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UNITÀ

La pace tra gli Stati


e la prospettiva
del cosmopolitismo
a pace è un bene prezioso, ma raro. In ogni epoca, ieri come oggi,
L si sono levate voci in sua difesa, che sono state perlopiù considerate
utopie, frutto delle illusioni di uomini ingenui o particolarmente ottimisti.
Non sempre, però, le dottrine in favore della pace derivano da posizioni
astratte e velleitarie. Lo dimostra il fatto che nel Settecento filosofi, stori-
ci e uomini politici di primo piano hanno dato vita a concreti progetti di
pace, da realizzarsi mediante l’istituzione di organismi sovranazionali
dotati di poteri tali da dirimere i conflitti o prevenirne le cause. Tali organi-
smi sono stati effettivamene creati nei secoli seguenti – si pensi, ad esem-
pio, alla Società delle Nazioni e successivamente all’Organizzazione delle
Nazioni Unite –, anche se non hanno raggiunto gli esiti sperati: le guerre,
infatti, continuano a minacciare l’orizzonte della nostra vita, nono-
stante i tentativi di scongiurarle attraverso gli strumenti diplomatici.
La pace costituisce ancora oggi un obiettivo da perseguire con tenacia,
per evitare che la violenza abbia il sopravvento. Ecco dunque le domande
principali che ci porremo in questa unità:
• è utile e realistico perseguire la pace?
• con quali mezzi è possibile farlo?
• quale rapporto c’è tra democrazia e pacifismo, trasparenza politico-
amministrativa e rifiuto della guerra?
• perché la difesa della pace tra le nazioni costituisce un importante
argomento di natura filosofica?

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LE LINEE GENERALI I TEMI E GLI ARGOMENTI I PERCORSI TESTUALI

SOMMARIO
• La pace, un bene utile 1. Saint-Pierre e la pace A. Saint-Pierre: un progetto
• La violazione dei diritti nell’Europa cristiana per l’unione dei paesi
dei popoli nella guerra 2. Kant e il concetto europei
• La pace come dovere di pace perpetua B. Kant: l’obiettivo
morale 3. Bentham e la trasparenza della pace perpetua
politica come condizione C. Bentham: l’idea
di pace della pace universale

Cercheremo di argomentare in chiave filosofica, ossia critica e pro-


blematica, il valore della pace tra gli Stati, ricostruendo le più impor-
tanti proposte formulate nei secoli XVIII e XIX da filosofi e studiosi
quali Saint-Pierre, Kant, Bentham e altri. Si tratta di uomini diversi per
formazione e contesto storico, ma accomunati dal medesimo progetto:
promuovere una pace duratura in Europa o, addirittura, a livello planetario,
auspicando l’elaborazione di norme internazionali e universali che, prescin-
dendo dalle particolarità degli Stati e delle comunità di appartenenza, pos-
sano dare vita a una vera e propria forma di cosmopolitismo. Quest’ultimo
rappresenta un ideale che nell’epoca moderna acquista una consistenza
giuridica e un valore politico concreto.

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LE LLINEE
E LINEE
GENERALI
GENERALI
LA PACE, UN BENE UTILE
Nella nostra trattazione presenteremo ipotesi e testi poco frequentati dalla storiografia
filosofica, e tuttavia di grande interesse per il tema che stiamo affrontando. Infatti, alcuni
degli organismi internazionali creati nel XX secolo per regolare i conflitti tra gli Stati e cer-
care di assicurare la pace, come la Società delle Nazioni, l’Organizzazione delle Nazioni
Unite, la Corte Internazionale di Giustizia ecc. (v. “Per saperne di più”, p. 4), sono stati
preconizzati per la prima volta proprio dai pensatori che stiamo per analizzare, ingiusta-
mente considerati “visionari” dai loro contemporanei, ma le cui intuizioni si sono rivelate
poi innovative e lungimiranti. Una delle loro considerazioni, in particolare, è condivisibile
ancora oggi: la pace è un bene utile, mentre la guerra è un male per i popoli, uno
strumento che molto spesso i governi sfruttano per conservare il potere e tenere
sottomessi i cittadini.
L’utilità della pace per favorire i viaggi e i commerci è uno dei benefici che l’esplo-
ratore britannico William Penn (1644-1718) riconosce esplicitamente nel suo Discorso
intorno alla pace presente e futura dell’Europa: «Il quinto beneficio di questa pace
è l’agio e la sicurezza dei viaggi e dei traffici, una felicità non più conosciuta da quando
l’Impero romano si è disgregato, dando luogo alla nascita di un così gran numero di Stati.
È tuttavia facile immaginare la comodità di poter viaggiare tranquillamente attraverso
l’Europa, muniti di un salvacondotto di una qualunque delle nazioni europee, salvacondotto
che sarà naturalmente autenticato da questa Lega [il Parlamento di Stati europei che
Penn prefigura nella sua opera]» (in AA. VV., Filosofi per la pace, a cura di D. Archibugi -
F. Voltaggio, Editori Riuniti, Roma 1999, p. 29).
Una considerazione analoga a quella di Penn si ritrova anche in Kant, a cui dobbiamo
senz’altro la più completa trattazione del nostro tema: «È lo spirito commerciale che non
può coesistere con la guerra e che prima o dopo si impadronisce di ogni popolo» (I. Kant,
Per la pace perpetua, a cura di N. Merker, Editori Riuniti, Roma 2000). Di questo «spirito»
si serve la natura per ottenere il proprio scopo. Come vedremo, infatti, la «natura» – che
Kant intende come la «provvidenza», l’ordine causale degli eventi che appaiono orientati
a un fine – è la grande garante della pace perpetua, a cui indirizza gli uomini «con l’attrat-
tiva del reciproco interesse». Da un lato, essa separa i popoli, spingendoli «con la guerra»
che è connaturata all’umanità a stanziarsi anche nelle regioni più remote e a sviluppare
civiltà diverse per lingua e religione; e ciò affinché non risultino indifferenziati e sottomessi
a un solo potere dispotico mondiale. Dall’altro – facendo leva sulle esigenze primarie e sul
reciproco tornaconto, «lo spirito commerciale» – li unisce, alimentando l’idea di un
diritto cosmopolitico, ossia di una loro associazione volontaria in un organismo mondiale
che stabilisca regole per evitare la guerra e favorire la pace. È la natura stessa, pertanto,
che puntando sul movente economico porta gli uomini a formare non leghe con scopi
bellici, ma accordi per vivere in armonia.
La pace universale e durevole, dunque, non è una prospettiva utopica né inutile. Tale è
anche il parere del padre dell’utilitarismo europeo, il filosofo Jeremy Bentham, il quale
osserva che la guerra, pur rappresentando la forma più frequente di relazione tra gli
Stati, va contro l’interesse dei popoli. Secondo Bentham, essendo l’uomo portato per
inclinazione naturale a ricercare il piacere ed evitare la sofferenza, mira al raggiungimento
di quei benefici che non gli procurino mali o rischi maggiori di quelli che vive nel presente.
Tenendo conto che gli altri seguono lo stesso impulso, tutta la morale si definisce in base al
calcolo dei benefici e dei rischi dell’azione. Questa aritmetica morale deve essere

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trasferita dall’ambito individuale a quello statale: i governi sono infatti autorizzati a cer-
care di ottenere la maggiore potenza possibile in funzione della “legge costi-benefici”, a patto
di non danneggiare gli altri Stati prevaricando le loro legittime aspettative. L’elemento impor-
tante del ragionamento di Bentham, su cui ci soffermeremo più avanti, è costituito dalla con-
siderazione che, quando si viola il diritto internazionale, vengono penalizzati non
tanto gli Stati quanto i singoli cittadini: questi, infatti, come persone fisiche ed enti
morali, in caso di conflitto risultano danneggiati nei propri interessi sia materiali sia spirituali.

LA PACE COME DOVERE MORALE


La pace non è solo un bene da preservare per l’utilità degli affari e dei commerci, ma
anche un dovere morale degli uomini in quanto esseri ragionevoli. Kant, in particolare,
ha sostenuto questa tesi con argomentazioni stringenti, teorizzando l’appartenenza dell’uomo
a un «regno dei fini», in cui ogni individuo è soggetto di diritti inalienabili e non può
mai essere trattato solo come mezzo degli scopi altrui. È per questo che «la ragione, dal suo
trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come
procedimento giuridico ed eleva invece a dovere immediato lo stato di pace» (I. Kant, Per la
pace perpetua, cit., p. 19). Quando uno Stato indipendente viene sottomesso con qualsiasi
mezzo a un altro, ciò che viene minato non è solo l’autorità di quel governo, ma anche la
«società di uomini» che esso rappresenta: «Uno Stato infatti non è (come il territorio su cui ha
la sua sede) un bene (patrimonium): è una società di uomini, sulla quale nessun altro se
non lei stessa può comandare e disporre.

P
er saperne di più
Le principali organizzazioni nismo internazionale: l’Organizzazione delle Nazioni
Unite (ONU).
intergovernative Quest’ultima, istituita appunto il 24 ottobre del 1945,
dopo la catastrofe della guerra, ha come obiettivi la pro-
G li autori che analizziamo in questa unità hanno in
qualche modo anticipato nei loro progetti la nascita
degli organismi internazionali che sono stati creati nel XX
mozione dello sviluppo economico e del progresso sociocul-
turale, la tutela dei diritti umani e della sicurezza interna-
secolo al fine di dirimere le controversie tra gli Stati e cer- zionale, con particolare riguardo al mantenimento della
care di assicurare la pace. Di seguito forniamo sintetiche pace, anche grazie a misure di prevenzione e repressione.
informazioni su alcuni di essi, i quali hanno avuto un ruolo Essa è, attualmente, la più importante ed estesa organiz-
centrale nella vita politica mondiale a partire dai primi anni zazione intergovernativa esistente, essendo composta dai
del Novecento. rappresentanti di 192 Stati (su un totale mondiale di 201).
La Società delle Nazioni (SDN), anche conosciuta La sede centrale delle Nazioni Unite si trova a New York e
come “Lega delle Nazioni”, è stata la prima organizzazione il suo attuale segretario generale è il coreano Ban Ki-Moon,
intergovernativa creata con l’obiettivo di accrescere il che ha sostituito nel 2007 il politico e diplomatico ghanese
benessere e migliorare la qualità di vita degli uomini. Il suo Kofi Annan – premio Nobel per la pace nel 2001 –.
principale impegno era quello di prevenire le guerre, sia Il principale organo giudiziario dell’ONU è rappresentato
attraverso la gestione diplomatica dei conflitti sia attra- dalla Corte Internazionale di Giustizia, conosciuta anche
verso il controllo della produzione e della vendita di arma- come “Corte Mondiale”, la quale ha la funzione di dirimere le
menti. La Società delle Nazioni fu fondata alla fine della dispute tra Stati membri delle Nazioni Unite che hanno
Prima guerra mondiale, nell’ambito della Conferenza di accettato la sua giurisdizione; essa ha anche il compito di
pace di Parigi del 1919-1920, e fu soppressa il 19 aprile offrire pareri consultivi su questioni legali avanzate dall’As-
1946 in seguito al fallimento rappresentato dalla Seconda semblea Generale delle Nazioni Unite o dal Consiglio di Sicu-
guerra mondiale e alla nascita, nel 1945, di un altro orga- rezza. La sede della Corte è nel Palazzo della Pace a L’Aia.

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Incorporare ora lo Stato, che come tronco ha le sue proprie radici, in un altro Stato a mo’
di innesto, significa sopprimere l’esistenza come persona morale, fare di questa una cosa: e
ciò contraddice all’idea del patto originario senza il quale non può concepirsi diritto sopra un
popolo» (ivi, p. 6).
La guerra è la triste condizione “normale” dello stato di natura, dove non esiste
un tribunale che possa giudicare secondo il diritto. Tuttavia, nel momento in cui lo Stato
viene istituito come garante delle prerogative e dei doveri dei cittadini, essa non ha più
senso, perché la regolamentazione dei conflitti deve essere subordinata al diritto e
alla giustizia. Una guerra tra due Stati, poi, è assurda, in quanto per definizione tra le nazioni
non può sussistere un rapporto di sottomissione, dal momento che sono fondate sui medesimi
principi razionali: la guerra non può che portare alla distruzione reciproca, dando luogo «alla
pace perpetua unicamente sul grande cimitero del genere umano» (ivi, p. 10).

Nella carta sono evidenziate le città in cui vissero e operarono i filosofi trattati nell’unità:
Saint-Pierre-Église, dove nacque l’abate di Saint-Pierre, e Utrecht, sede dell’importante

LO SPAZIO DEI FILOSOFI


congresso di pace del 1712, dove venne pubblicata la sua opera principale; Königsberg,
dove nacque e morì Kant; Londra, dove visse Bentham.

M ARE DE L
NO RD

Kant

Königsberg
Bentham
Utrecht
Londra

Saint-Pierre-Église

Saint-Pierre

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IITEMI
TEMIE GLI ARGOMENTI
E GLI ARGOMENTI
n questa unità mostreremo come non sia utopistico perseguire la pace tra gli
I Stati, in particolare attraverso la costituzione di organismi sovranazionali investi-
ti del potere di rappresentanza politica. Esamineremo prevalentemente gli scritti di
quegli autori – come Saint-Pierre, Kant e Bentham – che tra Settecento e
Ottocento hanno studiato il problema e proposto organici progetti politici in tal
senso. La nostra trattazione, pertanto, sarà organizzata nelle seguenti sezioni:

1. SAINT-PIERRE E LA PACE NELL’EUROPA CRISTIANA


2. KANT E IL CONCETTO DI PACE PERPETUA
3. BENTHAM E LA TRASPARENZA POLITICA COME CONDIZIONE DI PACE

1. SAINT-PIERRE E LA PACE NELL’EUROPA CRISTIANA


Il progetto di unione dei paesi europei
L’abate di Saint-Pierre – scrittore, filosofo e diplomatico francese, membro dell’Acca- La tradizione
demia di Francia – dedicò tutta la sua vita al problema della pace tra i popoli cristiani. Il cristiana come
denominatore
suo Progetto per rendere la pace perpetua in Europa (1713) contiene idee e sugge-
comune degli
rimenti di carattere concreto e realistico, rifuggendo da ogni inclinazione utopistica. Stati europei
Esso si connota innanzitutto per il forte accento europeista che presenta: l’autore
teorizza un’unione dei paesi europei, accomunati dall’appartenenza alla medesima
tradizione cristiana, che, grazie alla pace e alla reciproca tolleranza, potranno pro-
sperare ed essere in grado di contrastare le aggressioni da parte degli Stati musulmani.
Fin dalle prime parole del libro tale obiettivo è esposto con chiarezza: «Mio proposito è
quello di suggerire i mezzi che consentano di rendere perpetua la pace tra tutti gli Stati
cristiani» (Saint-Pierre, Progetto per rendere la pace perpetua in Europa, in AA. VV.,
Filosofi per la pace, cit., p. 47). T1
Saint-Pierre può quindi essere considerato il primo che ha elaborato una proposta di
unificazione europea, precorrendo di almeno due secoli l’inizio dei tentativi di concretiz-
zazioni di tale ideale.
Il motivo per cui Saint-Pierre mostra di avere particolarmente a cuore il tema della pace La proposta
è da ricercarsi nei conflitti religiosi tra protestanti e cattolici che avevano insanguinato di un’Assemblea
internazionale
l’Europa durante il XVII secolo, generando un assetto politico-istituzionale precario
permanente
e sempre esposto al pericolo bellico. Il pensatore ritiene che, in tali circostanze, «i
prìncipi cristiani dovranno aspettarsi una guerra pressoché perpetua, destinata a essere
interrotta di tanto in tanto da trattati di pace, trattati che sono piuttosto puri e semplici
armistizi con i quali non si potrà fare altro che prendere atto della quasi completa parità
delle forze, e della stanchezza e dello stremo dei combattenti giacché, altrimenti, una tal
guerra potrebbe esser conclusa solo con la totale rovina del vinto» (ivi, p. 49).
È sulla base di tale analisi che Saint-Pierre reputa indispensabile trovare un rimedio,
che a suo avviso risiede nella proposta di un’Assemblea o Congresso internazionale
permanente. Questa istituzione dovrebbe essere composta dai rappresentanti di tutti
gli Stati europei – in numero identico a prescindere dall’estensione dello Stato cui

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appartengono – e fondata sul «trattato d’unione» tra i sovrani, la cui azione dovrebbe
essere finalizzata al mantenimento dello status quo, con particolare riguardo alla salva-
guardia dei confini territoriali e all’inibizione di ogni pretesa espansionistica:

Scoprii così che se i diciotto principali regimi sovrani d’Europa, al fine di mantenersi nello
stato presente di governo, di evitare fra loro la guerra, di procurarsi tutti i vantaggi di un com-
mercio perpetuo tra nazioni, fossero disposti a dar vita a un trattato d’unione e a un congresso
permanente a un dipresso del medesimo modello presentato o dai sette Stati sovrani d’Olanda,
o dai tredici Stati sovrani della Svizzera, o, infine, dagli Stati tedeschi, così formando l’Unione eu-
ropea sulla scorta di quanto vi è di buono nelle unioni anzidette – e, in specie, in quella tedesca –,
scoprii, ripeto, che ove fosse realizzata l’Unione, i più deboli godrebbero di sicurezza sufficiente,
giacché a loro non potrebbe nuocere la maggiore potenza dei più forti; ciascuno osserverebbe
scrupolosamente i mutui impegni; il commercio non verrebbe mai interrotto; il destino dei diversi
paesi, per via dell’arbitrato [la risoluzione pacifica delle controversie tra Stati], non vedrebbe più
guerre, fatto quest’ultimo che certo non potrebbe darsi se gli arbitrati mancassero.
Saint-Pierre, Progetto per rendere la pace perpetua in Europa, in op. cit., p. 50

Chi, tra i sovrani europei, dovesse rifiutarsi di aderire a tale trattato di unione dovrebbe Il caso della Russia
essere considerato nemico comune e messo al bando. Anche la Russia, che professa la reli- e dei paesi
gione cristiana ortodossa, dovrebbe essere invitata a entrare nell’Unione europea, per la musulmani
tranquillità e la sicurezza generale. Per quanto riguarda i musulmani più vicini all’Europa
– turchi, tunisini, algerini, marocchini... –, si potrebbe stipulare con essi un analogo accordo,
con tutte le garanzie previste per gli Stati dell’Unione, al fine di garantire la pace e la pro-
sperità dei commerci.

I principi dell’Unione
L’Unione sottoscritta dai sovrani cristiani europei dovrà, secondo Saint-Pierre, conside- La garanzia
rarsi permanente e perpetua. Il principale effetto dell’accordo sarà quello di mantenere dei diritti territoriali
ogni cosa nella condizione in cui si trovava al momento del trattato. degli Stati

LESSICO
trattato d’unione È il trattato, auspicato da Saint-Pierre, in base al quale tutti gli Stati europei dovrebbero accor-
darsi per mantenere lo status quo, con particolare riguardo alla salvaguardia dei confini territoriali e all’inibizione di ogni
pretesa espansionistica. Esso rappresenta il fondamento dell’Assemblea o Congresso internazionale permanente.

Saint-Pierre negoziare le condizioni di pace


dopo la Guerra di successione
I DATI

harles-Irénée Castel, abate di Saint-Pierre, spagnola, e certamente tali diffi-


C nacque in Normandia nel 1658 nel castello di
Saint-Pierre-Église e fu educato dai gesuiti. Dopo
cili trattative diplomatiche non
fecero che rafforzare le sue idee
aver studiato filosofia, teologia e scienze naturali a in merito alla necessità di creare
Caen, si trasferì a Parigi, dove nel 1695 fu eletto un organo sovranazionale a sal-
membro dell’Accademia di Francia grazie all’interces- vaguardia della concordia tra le
sione di Bernard Le Bovier de Fontenelle. Partecipò nazioni. A Utrecht venne pubbli-
come segretario del cardinale di Polignac, plenipoten- cato il suo Progetto per rendere la pace perpetua in
ziario di Francia, al congresso di Utrecht in Olanda, Europa (1713), ristampato più volte e tradotto subito in
dove le potenze europee si erano riunite nel 1712 per inglese. Morì a Parigi nel 1743.

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Per conservare la pace si cercherà di rimuovere sul nascere i pretesti di guerra, primo fra
tutti la pretesa di uno Stato di ingrandirsi a danno di un altro; i territori dei rispettivi paesi
devono infatti essere considerati stabili e fissi: «Nessun sovrano assumerà il titolo di
signore di altro paese che non sia quello di cui sia al presente in possesso o il cui possesso
non gli sia permesso dal trattato ivi allegato» (ivi, p. 67). Il fine dell’Unione è proprio quello
di garantire a ciascun sovrano le prerogative di cui si trova investito al momento in cui
sottoscrive il trattato e, di conseguenza, di salvaguardare i medesimi rapporti con gli altri
sovrani, sotto il profilo territoriale. Da questo punto di vista, osserva l’autore, gli Stati
repubblicani sono migliori di quelli monarchici, poiché non possono ingrandire il loro
territorio né per via di successione né con patti di famiglia. T2
Saint-Pierre aveva pensato di estendere il suo piano a tutti gli Stati della Terra, ma gli era La pace
stato fatto notare che, quand’anche nel futuro la maggior parte dei sovrani d’Asia e d’Africa come «tesoro
inesauribile»
avesse chiesto di essere ammessa nell’Unione, questa prospettiva sarebbe risultata remota
che necessita
e piena di difficoltà, tanto da qualificare l’intero progetto come velleitario. È proprio per di un accordo
non far apparire utopistica la sua idea che Saint-Pierre si “limita” a teorizzare l’Unione tra le parti
europea; dalla sua realizzazione, secondo lui, l’Europa avrebbe comunque acquistato tanto
credito da rassicurare anche i sovrani extraeuropei, in quanto si sarebbe reso evidente che
le finalità dell’operazione erano circoscritte alla sicurezza del commercio, penalizzato dalle
ostilità e dalle guerre, e non legate a mire espansionistiche.
In conclusione, per l’abate di Saint-Pierre la pace è «un tesoro inesauribile al quale tutti
i sovrani possono attingere senza fine a piene mani, ma al quale comunque non attingeranno
mai senza il consenso l’uno dell’altro, vale a dire senza prima aver formato fra loro una
società durevole» (ivi, p. 73). Nessuna associazione potrà essere però stabile e dura-
tura senza la certezza che ciascun socio rispetti i territori dell’altro e che non
firmi accordi separati. L’Unione sarà garante dell’esecuzione di tutti i trattati futuri e arbitra
di tutte le divergenze che potranno nascere.

P
er saperne di più
La riorganizzazione della società governate ciascuna da un Parlamento, riconoscessero la
supremazia di un Parlamento generale, posto al di sopra di
europea secondo Saint-Simon tutti i governi nazionali e investito dell’autorità di giudicare

U n secolo dopo la pubblicazione del progetto del-


l’abate di Saint-Pierre, Claude-Henri de Saint-Simon
(1760-1825), pensatore francese sostenitore del sociali-
i loro contrasti. […] Gli Inglesi e i Francesi si associno e isti-
tuiscano fra loro un Parlamento comune; lo scopo princi-
pale di questa società sia quello di ingrandirsi attirando a
smo utopistico, e fiducioso nella forza propulsiva della sé gli altri popoli; di conseguenza il governo anglo-francese
scienza e della tecnica, dichiarò nello scritto sulla Riorga- favorisca in ogni nazione i fautori della costituzione rap-
nizzazione della società europea (1814) che non era una presentativa, li sostenga con tutta la sua forza, affinché si
chimera l’idea di unire tutti i popoli europei mediante l’isti- istituiscano dei parlamenti presso tutti i popoli sottomessi
tuzione di un parlamento comune che adottasse la Costi- a monarchie assolute; ogni nazione, non appena avrà
tuzione inglese, considerata la più efficace e avanzata adottato la forma di governo rappresentativa, possa unirsi
d’Europa. L’Inghilterra, insieme alla Francia, doveva essere alla società e delegare al Parlamento comune dei membri
a suo giudizio il modello politico di riferimento per quei scelti tra i propri cittadini; in questo modo l’organizzazione
paesi che non avevano ancora una Costituzione. Ecco le dell’Europa si compirà insensibilmente, senza guerre, senza
sue parole: «L’Europa avrebbe la migliore organizzazione catastrofi, senza rivoluzioni politiche» (Saint-Simon, in
possibile, se tutte le nazioni che essa comprende, essendo Opere, UTET, Torino 1975, p. 174).

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Mappa Visiva
Saint-Pierre e la pace nell’Europa cristiana

Saint-Pierre

auspica un’unione
degli Stati europei
cristiani

allo scopo di mediante

la creazione
porre fine garantire
favorire di un’Assemblea
ai continui pace durevole
i commerci internazionale
conflitti e tolleranza
permanente

composta dai
fondata su
rappresentanti
un trattato
di tutti gli Stati
d’unione
europei

che stabilisce di

rispettare
garantire
i confini
assicurare il la pace
territoriali
mantenimento e arbitrare
e inibire
dello status quo ogni possibile
ogni pretesa
divergenza
espansionistica

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2. KANT E IL CONCETTO DI PACE PERPETUA
La fondazione etica della politica
Il progetto filosofico più importante relativo all’argomento che stiamo analizzando si deve Il primato
a Kant, che nel 1795 scrisse un breve saggio intitolato Per la pace perpetua. Si tratta del della morale
maggior contributo filosofico al tema della pace, non più considerata secondo l’ottica dei soli sulla politica
Stati europei, ma in una dimensione universale (cosmopolitica), cioè estesa «fino ad
abbracciare tutti i popoli della terra». La «pace perpetua» è una condizione di pace stabile
e continua – l’espressione trae spunto dall’insegna di una locanda olandese che, in chiave
ironica, recava tale scritta sotto l’immagine di un cimitero di guerra –, e la sua necessità
è ricondotta da Kant all’idea del primato della morale sulla politica. Lo Stato, infatti, non
può contravvenire ai principi etici fondamentali, calpestando la dignità della persona
umana attraverso la guerra, anche qualora quest’ultima rappresentasse uno strumento per
far valere un proprio diritto, ad esempio territoriale: lo Stato deve mirare alla pace che è
garanzia della libertà e costituisce, pertanto, l’essenza stessa della politica.
In questa prospettiva i cittadini sono considerati soprattutto delle “persone”, in Il diritto
quanto esseri razionali e morali che appartengono alla comunità universale ideale del cosmopolitico
«regno dei fini»; come tali non possono in nessun caso divenire mezzi o strumenti nelle come garanzia
del rispetto
mani di un altro («lo stato») – cosa che si verifica ad esempio quando vengono assoldati dell’«umanità»
«per uccidere o essere uccisi» –, ma devono essere sempre rispettati nella loro umanità. dei cittadini
Ciò significa che gli abitanti di tutti i paesi, essendo ugualmente “uomini”, devono essere
soggetti di un unico diritto cosmopolitico, cioè di un ordinamento giuridico sovrana-
zionale che garantisca tale rispetto.
Tutto questo non esclude la salvaguardia della pluralità e dell’autonomia dei po- L’idea di
poli. Kant è molto chiaro al proposito: la fusione di tutte le nazioni in uno Stato uni- una «federazione
di stati liberi»
co, che abolisca le differenze tra le genti, sarebbe un’iniziativa dispotica. Il filosofo,
invece, auspica «una federazione di stati liberi», una «lega di popoli», che tuteli il
diritto nazionale di ciascuno e che abbia come scopo la soppressione definitiva
di tutti i conflitti.
Vediamo più nel dettaglio le argomentazioni che Kant, con precisione e metodo, elabora
a supporto delle sue tesi.

La «natura» come fonte di differenza e di unione


Come abbiamo accennato, le differenze tra i popoli affondano le radici nella conflittualità La radice
che la «natura» ha posto nell’uomo e che lo spinge alla guerra. È questa aggressività che ha della conflittualità
costretto i popoli, in fuga, a distribuirsi su tutta la Terra, anche negli angoli più remoti, tra i popoli
dove hanno elaborato lingue e religioni diverse. Ora, sebbene tale condizione di separazione
LESSICO

pace perpetua Rappresenta l’oggetto e l’obiettivo del breve trattato kantiano, che esprime l’ideale di una pace
duratura e continua. L’espressione trae spunto dall’insegna di una locanda olandese che, sotto l’immagine di un cimitero di
guerra, recava in chiave ironica l’iscrizione «Per la pace perpetua». Il fondamento filosofico della pace perpetua è posto da
Kant nel fatto che gli uomini sono enti dotati di ragione, appartenenti a un medesimo «regno dei fini», in virtù del quale
nessuno può essere visto come mezzo o strumento di un altro («lo stato»), ma sempre e soltanto come fine in se stesso.

diritto cosmopolitico È il diritto universale che si dovrebbe istituire fra tutti gli Stati, accomunati dal fatto di
essere «società di uomini», enti ragionevoli dotati delle stesse prerogative e doveri. Il suo fine essenziale consiste nel
mantenimento della pace perenne.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 10
e di differenziazione possa fomentare le rivalità, è comunque preferibile a una monarchia
universale, che inevitabilmente avrebbe la forma del dispotismo. La diversità culturale
dei vari paesi è invece da considerare un valore in quanto segno di pluralismo e quindi
fonte di libertà.
La natura, però, oltre che origine della separazione, è anche presupposto e «garanzia» La garanzia
dell’unione e della pace tra le nazioni, «con l’attrattiva del reciproco interesse». Ecco che della pace
cosa scrive il filosofo a questo proposito nel Primo supplemento del saggio:

Ciò che offre questa garanzia non è che la grande artefice natura […] dal cui corso
meccanico deriva chiaramente lo scopo di far sorgere dalle discordie degli uomini, anche
contro il loro volere, la concordia. […] Così come la natura separa sapientemente i popoli
che la volontà di ogni stato, e proprio secondo i principi fondamentali del diritto internazio-
nale, tenderebbe a unificare sotto di sé con l’astuzia e con la forza, così essa d’altro lato uni-
sce i popoli, che il concetto di diritto cosmopolitico non assicurerebbe contro la violenza e
la guerra, con l’attrattiva del reciproco interesse. […] E poiché tra tutte le forze (mezzi)
che costituiscono il potere dello stato, la forza del denaro potrebbe essere la più scura, così
gli stati si vedono costretti (certamente non per impulsi morali) a promuovere la nobile
pace […]. In questo modo la natura garantisce con il meccanismo stesso delle inclinazioni
umane la pace perpetua.
I. Kant, Per la pace perpetua, cit.

Lo spirito commerciale, spiega Kant, cioè la tendenza naturale allo scambio e


alla collaborazione, non può coesistere con la guerra e, prima o poi, «si impadronisce di
ogni popolo». È dunque la natura stessa dell’uomo a indicare la pace come bene utile
e necessario, oltre che fondamentale dovere morale.
Nonostante la tendenza naturale alla pace, tuttavia, si pone il compito di delineare in La ricerca
concreto le forme giuridiche internazionali che, mediando i contrasti derivanti dagli inte- di norme
internazionali
ressi particolari, siano in grado di superare l’antagonismo tra gli Stati. L’obiettivo del-
in grado
la pace perpetua non può rimanere un mero ideale utopistico, ma, incarnandosi in leggi di assicurare
e norme costituzionali, deve diventare un progetto concreto e prioritario verso cui la pace
orientare le politiche di tutti i paesi. La guerra, infatti, benché sia stata giudicata dai
popoli antichi come qualcosa di nobile e onorevole, non ha in sé alcuna dignità ed è solo
causa di male.

Gli articoli dell’opera


Per dare concretezza al suo progetto, Kant suddivide Per la pace perpetua in «articoli
preliminari» e «articoli definitivi per la pace perpetua tra gli stati».
Tra gli articoli preliminari, che sono espressi in forma negativa avendo la funzione La pace
di indicare proibizioni, sono degni di particolare rilievo quelli che mettono in luce come non può
la pace non si identifichi con un mero armistizio né con la sospensione delle ostilità, ma che essere
definitiva
con la loro definitiva soppressione. L’aggettivo «perpetua», dunque, è un corollario essen-
ziale della pace. Infatti, come si legge nel primo articolo, «nessun trattato di pace deve
essere ritenuto tale se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura»,
cioè se è stipulato con l’intima consapevolezza, non dichiarata, che permangono motivi di
conflittualità, i quali potrebbero essere sollevati in occasioni future. Importante è anche
l’osservazione kantiana secondo cui uno Stato non è, come il territorio in cui ha sede,
un bene patrimoniale, bensì una società di uomini, per cui far guerra contro esso o
conquistarlo equivale a «sopprimere l’esistenza come persona morale, fare di questa una
cosa» (I. Kant, Per la pace perpetua, cit., p. 6). Da ciò consegue che gli eserciti per-
manenti devono con il tempo scomparire: «Assoldare uomini per uccidere o farli
uccidere appare un far uso di uomini come di semplici macchine e strumenti nelle mani
di un altro (dello Stato), il che non può affatto conciliarsi con il diritto dell’umanità insito
nella nostra persona» (ivi, p. 7). Altra cosa è l’addestramento periodico e volontario

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 11
alle armi da parte dei cittadini con il fine di proteggere se stessi e la patria dalle aggres-
sioni esterne.
Un importante articolo della prima sezione dell’opera sostiene poi che non si devono Gli Stati devono
contrarre debiti pubblici in vista di controversie tra gli Stati: cercare nuovi fondi evitare iniziative
economiche
nell’interesse dell’economia nazionale – ad esempio per costruire nuove strade, esercizi
pericolose o azioni
commerciali e insediamenti urbani – è lecito e normale, ma un sistema di credito in fun- ostili irrimediabili
zione dell’egemonia di uno Stato su un altro o l’indefinito accumulo di debiti costitui-
scono iniziative economiche pericolose, che devono essere scoraggiate. Risulta interessante
anche l’articolo in cui Kant sostiene che nessuno Stato in guerra con un altro deve
permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile il ristabilimento della fidu-
cia reciproca, quando sia cessata la guerra. Ad esempio, comportamenti come assoldare
sicari, istigare al tradimento gli uomini della parte avversa ecc., cancellano ogni rispetto
del nemico, facendolo rimanere irrimediabilmente tale. T3
Nella seconda sezione del suo trattato, che contiene gli articoli definitivi per la La necessità
pace perpetua tra gli Stati (espressi in forma affermativa, ossia nella forma di indicazioni di “istituire”
la condizione
prescrittive), Kant sottolinea come la condizione di pace non sia innata e spontanea,
di pace
ma debba essere istituita dalle nazioni con un atto decisionale. Infatti, nello «stato di
natura» gli uomini sono in guerra totale gli uni verso gli altri e vivono sotto la minaccia
costante delle ostilità e della violenza; in tale situazione non ci sono né leggi civili né tribu-
nali che amministrino la giustizia e dirimano le controversie. È solo uscendo dallo stato di
natura che ogni Stato stabilisce le proprie leggi e gli uomini diventano cittadini, con diritti e
doveri da far valere e rispettare.
Ai fini dell’istituzione della pace la migliore forma di governo è quella repubblicana, poi- Le virtù
ché fondata sui principi della libertà di tutti (in quanto uomini), della loro dipen- della forma
di governo
denza da un’unica comune legislazione (come sudditi), dell’uguaglianza (in quanto
repubblicana
cittadini). Essa è l’unica costituzione che, derivando da un contratto sociale stipulato
liberamente dai cittadini, trae legittimazione e giustificazione dalla volontà degli uomini.
Inoltre, poiché richiede il consenso dei cittadini per decidere sull’eventualità di
una guerra, prima di intraprendere «un così cattivo gioco» i cittadini, dovendo soffrire
personalmente per le calamità che la guerra arreca (dolori, sofferenze, morti, tasse...), ci
penseranno a lungo. Al contrario, in una costituzione non repubblicana, in cui ad esempio il
sovrano detiene poteri assoluti, le decisioni sono prese senza consultare i sudditi: anche nel
caso di guerra, il re non ha nulla di cui pentirsi, dal momento che può continuare a godere
dei propri privilegi.
Il secondo articolo definitivo afferma che il diritto internazionale deve essere Il processo
basato su un federalismo di liberi Stati, che deve avere l’obiettivo di porre termine non federativo
a una guerra, ma a tutte le guerre e per sempre. Tale federalismo non mira ad accrescere la
potenza di uno Stato, ma solo a tutelare la sua conservazione e sicurezza e, al tempo stesso,
quella di tutti gli altri Stati confederati. Come arrivare a tale risultato? Kant prevede una
gradualità del processo federativo: se un popolo «potente e illuminato» si costituisse come
repubblica, questa potrebbe rappresentare il primo nucleo dell’unione federativa con gli
altri paesi, che sarebbero indotti ad associarsi a essa, garantendo così la condizione di pace
conformemente all’idea del diritto internazionale.
Il terzo e ultimo articolo definitivo sancisce l’importante diritto di visita di Il diritto di tutti
ogni uomo, che abbia intenzioni pacifiche e sia rispettoso delle leggi dei paesi ospiti: si a godere della
«superficie
tratta di quel «diritto sulla superficie della terra» di cui gode ogni persona, a prescindere
della terra»
dalla sua appartenenza a uno Stato e dal credo religioso. Purtroppo, nota Kant, proprio gli
Stati civili d’Europa sono quelli che hanno la condotta più negativa, non limitandosi a “visi-
tare” le terre e i popoli stranieri, ma tentando di conquistarli:

L’America, i paesi dei negri, le Isole delle spezie, il Capo di Buona Speranza, ecc., all’at-
to della loro scoperta erano per loro terre di nessuno, non tenendo essi in nessun conto gli
indigeni. Nell’India orientale, con il pretesto di stabilire ipotetiche stazioni commerciali,

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 12
introdussero truppe straniere e ne venne l’oppressione degli indigeni, l’incitamento dei
diversi Stati del paese a guerre sempre più estese, carestia, insurrezioni, tradimenti e tutta
la rimanente serie dei mali, come li si voglia elencare, che affliggono il genere umano.
I. Kant, Per la pace perpetua, cit., pp. 22-23

Tutte queste nefandezze, conclude sconsolatamente il filosofo, sono perpetrate proprio


dagli Stati che «ostentano una grande religiosità», mentre «commettono ingiustizie con la
stessa facilità con cui si beve un bicchier d’acqua» e pretendono di «farsi passare per nazioni
elette in fatto di ortodossa osservanza del diritto» (ivi, p. 23). T4
La conclusione di Kant non è tutta all’insegna del pessimismo, in quanto egli attribuisce Il ruolo
ai filosofi un ruolo privilegiato. I filosofi devono orientare la politica dei sovrani e della filosofia
vigilare sulla loro azione: nel raggiungimento
della pace
che i re filosofeggino o i filosofi diventino re, non ce lo dobbiamo attendere e anzi nep-
pure desiderare, poiché il possesso della forza corrompe inevitabilmente il libero giudizio
della ragione. Ma che re o popoli sovrani (cioè popoli che si reggono secondo leggi di ugua-
glianza) non lascino perdere o ammutolire la classe dei filosofi, ma la lascino parlare pub-
blicamente, questo è indispensabile agli uni e agli altri per avere luce sui loro propri affari;
ed è anche cosa che essendo questa classe per sua natura immune da spirito fazioso e
incapace di cospirare, non può essere tacciato di propaganda.
I. Kant, Per la pace perpetua, cit., p. 34

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 13
Mappa Visiva
Kant e il concetto di pace perpetua

Kant nel trattato Per la pace perpetua

afferma che sostiene che

lo Stato deve

ripudiare la guerra perseguire la pace la pace perpetua consiste


in quanto lesiva in quanto garanzia 1. la guerra è propria
nella soppressione
della dignità umana della libertà umana dello stato di natura
definitiva delle guerre

infatti inoltre mentre

i cittadini la guerra a uno Stato la pace deriva


sono “persone” distrugge le persone da un atto decisionale
(esseri razionali e morali) (soggetti morali) delle nazioni

che che e ancora inoltre

le ostilità presenti
appartengono a una avvertono che 2. il diritto internazionale
non devono poter
comunità universale ideale la pace è sempre si basa sul federalismo
compromettere
(regno dei fini) preferibile alla guerra di liberi Stati
la pace futura

quindi anche perché articoli preliminari che

sono soggetti di un diritto mira a eliminare


facilita le guerre e garantire
cosmopolitico comune
i commerci sicurezza ai confederati
a tutti gli Stati e all’umanità

infine
primato della morale
sulla politica

3. gli uomini hanno diritto


di visita su tutta
la superficie della Terra

articoli definitivi

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 14
3. BENTHAM E LA TRASPARENZA POLITICA
COME CONDIZIONE DI PACE

La “pubblicizzazione” della politica come garanzia


del diritto e della giustizia
Kant aveva sostenuto che la priorità della morale sulla politica implica la trasparenza La necessaria
e la chiarezza nella gestione del potere. Senza la pubblicità degli atti governativi, trasparenza delle
cioè la loro accessibilità ai cittadini che vogliano conoscerli e valutarli, non può esserci azioni governative
garanzia di diritto e giustizia. Infatti, «Tutte le azioni relative al diritto di altri uomini, la
cui massima non sia compatibile con la pubblicità, sono ingiuste» (I. Kant, Per la pace
perpetua, cit., p. 50), e ancora, «tutte le massime che (per non venir meno al loro scopo)
hanno bisogno della pubblicità, concordano e con la politica e con il diritto. Se infatti
possono raggiungere il loro scopo solo con la pubblicità, allora quelle massime devono
essere conformi al fine generale del pubblico (la felicità); e l’accordo con il pubblico
(cioè farlo contento del proprio stato) è il peculiare compito della politica» (ivi, p. 57).
Se si teme che una norma, qualora resa di pubblico dominio, possa rendere vano lo sco-
po per cui è stata emessa, essa deve considerarsi ingiusta. È evidente come in questa
affermazione agisca il principio di universalizzazione proprio dell’etica kantiana: ciò
che non può giustamente essere generalizzato deve considerarsi iniquo. Tale è
ad esempio la decisione a favore della guerra, dato che i cittadini ne subiscono soltanto
le conseguenze negative.
Idee analoghe relativamente alla pubblicità degli atti governativi vennero espresse La segretezza come
anche dal filosofo inglese Jeremy Bentham, il teorico dell’utilitarismo, secondo cui obiet- condizione nociva
e non necessaria
tivo della morale e della politica deve essere il raggiungimento della felicità degli
individui, che a lungo andare viene a coincidere con quella pubblica. A questo scopo, nel
suo Progetto per una pace universale e perpetua (1786-1789), che precede quello
kantiano, egli sostiene che una condizione fondamentale per evitare che uno Stato entri in

LESSICO
pubblicità degli atti governativi Consiste nella trasparenza delle azioni di governo, che devono essere rese
note ai cittadini in modo tale che questi possano giudicarle ed eventualmente opporvisi.

Bentham grazie all’abolizione del segreto


di Stato e all’estensione del
I DATI

eremy Bentham nacque a Londra nel 1748, da principio di tolleranza a tutte le


J una ricca famiglia dell’aristocrazia. Dopo gli
studi giuridici a Oxford, si impegnò anche in quelli di
confessioni religiose. Coadiu-
vato dal giornalista e saggista
economia e filosofia politica. Potendosi permettere di James Mill (padre del filosofo
vivere di rendita, si dedicò all’elaborazione di un pro- John Stuart Mill), fondò il gruppo
getto politico teso al raggiungimento del suffragio uni- dei Philosophical Radicals, che
versale, a riformare il sistema carcerario, l’istruzione, ebbe come sua principale espres-
la sanità, ad abolire la tratta degli schiavi e la pena di sione la rivista “Westminster Review” (a cui collabora-
morte. Furono notevoli i suoi sforzi per rendere i citta- rono tra gli altri l’economista David Ricardo e il filosofo
dini partecipi delle decisioni politiche, innanzitutto John Stuart Mill). Bentham morì nel 1832.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 15
guerra – causando enormi sofferenze e disagi al popolo – è che le sue decisioni in materia di
politica estera siano trasparenti e pubbliche: T5
Non può né deve essere permesso che in alcuna situazione negoziale, così come in alcuna
fase di essa, il Gabinetto di questo paese [l’Inghilterra] conduca negoziati, tenendone quanto
è più possibile all’oscuro il pubblico. Ancor meno si deve permettere che ne sia tenuto al-
l’oscuro il Parlamento, specie a seguito di un’interrogazione parlamentare. Qualsiasi cosa
possano affermare negoziati preliminari, non si può né si deve permettere che un segreto
di tal genere venga mantenuto a riguardo di trattati effettivamente conclusi. Sia nell’uno
come nell’altro caso, una siffatta segretezza è, a un tempo nociva e non necessaria.
J. Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua, in AA. VV., Filosofi per la pace, cit., p. 186

La segretezza è nociva, spiega l’autore, perché nessun controllo può applicarsi su


misure delle quali non si abbia conoscenza. D’altronde, misure poste in opera senza in-
formazione preventiva non possono essere bloccate se conosciute in ritardo, per negative
che esse siano. Inoltre, non è necessaria, poiché nei trattati commerciali tra gli Stati non
c’è motivo alcuno di segretezza, la quale si spiegherebbe soltanto nel caso in cui si
meditassero azioni ostili che conducessero alla guerra. In tale circostanza, precisa
ancora il filosofo, la scorrettezza sarebbe ancora più grave, perché non è ammissibile che si
trascini in guerra una nazione contro la sua espressa volontà. Comunque, anche se il Parla-
mento punisse il ministro che avesse condotto in guerra una nazione, si tratterebbe di
un’amara consolazione, dal momento che il danno causato dalla guerra non potrebbe in
alcun modo essere compensato: T6
La punizione dei responsabili della guerra, qualunque possa essere la pena in cui essa
debba risolversi a giudizio dei nemici personali dei ministri, non reca alcuna soddisfazione
al paese. È ovvio. Per contro, ciò che conta di più è il fatto che, in un caso come questo,
la paura d’essere puniti per una tale ragione non costituisce per loro remora alcuna,
se non altro perché dispongono della maggioranza parlamentare, giacché in caso con-
trario, non sarebbero ministri.
J. Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua, in AA. VV., Filosofi per la pace, cit., p. 188

Il “velo di segretezza” intorno all’operato del governo in merito alle decisioni di politica
estera non ha alcun senso: è soltanto «un mero ornamento della debolezza e della follia;
una dispensa dalla fatica di pensare donata ai ministri; una garanzia fornita allo svolgi-
mento di maneggi folli e idioti, che nessuno può vedere, né controllare; una licenza ad essi
concessa di giocare d’azzardo con i loro colleghi stranieri, arrischiando le nostre vite e le
nostre fortune» (ivi, p. 197). Quindi, la segretezza è un male per la nazione, che deve
essere eliminato; occorre legare le mani dei ministri e costringerli a spiegare sempre il pro-
prio comportamento, soprattutto quando è in gioco la pace in Europa. Tra gli interessi di
una nazione, infatti, la guerra non è mai contemplata. Quali vantaggi potrebbe ricavarne il
popolo? Non vantaggi commerciali, che anzi sono ostacolati dalla guerra; né quelli derivanti
dall’acquisizione di terre, il più delle volte distanti e inospitali; e neppure altri vantaggi in
termini di opulenza e grandezza della nazione. La guerra apporta danni e distruzioni
per tutti, sia per i vinti (il che è evidente) sia per i vincitori (che sono tali solo in quanto
sono riusciti a contenere le perdite); essa rende tutti più poveri e infelici.

Il pericoloso condizionamento dell’opinione pubblica


Bentham dimostra un estremo realismo, individuando non soltanto il pericolo insito Il pericolo insito
in un’azione governativa poco trasparente, ma anche quello rappresentato dal condiziona- nella retorica
nazionalista
mento dell’opinione pubblica e dalla retorica nazionalista che lo alimenta. Il nostro tempo,
sostiene il filosofo, non è fatto per le punizioni; ma se la corruzione, l’oppressione, la

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 16
slealtà e qualunque altra nefandezza commessa dagli uomini di Stato non suscitano nei
cittadini il desiderio di punirli, quale speranza di punizione si può nutrire in relazione alle
trattative segrete che conducono alla guerra? Il genere umano non è giunto a un adegua-
to livello di consapevolezza in questo campo. Anzi, vi sono casi in cui i ministri sono stati pu-
niti per aver promosso la pace, mai per aver trascinato una nazione in guerra. I giornali, che
influenzano l’opinione pubblica, esaltano il patriottismo considerandolo una virtù da prefe-
rirsi alla giustizia. Scrive ancora il filosofo:

L’ingiustizia, l’oppressione, la frode, la menzogna, tutti quegli atti che altrimenti sareb-
bero crimini, tutte quelle abitudini che altrimenti sarebbero vizi, ove ad essi si desse vita
per perseguire interessi individuali, quando si manifestano per il perseguimento di interes-
si nazionali sono sublimati al pari di virtù. Chiunque abbia mai letto o sentito leggere un
giornale inglese, dichiari, se può, che questo non è il tenore costante delle idee sostenute
dalla stampa. Su questo punto l’appartenenza a questo o quel partito non fa davvero diffe-
renza. Per contrapposti che possano essere su tutte le altre questioni, su questa non hanno
che un’unica opinione, mostrando d’essere del massimo accordo tra di loro. Tali sono le
opinioni e alle opinioni vengono adattati i fatti. Perché mai allora ci si dovrebbe vergognare
della mistificazione, quando la mistificazione è considerata una virtù?
J. Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua, in AA. VV., Filosofi per la pace, cit., pp. 189-190

Bentham si scaglia contro la superficialità dell’opinione pubblica, la quale, abbagliata


dalla propaganda politica, può arrivare a esaltare irrazionalmente la guerra, esercitando
un vero e proprio potere dispotico sulla società civile: un pericolo che viene profeticamente
percepito dal filosofo, ma che avrà grande peso nell’Ottocento e nel Novecento. A questo
proposito Bentham difende il diritto delle minoranze a esprimere il proprio dissenso:
non sempre la maggioranza ha ragione, e bisogna stare molto attenti alle mistificazioni ope-
rate da alcuni giornalisti o uomini di potere, soprattutto quando, in nome di un presunto
patriottismo, inneggiano al ricorso alle armi, mettendo a rischio non solo la sicurezza dello
Stato ma anche quella dei cittadini che ne fanno parte.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 17
Mappa Visiva
Bentham e la trasparenza politica come condizione di pace

Bentham

riconosce

la necessità la necessità che


della trasparenza l’inutilità le minoranze
delle azioni della guerra possano esprimere
governative il proprio dissenso

infatti la quale infatti

è sempre un male
la segretezza sia per i vinti
sia per i vincitori

l’opinione pubblica
può essere abbagliata
la maggioranza dalla retorica
non ha nazionalistica
sempre ragione ed esercitare
un potere dispotico
è nociva non è necessaria sulla società civile

in quanto in quanto

non si possono i trattati commerciali


controllare le misure non la richiedono
che non si conoscono

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 18
SINTESI
I l tema della pace è stato considerato in questa unità sotto il profilo filosofico, oltre che sto-
rico e politico. Siamo partiti innanzitutto dall’ipotesi che esso non possa essere confinato
nell’ambito dell’utopia, ma che debba essere considerato in termini realistici. La pace è possi-
bile, oltre che utile e doverosa: ecco la tesi che accomuna gli autori studiati.

Saint-Pierre e la pace nell’Europa cristiana


L’abate di Saint-Pierre, interessato alla pace in Europa, la giudica necessaria per la sicurezza
degli Stati e vantaggiosa per i sovrani cristiani. Egli prefigura un progetto di Unione euro-
pea, costituita da un’Assemblea internazionale permanente in cui siano rappresentati in
misura eguale tutti i sovrani degli Stati cristiani. Nel suo piano rientra anche la Russia e non so-
no esclusi a priori gli Stati musulmani del Mediterraneo. Tale Unione deve avere l’obiettivo di
mantenere lo status quo, presente all’atto di sottoscrizione del trattato di pace tra i
sovrani, e di risolvere le controversie che eventualmente insorgano tra gli Stati in modo tale
da evitare il ricorso alle armi.

Kant e il concetto di pace perpetua


L’opera filosofica più importante, relativamente al tema di questa unità, è il saggio Per la pa-
ce perpetua di Kant. Esso parte dall’idea che la politica debba essere subordinata alla mo-
rale e che pertanto debba rispettare i principi dell’etica in base ai quali ogni uomo appartiene al
«regno dei fini». In questo senso le guerre devono essere evitate, in quanto riducono gli uomini a
“strumenti” nelle mani dello Stato, cioè di una volontà altrui. Nello stato di natura, in cui non ci
sono leggi né tribunali, l’uomo regola i conflitti con la violenza; invece nelle società civili i gover-
ni sono stati creati proprio per evitare lo scontro armato. Negli articoli preliminari della sua
opera, il filosofo afferma che la pace non si identifica con la sospensione delle ostilità,
bensì con la loro soppressione definitiva; inoltre riconosce che la guerra distrugge “per-
sone”, e dunque soggetti morali, e che le ostilità presenti non devono in nessun caso com-
promettere la pace futura. Negli articoli definitivi, egli sostiene che la pace è frutto di
una decisione degli Stati di sottrarsi allo stato di natura sottomettendosi a norme di diritto in-
ternazionale; inoltre riconosce che per il perseguimento della pace è preferibile la costituzio-
ne repubblicana, in quanto in essa è richiesto il consenso dei cittadini per decidere anche sul-
la guerra, e afferma che il diritto internazionale si fonda sul federalismo di liberi Stati.
Nel terzo articolo definitivo, poi, Kant asserisce che gli uomini hanno diritto di visita su tutta
la superficie della Terra, a condizione che si dimostrino rispettosi nei confronti delle regole
del paese ospitante.

Bentham e la trasparenza politica come condizione di pace


Particolare importanza e significato in riferimento al tema della pace riveste, infine, il proble-
ma sollevato dal filosofo utilitarista Bentham della pubblicità degli atti governativi. La segre-
tezza, secondo questo pensatore, è estremamente nociva in quanto impedisce il controllo del-
le varie misure che vengono stabilite dal governo, senza peraltro essere necessaria; i trattati
commerciali, infatti, non la richiedono. Se poi interviene a “coprire” decisioni in merito alla guer-
ra è ancora più inaccettabile, in quanto non è ammissibile che un governo intraprenda azioni bel-
liche senza ascoltare la volontà del popolo.
Bentham riconosce anche il pericolo rappresentato dal condizionamento dell’opinione
pubblica, la quale può essere influenzata dalla retorica nazionalista e arrivare a esaltare la
guerra, imponendola alle minoranze che non sempre hanno la possibilità di esprimere il proprio
dissenso.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 19
VERIFICA
UNITÀ
La pace tra gli Stati
e la prospettiva del cosmopolitismo
1. SAINT-PIERRE E LA PACE NELL’EUROPA CRISTIANA
1. Saint-Pierre affronta il problema della pace tra i popoli cristiani europei.
Riguardo a ciò, egli formula una precisa e concreta proposta. Segna le cinque affermazioni esatte tra le seguenti:
a occorre realizzare un’unione degli Stati europei cristiani, ispirata alla reciproca tolleranza
b tale unione deve sforzarsi di porre fine alle guerre di religione, ma non può illudersi di garantire una pace
perpetua
c nell’Assemblea internazionale permanente devono rientrare tutti gli Stati europei
d tale Assemblea deve limitarsi a garantire l’esecuzione dei trattati di pace
e la pace perpetua è auspicabile, ma la guerra non sarà mai eliminabile
f l’assetto politico europeo è tale da minacciare guerre continue
g nell’Assemblea tutti gli Stati devono comparire con un egual numero di rappresentanti
h gli Stati che si autoescludono dall’Unione europea devono essere considerati nemici
Correggi le affermazioni errate: ........................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................................

2. Riguardo all’Unione europea, rispondi alle domande seguenti: (max 3 righe ciascuna)
– per conservare la pace stabilita dall’Unione europea, quale essenziale condizione deve essere rispettata da tutti
gli Stati aderenti?
– perché, nell’ottica della pace perpetua, Saint-Pierre considera gli Stati repubblicani superiori a quelli
monarchici?
– quale forma di relazione tra Stati può assicurare la pace europea?

2. KANT E IL CONCETTO DI PACE PERPETUA


3. Kant tratta il tema della pace in una prospettiva cosmopolitica.
a) Il filosofo auspica l’instaurarsi della pace perpetua, che può fondarsi solo su un determinato rapporto tra
morale e politica. Spiega di quale rapporto si tratta, utilizzando opportunamente i seguenti termini-concetti:
(max 8 righe)
diritto – dignità umana – libertà – essenza dello Stato – cittadini – enti morali-razionali – regno dei fini.
b) Kant parla di un diritto cosmopolitico comune a tutti gli Stati e all’umanità. Tale diritto:
(segna la risposta esatta)
a è compatibile con la diversità di lingue, culture e religioni dei popoli
b può affermarsi solo quando tutti i popoli della Terra, governati da una monarchia universale, avranno atte-
nuato le loro differenze culturali
c deve scaturire dalla mediazione tra i diversi ordinamenti giuridici dei singoli Stati
Motiva la risposta: .........................................................................................................................................................
.........................................................................................................................................................................................
c) In che modo il tema dello spirito commerciale rientra nelle argomentazioni di Kant a favore della pace
perpetua? (max 3 righe)

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 20
4. Il progetto della pace perpetua prevede innanzitutto alcuni articoli preliminari.
a) Nel primo di essi Kant afferma che: (segna la risposta errata)
a la pace è sospensione delle ostilità
b la pace non è sospensione delle ostilità
c la pace è soppressione delle guerre
Motiva la risposta: .........................................................................................................................................................
.........................................................................................................................................................................................
b) Nel secondo articolo preliminare il filosofo afferma che la guerra distrugge “soggetti morali”. Quali sono le
conseguenze di questa affermazione? (max 3 righe)
c) In che modo le ostilità presenti di cui si parla nel terzo articolo preliminare possono compromettere la pace futura?
(max 3 righe)

5. Stabiliti gli articoli preliminari, Kant individua gli articoli definitivi per la realizzazione della pace perpetua.
a) Perché Kant afferma che non è possibile la pace nello stato di natura? Qual è la condizione in cui può essere
instaurata? (max 4 righe)
b) Sulla base delle citazioni riportate, riformula i tre articoli definitivi in relazione alle domande collegate:
(max 6 righe ciascuno)
– primo: «La costituzione civile di ogni Stato dev’essere repubblicana». Da che cosa trae legittimazione tale
costituzione? Che cosa essa garantisce a ciascuno in quanto uomo, suddito e cittadino?
– secondo: «Il diritto internazionale dev’essere fondato su un federalismo di liberi Stati». A che cosa tende tale
federalismo? Con quali modalità deve instaurarsi?
– terzo: «Il diritto cosmopolitico dev’essere limitato alle condizioni dell’universale ospitalità». In che cosa
consiste il diritto di visita? A quali condizioni ogni uomo può goderne?

3. BENTHAM E LA TRASPARENZA POLITICA


COME CONDIZIONE DI PACE

6. Bentham considera estremamente importante la trasparenza politica.


a) Quest’ultima è una condizione imprescindibile per evitare la guerra. Perché infatti, secondo il filosofo, la
“non trasparenza” è nociva e non necessaria? (max 10 righe)
b) In quale occasione, in particolare, la segretezza lede il diritto del popolo di controllare le misure del governo e di
esprimere il proprio dissenso? (max 4 righe)

7. Secondo Bentham, il condizionamento dell’opinione pubblica da parte della propaganda politica e il potere
dispotico che la massa esercita sulle minoranze sono un pericoloso deterrente del progetto di pace.
Spiega in che senso e qual è la contromisura proposta da Bentham. (max 8 righe)

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 21
IIPERCORSI
PERCORSITESTUALI
TESTUALI
llustriamo ora i principali progetti sulla pace di Saint-Pierre, Kant e
I Bentham, dando più ampio spazio al celebre trattato kantiano Per la pace
perpetua, l’opera di gran lunga più rilevante sul piano filosofico. I brani proposti
saranno raggruppati nelle seguenti sezioni:

A. Saint-Pierre: un progetto per l’unione dei paesi europei


B. Kant: l’obiettivo della pace perpetua
C. Bentham: l’idea della pace universale

A. Saint-Pierre: un progetto per l’unione


dei paesi europei
Pubblicato nel 1713 e poi più volte rimaneggiato e ampliato, il Progetto per rendere la
pace perpetua in Europa dell’abate di Saint-Pierre rappresenta un primo significativo
progetto di unificazione dei paesi europei. Leibniz, anche lui interessato alla concordia
tra gli Stati cristiani, lesse con attenzione il progetto di Saint-Pierre e ne derivò alcune
importanti osservazioni; Rousseau, che aveva conosciuto personalmente l’abate poco prima
che morisse, scrisse una serie di saggi noti come Scritti sull’abate di Saint-Pierre
(1758-1759), da cui si evince la grande considerazione che il filosofo nutriva per le sue
tesi. I punti centrali del progetto dell’abate sono i seguenti: 1) è realistico e utile ipo-
tizzare una pace stabile e duratura nell’Europa cristiana; 2) a tal fine è necessario dar
vita a un organismo rappresentativo di tutti gli Stati europei; 3) i confini tra gli
Stati sono inviolabili e devono rimanere quali sono nel momento della sottoscrizione del
trattato; 4) all’Unione europea compete il ruolo di dirimere le eventuali controversie
tra gli Stati cristiani, in modo tale da evitare l’insorgere di conflitti armati.

L’idea generale del progetto


Nella Prefazione all’opera, Saint-Pierre espone il fine generale del proprio progetto
e una sintesi dei principali contenuti.

da Saint-Pierre, Progetto per rendere la pace perpetua in Europa T1


Mio proposito è quello di suggerire i mezzi che consentano di render perpetua la pace fra
tutti gli Stati cristiani. Dio voglia non mi si chieda quale capacità abbia mai acquistato per
trattare un argomento di così grande momento e importanza, giacché a tale domanda non Qual è l’obiettivo
avrei risposta da offrire. Infatti, pur avendo fatto, per più di ventitré anni, quanto era in mio dell’autore?
potere per istruirmi a fondo nelle materie del governo politico, convinto come sono che es-
se meritano, più di ogni altra materia, di attirare l’attenzione di un buon cittadino, cionondi-
meno si può ben dire che dai miei studi io non abbia tratto nulla di quel che sarebbe neces-
sario per esser utile alla patria. D’altronde, se il lettore vuol essere buon giudice del valore
di questa mia opera, avrà forse bisogno di altro elemento che non sia l’opera stessa?
Sono trascorsi, a un dipresso, quattro anni che, condotto a termine il primo abbozzo di
un Regolamento per il commercio interno del Reame1, a diretta conoscenza della miseria 1. Si intende
la Francia.
estrema in cui sono ridotti i Popoli per causa delle enormi imposte, istruito, per il tramite

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 22
di svariati e particolari resoconti, sul peso eccessivo dei contributi, sui saccheggi, sugli
incendi, sulle violenze, sulle atrocità, sui massacri che ogni giorno patiscono gli infelici
che vivono presso le frontiere degli Stati cristiani e, altresì, scosso da tutti i mali che la
guerra procura ai sovrani d’Europa e ai loro sudditi, ho preso la risoluzione di andare
sino al fondo delle radici prime del male, cercando di scoprire, con le mie riflessioni, se
esso fosse per avventura talmente radicato nella natura stessa degli Stati sovrani e dei
loro governanti da escludere assolutamente ogni rimedio. È così che mi sono posto a
scandagliare siffatta materia allo scopo di scoprire se fosse davvero impossibile trovare
mezzi praticabili e atti a far sì che il differente futuro destino di ciascun principe o di cia-
scuno Stato avesse alla fine a darsi senza guerra, rendendo la pace perpetua fra di essi.
Altre volte ho avuto occasione di pensare alla materia anzidetta come alla più utile fra
quella di cui gli spiriti più grandi possano occuparsi. Tuttavia questa riflessione era rima-
sta senza frutto, giacché mi avevano scoraggiato difficoltà che nascono l’una dall’altra e
che traggono origine dal cuore stesso della natura umana. Vero è, per contro, che non
avevo riflettuto all’inconveniente presentato da luoghi in cui, pur avendo le mattinate
colme o di letture o di riflessioni su questioni siffatte, il mio spirito era come diviso tra
uffici, incombenze e divertimenti. Per contro, dimorando infine in campagna, soccorso
da forze che danno allo spirito la calma e il piacere della solitudine, mi è parso possibile,
con una meditazione tenace e ininterrotta, approfondire un soggetto che per il passato
forse non aveva potuto giovarsi dell’approfondimento che certo meritava.
Mi parve allora necessario prender le mosse da una qualche riflessione intorno alla Qual è
necessità che hanno i sovrani d’Europa, non meno degli altri uomini, di vivere in pace, la necessità
dei sovrani
uniti da una qualche forma permanente di associazione mirata alla felicità del vivere. d’Europa?
Per riflettere poi alla fatale contingenza di reciproco conflitto, in cui i medesimi sovrani si
trovano per impossessarsi di taluni beni o per spartirseli e, infine, portare mente ai
mezzi di cui i sovrani si sono valsi, sino ad ora, sia per evitare a se stessi di intraprendere
le guerre anzidette, sia per non soccombere ad esse una volta intraprese.
Scoprii altresì che gli strumenti su accennati in altro non si risolvevano che nello scam- Quali sono
bio di mutui impegni sottoscritti o in trattati di commercio, tregua, pace, con i quali sot- i tradizionali mezzi
per scongiurare
toporre a regolazione i confini e le altre pretensioni di diritti gli uni nei confronti degli le guerre?
altri, nonché in trattati di assicurazione o di lega, vuoi offensiva, vuoi di difesa, intesi a
mantenere o a fissare l’equilibrio delle forze delle case regnanti. Sistema questo che, sino
ad ora, dà mostra d’esser segno del più alto livello di prudenza cui i sovrani d’Europa e i
ministri hanno condotto la loro politica.
Non ho però tardato a scoprire che, fin tanto che ci si contenterà di mezzi siffatti, non
si avrà mai sufficiente garanzia a che i trattati vengano posti in esecuzione, né si avranno
mezzi bastevoli per condurre a buon fine, in termini di equità e soprattutto senza guerra,
il destino dei diversi stati, talché, ove non avesse a trovarsi nulla di meglio, i principi cri-
stiani dovranno aspettarsi una guerra pressoché perpetua, destinata a esser interrotta di
tanto in tanto da trattati di pace, trattati che sono piuttosto puri e semplici armistizi con
i quali non si potrà far altro che prender atto della quasi completa parità delle forze, e della
stanchezza e dello stremo dei combattenti giacché, altrimenti, una tal guerra potrebbe
esser conclusa solo con la rovina totale del vinto. A
[…]

ANALIZZARE E INTERPRETARE

A Saint-Pierre fu un fautore della causa della pace di grande tenacia e intelligenza: in questo brano
rivela tutta la difficoltà del suo compito, ma al tempo stesso confida nelle proprie capacità di studioso della
politica e diplomatico di rango. Tali qualità lo portarono a partecipare all’importante congresso delle poten-
ze europee di Utrecht (1712), al fianco del plenipotenziario francese cardinale di Polignac, di cui era segre-
tario. In queste righe ammette di aver trovato finalmente la condizione ideale – nel suo ritiro in campagna –

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 23
Il primo dei passi da compiersi per raggiungere la guarigione di un male grave, radica- Qual è il rimedio
to, cui sono stati, sino ad ora, opposti rimedi assai inefficaci, sta nel proporsi il compito di proposto
dall’autore?
penetrare, da un lato, tutte le differenti cause del male, di cogliere a fondo, dall’altro, la
sproporzione fra male e rimedi.
Mi posi infine a indagare se per avventura i sovrani non fossero in grado di reperire
una qualche forma di garanzia sufficiente per assicurare l’assolvimento dei reci-
proci impegni, fissando una sorta di arbitrato perpetuo fra loro. Scoprii così che se i
diciotto principali regimi sovrani d’Europa, al fine di mantenersi nello stato presente di
governo, di evitare fra loro la guerra, di procurarsi tutti i vantaggi di un commercio
perpetuo fra nazioni, fossero disposti a dar vita a un trattato d’unione e a un congresso
permanente a un dipresso del medesimo modello presentato o dai sette Stati sovrani
d’Olanda, o dai tredici Stati sovrani della Svizzera, o infine dagli Stati tedeschi, così
formando l’Unione europea sulla scorta di quanto v’è di buono nelle unioni anzidette
– e, in ispecie, in quella tedesca – scoprii, ripeto, che, ove fosse realizzata l’Unione, i
più deboli godrebbero di sicurezza sufficiente, giacché a loro non potrebbe nuocere la
maggior potenza dei più forti; ciascuno osserverebbe scrupolosamente i mutui impe-
gni; il commercio non verrebbe mai interrotto; il destino dei diversi paesi, per via del-
l’arbitrato2, non vedrebbe più guerre, fatto quest’ultimo che certo non potrebbe darsi 2. La risoluzione
se gli arbitri mancassero. pacifica di
controversie
Ad aver ciascuno una sola voce nella dieta3 generale d’Europa sarebbero i diciotto tra Stati, grazie
principali Stati sovrani, vale a dire: 1. Francia; 2. Spagna; 3. Inghilterra; 4. Olanda; a una mediazione
diplomatica.
5. Portogallo; 6. Svizzera e associati; 7. Firenze e associati; 8. Genova e associati;
3. Assemblea.
9. Stato della Chiesa; 10. Venezia; 11. Savoia; 12. Lorena; 13. Danimarca; 14. Curlandia
(con Danzica); 15. Imperatore e Impero; 16. Polonia; 17. Svezia; 18. Moscovia. Conto
l’impero come un solo Stato sovrano, giacché esso costituisce un corpo unico. L’Olanda,
del pari, è calcolata alla stregua di un solo Stato sovrano, in quanto questa repubblica,
benché composta di sette repubbliche sovrane, forma un solo corpo e altrettanto dicasi
della Svizzera.
Esaminando il governo dei sovrani di Germania, ho scoperto altresì che per la forma-
zione del corpo europeo non si oppongono difficoltà superiori a quelle incontrate, a suo
tempo, per la formazione del corpo germanico, come dire che nulla impedisce di porta-
re a compimento su grande scala quel che si è già compiuto su piccola. Anzi ho scoperto
ancora che vi sarebbe un minor numero di ostacoli e, per contro, verrebbe a esser più
facile la formazione del corpo europeo. B
Saint-Pierre, Progetto per rendere la pace perpetua in Europa, in AA. VV., Filosofi per la pace,
a cura di D. Archibugi - F. Voltaggio, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 47-50

per poter fissare in un testo le osservazioni e i suggerimenti elaborati nel corso degli anni: il suo obiettivo è
porre fine allo stato di guerra latente, che insidia la prosperità dei commerci e la stabilità dei governi.

B Secondo Saint-Pierre la guerra è un «male grave, radicato» in Europa, e i rimedi finora praticati con-
tro di essa si sono rivelati inutili e inefficaci, perché non hanno affrontato il problema alla radice. L’ipotesi di
soluzione che egli propone consiste nella creazione di un’alleanza tra i diciotto Stati europei, tesa a mante-
nere lo status quo e a impedire azioni belliche da parte di ciascun membro dell’Unione.

Gli articoli fondamentali


Quelli che seguono sono i principi fondamentali su cui, secondo Saint-Pierre, si
dovrà basare l’Unione europea, definiti sotto forma di Articoli per dare consistenza
di legge al progetto.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 24
da Saint-Pierre, Progetto per rendere la pace perpetua in Europa T2
Articolo I
I sovrani, rappresentati dai delegati qui sottoscritti, hanno convenuto sugli articoli Qual è il fine
seguenti. Avrà vita da questo momento in futuro una società, un’Unione permanente e dell’Unione
permanente
perpetua fra i sovrani sottoscritti e, se è possibile, fra tutti i sovrani cristiani, nell’intento e perpetua tra
di rendere inalterabile la pace in Europa. In vista di questo fine, l’Unione stipulerà, se è i sovrani europei?
possibile, con i sovrani musulmani suoi confinanti trattati di lega offensiva e difensiva,
intesi a mantenere ciascuno in pace entro il suo territorio, accogliendo e fornendo tutte le
garanzie reciproche possibili. I sovrani saranno perpetuamente rappresentati dai loro
delegati in un Congresso o Senato perpetuo in una città libera.
Chiarimento. 1. È possibile ai principi meno potenti, onde aumentare la loro sicurezza,
aspirare ad accrescere il numero di quanti possano aver con loro lega offensiva e difensiva
per conservare la pace e sarà motivo di grande gloria per il principe più potente quello di
offrire la propria disponibilità a contribuire a questo aumento di sicurezza.
2. Turchi e Moscovia, in unione con uno dei membri della società, potrebbero certo
mettere a disagio il resto d’Europa e turbarne la quiete, nel mentre, ove fossero tutti o
membri o alleati dell’Unione e, per conseguenza, in grado di godere degli immensi vantag-
gi d’una pace perpetua, solo a condizione di diventare folli potrebbero abbandonare van-
taggi tanto reali solo per andare a caccia di una chimera. Ora, che tre sovrani diventino
folli, a un tempo, della medesima follia è cosa certo possibile in assoluto, ma che non è in
realtà affatto da temere.
3. Fintanto che queste potenze1 resteranno in armi o in potere d’armarsi, obbligheranno 1. Turchi e russi.
altresì l’Unione a una spesa assai elevata per tenersi in guardia contro di essi.
4. Il commercio del Mediterraneo è estremamente importante per la Cristianità. Di qui
l’estrema importanza di fornire garanzie sufficienti sia nei confronti del Gran Signore2 2. Ossia il sultano
dei Turchi.
sia nei confronti dei pirati d’Africa.
È pretesa eccessiva (mi si è osservato) aspirare ad unire insieme, nello stesso tempo, Perché è
tanti potentati. Ora è vero che mio intento è quello di unirli, ma non già di unirli tutti nel importante
che il trattato
medesimo tempo. Che due sovrani firmino subito l’accordo è certo pretendere troppo. venga esteso
Che gli stessi propongano il trattato a un terzo sovrano e poi tutti e tre a un quarto è dav- a un gran numero
vero impossibile? Ne segue che tutti potranno firmare l’uno dopo l’altro. Ora, se chiedo di paesi?
che la società sia grande è perché ho dimostrato altrove che, a meno che la società non sia
abbastanza grande, non riuscirebbe ad essere inalterabile. A
Per un sovrano la cosa più importante è quella di riuscire a governare il proprio Stato Qual è la priorità
con minore difficoltà, vale a dire con maggiore autorità di modo che, accrescendo la feli- per i sovrani?
cità dei suoi sudditi, possa accrescere la propria. Per questo, occorre sia sicuro non
soltanto che l’Unione non gli frapporrà ostacoli, ma anche che essa lo aiuterà a sottomet-
tere gli spiriti ribelli e a dar vita alle istituzioni da lui giudicate convenienti al proprio
bene e a quello dei suoi popoli; l’Unione infatti non si preoccuperà mai di giudicare la con-
dotta dei principi, limitandosi a sostenere sempre la volontà. Ora i sovrani saranno tanto
più disposti ad accordarsi l’uno con l’altro su questo articolo, quanto più saranno interes-
sati ad accrescere la loro autorità sui sudditi. Ogni principe sarà tanto più sicuro che il

ANALIZZARE E INTERPRETARE

A Il primo articolo getta le basi dell’Unione europea, che deve essere «permanente e perpetua» e che
ha le sue radici nella comune matrice cristiana dei popoli europei. Nella parte dedicata al Chiarimento, l’aba-
te di Saint-Pierre sottolinea come sia un bene che la Russia partecipi a tale Unione, dato anche il carattere
cristiano della religione professata in quel paese. Per garantire la sicurezza dei commerci nel Mediterraneo,
che è uno degli scopi del progetto, l’autore suggerisce di stabilire trattati di pace anche con i sovrani turchi
confinanti, fornendo garanzie sufficienti a evitare le guerre.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 25
corpo dell’Unione osserverà scrupolosamente questo articolo se i due terzi dei voti del-
l’Unione saranno formati da Stati monarchici, per contro gli Stati repubblicani non avranno
alcun interesse ad opporsi a questo aumento di autorità.
Se le repubbliche, infatti, da un lato, hanno da temere che il succedersi di troppi prin-
cipi dotati di grande saggezza in un regno non abbia a rendere il loro governo così at-
traente da far sì che i cittadini stessi degli Stati repubblicani vadano a stabilirsi in quella
monarchia, dall’altro, hanno ancor più da sperare che troppi principi mal avveduti abbiano
a gustare con i loro governi odiosi lo Stato a tal punto che molti sudditi di siffatti monar-
chi vengano a trapiantarsi, con le loro ricchezze e i loro talenti, nelle repubbliche.
Lo Stato monarchico ha certo un vantaggio. Questo sta nel fatto che in trent’anni la Quali sono
monarchia può raggiungere, nelle sue istituzioni, un grado di perfezione che una repubbli- i vantaggi dello
Stato monarchico?
ca non riuscirebbe a toccare in centocinquant’anni, il che trae origine da due cose: in pri-
mo luogo, il sovrano può sempre prendere su di sé pressoché tutto l’onore d’una grande
impresa, di una grande istituzione, di una politica ben avveduta ed è questa una molla
per farlo agire con forza e costanza. In secondo luogo, le decisioni di un monarca non so-
no mai contraddette, né nel momento della risoluzione, né in quello dell’esecuzione, men-
tre in una repubblica il merito di un’impresa è condiviso da tutti, il che certo costituisce
per ciascuno una spinta assai debole, senza contare che una decisione, per buona e utile
che possa essere è suscettibile d’esser contraddetta con forza tanto nel momento della ri-
soluzione, quanto in quello dell’esecuzione e la contraddizione viene a bloccarne tutti i
buoni effetti. Per contro, lo Stato repubblicano ha un vantaggio: una volta che una buona Quali sono i
istituzione sia stata ben formata, finisce con l’essere più durevole di quanto lo sarebbe in vantaggi dello Stato
repubblicano?
una monarchia. B
Articolo II
La società europea non si occuperà degli affari di governo di ciascun singolo Stato, a Qual è l’obiettivo
meno che ciò non venga richiesto dal bisogno di conservarne la forma fondamentale o da perseguito
dall’Unione?
quello di fornire un aiuto immediato e sufficiente ai principi delle monarchie e ai magi-
strati delle repubbliche contro i sediziosi e i ribelli. L’Unione garantirà altresì che le forme
di sovranità elettiva si mantengano per l’appunto elettive in quei paesi che contemplino
l’uso; che in quelle nazioni che hanno fra loro capitolazioni o convenzioni (pacta conventa)
tali forme di trattati siano scrupolosamente osservati; che quanti nelle monarchie abbiano
preso le armi contro il principe o, nelle repubbliche, contro qualcuno dei primi magistrati,
vengano puniti con la morte e abbiano confiscati i loro beni.
Chiarimento. Il principale effetto conseguito dall’Unione è quello di mantenere ogni
cosa in quiete nello stato in cui si trova e, dal momento che sono i sovrani stessi a decidere
di tutto mediante lo strumento costituito dai loro delegati, nessuno di essi può temere
questa assemblea, almeno non più di quanto abbia a temere se stesso.
So bene come sia impossibile, soprattutto nelle repubbliche, che non abbiano a nascere
conflitti di religione e come, a cagione dell’oscurità delle materie su cui si contende, sia
impossibile all’evidenza della verità mettere d’accordo due distinte posizioni. Cionondi-

B All’inizio di questo brano Saint-Pierre afferma che l’Unione ha il compito di rafforzare il potere dei
sovrani, garantendo il mantenimento dello status quo, cioè della condizione esistente nel momento in cui è
stato stipulato l’accordo; essa ha perfino la prerogativa di intervenire militarmente in aiuto di un sovrano
– o di un governo repubblicano – in caso di sommossa o di ribellione. Il suo obiettivo è infatti quello di
tutelare la pace interna ed esterna degli Stati che ne fanno parte, e dunque non le compete di «giudicare
la condotta dei principi». Saint-Pierre discute poi la differenza tra gli Stati retti da monarchie e quelli retti
da repubbliche (queste ultime erano all’epoca molto poche). Gli Stati repubblicani sono più soggetti alle divi-
sioni e alle indecisioni nelle scelte, mentre le monarchie possono contare in linea di massima sulla rapidità
delle decisioni del sovrano, che non vengono messe in discussione. Lo Stato repubblicano presenta un solo
vantaggio, consistente nel fatto che le istituzioni costituite e approvate a maggioranza, poggiando sul
consenso dei cittadini, possono risultare più durature rispetto a quelle dei regimi monarchici.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 26
meno è possibile, se non addirittura facile ai magistrati evitare che le contese arrivino si-
no al punto di turbare la tranquillità dello Stato. Basterà, sin dall’inizio, imporre a tutti il
silenzio, inviando in esilio o in carcere quelli che avessero o parlato o predicato o scritto
o pubblicato dopo l’interdetto. Il tempo scopre la verità, il che significa che non è impos-
sibile, in attesa che la verità stessa si palesi a tutti con evidenza, riuscire a far scampare ai
cittadini le divisioni e gli altri mali di cui ad essi è cagione l’oscurità. Ecco che cosa sarà,
con assoluta certezza, in tutti gli Stati d’Europa, la prudenza e l’autorità dell’Unione.
Non è affatto necessario che, per conservare la società, i cittadini abbian un medesimo
sentire su materie oscure e, sempre ammesso che questo sia loro possibile, l’uniformità
del sentire è, in siffatte occasioni, pressoché impensabile. L’unico fondamento della socie-
tà è la pace fra i cittadini. Di qui la necessità che ogni cittadino, per salvaguardare la so-
cietà, pratichi carità e indulgenza verso quegli stessi che crede in errore. Ecco quel che è
sempre non solo in potere del cittadino, ma anche il primo e il più indispensabile dei suoi
doveri.
Un vantaggio che sino ad ora le case regnanti non sono riuscite a trovare è quello di ga-
rantirsi una protezione efficace, onnipotente e perpetua durante i periodi di reggenza e in
tutte le altre congiunture di debolezza. C
Articolo III Che cosa deve
L’Unione impiegherà tutti i mezzi e porrà ogni cura per impedire che, in qualsiasi Sta- garantire l’Unione
nei periodi
to, nel periodo di reggenza, o in quello di minorità del principe e comunque in tempi di di debolezza di
debolezza del regno, venga fatto alcun danno al sovrano, sia nella sua persona, come nei uno degli Stati?
suoi diritti, venga questo danno dai suoi sudditi o dallo straniero. Ove sopravvenisse una
qualche sedizione, rivolta, cospirazione, sospetto d’avvelenamento o altra violenza si com-
pisse contro il principe o contro la casa regnante, l’Unione, in qualità di sua tutrice o di
sua protettrice naturale, invierà negli Stati del principe propri emissari all’esplicito scopo
d’esser, per loro mezzo, informata della verità dei fatti e in pari tempo invierà truppe per
punire i colpevoli con tutto il rigore delle leggi.
Chiarimento. È certissimo che questo articolo sarà assolutamente osservato giacché
non mancherà ai principi né il potere, né la volontà per farlo. Per quel che riguarda il po-
tere, la cosa è evidente. Per quanto concerne la volontà, la cosa non è meno evidente
giacché essi altro grandissimo interesse non hanno se non quello di gettar luce, con la
massima cura possibile, sui crimini che hanno fatto perire tanti principi e distrutto tante
case regnanti – delitti del resto che li riguardano così da vicino – facendo punire i colpe-
voli con tutta la severità immaginabile, e ciò allo scopo di porre ciascuno la propria casa
al riparo di simili sciagure per mezzo di punizioni così esemplari.
Per conservare la pace bisogna, finché è possibile, sopprimere i pretesti di guerra. Fra Qual è uno
questi pretesti, uno dei più importanti è l’ingrandimento territoriale, che non può esser dei principali
pretesti di guerra?
fatto che a spese dei vicini. Così prima base della pace è che ciascuno si contenti del suo
e che nessuno riguardi come suo quel che al presente non possiede. Ora, giacché tutto
quello che i principi al presente non posseggono può aver solo nome di speranza e prete-
sa, è assolutamente necessario che si contentino della quota di territorio che posseggono
al presente e cedano e abbandonino gli uni agli altri tutte le pretese, tutte le speranze
che potrebbero avere su tutto o parte del territorio dell’altro.
Uno dei punti principali per la sicurezza comune d’Europa consiste nella impossibilità
che alcuna delle case regnanti possa disporre di titoli di sovranità superiori a quanti ne
abbia al presente, nonché nella rinuncia, da parte di una casa regnante, ad acquisire

C Questo articolo, mentre torna a sottolineare come l’Unione non si debba occupare della politica
interna dei vari Stati, sancisce l’obbligo per tutti i membri di rispettare il patto di alleanza e di mantenere i
confini tra gli Stati nell’identica situazione in cui erano al momento della costituzione dell’Unione europea
medesima.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 27
alcunché per via di successione o di patto stipulato con altra casa regnante che le consen-
ta il diritto di succederle in mancanza di discendenza maschile di quest’ultima. D
Saint-Pierre, Progetto per rendere la pace perpetua in Europa,
in AA. VV., Filosofi per la pace, cit., pp. 60-65

D In caso di fragilità di uno Stato (a causa di malattia o minorità del sovrano, reggenze varie ecc.),
l’Unione farà di tutto per placare le sedizioni che dovessero nascere e riportare la situazione sotto control-
lo. Importante è, come l’abate dice nel Chiarimento all’articolo III, che l’Unione si renda conto che per con-
servare la pace bisogna intervenire a eliminare i pretesti di guerra, costituiti innanzitutto dalle mire espan-
sionistiche a livello territoriale.

B. Kant: l’obiettivo della pace perpetua


Il trattato kantiano Per la pace perpetua, pubblicato nel 1795, è uno degli scritti più La dipendenza
importanti della filosofia politica moderna e rappresenta un documento fondamenta- della politica
le per il pacifismo di tutti i tempi. A quanti accusano l’autore di utopia, Kant risponde soste- dalla morale
nendo che la politica deve in qualche modo dipendere dalla morale: «La politica dice:
“siate prudenti come serpenti”; la morale aggiunge (come condizione limitativa) e “senza
malizia come le colombe”. Se questi precetti non possono coesistere in un unico comando,
allora sorge veramente un conflitto della politica con la morale: ma se essi devono comun-
que venir uniti, allora l’idea della loro contrarietà è assurda, e la questione di come si possa
risolvere quel conflitto non è formulabile nemmeno più come problema» (I. Kant, Appendice
a Per la pace perpetua, cit., pp. 35-36). Secondo Kant, mentre non è ammissibile che il
politico elabori una morale personale, è necessario che la morale illumini la sfera
politica, in modo che la «prudenza» tipica della politica si concili con l’onestà.
Su questo impianto fortemente etico, il trattato kantiano argomenta a favore del- Struttura e
l’utilità e del dovere morale della pace, in due sezioni dedicate rispettivamente: 1) agli contenuti
articoli preliminari per la pace perpetua; 2) agli articoli definitivi per la pace perpetua. Due dell’opera
supplementi e un’appendice completano il breve scritto. Gli articoli preliminari sono
espressi in forma negativa e descrivono le cose da evitare: un trattato di pace non può
essere stabilito con la riserva mentale che in futuro ci sarà la guerra; nessun territorio di
uno Stato può essere acquistato da altri Stati; non possono esistere eserciti permanenti;
non possono essere contratti debiti pubblici in vista di future controversie tra Stati; nessun
governo deve intromettersi con la forza nella costituzione e nel governo di un altro Stato;
nessuno Stato in guerra deve spingersi ad atti di ostilità che minano la reciproca fiducia tra
Stati. Gli articoli definitivi, espressi in forma propositiva, possono ricondursi all’affer-
mazione che lo stato di pace non esiste nella realtà e, dunque, deve essere istituito.
La sua realizzazione presuppone le seguenti tre condizioni: 1) la costituzione civile di ogni
Stato deve essere repubblicana; 2) il diritto internazionale deve essere fondato su un fede-
ralismo di Stati liberi; 3) il diritto internazionale deve essere cosmopolitico e prevedere il di-
ritto di visita di ogni uomo sull’intera superficie della Terra.

Gli articoli preliminari


Per dare maggiore concretezza alla sua proposta, Kant procede con un’argomentazione
suddivisa in articoli di legge. Quelli preliminari vietano – come tutte le norme di legge –
alcuni comportamenti sbagliati, che compromettono la pace perpetua e contravvengono
al diritto cosmopolitico.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 28
da Kant, Per la pace perpetua T3
Testo palestra per l’analisi e il commento

1. «Nessun trattato di pace deve considerarsi tale, se è stato fatto con la tacita ri- In che cosa
serva di pretesti per una guerra futura». consiste la pace
autentica?
In tal caso esso sarebbe infatti un mero armistizio, una sospensione di ostilità, non
pace, che significa la fine di ogni ostilità; e aggiungervi l’aggettivo eterna costituisce
già un pleonasmo sospetto. Le cause di guerra futura già esistenti, anche se eventual-
mente ignote agli stessi attuali contraenti, vengono nel loro insieme annullate con il
trattato di pace, anche se potessero ricavarsi, cavillando con ogni possibile arguzia,
dai documenti d’archivio.
La riserva (reservatio mentalis) di antiche pretese da farsi eventualmente valere
in avvenire (delle quali nessuna delle parti contraenti vuole per il momento far men-
zione, perché entrambi i contraenti sono troppo esausti per continuare la guerra) e
da sfruttare con malvagità alla prima occasione favorevole a questo scopo, rientra
nella casistica gesuitica e, quando la cosa si giudichi in se stessa, è indegna dei sovra-
ni come è indegno di un loro ministro accondiscendere a simili calcoli.
Se però, secondo gli illuminati princìpi della ragion di Stato, si fa consistere il vero
onore dello Stato nell’accrescimento continuo di potenza, quali che siano i mezzi, al-
lora certamente tale formulazione apparirà una pedanteria di scuola. A
2. «Nessuno Stato indipendente (non importa se piccolo o grande) può venire ac- Perché non
quistato da un altro per successione ereditaria, per via di scambio, compera o dona- si può considerare
lo Stato come
zione». un bene di cui
Uno Stato infatti non è (come il territorio su cui ha la sua sede) un bene (patrimo- disporre come
nium): è una società di uomini, sulla quale nessun altro se non lei stessa può coman- si vuole?
dare e disporre. Incorporare ora lo Stato, che come tronco ha le sue proprie radici, in
un altro Stato a mo’ di innesto, significa sopprimerne l’esistenza come persona mora-
le, fare di questa una cosa: e ciò contraddice all’idea del patto originario senza il qua-
le non può concepirsi diritto sopra un popolo. A quale pericolo il pregiudizio di un
siffatto modo di acquisto, per cui anche gli Stati possono sposarsi fra di loro, abbia
esposto nei nostri tempi, anche i più recenti, l’Europa (poiché alle altre parti del
mondo tale sistema è sempre rimasto sconosciuto), è noto a chiunque; è un nuovo
genere di industria per cui con legami dinastici si può aumentare la propria potenza
senza dispendio di forze o anche estendere in tal modo il possesso territoriale. Anche
il vendere le truppe di uno Stato ad altro Stato, contro un nemico non comune, rien-
tra in un siffatto sistema, poiché con ciò si usa ed abusa dei sudditi come se fossero
cose di cui si può disporre a capriccio. B

ANALIZZARE E INTERPRETARE

A Nel primo articolo preliminare Kant distingue la mera sospensione della guerra (o armistizio) dallo
stato di pace vero e proprio, che non può essere che perpetuo. Nella storia dei popoli si sono avuti soltanto
armistizi, non una pace autentica. Il progetto kantiano si propone di inaugurare una pace definitiva.

B Con il secondo articolo Kant esclude che uno Stato indipendente possa venire acquistato da un altro
in qualsiasi forma: per successione ereditaria, per via di scambio, in seguito a una compravendita o a una
donazione. Uno Stato, argomenta infatti il filosofo, non si riduce al mero possesso territoriale, ma è sempre
anche una comunità di persone, che non può essere oggetto di transazione. In nota Kant scrive che «un
regno ereditario non è uno Stato che possa cadere in eredità di un altro Stato; ma è uno Stato in cui il dirit-
to di governare può essere trasmesso per via ereditaria a un’altra persona fisica. Lo Stato acquista allora un
sovrano, ma costui come tale (cioè in quanto possiede un altro Stato) non acquista lo Stato».

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 29
3. «Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo scomparire inte- Perché gli eserciti
ramente». permanenti
devono
Essi infatti minacciano incessantemente gli altri Stati con la guerra, dovendo sem- scomparire?
pre mostrarsi armati a tale scopo, ed eccitano gli altri Stati a gareggiare vicendevol-
mente in qualità di armamenti in una corsa senza fine: e siccome per le spese a ciò occor-
renti la pace diventa da ultimo ancor più oppressiva che non una breve guerra, così
tali eserciti permanenti diventano essi stessi la causa di guerre aggressive condotte
per liberarsi da quel peso. A ciò si aggiunga che assoldare uomini per uccidere o farli
uccidere appare un far uso di uomini come di semplici macchine e strumenti nelle
mani di un altro (dello Stato), il che non può affatto conciliarsi con il diritto dell’uma-
nità insito nella nostra persona. Cosa ben diversa è l’esercitarsi alle armi volontario e
periodico dei cittadini al fine di garantire con ciò se stessi e la patria dalle aggressioni
esterne. Lo stesso effetto avrebbe l’accumulazione di un tesoro di guerra, poiché
venendo ciò considerato dagli altri Stati come una minaccia di guerra, renderebbe
necessarie aggressioni preventive (dato che delle tre forze, quella dell’esercito, del-
l’alleanza e del denaro, quest’ultimo è probabilmente lo strumento di guerra più
sicuro), se a ciò non vi si opponesse la difficoltà di valutarne l’entità. C
4. «Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di controversie fra Stati da svol- Perché non
gere all’estero». bisogna contrarre
debiti pubblici?
Il cercare risorse dentro o fuori dello Stato nell’interesse dell’economia nazionale
(per costruire nuove strade, fondare nuovi insediamenti, istituire magazzini di riserva
per gli anni di scarso raccolto ecc.) non desta sospetti. Ma il sistema del credito visto
come un meccanismo con cui gli Stati si fronteggiano l’un l’altro, cioè poi un sistema
che porti all’aumento indefinito dei debiti, i quali sono sempre al riparo da una resti-
tuzione immediata (perché non tutti i creditori la richiederanno contemporaneamente):
questo sistema – ingegnosa invenzione fatta in questo secolo da un popolo commer-
ciante1 – costituisce una pericolosa forza finanziaria, vale a dire un tesoro destinato 1. Kant allude
a fare la guerra, e anzi un tesoro che supera quelli di tutti gli altri Stati presi insieme al popolo inglese.
Il sistema dei debiti
e che potrebbe esaurirsi solamente per la minaccia di una fatale diminuzione dei tri- pubblici venne
buti: pericolo che però può essere ancora a lungo ritardato per il ravvivarsi del com- introdotto durante
il regno di Guglielmo III
mercio e per la conseguente reazione sull’industria e sui profitti. Questa agevolazione (1688-1702).
a fare la guerra, congiunta con la tendenza a farla da parte dei detentori del potere
(tendenza che sembra inerente alla natura umana), è dunque un grave ostacolo alla
pace perpetua e tanto più si impone un articolo preliminare per rimuoverlo, quanto
più la comune inevitabile bancarotta finale dello Stato coinvolgerà nel danno altri
Stati che non ne hanno colpa e che scorgerebbero in ciò una pubblica lesione dei
loro diritti. Sono quindi perlomeno giustificati quegli Stati che si uniscono contro un
tale Stato e contro le pretese di esso. D
5. «Nessuno Stato deve intromettersi con la forza nella costituzione e nel governo Perché non
di un altro Stato». è lecito che uno
Stato intervenga
Che cosa infatti può giustificarlo a comportarsi in tal modo? Forse lo scandalo che con la forza
quello Stato dà ai sudditi di un altro Stato? Ma siffatto scandalo può piuttosto servire a dirimere
le questioni
interne di
un altro Stato?
C Con il terzo articolo Kant sostiene la necessità di impedire agli Stati di detenere eserciti permanen-
ti, una continua minaccia per la pace. Analogamente è vietato assoldare uomini all’estero; è però ammesso
l’addestramento militare periodico e libero in patria, come esercizio in caso di difesa. Alla fine del brano l’au-
tore si pronuncia anche contro l’accumulo di un eventuale «tesoro di guerra», che potrebbe essere interpre-
tato come una minaccia da parte degli altri paesi alimentandone l’ostilità.

D Il quarto articolo vieta l’accumulo di denaro per cause belliche e l’uso di contrarre debiti all’estero
per lo stesso obiettivo. Si tratta di pratiche dannose per la vita dei cittadini, fonte di conflittualità nei rappor-
ti tra le nazioni.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 30
di ammonimento per l’esempio dei grandi mali che un popolo si è attirato con la sua
anarchia: e in genere il cattivo esempio che una persona libera dà ad altri […] non
costituisce una lesione. Diverso sarebbe invece il caso di uno Stato che per discordie
interne si divide in due parti, ognuna delle quali si costituisce in uno Stato particola-
re che pretenda di dominare il tutto: nel qual caso l’aiuto prestato ad una delle parti
non potrebbe considerarsi come ingerenza esterna di uno Stato nella costituzione di
un altro (perché non di costituzione si tratta allora, bensì di anarchia). Finché però
tale conflitto intestino non si è apertamente manifestato, questo intervento di poten-
ze straniere sarebbe violazione dei diritti di un popolo indipendente in lotta solo con
un malessere interno, e l’intervento sarebbe esso stesso uno scandalo e renderebbe
malsicura l’autonomia di tutti gli Stati. E
6. «Nessuno Stato in guerra con un altro deve permettersi atti di ostilità che rende- Perché, anche
rebbero impossibile la reciproca fiducia nella pace futura: come, ad esempio, l’assoldare in periodi
di guerra,
sicari (percussores), ed avvelenatori (venefici), la rottura della capitolazione, bisogna evitare
l’istigazione al tradimento (perduellio) nello Stato al quale si fa guerra ecc.». atti di ostilità
Questi sono stratagemmi disonesti. Infatti una qualche fiducia nella disposizione che possano
compromettere
d’animo del nemico deve ancora sussistere anche nella guerra, poiché altrimenti non la pace futura?
potrebbe neppure concludersi alcuna pace e l’ostilità degenererebbe in una guerra di
sterminio (bellum internecinum). La guerra è infatti solo il triste mezzo necessario
nello stato di natura (dove non esiste tribunale che possa giudicare secondo il dirit-
to) per affermare con la forza il proprio diritto, non potendo in tale stato esser con-
siderata nemico ingiusto nessuna delle due parti (perché ciò presuppone già una
sentenza giudiziaria) e decidendo solo l’esito del combattimento (come nel cosiddet-
to giudizio di Dio) da quale parte stia il diritto: ma tra due Stati non è concepibile
una guerra punitiva (bellum punitivum) poiché tra essi non sussiste rapporto di
superiore ad inferiore. Ne segue che una guerra di sterminio in cui la distruzione può
colpire contemporaneamente entrambe le parti ed ogni diritto venire soppresso, da-
rebbe luogo alla pace perpetua unicamente sul grande cimitero del genere umano.
Una simile guerra, e con essa l’uso dei mezzi che vi conducono, dev’essere pertanto
assolutamente vietata. Ma che siffatti mezzi portino inevitabilmente a ciò risulta
chiaro dal fatto che, essendo quelle arti infernali in se stesse nefande, esse, una vol-
ta entrate nell’uso, non si manterrebbero a lungo nei confini della guerra – come ad
esempio l’impiego delle spie (uti exploratoribus) in cui si sfrutta solo la mancanza
del senso dell’onore di altre persone, la quale comunque non può venire sradicata –,
ma si estenderebbero anche allo stato di pace le cui finalità sarebbero quindi intera-
mente annullate. F
I. Kant, Per la pace perpetua, a cura di N. Merker, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 5-10

E Il quinto articolo afferma che uno Stato non deve intromettersi con la forza a dirimere le controver-
sie interne di un altro Stato, tranne quando si verifica uno “spaccamento” interno di quest’ultimo, qualora la
parte più forte voglia dominare sull’altra, provocando l’anarchia o la guerra intestina. In questo caso, infatti,
l’intervento armato in favore di una delle due fazioni non può essere inteso come arbitrario, ma come un
appoggio legittimo a salvaguardia dell’ordine e della pace.

F Il sesto articolo è molto significativo in quanto mostra come, per Kant, in qualsiasi situazione sia fon-
damentale considerare gli uomini come enti morali, degni di rispetto. Anche in guerra, pertanto, si devono
osservare le regole della convivenza civile e quindi non utilizzare strategie scorrette – come assoldare sica-
ri, istigare il popolo al tradimento e altre azioni simili – che renderebbero molto difficile ristabilire un clima di
fiducia una volta cessate le ostilità.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 31
Laboratorio
di analisi del testo
Negli articoli preliminari Kant indica le proibizioni che devono essere rispettate da parte
degli Stati per garantire il conseguimento della pace.

Analizza il brano nel modo seguente:


articolo 1
– sintetizza l’argomentazione di Kant a sostegno della tesi formulata nelle prime righe, utilizzando le
seguenti parole chiave: (max 8 righe)
armistizio – (pace) eterna – guerra futura – reservatio mentalis – accrescimento di potenza

articolo 2
– nessuno Stato indipendente può essere acquistato da un altro, in quanto ogni Stato non è:
(segna la risposta esatta)
a una società di uomini
b un patrimonio
c una persona morale
Motiva la risposta, chiarendo che cosa invece lo Stato è.

articolo 3
– riguardo al tema degli eserciti permanenti, segna le due affermazioni esatte.
Gli eserciti permanenti:
a con il tempo devono scomparire
b mantengono in equilibrio le forze militari degli Stati
c rendono gli uomini cose, mezzi nelle mani di altri
d sono da rigettare al pari delle milizie volontarie
Correggi le affermazioni errate.

articolo 4
– rispondi alle domande: (max 3 righe ciascuna)
1. per quali obiettivi è lecito che uno Stato ricerchi denaro al suo interno o all’estero?
2. quale tipo di sistema di credito, invece, costituisce una pericolosa forza finanziaria, e perché?
3. che cosa comporterebbe una bancarotta dello Stato sul piano internazionale?

articolo 5
– rispondi alle domande: (max 3 righe ciascuna)
1. perché Kant afferma che l’intromissione di uno Stato negli affari di un altro è ingiustificabile?
2. a quali condizioni, invece, tale intromissione è ammissibile?

articolo 6
– rispondi alle domande: (max 4 righe ciascuna)
1. che cosa devono assolutamente evitare gli Stati in guerra, per non compromettere la fiducia nella
pace futura?
2. che cosa può comportare l’assenza di tale fiducia?
3. a che cosa mira la guerra nello stato di natura?
4. perché, di conseguenza, il genere di guerra proprio dello stato di natura non è ammissibile tra Stati?
5. a quale sorta di “pace perpetua” condurrebbe una simile guerra?

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 32
Gli articoli definitivi
Nella seconda sezione del trattato kantiano il dovere etico della pace viene espresso in
tre articoli fondamentali che devono assicurare: 1) la forma repubblicana a ogni Stato che
voglia essere “civile”; 2) la federazione di liberi Stati; 3) l’universale diritto dell’ospitalità.

da Kant, Per la pace perpetua T4


Lo stato di pace tra uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura (status Perché la pace
naturalis), il quale è piuttosto uno stato di guerra nel senso che, se anche non si ha sempre va istituita?
uno scoppio delle ostilità, è però continua la minaccia ch’esse abbiano a prodursi. Lo stato di
pace deve dunque essere istituito, poiché la mancanza di ostilità non significa ancora sicu-
rezza, e se questa non è garantita da un vicino ad un altro (il che può aver luogo unicamente
in uno stato legale), questi può trattare come nemico quello a cui tale garanzia abbia richie-
sto invano. A
Primo articolo definitivo per la pace perpetua: Perché la forma
«La costituzione civile di ogni Stato dev’essere repubblicana». repubblicana
è alla base di ogni
La costituzione fondata: 1) sui princìpi della libertà dei membri di una società (in quanto costituzione civile?
uomini); 2) sui princìpi della dipendenza di tutti da un’unica comune legislazione (in quan-
to sudditi); 3) sulla legge dell’uguaglianza di tutti (in quanto cittadini), è la costituzione
repubblicana, unica costituzione che derivi dall’idea del contratto originario su cui ogni le-
gislazione giuridicamente valida di un popolo deve fondarsi. Questa costituzione è quindi in
se stessa, per ciò che riguarda il diritto, quella che sta originariamente a fondamento di tut-
te le specie di costituzioni civili, e v’è solo da domandarsi se essa sia anche l’unica che può
condurre alla pace perpetua. B
La costituzione repubblicana ora, oltre alla schiettezza della sua origine derivantele dal- Perché
l’essere scaturita dalla pura fonte dell’idea del diritto, presenta anche la prospettiva del fine la costituzione
repubblicana
desiderato, ossia della pace perpetua. La ragione ne è la seguente: se (come in questa costi- è preferibile
tuzione non può essere altrimenti) è richiesto l’assenso dei cittadini per decidere se la guer- in vista della pace
ra debba o non debba venir fatta, nulla è più naturale del fatto che, dovendo decidere di far perpetua?
ricadere su se stessi tutte le calamità della guerra (cioè combattere personalmente, pagarne
del proprio le spese, riparare a forza di stenti le rovine che la guerra lascia dietro di sé e da ul-
timo, per colmo dei mali, assumersi ancora un carico di debiti che renderà dura la pace stes-
sa a causa di successive sempre nuove guerre non potrà mai estinguersi), essi rifletteranno
a lungo prima di iniziare un così cattivo gioco: mentre in una costituzione in cui il suddito non
è cittadino e che pertanto non è repubblicana, la guerra è la cosa più facile del mondo perché
il sovrano non è membro dello Stato, ma ne è il proprietario, nulla ha da rimettere, a causa
della guerra, dei suoi banchetti, delle sue cacce, delle sue case di diporto, delle sue feste di
corte ecc., può quindi decidere la guerra alla stregua di una specie di partita di piacere, per
cause insignificanti, e per salvare le apparenze tranquillamente lasciare al corpo diplomatico,
pronto a ciò in ogni tempo, il compito di giustificarla. C
[…]

ANALIZZARE E INTERPRETARE

A Kant sottolinea come la condizione di pace non sia naturale per gli uomini, che devono invece “istituirla”,
cioè renderla effettiva con un atto di volontà. Gli Stati, infatti, non possono definirsi sicuri fintanto che non abbia-
no stabilito precise norme di diritto internazionale, in grado di garantire la cessazione “perpetua” delle ostilità.
B Secondo Kant la costituzione degli Stati civili deve essere repubblicana: questa forma di governo, infatti,
è in grado di garantire la libertà, la giustizia e l’uguaglianza, ma soprattutto deriva da un contratto sociale che impli-
ca il consenso da parte di tutti i cittadini. Kant si chiede se essa sia anche l’unica che possa garantire la pace.
C Il filosofo argomenta a favore della costituzione repubblicana perché, presupponendo il consenso dei
cittadini, assicura che essi non si pronuncino in favore di una guerra se non dopo attenta e ponderata riflessione:

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 33
Secondo articolo definitivo per la pace perpetua: Perché
«Il diritto internazionale dev’essere fondato su un federalismo di liberi Stati». una federazione
di Stati liberi
I popoli, in quanto Stati, possono essere considerati come singoli individui che, vivendo e sovrani è meglio
nello stato di natura (cioè nell’indipendenza da leggi esterne), si ledono a vicenda già per di un unico Stato
il solo fatto della loro vicinanza e ognuno dei quali, per la propria sicurezza, può e deve esi- che sottometta
tutti i popoli?
gere dall’altro di entrare con lui in una costituzione analoga alla civile, nella quale può ve-
nire garantito ad ognuno il proprio diritto. Questa sarebbe una federazione di popoli, che
non dovrebbe essere però uno Stato di popoli. In ciò vi sarebbe infatti una contraddizione,
poiché ogni Stato implica il rapporto di un superiore (legislatore) con un inferiore (colui
che obbedisce, cioè il popolo), mentre molti popoli in uno Stato costituirebbero un solo po-
polo: il che contraddice al presupposto (poiché qui noi dobbiamo considerare il diritto dei
popoli tra loro in quanto essi costituiscono altrettanti Stati diversi e non devono confon-
dersi in un solo ed unico Stato). […]
Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non può esservi altra maniera razio-
nale per uscire dallo stato naturale senza leggi, che è soltanto stato di guerra, se non rinun-
ciare, come i singoli individui, alla loro libertà selvaggia (senza leggi), consentire a leggi pub-
bliche coattive e formare così uno Stato di popoli (civitas gentium) che si estenderebbe
sempre più ed abbraccerebbe infine tutti i popoli della terra. Ma poiché essi, secondo la loro
idea del diritto internazionale, non vogliono ciò affatto e rigettano quindi in ipotesi ciò che
in tesi è giusto, così, in luogo dell’idea positiva di una repubblica universale (e perché non
tutto debba andare perduto) rimane soltanto il surrogato negativo di una lega permanente
e sempre più estesa, come unico strumento possibile che ponga al riparo dalla guerra e arre-
sti il torrente delle tendenze ostili contrarie al diritto, sempre però con il continuo pericolo
che queste erompano nuovamente […]. D
Terzo articolo definitivo per la pace perpetua: Qual è il diritto
«Il diritto cosmopolitico dev’essere limitato alle condizioni dell’universale ospitalità». cosmopolitico
fondamentale?
Qui, come negli articoli precedenti, non si tratta di filantropia ma di diritto, e ospitali-
tà significa quindi il diritto di uno straniero, che arriva sul territorio altrui, di non essere
trattato ostilmente. Può venirne allontanato, se ciò è possibile senza suo danno, ma fino a
che dal canto suo si comporta pacificamente, l’altro non deve agire ostilmente contro di lui.
Non si tratta di un diritto di ospitalità, cui lo straniero può fare appello (a ciò si richiede-
rebbe un benevolo accordo particolare, col quale si accoglie per un certo tempo un estra-
neo in casa come coabitante), ma di un diritto di visita spettante a tutti gli uomini, quel-
lo cioè di offrirsi alla socievolezza in virtù del diritto al possesso comune della superficie
della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma
devono da ultimo tollerarsi nel vicinato, nessuno avendo in origine maggior diritto di un al-
tro ad una porzione determinata della terra. Tratti inabitabili di questa superficie, il mare
e i deserti di sabbia, impongono separazioni a questa comunità umana, ma la nave e il
cammello (la nave del deserto) rendono possibile che su questi territori di nessuno gli

la guerra, infatti, va contro gli interessi del popolo sia dal punto di vista spirituale – per il carico di sofferenza
e disagio che comporta – sia dal punto di vista materiale – per le difficoltà, le carenze, gli stenti che ne
derivano –. Uno Stato monarchico, invece, può dichiarare guerra con molta più facilità, in quanto colui
che lo regge non subisce conseguenze dirette e immediate, conservando immutati i propri privilegi anche
nei periodi di crisi.

D Nel secondo articolo definitivo Kant afferma che il diritto internazionale deve essere fondato su un
federalismo di liberi Stati. Egli ribadisce anche un concetto esposto in altro luogo, secondo cui è un bene
che gli Stati siano molti e non confusi in un unico organismo internazionale. Pertanto, quando parla di diritto
internazionale l’autore intende dire che si deve arrivare alla costituzione di un diritto comune di Stati
sovrani, una «lega permanente e sempre più estesa» di nazioni che s’impegnano a rispettare alcune
norme internazionali, tese a favorire la pace perpetua.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 34
uomini reciprocamente si avvicinino, e che il diritto sulla superficie, spettante in comune
al genere umano, venga utilizzato per eventuali scambi commerciali. L’inospitalità degli
abitanti delle coste (ad esempio, dei Barbareschi) che si impadroniscono delle navi nei
mari vicini o riducono i naufraghi in schiavitù, l’inospitalità degli abitanti del deserto
(ad esempio dei beduini arabi) che si credono in diritto di depredare quelli che si avvicinano
alle tribù nomadi, è dunque contraria al diritto naturale. Ma questo diritto di ospitalità,
cioè questa facoltà degli stranieri sul territorio altrui, non si estende oltre le condizioni che
si richiedono per rendere possibile un tentativo di rapporto con gli antichi abitanti. In questo
modo parti del mondo lontane possono entrare reciprocamente in pacifici rapporti, e questi
diventare col tempo formalmente giuridici ed infine avvicinare sempre più il genere umano
ad una costituzione cosmopolitica.
Se si paragona con questo la condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto degli Qual è l’ingiustizia
Stati commerciali del nostro continente, si rimane inorriditi a vedere l’ingiustizia ch’essi commessa
dagli Stati
commettono nel visitare terre e popoli stranieri (il che è per essi sinonimo di conqui- cosiddetti “civili”?
starli). L’America, i paesi dei negri, le Isole delle spezie, il Capo di Buona Speranza
ecc., all’atto della loro scoperta erano per loro terre di nessuno, non tenendo essi in
nessun conto gli indigeni. Nell’India orientale (Indostan), con il pretesto di stabilire ipo-
tetiche stazioni commerciali, introdussero truppe straniere e ne venne l’oppressione
degli indigeni, l’incitamento dei diversi Stati del paese a guerre sempre più estese, ca-
restia, insurrezioni, tradimenti e tutta la rimanente serie dei mali, come li si voglia elen-
care, che affliggono il genere umano.
La Cina e il Giappone (Nippon) avendo fatto esperienza di tali ospiti, hanno perciò sag-
giamente provveduto, la prima a permettere solo l’accesso ma non l’ingresso agli stranieri,
il secondo a permettere anche l’accesso ad un solo popolo europeo, agli olandesi, che pe-
rò sono, quasi come prigionieri, esclusi da qualsiasi contatto con gli indigeni. Il peggio (o il
meglio, se si considera la cosa dal punto di vista di un giudice morale) è che tali Stati non
traggono poi nemmeno vantaggio da queste violenze, che tutte queste società commercia-
li sono sull’orlo della rovina, che le Isole dello zucchero, sedi della schiavitù più crudele e
raffinata, non danno alcun reddito reale, ma lo danno solo indirettamente e per di più per
uno scopo non molto lodevole, poiché servono a fornire marinai per le flotte militari e quin-
di di bel nuovo a intraprendere guerre in Europa; e questo fanno gli Stati che ostentano
una grande religiosità: e mentre commettono ingiustizie con la stessa facilità con cui si be-
ve un bicchier d’acqua, vogliono farsi passare per nazioni elette in fatto di ortodossa osser-
vanza del diritto.
Siccome ora in fatto di associazione (più o meno stretta o larga che sia) di popoli della Perché
terra si è progressivamente pervenuti a tal segno, che la violazione del diritto avvenuta in è necessario
il diritto
un punto della terra è avvertita in tutti i punti, così l’idea di un diritto cosmopolitico non è cosmopolitico?
una rappresentazione fantastica di menti esaltate, ma una necessaria integrazione del codi-
ce non scritto, così del diritto pubblico interno come del diritto internazionale, al fine di
fondare un diritto pubblico in generale e quindi attuare la pace perpetua alla quale solo a
questa condizione possiamo lusingarci di approssimarci continuamente. E
I. Kant, Per la pace perpetua, cit., pp. 12-24

E Nel terzo articolo definitivo Kant stabilisce il diritto di ogni uomo di visitare tutti i luoghi della Terra senza
essere trattato come un nemico. Si tratta di un «diritto di visita» che deriva dalla stessa conformazione della Terra,
la quale, non essendo infinita, ma rotonda e quindi limitata, impone agli uomini di tollerarsi e rispettarsi vicende-
volmente. Il filosofo, quindi, critica il comportamento degli Stati cosiddetti civili, i quali scambiano la “visita” agli altri
paesi con la “conquista”. Si tratta di nazioni che, pur vantandosi della propria correttezza in fatto di diritto e di
morale, commettono gravi ingiustizie, non tenendo in alcun conto i diritti degli indigeni o arrivando addirittura a
renderli schiavi, per poi impiegarli nelle nuove guerre che sorgono in Europa. Proprio questa sistematica violazio-
ne del diritto rende indispensabile, secondo Kant, l’elaborazione di norme internazionali a cui ci si debba sotto-
mettere e che garantiscano la pace e il rispetto di tutti gli uomini della Terra.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 35
C. Bentham: l’idea della pace universale
Il testo che proponiamo, Progetto per una pace universale e perpetua, risale agli
anni tra il 1786 e il 1789 e affronta il tema della pace vista come condizione della prospe-
rità del commercio e della libertà dei viaggi. Se si considera che l’Inghilterra era la
prima potenza navale dell’epoca, non è difficile capire l’interesse nutrito dall’autore per una
politica di pace. Ciò che contraddistingue il progetto di Bentham è il suo carattere partico-
larmente concreto e realistico: gli Stati europei e soprattutto l’Inghilterra hanno tutto da
guadagnare da una condizione di pace. Si coglie in questo scritto quello che è un tratto tipico
dell’etica utilitarista, secondo cui nell’agire bisogna cercare di conseguire risultati che
producano il massimo di felicità riducendo al minimo le sofferenze. Per assicurare la
pace, però, è necessario che i cittadini siano informati riguardo alla politica estera del pro-
prio paese ed esercitino un controllo su essa. È il tema della trasparenza dell’azione
amministrativa, che costituisce un aspetto programmatico molto importante della tradi-
zione liberale inglese.

Una proposta realistica


Presentando il suo saggio, Bentham estende all’intero globo terrestre il progetto
di pace e richiama subito l’attenzione sul realismo della propria proposta, che non può es-
sere interpretata come una mera utopia.

da Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua T5


Questo saggio ha per oggetto la presentazione al mondo di un progetto di pace univer- Qual è il progetto
sale e perpetua. Il globo è il campo che l’autore aspira a dominare; la stampa il suo stru- che l’autore
si prefigge
mento ed il solo che egli usi; lo spazio occupato dal genere umano il teatro della sua rap- con il suo saggio?
presentazione.
1. Nel diritto
I più felici fra gli uomini sono precipitati nel dolore dalla guerra; i più saggi, anzi persino internazionale del
i più sciocchi, sono comunque sempre saggi abbastanza da attribuire le più gravi delle loro Seicento e Settecento
sofferenze a quella causa. «dipendenza» indica
qualsiasi territorio
Il progetto che qui verrà illustrato si fonda su due proposizioni principali: 1. Riduzione che, per diritto
e fissazione delle forze delle diverse nazioni che costituiscono il sistema europeo; 2. Indi- dinastico o
di conquista,
pendenza delle dipendenze1 remote dei singoli Stati. Ambedue le proposizioni hanno i rientra nella sfera
loro vantaggi, ma nessuna delle due, come apparirà evidente, sarebbe del tutto rispon- di sovranità
della corona.
dente allo scopo, ove non fosse accompagnata dall’altra.
Sull’utilità di una tale universale e durevole pace, qualora un piano inteso a tal fine fosse Qual è l’unica
praticabile e suscettibile d’esser adottato, non si può non esser d’accordo. La sola obiezione obiezione
che può essere
ad esso è la sua apparente impraticabilità, il che è quanto dire che un tale progetto non mossa a tale
soltanto è senza speranza, ma lo è altresì in misura tale che ogni proposta di mandarlo ad progetto?
effetto meriterebbe d’esser tacciata quale visionaria e ridicola. Il primo impegno che mi
assumo è quello di rimuovere questa obiezione, giacché respingere un siffatto pregiudizio
ci sembra condizione necessaria per attirare l’attenzione sul progetto.
Che cosa potrebbe meglio predisporre la mente degli uomini ad accogliere una tale
proposta, se non la proposta stessa?
Non mi si opponga che i tempi non sono maturi. Quanto più intensamente si vorrà che
lo siano, tanto più presto cominceremo a porre mano a quel che si può fare per maturarli
e tanto maggiormente opereremo a tal scopo. Una proposta di tal sorta è una di quelle cose
che non arrivano mai né troppo presto, né troppo tardi.
Chi, fra quanti si chiamano cristiani, rifiuterà il sostegno delle sue preghiere? Quale A chi fa
pulpito vorrebbe mai ricusarmi l’appoggio della sua eloquenza? Cattolici e Protestanti, appello l’autore?
seguaci della Chiesa d’Inghilterra e dissidenti, se anche in disaccordo su ogni altra cosa,

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 36
su questa almeno concorderebbero. A tutti costoro faccio appello perché mi offrano il
soccorso del loro favore e del loro appoggio.
Le pagine che seguono hanno di mira la comune felicità di tutte le nazioni civili e se-
gnatamente della Gran Bretagna e della Francia.
Il fine che mi propongo mi spinge a caldeggiare questi tre grandi obiettivi: chiarezza nei
governi, frugalità nelle nazioni, pace. A
J. Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua, in AA. VV., Filosofi per la pace, cit., pp. 183-184

ANALIZZARE E INTERPRETARE

A Nel brano Bentham espone il suo progetto per una pace durevole, preoccupandosi di rispondere
all’obiezione circa la sua impraticabilità. L’appello di Bentham è rivolto a tutti coloro che sono interessati alla
felicità degli uomini: ai politici come ai religiosi, agli uomini di Stato come a quelli di Chiesa. Significativa è la
sottolineatura dell’appoggio che l’autore si aspetta indifferentemente dai cattolici e dai protestanti, dagli
anglicani e dai dissidenti; nessuno, tra questi, potrebbe essere in disaccordo sul tema della pace, che si arti-
cola in tre grandi obiettivi: il raggiungimento della trasparenza nella politica estera delle nazioni, la riduzione
e la regolamentazione delle forze militari delle varie nazioni, la pace tra esse, in riferimento anche alla liber-
tà che devono ottenere i territori sottoposti a dipendenza.

Il necessario carattere pubblico degli atti governativi


Nel brano seguente Bentham sottolinea, con un’argomentazione estremamente efficace,
come la pubblicità, cioè la trasparenza e chiarezza, degli atti di governo sia garan-
zia di libertà e pace.

da Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua T6


È opportuno e necessario non tollerare più la segretezza nell’operato del ministe- Perché è
ro degli Esteri d’Inghilterra, tale segretezza essendo altrettanto inutile quanto ripu- opportuno
non tollerare
gnante agli interessi della libertà e a quelli della pace. la segretezza
Se esiste una regola che impone di gettare un velo di segretezza sui rapporti che inter- degli atti
corrono fra il Gabinetto e le Potenze straniere, non è certo mio compito contestare che la di governo?
si applichi. La mia obiezione investe piuttosto la legittimità della regola stessa.
[…]
Comincio con l’affrontare la questione nei suoi aspetti più significativi e generali, avan-
zando due considerazioni pregiudiziali:
1. Non può, né deve esser permesso che in alcuna situazione negoziale, così come in al-
cuna fase di essa, il Gabinetto di questo paese conduca negoziati, tenendone quanto più
è possibile all’oscuro il pubblico. Ancor meno si può e si deve permettere che ne sia tenu-
to all’oscuro il Parlamento, specie a seguito di un’interrogazione parlamentare.
2. Qualsiasi cosa possano affermare negoziati preliminari, non si può né si deve permettere
che un segreto di tal genere venga mantenuto a riguardo di trattati effettivamente conclusi.
Sia nell’uno come nell’altro caso, una siffatta segretezza è, a un tempo, nociva e non
necessaria.
È nociva. Non si può applicare alcun controllo su misure delle quali non si abbia alcu-
na nozione. Misure poste in esecuzione senza informazione preventiva, non possono esser
bloccate, per rovinose che possano essere e per decisa che potrebbe esserne la disappro-
vazione, ove le si conoscesse. Gli esiti in generale dei negoziati condotti con le Potenze
straniere in tempo di pace o sono trattati di alleanza, offensiva o di difesa, o sono trattati
commerciali. Comunque, per una ragione o per l’altra, ogni effetto di essi può esser tale
da condurre alla guerra.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 37
Che in nuovi trattati di commercio in quanto tali non possa esserci motivo alcuno di se-
gretezza, è una tesi che può difficilmente essere contestata. Solo – è questa l’obiezione
che si può avanzare – che tali negoziati, al pari di tutti gli altri, possono alla fine condur-
re alla guerra e ogni cosa che si connetta alla guerra può esigere la segretezza.
Resta comunque il fatto che regole, le quali consentono a un ministro di trascina-
re la nazione in guerra contro la sua volontà, sono essenzialmente nocive e anticosti-
tuzionali. A
[…]
Dal momento che al modo stesso in cui non abbiamo nulla da temere da un’altra nazio- Qual è il senso
ne o da altre nazioni, così non abbiamo niente da dir loro o da sentire da loro, che non po- della segretezza?
trebbe esser pubblico al pari delle leggi tutte. Che senso ha allora il velo di segretezza che
avvolge l’operato del Gabinetto? Un mero ornamento della debolezza e della follia; una
dispensa dalla fatica di pensare donata ai ministri; una garanzia fornita allo svolgimento di
maneggi folli e idioti, che nessuno può vedere, né controllare; una licenza ad essi conces-
sa di giocare d’azzardo con i loro colleghi stranieri, arrischiando le nostre vite e le nostre
fortune.
Qual è allora il vero senso ed effetto della segretezza? Che le prerogative della posizio-
ne occupata possano fornire alimento alla vuota vanità; che le persone del giro possano
avere, per così dire, un giornale tutto per loro; che, favorite da questa sorta di monopolio
dell’informazione, l’ignoranza e la incapacità possano darsi le arie della saggezza; che un
uomo, peraltro incapace di scrivere o di dire che cosa varrebbe la pena pubblicare in
un giornale, possa con spocchia affermare: «io non leggo i giornali», come se un genitore
dicesse: «non sto a rompermi il capo con gli insegnanti»; infine che un ministro, messo
al riparo dal biasimo al riguardo, possa perciò stesso avere la buona opportunità di far
occupare dei posti da nullità ossequiose, anziché da uomini efficienti. Tutte cose queste
buone a fare un ministro, i cui scritti sono preparati da altri e il cui dovere nel parlare si
risolve nello star zitto.
Occorre perciò riconoscere che se la segretezza, in quanto ad essa contraria, è inutile
e pericolosa per la nazione, non è certamente né inutile, né pericolosa per i suoi servitori.
Essa rientra, infatti, fra le douceurs1 di una carica; è un incentivo il cui valore va misurato 1. Le “dolcezze”,
sulla scarsa personalità e la ristrettezza di vedute dei servitori stessi. La segretezza serve nel senso
dei “benefici”.
a solleticare i servitori del popolo con l’idea della loro importanza e ad insegnar loro a
guardare dall’alto in basso i loro padroni, cioè il popolo stesso. B
J. Bentham, Progetto per una pace universale e perpetua, in AA. VV., Filosofi per la pace, cit., pp. 185-200

ANALIZZARE E INTERPRETARE

A Bentham afferma con forza che la segretezza sulle trattative tra il governo e le potenze stra-
niere non è tollerabile. In particolare avanza due considerazioni: la prima riguarda la necessità che il
Parlamento venga informato delle trattative in corso; la seconda l’esigenza di rendere pubblici i trat-
tati già conclusi. La segretezza in questi casi è per il filosofo nociva e superflua: nociva, in quanto non
consente il controllo delle decisioni prese e quindi la loro eventuale critica; superflua, in quanto non è
richiesta dai trattati commerciali. Qualora poi si imponga la sua adozione in caso di guerra, rimane il
fatto che non è accettabile che un ministro trascini la nazione in azioni belliche contro la volontà dei
cittadini.

B Dal momento che, secondo Bentham, una nazione non dovrebbe avere nulla da temere da
parte delle altre, non si comprende l’esigenza della segretezza, che sembra piuttosto un espediente
adottato dai politici per salvaguardare i propri interessi privati. Essa non è infatti di nessuna reale uti-
lità per lo Stato e risulta invece pericolosa perché fa sì che coloro che dovrebbero essere i servitori
del popolo ne diventino al contrario i manipolatori (fornendo informazioni distorte) e i padroni (deci-
dendo autonomamente il destino dei cittadini).

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 38
S PAZIO AL DIBATTITO

1. I progetti di pace perpetua nella prospettiva contemporanea


Il testo seguente pone a confronto il modello cosmopolitico delineato da Kant con gli obiettivi e gli strumenti
che gli organismi internazionali (ad esempio la NATO, a cui si accenna nel brano) perseguono e mettono in campo ai
giorni nostri per fronteggiare le guerre.

deriamo menzionare l’istituzione dei tribunali ad


G li obiettivi e gli strumenti proposti dal modello
cosmopolitico differiscono radicalmente da
quelli perseguiti dalla NATO 1 . Se l’obiettivo dell’in-
hoc per i crimini contro l’umanità perpetuati nel-
l’ex Jugoslavia e nel Ruanda e la firma del trattato
terferenza è quello di garantire il rispetto dei diritti istitutivo della Corte penale internazionale, sono
individuali, gli strumenti da utilizzare sono quelli ancora troppo pochi rispetto al continuo ripetersi
capaci di rintracciare e punire i responsabili effet- di emergenze internazionali. I progetti di pace per-
tivi dei reati. Ciò significa, in primo luogo, che la petua continuano a conservare, dopo più di due se-
comunità internazionale dovrebbe ricercare il soste- coli, la loro capacità di proporre vie alternative a
gno dei popoli stessi. Non è mai successo, né nel quelle praticate. Invitiamo il lettore a soffermarsi
Golfo Persico, né in Somalia e ancora meno nell’ex su quanto sostiene Jean-Jacques Rousseau in tema
Jugoslavia 2 , che gli Stati occidentali abbiano ricer- di interessi reali e interessi apparenti in materia di
cato nei popoli della regione gli interlocutori pri- guerra e pace, sulla proposta di Jeremy Bentham
vilegiati della propria azione politica a difesa dei di rendere pubblico l’operato dei ministeri degli
diritti umani. esteri, sull’idea di James Madison di subordinare ai
Non si tratta di un incidente di percorso, bensì di voleri del popolo la facoltà del governo di combat-
una logica conseguenza del modo in cui sono oggi tere la guerra, sullo sforzo di Immanuel Kant di
organizzati i rapporti internazionali. Sono infatti i concepire un diritto cosmopolitico per prevenire la
governi, chiamati a difendere gli interessi di un de- violazione del diritto in qualsiasi parte del mondo.
terminato territorio, a prendere decisioni in materia Sono temi che ritornano nel dibattito contempora-
di guerra e stabilire gli strumenti da usare. Per il neo ogni volta che si valutano decisioni politiche
modello cosmopolitico, invece, solo i cittadini del drammatiche come quelle relative alla guerra e al-
mondo sono i soggetti legittimati a stabilire gli obiet- la pace e che ancora attendono tristemente di es-
tivi e gli strumenti dell’interferenza umanitaria. sere resi obsoleti dall’evoluzione storica.
Come si vede, si tratta di una prospettiva tanto D. Archibugi - F. Voltaggio, Poscritto 1999, in AA. VV., Filo-
attuale quanto ancora non realizzata. I passi com- sofi per la pace, a cura di D. Archibugi - F. Voltaggio,
piuti, anche nell’ultimo decennio, tra i quali desi- Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 306-307

1. L’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (in inglese North 2. Quelli citati sono alcuni dei paesi in cui è stato richiesto l’intervento
Atlantic Treaty Organization, da cui la sigla NATO ) è un’organizzazione delle organizzazioni internazionali. In particolare, la Guerra del Golfo
internazionale finalizzata alla difesa militare. Il trattato su cui si fon- (2 agosto 1990 - 28 febraio 1991) è il conflitto che oppose l’Iraq a una
da, il Patto Atlantico, venne firmato a Washington il 4 aprile 1949 ed coalizione composta di 35 Stati, formatasi sotto l’egida dell’ ONU e
entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno. Esso ebbe origine dal- guidata dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del
le tensioni che, a conclusione della Seconda guerra mondiale, emer- Kuwait, invaso dall’Iraq. In Somalia, invece, l’ ONU intervenne per fa-
sero tra le nazioni occidentali, entrate nella sfera di influenza degli cilitare gli aiuti umanitari e per svolgere un’azione di mediazione nella
Stati Uniti, e l’altro paese vincitore della guerra, ossia l’Unione Sovie- sanguinosa guerra civile scoppiata in quel paese nei primi anni Novanta
tica, con i suoi cosiddetti “Stati satellite”. Dopo la caduta del muro di del Novecento; la missione però fallì e nel 1995 l’Organizzazione delle
Berlino nel 1989 la NATO ha radicalmente cambiato la sua visione Nazioni Unite dovette ritirare le proprie forze. Nell’ex Iugoslavia, infine,
strategica, avviando un processo di trasformazione reso ancora più il 21 febbraio 1992 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite istituì la
radicale dagli eventi drammatici dell’11 settembre 2001: attualmente Forza di protezione delle Nazioni Unite, con il compito di creare le
si configura come un’organizzazione mondiale per la lotta al terrori- condizioni di pace e di sicurezza necessarie per raggiungere una solu-
smo internazionale. zione della crisi iugoslava in atto dopo la dissoluzione della Repubblica
Federale Socialista di Iugoslavia e la conseguente secessione delle sue
repubbliche: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia.

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 39
A TE LA PAROLA
1. I progetti di pace delineati nell’unità, in particolare quello di Kant, risultano ancora in gran parte irrealizzati. Perché, a tuo
avviso, gli organismi internazionali preposti alla pace, come l’ONU, non sono riusciti a evitare le guerre negli ulti-
mi cinquant’anni?
2. È realizzabile, a tuo avviso, l’idea kantiana del modello cosmopolitico, secondo cui vanno colpiti i diretti responsa-
bili dei reati contro l’umanità, e non l’intera nazione di cui essi fanno parte, come invece è avvenuto con le guerre nel Gol-
fo Persico e nella ex Iugoslavia, o in quella contro l’Afghanistan dopo l’attentato dell’11 settembre alle Torri gemelle di New
York?
3. A tuo avviso è sufficiente l’interesse dimostrato dall’opinione pubblica mondiale sui temi della guerra e della pa-
ce? La trasparenza politica, così cara a Bentham, secondo te è rispettata nelle nostre società? I cittadini sono in grado
di valutare e orientare le scelte dei governi su questi temi così importanti?

2. Le idee kantiane di giustizia internazionale e cosmopolita


sono ancora attuali?
Nel brano che proponiamo, la filosofa e politica inglese Onora O’Neill, nel contesto dell’XI Congresso kantiano inter-
nazionale tenutosi a Pisa dal 22 al 26 maggio 2010, pone alcuni interrrogativi circa l’attualità della concezione di giu-
stizia internazionale e cosmopolita di Kant. In particolare, la sua attenzione è rivolta al tentativo del filosofo
di unire idealismo e realismo, l’idea di giustizia e la sua applicabilità.

violazioni e restrizioni della libertà altrui avvengono e


N ell’ultimo decennio la filosofia politica ha prodotto
un’egregia quantità di scritti attorno al cosmopoliti-
smo, e non è sorprendente in un mondo in via di globaliz-
vanno limitate con la coercizione autorizzata. […]
Giustizia tra stati
zazione. Molti degli autori invocano la reputazione e l’au- Per la giustizia il realismo ha un costo. Dopo aver
torità di Kant, eppure la posizione dei contemporanei è sottolineato che essa richiede «condizioni alle quali e
molto distante da quella che egli delineò […]. Alcuni filo- soltanto alle quali ognuno è libero di godere dei propri
sofi rivendicano oggi una parità globale dei diritti umani diritti», Kant afferma che essa richiede uno stato che
o una (ri)distribuzione globale dei beni e delle opportu- faccia applicare le leggi […].
nità, per le quali sarebbe necessario uno stato mondiale. Giustizia internazionale
Altri insistono sull’eguaglianza degli esseri umani, non Eppure creare uno stato mondiale o un altro orga-
considerano per forza ingiusta né una pluralità politica nismo che faccia rispettare detti principi potrebbe
[…] né una diversità economica […]. Ovunque si collo- acuire il problema invece che risolverlo, e creare solo
chino lungo questo spettro, identificano prima ideali e ulteriori ingiustizie […]: la giustizia internazionale
criteri e poi discutono delle istituzioni necessarie. presuppone una pluralità di stati. Può essere fatta ri-
Kant fa il percorso inverso. Parte dalle istituzioni ne- spettare solo da un accordo tra stati che formano
cessarie per applicare a tutti gli stessi criteri. La questio- «una libera federazione […]», la quale […] consente
ne governa la sua prospettiva sulla giustizia interna, in- agli stati di estendere l’applicazione della giustizia at-
ternazionale e cosmopolita e lo porta a una versione del traverso reciproche garanzie di integrità territoriale e
cosmopolitismo che unisce idealismo e realismo. il ripudio dei presunti diritti di fare la guerra. […] una
Giustizia e coercizione autorizzata simile lega avrebbe poteri meno numerosi e intrusivi
Kant pensa che, diversamente dalla virtù, la giustizia di quelli delle Nazioni Unite.
deve essere applicabile […] I principi del diritto – della La giustizia cosmopolita e il lontano futuro
giustizia – devono valere per tutti, come esige l’impera- Un realismo simile segna anche l’idea kantiana di
tivo categorico, e devono essere applicabili. La giustizia giustizia cosmopolita. Questa stabilisce criteri per i
esige la stessa libertà e la stessa limitazione di scelta per modi in cui gli stati possono trattare gli individui sen-
tutti; stabilisce criteri realistici per un mondo nel quale za cittadinanza. Devono concedere loro un diritto

La pace tra gli Stati e la prospettiva del cosmopolitismo © Pearson Italia S.p.A. - D. Massaro 40
all’ospitalità o un diritto al ricorso […]. La giustizia verso la pace globale e la stessa giustizia devono
cosmopolita comprende perciò i diritti di essere ospi- soddisfare requisiti di giustizia? O questi ne osta-
te di un altro stato, di asilo o rifugio, di migrazione colerebbero il progresso? Non ci sono risposte ov-
economica, di stabilirsi in altri stati o di colonizzarli. vie a queste domande e idee ambiziose per una
Tuttavia il diritto all’ospitalità non è soltanto «giustizia aldilà dei confini» possono distrarci da
quello di viaggiare per scopi triviali o turistici. È in- questioni serie. Si concentrano su criteri irreali-
vece quello di comunicare e «operare per la realizza- stici o idealizzanti? Condonano le ingiustizie se
zione della pace perpetua». Senza tale diritto gli in- contribuiscono a realizzare la giustizia? Importa
dividui potrebbero fare ben poco per contribuire a se il progresso verso la pace e la giustizia è rag-
creare un mondo più giusto e in pace. […] giunto senza giustizia? Abbiamo bisogno di ascol-
Cosmopolitismo allora e oggi tare gli argomenti degli stranieri?
Le idee kantiane di giustizia internazionale e da “Il Sole 24 ore”,
cosmopolita importano ancora? La lenta marcia domenica 6 giugno 2010

A TE LA PAROLA
1. Come mette in evidenza l’autrice del brano, secondo Kant i principi del diritto devono valere per tutti e devono esse-
re applicabili. Ciò significa che alla base delle istituzioni statali, ma anche a fondamento della «lega di stati» preposta alla re-
golamentazione dei rapporti tra le nazioni, deve esserci un’idea di giustizia universalmente riconosciuta e accetta-
ta, che esse si impegnano a realizzare e a salvaguardare. A tuo avviso, organizzazioni sovranazionali come l’ONU e la
NATO potrebbero esistere in una prospettiva di questo tipo?

2. A proposito della giustizia cosmopolita, l’autrice del brano sottolinea l’importanza del «diritto di ospitalità» affermato
da Kant, il quale lo considera come il presupposto imprescindibile per creare un mondo più giusto e in pace. Prova a trasfe-
rire il principio kantiano nell’attualità e valuta quali potrebbero essere le conseguenze della sua applicazione, ad esempio
in relazione al problema dell’afflusso di extracomunitari nelle nostre società e alle misure adottate dai governi per
fronteggiarlo.

SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI E MULTIMEDIALI


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bugi - F. Voltaggio, Editori Riuniti, Roma 1999. crazie e la politica di potenza, Il Mulino, Bolo-
F. Amato, Capire la guerra, Franco Angeli, Mila- gna 1997.
no 1994. L. Tundo, Kant. Utopia e senso della storia. Pro-
D. Archibugi - D. Beetham, Diritti umani e demo- gresso,, cosmopoli,, pace, Dedalo, Bari 1998.
crazia cosmopolitica, Feltrinelli, Milano 1998. D. Zolo, Cosmopolis. La prospettiva del governo
E. Balducci - L. Grassi, La pace realismo di mondiale, Feltrinelli, Milano 1995.
un’utopia. Testi e documenti, Principato, Mi-
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N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi,
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N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della • http://www.sapere.it/enciclopedia/
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L. Bonanate, Una giornata del mondo. Le con- • http://it.wikipedia.org/wiki/Per_la_pace_perpetua
traddizioni della teoria democratica, Bruno • http://www.emsf.rai.it/articoli/articoli.asp?d=18
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Enciclopedia Einaudi, vol. 10, voce “Pace”, a cura Corradetti.pdf
di B. Manin, Einaudi, Torino 1980, pp. 296-319. • http://www.filosofico.net/kantpaceperpetua.htm

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