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GIOACCHINO ROSSINI
Il mondo musicale del primo Ottocento era diviso in due correnti principali, ciascuna legata a un
proprio repertorio e a un proprio tipo di ricezione.
La prima era l’opera italiana di Rossini lo scopo del compositore operistico era quello di creare
un evento, ossia produrre una singola rappresentazione operistica, collaborando con altri soggetti,
come librettista, scenografo, etc., e la partitura era un progetto che trovava una realizzazione di
volta in volta diversa, adattandosi ad esempio alle caratteristiche vocali di uno specifico cantante.
L’altra era la musica strumentale di Beethoven, le cui composizione ambivano a porsi sullo stesso
livello della poesia, ossia richiedeva uno sforzo di comprensione per decifrarne il messaggio. Il
testo prodotto dal compositore non era suscettibile di ulteriori modifiche, poiché era manifestazione
della sua volontà perciò immodificabile. Il momento esecutivo retrocedeva a funzione secondaria,
semplice esplicitazione della partitura.
Quelli impersonati da Rossini e Beethoven erano due modi di pensare la musica antitetici: da una
parte il centro focale della musica era fatto convergere sul concreto evento sonoro, dall’altra veniva
posto nell’astratto pensiero musicale del compositore. L’una è musica immediata e di facile
fruizione, l’altra nasconde tematiche non percepibile ad un primo ascolto. Tuttavia entrambe le
correnti si collocano in un periodo storico particolare, quello della Restaurazione (Congresso di
Vienna 1815): periodo caratterizzato da desiderio di pacificazione, di disimpegno dalla passioni
politico-ideali e di ritorno alla quieta mentalità borghese. Dunque entrambi i compositori mostrano
un atteggiamento distaccato e critico verso la loro realtà contemporanea.
Se nell’opera buffa egli portò a perfetto compimento un genere musicale, decretandone quasi
l’estinzione, fu proprio nell’opera seria che avviò nuove convenzioni nell’opera italiana, soprattutto
dal punto di vista formale.
L’opera italiana, inoltre, subì l’influsso delle regole della “tragédie lyrique” dell’Opéra di Parigi:
maggiore presenza del coro, ricca orchestrazione, graduale abbandono del recitativo secco in favore
di quello accompagnato, tendenza a saldare le singole scene in grandi blocchi unitari.
Rossini non si spinse oltre, poiché a soli 37 anni smise di scrivere per il teatro; le poche opere che
scrisse in seguito erano di destinazione sacra o cameristica. Sono i “Péchés de vieillesse” a
rappresentare meglio lo spirito dell’ultimo periodo di Rossini: sono bravi composizioni
cameristiche, cioè per pianoforte, di programmatica ingenuità musicale.
Probabilmente Rossini fece questa scelta di silenzio perché non volle accettare in toto l’estetica
romantica, il suo era ancora un mondo settecentesco in cui si tendeva ad un ideale estetico di
bellezza assoluta; egli non amava il nuovo stile vocalico declamato che andava diffondendosi. A
contatto con il Romanticismo, dunque, Rossini preferì tacere: la verosimiglianza drammaturgica, le
emozioni capaci di travolgere il compositore che è anche interprete e ascoltatore.
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Nonostante l’inedito rilievo conferito nell’Ottocento alla musica strumentale, il terreno musicale su
cui si strinsero maggiormente le fila dei compositori tedeschi alla ricerca di una vera musica
nazionale romantica fu il teatro d’opera.
La prima opera considerata romantica, cioè elemento coesivo per l’intera nazione tedesca, è “Il
franco cacciatore” (Freischutz) di Carl Maria von Weber rappresentato a Berlino nel 1821.
La trama proviene da un’antica leggenda tedesca.
Formalmente, quest’opera è uno “singspiel” in 3 atti, costituito da dialoghi recitati inframezzati da
pezzi chiusi musicali. Ci sono influssi dall’opéra-comique francese, di cui Weber aveva avuto
esperienza a Praga e Dresda, ma non mancano nemmeno gli influssi dell’opera italiana, nonostante
la deliberata distanza che Weber voleva frapporre fra sé e questo repertorio. Tuttavia Weber seppe
unificare elementi disomogenei, provenienti dalla tradizione operistica francese e italiana,
conferendo all’insieme un colore davvero tedesco e davvero romantico, attraverso una struttura
unitaria: uso di motivi ricorrenti, disegno armonico attentamente pianificato con significati
simbolici.
Quest’opera ebbe un successo rapidissimo in tutta Europa. Un’altra importante opera di Weber è
”Euryanthe, rappresentata a Vienna nel 1823, mentre la sua ultima opera è “Oberon”, rappresentata
a Londra nel 1826.
Weber può essere considerato il primo dei grandi musicisti romantici. La caratteristica principale
dei musicisti romantici era l’attivismo culturale: il compositore era strumentista, direttore
d’orchestra, diffusore della nuova musica, direttore artistico di teatri o istituzioni, fondatore di una
lega artistica. Lotta contro i “filistei”, cioè i borghesi legati al vecchio mondo, cioè all’opera
italiana, il prodotto tipico delle corti dell’ancien régime.
Perciò il musicista romantico non solo componeva musica, ma la eseguiva anche in prima persona
come strumentista virtuoso (pianista nel caso di Weber) e direttore d’orchestra, nonché si
impegnava a diffondere culturalmente la nuova musica.
Era direttore artistico di teatri o istituzioni, fondatore di una lega artistica: Weber era direttore
dell’Opera di Praga e dell’Opera di Dresda, e fondatore dell’Harmonischer Verein.
Oltre a ciò i musicisti romantici si impegnarono nel pubblicare molti saggi come critici musicali.
Caratteristiche tecniche della musica romantica che Schubert inserisce in composizioni che riescono
a rispettare il principio fondamentale del romanticismo:
1) Tendenza verso un tono generale di tipo lirico-contemplativo
2) Dal punto di vista dell’armonia, esplora le modulazioni a gradi diversi dal V
3) Dal punto di vista della forma, sceglie liberamente il punto di climax, collocandolo spesso alla fine
della composizione, creando una forma sbilanciata
4) Dal punto di vista del ritmo, esso è uniforme e crea un progressivo accumulo di tensione che si
scatena nel climax
5) Dal punto di vista del rapporto fra le parti, si affievolisce l’equilibrio classico dello stile spezzato o
intrecciato, in favore di una polarizzazione tra melodia e accompagnamento
6) Dl punto di vista della fraseologia (nei classici viennesi era asimmetrica), essa è più regolare e
simmetrica, acquisendo la quadratura, cioè un periodare di gruppi di 4 battute e loro multipli.
Contemporaneamente il discorso musicale tenderà ad una fluidità che verrà in seguito definita “prosa
musicale”.
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Gli anni dal 1809 al 1813 videro la nascita di quasi tutti i più famosi musicisti romantici: Mendelssohn,
Schuman, Chopin, Liszt, Verdi e Wagner.
MENDERLSSOHN ebbe un grande talento musicale, fin da ragazzino compose con facilità un centinaio di
composizioni tra cui opere e sinfonie; la sua educazione scolastica fu completata dalla frequentazione di
Goethe, presso il cui salotto incontrava i fratelli Schlegel, il filosofo Hegel e altri intellettuali, nonché da
numerosi viaggi culturali in Svizzera, Francia, etc.
Educato soprattutto sulla musica di Bach e dei classici viennesi, si cimentò con stupefacente naturalezza in
tutti i generi musicali già dagli 11 anni: scriveva sonate, fughette per organo, Lieder vocali o cori, Singspiele
e sinfonie per archi.
A 16-17 anni maturò uno stile personale con l’Ottetto per archi op. 20, e l’ouverture per orchestra Sogno di
una notte di mezza estate.
Così egli diventò a pieno un musicista romantico: attivismo culturale, strumentista virtuoso, direttore
d’orchestra, direttore artistico.
Egli come direttore dell’Orchestra del Gewandhause di Lipsia ebbe come obiettivo la diffusione della nuova
musica e di quella antica accanto alla musica contemporanea e quella dei classici viennesi, egli nel 1834-
38 inaugurò la pratica dei “concerti storici”, cioè un repertorio di storia della musica da Bach ai suoi
contemporanei.
Mendelssohn non fondò una lega artistica, ma qualcosa di più duraturo: il Conservatorio di Lipsia,
inaugurato nel 1843.
Classicismo e romanticismo nella musica di Mendelssohn egli è stato a volte definito “neoclassico”, o
“romantico classicheggiante”, perché egli risentiva in senso estetico delle sue frequentazioni goethiane ed
hegeliane; in ogni caso egli non è pienamente classico, ma si avvicina ai problemi musicali della
contemporaneità.
SCHUMANN
Schumann (1810 – 1856) fu caratterizzato dalla duplicità, caratteristica tipicamente romantica: egli sentiva di
essere scisso in una doppia natura, quella di entusiasta e quella di malinconico.
Oltre a ciò egli oscillava tra una prosaica mentalità borghese, desiderosa di affermazione economica e
sociali, e una poetica esigenza di dedicarsi all’arte anima e corpo.
Le radici di questa profonda scissione psicologica vanno ricondotte a un dissidio famigliare tra la madre e il
padre.
Egli inoltre era attratto tanto dalla musica quanto dalla letteratura, infatti oltre che compositore di musica, fu
anche scrittore di poesie, novelle, romanzi e drammi. All’età di 20 anni, quindi piuttosto tardi, decise di
abbandonare l’università e riprendere gli studi pianistici a Lipsia.
Negli anni 1832-35 Schumann pose le basi di tutta l sua vita futura, che fu fortemente segnata da
attivismo culturale.
Una progressiva paralisi alla mano troncò la sua carriera da strumentista virtuoso, quindi si dedicò solo alla
composizione musicale, alla diffusione della nuova musica in qualità di critico musicale egli fondò una
rivista musicale nella quale espresse il suo triplice scopo:
“ricordare con vigore l’epoca antica e le sue opere”, cioè Bach, Beethoven, Schubert;
“lottare contro il più recente passato in quanto epoca antiartistica”
“preparare una nuova età poetica e contribuire ad affrettarne l’avvento”
Intorno al 1833 egli fondò una lega artistica totalmente immaginaria, il Davidsbund, cioè la Lega di David,
che come il biblico eroe aveva il compito di combattere i filistei.
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Egli volle intraprendere la carriera di direttore d’orchestra e di direttore artistico, ma ebbe difficoltà
comunicative e una malattia psichica (tentò anche il suicidio) che gli impedirono di avere successo in questo
ambito.
Dotato di un carattere incline al disordine, Schumann impose a se stesso il massimo dell’ordine e delle
disciplina nell’ambito compositivo, costringendosi a dedicarsi ad un genere musicale per volta: negli anni tra
il 1829 e il 1839 compose quasi esclusivamente per pianoforte, nel 1840 si dedicò ai Lieder per voce e
pianoforte; nel 1841 compose sinfonie; nel 1842 si dedicò alla musica da camera; il 1843 fu l’anno
dell’oratorio, che vide Schumann sul podio a dirigere la prima esecuzione al Gewanhaus del su primo
oratorio profano “Il paradiso e la Peri”; dopo il 1844 esplose la sua passione per la fuga, concretatasi in mole
composizione contrappuntistiche, tra cui le Sei fughe sul nome di Bach per organo.
Un’ultima, fondamentale duplicità va annotata per Schumann riguardo al rapporto fra musica ed
elementi extramusicali egli caricò le sue musiche, specialmente quelle pianistiche, di una fitta rete di
riferimenti più o meno nascosti a realtà esterne alla composizione stessa. Ad esempio vi sono alcuni esempi
di composizioni musicali collegate ad opere letterarie; inoltre egli si nasconde dietro alla presenza di
maschere come quella di Florestano ed Eusebio.
Egli cercò di sanare il suo dissidio interiore coniugando musica, letteratura, relazioni personali e sentimentali
in un unico mondo veramente poetico, di cui egli soltanto possedeva la chiave.
CHOPIN
Egli è legato alla parola “barbaricità”: i suoi contemporanei avvertivano acutamente in lui un sentore di
straniero, di selvaggio, come se fosse un barbaro calato in Europa dalle lande dell’est.
Egli infatti era nato in Polonia, da padre francese e madre polacca.
Egli studiò al Conservatorio di Varsavia e nel 1829 si esibì come concertista per la prima volta a Vienna.
Parigi fu per lui una seconda patria: ebbe la possibilità di conoscere numerosi artisti che stavano a Parigi
come Verlioz, Rossini, Bellini, Liszt, Balzac, Delacroix.
Dal 1832 egli riuscì ad entrare nelle istituzioni concertistiche di Parigi ed avere un tenore di vita decisamente
alto grazie ai compensi ricevuti dall’attività di insegnante privato di musica e alle esibizioni in salotti privati
dell’alta società parigina. Solo raramente egli si esibì in concerti pubblici.
I salotti dell’aristocrazia erano ambienti frequentati da una classe sociale ancora detentrice e arbitra del gusto
estetico dominante; le composizioni che vi venivano ammesse erano solo della più alta qualità, l’equivalente
sonoro delle poesie che vi venivano recitate.
Negli ultimi anni, dopo la rivoluzione francese e il declino dell’aristocrazia parigina, andò anche lui incontro
ad un periodo di difficoltà economiche.
Fondamentale estraneità di Chopin al mondo classico-romantico Chopin veniva percepito come
proveniente da un mondo profondamente estraneo alla civiltà dell’antica Europa. Questo non va addebitato
solo al legame di Chopin con la sua antica patria, manifestato dall’adozione di danze o canti tipicamente
polacche (17 polacche e 60 mazurche per pianoforte), ma è tutta la sua formazione che scavalca il
Classicismo viennese, riallacciandosi direttamente al mondo settecentesco.
Era a lui estranea l’ideologia per cui il compositore deve innalzare grandi architetture formali dalla
saldissima logica razionale, così come era lontano dalle conseguenze che i suoi contemporanei tedeschi
trassero da ciò, cioè l’idea che una composizione anche piccola fosse specchio del mondo, coacervo di
stimoli poetici di varia natura.
Chopin al contrario discende dallo stile della sensibilità, un’arte del porgere che fa dell’ornamento la
sostanza espressiva della musica; un’arte che pone al centro dell’attenzione più la capacità espressiva e
parlante dell’interprete che l’astratto processo costruttivo del compositore.
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La grande tradizione strumentale italiana del Si-Settecento si era progressivamente affievolita, fino a trovare
solo un modesto spazio nel mercato musicale ottocentesco; gli stimoli della musica strumentale austro-
tedesca non avevano per niente risvegliato echi nella penisola italiana.
In Italia non fiorirono le società di concerti, e lo spettacolo operistico rimase uno dei principali centri di
attrazione sociale e artistica nella nazione.
Il teatro manteneva quindi una funzione simile a quella assunta nel Settecento = luogo di ritrovo serale e
veicolo di divulgazione culturale per un pubblico ancora diviso in classi.
La concezione drammaturgica si era nettamente differenziata rispetto al Settecento lo spettatore
ottocentesco non poneva in primo piano il godimento estetico, ma la propria partecipazione emozionale, egli
voleva identificarsi inconsciamente nei personaggi. Primato del coinvolgimento emotivo, che presuppone
una buona dose di verosimiglianza e semplicità della rappresentazione i timbri vocali si fanno naturali, i
caratteri dei personaggi sono semplici e stereotipati, le trame sono quasi tutte standard (eroe innamorato,
tiranno cattivo, donna pura e sentimentale, la fine è la follia o la morte dei personaggi travolti dalle loro
passioni) un nuovo tipo di innaturalità dettato dalle passioni estreme si sostituisce all’innaturalità del
razionalismo settecentesco; l’ambientazione è quella fosca medievale: castelli, laghi, cupi boschi.
La musica non è più lo scopo dello spettacolo, ma è il mezzo per realizzare un dramma coinvolgente dal
punto di vista emozionale. Questo non comporta un primato del librettista sul compositore, anzi è il
compositore ad essere il vero drammaturgo, dal momento che ha il ruolo di responsabile ultimo di tutti gli
aspetti del teatro.
Conseguenze della scomparsa del recitativo secco settecentesco in favore di quello accompagnato:
Riduzione del numero dei versi da cantare, perché la declamazione del recitativo accompagnato
dall’orchestra è meno rapida, e non si voleva prolungare oltre misura la durata dello spettacolo
I versi misurati prevalsero sui versi sciolti, perché molte scene dialogate si trasformarono in duetti o
ensembles vocali, perciò necessitava versi regolarmente misurati
La lingua dei libretti si adattò al fatto di essere più cantato che recitato, innalzò il suo stile
trasformando la discorsività in un linguaggio aulico
Il dramma settecentesco diventò un dramma per musica, sostituendo nuovi tipi di in naturalità
e convenzioni a quelli precedenti.
Operisti del primo Ottocento: Mercadante, Pacini, Donizetti, Bellini.
Il Romanticismo oscilla fra due tendenze opposte: da una parte esaltava la musica strumentale pura,
dall’altra si serviva di stimoli extramusicali, soprattutto letterari, abolendo la purezza della musica.
Neotedeschi: movimento creatosi attorno alla figura di Liszt, che propugnava l’avvento di una
stretta alleanza tra a musica e le altre arti. A questo movimento aderì Richard Wagner.
WAGNER nacque a Lipsia nel 1813, era appassionato di letteratura e studiò la musica da
autodidatta. Dopo aver fatto il maestro di coro e il direttore musicale di vari teatri, per una
situazione economica grave dovette scappare. Arrivò a Parigi.
La sua carriera iniziò con un grand opéra in lingua tedesca, il “Rienzi”, di tema storico. Quest’opera
segnò una svolta nella sua vita, perché nel 1843 fu nominato direttore del teatro della corte di
Sassonia a Dresda.
Nel 1849, coinvolto nei moti rivoluzionari, fu costretto a fuggire, e si rifugiò a Zurigo.
Affacciatosi sulla scena internazionale con un grand opéra, Wagner aveva però proseguito in una
direzione più “tedesca” “L’olandese volante”, “Tannhauser”, “Lohengrin” sono le sue tre grandi
opere romantiche.
Caratteristiche:
- Wagner scrisse sempre da sé i suoi testi
- Rifiutava soggetti storici in favore di argomenti leggendari, che trattassero temi profondi e
universali. La concezione di fondo è che solo l’amore spinto fino al sacrificio può redimere
l’uomo dal male, identificato con la vita stessa. Dunque binomio amore-morte romantico
- Questi testi vengono interamente musicati. La struttura generale è “opera a scene”: l’unità
fondamentale non è il numero (aria, duetto, etc.), ma la scena, intesa come un blocco
temporalmente ampio e variamente articolato in pezzi non chiusi, ma collegati fra loro. Per
agevolare la continuità musicale Wagner fa uso dei motivi di reminescenza
- Wagner vuole fare aderire sempre di più la musica alla parola: declamazione in stile arioso,
che si accosta quasi ad un recitativo molto intenso.
Nel 1848 Wagner aveva iniziato ad abbozzare un poema che voleva mettere in musica: La Morte di
Sigfrido; negli anni seguenti questo progetto si allargò divenendo una tetralogia, ossia un unico
dramma quadripartito, “L’anello del Nibelungo”. La composizione si interruppe perché Wagner si
dedicò ad altre composizioni, a tournée che vennero recepite come scandalose e gli procurarono sia
fama sia gravi problemi economici.
Nel 1864 il re Ludwing II di Baviera, suo grande ammiratore, gli saldò tutti i debiti e gli diede un
lauto compenso per completare L’anello del Nibelungo. Nel 1872 venne iniziata la costruzione del
sogno di Wagner: un teatro dedicato appositamente alla sua musica. La sua inaugurazione avvenne
nel 1876 con la rappresentazione integrale della Tetralogia.
Dal 1877 al 1822 Wagner si dedicò alla composizione del “Parsifal”, il suo ultimo dramma
musicale. Morì nel 1883.
La concezione wagneriana del dramma musicale Wagner parte da una premessa radicale: la
musica non può essere assoluta, ha bisogno di una giustificazione esterna di carattere poetico,
drammatico o coreografico, altrimenti rimane priva di senso. Ma con Beethoven, secondo Wagner,
le cose cambiarono: egli riuscì a condurre la musica alla perfetta unione con la parola, nell’ottica di
Wagner la musica di Beethoven fluisce in una melodia infinita.
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Allora Wagner giunge a formulare ciò che per lui dev’essere “l’opera d’arte dell’avvenire”: il Wort-
Ton-Drama, cioè l’unione di parola-suono-azione si un’opera d’arte totale, così come era nell’arte
primigenia che giunse alla sua perfetta compiutezza nella tragedia dell’antica Greia. Il fine di tutto è
il dramma, cioè l’azione scenica che concretamente si realizza sotto gli occhi dello spettatore,
parole e musica sono solo mezzi per realizzarlo.
Il dramma deve rappresentare la vera natura umana senza le convenzioni che il cammino storico le
ha dato: ecco perché i soggetti sono tratti dalla mitologia, in cui i caratteri umani sono mostrati nella
loro essenza più pura e universale.
Poiché il dramma è superiore alla musica, la musica non ha diritto all’autonomia e non può dotarsi
di forme autonome (diversamente dalle opere italiane). tecnica del Leitmotiv: sono motivi
musicali affidati all’orchestra, la cui prima comparsa è associata chiaramente ad una situazione, un
personaggio, un sentimento, e man mano che l’azione si svolge i motivi già uditi ritornano, finchè
tutta la musica strumentale non è altro che una fittissima rete di leitmotiv che costituiscono il
tessuto connettivo dell’intero dramma. In questo modo l’orchestra non è più da accompagnamento
alle voci, ma diventa quasi un doppio del palcoscenico: l’orchestra raffigura spesso l’inconscio dei
personaggi, rafforzando tutto ciò che avviene sulla scena. Questa tecnica conferisce uno spessore
drammaturgico notevolissimo, e giustifica con assoluta necessità la presenza strumentale.
Poiché ogni Leitmotiv viene impiegato numerose volte durante la partitura, esso deve possedere una
natura tale da potersi adattare a qualsiasi contesto armonico in cui viene introdotto: deve essere
totalmente ambiguo Wagner fa un uso davvero notevole del cromatismo, cioè l’artificio musicale
che sospende ogni chiaro contorno tonale. Il cromatismo wagneriano ha il suo trionfo nel “Tristano
e Isotta”.
L’adattabilità dei Leitmotiv ai contesti più disparati rende quasi obbligatorio l’abbandono delle
forme chiuse la forma musicale diventa una melodia infinita, che si snoda senza interpunzioni,
per permettere la connessione dei motivi conduttori, che si incastrano fra loro senza far ricorso ad
alcuna formula di riempitivo cadenzale.
Per quanto riguarda lo stile vocale: Wagner usa il declamato melodico poiché tutto deve essere al
servizio del dramma, il primo intento è quello di far capire bene le parole. Assenza di duetti, terzetti
o concertati: il dialogo tra personaggi avviene in modo scandito, prima prende la parola l’uno, poi
l’altro.
Accanto al movimento progressista dei neotedeschi, nel 1854 si diffuse un movimento conservatore
che sosteneva tesi radicalmente opposte. Esso si basava sulla teoria del formalismo, elaborata da
Eduard Hanslick nel saggio “Del bello nella musica” la bellezza della musica non consiste nel
sentimento che essa eventualmente vorrebbe esprimere, né in programmi letterari o testi poetici, ma
è interna alla musica stessa. La musica non ha altro contenuto che i suoni e il loro artistico
collegamento, sono forme sonore in movimento, e le idee che la musica esprime sono
esclusivamente idee musicali.
Nel 1860 un altro gruppo di musicisti firmò un manifesto per dichiarare pubblicamente la propria
indipendenza dai neotedeschi, e fra questi vi era anche Johannes Brahms.
Gustav Mahler (1860 – 1911) scrisse sinfonie percorse da frequenti squarci di musica bassa:
fanfare o marce militari, ballabili alla moda, canti popolari, suoni della natura come il verso del
cucculo. Insomma inserì un mondo triviale nel genere alto per eccellenza secondo Mahler il
bello si appropriava anche del brutto od el banale per rendere in musica la totalità del mondo.
La sua musica fu percepita come una sua incapacità, come se non riuscisse a comporre musica del
tutto originale, e cucisse assieme frammenti sparsi dal suo repertorio e dal mondo sonoro.
Egli non scrisse mai un programma, perché riteneva che il programma fosse interno alla musica,
che doveva far provare oscure sensazioni che non possono essere espresse a parole.
Richard Strauss (1864 – 1949) fece germogliare le tendenze della Nuova Musica
novecentesca che erano state solo anticipate da Mahler. Strauss si dedicò al poema sinfonico, anche
se respingeva una musica costruita esclusivamente su un programma, in quanto la forma musicale
deve avere fondamento in se stessa. Tra i suoi più famosi poemi sinfonici ci sono “Don Giovanni”,
“Morte e trasfigurazione”, “Così parlò Zarathustra”.
Nei confronti dell’opera, Strauss si dimostrò ancora più moderno: si servì della tecnica dei
Leitmotiv, creando con essi una trama fittissima e inestricabile, quasi più un commento
psicanalitico alla vicenda che una struttura percepibile razionalmente. Inoltre egli scelse testi
letterari senza adattarli ai fini librettistici: i drammi in prosa di Oscar Wilde, tradotti in tedesco.