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Vidas Balčius 21

Teologia morale speciale: vita fisica e sessualità PUU 2012/2013


II.4. PRINCIPI MORALI TRADIZIONALI: FRA ARGOMENTAZIONE DEONTOLOGICA
E TELEOLOGIA

IL CONTESTO – L’argomentazione di tipo deontologico (il giudizio morale, almeno in certi


contesti operativi, dovrà essere stabilito a prescindere dalle conseguenze; l’argomentazione
deontologica si fonda su due argomenti principali: illecito perché contro natura; illecito per
mancanza del permesso) in campo etico ed il bisogno di affrontare alcune situazioni
concrete (i casi) cercando i criteri per il comportamento moralmente retto: si arriva alla
soluzione tramite un’applicazione dei certi principi di tipo teleologico (il giudizio morale
deve essere formulato a partire delle conseguenze dell’azione - fra cui la prima è
l’attuazione dell’amore verso gli altri -, dal valore o non valore di queste conseguenze).

II.4.A. I PRINCIPI

A.1. Il principio del MALE MINORE1

Il contesto della “nascita”del principio:


- S. Tommaso: presenta come la meno nociva delle soluzioni in una situazione
estrema di costrizione morale, lasciando poco spazio alla libertà;
- S. Alfonso – come la scelta di una coscienza incerta davanti ad una situazione che
non presenta alcun chiarore di bene.

Il problema odierno: applicazione di questo modello dell’argomentazione nel senso allargato


in vari campi della vita politica, sociale e personale, per esempio: *) per una modifica delle
legislazioni presenti (legalizzazione dell’aborto e dell’eutanasia) – quando le proposte di
modifica hanno obiettivi difficilmente difendibili come “buoni”, pur riconoscendoli come
un male, si afferma che dovrebbero essere permessi in forza del fatto che si tratta di un male
minore rispetto alla legislazione in atto; **) l’altro argomento – “ridurre il danno”.
Gli ambiti più frequenti: politico-giuridico, politico-militare, dell’etica medica, ecc.

In un senso ampio può essere espresso così:


Alla presenza di mali inevitabili, bisogna scegliere quello minore.

Il principio ha due ambiti d’applicazione:

1) generico della prassi (senso ampio) = il principio significa che in previsione di mali
inevitabili, è preferibile consentire, scegliendolo, quello minore, per evitare quello
maggiore. In questo caso il male minore si riferisce alle conseguenze derivate da una
decisione in una situazione che obbliga a fare una scelta, ed essendo questa situazione
inevitabile, si sceglie la conseguenza meno dannosa.
2) specifico dell’etica della decisione = il principio significa che quando apparentemente
tutte o ciascuna delle possibili decisioni da prendere sono, di fatto, negative non esiste
alternativa, bisogna preferire la meno negativa. In questo caso si riferisce, invece, alla
decisione in se stessa, che si rivela problematica, perché qualunque decisione è negativa; in
tale situazione d’incertezza bisogna decidersi per quello che sembra il male minore.

1
F. C. FERNÁNDEZ SÁNCHEZ, «Principio e argomento del male minore», in PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA,
ed., Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, Bologna 2003, 725-736.
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La limitazione del principio: i limiti legati ai cosiddetti “assoluti morali”, oppure alle azioni
moralmente disordinate in se stesse.

La possibilità dell’uso inappropriato del principio può essere esemplificato così:


“L’accettazione del male minore è stata usata coscientemente per abituare i funzionari e la
popolazione ad accettare in generale il male in sé ” (H. ARENDT, La disobbedienza civile ed
altri saggi, Milano, 1985).

A.2. Il teorema dell’INTRINSECE MALUM (azioni intrinsecamente disoneste)2

L’accento si fa sulla struttura intrinseca del singolo atto.

Presupposto: la presunzione che ci siano delle azioni con la moralità aprioristicamente


determinata. (La presunta determinabilità aprioristica della moralità di un’azione
determinata). Si suppone che esistono nella tradizione morale delle soglie che marcano stadi
definitivi d’intelligenza, da non permettere una ricaduta senza compromettere la cultura
umana e morale raggiunta.

Gli elementi importanti:

1) La moralità di ogni singola azione si fonda sul suo rapportarsi alla VERITÀ MORALE in
quanto rivelata in modo plausibile a livello normativo. Il termine in sé protegge contro
qualsiasi intrusione di un’autorità eteronoma.

2) Si riferisce al rapportarsi tra MOTIVAZIONE – INTENZIONE – ESECUZIONE: il teorema


suppone la competenza della ragione pratica di poter determinare in modo esaustivo la
moralità di un atto concreto basandosi esclusivamente sul fenomeno dell’esecuzione. Ci
sono le esecuzioni con le proprie strutture ontiche da non essere mai lecite in quanto per
natura propria si rispecchiano (rimandano) sull’intreccio tra motivazioni e intenzioni. [Le
motivazioni sono i prolungamenti interpretativi immediati delle virtù, il primo livello di
decifrazione operativa dei valori morali. Alle intenzioni spetta di operare un ulteriore passo
d’interpretazione; hanno la competenza di stabilire obiettivi particolari da conseguire].
L’esecuzione così predetermina la moralità dell’azione intera (secondo l’assioma bonum ex
integra causa malum ex quocumque defectu).

3) La CONTESTUALIZZAZIONE: il teorema pretende la capacità di determinare in maniera


aprioristica la moralità di un singolo atto prescindendo in modo programmatico da tutte le
circostanze. Non si immagina alcuna situazione in cui determinato atto possa diventare
lecito: la sua moralità è da considerare indipendente dal contesto in cui viene posto.

Il teorema rimanda ad una serie dei presupposti:


- la sottostante metafisica essenzialista dell’atto umano;
- il punto di riferimento primario si colloca nel fenomeno;
- considerare l’atto in sé assume la connotazione del prescindere dall’atto interiore;
- l’approccio si distingue per la sua intrinseca a-storicità; si raggiunge così una visione
essenzialistica dell’atto in modo da trascendere qualsiasi mutamento storico.
2
K. DEMMER, Seguire le orme del Cristo. Corso di Teologia morale fondamentale, PUG, Roma 1996, 142-144.
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Il compito di teologia morale non è sminuire la validità del teorema; si vuole arrivare al suo
uso più differenziato senza semplificazione.

Il primo punto da prendere in considerazione è la ragione morale: essa si distingue per la


sua capacità immaginativa, anzi creativa, in tal modo scoprendo e producendo contenuti! È
marcata dalla sua intrinseca storicità, lontana da qualsiasi sospetto di relativismo! Le
conseguenze per la metafisica dell’atto = il rapporto tra strutture ontiche e ragione morale è
segnato di una certa flessibilità: metafisica dell’atto vuol dire che la ragione morale imprime
un significato nelle strutture ontiche (ciò che esiste come fattualità), elevandole allo statuto
di strutture ontologiche (ciò che è riconoscibile in quanto portatore del senso).
Comprendere ed interpretare implica una dimensione di plasmare (creare). Parlare dell’atto
in sé allora chiede di prendere in considerazione questo dinamismo.

Simili considerazioni possono essere svolte a proposito del rapporto tra il singolo atto e
l’insieme delle sue circostanze, tra cui più importanti sono i condizionamenti (presupposti) e
le conseguenze. Occorre interrogarsi se tale rapporto influisca sul significato, ed in
conseguenza – sulla qualificazione morale dell’agire. È ipotizzabile il caso in cui i nuovi
punti di vista scoperti e finora non presi in considerazione possano influire sulla moralità di
azione circostanziata. Il giudizio morale visto così rimane in moto! Questo però non nega la
possibilità stessa delle azioni intrinsecamente disoneste: ogni volta quando si presenteranno
gli identici elementi essenziali dell’azione, la sua valutazione morale non può essere diversa
da quella trovata precedentemente.

Gli esempi: il Magistero della Chiesa indica come intrinsecamente disonesti: 1) VS 80


riprende GS 27 per esemplificare gli atti “intrinsecamente cattivi”: * tutto ciò che è contro la
vita stessa - l’omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia, lo suicidio volontario; ** tutto ciò
che viola l’integrità della persona umana - le mutilazioni, le torture (inflitte al corpo e alla
mente), la violenza dell’intimo dello spirito; *** tutto ciò che offende la dignità umana – le
condizioni infraumane della vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la
prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le ignominiose condizioni del lavoro
(trattare i lavoratori solo come strumenti di guadagno); 2) il CCC 1756: la bestemmia, lo
spergiuro, l’omicidio, l’adulterio; 2352: la masturbazione; 2356: lo stupro; 2357: l’atto
omosessuale; 2370: la contraccezione artificiale, 2376-2377: la procreazione artificiale, ecc.
Gli esempi convincono; rimane però la necessità di un ulteriore sforzo semantico: quale
realtà esatta viene designata con suddetti termini e dove inizia una certa zona
d’ombra, in modo particolare – nelle situazioni conflittuali?

A.3. Il principio dell’AZIONE CON DUPLICE EFFETTO3

L’accento si sposta delle conseguenze del singolo atto.

Il principio (teorema) si riferisce ad una situazione, in cui il conseguimento delle


conseguenze volute è legato alla produzione delle conseguenze non volute perché ritenute
dannose.

3
K. DEMMER, Seguire le orme, 145-149 ; S. PRIVITERA, «Principi morali tradizionali», in F. COMPAGNONI – G. PIANA –
S. PRIVITERA, ed., Nuovo dizionario di Teologia Morale, San Paolo, Cinisello Balsamo 19994, 987-994.
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L’esempio paradigmatico = gli effetti collaterali dei farmaci.

Le condizioni legittimanti di un tale atto:

1) Bontà o almeno indifferenza morale dell’azione: l’atto da porre non può essere
intrinsecamente disonesto (cattivo).
2) Onestà del fine: l’intenzione deve essere indirizzata esclusivamente alla
produzione del rispettivo bene; il danno collaterale è soltanto tollerato rimanendo praeter
intentionem.
3) Non dipendenza dell’effetto buono da quello cattivo: il danno non deve essere
voluto come mezzo per poter ottenere il bene intenzionato.
La volontà del soggetto può dissociarsi da causalità materiale dell’effetto dannoso: in
questo caso l’intenzionalità a livello psichico-volitivo è ovviamente attiva, mentre a livello
del suo significato antropologico-morale è da qualificare passiva. Il fatto che il verificarsi
dell’effetto negativo nel tempo precede quello positivo, non cambia il giudizio morale (per
esempio, le cure delle malattie oncologiche); si tollera una tale conseguenza per una ragione
proporzionalmente grave.
4) ragione proporzionalmente grave: essa chiede una giusta proporzione tra i vari
effetti, la quale si manifesta nella ragione proporzionata. La moralità dell’atto in
questione si decide in ultima analisi qui.

Le varianti del teorema che aiutano nell’applicazione del principio:

*) Cfr. Diretto – Indiretto; Volontario – Involontario.


**) Finis operis – Finis operantis.
***) Fontes moralitatis: l’oggetto, obiectum morale (si compone nella convergenza
supposta tra finis operis e finis operantis) – le circostanze, circumstantiae
(quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando). Il raporto fine – mez
zi.
****) La condizione della libertà: di libertà fisica; di libertà morale (potenza di
autodeterminazione). Il volere si trova in permanente tensione con il potere!

A.4. L’EPICHEIA4

Il contesto dell’applicazione è di tipo etico - giuridico: a questo principio si ricorre e con


esso si definisce il momento in cui la prospettiva morale entra in conflitto con quella
giuridica vigente.

Il senso del principio: il venir meno dell'obbligatorietà della legge quando, nel caso
particolare, la sua applicazione si riveli manifestamente iniqua.

Applicazione: il momento in cui la soluzione data dal soggetto ad un problema per ben
precisi motivi (che devono risultare sempre moralmente giustificabili) diverge da quella
prevista dalla legge civile o penale, perché il caso in questione possiede elementi non

4
I principi 4 – 7 e le distinzioni ricorrenti indicate (B) – cf. S. PRIVITERA, «Principi morali tradizionali», 987-994.
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previsti o non prevedibili dal legislatore, che appunto inducano formulare un giudizio
morale diverso da quello già formulato dal legislatore stesso.

Proprio perché si tratta dei contesti non previsti e non prevedibili dal legislatore, - il
principio s’identifica con l’interpretazione, da parte del soggetto agente, della volontà del
legislatore o dello spirito della legge: il soggetto attua ciò che in quel momento corrisponde
alla prospettiva, dentro la quale la legge stessa è stata formulata.

Il principio si riferisce a quei casi in cui al quando le conseguenze previste dal legislatore
cambiano se ne sostituiscono oppure se ne aggiungono altre ancora più negative o positive,
importante talmente da richiedere la mutazione del giudizio finale, la cui valutazione, non
potendo essere inserita nella formulazione legislativa, viene affidata alla responsabilità del
soggetto morale.
Il ricorso all’epicheia presuppone equilibrio, maturità, formazione della coscienza, capacità
di giudizio da parte del singolo.

Es.: la legge stradale che limita la massima velocità e l’urgenza di portare all’ospedale il
ferito in pericolo di vita.

A.5. Il principio di TOTALITÀ

Emerge dalla visione del rapporto fra la PARTE e il TUTTO sul piano della realtà propria della
singola persona. La visione di preferenza del valore della totalità quando entra in conflitto
con il valore della parte.

Si identifica con la possibilità d’intervenire sull’integrità fisica del corpo umano: diventa
moralmente lecito un intervento lesivo della parte, che per i motivi vari si rende
indispensabile per il bene del tutto.

Il principio è usato:
- per indicare LA PRECEDENZA, la quale di attribuisce AL VALORE PREMORALE PIÙ
FONDAMENTALE DELLA VITA (il tutto) rispetto agli altri valori premorali meno
fondamentali (la parte).
- per indicare la preferenza che il soggetto dovrà accordare sempre al valore morale
della sua bontà personale, nel caso in cui essa entri in conflitto con altri valori
premorali, si tratti pure di quello della vita.

Il fondamento: una reinterpretazione del passo di Mt 9,43-48; l’insegnamento di Pio XII


(AAS 1958, 693-694).

II.4.B. LE DISTINZIONI RICORRENTI

B.1. Volontario – involontario

La distinzione utilizzata nel contesto del principio dell’azione con duplice effetto.
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Essenza: perché l’azione sia moralmente retta, è necessario volere la realizzazione
dell’effetto positivo, e non volere ma solo tollerare quella dell’effetto negativo.
Si riferisce alla distinzione, fondamentale in etica normativa, fra ATTEGGIAMENTO (con cui si
compie l’azione con doppio effetto) e comportamento; volere l’effetto negativo e non quello
positivo dell’azione si identifica con atteggiamento moralmente cattivo (peccaminoso).

B.2. Diretto – indiretto

Utilizzata, anche essa, nel contesto del principio dell’azione con duplice effetto.

Si discute il rapportarsi tra intenzione ed esecuzione.


L’azione diretta – si ha in mente un tipo di azione in cui intenzione ed esecuzione
convergono nel produrre un determinato effetto (omicidio premeditato, sterilizzazione
diretta).

Si riferisce alle caratteristiche che il COMPORTAMENTO deve possedere dal punto di vista
morale: l’effetto negativo deve risultare solo indirettamente dal compimento dell’azione a
doppio effetto; non può mai essere il suo fine diretto. Il fine diretto di tale azione deve
sempre identificarsi con l’effetto positivo.
(Esempio: l’asportazione dell’utero affetto da tumore di una donna incinta; effetto
collaterale della cura).

La problematica verte sul determinare il grado in cui le strutture ontiche, in quanto parte
costitutiva dell’atto intero, contribuiscono al significato antropologico e alla qualità morale
del rispettivo atto. Sempre c’è la possibilità di una certa zona d’ombra. La tradizione
manualistica per questo ragionava in termini di MORALITÀ FORMALE, lasciando sospeso il
problema della MORALITÀ MATERIALE: in caso di dubbio fondato (#) toccava all’intenzione
di essere l’ultima istanza di qualificazione morale.

[# Per esempio, il caso dell’auto-uccisione [“suicidio”] di un portatore dei segreti per


salvare la vita delle persone innocenti: in questo caso c’è una grande differenza tra
FENOMENO e SIGNIFICATO che si traduce in termini di auto-sacrificio. Il fenomeno in sé non
può servire da criterio unico; la moralità dell’agire dipenderà dalla valutazione comparativa
cercando di capire la proporzione fra i valori umani implicati, in conflitto fra loro].

B.3. Attivo – passivo

Sostanzialmente identica alla precedente. Si differisce solo per la terminologia e per


l’ambito applicativo, relativo all’EUTANASIA.
Sono implicate le quattro realtà diverse: l’eutanasia attiva – l’eutanasia passiva – il lasciar
morire – l’accanimento terapeutico.
È richiesta per una distinzione del lasciar morire come atteggiamento che attua il diritto alla
morte dignitosa, e i due comportamenti che non rispettano tale diritto – L’EUTANASIA PASSIVA
e L’ACCANIMENTO TERAPEUTICO.

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