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AFFETTO

Un giorno un uomo molto ricco ma «per bene» che


conosceva la vita anche grazie alla mondanità e alle cose
futili e costose entrò nell’immensa casa di famiglia con
l’intenzione di «far capire» alla moglie che non l’amava più
pure amandola moltissimo. Tantissime volte aveva tentato di
farlo ma sempre qualcosa, all’ultimo momento, lo impediva e
forse, a questo punto, non era nemmeno più necessario
«farlo capire»; forse la moglie lo sapeva già ma l’uomo in
questione si trovava quel giorno in un particolare stato
d’animo, di scontentezza nei confronti di se stesso e dunque
di crudeltà verso gli altri.
Non provava più alcuna attrazione verso la moglie ormai
da dieci anni (non erano più giovani né l’uno né l’altra) e di
questo provava una grande vergogna verso la moglie perché
gli pareva rivelatore di un lato volgare della propria natura.
Da parecchi anni e come per caso avevano cominciato a
dormire in camere separate ma entrambi sapevano che non
era «per caso» e che qualcosa di impercettibile e di fatale
era accaduto per cui era impossibile dormire nello stesso
letto; così come era impossibile vedersi in altro modo che
vestiti e possibilmente sempre in presenza di persone,
meglio se estranei alla famiglia.
Più il tempo passava e più l’uomo sentiva dentro di sé il
dovere di spiegare alla moglie qualcosa che egli sapeva
inspiegabile, tanto più inspiegabile in quanto il tempo e la
consuetudine coniugale, anziché attenuare un naturale
pudore che esisteva in entrambi, lo aumentavano al punto
che spesso l’uomo provava pudore e anche stizza se la
moglie lo sorprendeva in vestaglia, o appena sveglio, o
intento a leggere un libro. Avrebbe preferito apparire in quei
momenti soltanto a se stesso o ad estranei, ma non a lei. Con
lei si sentiva veramente a suo agio soltanto in abito da sera,
quando il collo inamidato e il plastron imponevano tra lui e
lei una inaccessibilità dolorosa ed elegante, che era «il
segreto del loro fascino».
Eppure con piacere toccava qualche volta i riccioli di lei, o
un suo vestito di crêpe Georgette, che trovava per lei più
elegante di altri elegantissimi, qualche volta con piacere la
guardava ridere e una volta perfino provò un tuffo al cuore
quando lei inciampò e stava per cadere come una bambina
miope. Ma era un piacere molto esangue ed egli ricordava
invece con dispiacere i loro amori giovanili: quando, più
grassottella, la trovava nei prati ad aspettarlo, un po’ sudata,
con le ascelle non depilate, piena di trepidazione come certe
rarissime cavalle di sangue, i capelli rossi corti e ricciuti,
sostenuti dal loro riccio, e le mani non molto curate ma
secche e tremanti e non calme e morbide di crema. E il
dispiacere, che nasceva non soltanto dal sentimento della
brevità delle cose, ma soprattutto della loro impossibilità a
rinnovarsi e a riprodursi nelle stesse persone (loro due),
secondo l’uomo per colpa sua, era la causa della vergogna
che provava verso di lei.
La moglie, che era diventata una donna alta con capelli
ricci corti e rossi, con occhi sventati e un sorriso infantile e
mondano che stirava le piccole e poche rughe ai lati degli
occhi e della bocca, non aveva capito tutto ciò che lui aveva
capito e che avrebbe voluto spiegare ma non a parole, lo
aveva però «sentito» fin dal primo giorno in cui il marito
dormì in un’altra stanza. Da allora aveva continuato a
«sentire» forse non volendo capire o semplicemente perché
il carattere di lei era diventato sempre meno «fisico» e
tendeva, anche per educazione, a provare un sentimento
amoroso e coniugale molto forte ma sfumato.
Entrato nella casa l’uomo fece a piedi una delle due grandi
scalee arcuate che portavano ai saloni d’entrata, poi si infilò
nell’ascensore piccolo e giunse in un salotto-veranda
bianchissimo, con grandi piante di azalee bianche, dove la
moglie e i figli lo aspettavano; salutò tutti (baciò la moglie su
una tempia) e si avviò verso la sala da pranzo: che era ovale,
con il muro laccato di azzurro chiaro su cui stavano appesi,
uno di fronte all’altro, due paesaggi del Longhi. In questa
stanza, ai quattro lati, su piedestalli di porcellana azzurro
chiari c’erano grandi piante di azalee in fiore color rosa.
Davanti ai quadri stavano due giovani camerieri in giacca
nera e pantaloni grigi, accanto alla porta il maître in
pantaloni rigati e marsina nera.
L’uomo aspettò che entrasse la moglie, che si sedesse a un
capo della tavola, allora anche lui sedette all’altro capo e
subito dopo di lui si sedettero i due figli, la femmina alla sua
destra, il maschio a sinistra. L’uomo scherzò col figlio in
lingua inglese (il ragazzo era allegro ma troppo «educato» e
debole e parlava in inglese meglio che in italiano) poi, come
per consolarsi, prese nella sua la mano della figlia,
sorridendo e guardandola negli occhi. Ma, anziché
consolarsi, in modo completamente inaspettato si commosse
perché rivide nella figlia quindicenne che somigliava a lui la
stessa allure della madre quando si erano conosciuti.
L’avvicinò a sé con infinita tenerezza e affondò il volto nel
casco di capelli ricci e odorosi di capretto.
La colazione si svolse come sempre: i due camerieri
seguivano i rari cenni del maître (sia il maître sia i camerieri
sapevano che non c’era bisogno di alcun cenno ma i cenni si
facevano lo stesso) ed eseguivano in perfetto silenzio, come
in un film muto, ciò che erano abituati a fare.
Al caffè i figli uscirono (la figlia inciampò) e i due sposi si
trovarono soli in un immenso salotto con le finestre aperte.
Stettero un po’ in silenzio (si udiva il piccolo rumore di una
falciatrice da giardino) poi parlarono del viaggio a Bangkok
di un notissimo sarto che frequentava la casa, poi del
possibile, augurabile matrimonio, o unione, di una loro amica
vedova con un professore d’università povero, ma giovane,
bello e «per bene» che aveva salvato l’amica dall’alcolismo.
Tacquero (l’uomo chiuse gli occhi), poi l’uomo aprì un
giornale e lo sfogliò con attenzione facendo in modo che non
si ponesse completamente tra lui e la moglie. Di tanto in
tanto la guardava in silenzio, appoggiò il giornale sulle
ginocchia e la guardò più a lungo. Stava per cominciare a
parlare (non sapeva quello che avrebbe detto ma sapeva che
l’avrebbe detto) quando la moglie, alzandosi, gli strinse un
istante la mano, subito si scostò dal marito e avvicinatasi al
telefono che era accanto alla finestra cominciò una lunga
telefonata quasi silenziosa e fatta quasi esclusivamente di
sorrisi, con un’amica. Egli si alzò, si avvicinò a lei, la baciò
su una tempia e uscì.

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