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E SANDPLAY THERAPY
Una condizione psichica traumatica può essere definita di tipo centrale se una persona viene colpita da un
attacco al valore di sé e questo quando essa non ha ancora completato la formazione dell’Io e/o questo
non ha adeguate difese e sufficienti risorse di elaborazione ed integrazione.
Come attacco è da intendersi non solo il comportamento apertamente o copertamente violento,
aggressivo, la comunicazione disconfermante o malevola oppure le situazioni ambientali o gli eventi a
valenza catastrofica ma anche ogni forma di mancato riconoscimento dei bisogni, del modo di essere,
della sensibilità del soggetto, l’ esperienza interiore pervasiva di dissintonia diadica con la persona di
riferimento affettivo primario o una interazione con lei che fallisca in modo sistematico ( C. Albasi,
2010, p. 44). Da non sottovalutare inoltre è anche l’esistenza di una particolare predisposizione psichica
del soggetto alla percezione in senso traumatico della sua realtà.
In ogni caso si ha un effetto traumatico che, nelle circostanze di vulnerabilità dell’Io sopra riportate, va
a colpire il nucleo affettivo del valore di sé cioè il sentimento di sé che collega alla vita. Vengono ad essere
colpiti quindi i precursori intrapsichici centrali dell’Io inerenti la fiducia di base ed il rispecchiamento di
sé nell’altro che sono necessari per la formazione stessa del senso di sé. Precursori che sono
abitualmente attivati dalle figure affettive primarie con cui il soggetto si relaziona e ai cui sono rivolte le
sue dinamiche identificative.
Da questo tipo di attacco ne consegue che l’esperienza di sé non si specifica né si rinforza. Oltre alla
possibilità di risonanza con gli oggetti affettivi primari viene a mancare anche quella con gli oggetti
archetipici che alimentano dall’interno il senso del valore di sé tramite la costellazione di quelle valenze
personali che possono derivare dall’esperienza mitopoietica. Così il senso di sé del soggetto, non
trovando possibilità di rispecchiamento nella realtà relazionale primaria, retrocede sullo sfondo
dell’inconscio collettivo restando ad uno stadio energetico e formale poco differenziato, sottoposto in
modo compulsivo ai dinamismi più arcaici di mitizzazione archetipica dell’inconscio, a funzionamento
assolutista e dualistico. (L. Procesi, 1996)
Il soggetto si vive oltre che come ‘perso’ anche come ‘vuoto’, poichè non è in grado di rappresentarsi
né l’esperienza né il vissuto traumatico. Si può dire che in lui avviene un oscuramento sia del contenuto
che della funzione rappresentativa. Viene a formarsi un’area mentale cieca, che non può svolgere la
funzione di ‘vedere’ l’oggetto attaccante. Nello stesso tempo quest’area non è in sé ‘visibile’ mentalmente
al soggetto stesso, non viene percepita come esistente. Avviene quindi in modo del tutto silente un tipo
di dissociazione intrapsichica che opera nel profondo e resta poco proiettabile all’esterno.
Si tratta di un’area ‘cieca’ presente al di sotto di sintomi palesi che può essere percepita dal terapeuta
quando egli si trova a relazionarsi con un’area comunicativa del paziente che sente come ‘ottusa’, non
reattiva né responsiva e che nello stesso tempo avverte non essere solo una resistenza difensiva.
Per comprendere questo particolare stato psichico si può ricorrere all’ analogia con lo Shiatsu, metodica
di trattamento corporeo che opera in base al modello energetico dell’antico pensiero della medicina
cinese. Nello Shiatsu alcune zone corporee del paziente possono essere sentite in superficie come
rigide, non reattive. Ad un livello più profondo a queste zone corrisponde una quasi totale mancanza di
energia se non un vero e proprio vuoto energetico. Queste zone, denominate kiò, sono considerate
indici di uno sbilanciamento energetico del paziente non solo locale ma di tipo centrale.
Individuare la corrispondenza tra le scene della Sandplay Therapy e gli stati psichici traumatici dei
pazienti non è immediato né sempre sottoponibile ad una verifica diretta. Le esperienze traumatiche di
per sè sono spesso inesprimibili o sovente già da tempo soggette a dissociazione. Non sempre nella fase
anamnestica di un paziente adulto emerge il ricordo o viene riportata l’esperienza di eventi traumatici.
Per i pazienti bambini il terapeuta può venire a sapere da terzi l’esistenza di situazioni, anche sospette,
di molestia o abuso oppure di maltrattamento o incuria. I bambini però di solito non ne parlano
spontaneamente per effetto della loro rimozione oppure per i noti dinamismi collegati ai conflitti di
lealtà verso gli adulti che sono stati per loro fonte di tali situazioni. Non sempre inoltre si tratta di
situazioni di esperienza traumatica così concreta.
La Sandplay Therapy nella sua metodica di base non prevede un’ interpretazione del terapeuta e anche
se il paziente viene invitato ad esprimere, se vuole, le proprie associazioni (più o meno simboliche) e/o
amplificazioni associative rispetto alle scene create, l’ espressione verbalizzata in tali situazioni risulta
fortemente inibita.
Svolgendo la Sandplay Therapy con questi pazienti ho potuto osservare la comparsa ricorrente di
figure o di scene che inizialmente ho solo ‘registrato’ a livello inconscio. Ritrovandole nel tempo e
associandole agli elementi teorici che man mano si sono resi disponibili, mi sono resa conto con
sorpresa che esse costituivano dei modelli tipici corrispondenti ad imago interiori specifiche di
rappresentazione del traumatismo psichico.
La montagna
Una ‘figura’ che compare nelle scene Sandplay Therapy ed è individuabile come propria della
situazione psichica di attacco o traumatismo centrale è quella della montagna di sabbia creata nella zona
centrale della sabbiera. Inizialmente la sua immagine si rifletteva nella mia mente senza che riuscissi a
focalizzare quale significato potesse avere nel contesto di quel caso. Provavo un senso di stupore per la
sua potenza. La sua immagine nella sabbia mi rimandava un effetto analogo a quello della montagna
che vedo vicino casa, non molto alta ma massiccia e solida nel mutamento delle stagioni e nel tempo.
Con il suo ripetersi nelle sabbie la montagna è entrata man mano in risonanza con il mio animo fino a
quando con la stessa forza della sua immagine mi ha colpito il pensiero che avesse a che fare con
qualcosa di altrettanto possente che forse era avvenuto nella psiche dei pazienti (v. sabbia 1, 2).
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Sia la sua posizione centrale che i contenuti delle scene successive mi portavano a pensare che in certi
casi la comparsa della montagna rappresentasse qualcosa di ‘massivo’ successo centralmente anche nel
paziente.
Anche il modo in cui la montagna veniva formata dal paziente che con le mani raccoglieva la sabbia, la
portava insieme al centro e la compattava a formare una massa unica, mi richiamava l’idea che qualcosa
nella psiche del soggetto avesse portato ad un analogo ‘effetto massa’.
Si poteva pensare che, secondo un processo simile a quello geologico che nella natura porta alla
formazione della montagna, anche nell’inconscio si fosse prodotto un contenuto psichico a partire da
una fusione di tipo ‘magmatico’ (R. Dalle Luche, S. Bertacca, 2007).
Sono giunta quindi ad ipotizzare che l’immagine della montagna nella zona centrale della sabbiera
corrisponda al rappresentare l’effetto di un processo destrutturante il mondo psichico interno potente e
silente come il complesso traumatico centrale.
L’inizio della cultura umana coincide con la creazione di strutture che tendono come la montagna alla
verticalità. Dolmen, menhir, torri, colline artificiali, ziggurat e piramidi sono tutte forme simboliche di
rappresentazione dell’ascesi dall'umano vero il divino, ma anche del desiderio di connettersi con
l'energia celeste e spirituale per farla discendere sulla Terra.
La montagna centrale artificiale si ritrova nei tumuli funerari circolari delle tombe estrusche e quelle
micenee, nei circoli di pietre etruschi, nei cairn dei celti, nelle costruzioni funerarie come le piramidi
egizie e quelle a carattere religioso come le pagode e gli stupa buddisti, gli ziggurat dei Sumeri, nelle
colline artificiali sulle quali venivano costruite le antiche capitali imperiali cinesi.
La sua posizione centrale sottolinea e rinforza il suo simbolismo: ricordiamo che per l’induismo il
Centro rappresenta l'Origine di tutte le cose da dove, per la sua stessa potenza (Shakti), si diparte l'intera
manifestazione dell’essere che gli ruota attorno, dispiegandosi in tutte le sue possibilità con un'azione
centrifuga che trova ulteriori espressioni sempre più lontano dal centro stesso.
Ritornare all'Origine delle cose significa riavvicinarsi al centro ritrovando la saldezza dell'immobilità e
dell'eternità.
Dal punto di vista psicologico la montagna centrale è un’immagine-affetto rappresentativa dei più
importanti processi di organizzazione e riorganizzazione della persona che sta alle radici del complesso
dell’Io e dà forma alla sua visione del mondo (J. Perry, 1987).
Per C.G. Jung è un simbolo profondamente legato all’evoluzione psichica del sognatore, alla sua
maturazione psicologica ed al suo percorso di individuazione.
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Secondo M.L. Von Frantz (1997) ” la montagna indica il luogo, la tappa della vita, dove l’eroe dopo ardui sforzi (la
scalata) comincia ad orientarsi, ad acquistare fermezza e conoscenza di sè. Queste qualità si affinano nello sforzo di
divenire consce, attraverso un processo di individuazione.“
All’interno della montagna di sabbia figure particolari possono essere ‘insabbiate’ fino ad essere coperte
ad indicare come la montagna oltre che fungere da sepoltura delle parti della psiche che sono state
attaccate sia luogo di loro isolamento profondo ed occultamento.
Nel corso del processo Sandplay Therapy dei casi di traumatismo è possibile vedere lo sviluppo delle
fasi specifiche che seguono all’accadimento del dramma psichico segnalato inizialmente dalla montagna
centrale nella sabbia.
Con la sua immanenza centrale la montagna richiama primariamente il terapeuta alla necessità di
prendersi cura del centro del mondo psichico del soggetto la cui ‘litosfera’ ha subìto tali sconvolgimenti.
E’ da ricordare come la montagna, quale imago interiore a valenza mitica, abbia anche la funzione di
contenere l’ansia e nello stesso tempo indicare la possibilità di una risoluzione.
La comparsa della montagna centrale e delle figurazioni associate nel Sandplay mostra come questa
significativa terapia permetta a questo dramma psichico di rappresentarsi e allo stesso tempo indica
come sia all’opera un processo i cui passaggi richiedono una lettura specifica da parte del terapeuta
affinchè si dia luogo ad un suo sviluppo evolutivo.
Bibliografia