danno casi in cui essa non si realizza: occorre percid guar- darsi dal sitenere valide il criterio, solo in apparenza comple- mentare al precedente, che I'assenza dell'apofonia garantisca la quantita lunga (cfr. il tipo calefacio, perdgo ecc.); anche se @ * La caduta di + upofonica comporta la vocalizzazione di + consonantica. Ma anche la forma intermedia, che mantiene -ii-, attestata in sede metrica, anche se la grafia unifica le due i: v. p. 136. n. 5. PROBLEM! DI FONETICA Ww vero che le vocali lunghe sono sempre ¢ assolutamente esenti dall'apofonia. Tl fatto che le vocali lunghe rimangano intatte si spiega con la stessa considerazione che il turbamento delle brevi @ in defi- nitiva un indebolimento: le vocali lunghe, dotate di maggiore durata _e quindi, per cosi dire, fisiologicamente pit robust, hanno la capacita di resistere alla forza che tenderebbe a modi- ficare il loro timbro: si @ gid visto, nelle sillabe chiuse, come una protezione, sia pure parziale, venga assicurata alle stesse vocali brevi dalla presenza della consonante di chiusura. Ma quale é questa forza perturbatrice? « Nella maggior parte delle lingue, le sillabe immediatamente vicine alla sillaba accen- tata sono le pit deboli»'; in queste sillabe atone, infatti, si ve- rificano comunemente gli indebolimenti ¢ le sincopi. La condi- zione di debolezza coincide con quella dell’atonia, la forza per- turbatrice si identifica con quella stessa dell’accento, che, reclamando per la propria sillaba un aumento dell’altezza ¢ del- la intensit&, contemporaneamente ne depaupera le sillabe atone e, fra queste, anzitutto la precedente ¢ la seguente. Se ora si considerano parole apofoniche come conficio dimidius aitingo ex- salto. appare evidente che di tali apofonic non pud essere rite- nuto responsabile l'accento tisillabico, poiché la sillaba tonica coincide, in questi e in molti altri casi, con la sillaba apofoni- ca. L'apofonia meccanica, d’altra parte, risale a un'epoca « pre- letteraria »: se ne deve concludere che la sede dell'accento nel latino preletterario non era regolata dalla legge della penultima, € cosi nasce il problema della localizzazione di questo accento che si pud chiamare « preistorico ». Partendo dall’assunto che la sillaba pit) debole, e quindi apo- fonica, deve essere contigua alla sillaba tonica, parole della struttura di conffcio e aitingo impediscono di pensare che lac: cento cadesse nell‘ambito delle tre ultime sillabe: conficio esclu- de tanto la terzultima, che @ la sillaba apofonica, quanto I'ulti- "PR Gave. dniroduzione @ une wonw delVaccento, cu. p 57 128 CAPITOLO Iv M4, che non le & contigua; dal canto suo attingo mostra l'apo- fonia nella penultima, che resta anch’essa esclusa da ogni pos- sibility d’accento. Poiché dunque la sede tipica dell‘apofonia Mecanica risulta in ogni caso la seconda sillaba? (conficio ut- 48 dimidius ilico sedilus itidem capitis legite ecc.), unica se- © Dossibile rimane quella iniziale: la conferma viene dalla con- slatazione che una vocale breve di sillaba iniziale resta intatia, Come deve accadere in sillaba accentata. Dunque l'accento lati- nO di epoca preletteraria aveva la sua sede fissa nella prima sillaja qualunque fosse la lunghezza della parola. Renché non siano mancate e non manchino opinioni diverse \. Bibliografia), vi @ stato un largo consenso da parte degli Studigsi sull'accento preistorico protosillabico; ma, parallelamen- '€ alla questione che investiva l'accento storico, non poteva polemica intorno alla sua natura: intensi- < ¢ prevalsa a lungo, anche tra i « melo- disti ,, fu che Iaccento preistorico fosse intensivo: poiché si do- veva spiegare la questione in termini di giochi d'energia varia- ™€Nie distribuiti fra sillabe toniche ¢ sillabe atone, era owiv che si pensasse a un accento «dinamico »; cosi nacque, ed eb- ‘wrande fortuna, la rapida e icastica definizione dell’accentw Preistorico, protosillabico ¢ intensive, come « intensita iniziale ». nozione dell’accento che oggi si va imponendo (v. p. 78 5.) toBlie valore anche alla diatriba pro e contro l'intensita iniziale: "aceento preistorico, non meno di quella storico, poté essere S€NLito dai parlanti come un accento melodico senza che ci ‘MP edisse alla coesistente componente intensiva di agire come fore a riduttrice delle sillabe deboli post-toniche. 8%. altri fatti di vocalismo Nari fenomeni evolutivi, oltre l'apofonia meccanica, carat Casi di sillaba apofonica in sede pia distante andranno spiegati come k MOMeni analogici: interficio su conjtcio. certaminis su fluminis, ece. PROBLEML DI FONETICA 129 rizzano il comportamento delle vocali latine nel passaggio dal- Tepoca preistorica o protostorica allo stadio che si definisce co- munemente « classico ». Qui ci occuperemo di alcuni turbamenti che, a differenza dell’apofonia, colpiscono la parola nella sua parte finale, e proprio perché incidono sulla struttura fonetica della desinenza, a cui i) latino affida funzioni morfologiche es- senziali, assumono un rilievo morfologico di primo piano. Alcu- we artificiose classificazioni a cui @ costretta la grammatica ftormativa — legata a una visione sincronica della lingua e, per lunga tradizione scolastica, della lingua per eccellenza «classi- cu» — possono cosi ricevere luce dalla fonetica storica. Perché, per esempio, l'imperativo di capio viene a coincidere con quello di fego (capé, tegé), contribuendo a unificare due categorie di temi verbali che all'origine sono nettamente distinti? 1] tema di vapio esce in -i- (v. p. 170) € l'imperativo, al singolare, coinci- de col puro tema; la sua forma originaria era dunque * capt. Mau il preistorico accento iniziale, oltre a modificare la vocale breve della sillaba postonica, poteva influire anche sopra la sil- (abu pit lontana, quella finale: sia pure in diverso grado, con elicui_ diversi e in concorso 6 in contrasto con influssi d’altro genere; e non pare dubbio che sia responsabile, in misura rile- vante, dell'apertura in -€ d’un originario -1. Cosi da * capi si & avulo capé, del tutto analogo a degé; e per le stesse ragioni si é comituita anche ta categoria dei nomi neutri in -e della terza declinazione, che formano anch’essi il nominative con il puro tema (v. p. 167): * mart > maré'. Ancora l'influsso dell'accento protosillabico da un lato, ¢ dal- Valtro la tendenza delle sillabe finali a ridurre la durata della propria vocale? spiega le apocopi di 2 nei tipi ducte) illicte) e ‘ Alicimenti spiega Maria Luisa Poazio Geant, Interference tra struttura mor- felwaica ¢ siruttura fonologica nella sillaba finate tating, « Studi ital. di linguist. feurlca © applicata» 6, 1977, pp. 113-124: seazione al tendenziale indebolimen- delle sillabe Finali. 4‘ Tendenza gid chiaramente nowta da Quintiliano, 1, 11, 8 € 11, 3, 33: cfr, AMOFRMANN, op. cit, p. 44 ss, 0 CAPITOLO tv le sincopi di -i- nel tipo Maecenat(i)s, fonti, come si é visto (p. 98), di ossitonia; quando poi Ia sincope colpisce una -i- che appartiene al tema (* arts > ars, *urb(s > urbs; che -i- sia tematica @ assicurato dal genitivo plurale: arti-wm, urbi-um), il nominative viene esteriormente assimilato a quello dei temi consonantici (* reg-s > rex) e cosi resta vanificata la distinzione tra «parisillabi» e « imparisillabi» della terza declinazione (v. p. 166 ss.). Un altro esempio significative: uno dei pit venerati idéla grammaticali, il «genitivo locativo> (v, p. 201 ss.), crolla di fronte alla storia dell’evoluzione fonetica. La desinenza del caso locativo, -f, si agglutinava ai temi della prima declinazione, a-, e della seconda, in -d/é-, provocando cosi la formazione dei dittonghi -ai (atraverso -4/) e, rispettivamente, -ei; la naturale evoluzione di -ai in -ae € -ei in -i> portd alla completa omofonia tra locativo e genitive, benché quest’ultimo partisse da basi completamente diverse: loc. Roma-i > Rondi - gen. Ronde > Romi | > Roma: > Romae loc. Delt > Deter . > gen. Del-i Delt Accanto a questi fenomeni di evoluzione qualitativa (che ciot riguardano il timbro della vocale), la cui genesi ha radici pid o meno affondate nella preistoria del latino, altri tipi di evoluzio- ne sono almeno parzialmente controllabili neil'ambito della lin- gua storicamente documentata e interessano in particolare la quantita. In primo luogo va ricordata la legge dell’abbreviamento giambico (detta anche delle breues breuiartes), che sembra da ! Tranne aie oi. che diventano ae © ce, witi gli altri ditonghi preistorici v protostorici si trasformano in una vocale lunga: ¢ > f (celuts > ciwish, ou > u PROBLEM! OI FONETICA 31 ricondurre a ragioni pid propriamente ritmiche che fonetiche, sebbene anche qui si possa scorgere un riflesso della gia citata tendenza alla riduzione finale. In base a questa legge. bisillabi di struttura giambica (W —) tendono a trasformarsi in pirrichi {WU U; su queste misurazioni prosodiche v. p. 261, n. 1): * md- fe > maid, * bend > béné, modd > médé, * nisi > nisi, paid > pritd. La legge (che nella poesia scenica arcaica riguarda an- che le sequenze bisillabiche di parole pia lunghe che si trovino im particolari situazioni ritmiche o accentative, © sembra coin- volgere anche le quantita di sillaba chiusa: per es., gubemmabant misurato U U — — anziché uw — — —), ha condotto talora a esiti definitivi (Géné male nisi), pit spesso ha costituito doppio- ni prosodici, ampiamente sfrutiati in poesia come alternative metriche. Se & vero, come molti studiasi sosiengono, che |'ab- breviamento giambico @ responsabile, almeno in parte, di -4 nel hominativo della 1 declinazione (temi in -4-) a partire appunto da parole originariamente giambiche (*rdsé > rdsd), anche questo fenomeno avrebbe origine antichissima; ma @ certo che vaso & ancora attivamente operante in ela arcaica. Lo stesso deve dirsi della norma per cui una vocale lunga tende ad ab- breviarsi se, nella stessa parola, & seguita da un‘altra vocale (uncalis ante uocalem corripitur), come nel passaggio, che si é uppena accennato, da * Romd-i a *Romdi. In eta arcaica que- atu norma gradualmente si generalizza (Plauto perd sembra iynorarla: egli scandisce sempre réi, fii, ecc.), lasciando intatto wlo il genitivo in -df accamto a quello evoluto in -ae, la desi- nena igi della quinta declinazione (diéf rispetto a réi), le voci di fio prive di r (flo filam ma fieri fierem) e, parzialmente, i ge- Witlvi pronominali in -ius (istivs totius, ma anche -ius in poe- Utamectas > Lacius), ew > a (attraverso la fase ou: *deuco > *douco > dae tw), inoltre, of pwd anche chiudersi in a (miinire, Punicus di fronte a moenia, fons) ovwero, in sillaba finale o preceduio da % im 7 (altraverso la fase ei: “duminoi > *dominei > domint: uinwn < *ueinom ma cir. gr. Foivos). Quiante ad ai, si mantiene nella lingua colta mentre la lingua rustica tende a whindere in 4: lautus / ldius, cauda { céda (per una singolare reazione urbani- ica 4 questa tendenza, un originario plédo & diventato plaudo): v. p. $1, a. 4 da Terenzio in poi); naturalmente si sottraggono alla norma i semi reci, che hanno un regime tutto particolare (v. p. 108 ss.). Ancora |'eta arcaica permette di documentare un altro im- Portante tipo di abbreviamento: i polisillabi uscenti in conso- nante diversa da -s abbreviano la vocale dell'ultima sillaba. Cosi si ha amar e audit rispetto a amas amare, audimus auditis ece., Iribunal rispetto a tribundlis, hondr rispetto a hondrem (e all’altra forma di nominative honds, sulla quale v. pp. 137 ¢ 151). In particotare, davanti a -mt l'abbreviamento @ pid antico: nelta desinenza del genitivo plurale, 6m (poi oscuratasi in -dt) Vabbreviamento della quantita originaria (testimoniata per esem- pio nel greco -wv: v. p. 159) & un fatto gid compiuto alle origi- ai del latino storico; cosi @ anche per Iaccusativo singolare dei temi in -@. (rosdm), ¢ per le voci verbali: legebam legam lege- rim (clr. legebas legamus legerétis). L’eta arcaica, dunque, ha sviluppato anche qui una tendenza riduttiva gia insita nella lin- gua, trovando i suci limiti solo nella presenza di -s (ma su cid v. p. 137 s.), nei casi di ossitonia (sempre illic, adhiic ecc.), talora nel monosillabismo (sempre sal, pdr, ma con -m e -t. ciot in desinenze flessionali, il comportamento non é diverso dai polisillabi: rem, fit). § 5. Aletani esiti italiani del vocalismo latino In fase preromanza il latino perse le distinzioni quantitative e ri- dusse il suo yocalismo alle cinque gradazioni timbriche a ¢ i o u. Ma in questo teapasso la quanuitd continud a giocare un suo muolo: in epoca classica alla diversa quantita delle vocali intermedie e e 0 corri- spondeva un diverso grado di apertura, cosicché é ¢ 6 suonavano aperte — ¢ g — mentre é ¢ 6 suonavano chiuse — ¢ 9 —. Alirettanto doveva accaglere per f i, a i anche se noi, oggi, non siamo in gradu di percepimne Ia differenza: ma & certo che i e ti dovevano essere, in forza della loro apertura, molto vicine a é@ 6. La semplificazione del stema vocalico tardolatino ebbe come immediata conseguenza I'w zione dei tinnbri i é e a 9, rispettivamente. Per questo, in i PROBLEM! Dt FONETICA (33 © @ corrispondono i timbri chiusi e ¢ 0; ¢ Questo permette, quando la parola latina sia passata in italiano per via naturale (ciot orale) di ri- conoscere la quantita breve di i © u latine grazie alla semplice consta- tazione che in italiano vi corrispondono rispettivamente ¢ € 0: ital. metto << lat. mitio ital. croce < lat. orice + pero << > piu! =» giogo << * iigum * mero <<» onignun —&vergogna <> uerectindia « vede < » ulder » foga < » faga + vedova < » uldua » noce <5 niicem vescovo < + episcopum » tore =< » tairrem s veo <<» alti » wlto | < + weiltum Un altro esito tipico dell’italiano, che consente di risalire con quasi sssolula sicurezza alla quantita latina, @ la dittongazione avwenuta in sillaba tonica aperta (ma talora estesa anche a sillabe atone) di é in we, di & in wo: tral. dteci < lat. décem ital. nuovo < lat. nds + plede << » pédem > faoco < » cum > dlede << » dédit » haogo <<» ‘Kcum + lero < © forum » giucco < » idcum » wene <6 udnit » more << + mbrit(ur) » mileere << » métere + buono < + bénum » pierce < » petra * onmovere <> méuere Anche per questi mutamenti, come gid per quelli apofonici, occorre avvertire che la loro presenza garantisce la quantité breve della vacale originaria ma la loro assenza non indica di per sé il contrario, ossia \s quantits lunga: analogie, incroci, assimilazioni possono sempre ma- seherare o annullare il cambiamento (nave da nduem, bove da béuert). Si aggiunga la formazione in italiano di molti «allotropi» dotti, cioe di parole che la lingua colta riesuma dal latino letterario (= seritro), ' Le forme romanze dei nomi latini risalgono generalmente alla forma del- accusative, con successiva perdita di -m; v. p. 139. 134 CAPITOLO Iv dopo che la tradizione orle le aveva gid sottoposte ai normali muta- menti fonetici: in questo modo arrivano a coesistere accanto agli sorali» vezzo foga intieroj «dot» vizio fuga integro?. Inoltre, ditton- gazioni come quelle di wom ¢ fiera (« festa +) presuppongono un tardo- latino * dunt * feria CON un cambiamento quantitative rispetto al lati- no classico ouum féria® Ma nel complesso le testimonianze italiane del tipo accennato (e, Con alcune differenti modalita che qui tralasc mo, quelle di quasi tutte le lingue romanze “) sono attendibilissimi dici della quantita vocatica laina § 6. Le semivocali In latino come in italiano, a ciascuno dei due segni i e u corrispondono due distinc funzioni: in ieri e uomo come in jam © uorax, i e u designano dei veri e propri fonemi conso- nantici, in invece e uttico come in ita e uxor indicano vere vo- cali. L'incongruenza dell'alfabeto (alla quale i linguisti rimedia- no distinguendo il suona consonantico o con j e vo con ye wo, molto meglio, con j ¢ y) & dovuta all’identita timbrica di ie i, di ue cid che a parita di timbro, fa diversi i due ti- pi, @ il minore o maggiore ostacolo frapposto dagli organi fo- natori alla corrente d’aria jn espirazione. Nella scala che classi- fica i fonemi dat massimg grado di apertura (la vocale a) al massimo di chiusura (le consonanti occlusive: b p dtc g), i ¢ 4 sono le pitt chiuse tra Je vocali, j e y le pit aperte tra le consonanti; tra le une ¢ le altre la distinzione @ minima, c: ché non sorprende che a volte la lingua si consenta oscillazioni 2 Per lo pit, com’e evidente dg questi esempi, I’allotropia fonetica comporta anche una differenziazione semaniica. V. anche p. Sl en. 4. * Cosi G. Routes, Fonetica (y, sibliografia, $). p. 75; ma per fiera < feria i potra pensare, pid semplicemente, a una metatesi di i. lo spagnolo presenta la ditiongazione di 2 e 6 toniche anche in sillaba chiusa: t@rra > tierra, moriem > muerte. PROBLEM! DI FONETICA 135 di ie « dall'uno all’altro stato: cosi il latino presenta doppioni come réliquos (trisillabo) ¢ relicdios (quadrisillabo), silua ¢ silita, tenttis e tenuis; e in fase preromanza consonantizza regolarmen- te i interna in iato: pretium > * pretium, filiolus > * filiolus (ma gia in Virgilio abjerem parietem, v. p. 99 s.'). Questa in- stabilita, dovuta appunto alla natura intermedia di tali fonemi, al limite tra le vocali e le consonanti, spiega perché a { e y sia stato dato il nome di semivocall 0, che @ lo stesso, di se- miconsonanti. In generale, la natura consonantica di i e w @ condizionata dalla posizione che if fonema occupa nella parola e dalla natu- ra dei fonemi contigui: 4) i & consonantico in posizione iniziale prevocalica e me- diana intervocalica: jecur, major ?; diversamente ¢ sempre voca- le; b) u & consonantico nelle stesse condizioni di i: vectigal, lauare; tra consonante e vocale si ha ora yu (suadeo, aqua, par- uus, alyus; inyideo) ora u (assidiiitas, tendiis, praecipiius, fii). Ma per cid che riguarda i occorre notare che i grecismi as- sunti dal latino letterario rispettano le norme del greco, che ignora j; quindi, per esempio, sempre con i vocale, fiilus (Tov- }os) ?, Trofus (Tedws) *. Si & gid visto, inoltre, che a -{ intervo- "Ein Virgilio ancora omnja, precantia, fluujoram ¢ come par certo anche Lauiniague di ADE partire da Ennio, v. la messa a punto di J, Saranewice, Now sur le dévlope- ment de Vi devant une voselle en latin, « Bos» 63, 1975, pp. 89-95. ? $i eccettuano le forme del verbo 40 ¢ del pronome és in cui i radicale conserva la sua natura vocalica anche nelle occasioni in cui la flessione da logo @ contiguita vocalica: iens (cfr. p. 191), le forme del perfectum quali ii < et (< *eiui), ieram, ece., ¢ fi, sis di is ea- id. + In Verg. Aen. 1. 288 ficdius a magno demissum nomen Talo, si specchiano, tm apertura © chiusura di verso, nome latino, con i consonentico, ¢ nome di suruttura greca, con i vocalico: & etimo inventato dall'intenzione celebrativa. + Ma Troja accanto a Trofa {e sempre Trojamus) 2 indice di awenuta latiniz- nuvione. 136 CAPITOLO Tv calico della rappresentazione grafica corrispondeva la reale pro- nuncia -ii-, con le conseguenze prosodiche del caso (p. 88); si @ appena detto del tipo dbiétem: aggiungeremo il caso dei com- posti di jacio, che approdano ai doppioni effettivi (benché non sempre distinti dalla grafia) coniicio / conicio, obiicio / obicio ece., con la conseguente oscillazione prosodica della prima sil- laba*. Quanto a -4 intervocalica, essa era soggetta a sparire tra due vocali di timbro uguale (che poi si contraevano) se la se- conda era atona: cfr. obltius < * obliuitus (ma obliyiscor), tatr- na < “lauatrina (ma laude), deléruni < * deléuérunt (ma dele- uérunt)*, ditis (ma diyitiae) accanto a diultis che @ forma rifat- ta per reazione analogica; dei tipi audéuit, dudiit, audit si @ gia parlato in alira otcasione (p. 98 s.). 8 7. Alcuni fatti di consonantismo Tra i fenomeni di evoluzione delle consonanti latine il pit vistoso @ quello, gia accennato nel c. II, § 12, che dal nome greco di r, «rho», prende il nome di rotacismo. Si prendano in esame le coppie seguenti: Guaestor : quaero * tempos (> tempus) : tempovis esse : eram esse : amare festus : feriae * Sono quindi in errore i di wid Gellio, 4, 17. * Sul tipo deférunt si creano poi per analogia ie altre forme « sincopate » come amdrunt néruxt. dove u delle forme integre non = tra vocali uguali (v. p. 163). ari che registrano cBnicio dbicio ece.: eff PROBLEM! DI FONETICA 37 hesternus : heri gessi = gero nefas : nefarius. Le forme con s presentano it consonantismo originario, le forme con r sono frutio di evoluzione. Come & evidente, r com- pare al posto di s soltanio in posizione intervocalica: qui l'ori- ginaria s sorda dapprima si sonorizzd, poi si mutd in ¢. Il fe- nomeno é@ databile con buona approssimazione al IV secolo aCr,, grazie ad alcune concrete testimonianze de; «Cicerone, Fam. 9, 21, 2, ¢’informa che L. Papirio Crasso, pretore e dittatore nel 340 a.Cr., printus ‘Papisius’ esi uocari desitus. e i Digesta 1, 2, 2, 36 riferiscono che fu Appio Claudio Cieco (censore nel 312, console nel 307 ¢ nel 296) a sostituire la grafia Valesii, Fusii con Valeri, Furii. Ora, se si considera che per ovvie ragioni, sono i nomi propri, fra tutte le parole d'una lingua, a trasformarsi pit leniamente, non sara azzardato ammettere che nei nomi comuni il rotacismo era un fatto com- piuto verso la meta del IV secoto»'. Rinviamo ancora a p. 63 s. per i casi di persistenza di -s- intervocaliche; qui noteremo che una -r- [rutio di rotacismo poté talora estendersi, per ana- logia, a posizione non imtervocalica: @ i] caso dei nominativi come labor, honor, etc. che l'uso ha dapprima affiancato e quindi fatto prevalere sugli originari labos, honos sulla base dei casi obliqui faboris honorem etc. Cid, talvolia, non é@ stato sen- za vislose conseguenze prosodiche: fabés e honds hanno 6 ori- ginaria, mentre /abor e honor abbreviano o davanti a consonan- te finale diversa da -s, per la legge fonetica che si 2 gid consi- derata (v. p. 132). A quest'ultima legge @ forse da collegare un’altra caratteristi- ca di -s, peculiare dell'eta arcaica: il fenomeno della cosiddetta -s cadica. 11 famoso esametro di Ennio, ann. 377 Vahl. 2, * NIEDERMANN, op. cit.. p. 98 138 CAPITOLO IV nos sumits Romani qui fitimus ante Rudini non solo testimonia in faimus il non ancora avvenuto abbrevia- mento ante uocalem, ma richiede che la scansione non tenga conto di -s in sums (come si usa dire, -s «non [a posizione ». altrimenti darebbe una sillaba chiusa, cio? lunga, in luogo della breve che qui @ necessaria). Questo genere di testimonianza metrica é diffusissimo in tutta la poesia arcaica, e poiché coin- cide con la testimonianza di varie iscrizioni (molti_ nomi propri al nominativo senza -s; per es. Comelio per Comelius), se ne deduce che la versificazione seguiva in tali casi una tendenza insita nella lingua parlata. Supporre., come é consuetudine, che Vinstabilita di -s si limiti al tipo sums) Romani, & prudente ma, forse, eccessivamente rigoroso: accertato che, per un nor- male fatto di sandhi (v. infra, c. VID, -s non cade mai davanti a vocale (non esiste il tipo fuimuls) ante), non @ da escludere che -s potesse cadere anche dopo vocale lunga. La metrica, a questo proposito, non pud dare alcuna indicazione, perché ho- nés € honds) sono prosodicamente identici, ma da un lato non Manca nemmeno in questa direzione la testimonianza epigrafica (maio per maids, forma non ancora rotacizzata di maior), dal- Valire proprio il mancato abbreviamento del tipo honds, labés viene a coincidere col normale mantenimento della quantita lunga in sillaba finale aperta (impedito solo dall’abbreviamento giambico, v. p. 130 s.), e cid pud far pensare a una pronuncia hondts), tabots). Comungue sia, il fenomeno di -s cadiica fu, come si @ detto, limitato nel tempo: la lingua classica mostra di avere gia com- pletato la reazione (del resto gid avviata in epoca arcaica: il ti- po sumu(s) Romani coesiste col tipo sumus Romani) ¢ piena- mente ristabilito la consistenza di -s, benché l'antica tendenza avesse ormai definitivamente fissato, accanto a magis ¢ potis, i doppioni magé © poié (da * magi e * poti, v. p. 129) e, parten- do da pote sum su cui si dovette formare per analogia pote es, pote est > potes, potest, fosse giumta a creare la coniugazionc di possum (v. p. 187), PROBLEM) DI FONETICA Be Interessa invece tutto l'arco della latinita, e non la sola fase arcaica, il fenomeno di -m cadiica, per i) quale, a differenza di -s, non si pone il problema delta quantita vocalica precedente, che @ sempre breve in epoca storica (v. p. 132). Anche per mm la tendenza a scomparire in fine di parola @ testimoniata dalle iscrizioni ¢ dalla metrica; ci sono poi esplicite informazioni dei grammatici antichi? e, per il tardolatino, la vivente testimo- nianza delle lingue romanze, che hanno concordemente conti- nuato i nomi latini nella forma dell’accusativo senza -m (a par- te qualche monosillabo: franc. rien < rém, spagn. quien < quém). E mentre -s arcaico cadeva davanti a consonante e per- sisteva davanti a vocale, -m mantiene la sua consistenza proso- dica davanti a consonante (dove « fa posizione »), la perde inve- ce davanti a vocale: non equide(m) inuideo?. La ragione di tale comportamento é forse nel fatto che, mentre per -s si tratla di vera ¢ propria instabilita del fonema (0 era pienamente pronun- ciato o non fo era affatto}, -m era un suono evanescente, e po- teva percid ridursi ad appendice nasale della vocale precedente; secondo il Niedermann, cid implicava per il nesso vocale +m un comportamento da pura vocale se era seguito da vocale (quindi la sinaléfe, v. p. 257), un allungamento della quantita se era seguito da consonante *. iano, Velio Longo, Prisciano: cfr. testi @ discussione in NIEDERMANN, op. cit pp. 101-102. » Sulle conseguenze per la pronuncia. v. p. 257 ss. “ NIEDERMANN, op. cil.. p. 103. BIBLIOGRAFIA L. Particolare atienzione agli esiti dell'apofonia indoeurapea & dedi- cata dai grandi manuali: citeremo almeno W.M. Linpsay, H. Nout, Die lateinische Sprache, Leiprig 1897 (= Hildeshcim 1984), pp. 291-300; M. LEUMANN, Laleinische Grammatik, I, Lateinische Laut- und Formen- Tehre, Miinchen 1977? (1926-28' = 1963), pp. 29-41 (comparsa nel suo ultimo anno di vita, profondamente rielaborata ¢ molto accresciuta pur nella ribadita coerenza del latinista di scuola € di visuale comparatisti- ca; V'ediz. 1926-28, benché si presentasse come quinta edizione della Laieinische Grammatik di F. Stotz, JH. ScCHMALZ, uscita nel 1885, era in realta il primo volume del suo completo rifacimento, realizzato dal Leumann per Ia fonetica e la morfologia, da J.B. Hofmann per la sin- tassi ¢ la stilistica: su questo secondo volume v. Bibliografia del c. VI: un indice dei Iuoghi e una serie di liste delle parole non latine citate nei due volumi dell’opera costitiscono un terzo volume a cura di F. Rapt e A. WESTERBRINK, Stellentegisier und Verzeichnis der nichilateini- schen Worter, Manchen 1979); F. SomMER, Handbuch der lateinischen Laut- und Formenlehre, Heidelberg 19142? (= 1948; 1902'), pp. 47-55 (una nuova edizione, per ora limitata a un primo volume contenente la sezione fonetica, & stata curata da R. Prister, Heidelberg 1977: ma Vaggiommamento, sia scientifico sia bibliografico, appare lacunoso € pre- cariok V, Pisani, Granunatica latina storica e comparativa, Torino 19744 (4938"), pp. 30-44; A. MEILLET, J. VENDRYES, Traité de grammaire comparée des langues classiques, Paris 1979° (1924), pp. 157-164; ma resiano esemplari le wre lucide pagine di M. NIEDERMANN, Précis de phonétique historique du latin, Paris 1959* (1906'; trad. ital. a cura di C. Passerini Tosi, Elementi di fonetica storica del latino, Bergamo 1948), pp. 81-83, dalla cui esemplificazione abbiamo ricavato la sche- ma delle ahernanze. Questo @ notevolmente semplificato rispeto a quelli claborati (forse con troppa fiducia) dai linguisti, che usano una classificazione articolata sulle serie vocaliche di base (@, @ 6. 0; a, 4; BLIOGRAFIA ta per lo scarso rilievo che assume in latino la serie di a, abbiamo pre- ferito sopprimemne la categoria). 2. La diffusione, ormai radicata, del termine « apofonia > riferito al vocalismo dipendente dall’accento preistorico protosillabico, consiglia di mantenerlo nonostante il pericolo della confusione con I'apofonia fun- zionale indoeurapea; pid esatta, ma pit pesante, la definizione di debolimento vocalico» preferita dagli studiosi tedeschi (Vokaischwéck- ung). La pid limpida esposiziene dell’apofonia latina é di nuovo nel NieDERMANN, pp. 18-36, per I'abbondanza e la chiarezza degli esem ma non sono da dimenticare, oltre alle opere indicate per il § prece- dente, le pagine di A. Maier, Le phonétique historique du latin dans le cadre des langues indo-européennes, Paris 19755 (Louvain 1950'), pp. 125-134, prezioso per i riferimenti alla situazione generale indocuropea, e quelle di P. MonTEW, Eléments de phonétique et de morphologie du Jatin, Paris 1970, pp. 96-99. Denso e problemalico R. Gopet, Sur Ié- volution des voyelles bréves latines en syllabe intériewre, «Cahiers F. de Saussure» 18, 1961, pp. 53-69 (poi nelia silloge curata da K. Strunk, Probleme der lateinischen Grammatik, Darmstadt 1973, pp. 72-89). Di- scute alcune eccezioni dell'apofonia A. Trains, « Riv, Filol. e Istr. Class.» 92, 1964, p. 444 ss. Sulla mancanza di apofonia per analo- gia /ricomposizione in verbi d’uso pitt limitato v. W. MaNiczax, Le déve- loppement des voyelles médianes en latin, «Revue roumaine de linguis- fique » 25, 1980, pp. 353-357, Delle eccezioni all'apofonia e su apofo- nia tardiva soprattutto (ma non esclusivamente) in parole mutuate dal greco tratta ora Fréderique Biviute, La pertinence du critere apophoni- que dans {a datation des emprunis au grec et des faits phonétiques le~ fins, «Gloua» 66, 1988, pp. 190-210 © Des faits «apophoniques >» en latin vulgaire impérial? Lois phonétiques et régles phonologiques. in AANV., Latin vulgaire — latin tardif, I, cit, pp. 9-22 (Vavenuta o mancata chiusura di una vocale breve interna non testimonia di per sé che il prestito sia rispettivamente antico o recente, in quanto accan- to al fatto fonetico diacronico opera quello analogico sincronico). 3. Bibliografia ragionata sull'accento iniziale nel citato LEUMANN, pp. 246-248, fermo perd alia dicotomia intensivo/melodico: significativa, in proposito, Topposizione che vi si dimostra alle teorie di H. PEDER- SEN (sostenute dapprima nel corso di un articolo su Die Nasalprasentia und der slavische Akzent, «Zeitschrift {. vergl. Sprachforsch.» 38, 142 CAPITOLO IV 1905, pp. 297-421 [a pp. 338-339 sull'accento greco e latino), poi Zur Akzenilehre, ibid. 39, 1906, pp. 232-235), che non vedeva ostacoli a un‘apofonia dipendente da un accento melodico. Sia pure con altri ar- gomenti, la tesi del Pedersen ritorna, ¢ addirittura a proposito della sincope, in O. SzemeRENvi, Syncope in Greek and Indo-European and the Nature of Indo-European Accent, Napoli 1964 (contra V. PIsANt, «Paideia» 20, 1965, pp. 279-285). La coesistenza di intensita iniziale € accento melodica fu sostenuta da J. VeNoRYES in un‘opera rimasta per altri versi memorabile e ancora oggi fondamentale: Recherches sur Thistoire ct les effets de Vintensité initiale en latin, Paris 1902; e anche ManieT nel suo manuale citato ipotizza per Vepoca preletteraria «la coexistence d'un accent d’atiaque ou d'insistance portant sur la syllabe initiale et d'un accent d'hauteur portant éventuellement sur une autre syllabe » {p. 33). All'intensit’ iniziale si attiene Feccellente NIEDERMANN gid citato, Da diverse posizioni linguistiche sono tuttavia venule ac- cumulandosi le proposte di sganciare i fatti di apofonia e sincope dal Vipotesi dell’intensita iniziale. Cosi, nel citato manuale di MONTE spa- risce il concetto, oltre che il nome, della intensit& iniziale in favore di quello (sostanzialmente mutuato dal JuRET, cit., infra) di «dinamica del- la parola», che privilegerebbe la sillaba le mediante una pronun- cia pit lenta ¢ spiccata (non « intensa »); cfr. anche X. MicNor, Oni ne de Vapophonie en latin, in AA. VV., Mélanges linguistiques offerts a E. Benveniste, Paris 1975, pp. 419-426, per un ridimensionamento del- Ja relazione tra intensita iniziale ¢ apofonia. Tale relazione era stata decisamente negata da H. Rix, Die lateinische Synkope als historisches und phouologisches Problem, «Kratylos» 11, 1966, pp. 156-165 (poi nei cit. Probleme der latcinischen Grarimatik, pp. 90-102), ¢ cosi risul- ta anche all'analisi fonologica di T. JANSON, Latin Vowel Reduction and the Reality of Phonological Rules, « Studia linguistica» 31, 1977, pp. 1-17 (poi nel volume Mechanisms of Language Change in Latin, Stock- holm 1979, pp. 46-59), ¢ a quella pili recente di R. Ontce (comprensi va di una storia del concetto intensit iale da poi), L’apofonia nei composti ¢ Vipotesi dell'intensita in AAW., Metvica classica ¢ linguistica, Urbino 1990, pp. 195-236. Ad un accento preistorico pid libero di quello classico di penultima pensa M. Nyman, Reconstructing Compound Accentuation: on the Pre-Latin Initial Stress, « Arctos» 17, 1983, pp. 31-47. X. BaLtesteR, La posicién del acento prehistérico latino, «Emerita» 58, 1990, pp. 33-50 propone ora un accento preletterario latino che sarebbe caduto sulla prima vo- WHLIOGRAFLA 3 cale funga (ultima esclusa) o sulla prima sillaba nel caso la parola non presenti vocali lunghe; ¢ v. inoltre il gid citato lavoro di A.L. Prosbociai, Sull'accento latino ¢ italico (Bibliografia c. WN). 4./6./7. Per tutto il vocalismo ¢ il consonantismo si deve ancora citare in primo luogo il NIEOERMANN: la sua esemplificazione, sempre uccuratamente ragionata, é passata pid 0 meno in tutti i successivi manuali, Da rivalutare iutavia A.C. Juret, Manuel de phonétique latine, Puris (921, sovente eterodosso ma non di rado geniale, comprensibil- mente ma ingiustamente sopraffaito a suo tempo dalla concorrenza del Jeumann e del Niedermann; dello stesso Juret si ha un’agile sintesi destinataall'insegnamento universitario, La phonétique latine, Paris 4929. Nuova ¢ spesso stimolante la sistemazione del materiale in Ma- nut, che, come si @ dotto, vede i mutamenti latini nel quadro indocu- rupee © tenta di superare, sotto I'unica angolazione del reciproce in- Musso ira fonemi, la tradizionale distinzione tra vocatisma € consonan- tlxmo. Nella scia del Niedermann (e. per la morfologia. dell’Emout) € i) citato manuale del Monteit; esplicitamente volto a presentare in chiave struuuralistica gli esiti della fonetica storica S. MaRiner Bicor- wa, Fonemdtica latina, in appendice, ¢ in costante riferimento, alla so- lida Fonética farina di M. Bassois ve Cument, Madrid 1971? (19624), (u recente Phonologie quantitative conparée du tain ancien di A. Ma- niet (Louvainla-Neuve 1990) presenta I'analisi statistica dei fonemi la- Uni ¢ delle loro scquenze che figurano in un corpus di duemila righe del secondo sec. a. Cr. € nel corrispondente corpus pid antico di otto- conto anni ricostruito secondo i metodi della grammatica comparala. We non trascurare gli inquadramenti fonetici dei glottologi come C. Tacuiavint, Fonetica e morfologia siorica del latino, Bologna 1962? (pri- mu cdiz. della sola Fonetica, 1938), e il citato PIsaNt, pid informative ¢ dutile il primo, pid perentorio il secondo e non prive di vedute personali. Una recente presentazione dei prineipali fai fonetici (e nwrlologici) del latino si deve a F. Curatuoto, Problemi di lingua lati ‘a. Appunti di grammatica storica, Napoli 1991. Una serie di articoli che inquadrano singole questioni fonetiche sot- tw il profilo fonologico (ma, in apertura, un polemico intervento del Luumann) & raccolta nella sezione Lautliches dei citati Probleme der ia- dinischen Grammatik, pp. 19-102. Sulla convergenza delle diverse tec- ticle di moderna analisi fonologica: X. Micnot, Phonologie pragoise et whonologie générarive dans la description du atin, «Bull. Soc. Ling. 14a CAPITOLO 1 Paris» 70, 1975, pp. 203-231; l'eccelleme rassegna di Maria Luisa Porzio Gernia, Lo stato attuale degli siudi di fonologia latina, « Incon- tri linguistici » 3, 1976-77. pp. 137-152, offre una chiara sintesi, anche sul piano metodologico, degli appori della linguistica moderna allo studio della fonetica latina, ¢ ne precisa i limiti te prospettive; alla stessa studiosa si devono, oltre a quelli che citeremo infra, diversi contributi a problemi singoli: Gruppi consonantici e ditionghi in etd plautina: Valliuerazione come criterio di indagine forologica, » Rend. ‘Acc. Lincei », cl. mor. S. VIIT, V. XXVIL, 1972, pp. 249-264; Contributi metodologici allo studio del latino arcaico: fa sone di Me D finali, «Mem. Acc. Lincei », ch mor. S. VIL, V. XVII, 1973-74, pp. 111-337: Interference tra struttura morfologica € struttura fonologica nella sillaba finale latina, cit. Liinterpretazione in chiave sociolinguistica di alcuni problemi fonologici ¢ morfologici @ proposta da T. Janson nel citato volume Mechanisms of Language Change in Latin; esame e discussione di alcuni [atti di vocalismo e consonantismo in E. BERTOLI, Problemi di fonologia latina, Verona 1979. Sul vocalismo latino proposte abba- stanza rivoluzionarie (a partire da ae inteso non piti come dittongo ma come digramma che descrive il fonema e, lungo ¢ aperto, risultan- te dalla monottongazione di ai) in T, Francescw, Sulfevoluzione del vo- calismo dal tatino repubblicano al neolatino, nei citati Studi in onore di G. Bonfante, pp. 257-279; ma v. contra Maria Luisa Porzio GERNIA, Per una definizione del latino AE. Grafemi, sistemi, interferenza lingui- stica, «Arch, glowiol. ital.» 63, 1978, pp. 35-77. Si ispira all'apparato teorico e metodologico praghese e (unzionalista Giovanna MarorTa ne- gli articolati Contributi all’anatisi fonologica del voealismo latino clas- sico, « Studi e saggi linguistici » 21, 1981, pp. 85-131. Sull’abbreviamento giambico C. Questa, Itroduzione alla metrica di Plauto, Bologna 1967, pp. 31-70; importanti rilievi statistici in W. Maticzak, Jambenidiraung im Lateinischen, «Glotta» 46, 1968, pp. 137- 143; una sintesi delle personali idee di H. DRexter, Die lambenkiir- zung, Hildesheim 1969: Vorigine del fenomeno starebbe in un fatto di sandhi, ¢ nella (attispecie in una stretia connessione sintattica e se- mantica della parola in questione con la parola seguente; un’ampia in- dagine, comprensiva di una documentatissima storia degli studi sul [e- nomeno, & quella di M. BeTmini, La «correptio iambica», in AA.WV., Merrica classica e linguistica Pp. 263-409: reale e linguistica la correptio nei bisillabi giambici, licenza metrica negli altri casi. Secondo E. Peruzzi, f Romani di Pesaro e i Latini di Roma, Firenze 1990, pp. MBLIOGRAFIA a5, 187-194, la d delta I declinazione sarebbe un‘innovazione passata a Roma da latino arcaico di tipo pesarese. Sull'assenza di abbreviamento di vocale lunga seguita da -s in finale di polisillabo discute X. MIGNoT, ta quaniité des voyelles latines devant sifflanie finale, in AANV.. Mé- langes de philologie et de toponyntie romanes offers 4 H. Guiter. Perpi- gnan 1981, pp. 333-345. Sul rotacismo @ opera di riferimento J. SaFA- rewicz, Le rhotacisme latin, Wilno 1932; nuovi interventi: ancora la Porzio GERNIA. Lo statuto fonologico del fonema {si in latino, « Rendic. ‘Ace. Lincei x, cl. mor. S. Vill, V. XXVIII 1973, pp. 829-840, che to considera un mezzo per |'eliminazione di s sonora intervocalica, non lollerata dal sistema in presenza di s sorda; C. Touratter, Riotacisme synchronique du latin classique et rhotacisme diachronique, «Glotta* 53, 1975, pp. 246-281, che studia il fenomeno sotto il profile generati- vo-trasformazionale ¢ lo definisce come un fatto articolatorio alla stre- gua di *ferse > ferre, *uclse > nelle; € v. ancora A. ZAMBONI, Tra la dino ¢ neolatino: Tevoluzione delle medie aspirate ¢ le successive ristrut- turazioni dei consonantismo, «Indogerm. Forsch.» 91. 1986. pp. 215- 225; M. NEGRI, Sul traitamento in latino det gruppo *-sy-, in AANV., Linguistica e filologia. Atti del VIT Convegno di linguisti, Brescia 1987, pp. 411-415; F. Deita Corte, Ara, if roiacismo latino e Varrone, ibid., pp. 237-242 (rist. in 10. Opuscula, XI. Genova 1988, pp. 29-34); sul tipo honds /hondr J. KLAUSENBURGER, Rhotacism in Latin: Phonological or Morphological Rule?, in AANV., Studies in Romance Linguistics. Proceedings of the Fifth Linguistic Symposium on Romance Languages, Rowley /Mass. 1977, pp. 205-213, e anche in Morphologization: Studies in Latin and Romance Morphophonology, Tibingen 1979. pp. 37-42. Le idee accennate su -s cadica sono sviluppate da G. BeRNaRpt Perit nei gia citati Due problemi di fonetica farina, pp. 113-151; ridu- ve la caduta di -s a mero fatto analogico (Cornelio come Cato!) W. Maticzak, S final en latin archaique, « Siudii si cercetari linguistice » 26, 1975, pp. 519-525, peraltro interessato alla sorte romanza di -s, che vorrebbe disancorato dalle vicende del latino arcaico; recentemente Ste- (ania Giannini, Un problema di fonosintassi del latino: la consonante -s. «Studi e saggi linguistici » 26, 1986, pp. 111-136, sostiene che si ha mantenimento di -s davanti a vocale o a consonante compatibile per spostamento del confine sillabico, caduta invece davanti a consonante incompatibile; su potis, pore C. Guiravo, Un archaisme linguistique en Jatin: emploi de potis, pote, « Rev. Et. Lat.» $3, 1975, pp. 361-366. 6 CAPITOLO 5. Sugli esiti ro My, ole agh specifici manuali di tardolatino « di filologia romanz@ \V. Vagysyen. Introduction au latin vulgaire, cit: D. Noreers, Manuc?! Paigue de tatin médiéval, cit, le cui pp. 14-25 (20-35 della trad. it! citay somo dedicate a Le latin a la fin de Te. poque impériale; C. Tiny, Le origin delle lingue neolatine, Bologna (972° [(1949'D, va #©6 presence il gid citato E. Kueckers, Hist. far. Gramm., che dedic® posi paragrafi all‘evoluzione tardolatina ¢ ro- manza (mit BenickS*higuny des Valgdrlateins und der romanischen Sprachen), per U'itali@o, i)” piqao volume (Fonetica) di G. ROHLFS, Grammatica storica la tingua italiana ¢ dei suoi dialetti, Torino 1966 (rad. ital, di Mitonische Grartmatik der italienischen Sprache und ihrer Mundartert: «: Lautichre, Bern 1949), ¢ ancora il primo volu- me (Fonematica) di P- Texayeye, Grantmatica storica dell'italiano, Bolo- gna 1980? (1972), sy : PROBLEMI DI MORFOLOGIA § 1. Radice, tema, desinenza Per una trattazione morfologica di caraltere storico, o alme- no storicamente orientata, & indispensabile una definizione preli- minare di radice, tema e desinenza. 1, La radice 2 I'elemento trrtducibile comune a tutte le parole della medesima famigtia, indipendentemente dalla loro gramonaticale: per es. *fim- in tim-ére, fim-or, tim idus'; *rap- in rap-ere, rap-ina, rap-ax, rap-idus?; *hab- in hab-ére, hab-énae, hab-ilis; *cup- in cap-ere, cap-ulus («impu- gnatura »), cap-ax. Come tale, essa @ la portatrice del significato pid generale di una famiglia di parole, cioe @ il semantema {dal greco aia, «segno 1). La irriducibilité della radice @ relativa. Nelle lingue indoeu- ropee (come nelle semitiche) essa riguarda solo gli elementi consonantici. Gli_elementi vocalici possono variare: cfr. fac-ies, + « Pauroso «, gusta fa sua eumologia. « Timido > ¢ uerecundus ? Dei due aggettivi, forma von diverse sullisso, rapux ha conservaw (‘at werione fondamentale della radice, « prendcre con violenza ». rapidus ne ha svi- iuppate l'accezione secondaria della violvn.s travalgente {fiumi, venti, fuoco). ¢ quindi della rapidita, 148 CAPITOLO ¥ fac-ere, fac-ilis ma féc-i: dg-ere>, dilis, ag-men. < * dg-s-men ma ég-i; fOd-ere, fod-ina («cava») Na fod-i; nécem, nbc-are ma ndc-tre; iég-ere ma tzg-ula, t0g-a; fides ma fid-ere, foed-us; pend- Gre, pendtre, pend-ulus ma pond-u5, 4c. Si trata di spofonla 0 alternanze vocaliche, qualitative (qundo cambia la yocale) 0 quaMtitative (quando cambia solo | quantita) 0 enteambe (per es. fac-ere fég-i). In indoeuropeo aVeano una funzione semanti- ca* e comparivano in serie soprattuig ternaric; la pil comune era: grado zero (cio® assenza di Vale), grado é/é, grado_6/6. In greco le alternanze vocaliche S$, in complesso, ben con- servate; paradigmatica € quella che ‘pone le forme de! presen- te, del perfetto e dell’aoristo: gre ero gr. zero dei-w Aé-howr-a. é-hut-ov eyev-ounv ye-yov-a yiyyopos In latino, queste serie sono ormyj ridotte allo stato di so- pravvivenze, generalmente prive di funzione semantica. Inoltre, sono Stale oscurate da alterazioni Ptoprie della fonetica latina. Riprendiamo la serie di fides e patigoniamola con quella, eti- mologicamente corrispondente, di xeétoya: gre gro gr. zero ne{8-opat xé-nowW-a é-mo-uny feido > fideo —foid-us > fordus fid-es * Si ricardi (v. p. 24, n. 1) che Vaccezione originaria di ago, evidente net corradicali, & « spingere, condurre ». + Ancora operante in tedesco (cfr. sing-et. «camares, sung, «Cantal, ge- sung-en. *camtato») © in inglese (fo sing, 30%, sung). In questo paragrafo t- prendiamo brevemente, con diversa angolazioMe, Yargomento wattato a p. 117 PROBLEM 01 MORFOLOGIA 49 Altre opposizioni ternarie latine, pid o meno oscurate: prec-or, prec-em proc-us * pre-sco > *pore-sco® > posco stdseo / séd-es sobium® — * sissdoo > sido”, * ni-sd-os > nidus Pid requenti, ma anch’esse sostanzialmente svuotate di semanticita, le opposizioni binarie: *ob-cél-o > oc-cil-o* / cél-o clam ac-ies, deus | dc-er medi-dc-ris* sequ-or soc-ius '9 gen-us, gen-ui gigno La funziene.semantica detle alternanze vecaliche radicali in latino 2 operante solo nell'opposizione infectum /perfectum, del tipo fac-io_féc-i, 4g-0 fg-i, idc-io iéc-i, ém-o émi, udn-io uér-i, fod-io fod-i, fiig-io fitg-i, sulla quale v. p. 185; ¢ anche, ma solo in piccola parte, nella caratterizzazione degli antichi verbi cau- sativi a grado 0: noc-eo, «arreco danno», di fronte a nec-em, nec-o; mon-eo, « faccio ricordare », di fronte a men-tem, etc. (v. p. 180 s.). Ma, in realté, la vera apofonia latina, caratteristica del _sistema, &. quella_conseguente.. all’alterazione delle vocali brevi interne (v. p. 120 ss.), quella che oppone il semplice al compo- * Or & sviluppo tatino della sonante (v. p. 156, m. 5). * La -+ di sofium &@ comunemente (ma non concordemente) interpretata co- me un fatto dialettale (sabintsmo), riscontrabile anche nell'ahernanza odor /olzo € nei passaggi dingua > lingua, dacruma > lacruma (clr. Séxou), Digenia > ital. Licenza (il fiume sabino di Orazio) 7 Su) raddoppiamento del presente v. p. 184. * 1 passaggio ¢ > a dipende dalla natura di &: v. p. 122 % 4A mezza costa»: ocris, attestato in Livio Andronico, significa «colle» (cfr. i toponimi Oirieoli < Ocrieulum ¢ Antrodoco < * Adivterocrium): la radi ce & quella di dupug ¢ dxgdnodss. © La labiovelare si riduceva a velare davanti af: cfr. laqueus ma lacio 150 CAPITOLO. ¥ slo (factu/conficio, factus/confectus, manus /eminus, annus / biennium), il semplice al derivato (nouds / nouitas, manus / mani- ca, exul/exilium, ita / itidem), il nominative ai casi_obliqui_della terza declinazione (lumen /fluminis, cinis.Leineris), Vinfecn um al perfectum a raddoppiamento (cado/cecidi, caedo/ cecidi, pariof peperi). Ma c’é un altro elemento che apparentemente limita |'irridu- cibilita della radice: cfr. iug-tom, con-iug-em ma iung-ere; frag-or, frag-ilis, frég-i ma frang-ere; piig-io, pu-piig-i ma pung-ere; fig- ulus, ef-fig-ies, fig-ura ma fing-ere; legi-riip-a, riip-i ma rump-ere, etc. Questa -p: (a -m:) che troviamo nella radice dei verbi si chiama. {ufigsp nasale © serviva originariamente a indicare Ta namismo del processo verbale (e percid era proprio dell’infec: tum, essendo il perfectum per sua natura statico: v. p. 218). Ma iv latino questo valore si 2 conservato solo nella coppia cub-o, «sto sdraiato» / -cumb-o'', «mi sdraio», tant’ vero che I'in- fisso nasale @ potuto passare per analogia al perfecium. e/o al participio perfetto: iunxi iunctus, fini, punctus '2, ete. ?. . La desinenza 2 quella forma variabile che indica la posizione della perola nella flessione (nominsde 0 verbale), os- ala, da un punto di vista sintattico, la sue funzione pelle pro- posizione''*. Praticamente. le desinenze specificano i} genere,_il “| Solo ner compost ae-, re, mecumtbo, etc. IN pertetto -cubus & comune a bo. "2 Finxi peobabilmente perché * fixi si sarebbe confuso vol perfetio di figo: la nasale finisce col passare al participio perfetto finctus > ital. finto. Quamo a punci per pupugi v. p. 182. © Siamo quindi di fronte a un fenomeno di « demorfologizzazione », v. J KLAUSENBURGER, Morpholugization, cit., p. 49 ss. si pud parlare di desinenza negli avverbi, spesso di origine nominale: parti & antico accusativo (v. p. 15S, n. 2), heri locativo (v. pp. 130 © 201 ss.) forié ablative, etc. Altrimenti si parlera di suffissi (er eich cfr, F. Curaworo. La formazione degli awerbi in latino, Napoli 1967. PROBLEMI DI MORFOLOGIA Is] ‘aso il numero nei sostantivi, la persona e il numero nei time-o timor timé-s fimor-is timb-t timort timé-mis timér-ém timé-tis timor time-ni dimér-é La_desinenza pud mancare, come nel nom. fimor (a prescin- dere dall'alternanza quantitativa della o'*). In tal caso si ha una_desineuza zero, ¢ la parola_pud essere ridotta, al puro. te- ma, come nella II pers. sing. dellimperative presente (rimé), nel vocative singolaxe della UL declinazione (doming) o nei nomina- tivi_neutri della III (flumen). “TH Tolta ta desinenza, resta il tema (detto anche radica- Je} esso si pud definire come la forma che serve di base alla flessione delln parola. Ne! caso di fimére, @ * timf-; di timor, & * timers < *timds-; di timidus '* & * timido-, etc. “TI tema, consta della radice e di uno pil sullissj: * tim-é- (la_vocale che termina. il 1ema si c vocal¢ tematica_o_pre- desinenziale), * tim-os-, *1im-id-o- (qui i i il suffisso_aggettivale -id- ¢ la vocale tematica -o-). I suffis sono raggrupparsi per formare temi morfologicamente pi com- plessi e¢ semanticamente pit definiti: * tim-é-bd- (tema dell'im- perfetto indicativo). * ex-tim-e-sc-e- (tema dell'infinito presente \ * Alternanva secondarta. 1) paradigma originario era * timds, * rimdsis; poi (a lunga @ passata dal nominative ai casi obliqui e la -s- si & rowacizzata: * més. timéris: infine lar © passata dai casi obliqui al nominative abbreviando la 0: timér, timéris (efe. i doppioni honds / hondr ete. ¢ y. pp. 132 € 137). '© Nominativo originario timido-s. v. pp. 38 ¢ 42. 152 CAPITOLO ¥ dell'incoativo extimesco, formato dal tema verbale * timé- pit il suffisso incoativo -sc-), * tim-id-i-tat- (tema dell'astratto sim < *timiditat-s, formato dal tema aggetlivale * timido-'7 pit il suffisso di astratto -:di-}, etc. Cosi si formano temi di derivati verbali (frequentativi: exagite, rapto, quasso, etc.; desiderativi capesso, esurio, etc., v. pp. 171 8. € 179 5.) € nominali (dimi- nutivi: serudlus, ocellus. corcittum, etc.; peggiorativi: erro, -dnis, « vagabondo », Naso, -dnis, propr. « Nasuto », etc.). Anche i suffissi (comprese le vocali tematiche) possono pre- sentare alternanze vocaliche: dic-end-us /dic-und-us < * dic-ond- os (cfr. la formula arcaica iure dicundo; il vocalismo o @ rima- sto in gerundivi aggettivali come secundus < *sequondos, «il seguente », v. p. 63, n. 1; oriundus da orior)"*: nom. seru-d-s / voc. seru-é, v. p. 154. Si noti ancora, nei citati ex-timescere 0 ex-agitare, la presen- za del prefisso ex- {i prefissi premessi.a un tema verbale si de- fiominano meglio preverbf). Esempi di prefissi nominali: in-sa- nus, dis-par, etc. Anche i prefissi possono accumularsi, ma as- sai pid raramente dei suffissi '¥: in-e-morior, sub-in-uideo, super- e-udlo, per-in-commodus, in-de-fessus, le. tratta spesso di giustapposti, originariamente separati o separabili Radice, tema, affissi (ciot prefissi e suffissi) e desinenze, nel modo in cui ne abbiamo parlato finora, come di elementi net- tamente distinguibili, sono astrazioni. Reale @ la parola, nella cui unita fonetica essi sono fusi in modo da non essere sempre ben riconoscibili, soprattutto per due motivi: 1) le modificazioni fonetiche dovute all'apofonia (concutere < * com-qudt-i-se). al- 17 & > <4 per apofonia. \ Per Valternanza e/o nel sulfisso del participio presente v. p. 187, 0. 5. © p. 191, n. 14. Anche nelle desinenze si riscontrano alternanze: per es. nel ge- nit. sing. dei temi in consonante il greco ha generalizzaio -és, il latino és > as. * L’accumulazione dei prefissi sara un tratto del tardo latino. PROBLEM D) MORFOLOGIA 153, Valterazione della vocale in sillaba finale (imidus < * tim-id-i-s), alla contrazione (débeo < * dé-habe-o, cégo < * co-ag-o: fusione di prefisso e radice; amé < *am-d-07°. timidis < * tirt-id-o-is: fusione di sulfisso e desinenza), alla caduta della consonante fi- nale (timida < *tim-id-d-d), all’assimilazione _ consonantica (scrips? < * scrib-s-ai?", actus < ™ ag-t-o-s), all'epéntesi (exem- plum < *ex-em-lo-m), alla sincope e alla semplificazione dei gruppi consonantici (pno < *posno < *po-sin-o?, surge < "surrigo < * subs-rég-o7*), etc., 2) l'assenza dei suflissi temati- ci c/o della desinenza: per es. nella II pers. sing, dell’imperati- vo presente fimé si ha il puro tema verbale dell’infectum, sen- za desinenza (cio€ con desinenza zero rispetto alla II pers. plur. tim-é-te); nel vocativo timid-2 si ha il puro tema nominale con grado vocalico e (rispetto agli altri casi caratterizzati dalla vocale tematica o e dalla desinenza); in ui-s, si-s (cfr. dat-abl. plur. si-bus, v. p. 165 s.), réx < * rég-s (grado lungo della ra- dice *rég-), dix < * diic-s (grado zero della radice *douc:) si ha la radice pitt la desinenza; in fer e fas si ha la radice senza vocale tematica e senza desinenza (v. p. 169) Radice, affissi c desinenze hanno twitavia una realta psicologica, ben sentits dai parlanti grazie a quelli che il Saussure ha chiamato Fapporti associativi, e proprio in quanto unita significative elementari, 40V. p. 170, n. 2 Vp 186. 2. p. 182, n. 2. 28 Propr. « lascio (sino) dietro (po-, clr. post © pone)». igo (rego) dal basso in alto (subs) ». Molii verbi avevano jdtesi, transitiva ¢ intransitiva: rego, «dirigo» © «mi di- rigo= (donde surgo, pergoy, facio, «pongo» (radice di ti-fnu) © + mi pongo {donde factio, «modo di porsi, posizione >; proficio, « mi pongo avanti », etc.) habeo, «tengo» (clr. habenae) ¢ «mi tengo (donde habito, «mi tengo conti quamente», v, p. 172: numpo. + rompo» ed «erompo» (donde enampo, imum po). ete. 184 CAPITOLO A. Martine li ba denominali «monemir. Per es., la parola insegna- mento evoca da una parte la serie dei corradicali insegnare, insegnante, etc., dall'altra la serie dei sostar in -mento movimento, cambiamen- fo, ec. {e, sul piano puramente semantico, la serie sinonimica istruzio- ne, lezione, etc.). Si pensi anche alla storia della desinenza -bus, passa- la da onmi-bus ad auto-bus, filo-bus e ogi, in inglese, usata da sola come abbreviazione delle parole precedenti. § (2) La flessione nominale: temi e desinenze Noi _parliamo di_cinque declinazigni: sarcbbe piii esatta. par- lare di (enh essendo il tema l'elemento distintivo della flessio- ne, sia nominale che verbale. Come abbiamo visto, spesso la ‘Vocale tematica si fonde con la desinenza; ma esiste un.caso, i -«genitivo plurale, in cui, togliendo la desinenza -(rum, si attiene il tema di tutte e cinque le declinazioni: 1 rosd-nemt: temi in ~d- +f domind-rum: temi in -o/e-' ‘ tn] PAppi-tan: temi in «i reg-um: temi in consonante Wo manu-um: temi in -w- Vo dié-rum: temi in -€ Come si vede, la_terza declinazione comprende due_temi principali, in -i- e in consonante (per sporadici temi in -a ein’ -ou- ¥. p. 165 s.). Ognuno dei due aveva una flessione propria, ma poi le due flessioni si andarono unificando, con prevalenza * La © compare soto al vocativa, 452. La quantita lunga della 6 at ge ca dei temi in dv. p. 159. PROBLEM! OI MORFOLOGIA 155 _di_guella dei temi in consonante, Ma dei _temi in -t- rimasero larghe tracce, oltre che nel gen. plur. (v. p. 166 ss.), nell'accus. sing. in sim. (uim, puppim, Tibérim, etc.)?, nell'ablat. sing. in -7 < -td (ul, puppi, igni, Tiberi, mari [v. p. 167], gli aggenivi del- la I classe), nel nomin. accus. neutr. plur. in -ia (maria, acria, etc.), nell'accus. plur. in -is (urbis < *urbins < * urbi-m-s)*: quest'ultima forma alternd con quella in -és, analogica dei temi in consonante (urb8s come regés) per tutta |'epoca repubblicana fino alla poesia augustea, ¢ Gellio ne attesta I'alternanza in Vir- gilio, riconducendola a motivi eufonici (13, 21, 3: diversis in locis urbis et urbes dixit, arbitrio consilioque usus auris). La formula solenne ob ciuis seruatos delle monete di Augusto, a partire da Tiberio ricorre nella forma ammodernata ob cies ser- uatos. Occorrenze di -is sono peralro ben rappresentate nella tradizione letteraria postaugustea, sia in poesia che in prosa. _E tuttavia possibile un ulteriore raggruppamento delle cinque declinazioni. Consideriamo.le desinenze (o segmacaso): a parte le desinenze che sono o erano comuni a tutte le declinazioni {come I'accus. e il dat. sing.), ¢’é una netta_opposizione_ fra la. 2 Partim @ rimasto come awerbio, ad ranim, ad amtussim in locuzioni avver- fe, A. Trains, Idola scholae, 6, « Atene ¢ Roma» N.S. 3, 1958, p. 94, 0. + Donde si contagid ai comparativi (emi in -s-), el tardo e mediolatiny (cfr. te locuzioni scalastiche a priori, a fortior’). * Poche, ma certe tracce jomnin. plur. is dei temi in -i- sono in Varr. ling. Lat. 8, 66 (hae puppis, restis) e nella wadizione manoscritta (spesso costet- ta dagh editori). Cfr. M. LEscuNE, Notes sur la déclinaison tatine, « Rev. Et. Lal » 21-22, 1943-44, p. 90 (= Probleme der lateinischen Grammatik. cit.. p. 169 3); Traina, Naevianim, « Latinitas » 1, 1953, p. 133; M. Lucsint, Nominativi plu- vali in -is nel De rerum natura, «Atti Acc. Bologna», 53, 1964-65, Bologna 1967, pp. 118-137; F. BOmer, Der Akkusativus pluralis auf -is, eis und -es bei Vergil, «Emerita» 21, 1953, pp. 218-223. Ora M. Nyman, Lutin is «Nom. Pl» ‘as an Indo-European’ Reflex, «Gloua » 68, 1990, pp. 216-229, sostiene che tale forma di nominative non & analogica sull’accusativo ma ha radici indoeuropee, e che nei testi letterari si configura ora come colloquialismo ora come arcaismo. 156 CAPITOLO + le Ui da una parte, la Ill e IV dall'altra nella distribuzione delle desinenze del gen. sing. ¢ plur. e del dat. abla. plur.: ro- sae < rosdi, domini ma puppis, regis, mantis; rosdrum, dominé- rum ma puppium, regum, manuumt; rosts, dominis ma puppibus, regibus, manibus. Se si riflette che i e u sono semivocali e che le nasali (hontin-is) e le liquide (consul-is) sono sonanti>, appa- re evidente che il latino tende a opporre una flessioneditemi in vocale (I ¢ H)* e una flessione di temi in semivocale, so- nante e consonante (III e IV, unificate in greco). Resta la V, le cui desinenze concordano ora con quelle-della Ll Gigi, diérum), ora con quelle della II-IV (diébus). Ma la V declinazione 2 poverissima (due soli paradigmi completi, dies ¢ res, che erano in origine temi in dittongo), e oscillante tra la I (cfr. i doppioni fuxuries /fuxuria, mollities /mollitia) e la IN (cfr. il doppione plebes / plebs): si discute wttora se si tratta di un fossile indoeuropeo o di una innovazione latina abortita. 5.35 Le principali anomalie della flessione nominale I. IL GENITIVO SINGOLARE IN -AS DEI TEMI IN -A- Di fronte a questa forma aberrante i grammatici antichi si chiedevano se si trattasse di accusative o di grecismo (cfr. Prisc. I 198 H.). Difaiti, il parallelo col genitivo greco yas s‘impone, ma il rapporto non é diretto, come pareva a Priscia- 5 Cloe suscettibili di essere pronunziate senza l'appoggio di voeali, come lar nella interiezione bri! € nel toponimo ceco Bmo (w. p. 82). = sono sentiti come propri del femminile, quelli in ~fe- del _maschile, A cid si deve la progressiva eliminazione dei femminili della 11 declinazione, mediante il cambiamento di genere (aluus, colus, fagus) 0 di de- clinazione (domus, colus. nomi d'albero): cfr. Trans, Forma ¢ suono, + Quader- ni Ist. Glottol. Bologna» 8. 1964-65. p. 9. anicolo nelaborato nel libro omoni- mo, Roma 1977, p. 48. PROBLEM) Dl MORFOLOGIA 157 no. Si tratta del genitive singolare indoeuropeo-dei temi in -d-, conservato in_greco, € sopravvissuto in latino come residuo di una norma pli antica; il genitivo in -ae < -ai <_-4f & innova- zione_analogica del genitivo in -i dei temi in of Le aitesiazioni del genitiva in -ds sono rarissime, come ve- dremo, tranne nel giustapposto formulare pater (mater, fitius, fi- tia) familias, talora scritto paterfamilias (cfr. il nostro capofami- slia). Se il genitive @ preposto, si rompe la formularita e allora si trova la forma usuale familiae: familiai' Lar pater (Plaut. Merc. 834); familiae matrem {uae (Enn. sc. 120 Vahl.”). S'incon- tra pure pater (mater...) famitiae (cfr. Prisc. 11 199 H.: dicitur famen et pater familiae): rarissimamente in eta arcaica (Catone), pid spesso da quando Cornelio Sisenna (I meta del I sec. a.Cr.), seguace dell'analogia?, sostenne che si doveva generaliz- zare il genitivo in -ae anche con pater, maier, etc. (cfr. Prob. IV 211 K. Sisenna... princeps mutasse dicitur pater familiae di- cendo). Da allora, gli scrittori usano faritias 0 familiae secon- do le rispettive tendenze grammaticali: -as gli anomalisti, fra cui lo stoicheggiante Cicerone (unica eccezione nel discorso giovanile pro Rosc. Amer. 120), -ae gli analogisti, fra cui Cesa- re, I'autore del De analdgia (per es. Gall. 6, 19, 3), € Livio (per es. 2, 36, 1% Al di fuori di paier familias, le forme in -as sono limitate " Per sai v. pp. 130 © 158 s. 2 Cio’ ‘di quella teoria grammaticale che sosteneva la « regolarita» della fles- sione. La teoria opposta, Canomalta, era invece per l'uso, con tutte le sue irre. golarita. Eccone Ia definizione gelliana (2, 25, 2): dvahoyia est similium similis declinatio, quam guidam Latine proportionem wocant; éwwwahla est incequalitas declinationum consuciudinem sequens (eV. p. 160). Questa antitesi doming la storia della grammatica latina. > Col plurale parres etc., l'oscillazione era triplice. aggiungendosi famitiarum (sostenulo da Sisenna ¢ adoltato da Sallustio. Cat. 43.2 € SI. 9. una voka so- la da Cicerone, Ait. 7, 14, 2). 158 CAPITOLO 6 all'epica arcaica*, dove hanno funzione di arcaismi solenni me dimostra il fatto che, nella maggior parte dei casi, entran in iuncturae rispondenti a patronimici greci: filivs Latonas (Liu. Andr. Od. 21 Mor., cfr. Anroting o Anroyevic), filii Terras (Nacu, bell. Poen. 19 Mor., cfr. Pnyewis) *. La loro funzione_sti_ listica @ ereditata dai genitivi in aD probabilmente gia arc: arcaich. al tempo di Plauto: il primo esempio epigrafico sicuro di -ae 2 di poco posteriore al 188. Si riconsideri il citato Plaut. Merc. 834: Di Pertaies meum parenium, familiai Lar pater, Di fronte alla formula di lingua d'uso, e quindi ba- nalizzata, pater familias, familigt attraverso il tiplice fattore della desi- nenza, dell’anteposizione € dell'ipérbato acquista una carica stil che si accorda sia col genitive in -um (meum, v. p. 159 s.), sia col tono generale dell'invocazione, parodicamente solenne: un innamorato infelice rivolge al tetio paterno l'estremo addio, come un eroe di tra- gedia. Se, dunque, sul piano diacronico familias ¢ anteriore a famil sul piano sincronico & familial, non familias a godere il prestigio stil stico dell'arcaisma *, In Plauto si contano circa 25 esempi di genitive in -aZ, dovuti in prevalenza a paredie epiche ¢ tragiche, a espressioni proverbiali o for- mulari (Mil. 103: magnai rei publicai gratia), a parallelismi fonici (Au. 121: meat fidet tmaique rei caussé). La lingua di Terenzio, aliena da avventure stilistiche. conosce solo -ae. + Iperareaismo del Il sec. d. Cr. & Alcuntertas nel secondo argamento del lAmphitruo. * Orazio all'arcaismo morfologice sostituird il calco semantico puer = naig al posto dellusuale fifius nei nessi Semélae puer, Ledae pueri (cfr. A. TRAINA. Vortit barbare, Roma 1970', 19747, p. 185; R. Lazzeront, Contatti di lingue © di culture rell'Halia antica: if mome det figlio ¢ quello dei Dioscuri, « Studi e sag- ai linguistici » 11, 1971, p. 3). * Solo il secondo avrebbe percid diritto alla denominazione di arcaismo se- condo A. Roncont. Interpretazioni grammaticali, Padova 1958, p. 1} ss. (Roma 19712, p. 1S ss). PROBLEM! 01 MORFOLOGIA tse Fu Ennio a consacrare come poetismo il genitive in ¢ai) cfr. il verso olospondiaco di ann. 33 Vahl.?: olli respondit rex Albai Longai. Da lui lo ereditano Cicerone (ma solo in poesia e qui sempre in clausola)?, Lucrezio (soprattutto, notd il Bignone °, con termini dotati di un‘intrinseca sacrulita, come agua, terra, anima), Virgilio (solo nell'Eneide, cir. 6, 747: aurai ignem). Alla fine del 1 sec. d.Cr. Marziale ne rideva come di un vecchiume (11, 90, 5 s.): attonitusque legis tervai frugiferai — Accius et guidquid Pacuuiusque uomuni. li. IL GENITIVO PLURALE IN -VM pel TEMI IN -O/E- Come mostra, ancora una volta, il confronto col greco Linwy, Ia forma in sun * d&y os > deus, * deitt > dit, * deiys > diy, * deigom > de(yldm > deun erc. (il diver. so esito deriva calla caduta dig davanti a 6). La normalizzazione avvenne in due direzioni: creando dei deo etc. su deus dewm ¢ diuus diuwm su divi diuo ec. '* Cfr, la formula Domine Deus, passata nell'ital. Domineddio. 'S «Dee répond manifestement & une volonté d'expression caricaturale > (R. Braun, « Deus Christianoram ». Recherches sur fe vocabulaire doctrinal de Tertu!- tert, Paris 1962 [19777], p. 33). 162 CAPITOLO ¥ animae dator, 0 Dee Christe! (ovvio il motivo metrico) '*. Come interpretare questi fatti? Liinterpretazione classica @ quella del Wackernagel: la map- _canza del vocative di deus, come di quello di dedg, si spieghe- rebbe col fatto che gli antichi, in quanto politeisti, si_rivalgeva- no alla singola divinita col solo teonimo, mentre usavano nor- malmente il yocativo plurale : act. la formula romana della dichiarazione di guerra ap. Liu. 1, 24, 7: audi, fuppiter, et tu, Fane Quirine, dique omnes...). Sara i] monoteismo cristiano, ere- de del monoteismo cbraico, ad avere bisogno del vocativo sin- golare di deus. Questa spiegazione & insufficiente. Non tiene ab- bastanza conto dei vocativi sinonimici Saipov e dive (pare che edepol debba analizzarsi come * e-deiue-Pollux), e soprattutto del frequentissimo vocativo femminile ‘ed/dea. Meglia, con lo Svennung, pensare a motivi fonetici. Non a_caso sia, in. greco che in latino i nomi a struttura fonetica identica a te6g/ deus, cio& véos, reus e meus, mancana anch’essi di vocatixe'?. Dee, * yee ¢ “mee si sarebbero facilmente contrat (clr. di < dii, mi < mihi), divenendo cispettivamente * dé, *ré e * mé e rischian- do di confondersi con dé, ré ¢ mé (che sopportava gid la dop- pia funzione di accusativo e di ablativo). :. Iv, 1 PLURALI ETEROGENE! DEI TEMI IN -O/E- 11 caso classico @ il doppio plurale loci / loca, il primo anche '6 La forma & testimoniata anche in sede di tratiatistica grammaticale (Prob. IV 127 K.). Nelle Tabeflae defictonum ricorre pit volte, formularmente in tra- sliterazione greca, Aét, ad es. 15546 Audoltent, 155" 1, etc. L'attacco esametri- co O/Tu Dee seguito da composto nominale di struttura coriambica (— uu come in Prudenzio, si ripresentera cingue volte nei Poetee ae Carolini (I [© Dee celsitonans (Ermoldi Nigelli in hon. Hlud. 2, 407}; Tu/O Dee cel- jpotens (Vita Galli $98; 908); O Dee miripotens (ibid. 1420; 1$01) (tutti e cin- que i luoghi sono segnalaii da O. Schumann. Lateinisches Hexameier-Lexicon, cit. linafra, p- 300). p. 24) ‘7 Mi viene da * moi, genit-dativo atono del pronome di 1 pers. (greco pot) PROBLEM! DI MORFOLOGIA 163 in senso figurato («luoghi di un libro», come téxou), il secon- do solo in senso proprio. Ma l'opposizione originaria tra il plu- rale in -i e quello in -@ era diversa: si trattava nel primo caso di un plurale singolativo, nel secondo caso di un plurale collet- tivo: I'uno distingue € I'altro ammassa. In effetti il suffisso -a de} neutro plurale era un antico suffisso collettivo indoeuropeo, il che spiega come in greco il neutro plurale potesse accordarsi col verbo singolare: névta éel, Jetteralm. «tutte le cose (= tut 10) scorre »; Ta toéxe, «le bestie (= il bestiame) corre ». In latino Vopposizione &@ pit ridowa: sopravvive morfologica- mente nei doppioni cliui/cliua, colli /cotia (donde un singolare neutro coffum che classicamente prevale sull’originario maschile collus}, soprattutto loci /loca. Semanticamente, l’opposizione ¢ viva in qualche passo del latino arcaico, cfr. Plaut. Trin. 930: quos locos adisti? (temporale: un luogo dopo l'altra); ibid. 863: loca contemplat, circumspectat sese (spaziale: lo spazio intorno). Ma, altrove, i due plurali sono interscambiabili (Plaut. Psend. 595: hi sunt loci atque hae regiones; Rud. 227: haec sunt loca aique hae regiones), o la scela dovuta a motivi eufonici o metrici (Enn. ann. 40 Vahl? locosque nouos; lécdqué néud avrebbe dato una serie di cinque brevi). Classicamente, la diffe- renza tra loca ¢ foci é ormai, come abbiamo visto, solo quella secondaria tra senso proprio e figurato, ma quest'ultimo si é innesiato sul singolativo, non sul collettivo. Lo stesso @ avvenuto in italiano, che ha esteso l'antitesi fra i due tipi di plurale: frutti /frutta (passato poi al femminile) ', bracci/braccia, membri/membra, tabbri/tabbra, comi/ coma, muri/mura, diti/dita, ossi/ossa, cigli/ciglia, gridi/grida, len- zuoli /lenquola, etc.: il senso figurato, dove c’é, scaturisce dal singolativo (i membri di un’Accademia, i corni del dilemma, i cigli della strada...). Spesso il coltettivo &@ rimasto in frasi fatte: «avere i] latte alle ginocchia », « farsi saltare le cervella», « ag- grottare le ciglia », « leccarsi le dita», «tirare le cuoia», etc. ' Clr. ital. degna < ligna. -orum tradice di lego. « saccogliere ») 164 CAPITOLO ¥ Un caso un po’ diverso presenta focus: I'unico plurale aitestato ar- caicamente & ioci (Plaul. Stich, 658, Cato ap. Macr. Sat. 3, 14, 9); io- ca subentra a partire da Levio (14 Mor.): toca dicta risitantis, ¢ par dovuto alla concinnitas col termine sinonimico dicta e col termine an- tonimico seria, col quale faceva coppia fissa (seria [ac] ioca), secondo ill modello fonico foci / loca. Semanticamente l'unica differenza apprez- rbile sembra essere che ioci ha, in pid di ioca. anche Vaccezione di «atti (e non solo detti) scherzosi »: influsso di ludi? Vv. VIS, SVS, BOS Vis, come il suo corrispondente ctimologico tc, é difettivo, da Varrone (ling. Lat. 8, 7) (112 Barw.), ne diano il paradigma completo. In real- 1a il genitive uis si legge in Tac. dial. 26: plus uis quam san- guinis, dove potrebbe essere difeso dal parallelismo (ma viene corretto in bilis), e nei tardi (esti giuridici. Se pero un maestro di concinnitas come Cicerone allinea de ui a maiesratis (Phil l, 23: ei qui de ui ttemque maiestatis damnatus sit), si che nella tingua (anche giuridica) del suo tempo il geni uis non era disponibile. I] dativo ui sembra apparire in un passo malconcio del bellum Africum (69, 2: c’é chi segna la enw), € poi torna nelle iscrizioni. In complesso, aveva ragione Alessandro di Villedieu che nella pitt celebre grammatica del XII sec., il Doctrinale (v. 427), dava il precetto: uis uim uique dabit, totum plurale tenebit. I! suppletivismo uis robéris, cosi diffuso nella nostra tradi- zione scolastica (ma solo in quella italiana), si deve, pare, a Luigi Ceci (Grammatica iatina, Roma 1905). Fu infelice innova- zione: wis e robur indicano due concetti che si toccano ma non si ricoprono. Vis & la forza in movimento, di genere anima- to', e quindi suscettibile di agire in bene ¢ in male, secondo '* Ciot comprendente il maschile ¢ il femminile, in contrasto col genere inanimato, corrispondente al neutro. Liopposizione animaio/inanimato. di origine PROBLEMI DI MORFOLOGIA 165 i casi «violenza», «eflicacia», « influsso», etc. Il suo corri- spondente semantico greco @ dSevame (Quint. 2, 15, 3: uim dico Sovapiv). Robur, invece, di genere inanimato, & il «legno (ros- so)?° della rovere », ¢ metaforicamente la forza statica, che so- stiene e resiste. La loro differenza @ evidente in un passo dove Seneca paragona il saggio stoico agli uomini qui exercitatione fonga ac fideli robur perpetiendi lassandique omnem inimicam uim consecuti sunt (const. sap. 9, 5). Solo il plurale uires, col- lettivo e concreto?! (« mezzi di esercitare la wis, forza fisica, vigore ») @ interscambiabile con robur, cfr. Sen. ep. 120, noueramus uires corporis: ex his collegimus esse et animi robur. Vires sembra fatto su un tema * wis-, ricavato dal nominativo singo- lare, pits il suffisso -é (cfr. uiri-um). Si conosce anche un nominativo- accusative ufs, scarsamente attestato (due dei quattro esempi sono in Lucrezio, 2, 585 e 3, 262: ntultae uis unius corporis exstant). & merito dell'Emnout avervi riconosciuto un plurale singolativa, « proprieta », Su- veers, foggiato probabilmente per Uesigenza della terminologia filosofi- ca (che aveva gid usato il singolare uis come calco semantico di &iva- Ws, « propricta, qualita», cfr. Cic. Ac. 1, 28: illa uis quam quatitatem dizimus), secondo il modello morfologico di rés e spés. Vis (plurale) € wires sono dunque due parole semanticamente distinte. Sais 2 un tema in -#-, come grits, cfr. ts, «cinghiale ». Ha una doppia forma del dativo-ablative plurale, sitbus / suibus: la prima etimologica (sii-bus; la breve di siabus par dovuta all'in- flusso degli altri casi sdis, sties, elc., dove la vocale tematica magico-religiosa, ha proceduto nell'indoeuropeo lopposizione maschile / femmini- ke clr. A. MEILLET, Linguistique historique et linguistique générale, cit, p. 211 ss. 28 Dalla medesima radice * reudh-/rudh- di ritber, nifus, ribigo. 2 Per questo valore concreto del plurale cfr, copia, « abbondanza » / copie, < milizie »; opera, «lavoro» /operac, « operais; winus, » valore» /tirtutes, + atti al valores (cfr. dgerad: gaudium. « gioia/guudia, «alti, manifestazioni di tivia» (cfr. Hor. sat. 1. 5. 43: 0 qui complerus et quanta gaudia fuerunt!), 166 sti- i sl abbrevia davanti a vocale); la seconda analogica degli al- tri SOstantivi della terza (suibus come outibus). _ 565 & un tema in -ou-, come Iu(ppiter)?? Iou-is: il dittongo originario si ritrova in osc, nei casi obliqui bouis ete. 22, e, condensato in 2, nel diminutive biicula®*, La forma fonetica del genitive plurale & boum < *boudm (con caduta di da- vantl a 3, v. supra, n. 13); bouue & analogica. Al dativo-ablati- VO Plurale * bou-bus dava babus; bébus pud aver subito Minflus- 80 di bés (ma in molti casi i codici oscillano tra le due for- me). * Bouibus non @ attestato. Vi PARISILLABI E IMPARISILLABI Da quanto sé detto al § 2 risultera chiaro che il cosiddetto genitivo in -ium & quello dei emi in -i- (puppi-um) e il geniti- Vo In -um @ quello dei temi in consonante (reg-um): 1a desinen- 1 awed, Zou-pater, originario vocative, con geminazione espressiva © apofonia, 130, n 2 & visibile nel corrispondeme greco Zed (in latino eu > ou, v. DP. * heax 2 © £1F. Ae0%-6¢ con loue-os > fitcus, sulla cui connessione etimologica Tes MY. p19, n. 3) 81 cored di sanare Vanomalia della flessione Tuppiter fouis iando sia un nominative Jouis, sia un genitivo fuppiteris / luppitris, poco vital. ao Un nominative bovis ricorre sporadicamente in testi di basso registro lingul 2ice, (Warrone Menippeo, Petronio, Mulomedicing Chironis). & ovviamente dovato alla sPinta analogica del paradigma- forte iseussa & a del nominative. Si & pensate a origine dialettale, ma i preleribile coicgare bbs < * gudlu)s con caduta di u dopo il primo elemento lungo del dinongo. Dialettsle pare Testo b < gy- al posto dell'atteso qe (clr, ive < * guluor. * gudus avrebbe dovuio dare "ids, ¢ «il confliio omonimico Pee ONere favorito il presto» (A. MARTNET, Llindoeuropeo, cit, p. 79), pid re: Strom ancora E.B, Hoursmaax, On Latin bors, «Historische Sprachfor TiDONE™ (gid « Zeitschr, for vergl. Sprachwiss.») 101, 1988, pp. 127-137. efiuta pibowest del dialetismo’e pensa a un mutamenio dovulo a reszione i disam- biguazione rispesio a 40s pronome: sulla questione ¥. anche E. PERUZZ), Agricol- tea nel Lazio, «Minos» 14, 1973, p. 177 ss. (= Mycenaeans in Early Latlum. cit” op. $3.55) PROBLEM) 01 MORFOLOGIA 167 za @ in entrambi la medesima, -wm < -om. La vecchia regola dei parisillabi ¢ imparisillabi (gid in Prisciano 1] 352 H.) @ pu- ramente empirica, e si fonda sul fatto che i temi in hanno lo stesso numero di sillabe nel nominativo e nel genitivo singo- lare (puppis puppis, cladés cladis, *reti > reté retis?5), mentre i temi in consonante, col nominativo sigmatico (* regs > rex re- gis, princeps principis, * milets > miles mililis) 0 asigmatico (consul constilis, *honion > homo hominis, honos > honor honoris, etc.), hanno una sillaba in pit nel genitivo, Tuttavia altri temi in -i- sono divenuti imparisillabi in seguito alla apocope o alla sincope della vocale tematica al nominativo singolare. Essi sono: 1. i neutri in -dli- e -dri- (* animal) > animal?* animalis, ablat. animali, nom. acc. plur. animdli-a, gen. animdli-um); 2. gli aggettivi (e aggettivi sostantivati) in -ds e -is (*nostra-t()s > *nosirits > *nostrass > nostrds nosira- tis, ablat. nostrétf, gen. plur. nosirdti-wm, v. p. 98; * Sanmit(i)s > *Samnits > *Samniss > Samnts Samnitis, ablat. Samniti, gen. plur. Sanmiti-um); 3. alcuni monosillabi (* pars > “parts > * parss > pars partis, gen. plur. parti-um, clr. accus. sing. awerbiale parti, v. p. 155, n. 2; *urb(i)s > urbs urbis, gen. plur. urbi-um, cfr, orbi-s, gen. plur. orbi-wm)??, Per analo- gia molti altri monosillabi, originariamente in consonante, han- no assunto il genitivo in -ium: dens dentis (clr. d86vt-0¢), mus muris < ™ musis (cfr. wwd¢ < * puo-dg), mas maris < * masis (cfr. mas-culus). Queste tre categorie di nomi si chiamano temi misti. D’altra parte alcuni temi in consonante si presentano come 23 f > 8, cfr. il newro breuk < * breut (= puro tema) di fronte al masch. femm, brevi-s (v. p. 129). Non ho citato come esempio mare perché il genit. *marium on 2 attestato; anzi s‘incontra un genit. marwm (Nevio) e un ablal. maré (Lucrezio etc.) da un tema consonantico * mar-, © Con abbreviamento di 4 davanti a I finale, v. p. 132. 27 A mars < * mortis risponde in sanserito il dio della mone, Mnih, 168 CAPITOLO Vv Parisillabi, Sono principalmente di due tipi: 1. pater mater frater, temi -r- che in indoeuropeo avevano l'alternanza é/é/ zero (nanje / maxéga / xoteds). II latino, secondo le leggi della sua fo- netica, ha abbreviato la vocale al nominativo (patér) e negli altri casi ha generalizzato il grado zero (patr-is, gen. plur. patr-urt)?; 2. iumenis senex canis panis mensis, antichi imparisillabi che la lingua ha reso pau bi o aggiungendo il suflisso -i- al nomi- nativo (tema originario * iuuen-, cfr. iuuten-cus di fronte a hosti- cus, gen. plur. iauen-um; *can-, clr. xuv-6c, gen. plur. can-wm, etc.), 0 ricavando i casi obliqui da un tema diverso (senex < *senec-s, cfr. senec-tus, Senec-a, ma sen-is, gen. plur. sen-wm, clr, sen-é-re, sen-d-tus). Naturalmente questo stato di cose non poteva non provocare confu- stoni € oseillazioni (ciuifatten / ciuitatium, fraudum / fraudium, uatum / uatizm, mensum /mensium), chiaramente riflesse nell'imbarazzo degli antichi geammatici: in patrico casu (cioé nel genitivo)... dispariliter («contro Fanalogia ») dicuntur civitatum parentum et ciuitatium paren- tium (Varr. ling. Lat. 8, 66). In generale si pud dire che sulla riparti- zione delle forme influiscono due motivi: 1. la comodita metrica di evi- tare il cretico (— WG —) in poesia esametrica, specie per aggettivi ¢ Participi (amartiim invece di amdntitim: Virgilio ha solo bellantum, ca- denium, morientum, recusantum, silentam, etc.. parte aggettivi parte so- stantivi; agrestum, caelesturt, uolucrum, sempre sostantivi 7°; Orazio ba Sapientium nelle odi, 3, 21, 14, sapientum nelle satire, 2, 3, 296; frau- dum @ la forma esclusiva della versificazione dattlica, etc.); 2. la posi- zione degli scritiori di fronte all’antitesi analogia-anomalia (v. p. 157, 2 Sul rapporto pater/patrum pare modellato accipiter /accipitrum. Regolare invece imbrium da imber < * imbes < *imbriDs, etc. 2 Cid indiea che la finale -ium era sentita come propria degli aggettivi (si Ficordi la distribuzione di -i/2 nell'ablat. sing. dei participi), ¢ spiega forse genit. plur. cli cefer, attestato solo nella forma celerum: ma le attestazioni classi- che sono wtte di celeres sostanlivato (Liv. |, 59, 7: iribunus celerum). L'ablat. Sing. & celert, ma Ceteré nelVaniroponimo (Well. 2, 115, 1: Ta ann. 18, 42, atc! PROBLEM! DI MORFOLOGIA 169 n. 2). Panis, per es, secondo la testimonianza di Prisciano (IT 353 HJ), ha panum, ma l'analogista Cesare sosteneva panium, cfr. Carisio, p. 178 Barw.: panium Caesar de analogia libro 11 dici debere ait. Sed Verrius contra, Nam i detracta panum ait dici debere. Neutrom autem puto posse dici, quia de his est nominibus quae, cum pondere numero mensuraque constent, semper sunt singularia. E pud darsi che avesse ragione Carisio, se il genitive plurale di pais non ricorre nella latini- 18 pagana, ¢ solo nella Vulgala compare panum come traduzione di Sg (is. 36, 17). § 4. La flessione verbale Premesso che ja desinenza dell'infinito ¢ -se > -re (per rota- cismo) ¢ che la seconda persona singolare dell'imperativo pre- sente @ uguale al puro tema, i verbi latini possono raggrupparsi all'ingrosso in due categorie: *am@se > amare * leg-é-se > legére ~ amd legé * mon-é-se > monére *aud-ise > aud-ire mone audt este *ferse > ferre =x es” fer “uel-se > uelle *ei-se > Ire uel (2)! a> ' Pid probabilmente indi ivo presente, v. p. 188. Sotiolinciamo Ia differeme origine dei cinque imperativi in consonante dic dic fae far és: i primi tre sono apocopati, cio’ hanno perduto ja -¢ finale (che compare ancora frequentemente in Plauto e nei composti edice, affiee, etc), gli altri due sono atematici, ciot non hanno mai avuto la ¢ (clr. ades, confer, elc.). Si aggiungano inger di Ca- tulle (27, 2), analogico di infer, ¢ la particella em < eme, «prendi > (accezione aria di emo}, cfr. I. to’ << togli, w' < vedi, fe’ < Hideni, ¢ in serbo mi’ < mira; altre testimonianze sfuggite «alle rigide maglie della lingua scrit- ta» in M. Bernini Siudi ¢ note su ntio, Pisa 1979, p. 68 s. ¢ v. anche C. ‘Questa in « Athenaeum » 66, 1988, p. 265, n. 2 170 CAPITOLO \ La differenza tra i due gruppi @ che nel primo_si-ha una -vocale di collegamento fra la radice e la desinenza, nel secon- do questa vocale manca e la desinenza, quando c’é, si_unisce direttamente alla radice. Dalla presenza o assenza di questa vo- gale tematica? i verbi del primo gruppo prendono_il_ nome, di verbi tematici, quelli del secondo gruppo di verbl atematicl. | latino ha ridotto il numero e l'importanza dei verbi atematici indoeuropei; gli stessi verbi atematici hanno solo alcune forme atematiche, come vedremo al § 7. La_prassi scolastica, risalente alla tarda latinité (Prisciano It 450 H.), distribuisce i verbi tematici in quattre coniugazioni, distinte dalla vocale predesinenziale: -dre -ére -ére -ire. In realta, come per la flessione nominale, sarebbe pit corretto parlare. di temi in -a-, -é, etc. Ma neppure cosi si ha una classificazione soddisfacente. Innanzi tutto essa @ valida solo per ‘infectum, cioé per j tempi derivati dal presente {v. p. 181 ss.); poi non tiene conto dei verbi in -io della iI] coniugazione, cdpio capere (tutti con vocale radicale breve: ciipio, facio, fédio, fiigio, mé- ner, rapio, etc.}>. Si tratta di temi in -i-, la cui vocale temati ca @ venuta parzialmente a coincidere o con quella dei temi in -i dove quest’ultima si é abbreviata (* audio > audio, * audit > audit), 9 con quella dei temi in -& dove la i si & aperta: per apofonia davanti a r (*capise > capére come “cinisis > cinéris, v. p. 122) 0 in finale (* cap? > caps come * mari > maré, v. p. 129). Ma la 7 originaria si @ conservata per es. in capis di fronte a audis, capimus capitis di fronte a audimus auditis, capite di fronte a audite. 7 Si tenga presente che, come nella Mlessione nominale, la vocale tematica pud Fondersi o alterarsi secondo le condizioni fonetiche in cui viene 2 trovarsi, cfr. amé << Tamao (gr. ty < nydw) per contrazione, legiie < * legé-te (er. deyere) per apofonia, ete. > La tendenza a far rientrare questi verbi nella IV coniugazione, gia attest ta nel latino arcaico (Plauto ba aggrediri, ingredini, (e)mortri, Ennio partre), realizzera nel romanzo (morire, fuggire. capire. rapire, etc.). PROBLEM! DI MORFOLOGIA m ‘Si_deyono dunque rigonoscere non quattro, ma cingue temi, “Faggruppabili.in_duccatcgaric: temi in vocale lunga (4, -é, --) , i). I primi hanno, in generale, perfetio-e-supino prevedibili, gli altri perfetto ¢ supino variabilj Fuori di questo_raggruppamento. resta il verbo dare, in pon tematica, ma radicale, ¢ rimane sempre breve (iranne in das jmperat. da, ‘per analogial®, come mostra antroponimo Adeoda- is ¢ il giustapposto circum-dare, circum-déumus, etc. Invece i_composti, sulla base delle forme in cui -d- si alterava per effetto dell’apofonia ("reddare > reddére, * redditus > redditus), sono passati alla terza_co- niugazione, non senza lasciare residui dello stato originario (reddibo < *reddabo & in Plauto, per es, Cas, 129 in clausola di senario giam- bico), 53) 1 principali tipi di verbi derivati Principali, sia deta subito, non tanto sul piano puramente morfologico, quanto per la loro incidenza semantica ¢ le even- tuali implicazioni sintattiche ¢ stilistiche. yee key 1 FREQUENTATIVI mo , . Chiamati anche iterativi ¢ intensivi. Morfologicamente sono verbi_in_-d- derivati_dal_tema_ del participio perfetto_a del supi- Bo: da_dictus dicidre, da pulsus pulsdre', da quassus quassdre, * Come nei temi nominali, é alterna con 4, rimasto nella I pers. sing. dele Vind. pres. ¢ oscuratosi in u nella Ll pers. plur. (legumt < legonsi); nella 1 pers. plur, mos > -imus per apofonia, coincidende con I'esito apoionico di 2 Uegitis < '* legdies ete.: la & si mantenuta davanti are in finale), + Dedt < *de-dai, perfeuo a raddappiamento, v. p. 184. ' Accamto a puitdre (da un pitt antico * pultus), specializzatosi nell‘accezione di « buseare alla porta » nella lingua della Palliat in CAPITOLO V da raps rapf@te. da amplexus amplexdri, da territus terrtidre, da dormitum domniére (pres. dormito!), da uolitus uolitare (pres. uolato!). Dai verbi in #0 questo suffisso si é csicso a temi del presente, so- Prattutto della 1 COMiugazione (rogo / rogito, poto / potito, clamo / cla- mito, etc., onde €Vitare la successione di due -d- come *clamatére; la- fea # latito, ago / “Bito, furdo / fundtto, nosco / noscito, quaero | quae- rita, ete), ¢ fu utilizzato anche per ereare una serie di frequentativi di secondo grado Uretenatina... aliquando in duos gradus conscendunt, Pomp. V 220 K-): 80 ¢ canto / cantito, dico / dicto / dictto, duco f ducto | ductito, 8€7 / gesto / gesttto, iucio 7 iacto / iacttto, pendo | Perso | pensito, TeSPOndeo | response { responsite, ueho / uecto / uectl- f9, etc, In qualche aso i} grado intermedio manca (lego / fectito, tee do 1 lusito, mito / Missito, rideo / risto, scribe / scriptito) 0 & attesta- {© solo nei compost Yfacio / (affecia / facitro, uenio t (ad\uento / uen- tito), Semaaticame<,.i frequentativi, in quanto derivati_dal_ parti. -Sipio perfetto. che indica stato, sono” originariamente_durativi: Shecto,. «sto a—SUardare» (cfr. spectator); habite, «mi tengo sempre (in un logo), abito » +; amplexor, «tengo fra le brac- cia», cfr. Plaut- Rud, 695: te obsecramus aram amplexantes. Tacrumantes, « ti SCongiuriamo tenendo stretto l’altare, in pian- to» (si noti l’alternanza col participio perfetto di amplector in Rud. 560: signv™ flemes amplerae tenent). Perché questo valore Sia evidente oc€0TTe che sussista l'opposizione col verbo primiti- vo, cfr. Plaut. Poe. 1260: pater, te complecti nos sine... Anm- Plectamur ambée: «babbo, lasciati abbracciare.... Abbracciamolo tutt'e due», Qui Fazione momentanea (amplectamur) si oppone all'azione durativa dell'esempio precedente (amplexantes); analo- Ba opposizione Si ha fra iacto ¢ iacio nella coppia di esempi * ecto in verbi SOMPosti & da lacio: allecto, delecto, oblecto, ete. 2 vp. 153, . 24 PROBLEM Di MORFOLOGIA 173 seguenti: Plaut. Cist. 206 s.: tactor («sono girato e rigirato »), crucior, agitor, — stimulor, uorsor in amoris rota; Trin. 66 est amor, ballista ut iacitur (« viene scagliata»). Se il _primitivo & scomparso, loppasizione 2 trai) derivato frequentativo (spec- to; nuto, «fagcio cenni») e i composti momentanei (ad-, con-, in-, ic ab-nuo, «faccio cenno. di si, di no»), cfr. Sen. of. 5, scias illam (sc. naturam) spectari uoluisse, non tantum aspici, «sappi che la natura ha voluto che noi la con- templassimo, non che le dessimo solo un'occhiata ». Se il verbo primitive indica . 4/42): in entram- bi i casi si spiegherebbe V'origine del valore desiderativo, proiettato verso il futuro. IV. “CAUSATIVL Detti anche fattitivk perché «causano» o «fanno fare» l'a- zione espressa dalla radice. Non sono, a rigore, verbi derivati, ma temi_in_ > caratterizzati_dal vocalismoe radicale(@ mon-e-o, «faccio ricordare », di fronte a men-tem c me-mtin-T < * me- men-ai (cfr, Plaut. Cas. 998: monebo, si quid meministi minus, «te lo ricorderd, se non ricordi bene qualcosa »); noc-e-0, « fac- cio danno », di fronte a nec-o ¢ nec-em; doc-e-o, « faccio impa- rare », di fronte a disco < * di-de-sco (v. pp. 177 € 184); torre e0, «faccio seccare»?', di frente a terra («la secca») e gr. 2 Forse lomofonia con forreo & responsabile del vocalismo ¢ di terrea, « fac- cio tremare », causative di trema (cir. terror); altrimenti spiega A. Curisro., Le- ical Consequences of a Phonetic Law: ("eye > 2) in Latin Verbs, in AAV. New Suidies in Latin Linguistics, cit. p. 55. PROBLEM! DI MORFOLOGIA 131 tég-ooyat, «mi secco»; forgu-e-o, «faccio girare», di fronte a gr. toén-w 22, «giro; fouw-e-o, «faccio riscaldare », di fronte a fau-illg, etc. Questa arcaica categoria @ importante meno per se stessa che per le conseguenze lessicali e sintautiche provocate dalla sua improduttivita. Per rendere il concetto. di_s far fare » ilatino ricorse: 1. a_composti_con facia del tipo calefacio, «faccio riscaldare », feruefacio, «faccio bollire», madefacio, «faccio bagnare », stupefacio, commonefacio, etc. (soprattutto in Tapporto con verbi di stato in -é-: caleo, ferueo, madeo, stupeo); 2. a_werbi di vario significate (fugo, «faccio fuggire »; exerceo, «faccio lavorare »; arcesso, aduéco, «faccio venire »; reudco, «faccio tornare »; exctio «faccio alzare »; sopio, « faccio dormi- re»; deicio, «faccio cadere»: demitio, «faccio scendere »; mo- ror, «faccio perdere tempo», etc.); 3._a_perifrasi_varie, elencate nelle sintassi (iubeo con T‘infinito, curo col gerundivo, facio / ef: ficio ut, afficio con Jablativo, etc.), di cui la pit ricca di awve- nire fu quella che le sintassi non citano, facio con I'infinito, bene attestata nella lingua d'uso ¢ nella lingua poetica (v. p. 208 ss.). +i vi 8@ La formazione del perfectum ~~ AL perfectum ating 2 una forma sineretics; vale a dire picts merfalosicamente due, diverse, forme verbali_indoeuropee, perfetto _propriamente detto ¢ V'aorisio. Esso indica originaria- mente.t'azione_giunta_a_compimento_e_si_oppone_all'infectum. che, come dice il suo nome, indica _l'azione_incompiuta o in via _di_svolgimento (opposizione di « aspetto », poi divenuta, ma solo in parte, opposizione di tempo: v. p. 212 ss). Sull’antitesi 22 5 & uno degli esiti greci della tabiovelare sorda K", rappresentata in latino da gu: cir. Exoum ¢ seqror, Mein-w © litmguo. raz CAPITOLO v morfologica fra i temi dell’infecturm e del perfectum & costruito tutto il verbo latino, secondo uno schema binario che si riscon- tra anche ad altri livelli defla lingua latina, di fronte alla varie- 1a © mohteplicita di temi verbali del greco. Il latino _conosce quattro tipi_di_perfetio: in -ui,-a raddoppia- mento; ad alternanza vocalica radicale, sigmatico. I_primo_e_i quarie sono produttivi per tutio l'arco della latinita, mente, il secondo c il terzo sono residui ereditari, che subiscono fa con- correnza degli altri due: senwi sostituisce ietini' sul modello di habui, praestaui si affianca a praestiti, panei a peplgi, nei com- posti a mi risponde compsi, dempsi, prompsi, sumpsi?, a légi dilexi, intellexi, neglexi>, a pupiigi compunci (cfr. ital. « pun- si»). v 1.4L PERFETTO IN -Vi ~temi_in_vocale longa, dopo la quale il suffisso assume la forma semivocalica i (-vi): amd-ui, implé-ui, audi-ui; inoltre si trova in_alcuni_verbi la cui radice termina in una vocale_lugga (per natura o per aliernanza), ma che formano il tema dell'infectum mediante vari suffissi: né-sco_ndsxi, pa-sco pa-ui, li-no * lei-ui > * Attestato direttamentc pei wagici. indirettamente in composti plautini (abssi- ni, Amph. 925). # La -P- & epentetica, cick serve ad agevolare la pronunzia del gruppo con- sonantica mas. * Cémi, * demi, 7 prémi, * simi avrebbero avuto forme omofone ‘ol presente, il che non avviene nei composti trisillabici (adémi etc.). * Ossia nei composti che pid si altomanano dalle accezioni di lego (+ coglie- vee, «scegliere », «leggere »). PROBLEM! DI MORFOLOGIA is. lé-ui, sino * sei-ui > si-ui*, etc. Quando. breve..(per alternanza: a/a, 2/2). il suff wocalita -4i (dom-ui, sec-ui, mon-ui, doc-ui), in-quante la vocale -breve_per_apofonia_si_assimila alla « del suffisso: * damd-ui > *domi-ui > _dontui come *elduo > * cliuo > eluo5. La bre- vita della vocale temalica riappare al participio perfetto: domi- tus (di contro ad amdtus), monttus (di contro ad implérus), sec- tus, doctus (con sincope). Infine, V'analogia ha avuto larga parte nella diffusione di questo tipo, con una specie di reazione a catena. Cupio, attrat- 10 parzialmente nella IV coniugazione (cfr. cupiret in Luctezio, v. p. 170, n. 3), ha ricevuto un perfetto cupizi che ha influito su una serie di verbi semanticamente o fonicamente affini: pe- fini quaesiui arcessiui lacessiui. Su potui (v. p. 187) si & mo- dellato wofui, su uofui si sono modellati colui, alui, etc. Séui (cfr. sé-men) ha provocato messui, texui (* texi avrebbe avuto forme omofone col presente texo) ha provocato nexui, per il quale non vale pid I’omofonia col presente necto (e difatti & at- testato anche nexi), etc. La y del suffisso poteva cadere dopo vocale lunga con consegueme contrazione vocalica, donde una serie di forme sincopate che si sono sempre pili diffuse nella lingua d'uso e hanno trionfato nel romanzo: >audtit audiuisti>audisti (ital, « udisti »); audiuit set (tal, « udi 2): audiuisset > audisset (ital. «udisse >); amdauisti>amasti (ital. «ama no (v. p. 153), ha sostituite il regolare perlet + MM composto pono < * logico posui secondo Mequazione monitus : mond to posiui (arcaice) con I’a = postius : x. * La medesima assimilazione si ha nel perfetto dei verbi in «wo (solu, uot. wo) e in -uo (exo, siamo): wai > ui, -unai > -ui, w Mp 98s, 184 CAPITOLO ¥ stie 7 amduérant*>amarunt (ital. «amarono »); néueram > néram, etc. 1. IL PERFETTO A RADDOPPIAMENTO Prosegue_ip gran parte il perfetio.indocurapeo: cir. mentini ¢ hépove. La vocale del raddoppiamenio era )(mentre nel rad- doppiamento del presente era i bf-bo, si-sto, gi-gno, disco < “di-de-sco, sido < * si-sd-o: v. p. 149, € p. 214, n. 5 per il valo- re aspettuale): ¢é-cini, (g-felli, pé-puli, @-tigi, dé-di, si-ti < * sté- sti, etc. Si hanno casi di assimilazione alla. vocale radicale: mo- mordi, spo-pondi < * spo-spondi, cu-curri, pu-piigi, tu-titdi, etc. ma abbiamo prove che in molti di essi il raddoppiamento origi- nario era con e: Gellio (6, 9} ci attesta miemordi, pepugi ¢ spepon- di non soto negli autor arcaici, ma anche in Cesare e Cicerone. -l_caddoppiamento si perdeva nei composti (per sincope?): cecidi ma in-cidi, peperi ma com-peri, pepuli ma im-puli, spopondi ma re-spondi, fetigi ma at-tigi, tutudi ma con-tudi, etc. Poche le eccezioni: si conser- vano per ovvie ragioni fanetiche i perfetti bisillabict (de. , ti/ad-stit) ¢ si ha qualche caso di ricomposizione coi perfetti didici (con, perdidici, poposci (de-poposci) ¢ cucurri (ae-, con-, de-, in-cucur- ri accanto a ac-, de-cuni, etc.), in questi ullimi due per evitare lomo- Nella terza pers. sing. poteva cadere la 1 amdutt > amdt (ossitono!), atte- stato in poesia (Luer. 1, 70: inriudi), donde il (ranc. aimu; ¢ poteva eadere la ¢ a mente (ad es, CIL VI 24481: donau), don- * Desinenza attestata anche in poesia (Plauto, ¢. in seguito, ¢. g.: Lucr. 4, 374: dedérint; Verg. buc. 4, 61: tulerant: Aen. 10, 334: steterunt: Hor. ep. 1, 4 7 dedérunt, etc.), alternante con -ére (di livello stilistico alto, caratteristica della Poesia esametrica di ascendenza enniana, ¢ della prosa storica di colorite cpi- So, Sallustio, Livio. Tacito; manca invece in Cesare, come pure in Cicerone): dalla loro contaminazione sembra nata amatérmt. Amauére non @ dunque la forma «sincopata » di amauéunt, come ta IU pers. amare aon & sincope di amaris, ma Voriginaria desinenza media -se alternante con -so (clr. koov < hue- G0}; las di amaris & analogica detl’attivo. PROBLEM! DI MORFOLOGIA 185 fonia col presente. La scomparsa del raddoppiamento nei composti ha < ‘ess, est, estis, este, esse, ete.), V'indicativo futuro ¢ imperfetto (con rotacizza- zione: ero < *eso%, eram < *esam); dal grado zero le altre forme5; 3. il suppletivismo del perfectum, fui,..derivaia dana, ice i che indica il divenire (gr. E-puv, gio, forse fio). Alla radice di fui appartengono anche fore < * fit-se, fo- rem < *fir-sem e il raro fuam. 1_pid_ importante dei_composti-di sium possum < * porle)- sum (0 * pot(i)s-sum). Il primo elemento @ potis, « potente, ca- pace », da una radice indoeuropea diffusa in greco ¢ in latino (cfr. Seo-nét-ng, « padrone di casa», mbv-via, com-pos com-pét-is, il comparativo potior pétius e il superlative pétissimunn, la for- ma awerbiale ut-pdte, «come possibile », il denominativo pétior, «divento_padrone », ete.). Il perfectunt, potui, & da.un verbo di stato *ote9)il cui infectum riaffiora nel latino volgare per nor: malizzare alcune forme anomale di possum (potebam e poiére, * In realta originario congiuntivo, cfr. gr. *tow > tw > a. Le forme del antichi congjuntivi Ulegam ieges) o da if (ama-bo, il cui secondo glemento & dalla radice di fic; clr. ital, amerd < amare-habeo). SIL participio presente @ altestato in alcuni composti (prae-sens, ab-sens, con-sentes), a meno che to si voglia vedere in sons (con grado vocalico o del ‘suffisso. v. p. 191, n. 13), specializzatosi nell'sccezione giuridica di + colpevo- le». L'analogista Cesare avrebbe foggiato ens secondo Prisciana {II] 239 H.). 188 CAPITOLO V antenati delle rispettive forme italiane, sono attestati nel VI se- * colo; ma potétis @ attestato in una lettera papiracea della tarda repubblica *). IL VOLO, NOLO, MALO ucklugl-. che non & di origine indoeuropea, ma ubbi- disce a una legge fonetica latina. Il timbro della vocale_dipende dalla natura dell’ seguente: se! & palatale (cio® davanti_a i o wf). vesta & se 2 yelare (cioe davanti.adc.o,u-¢consananie), é> 6 > % (ma dopo 4, 6 si conserva salvo davanti a / + “consonante) ?. Dunque: *uelo > nolo “uelam > uolam “uels > *uell > uel Q) *uel-im > uelim “uelt > volt > xult *uel-se > uelle *uel.dmos > uolimus *uel-tes > uoltis > uultis *uel-onti > uoluni Quanto a uol-ébam e uolens, & incerto se la -o- sia dovuta alla ¢ velare davanti a é o all'influsso di uolo, 2. L'altro fatto che caratterizza uolo é il suppletivismo nella II pers. sing. del pres. indic., dove il posto forse lasciato vuoto da *uels 2 stato preso da uis < ueis, che ha la medesima ra- dice di in-ui-tus. Il perfectum, uolui, & analogico di pons (v. p 183) §. * Cfr. P. Cucusi, Le pitt anticke lettere papiracee latine, « Ati Acad. Sc. To. Fino», cl. mor., 107, 1972-73, p. 667. 7 Si trata qui di sillabe iniziali: in sillaba imerna la diversa natura di / condiziona altrimenti il mbro voealico, v. p. 122. * Come litaliang volere Seanalogico di, poterg: i due verbi sono strettamente locuzios PROBLEMI Dl MORFOLOGIA 189 -Nolo ¢_malo_sono rispettivamente composti da * né-udlo > *nédlo > udla? e * magti)s-udlo > ilo > *madlo > méa- Jo. I dettagli della formazione sono oscuri € discussi: imelto de- ‘Ye aver giocato sulle altre forme I'influsso delle I persone ndlo malo. Basti qui osservare che le forme pid antiche nevis, neuolt e maudlo, mauoltis, mauélim, mauelle sono attestate in Plauto '°, IIL. ,FERO Oltre all'atematismo (esteso alle forme passive fer-ris "! fer-tur fer-ri eic.), fero non presenta altre caratieristiche che il letivismo_ di ym, comune al _greco., (péow / tveyxa), essendo [a radic uropea * bher- imperfettiva. Come si & visto (p. 185), uli < cemuli < * te-fol-ai_era Voriginario_perfetto di_jollo (< *tol-no, « portare sollevando », cfr. opi-tiilus, « por- tatore di aiuto», iol-ero), poi integrato nella flessione. di. fern, Toll, avendo sviluppato V'accezione_secondatia di, «sollevare», bce cai pete ati compe 605 (dl basso in alto») ¢ quft, Anche latus < “ild-tos @ della radice di tollo con diversa gradazione vocalica (cfr. gr. é-thav, «ho sop- portato »; col grado e teh-apiiy, « sostegno, telamone »). Fero era troppo irregolare ¢ troppo. generico (« portare, sopportare. N€ @ il pid: antico avverbio negativo, alternante con ng. E aila base di udu < ‘“nd-ginom («non una sola cosa), mé-gue, nimo < *né-hemg («non un uo- mow) nEwer, néfas, ees ¥. p. 228. "© Noltis, foggiaio da Cecilio Stazio su uoltis (5 Ribb*: uoltis, empta est: noltis, non empia est. non ebbe fortuna, \ Auesiato solo in Auson, ep. 114, 2, p. 352 Peip., mentre fereris, rigorosa- mente bandito dalla nostra grammatica, & in Lucifero di Cagliari (moriend. 3, p. 272, 3 Diercks) e nei grammatici antichi (Diomede | 361 ¢ 386 K., Probo BV 190 Kj: cfr. A. TRAINA, Ferris an fereris?, «Latinitas» 3, 1955, p. 230. 190, CAPITOLO. ¥ produrre, etc. ») per sopravvivere nella lingua partata. 11 romanza_to col regolare e visivo porto, «portare addosso » (cfr. ill detto at- a Biante da Cic. par. 8: omnia mecum pono mea). Gid in Apuleio (tet. 5, 31) suona aecatem porta bellule quella che era in Ci- cerone (ap. Macr. Sai. 2, 3, 2): bene actatem fert. IV. EO, NEQVEO, QVEO See ple Anche eo, come sum, presenta un’alternanza vacalica_radica- le indoeuropeacé/26R *ei-/i-, ben conservata in greco (elut/ isuev). IL latino ha esteso dovunque il grado pieno, tranne al supino itum (cfr. i composti in-itum etc. e i sostantivi verbali ad tus, ved-itus, etc.) € al nomin. sing. del Parti pre fens (su che davanti a vocale i cadeva, menire_davanti_a consonante il dittongo ei si chiudeva in i, Dunque: *ei-o > co (ha sostituito l'originario * ei-ri, conservato in greco) tees > is ‘eit > it * ei-mos > mus (e dunque nei composti abimus, redimus, etc.) * ei-tes > itis (e dunque nei composti abitis, reditis, etc.) *ei-o-nti > eunt (la forma atematica sarebbe stata * ins) *eibam > tbam *ei-bo > tho *ei-am > eam"? a>a *ei-te > ite "= L’otativo avrebbe dato * im, con quattro persone del presente in: it, Simus, *itis, © ini, coincidendo PROBLEM! DI MORFOLOGIA 1 “eto > ito “else > ire *ei-sem > irem * ei-ond-om > eundum (col vocalismo o del gerundivo, v. p. 152). Il participio presente aggiunge un’alternanza efo del sulfis- so. Il nomin. sing. ha il grado i radicale e il grado e sulfis- sale: * teni-s > iens; gli altri casi hanno il grado ei radicale e il grado o suffissale: * ei-ont-is > euntis (clr. gr. i-6ve-os). La radice *i/i- era imperfentiva, come quella di sum e di fero, e quindi non comportava perfectum. * Ei-ul>iut>ii 2 formazione recente, probabilmente sul modello dei perfeni in -ui, ma poco vitale per la sua fragilita fonetica (si consideri che le due i tendevano a contrar: per es. & attestato imus nequit, «non va, non & possibi- le», & staia it punto di partenza per tutla la flessione di ne- queo, e da nequeo, falsamente scomposto ne-queo secondo il modello nescio/scio, si & ricavato queo, Ma vi sono altre ipote- si. Certo gli esempi di queo positivo, cio® non accompagnato da negazione, sono assai scarsi (in Plauto 13 contro 49); Cice- Tone in prosa usa solo nor queo: il che fa pensare appunto a ne-queo con la negazione staccala e ammodernata come é avve- nuto in nor wis rispetto a ne-uis. V.cEDO Dei cinque verbi anomali édo'* & stato il. primo a essere normalizzaio mediante ia progressiva scompatsa delle —larme atematiche, che avevano per di pitt lo svantaggio di confondersi con quelle di jing 17: “ed-s > *ets > *ess > és *ed-t > esi (la forma fonetica sarebbe *és < * ess, perché di > ss > s, cfr. *cad-tos > cassus > cdsus'®. Lat & stata reintrodotta come desinenza. Lo stesso si dica delle forme seguenti) '© Dal grado e della radi¢e indocuropea * éd-, cfr. l'infinito emerico yew: grado o in Sdouc, i) grado zero forse in dens: inedia, odotioiaira e deni, dentista ne conservano il ricorde in italiano. 17 Cf. Vambiguita di un‘espressione come questa di Ter. Andr. 81: filium perduxere illuc, secum ut una eset, € la paronomasia di Aquilio, 6 Rib: uhi is te monebat, esses {« potevi mangiare »), nisi quom nil erat; © cfr. anche il lu: sus Yinguistico di Apul. mei. 11, 23: praecipit.... cibariam uolupiatem coherce- rem neque ullun animal essen et inuinins essem. "© Cosi da filmido si ha * fid-os > fissus (non * fisus per evitare Vomofonia col partic. perl. di fido) PROBLEM DI MORFOLOGIA 193 *ed-tis > estis *ad > és (non fonetico, ma analogico della II pers. sing. pres. indic.) *ed-te > este “ed-to > esto *edsse > esse *ed-sem > essem Foneticamente regolari il participio ésus < * éd-tos e il desi- derativo ésttrio < * éd-tiirio (v. p. 179). Ik perfectum, edi, @ in- novazione latina secondo il modello émo/2mi (il greco invece & ricorso al suppletivismo: ow / Epayov). Le forme di ottativo edim edis etc. sono attestale prima delle corri- spondenti forme di congiuntivo edam edas etc., che, insieme alle forme tematiche edis edit edére etc., sostituite alle atermatiche es est esse etc., regolarizzavano la flessione del verbo. II primo esempio de] congiunti- vo in -am & in Plauto, favorito dall’omeoteleuto con bibas (Poen. 534: ubi bibas, edas de alieno); il secondo, sempre prodotto dalt’omecteleu- to, nella Rhetorica ad Herennium (9, 3, 85: esse oporiet ut uiuas, non uiuere ut edas). Ma neppure la normalizzazione del paradigma salvo edo nelle lingue romanze, dove fu sostituito dal composto comédo (spagn. comer) © dal sinonimo rrandaco, che aveva il tema in -d- € tuna maggiore evidenza semantica (x masticare ») !9, J.composti_di-edo- mantengono jn_gran parte le forme atematiche: Plauto, per ¢s., ha comes comest comestis comesse comesses; exest 2 in Lucrezio e Cicerone, adest in Lucano. Forse sono state queste forme a influire sul mantenimento della ¢ interna nelle forme tematiche comé- do, exédo, etc., sontraendole all‘apofonia (cfr. invece eximo, adimo, etc., ev. p. 124s). '9 Invece il ted. essex e I'ingleset0_eat conservano la radice indocuropea_ tad. BIBLIOGRAFIA 1. Il pit agile manualetio di morfologia storica resta quello di A. Ernour, Morphologie historique du latin, Paris 19533 (19141; Ernout ¢ stato anche un latinista. il che non si pud sempre dire degli autori se- guenti); pid denso ¢ originale, ricco di dati epigrafici ma meno acces- sibile F. SoMMER, Handbuch der lateinischen Laut- und Fonnelehre, cit. {ne dipende in parte C, Tacuiavini, Fonetica e morfologia storica def ta- tino, cit.), accamto al quale merita di essere ricordato, soprattutto per Jo sbocco neolatino, E. Kickers, Historische Lateinische Grarnmatik, cit, II, Formentehre, e la Historische Lateinische Grammatik di J. SAFA- REWICz, Halle 1969, tradotta dal polacco (Warszawa 1953); in inglese buono ¢ chiaro R.G. Kent, The Forms of Latin, Baltimore 1946 (dello stesso autore The Sounds of Latin, Baltimore 1932', 1945*); non pre- sentano sostanziali novita i citati Eléments di P. MONTEIL, Pit) clemen- tare, ma non trascurabile la panoramica divulgativa di J. Cotiart, Grammaire du latin, «Que ssisje? », Paris 1975? (1966"), Al'altro estremo abbiamo i grandi manuali, storici e comparativi, di WM. Linpsay e H. NowL, Die lateinische Sprache, cit. (non ancora invecchia- to, benché ormai quasi centenario; del solo Lindsay ¢’t un‘edizione ri- dotta, A Short Historical Latin Grammar, Oxford 1895', 1915?) e, fon- damentale, di M. Leumann, Lateinische Laut- und Formenlehre, cit. In italiano la cit. Grammatica latina, storica € comparativa di V. Prsat fa parte di una serie che comprende anche un manuale dei dialetti itali- ci, una storia della lingua latina (v. p. 38) e una crestomazia di testi arcaici e volgari, ma non ha né la limpidezza dell’Ernout né la pro- blematicité del Leumann. Autorevoli grammatiche comparate del greco ¢ del latino sono il cit. Traité de grammaire comparée des langues clas- siques di A. MEILLET e J. Venprves e la Comparative Grammar of Greek and Larin di C.D. Buck, Chicago 19525 (1933!). Per l'indoeuropeo v. p. 36s. MNLIOGRAFIA 195 Repertori di materiale sono: R. KOHNER, F. HOLZWEISSIG, Ausfihrti- che Grammatik der tateinischen Sprache, 1, Elementar, Formen- und Wortlehre, Hannover 3912? (= Darmstadt 1966; 1 ed. del solo Kihner 1877), K.E, Georces, Lexikow der lateinischen Wonformen, Leipzig 1890 (= Hildesheim 1967), molto incompleto; F. Neue, C. WAGENER, For. menlehre der lateinischen Sprache, voll. 4, Leipzig 1892-1905° (= Hi desheim 1985; I ed. del solo Neue 1861-1866; prontuario scolastico C. Wacener, Hauptschwierigkeiren der lateinischen Formentehre, Gotha 1888): indispensabile. Da integrare, dove esistono, con le voci del The- saurus linguae Latinae (v. p. 381 s.). Una morfologia descritiva solida ¢ sicura, perché basata su indagini e spogli di prima mano, é la Grammatica latina di A. GaxvicLio, Bologna 1916 (piv: volte ristampata © rimaneggiata; sull'opera di questo studioso v. A. Tratna, Adolfo Gan- diglio. Un « grammatico » tra due mondi, Bologna 1985). Vari lavori sulla flessione nominale ¢ verbale sono ristampati nei citt, Probleme editi dallo Strunk, del quale si vedano anche i Probleme der lateinischen Formentehre in Forschung und Unterricht. «Gymna- sium » 86, 1979, pp. 425-443 (rassegna di studi morfologici a partire dal 1970). Per le definizioni dei termini grammaticali ¢ linguistici da consulta- re J. Marouzeau, Levique de la terminologie linguistique, Paris 1951? (19341); F. LAzaRo CaRReTeR, Diccionario de términos filoldgicos, Ma- drid 1968' (1953'); il grande Sprachwissenschafiliches Wérterbuch che esce a Heidelberg dal 1961 a cura di J. KNoaLocn, con contributi di vari studiosi (nel 1986 si 2 completato it primo volume, A-E, ¢ sta proseguendo ora con i primi fasc. del II vol.); AA.VV., Dictionnaire de linguistique, Larousse, Paris 1973 (trad. ital. Dizionario di linguisti- ca, Bologna 1979); G.R. Carpona, Dizionario di linguistica, Roma 1988; ¢ inoltre, per la parte in comune con la terminologia linguistica, A. Marcnese, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano 19844 (19781), 2. Valore storico ha il vecchio F. BOCHELER, Grundriss der lateini- schen Declination, Leipzig 1866 (1879? a cura di J, Windekilde). Sulla quinta declinazione ¢ i suoi problemi ancora fondamentale H. PEDERSEN, La cinguidme déclinaison latine, Kebenhavn 1926. Studi pid recenti sulle declinazioni latine: T. GonzaLez ROLAN, Estudio sobre la primera declinacién latina, «Emerita » 39, 1971, pp. 293-304; T. Jan- son, The Latin Third Dectension, «Glouia» 49, 1971, pp. 111-142 (i 196, CAPITOLO V tenta di spiegare sincronicamente la distribuzione delle desinenze in base non ai temi, ma ai fonemi predesinenziali); X. MiGNoT, Sur les alternances dans les themes consonantiques de la troisime déclinaison latine, « Bull. Soc. Ling. Paris» 69, 1974, pp. 121-154 (Vevoluzione dei paradigmi grammaticali @ condizionata dall’evoluzione fonologica); E. Riscu, Das System der fateinischen Deklinationen, «Cahiers F. de Saussure » 31, 1977 (Mélanges de linguistique offerts @ R. Godel), pp. 229-245 (studio sincranico delle relazioni tra le singole declinazioni correlate in un modello circolare, e linee di sviluppo diacronico); A. Carstairs, Paradigm Economy in the Latin Third Declension, «Trans. of the Philol. Soc.» (Oxford), 1984, pp. 117-137 (studio delle relazioni tra i tipi rex, ignis, dens alla luce de! principio dell’« economia para- digmatica »); C. TouraTieR, La troisiéme déclinaison fatine, essai de morphologie synchronique, in AA.VV. Actes du V° Colloque de Linguisti- que Latine, cit. pp. 435-446. Per l’alternanza -is/-és nell'accus. plur. dei temi della terza declinazione M. Morant, Un problema di grammatica latina: Vaccusativo plurale dei temi in -i, « Atti Sodalizio glottol. milanese » 27, 1986 (1987), pp. 8-19, ritiene, sulla base di fon- ti epigrafiche e letterarie repubblicane e dell'epoca augustea, che la forma in -is sia senz’altro la pid diffusa se non I'unica consentita. Ma- teriali ¢ statistiche sulle occorrenze di -is nella letteratura postaugustea nell'importante dissertazione, in lingua svedese, di G.C.:son TINGDAL, Andelsen -is i ackus. plur. hos de efteraugusteiska forfattamne, Goteborg 1916. 3. 1, A. Trains, Pater familiae, « Latinitas» 12. 1964, pp. 225-229. Sulla distribuzione dei morfemi -di e -ae in Ennio O. Sxursch, Geneti- val -Al and -AE in Ennius, « Glotta» $3, 1975, pp. 121-123. Il. Eccessivamente rigido P. DE CARvVAHLO, Remarques sur certains signes du pluriel dans ta déclinaison latin, « Rey. Et. Anc. » 86, 1974, pp. 243-265, secondo il quale la forma in -wm si limita a designare, in quanto opposta a quella in -orum, una pluralita interna, senza valo- re stilistico particolare. Sul genitivo deonem in Cesare G. Pascucci, In- terpretazione linguistica e stilistica del Cesare autentico, in ANRW, I 3 (1973), p. 490 (= Seritti scelti, II, Firenze 1983, p. 655 s.). Diversa ricostruzione degli allotropi deus e diuus fa E. Burcer, Etudes de pho- nétique et de morphologie latine, Neuchdtel 1928, p. 90 s. TIL. J. WACKERNAGEL, Vorlesungen diber Syntax, I, Basel 19267 (= 1950; 1920'), pp. 10 ¢ 297; E. Lorsrepr, Syntactica, 1, Lund 1942 (= 1956; 1928"), pp. 92-96 (sintesi italiana in A. Guiset, Commento alla sin- tassi latina, Firenze 1951, pp. 155-157). Contra specialmente J, SVEN- NUNG, Anredejormen, Uppsala 1958, pp. 279-284. IV. A. GHISELLI, Cormmento alfa sintassi latina, cit. p. 47 (¢ da ver dersi tutto il capitolo sul numero) ¢ la relativa bibliografia. Sull‘alter- nanza -i/-a nel latino arcaico H. ZIMMERMANN, Schwankungen des Norri- nalgeschlechts im dlteren Latein, «Glotta» 13, 1924, pp. 224-241. Sul collettive in -a messa a punto in I. SCHOEN, Neutram und Kollektivum. Das Morphem -a im Lateinischen und Romanischen, Innsbruck 1971. Sulla prosecuzione italiana il ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana, cit, Morfologia, Torino 1969, p. 35 s. & meno ricco di PG. GoivaNicn, Grantmatica italiana, Bologna 1962', pp. 139-145. Al riguar- do si veda anche il capitolo di E. Peruzzi, Problemi di grammatica ita- liana, Torino 1959, pp. 39-44. Bibliografia in F. Sasatini, Un‘iscrizione volgare romana della 1 meta del sec. IX, « Studi ling. ital.» 6, 1966, p. 66. Su ioci/ioca TRAIN, Forma ¢ suono, cit., pp. 58-62. V. Sul suppletivismo uis roboris A. Teaina, fdola scholae, 6, « Atene ¢ Roma» N.S. 3, 1958, pp. 92-94; Idola scholae 0 idolatria di gram- matici?, ibid, N. S. 5, 1960, pp. 22-24; sul plurale wis A, Exnour, Phi- lologica If, cit, pp. 112-150. VL. Marie-José REIcHLER-BEOUELIN, Les noms latins du wpe mens. Etude morphologique, Bruxelles 1986 sostiene ora che i temi misti di questo tipo non hanno subito al singolare sincope della -i- tematica, ma che fondevano in un unico paradigma un singolare in - e un plurale in -ti-; v. la rec. di A. TRAINA, « Riv. Filol, ¢ Istr. Class.» 116, 1988, pp. 223-225. 4. Im generale chiaro € accurato G. GHEDINI, Morfologia del verbo latino, Milano, 1, 1945; I, 1946 (con le testimonianze dei grammatici antichi e bibliografia ragionata); A. TRAGLIA, La flessione verbale latina, Torino 1950. I cosiddetti verbi in -o della III coniug. sono analizzati in prospettiva fonologica ¢ ordinati a costituire la sottoclasse autonoma della V coniug. da C. ELERICK, The Latin Fifth Coniugation, « Ziva An- lika» 27, 1977, pp. 467-474, 5. In generale L. Jon, Le présent ex ses dérivés dans la conjugaison 1% CAPIOLO Vv fating, Paris 1893: B. GARCIA HERNANDEZ, Semdntica estructural y lexe- Mica del verbo, Reus 1980, p. 83 ss. |. Lavoro fondamentale Marie-Louise Sudsrenr, Les izérasifs tatins en -lée (sre), « Bull. Soc. Ling. Paris» 25, 1925, pp. 153-173; 26, 1926, PP 113-143 (discussione in A. Pacino, Sommario di linguistica Arceuropea, 1, cit., pp. 163-166), ma ancora utile il vecchio E. WOLF- FLN, Die verba frequertativa und intensiva, «Arch. lat. Lex.» 4, 1887, PP. (97-222. Bibliografia anche in J. BERKEMEJER, De verborum frequen- {Qtivorum vel intensivorum apud Plautum visu et significatione, Mins 1923, Indagini pit recenti: A. Graur, Les verbes latins en -ito, « Studi clesice » §, 1963, pp. 7-11; J, Havory, Notes de morphologie latine, in AAW, Hommages @ R. Schilling, Paris 1983, p. 483 s; B. Gancta Hinyinpez, Los verbos intensivo-frequentativos latinos: tema y desarrolo SUfjal, in AANV., Symbolae L. Mitelena oblatae, I, Vitoria 1988, pp. 227.243. Hl. E la categoria pid discussa, Giovera partire dal pit recente X. Minot, Les verbes dénominatifs fatins, Paris 1969, pp. 145-228 e dalla ben impostata monografia di P. BERRETTON), Considerazioni sui verbi la- tint in -scd, «Studi e saggi linguistic » 11, 1971, pp. 89-169, per risa- lire alle definizioni di M. Bréat, Etymologies, «Mém. Soc. Ling. Pa- ris, 6, 1889, p. 344 se di C. PLoIX, Des verbes latins en sco, PP. 399-408. Una personale interpretazione in V. Nicotate, Observai Supra sufixului latin -sco, « Studi clasice » 7, 1965, pp. 137-141 (con riassunto francese. Tali verbi esprimerebbero: a) il divenire; 6) l'inten- sificazione di una qualita; ¢) l'acquisizione di una qualita). II pid ricco Fepertorio di incoativi resta sempre K. Sr, De linguae Latinae verbis incohativis, « Arch. lat. Lex.» 1, 1884, pp. 468-583 (irascurabile invece E. Damen, De verbis Latinis suffixo -sco formaris, Lundae 1896). Sul valore del suffisso. -sk- in indoeuropeo W. Porzic, Zur Aktionsart indo- Be™manischer Prisensbildungen, «Indogerm. Forsch.» 45, 1927, p. 159 SS Il rapporto fra incoativo semplice, composto e relativi perfetth & studiato da J. CaNnepo, Die fateinischen Inchoativa und ihr Verhdlinis ur Komposition, « Glotia» 24, 1936, pp. 257-266; 26, 1938, pp. 14-28, On ricco materiale; sul rapporto semplice /composto al perfectum v. ache le pp. 43-48 di F. THomas, Recherches sur le développement di: Préverbe latin ad-, Paris 1938. Alcune retroformazioni come conticen, ethorreo, expaueo sono capidamente analizzate da O.A.W. DILKE, Used Fons of Latin Incohative Verbs, «Class. Quarterly» N. S. 17, 1967. PIBLIOGRAFIA 19 pp. 400-402. Studiano l'evoluzione ¢ ta particolare fortuna degli incoa- tivi in ambito romanzo, facendo largo spazio ai fatti latini, A. ZAM- Yoni, La morfologia verbale latina in -se- ¢ la sua evoluzione romanza: appunti per una nuova via esplicativa, « Quaderni patavini di linguist ca» 3, 1982-83, pp. 87-138, © Maria Itiescu, Les suffixes d'¢largisse- ment verbaux (Etat de la question. Evolution semantique de -esc | isc-). in AANV., Latin vulgaire — latin tardif, UL, cit, pp. 159-169. IIL. E. WOLFFLIN, Die Verba desiderativa, « Arch. lat. Lex.» 1, 1884, pp. 408-414; F. THOMAS, Sur les désidératifs latins en -essd, « Rev. de Phil. » 9, 1935, pp. 280-287; E. Risen, Der Typus parturire im Lateini- schen, «Indogerm. Forsch. », 61, 1954, pp. 187-195; A. Barratucct, J desiderativi latini in esso, «Rend, Acc. Lincei», cl. mor. S, VIL, V. XVIII, 1963, pp. 345-372, pid utile per il documentato riesame del problema che per apporti originali. IV. Sul tipo calefacio M. LEUMANN, Kleine Schriften, cit.. pp. 277- 279 (pila sotto il profilo fonetico che semantico); altra bibliografia in G. BErnaro! Penni, Liaccento latino, cit. p. 49, n. 36. 6. P.G. Gowanich, Det perfeito e aoristo latino, Napali 1896. Anche qui sono da vedere i lavori contenuti nei pitt volte citati Probleme a cura dello StauNK, pp. 241-277. Sulle formazioni radicali di perfetio Frangoise BADER, Vocalisme et redoublement du parfait radical en latin, «Bull, Soc. Ling. Paris» 63, 1968, pp. 160-196 (sul rapporto tra i duc tipi di perfetto nel quadro indoeuropeo) ¢ il volume di J. Gonza- Lnt-FeRNanbez, El perfecto radical latino, Sevilla 1981. Le forme non cuvatterizzate di perfeuo sono descrite da M. Leumann, Lateinische terfekistdmme ohne Merkmal, in AANV., Mélanges Benveniste. cit.. pp. 375-382. 1. J. GonzALE2-FERNANDEZ, El perfecto latino en -ui, Sevilla 1972. Se- condo ta recente ricostruzione di G. ScHMIDT, Lateinisch amavi, amasti aul ihre indogermanischen Grundlagen, «Glotia» 63, 1985, pp. 52-92, amusti sarebbe anteriore a amauisti. W Accurate excursus sulla dereduplicazione nel perfetto dei verbi composti in H.N. Parker, The Relative Chronology of Some Major La- tu Sound Changes, diss. Yale Univ. 1986, pp. 87-96. 7. Sulla progressiva eliminazione delle forme anomale nella flessione 200 CAPITOLO V verbale, A. ERNout, Aspects du vocabulaire latin, Paris 1954, pp. 151- 162 (rist. nei citt. Probleme, pp. 213-226). 1. I particolari della morfologia del verbo sunt sono oggetio di di- scussione. Alcuni interventi recenti: M.A. Nyman, Where does Latin sum come from?, « Language » 53, 1977, pp. 39-60; J. Sararewicz. A propos du latin sum, «Bos» 66, 1978, pp. 299-301; Palmira Cipriano, Effeiti fonetici dell’enclisia del verbo «essere» nel quadto storico della fonolo- gia latina, in AANV., Studi tatini e romanzi in memoria di A. Paglia- ro, Roma 1984, pp. 12-30; E.P. HAMP, Two Problems of Latin Altemta- tion, in AANV., Symbolae L. Mitxelena, I, cit, p. 224 s. IL. Sulla flessione di uolo ¢ composti F. SoumsEN, Studien zur fatei- nischen Lauigeschichte, Strassburg 1894, p. 53 ss. Per wis W. COWGILL, The Source of Latin vis «thou wilt», «Sprache » 24, 1978, pp. 25-44 pensa a una trafila fonetica *uels > “well > *uells {per ridetermi nazione della II pers. sing.) > ueis (per risoluzione dell'eccezionale nesso di ¢ palatale con s) > wis. TIL. Maria ILtescu, Encore une cause de ta disparition de fero, « Re- vue roumaine de linguistique » 9, 1964, pp. 555-558 (la disgregazione di fero sarebbe avvenuta a partire dal perfetto, quando sustuli fu rego- larizzato in tolli (gia Ulpiano, Dig. 464,134) > tuli, che anda a con- fondersi, data anche la vicinanza di significato, con {uli di fero; cosi il regolarizzato tollo da una parte e il regolare porto, gia concorrente, dall’altra, avrebbero portato alla sparizione dell’anomalo). IV. Ridiseute lalternanza iens/euntis E.P. Hamp nel gid cit, Two Problems of Latin Alteration, p. 223 s. Sul suppletivismo eo/uado 1 WACKERNAGEL, Wortumjang und Wortform (1906), in Kleine Schriften, 1, Gottingen 1953, pp. 181-183; sul suppletivismo it)i/ueni in Cicerone H. Sr0aREN, Tulliana, «Eranos » 16, 1916, p. 41 s; sul perfetto di eo E. Lorstepr, Syntactica, H, Lund 1933 (= 1956), p. 40 s. (e p. 38 ss. sul suppletivismo co wadis). V. Sul rapporto edim/edam Traina, Forma e suono, cit., pp. 51-54; F. THomas, Recherches sur le subjonctif latin, Paris 1938, p. 7 ss. VI PROBLEMI DI SINTASSI Sara bene chiarire subito gli scopi e i limiti di questo capi- tolo. Non si tratta, € ovwvio, di sostituire i rispettivi paragrafi della sintassi normativa (che va anzi necessariamente presuppo- sta), ma additare alcuni tipici errori e lacune dell'insegna- mento scolastico e impostare la relativa problematica. D/altra Parte un discorso sintattico nell'attuale situazione culturale é molto delicato: assistiamo a un vero e proprio terremoto meto- dologico. La grammatica storica indoeuropea non ha dato risul- tati cosi fecondi e sicuri in sintassi come in fonetica e in mor- fologia, venendo per buona parte a mancare la base comparati- va; ¢ le sue stesse conquiste che parevano pitt assodate sono rimesse in discussione dallo strutturalismo e dalla grammatica generativa. Quest'ultima soprattutto sembra avere la forza e Vambizione di reinterpretare da capo la sintassi latina la sintassi tout court — ma @ una disciplina ancora in fieri, pid ricca di valore euristico che di applicazioni pratiche. Noi ci miteremo a dare qualche prudente indicazione, prevalentemente di carattere diacronico, e la consapevolezza dei problemi. sf. Il locativo La denominazione di « genitivo locativo », cosi dura a mori- re nella scuola, rende compresenti nel suo contradditorio bino- mio due spiegazioni separate da pit di un millennio, Forme. come.-2ase, domi costituivane un problema per_la_grammatica -anticg@s Al senso linguistico dei Latini esse apparivano, non a torto, Ce forme avverbiali, Sisenna, per ¢s., sulla testimonian- za di_ Casio (p, 264 Barw.), distingueva lucé, ablativo, da uci, aver bio. ¢ Getlio (10, 24, 1) considerava un’antica forma av- verbiale, da scriversi tutta insieme (copulate), diequinti, «nel quinte? Biome », Quando la speculazione grammaticale cercd di. ns Tagione, della_desinenza, oscilld fra.il genitive.e il dati- yo. £5! tnetiuus, alferma di domi suae il medesimo Carisio (p. 160 Barw.), Ma non potendosi far rientrace nel genitive né i ¢ Corthogini, altri grammatici danno la seguente cegola: SAD ver la II declinazione, dativo per Ja Te la dit. Wulti- ma_e-Pllautorevole parola. fu di Prisciano,.e fu in favace_del geniti¥9 (U 66 s. Hi Romae, Tarenti, domi, humi), con Pec- ceziox¥€ ei dativi uesperi e ruri (H 64 H)). La ica. umanistica avanz un‘altra spiegazione con la celebre Minerva seu de causis linguae Latinae (1587) dello spagnelo Francesco Sanchez (latinizzato Sanctius)?: [ellissi. Cosi Rome era da ricondurre a in urbe Romae (p. 655 dell’e- dizior? ¢i Amsterdam, 1714), domi a in aedibus domi (p. 550), domi Pellique a tempore domi bellique (p. 647; invece ruri, ues- peri, 74Ci eran interpretati come ablativi alternanti con le for- me ir ~. p, 200). La spiegazione del Sanctius (la cui opera fu Fistasy9P!8 fino ai primi dell’800), consacrata dal logicismo del- la GraMMatica di Port-Royal (1660) *, rafforzd la regola del ge- + osserviamo, tra parentesi, che un «dativo locative » non sarcbbe illegitti- mo dal PUG di vista del greco, dove il locativo & confluito nel dative. 7 Trd0lla ora in francese, © corredata di un ampio studio introduutivo e di comment© da Genevieve Crentco, Lille 1982; una (rad. spagnuola era stata pre- cedentemente data da F, Rivenas CARoenas, Madrid 1976. ) Grammaica ¢ togica di Port-Royal, 9 cura di R. Simone, Roma 1969, p. 78; G.A- PAoey, Grammatical Theory in Westert Europe 1500-1700. The Latin Tradirio™. Cambridge 1976, p. 213 $s. Clr. anche M. BReva-CLARAMONTE, Sante- tis’ THEO” of Language, Amsterdam 1983. PROBLEMI DI SINTASSI 203 nitive, ancora prescritta, per es., intorno al 1865, dalla XII edi- zione della Lateinische Grammatik dello Zumpt, quando gia da quarant‘anni la nascente grammatica storica aveva risolto it millenario problema. Occorreva_il confranto. con una lingua.do- ve_il locativefosse un .caso. vitale-e non un relitto come. in greco_¢ in latino. Questa-lingua fu-il-canscrito, e il merito del- la scoperta é attribuito a un sanscritista, F. Rosen, nella Profu- sio corporis radicum sanscritarum del 1826. La scuola recepi lentamente i! nuovo termine {pid che il nuovo concetto), ma senza rinunziare al vecchio. Forse I'incol- pevole responsabile della contaminazione fu l’autore di una Grammatica latina di grande ¢ meritato prestigio, il danese N. Madvig. La traduzione italiana di C. Fumagalli, edita a Biella nel 1867, parla ancora di « genitivo» nella regota, ma nella no- ta awerte, un po’ confusamente, che si tratta di un «caso lo- calivo» (p. 258 s.). In realta, Jocaiive. ¢ genitive _non hanno nulla in comune: basti pensare che a domi risponde nui, che al singolare Romae risponde al plurale I'ablativo Athenis. doeuropeo_aveva otto casi, ancora vitali_in_sanscrito: ol yc iCacai]WD che semviva a. localizzare ello _spazio (domi, ruri, hic, etc., gr. olxol, «a casa») e nel tempo (heri, uesperi, etc, gr. ale(, « sempre»). In latino, secon- do la tendenza alla semplificazione morfologica, comune a tutte le lingue indoeuropee *, lo strumentale ¢_ il locative sono stati sintattiche sono state ereditate dal- ‘ ha_perduto-anche-teblativo. In alire categorie grammati oo ha subito_la_perdita dium_oumero, il duale. di.un modo, Vast te Hel conghuniivo), di_un tempo, l'aoristo (confluito net perfetto), .di una diate- si, il_medio (parzialmeme sopravvissuio nel deponente). Clr. TRaiwa, Riflessioni Sulla storia detta lingua laina, nella introd, alla cit, Storia delle tingua latina i Sro.z-Deprunnen-Scumup, p. VII ss. Vablativa 5: ecco perché @ legittimo parlare, in opposizione all’a- blativo propriamente detto (che il caso del punto di parten- za), di « ablativo strumentale» e di « ablativo locativo». La desinenza caratteristica del locativo era -f (v. p. 130): es- sa compare nei temi in -o/e- (Tarenti < * Tarentei) ¢ in conso- nante (ruri, Carthagini); nei temi in -d- si 2 mutata in -e, (Ro- mae < Romé-i, diverso dunque dal genitive Romdi). Nei temi in -o/e- la forma originaria, a giudicare dal greco (cfr. txei € ofxet alternante con ofxot) e dall‘osco (cfr. hivkei = in luco, La- dinei) doveya uscire in i, dove -e- rappresenta la vocale tematica al- ternante con ~0-, Delle grafie epigrafiche latine Heic e Delei non si pud far caso, perché ei pud essere notazione di i. La -i dei temi in conso- nante @ analogica: la ~¢ dell'ablativo potrebbe essere il legittimo esito fonetico della -i del locativo (* niri > mniré come * mari > maré, v. p. 129). L’oscillazione quantitativa hért/hért, tbi/ibt, tibi/ abi par dovuta all'abbreviamento giambico (U — > vu vu, v. p. 130 5). A sua volta Ja +i poteva aprirsi in 2, donde la forma heré gia attestata nei comici (sulla quale cfr. Quint. 1, 7, 22). Le forme locative latine sono ormai_dei fossili_emargingti dalla flessione, degradati ad avyerbi locali e temporal: hic, il lic, ibi, ubi, peregri, «all’estero» (da ager), ruri, uiciniae, « nel vicinato » (arcaico), humi (con valore anche di mole a luogo), domi (militiaeque, bellique®), heri, uesperi, luct, «di giorno», 5 Che parcid ¢ un caso 4v. p. 181). La coscienza dello strumentale non si era del ito spenia in se Quimiliano polé osservare: cum dice shasta percussi«. non utor ablativi natura (1. 4, 26). Che fino al tempo di Plauto il latino distinguesse Vablativo propriamente detto (di provenienza) in -6didd dallo strumentale in -0/-4 2 azzardata tesi di L.C. Prat, Morphosyutaze de Tablati{ en latin archaique, Paris 1975. Alla funzione dello strumentale fa corrispondere un morfema «instruttive> (come, alla funzione lative, un morfe- ma_«inessivo», termine della grammatica ugrofinnica) C. Tourantt nella sua analisi morfematica dell’ablativa tatino (Quelques principes pour V'énde des cas, « Langages » 50, 1978, pp. 98-116). * Originacameme duellique, con coppia alliverante, Duefhum pasd a bellum mel II sec, a.Cr.; perduellis, «nemico». fu soppiantato dall'antice nome dello straniero, hostis (eff. wed. Gast), e rimase come arcaismo. PROBLEM! DI SINTASSI 205 tempert?, «a tempo», meri-die < * mediei-die®, cotli)i-die < * quot(tei-die, ¢ i toponimi, U valore avverbiale .¢ confermato anche dal fatto che tali forme non sopporiano determinazioni -aggettivali: Romaz ma in_ipsa Roma o Romae (inl magna urbe. (tranne che I'epiteto faccia parte del toponimo: Albae Longae), domi. (meae) ma in magna. domo. Per tutta la storia del latino @ continuata la lenta erosione del locativo, soppiantato dall‘abla- tivo? 9 da sintagmi preposizionali (in, ad, apud)'°. Ma litalia- no ne conserva il ricordo negli awerbi ivi, ieri, ft, in toponimi come Firenze, Sezze, Brindisi, Rimini, Assisi, Chiusi, Trapani, Ascoli, Bari, Sutri, Cingoli, Tivoli. 53, I pronom! indefiniti ti_i_pronomi_1; iti | Di ini la serie degli indefinisi | 4e_maggiori difficali*_per Je souili_differenzesemantiche che. 7 Locative apofonico di tempus. * Con dissimilazione della prima dentale. * Luct (ancora in Cic. Phif. 12, 28) da luct, uespert da uespert, iempert da tempore. ruri da ruré (sembra a partire da Vorrone ¢ Orazio: frequente in poe- sia daniilica). Non sembra nel giusto |'Ernout (Morphol. histor., cit.. p. 9) nel considerare localive mant: si tratter’ di ablativo del tema in -i- (cfr. immanis), se @ vero che in Plauto mani ricorre solo nella formula usque o mani. Mane invece @ il nomin. — accus. neutro dello stesso tema. 1© Si ricordi che Cicerone usa ad per i toponimi composti con Forun: (fam. 12, 5, 2: erat Clatemae noster Hirtius, ad Forum Comeli Cassar) ¢ in per i por- (Au. 8 3, 6 nawis et in Caieta parata nobis et Brandis Infiniea & gia termine grammaticale antico per indicare alcuni pronomi, fra cui quis. 2 Ma é fo fe quell “ose. \FSppo spesso livellati nell'unica traduzione italiana «stesso + (esempi in TRAINA-BERTOTT, Sintassi nonmativa della tingua tatina [v. Bibliografial, t 168). 206 ~ caprroto vi non hanno corrispondenti in italiano. Non c’é da stupirsi_ che nella prassi scolastica corrano molte «regole » empiriche ¢ inc- satte, di cui la pid trita & che «aliquis perde le ali dopo si etc.», Esaminiamo dunque brevemente? gli indefiniti che i- spondono al concetto di «uno, alcuno, qualcuno». Essi sono pit numerosi che in italiano, perché devono in pane supplire _alla_mancanza dell’articolo indeterminatg “. Dove noi diciamo, per es., «ho incontrato ux uomo che ti conosce», «un tizio potrebbe dire», «se c’é un dio», «quando mai ho fatto una cosa simile? », il latino renderebbe rispettivamente con quidam, aliquis /quispiam, quis, quisquam. Tali pronomi_sono dunque cingue, e si_collocame_lungo una scala che va da un minimo_a un_massimo di. indeterminatezza (sino a sconfitiare Wella iiegat- vita), secondo il seguente schema: @uidaw (da * quis-dam) individua ma non specifica: accurrit quidam notus mihi momine tantum (Hor. sat. 1, 9, 3); erar Pipa quaedam, uxor Aeschrionis Syracusani (Cic. Verr. 5, 81). MI se- condo esempio, che si potrebbe moltiplicare, infirma la corrente. definizione secondo cui quidam indicherebbe persona che non_ Si.vuole o non si pud nominare; aliguis (da alius ¢ quis) afferma [esistenza di persona 0 co- sa non individuabille: exspectabam aliquem meorum (Cic. Att. 13, 15); Epicurus praecipit ut aliquem uirum bonum nobis deli- gamus (Sen. ep. 11, 9); quispiam (da quis-piam) & Vindefinito della probabilith: nec, si gtando cuipiam nocuit, id loui animaduertendum fuit (Cic. nat. 3, 86). La concorrenza dei pronomi contigui aliquis-e quis + Rimandando alla cit. Sinassi normariva, 1, p. 185 ss.. per una casistica ¢ una esemplificazione dettagliats. “ Sui medi in cui il Jatin supplisce all'assenza dell'articolo, sia determinato che indeterminato, cfr. U .E. Paott, Seriver latin, Mitano 1952. p. 3 ss. PROBLEM! DI SINTASS! 207 ne ha ridotto I'uso a formule fisse (quaeret fortasse quispiam) 0 a desiderio di uariatio (imiuriae sunt, quae ... aliqua turpitudine uitam cuiuspiam uidlant, Rhei. Her. 4, 35); quis_(enclitico) & V'indefinito della pura possibilita, ¢ come tale si, _appoggia a.particelle di senso eventuale (si quis quid reddit, magna habenda est gratia, Ter. Phorm. 56), ma queste lattica 5); ‘dixerit guis (formula col congiuntivo potenziale), 1 versamente, quando si ha interesse ad affermare un minimo realta si_usa_@figuis: anche in frasi ipotetiche, (si aliquid orato- viae laudis nostra attulimus industria, Cic. Tuse. 1, 6) e negati- ve (cauebat Pompeius, ne uos aliquid timeretis, non aveste il minimo timore », Cic. Mil. 66); quisquam (da quis-quam, aggettivo ullus < *oinolos, dimi- nutivo di wus) pone in discussione I'esistenza di qualcuno o i qualcosa, che si nega (sec mortem effugere quisquam nec amorem potest, Publ. Syr. N 57 M.), 0 di_cui si dubita (aut ne- mo, quod quidem magis credo, aut, si quisquam, ille sapiens fuit, Cic. Lael. 9), © contro cui si protesta (heu cadit in quem- quam tantum scelus?, Verg. ecl. 9, 17). La medesima differenza corre tra i rispettivi avverbi di luogo © di tempo. Per es. quando, enclitico, si appoggia come quis a particelle dubitative o negative (si, ne, elc.); aliquando, « una volta o V'altra», sta a quondart, «una volta, un tempo», come aliguis sta a quidam: dal diverso grado di determinazione dipende se aliguando 2 preferibilmen- te orientato verso il futuro, quondam verso il passato (cosi come si di- ee aliquis dicet_ma quidam dixie, clr. Cic. fin. 1, 1: quidan ... repre- “hendunt; aliquos futuros suspicor...). * Vv. un altro esempio a p. 232, 208 CAPITOLO VI B evidente che V'indefinito originario 2 quis °, corradicale del relativo qui? e risalente all’indoeuropeo: greco uc, osco pis. E un fatto originale latino la creazione di una ricca serie sinoni- mica di indefiniti mediante composizione con altri pronomi (alius) 0 con particelle generalizzanti (-dam, -piam, -quam). sl Facio con I'infinito: un aspetto del causative Questa volta non si trata di un «idolo» della scuola, ma piuttosio di un tabu: di un sintagma, cioé, rigorosamente bandi- to dal latino scolastico, anzi assunto a simbolo di latino mac- cheronico: latinus grossus facit tremare pilastros & un anonimo verso riecheggiato dal precursore del Folengo, Tifi Odasi: ama- zat gentes, facit tremare pilastros. « Non credo che sarebbe [aci- le riunir meglio in tre sole parole tutte le caratteristiche essen- ziali de] latino maccheronico», osserva un intenditore, U.E. Paoli'; e prosegue: «il facit tremare pilastros... contiene anche questo, che vorrei chiamare ‘errore di-calco'’, consistente appun- to nel ricaleare. jl latino su.di una locuzione italiana che in_la- tino_non_ 2 ammessa. In latino, per dire ‘fa tremare i pilastri’, * Solo l'accento Io differenzia dall'imerrogativo. Si & discusso quale dei due sia l'originario: sembra pid facile postulare il passaggia dallindefinito: 10 uno (quis)? » allinterrogative: +2 venuto? chi (quis)? » che Plaut. Pseud. 29: habent quas gallinae manus); ma forse @ problema mal po- sto. 7 Al nominative quis ¢ gui differiscono per il tema, rispeitivamente in -i- ¢ ino €° quoi > *quei > qui, dove i & panticella epiditica, v. p. 226, n. 14): negli altri casi i due temi si Sono mescolali: gen. (yuoius > cuius), dat. (que > cui) ¢ ablat. sing. nom. gen. accus. plur. da 0-, accus. sing. ¢ dat.ablat, plur. da i (il (emminile naturalmente 2 da un tema in -2-). Le forme escluse ma si sono conservate o come doppioni piu rari (ablat. sing. qui, v. TK: nom. plur. areaico ques: dat-ablat. plur. quis < * quo-is) 0 co- me congiunzioni (nom-accus. plur. neutro quia, v. p. 223) "1 latino maccheronico, Firenze 1959, p. 6 ss. PROBLEM! DI SINTASSI 209 ci si esprimerebbe con una frase che, alla lettera, corrisponde- rebbe all'italiano ‘fa si che i pilastri tremino’: efficit ut ipsae antae (remant ». Dobbiamo allora giudicare maccheronico anche il Pascoli per aver scritto (Cen. in Caud. 117): faciet ridere foco splendente Penaies? Vediamo come stanno le cose. Facig. con. l'infinito, nell’acc Hione di far fare», 2 atiestato Sin dat latino arcaigo. ins “due joni_di_oy istico, la_lingua poetica ¢ la Comincia Ennio in un frammento di leione inceria (@nn. 452 Vahl2: facient longiscere), seguita Lucrezio (3, 100: quod faciat nos - uinere cum sensu), da entrambi lo eredita Virgilio (Aen. 2, 538 s.: nati coram me cernere letum - fecisti) e Jo trasmette alla poesia imperiale (Quid. met. 7, 690 sx hoc me . telumt flere facit facierque div, etc.). Sul versante della lingua d'uso @ sicuro nella satira luciliana (1270 M.: purpureamque uunam facit albam pampinum habere), poi nel De re rustica di Varrone (3, 5, 3: desiderium facit macrescere uolucres melusas) e si fa sempre pil frequente nella prosa imperiale. La prosa letteraria classica Iignora? (donde il taba scolastico), ne cost retorica di Cicerone (Brat. 142): actio tales oratores uideri facil, quales ipsi se uideri uolunt. La motivazione stilistica 2 evidente, ill parallelismo dei due infiniti, Come dobbiamo interpretare questi dati? Facio con I'infinito, come le analoghe costruzioni in tante lingue antiche © moder- ne, 2 un surrogata perifrastico dei squat! o fatttivl, cioé di quei i verbi_la_sui_azions ¢_direvamentc.o indirettamenic provo- cata _dall’agente ip altri (cir. addormentare di fronte a donmire). Morfologicamente, come si & visto (p. 180), questa categoria era caraterizzata dal vocalismo radicale o e dal tema in -é-: 2o- wneo,_«faccio_ricordare », doceo, «faccio imparare», etc. La ? Ma Seneca (ep. (14, 17) ne cita un esempio in Artunzio, storico sallustia- no dell’eta augustea, 210 CAPITOLO vi juttivita di_tali verbi_pose il problema di_ren- dere il causativo_con_altri mezzi, che sono poi quelli, general- mente perifrastici, consigliati. dalle sintassi_per tradurre_« fare » finito. La prosa letteraria classica, nella sua ten- ‘a a sviluppare i costrutti congiunzionali, ha prefe- rito facio (efficio) ur alla infinitiva, certo pil economica e per- cid pid accetta sia alla lingua d'uso, sia alla lingua poetica >; su questa avra anche influito il prestigio del parallelo simtagma omerico noioav ixéodor (Od. 23, 258) 4. s@ Liaspetto verbale | : Partiremo, presentando la materia. di questo paragrafo, da una definizione gperativa dell’aspetio verbale, perché forse nes- sun campo d'indagine relative al sistema verbale presenta mag- giore complessita di dati ¢ sfumature, ed assieme una maggiore articolazione di posizioni critiche da parte degli studiosi del problema, che @ oggetto in questi ultimi anni di un numero sempre crescente di studi e di approcci metodologici nei pit diversi ambiti linguistici. Per noi @ ovvio che la categoria fondamentale del verbo sia quella del tempo: ogni accadimento si situa in una successione progressiva che, in rapporto al momente in cui parlo, si seg- menta in passato, presente, futuro. Ma questa tripartizione. del Jempo (il cosiddetto « tempo _struturato +) @ una conquista del- Vastrazione a cui non tutte le lingue sono pervenute. Special- mente Ja determinazione del futuro sembra povera e vaga in molte lingue primitive; ¢ in latino stesso le formazioni futurali * Su questo incontro di lingua d'uso ¢ fingua poetica v. p. 26, n. 8. € p 219 ss. (sulla paratassi). * Del resto ill sintagma @ normale in greco, moko pit! libero del latino nel- uso dell'infinito, cfr. J. Hummers, Svnraxe grecque, Paris 1960", p. 200. PROBLEM! Di SINTASSI a fen _risalgono_direttamente all'indoguropeo', ma. deriyano, da antichi_congiuntivi (/egamt, ero) 0 sono concrezioni_ perifrastiche (ama-bo, v. p. 187, n. 4), L'uomo_primitivo sente il tempo con: cretamente come durata, cioe come un flusso continuo, in_cui & immerso. I! riflesso linguistico di questa esperienza é la catego- ria dell'agpetto: pid antica ¢ concreta di quella del tempo, ma ancor viva € variamente operante nelle lingue moderne. Per es. la _differenza_tra_« scrivo» ¢ «sto scrivendo » non @_un fatio tempo, trattandosi sempre di presente, ma di aspetto: « sto scri- Vendo» (come franc. «je suis en train @écrire », ingl. «1 am writing») rende_ssplicito,. i -dietbe_al_callentatore, jL_valore durativo_implicito_in_«scrivo». E al passato I'azione conclusa gi sserissl + si_cnpone-alla-contimuli-di_sscciusve, Possiamo lunque dire provvisoriamente che Vaspetto defintece il proceso verbale in rapporto allx durata. II termine «aspetio» @ un calco dal russo vid (nelle lingue slave Vaspetto 2 molto pit vivace che nelle lingue germaniche e romanze), dovuta a C. P. Reiff nella sua Grammaire raisonnée de ta langue russe del 1828-29. Tale nozione fu introdotta nella grammatica delle lingue classiche nel 1846 dal grecista G. Curtius sono la denominazione di Zeitan?, poi mutata dal Brugmann nel 1885 in Aktionsart, «modo o dell’azione ». La definizione dell'aspetio, ancora sub iudice, & una jose questioni della linguistica: c’ addirittura chi nega la legittimita di trasferire questa categoria da un sistema linguistico a un altro. Oggi si tende a distinguere 'Aktionsart come categoria semanti- ca, indicata con mezzi lessicali (diversita di radice, per es. vivere / mo- * Valga un'analogia lessicale: « a differenza di quel che @ accaduto per ‘i per esprimere la quale idea si @ conservata in motte fingue l'originaria parola indocuropea, per ‘domani’ sembra che nessun termine uguale si ritrovi in due lingue » (Curaivoto, La formuzione degli avverbi in latino, cit., p. 137). 7 Ma sembra che il merito di avere intuito la categoria dell'aspetio in latina spetti al Leopardi dello Zibaldone, dove oppone I's atta» puntuale alla = azi ne» durativa: clr. Francesca DE STALES, Leopardi e Maspetio verbale, « Quaderni Istit. Filol. Lat. Padova» 4, 1976, pp. 157-171. 212 carrmoio vi rire, cercare/trovare, eo! uenio, fero/tollo, 0 di affissi, per es. donmi- re/addormentarsi, uenio/ aduenio, suadeo/persuadeo) e Vaspetto come categoria grammaticale, indicata con mezzi morfologici (serissi/ scrive- vo, uénio/uéri}. Tale distinzione non ci sembra essenziale, specie in questa sede: pertanto intenderemo sotto il termine di aspeito rutte le opposizioni conceenti la durata del processo verbale nell’ambito di una medesima radice (escludendo cio’ te opposizioni radicali del tipo cercare /trovare, eo / uenio, che non presentano divergenze in italiano ¢ in latino). Nella realté della lingua l'aspeto non & percepibile che in un sistéma “di opposizioni: ossia un aspetto si definisce in rap- porto al suo opposto. Le opposizioni aspettuali possono essere tante, quante sono le determinazioni, positive e-negalive, della durata, In latino, seguendo sostanzialmente il Meillet, ricono- Sciamo due opposizioni fondamentali: tmcomptuto/ comptuto, durativo / momentaneo. 1. INCOMPIUTO / COMPIUTO Lizzione_in_via di svolgimento Gerba) «sto scrivendo ») 2 l'azione..gimnta a compimento (crips) «ho finite di sizione & basata la morfglogia del esfecturd (« incompiuto », tema del pre- (« compiuto », tema del perfetto), secondo una terminol isalente a Varrone ?. Questo originario valore aspettuale del perfectum spiega il valore temporale di presente dei _perfeni menini, «ho richiamato alla memoria» € quindi «ricordo », woug, «ho appreso» e quindi «so», «ho preso in uggia» e quindi « odio», consueui, «ho preso I’abitudine » ¢ quindi «soglio», etc. (cfr. l'equivalenza col presente in Plaut, > Ling. Lat. 10, 48: curt sint uerba ut legi ef legisti..,: la Fonte & greca, J. CoLarr, Varron grammairien | infecta, ut lego et legis, alia perfecta, Particolare stoica (Gtehis / téhetoc), cfr Paris 1954, p. 186 5. PROBLEMI DI SINTASSE 213 Pers. 176: memini et scio; Epid. 576: neque scio neque nouis Liu. 35, 19, 6: odi odtoque sum Romanis). ‘Ma sempre, in tutta la latinita, particolari contesti possono riattua- lizzare V'antitesi aspettuale infectum /perfectum, cfr. Plaut. Bacch. 151: uixisse nimio satiust quam uivere, «aver finito di vivere @ molto me- glio che continuare a vivere» (cui risponde al modo finito Plaut. Pseud. 311; ilico uixit amator, ubi lenoui supplicat, dove uixit equivale al mortuss est del verso 310); € ancora Plin. 7, 190: si dulce uinere est, cui potest esse uixisse?; Sen. ep. 9, 7: antifici incundius pingere est quam pinxisse, «all'artista fa pit piacere 'atto del dipingere che il suo compimento ». (Seneca stesso chiosa: non acque delectatur, qui ab ope- re perfecto remouit manum); Apul. met. 5, 11: meos.. wultus, guos... non uidebis si uideris, «il mio volto. che... non continuerai a vedere una volta visto », Tuttavia, se_il_valore durativo dell'infectum 2 sempre rimasto vivo, dal_valore compiuto del. perfectum si. sone sluppat dug Yalori, temporali ¢ non pid aspettuali: il valore assoluto di pas- sato,_ nel fetto_indicativo (col progressivo svuotarsi del perfet- to «logico » a favore del perfetto « storico »)_e¢ il _valore relativo di_anteriorijA (soprattutto nelle subordinate). Cosi l’opposizione Tnfectum / perfectum si sposta semanticamente sul piano del tem- po (cfr. Mart. 5, 9, 4: non habui febrim, nunc habeo), costi- wwendo la vera originalita del verbo latino rispetto al verbo gre- co, ancora condizionato dalle opposizioni aspettuali ereditate dall'indoeuropeo. ‘In _greco «non si_pud rare di tempo, propriamente_deno_che_gl- Vindicativa » (Humbert. op. cit. p. 134): negli altri modi prevale_1: Spetto, che oppane la durativita del presente nop solo alla compiutezza ape Perfetio, ma.anche alla «non durativita» dell'soriste, che pud in- ‘dicare il processo verbale in un. punto qualsiasi del suo svolgimento * * Ecco come un poeta di formazione classica ha cercato di rendere in ita- liano la triplice opposizione aspettuale greca: «.. sfavillé. Si spegneva... era git spento » (Pascoli). 24 ‘APITOLO vt Morfologicamente_il_ perfectum lating. 2 sincretico, conglobando fo zioni di perfetio (dedi, v. p. 184) € di aoristo (dixi, v. p. 185); residui non bene integrati nel sistema sono riconoscibili negli oativi (ne dixeris, clr. wa eixns) © potenziali (dixenit quis, cfr, eixoy ug dv), negli infiniti « per- fetti» dopo i verbi potere» e «volere» (clr, Verg, den. 6, 79: si possit excussisse deum): ‘uti casi alternanti, senza differenza temporale, col presente. Semanticamente, la puntualitd dell’aoristo si prestava a essere resa in latino dai composti: v. p. 217. n. 12. ‘I, _prevalere del, yalore temporale su quello aspetiuale nel perfectum ha ayuto come conseguenza la creazione di_una_nuo- va Tooma petilrastica per [aspstio” compluto: kabeo col_partici- pio perfetto, abbastanza vivace nel latino arcaico, limitato nella prosa classica ai verbi di «conoscere» e «deliberare » (comper- umn, Statutum habgo), ma destinato_a originare, il_passato pros. simo_romanzo. I. DURATIVO / MOMENTANEO E Yopposizione aspettuale semanticamente pili viva © operan- te in latino: jl_pre verbale_considerato. nel suo durare in- ito «sto gridando 4) si oppone_al proces: so verbale condensafo in un punto (aspettaCRaaneaiamenr « get: to un grido’): tal pud essere anche il ‘iale (aspetto ©. finale (aspetto wD oO dell’azione. ITatino ricorre ai preverbi cosiddctti perfettivizzan- BL: ab-, ad-, de-, dis-, ex-, in-, ob-, per-, re, sub-, e specialmen- * Per il nome, un po’ amhiguo, v. infra, Ia fine del §. Un tempo questa va- lore pertettivizzante era affidato ad altri mezzi morfologici, come il raddoppia- mento del presente (si-sto, «mi fermo® di fronte a sto, «sto [ermon: * si-sdo > sido, «mi siedo» di fronte a sedeo, «10 sedulos, v. p. 184) © Vinlisso na- sale (recusm-bo, « mi sdraio » di fronte a reviibo, + sto sdraiaio», v. p. 150). PROBLEMI DI SINTASSI 215 te con-, i_quali, oltre a mantenere il significato originario®. no _aggiungere al verbo composto I'aspetto momentaneo in opposizione al verbo. semplice: clamo/exclamo, .conclamo, La differenza di aspeto pud implicare notevoli modificazioni se- mantiche, a cui non sempre si presta la dovuta attenzione: bel- Jo, «faccio la guerra »/debello, « pongo fine alla guerra »7; ca- do, «cado»/concido, «stramazzo»; facio, « faccio » /efficio, «effettyo », conficia, «finisco », perficio, «compio »: fugio, «s0- no in fuga» /effugio, «sfuggo», confugio, «mi rifugio»®; la- bor, « ‘olo »/ collabor, « rovino, crollo» (cfr. ital. labile / col- lasso), dilabor, «svanisco »; lacrimo, «sono in lacrime » /colla- crimo, «scoppio in lacrime »; orior, «sorgo»/coorior, « scop- pio, insorgo»; sequor, «seguo, vado dietro»/asséquor, consé- quor, «raggiungo, oltengo»; suwadeo, « consiglio » / persuadeo. ‘origine del valore aspettuale ingressivo ed egressivo 2 owvio coi preverbt I, ex, de-, etc., meno owio con con-, al quale il valore di « comp; “menio» (visto sia positivamente came perfezione, sia negat sumazione. cir. conficio) viene dall'originaria accezione di «riunione », in quan- to essa implica il passaggio-dal. molaplice alliiag, Con- é il preverbio che pit “Tacilmente perde il « senso pienow per esprimere solo l'aspetto: concido signili- a «cado di bottos e non «cade insieme » (tant’é vero che per questa accezio- ‘ne Seneca coniera il neologisme concado in nat. 6. 1, 9, cfr. Trains, Due tote al «De breuitate uitae », in Lo stile «drammatico » del filasofo Seneca, Bologna 19874, p. 162); ma colléguor, coeo, conuenio, concumby, confabulor, congredior, etc, bastano a smentire ‘affermazione del Devoto, che con- «non di mai al verbo compasto il significato di compagnia» (Soria della lingua di Roma, cit. p. (15). Negli altri preverbi i due valori in genere coesistono (ma in sol exori- tur, per ¢s., eX- & solo locale), iranne nei verbi caratterizzati come imperfeltivi © morfologicamente (frequentativi) 0 semanticamente (sum, sto, sedea, cubo, ete: per i tre ultimi la perfettivizzazione avviene con altry mezzi, v. supra, n. 5). nei quali i preverbi hanno solo senso pieno: adsum, « vono presente», adsio, + sto accamto» (opposto a adsisto), assideo «sto seduto accanto» (oppasio a assido), accibo, «sto sdraiato accanto» (opposte a accumbo). 7 Debetlo non & altestato prima dell'spoca augustea: Virgilio © Livio. L'uso assoluio @ particolarmente caro a Livio: il primo esempio con accusative di persona (come in italiano) @ in Virgilio. * Ul corrispandente ingressivo & perifrastico: fugae me mando, fugam capesso. + mi do alla fuga +. 216 CAPITOLO vi «faceio accettare il mio consiglio, persuado » (cfr. ital. suaden- te/ persuasivo); tonat, «tuona»/conténat, «scoppia un tuono », deténat, «finisce di tuonare »; uro, «brucio »/combitro, extro, «incenerisco» (cfr. ital. ustione / combustione)®; uenio, « ven- go» /aduenio, peruenio, «arrivo, giungo », etc. Esempi: Enn. sc. 206 Vahl?: facrumae guctatim (goccia a goccia) cadunt; Luer. 2, 353: utiles ... mactatus concidit. Ter. Hee. 41: tumulwaniur, clamant, pugnant; Plaut. Most. 488: excla- mat derepente'° maxumum. Cic. Sest. 81: si, quod facere yoluit, effecisset. Titin, 14 Ribb.": ica semisation fugi atque effugi patrem: Lucr. 3, 1068: se quisque fugit, at ... effugere had potis est; Sen. Helu, 17, 3: illo te duco quo omnibus qui fortunam fugiunt confugiendum est; Apul. met. 8 24: quam ... fugiens effugere ... non potuistt. Verg. Aen. 3, 516: sidera cuncta noiat tacito labentia caelo; Tac. ann. 2, 3b: ad gemitum conlabentis (di Libone che si era suicidato) ac- curren liberti, Plaut. Bacch. 761 s.: magnum molior negotium metuoque ut hodie pos- sim emolirier. Y Cle. Sen. nat. 2, a0, 4: quodeumque combustumt est, utique et ustum est, at quod ustum est, MOM utique Combustunt est. (9 Spesso il composto ¢ accompagnaio da un awerbio di tempo che ne sot- tolinea la momentaneita, cfr. Cic. Cluent, 30: subito conclamauit; Plaut. Amph. 1094: continuo condnat; Liv. 1, 16, 1: subito coorta tempestus, Ouid. met. 6, 293: comicuit subito, etc. PROBLEMI DE SINTASSI 27 Sen. ep. 101, 13: quod autem uiuere est din mori? (che vivere @ un Tungo morire?)"!; Publ, Syr. Q@ 4 M.: quam misenun est mortem cupere nec posse emdri! (riuscire 4 morire); Plaut. Pseud. 1221 Te haud sinam emoriri ", iam morior. nisi argentum redditur; Cic. Cluent. 30: subito iNa ... exclameuit se maximo cum dolore ‘emdri (segue: ... ad hanc mortem repentinam...). Plin. 6, 60: proditur Alexandrum nullo die minus stadia DC nauigasse indo nec potuisse ante menses V enauigare (« giungere al termine della navigazione »). Cie. Deiot. 12: Pompei triumphos admirantes numerabamus, tuos enu- merare {arrivare alla fine del conto) non possumus. Sen. ben. 4, 26, et sceleratis sol oritur, Plaut. Pers. 313: ubi qui mala tangit manu (appena il bubbone si tocca con mano pesante), dolores cooriuntur. Plaut. Rud, 1219: tua jilia facito oret, facile exorabit («lo otterra con le sue preghiere »). Sen. ep. 71, 30: suadeo mihi ista, quae laudo, nondum persuadeo; Apul. met. 4, 11: cum ... nulli ... suadens persuadere posset. Sen. ep. 24, 20: tune ad illam (sc. monem) peruenimus, sed diu weni- mus (in quel momento giungiamo alla morte, ma @ lungo il cam- mino per arrivarci); August. senm. 30, 10: adhuc in uia sumus, ue- nimus (« stiamo venendo»), sed nondum peruenimus, Sen, ep. 93, 12: quid autem ad rem peninet quam diu uites quod eui- fare non possis? \" E al passato Sen. ep. 93, 3: nec sero montuus est, sed diu (cfr. TRAINA, op. cit, p. IN}. "2 Con passaggio ai temi in -i. v. p. 170, n. 3. E interessante notare che Cicerone, traducendo un verso di Epicarmo, rende il perfetto vedvavar con mor- tuum esse, Vaorisio dnotaveiv con eméri: emari nolo, sed me esse moruum ni- hit aestumo (poet. fragm. 83 Tr.). 2B CAPITOLO Vi Al perfectum dei verbi semplici naturalmente non si puad. pit parlare di «durata indefinita», ma di «durata conclusa», cui si oppone sempre la momentaneita dei composti: din clamaui, «gridai a lungo», ma exclamaui o conclamaui, « gettai un gri- do», cfr. Rhet. Her. 4, 16: conuicium fecit et magis magisque . clamauit, «... gridd sempre pid forte», ma Ter. Phorm. 870: exclamaui gaudio, «gettai un grido di gioia». Alle coppie di esempi citati a p. 175, aggiungi: Plaut. Capt. 928: satis iam do- lui ex animo, ma Tib. 1, 6, 36: et simulat subito condoluisse caput (le sia venuto un improwiso mal di testa); Liu, 28, 26, 1S: sedit tacitus paulisper, ma Cic. har. resp. 7: consedit ille (si mise a sedere), conticui. In questo caso @ opportuno usare. il termine di aspetio complessivo in opposizione al momentaneo o puntuale, Riassumendo: durative momentaneo o puntuale infectum clamo ex, conclamo perfectum clamaui ex, conclamaui complessivo momentaneo o puntuale Ho usato i termini «durativo» e «momentaneo » per la loro chia- rezza, ma non sembrano termini rigoresi, in quanto ogni processo che avviene nel tempo implica un minimo di durata, ed @ il modo come si presenta la durata che @ alla base delle differenze aspettuali (illimi- tata, limitata, condensata, etc.). Percid altri usano terminologie diverse: fra le pit in voga l‘opposizione perfettivo/imperfettive (presa dalle lingue slave, ma poco chiara in latino per la parziale omofonia di «perfettivo» e di perfectum) e quella determinate /indeterminato, In entrambi i casi, secondo le definizioni correnti (ma tutt'altro che una- nimi!), il processo «a termine fisso» si oppone al processo «senza termine fisso» (Martin) 3, st 1 R, Maatin, Temps e1 aspect en frangais moderne, « Bull. Soc. Ling. Paris » 00, 1965, p. 71. PROBLEM! DI SINTASS 219 86) Ta paratassi ele Princtpalt congiunzioni ipotat- Di fronte a passi come Plaut. Mosc. 930: iube in urbem ue- niat, la grammatica antica ne interpretava la struttura sintattica Ficorrendo alla ellisat* di (iu) cfr. Prisc. Il 227 H.: ¢iubeo fa- cias, iubeo dicas, impero uenias, hortor legas», in quibus deest «ut», quod licet uel addere uel non. Questa spiegazione fu riba- dita, nel Rinascimento, da quello che si pud chiamare il teorico dell'cllissi, F. Sanchez (v. p. 202), cfr. Minerva, ed. cit, p. 706: Deest et «ut» in illis, «volo facias, nolo dicas, velim desinas, rescribas ad omnia rogamus x, et in illis, «sine veniat, sine fa- ciat », Ma, verso la meta del secolo scorso, la grammatica stori- ca, ponendosi da_un_punto di vista “diacronico,, asservd che & illegittimo sottintendere (w?)\3_dove_in_origine. non tra Perché il sintagma jube neniar nasce dall'accostamento di due verbi originarjamente._ausonomi, Vimperalivo ibe e il congiuntive sesortativo » ueniat: iube: ueniat!, «comanda: venga! >. A..que- sto_eggostamento ogiustapposizions fu dato il nome di paratas- a . Tlogératis, « allineamento », era termine militare greco: a trasferirlo nel campo della terminologia grammaticale fu un grecista, F.W. Thiersch nella 3* ed. della sua Griechische Grammatik vorciiglich des homerischen Diatekts, Leipzig 1826, in opposizione a oiviaky ¢ forse per analogia di nagatears *. Tecnico era invece ixovaxnxds come deno- minazione del congiuntivo, donde il subiunctinus dei Latini e il sub- jonctif dei Francesi. vayy yoke * Da beret, c tralaicio Iatinamente detractio (Quint. 1. 5, 40), defectio (Gell. 5, 8, 3; Prisc. UI 228 HL), defectus (Isid. or. 1, 34, 10). 2 Con magébeors Apollonio Discala intende t'associarione di due parole che conservano la loro autonomia, senza fondersi in una sola (per es. la preposizio- ne € il nome), in opposizione alla oivbsoy, che ¢ una vera ¢ propria composi alone (per es. il preverbio ¢ il verbo), cfr. H. STEIMHAL, Geschichte der Sprach- wissenschaft bei den Griechen und Romem, Berlin 18917 (= Darmstadt 1961, € anche Hildesheim 1971), Il, p. 342. E probabile che il Thiersch sia giunto ad adonare nagdnaks mediame Vequazione aivinas: nagéteos = obviaiss: x. 220 CAPITOLO VI La paratassi riguarda Ja forma ¢ n§ft la nalucadel_rapporto _sintatticd, TH ‘quanto constata I'aasenza di ogni indizio di colle- gamento grammaticale? fra due proposizion! contigue, il cui eeprerts sintattico resta percid implicito, del tutto psicologico: iube ueniat come ueni, uidi, uici. In cid si distingue dalla coor- dinazione (con la quale spesso viene confusa), in quanto da una parte la coordinazione pud esplicarsi mediante le congiun- zioni coordinanti‘ (per es. ueni et uidi et uici), dall’altra parte la paratassi include anche la subordinazione implicita. (iube ue- niat), secondo il seguente schema: esplicita (ueni et uidi et ici) implicita “maura del (asindeto) , “rapporto (ueni, uidi, ici) (eiontap. simtattico sapkici posizione) | forma del implicita rapporto uolo facias) rappono explicita (uolo ut facias) coordinazione subordinazione La paratassi fu salutata come «la nozione pid ricca di con- + Che non consisie solo nelle congiunzioni, ma anche nell'intonazionc fascendente in «dimmi: chi 2? », discendenie in «dimmi chi 2») € nel modo: dic: quis esi?, ma dic quis sit (per sopravvivenze dell'indicalivo paratattico v. infra, ut); dico. uénit, ma dico eum uenisse (anche in italiano é solo il modo a denunziare la subordinazione in tipi come + credo lo sappia »). + Quando quese manchino (esladeto), la coordinazione asindetica coincide con Ia parstassi. La quale d'altronde pud sostiuire i nessi logico-sintattici tra frase ¢ frase con nessi fonolessicali, come l'allitterazione, 'omeoteleuto (entram: bi presenti in went, uid, uicl), l'anafora. PROBLEM! DI SINTASSI zu seguenze in campo sintattico » elaborata dalla grammatica stori- ca (Kroll), in quanto contribuiva a chiarire Vorigine della mag- wior parte dei costrutti ipotattici. In realtd, la sua pid meritoria acquisizione fu di svincolare il_modo dalla congiunzione, riven- dicandone Voriginaria’ autonomia: in impero ut ueniat, per es., ueniat_non & dovuto a GiB‘, antico awerbio che pud anche mancare, ma al valore volitivo dell’enunciato (che _costituisce “dun'unita_psicologica,-indipendentemente dalla forma in cui si, esplica_il_rappo tattico). Oggi, le mutate prospettive, sin- croniche, descrittive e logicistiche, della linguistica han poste in ombra il problema « glottogonico » del passaggio dalla paratassi all‘ipotassi *, ¢, per contraccolpo, rimesso in onore il concetto di ellissi. Tuttavia anche sul sul_piana_sincronico resia viva l'im- portanza stilistica della paratassi? come tipo. di organiz: zazione_sintattica che caratterjzza yna, Jingua pit libera_e im? “mediata, soprattutto la lingua d’uso e la lingua poetica: quella perché di origine colloquiale, e quindi in grado di compensare ‘0. come si_suol_dire, «tree da.ut», cost come si dice ad « » Vac- cusatiyo, con una terminologia risalente almeno al Docirinale di Alessandro & Villedieu OXI sec.) © aspramente criticata dalla grammatica storica perché il aso — come il modo — esprime il rapporto sintattico indipendente ¢ anterior- mente alla preposizione, che € un antico averbio unite al casa per meglio spe- cificarne i valori: * eo urbem (clr. ea Romam) precede €0 in urber. Riassumen- dy una polemica iniziatasi nel primo quarto dello scorso secolo (per es. in GTA. Kadcer, Uniersuchungen auf dem Gebiete der lateinischen Sprachlehre, Braunschweig 1820. p. 11), R. Sabbadini dava l'ostractsmo al termine « regge- lee: «2 wna parole che va cancellata dalla terminologia tecnica» (Hf metodo i sti, Firenze s.d. (1920), p. 12); ven'anni dopo ta glassematica di L. i. pieno dicitio il concetto di « rezione » nella lingui- quanto forma di relazione (La notion de rection, « Acta Lin auisca> 1, 1939, pp. 1023 [= Essais linguistiques, Copenaghen 1959, pp. 139-151, ¢ poi Paris 1971, pp. 148-170, ora in trad, ital.. Saget dinguistici, UN, Milano 1991, pp. 136-148). * Ma @ innegabile che alcuni di questi passaggi si colgano in atto nel corso del latino: v, infra, quanto si dira di modo. tices, ni. 7 Come era gid riconosciuto dalla retarica antica, che, pur ignorando il ter- mine di paratassi, ne faceva rientrare i procedimenti nella A515 elgopéve, « stile inuo », di Aristotele (rhet. 14092) 0, per il latino, nella oratio soluta di ano (9. 4, 19). 222 CAPITOLO VI di_indicazioni saw saggio mediante la riduzione degli elementi grammaticali_ con riferimenti extralinguistici la al Si riprenda l'esempio da cui siamo partiti: iube ueniat. La gramma- tica generativa dice oggi che tale frase deriva da un tipo basico iube ur ueniat mediante I'ellissi di us (ut-deleiion)*. Macroscopico esempio di capovolgimento metodologico (che dovrebbe mettere in guardia con- tro ogni assolutismo scientifico) @ il caso dell'infinito storico: Vantica spiegazione di Quintiliano (9, 3, $8), di Prisciano {III 228 H.) e del Sanchez (ed. cit, p. 657), che ricorrevano all'ellissi di coepi gid ridico- lizzata dalla linguistics idealistica («Che dire del fatto che dai gram- matici latini linfinito storico @ ancora spicgato con ['ellissi di coepi? » Vossler °), 2 rivalutata dalla grammatica generativa («mi convince la spiegazione dellinfinito storico colla cancellazione di un verbo astratto indicante ‘begin, continue, tend’ » Calboli). Passiamo ora rapidamente in rivista le principali congiunzio- ni subordinanti dal punto di vista etimologico, premettendo che si pud parlare di un eventuale stadio paratattico solo per quelle di origine non relativa, giacché i] rapporio — anzi, la correla- zione relativa (lat. is/qui, ibi/ubi, tam /quam, tum / cum) sem- bra risalire all’indoeuropeo. QVOD, QVIA Quod & il neutro del pronome relative, probabilmente un originario accusativo di relazione, cfr. Plaut. Pseud. 639: id agam quod (per cui) missus huc sum; donde 2 facile ill passag- “IL termine inglese «deletion » 2 tradotto con «suppression » dal Ruwet, ‘con «cancellazione » dal Calboli, menire i] Saltarelli mantiene « ellissi » (v. Bi bliografia). * Gesammelte Aufsdtze wr Sprachphilosophie, Miinchen 1923, p. 165 (trad. spagnuola, Filosofia del Lenguaje, Buenos Aires 1947, p. 192). Del Yossler si veda anche, nella stessa pagina, Ia presa di posizione: « Sarebbe tempo che il concetto della ellissi sparisse dalle nosire grammatiche », PROBLEMI DI SINTASS! 223 Bio a «per il fatto che, quanto al fatto che, perché», cfr. Ter. Hec. 368: laetae exclumant «uenit », id quod me repente aspexe- rani, e, senza anaforico, Plaut. Capt. 996: quod male feci, cr cior. Nel latino volgare, quod si estende a scapito di altre con- Biunzioni (ut, quin, etc.) € dell’accusativo con |'infinito (renuntio quod @ nel Bell. Hisp. 36, |; scio quod in Petr. 71, 9"; sul la- tino cristiano agira anche l'influsso di 6u, v. p. 23, n. 5), sino a diventare l'antecedente del nostro che. Quia, come s‘é visto (p. 208, n. 7), @ il neutro plurale del tema in -i- del relativo-indefinito-interrogativo, ma, diversamente da quod, il suo punto di partenza per i! valore causale sara Stato il valore interrogativo, ancora atlestato nel composto ar- caico quidnam, «perché mai?» e parallelo a quello di quid- (nam), « perché? » (naturalmente anche in quia/quid il passag- gio da pronome ad avverbio @ mediato dall’accusativo di rela- zione: «riguardo a che? »). Il Kroll, muovendo dal confronto tra Enn. war. 17 s. Vahl?: nemo me lacrimis decoret nec funera fletu - faxit. Cur? Volito uiuas per ora uirum, e Plaut. Cas. 227: txor me excruciat, quia uiuit, riconduce quest'ultimo all'archeti- Po: uxor me excruciat. Quia? Viuit. Loriginario valore interrogativo di quia potrebbe spiegare Perché il suo uso @ prevalente nelle causali, ma limitato nelle dichiarative, riservate a quod. CVM, QVONIAM Cum < quom 8 anch’esso di origine relativa (per il passag- Bio fonetico v. p. 63, n. 1), con desinenza comune a molte Particelle latine (dum, num, tum, col quale ultimo é in correla- Zione). Dal valore temporale, «nel momento che», « quando » (efr. Plaut. Trin. 289: lacrumas haec mihi, quom uideo, eliciunt) si é sviluppato il valore causale, «dal momento che», « poi- ché» (cfr. Plaut. Amph. 681: quom grauidam te aspicio, gau- “© Con prolessi anche in Man. 11, 64: hoc scio, quod scribit nulla puella sibi. 224 CAPITOLO vt deo), ¢ il valore concessivo-aversativo, quando sovraordinata e subordinata indicano azioni antitetiche (cfr. Plaut. Trin. 633: be- ne quom simulas facere mihi te, male facis). Il congiuntive si stabilizzer& in epoca classica per distinguere tali valori da quel- lo temporale, -caratterizzato dall‘indicativo. Eredita i] valore causale di cum il composte quoriam < * guom-iam (con dissimilazione della prima m e vocalizzazione di i, come in etiam < *et-iam), benché rimangano tracce del valore iemporale nel latino arcaico, cfr. Plaut. Poen. 665: inde aufugit, quoniam capitur oppidum (P. Fest, 317 Linds.: « quo- niam » significat non solum id quod «quia», sed etiam id quod « postquam »). QVIN, QVOMINVS Quin @ di origine interrogativa, composto da qui, ablative del tema in -i- (v. p. 208, n. 7)!* © dalla particella interrogati- va -né'?, poi apocopata. Il valore interrogativo di «come no? », « perché no? » & ancora vitale in interrogazioni retoriche volitive, cfr. Plaut. Men. 1114: guin taces?, « perché non stai zitto? » (= sta zitto!), donde il passaggio a particella rafforzati- va con l'imperativo, cfr. Plaut. Men. 416: guin ... tace {e con mescolanza dei due modi Plaut. Most. 815: quin iu is intro at- que otiose perspecta). Secondo I'ipotesi prevalente, questo valore interrogativo sarebbe alla base di molti costrutti ipotatti- " Nell'accezione di + come?» si @ conservato in frasi fatte, qui fer ut..?, qui possum...2 (eft. Phacdr. 1, 1. 7: gut possum, quaeso, facere quod quereris, lu- pe?). Qui ha anche valore relativo ¢ indefinite. Come relative lo troviamo per €. in quicum, «con cui», é in usi neutri come Plaut. Amph. S34 8: hanc pa- Prerdla rex qut potitauit (ain cui ha bev condono; come , «in qualche modo», 2 sopravvissuto nel composi ai-qui ¢ in formu- le arcaiche d'augurio, in alternanza con ut, cfr. Ter. Phorm. 123: qui illum di ommes perduint! 12 Non é certo, ma probabile che si tratti dell'uso enclitico dell’originaria negazione né (v. infra, nd): uenitne?, «non & venuto? ». PROBLEMI DE SINTASSI 228 ci, per es. Plaut. Men. 253: nequeo contineri quin loquar, « non Posso trattenermi dal parlare », riconducibile a uno stadio para- taitico con congiunlivo dubitativo: negueo contineri: quin loquar?. «... perché non dovrei parlare? »; in particolare coi uerba dubi- tandi ef impediendi: non dubito: quin ueniat?, « non dubito: per- ché non dovrebbe venire? »; nan impedio: quin ueniat?, «non lo impedisco: perché non davrebbe venire? ». Si spiegherebbe cosi anche la norma per cui qin richiede la sovraordinata negativa. Ma in certi casi ¢ difficile (¢ forse vano) decidere fra origine interro- gativa o relativa-consecutiva, cfr. Plaut. Cas. 1003: nulla est causa quin . uerberes: «nan ¢'é nessun motivo: perché non dovresti baiter- errogativa), oppure « non ¢’é nessun motive per cui non dovre- sti baltermi » (relativa-consecutiva)? E certo un caso come Cic. Att. 1, I. 3: dies fere nullus est quin hic domum meam uentitet, & ormai analizzabi- le solo come relativo: «non c’é quasi nessun giorno in cui non venga...» La questione & complicata dai non chiari rapporti fra guin congiunzione © quin pronome relative (= gui non). Comunque & indubbio che alla diffusione di quin ha contribuito in modo determinante l'analogia. Quominus & un giustapposto di origine relativa: « per cui (qu6) non (Htinus)», non ancora saldato nel latino arcaico, cfr. Ter. Andr. 196 s.: si sensero hodie quicquam in his te nuptiis fallaciae conari, quo fiant minus, «se mi accorgerd oggi che tu, a proposi- to di quesio matrimonio, tenti qualche tiro per cui non pos- sa farsi». Nel latino classico si diffonde a spese di quir, con ver- bi € locuzioni implicanti I'idea d'impedimento. VI Appartiene anch’essa alla famiglia di qui/quis, con perdita della labiovelare iniziale #?: ut < * but. La finale -a, poi cadu- ' Come ubi < * Mubi (clr. ali-cuby come ali-quando, si-cubi come si-quando) e unde < *k%unde (cfr. ali-cunde, si-cunde): nei composti si perde solo l'appen- dice labiale davanti a ue resta Ia velare pura (v. p. 62 s.). 26 CAPITOLO Vi ta, si ritrova nella particella correlativa ita, che viene dalla radice di is (is sta a qui come ita a ut), e ne é rimasta traccia nel composto arcaico ali-tifa, « in altro modo » (citato da P. Fest. p. 5 Linds.), e, ridotta a i per apofonia, nei composti uii-que, « in ogni modo », ne- uli-quam, «in nessun modo », uti-nam, « in qualche modo dawe- ro» '*, Come si vede, uf 2 un originario avverbio di modo, e. giusta la sua radice, ha tre valori (come qui, v. supra, n. 11): interrogativo: «in che modo? » ut 4 relativo: «al modo che » indefinito: « in quaiche modo ». Ognuno di essi @ alla base degli usi ipotattici di ui. Sull’inter- rogativo indiretto non c’t da notare se non che alcuni tipi for- mulari conservano I'indicativo paratattico (v. supra, n. 3): audin ut, uide(n) ut (cfr. Plaut, Men, 829: ut oculi scintillant, uide!), aspice ut'®. Dal valore relativo derivano il comparativo (ita ... ut, «cosi ... come»), il dichiarativo-causale e i) limitativo (« co- me c’é da attendersi dal fatto che»), il temporale (« come, ap- Pena »): tutti con l'indicativo, trattandosi di constatazione. I] va- lore indefinito & superstite in pochi usi indipendenti col con- giuntivo volitivo, specie in formule di augurio e di deprecazione, cfr. Plaut. Poer. 912: ualeas beneque ut tibi sit (con originaria énclisi) '*; Ter. Eun. 302: ut illum di deaeque {* Invece in uti il secondo elemento & la particella epiditiica +, (v. p. 208. 8.7, gui < quei < *quo-i): il passaggio *uia-i > utei > wtt € analogo a *dedai > dedi e *rosais > rosis. Ma nan é spiegazione acceltala da tutti. Sul la questione v. ora F. VutaR, The Latin Diphthong “ai, *-di, « Indogerm Forsch.» 92, 1987, pp. 135-167, ed anche E.P. Mame, Latin tine and ut (. nsdn), «Glouta + 60, 1982, pp. 115-120. '* Sempre con l'indicaive in Virgilio; ma sui poeti avrd agito anche influs so di dga o Bia. Sul sintagma efr. G. Pascvect, Viden (ut), « Stud. ital. fibol class.» NLS. 29, 1957, pp. 174-196 Seriui scelti, cit. L pp. 95-117). '* Proprio l'enclisi de! cosiddetto us indignaniis col congiuntivo dubitative tele, Ter. Heaut. 1050: egon mea bona ui dem Bacchidi dono? Non faciam «che io dia..? Non lo fard+) fa propendere per lorigine indefinita (+ io in qualche modo dovrei dare..? Non lo Fard [in nessun modo] =) pitt che pet quella interrogativa («come potrei dare...? »). PROBLEM! Di SINTASSI 2 perdant!'? (in questi tipi si generalizzera il composio utinam); in consigl o preceui, cfr. l'alternanza con l'imperativo in Ter. Phorm. 212: istuc serua, et uerbum uerbo, par pari ut re- spondeas (anche qui con enclisi). Il paragone fra Plaut. Bacch. 739: ab eo ut caueas, «(in qualche modo) guardati da lui», ¢ Pseud. S11: dico ut a me caueas, «ti dico di guardarti da me», pud chiarire il passaggio dalla fase paratattica (dico: ut a me caueas!) a quella ipotattica nelle proposizioni sostantive volitive ¢ finali con uf. Infine, anche I'ut concessivo 2 ricondu- cibile al valore indefinito: quod ut ita sit, «il che in qualche modo sia cosi », «il che ammesso che sia casi ». Pitt problematico I'us consecutivo col congiuntivo, che @ forse di origine mista, volitiva (cfr. Cato agr. 32: arbores hoc modo putentur: rami ut diuaricentur: volitiva indipendente, secondo I'uso catoniano, o consecutiva?) e potenziale (cfr. Ter. Hec. 60: iurabar .. quam sancie, at quiuis facile posset credere, Phorm. 240: ita sum irritatus, animum ai nequeam ad cogitandum instituere, «... che non potrei... »): l'origine potenziale 2 suffragata dalla negazione non. La fase paratattica (senza 1a) & bene attestata nella lingua d’uso, si confronti Vultimo esempio te- renziano citato con Cic. fam. 14, 1, 5: non queo reliqua scribere: tanto wis lacrimarum est, dove una forma pit letieraria avrebbe preferito: Jama... est, ul non queam... L'estensione del congiuntivo anche 1a do- ve la conseguenza @ un fatto @ dovuta al carattere centripeto della sin- tassi latina "§, che presenta la conseguenza nella sua connessione con la causa piuttasto che nella sua autonoma realizzazione. °-Y, supra, a. 1, il parallelo terenziano con qui. ™ Questo carattere ceniripeto, che fa gravitare la suburdinata verso la so- vreordinata, agisce, per es., nella consecutio temporum c, mei limiti in cui é ammissibile, nell’attrazione modale: esso distingue la sintassi latina in contrasto vol carattere centrifugo del greco ¢ dell'italiano, cfr. Trains, Riflessioni sulla stara della tingua latina. cit. p. XVI. 228 ‘CAPITOLO VI NE La scuola ci abitua a sentire né'? come la negazione di ut, ma né non @ che una forma rafforzata della particella negativa né- (conservatasi solo in composti: n&-que?°, neater, né-fas, né- scio, *né-hemo > némo, *né-ullus > nullus, *néoinom > nén, v. p. 189, n. 9). La lingua ha riservata von alla negazione oggettiva, nz alla negazione volitiva (quindi con limperativo ¢ il congiuntivo). In un‘espressione come Ter. Andr. 204: s.: dico tibi: ne temére facias!, solo lintonazione e la pausa (nel parla- to) o la punteggiatura pud decidere fra paratassi {«dico a te: non agire avventatamente! ») ¢ ipotassi («ti dico di non agi avventatamente »)?!. In particolare, la matrice paratattica fa lu- ce sull'uso di né coi uerba timendi: per es. Plaut, Pseud. 1028: meiuo ne erus redeat, «temo che il padrone ritorni», si risolve in metuo: ne erus redeat!, «temo: non venisse il padrone! », Si chiariscono cosi sia il congiuntivo (volitivo), sia la negazione (ne), dove italiano usa invece la congiunzione subordinante che (ma anche T'italiano pud usare solo la negazione, cfr. Dante: «temendo no ‘| mio dir gli fosse grave»). E se metuo ne é ** Da non confondersi con la panticella affermativa né (probabile grecismo: }), costantemente seguita da pronome, per es. Plaut. Most. 562: né ego sum mtiser, «sono proprio disgraziato ». ® La cui forma ridotta nec & omofona di nec < *néce, + non», negazione «non previsto *; con sonorizzazione della velare neg-otium, meg-lego, «mon racy colgo, trascuro +) ¢ in formule (nec recie dicere, «dir male +: quad nec uertat bene, «imal gliene incolga»). V. P, FERRARING, «Cumgue» ¢ i composti di infra (Bibliogr. § 2). p. 36 ss., con i giusti rilievi a W. Krou. Nec non, «Glotia » 21, 1933, pp. 100-108, NE pud negare ut volitive, cosi come rion nega ut consecutivo, cfr. Cic. de or. 1, 132: illud adsequi possunt, ut eis .. modice et scienter uiantur et ut ne dedeceat. PROBLEM! DI SINTASSI ns senza paragone pid [requente di metuo ut” (spesso sostituito da ne non), @ perché timore e deprecazione sono psicologica- mente connessi: si teme cid che non si vuole. DVM, DONEC Dum ® una particelia temporale (come cum e tum) di di- scussa etimologia, indicante durata: « in questo tempo, per ora, intanto »; la ritroviamo in enclisi negli avverbi inter-dum, « fra questo tempo, frattanto », non-dum, «non in questo tempo, non ancora», uix-dum, «a siento per ora, appenas, etc. e negli im- perativi (in prevalenza di verbi durativi): agé-dum, «fa un po'», mané-dum, « aspetta un po’ », tacé-dum, «sta un po’ zitto », etc. (il valore temporale, scaduto a esortativo, @ riproposto dall’av- verbio in casi come Plaut. Bacch. 794: manedum parumper; Men, 348: tacedum parumper). Non ci sono esempi sicuri di dum come avverbio temporale, giacché i] noto verso catulliano (62, 45): uirgo, dum iniacta manet, dum cara suis, dove (gia lo diceva Quintiliano, 9, 3, 16) il primo dum = quoad, « finché », il secondo dum = usque, «per tutto quel tempo», & un calco della correlazione greca as ... ig ?3, Ma @ facile da passi come Plaut. Pseud. 40: tace, dum tabellas pellégo, «sta zitto, mente leggo la lettera»; Amph. 95: animum aduortite, dum argumen- jum eléquar, «stale altenti, mentre esporrd |’argomento », rico- struire leventuale fase paratattica tace: dum (« intanto ») tabel- lus pellego, etc. Dum & sopravvissuto nel'ital. dun(que). 7? Nel latino arcaico 136 esempi di ue contro 16 di ut, tanto che in metuo ut si 2 vista, forse a torto, un‘origine interrogativa: «temo (pensando) come ». Metuo ut sara piuttoste analegico, secondo Tequarione opto ne : opio ut = me- tuo ne: x. 2S. Tampanano, Us uidi, ut_perit, in Coniributi di filologia ¢ di storia della fingua latina, Roma 1978, p. 275, non esclude tuttavia che il costrutto catullia- ‘no possa avere «una base nel latino parlato =. 230 CAPITOLO Vt Donec < * dénéque, & forse connesso con dénique; se & cosi, il valore congiunzionale di « finché» sarebbe derivato da quello awerbiale di «alla fine », cfr. Ter. Andr. 660 s.: numguam de- stitit ... orare usque .., donec perpulit, «non cessd un momento di pregare..., alla fine (donde « finché ») la spuntd ». SIMVL(ATQVE) Questa volta l’origine paratattica é trasparente: simul (antico neutro di similis, dalla radice indoeuropea che designa l'unita, cfr. semel, sim-plex, gr. eig < *sems) @ awerbio indicante con- temporaneita; «a un tempo, nello stesso tempo», e quindi pre- disposto a collegare due proposizioni concomitanti, cfr. Afran. 5 Ribb.?: simul limen imrabo, illi extrabunt ilico, «nello stesso tempo io entrerd, quelli usciranno subito», donde, ipotattica- mente: « appena io entrerd, subito quelli usciranno ». Pit. comu- ne il giustapposto simularque, di origine coordinante: uidir si- mul atque uenit, «vide insieme e venne» > uidit simulatque uenit > simularque uenit, uidit, «appena venne, vide» (cfr. Cic. Brut. 228: Q. Hortensi admodum adulescentis ingenium, ut Phidiae signum, simul aspectum et probatum est, «... fu insieme visto e apprezzato », cioé «fu apprezzato appena visto »). MODO Médé < méd5 (per abbreviamento giambico, v. p. 130 s.), 2 Vablativo di modus usato avverbialmente: « limitatamente, soltan- to» (cfr. non modo, sed etiam), donde il valore condizionale di «purché », cfr. Cic. Rose. Am. 138: decerne, modo recte, « de di, solo (purché) rettamente ». Al limite fra paratassi e ipotassi Sen. ir. 3, 12, 2: poterimus autem, adnitamur modo, «lo potre- mo, facciamo solo uno sforzo / purché facciamo uno sforzo »; PROBLEM! DI SINTASSI aI Quid. met. 4,72: faueant modo numina, tempta, «siano solo fa- vorevoli i numi / purché i numi siano favorevoli, tenta » (in en- trambi i casi con originario congiuntivo volitivo). LICET Se modo @ di origine nominale, ficet @ di origine verbale, né ha mai perso il suo carattere di verbo. Dal fatto di trovarsi unito paratatticamente a un congiuntivo concessivo (per es. Plaut. Ep. 471: habeas, licet, « abbila, € lecito», «anche a costo che prote- stino tutti... La sua natura verbale di presente condiziona i tempi del congiuntivo, di norma principali. Si, NI, NISL, QVASI Si < sei & una particella di origine pronominale **: il suo primo significato, «cosi», conservatosi nella formula si dis pla- cet, « cos) piace agli dei» (proprium est exclamantibus propier indignitatem alicuius rei, annota Donato a Ter. Eun. 919: uide ut otiosus it, si dis placet), & poi passata al composto sic < “sei-ce, ma 2 il presupposto del suo uso paratattico, cfr. Plaut. Mil, S71: as, si te di ament, linguam comprimes, « tu ter- rai a freno la lingua, cosi ti amino gli dei» (cfr. la formula di % Dal tema indoeuropeo * so-. le cui forme di accusative sum, sam (= exm, ewmt) etc. fan parte degli arcaismi enniani. 232 CaPITOLO VI augurio ita me di ament); trasparente i) valore etimologico pa- ratattico anche in Plaut. Trin. 1187: dicis, si facias modo, «lo dici, se (propr. cosi) solo lo facessi». In casi come questi ¢ Verg. ecl. 9, 45: numeros memini, si uerba tenerem, «ricordo il motivo, cosi ricordassi le parole », si s'accompagna al congiun- tivo volitive; pit spesso all’eventuale, cfr. Plaut. Capt. 632: meam rem non cures, si recie facias, «non ti occuperesti delle mie faccende, cosi faresti bene », e naturalmente all’indicativo, cfr. Plaut. Poen. 675: tuam rem tu ages, si sapis, « ti farai gli affari tuoi, cosi sei saggio». Sembra questo il punto di parten- za per lo sviluppo dei valore ipotetico, e ipotattico, di « se ». Senza la particella si, il periodo ipotetico paratattico @ ampiamente attestalo in tutti i suoi tipi: uincis: gaudes; perdis: ploras (iscrizione su una tavola da gioco, Dessau 9453)75; assem habeas, assem ualeas (Petr. 77, 6); i quoque magnam - partem opere in tanto, sineret dolor («lo avesse permesso il dolore»), care, haberes (Verg. Aen. 6, 30 s. Prisciano, II 247 H., commenta: deest si); con alternanza_paratassi potassi Cic. par. 44: filiam quis habet: pecunia est opus...i si quinqua- ginta sint filiae, tot dotes magnam quacrunt pecuniam. Giacché abbiamo toccato i tipi del periodo ipotetico, sara bene met- tere in guardia ancora una volta contro la vecchia e ambigua denomi- nazione di « periodo ipotetico della realta», che non pud applicarsi né alla protasi, per sua natura eventuale, né all'apodosi, la cui realizzazio- ne dipende dalla protasi. La critica a questa denominazione, di origine kantiana, fu fatta in Italia agli inizi del secolo da G. Cevolani, prece- duto all’estero da E.A. Sonnenschein (¢, per il greco, da K.W. Kriger), i quali vi sostituirono quella di « periodo ipotetico dell'oggettivita », ned quadro dell’opposizione oggettivo/ soggettivo, dominante nella sintassi latina a tutti i livelli: 35 V. un altro esempio a p. 207. PROBLEM) DI SINTASSI 2 negaziont non ne Anche il periodo ipotetico latino s'inquadra in questo bipolarismo, che oppane la protasi oggettiva con Vindicativo alla protasi soggettiva col congiuntivo, all'interno della quale scatta un‘ulteriore opposizione fra possibilita ¢ irrealta: dell oggentivita (I po) indicative periodo ipotetico della possibilita (IL tipo) della soggenivita delVirrealta (111 tipo) [ Snetuntive 2° Quamquam constata, ¢ ha Vindicative come tutti i pronomi ¢ gli avverbi raddoppiati (quisquis etc.); quamuis, «quanto vuoi » (con secondo elemento an- ora variabile: quam aultis, quam woles, etc.) indica il massimo della concessio- ne dell'interlocutore, a prescindere dalla realta del fatto, e si accompagna al congluntivo concessive (ma @ sompre vivo come avverbio, cfr. Plant. Ep. 16: a- dacter quamuis dicito, «illo francamente quanto vuoi»). Sullo sviluppo ipotatti- co di quamuis E. ScHarener, Die Entwicklung des fateinischen Adverbs quamvis cur Konjunktion, Winterthur 1954 (p. 29 ss. sullo sviluppo di ficet); sul sistema delle concessive latine G. CevoLamt, Sulle proposizioné concessive, e Ut, ne, licet tt senso concessivo, in Studi critic’ di sintassé latina (v, Bibliografia, § 5), ri- speut. pp. 296-300 © 318-328; A. Trams, La « logica della granmatica ¢ le con- cessive latine, in idola scholae, 9, « Aene ¢ Roma» NS. 6, 1961, pp. 214-219. Uopposizione tra quantquant ¢ quamuis si atienua nel periodo imperiale. 27 In uel la soggettivita inerisce al suo valore etimologice («0 vuoi» da u0- tu, ¥. p. 188); esso denota indifferenza del parlante di fronte all'altermativa pre- sentata all'interlocutore (clr. Ter. Eun, 319 5.2 hanc tu mihi uel ui uel clam uel precario + fac tradas: mea nil refer, dum potiar modo), ¢ come tale pud disgiungere anche concetti opposti (contrariamente alla « regola» corrente), clr. Tac. Germ, 3: quae neque confermare argumentis neque refellere in animo est: ex ingenio suo quisque demat uel addai fide, di contro all'oggeuiva distinzione di Quint. 7, 2, 57: ordo quoque rerum aut caflert aut detrahir fidem (alwri esempi Tratna-Beerorn, op. cit., L, pp. 328-330), 2a CAPITOLO VI Tuttavia questa sistemazione sarebbe oggi accusata di « mentali- smo, in quanto opera con categorie non linguistiche. Un‘opposizione rigorosamente Linguistica ha proposto P. Trost sulla base dello struttu- ralismo, che oppone un elemento marcato, cioé fornito di un valore x, a un elemento mon marcato, cioé caratierizzato dall‘assenza del valore suddetto. Nel periodo ipotetico latino lelemento non marcato sarebbe Vindicativo (1 tipo) ¢ elemento marcato il congiuntive (I ¢ IH tipo): a sua volta il If] tipo, che ha in comune col 11 il modo e I'aspetto (si sit, si esset: infectum del congiuntivo), ha in pid del I] il valore prete- ritale dei perfecrum (si fuisset) e quindi si presenterebbe come elemen- to marcato di fronte al II tipo. Schematizzando: elemento non marcato: | tipo periods ipotetico elemento non marcato: II tipo elemento marcato: } elemento marcato: It tipo (+ valore modale) | (+ valore preteritale) Ni & da * nei, cio @ composto dalla negazione né ¢ dalla particella epidittica -i (v. supra, n. 14). EB dunque una negazio- ne rafforzata, presente nel secondo elemento di guid-ni?, « per ché no?» € nel primo di ni-minum, «non (2) strano». La sua specializzazione ipotetica deriva da protasi negative paratattiche, forse partendo da tipi formulari come minim ni, « (2) strano, non», cfr. Plaut. Cas, 554: minim ni subdlet iam hoc uicinae meae, «Strano, non fiuta ancora odor d'imbroglio la mia vici- na», donde ipotatticamente: «@ strano se non fiuta etc. ». Dun- que una protasi come questa di Plaut. Pseud. 1320: ni doleres iu, ego dolerem, andrebbe riportata a una fase paratattica: « non ti dolessi tu, mi dorrei io ». Nist < * né-sei (con abbreviamento giambico): la negazione. premessa e conglobata a sé, nega l'ipotesi in blocco, mentre in si non, in quanto posposta e isolata, pud negare un singolo elemento dell’ipotesi. Un altro composto di si & quasi < * quant-sei (benché fac- cia qualche difficoha l'abbreviamento di a che dovrebbe allun- PROBLEM DI SINTASSI 25 garsi per compenso, in seguito alla caduta della nasale davanti as, v. p. 64 s,). Giusta letimologia il suo valore @ comparati- voripotetico, «come se», cfr. Plaut. Curc. Sl: tam a me pudica est quasi soror mea sit, dove quasi ® del tutto equivalente a quam si. Per esprimere approssimazione (che & V'accezione prevalente nell'i- tal. quasi), il latino usa paene (radice di paenuria), prope {radice proximus e propinquus), fere (etimologia ignota), con questa diflerenza, che paene @ prope dicono approssimazione per diletto (cfr. Cic, Verr. 3, 62: annos prope quadraginta narus, « quasi quarantenne »), fere im- precisione (cfr. Plaut. Poen. 902: fere sexennis. «all'incirca di sei anni, poco pid paco meno »). BIBLIOGRAFIA Fra le sintassi normative ci limitiamo a segnalare le duc italiane pit ampie: A. GANDIGLIo, Sintassi latina, Bologna, voll. 3, I 1919 (19252), I 1920 (19279), TIL 1925 (19307); 3* ed. a cura di G.B. Pre cut, I 1938, IL 1940, [I 1947 (pid volte rist.); A. Tratna, T. Bearorn, Simassi normativa della lingua latina, Bologna 1-II 1965, II 1966 (nuova ed. in due voll: 1 Teoria, It Esercizi, 1985); pit ridotte, ma meritevoli di segnalazione A. Roncomt, La sintassi latina, Firenze 1959 © A. GHiseLt!, A. GuIDI, Sintassi latina, Milano-Messina 1958 (19637), riclaboraia in A. GHISELLI, Corso di latin, Firenze 1974, con introdu- zione storico-metodologica. & superata la Syntaxe latine di O, RIEMANN, Paris 1886!, rimaneggiata da P. Lesay dalla 3° ed. (1894) alla 6° (1920), da A. ERnouT nella 7* (1925, pit volte ristampata fino al 1942). Sui contributi della linguistica moderna alla sintassi latina — ¢ vi- ceversa — F. THomas, Etat et tendances de la syntaxe latine, in AANV., Mémorial des tudes latines, cit, pp. 99-103, da integrarsi con Sur quelques études et tendances en syntaxe latine, «Rev. Et. Anc.> 58, 1956, pp. 317-332; A. Traina, La sintassi latina e ta linguistica moder- na, «Scuola e didattica» IX, 3-7 (1963-64); G. CaLpoul, J modi del verbo greco e latino 1903-1966, « Lustram» 11, 1966, pp. 173-349; 13, 1968, pp. 405-511; ID. La linguistice moderna ¢ il latino. I casi, Bolo- gna 1972 (rist. corr. 1975); J. Laracz, Klassische Philologie und moder. ne Linguistik, « Gymnasium » 81, 1974, pp. 67-89; G. CaLBOoLt, Problemi di grammatica tatina, in ANRW, IL 29, L, pp. 3-177. Purtroppo si @ fermato presto l'utilissime Commento alla sintassi ta- tina di A. GMISELLI, Firenze 1951 (Particolarith sintattiche, Vocativo, Nominativo), che intendeva colmare «la deplorevole separazione della grammatica dalla linguistica >. Ora il Ghiselli fonda sulle pid recenti acquisizioni della linguistica, ma senza rompere traumaticamente con il quadro della grammatica tradizionale, il manuale scolastico # libro di UIBLIOGRAFIA BI latino, Roma-Bari 1984; analoghi gli obbiettivi di M. Lavency nello s molante manuale Vsus. Description du latin classique en vue de ta lec- ture des auteurs, ParisGembloux 1985. Un’agile © modema introduzione alla sintassi si ha nel volume di S. Start, La sintassi, Bologna 1976 (ma scarsissima 2 la parte fatta al lating); del medesimo un nutrito « Reading » delle « ricerche sintattiche nel nostro secolo, nella sconcertante varieta di teorie e procedimenti » (p. 9: Le teorie sintauiche del Novecento, Bologna 1977. Al modello trasformazionale si ispira P.H. MATTHEWS, Syncax, Cambridge 1981 (trad. ital. a cura di Rosanna Sornicola, Siniassi, Bologna 1982); re- cente, ¢ assai personale A. MARTINET, Syntaxe générale, Paris 1985 (trad. ital. di M. e P. Rombi, Sintassi generale, Roma-Bari 1988). Pos- sono dare un‘idea dei moderni orientamenti sintattici, sul piano sia del metodo sia delle applicazioni, anche i volumi miscellanei La sintassi, «Atti del IIL Congr. Intern. della Soc. Ling. Ital. », Roma 1969 per J'i- laliano, e La sfida linguistica, Lingue classiche ¢ modelli grammaticali, a cura di G. Proversio, Torino 1979 per il latino (dieci articoli, tra- dotti ¢ introdoui, di studiosi stranieri di scuole diverse). Un esempio di sintassi strutturale (generale) L. Tesniéne, Eléments de syntaxe structurale, Paris 1965? (1959"); applicala al latino L. RuBIo, Introduccién a ta sintaxis estructural de! latin, Barcelona 1983? (1° ed. in 2 voll. 1966-76). Dal Tesnidre prende le mosse la recente ipotesi or- ganica di analisi sintattica del latino della « grammatica della valenza © della dipendenza », propugnata soprattutto da H. Har (Grundfragen einer Dependenz-Grammatik des Lateinischen, Géwingen 1976; v. del medesimo l'article riassuntivo Méglichkeiten einer Dependenz-Gramma- tik des Lateinischen, «Gymnasium » 83, 1976, pp. 35-58, tradotto € adattato in francese, Syntaxe latine e1 théorie de la valence. Essai d'a- dapiation au latin des théories de L. Tesniére, «Les éudes class.» 45, 1977, pp. 337-366 (ed anche in « Langages» N. $0, 1978, pp. 81-72), ¢ in italiano: Possibilira di una grammatica della dipendenza del latino, nel cit. La sfida linguistica, pp. 187-214): ne evidenziano i limiti, lin- guistici e filologici, G. SerBaT nella rassegna critica Sur application du modeéle valenciel & la syntaxe latine, « Rev. Et. Lat.» 56, 1978, pp. 90-114 © P. DE CARVAHLO, Syntaxe ef sémantique. Verbe et phrase en la- tin, «Rev. Et. Anc.» 80, 1978, pp. 239-247 (che ne sottolinea la natu: ra di inventario delle proprieté semantiche di un certo numero di ver- bi latini e non di modello esplicativo delle strutture sintattiche del lati- no); v. anche C, Guiraup, L'importance du verbe dans la phrase latine, 2aR CAPITOLO VE in AAMW., Latin Linguistics und Linguistic Theory, cit. pp. 117-122 (critica della centralita del verbo nella frase, assunto fondamentale del- la tcoria della valenza). Recenti indagini, con complementi bibliografici, ad es.: H. PINKsTeR, Latin Cases and Valence Grammar. Some Problems, in AAWV., Syntase et Latin, cit, pp. 163-186; F. Heperiein, Uber « Wex- lassbarkeit » und « Notwendigheit » in einer lateinischen Valenzgramma- tik, in AA.VV., Concentus hexacordus, Regensburg 1986, pp. 33-77. Un‘analisi complessiva dei [atti sintattici del latino presenta, secon- do i criteri della grammatica funzionale di S.C. Dik, il gia fortunatissi- mo H. Pinkster, Latijnse Syniaxis en Semantiek, Amsterdam 1984 (trad. ital. di Anonimo, Sinassi e sentantica latina, Torino 1991; ta- dotto anche in tedesco, 1988, € in inglese, 1990) (fondato sul principio della interazione fra sintassi ¢ semantica). Sulla grammatica generativa trasformazionale, che afferma il predo- minio della frase sulla parola, © quindi della sintassi sulla fonetica © sulla morfologia, chi non voglia accedere direttamente alle opere de! suo fondatore, N. CHomsky (in parte tradotte in italiano) potra ricorre- fe o ai capitoli di opere generali come quelle cit. (Bibl. c. I) di Ler- scwy (La linguistica strutturate, cap. VIM) e DinneEN (cap. XID, di P. Guiraup, La grammatica, trad. ital. (sulla V ed. feancese, La grammaire, Paris 1970), Roma 1971, ¢. IV, di 5. Stati, Teoria e metodo nella sin- tassi, trad. ital, Bologna 1972 (Bucarest 1967), c. IV, 4, di MALMBERG (cap. XID), © a monografie © sillogi specifiche, p. es. N. RuweT, Intro- duction & fa grammaire générative, Paris 1967 (trad. ital,, introduzione alla grammatica generative, Firenze 1979), M. SALTARELLI, La grammati- ca generative trasformazionale, Firenze 1970 (particolarmente raccoman- dabile sia per la chiarissima parte introduttiva sia per l‘applicazione allitaliano), la silloge intitolata La sintassi generativo srasformazionale, a cura di G. Gaarri, L. Rizzi, Bologna 1979, G. Borcato, Introduzione alla grammatica generativa, Padova 1983. Un‘applicazione al latino in RI. Laxore, Abstract Syntax and Latin Complementation, Cambridge (Mass.)-London 1968, sulla quale v. le discussion di C. Touratier, Syn- taxe latine et grammaire générative, « Rev. Et. Lat.» 47, 1969, pp. 106- 121, © di G. Catpou, ff latino o della grammatica, «Lingua © Stile » 5, 1970, pp. 107-135 (a p. 131 la citazione riportata supra, p. 222). Di grammatica generativa trasformazionale in rapporto al latino park no C. GuIRAUD, Linguistique latine, structuralisme et grammaire généra ve, « Liinform, litt, » 24, 1972, pp. 171-175; J. Latacz, Klassische Philo- Logie und moderne Linguistik, cit; Mirka MaRratpi, Rassegna di studi di BIBLIOGRAFIA, 29 grammatica trasjormazionale {e loro possibile applicazione al latino), «Giorn, ital. filol. » N.S. 6, 1975, pp. 227-247, R. OwIGa, Grammatica senerativa 2 insegnamento del latino, « Aufidus» 14, 1991, pp. 83-110. Strutturalismo ¢ grammatica generativa trasformarionale sono presenta- ti con grande chiarezza € con un buon corredo bibliografico nel capi- tolo La lingiiistica latina del volume propedeutico di P. Quetctas, Ele- mentos bésicos de fitologia y tingiitstica latinas, Barcelona 1985. Nono- stante la fecondita della distinzione fra struttura profonda superficiale, si pud sottoscrivere I'affermazione che «la grammatica ge- nerativa oggi non pud ancora superare la prova di maturitd scolasti- ca» (H. STEINTHAL, Sull'uso di una grammatica generativo-trasformazio- nale nell'insegnamento del latino, in La sfida linguistica, cit., p. 238). Numerosi studi di sintassi ispirati_a diverse metodologie linguistiche sono compresi nei cilati volumi degli atti dei convegni di Latin Lin- guistics € nei Papers on Grammar curati da G. CaLsoul, Bologna I 1980; 11 1986; Lt 1990. Le pid importanti opere di sintassi latina, se si eccettuano pochi casi (fra cui la personale sistemazione di AC. Jurer, Systéme de la syniaxe latine. Paris 1926', 1933, e gli acuti Principi di sintassi latina di P. Giurrripa, Torino 1938, ispirati all'idealismo gentiliano) sono sin- lassi storiche. Fondamentale per ampiezza e ricchezza bibliografica la Lateinische Grammatik, WI, Syntax und Stilistik, di J.B. HOFMANN, riela- borata da A. Szantyr, Manchen 1985 (Fist. corr. 1972; per la 1 parte, di M. LEUMANN, v. p. 140). Accanto a questa va subito ricordata, per lopposto pregio di sobria limpidezza, che ne fa il primo strumento di consultazione in materia, la Syntaxe latine di A. Ernout, F. THomas, Paris 1953? (1951'; rist. con modifiche 1964; ult. rist. 1984; v. la di scussione di A. TRaina in Esegesi e siniassi, Padova 1955, pp. 31-55). Fra questi due poli si collocano opere variamente utili: ricorderemo Vagile volumetto di W. KRout, Die wissenschafiliche Syntax im lateini- schen Unterricht, Berlin 1962*, a cura di H. Harr (1917!; tad. ital. di Felicita Portalupi, La sintassi scientifica nell'inseguamemo del latino, Torino 1966: a p. 73 della 4* ed. tedesca ¢ a p. 73 della trad. ital. ta vitazione riportata supra, p. 200 s., sulla paratassi), ¢ la monumentale Sintaxis histérica de a lengua latina di M. BASSOLS DE CLIMENT, Barce- luna, 1 1945 (Introduccién, Género, Numero, Casos), II 1 1948 (Las Jormas personales del verbo); le parti mancanti possono essere inte- grate dalla pid succinta ma completa Sintaxis latina del medesimo au- tore, voll. 2, Madrid 1956, Pid che altro per compiutezza aggiungiamo 240 CAPITOLO vi C. BENNETT, Phe Latin Language. A Historical Quiline of Its Sounds, Inflections and Syntax, Boston 1907, p. 258 ss.; A. Tovar, Gramdtica historica latina. Sintaxis, Madrid 1946; F. Buatt, Précis de syntaxe lati- ne, Lyon-Paris 1952; E.C. Woopcock, A New Latin Syntax, London 1959 (rist, 1971). Su un piano diverso van poste opere pid specifiche o meno sistema- tiche, Riguarda il latino arcaico C.E. BENNETT, Syntax of Early Latin. Boston [ 1910 (The Verb), I] 1914 (The Cases) (= Hildesheim 1966); aspetti del latino «classico », in particolare ciceroniano J. LEBRETON, Etudes sur la langue et la grammaire de Cicéron, Paris 1901 (= Hildes- heim 1965): del medesimo la dissertazione Caesariana syntaris quatenus 4 Ciceroniana differat, Paris 1901. Sui grecismi sintattici L. Brenous, Les hellénismes dans la syntaxe latine, cit. Né si pud prescindere dagli studi, veramente epocali per ampiezza di orizzonti, solidita di dottrina © (specie per il secondo) raccolta di materiali, di J. WackERNaGEL, Vorle- sungen iiber Syntax Basel, | 1926? (1920"), II 1928? (1924!) GAIL = 1950.57) « E. Lorstepr, Syntactica, Lund, I 1942? (1928"), IH 1933 (11 = 1956): il primo pid orientato verso la comparazione col greco col germanico, il secondo verso il tardo latino (non per nulla il Lafstedi autore di un esemplare commento linguistico alla cosiddetta Peregrina- tio Aetheriae, Uppsala 1911 [= Darmstadt 1962). In Italia il miglior contributo alla sintassi storica & stato quello di A. Roncont, if verbo lu- tino, Firenze 1959? (Bologna 1946!, rist. 1968). Sulla sintassi del verbo personali le lezioni di J. PerRet, Le verbe latin, Paris 1962. D'imposta- zione pits psicologica che storica il finissimo articolo di P, Lemy. Le progrés de lanalyse dans la syntaxe latine, in AANV., Mélanges Havei Paris 1908 (= Généve 1972). pp. 199-233. Benché viziati da un ecces- sivo logicismo, non trascurabili le note e i saggi raccolti da G. Cevous- NI, Studi critici di sintassi latina, Bologna 1960. Ancor pit: che la fonetica ¢ la morfologia, la sintassi dell'indoeuro- peo & del wtto indiziaria, Basti qui rinviare a H. Hint, fndogermani- sche Grammatik, T. VL ¢ VII, Syntax, Heidelberg, 1 1934, 11 1937, a H. Keane, Grundziige der vergleichenden Syntax der indogermanischen Sprachen, a cura di W. Meid e¢ H. Schmeja, Innsbruck 1972 ¢ al gia cit. J. HAUDRY, L’Indo-européen, pp. 95-113. U repertorio tuttora basilare di sintassi latina & la Ausfiihrliche Grammatik der lateinischen Sprache, \, Satzlehre, di R. KOHNER € C. Stecmann, voll. 2, Harsnover 1914? (dalla 3* ed., Darmstadt 1955, alla 5%, 1976, a cura di A. THIERFELDER: un Index locorum & stato compila-

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