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LIBERTA' E BRONTE: CRONACHE DI UN MASSACRO A CONFRONTO

di Alessandro Mainini
In questo articolo viene proposto un percorso didattico rivolto a una 3° media, incentrato sul
confronto tra la novella Libertà di Giovanni Verga (1882) e il film Bronte: cronaca di un
massacro che i libri di storia non hanno raccontato (1972) di Florestano Vancini.
L'occasione è data dal restauro, a trent'anni dalla sua uscita, della pellicola di Vancini, a cura
della Fondazione Scuola Nazionale di Cinema - Cineteca Nazionale, con 16 minuti di scene
inedite, accompagnato dalla pubblicazione di un volume a cura di Pasquale Iaccio.
Il percorso è stato concepito per essere svolto in prevalenza durante le lezioni d'italiano, ma si
presta al coinvolgimento di altre discipline. Necessarie sono, per esempio, all'inizio, le
connessioni con la storia. L'analisi dello spazio del racconto può essere approfondita
nell'ambito della geografia, mentre la considerazione finale sulla musica del film può
coinvolgere l'insegnante di educazione musicale. Infine, gli aspetti più strettamente legati al
linguaggio cinematografico possono essere affrontati nell'ambito dell'educazione artistica.

La storia e il racconto
Entrambe le opere qui prese in considerazione fanno riferimento alle drammatiche vicende dell'agosto 1860, quando i
contadini di Bronte, un piccolo paese sulle falde dell'Etna, esasperati per la mancata distribuzione delle terre demaniali
promessa da Garibaldi, insorsero contro la parte più reazionaria dei borghesi locali (i cosiddetti "cappelli") uccidendone una
quindicina. Il generale Nino Bixio, inviato da Garibaldi per placare la sommossa, pur trovandola già sedata, fece arrestare
centocinquanta persone e, istituito un tribunale militare, ne fece immediatamente processare cinque, in qualità di principali
responsabili degli accadimenti. La condanna per fucilazione fu eseguita il giorno dopo.
Questo referente storico, comune ai due testi, fa sì che il percorso didattico qui proposto vada preferibilmente collocato a
ridosso delle lezioni di storia dedicate alle imprese di Garibaldi e, in particolare, alla spedizione dei Mille, in modo tale che
possa diventare anche un'occasione per approfondire quegli argomenti.
Il primo passo del percorso consiste nella lettura della novella.
Il fatto che le vicende narrate non trovino nel testo verghiano un'esplicita collocazione storica e geografica è il punto di
partenza per coinvolgere gli studenti in un'indagine che porti, attraverso la ricerca nel testo di possibili indicatori storici e
geografici, all'individuazione della regione e del momento storico in cui si svolge l'azione.
Basandosi sulla lettura di estratti dalla letteratura storiografica riguardante i "fatti di Bronte" (1), si dovrà poi pervenire a una
ricostruzione essenziale degli avvenimenti e a una loro collocazione nel contesto storico più ampio (2).
Il momento successivo è la visione del film, proposto innanzi tutto come un modo diverso di raccontare quei fatti: non più
attraverso il linguaggio letterario, bensì attraverso quello cinematografico (3).
Si procede quindi al confronto tra le due opere, individuandone innanzi tutto l'appartenenza a generi (o sottogeneri) testuali:
nel primo caso siamo di fronte a una novella realistica, nella sua particolare declinazione italiana, quella verista, nel secondo a
un lungometraggio di finzione riconducibile al genere "film storico".
Nella didascalia iniziale del film gli autori (4) precisano che "i fatti narrati […] sono realmente accaduti" e dichiarano il loro
"impegno" volto alla ricostruzione di "avvenimenti e personaggi nella loro verità storica", basata su una ricerca compiuta sui
testi citati nei titoli di coda come fonti del soggetto (5).
Il sottotitolo del film, Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, sembrerebbe inquadrare fin da subito
l'opera piuttosto come film "antistorico" (MORAVIA 1975: 252), cioè in opposizione a quella storiografia (6) che del
Risorgimento ha dato un'immagine puramente trionfalistica. Nel film l'episodio di Bronte è, infatti, l'evento in primo piano, ma
dai dialoghi sappiamo che rivolte e repressioni simili a quelle di Bronte furono attuate nei confronti di altri paesi dell'entroterra
siciliano.
Sarebbe interessante a questo punto mostrare altri film "storici", portatori di quella visione del Risorgimento siciliano che il film
di Vancini vorrebbe incrinare (7).
Di seguito viene proposta un'analisi comparata delle due opere che dovrà servire all'insegnante come traccia per impostare
una serie di unità didattiche da proporre agli alunni.

Il tempo/Le sequenze
La novella narra del periodo che va dalla giornata della rivolta alla conclusione del processo di Catania, avvenuta tre anni
dopo, che portò alla condanna all'ergastolo di vari brontesi. Il film parte dagli avvenimenti immediatamente antecedenti allo
scatenarsi della rivolta e si conclude con l'episodio della fucilazione.
Nella novella non vengono riportati gli anni in cui avviene la vicenda narrata, mentre nel film, nella didascalia iniziale, si parla
almeno dello sbarco in Sicilia che sembrerebbe precedere di poco e indirettamente provocare gli eventi che il film racconta.
Mancano però all'interno del film (tranne un'eccezione) dei riferimenti puntuali alla datazione degli avvenimenti.
Sia nella novella che nel film gli eventi narrati sono disposti in ordine cronologico. In entrambe le opere, però, le frasi dei
popolani (nella novella spesso filtrate dal discorso indiretto libero del narratore) contengono riferimenti agli antecedenti della
rivolta: in particolare (specie nel film) alle misere condizioni economiche in cui erano costretti i popolani e alle violenze da loro
subite da parte di sbirri e campieri agli ordini dei proprietari terrieri, che giustificherebbero la violenza della rivolta. Nel film le
ragioni della rabbia del popolo vengono, inoltre, sintetizzate nella scena che precede i titoli di testa, in cui un contadino viene
frustato a sangue assieme al figlio, perché sorpreso a rubare legna e in quella che fa da sfondo ai titoli di testa, in cui vediamo
alcuni popolani occupati in faticosi e dolorosi lavori e a raccattare cibo avanzato tra i rifiuti dei ricchi.

Vi sono, in entrambi i testi, dei segni che fanno presagire il tragico corso che prenderanno gli eventi: nella novella sono
concentrati soltanto nelle poche righe dedicate al lento avanzare delle camicie rosse. Fin dall'inizio del film, invece, incombe
l'avvicinarsi del (doppio) "massacro", annunciato dal sottotitolo: le previsioni, le minacce, le dichiarazioni programmatiche,
nonché i timori e le perplessità dei protagonisti dirigono le aspettative del pubblico in primo luogo sul manifestarsi della
sanguinosa rivolta e, in ultima istanza, sull'intervento repressivo che ne sancirà definitivamente il fallimento.
Nella novella sono individuabili cinque sequenze narrative, inframmezzate da "a capo" e indicazioni riguardanti il passare del
tempo: nella prima viene narrata la sanguinosa rivolta all'apice del suo fulgore che si conclude poco prima del sopraggiungere
della notte, nella seconda viene descritta la vita del paese il giorno dopo la rivolta (domenica), la terza è dedicata al lunedì,
quando arriva Bixio e attua la sua violenta repressione, la quarta comprende l'arrivo dei giudici, il trasferimento del processo a
Catania e la descrizione di quello che accade a Bronte contemporaneamente allo svolgersi del processo e l'ultima coincide con
la conclusione del processo che sancisce la condanna dei rivoltosi.
La prima sequenza, da sola, costituisce la metà dell'intera novella, ed è difatti quella più particolareggiata, mentre la seconda,
che liquida la repressione di Bixio in poche righe, è la più breve e sintetica. Questa concisione sembrerebbe sminuire la
violenza dell'intervento di Bixio, in proporzione a quella dei popolani, anche se, in definitiva, ci restituisce bene l'atteggiamento
sbrigativo del generale.
Nel film mancano segni d'interpunzione o precisi indicatori temporali (per esempio dissolvenze e didascalie) che separino tra
loro gruppi d'inquadrature. Quest'assenza contribuisce a dare l'impressione di uno scorrere "naturale" degli eventi, continuo,
senza grandi salti temporali, verso il tragico epilogo. L'alternarsi del giorno e della notte è l'unico elemento che permetta di
farsi un'idea dell'effettivo passare dei giorni, in base al quale il film può essere diviso in sette "giornate filmiche" contigue, non
sempre corrispondenti a quelle reali. Nelle prime due "giornate" sono stati difatti "compressi" eventi che, nella realtà, sono
accaduti nell'arco di due mesi (gli antecedenti della rivolta), e nelle ultime quattro vengono "riassunti" cinque giorni (la
repressione di Bixio). Solo per l'evento della rivolta sembra esserci corrispondenza tra "giornate filmiche" (tra la seconda e la
terza) e giornate reali: è già un segno dell'importanza che gli autori riservano a quell'evento.
La rivolta si svolge, in due momenti: il primo, che inizia con la liberazione notturna dei prigionieri e arriva fino alla mattina del
giorno successivo, mostra soltanto saccheggi e incendi (durata filmica c.ca 3'); il secondo, che arriva fino al tardo pomeriggio
dello stesso giorno, è quello della strage guidata da Gasparazzo (durata filmica c.ca 19'). La durata filmica totale della rivolta è
di c.ca 22': più di un quinto del film, se consideriamo il segmento tra titoli di testa e titoli di coda (8). Se prendiamo poi l'unità
di misura della "giornata", possiamo notare come quella della seconda parte della rivolta sia la più lunga. L'episodio della
rivolta, soprattutto nel suo momento più tragico, insomma, occupa anche nel film uno spazio rilevante.

Altre letture critiche della novella (per esempio il testo di Villa) raggruppano le cinque sequenze precedentemente individuate
in tre macrosequenze: rivolta - sbandamento e attesa - repressione, altrimenti intese come rottura dell'ordine - incapacità di
costruire un ordine nuovo - ristabilimento dell'ordine precedente. Questa suddivisione ci permette di rilevare il pessimismo
profondo della novella, che racconta un episodio dove l'uomo si dimostra incapace di sovvertire l'assetto sociale costituito
(tema caro all'autore). Il fatto che Verga non specifichi le coordinate spazio-temporali della vicenda sembra significare che
questo meccanismo possa verificarsi ovunque, in qualsiasi momento, quasi come fosse una legge naturale. Le ricorrenti
similitudini e metafore che paragonano la folla in rivolta ed elementi naturali, contribuisce ad avallare questa lettura.
Anche il film si può suddividere in tre macrosequenze: antecedenti la rivolta - rivolta - repressione. Rispetto alla novella viene
restituito il giusto peso agli antecedenti e alla violenta repressione di Bixio, mentre sono totalmente assenti sia la sequenza
dedicata all'incapacità di costruire un ordine nuovo, sia la descrizione del ristabilimento del vecchio ordine. Quello che sembra
maggiormente interessare a Vancini non sono tanto i risultati concreti della repressione, ma ciò che ne sta alla base, cioè il
rifiuto aprioristico da parte della fazione più reazionaria della "rivoluzione", rappresentata da Bixio, di modificare l'assetto
sociale delle terre annesse al Regno d'Italia, andando incontro ai reali bisogni della popolazione (la divisione delle terre).
Come, d'altronde, intuisce subito l'inglese Tholenz quando, all'inizio del film, al notaio Cannata, che afferma orgoglioso d'esser
sempre stato un fedele suddito del re borbone, risponde "Garibaldi ve ne darà un altro".
Quella di Vancini si dimostra innanzitutto un'attenta ricostruzione di un episodio temporalmente e spazialmente circoscritto, la
cui valenza per il presente sta nella possibilità di una sua attualizzazione, secondo l'idea che la storia aiuti a vedere e capire il
presente (storico) (GAMBETTI 2000: 77). Si ha quindi, nello specifico, l'equazione: visione ufficiale del processo d'unificazione
dell'Italia/episodio particolare che incrina tale visione = visione ufficiale dei rapporti socio-politici originati da quel
processo/nuova visione di quei rapporti.

Lo spazio
Nella novella, così come l'identità del paese non viene chiarita, anche la descrizione dei suoi spazi rimane sul vago. Il paese
emerge come una collezione di luoghi e edifici, tipici dei paesi dell'entroterra siciliano, nominati, ma non descritti, né connessi
tra loro, che appaiono soltanto quando vengono "toccati" dalla vicenda: la chiesa, la piazza, il casino dei galantuomini, il
Municipio, la chiesa, le stradicciuole, la villa della baronessa, il cimitero, il convento. Di alcuni di questi luoghi e edifici ci
vengono mostrate anche (in certi casi, soltanto) singole parti, anch'esse nominate ma non connotate e tra loro sconnesse:
della chiesa, per esempio, vediamo, in momenti diversi, il campanile, gli scalini e il sagrato.
Intorno al paese sta la campagna, intravista prima tra le case della piazza e, successivamente, attraversata dal corteo degli
arrestati, anch'essa descritta per immagini slegate, ma più ampie: "i campi giallastri della pianura", le lunghe strade, i fichi
d'india, le vigne, le "biade color oro". Più in là ancora, a chiudere il paesaggio, vi sono i fianchi dell'Etna ricoperti di "boschi
cupi".
A separare paese e campagna sta un burrone, a collegarli una stradicciola che scende a precipizio. Tra paese e campagna
s'instaura quindi un rapporto alto/basso, che assume particolare importanza durante l'arrivo dei garibaldini, quando la
posizione dei popolani, sulla cresta del monte, consentirebbe loro di sconfiggere i soldati che risalgono il burrone.
L'altra contrapposizione spaziale presente nella novella è quella che s'instaura tra paese e città. Quest'ultima si rivela
completamente ostile ai popolani: è dominata dal gran carcere dalle celle buie, al quale i parenti dei detenuti faticano ad
accedere; non vi si trova lavoro, né di cui cibarsi; anche la locanda più misera è costosa e chi dorme sugli usci della chiesa
viene arrestato; una ragazza persino vi si perde.
Per il film gli autori hanno cercato di ricostruire un set che corrispondesse il più possibile alla realtà urbanistica, architettonica
e paesaggistica della Bronte ottocentesca, ricorrendo per l'occasione a un paesino istriano abbandonato dopo l'annessione alla
Iugoslavia.
La vicenda si concentra questa volta intorno alla sola Bronte e la città,
Catania, non viene mai mostrata, anche se, dai dialoghi, risulta anche
qui un luogo ostile ai contadini di Bronte e solidale con i "galantuomini".
Anche nel film manca una veduta complessiva del paese, mentre
vengono inquadrati, di volta in volta, gli spazi che fanno da sfondo alle
singole vicende: il collegio, sede dell'ordine, prima religioso e poi
militare; il circolo dei galantuomini, centro del vecchio potere politico,
che viene incendiato dal popolo; il municipio, centro potenziale del nuovo
potere politico, dal popolo occupato, seppur per brevissimo tempo; le
abitazioni dei galantuomini, che ostentano la ricchezza in ampi spazi,
ricco mobilio, abbondanza gastronomica; le abitazioni del popolo, veri e
propri tuguri sporchi e fumosi, teatri dell'estrema povertà, nonché sedi
dell'unità familiare, violata dagli arresti; le luminose piazze, luoghi
dell'unità del popolo che canta, manifesta e condanna; il terrazzo sul
quale vengono prima processati i "cappelli" e poi fucilati i rivoltosi; le
buie e strette stradicciuole che incanalano cortei, cacce e fughe.
In generale, agli interni corrispondono momenti di riflessione e
progettazione relative agli eventi, mentre gli esterni fanno da sfondo alla
manifestazione di quegli eventi.
La collina, anche qui, è luogo d'attesa e di controllo sulla strada bassa,
che conduce al paese.
La campagna appare soltanto nelle scene dell'incipit documentaristico
come luogo della fatica e della libertà negata, oppure come visione
paesaggistica dei popolani appostati sull'altopiano.

I personaggi
La novella del Verga si presenta come un racconto "corale", che non ha come protagonisti singoli individui, ma gruppi. Da una
parte il "popolo", che, durante la rivolta viene caratterizzato attraverso similitudini e metafore tratte dal mondo della natura (la
folla come un mare in tempesta o un fiume in piena), dall'altra i "galantuomini": quelli del paese (nobili, preti, farmacisti,
notai, ecc.) e quelli di città (giudici, giurati) e i loro aiutanti (campieri, sbirri, guardaboschi). I singoli che emergono dai gruppi
entrano in scena una volta sola e, principalmente, in qualità di membri tipici del gruppo di cui fanno parte. Anche Bixio, che
non appartiene a nessuno di questi due gruppi, anche se poi fa gli interessi dei secondi, fa soltanto una fugace apparizione. È
da notare poi, e questa è la grande differenza con il film, come i personaggi rimangano anonimi o abbiamo dei nomi (ma mai
dei cognomi) non corrispondenti alla realtà.
Dei popolani, durante la rivolta, vengono riportati gli aspetti più sgradevoli. I "galantuomini" e i loro aiutanti vengono
inquadrati attraverso le loro (presunte?) colpe, dal punto di vista dei popolani inferociti; da un certo punto in avanti la violenza
subita non trova più un contraltare nelle colpe commesse, perciò emerge un sentimento di pietà nei loro confronti. Critico,
infine, è il giudizio sui giudici e gli avvocati difensori, dei quali viene sottolineata la distrazione, la sonnolenza, l'enfasi degli
abiti e dei discorsi che cela sterilità.

Nel film si possono individuare tre personaggi principali: l'avvocato Lombardo, il carbonaro Gasparazzo e Bixio. Questi
personaggi risaltano sugli altri innanzitutto per essere dei leader: Lombardo è la guida della parte "moderata" del popolo,
Gasparazzo quella della parte più "estremista" e Bixio quella dei garibaldini. Questi tre appaiono frequentemente durante il film
ed è a loro che vengono affidate le battute chiave (sotto forma di riflessioni ad alta voce, discorsi argomentativi, proclami,
minacce) che ci permettono d'interpretare gli avvenimenti secondo le varie posizioni, rendendo superfluo qualsiasi intervento
d'un narratore esterno. Addirittura costoro parlano soltanto per frasi chiave, topiche, il che suona come una forzatura
didascalica, che caratterizza peraltro anche gli altri dialoghi del film.
Tra i protagonisti, Lombardo è il più importante, quello a cui è dedicato il maggior numero d'inquadrature, quasi sempre primi
piani, e il maggior numero di battute. La sua presenza rompe il manicheismo caratteristico della novella, nella quale infatti non
viene nemmeno nominato, dal momento che si tratta d'un "galantuomo" che prende le parti del popolo. Grazie a questa sua
"doppia" natura, è l'unico dei personaggi che intrattiene rapporti diretti con tutti gli altri (governatore di Catania, popolani,
preti, cappelli, Poulet, Bixio) e svolge spesso il ruolo di mediatore-moderatore tra le parti. Parallelo al dramma del popolo
brontese, un secondo dramma, scaturisce proprio dalla dialettica tra la via "riformista" alla conquista della libertà, promossa
da Lombardo, e l'onda inarrestabile di violenza guidata dall'intransigente Gasparazzo, il quale s'esprime soltanto con motti e
incitazioni urlate. La tensione di questo confronto è ben resa prima dal montaggio alternato tra il massacro dei galantuomini e
i tentativi di Lombardo di "far ragionare" il popolo, poi dallo scontro diretto che avviene in piazza, che costituisce la scena
centrale del film e sancisce definitivamente il trionfo della violenza.
Di Bixio risalta soprattutto il disprezzo per l'intera popolazione brontese e, per estensione, per quella siciliana: i rivoltosi
vengono da lui definiti "canaglia" e Lombardo "capo della canaglia", i galantuomini "vigliacchi", Poulet "minchione", nei paesi in
cui ci sono state altre rivolte dice d'aver trovato soltanto "feroce viltà". Alla base del suo disprezzo sta l'incapacità di
comprendere un popolo la cui cultura è troppo distante dalla sua, come svela la frase di commento al dolore delle donne degli
arrestati: "Incomprensibili, rozzi, anche nei lamenti e nelle preghiere, sempre!".
Accanto ai protagonisti vi sono dei personaggi secondari che appaiono con una certa continuità, che parlano e che spesso
hanno nomi e cognomi ma che, all'interno del gruppo d'appartenenza, non sono abbastanza diversificati gli uni dagli altri.
All'interno del gruppo dei "galantuomini", può essere rilevata, all'inizio, la "falsa" dialettica tra la posizione "borbonica" del
notaio Cannata e quella "nazionalista" dell'avvocato Cesare (condivisa peraltro dal resto dei gruppo): "falsa" in quanto le due
posizioni sono entrambe riconducibili all'opportunismo che porta a sposare la causa di chi difende i propri interessi e che
caratterizza il comportamento di tutti i "galantuomini" dall'inizio alla fine del film.
Alcuni contadini, di tanto in tanto, emergono dalla folla tumultuosa per dialogare con Lombardo e, così, esprimere "civilmente"
le loro esigenze di libertà; un caso a parte può essere ritenuto quello del pazzo il quale si distingue e risalta sugli altri per il
suo comportamento "anormale" e viene più volte ripreso con piani ravvicinati che lo isolano dal resto della folla.
In ultimo abbiamo la moltitudine delle anonime "comparse" che diventano protagonisti nel loro insieme, in quanto massa unita
contro i "cappelli", la cui voce "corale", sempre presente, si fa dapprima festosa, poi, nella rivolta, aggressiva e, durante la
repressione, lamentosa e, infine, silenziosa.

Elementi di stile
Sia Verga che Vancini puntano in modi diversi all'annullamento o
meglio all'eclissarsi del narratore quasi come se la realtà potesse
raccontarsi da sola.
Verga ottiene questo tramite l'aderenza (la "regressione" come
afferma Baldi) del narratore al linguaggio, ai pensieri,
all'ideologia, alla cultura del mondo che mette in scena, sia
attraverso il discorso diretto dei personaggi, sia attraverso il
discorso indiretto libero.
Nel film di Vancini, innanzitutto manca il narratore inteso come
"voce off". In secondo luogo il regista, assieme ai suoi
collaboratori, ha cercato di avvicinarsi il più possibile alla realtà
dei costumi, del dialetto, delle musiche, degli interni, del
paesaggio di Bronte in quel momento storico, evitando eccessive
stilizzazioni. Dal punto di vista della "messa in scena" Vancini
punta a evitare l'"appariscenza" stilistica, tipica del cinema
"d'autore". Per esempio, non ricerca quasi mai "l'inquadratura
perfettamente ricostruita, elegante, equilibrata" (IACCIO 1998:
310) e, men che meno, movimenti di macchina complessi. Anche
il montaggio è "secco", privo di dissolvenze. Il regista inoltre
rifugge anche dai codici tipici del cinema spettacolare: per
esempio limita l'uso del commento musicale e non indugia eccessivamente sugli effetti da grandguignol (come invece fa Verga,
avvicinandosi maggiormente alla realtà dei fatti, almeno di quelli ricostruiti da B. Radice).
Così come Verga approda al suo realismo attraverso precisi artifici letterari (non a caso si parla, per esempio, di "artificio della
regressione"), anche per Vancini l'eclissarsi del narratore, comporta comunque l'adozione di precise scelte tecniche,
linguistiche e, in fin dei conti, stilistiche: l'ordine cronologico piuttosto che il ricorso a flashback, la macchina da presa a spalla
piuttosto che il carrello, lo stacco netto piuttosto che la dissolvenza, ecc. Insomma l'"assenza di stile" è pur sempre uno stile. Il
regista stesso precisa: "Le inquadrature sono tutte costruite, ma con l'aria di fare una ripresa da cineattualità, di
rappresentare gli avvenimenti mentre accadono" (IACCIO 1998: 310). Non a caso il sottotitolo del film parla di "cronaca". Era
nelle intenzioni di Vancini e dei suoi collaboratori dare la sensazione della presenza a Bronte, in quell'estate, di un misterioso
cineoperatore che, non veduto, riprendesse quanto stava accadendo (IACCIO 1998: 310).
L'uso della m.d.p. non è quindi mai casuale. La sua instabilità è proporzionale all'enfasi dell'azione e raggiunge l'apice durante
le fasi più accese della rivolta, quasi che il fantomatico cineoperatore, con la "macchina a mano", nel tentativo di cogliere da
vicino (largo uso di piani ravvicinati) più immagini possibili, fosse stato travolto dalla folla; una folla in continuo e disordinato
movimento. Anche il montaggio si fa qui più veloce.
È proprio in questo modo di rendere la violenza, la concitazione e il caos della rivolta che si fa più sentire l'influenza della
novella verghiana. Anche lì, dopo una serie di campi lunghi (9) che visualizzano i movimenti della folla nel suo insieme, segue
una sequenza di primi piani ottenuta semplicemente con un montaggio di esclamazioni di condanna del popolo, non introdotte
dalla specificazione dei singoli emittenti. Il fatto che poi si passi, senza elementi di raccordo, da una scena all'altra, dà
l'impressione di un continuo movimento dell'occhio dell'osservatore. Anche la descrizione delle singole uccisioni è condotta a
ritmo sostenuto, con un susseguirsi di periodi brevi retti prevalentemente dal passato remoto.
Specularmente, come nel film la m.d.p. si stabilizza maggiormente e le inquadrature si fanno più lunghe "in quei pochi attimi
in cui i personaggi sono perplessi o attoniti nel loro privato" (IACCIO 1998: 310), così nella novella, alla sequenza della rivolta
succede il segmento dedicato alla domenica successiva, in cui l'immobilità dell'atmosfera e la perplessità dei popolani è ben
coadiuvata da visioni più ampie, periodi più lunghi dovuti all'uso frequente dell'ipotassi e la sostituzione del passato remoto
con l'imperfetto.
Tornando all'impianto linguistico-stilistico del film, si può notare come Vancini non si dimentichi mai di porre al centro
dell'inquadratura i personaggi principali facendo largo uso di primi e primissimi piani (10), che ci restituiscono appieno gli stati
e le variazioni emotive di tali personaggi.
In genere viene evitata la soggettiva alla quale si preferisce piuttosto una "quasi-soggettiva", ottenuta collocando l'obiettivo di
poco distante dagli occhi del personaggio che guarda: anche qui, come nella novella, il narratore cerca di restituirci,
indirettamente, il punto di vista dei vari personaggi. In certi momenti il suo sguardo sembrerebbe coincidere con quello
attonito di quegli anonimi abitanti di Bronte che per tutto il film non partecipano all'azione, ma si limitano a guardarla da una
certa distanza, magari nascondendosi negli angoli delle piazze. In ogni caso non sembra mai uno sguardo portatore di un
giudizio esterno, dell'autore.

Per concludere, va rilevata l'importanza che nel film assume la musica (ne è autore Egisto Macchi). I tipi di musica presenti nel
film sono sostanzialmente due: uno diegetico, cioè prodotto nell'ambiente in cui si svolge la vicenda e uno extradiegetico,
esterno a quell'ambiente.
Nel primo caso si tratta di musica popolare, eseguita con strumenti tradizionali e cantata in dialetto da voci "naturali". L'utilizzo
di questa musica, assieme ai rumori naturali, a quelli prodotti dalle attività lavorative e al confuso vociare dialettale della folla,
contribuisce alla resa realistica del "paesaggio sonoro" che caratterizza l'ambiente in cui si svolge la vicenda. Il tono della
musica varia con l'umore dei popolani e ne è quindi l'espressione. In alcuni casi le esecuzioni dei canti sono proprio al centro
della vicenda e hanno precise conseguenze nel suo sviluppo: si pensi, per esempio, alle "serenate" notturne rivolte ai
galantuomini che sono tra gli immediati moventi dell'arresto dei popolani e del canto del pazzo che anticipa lo svolgimento
reale dei fatti. È interessante poi confrontare i canti dei brontesi con quelli dei garibaldini: sono entrambi "popolari", ma la loro
diversità linguistica diventa un indice della distanza culturale che separa i due gruppi.
La musica extradiegetica si caratterizza invece, in primo luogo, per l'uso di strumenti elettronici, combinati il più delle volte
con voci e strumenti e appartenenti alla tradizione siciliana o riproducenti essi stessi il suono di strumenti regionali, come lo
scacciapensieri. In seconda istanza, viene fatto uso di strumenti appartenenti alla musica colta (violini, organo) per riproporre
le melodie dei canti popolari dei brontesi, precedentemente ascoltati.
Se la musica "popolare" diegetica si pone sullo stesso piano dei discorsi diretti dei popolani, questo commento ibrido
rassomiglierebbe allora al discorso indiretto libero, dal momento che abbiamo un'espressione "popolare" che viene filtrata,
ibridata o ricreata da più moderni o più "colti" strumenti narrativi, mantenendo però alcune delle caratteristiche originali.
La presenza del commento musicale, pur limitata rispetto ad altri film, conserva comunque la funzione di connotare
emotivamente certe figure o certi momenti. La musica che ricorre più spesso, per esempio, è quella dello scacciapensieri,
fredda, dall'incedere lento, costante, che accompagna le scene in cui s'avverte maggiormente la paura dei personaggi di fronte
all'avvicinarsi o al manifestarsi dei drammatici eventi.

(1) Oltre ai testi citati nei titoli di coda del film (vedi nota 5) può essere utile consultare: L. Bianciardi, Da Quarto a Torino:
Breve storia della spedizione dei Mille, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 136; L. Sciascia, La corda pazza: Scrittori e cose della
Sicilia, Torino, Einaudi, 1970, pp. 79-94; R. Del Carria, Proletari senza rivoluzione: Storia delle classi subalterne italiane dal
1860 al 1950, Milano, Oriente, 1970, I, pp. 50 e segg; L. Sciascia, Pirandello e la Sicilia, Milano, Adelphi, 1996, pp. 221-236.

(2) In questo modo si verrebbe a ripercorrere, in sintesi, il cammino che ha portato Vancini alla realizzazione del film. Al liceo
il regista resta suggestionato dalla lettura di quella novella dai referenti misteriosi. Negli anni cinquanta, mentre è in Sicilia per
girare dei documentari, tra i quali uno proprio su Verga, incontra un professore di lettere che gli svela come Libertà si riferisca
ai fatti di Bronte. Il regista inizia così a documentarsi sull'argomento e, successivamente, comincia a scrivere, assieme a Fabio
Carpi e Leonardo Sciascia, la sceneggiatura di un film, che sarà pronta nel 1961.

(3) Propongo di seguito una selezione dei testi dedicati al film da integrare con i testi citati nel mio saggio: "L'infame giorno di
Bronte", dibattito diretto da Gregorio Napoli, Giornale di Sicilia, 13 aprile 1972; L. Micciché, "Bronte di Florestano Vancini", in
Cinema italiano degli anni '70: Cronache 1969-78, Venezia, Marsilio, 1980; C. Paternò, Bronte, nascita di una nazione, in S.
Gesù (a cura di), Sciascia e il cinema, I, Catania, Maimone Editore, 1992; M. Vorauer, "Proprio questa storia va raccontata: di
nuovo e poi di nuovo: Riflessioni su Bronte di Florestano Vancini"; M. Aichmayr, "Mito e utopia: La figura del pazzo e il mondo
carnevalesco: Bronte di Florestano Vancini", entrambi in N. Genovese, S. Gesù (a cura di), Verga e il cinema, Catania,
Maimone Editore, 1996.

(4) La prima sceneggiatura di Vancini, Carpi e Sciascia (1961) è stata ampliata per la versione televisiva con la collaborazione
dello sceneggiatore siciliano Nicola Badalucco.

(5) Atti del processo di Catania del 1863; B. Radice, Nino Bixio a Bronte; Epistolario di Nino Bixio; I. Nievo, Lettere
garibaldine; G. C. Abba, Noterelle di uno dei Mille; G. Bandi, I Mille; A. Mario, La camicia rossa; N. Colajanni, La Sicilia dai
borboni ai sabaudi; D. Mack Smith, Storia della Sicilia Medioevale e Moderna.

(6) Nel sottotitolo, è vero, si dice "i libri di storia" come se si dicesse "la" storia, ma deve intendersi la versione della storia
fornitaci della "grande" storiografia, che è quella che poi, in forma riassuntiva, appare nei testi scolastici.

(7) Per es. 1860 di Blasetti (1934) e Viva l'Italia di Rossellini (1960). Per approfondimenti relativi all'argomento cinema e
Risorgimento risulterà utile consultare: L. Damiani, "Il Risorgimento Italiano nel cinema", Rivista del cinematografo, nn. 7-8,
lug-ago 1960; G. Aristarco, "Risorgimento senza film", Cinema nuovo, n. 151, mag-giu 1961; D. Meccoli (a cura di), Il
Risorgimento italiano nel teatro e nel cinema, Roma, Editalia, 1962; M. Argentieri, "Il cinema italiano e il Risorgimento",
Cinema Sessanta, a XII, n. 90, lug-ago 1972; M. Di Leonardo (a cura di), Momenti di storia italiana nel cinema dal
Risorgimento ai giorni nostri, Siena, Assessorato provinciale di Siena, 1979; M. Cardillo (a cura di), Da Quarto a Cinecittà:
Garibaldi e il Risorgimento nel cinema italiano, Amministrazione Provinciale di Frosinone, Assessorato alla Cultura, 1984; P.
Sorlin, La storia nei film: Interpretazioni del passato, Firenze, La Nuova Italia, 1984; E. Bertonelli, L. M. Lombardi Satriani (a
cura di), Risorgimento e Mezzogiorno, Milano, Jaca-book, 1988; G. M. Gori, Insegna col cinema. Guida al film storico, Roma,
Studium, 1993.

(8) Si fa riferimento qui alla copia in video edita dalla Mondadori Video nella collana "Il grande cinema".

(9) Una lettura "cinematografica" della novella, specialmente della sua prima parte, la si ritrova anche in testi per la scuola:
cfr. G. Verga, Novelle, selezione e commento di C. Riccardi, Milano, Bruno Mondadori, 1989; R. Villa, p. 10.

(10) È interessante notare come i primi piani siano tipici del linguaggio della fiction televisiva, che tra l'altro era il primo
formato del film. Difatti, il film fu realizzato dapprima in una versione destinata alla programmazione televisiva (in tre puntate
da 50 minuti ciascuna) e, solo successivamente, di fronte al rifiuto della Rai di trasmetterlo, venne rimaneggiato per ottenerne
una versione più breve, adatta alla collocazione nelle normali sale cinematografiche, che è quella che ora è stata rieditata in
videocassetta.

BIBLIOGRAFIA

BALDI, G., L'artificio della regressione: Tecnica narrativa e ideologia del Verga verista, Napoli, Liguori, 1980.
GAMBETTI, G., Florestano Vancini, Roma, Gremese, 2000.
IACCIO, P., Cinema e storia: Percorsi immagini testimonianze, Napoli, Liguori, 1998.
MORAVIA, A., Al cinema: Centoquarantotto film d'autore, Milano, Bompiani, 1975.
VILLA, R., Testi e scritture: Modelli, generi, temi e motivi, Milano, Bruno Mondadori, 1995.

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