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Basile e Marino – Due poeti a confronto

Seminararbeit

Johann Wolfgang Goethe University Frankfurt am Main

Prüfer: Prof. Dr. Ott


Eingereicht von: Antonio Mariani
(Wallstraße 1, 60448 Oberursel (Taunus);
Matrikelnummer: 4591502)
Frankfurt am Main, 18.04.2014
Gliederung
0. Introduzione…………………………………………………………………………………………………..............1

1. La metafora barocca ………………………………………………………………………………….................2

II
0. Introduzione

Basile e Marino – due autori barocchi par excellence. Nel caso di Basile la critica
nutre pertanto dei dubbi, in quanto il marchio ‘barocco’ gli spetti interamente, o se
è piuttosto un contemporaneo che guarda da fuori. I due autori comunque hanno il
loro posto nella storia della letteratura del periodo, però sembra che non vi siano
ancora studi che li abbiano analizzati in una visione d’insieme. Accostare Marino
e Basile non è improbabile: troviamo, infatti, una serie di citazioni del Marino nel
Pentamerone. La raccolta costituisce l’opera d’interesse per il lavoro di confronto
che propone di leggere Basile come un marinista. Marino è già un autore
affermato. In tanti però lo contestano, chi per dispetto e invidia professionale, chi
per una personale nozione ‘conservatrice’ di poesia. Ricordiamo che Marino era
uno dei primi a richiedere dai poeti del ‘600 la facoltà di andare oltre la semplice
riproposta dei classici, tradizione ormai sentita come “sterile e oppressiva”. 1 La
disputa sulla sua interpretazione della imitatio è ancora molto dura all’epoca, ma
in tanti sono i colleghi che esprimono stima e si apprestano a studiarlo.

Basile conosce la letteratura, cita sapientemente e non esita a trasformare le


citazioni, spesso a scopo di parodia comica. Ma, davvero si tratta di un marinista?
Leggendo il dizionario italiano Treccani viene da pensare che questa domanda ha
già trovato risposta e non sia neanche da discutere: ”Marinista mediocre nelle
molte opere in italiano, trovò la sua via scrivendo in dialetto.” 2 In questo lavoro
vogliamo dimostrare che Basile stimava il collega, sebbene anche capace di
trasformare le citazioni dotte in elemento di parodia e divertimento comico. Lo
stimava e gli rende onore citandolo. La domanda se fosse puramente marinista è
da trattare in modo differenziato. Le citazioni sono sette in tutto, di diverso tipo a
livello di contenuto e di effetto per il lettore. Compaiono in sette fiabe diverse.
Perciò le abbiamo catalogate e seguiremo ad analizzarle secondo le loro funzioni
testuali. Sono individuabili tre tipi. Il primo è la citazione a fondo comico, per
destare ilarità nel lettore o ascoltatore. Il secondo tipo è quello dei motti, modi di
dire o espressioni tipiche del linguaggio. Il terzo tipo propone una riflessione
meta-letteraria. Le categorie non sono fisse o immutabili, la fiaba “lo scarafone,

1
Graf, Arturo (Hrsg.): Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti, 1. ottobre 1905. 4. edizione.
Roma 1905 (=DELLA RACCOLTA CCIV Volume CXX; fascicolo 811), 371.
2
Dizionario online Treccani, voce «Basile, Giambattista»:
http://www.treccani.it/enciclopedia/giambattista-basile/. Ultimo update effettuato il 09.09.16.
1
lo sorece/ lo scarafaggio, il topo” rispetta ad esempio criteri che valgono per tutte
e tre. La classificazione è dunque un tentativo approssimato e vuole essere una
proposta, per facilitare il lavoro sui testi. Si spera di arricchire il lavoro esaustivo
di Rak con un approccio che intende fare luce su due personaggi della letteratura e
la loro visione d’autore dando spazio a una teoria per ora poco approfondita. A
questo scopo svolgeremo una ricerca che tiene conto della produzione letteraria
dei due. Nel primo capitolo concretizzeremo una definizione di metafora barocca,
imprescindibile per contestualizzare le metafora che troviamo nei testi di Basile e
Marino. Il secondo capitolo è un’analisi degli elementi intertestuali del Basile che
Rak ha individuato essere di stampo mariniano. Dopo ciò proporremo una breve
discussione su quanto rilevato dalla nostra ricerca.

1. La metafora barocca

I saggi sulla teoria della metafora non si contano. Innumerevoli sono i tentativi di
classificare questo tropo. È da supporre che prevalga la definizione più semplice,
cioè quella proposta da Aristotele. La metafora sarebbe dunque formata da tre
elementi. Un comparato, cioé “partie de la comparaison qui constitue l’objet dont
on parle et auquel s’applique le comparant”, il comparante, “la partie de la
comparaison qui fait image”3 e il tertium comparationis. Il comparante conferisce
al comparato una caratteristica o attributo proprio. Il tertium comparationis avvia
la comparazione di due campi semantici diversi creando un’analogia. Potremmo
differenziare questa definizione formando vari esempi a estensione del significato.
Weinrich ci ricorda che la nostra non può essere molto di più di una
semplificazione approssimativa a scopo pratico (“eine bequeme Definition”). 4 Per
questo lavoro basti la teoria classica spiegata qui sopra. Su questa base possiamo
ora affrontare la concezione barocca di metafora. Emanuele Tesauro prende
spunto dal teorema di Aristotele per costruire il termine concetto. Per esprimere la
sua idea si basa sui risultati di una ricerca sulla metafora. Secondo Tesauro la
metafora contiene queste sfumature:

3
Morier, Henri: Dictionnaire de poétique et de rhétorique. 3. éd. augmentée et entièrement
refondue. Paris: Presses Univ. de France 1981, p. 201.
4
Weinrich, Harald: Semantik der Metapher. In: Folia Linguistica 1 (1967) 1-2. p. 3–17, p. 3.
2
Ed eccoci alla fin pervenuti grado per grado al più alto colmo delle figure ingegnose, tutte
le altre figure fin qui recitate perdono il pregio, essendo la metafora il più ingegnoso e
acuto, il più pellegrino e mirabile, il più gioviale e giovevole, il più facondo e fecondo
parto dell'umano intelletto.5

Questa constatazione lo porta a individuare delle caratteristiche essenziali nella


costruzione della metafora, quali l’ingegno, l’acutezza, l’originalità e la forza di
stupire. Per arguzia s’intende la facoltà intellettuale che si compone d’intuizione e
di capacità combinatoria, capace di cogliere connessioni e differenze. 6 La figura
retorica in questione è un prodotto dall’arguzia. Si tratta di scovare le
combinazioni di campi semantici distanti più improbabili o sorprendenti, quella
che Calabrese traduce in “libertà associazionistica illimitata, […] in una foresta di
simboli”7, dandoci la sua interpretazione delle parole del Tesauro. Abbiamo così
spiegato il criterio fondamentale nella ricerca sul piano della sostituzione di
termini a livello paradigmatico, ovvero “l’insieme di più elementi in uno,
diversamente dal paragone che affianca orizzontalmente i due termini, senza
rinzepparli”.8 C’è inoltre una novità riguardo ai temi della poesia. Mentre si usava
descrivere la donna nel suo complessivo, si passa ora a dare spazio ai piccoli
dettagli della fisionomia, vale a dire la bocca, gli occhi, i capelli e altro. 9
Giambattista Marino è comunemente visto come il prototipo di un nuovo stile,
stile che sarà affermato, anche se non accettato da tutti. Non mancano le critiche e
le polemiche su di lui. Marino si esprime in questo modo al riguardo: “i poeti che
dettano rime senza vivezze, fabbricano cadaveri, non poesie”.10 Marino apre una
nuova strada. Durante il ‘600 si formano due vie opposte, alcuni si attengono
all’esempio ‘marinesco’ che diventa indubbiamente il “gusto dominante del

5
Tesauro, E., C. Dibhinus u. a.: Il cannocchiale aristotelico, o' sia Idéa dell'arguta et ingeniosa
elocutione, che serue à tutta l'arte oratoria, lapidaria, et simbolica. Esaminata co' principii del
diuino Aristotele, dal conte d. Emanuele Tesauro. seconda impressione. Venezia: presso Paolo
Baglioni. M. DC. LXIII. 1663., p. 247.
6
Vedere annotazioni al testo di Tesauro nel commento critico contenuto in: Baldi, Guido, Silvia
Giusso u. Mario Razzetti: Attualità della Letteratura 2. Dal Barocco al Romanticismo. Torino:
Paravia 2012, p. 1.
7
Calabrese, Stefano: L'idea di letteratura in Italia. 1999. Aufl. Milano: Bruno Mondadori, p. 73.
8
Ferroni, Giulio: Storia della Letteratura Italiana 7: La letteratura nell'eta della Controriforma - La
societa di Antico regime (1559-1690). Milano: Mondadori 2006 (=Storia della Letteratura Italiana
7), p. 258.
9
Cfr.: Asor Rosa, Alberto: La lirica del Seicento. Roma, Bari: Laterza 1975 (=Letteratura italiana
Laterza 28).
10
Marino, Giambattista: Lettere. A. c. di Marziano Guglielminetti. Torino: G. Einaudi 1966b., p.
420.
3
secolo”.11 Mentre altri colleghi si dissociano con convinzione prediligendo la
‘vecchia scuola’ che esige imitatio. Marino non dà l’impressione di essere un
rivoluzionario della letteratura privo di piena consapevolezza riguardo al suo
scrivere: in una lettera indirizzata a Girolamo Preti del 1624 esprime il desiderio
di orientarsi secondo i gusti del pubblico contemporaneo, attestando a quelli che
ancora si rifiutano di staccarsi dalla vecchia regola l’incapacità di percepire i
cambiamenti delle aspettative del lettore: “Io pretendo di saper le regole più che
non sanno tutti pedanti insieme, ma la vera regola (cor mio bello) è saper rompere
le regole a tempo e luogo, accomodandosi al costume corrente ed al gusto del
secolo”.12 A detta sua quindi non un provocatore, ma un accorto complice e
sostenitore del movimento letterario che si stava divulgando a ragion di pubblico.
Nel tono polemico di “chi non sa far stupir, vada alla striglia!” 13 Marino formula
l’incoraggiamento a ricercare sempre l’effetto di meraviglia. Se il termine
“stupire” è da intendere come sinonimo di meraviglia, dettato dalla necessità di
variatio14, allora il termine è in linea con lo scopo di scovare sempre il nuovo, il
sorprendente. Nella discussione relativa, all’interno del suo saggio Pedrojetta
sottolinea che qui c’è un malinteso troppo spesso ribadito. Essendo il passo
volutamente una parodia di un verso di Murtola, suo rivale storico, Marino vuole
dire piuttosto che il poeta che ha per scopo esclusivo quello di stupire è indegno di
definirsi tale.15 La citazione del Marino non è dunque un manifesto della poetica
barocca, bensì “punto fermo cui ormai la ricerca estetica è giunta e intorno alla
quale non ci possono esser più dubbi”.16

11
Graf, Arturo: Il fenomeno del secentismo. In: Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti, 1.
ottobre 1905. Hrsg. von Arturo Graf. Roma 1905. pp. 353–382, p. 378.
12
Marino, Giambattista., pp. 394-97.
13
Fischiata XXXIII in: Marino, Giambattista: La Murtoleide: Norinbergh 1619, p. 35.
14
Pedrojetta, Guido: Dai margini al centro: La poetica barocca (ancora sulla Fischiata XXXIII di
Giovan Battista Marino). In: Margini. Giornale della dedica e altro (2007) H. 1. S. (documento
online senza pagina di riferimento).
15
Cfr.: da Locarno, Giovanni: Saggio sullo stile dell'oratoria sacra nel Seicento esemplificata sul p.
Emanuele Orchi. Roma: Ist. Storico dei Cappuccini 1954 (=Bibliotheca seraphico-capuccina). Per
approfondimenti sulla stessa questione vedi anche: Guglielminetti, Marziano: Marino e i
marinisti. In: Il secolo barocco. Arte e scienza nel Seicento. Hrsg. von Nino Borsellino. Milano:
Motta 1999, p. 127.
16
Franceschetti, Antonio: Il concetto di meraviglia nelle poetiche della prima Arcadia. In: Lettere
Italiane (1969) 21 (1). pp. 62–88, p. 63.
4
2. Contrapposizione di Basile e Marino

2.1. Comicità

La comicità è un elemento cardine della prosa di Basile: “il suo libro mira
piuttosto a costruire un mondo fantastico e variopinto, dove alla gioia di seguire
vicende stupefacenti si accompagna una loro sottile coloritura comica, una loro
sottintesa parodia.”17 Essa nasce nel momento dell’unione di due campi/piani
opposti (alto e basso, bello e brutto…), scaturisce dai collegamenti arguti,
originali, improbabili. Gli scritti del Marino non sono esenti da punte d’ironia e
momenti che provocano il riso.

Osserviamo ora, dove compaiono elementi di comicità e in che modo funzionano.


Ricordiamo che l’intertestualità crea un parallelismo parodistico, quindi è d’uopo
ricordare che l’opera di Marino rappresenta il punto di partenza per valutare in un
secondo passo come cambiano i punti di riferimento nella trasposizione che
compie Basile. Cerchiamo di capire se la citazione originale funziona in modo
simile o se il Basile ne stravolge il senso contestualizzandola nelle fiabe del
Pentamerone. C’è la possibilità che la ‘versione’ di Marino abbia un tono serio
mentre Basile preferisce staccarsi dalle intenzioni comunicative del prototipo e
proporre una versione diversa nello spirito e nel contenuto. Nella ‘Ntroduzione
troviamo una riferenza alla cultura popolare ma forse anche una citazione dotta.

Un nanerottolo con poteri magici si mette a cantare e la schiava lo vuole subito


possedere. Questo essere fiabesco è portentoso ma ridicolo, seppure descritto
come “bambolotto, saporito pupazzetto… cantó con tanti trilli, gargarismi e
gorgheggi…”. con cui apre la raccolta di fiabe ci confronta con una ripresa di “lo
Re de l’aucielle”18, ovvero “il Re degli uccelli”. Rak suggerisce con moderazione
che potrebbe essere ricollegabile all’usignolo nell’Adone di Marino. Il canto
dell’usignolo fa ‘a gara’ con il poeta che sfodera il proprio repertorio poetico per
descriverlo. Forse non bisogna pensare a un uccello vero e proprio, la descrizione
è decisamente “ben architettata”.19 Piuttosto ci troviamo di fronte a “un giocattolo

17
Ferroni, Giulio., p. 84.
18
Basile, Giambattista u. Michele Rak: Lo cunto de li cunti. [con testo napoletano e traduzione a
fronte]. 8. ed. Milano: Garzanti 2011 (=I grandi libri 757), p. 18.
19
Rónaky, Eszter: La metafora secentesca. In: Nuova Corvina (1999) Numero 5 (1999.). S. 163–
170, qui: p. 165.
5
automatico, privo di vita, ma francamente stupefacente”20 che è utile a illustrare
un idea. Ne consegue un’“artificializzazione” della natura, cioè una
strumentalizzazione a scopo poetico. Dopo aver contestualizzato l’usignolo
nell’Adone approfondiamo il “Re de l’aucielle” di stampo basiliano. La formula è
il quarto elemento all’interno di un’enumerazione. Viene preceduto da tre nomi di
cantanti storici piuttosto noti all’epoca: … Notiamo dunque come l’usignolo sia
sullo stesso piano di questi cantanti. Ma non dà l’impressione di essere iperbolico,
allorché gli altri nomi sono intercambiabili nell’ordine di nomina. Comunque la
metafora dal regno animale stona in questa enumerazione. Stona se associata a
quello che la precede, non se utilizzata sul piano paradigmatico equiparato al
pupazzo. Allora forse è giusto il suggerimento di Asor Rosa che lo interpreta
come ‘recipiente’ di talento poetico e dolcezza musicale. Posizione condivisa
anche da altri autori: Squarotti e Genghini sostengono che “Questi versi ricordano
certe tipiche descrizioni di cantanti lirici dell’epoca: i soavi sospiri, gli accenti
discreti, il gorgheggiar moderato, le portate felici, le ardite cadute, l’elevate
salite, gli interrotti cammini, lo sospingere, il morir d’una voce, onde usciva il
ristoro d’un’altra che andava alle stelle a fermar quelle sfere, l’erano appunto
meraviglie celesti”, fornendoci un elogio di fonte anonima del canto di Adriana
Basile, cantante lirica in voga agli inizi del Seicento.21 Citazione non casuale dato
che sono verificate ben due citazioni di questa musicista proprio nel Canto VII, 88
dell’Adone e ancora nelle Rime, II.22 Varie fonti suggeriscono questa lettura,
secondo la quale l’usignolo sia un richiamo diretto di Adriana Basile. Colpisce
allora che Basile abbia eventualmente omaggiato la propria sorella con una
citazione dall’opera di Marino che a sua volta ne loda il talento. Questa possibilità
regala una nuova qualità all’intertestualità. Forse Basile vuole regalare a sua
sorella un posto nella fila di nomi illustri e si avvale dell’autorità di Marino per
farlo in modo impercettibile ai meno dotti. Secondo questa lettura l’uccello
metaforico rientra perfettamente nella grammatica della frase. Difficile decifrare
un intento comico, ma sembra accertato che si tratta di una parodia. Il pupazzo
che viene nominato ha un effetto inatteso e stupisce ancora di più per attributi.

20
Asor Rosa, Alberto., p. 53.
21
Squarotti, Giorgio Barberi u. Giordano Genghini: Dal Seicento all'Etá del Romanticismo.
Bergamo: Atlas (Scuola) 2011 (=Autori e opere della letteratura italiana 2)., p. 6.
22
Della Corte, Andrea u. Guido Maggiorino Gatti: Dizionario di musica. Torino: Paravia & C. 1956,
pp. 49-50.
6
Prima di cantare si prepara proprio come un professionista poi mette in mostra il
suo talento.

Ne Lo scarafone, lo sorece e lo grillo seguiamo le vicende di Nardiello,


scansafatiche incallito che fa disperare il padre. Quando questi gli affida un
incarico, sarà l’ultima possibilità di meritarsi il rispetto del genitore. Nardiello
parte con i soldi affidatigli per il mercato. Sulla via attraverso il bosco incontra
una fata che gioca uno scarafaggio. Estasiato dalla visione di questo animale
magico il ragazzo ne chiede il prezzo. Le dà tutti i suoi soldi e torna dal padre che
lo accoglie con rabbia e sgomento, ma è disposto a dargli una seconda possibilità.
L’episodio nel bosco si ripete altre due volte e Nardiello compre dalla fata un topo
e un grillo, anch’essi speciali. In collera, il padre lo caccia. Nardiello allora viene
a sapere di un bando per sposare la principessa del luogo. Per riceverla in sposa
bisogna farla ridere. Il ragazzo supera la prova grazie al contributo dei suoi
animaletti. Il re, poco contento del candidato predestinato, gli da un’altra prova da
superare: deve consumare il matrimonio entro tre giorni. Nardiello viene drogato
con del sonnifero e incarcerato prima di venir dato in pasto ai leoni. Abbandonato
al suo destino decide di liberare gli animali delle fate, questi invece vogliono
impegnarsi ad aiutarlo per onorare la sua gentilezza verso di loro. Per toglierlo
dall’impiccio cercano di sabotare la notte di nozze del nuovo concorrente
approvato dal re. Lo fanno infilandosi nel retto del principe, provocando così
attacchi d’incontinenza. Ridicolizzato agli occhi di tutti, il re lo caccia e si redime
dell’ingiustizia compiuta verso Nardiello. Ripara al suo errore e gli cede in sposa
la figlia. Infine gli animaletti fatati lo trasformano in un bel principe. Nella prima
scena dove l’eroe della fiaba incontra la fata, lo scarafaggio suona una
“chitarriglia”, o “chitarrella” nell’originale napoletano.23 Nardiello entra nel bosco
e si ferma ad osservare l’animale che si sta cimentando in un’esecuzione musicale.
Rak sostiene che il termine “chitarriglia” sia da ricollegare a una frase formulata
da Marino in una lettera indirizzata al Conte d’Agliè. Marino si rivolge al Conte
Ludovico d'Aglié nel Febbraio del 1612 e gli descrive la sua vita in carcere
ricorrendo a metafore letterarie: Chiamando la sua prigionia un soggiorno
infernale, si schiera dalla parte di personaggi come l’Astolfo dell’Orlando
Furioso e il Dante della Commedia che nelle rispettive opere vi sono entrati. 24
23
Basile, Giambattista u. Michele Rak, 2011, pp. 538-539.
24
Marino, Giambattista: Epistolario 1: Seguito da lettere di altri scrittori del Seicento. A. c. di
Borzelli, Angelo; Nicolini, Fausto. Bari: Laterza 1911a (=Scrittori d'Italia Laterza)., p. 111.
7
Marino era stato imprigionato un anno prima e sarà rilasciato solo quattro mesi
più tardi. Probabilmente fu condannato per aver offeso il Duca Carlo Emanuele I
di Savoia con la burlesca Cuccagna.25 La citazione completa vede comparire la
chitarriglia in un contesto mitologico collegata alla discesa nell’Inferno: “Orfeo vi
scese [all’inferno] con una chitariglia alla spagnola e vi fu ben veduto e
accarezzato”.26 L’elemento comico e di stupore nasce dalle caratteristiche
dell’insetto schifoso paragonato a un poeta che incanta con la sua arte. Non è
quindi da escludere un commento meta-letterario. Tenendo a mente quanto
discusso sulla questione dell’usignolo, qui sembra che l’animale acquisisca i tratti
di un’antitesi. L’uccello racchiudeva in se la bellezza e l’eleganza, il canto doveva
essere di una dolcezza quasi proverbiale. Qui invece abbiamo lo scarafaggio, un
insetto parassita associabile alla sporcizia, il non igienico che diventa ‘re’ dei
poeti, se vogliamo accettare il nesso proposto con Orfeo. Siccome sono descritti
con attributi simili, essi si collocano sullo stesso piano. La proposta di Rak di
leggere la scena come una parodia è convincente: a parte il termine “chitarriglia”,
il contesto della scena supporta la teoria di un richiamo mitologico. Orfeo viene
spesso rappresentato in mezzo alla natura, dove suona il suo strumento e incanta
le ninfe. Quindi abbiamo la rappresentazione di un mauvais sujet, essendo lo
scarafaggio un animale che mai si accosterebbe al prototipo dell’arte e della
musica, quale impersona Orfeo.

La fiaba Le tre Fate/ Le tre Fate narra di come Cicella, che viene regolarmente
maltrattata dalla matrigna, arriva a una grotta dove si merita la benevolenza di tre
fate che le danno dei regali. Quando torna a casa, la matrigna indignata dalla
fortuna della figliastra, la manda a fare il guardiano dei porci. Un giorno, un gran
signore se ne innamora e la matrigna vede una possibilità di ingannarlo, dandogli
la propria figlia, mentre Cicella viene messa in una botte per essere bollita.
L’uomo riesce a capire la truffa e si vendica facendo in modo che la figliastra sia
castigata allo stesso modo dalla madre. Questa riconosce troppo tardi l’errore e si
dispera amaramente. La scena che presenta Cicella costretta a stare tra i maiali è
esempio dell’odio inflessibile da parte della matrigna. È un momento di

25
In merito: Marino, 1966, p. 115: «Quando io aspettava qualche ricompensa della mia servitù in
questa corte, eccomi in prigione sotto pretesto che io abbia nelle mie poesie scherzato poco
modestamente intorno alla persona del serenissimo padrone»; cfr. Russo, Emilio: Marino. Roma:
Salerno Ed 2008 (=Sestante 16), pp. 109-116.
26
Marino, 1911, pp. 111-112.
8
degradazione per la ragazza, costretta a fare il guardiano dei porci e suonare la
bùccina. Esistono due significati per questo termine. Può denominare la
conchiglia del buccino, un mollusco marino. Oppure intende uno “Strumento a
fiato, ricurvo, simile al corno da caccia, usato nelle antiche milizie romane.”27
L’enciclopedia Treccani ne riporto inoltre un suo scenografico come emblema di
divinità marine.28 L’effetto scenico nel Basile è di una ‘storpiatura’ della bellezza
della ragazza, della sua bocca (necessaria a suonare lo strumento), della sua
femminilità e bontà. Troviamo nuovamente un richiamo alla tradizione mitologica
della persona che incanta gli animali con la musica del suo strumento.
Naturalmente non attira animali nobili ed eleganti ma i maiali, “animali
immondi”.29 Il lavoro del guardiano dei porci era il lavoro più umile e meno degno
dell’uomo nella tradizione ebraica30, frequentemente tematizzato in racconti
biblici.31 La simbologia viene ‘spogliata’ del suo contesto poetico/creativo. Il testo
d’ispirazione individuato da Rak è invece l’Adone. Marino descrive nell’Adone I,
132:

Va oltre Adone e Filomena e Progne

garrir ode pertutto ovunque vanne

e di stridule pive e rauche brogne

sonar foreste e risonar cappanne

di villane sordine e di sampogne,

di boscherecci zuffoli e di canne

e, con alterno suon, da tutti i lati

doppiar muggiti e replicar balati.

27
Zingarelli, Nicola u. Miro Dogliotti: lo Zingarelli 1995 - Vocabolario della lingua italiana. 12. ed.
Bologna: Zanichelli 1995, p. 255.
28
Vocabolario on-line al sito http://www.treccani.it/vocabolario/buccina/. Ultima visualizzazione:
il 10.08.2016.
29
Orsatti, Mauro: Un padre dal cuore di madre. Meditazioni. Milano: Àncora 1998 (=Le àncore),
pp. 31-32.
30
ebd.
31
Vedi ad esempio: Parabola del figliol prodigo, Vangelo secondo Luca 15,11-32.
9
“Filomena” e “Progne” sono l’usignolo e la rondine.32 Riguardo alle “brogne”,
Colombo le identifica come conchiglie usate a mo’ di flauto per richiamare gli
animali.33

Il Cuorvo/Il Corvo narra di come Iennarello, per portare una sposa a Milluccio,
suo fratello e re di Frattombrosa, compie un lungo viaggio. In un paese incontra
Liviella, figlia di un mago e la rapisce. Per varie sfortunate conseguenze,
Iennarello, per salvare il fratello, s’incolpa di un attentato a sue spese e viene
condannato a morte. Preferendo salvarsi la faccia, ribadisce la propria innocenza
ed è trasformato in una statua di marmo. A tal punto, il re, per salvare il fratello,
sacrifica i propri figli. Il mago, padre di Liviella, irrompe e assolve tutti dai torti
compiuti, facendo tornare in vita i bambini. Si scopre sul finale che questo mago
aveva dal primo momento trovato in espediente magico per punire Iennarello che
gli aveva portato via la figlia. Così aveva lanciato una maledizione contro due
animali che Iennarello voleva regalare al fratello. Appena consegnati, avrebbero
dovuto uccidere quest’ultimo. Se Iennarello avesse deciso di interferire con la
magia mettendo in guardia il fratello o uccidendo gli animali prima di consegnarli,
avrebbe avuto in tutti i casi lo stesso esito di trovarsi trasformati in pietra. Nel
momento in cui Iennarello deve essere giustiziato, decide di raccontare al fratello
dei rischi letali che correva se lui avesse agito diversamente. Nella dichiarazione
dei fatti racconta quali avventure l’hanno portato a tale comportamento: per
discolparsi agli occhi del fratello che doveva salvare dalla morte senza che lui lo
capisse. Durante il racconto, Nardiello si rende conto che si sta trasformando in
roccia, esattamente come da preavviso, avesse mai deciso di spiegare il suo
comportamento. Pur consapevole della metamorfosi incombente, procede nel suo
racconto, finché è completamente trasformato. In questa scena abbiamo una
descrizione dettagliata del processo di pietrificazione, commentata con ironia,
anche se si può indicare una sorta di autolesionismo, visto che Nardiello conosce
la causa della trasformazione e non esita a mettere in chiaro le cose con l’amato
fratello: “…si fece palesemente di marmo fino alla cintura, indurendosi
miseramente”34. Rak ci fa notare la componente erotica, di fatti l’allusione alla

32
Marino, G. B. u. E. Russo: Adone. Milano: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli 2013, p. 210.
33
Colombo, Carmela: Cultura e tradizione nell'Adone di G. B. Marino. Padova: Antenore 1967
(=Miscellanea erudita), p. 124.
34
Basile, Giambattista u. Michele Rak. 2011, p. 829.
10
libidine maschile35 è esplicita. La comicità si realizza nell’espressione metaforica
dell’’indurirsi’, un gioco di parole dove la sessualità e il diventare di pietra
vengono comparati. Fa inoltre sorridere il commento del narratore nel riprendere i
pensieri di Nardiello nella sua situazione scomoda “cosa che in altro momento
avrebbe pagato a denari contanti”.

2.2. Detti e modi di dire

Il Pentamerone si fa spesso notare per essere una sorta di ‘catalogo’ del


linguaggio e dei motti dell’epoca, vi si trovano molte espressioni del parlato. Nel
caso di Lo Mercante/ Il Mercante la citazione di Marino non viene articolata
all’interno della fiaba stessa. Invece fa parte della didascalia che precede il
racconto, quindi compare nel paratesto della fiaba che fa da cornice al
Pentamerone. Gli ascoltatori della storia sono ancora intenti a dibattere sulla
conclusione della fiaba precedente, “La gatta Cenerentola”, si crea un vociare
presto interrotto da un segno del principe Tadeo che zittisce tutti (“tacquero, come
se avessero visto il lupo”).36 A questo proposito, nell’Adone troviamo un
equivalente in XII, 75: “ch’apre la bocca e parlar vole veduto dala lupa […] gli
muoion nela lingua le parole”. Superstizione che viene discussa anche in altri
testi, secondo la mitologia “si  le loup descouure de preme veue l’hôme, il le rêd
enroué et le priue de voix et de parolle [sic!]”37

La facce de crapa/Faccia di capra narra di un contadino deve sfamare una


famiglia molto numerosa. Un giorno una fata gli promette agiatezza e benessere in
cambio della figlia più piccola. Lui si tiene ai patti e le porta Renzolla che sarà
curata e educata al pari di una figlia. La fata farà in modo che un re se ne innamori
e la sposi, ma la ragazza non mostra alcun segno di gratitudine verso la fata che
per punirla le trasforma il viso in un muso da capra. Renzolla, vedendosi in
difficoltà e diventata vittima di varie umiliazioni, impara a riconoscere la
generosità della fata e questa la libererà dalla maledizione. Nella scena che
precede l’accordo del contadino e la fata, l’uomo è inquietato al pensiero di

35
ebd., nota relativa al testo a p. 836.
36
Ebd., p. 141.
37
Du Triez, Robert: Livre des Ruses, Finesses et Impostures des Esprits Maleris. Cambrai 1563, p.
28.
11
lasciare la figlia nelle mani della fata; infatti lei gli appare per la prima volta sotto
spoglie di un drago. Prima di giungere alla risoluzione, la decisione viene discussa
all’interno di un dialogo tra contadino e moglie. La consorte si convince che la
promessa di fortuna formulata dal drago/fata è onesta e che è probabile che la
figlia non corra nessuna forma di pericolo. Si esprime con una domanda retorica,
“Chi sa, marito mio, se questa lucertola porterà fortuna alla nostra famiglia?”. 38
L’espressione originale equivalente al “porterà foruna” tradotto da Rak è “sarrà a
doie code”39, un modo per esprimere il buon augurio. Nel commento critico Rak
ricorda una citazione del Marino, Adone XII 272: “La lucertola avrai dale due
code, perché giocando a guadagnar ti serva”. In questo canto Idonia cerca di
sedurre lo spirito di Adone proponendogli “divertimenti fanciulleschi” 40, una sorta
di ‘preliminari’ per indurlo a lasciarsi sedurre dalla maga Falsirena. La lucertola in
questione con la doppia coda dovrebbe aiutarlo nel gioco d’azzardo regalandogli
continuamente mani vincenti. È parte di un’enumerazione di “doni gradevoli e
suggestivi”41 con i quali Idonia cerca, senza successo, di combattere la resistenza
di Adone alle tentazioni erotiche dell’una e quelle ludiche dell’altra. Al di fuori
della simbologia della lucertola come portafortuna non si notano parallelismi che
rimandino davvero alla scena contenuta nell’Adone. Più che altro, l’espressione
“lucertola a due code” è molto illustrativa, dal momento che é riferita a un drago,
un sauro e quindi un pars pro toto della stessa categoria zoologica, sebbene la
catalogazione di draghi basata sulla suddivisione convenzionale di animali
secondo il loro habitat sia ben più ambigua.42

2.3. Riflessione meta-letteraria

Apprestiamoci ora a valutare la funzione meta-letteraria nel Basile. Dobbiamo


dapprima distinguerne due forme. La riflessione meta-letteraria tramite il testo, e
in secondo luogo quella che nasce automaticamente dal ricorso a una citazione
prelevata da un altro testo letterario. La vorpara/L’uncino è un testo esemplare per

38
Basile, Giambattista u. Michele Rak, 2011, p. 171.
39
ebd., p. 170.
40
Squarotti, Giorgio Barberi: Le cortesie e le audaci imprese: moda, maghe e magie nei poemi
cavallereschi. Lecce: Manni 2006, p. 173.
41
Ebd., p. 173.
42
Magnanini, Suzanne: Foils and Fakes: The Hydra in Giambattista Basile’s Dragon-Slayer Tale, “Lo
mercante”. In: Marvels & Tales 19 (2005) H. 2. pp. 167–196, qui p. 177.
12
illustrare la prima forma descritta. L’egloga recitata da Ciccio Antuono e
Narduccio chiude la Quarta Giornata.43 I due mettono in scena un dialogo tra
amici che diventa una discussione sulla ‘funzione’ dell’uncino. È una feroce satira
sull’avidità e sulla perfidia edonistica che mira al guadagno. Si capisce anche che
nello stesso tempo il soggetto è un termine metaforico equivalente al plagio di un
autore letterario. Rak valuta la “‘mmetazione” una “pratica funzionale nel
momento di una forte stabilizzazione della società letteraria” 44, come si
evincerebbe dalla lettera di Marino a C. Achillini che precede la Sampogna del
1621. Qui costui indaga sulla questione del plagio fornendo la sua visione poetica
personale. In nuce, il suo metodo è “leggere col rampino” 45 autori di tutte le
epoche. Perciò “imitare i classici non significa per lui riprodurne valori e modelli
(come in modi diversi avveniva nella tradizione classicistica), ma trarre da essi
imprevedibili e svariate situazioni e figure, e orientarle in modi del tutto nuovi e
sorprendenti”.46

Il secondo tipo meta-letterario lo troviamo ne Lo scarafone, lo sorece, lo grillo


quando l’insetto schifoso viene paragonato a un poeta che incanta con la sua arte.
Si diceva che Basile probabilmente usa la parodia a fini umoristici richiamando
l’Orfeo. Al contempo potrebbe essere lui stesso il poeta sotto spoglie poco
eleganti. Basile si pone sullo stesso piano del classico, ma mettendosi ‘in mostra’
come ‘mostro’, dimostrando che la sua arte è un punto di rottura. Segue la
tradizione ma trasformandola a tale punto da rendere quasi ‘invisibile’ la base di
partenza.

3. Basile – Un marinista?

È dunque immaginabile che Basile sia un alunno di Marino, ma un ‘discepolo’


addirittura? Ricapitolando i risultati della nostra indagine siamo giunti al punto da
chiederci, se gli elementi d’intertestualità riportati sono oggetti alla nostra teoria.
Abbiamo osservato come il Basile cita sapientemente il collega, inserendo tracce
del Marino secondo effetti diversi nella sua opera. Ognuna delle citazioni è di

43
Basile, Giambattista u. Michele Rak, 2011, pp. 854-873.
44
ebd., p. 874.
45
Marino, Giambattista., pp. 244-246.
46
Ferroni, Giulio., p. 72.
13
carattere fortemente ambiguo. Da una parte le fattezze della citazione complicano
la classificazione secondo le categorie proposte per la nostra analisi. Dall’altra
parte la funzione comunicativa verso il lettore è tutt’altro che univoca. Questo
rende difficile il compito di valutare i risultati per giungere a una conclusione. Le
difficoltà non sono da vedere come ostacoli, possono aiutare a realizzare un
insieme di tesi che danno il giusto spazio anche a idee altrimenti passate in
secondo piano e che invece arricchiscono il nostro discorso fornendo altre
prospettive possibili. Se il modus operandi di Marino esige dall’imitazione “lo
esagerar snaturando”47, Basile non è da meno se ricordiamo quanto detto su Lo
scarafone, lo sorece, lo grillo. Pertanto c’è un atteggiamento di rispetto de
prendere in considerazione, ricordando quanto afferma Getto riguardo al richiamo
a Boccaccio nel Pentamerone:

Si ripete in sostanza, nel contegno di Basile di fronte al Boccaccio,


l’atteggiamento di Marino, e soprattutto dei marinisti, di fronte a Petrarca», i
quali «non intendevano affatto mettersi su di un piano di parodia e di comicità,
ma al contrario, ritenevano di poter svolgere un’esplorazione più vasta, di
percorrere in tutti i sensi possibili le molteplici strade del reale, nessuna esclusa,
di scoprire nuovi aspetti della vita, e proporre dimensioni nuove dell’universo
poeticamente conoscibile.48

In questo lavoro non siamo giunti a un commento esaustivo sulla questione,


proponiamo un compromesso. Frare propone di identificare come scopo della
poesia del Marino la “creazione di argutezze”. 49 Non è fuori luogo applicare
questo marchio anche al Pentamerone e quindi di riconoscere i due colleghi come
figli del loro tempo, con modus operandi simili. Basile non è per forza marinista
nel senso che segue una scuola e si fa incanalare da regole, ma è mosso dallo
stesso spirito.

4. Fazit

Diese Hausarbeit hat eine Überprüfung der Behauptung angestrebt, Basiles


Rezeption von Marino sei bemerkenswert in Bezug auf seine Art, intertextuelle
47
Graf, Arturo (Hrsg.), p. 377.
48
Getto, Giovanni u. Marziano Guglielminetti: Il Barocco letterario in Italia. Milano: Mondadori
2000 (=Sintesi), p. 381.
49
Frare, Pierantonio: Antitesi, metafora e argutezza tra Marino e Tesauro, in The Sense of
Marino, ed. by Francesco GUARDIANI, Legas, New York-Ottawa-Toronto 1994, pp. 299-322, qui:
p. 320.
14
Element für seine Geschichten zu verwandeln. Dieser Anlass hat eine Bearbeitung
des Themas in drei Schritten motiviert. Im ersten Kapitel wurde auf den Punkt
gebracht, welche Bedeutung die Metapher während der Entwicklung einer
barocken Literatur einnimmt. Im zweiten Kapitel wurden die Autoren der
Untersuchung einander gegenübergestellt. Im dritten Kapitel wurden die
Ergebnisse diskutiert. Der Vergleich zwischen dem Pentameron und
verschiedenen Werken aus der Feder von Marino hat geholfen, auf den Punkt zu
bringen, dass Basile eine sehr breite Vorbereitung in literarischen Stoffen besitzt
und sich nicht hinter Marino zu verstecken braucht. Basiles Kultur erlaubt es ihm,
sehr flexibel und hintergründig mit seinem kreativen ‚Material‘ umgehen zu
können. Er greift auch ungewöhnliche, unwahrscheinliche Motive und Satzstücke
auf und stellt deren Bedeutung auf den Kopf, indem er sie in einen neuen Kontext
verfrachtet. Dieses ‚Spiel‘ ist ganz im Geiste der neuen Impulse, die Marino der
Literatur in Italien zu Lebzeiten geben konnte. Die Erwartungshaltung konnte
nicht bestätigt werden, dass sich eindeutig nachweisen ließe, dass Basile im Lichte
dieser literarischen Produktion, die Gegenstand der Untersuchung war, Marinos
neuer Schule folge und überzeugter Anhänger seiner Innovation sei. Das ist dem
Format des Pentameron geschuldet und dem kurzen Umfang, den diese
Seminararbeit zulässt. Dennoch kann nicht von der Hand gewiesen werden, dass
Basile Marino sehr aufmerksam und differenziert gelesen hat, intelligenten Humor
manchmal verborgen, manchmal sehr deutlich zu Papier bringen konnte und die
Quellen des Marino sehr genau unter die Lupe genommen hat. Daraus lässt sich
noch nicht ableiten, dass Basile so wie Marino schreiben wollte, vielleicht hat er
es versucht, wie eine Quelle uns suggeriert, und ob des Grundes, dass er bei
seinen Zeitgenossen gescheitert ist, hat er sich anderen Feldern der Literatur
gewidmet und so seinen eigenen Meilenstein geschaffen.

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