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CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA (Prof.

essa Della
Ratta)
(N.B. ci sono due versioni della lezione sulla CEC perché l’hanno sbobinate due persone
diverse)
Le due necessità fondamentali della cardiochirurgia sono:
• operare su un cuore fermo ed esangue (CEC)
• osservare ed operare distretti cardiaci e vascolari (aortici), interrompendo
temporaneamente la circolazione ematica, per un tempo tale da non procurare alcun
danno biologico (arresto cardiocircolatorio totale).
La strategia dei cardiochirurghi quindi è stata:
• conoscere le basi biologiche dell’ipotermia corporea e spingerla fino a tollerare
l’arresto cardiocircolatorio senza subire un danno biologico
• governare l’arresto cardiaco e circolatorio ipotermico
• utilizzare il tempo a disposizione per operare su cuore e vasi, arrivando ad estendere
tale tempo sostituendo la funzione cardiaca e polmonare con una macchina
artificiale (la macchina cuore-polmone), attuando la CEC
attuare la cardioplegia
Ipotermia
L’ipotermia riduce in modo direttamente proporzionale il metabolismo e il consumo di O2
cardiaco in funzione dell’abbassamento della TC raggiunta, ma ciò comporta anche degli
effetti parafisiologici, o patologici. Possono presentarsi come aumento della viscosità
ematica, o come lesione ostruttiva della microcircolazione (a volte possiamo avere il no-
reflow phenomenon, riduzone del volume plasmatico). Possiamo definire 2 tipi di
ipotermia:
-moderata, quando la TC è mantenuta fra i 25°C e i 32°C (interventi in CEC)
-profonda, quando la TC viene mantenuta fra i 18°C e i 25°C (interventi in arresto di circolo)
Questa condizione serve ad eseguire interventi particolari, ma ovviamente è limitata nel
tempo di utilizzo, legato fortemente all’insorgenza di segni di sofferenza biologica degli
organi.
CEC
La circolazione extracorporea è stata introdotta poiché c’era una necessità di avere un
arresto circolatorio controllato che garantisse al chirurgo un cuore esangue su cui operare
e attraverso la macchina cuore-polmone si è anche riusciti ad ottenere una efficace
sostituzione della funzione cardiocircolatoria, anche se questo sistema presenta un insieme
di morbilità abbastanza ampio, che può includere anche delle risposte fisiopatologiche non
clinicamente evidenti). Questa si basa su:
• in condizioni di ipotermia l’organismo umano può sopravvivere senza danni biologici
permanenti per un periodo limitato di tempo (si parla di minuti), anche in condizioni
di arresto circolatorio totale
• la macchina cuore-polmone sostituisce la funzione di questi organi garantendo la
perfusione di tutti i distretti corporei

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• l’organismo umano può non riportare danni in CEC, solo se questo utilizzo dura
alcune ore
Alla base di questo device c’è un concetto assai semplice:l’intero flusso ematico che
dovrebbe arrivare in atrio dx dalle vene cave viene aspirato e dirottato attraverso la
macchina cuore-polmone, che “arterializza” il sangue venoso, per poi reintrodurlo
nell’albero arterioso (attraverso l’aorta o la a. femorale). Ma ciò ha delle conseguenze
immediate:
-il sangue passa attraverso dei condotti non arterializzati di materiale ovviamente
artificiale, e ciò rende necessaria una coagulazione totale, che si ottiene mediante
somministrazione di eparina endovenosa.
-gli organi non ricevono un flusso pulsatile, ma continuo (questa situazione è però ben
tollerata dall’organismo umano, poiché è “parafisiologica”.
Macchina cuore-polmone
La macchina cuore-polmone è un device molto complesso formato da:
-cannule cardiache, servono per connettere il circuito extracorporeo al cuore (fatte in
silicone o PVC)
-circuito, fatto da tubi di vario calibro (silicone o PVC), e alcuni possono essere rivestiti
internamente da un sottile strato di eparina, o altri anticoagulanti
-sistema di aspirazione e cardiotomo, sistema di tubi collegati ad un vuoto spinto e
rappresenta uno dei sistemi di aspirazione del sangue, che una volta aspirato viene
indirizzato ad una “cisterna”, chiamata cardiotomo
-ossigenatore, serve ad ossigenare il sangue venoso refluo
-pompe roller,sono pompe costituite da un sistema di compressione rotante, graduato e sub
occlusivo che trasforma il movimento circolare dell’asse rotore in propulsione
unidirezionale del sangue
Rewarming e reperfusion (sindrome post-perfusionale)
Il termine del “tempo utile della CEC” in ipotermia, deve essere seguito dalla fase del
riscaldamento corporeo per il ripristino della normotermia (rewarming), e ciò può causare
una vera e propria sindrome post-perfusionale: espressione clinica delle alterazioni micro
circolatorie e parafisiologiche che caratterizzano la CEC. I sintomi sono:
• dolore toracico
• febbre
• leucocitosi
• aumento della permeabilità capillare-accumulo del liquido interstiziale
• subedema polmonare
• insufficienza renale
• disturbi neurologici
Ciò rende questo organismo “unico” almeno per alcuni giorni. La fase di riperfusione è la
fase finale dell’arresto, ma paradossalmente anche la più pericolosa, poiché l’accumulo di
calcio intracellulare può essere responsabile dello stone heart, (cuore di pietra, il cuore si
arresta definitivamente in sistole e abbiamo miocitolisi).
Variabili controllabili dalla macchina

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• output arterioso, controllo sulla pressione arteriosa tenendo un valore di PA media
>50mmHg
• onda pressoria, flusso non pulsatile ma continuo (parafisiologico, ben tollerato dalla
specie umana)
• imput venoso, creo il vuoto “controllato” portando il sangue in una cisterna collegata
ad un sistema a pressione “negativa” generata dalle pompe
• scambi gassosi, sono regolati e mantenuti dall’ossigenatore, con valori di riferimento
PO2 250mmHg e PCO2 sufficiente per un pH fisiologico intorno a 7.4
• scoagulazione,valore di TCA>480s
• priming (soluzione liquida di riempimento del circuito), uso una soluzione fisiologica
arricchita, o glucosata.
• tempertura, nasofaringea e vescicale tramite sonda termica (ipotermia moderata e
profonda).

Variabilità di risposta biologica alla CEC


Possiamo avere:
• risposta infiammatoria aspecifica generalizzata, può manifestarsi sia a livello
umorale (attivazione C3a e C5a del complemento e sistema callicreina-bradichinina)
che cellulare (attivazione neutrofili, piastrine ed endotelio). La risposta
infiammatoria può essere ridotta, almeno parzialmente attraverso la riduzione del
contatto del sangue con superfici extracorporee e applicazione della risposta
leucocitaria attraverso l’apposizione di filtri leucocitari in serie, così questi non
passano dalla CEC al circuito sistemico.
• danno eritrocitario, emolisi meccanica causata fondamentalmente dall’ossigenatore
• danno organo-specifico (cuore, polmone, rene, cervello)
• alterata risposta metabolica allo stress biologico, quindi abbiamo attivazione della
coagulazione, sub edema, deviazion del flusso ematico verso gli organi vitali,
attivazione di risposte immunitarie specifiche, comparsa di fibroblasti, aumenta la
portata cardiaca ed aumenta la TC in relazione al rilascio di pirogeni endogeni.
Tutto ciò può essere controllato dall’esterno.

Protezione miocardica e cardioplegia


La protezione cardiaca è rappresentata dall’insieme delle misure adottate per ridurre lo
stress miocardico causato dall’interruzione del flusso coronarico e dall’ischemia controllata.
La soluzione usata per la perfusione coronarica ad aorta clampata è detta “cardioplegica”.
Data la condizione di ipotermia e clampaggio dell’aorta che comporta la CEC, il miocardio
sarebbe esposto ad un tempo di ischemia che porterebbe alla necrosi ischemica, quindi lo
scopo dalla cardioplegia è prevenire il danno miocardico di origine ischemica nella chirurgia
cardiaca. La cardioplegia deve quindi assolvere a:
• indurre l’arresto in diastole del cuore (arresto dell’attività elettrica) in ipotermia alla
TC di 19°C, se il cuore si fermasse in sistola sarebbe irreversibile (stone heart)

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• garantire una ipotermia “sicura” < 15°C, monitorata a livello del setto
interventricolare
• apportare substrati metabolici.

Le soluzioni cardioplegiche rendono sicuro questa procedura, permettendo il ripristino


dell’attività cardiaca senza, o con minimo danno miocardico; Queste soluzioni sono
rappresentate da:
• utilizzo di soluzioni iperosmolari, per ridurre l’edema interstiziale
• utilizzo di substrati metabolici, quali glutammato e aspartato
Ce ne sono di tipi differenti:
• ematica, uso una parte di sangue autologo come trasportatore di ossigeno
• cristalloide, è una composizione priva di sangue

Via di somministrazione: ci sono be 2 vie, la anterograda (soluzione iniettata in blubo


aortico con aorta clampata), e retrograda (soluzione cardioplegica iniettata in seno
coronarico)
Modalità di somministrazione: 2 vie, una intermittente (iniezione ogni 20 minti) e una
continua
Temperatura della soluzione cardioplegica: classicamente ipotermica, o normotermica
(sono dei protocolli particolari, a cui però ci sono delle controindicazioni ben specifiche
perché potrei esporre gli organi ad uno stress biologico maggiore.
Protocollo della CEC
Quello che il chirurgo fa durante la CEC è un vero e proprio percorso logico, che lo porterà
ad ottenere e governare la CEC di un essere umano.
• Monitoraggio dei parametri vitali fondamentali: FC, ECG, PA, pressione arteriosa
polmonare, diuresi, TC nasofaringea e vescicale/rettale,emogasanalisi arteriosa,
parametri ematochimici, ematocrito, emoglobinuria, pH.
• Preparazione del campo chirurgico: incisione, stereotomia mediana, preparazione
graft coronarici, pericardiotomia ed esposizione del cuore.
• Eparinizzazione, serve per la coagulazione totale, ricorda che il sangue entra a
contatto con delle superfici non epitelizzante.
• Incannulazione arteriosa: aorta ascendente
• Incannulazione venosa: solo vena cava inferiore o vena cava inferiore e superiore.
• Inizio della CEC
• Raffreddamento corporeo: mi servo sempre della macchina cuore polmone
• Clampaggio dell’aorta: è il tempo centrale dell’intervento cadiochirurgico
• Iniezione della soluzione cardioplegica sia in senso anterogrado che retrogrado
• Arresto elettromeccanico del cuore
• Si monitora la temperatura con sonda nel setto interventricolare (deve essere <15°C
per essere una procedura “sicura”

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• Si mantiene la plegia cardiaca per tutta la durata del tempo chirurgico centrale
• Al termine di questo tempo centrale, si procede con la riperfusione per via retrograda
fino alla ripresa dell’attività elettromeccanica del cuore
• Si procede con declampaggio aortico e perfusione coronarica ematica fisiologica
• Ripristino della normotermia
• Ripresa attività elettromeccanica del cuore
• Sospensione della CEC
• Somministrazione di portamina cloridrato (antagonista dell’eparina) per ottenere la
coagulabilità del sangue
• Decannulazione dell’aorta e delle vene cave
• Emostasi, sintesi sternale e sutura dei piani sottocutanei/cutanei.

SIRS
E’ la conseguenza più temibile della CEC, è clinicamente caratterizzata dalla comparsa entro
la quinta giornata postoperatoria di almeno 1 dei seguenti segni e sintomi:
• TC>38°C
• FC>90 bpm
• FR>20 atti/min
• PCO2<32mmHg
• GB>12000 o <4000/mm^3
• neutrofili immaturi>10%

E’ determinata da:
• Trauma chirurgico
• Contatto con superfici non biologiche e attivazione delle frazioni C3a e C5a del
complemento (anafilatossine), che inducono la produzione di citochine pro-
infiammatorie, quali TNF-alfa, IL-6,IL-8
• Ischemia post-riperfusione
• Danno endoteliale

Come controllo questa reazione?


Ci sono molte strategie per arginare il problema, ma nessuna sembra essere determinante.
Alcune includono la riduzione dell’invasività chirurgica, una maggiore biocompatibilità del
circuito della CEC e uso di farmaci quali aprotinina e corticosteroidi preoperatori.
Una strada interessante è l’uso dei filtri leucocitari, per il trapping selettivo dei linfociti
attivati dalla macchina cuore-polmone al circolo sistemico.

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LA CIRCOLAZIONE EXTRA CORPOREA (CEC)

Senza CEC non è possibile eseguire alcun tipo di intervento cardiochirurgico. Ad oggi gli
unici interventi che si eseguono a cuore battente sono i by-pass aorto-coronarici. Entrando
in sala operatoria il pz deve avere una serie di paramentri che non sono uguali a quelli della
chirurgia generale. Oltre a posizionare gli elettrodi per l'ECG, in Cardiochirurgia si va a
monitorare la pressione arteriosa in maniera cruenta, cioè non mettendo lo
sfigmomanometro al braccio del pz, bensì incannulando una arteria per il monitoraggio
costante della pressione. Per comodità viene scelta l'arteria radiale nella maggior parte dei
casi. Dopo di che si esegue l'anestesia totale. Una volta che l'anestesista ha terminato la sua
parte, viene incannulata la vena giugulare interna per il monitoraggio della pressione
venosa centrale (PVC). Viene poi eseguito un prelievo per l'emogasnalisi, per il
monitoraggio della condizione clinica del pz; questi prelievi verranno eseguiti in maniera
cadenzata all'inizio, durante e alla fine. E' inoltre necessario monitorare la temperatura
corporea e la diuresi attraverso la cateterizzazione del pz. Nella maggior parte dei casi si
procede ad un approccio sternotomico. Si esegue una sternotomia mediana in
corrispondenza del corpo sternale; L’incisione cutanea inizia in corrispondenza del giugulo
e viene proseguita fino al processo xifoideo. Si seziona lo sterno lungo la linea mediana
mediante una sega oscillante e se ne divaricano i margini con un opportuno divaricatore. Al
termine, i margini sternali vengono suturati con punti in acciaio per meglio assicurare la
stabilità della parete toracica anteriore. In questo modo si va a determinare una esposizione
diretta del pericardio, cosicchè si vada poi ad eseguire una pericardiotomia e il cuore venga
esposto. In alcuni caso è possibile eseguire l'approccio toracotomico antero-laterale destro
in corrispondenza della linea medio-sternale fino ad arrivare alla linea ascellare esterna, in
casi molto rari, l'approccio è toracotomico posterolaterale.
Il cervello è l'organo più colpito da danno di arresto di circolo, per cui è necessario adottare
delle strategie per salvaguardarne la funzione. Innanzitutto l'ipotermia raffreddando il pz
e, in secondo luogo, attraverso la Circolazione extracorporea.
La Cec è una metodica che viene usata per sostituire temporaneamente in maniera parziale
o totale (la Cec può essere parziale o totale) la funzione di pompa cardiaca e la funzione di
ematosi del polmone. Essa si avvale di una macchina, definita cuore-polmone, che rientra
nella costituzione di un circuito. Innanzitutto si procede ad una incannulazione venosa, che
varia a seconda del tipo di intervento. In linea generale l'incannulazione venosa è in
corrispondenza dell'atrio dx oppure bicavale (vena cava superiore e inferiore).
Le componenti della Cec sono: le cannule, una pompa, l'ossigenatore, lo scambiatore di
calore e i filtri.
La macchina cuore polmone viene collegata al pz attraverso una serie di CANNULE, che
devono essere flessibili, trasparenti e di materiale inerte e biocompatibile. L'incannulazione
venosa viene eseguita attraverso l'atrio dx o attraverso le vene cave. In alcuni casi particolari
è possibile però eseguire una incannulazione attraverso vena femorale. Il sangue viene
drenato dalle vene cave o dall'atrio dx all'ossigenatore per fenomeno di Caduta
gravitazionale o per sifonazione. E' necessario eseguire questa fase in totale assenza di aria,
in quanto, nel caso in cui collegando le cannule vengano a formarsi delle bolle di aria, si

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avrà difficoltà nell'andare a drenare il sangue all'interno del circuito. La quantità del
drenaggio dipende dalla pressione venosa sistemica, dalla presenza/assenza di aria e dalla
resistenza dei tubi. La via di rientro scelta per il rientro del sangue arterioso nel pz è
attraverso l'aorta ascendente, a meno che non sia presente un aneurisma aortico o una
dissezione aortica, in questi casi non è possibile procedere ad una incannulazione aortica.
Un'altra eccezione a questa procedura è data da pazienti in reintervento, cioè che sono già
stati sottoposti a intervento di sternotomia mediana; prima di procedere all'approccio
sternotomico, si va ad incannulare arteria e vena femorale perifericamente, in modo tale da
eseguire la sternotomia nella modalità più sicura.
Le cannule atriali sono rette, mentre quelle cavali sono curve. La cannula aortica è retta
nella maggior parte dei casi, in altri casi è curva. L'ossigenatore è un componente
estremamente importante, in quanto è un sistema meccanico artificiale che provvede ad
ossigenare il sangue proveniente dal settore dx (non ossigenato), sottraendo la CO2 e
restituendolo al pz in corrispondenza della linea arteriosa. Esistono due tipi di ossigenatori:
Ad esposizione diretta, anche definiti a gorgogliamento, e quelli a esposizione indiretta,
chiamati anche a membrana e/o fibre cave. Nell'ossigenatore a gorgogliamento, come
suggerisce anche il nome, l'ossigeno viene fatto gorgogliare all'interno del sangue; tuttavia
questa metodica è associata a formazione di schiuma, potenziale causa di embolia gassosa.
Per tal motivo questo tipo di ossigenatore è correlato ad un trattamento antischiuma che è
posto all'interno dell'ossigenatore stesso. L'ossigenatore in questione, anche definito a
bolle, presenta, tuttavia, notevoli svantaggi quali il consumo rapido dell'agente
deschiumante, che è associato ad un aumentato rischio di embolia gassosa; altro svantaggio
è la denaturazione delle proteine e l'emolisi dei globuli rossi per schiacciamento meccanico.
L'ossigenatore a membrane, invece, presenta una sottile membrana (con spessore di 2-4
mm), di teflon o polipropilene o gomma di silicone, dotata di pori di 100micron non visibili
a occhio nudo. Grazie a questi micropori, questa permette lo scambio Ossigeno-Anidride
Carbonica senza un contatto diretto con il sangue. Per cui si ha Minor rischio di embolia
gassosa e di emolisi dei globuli rossi. I vantaggi sono minor traumatismo dei globuli rossi,
alta affidabilità e un Gas Transfer ottimale, perchè si è certi che verrà sequestrata la Co2,
passerà soltanto l'Ossigeno e c'è minor rischio di embolia gassosa. Ad oggi non si utilizza
più l'ossigenatore a gorgogliamento, ma solo quello a membrana.
Lo scambiatore di calore ha il compito di mantenere costante la temperatura del sangue di
perfusione e quindi la temperatura corporea del paziente (per la protezione degli organi
nobili); Esso ha, inoltre, il ruolo di raffreddare e/o riscaldare il sangue per variare la
temperatura corporea in base alle necessità. Questo è costituito da una lamina di metallo,
nella quale è presente acqua fredda o calda, a seconda del fatto se si voglia raffreddare o
riscaldare il sangue, come precedentemente detto. Nello scambiatore, una parte dello spazio
è riservata al mezzo di raffreddamento o riscaldamento (cioè l'acqua) e l'altra al fluido da
raffreddare/riscaldare (cioè il sangue). La pompa genera un gradiente pressorio e serve a
vicariare la funzione di pompa cardiaca, muovendo il sangue nel circuito e nel sistema
vascolare dell'organismo. Esistono due tipi di pompe: a rulli e a centrifuga. La pompa a rulli
è costituita da uno statore (sistema a forma di ferro di cavallo), un rotore (rulli mobili) ed
un tratto di tubo (sottopompa). I rulli, che sono due cilindri posizionati a 180 gradi l'uno
dall'altro, vengono azionati da un motore elettrico. Essi girano all'interno dello statore e
questo continuo movimento assicura l'aspirazione e la propulsione in senso unidirezionale
del sangue contenuto nel sottopompa per occlusione dello stesso. (si deve essere certi che

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la forza propulsiva sia unidirezionale affinchè il sangue venoso non ritorni indietro ma
prosegua unidirezionalmente). La pompa a centrifuga è stata utilizzata per la prima volta
nel 1974; essa è dotata di un sistema a campana. Il sangue viene fatto entrare all'apice di
una campana che è costituita da più pori sovrapposti. I pori vengono fatti ruotare ad alta
velocità. In conseguenza della viscosità e delle forze di adesione, si vengono a creare,
all'interno della campana stessa, due zone a diversa pressione, una centrale a bassa
pressione e una periferica ad alta pressione, da cui viene fatto uscire il sangue. E' un
meccanismo analogo a quello che si determina in una tromba d'aria.
I FILTRI sono delle maglie di nylon dotate di micropori di 40-200 micron. I filtri sono
fondamentali, in quanto vengono inseriti in tutte le componenti della CEC.
Nell'ossigenatore filtra il sangue prima di restituirlo al paziente, nel reservoir (cioè un vero
e proprio contenitore, il quale contiene tutto il sangue che aspiriamo) e sulla linea arteriosa
(a valle della pompa). La professoressa mostra un esempio di una incannulaziome bicavale
e di una arteriosa. Durante questa procedura la cannula viene posta in maniera fissa
nell'aorta: grazie a delle fettucce viene confezionata una Borsa di tabacco con cui stringiamo
la cannula, la quale non dovrà mai sposizionarsi durante l'intervento. Viene, per cui,
confezionata suddetta borsa in corrispondenza della zona che si vuole incannulare
attraverso una sutura in polipropilene, la quale garantisce che la cannula rimanga fissa.
Questo varrà tanto per le cannule venose, quanto soprattutto per quella arteriosa.
Terminata la descrizione dei diversi costituenti della macchina-cuore polmoni, si passa alla
trattazione di come è necessario procedere per far partire questo macchinario. Il sangue
deve essere eparinizzato ed è necessario che il pz abbia dei valori costanti di scoagulazione
durante tutta la fase di CEC, controllando il parametro laboratoristico ACT (tempo di
attivazione del coagulo). Il perfusionista, prima di collegare le cannule al circuito, riempie
tutto il circuito con una soluzione, cioè il Priming. Per Priming si intende la quantità e la
qualità dei liquidi necessari a riempire il circuito. In passato veniva usato il sangue di altri
pazienti, reso incoagulabile con l'uso di citrato e con associati altissimi rischi di infezione. I
rischi maggiori erano rappresentati dall'epatite, dall'AIDS, dai danni alla microcircolazione
respiratoria e degli organi emuntori. Oggi il Priming è costituito da 1,5/2 L di soluzione di
Ringer-Lattato al 5%, la quale andrà a costituire circa il 30-35% del volume ematico del
paziente. Ciò vuol dire che, andando a diluire il sangue, ci si aspetta che, durante la fase di
CEC, l'ematocrito si ridurrà di un terzo di quello di partenza. Questo è importante perchè,
un conto è che il pz ha una Hb iniziale di 10-12 ed un conto è che ha un valore iniziale di 6-
7. Se già sappiamo che a prescindere dalle perdite ematiche cardiochirurgiche il pz perde
un terzo del suo volume ematico, si deve aggiungere sangue al Priming. L'ematocrito
ritornerà nella norma dopo la fine della CEC attraverso la diuresi, per tal motivo è
importante monitorare anche la diuresi durante l'intevento. L'emodiluizione attraverso il
Priming determinerà una diluizione della viscosità ematica, faciliterà la microcircolazione
in ipotermia (Non dimenticate che la maggior parte degli interventi, eccetto il by-pass aorto-
coronarici vengono eseguiti in ipotermia) e evita l'aggregazone dei globuli rossi. Il Priming
è, pertanto, una soluzione di Ringer-Lattato al 5% a cui si aggiunge eparina, 50 mg per ogni
Litro di Priming. Si utilizzeranno 20 mL per kg di peso corporeo. E' fondamentale
eparinizzare il paziente, in quanto il sangue viene a contatto con ogni componente del
circuito CE; esso, per cui, deve essere eparinizzato. Una volta confezionate le borse di
tabacco, prima di connettere le cannule arteriose e venose, si esegue l'eparinizzazione
sistemica. Non si confondano le due cose: il Priming contiene eparina, ma è necessario

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anche iniettare eparina, secondo una dose standard di 3mg/Kg. E' possibile eseguire
l'iniezione diretta o in atrio destro o direttamente in aorta, l'importante è che sia una
eparinizzazione sistemica. A fine intervento, quando si deve uscire dalla CEC, è necessario
ristabilire la coagulazione, andando ad iniettare l'antidoto, il solfato di protamina, alla dose
standard di 1mg per ogni 100 unità di eparina. Durante tutta l'attività della CEC, è
fondamentale monitorare il tempo di attivazione del coagulo (ACT) e quindi se il paziente è
scoagulato o meno, e soprattutto, dopo il solfato di protamina se il paziente non lo è più, in
quanto il rischio è una emorragia massiva. La protamina va somministrata lentamente
perchè il complesso eparina-protamina può dare ipotensione. La protamina viene data
quando il paziente non è più collegato alla CEC, quando il cuore batte da solo e l'intervento
è finito, per cui non si può più intervenire se c'è ipotensione marcata. La CEC va terminata
quando il paziente raggiunge una temperatura corporea pari a 36-37 gradi centigradi, che
noi indichiamo con lo Stop-CEC e se tutto è andato bene il cuore riparte, il polmone si
espande e ventila. Nel momento in cui declampiamo l'aorta, il cuore inizia a battere, però ci
si deve anche assicurare che l'anestesista riattivi la ventilazione polmonare. Ovviamente nel
momento in cui il sangue va a contatto con le superfici sintetiche in maniera non fisiologica,
come avviene nella CEC, si può innescare una risposta infiammatoria, rilasciando molteplici
sostanze tossiche per i vari sistemi organici. A monte di questa risposta infiammatoria vi è
l'attivazione del sistema del complemento da parte del sistema fibrinolitico. Per evitare che
ciò avvenga, si debbono adottare una serie di stratagemmi per evitare le cosiddette
Complicanze da CEC. Esse sono: polmonari, detto Polmone da CEC, cioè da "stasi"
caratterizzato da un aumento dell'acqua a livello extravascolare negli spazi alveolari e
peribronchiali, edema delle cellule alveolari, riduzione del surfattante, alterazione
dell'equilibrio ventilazione- perfusione. Si possono avere complicanze renali con riduzione
del flusso e contrazione della diuresi. Gravi sono le complicanze cerebrali, con ictus o
emorragie, da alterato flusso o da microemboli, soprattutto in corrispondenza della linea
arteriosa. Infine si possono verificare delle possibili complicanze ematologiche, come
sanguinamenti postoperatori o CID da diminuizone dei fattori di coagulazione, dei globuli
rossi (conseguenza della emodiluizione) e riduzione delle piastrine. E' necessario garantire
attraverso diverse metodiche una protezione miocardica costante, per far sì che all'uscita
dalla CEC non si verifichino danni miocardici irreversibili. Queste metodiche sono il
clampaggio aortico, l'ipotermia miocardica e la cardioplegia. Esse consentono un arresto
cardiaco in diastole, non in sistole, per garantire anche una minima perfusione coronarica
e soprattutto per proteggere le cellule miocardiche dal rischio anossico, indotto durante
l'arresto della perfusione. In passato l'unica tecnica usata era il clampaggio aortico,
introdotto da Cooley. Nelle cellule miocardiche private dell'apporto ematico, cesserà il
metabolismo aerobico con il depauperamento delle riserve energetiche, blocco delle pompe
ioniche di membrana, cesserà l'attività elettro-meccanica del cuore, la carenza di energia
comporta l'incapacità di queste cellule a sequestrare il Calcio All'interno del Reticolo
sarcoplasmatico con realizzazione della cosiddetta "contrattura spastica" del cuore (Stone
heart), il cuore cioè si arresta. La durata del periodo di reversibilità nell'ischemia in
normotermica non è ben definita, ma si ritiene che non superi i 38-40 minuti; infatti negli
interventi in normotermia (36-37 gradi centigradi) si ritiene che già dopo circa 40 minuti
possano insorgere vari tipi di danni cardiaci (danno ischemico o danno da riperfusione) e
questi sono il miocardio "stunning", l'apoptosi e l'infarto miocardico conclamato.

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Sono molteplici gli studi che dimostrano che i principali mediatori di danno reversibile o
irreversibile da ischemia/riperfusione sono: elevata concentrazione di calcio, abnorme
presenza di ROS, NO ed il progressivo depauperamento del sistema antiossidante cellulare,
con alterazione dell'equilibrio GSH/GSSG, NADPH/NADP+. Negli anni '60, Shumway per
garantire una maggiore protezione miocardica anche dopo periodi di ischemia più lunghi
(senza danni irreversibili), propose il modello d'ipotermia locale miocardica, detto anche
tecnica di Shumway. Questa consiste nell' irrigazione del cavo pericardio con soluzione
salina fredda, a 4 gradi Centigradi, per raffreddare in maniera topica il miocardio, in quanto
con l'ipotermia si riduce anche l'attività metabolica, con seguente riduzione della domanda
di Ossigeno. In tal modo l'intervento può essere eseguito in clampaggio aortico anche per
più di 40 minuti, di fatti l'attività metabolica si raddoppia o si dimezza per ogni 10 gradi in
più o in meno di temperatura. Oltre all'irrigazione topica, il paziente viene raffreddato
attraverso lo scambiatore di calore, per cui si avrà l'ipotermia topica e l'ipotermia sistemica
(con la CEC). L'ipotermia si distingue in moderata fino ai 28 gradi, intermedia dai 28 ai 20
e profonda sotto i 20 gradi centigradi. La maggior parte degli interventi cardiochirurgici
standard utilizza l'ipotermia standard. Per gli interventi particolari, soprattutto per quelli
da dissezione aortica, si usa quella profonda. Nella ipotermia profonda, la temperatura
rettale sfiora i 18 gradi °C, quindi in questo caso arresteremo la CEC ed esanguineremo
totalmente il pz. La tecnica è molto delicata e viene eseguita affiancando anche una
protezione barbiturica. Il terzo sistema di protezione miocardica è la cardioplegia, che è un
sistema protettivo aggiuntivo. E' detta "quiescenza elettromeccanica", riduce il consumo di
ossigeno a livelli talmente bassi che la produzione di energia spontanea è sufficiente a
garantire processi essenziali al mantenimento della vitalità cellulare. Ricordiamo che queste
sono tutte strategie da adottare per evitare la risposta infiammatoria alla CEC e per
scongiurare il fatto che, terminato l'intervento, seppure eseguito correttamente, il cuore non
riparta. La cardioplegia assicura un cuore fermo, esangue e rilasciato in diastole,
garantendo le condizioni ottimali per eseguire l'intervento. Pertanto riduciamo la domanda
e il consumo di ossigeno, il metabolismo si riduce ai livelli minimo basali, il cuore resta
fermo, ma non avrà danno o se lo avrà sarà solo reversibile. In condizioni normali si ha un
consumo di Ossigeno di 9 ml/100gr/min. Quando si raffredda il pz con la CEC, attraverso
l'ipotermia topica, il cuore inizia a fibrillare perchè il cuore non può pompare a 28 gradi °C.
Il cuore, come detto, va in fibrillazione ventricolare, per cui si va a clampare l'aorta, esso si
arresta e iniettiamo la cardioplegia, che ci garantisce una protezione miocardica. L'arresto
viene eseguito in diastole e viene iniettata la soluzione cardioplegica, la quale è una
soluzione iperpotassica. In ipotermia grazie all'arresto potassico, il consumo di ossigeno da
9 mL arriva a 2mL! Se invece decidiamo di eseguire un intervento a cuore battente (by pass
aortocoronarico senza la CEC) il consumo sarà intorno ai 4 mL. La soluzione cardioplegica
è una soluzione designata per determinare l'arresto del cuore in diastole. Ne esistono di
diversi tipi, a diversa composizione chimica. Si dividono in: soluzioni cristalloidi ed
ematiche, che hanno in comune l'elevato contenuto di K. Dove si inietta la cardioplegia?
Questa è una frequente domanda d'esame, ma spesso non si dà risposta adeguata. La
cardioplegia si può iniettare per via anterograda o retrograda. Per via anterograda si intende
una somministrazione direttamente nel bulbo aortico; si va a clampare l'aorta, e,
immediatamente a monte del clampaggio aortico si andrà a confezionare un'altra borsa di
tabacco per poi andare a immettere l'ago della cardioplegia direttamente nel bulbo aortico.
Oppure, se dobbiamo eseguire un intervento sulla valvola aortica (per accedere alla valvola
si esegue una aortotomia) si procede ad una incannulazione a livello degli osti coronarici.

147
La via retrograda, invece, prevede una incannulazione del seno venoso coronarico. La
cardioplegia riconosce due modalità di infusione: continua ed intermittente.
Ricapitoliamo ora quali sono le tappe di un intervento standard al cuore: sternotomia (nella
maggior parte dei casi), esposizione del pericardio e pericardiotomia, attraverso la quale si
ottiene una esposizione diretta del cuore. Successivamente si vanno a confezionare le borse
di tabacco e si procede con l'eparinizzazione del paziente, segue la incannulazione e la
connessione alla CEC. Dopo di che si dà inizio alla circolazione extracorporea; se
l'intervento si deve eseguire in ipotermia, iniziamo a raffreddare il pz attraverso l'ipotermia
sistemica, clampiamo l'aorta e il cuore si arresta. Possiamo iniettare o meno la soluzione di
Shampway per un ulteriore ausilio ipotermico. Si va proteggere il cuore con la cardioplegia
(soluzione iperpotassica che arresta il cuore in diastole e assicura una riduzione del
consumo di ossigeno da parte del miocardio). Successivamente l'anestesista disconnette il
pz dal ventilatore e si inizia l'intervento. Quando il chirurgo ha terminato l'intervento,
declampiamo l'aorta e ci attendiamo che il cuore riprenda a battere con il suo ritmo sinusale.
Tavolta possono presentarsi delle alterazioni, ma comunque reversibili e quindi trattabili.
Successivamente al release del clamp aortico, si controlla per cui il ritmo cardiaco; questo
può essere sistolico (riprende a battere fisiologicamente in quanto l'intervento è andato a
compimento), oppure possono verificarsi fibrillazioni ventricolari o asistolia. In caso di
fibrillazione ventricolare si esegue una defibrillazione con defibrillatore interno, o in caso
di asistolia si va a connettere il cuore direttamente ad un pacemaker (attraverso degli
elettrodi messi direttamente nel ventricolo). Una volta che siamo sicuri che il cuore è
ripartito bene, si ha il cosiddetto "progressivo svezzamento" dalla CEC. Prima di
decannulare l'aorta, si somministra il solfato di protamina (per attivare i coaguli);
successivamente decannuliamo la linea arteriosa. Il pz è totalmente decannulato e si può
eseguire una accurata emostasi (che non si può eseguire se il pz è scoagulato perchè il
sangue è fluido e l'emostasi è inutile). In seguito si procede con i drenaggi e poi con
l'introduzione di un filo elettrodo da pacemaker temporaneo. Questo filo (che fuoriesce
dalla cute) serve in caso di emergenza/urgenza nel post-operatorio nel caso in cui il pz
abbiamo problemi di ritmo. Se dopo 48 h questo non ha avuto problemi, si va a sfilare dalla
cute senza riaprire lo sterno. Pertanto, Una volta messo questo filo elettrodo temporaneo,
si può chiudere o meno il cavo pericardico per poi chiudere lo sterno attraverso una sintesi
della sternotomia con fili di acciaio.

148
STENOSI AORTICA (Prof.essa Della Ratta)
La valvola aortica è costituita da 3 lembi, questi lembi si attaccano alla parete ventricolare
e fanno parte, assieme al ventricolo, del tratto di efflusso ventricolare sinistro nella aorta.
La valvola aortica stenotica ha difficoltà sia in apertura sia in chiusura e nella maggior parte
dei casi per apposizione di calcio, quindi per problemi di natura degenerativa. Sopra i lembi
valvolari abbiamo i seni di Valsalva, nei quali originano gli osti coronarici. Quindi
abbiamo:
- Lembo coronarico di sinistra
- Lembo coronarico destro
- Lembo non coronarico che si trova di fronte agli osti coronarici destro e sinistro
dei seni di Valsalva.

Tutte le parti non settali dei lembi sono definiti cuspide. La cosa importante da ricordare
è che la commisura tra lembo non coronarico e lembo coronarico sinistro è in
corrispondenza della continuità con la mitrale. Quindi bisogna prestare particolare
attenzione quando andremo a rimuovere la commisura tra lembo coronarico sx e lembo non
coronarico proprio perché potremmo andare ad intaccare il lembo anteriore della mitrale.
Il lembo coronarico è in continuità con la porzione posteriore del tratto di efflusso
ventricolare sx e bisogna prestare attenzione perché è direttamente collegata con la parete
atriale dx. La commisura tra cuspide coronarica dx e non coronarica è situata in
corrispondenza del nodo atrio ventricolare e del setto membranoso e questo è il
motivo per il quale dobbiamo sempre prestare attenzione all’anatomia perché potremmo
andare ad intaccare delle porzioni fondamentali e notevoli; ad esempio se andiamo ad
intaccare il nodo AV cosa può succedere? Potremmo avere dei grossi problemi di
conduzione che richiedono al paziente un pacemaker.
Normalmente l’area valvolare di un soggetto normale è di circa 3 cm2
Ovviamente poi varia in base al BMI.
Essendo un orifizio molto grande fa sì che degli elevati flussi di sangue possano attraversale
l’aorta durante la fase sistolica del ciclo cardiaco senza creare pressione. Quindi fate
attenzione: normalmente, fisiologicamente, non c’è mai un gradiente pressorio tra
ventricolo sx e aorta in sistole durante l’apertura della valvola aortica. In fase eiettiva la
valvola si apre, passa sangue tra ventricolo e l’aorta per garantire il flusso al circolo
sistemico. Normalmente non c’è mai gradiente pressorio. Quindi che cosa accade? Che il
meccanismo di apertura è passivo ed è legato solamente alle variazioni pressorie tra la
camera ventricolare e l’aorta durante il ciclo cardiaco. Quindi ricordatevi non si genera mai
un gradiente pressorio. Che cosa accade? Durante la stenosi valvolare aortica,
restringendosi l’orificio si crea un gradiente pressorio che normalmente non ci deve essere.
Quindi se io vi chiedo che cos’è la stenosi valvolare aortica e le varie distinzioni lieve,
moderata, severa, non basta dire “restringimento dell’anello valvolare” ma soprattutto il
gradiente pressorio. Diciamo che ad oggi la stenosi valvolare è di natura degenerativa su
base aterosclerotica quindi ad appannaggio esclusivo della terza età; ovviamente la sua
incidenza aumenta con l’età e soprattutto si riscontra in pazienti over 65. Con l’aumento
dell’età media nella popolazione generale, la riscontriamo addirittura in pazienti over 80.
Ovviamente la stenosi può essere congenita o acquisita:

149
- Congenita: nella maggior parte dei casi è indotta da patologie geneticamente
determinate quali la Bicuspid aortic valve che quando è indotta da fusione
commissurale, quindi quando non è una tricuspide vera perché non sono presenti i
tre lembi ma c’è una fusione di due lembi quindi è funzionalmente biscupide, si crea
un meccanismo di stenosi e non di insufficienza

- cquisita: nella maggior parte dei casi è di natura degenerativa e soprattutto in età
senile. In passato fino a circa 30 anni fa era anche su base reumatica, oggi nei paesi
occidentali è andata quasi del tutto a scomparire.

La stenosi aortica su base degenerativa perché si manifesta? Perché con apposizione di


calcio si crea un processo infiammatorio, con un’infiltrazione di macrofagi e linfociti T che
sono indotti da un lato dallo share stress del carico, dall’altro dall’apposizione di calcio.
Quindi queste due cause creano un primum movens per una risposta infiammatoria che
darà luogo a una apposizione di calcio e immobilizzazione delle cuspidi e questo fa sì che i
lembi valvolari non siano più, diciamo, dei piccoli foglietti mobili complianti durante la
sistole e la diastole ma diventano fissi.

Ovviamente in caso di stenosi valvolare aortica la terapia è solo ed esclusivamente


chirurgica perché non c’è nessun farmaco che va a lisare i blocchi di calcio e l’apposizione
infiammatoria che si viene a creare perché è totalmente sovvertita l’architettura dei lembi
valvolari.

Dal punto di vista fisiopatologico avremo un’ostruzione all’efflusso ventricolare sx che


indurrà da un lato un aumento della pressione sistolica del ventricolo sx, dall’altro un
aumento della pressione diastolica e della pressione aortica che si tradurrà sempre in una
disfunzione tra domanda e apporto miocardico di ossigeno che ovviamente culminerà nella
maggior parte dei casi in un’ischemia miocardica o ancora in disfunzione ventricolare sx a
grado a grado, prima ipertrofia -> dilatazione -> insufficienza ventricolare. Questa malattia
è per definizione una malattia silente, cioè non dà mai manifestazione di sé a meno che non
diventi severa e quindi diciamo che la storia clinica se il pz non esegue un ECG per altri
motivi, noi non riusciremo mai a svelarla a meno che ovviamente non compaiano questi
sintomi. Perché c’è prima quella fase di adattamento dell’ipertrofia ventricolare sx e poi pian
piano quando il cuore ipertrofico si dilata, si avrà la riduzione della frazione di eiezione e
disfunzione ventricolare insufficienza ventricolare sinistra. Per definizione la stenosi è:
- Serrata < 0,75 cm2
- Moderata tra 0,75 – 1 cm2
- Lieve tra 1,5 e 1 cm2

Nella stenosi serrata si crea un gradiente pressorio tra ventricolo sinistro e aorta che
normalmente non c’è e supera i 40 mmHg.
Da un punto di vista pressorio, (normalmente non c’è mai!!!!) la stenosi è:

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- Lieve se il gradiente è 25 mmHg
- Moderata fino a 40 mmHg
- Serrata > 40 mmHg Nella stenosi serrata addirittura il gradiente può arrivare a
60 mmHg.

Ricordate bene questi parametri perché sono fondamentali per fare diagnosi di stenosi
aortica. I primi sintomi si manifestano quando l’orificio inizia a ridursi di 1 cm2 e sono o da
insufficienza ventricolare sinistra o legati all’ischemia miocardica perché abbiamo che
inizialmente c’è aumento della pressione telediastolica ventricolare con aumento della
pressione atriale sinistra e venosa polmonare, quindi il primo sintomo è la dispnea. La
dispnea sarà inizialmente da sforzo, poi a riposo con respiro ortopnoico fino ad arrivare
all’edema polmonare acuto conclamato. E vediamo bene che nella stenosi valvolare il
sintomo di esordio è proprio l’edema polmonare acuto. L’edema polmonare acuto
cardiogeno come si manifesta? Il paziente lamenta fame d’aria, è cianotico, ha la marea
montante, classico escreato roseo con bolle, cianosi del letto ungueale, se non
abbiamo a disposizione l’emogasanalisi basta mettere un saturimetro (il pz è insaturo),
misuriamo la pressione (avrà 200 di pressione). La prima cosa che si fa è ossigeno e
diuretico poi una volta stabilizzato Rx ed Ecocardiogramma. Se non viene trattato ha
circa 30 minuti di vita e poi definiamo le cause. Oppure se non compare l’edema polmonare
acuto potremmo avere dei segni di bassa gittata: sincope (la stenosi è già severa) in
questo caso stabilizziamo il paziente poi c’è indicazione chirurgica immediata. Noi possiamo
trattare farmacologicamente un paziente quando la stenosi valvolare è lieve-moderata
andando a impedire il rimodellamento ventricolare, andando a bloccare l’ipertensione
arteriosa, se dislipidemico gli diamo statine, blocchiamo così la progressione della malattia
e andiamo a curare tutte le comorbidità che possono favorire un’ accelerazione. Non c’è
nessun farmaco per curare la stenosi valvolare. Quindi i sintomi sono 3 e li dovete tenere
ben a mente e sono:

- ANGINA
- SINCOPE
- DISPNEA da lieve, moderata quindi classe NYHA II- III – IV fino ad arrivare all’ edema
polmonare acuto.
Nei casi gravi potremmo avere segni di SCOMPENSO CARDIACO, embolie o
endocardite che è molto rara nella stenosi perchè intercorre nelle insufficienze valvolari
(aortica o mitralica).
L’angina può essere dovuta sia per la discrepanza tra forte richiesta di ossigeno e sia perché
andremo a creare una vera e propria ostruzione coronarica. Quindi anche in assenza di
sindrome coronarica acuta.
La sincope è soprattutto durante lo sforzo fisico per riduzione della portata cardiaca che si
ripercuoterà a livello dei tronchi sovraortici (arteria brachiocefalica, carotide
comune sx, succlavia sx).

151
I sintomi che precedono la sincope possono essere l’ipotensione da sforzo, vertigini per
obnubilamento del sensorio. Infatti il pz vi dirà o che improvvisamente è sbattuto a terra e
non si ricorda niente oppure riferiscono di vedere male prima di cadere a terra: non bisogna
mai trascurare queste situazioni poiché ci sarà un problema o cardiaco o neurologico. In
più, purtroppo, la sincope può essere indotta anche da un fenomeno aritmico, nella maggior
parte dei casi fibrillazione atriale, blocco AV o fibrillazione ventricolare
- FA quando l’atrio si dilata e perde la sua normale condizione elettrica.
- Blocco AV per apposizione di calcio in corrispondenza del nodo AV
- FV se il pz è fortunato che non è morto già (perché con la FV si muore).

La dispnea varia: da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, fino ad arrivare


all’edema polmonare con ipertensione venosa polmonare. Questi sintomi sono TARDIVI,
di SCOMPENSO CARDIACO.

La valvola aortica si ausculta nel II spazio intercostale dx sulla linea margino-sternale e il


soffio è talmente forte che talvolta si percepisce senza fonendoscopio e talora si irradia al
collo, è sistolico di tipo eiettivo.

Quali sono gli esami strumentali?

-ECG per escludere aritmia, segno di sovraccarico ventricolare. Ovviamente ci può essere
un’aritmia atriale, ventricolare in senso di tachi o bradi aritmia, ci può essere un segno di
ipertrofia e sovraccarico ventricolare sx

-RX può essere normale o ci può scompenso ventricolare soprattutto dx, se c’è una
polmonare (?)

-ECOCARDIOGRAMMA è il gold standard sia transtoracico sia transesofageo che nella


forma bidimensionale ci darà diagnosi di certezza perché nelle forme degenerative ci farà
valutare anzitutto se c’è apposizione di calcio in corrispondenza dei lembi e dell’anello
valvolare e soprattutto con ecocolordoppler ci farà fare diagnosi di stenosi moderata,
lieve o severa in base al gradiente pressorio. Ci farà vedere se c’è una valvulopatia mitralica,
segni di ipertrofia ventricolare, dilatazione ventricolare e quant’altro.

Nella stenosi serrata l’aumento pressorio si ripercuote sia sul circolo sistemico sia sul circolo
polmonare ciò spiega tutti questi sintomi gravi.

TERAPIA:

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Se la stenosi è congenita eseguiamo una dilatazione trans catetere con palloncino (non si
esegue più la valvolotomia chirurgica). La valvoloplastica endovascolare è la tecnica di
prima scelta se il paziente non raggiunge una superficie corporea che permette di
impiantare un protesi. Quindi prima il trattamento endovascolare pediatrico e poi quando
il pz raggiunge un’età adolescenziale eseguiamo l’intervento di sostituzione.

Purtroppo ad oggi l’unica terapia dell’adulto è quella sostitutiva con protesi. Tutti gli
interventi di sostituzione valvolare aortica si eseguono in CEC, solitamente in ipotermia
lieve, ed eseguiamo incannulazione aortica, un’incannulazione atriale dx, clampiamo
l’aorta, eseguiamo un’aortotomia trasversa in modo tale che esponiamo visivamente la
valvola aortica, rimuoviamo la valvola e se è molto stenotica utilizziamo le pinze per
decalcificare l’anello perché se rimuovi solo i lembi e lasci l’anello calcifico la protesi si
stacca (non riesci a mettere i punti).

Sostituzione valvolare con valvola biologica ricostituendo anatomia funzionale.


Essendo una patologia ad appannaggio esclusivo dell’anziano, sta prendendo piede secondo
le linee guida la tecnica endovascolare, quindi la tecnica transcatere con palloncino che
praticamente si esegue in tutti i pz che hanno il rischio chirurgico molto elevato che
controindica all’intervento. Viene eseguito con introduzione via femorale e la maggior parte
dei casi è così poco invasiva che non si utilizza nemmeno più l’esposizione chirurgica
dell’arteria femorale ma la inannuliamo per via percutanea.
Poi abbiamo la via transaortica con approccio sternotomico che è preferita quando già
dobbiamo aprire il torace, quando eseguiamo procedure cardiochirurgiche ibride ad
esempio abbiamo una aorta molto calcifica che non possiamo clampare, coronaropatia e
stenosi valvolare associata. Quindi eseguiamo bypass a cuore battente senza toccare l’aorta
(no touch technique) perché l’aorta calcifica può sparare l’embolo e il pz avrà ictus cerebrale
immediato.
Invece con l’approccio transaortico ed esposizione diretta, il catetere con palloncino arriva
in corrispondenza dell’anello valvolare e si dilata: noi lasciamo la valvola in situ, non la
rimuoviamo chirurgicamente ma il palloncino sbatte i lembi valvolari contro l’anello e dilata
l’orificio valvolare. Poi abbiamo la tecnica transapicale con approccio toracotomico. (La
prof. non si dilunga sulle TAVI poiché ci vorrebbe una lezione solo per questo).

INSUFFICIENZA AORTICA
E’ per definizione una patologia in cui c’è una ridotta, mancata, coaptazione dei lembi
valvolari in sistole (credo si sia confusa, dovrebbe essere in diastole come infatti afferma
dopo). Ovviamente durante il ciclo cardiaco la valvola aortica impedisce al sangue di refluire
in ventricolo sx durante la diastole in modo tale che, quindi, c’è un’apertura e poi, con la
chiusura delle cuspidi semilunari, il sangue non rigurgita.

153
Il meccanismo è ovviamente passivo poiché non c’è mai gradiente pressorio tra ventricolo
sx ed aorta. Nella maggior parte dei casi le insufficienze valvolari congenite sono rare,
sono sempre dovute alla cuspidia aortica. Per lo più sono acquisite:

- Primitive: sono dovute ad esempio ad anatomie acquisite, quando abbiamo


alterazioni anatomiche tali da creare una valvola unicommissurale quindi da tre
lembi a un lembo o addirittura una valvola quadricuspide

- Secondarie: si dividono in acute e croniche.

Le insufficienze primitive sono dovute a malattia reumatica (che per fortuna non la vediamo
quasi più) oppure nell’anziano associata alle placche calcifiche abbiamo meccanismo di
steno-insufficienza. Senz’altro ad oggi nelle forme primitive vediamo che le principali cause
sono due: quindi il pz viene operato o perché la valvola si infetta, quindi perché c’è
endocardite infettiva o perché la valvola è bicuspide. Quindi nella bicuspidia aortica noi
teniamo sotto controllo il pz fin quando il meccanismo di insufficienza non diventa severo.
Quando diventa severo ovviamente viene posta indicazione chirurgica.
Nelle forme secondarie sono dovute a DIV o a presenza di un cercine subaortico (quindi
congenito) o ad esempio può essere di natura iatrogena per complicanze da infrazione
transcatetere, tutto il corteo di malattie autoimmunitarie. Oppure può essere
secondaria, l’insufficienza, a patologie non della valvola ma della radice aortica. Ovviamente
la prima patologia è la sindrome di Marfan e in passato dal punto di vista
anatomopatolgico veniva descritta una necrosi ??? dell’aorta. Ovviamente l’insufficienza
valvolare aortica acuta intercorre in processi di dissezione aortica. I meccanismi di
dissezione possono costituire non solo i meccanismi di dissezione del tratto tubolare
dell’aorta ma quando interessa la radice aortica può creare un meccanismo secondario di
insufficienza aortica valvolare acuta.
Nelle forme gravi da un punto di vista fisiopatologico avremo una (mentre per la stenosi
quindi avremo segni di ipertrofia da compenso ventricolare poi nelle forme gravi ma anche
dopo 20 anni si sviluppa la dilatazione) purtroppo nell’insufficienza grave avremo
meccanismi di dilatazione che si manifestano più precocemente rispetto all’ipertrofia.
Avremo un’alterata relazione tra pressione diastolica del ventricolo sx ovviamente avremo
un aumento del post- carico, un aumento dell’afterload mismatch e in tal caso i sintomi si
traducono tutti in insufficienza cardiaca terminale e, quindi, ridotta contrattilità
miocardica, ridotta frazione di eiezione del ventricolo sx che si manifesta più precocemente
rispetto alla stenosi valvolare aortica. Anche come nelle stenosi valvolari, nelle insufficienze
croniche della valvola aortica insorge nella maggior parte dei casi in maniera asintomatica.
Nelle forme severe avremo la comparsa di dispnea da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica
notturna e solo nelle forme tardive l’angina. L’angina compare più precocemente nella
stenosi. Invece, secondo voi, quand’è che abbiamo l’insufficienza valvolare aortica acuta?
Nell’insufficienza acuta non avremo la possibilità che si sviluppi l’afterload mismatch,
avremo direttamente segni di insufficienza cardiaca. Improvvisamente in pieno benessere
il pz avrà angina, dispnea ingravescente e quarta classemia. Secondo voi, quali sono le
cause? Può essere insufficienza funzionale oppure l’endocardite infettiva che insorge in

154
maniera acuta o subacuta. Nella maggior parte dei casi quando non sospettiamo una
sindrome coronarica acuta, la causa è sempre quella. Ad esempio il pz già è a conoscenza di
essere bicuspide, quindi già rispetto alla popolazione generale ha un rischio maggiore che
si sviluppi l’infezione cardiaca. Nell’acuta avremo una sintomatologia ingravescente quindi
ipotensione fino al collasso, dispnea ingravescente, tachicardia, congestione ed edema
polmonare. All’esame obiettivo avremo nella maggior parte dei casi un itto iperdinamico
spostato lateralmente e inferiormente addirittura potremmo avere un fremito sistolico
palpabile all’apice e il primo tono di Korotkoff che persiste in maniera preponderante. Il
focolaio è sempre il secondo spazio intercostale dx, potremmo avere anche uno
sdoppiamento paradosso del secondo tono, ritmo di galoppo ma quello che è predominante
e caratteristico è il soffio da rigurgito che non è sistolico (tipico della stenosi aortica) ma è
un soffio che praticamente nelle forme gravi raggiunge un acme precoce e poi decresce
durante tutta la diastole.
All’esame ecg potremmo avere un sovraccarico diastolico ventricolare sx quindi visibile in
V3 V6, talora delle onde T alte e positive nelle precordiali di sinistra e poi addirittura
invertite che possono mimare un sottoslivellamento del tratto ST quindi possono mimare
una vera e propria sindrome coronarica acuta. A differenza della stenosi, generalmente non
avremo mai disturbi della conduzione che sono per lo più tardivi.

Nelle forme croniche, all’RX avremo marcata dilatazione dell’ombra cardiaca.

L’ecocardio è sempre ovviamente il gold standard ci fa fare diagnosi di certezza sia


eziologica perché andiamo a vedere se c’è un meccanismo di flail, di prolasso valvolare, se
c’è un ispessimento delle cuspidi valvolari che quindi impedisce il meccanismo di
coaptazione dei lembi oppure ovviamente se ci sono segni di vegetazione quindi se è
un’endocardite batterica. Ovviamente ci andrà a misurare attraverso il doppler la frazione
di accorciamento, le dimensioni sitoliche e diastoliche, i lumi, ci farà capire l’apparato
valvolare e la frazione di eiezione del ventricolo sx per vedere se c’è una riduzione della
contrattilità cardiaca ci farà valutare il grado di insufficienza quindi da lieve, moderato a
severo.
Il transesofageo ha sempre una maggiore sensibilità, specificità soprattutto quando non
c’è una buona impedenza (pz obeso) oppure quando abbiamo un sospetto di endocardite
ma non abbiamo la certezza perché purtroppo non tutte le endocarditi si manifestano con
vegetazione ma talora possiamo avere, ad esempio, …….. di Valsalva… tutte queste
alterazioni anatomiche gravi sono sempre più visibili al transesofageo rispetto a
transtoracico.

Il cateterismo invece è il gold standard sia nel pre operatorio perché andremo ad
escludere una sindrome coronarica acuta ma ci farà valutare anche il grado di insufficienza
attraverso la frazione rigurgitante.

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Solitamente il pz nella maggior parte dei casi è asintomatico a meno che non c’è una
progressiva disfunzione del ventricolo sx; in tal caso se la FE è < 50% dovremmo seguire il
pz con un follow-up ogni 3 mesi. In questo caso, nell’adolescente o nel giovane poniamo
indicazione chirurgica anche se il pz è asintomatico perché se già c’è una disfunzione
ventricolare < 50% lo seguiamo con un follow-up serrato ma se c’è già una grave riduzione
della contrattilità miocardica poniamo indicazione anche se il pz è asintomatico.
Se il pz è asintomatico c’è una progressiva dilatazione del ventricolo sx quindi con un
diametro telediastolico superiore a 4 volte rispetto al normale, in tal caso poniamo
indicazione chirurgica. Se c’è una stenosi moderata aortica consensuale, se vi sono
alterazioni importanti all’ECG, lo operiamo. Se il pz è sintomatico lo operiamo sempre e i
sintomi sono tardivi.
Nell’adulto solitamente poniamo indicazione chirurgica anche se il pz ha una FE conservata
>50% ma il pz è fortemente sintomatico con dispnea (classemia III o IV).
Alcune indicazioni secondo alcune linee guida che sono classe II ad esempio quando il pz è
classemia II FE> 50% però il ventricolo sx si è dilatato rapidamente nell’ultimo anno e nei
controlli ha ridotta tollerabilità allo sforzo e una ridotta FE del ventricolo sx. Ovviamente se
il pz è asintomatico però deve subire un intervento cardiochirurgico (pz con insufficienza
moderata ma deve essere sottoposto a bypass, sostituzione valvolare mitralica) lo operiamo
perché già sappiamo che questo pz tra 1-2 anni avrà indicazione chirurgica (lo anticipiamo
perché già sappiamo che deve avere un altro intervento).
In più se il pz è asintomatico, ha una normale funzione ventricolare sx ma ha una
severissima dilatazione del ventricolo sx, un diametro telediastolico > 75 mm poi 55 mm
oppure ha una progressiva dilatazione, cioè si dilata notevolmente nel corso dell’ultimo
anno-> indicazione chirurgica.
Se i pz sono asintomatici, eseguiamo un test da sforzo e ha ridotta tollerabilità all’esercizio
fisico poniamo sempre indicazione chirurgica.

Come viene eseguito l’intervento di sostituzione valvolare aortica?

Poniamo il pz in CEC, incannulazione aortica e cavale dx. Raffreddiamo, quando il cuore


fibrilla, clampiamo. Quindi la protezione miocardica viene eseguita con ipotermia (tecnica
di irrigazione di Shadwey????) locale del pericardio, ipotermia indotta dalla CEC, poi
clampaggio, cardioplegia
(Nella valvola mitralica facciamo incannulazione aortica, cardioplegia anterograda nel
bulbo aortico e non tocchiamo l’aorta) Nella sostituzione valvolare aortica, se il pz ha solo
stenosi, senza insufficienza eseguiamo una cardioplegia selettiva anterograda, metà nel
bulbo aortico per proteggere il cuore poi eseguiamo un’aortotomia trasversa e facciamo
un’incannulazione selettiva degli osti coronarici.
Se il pz ha insufficienza invece eseguiamo una cardioplegia retrograda nel seno venoso
coronarico.

156
Il cuore si arresta in diastole. Utilizziamo una cardioplegia St. Thomas fredda iperpotassica
( nel coronarico una cardioplegia ematica calda perchè la CEC viene eseguita in
normotermia (bypass)).

L’intervento chirurgico è indicato per:


-stenosi aortica
-insufficienza aortica
-stenosi mitralica
-insufficienza mitralica
-insufficienza tricuspidalica
Etc..

Dobbiamo scegliere la valvola:


Le protesi valvolari ideali devono essere assolutamente emocompatibili cioè non devono
avere azione emolitica, trombigena, denaturante proteica. Devono essere sicure, non
devono avere alterazioni strutturali intrinseche soprattutto devono garantire un’adeguata
performance emodinamica perché con la protesi sovvertiamo l’anatomia strutturale della
valvola ma dobbiamo creare un’anatomia funzionale: il flusso transprotesico deve essere
quanto più vicino a quello fisiologico. Il gradiente pressorio protesico deve essere basso,
non ci devono essere aree di resistenze, turbolenze trombogene. E questo è il motivo per il
quale nel corso degli ultimi 50 anni si sono susseguiti vari tipi di protesi. In linea generale
le protesi le distinguiamo in meccaniche e biologiche.
Le meccaniche si dividono in tre generazioni:
- prima generazione: a palla (tolta dal commercio)
- seconda generazione: monodisco (tolte dal commercio)
- terza generazione: bidisco (attualmente in uso)

Quelle biologiche si dividono in:


- Omoinnesti quando abbiamo donatore- ricevente della stessa specie; ad esempio
nell’intervento di Ross andiamo a prelevare un lembo di valvola polmonare per
andare a sostituire la valvola aortica

- Eteroinnesti quando il donatore e il ricevente sono di specie diverse

- Autoinnesti se il donatore e ricevente sono lo stesso individuo

Per quanto riguarda le meccaniche hanno il vantaggio di avere, in teoria, una durata
illimitata. Però qual è il rischio? Per funzionare hanno bisogno di una terapia con

157
dicumarolici a vita, quindi il rischio è o emorragia oppure trombi oppure si blocca la valvola.
Quindi il pz si deve rioperare in urgenza oppure la protesi si può infettare: l’endocardite su
protesi ha il 50% di rischio in più rispetto a una valvola nativa.

Le protesi biologiche invece hanno il vantaggio che non necessitano di dicumarolici se non
per i primi 3 mesi, quindi il pz è molto più performante, ha una maggiore compliance alla
terapia che poi è solo terapia antiaggregante (cardioaspirina) per 3 mesi, però ha lo
svantaggio che ha una durata limitata perché può andare incontro a degenerazione essendo
costituita da materiale biologico. La letteratura dice 10-15 anni quindi è per lo più preferibile
nell’anziano.

Quelle di prima generazione sono ad altissimo profilo, creano un notevole flusso turbolento
con elevato gradiente transprotesico, sono ritirate dal commercio.
Quelle a basso profilo che sono quelle a disco, usate fino agli anni ’70 – ’80 avevano rispetto
a quelle a palla un profilo inferiore quindi erano a basso profilo, una famosa è la LILLEHEI-
KASTER ma è stata ritirata dal commercio negli anni ‘80 per l’azione trombogenica elevata
e non aveva una buona performance emodinamica.
[fa una carrellata di nomi di protesi che sono tutte ritirate dal commercio e che trovate nelle
slides]

Le BILEAFLET hanno un basso profilo e il fatto di avere due emidischi circolari


completamente aperti riduce le turbolenze, le aree di stasi (minor rischio trombogenico) ha
una maggior performance emodinamica una riduzione del gradiente transprotesico e un
angolo di apertura notevolissimo di 80° quindi fa sí che in sistole e in diastole si
aprano/chiudano ovviamente andando a creare un gradiente che sia quanto più vicino
possibile a quello fisiologico.

Quelle a palla sono state ritirate perché creavano flussi e turbolenze laterali;
Quelle monodisco sono state ritirate perché non avevano una adeguata performance
emodinamica;
Quelle bidisco c’è un’apertura tale che crea un rigurgito di sangue che è più vicino a quello
fisiologico, perché come potete immaginare una protesi a due dischi non c’entra niente con
l’anatomia valvolare che sia aortica o mitralica però ovviamente fisiologicamente è quanto
più vicina possibile alla fisiologia valvolare.
Caratteristiche innovative degli negli anni ’70, è che sono state cambiate anche nella
tipologia di materiale: abbiamo quelle in carbonio pirolitico che hanno ridotto
notevolmente la trombogenicità della protesi per cui sono molto più compatibili.
In passato c’erano quelle interamente in carbonio che poi erano meno performanti, difficili
da maneggiare perché erano molto ingombranti. Per fortuna si sono creati delle protesi

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soltanto con copertura un carbonio pirolitico con un core centrale in metallo e questo creava
una maggiore lavorazione, una maggiore performance emodinamica.
Quelle che utilizziamo anche attualmente sono: sia le St.Jude Medical che nel corso degli
anni si sono evolute per aumentare la performance emodinamica (hanno studiato qual era
il materiale migliore)
sia la Carbomedics e sia la Sorin sono le tre principali protesi meccaniche bileaflet che noi
utilizziamo nella pratica chirurgica quotidiana. (Dice di studiare dalle slides bene la
struttura di ogni tipologia di protesi ma poi vedi fine sbobbinatura dove dice le cose
importanti da sapere)
Le St.Jude non sono ingombranti, possono essere utilizzate per chi ha un anulus piccolo,
crea un basso gradiente trans valvolare, performano meglio soprattutto in soggetti donne
di piccole dimensioni (con flusso e anello valvolare piccolo)

Le complicanze di tutte le protesi meccaniche possono essere sia episodi tromboembolici


quindi terapia anticoagulante perché il pz non ha una buona compliance, è epatopatico,
perché ha una diatesi emorragica, in tal caso la complicanza può essere o emorragica o
tromboembolica dall’altra.
Endocardite su protesi o emolisi soprattutto in pz che hanno più protesi valvolari e poi
anche malfunzioni estrinseche che se sono precoci (si risolvono nei primi 3 mesi
dall’impianto) se sono tardive la presenza di un click ci deve sempre far pensare ad
un’endocardite su protesi perché l’endocardite su protesi non si manifesta quasi mai con la
classica vegetazione ma nella maggior parte dei casi si riscontra un click e in tal caso viene
imposta l’esecuzione di un transesofageo per vedere se c’è la presenza di un trombo (no
endocardite) o di un ascesso (endocardite). Poi vi sono delle malfunzioni intrinseche e
quindi rotture o blocco dell’elemento mobile e questo non è prevedibile: o sono difetti di
fabbrica oppure perché si crea un panno fibroso sulla protesi. Anche piccoli trombi la va a
bloccare. In tal caso noi interveniamo prima con la trombolisi poi se il trombo non si scioglie
purtroppo dobbiamo rioperare il pz.

Le protesi biologiche invece sono protesi costituite da una parte artificiale, lo scheletro della
valvola, che quindi non è di natura biologica, e da un parte biologica e solitamente sono
porcine o di pericardio bovino. Nei pz anziani, poiché la vita media è di 10-15 anni, possiamo
usarle perché il pz non andrà contro a reintervento oppure in tutte le condizioni in cui è
controindicata la terapia anticoagulante a vita (pz che non hanno buona compliance come i
tossicodipendenti che si operano per endocardite, mettiamo la protesi biologica perché
tenderanno a non rispettare la terapia e se il pz non è scoagulato, la protesi meccanica si
bloccherà) oppure donne che vogliono intraprendere una gravidanza perché il warfarin è
teratogeno quindi le donne giovani sanno che dovranno rioperarsi o per scelta personale ed
è il pz, tra quelli eletti, che decide pur sapendo che le protesi meccaniche in quanto tali si
adattano a qualsiasi size di anello (ogni tipo di protesi si adatta al tipo di anello) le protesi
biologiche non sempre si adattano quindi qualora ci siano difficoltà tecniche comunque
andiamo a mettere una protesi meccanica. Oppure se dobbiamo sostituire un’altra valvola
come la tricuspide e deve essere biologica.

159
Le prime valvole erano porcine, tutte fissate e conservate in glutaraldeide che diminuisce la
trombogenicità delle valvole biologiche. I vantaggi sono che avevano bassa incidenza sia di
tromboembolia sia di emorragie però hanno svantaggio di fenomeni degenerativi intorno
ai 10-15 anni.
Le protesi porcine in generale tutte le biologiche, si distinguono in I e II generazione a
seconda della conservazione e del fissaggio in glutaraldeide.
Quelle di I generazione sono tutte fissati in glutaraldeide ad alta pressione (questo per
andare a indurre degenerazione delle fibre collagene)
Le protesi di II generazione sono fissate e trattate con glutaraldeide a bassa pressione.
Le prime protesi erano le protesi di Hancock anni ’70… ecc.. (elenco di protesi)

Quelle di pericardio bovino invece sono tutte costituite da una fascia …. E la dura madre di
cadavere in passato venivano utilizzate con dura madre di cadavere, adesso invece quelle
di pericardio bovino sono per lo più costituite interamente da pericardio, sempre fissato in
glutaraldeide ad elevata pressione, hanno un’elevata performance emodinamica, basso
gradiente transvalvolare e sono tutte indicate per anelli valvolari piccoli. Il difetto è che
essendo trattati in glutaraldeide vanno più incontro a fibrosi i lembi valvolari, quindi vanno
più rapidamente incontro a degenerazione e quindi a calcificazione e rottura delle cuspidi.

Quelle biologiche a differenza di quelle meccaniche sono molto simili alla struttura
anatomica (indica immagine, i tre lembi sembrano proprio i lembi anatomici della valvola
aortica vera)

Si dividono in stented e stentless: ad oggi non esiste ancora un’indicazione tra le due in
linea generale per anelli valvolari piccoli soprattutto quando c’è poco spazio tra i seni di
Valsalva e l’anello valvolare (se ho poca superficie tra seno e anello e vado a mettere una
valvola stented che è molto più grande rischio di occlude il seno coronarico e quindi l’infarto
miocardico acuto, la scelta varia sempre in base all’esperienza)

Le protesi biologiche con bulbo aortico compreso cioè quando andiamo a sostituire la
valvola aortica insieme alla radice aortica abbiamo protesi biologiche e stentless in cui c’è
legato già un bulbo aortico porcino dove alla radiografia attraverso la tecnica di Bental
andremo ad eseguire degli occhielli sul bulbo aortico e quindi anastomizziamo le due
coronarie di dx e sx.

Ultimamente si sta pensando all’utilizzo di: Trapianto di cellule autologhe o protesi molto
più vicine all’anatomia valvolare.

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A grandi linee quello che deve restare è: l’esistenza di valvole meccaniche e biologiche,
vantaggi e svantaggi. Il motivo per cui si usano le meccaniche di terza generazione bileaflet
quindi basso gradiente transprotesico, sono notevolmente performanti grazie alle tecniche
di ingegneria biomedica, sono costituite da materiale emocompatibile, bassa azione
trombigena, basso rischio di endocardite infettiva. Dall’altro lato abbiamo il grosso capitolo
delle bioprotesi che si dividono in porcine e di pericardio bovino, divise in stented e
stentless.

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(Prof.essa Della Ratta 13\11\2018)

STENOSI MITRALICA
Che cosa è la stenosi mitralica? Sappiamo che il progressivo restringimento dell’ostio
valvolare mitralico determina una ostruzione al flusso di sangue dall’atrio al ventricolo
sinistro. L’area valvolare mitralica, in un soggetto adulto normale, si aggira tra i 4 e i 6 cm
quadrati e varia in base al BMI.

Questa è un’immagine che mostra il cuore in sistole visto dalla base cardiaca con gli atri
asportati.
La valvola mitralica è costituita da due lembi, anteriore e posteriore, da un punto di vista
anatomico i due lembi sono circondati da un anello fibroso; è fondamentale che vi sia un
anello competente di dimensioni adeguate e che i due lembi non abbiano subito
restringimenti.
Il lembo anteriore guarda verso la valvola aortica, se noi asportassimo quest’ultima,
vedremmo il lembo anteriore mitralico.
La cuspide posteriore guarda verso la base cardiaca.

Questa invece è un’immagine in diastole. Come si può vedere, in diastole, le cuspidi sono
aperte per permettere il flusso ematico dall’atrio al ventricolo sinistro e sono circondati da
corde tendinee che devono essere competenti e quindi non ci deve essere rottura o lesione
delle corde tendinee per la normale competenza valvolare mitralica. Poi abbiamo le due
cuspidi commesurali ben visibili quando il cuore è in diastole.
Normalmente la pressione media in atrio sinistro è di 7mmHg e in ventricolo sinistro la
pressione telediastolica è di 5 mmHg, questo ci fa capire che un restringimento al flusso di
sangue dall’atrio al ventricolo comporterà un aumento della pressione telediastolica
nell’atrio sinistro con notevoli ripercussioni fisiopatologiche.
Come già vi ho detto l’area valvolare anatomica normale oscilla tra i 4 e i 6 cm quadrati, per
cui a seconda del grado di restringimento distingueremo una stenosi mitralica lieve,
moderata e importante.

Lieve: area valvolare compresa tra i 2 e gli 1,5 cm quadrati


Moderata: tra 1,5 e 1,1 cm quadrati
Severa: tra 1 e 0,6 cm quadrati

Maggiore sarà la stenosi e maggiori saranno le ripercussioni sulla pressione telediastolica


ventricolare sinistra.

Eziologia
Da un punto di vista eziologico la stenosi mitralica, in passato, vedeva tra le sue cause
principali la malattia reumatica che è una sequela non suppurativa della tonsillite
streptococcica da Streptococco beta emolitico di gruppo A; oggi per fortuna queste malattie
sono diminuite, almeno nei paesi industrializzati e anche noi cardiochirurghi vediamo
sempre di meno stenosi mitraliche o aortiche di natura reumatica.
Ovviamente le stenosi possono essere congenite, dovute a processi degenerativi o a
endocardite. L’endocardite infettiva è una malattia molto grave, per lo più sistemica,

162
caratterizzata da una lesione caratteristica, la vegetazione, che può colpire qualsiasi punto
valvolare, che esso sia mitralico, aortico, polmonare, tricuspidale.
A seguito di un processo infettivo scatenante di natura batterica, la vegetazione andrà a
creare una vera e propria nicchia circondata da tessuto fibroso che andrà a sovvertire
totalmente la struttura della valvola. L’endocardite insorge di solito in maniera acuta e
questo cosa vuol dire? Che dal punto di vista clinico la sintomatologia si ripercuoterà in
maniera eclatante rispetto ad una patologia degenerativa in cui la stenosi mitralica avanza
con gli anni.
A seconda del tipo di batterio avremo uno scompenso più o meno grave perché chiaramente
ci sono batteri più virulenti, più patogeni di altri.
Poi vi sono tutte quelle patologie autoimmuni quali il Morbo di Fabry, Morbo di Whipple o
anche l’artrite reumatoide.
Quindi genericamente le cause della stenosi sono di natura infettiva o degenerativa.

Anatomia Patologica

Da un punto di vista anatomopatologico la malattia reumatica va a creare una lesione


anatomica che è caratteristica, noi quindi ci accorgiamo anche solo all’osservazione
ecocardiografica che la stenosi è indotta da malattia reumatica perché essa andrà a colpire
l’apparato mitralico intaccando qualsiasi struttura anatomica mitralica che esse siano le due
cuspidi, le due commessure (che legano i due lembi anteriore e posteriore), può andare ad
intaccare le due corde tendinee.
Qualsiasi siano le componenti che la patologia andrà ad interessare, la conseguenza finale
sarà chiaramente una riduzione dell’ostio valvolare.
Questo è un aspetto anatomatologico caratteristico cosiddetto a bocca di pesce o ad asola e
questa è un’immagine molto bella che ci fa capire il restringimento dell’area valvolare
mitralica, va a formare una vera e propria bocca di pesce, quindi si va a perdere quella che è
la normale struttura circonferenziale.
Talvolta l’eziologia della stenosi non è di natura reumatica ma degenerativa, si può avere
una deposizione di calcio con ispessimento e accorciamento anche delle corde tendinee,
ovviamente la presenza di calcio è un fattore prognostico sfavorevole soprattutto se va a
163
colpire l’anulus valvolare mitralico, in tal caso la tecnica chirurgica sarà ancora più
complessa poiché l’anello è in diretto rapporto con il ventricolo sinistro quindi il rischio è
quello di avere una rottura, una lacerazione della parete ventricolare sinistra.

Fisiopatologia
La stenosi mitralica comporta un’ostruzione del flusso valvolare dall’atrio al ventricolo
sinistro con aumento del gradiente transvalvolare mitralico.
Da un punto di vista clinico avremo una tachicardia manifesta per accorciamento della
diastole, talora ci possono essere delle patologie di natura aritmica, questo perché? Perché
si va a perdere la normale sincronia atrioventricolare per cui potremmo avere delle aritmie:

- in senso tachiaritmico (tachicardie sinusali o addirittura la perdita del normale ritmo


sinusale con comparsa di fibrillazione atriale)
- in senso bradiaritmico (blocco atrioventricolare perché avremo una dissociazione elettrica
tra l’atrio e il ventricolo).

Ovviamente tutto ciò si riversa a monte sul circolo venoso polmonare, perché il
restringimento valvolare comporterà un sovraccarico volumetrico che si ripercuoterà
nell’atrio sinistro; quindi avremo dapprima un aumento pressorio poi, per la legge di Frank-
Starling, avremo una perdita del normale rapporto delle fibre muscolari, quindi pian piano
l’atrio tenderà a sfiancarsi, a dilatarsi ed ecco che in tal caso potranno comparire aritmie
atriali nella maggior parte dei casi sottoforma di fibrillazione atriale. Talora la fibrillazione
atriale è proprio il primo sintomo che ci fa svelare la presenza di una stenosi mitralica.
Dall’altro lato abbiamo detto che abbiamo un sovraccarico volumetrico e pressorio a livello
polmonare e addirittura il paziente potrà esordire in pieno benessere con comparsa di edema
polmonare franco.
Vedete, quindi, come i sintomi sono diversi a seconda del tipo di stenosi e come
variano in base a come insorge la stenosi; come vi dicevo prima un conto è una
164
patologia degenerativa che aumenta con l’aumentare degli anni con un iniziale adattamento
atrioventricolare a livello polmonare, pian piano l’atrio si sfianca e potranno comparire
aritmie; dall’altro lato se la stenosi insorge in maniera acuta, non avremo possibilità di
compenso e quindi avremo aumento della pressione venosa polmonare con ipertensione
arteriosa polmonare (edema polmonare) che si andrà a ripercuotere sul ventricolo destro
creando ipertrofia e ipertensione ventricolare destra.

Clinica
I primi sintomi compaiono solo quando la stenosi diventa severa, per cui se il paziente non
esegue un ecocardiogramma per altri motivi non si svelerà mai la comparsa di stenosi
mitralica a meno che essa non sia severa.

Quindi, riassumendo, i sintomi sono legati a due variazioni principali:


- comparsa di un gradiente atrioventricolare che si ripercuote a monte con aumento della
pressione atriale sinistra e per via retrograda con aumento delle pressioni polmonari;
- riduzione della portata cardiaca, del flusso di sangue che fuoriesce dal ventricolo sinistro,
che sarà direttamente proporzionale al grado di ostruzione valvolare, alla ridotta compliance
del ventricolo sinistro e all’aumento delle resistenze polmonari, quindi, nei casi gravi,
avremo una riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra.

Gli aspetti clinici sono dovuti a due aspetti fisiopatologici principali:


- sfiancamento dell’atrio sinistro con dilatazione atriale sinistra quindi comparsa di
fibrillazione atriale;
- aumento delle pressioni polmonari con riduzione della portata cardiaca e comparsa di
dispnea che è dovuta ad una congestione polmonare.

Se l’atrio sinistro non è dilatato, cioè se la stenosi insorge in maniera acuta senza possibilità
di adattamento, il sintomo più eclatante è legato alla ipertensione polmonare e si avrà edema
polmonare acuto.

I sintomi della congestione polmonare sono rappresentati dalla dispnea che insorge
solitamente a riposo, può essere da sforzo nei casi meno gravi o anche parossistica notturna.
Nei casi gravi il paziente avrà decubito ortopnoico obbligato, comparsa di edema polmonare
acuto, tosse, emottisi.
La dispnea da sforzo può essere da severa a lieve.
Andiamo ad identificare la classe NYHA, in caso di stenosi valvolare mitralica di grado
severo/importante, il paziente si presenterà alla nostra attenzione in classe NYHA quattro,
quindi con dispnea a riposo.
La tosse perché compare? Perché, in caso di edema polmonare acuto, sappiamo che è una
tosse schiumosa (escreato rosa), in assenza di edema polmonare acuto, invece, la tosse è
legata ai processi di congestione polmonare, quindi la tosse è secca (non produttiva).
L’ortopnea è lo stadio finale della dispnea da sforzo, quindi il paziente sarà in decubito
ortopnoioco obbligato in classe NYHA quattro, e questo è un sintomo gravissimo, la
comparsa di tale sintomo impone un intervento chirurgico d’urgenza.
L’edema polmonare acuto invece è legato all’insufficienza cardiaca acuta, quindi, in tal
caso, la stenosi insorge in maniera acuta, non avremo possibilità di adattamento, di
compenso, avremo l’insufficienza ventricolare che compare in maniera acuta quindi il
sintomo preponderante non è tanto rappresentato dalla stenosi mitralica ma dalla
insufficienza cardiaca congestizia.
165
L’emottisi può esordire in varie forme:
- emorragia improvvisa, da rottura delle vene bronchiali;
- escreato di sangue;
- escreato rosa schiumoso in caso di EPA.
Il dolore toracico è dovuto alla ipertensione ventricolare destra che si ripercuote
secondariamente alla vasculopatia polmonare.
L’embolia sistemica può insorgere come comparsa di una aritmia che intercorre in caso
di dissociazione atrioventricolare, in tal caso, l’embolia, a differenza di tutti gli altri sintomi,
non è legata alla lesione mitralica, ma è solo proporzionale alle dimensioni delle auricole,
inversamente proporzionale alla portata cardiaca. Cosa vuol dire ? Maggiore sarà la
dimensione della auricola, minore sarà la portata cardiaca, la perdita della normale gittata
ventricolare sinistra con la comparsa di aritmie soprattutto in senso di tachiaritmie e di
fibrillazioni atriali e maggiore sarà il rischio di embolo sistemico collegato alla comparsa di
coaguli freschi; quindi se non mettiamo il paziente sotto terapia con anticoagulanti vediamo
che talora la clinica può esordire con comparsa di embolie sistemiche.
Talvolta si può avere un altro sintomo, che spesso viene sottovalutato, la cosiddetta
Sindrome di Ortner da compressione del nervo laringeo ricorrente sinistro e dei linfonodi
tracheo-brochiali che si ingrossano a causa della ipertensione polmonare e quindi
ventricolare destra, si manifesta con raucedine e caratterizza un sintomo non
particolarmente grave che non viene neanche talvolta diagnosticata.
Poi potremmo avere sintomi caratteristici dello scompenso destro: ascite, epatomegalia,
edema e alta pressione venosa centrale.

Quali sono i segni clinici della stenosi mitralica :


- facies mitralica, comparsa di chiazze rosacee purpuree sulle guance;
- accentuazione del primo tono;
- all’auscultazione uno schiocco d’apertura della valvola mitralica che è legata alle
tensione dei lembi valvolari dopo l’apertura delle cuspidi;
- sdoppiamento del secondo tono;
- rullio diastolico.

Quali sono le complicanze ? Quelle che già vi ho detto: aritmie in senso di tachiaritmie,
fibrillazioni/flatter atriali, comparsa di embolie che possono raggiungere qualsiasi distretto
corporeo (ad esempio a livello cerebrale, può comparire come ictus embolico; embolie
coronariche, polmonari, agli arti inferiori).

Diagnosi
Il gold standard è rappresentato dall’ecocardiogramma, però, ovviamente, in prima istanza,
per un paziente che ha dei sintomi importanti, andremo a fare un elettrocardiogramma che
ci farà vedere o la comparsa di aritmie (fibrillazioni/flatter atriali) oppure un’onda P
mitralica ampia che troviamo nelle derivazioni DI-aVL, V5-V6.
Ovviamente in caso di ipertensione polmonare, sempre all’ECG, avremo segni di
sovraccarico di ipertrofia ventricolare destra, talora con asse elettrico deviato a destra o
blocco di branca destra.

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Onda P mitralica alta e slargata.

Da un punto di vista toracico, per lo più alla radiografia, potremmo avere, in casi gravi, la
comparsa di un edema polmonare franco, ipertensione polmonare importante; oppure segni
secondari come dilatazione atriale sinistra o dilatazione ventricolare destra.

La diagnosi di certezza la facciamo attraverso l’ecocardiogramma color doppler.


L’ecocardiogramma transtoracico andrà a valutare l’esatta area valvolare anatomica, il grado
di restringimento dell’orifizio valvolare e quali sono le componenti valvolari interessate
(lembi, corde tendinee, commessure), valuterà se c’è presenza di calcificazioni, trombi, o

167
ancora aspetti caratteristici tipici della malattia reumatica, o ancora la caratteristica
vegetazione tipica della endocardite infettiva.
Al doppler e colordoppler valuteremo la gravità della stenosi e stimeremo le pressioni atriali
e polmonari.
L’ecocardiogramma transesofageo ha una sensibilità e specificità migliore rispetto al
transtoracico, per lo più viene usato per capire quale tipo di procedura chirurgica andremo
ad eseguire specie se vogliamo fare un intervento di tipo valvuloplastica.
Questa è un’immagine ecocardiografica che ci fa vedere un aspetto totalmente sovvertito
dell’anello valvolare da arrotondato diventa ovalare con stenosi dell’orifizio valvolare.

In più potremmo visualizzare altri aspetti valvolari tra cui accentuazione degli echi dei lembi
valvolari, fusione delle commissure, compromissione dell’apparato sottovalvolare,
dilatazione dell’atrio sinistro.
In transesofageo andremo anche a valutare se ci sono trombi in atrio sinistro poiché se il
paziente è in fibrillazione atriale e vogliamo cardiovertirlo oppure se il paziente è candidato
alla valvuloplastica percutanea dobbiamo escludere categoricamente la presenza di trombi
in atrio sinistro; oppure possiamo utilizzare il transesofageo se i risultati del transtoracico
non sono soddisfacenti o sono subottimali.
La stenosi si considera severa non solo quando l’area valvolare è compresa tra 1 e 0,6 cm
quadrati ma soprattutto quando il gradiente medio transvalvolare è superiore ai 12 mmHg;
questo ci fa capire come l’ecocardiogramma sia il gold standard non solo per capire il grado
di stenosi e chiarirne l’eziopatogenesi ma anche per capire se la stenosi è lieve o severa grazie
alle misurazioni doppler.
Il cateterismo cardiaco viene indicato soltanto in pazienti selezionati che sono candidati per
valvuloplastica oppure per valutare il grado di insufficienza mitralica concomitante alla
stenosi.
In più, quando non abbiamo dati soddisfacenti dal punto di vista ecocardiografico, andiamo
ad eseguire il cateterismo cardiaco per valutare il grado di stenosi, le pressioni in atrio
sinistro, le pressioni diastoliche ventricolari sinistre e in arteria polmonare.

168
Terapia

Ovviamente se la stenosi è di origine reumatica, profilassi con penicillina.


In caso di endocardite infettiva andiamo ad eseguire le emocolture, quindi con antibiotici
specifici, mirati in base all’antibiogramma. Ovviamente, in prima istanza, per evitare il
sovraccarico polmonare, andiamo a somministrare diuretici e a indurre una restrizione
dell’apporto di sodio.
In caso di fibrillazione atriale concomitante, somministriamo glucosidi digitalici. In caso di
emottisi potremmo sedare il paziente, diuretizzarlo in maniera spinta, in caso di comparsa
di trombi mettere il paziente in terapia anticoagulante.

L’indicazione alla terapia chirurgica sono assolute se l’area valvolare è inferiore a 1 cm


quadrato (stenosi severa), relative (in caso di stenosi moderata) quando compaiono sintomi
importanti: trombi in atrio sinistro, quando ci sono sintomi legati ad una dissociazione
atrioventricolare come atriomegalia sinistra e comparsa di fibrillazione atriale oppure se il
paziente è di giovane età oppure se vuole intraprendere una gravidanza perché, in tal caso,
potremmo escludere l’intervento sostitutivo con una protesi valvolare e quindi evitare la
terapia anticoagulante a vita, eseguendo una valvulo plastica percutanea con catetere a
palloncino oppure una commissurotomia in CEC. Le controindicazioni assolute sono le
miocardiopatie dilatative terminali con scompenso ventricolare destro. In questi pazienti
non giova la terapia chirurgica e devono sottoporsi a trapianto cardiaco.

Questa è la commissurotomia e papillotomia mitralica, può essere eseguita in CEC, come


potete vedere viene eseguito un taglio a livello commessurale per far si che venga aperto
l’anello valvolare con o senza anuloplastica mitralica per far in modo che, se l’anello è rigido
e teso, andremo a eseguire anche una resezione dell’anello valvolare e metteremo un anello
dalle dimensioni idonee.

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La stenosi mitralica ha una indicazione chirurgica molto selettiva e i casi di stenosi mitralica
sono notevolmente diminuiti nel corso degli anni soprattutto perché quelle congenite
vengono trattate in età pediatrica attraverso una valvuloplastica percutanea di competenza
dell’emodinamista e non del cardiochirurgo.

INSUFFICIENZA MITRALICA
Che cos’è una valvola mitralica insufficiente? È una valvola incontinente. In tal caso non
avremo un problema in diastole ma in sistole perché se la valvola è insufficiente avremo un
reflusso di sangue dal ventricolo all’atrio sinistro durante la sistole quindi non avremo una
normale gittata cardiaca perché in sistole ci sarà un rigurgito di sangue.
L’apparato mitralico è molto complesso, caratterizzato oltre che dai lembi valvolari, anche
dall’anulus mitralico, dalle corde tendinee, dalle commessure, dai muscoli papillari, tutte
queste strutture devono essere integre per far si che non vi sia rigurgito di sangue.
L’area mitralica è compresa tra 4 e 6 cm quadrati mentre la circonferenza media dell’anulus
è compresa tra gli 8 e i 10 cm.
L’anulus non dovete immaginarlo come una struttura statica ma è una struttura dinamica,
è una struttura che si adatta, perché tende, ad ogni ciclo cardiaco, a dilatarsi in diastole e a
restringersi in sistole.

L’anulus mitralico si compone di una parte anteriore e una posteriore e dal punto di vista
strutturale è formato da tessuto fibroso e muscolare.
Esso da un lato permette l’inserzione dei lembi e dall’altro separa i segmenti contigui della
camera atriale sinistra da quella ventricolare.

170
L’emianello posteriore è in contiguità con il ramo circonflesso della coronaria sinistra che
decorre nel solco interventricolare posteriore e il seno coronarico che decorre nella porzione
più mediale dello stesso solco.
L’emianello anteriore, invece, è in contiguità con quella porzione dell’anello valvolare
aortico corrispondente alle meta mediali delle cuspidi coronarica sinistra e non coronarica.
La parte posteriore risulta più flessibile e dotata della capacità di compiere escursioni più
ampie rispetto alla parte anteriore, essendo inoltre quest’ultima ancorata a strutture, quali i
trigoni fibrosi, che più difficilmente vanno incontro a dilatazione.
La parte che, quindi, più ci interessa da un punto di vista anatomochirugico, quella più
soggetta a problemi di natura di insufficienza che quindi comporterà una anuloplastica
mitralica è proprio l’anello posteriore.
La valvola mitrale presenta due lembi che non sono completamente separati tra loro ma
consistono in un velo continuo di tessuto il cui margine libero mostra numerose incisure,
due di queste ne permettono la suddivisione in un lembo anteriore e uno posteriore.
Il lembo anteriore rappresenta l’elemento di maggiori dimensioni con le escursioni più
ampie. Il lembo posteriore si può considerare una struttura di appoggio del lembo anteriore
durante la chiusura della valvola. La zona di contatto tra i lembi valvolari, la rough zone, una
zona ruvida a contatto tra i lembi, è fondamentale perché è quella in cui nella maggior parte
dei casi avviene la perdita del punto di coaptazione durante i processi di incontinenza
valvolare.
Ovviamente oltre all’anello valvolare, oltre ai lembi, è fondamentale che anche i muscoli
papillari siano competenti, questo perché i muscoli papillari sono perfusi dalla circolazione
coronarica terminale per cui sono molto vulnerabili all’ischemia la quale potrebbe essere la
causa di allungamento o rottura del muscoli papillari che in tal caso farebbero perdere parte
della normale fisiologia valvolare. I muscoli papillari potrebbero anche essere soggetti a
malallineamento, in caso di aneurisma ventricolare sinistro, cardiomiopatia ipertrofica o
fibroelastosi endomiocardica.

Eziopatogenesi

L’insufficienza mitralica può essere, in base alle modalità di insorgenza, distinta in acuta e
cronica.

L’ insufficienza mitralica acuta può essere dovuta a:


- alterazioni dell’anello valvolare mitralico, conseguente a endocardite infettiva con
formazione di un ascesso oppure a un trauma durante un intervento di chirurgia valvolare;
- alterazione dei lembi valvolari, conseguente ad endocardite infettiva con
perforazione dei lembi, traumi o tumori come il mixoma atriale;
- rottura delle corde tendinee, dovuta patologie geneticamente determinate come le
collagenopatie che inducono una degenerazione mixomatosa delle corde. Se la corda si
rompe non ci saranno meccanismi di compenso, di adattamento ventricolare;
- alterazione dei muscoli papillari, nel caso di coronaropatia con rottura del muscolo
papillare o in seguito a trauma.

La forma cronica è invece dovuta a:


- alterazioni dell’anello mitralico, dovute a cardiomiopatie dilatative primitive o post-
ischimiche che vanno ad alterare l’anello mitralico oppure a patologie di natura
degenerativa come la calcificazione dell’anulus, deposizione di calcio a livello dell’anello
mitralico che può avere una natura idiopatica, reumatica o dovuta a invecchiamento;

171
- alterazione dei lembi valvolari, dovute anche in questo caso all’ endocardite infettiva
che stavolta non è responsabile della formazione di un ascesso che sovverte in maniera
mostruosa e rapida la fisiologia valvolare, ma è dovuta alla vegetazione che, aumentando
con il tempo, sovverte la normale architettura valvolare (forma subacuta).

Secondo la classificazione di Carpentier distinguiamo:

Insufficienza mitralica di primo tipo: normale movimento valvolare, dovuta a processi di


dilatazione dell’anello valvolare, processi di perforazione valvolare;

Secondo tipo: dovuta a processi di prolasso valvolare, quando si ha una perdita della
normale coaptazione dei lembi valvolari, o per rottura corde tendinee, o per allungamento
delle corde tendine o per allungamento congenito o acquisito dei lembi valvolari. Se questi
non hanno esatta dimensione perdono l’esatto punto di coaptazione e si ha prolasso;

Terzo tipo : diminuzione dei movimenti valvolari, secondari a processi di natura reumatica,
nella maggior parte dei casi fusione commessurale o fusione delle corde tendinee.

La sindrome del prolasso valvolare mitralico, anche nota come floppy mitral valve, è quella
che più comunemente vediamo, è di frequente riscontro, può essere congenita, secondaria a
collagenopatie, ha quadro clinico varibile: molto comune nelle donne, eta tra 14 e 30 anni,
solitamente questa patologa essendo anche molto comune è per lo più benigna e non causa
insufficienza mitralica di natura severa però, con il tempo, purtroppo, anche in assenza di
altre patologie predisponenti può indurre una grave insufficienza mitralica isolata.

Il prolasso, per definizione è dovuto alla caduta del lembi anteriore e/o posteriore nell’atrio
sinistro che, durante la sistole cardiaca, anziché formare un normale asse in corrispondenza
del piano atrio-ventricolare prolassano all'interno dell’atrio. La protusione comporta la
perdita del punto di coaptazione e la comparsa dell’insufficienza mitralica,

Questa è la patologia più comune (prolasso mitralico di natura idiopatica) specie nelle
giovani donne.

Anatomia patologica
Con la floppy mitral valve avremo proliferazione e degenerazione in senso mixomatoso, se
avremo invece una eziologia di natura reumatica, sarà caratteristica la retrazione dei lembi
valvolari con accorciamento e fusione delle corde tendine.
Se il processo è indotto dalla endocardite infettiva avremo la classica vegetazione oppure, se
avremo la forma subacuta, ci sarà perforazione dei lembi valvolari che si manifesta in
maniera molto chiara da un punto di vista chirurgico con un buco in corrispondenza del
lembo valvolare, in casi gravi potremmo avere ascessi o fistole se il processo infettiva avanza.
O ancora se vi sono patologie congenite, i dismorfismi possono manifestarsi alterando
qualsiasi componente strutturale che esso sia l’anello, i lembi valvolari o l’apparato
sottovalvolare.

Con la cardiomiopatia dilatava primitiva o secondaria (post ischemica) avremo una


insufficienza secondaria all’allontanamento dei muscoli papillari.

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Questa è un’immagine di anatomia patologica caratteristica di corde tendine fuse, retratte
insieme, tipica della malattia reumatica.

Al contrario in questo caso, il processo è secondario a endocardite infettiva, questa è una


vegetazione e queste sono le corde tendine rotte, la rottura di corda tendinee comporta
un’insufficienza mitralica acuta.

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Questa è la floppy mitral valve con degenerazione in senso mixomatoso.

Questo invece è cleft mitralico vedete c’è un vero e proprio punto di rottura con perdita di
coaptazione al livello commesurale.

Epidemiologia
Cosi come per la stenosi, abbiamo avuto un calo di incidenza di insufficienza mitralica per
patologia di natura reumatica, al contrario abbiamo avuto un aumento da un punto di vista
di incidenza di eziologia di natura degenerativa, la sindrome di Barlow-Marfan quindi
174
collagenopatie geneticamente determinate sono più o meno costanti nel corso degli anni cosi
come l’endocardite infettiva.

Fisiopatologia
Che cosa accade da un punto di vista fisiopatologico? Avremo la generazione di un gradiente
pressorio e all’inizio della sistole, quando il ventricolo comincia a contrarsi, il flusso
sanguigno tenderà a trovare meno resistenza in atrio piuttosto che in aorta quindi avremo
un rigurgito di sangue dal ventricolo all’atrio sinistro, prima della valvola aortica, quindi non
avremo eiezione completa di sangue quando la valvola aortica si apre.
Ovviamente il volume del flusso rigurgitante cioè la quantità di flusso retrogrado dal
ventricolo all’ atrio dipende sia dal post carico quindi dalle resistenze offerte dal circolo
sistemico sia dalle dimensioni dell’orifizio rigurgitante.
In caso di insufficienza mitralica cronica e non acuta avremo una prima fase di compenso in
cui avremo un’iniziale sovraccarico volumetrico quindi il ventricolo sinistro tenderà ad
aumentare di volume, poi in base a frank starling avremo oltre alla aumento di volume anche
aumento di massa. Attenzione, l’ipertrofia tipica delle insufficienza mitralica non è mai
concentrica ma è sempre eccentrica, quindi un segno ecocardiografico caratteristico di
insufficienza mitralica è l’ipertrofia di natura eccentrica del ventricolo sinistro.
Dopodiché, quando il paziente non avrà una diagnosi in tempi brevi, oppure quando
l’insufficienza mitralica insorge in maniera acuta, avremo una fase di scompenso con
dilatazione ventricolare sinistra, quindi non più ipertrofia eccentrica ma dilatazione
ventricolare con aumento del volume telesistolico ventricolare e secondo, la legge di Laplace,
crea un circolo vizioso con ulteriore sfiancamento, ulteriore dilatazione ventricolare sinistra.
Ovviamente se il ventricolo si dilata cosa accade? Accade che riduce la sua capacità eiettiva,
si riduce la frazione di eiezione del ventrcolo sinistro e avremo un aumento del volume
telediastolico e telesistolico.
Nell’insufficienza mitralica cronica avremo una iniziale fase di compenso, dove l’atrio si
dilata per ammortizzare la quantità di rigurgito di sangue e la pressione atriale sinistra
raggiunge dei valori alti solo tardivamente; al contrario se l’insufficienza mitralica insorge
in maniera acuta, l’ atrio non ha tempo di dilatarsi e avremo direttamente sovraccarico
pressorio ventricolare sinistro, ed edema polmonare acuto. Questo intercorre perlopiù
quando l’insufficienza è secondaria a una sindrome coronarica acuta o quando è secondaria
a processi di endocardite infettiva destruenti, quindi non la classica vegetazione o
perforazione dei lembi valvolari ma ad esempio alla comparsa di un ascesso.

Sintomatologia
Nelle forme croniche, i sintomi sono rappresentati da astenia, palpitazione, ridotta
tollerabilità a esercizio fisico, dispnea da sforzo, ortopnea, dispena parossistica notturna.
Nelle forme acute: edema polmonare acuto o shock cardiogeno, il ventricolo sinistro non ha
la capacità di adattamento e avremo una riduzione improvvisa della frazione di eiezione del
ventricolo sinistro con shock cardiogeno perché il ventricolo non ha proprio il tempo di
andare incontro ad ipertrofia e di dilatarsi ma ridurrà direttamente la sua capacità
contrattile.

Segni clinici
Avremo un itto della punta spostato a sinistra, a differenza della stenosi mitralica il primo
tono sarà ridotto o assente, il secondo tono sarà sdoppiato o accentuato e potremmo avere
la comparsa di un terzo tono da sovraccarico diastolico.

175
Quale è la caratteristica del soffio mitralico? Innanzitutto l’intensità, badate bene il soffio
non è sempre correlato al grado di incontinenza, non è che se il soffio è di grado 3-4-5 sesti
vorrà dire che il rigurgito è importante, talora potremmo avere ad esempio anche un
rigurgito lieve con un soffio di grado importante. In più la morfologia: nella maggior parte
dei casi è in decrescendo il soffio nella insufficienza mitralica lieve o moderata, invece è
totalmente olosistolico nell’insufficienza mitralica media o importante. Quindi già
all’auscultazione il tipo di soffio ci guiderà a capire se si stratta di una forma grave o di una
forma lieve, in più il soffio è caratteristico perché si irradia all’ascella o alla linea margino
strernale sinistra in corrispondenza della base del collo. Questo per lo più per l’insufficienza
del lembo posteriore.
Ovviamente dobbiamo porre il soffio in diagnosi differenziale con i div (difetto
interventricolare), in tal caso il soffio è più irradiato a destra piuttosto che a sinistra ed è più
intenso, oppure dal soffio dell’insufficienza tricuspidale che perlopiù è in corrispondenza
della linea margino sternale sinistra o ancora un soffio da stenosi aortica che perlopiù invece
è un soffio elettivo rude, in corrispondenza del secondo focolaio di ascoltazione della volava
aortica che è caratteristico perché si irradia al collo.

Diagnosi strumentale
La diagnosi strumentale è sempre la stessa, avremo quindi all’ elettrocardiogramma o segni
secondari di ingrandimento atriale sinistro o asse elettrico deviato a sinistra oppure, se
siamo nella fase di ipertrofia eccentrica ventricolare sinistra, potremmo avere anomalie in
fase di ripolarizzazione in V1-V2 oppure un’alta onda R in V5 e V6.
Meno frequente invece la fibrillazione atriale che invece è molto più frequente è il caso di
stenosi mitralica.
Alla radiografia del torace potremmo avere segni secondari o di dilatazione atriale sinistra o
dilatazione ventricolare sinistra o ad esempio addirittura se l’anello mitralico è molto
calcifico, anche con la semplice rx toracica andremo a visualizzare calcificazione dell’anulus
valvolare mitralico. Questi sono segni secondari di dilatazione atriale sinistra,
cardiomegalia, qua siamo in fase finale di insufficienza mitralica.

il gold standard invece è sempre rappresentato dall’ecocardiogramma perlopiù


bidimensionale, transtoracico o transesofageo. Esso valuterà il grado di insufficienza
mitralica, ci guiderà a capire quale è il meccanismo che ha indotto l’insufficienza mitralica
in base ovviamente alla morfologia, ci guiderà a capire se l’insufficienza mitralica è
funzionale, secondaria a processi di cardiopatia ischemica, oppure se è secondaria a
prolasso, morbo di Barlow, o processi endocarditici, ci farà valutare le dimensioni dell’atrio
sinistro, le dimensioni del ventricolo sinistro e la sua capacita contrattile, quindi se ce già
una riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro e nelle forme di insufficienza

176
mitralica già diagnosticate, quindi in terapia medica, ovviamente è fondamentale un eco per

seguire il paziente nel follow up.


L’ecocardiogramma transesofageo perlopiù viene indicato intraoperatoriamente per guidare
il chirurgo durante gli interventi di riparazione della valvola mitralica.

Il reperto caratteristico, il punto fisso, è la perdita di coaptazione, come potete vedere, questo
è un prolasso del lembo anteriore, questo è il posteriore, il lembo è prolassante, avremo un
allungamento del lembo anteriore mitralico, in tal caso con perdita di coaptazione.

Al colordoppler andremo a valutare quale è l’area rigurgitante, dal ventricolo all’atrio


sinistro per valutare se è lieve, moderna o importante. Andremo a valutare qual è la frazione
177
di eiezione quindi in che modo si andrà a ripercuotere l’insufficienza valvolare sulla capacità
di eiezione del ventricolo sinistro e in più il diametro telesistolico ventricolare sinistro.
Potremmo eseguire una coronarografia o in pazienti che già sono candidati a intervento
cardiochirurgo per valutare l’albero coronario per escludere coronaropatie consensuale,
oppure per andare a valutare anche l’entità dell’insufficienza della funzione ventricolare
sinistra.
Quindi le indicazioni quali sono ?
Se il paziente è candidato a cardiochirurgia - ovviamente se un pz over 65 anni dobbiamo
sempre seguire una coronarografia per escludere eventuali coronaropatie perché come
potete immaginare se il paziente va incontro a intervento che esso sia di sostituzione,
riparazione mitralica, può avere anche una cardiopatia ischemica cronica silente, in tal caso,
se c’è una stenosi coronarica, eseguirà un intervento combinato di mitralico e di bypass.
Oppure se il paziente ha già una storia di cardiopatia ischemica cronica, quindi sospettiamo
insufficienza mitralica funzionale, cioè secondaria a cardiopatia ischemica, in tal caso
eseguiamo la coronarografia perché il semplice bypass andrà a risolvere l’insufficienza
mitralica perché è in tal caso non è dovuto ad una alterazione morfologica struttura della
valvola mitralica ma è secondaria ad un insulto ischemico.

Terapia medica
Ovviamente andremo a massimizzare, ottimizzare la terapia medica grazie agli ace inibitori
riducendo il post carico, se vi sono sintomi di insufficienza cardica congestizia o dispnea
daremo diuretici.
Glucosidi digitalici o anticoagulanti in caso di fibrillazione atriale e in caso di endocarditi
batterica, terapia mirata terapia antibiotica prolungata attraverso un antibiogramma
specifico.

Terapia chirurgica
La terapia chirurgica di cui ci si può avvalere è sia di natura sostitutiva che conservativa. Ci
orientiamo sempre in base alla eziologia. Se l’eziologia è di natura degenerativa allora in tal
caso, possiamo intervenire precocemente riparando la valvola quindi non sostituendola o
ancora se l’eziologia è di natura endocarditica, nella maggior parte dei casi, la valvola non
può essere riparata e va sostituita, se l’eziologia è di natura reumatica la valvola può essere
sostituita o riparata a seconda della grado di alterazione anatomica a cui è andata incontro.
Perché se interessa soltanto l’anello valvolare allora in tal caso potremmo eseguire un’
anuloplastica e quindi il paziente si giova della chirurgia ripartiva e non sostitutiva.
Ma se è totalmente sovvertita la anatomia valvolare, dei lembi e dell’anello, in tal caso il
paziente va incontro a terapia sostitutiva.
Nel caso di forme ischemiche ovviamente se le manifestazioni insorgono in maniera acuta,
il timing deve essere precoce, nelle forme croniche, invece, il timing deve essere precoce se
l’insufficienza è severa, non vi è alcuna indicazione a cardiochirurgia se l’insufficienza è lieve,
se l’insufficienza è moderata che facciamo? Siccome è border line facciamo eseguire un test
da sforzo al paziente, se vediamo che è conservata la contrattilità, quindi la frazione di
eiezione del ventricolo sinistro, non vi è indicazione cardiochirurgia e seguiamo il paziente
attraverso il follow up. Viceversa, se vi è riduzione di frazione di eiezione vi e indicazione a
cardiochirurgia anche in assenza di sintomi.
Quindi, ricapitolando, secondo le linee guida dell’American College of Cardiology e
dell’American Heart Association, in caso di insufficienza mitralica acuta ovviamente
qualsiasi sia il processo che hai innescato l’insufficienza che esso sia ischemico o
endocarditico avremo uno scompenso ventricolare sinistro acuto quindi il timing deve
essere immediato.

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In caso di insufficienza mitralica cronica: se il paziente è di classe NYAH 2 3 4, se è
conservato il normale spessore del ventricolo telesistolico possiamo intervenire subito
attraverso cardiochirurgia riparativa quindi evitando al pz una protesi valvolare.
Se avremo un aumento dei volumi telesistolici ventricolari, anche se il pz è di classe NYAH
1 dobbiamo intervenire subito, precocemente, perché in tal caso già vi sono sintomi di
scompenso perché già abbiamo una dilatazione ventricolare sinistra.
Se il pz è sempre sintomatico, quindi tutti i pz sintomatici, con conservato spessore parietale
e ventricolare sinistro, vi è indicazione chirurgica. Ovviamente il timing lo stabiliamo in base
alla gravità della sintomatologia, se il pz ha un edema polmonare, quindi ha chiari segni di
scompenso ventricolare acuto allora il timing è d’urgenza. Se invece il pz non è in pericolo
di vita imminente possiamo prima aspettare che si conclamino i sintomi.
Se il pz è sintomatico ma abbiamo un notevole aumento del volume telesistolico ventricolare
sinistro, purtroppo in tal caso, se il rischio chirurgico è proibitivo, il pz non si può sottoporre
all’intervento chirurgico sostitutivo mitralico, ma in tal caso dobbiamo candidarlo a
trapianto, perché in tal caso la dilatazione ventricolare è tale e irreversibile che il pz non si
può giovare della terapia chirurgica mitralica.
È un sottile equilibrio tra clinica, anatomia valvolare e sopratutto dal grado di
coinvolgimento ventricolare, quindi da un lato interveniamo precocemente quando
abbiamo la possibilità di riparare la valvola, ciòè per evitare al pz gli interventi sostitutivi e
protesici che possono dar luogo a notevoli complicanze di natura trombotica, embolica,
emoraggica, infettiva; quindi da un lato interveniamo precocemente se la valvola si può
riparare.
Se il paziente è sintomatico ma ha normali spessori parietali, ventricolari sinistri,
interveniamo attraverso un taglio d’urgenza, se la dilatazione ventricolare è irreversibile, con
paziente con rischio chirurgico elevato, lo candidiamo a trapianto.
I risultati chirurgici con la chirurgia riparativa sono più soddisfacenti in termini di mortalità
rispetto a quello sostitutivi.

CHIRUGIA SOSTITUTIVA
Indicazioni alla sostituzione valvolare:

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- paziente ha una insufficienza mitralica che ha sovvertito in maniera grave l’anatomia
valvolare quindi già sappiamo che non riusciamo a ripararla e quindi per evitare un
allungamento dei tempi di cec andiamo a sostituirla;
- se il paziente ha una endocardite infettiva in atto, è possibile ripararla solo in una bassa
percentuale di casi, perché nella maggior parte dei casi, l’insufficienza si instaura in maniera
acuta e c’è un totale sovvertimento della normale struttura valvolare di tutte le componenti
anatomiche, perché la vegetazione può intaccare i lembi, l’anulus, l’anello sottovalutare ecc..
oppure se il pz già ha avuto una sostituzione protesica pregressa e si deve rioperare perché
la protesi si è distaccata o perché è sopraggiunta endocardite infettiva;
(tenete bene a mente che i pz portatori di protesi valvolare, già solo per la presenza della
protesi hanno un rischio di una percentuale del 50% in più di andare incontro endocardite
rispetto al popolazione normale)
- se il processo di insufficienza mitralica si è innescato per natura degenerativa, e quindi il
paziente ha già calcificazioni massive dell’anulus mitralico e quindi non è possibile seguire
un anuloplastica mitrale e in tal caso sostituiamo la valvola.

Quale è l’accesso ?
Innanzitutto tutti gli interventi, che essi siano per stenosi o insufficienza, sulla valvola
mitralica, si eseguono in cec.
Come viene eseguita la cannulazione in cec per la valvola mitralica ? L’incannulazione
arteriosa viene eseguita a livello della aorta ascendente, quella venosa è bicavale con le
cannule curve in cava superiore e inferiore.
Questa è l’aorta ascendete, qua incannuliamo, qua clampiamo, se questa è la cava superiore
e questa la inferiore, questa e questa cosa sono? Sono le due fettucce che vanno a serrare le
due vene cave superiore e inferiore per evitare che entri l’aria.
La cec è totale, per interventi eseguiti sulla valvola mitralica abbiamo una incannulazione
aortica arteriosa e bicavale e andiamo a serrare con fettucce le due vene cave superiore e
inferiore per andare in cec totale, sulla valvola aortica non c’è bisogno perché eseguiamo la
aortotomia quindi non abbiamo rischi di ingresso di aria, perché invece in tal caso l’acceso
è trans atriale sinistro, quindi cosa facciamo?
Dopo che serriamo le cave, dopo che clampiamo l’aorta e induciamo la cardioplegia, il cuore
si ferma in diastole, apriamo l’atrio sinistro divarichiamo con un divaricatore l’atrio e la
valvola mitralica si ribalta e abbiamo una buona esposizione per ripararla o sostituirla.

180
Al contrario in alcuni casi, sempre in cec totale, potremmo accedere attraverso la tricuspide
per acceso trans-atriale destro.

Se andiamo a decidere di sostituire la valvola, sceglieremo il tipo di protesi valvolare


adeguato per il paziente, la lezione sulle protesi valvolari poi la faremo. I tipi di protesi hanno
le stesse caratteristiche sia per la aortica sia per la mitralica quindi voi dovete conoscere
quale è il sostituto protesico ideale in base alla patologia, in base all’età del paziente e in base
ovviamente alle sue comorbidità.
Gli svantaggi della sostituzione valvola quali sono ?
Se la valvola viene riparata, noi abbiamo la possibilità di una riparazione anatomica, in caso
di sostituzione valvolare, verrà sovvertita la normale funzione di sostegno dell’apparato
sottovalvolare e ovviamente non avremmo più la elasticità dell’anello, come vi ho dritto
prima, è fondamentale la normale integrità morfologica dell’anello posteriore e quello
anteriore perché è un’area dinamica, andando ad apporre un buon sostituito protesico che è
rigido, verrà persa la normale elasticità.
Quale è la necessità di andare incontro a terapia anticoagulanti e perché? Perché il sostituto
protesico è un sostituto che ovviamente non fa parte delle normale morfologia valvolare ma
può andare incontro ad una trombo.
Gia vi accenno che se scegliamo una protesi valvolare biologica la terapia anticoagulante
deve essere eseguita per tre mesi, poi possiamo swithcare la terapia anticoagulante con
Warfarin a terapia anti-aggregante con cardioaspirina.
Al contrario se scegliamo un sostituto protesico di natura meccanica, il rischio
tromboembolico è costante, perché la protesi è di natura meccanica, non è biologica, per cui
la terapia anticoagulante deve essere seguita per sempre, quindi il paziente sarà esposto a
tutti i rischi che già vi ho detto, di natura trombotica o emorragica perché il warfarin è un
farmaco che deve essere somministrato ad un dosaggio che non è costante.

181
Ad oggi esistono numerosi anticoagulanti orali come i cosiddetti NAO. Purtroppo le attuali
indicazioni in caso protesi valvolare sono sempre solo il Walfrin cioè anche se esistono
innumerevoli NAO con altre indicazioni come ad esempio fibrillazioni atriali, embolie
sistemiche, polmonari, pregressi ictus, in caso di presenza di protesi valvolare l’unico
farmaco che oggi viene utilizzato è il Walafrin 5mg (nome commerciale Coumadin) il cui
dosaggio non è mai costante ma varia in base ad un parametro, l’INR. L’INR di una persona
normale è 1, in caso di protesi valvolare mitralica, deve oscillare tra 2.5 e 3.5, in caso di
protesi valvolare in sede aortica tra 2-3.
Quindi quale è il senso? Se l’INR è inferiore al dosaggio limite , la valvola si blocca, si
trombizza, il paziente a cosa va incontro? Può andare incontro ictus, e soprattutto se la
valvola si blocca che succede? Non funziona più quindi si deve essere operato in urgenza, il
recidivo cardichirurgico ha un rischio notevolmente superiore ad un soggetto che si opera
per la prima volta al cuore.
Se invece l’INR è troppo elevato quale è il rischio ? Emorragia , quindi ? quale è quello più
grave ? emorragia cerebrale.
Quindi l’andare incontro alla sostituzione valvolare espone a notevoli rischi e di natura
tromboembolica emorragica ma soprattutto a rischi intrinseci, perché i device protesici, non
seguono la normale morfologia valvolare, quindi ci può essere un distacco per endocardite,
se l’endocardite è precoce, se insorge nei primi tre mesi dal trattamento chirurgico primitivo,
l’intervento chirurgico deve essere eseguito in emergenza perchè c’è un distacco totale
dovuto perlopiù a errori chirurgici.
Se l’endocardite insorge dopo i tre mesi è dovuta a un processo infettivo come una banale
procedura odontoiatrica priva di profilassi antibiotica.
l pazienti con protesi hanno una buona qualità della vita ma deve essere sotto terapia
farmacologica costante ed è esposto a rischi notevoli, aggiuntivi rispetto a un paziente che
va incontro ad una un riparazione valvolare perché in prima istanza non ha bisogno del
Coumadin perché già solo questo ci espone a rischi notevoli.
Questo è l’impianto di una protesi mitralica, una volta che accediamo alla valvola mitralica
o per via trans-atriale sinistra o trans-atriale destra, quando non è riparabile andiamo a
rimuovere tutti i lembi valvolari lasciando o meno l’apparato sottovalvolare inserito,
andiamo a immettere dei punti, solitamente la tecnica che utilizziamo presso il nostro centro
è l’utilizzo di punti evertenti ad U sottoanulari con o senza pledget. Una volta che abbiamo
messo i punti lungo tutta la circonferenza dell’anello valvolare prima sull lembo anteriore,
poi su quello posteriore, scegliamo la protesi valvolare dopo aver misurato l’esatto size
valvolare, la cui misura varia ovviamente a seconda dell’orifizio valvolare del paziente.

CHIRURGIA RIPARATIVA
Per quando riguarda la chirurgia ripartiva, più che andare a ripristinare la normale
morfologia anatomica di partenza, l’obiettivo è quello di ripristinare una normale
competenza valvolare, che si guadagna grazie a cosa? Andando a ricreare una coaptazione
dei lembi, ritorniamo al punto di partenza, qualunque sia il meccanismo che induce
insufficienza mitralica, perdendo il punto di coapatzazione dei lembi valvolari si ha
insufficienza mitralica con rigurgito di sangue dal ventricolo all’atrio. Quindi come andiamo
a intervenire? Se vi sono anomalie di motilità dei lembi, a correggere tali anomali, se ad
esempio vi è un lembo ridondante per patologie degenerative mixomatose eseguiamo una
resezione dei lembi valvolari che può essere triangolare, quadrangolare, oppure se secondo
la classificazione di Carpentier avremo una dilatazione anulare, quindi primitiva dell’anulus,
andremo a correggere seguendo una anuloplastica mitralica, il risultato finale è sempre
quello di ripristinare la normale integrità non tanto morfologica ma funzionale.

182
Se è un tipo I di Carpentier la dilatazione anulare, viene perso il normale punto di
copatazione, l’anello assume una forma allungata, ovalare, come interveniamo ?
Anuloplastica mettendo o un anello completo oppure incompleto per lo più posteriore
perché come vi ho detto in precedenza la parte posteriore è quella che gioca maggiormente
sulle escursioni, su motilità in sistole e in diastole. Se invece è dovuta a una perforazione del
lembo valvolare, cosa facciamo? Mettiamo un patch, ricostruaimo il lembo valvolare per
ripristinare l’anormale competenza valvolare.
Se invece la causa è dovuta morbo di Barlow o prolasso congenito, mixomatosa,
semplicemente un prolasso del lembo posteriore, anteriore o bilembo , in tal caso cosa
facciamo? Eseguo una resezione perché ? Il lembo non è rotto ma è prolassante quindi
facendo perdere il normale punto di copatazione, lo sezioniamo, vedete, questa è una
resezione quadrangolare in classic del lembo posteriore che è la patologia più frequente.
In tal caso vedere noi rimuoviamo questa parte di lembo, si chiama resezione quadrangolare,
classica o a forma triangolare e andremo ad accostare i margini di lembi quindi eseguendo
una plastica del lembo anteriore o posteriore o bilembo per ripristinare il normale punto di
cooptazione e quindi la normale competenza valvolare e poi se l’anello non è competente
eseguiamo anche una anuloplastica quindi mettiamo un anello valvolare, se invece non c’è
dilatazione anulare consensuale basta la resezione quadrangolare classica; o ancora in caso
in caso di rottura cordale o in caso di corde tendinee giant (?) e luxomatose in tutti i
meccanismi che interessano le corde tendinee andremo a eseguire una
traslocazione/trasposizione cordale per ripristinare la competenza cordale, o in caso di
corde rotte oggi abbiamo anche la possibilità di innescare durante il processo di riparazione
la formazione di neocorde, cioè di neocorde di natura artificiale. Come potete vedere le
tecniche riparative sono notevoli, potremmo avere anche una plastica edge to edge
commessurale, la cosiddetta tecnica di alfieri, nel casa in cui avessimo la perdita del punto
di coaptazione che non interessa i lembi ma le commessure valvolari.
Nel tipo tre in cui invece il lembo è retratto, in questo caso andremmo ad eseguire una
plastica del lembo posteriore mitralico, se invece l’anulus è calcifico eseguiremo una
calcificazione dell’anulus.
Se invece il lembo in sistole è ipomobile in caso di fibrosi o male allineamento eseguiremo
una semplice anuloplastica mitralica.
In tutti i processi riparativi, quando abbiamo terminato la riparazione, oltre che al controllo
transesofageo, andremo a capire se si è ripristinata la normale integrità funzionale,
eseguendo una prova idrodinamica. Che cosa vuol dire? Siccome l’intervento viene eseguito
in cec a cuore fermo andremo a iniettare una quantità di acqua fisiologica sterile tale da
riempire tutta la cavita venitrolcare sinistra, questo per mimare la sistole cardiaca e vedere
ovviamente se in sistole c’è qualche attività di rigurgito in atrio poi ovviamente dopo il
decapaggio aortico, quando abbiamo svezzato il paziente dalla cec, chiamiamo l
ecocardiografista che ci farà una prova grazie all ecocardiogramma transesogafgeo per
vedere se ha rigurgito mitralico residuo.
In tal caso la plastica non è andata a buon fine e dobbiamo sostituire la valvola.
L’insufficienza mitralica è molto grave perché evoluzione in caso di assenza di trattamento
chirurgico è quella che fa si che il ventricolo sinistro si sfianchi riducendo la sua capacita
contrattile. Se tale capacita diventa irreversibile il pz candidato a trapianto.
La terapia medica non correre il difetto ma serve a correggere i sintomi, non va ad arrestare
quello che è la patologia valvolare in sé, ovviamente vi è un delicato equilibrio perché da un
lato si tende ad intervenire sempre più precocemente x far si che il chirurgo possa intervenire
riparando la valvola attraverso chirurgia riparativa, dall’altro si tende ad aspettare se il pz
clinicamente è stabile attraverso chirurgia sostitutiva. Le linee guida ci aiutano
notevolmente anche se ovviamente il difficile compito, la scelta di intervenire precocemente

183
o tardivamente, nel caso in cui la situazione emodinamica è stabile, resta una scelta
personale del chirurgo.

184
VAD E TRAPIANTO CARDIACO
(Prof.essa Della Ratta)

Vi sono vari step che richiedono al paziente un'assistenza meccanica del circolo suddivisi per
convenzione in:
• Sistemi di assistenza a breve termine, per pazienti che giungono in ospedale in shock
cardiogeno (contropulsatore aortico)
• VAD a medio e lungo termine
• Trapianto cardiaco
Il contropulsatore è costituito da una cannula che si inserisce in a. femorale che giunge
in aorta toracica discendente, immediatamente a valle della succlavia, può essere di
25,40,50 cc è legato a questa consolle dove potremo inserite varie modalità. L'ausilio del
contropulsatore può essere sia preoperatorio, per esempio nel paziente con un ima che ha
comportato un episodio di div post infartuale, secondo voi questo paziente è suscettibile a
un intervento di rivascolarizzazione di urgenza/emergenza? No, perché il paziente è
instabile e perciò utilizziamo il contro pulsatore, che serve quindi per mettere a riposo il
cuore a tutti i pazienti instabili, non suscettibili di intervento chirurgico. L’ausilio può essere
intraoperatorio, quando il paziente ha già subito un intervento di rivascolarizzazione, di
sostituzione valvolare ma ha difficoltà a uscire da una circolazione extracorporea oppure una
volta che esce dalla cec non riesce a ottenere un'adeguata gittata o pressione arteriosa media
nonostante i farmaci inotropi massimali. Un’altra indicazione al contro pulsatore è prima di
entrare in sala operatoria, in caso di bassa frazioine di eiezione, perchè gia sappiamo che il
paziente può avere difficoltà a uscire dalla cec. Ausilio postoperatorio: il paziente esce dalla
sala operatoria nelle migliori condizioni possibili, va in terapia intensiva ma dopo qualche
ora non riesce ad avere un'adeguata funzione di pompa.
E' il primo ausilio che si utilizza in emergenza, colleghiamo il pallone alla consolle e poi
vediamo quali sono gli effetti emodinamici: aumentiamo il flusso diastolico a livelllo
coronarico e sistemico, quindi riduciamo lo stress, aumentiamo la performance e riduciamo
tutte le resistenze periferiche ottimizzando il rapporto consumo/richiesta miocardica di O2.
Indicazioni: tutte quelle condizione che ci portano a un ausilio di un'assistenza meccanica
ad assolvere alla funzione di pompa cardiaca per shock, angina instabile refrattaria alla
terapia farmacologica (anche post ausilio di cerotti di nitroderivati, nitroderivati per os
sublinguali, beta bloccanti, ace-inibitori), post sindrome coronarica acuta che hanno episodi
di tachicardia ventricolare, div post infartuale, insufficienza mitralica acuta, condizioni di
bassa frazione di eiezione, condizioni postoperatorie se il paziente non riesce a svezzarsi
dalla CEC.
Controindicazioni: insufficienza aortica, aterosclerosi diffusa, aneurisma aortico, stenosi
aortica
Complicanze: ischemia periferica, se il paziente viene in ospedale in emergenza e non so se
possa avere un aterosclerosi polidistrettuale perché non ho il tempo per indagare attraverso
l’esame doppler. Ancora, il pallone può farsi strada attraverso un falso lume; infezioni e
sepsi.
185
Vad: assistenza ventricolare destra, sinistra o biventricolare
Indicazione:
• quando non riusciamo a svezzare il paziente dal contropulsatore (che è a breve
termine) nonostante i farmaci inotropi massimali quindi nonostante la terapia
farmacologica adeguata, quando la pressione arteriosa media è inferiore ai 65mmHg,
ecc.
• se il paziente non riesce a svezzarsi dalla cec, impieghiamo un contro pulsatore in
prima istanza, ma nonostante ciò non riesce a svezzarsi, utilizziamo l’ ecmo che è a
medio termine, a metà tra un contro pulsatore e un vad
• shock nonostante supporto inotropo massimale e adeguata ventilazione
• miocardite fulminante
• bridge to trasplant
• destination therapy (pazienti che non suono candidati al trapianto)
A scopo meramente didattico distinguiamo i vad a seconda della durata, della condizione
clinica, dalla posizione del device
Per quanto diguarda la durata abbiamo:
• VAD a breve e medio termine, in primis il contropulsatore, in secondo l'ecmo (il
contropulsatore può durare dai 7 ai 15 giorni, l'ecmo al massimo un mese)
• VAD cronici, che possono durare anche molti anni e oggi fortunatamente possiamo
fare in modo che (attraverso i sincardia) ci sia meno ingombro possibile e il paziente
può tornare a casa
Per quanto riguarda la destinazione clinica abbiamo 4 destinazioni:
• bridge to recovery, per tutti i pazienti in shock cardiogeno, miocardite, o un paziente
che non riesce a svezzarsi dalla CEC
• bridge to trasplant
• bridge to bridge
• destination terapy, se il paziente non è eleggibile al trapianto
In base alla posizione del device rispetto al paziente abbiamo: dei sistemi totalmente
impiantabili cioèche sono allocati nella gabbia toracica da dove escono semplicemente delle
cannule collegate a una consolle, poi abbiamo i paracardiaci e gli extracardiaci che non
consentono al paziente di mobilizzarsi (ecmo). Gli ecmo garantiscono un’adeguata
perfusione periferica, possono essere utlizzate sia in caso di insufficienze respiratorie quindi
anche non necessariamente per cause cardiochirurgiche (paziente che ha un epatite
fulminante e non si riescxe a svezzare col ventilatore.
L’ecmo consiste in due cannule: la cannula di inflow che drena il sangue e quella di
outflowche restituisce il sangue al paziente attraverso il seistema di micropulsione, poi
abbiamo un filtro che ossigena il sangue drenato. Abbiamo un ecmo veno-venoso, ossia
quello respiratorio: il sangue viene drenato, ossigenato e restituito totalemtne in vena,
quindi il bypass è circolo sistemico.
L’ecmo veno-arterioso, ossia quello cardiaco: il sangue venoso viene drenato e ossigenato e
attraverso la cannula di outflow rimesso in circolo sistemico.

186
Indicazioni:

• shock cardiogeno, arresto circolatorio , in terapia intensiva in caso di insuff respiratoria o


ventricolare
• bridge to recovery
• bridge to bridge in attesa di impiantare un vad a lungo termine
• bridge to trasplant, così metto il paziente in ecmo in emergenza nazionale sperando che il
cuore arrivi presto.
I vad a medio e lungo termine garantiscono mobilizzazione del paziente e anche un supporto
di mesi o più di un anno: thoratec, tipo di vad che sfrutta il sistema di pompa pulsatile, il
sistema di assistenza è paracorporea, cioè il sistema fuoriesce dai quadranti dell'addome
collegato alla consolle.
Indicazione: shock cardiogeno post cardiotomi, post infartuale, miocardite, condizioni di
graft failure.
Come assistenza sinistra: il sangue viene prelevato dalle cannule dall'atrio sinistro e dal
ventricolo sinistro e rimesso in aorta
Come assistenza destra: stessa cosa per atrio e ventricolo destro e rimesso in polmonare
Novacor: garantisce un'assistenza superiore ai 4 anni ed è totalemtne impiantabile, cioè c'è
una tasca che collochiamo in sede addominale e una cannula che inseriamo in aorta toracica
ascendente e consente una mobilità totale del paziente. Inseriamo la cannula di inflow in
apice ventricolare, giunge in aorta, poi abbiamo una tasca e il paziente sarà collegato
attraverso una cintura con delle batterie.
Jarvik: anch'essa è totalmente impiantabile nell'apice del ventricolo sinistro e anche qui il
sangue viene rimesso in aorta toracica discendente attraverso la cannula di outflow,
l’impianto può essere effettuato per toracotomia e il paziente ha solo una piccola cannula
che fuoriesce dalla regione mastoidea.
Hartmate 2,3 che va nel vad sfrutta un flusso che è assiale non pulsatile, impiantiamo la
borsa di tabacco in apice ventricolare sinistro, buchiamo l'apice ventricolare e mettiamo la
cannula di afflusso apicale dopodichè confezioniamo l'altra borsa di tabacco in aorta toracica
e aorta ascendente e la colleghiamo allacannula di efflusso, dopodichè il paziente ha una
cannula che fuoriesce dalla'ddome collegato a una consolle. Il paziente deve essere sempre
scoagulato.
Complicanze dei vad: se l'inr è tropppo basso, rischio trombotico, se esso è troppo alto:
rischio di sanguinamento, infezioni.
Cause di morte: mof (multi organ failure), disfunzione del device, embolie gassose,
insufficienza ventricolare destra
Total artificial heart (syncardia): è un sistema biventricolare, il cuore viene rimosso e
all'interno della gabbia toracica alloggeremo queste (foto) che fungono da ventricoli,
sporgono dall'addome collegate alla consolle. Confezioniamo una borsa di tabacco in sede
polomare e una in sede aorta, le drive line (due cannule) escono dal sito cutaneo (in
corrispondenza della 12esima costa) collegate alla consolle, il cuore non c'è, viene utilizzata
come bridge to trasplant o come destination therapy.
187
Quali sono le indicazioni al trapianto? Cardiomiopatie primitive e secondarie, miocarditi
fulminanti, cardiopatie post-ischemiche, post-valvolari, insufficienza cardiaca terminale
non responsiva a terapia chirugica e medica, pazienti in classe II,III,IV Nyha, pazienti in
condizioni in cui si ha percentuale disopravvivenza a 1 anno inferiore al 75% senza trapianto.
Criteri di eleggibilità: età inferiori ai 65 anni (fino ai 68,69 anche), condizioni psicologiche
adeguate, contesto familiare idoneo, assenza di neoplasie e altre patologie importanti.
Indicazioni non accettate: pazienti con cardiopatia ischemica non suscettibili a intervento
chirurgico, considizoni che limita le attività, FE inf al 20%, classe nyha 3,4.
Controindicazioni assolute: insuff renale o epatica irreversibile,ipertensione polomare
severa, ipertensione sistemica.
Il criterio di urgenza/emergenza: paziente con assistenza ventricolare dx o sin, paziente con
sincardia, paziente intubato, tutte le condizioni in cui il paziente ha vad, insomma; pazienti
in terapia intensiva e richiedono un supporto inotropico massimale continuo. Lo status 2
vale per pazienti che stanno a casa.
Tecniche di impianto: tecnica di rigonfio atriale. Video
Noi lasciamo libera la parete posteriore dell’atrio dopodiché andremo a suturare l’atrio
sinistro, l’atrio destro, l’arteria polmonare e l’aorta in quest’ordine. Il donatore di cuore deve
essere in condizioni di accertata morte cerebrale. La legislazione italiana ci dice che c’è una
campagna di sottoscrizione volontaria in cui si esprime un consenso all’espianto d’organo in
caso di morte. La morte cerebrale è accertata in caso di incoscienza, assenza di riflessi,
reazioni a stimoli, assenza di respiro spontaneo, silenzio all’Eeg ecc..Devono esserci almeno
3 medici ad accertare la morte: medico legale, un neurologo e un rianimatore. Il periodo di
osservazione deve essere di almeno 12 ore nei bambini e 6 ore negli adulti. I criteri di
donazione sono: accertamento della morte cerebrale, consenso, età adeguata, assenza di
patologie organiche, assenza di sepsi. Andiamo a valutare la compatibilità immunologica, il
peso del cuore da impiantare.
Complicanze: rigetto acuto, aritmie, rottura di cuore, versamento pericardico, complicanze
a distanza del tipo da stenosi immunomediate.

188
(LEZIONE 15/11/18 – PROF. DELLA CORTE)

PATOLOGIE DELL’AORTA
Perché ci sono delle patologie di interesse cardiochirurgico dell’aorta e altre no? Perché
l’aorta è la principale arteria del circolo sistemico è l’arteria più grande per dimensione, per
estensione, per calibro presente in tutto l’organismo e quindi dal punto di vista chirurgico le
competenze almeno- in Italia e in altri paesi- per convenzione sono divise in:
Chirurgia toracica
Cardiochirurgia si occupa della porzione toracica dell’arteria
Chirurgia vascolare si occupa dell’aorta nella sua porzione addominale
L’aorta si divide in un primo tratto, l’ aorta ascendente che va dal primo tratto del ventricolo
sinistra fino all’emergenza del tronco brachiocefalico il secondo tratto , l’arco aortico o
orizzontale che comprende tronco brachiocefalico a dx , la carotide comune a sinistra e la
succlavia di sinistra.
Tratto toracico discendente va dall’istmo il più piccolo restringimento, fino allo iato
diaframmatico attraverso cui passa l’aorta.
Tratto addominale di cui si occupa la chirurgia vascolare che va dallo iato diaframmatico
fino alla biforcazione delle iliaca comune. Ho detto in Italia ed in altri paesi perché nei paesi
francofoni esiste la chirurgia cardiovascolare che quindi si occupa di tutta l’aorta compresa
l’aorta addominale nei paesi anglofoni esiste la chirurgia cardiotoracica per cui il
cardiochirurgo si occupa dell’aorta fino al diaframma non di quella addominale però si
occupava anche della chirurgia toracica. In Italia invece esistono 3 specialità diverse
(chirurgia toracica cardiochirurgia e chirurgia vascolare )

189
Quali sono le patologie dell’aorta di cui si occupa la cardiochirurgia? Sono patologie
aneurismatiche pseudoaneurismatiche e patologia dissettiva, la dissezione aortica. Già da
qua si può capire bene come rispetto ad altre arterie che noi abbiamo l’aorta, nella patologia
della aorta almeno manca qualcosa a livello toracico cioè la patologia di tipo ostruttiva in
aorta ascendente arco e discendete , è estremamente raro trovare una patologia ostruttiva di
questi tratti quando c’è un caso di…(5.26) non legato alle patologie dell’aorta invece nelle
arterie periferiche la patologia principale dal punto di vista epidemiologico la più frequente
è quella ostruttiva ,quella aneurismatica è più rara a livello dell’aorta addominale non esiste
patologia aneurismatica a meno che non abbia una componente ostruttiva nella stessa aorta
però nel tratto addominale.
Tutte le differenze tra la patologie dell’aorta toracica e le patologie dell’aorta addominale
non sono a caso ma sono legate da 2 fattori: uno è quello embriogenetico infatti l’aorta
ascendente l’arco aortico hanno delle derivazioni embriologiche diverse dalla aorta
discendente sia toracica che addominale; il flusso all’interno dell’aorta ha caratteristiche
biomeccaniche diverse tra l’ascendente ed arco e la discendente sia toracica che addominale
e questi 2 fattori comportano che le 2 porzioni dell’aorta , quella ascendente e arco e quella
discendente sia toracica che addominale hanno propensione completamente diversa alle
patologie , dopo lo ritocchiamo questo punto.
Comunque come vedete qui gli aneurismi sono divisi per sede (vedi immagine). Gli
pseudoaneurismi che cosa sono? Lo pseudoaneurisma in realtà è un termine un po’ ambiguo
e viene utilizzata per individuare due porzioni completamente diverse. Sono catalogati come
post traumatici e iatrogeni.
Il post traumatico è una rottura di un vaso coperta, coperta equivale a dire che si tratta di
uno pseudo aneurisma, coperta che significa? Significa che strutture che circondano il vaso
e guardate che tutte le cartelle sono in genere rinnovate in un tessuto connettivo
perivascolare tranne l’aorta , l’aorta sta per fatti suoi , quella ascendente ha un tratto che sta
nel pericardio , un tratto extra pericardico più distale la discendente toracica è in pleura
l’aorta discende addominale completamente (8.08)….parte nel peritoneo ha del tessuto
connettivale attorno quella di competenze cardiochirurgiche non ha tessuto
connettivale….8.15
Ma comunque essendo un tratto pericardico ed un tratto ricoperto da pleura etc. anche in
questo caso c’è del tessuto intorno all’aorta che può coprire la rottura, cioè se il vaso si rompe
e quindi si crea una breccia a tutto spessore nella sua parete, la fuoriuscita ematica ed il
sanguinamento all’interno è limitato dalla compressione ab estrinseco che si crea quando il
sangue va ad occupare interstizio (?) delimitato dal tessuto circostante. Lo stesso
sanguinamento che crea uno spazio lì dove là intorno c’è solamente tessuto e quello spazio
avrà una pressione all’interno tanto maggiore quanto più sangue rapidamente lo occupa
quindi sarà la pressione stessa a comprimere la breccia da cui è uscito il sangue ed a limitare
la rottura, perciò si parla di coperta.
A lungo andare cosa succede che la pressione intravascolare e la pressione ab estrinseco del
tessuto che c’è attorno trovano un equilibrio e si può creare una vera e propria sacca; questa
parte ,questo spazio nuovo creato dall’emorragia ha un sua cavità in comunicazione con il
lume aortico ma le sue pareti non sono formate da parete aortica, quindi l’aneurisma è una
dilatazione del vado le cui pareti sono pareti vascolari , le pareti dell’aorta se si dilatano
formano un aneurisma aortico e la parete malata è la parete aortica , lo pseudonaeurisma
190
invece è questa cavità in continuazione con il lume aortico ma le sue pareti sono date al
tessuto connettivo che hanno evitato la rottura che ha creato un pseudo aneurisma, perciò
si chiama così perché la sua parete non è una parete vasale.
Lo pseudo aneurisma iatrogeno è tutta un’altra cosa è la deiscenza di una sutura
chirurgica a livello vascolare quando un vaso ha subito un intervento quindi c’è una sutura
chirurgica se la sutura si rompe si spezza oppure non è ben fissata e così via può succedere
un sanguinamento che può essere coperto da girarci attorno(?)10.57 e non avere una rottura
franca ma può esserci una formazione di uno pseudo aneurisma.
La dissezione la definiremo dopo
Ovviamente le sedi della malattia dilatativa che poi si estrinseca come quadro enstage11.14
con l’aneurisma aortico.
Ognuno dei tratti di cui vi ho parlato interessano la patologia dilatativa anche se nei vari
tratti la patologia dilatativa ha eziologia diversa perché l’istologia della parete aortica cambia
dalla varice al 11.45 in corrispondenza della diversa origine embrionale e non solo ma
soprattutto è diversa:
L’aorta è l’inizio del circolo sistemico e man mano che si va verso la periferia del circolo
sistemico cioè verso i successivi rami di divisione avremo progressivamente nella media
dell’arteria un aumento delle cellule muscolari lisce e diminuzione delle fibre elastiche,
quindi l’aorta è l’arteria più ricche di tutte di tessuto elastico ed è l’arteria più
povera di tutte di cellule muscolari lisce che comunque restano la principale
componente nella media della componente vascolare.
La caratteristica di essere così ricca di elastina meccanisticamente è legata alla funzione
dell’aorta perché l’aorta ha una funzione che non è soltanto di condurre il flusso è una
(funzione passiva) ma ne ha anche una attiva: grazie a questa composizione così ricca di
tessuto connettivo elastico può effettuare il cosiddetto effetto Windkessel -dall’autore
che l’ha descritto- c’è un effetto per cui il flusso in aorta ascendente diventa rapidamente
laminare continuo sempre anterogrado laddove abbiamo sempre un inflow dell’aorta
ascendente dal ventricolo sinistro che non è continuo; il ventricolo sx pompa in aorta
soltanto in fase sistolica invece il flusso delle nostre arterie è continuo sia in fase sistolica
che in fase diastolica questo lo dovete tener presente dalla fisiologia non è che i nostri tessuti
ed organi vengono perfusi in sistole e non in diastole la perfusione è continua ed è con una
pressione maggiore in sistole e una minore in diastole e si chiamano pressione sistolica e
diastolica ma sempre con un flusso anterogrado continuo. In aorta ascendente c’è una
componente di flusso diastolico che è addirittura retrograda per gravità perché più andiamo
vicini alla valvola più risentiamo della funzione ventricolare sinistra che eietta il sangue in
sistole e non in diastole , in diastole il ventricolo si dilata la pressione scende quindi il sangue
dell’aorta tenderebbe a tornare nel ventricolo ma la presenza della valvola che si chiude non
solo passivamente comporta la mancanza di backflow del ventricolo sinistro ma nel primo
tratto dell’aorta ascendente c’è un po’ di backflow diastolico. L’aorta ascendente quindi se
non avesse la funzione di Windkessel avrebbe un flusso solo sistolico e questo lo
trasmetterebbe all’arco, alla discendente e così via; invece l’aorta ascendente che con la sua
grande quantità di lamelle di elastina fibre elastiche del tessuto connettivo della media ,
accumula energia cinetica sotto forma di energia potenziale nella sua parete in sistole ,
energia potenziale intesa come deformazione della parete di elastina , quando poi tornano

191
nella loro conformazione iniziale – questa è la proprietà delle lamelle di elastina-
ritrasformano l’energia potenziale in cinetica cioè la spinta che viene impressa dal sangue
che via in via anterograda.
Ecco perché il flusso è sempre anterogrado dalla parete aortica in poi.
Cenni di anatomia non li ho fatti perché penso di poterli dare per scontato.

Ecco una sezione istologica di parete aortica ascendente formato da intima, strato proteico,
tessuto connettivo con elastina ma non è fusa così come nella media, divisa in 2 lamine
(elastica esterna ed interna) ,cellule fibroblastiche e simil miociti , nella media grossissime
quantità di lamelle elastiche ed il resto è collagene e qualche altra proteina o glicoproteina
soprattutto che serve per tenere in connessione quelle poche cellule che ci sono con queste
fibre elastiche.
L’avventizia è tessuto connettivo lasso non è ricco di elastina anzi all’interno vedete che ci
sono i vasa vasorum.
La dilatazione dell’aorta è un processo patologico causato da un aumento del diametro di un
vaso e si parla di dilatazione ed ectasia fino a quando non arriva ad una volta e 1\2 di
diametro normale quindi un incremento del 50% rispetto al massimo della norma di
diametro; ovviamente la norma qual è? per ciascun tratto dell’aorta abbiamo un diametro
normale, la norma. In realtà il diametro è un range che vari a seconda dell’età sesso e della
superficie corporea esistono dei programmi che mettono in relazione questi parametri con
il diametro ed in quel determinato soggetto deve essere considerato un soggetto con
diametro normale. Quando un diametro che invece osserviamo del singolo paziente supera
questo diametro considerato come massimo normale per quel paziente con quella superficie
corporea e quell’età allora si parla di ANEURISMA che può essere fusiforme o sacciforme
questo sono nozioni di mera anatomia patologica macroscopica
Sacciforme se c’è un colletto
Fusiforme se c’è quando interessa la circonferenza della parete del vaso
192
Questo è un aneurisma c’è una rottura dell’aneurisma il sangue fuoriesce ma viene coperto
dal tessuto circostante e si crea uno pseudo aneurisma.
Quali sono i fattori di rischio per la malattia di dilatativa a livello dell’ascendente? Prima di
tutto i fattori di rischio cardiovascolare in generale, ipertensione arteriosa e non solo quella
tutti quelli che sono i fattori di rischio aterosclerici quindi ipertensione arteriosa
dislipidemie, diabete mellito patologie metaboliche sedentarietà obesità etc.
Tutti questi fattori essendo fattori di rischio dell’aterosclerosi ed essendo quest’ultima una
delle possibili cause delle malattie dilatative dell’aorta costituiscono un fattore di rischio per
questi tipi di malattie. Ma un’altra causa è la cosiddetta degenerazione della media
idiopatica, quella degenerazione che non è su base aterosclerotica perché l’aterosclerosi è
un processo degenerativo però caratterizzato da ben determinati passaggi anatomo-
patologici come la stria lipidica … intimale 20.05 e così via.
Invece della generazione della media idiopatica la caratteristica è la frammentazione della
media dell’elastina, la perdita delle cellule muscolari lisce che vanno incontro ad apoptosi in
genere, e si possono osservare delle formazioni, accumuli all’interno della matrice
extracellulare di GAGs e mucopolisaccaridi che sono a differenza dell’elastina e del collagene

193
sono proteine amorfe non hanno una struttura tridimensionale organizzata in fibre o in
lamelle come succede nel collagene o nell’elastina rispettivamente.
Il meccanismo qual è? Si tratta di patologie che in genere per base genetica sono triggerate
dalla mancanza dall’elevata sintesi di alcune di queste proteine che regolano la connessione
cellula-matrice.
Un esempio classico è la sindrome di marfan Deriva dalla mutazione del gene del braccio
lungo del cromosoma 15 dove c’è la fibrillina 1 che una di queste proteine morfogenetiche
che connettono muscolari lisce con le lamelle di elastina, in realtà si tratta di fibre composte
da più proteine per cui diverse proteine possono essere deficitarie a seconda della diversa
sindrome genetica che ha il paziente però il risultato alla fine è simile cioè vengono a
mancare connessione cellula matrice e la cellula impazzisce, cambia il suo fenotipo, cambia
i suoi programmi cellulari , smette di essere una cellula che all’inizio può contrarsi , questo
fa la cellula muscolare liscia è iperspecializzata soltanto nella contrazione muscolare che
manco serve ….22.20
Quando queste cellule perdono contatto quindi cambiano programma e diventano a fenotipo
secretorio a fenotipo proliferativo e allora secernono enzimi che degradano elastina ok? Non
la classica elastasi che è la classica proteina delle cellule bianche del sangue ma altre tipo
metallo proteasi insomma quelle proteine legate allo zinco (specie diverse) capaci di
degradare target diversi della cellula elastina collagene e così via.
Quando si degrada l’elastina capite che si perde quella funzione di accumulare l’energia
cinetica data dalla spinta pressoria e cederla sotto forma di ulteriore spinta al sangue se si
altera questa funzione significa che ad ogni sistole la parete tende ad essere deformata e non
ritornare bene nella stessa forma che aveva inizialmente qualunque cosa perde elasticità per
esempio la molla della mutanda- per farvi un paragone poetico- perde elasticità che succede?
che la mutanda non sta più su perché si è deformata ha allentato il suo diametro , lo stesso
succede per l’aorta-non ho mai fatto sto paragone però mi piace- quindi l’aorta si dilata per
perdere elasticità , quindi per degradazione dell’elastina da parte di questi enzimi. Un’altra
cosa che succede alle cellule quando perdono contatto con la matrice cellulare è che si
suicidano, vanno incontro ad apoptosi, programma intercellulare di morte programmata.
Altro fattore di rischio è la deformazione della valvola aortica. Esiste una malformazione
congenita dell’aorta che si chiama bicuspide della valvola aortica – quanti siete in questa
stanza? 60, forse uno di voi ha la aorta bicuspide – ha un’incidenza che va da 0,5 al 2% che
è la popolazione standard quindi è una malformazione congenita ma la malformazione
congenita semplice più frequente di tutte. E’ caratterizzata dal fatto che la valvola aortica
alla nascita non ha i suoi bei 3 lembi ma ne ha 2 soltanto perché in realtà uno dei 2 viene
dalla fusione di 2 bozze embrionali di lembi. Quindi questa malformazione è così frequente
è il fattore di rischio per la dilatazione dell’aorta ascendente ma anche per disfunzione
valvola aortica, stenosi aortica, insufficienza aortica etc. non necessariamente in età
neonatale ma anche in età adulta.
Vediamo i fattori di rischio per dissezione aortica
Rischio di 8-9 volta maggiore rispetto alla popolazione generale di andare incontro a questa
complicanza terribile temibile è la dissezione aortica.

194
Fumo e forse anche la Bronchite cronica sono un altro fattore di rischio a parte che sono 2
fattori di rischio generici cardiovascolari entrano nel cavillo dell’aterosclerosi probabilmente
è anche uno degli altri fattori capaci di attivare enzimi proteolitici che degradano la matrice
extracellulare quindi così come accade nel tessuto polmonare nella patogenesi dell’enfisema
così probabilmente potrebbe accadere nella dilatazione dell’aorta.
Questa è la patogenesi della sindrome di Marfan magari l’avrete studiata in genetica magar
la studierete in ortopedia o in oculistica, magari non la studierete mai pero è una sindrome
rara genetica

Vi ho detto il gene della fribillina1 uno siccome la fibrina uno è in tutti i tessuti elastici il
paziente con sindrome di Marfan presenta stigmate fisiche date fondamentalmente dall’iper
elasticità dei legamenti. Ecco guardate il segno del pollice la capacità di fibre riuniti intorno
al pollice facendo sopravanzare tutta l’ultima falange del pollice oltre le altre dita della mano
chiuse; Il paziente con sindrome di Marfan riesce a sovrapporre l’ultima falange del pollice
con l’ultima falange del mignolo e a cingerle intorno al polso così via. Poi ci sono i classici
segni ortopedici: la scoliosi la cifosi la lordosi il piede piatto, il petto escavato, il petto
carenato piede equino, tutte queste malformazioni possono essere presenti anche in
paziente che non ha la sindrome di Marfan, un soggetto sano peraltro però nella sindrome
di Marfan sono particolarmente incidenti . E poi ci sono problemi oculari (Lussazione o
Sublussazione del cristallino) estrema miopia allungamento del bulbo oculare, distacchi di
retina eccetera
Un altro segno tipico è l’ectasia della dura madre e nella visita clinica del paziente c’è bisogno
della risonanza magnetica per vederlo.
La classica dilatazione dell’aorta che avviene nella sindrome di Marfan parte nel primissimo
tratto dell’aorta ascendente la cosiddetta radice dell’aorta o bulbo aortico o box aortico
facciamo riferimento alla stessa cosa con questi termini il tratto che include la struttura della
valvola aortica ed è diviso in tre seni di Valsalva, rigonfiamenti della radice che poi
corrispondono a ciascuno dei tre lembi della valvola(seno non coronarico lembo non
coronarico, seno coronarico sinistro lembo coronarico sinistro seno coronarico destro

195
lembo coronarico destro) nei due seni coronarici ci sono gli osti coronarici la dove parte
l’origine delle due arterie coronariche.
Queste patologie di cui vi ho parlato alla base della degenerazione idiopatica della media il
Marfan è un paradigma, un esempio tipico ma esistono tra le altre patologie genetiche come
osteogenesi imperfetta, sindrome di Ehlers-Danlos, sindrome di Lois Spitz che possono
avere nell’ambito della sindrome la patologia aortica sempre su base anatomopatologica
simile cioè degenerazione idiopatica della media perdita delle fibre elastiche morte
programmata delle cellule muscolari lisce accumulo di GAGs che fanno perdere elasticità
al tessuto.
L’aterosclerosi con i suoi meccanismi di cui avete sentito parlare tantissimo durante i vostri
primi anni di medicina è un’altra patologia che alla fine con meccanismi diversi porta
comunque a dilatazione del vaso la forma più frequente di dilatazione al livello dell’aorta
ascendente è la degenerazione idiopatica- che una volta si chiamava necrosi cistica ma non
è più così utilizzata forse in anatomia patologica ancora la chiamano così- invece al livello
dell’arco e della aorta ascendente distale la forma più frequente è …..31.11
Come vi dicevo prima diverse origini embrionali creano diverse propensioni nei vari tratti
della Orta a diverse patologie di base ovviamente l’aterosclerosi incidenza sempre più
tardiva… 31. 28
La terza causa possibile per dilatazione e quella infiammatoria: L’Aortite.
La aortite è appunto una infiammazione della aorta, è una vasculite dell’arteria principale
può avere o un’eziologia infettiva o autoimmune. Comunque forme estremamente rare, l’
aortite classica deriva dalla Lue terziaria ma non si osserva più tanto; perché la sifilide
non è più tanto frequente ma ancora si osservano organismi micotici che attaccano o il primo
tratto dell’aorta ascendente quindi propagazione dalla aorta ascendente di una infezione
della valvola precisamente miocardite valvolari in genere su base batterica più spesso
causate da Gram positivi e Gram negativi in pazienti predisposti alle endocarditi da vari
fattori di cui parleremo; ma qualche volta si tratta di organismi micotici anche quando ci
sono piccoli aneurismi sacciformi dell’arco aortico. In quel caso si tratta invece di
meccanismi diversi: ci saranno placche aterosclerotiche che sono andate incontro a
sovrainfezione batterica in pazienti tipicamente anziani, aterosclerotici e con diverse cause
di batteriemia possibile , quelli che fanno dialisi quelli che hanno accessi a permanenza
eccetera eccetera quelli che hanno pacemaker, tutti quelli che hanno una via di
comunicazione tra l’esterno e l’intravascolare possono possono avere batteriemia transienti
se hanno dei loci in cui può attecchire infezione batterica si ha l’endocardite.
E questa si avviene a livello della placca aterosclerotica nell’arco aortico genera questi piccoli
aneurismi micotici che sono piccoli e bastardi perché piccoli ma fragilissimi e a volte non si
diagnosticano fino a che non c’è la rottura di questi piccoli aneurismi quindi shock.
La rottura coperta quindi sarebbero pseudoaneurismi ma non ripetiamo le stesse cose. Ma
questo è solo per dire che il motivo per cui l’aneurisma dell’aorta è una patologia di interesse
chirurgico è che noi dobbiamo operare rimuovendo il tessuto aneurismatico per prevenire
le complicanze dell’aneurisma.
Le complicanze dell’aneurisma sono generalmente alte, sono la rottura e la dissezione anche
se oggi la dissezione non viene più considerata una complicanza dell’aneurisma ma più una

196
via patogenetica che prende la malattia ad un certo punto la malattia di base e cioè la
degenerazione e la degenerazione che sia aterosclerotica o che sia idiopatica comunque ad
un certo punto non si sa perché decide di evolvere in dilatazione soltanto o decide di evolvere
in dissezione. Questo che significa: Un aneurisma aortico può dissecarsi ma anche un aorta
non aneurismatica può disseccarsi così come un aneurisma aortico può anche raggiungere
diametri esagerati (7 cm, 8 cm a volte 10 cm) ma non dissecarsi. Una volta si pensava che la
patologia dissettiva dipendesse dal diametro, quindi dall’eccessiva dilatazione.
L’aorta normale cresce, cresce di diametro 0,1 mm l’anno quindi una crescita lentissima ma
quando invece è patologica la crescita è accelerata e per esempio nella sindrome di Marfan
si arriva addirittura 5mm, è una crescita allarmante che indica che l’intervento deve essere
fatto il più presto possibile. Normalmente nelle forme non sindromiche sia sottesa da forme
idiopatiche sia sottesa da aterosclerosi questa crescita è molto più lenta e siamo nell’ordine
di 10 volte meno (0,2mm-0,4mm- 0,5 mm l’anno).
Di questa slide non ne discuto anche perché la legge di la Place secondo alcuni studi si dice
che non possa essere applicata alla aorta.(immagine sul calcolo della legge di la Place)

Un’altra complicanza non acuta dell’aorta abbiamo detto che lo operiamo per evitare
complicanze acute, per concludere questo discorso sulle complicanze oltre quella acute ci
sono anche complicanze croniche sono: insufficienza della valvola aortica se
l’aneurisma. Riguarda il primo tratto dove c’è la valvola aortica anche se la valvola manca di
patologia dei lembi da un punto di vista istopatologico comunque se le sue commessure
vengono spostate in senso centrifugo dalla dilatazione del vaso nel quale sono incluse,
ovviamente la valvola al centro non coapterà più e quindi è insufficiente come vi mostra la
slide. Altre complicanze croniche sono date dalla compressione che il vaso può esercitare
sulle strutture circostanti ma come ti ho detto prima non c’è un tessuto intorno alla aorta
,ma l’aorta può estendere il suo lungo tratto nel pericardio nel mediastino anteriore per
quanto riguarda il secondo tratto dell’aorta ascendente superiore anteriore e così via, quindi
per arrivare a comprimere le strutture circostanti l’aorta deve arrivare a grosse dimensioni;
oggi la sintomatologia da compressione non la vediamo quasi mai perché le tecniche per
diagnostica per immagini sono così diffuse che il paziente scopre accidentalmente la propria
dilatazione dell’aorta in corso di radiografia, Ecocardiogramma addirittura effettuate per

197
qualunque motivo per sport per lavoro per controllo semplice eccetera. La compressione se
è a carico del
- nervo laringeo ricorrente →disfonia
‐ esofago→disfagia
- vena cava superiore→ edema a mantellina
‐ trachea→tosse secca
‐ sterno→dolore toracico (dovuto all’erosione del tessuto connettivo periostiale)
Si tratta veramente di casi estremi ai quali si arrivava una volta (lo sterno pulsava)
Invece altri sono i sintomi delle fasi acute ovviamente sono i sintomi dello shock emorragico
ed in più dolore che è un dolore diverso da quello di un coronarico cardiaco miocardico. Il
dolore coronarico è un dolore costrittivo generalmente, invece il dolore aortico è un dolore
lacerante è un dolore trafittivo il paziente sente un dolore come se fosse una pugnalata e la
sede in cui il paziente accusa il dolore è indicativa del tratto di aorta interessato:
- dolore sede sternale correlato all’aorta ascendente
- dolore sede interscapolare all’aorta discendente
Come diagnostica ovviamente è necessaria quella per immagini non esiste nessun test di
laboratorio che ci dice che una aorta è dilatata c’è bisogno di immagini la radiografia può
già destare un sospetto e come vi dicevo da questo sospetto si potrà fare diagnosi 40.00
Il primo arco di sinistra appartiene alla aortico (proiezione postero anteriore del torace)
Il primo arco di destra è correlato alla aorta ascendente gli altri archi non c’azzeccano niente
perché il secondo di sinistra è l’arteria polmonare il terzo di sinistra è il ventricolo sinistro il
secondo di destra è l’atrio di destra però se voi vedete una particolare sporgenza del primo
arco di sinistra pensate alla dilatazione dell’arco aortico se c’è una leggera sporgenza il primo
arco di destra sarà una dilatazione dell’aorta ascendente nella visione latero-laterale l’ombra
aortica si avvicina sempre di più allo sterno.

198
L’ecocardiografia è il gold standard per l’individuazione di un aneurisma dell’aorta
ascendente almeno nello screening della popolazione per il paziente che ha il sospetto; nel
paziente invece che ha già avuto diagnosi e deve seguire nel tempo la sua dilatazione
dell’aorta e deve decidere se operare o no, la TAC con mezzo di contrasto o l’angio-TAC della
aorto toraco-addominale è il gold standard dell’immaging .

199
Come vedete l’eco può sembrare un insieme di echi appunto di piccoli trattini luminosi che
rappresentano il segnale ultrasonico che viene rimandato indietro dai tessuti perché
l’ecocardiografia si basa come tutte le ecografie su ultrasuoni con la differenza che è più
facile con i ultra suoni vedere l’addome che non il cuore per due motivi perché cos’è che non
rimanda indietro l’eco dell’ultrasuono? L’acqua è ancora meno l’aria. Il tessuto ematico che
ovviamente ha un’alta percentuale di acqua rifletterà poco l’eco, ancora meno l’aria che non
fa passare proprio l’ultra suono quindi il cuore che si trova nella parte di sinistra anche
ricoperto da parte del polmone di sinistra tra la parete toracica dove appoggiamo la sonda
ecocardiografica che trasmette questi ultrasuoni e il cuore c’è aria perché ci sono i polmoni:
se il paziente magari fa un’inspirazione e trattiene il fiato si può cercare di vedere un po’
meglio il paziente enfisema toso a più aria nel polmone e non si può vedere niente etc. .
Quindi guardando quest’immagine è presentato molto bene la radice dell’aorta il primo
tratto dell’aorta ascendente sotto c’è il ventricolo sinistro già il secondo tratto dell’aorta
ascendente si perde un po’ non si vede più tanto, l’arco e difficilmente visibile
all’ecocardiogramma l’unico modo per vedere l’arco è al giugulo la sonda viene posta al
giugulo si vedono l’arco ed un po’ i suoi rami. L’ecocardiogramma trans esofageo cioè quello
cui la sonda e endoscopica passa nell’esofago e arriva fino allo stomaco supera un po’questi
limiti divisione perché l’esofago come bassa nel torace? Passa esattamente dietro l’atrio di
sinistra quindi vede dall’interno senza aria tutte le strutture cardiache da dietro invece
quando fai il trans toracico lo vedi davanti.

200
Esempi di tac e risonanza che vi serve sapere a voi per essere cardiologi ma per adesso non
formazione generale e la differenza della patologia aortica fra tac e risonanza quale può
essere? La tac si chiama così perché è una tomografia computerizzata assiale, assiale
significa tagliata perpendicolare rispetto all’asse corporeo l’aorta è disposta nel torace non
assiale al corpo ma è obliqua nascendo dal ventricolo sinistro che posteriore rispetto al
ventricolo destro l’aorta ascendente va in avanti e verso sinistra e poi si porta verso l’alto in
unico tratto breve quasi assiale e poi va verso dietro verso destra a formare l’arco aortico e
poi scenderà nell’ aorta discendente del torace fino all’addome questo che cosa comporta?
Vedete qua si vede benissimo l’ascendente è più a sx dello sterno la discendente è più a destra
quindi ha crossato la linea mediana a livello dell’arco aortico.

201
Tutte queste obliquità non vengono prese in conto dalla tomografia assiale. Ovviamo a
questo con la risonanza magnetica, in modo da orientare la proiezione in relazione al vaso
(posso orientarmi assiale al vaso e non assiale al corpo). La TAC però ha superato questi
limite nella fase di post-processing: posso fare una ricostruzione multiplanare e avere una
misurazione precisa del diametro del vaso.
TERAPIA:
- chirurgica: una volta che l’aneurisma si è formato è l’unica strategia. Mira a prevenire le
complicanze (come la rottura).
- medica: può essere rivolta alla correzione della pressione arteriosa in quei soggetti con
predisposizione genetica (come un deficit dell’elastina che renderebbe la parete vasale molto
suscettibile allo stress pressorio). In alcuni pazienti la pressione viene diminuita anche in
assenza di una vera e propria ipertensione proprio per questo scopo.
PRINICIPI PER L’INTERVENTO CHIRURGICO:
- dilatazione aortica: rimozione di tutto il tessuto aortico macroscopicamente malato
(identificato mediante indagini stumentali, come la TAC).
- dissezione aortica: indicazioni sulla base delle dimensioni raggiunte dalla dissezione.
INDICAZIONI PER LA DISSECAZIONE:
- IN BASE AL DIAMETRO: La maggior parte delle rotture in caso di dissezione si verifica al
raggiungimento dei 6 cm di diametro. Per questo motivo, l’intervento è indicato al
raggiungimento dei 5,5 cm.
Nel caso in cui dovesse esserci anche coinvolgimento valvolare (epidemiologicamente uno
dei motivi più rilevanti alla base dell’insufficienza valvolare aortica), l’operazione viene
effettuata al raggiungimento dei 4,5 cm di diametro.

202
- IN BASE ALL’EZIOLOGIA: pazienti con la sindrome di Marfan. L’indicazione è al
raggiungimento dei 5 cm poiché nel loro caso la rottura avviene prima dei 6 cm.
- IN BASE ALLA PROGRESSIONE: 1cm/anno è indicazone per l’intervento.
TECNICHE CHIRURGICHE: varie e dipendono dal tratto aortico interessato.
- Tubo protesico in Dacron (polimero biocompatibile intessuto a maglie e impregnato
di collagene o elastina, che permette al tratto sostituito di mantenere una certa
elasticità): indicato quando c’è coinvolgimento del tratto tubulare dell’aorta
ascendente (ovvero a partire dalla fine dei seni di Valsalva in corrispondenza della
giunzione seno-tubulare), ma senza interessamento del tratto brachiocefalico (quindi
in caso di aneurisma con normale diametro alla radice e normale funzione
valvolare). Si effettua un’incisione prossimalmente e distalmente alla porzione
patologica per asportarla e si sutura con il tubo protesico volto a sostituire il tratto
rimosso.
- Interessamento aortico ascendente e valvolare, ma con normale radice dei
seni di Valsalva: in questo caso avremo la valvola interessata da stenosi o
insufficienza, avremo poi la radice dei seni di Valsalva normale, e avremo infine
l’aorta ascendente aneurismatica. In questo caso è necessario sostituire
separatamente valvola e aorta, perché eliminare quella piccola porzione di tessuto
sano corrisondente alla radice comporterebbe un aumento del 3% del rischio di
mortalità (in quanto dovremmo staccare e riattaccare anche le coronarie).
- Interessamento di valvola, radice e aorta: intervento di Bentall. Può succedere che
la dilatazione dell’aorta abbia dislocato le coronarie e nel riportarle sul piano
normale, quell’eccesso di tessuto può provocare una ricaduta del vaso che si occlude.
Se invece il vaso nel riadattarsi non si è dilatato, lo vado a riposizionare in situ.
Intervento di Bentall: si utilizzano protesi composite (tubulare + valvola meccanica). In
passato veniva condotto effettuando un impianto della protesi tubulare valvolata
endoluminale con reimpianto degli osti coronarici. Si riattaccava distalmente il rubo nella
parete aortica che avevamo aperto (l’aorta non veniva completamente rimossa, ma aperta e
si impiantava quindi dal di dentro). Questo però comportava la creazione di uno spazio tra
la parete aortica originaria e il tubo protesico che avevamo inserito, all’interno del quale il
sangue poteva coagulare.
La tecnica oggi è stata modificata prevedendo la completa rimozione della porzione
aneurismatica, impiantando al suo posto una protesi tubulare valvolata e si praticano poi
due fori in corrispondenza degli osti coronarici.
INTERVENTI DI VALVE SPARING: vengono effettuati nel momento in cui la funzione
valvolare è preservata, per cui sarebbe superfluo sostituirla con una protesi (anche perché
ogni intervento sostituitivo ha un certo rischio legato proprio all’impianto protesico). In
questi interventi la radice viene sostituita con la protesi in Dacron, ma viene lasciata la
valvola propria del paziente. Le tecniche fondamentali sono:
- tecnica di David: è un intervento di “reimpiantation”. La valvola del paziente viene
reimpiantata dopo aver rimosso tutti i seni attorno (quindi viene lasciata solo la struttura di
corona a tre punte, lasciando però una sottile rima di parete aortica). Il tubo di Dacron verrà
suturato alla struttura valvolare e viene fissato poi in corrispondenza del ventricolo sinistro.
- tecnica di Yacoub: vedi immagine. È una tecnica di “remodelling”, in cui l’estremità della

203
protesi viene sagomata intagliando tre lnguette che si portano verso il basso e andranno a
sostiture i seni di Valsalva.

LA DISSEZIONE AORTICA
È un processo patologico caratterizzato dallo slaminamento delle tuniche che compongono
la parete arteriosa, causato da rottura dell’intima ed esposizione della media alla forza
propulsiva del sangue, che penetra al suo interno.
Breccia intimale: la sede di rottura dell’intima, da cui parte il processo di dissezione.
In genere si viene a creare anche una “breccia d’uscita”: si viene ad aprire sotto lo stress
pressorio dato dall’ingresso del sangue nella “breccia d’entrata”. Permette al sangue di
defluire dal falso lume. In sua mancanza il paziente muore sul colpo poiché tutto il sangue
entra nel falso lume determinandone la dilatazione, la quale occlude il vero lume facendo
venire a mancare l’irrorazione a valle di quel tratto.
Falso lume: lo spazio che si crea tra le due lamine di tunica media scompaginate dal flusso
ematico (la lamina più interna viene spinta dal sangue nel lume vero).
Come distinguo il vero lume dal falso? Perché quello vero ha l’intima (che rende il vaso
biancastro), mentre il sangue che entra nel falso lume non trova endotelio (per cui tende a
coagulare e a colorarlo di rosso).
La dissecazione aortica può essere classificata:
- Secondo De Backey:
I. Breccia nell’aorta ascendente e falso lume esteso per tutta l’aorta.
II. Breccia che parte dall’aorta ascendente, ma che non si estende all’arco aortico.
III. La breccia origina nell’aorta discendente. Diviso a sua volta in:
A. Non supera il diaframma
B. Supera il diaframma
- Secondo Stanford: in questo caso la classificazione si basa sul trattamento.
A. La breccia origina nell’aorta ascendente: il trattamento è di emergenza ed
esclusivamente chirurgico. Se non trattata, la mortalità è di circa 1% /ora.
B. Si tratta chirurgicamente solo se si complica, altrimenti solo con terapia
medica. Sopravvivenza del 70% dei pazienti a più di un mese dopo.
La dissezione viene distinta in:
- acuta: se presente da meno di 2 settimane
204
- cronica: se presente da più di due settimane. È importante sottolineare che in realtà
è sempre una condizione che nasce come acuta, il fatto che possa essere cronica è
semplicemente per cronicizzazione del fenomeno acuto (in particolare per tardiva
diagnosi).
Le cause di mortalità sono legate alle complicanze ischemiche da compressione del vero
lume da parte del falso a livello della valvola aortica (decesso per insufficienza aortica acuta,
15-55%), a livello delle coronarie (in particolare la dx, decesso per IMA 2-3%), del TSA
(stroke, 7%), a livelle delle intercostali e lombari (ischemia midollare 2-5%). Possono inoltre
essere legate a rottura aortica (spesso allo stesso livello della breccia intimale di partenza)
con shock emorragico.
Altre complicanze ischemiche si hanno per coinvolgimento di arterie renali (come
insufficienza renale acuta), arterie vscerali (infarto mesenterico) e arterie femorali (ischeia
a carico degli arti inferiori). In genere la breccia d’uscita è quasi sempre presente, ma i
pazienti possono anche morire per il meccanismo del falso lume a livello delle collaterali
perché in esse c’è una riduzione di diametro circonferenziale dovuto al processo di
dissezione.
SINTOMATOLOGIA: Il sintomo principale della dissezione è il dolore toracico, spesso
riferito come lacerante, che si accompagna a sudorazione e agitazione. Insorge acutamente
e può localizzarsi anteriormente (con irradiazione al collo e alla mandibola). Altre volte
prevale posteriormente (riferito nella regione interscapolare). Tipicamente, con il passare
del tempo la sede del dolore “migra”, coinvolgendo l’addome dopo il torace.
DIAGNOSI: La diagnosi si può fare con eco o angiotac (che ci permette di definire le brecce
e quale di esse sia l’originaria). La conoscenza della breccia di partenza è necessaria perché
l’indicazione alla chirurgia prevede la rimozione (e sostituzione con Dacron) del tessuto da
cui è partita la dissecazione, perché rimosso quello il sangue non ha più il punto da cui
entrare.
Dal punto di vista chirurgico, in genere viene resecato il tratto aortico sede della dissecazione
e poi i due monconi vengono ricompattati interponendo strisce di teflon.
Se la breccia è in arco aortico, l’intervento non si può effettuare in circolazione extracorporea
(perché ipoteticamente nel clampare distalmente all’arco, cioè in corrispondenza del tratto
discendente, io sottrarrei la circolazione al cervello). Si deve eseguire in arresto di circolo e
per questo utilizzo l’ipotermia (30°C) per la protezione miocardica.
Per la protezione cerebrale devo diminuire ancora di più la temperatura, in modo da ridurre
l’attività metabolica e quindi la richiesta di ossigeno (27°C). Il cervello tollera un tempo di
ischemia di circa 6 minuti, in seguito ai quali si arriva anche a morte cerebrale (maggiore
sarà il livello di ipotermia e maggiore sarà la tempistica tollerata).
L’ipotermia viene apportata con la circolazione extracorporea (scambiatore di calore).
Nell’intervento noi dobbiamo prima portare il paziente a una temperatura intorno ai 20°C
(per garantirci un grado tale da permettere di operare avendo più tempo) e poi iniziare.
Con il tempo sono stati apportati degli accorgimenti a queste tecniche, che permettono di
evitare lo scendere fino a 20°C: tecniche di perfusione cerebrale selettiva (secondo Kazui).
Durante l’arresto di circolo, la macchina cuore-polmone viene utilizzata tramite due
cannulette inserite a livello del tronco brachiocefalico e della carotide comune di sinistra.
Qualcuno incannula solo da un lato, basandosi sull’anatomia del poligono del Willis e delle
sue anastomosi tra porzione destra e sinistra.
205
Saturimetria trans cranica: mi permette di valutare se la metà di destra del cervello è
egualmente ossigenata rispetto alla sinistra.
Nel caso della dissezione di tipo B, la terapia inizialmente è medica: trattamento
ipotensivante (e non ipertensivante, ciò significa che viene condotta per abbassare la
pressione arteriosa anche in presenza di valori normali). Viene condotta in unità intensiva
(per monitorare sempre la pressione) ed è di tipo infusivo (con delle pompe-siringa con cui
somministro il farmaco: β-bloccanti, nitroderivati, ACE-inibitori).
La terapia chirurgica è indicata nel momento in cui insorgono complicanze: come
refrattarietà alla terapia ipotensivante o iniziale comparsa di versamento pleurico (che
sottende la creazione di una fissurazione o la presenza di sangue che trasuda).
Altre complicanze: da mal perfusione degli organi irrorati dall’aorta discendente (quindi
midollo spinale, reni, intestino, fegato etc.), dolore addominale da addome acuto, alterazioni
emotochimiche o della diuresi (oliguria o anuria), presenza di un arto perifericamente più
freddo dell’altro (dovuto al fatto che il processo di dissezione è avanzato nelle arterie iliache
e si sta estendendo alle femorali), progressione all’imaging (o sua regressione: cioè sta
iniziando a interessare il tratto ascendente).
L’intervento che viene eseguito per la dissecazione di tipo B è molto invasivo (lascia circa 1
m e 30 cm di cicatrice). Si parla di toracofrenolaparotomia (necessaria in quanto si deve
esporre tutta la lunghezza dell’aorta addominale).
Ci si può avvalere della circolazione extracorporea parziale, che sostituisce solo il cuore di
sinistra. Il rischio di complicanze è pronunciato a livello renale o spinale (particolarmente
temuto).
E’ possibile inoltre utilizzare un’endoprotesi: uno stent coperto internamente da poliestere,
che va a ricoprire dall’interno la breccia per escludere quel tratto dal flusso ematico (il
sangue così non entra più nel falso lume perché ci ho messo il tappo).

206
(LEZIONE 9/11/18 – PROF.essa DE FEO)

ANGINA E CARDIOPATIA ISCHEMICA


Parliamo di angina che è sintomo di una patologia come la cardiopatia ischemica, abbiamo
un problema legato all’albero coronarico.
Quando noi parliamo di infarto parliamo di una trombosi, di un’occlusione dell’albero
coronarico che porterà a una necrosi dovuta all’ ipoperfusione della zona che dovrebbe
essere irrorata dai vasi interessati dal processo patologico. Infatti l’occlusione determinerà
una alterazione del rapporto tra la richiesta metabolica del muscolo cardiaco e il quantitativo
di sangue che effettivamente vi arriva.

La professoressa mostra l’immagine di una coronarografia (questa immagine è presa da


internet e dà giusto un’idea della localizzazione dell’interventricolare e dei suoi rapporti).
La coronarografia è un esame invasivo che permette la visione di un’alterazione delle
coronarie e la determinazione del tipo di intervento che serve al paziente, come ad esempio
una angioplastica o un bypass aortocoronarico.
Mostra un albero coronarico in proiezione destra in cui si vede il tronco comune sinistro da
cui si diparte verso il basso l’arteria discendente (o interventricolare) anteriore, che ha un
decorso molto lungo e va ad irrorare l’apice del cuore e tutta la porzione anterolaterale del
setto interventricolare.
Dalla discendente anteriore si staccano dei rami secondari che sono i rami settali, i quali
scendono perpendicolarmente nel muscolo e vano ad irrorare il setto, e sono dei rami

207
fondamentali, poi ci sono dei rami superficiali che andranno ad irrorare le zone laterali
rispetto all’arteria.
Mostra un’altra immagine in cui non sono visibili dei rami dell’arteria discendente.
Cosa è avvenuto?
È avvenuta una trombosi dell’arteria discendente, e molto spesso questo avvenimento
determina morte improvvisa. Questo è dovuto al fatto che questa arteria sostiene l’apporto
di sangue ad una vastissima porzione del muscolo cardiaco, una sua trombosi determina
un’ischemia acuta di una grande parte del miocardio.
In questo caso dunque si avrà una morte improvvisa. Nel gergo comune si è soliti associare
la morte improvvisa ad un infarto ma non è sempre così.
Altre patologie che provocano morte improvvisa sono una aritmia cardiaca, cui sono soggetti
in particolar modo gli sportivi ma che dovrebbe essere messa in evidenza dai test da sforzo.
Oppure una dissezione, la rottura di un aneurisma.
L’incidenza delle patologie cardiovascolari è strettamente correlata ai fattori di rischio di
natura alimentare e di abitudini quotidiane, questo ne determina anche una diversa
localizzazione nelle varie aree geografiche. ( es. in America la scarsa attenzione alla dieta fa
si che vi sia una percentuale di obesi maggiore)
L’occlusione di un vaso comincia con la formazione di una placca ateromasica, che può
accrescersi lentamente dando origine ad una stenosi progressiva del lume del vaso.
Nel caso in cui la stenosi sia progressiva il paziente riesce molto spesso riesce a compensare
la richiesta del muscolo grazie alla formazione di circoli collaterali, in questo caso non di
rado il paziente potrebbe presentarsi scarsamente sintomatico o addirittura asintomatico.
Dal punto di vista anatomopatologico nel caso di infarto acuto del miocardio troveremo
un’ampia zona di necrosi ed una alterazione dell’ECG, in corrispondenza della necrosi si ha
acinesia.
Ad esempio io posso avere una occlusione della coronaria destra, che mi dà acinesia
inferiore, se la zona irrorata non è ancora acinetica ma ipocinetica e io vado a fare un bypass
il tessuto peggiorerà.
La tempestività nella diagnosi di infarto è fondamentale nella limitazione dei danni.
Nell’immediato la trombolisi è una terapia efficace, ma ciò che è importante in una
prospettiva futura è l’angioplastica primaria. Ovviamente l’angioplastica prima va fatta più
è efficace.
In presenza di dolore anginoso se passa entro i primi 20 minuti con somministrazione di
nitroderivati probabilmente si tratta da angina da sforzo, se il dolore persiste oltre il paziente
va ospedalizzato immediatamente perché vuol dire che siamo in presenza di una sindrome
coronarica acuta.
La diagnosi è quasi esclusivamente elettrocardiografica, il paziente lamenta dolore
retrosternale, un senso di costrizione in petto. Va valutata l’intensità e la durata del dolore.

Differenziale dolore anginoso e infartuale


208
Il paziente riferisce un dolore trafittivo, lo definisce quasi come una ‘pugnalata’ nella
dissezione aortica, nell’infarto è maggiormente costrittivo.
Una patologia predisponente alla dissezione aortica è la sindrome di Marfan, in cui abbiamo
una alterazione del collagene.
Un’altra causa comunissima di dissezione è l’ipertensione arteriosa, decisamente più
comune nell’anziano rispetto al giovane. La discrepanza tra numero di ipertesi e numero di
soggetti che effettivamente presentano una lacerazione dell’aorta è data dal funzionamento
dei 3 strati che compongono la parete del vaso. In soggetti anziani o affetti da patologie che
comportano alterazioni muscolari\connettivali gravi a carico del vaso si sviluppa il quadro
clinico.
Il dolore infartuale è
- Improvviso
- Retrosternale
- Costrittivo
- Irradiato interscapolare
- Irradiato al lato ulnare del braccio sinistro

Può essere confuso anche con un dolore da ulcera gastrica, in cui il paziente riferisce
epigastralgia però già dando un antiacido possiamo fare differenziale. Quella che può essere
confusa con un’ulcera è l’ischemia della coronaria destra che va ad irrorare la parte inferiore
del muscolo cardiaco e conseguentemente causa un dolore localizzato più in basso.
Il dolore della dissezione è
- Localizzato all’inizio
- Trafittivo
- Irradiato agli organi addominali dopo

Il paziente infartuato è ipoteso, non iperteso.


Ci può essere una differenza di pressione.
Vado a fare un profilo enzimatico. Esistono degli enzimi aspecifici come ad esempio la
mioglobina.
Invece troponina, CK-MB, CK ed LDH sono più specifici per l’infarto.
Vanno misurate:
- Pressione arteriosa
- Pressione venosa centrale
- Diuresi
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- Temperatura
- Saturazione
Vado a fare un’emogasanalisi, ovvero un prelievo di sangue arterioso e andiamo a
valutare:
- pH
- pO2
- CO2
- Emoglobina
- Na, K, Cl
- Carbonati
- Lattami
A livello pratico i lattami servono per capire il livello di ipossiemia periferica, la diminuzione
della perfusione periferica fa aumentare il livello di lattami nel sangue ed è indice di
scompenso e di bassa gittata cardiaca.

Terapia
Posso usare dei nitrati, che sono dei vasodilatatori coronarici immediati se il mio paziente
presenta angina stabile.
I betabloccanti servono a rallentare il battito cardiaco e quindi consentono al cuore di avere
una frequenza più bassa
I calcioantagonisti hanno lo stesso fine dei betabloccanti.
Dato che un paziente infartuato molto spesso è un soggetto anche molto agitato, una delle
prime cose da fare è cercare di calmarlo per consentigli di rilassarsi almeno parzialmente in
modo tale da attenuale anche il dolore.
Terapia con antiaggreganti utile, nel caso di placche, il principale antiaggregante che vado a
somministrare è la cardioaspirina, che agisce sulle piastrine. Se le coronarie sono
particolarmente danneggiate si procede con doppia terapia antiaggregante (DATP) di
cardioaspirina con aggiunta di un secondo farmaco.

Procedura
Arriva un soggetto con sospetto infarto acuto del miocardio
- Faccio una coronarografia
- Faccio una angioplastica primaria se c’è alterazione o occlusione delle coronarie
L’angioplastica è un intervento che ha lo scopo di riaprire il vaso.
La coronarografia è un esame di 3 livello, il gold standard.
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Prima il principale accesso era quello attraverso la femorale attraverso cui si entrava con dei
cateteri e che richiede dopo l’esecuzione l’immobilizzazione del paziente a letto per le 24h
successive.
Oggi l’accesso avviene per via radiale. Inserisco prima un ago di grosse dimensioni per
trovare l’arteria. Nel momento in cui vedrò sangue fluire spontaneamente nella siringa
significa che ho trovato l’arteria e a quel punto inserisco il catetere. Il catetere guidato viene
fatto arrivare nell’aorta, una volta arrivato nelle coronarie spruzzo il mezzo di contrasto ed
esamino l’albero coronarico.
Abbiamo detto che le coronarie sono 3.
Partendo da sinistra abbiamo il tronco comune, le coronarie originano dai seni di Valsalva.
Subito al di sopra del piano angolare abbiamo l’arco aortico e al di sopra della valvola aortica
ci sono i seni di Valsalva. Qui ci sono gli osti destro e sinistro. Il sinistro comincia nel tronco
comune per circa due cm, si porta posteriormente a livello della polmonare e poi si
anteriorizza e si dirama in due arterie principali, la discendente anteriore e la circonflessa,
che torna posteriormente passando dietro l’auricola sinistra.
L’arteria coronaria destra origina dal seno di Valsalva destro e come primo ramo un’arteria
che si porta sulla parte diaframmatica del cuore, (sulla parte inferiore) e si continua con il
ramo interventricolare posteriore nel 75% dei casi. Un altro ramo è quello del cono e in
seguito quello posterolaterale.
Chirurgicamente se abbiamo una lesione o una ostruzione di una coronaria vado a fare una
angioplastica a seguito di una coronarografia. L’angioplastica si effettua facendo gonfiare un
‘palloncino’ in corrispondenza dell’ostruzione dell’arteria in modo tale da dilatarla e
consentire nuovamente al flusso sanguigno di scorrere.

(immagine presa sempre da internet)

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Con lo scopo di non far chiudere il vaso dopo l’angioplastica, con il tempo si è aggiunto uno
stent, una rete metallica o di prodotti assorbibili.
Quando c’è la lesione di una coronaria isolata si preferisce fare una angioplastica, ma se per
esempio ci troviamo nella parte prossimale della interventricolare anteriore che è uno dei
punti critici è consigliabile effettuare un bypass, cosa che non avviene se sono interessati
dall’ostruzione invece il tratto medio o distale.
Stesso discorso quando sono interessate due diverse coronarie, soprattutto se non c’è
interessamento della discendente anteriore.
Quando le lesioni sono significative, il compito di operare viene lasciato al chirurgo.
Una lesione viene definita significativa quando:
- Interessa più del 70% del vaso (vale per tutti i vasi tranne che per il tronco comune)
- Per il tronco comune sinistro una lesione è chirurgica se supera il 50%
Una malattia di tutte e 3 le coronarie è sempre chirurgica, in quanto si è visto che in questi
casi la terapia chirurgica ha effetti maggiori rispetto alla angioplastica.
Quando il paziente non può fare angioplastiche il chirurgo deve fare dei bypass. I condotti
più usati sono quelli che:
- Diametro di almeno 2 mm
- Non deve esserci molta differenza di diametro tra condotto e coronaria
- Deve avere una buona parete
- Devono assicurare una buona pervietà
La vena safena fu la prima ad essere utilizzata per un bypass aortocoronarico anche se la
prima scelta è l’arteria mammaria interna sinistra, che è più vicina alla discendente
anteriore, ma si può usare anche la mammaria destra. La terza scelta è l’arteria radiale. In
ultimo, si può usare la vena safena, che comunque consente una buona pervietà.
In casi estremi, posso usare l’epigastrica superficiale.
I condotti arteriosi hanno meno probabilità di andare incontro a ostruzioni nel tempo e
hanno quindi una durata nel tempo illimitata.
Come si fa un bypass aortocoronarico?
Come prima cosa è l’unico intervento che si può fare con o senza circolazione extracorporea,
eseguendo l’intervento anche mentre il cuore batte bloccando solamente il pezzo di tessuto
ove devo andare a creare l’anastomosi. La scelta di effettuare in un modo o nell’altro
l’intervento se non ci sono complicazioni particolari a carico delle coronarie o dell’aorta è a
discrezione del chirurgo, altrimenti si effettua con circolazione extracorporea.
Quando l’angioplastica non è possibile, diventa necessario eseguire l’intervento di bypass
aortocoronarico. Questo intervento non consiste nel dilatare il restringimento esistente,
bensì nel creare una strada alternativa attraverso la quale il sangue ossigenato possa
raggiungere il muscolo cardiaco a valle del restringimento, interponendo un segmento di
arteria o di vena tra l’aorta e l’arteria coronaria ostruita. Il rischio di formazione di nuove
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stenosi è con il bypass molto inferiore all’angioplastica, questo tipo di intervento non
necessita in genere di successivi interventi e può essere quindi considerato un trattamento
più definitivo.
L’intervento di bypass aorto-coronarico viene generalmente eseguito mediante una
sternotomia mediana longitudinale.
Se faccio l’intervento a cuore fermo faccio un intervento ‘standard’, ciò significa che una volta
fermato il cuore vado regolarmente ad incannulare l’atrio destro e l’aorta. Il sangue passa
attraverso l’atrio destro, va in una macchina per ossigenarlo e rientra nell’aorta.
Intervento tradizionale - Il paziente tramite alcune cannule viene collegato ad una macchina
cuore-polmone, dopodiché il cuore viene fermato attraverso una soluzione cardioplegica,
per poi essere fatto ripartire a intervento in fase di ultimazione.
La soluzione cristalloide può essere calda o fredda. L’intervento se è veloce, in genere 20
minuti per un bypass, mi consente di usare una cristalloide calda. All’interno dell’aorta si fa
passare una soluzione ricca di potassio al fine di proteggere il cuore. La cardioplegia ematica
calda si usa per interventi brevi, altrimenti usiamo la fredda.
L’anastomosi viene fissata prima distalmente a livello della coronaria e poi viene unita anche
prossimalmente a livello dell’aorta.
Intervento a cuore pulsante - Il cuore del paziente continua a battere durante l'operazione.
Questo metodo comporta rischi minori per alcune tipologie di pazienti.

Per il prelievo della vena safena si fa una incisione di 2 – 3 cm al di sopra del malleolo sulla
cresta tibiale si va a sollevare il tessuto sottocutaneo fino a trovare la vena. La tecnica
consiste nel praticare delle incisioni lunghe 2 cm ripetute ogni 10 cm circa. Grazie ad un
retrattore si disseca la vena visualizzando le collaterali che saranno chiuse mediante clip
metalliche
L’arteria mammaria interna si trova a 3-4 cm dalla linea mediana. La dissezione viene
condotta lungo l’intero decorso del vaso, dal tratto a livello del processo xifoideo fino alla
sua origine dall’arteria succlavia. Tutti i rami collaterali vengono sezionati isolando così il

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peduncolo vascolare dalla parete toracica. Taluni ritengono utile evitare l’apertura del cavo
pleurico per ridurre l’incidenza di atelettasie polmonari e versamenti pleurici nel periodo
postoperatorio.
Le complicanze di interesse chirurgico possono essere fondamentalmente di due tipi,
precoci o tardive.
Le complicanze precoci sono essenzialmente 2:
- Scompenso cardiaco
- Infarto peri procedurale
Altre complicanze meno gravi più tardive consistono in infiammazioni e versamenti delle
pleure, fibrillazione atriale, dolore, scarso appetito, febbricola.

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