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LA GRAVITAZIONE
Le leggi di Keplero
Come i pianeti si muovano nel cielo è una questione che affascina l’uomo sin dall’antichità. Molti modelli ne sono
stati presentati nel corso della storia. Secondo Aristotele (e Tolomeo), il moto dei pianeti e degli altri satelliti
(come la la Luna) avveniva in traiettoria circolare attorno alla Terra, posta al centro dell’universo: i
corpi celesti, infatti, erano ritenuti perfetti, ed era quindi conseguenza che le loro orbite fossero descritte da cerchi
concentrici, forme perfette, infinite, prive di inizio e fine, immutabili; il moto di ciò che avveniva sulla terra, caduco
e corruttibile, obbediva invece a leggi differenti.
Lo scienziato polacco Copernico propose un modello dell’universo in cui al centro era situato il Sole, e attorno ad
esso ruotassero, sempre in orbite circolari concentriche, gli altri pianeti, compresa la terra: questo rendeva conto di
alcuni fenomeni che si riscontrano sul nostro pianeta, e di molte osservazioni fatte dallo stesso Copernico; tuttavia,
anche il modello copernicano non riusciva a render conto di molti altri dati raccolti dalle osservazioni
astronomiche.
All’inizio del 1600, lo scienziato tedesco Johannes von Kepler (latinizzato in Giovanni Keplero) formulò tre
leggi, sulla base delle osservazioni del suo maestro danese Tycho Brahe, che prevedevano perfettamente (e lo fanno
tutt’ora) il moto dei pianeti all’interno del sistema solare.
Va precisato che queste sono leggi sperimentali, ovvero prevedono correttamente il comportamento dei corpi
celesti entro il sistema solare, in accordo con i dati sperimentali, ma non ne spiegano le cause.
Prima Legge
“Le orbite descritte dai pianeti attorno al Sole sono ellissi di cui il sole occupa uno dei fuochi”
Ricordiamo che un ellisse è una figura piana, definita come il luogo dei punti del piano la cui somma delle distanze
da due punti fissi, detti fuochi, è costante. Con riferimento alla figura sottostante, indichiamo con aa la lunghezza
del semiasse maggiore dell’ellisse, con bb la lunghezza del semiasse minore. La distanza dei due fuochi dal centro
dell’ellisse sarà cc, calcolato tramite il teorema di pitagora: c = \sqrt{a^2 - b^2}c=a2−b2.
Per la prima legge di Keplero, il Sole occupa la posizione di uno dei due fuochi, mentre l’altro fuoco è
lasciato libero; il punto in cui un pianeta orbitante attorno al Sole gli è più vicino si chiama perielio, mentre il
punto dell’orbita in cui il pianeta è più distante è detto afelio (sono entrambe parole che derivano dal greco antico:
infatti, helios vuol dire “sole”, perì significa “accanto”, e apò significa “lontano”).
La prima legge, oltre a regolare la forma dell’orbita, fornisce anche un’informazione in più: essendo un ellisse una
figura piana, le orbite avvengono su un unico piano.
Seconda Legge
La seconda legge di Keplero regola la velocità orbitale di un pianeta: essa non è costante, come in un moto
circolare uniforme; la sua magnitudine è infatti determinata dalla sua posizione. L’enunciato della seconda legge è
il seguente:
“il raggio vettore che unisce il sole al pianeta orbitante descrive aree uguali in tempi uguali”
Per “raggio vettore” si intende il vettore che possiede per direzione la retta passante per il punto che indica la
posizione del pianeta e il punto che indica la posizione del Sole, per verso quello che dal Sole punta al pianeta e
per modulo la distanza consistente tra il pianeta stesso e il Sole: in parole povere, una freccia che punta dal Sole al
pianeta orbitante. Man mano che il pianeta compie la sua orbita, questo vettore descrive un’area, una specie
di “settore ellittico”.
Supponiamo che trascorra un intervallo di tempo di durata \Delta tΔt, e che in questo intervallo di tempo il
pianeta venga a portarsi dalla posizione iniziale x_1x1 a quella finale x_2x2, compiendo dunque
uno spostamento \Delta \vec{x} = x_2 - x_1Δx=x2−x1. La seconda legge asserisce che, fermo restando
l’intervallo di tempo \Delta tΔt, l’area di questo settore ellittico rimane sempre la stessa,
indipendentemente dalla posizione di partenza x_1x1 del pianeta:
La velocità del pianeta orbitante non è costante: come si vede dalle immagini, più il pianeta si trova vicino al
sole, minore è il raggio, e, di conseguenza, maggiore deve essere la velocità con cui il pianeta si muove. Se la
velocità fosse costante, le aree descritte dal raggio pianeta-sole in intervalli di tempo uguali sarebbero differenti.
Possiamo enunciare la seconda legge di Keplero con una formula matematica. Immaginiamo che un pianeta orbiti
attorno al Sole per un intervallo di tempo di durata \Delta tΔt. Se chiamiamo \Delta \mathcal{S}ΔS l’area
descritta dal raggio vettore in questo periodo di tempo, la seconda legge di Keplero ci indica che questa quantità
rimane costante durante il moto: possiamo dunque asserire che la velocità areolare, ossia il rapporto tra l’area
spazzata dal raggio vettore \Delta \mathcal{S}ΔS e la durata \Delta tΔt dell’intervallo di tempo impiegato a
descriverla, è costante:\frac{\Delta \mathcal{S}} {\Delta t } = \text{ costante}ΔtΔS= costante
Terza Legge
La terza e ultima legge di Keplero concerne il periodo impiegato da un pianeta a compiere un’orbita completa.
Essa stabilisce che:
“il rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dell’orbita e il quadrato del periodo di
rivoluzione è lo stesso per tutti i pianeti”
Abbiamo introdotto il periodo TT per il moto armonico e il moto circolare; il periodo non è una grandezza
tipica solo di quei moti, ma caratterizza un'intera categoria di moti, detti appunto moti periodici: un certo punto
materiale si muove di moto periodico se, dopo un certo lasso di tempo, esso ritorna in una posizione
precedentemente raggiunta con la medesima velocità. Si dice periodo di un moto periodico il più piccolo
intervallo di tempo TT per cui questo fenomeno si verifica.
In base alla prima e alla seconda legge di Keplero, il moto dei pianeti nel sistema solare è un moto
periodico: essendo l’orbita ellittica (che è una curva chiusa), il pianeta tornerà sicuramente su posizioni occupate
precedentemente; inoltre, data la seconda legge di Keplero, la velocità orbitale posseduta da un pianeta sarà
determinata dalla sua posizione nell’orbita, e quindi, passando per lo stesso punto, anche la velocità sarà la
medesima. Ne concludiamo che il moto dei pianeti nel sistema solare è periodico.
Per un’orbita chiusa, il periodo è semplicemente la durata di “un giro completo”. Se chiamiamo TT il
periodo del moto di un pianeta, e aa la misura del semiasse maggiore della sua orbita, la terza legge di Keplero può
essere riassunta dalla seguente formula matematica:\frac{ a^3 }{ T^2 } = \text{ costante}T2a3= costanteLa
costante venne determinata da Keplero in persona, e per questo viene a volte indicata con la lettera KK e prende il
nome di “costante di Keplero”. Questa costante dipende dal corpo celeste attorno a cui viene calcolata l’orbita.
Le leggi di Keplero, pur descrivendo perfettamente tutti i fenomeni celesti che si possono osservare nel nostro
sistema solare, non spiegano le cause di questi stessi fenomeni: come accennato in principio, esse sono
infatti leggi sperimentali, le quali prevedono esattamente, con calcoli matematici, i risultati delle osservazioni
scientifiche. Il motivo per il quale il sistema solare, e in generale un sistema di corpi orbitanti attorno ad uno molto
più massivo, aderisca per filo e per segno alle leggi di Keplero venne illustrato da Isaac Newton con la teoria
della gravitazione universale: mediante lo sviluppo di nuove discipline matematiche, egli riuscì a mostrare
la validità delle leggi di Keplero, assumendo come punto di partenza le leggi della dinamica e la
legge di gravitazione universale.
Per la forza gravitazionale, il momento meccanico \vec{M}M risulta nullo, poichè la forza è sempre
diretta come il braccio: di conseguenza, il momento angolare \vec{L}L si conserva. Si può
dimostrare come il modulo del momento angolare, in questo caso, sia il doppio della quantità \frac{\Delta
\mathcal{S}}{ \Delta t}ΔtΔS descritta precedentemente: dunque, anche quest’ultima si conserva.
Conservandosi come vettore, il momento angolare definisce anche il piano su cui avviene il moto del pianeta.
Sfruttando tecniche matematiche da lui stesso inventate (che oggi vanno sotto il nome di calcolo
infinitesimale), Newton riuscì a ricondursi al calcolo della forma dell’orbita, giungendo ai risultati previsti
da Keplero: le orbite, sotto precise ipotesi, risultavano ellittiche.
Riconducendo la misura del semiasse maggiore ad altre quantità (precisamente, all’energia cinetica posseduta
dal corpo celeste, al suo momento angolare, alla massa del pianeta in questione e alla costante di gravitazione
universale), Newton dimostrò che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta doveva
essere proporzionale al cubo del semiasse maggiore della sua orbita, in accordo con le leggi di Keplero.
Isaac Newton, scienziato cui si devono le tre leggi della dinamica, enunciò la forza di gravità nella sua
opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), in termini coerenti con le osservazioni disponibili
a quei tempi, e in accordo con i prinicipi della dinamica da lui stesso enunciati: quest’enunciato è sufficiente a
spiegare gran parte dei fenomeni che ci circondano ancora oggi.
La legge formulata da Newton afferma quanto segue: due corpi dotati di massa si attraggono con una
forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale
al quadrato della distanza che li separa.
La direzione della forza risulta quindi essere la retta che congiunge i due punti materiali; il verso quello che da
un corpo punta verso l’altro; il modulo è definito da\boxed{F = G \frac{m_1 \ m_2}{ r^2 } }F=Gr2m1 m2
in cui compaiono due masse m_1m1 e m_2m2, la distanza tra i due punti materiali rr, e la costante di
proporzionalità GG.
Questa costante è estremamente importante ed è nota come costante di gravitazione universale.
Nel Sistema Internazionale, il suo valore è pari a circa 6 ,67 \ 10^{-11}\text{ N}\text{m}^2 /
\text{kg}^26,67 10−11 Nm2/kg2; questo valore fu ricavato dallo scozzese Henry Cavendish (per questo motivo
è anche conosciuta come costante di Cavendish). Si chiama “universale” in quanto il suo valore non cambia al
cambiare dell’osservatore e del sistema di riferimento, e sembra essere una delle costanti che definisce
intrinsecamente il nostro universo.
Per sua stessa definizione, la forza di gravità sussiste come interazione tra due corpi: in base al principio di
azione-reazione, il modulo della forza esercitata da un corpo sull’altro deve essere uguale.
Mediante l'applicazione rigorosa dei principi della dinamica e presupponendo che tra due corpi sussistesse solo
l'interazione gravitazionale, da lui stesso enunciata, Newton riuscì a dimostrare le tre leggi di Keplero.
Esempio: Calcolare l'intensità della forza di gravità che agisce tra due alunni di massa 70 \text{ kg}70 kg e 65
\text{ kg}65 kg distanti 2,5 \text{ m}2,5 m l'uno dall'altro.
Sostituiamo direttamente nella formula e otteniamo:
F = \frac{ 6,67 \cdot 10^{-11} \cdot (70 \cdot 65) }{ 2,5 }= 4,8 \cdot 10^{-8} \text{
N}F=2,56,67⋅10−11⋅(70⋅65)=4,8⋅10−8 N.
Invece il peso dei due alunni, supponendo che siano sulla superficie terrestre, è pari a 60 \cdot 9,8 = 588 =
5,88 \cdot 10^{2} \text{ N}60⋅9,8=588=5,88⋅102 N e 75 \cdot 9,8 = 735 = 7,35 \cdot 10^{2} \text{
N}75⋅9,8=735=7,35⋅102 N rispettivamente. Osservando la differenza tra l’ordine di grandezza del peso e
quello della forza gravitazionale (ben dieci ordini!), non ci si stupisce che i due alunni rimangano dove sono e
non volino l’uno contro l’altro. Tutt’altro discorso invece sarebbe trattare il medesimo problema ma nel vuoto:
in assenza di un’accelerazione \vec{g}g, i due alunni inizierebbero a muoversi lungo la retta che li congiunge,
seppur molto lentamente.
L’accelerazione di gravità
Il moto di un oggetto lasciato cadere verso il basso è influenzato dalla presenza dell’aria. Infatti l’aria oppone una resistenza al moto che dipende dalla forma
dell’oggetto: un foglio di alluminio cade molto più lentamente di un foglio identico ma appallottolato.
Con una serie di esperimenti che segnano l’inizio della fisica moderna, Galileo Galilei (1564-1642) dimostrò che le differenze fra i moti di caduta dipendono solo
dalla resistenza dell’aria. Infatti
quando la resistenza dell’aria è trascurabile, tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione g, detta accelerazione di gravità.
g = 9,8 m/s2
In realtà il valore di g cambia da punto a punto, perché dipende fra l’altro dall’altezza del punto sul livello del mare e dalla sua latitudine. Sulla superficie
terrestre g è compreso fra 9,78 m/s2 e 9,83 m/s2; nei calcoli useremo sempre il valore 9,8 m/s2.
LA TEMPERATURA
Dilatazione lineare e volumica
Generalmente i corpi, se riscaldati a pressione costante, aumentano di dimensioni al crescere della temperatura.
Tale effetto riveste particolare importanza nella pratica: infatti di esso si deve tener conto nella costruzione di ponti,
di edifici, di linee ferroviarie e di strumenti di precisione. Se non compensata, la dilatazione termica dei corpi può
portare a deformazioni pericolose, a rotture disastrose o a misurazioni falsate. Tuttavia tale fenomeno fisico non deve
essere visto come un effetto negativo, dal momento che, ad esempio, nei termometri esso viene sfruttato per misurare
la temperatura e del resto numerosi servomeccanismi di controllo sfruttano proprio le variazioni di dimensioni di
opportuni sensori per funzionare.
Da un punto di vista fisico e pratico vengono considerate per i solidi la dilatazione termica lineare e la dilatazione
termica cubica, mentre per i liquidi (che non hanno forma propria e quindi dimensioni definite) non ha molto senso
parlare di dilatazione lineare, ma interessano invece
le variazioni di volume.
Sostanza λ [ºC-1] Sostanza λ [ºC-1]
Dilatazione termica lineare Acciaio 1,2x10-5 Ottone 1,9x10-5
Per variazioni ΔT abbastanza piccole di temperatura
Alluminio 2,4x10-5 Piombo 2,9x10-5
T, la variazione ΔL della lunghezza L di una delle
dimensioni di un corpo solido risulta proporzionale Cemento 1,2x10-5 Rame 1,7x10-5
a ΔT, se la pressone è costante. Si può quindi Ferro 9,1x10-6 Vetro 1,0x10-5
scrivere la relazione ΔL = λLΔT oppure, il che è lo Invar (lega Fe-Ni) 7,0x10-7
Quarzo 7,0x10-7
stesso, L + ΔL = L(1 + λΔT). Superinvar (lega Fe-Ni-Cr) 8,0x10-8
Il coefficiente λ, detto coefficiente di dilatazione
lineare, è caratterisitco di ogni materiale ed è in Coefficiente di dilatazione lineare a 20 ºC
genere funzione della temperatura. Si ricava che λ = (1/L)(ΔL/ΔT) ovvero che esso è uguale all'allungamento
relativo (ΔL/L) dell'unità di lunghezza per variazione unitaria di temperatura (ad esempio di 1 grado Celsius). L'unità
di misura di λ è 1/grado (per esempio ºC-1).
Nonostante i valori molto piccoli del coefficiente λ riportati per alcune sostanze in tabella, le dilatazioni posso
provocare effetti assai dannosi. Infatti si consideri una sbarra d'acciaio incastrata alle estremità. All'aumentare della
temperatura T, la sbarra tende ad allungarsi, ma la dilatazione è impedita dai vincoli, per cui su di essa si producono
degli sforzi di compressione anche notevoli. Ad esempio, per un aumento di temeratura di 10 ºC corrisponderebbe un
allungamento di una parte su 10000. Tenendo conto del modulo di elasticità del materiale, si otterrebbe uno sforzo di
compressione di 210 kg forza per centimetro quadrato. La sbarra potrebbe entrare nella zona di intabilità per carico
di punta deformandosi pericolosamente. E' proprio per evitare l'insorgenza di tali sollecitazioni che a volte i ponti
sono incastrati solo da una parte, mentre dall'altro lato appoggiano su rulli per essere liberi di dilatarsi.
Si segnala infine che per la costruzione di meccanismi metallici d'alta precisione si ricorre a leghe speciali (Invar o
Superinvar) al fine di limitare al massimo l'effetto distorsivo nella misurazione dovuta alla dilatazioine termica. Tali
leghe hanno coefficienti di dilatazione lineare rispettivamente di circa 10 e 300 volte minori di quelli dei metalli
ordinari.
Le trasformazioni di un gas
as: variabili di stato e tipologie di trasformazioni
3'
Ogni sostanza, a seconda della pressione e della temperatura cui è sottoposta, si può presentare in tre
stati: solido, liquido, aeriforme. I gas non hanno, a differenza degli altri due, un volume proprio ma occupano
tutto lo spazio disponibile che dipende dalla pressione e dalla temperatura. 8 secondi)
Quando si ha a che fare coi gas si preferisce utilizzare come grandezza fisica la quantità di sostanza, la cui unità
di misura è la mole (mol). Essa è definita come la quantità di sostanza contenente un certo numero di atomi o
particelle, conosciuto come numero di Avogadro, pari a circa 6.023 x 1023. Un’altra grandezza molto importante
è la massa molare che esprime in grammi la massa di una mole di sostanza.
Lo stato fisico di un quantitativo di gas è caratterizzato da tre variabili di stato che sono la temperatura, la
pressione e il volume. Variando i valori di queste grandezze hanno origine le trasformazioni termodinamiche:
da uno stato iniziale, caratterizzato da determinati valori di pressione, volume e temperatura, si giunge a uno stato
finale caratterizzato da altri e nuovi valori.
Ci sono tre tipi di trasformazione fisiche particolarmente importanti, governate da altrettante leggi
termodinamiche:
Gas perfetti
Un gas ideale, o gas perfetto[1][2], è un gas descritto dall'equazione di stato dei gas perfetti, e che
quindi rispetta la legge di Boyle-Mariotte, la prima legge di Gay-Lussac o legge di Charles, e
la seconda legge di Gay-Lussac, in tutte le condizioni di temperatura, densità e pressione.[3][4][5] In
questo modello le molecole del gas sono assunte puntiformi e non interagenti. I gas reali si
comportano con buona approssimazione come gas perfetti quando la pressione è sufficientemente
bassa e la temperatura sufficientemente alta
il gas non può essere liquefatto per sola compressione, ossia non subisce trasformazioni di stato;
il calore specifico è funzione della temperatura;
l'energia interna è data solamente dall'energia cinetica, non da quella potenziale; essa rimane
costante e non viene dissipata.
In un gas ideale l'energia cinetica media delle molecole del gas è direttamente proporzionale
alla temperatura:
I gas ideali vengono descritti dalla legge dei gas perfetti con buona approssimazione solo
quando la pressione è sufficientemente bassa e la temperatura sufficientemente alta. In caso
contrario è valida la legge dei gas reali.
Deginizione di numero di Avogadro e mole
una mole. Tale costante ha le dimensioni dell'inverso di una quantità di sostanza (cioè mol-
1). Tale costante è pari a 6,02214076 × 1023 .
1 cal = 4,187 J
Una caloria è esattamente il calore (la quantità di energia) che serve per scaldare di un grado un
grammo di acqua, da 14,5°C a 15,5°C.
Il calore può essere ricevuto tramite il contatto con un corpo più caldo, l’energia passa sempre dal
corpo con temperatura maggiore al corpo con temperatura minore. Un corpo scalda l’altro perché ha
una temperatura maggiore e non per la sua energia interna (se le molecole sono biatomiche, ovvero
girano in più versi, avranno più energie che convergono a formare la loro energia interna).
Il calore o l’energia che accumulo o perdo è sempre in proporzione alla temperatura che ricevo o
perdo.
ΔE = C ٠ ΔT
c dell’acqua vale 4186 [J/(Kg٠K)]. Nel grafico che mostra come varia c al variare della
temperatura (variazione abbastanza irrilevante), c si abbassa più ci si avvicina a 35°C e si alza
verso i 100°C. se si fa una media risulta che c = 4,186 che corrisponde alla temperatura di 14,5
°C.
c è una grandezza che ogni corpo possiede, è una forma di energia, l’energia che aumenta di 1
grado K 1 Kg di una certa materia.
h=Q/m٠g
ΔE o Q = c ٠ m ٠ ΔT
ΔE = Q in questo caso non si chiama energia ma calore, può essere sia un valore positivo sia
negativo: dipende dalla temperatura (se Tf < Ti valore negativo, sto perdendo calore)
perché m e c sono sempre positive.
m masse diverse acquisiscono il calore in modo diverso.
ΔT lo scambio di energia dipende dalla temperatura.
La temperatura raggiunta da due corpi dopo il passaggio di calore dal corpo più caldo a quello
meno caldo è detta temperatura d’equilibrio e si tratta di una media ponderata (per calcolare il
potere calorifico si può utilizzare uno strumento detto bomba calorimetrica).
Q1 = - Q2 }SISTEMA ISOLATO
Il calore perso dal primo corpo è acquisito dall’altro, secondo il principio di conservazione del calore
Q1 + ( - Q2) = 0
c1 ٠ m1 ٠ ΔT1 = - c2 ٠ m2 ٠ ΔT2
c1 ٠ m1 ٠ (Tf-T1) = - c2 ٠ m2 ٠ (Tf-T2)
c1 = - c2 ٠ m2 ٠ (Tf-T2) \ m1 ٠ (Tf-T1)
Le sostanze che hanno potere calorifico sono combustibili (gas metano). Si misura in [MJ/Kg] per i
combustibili e in [MJ/100g] per gli alimenti.
E=P٠m
CONDUZIONE
È il passaggio di calore che avviene tramite un solido che mette a contatto due ambienti.
È possibile calcolare il calore passato (Fourier):
Q = λ ٠ A ٠ [(T2 - T1) \ L] ٠ Δt
CONVEZIONE
È lo scambio di calore attraverso un fluido che innesca al suo interno moti convettivi, il calore va
verso l’alto. È un passaggio più lento.
IRRAGGIAMENTO
È lo scambio di calore che avviene tra due corpi quando tra questi c’è il vuoto, non serve un mezzo
materiale, è pura energia che si sposta da un corpo all’altro, sono onde elettromagnetiche.
Attraverso la Legge di Boltzman si può calcolare l’energia che un corpo perde:
Pe = e ٠ ϭ ٠ A ٠ Te4
e è un parametro, una costante adimensionale, varia da 1 a o e dipende dal colore del corpo (più è
scuro e più e sarà vicino a 1);
Pe è il potere emesso;
Ϭ è la costante di Boltzman che vale 5,67 ٠ 10-8 W\(m٠K4);
Se si moltiplica il potere emesso per il tempo si troverà il calore emesso.
Con la stessa formula si può trovare anche il potere assorbito.
U è l’energia interna che un corpo possiede ed è data dalla somma di due energie:
U = K + Ep Energia potenziale come misura dell’energia che attrae le particelle fra loro
Si può dire che K si considera con segno positivo (algebricamente) per dire che una particella si
allontana dall’altra, e che Ep abbia segno negativo per dire che due particelle si attraggono.
L è il calore latente, ovvero il calore che serve per far cambiare stato a 1 Kg di una sostanza.
È importante ricordare che esiste una temperatura critica che distingue tra vapore e gas (l’acqua ad
esempio dopo i 374°C diventa gas).
LA TERMODINAMICA
Per sistema termodinamico s’intende una porzione di materia idealmente isolata da tutto il resto
dell'universo, considerato come ambiente esterno. Di un sistema termodinamico, nell'accezione classica
della termodinamica, non interessano le caratteristiche microscopiche costitutive, ovvero l'intima struttura
interna, ma solo le caratteristiche globali, macroscopiche, identificate mediante grandezze quali la
pressione o la temperatura, dette coordinate termodinamiche. Si distingue tra sistemi isolati, sistemi
aperti, sistemi chiusi; un sistema è detto isolato quando, attraverso il suo contorno non viene scambiata né
materia, né energia, sotto forma sia di lavoro meccanico, sia di calore; un sistema in cui avvengano scambi
di materia con l'ambiente esterno è detto aperto e scambia anche energia sotto forma di lavoro e/o calore,
mentre un sistema viene definito chiuso quando scambia energia con l’ambiente, ma manca lo scambio di
materia con questo. Lo stato di un sistema è l'insieme delle proprietà del sistema identificabile mediante
valori definiti di grandezze macroscopiche, cioè di coordinate termodinamiche. Quando un sistema
macroscopico passa da uno stato di equilibrio a un altro si dice che ha luogo una trasformazione
termodinamica. Alcune trasformazioni sono reversibili, altre irreversibili. I principi della termodinamica,
scoperti nel XIX secolo, regolano tutte le trasformazioni termodinamiche e ne fissano i limiti.
U2-U1=Q-W
Abbiamo prima parlato di moto perpetuo, questo è un particolare tipo di moto che resti
costante nel tempo, senza subire variazione alcuna. Limpido è il fatto che tale esempio è
naturalmente ideale, astratto sulla terra in quanto esiste un fattore determinante che
contribuisce alla dissipazione di quell’energia che permette all’oggetto di spostarsi:
l’attrito.
Q=W.
Entrambi gli enunciati del secondo principio negano la possibilità di realizzazione del moto
perpetuo di seconda specie, cioè quello di una macchina termica che, pur funzionando
senza contraddire il primo principio della termodinamica, durante ogni ciclo prende calore
da un’unica sorgente a temperatura costante.
In particolare poi il secondo principio indica che nella realizzazione di una macchina che
compia lavoro ciclicamente, non tutta la differenza fra calore sottratto e calore ceduto si
trasforma in lavoro, ma solo una parte di essa. Una macchina di questo tipo, dunque, ha
sempre efficienza minore di 1: questa formulazione del secondo principio, che è in effetti
fu la prima espressione del principio, va sotto il nome di teorema di Carnot che afferma
che: nelle trasformazioni di calore in lavoro meccanico, solo una parte di calore e'
trasformabile; il resto si ritrova ancora sotto forma di calore, ma a temperatura inferiore a
quella della sorgente. Chiamiamo Q2 la quantità di caloriche una macchina termica assorbe,
durante un lavoro, alla temperatura più alta T2, e Q1 la quantità di calore “persa” alla
temperatura inferiore T1; il lavoro totale compiuto dal sistema è dato dalla differenza tra
Q 2 e Q1 :
W=Q2-Q1
E Q1 e per forza maggiore di zero. Il rendimento ηè una grandezza che misura l’efficienza
con cui una macchina termica converte il calore in lavoro, e definito come il rapporto tra il
lavoro e la quantità di calore alla temperatura più alta, quindi:
W
Q2
Q2 Q1 Q
1 1
Q2 Q2
dal momento che Q1 non potrà mai essere zero troviamo che: 1 e perciò il rendimento
della nostra macchina termica sarà sempre inferiore al 100%.
È dimostrato quindi che il rendimento migliore di una macchina termica che opera con de
sorgenti a diverse temperature assolute T1 e T2 è sempre dato dalla relazione del teorema
di Carnot:
T1
1
T2
Si dice onda una perturbazione che si propaga in una regione dello spazio.
Alcune onde si propagano attraverso un mezzo materiale elastico: il suono
attraverso l’ aria ; le onde del mare attraverso l’ acqua. Si parla in questo
caso di onde elastiche o onde meccaniche. Altre onde, come la luce, e in
generale le onde elettromagnetiche non necessitano di alcun mezzo
materiale per la loro propagazione cioè si propagano nel vuoto. Quando un’
onda attraversa un corpo esso comincerà ad oscillare per moto ondulatorio
facendo vibrare ogni elemento intorno ad un centro di equilibrio. Quando l’
onda è passata ogni elemento riprende la posizione originaria e il mezzo
riacquista il suo stato di equilibrio e le sua forma iniziale. Si può dire che ciò
che si propaga in un’onda è l’ energia poiché lo stato di equilibrio in una zona
del mezzo è modificato dall’ azione di una forza esterna, e questa energia
impiegata per produrre questa modificazione viene trasmessa alle particelle
vicine. Uno strumento utile per analizzare il comportamento delle onde sull’
acqua è l’ondoscopio.
F = 1\T
Il suono è la sensazione uditiva prodotta dalle vibrazioni regolari dei corpi
elastici. Il suono quindi ha innanzitutto bisogno di un mezzo materiale in cui
propagarsi.I corpi elastici comunemente usati per la produzione del suono
sono : corde , lamine membrane e aria. Anche l’ acqua trasmette molto bene
il suono. Navi e sommergibili si servono di questa proprietà per sondare zone
di mare in cui possono esserci presenti ostacoli .L’ apparecchio utilizzato è il
sonar. Esso emette ultrasuoni e capta quelli eventualmente riflessi dagli
ostacoli. Il fatto che per propagarsi il suono abbia bisogno di un mezzo può
essere provato sperimentalmente: basta mettere un campanello elettrico
dentro una campana di vetro appoggiata sul piatto di una pompa a vuoto.
Finche la pompa a vuoto non è messa in funzione il suono del campanello
viene udito. Mettendo in funzione la pompa a vuoto l’ aria viene eliminata
dalla campana e il suono non può essere più udito. Trattandosi di una
perturbazione che si trasmette in un mezzo elastico, il suono può essere
qualificato come onda elastica.
La velocità del suono dipende anche dalla temperatura del mezzo. Infatti al
crescere della temperatura cresce la velocità di propagazione del suono.
Esistono diversi modi per determinare la velocità del suono. Il più semplice è
quello di utilizzare l’ eco.
La voce è dovuta alla vibrazione delle corde vocali, provocata dall’ aria
espirata con maggiore o minore forza.
lung d’ onda=v \f
LA RISONANZA
L’ insieme delle note e detto scala musicale .Le note musicale vengono
prodotte con vari strumenti . In alcuni come il violino vi sono corde elastiche
che vengono poste in vibrazione e vengono chiamati strumenti a corda ,
invece sono detti strumenti a fiato quando viene messa in vibrazione l’ aria
contenuta in essi.
Do =1
Re =9\8
Mi =5\4
Fa =4\3
Sol =3\2
La =5\3
Si = 15\8
Do =2
LA LUCE
LUCE onda trasversale e si propaga nel vuoto. Si ha un'ombra netta solo se la sorgente è
puntiforme, altrimenti si ha una zona d'ombra e una zona di penomra CONO D'OMBRA è la zona
dove non arrivano i raggi luminosi ECLISSI LUNA sole, terra Luna (la luna si trova nel cono d'ombra
della terra) ECLISSI SOLE Sole, Luna, TerraVelocità luce nel vuoto 300000000m/s
Quando la luce passa attraverso due mezzi diversi si scompone: un raggio torna (RAGGIO
RIFLESSO) e uno passa la superficie e prosegue il suo percorso (RAGGIO. RIFRATTO) 1a LEGGE
DELLA RIFLESSIONE Il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale sono complanari 2a LEGGE
DELLA RIFLESSIONE L'angolo di incidenza () e uguale all'angolo di riflessione () ( = angolo tra la
normale e il raggio riflesso, = angolo tra la normale e il raggio incidente).
Leggi della riflessione.
Il raggio incidente e il
raggio flesso giacciono
sullo stesso piano.
L’angolo d’incidenza e
l’angolo di riflessione
sono uguali.
SPECCHI CURVI in uno specchio parabolico un fascio di raggi paralleli all'asse viene riflesso in un
punto solo (F) SPECCHI SFERICI Il fuoco (F) si trova sempre a metà raggio si comportano come
specchi parabolici se sono di piccola apertura CONCAVO la posizione dell'immagine dipende da
dove si trova (es. telescopi, fanali delle automobili) CONVESSO immagine virtuale (es. specchietto
retrovisore delle automobili) La SORGENTE può trovarsi: prima del centro, tra il centro e il fuoco,
prima del fuoco
LEGGE DEI PUNTI CONIUGATI q = distanza dell'immagine dallo specchio; f = distanza del fuoco
dallo specchio (r/2); p = distanza della sorgente dallo specchio 1/p+1/q = 1/f (se l'immagine è
virtuale q ed f sono negativi).
RIFRAZIONE è il passaggio da un
mezzo trasparente ad un altro 1a
LEGGE DELLA RIFRAZIONE Raggio
incidente, normale, raggio riflesso
sono complanari 2a LEGGE DELLA
RIFRAZIONE Il sen dell'angolo di incidenza (i) fratto il sen dell'angolo di rifrazione ( r) è una
costante (dipende dai due mezzi) La costante si indica con n B (indice di rifrazione relativo del
mezzo B relativo al mezzo A) nAB>1i > r Se l'indice di rifrazione è < di 1, il raggio nella rifrazione
si avvicina alla normale, altrimenti si allontana nAB = 1/nBA Nel passaggio attraverso una lastra di
materiale l'angolo di uscita è uguale all'angolo di entrata, ma è spostato.
DISPERSIONE DELLA LUCE è la scomposizione in diversi colori della luce bianca che incide sul
prisma ANGOLO DI DEVIAZIONE è formato dalla direzione del raggio incidente con quella del
raggio che emergedal prisma SPETTRO è la striscia colorata in cui si suddivide la luce bianca
(Rosso, arancione, giallo, verde, indaco, blu, violetto)
LENTI SFERICHE corpi rifrangenti limitati da superfici sferiche CONVERGENTI + spesse al centro +
sottili ai lati() (es. lente di ingrandimento, lenti dei microscopi, cannocchiale). DIVERGENTI + sottili
al cento e + spesse ai lati )( I raggi che giungono paralleli all'asse vengono rifratti due volte e
convergono in un unico punto chiamato fuoco (es. occhiali da miope) DISTANZA FOCALE distanza
fra i fuochi e il centro della lente.
CONVERGENTI L'immagine dipende da dove si trova la sorgente: se oltre il centro (immagine reale
capovolta rimpicciolita) se tra centro e fuoco (immagine reale capovolta ingrandita) se tra fuoco e
lente (immagine virtuale diritta ingrandita)
DIVERGENTI I prolungamenti dei raggi rifratti passano per il fuoco vicino alla sorgente immagine
virtuale diritta rimpicciolita o ingrandita
MODELLO CORPUSCOLARE è una successione di fotoni detti anche quanti di luce FOTONI massa
nulla, portano energia
ASPETTO ONDULATORIO diffrazione (la luce incontra un'ostacolo di dimensiooni uguali o minori
della lunghezza d'onda, l'onda invade la zona d'ombra) interferenza (in un punto arrivano due
onde prodotte da sorgenti diverse: costruttiva si sommano distruttiva si annullano)