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Mariella Saletti - Sé alieno - Note e contributi psicoanalitici

In campo analitico il sé alieno ha a che fare con la ‘contaminazione’ della psiche da parte e con aspetti
‘altri’, estranei, che invadono o vanno oltre i confini del soggetto.

Illuminante è stato il lavoro di Ferenczi nell’aver individuato la sottile dinamica sottesa alla
formazione del sé alieno nel bambino.

(Borgogno, 2010) “In questa luce …. molta sofferenza psichica origina così per lui dalla trasmissione
interpsichica e si connette “all’introiezione non libera e non intenzionale”, spesso subita
passivamente e forzosamente, di messaggi pulsionali grezzi e primitivi e di ordini ipnotici inconsci
per nulla favorevoli alla salute mentale e all’evoluzione della persona (Ferenczi, 1909b). Questa
introiezione primitiva alienante, un’“incorporazione”, potremmo più correttamente dire con
Abraham e Torok (1987) – non è comunque per Ferenczi il vero e unico agente patogeno. Lo sono
invece la rimozione delle rappresentazioni ad essa collegate (Ferenczi, 1908b) o, per essere più
precisi, la non rappresentabilità psichica di ciò che si è vissuto e si è introiettato, sostenute e
promosse – esplicita Ferenczi – dall’ “amnesia del proprio esser stati bambini” da parte dei genitori
e dalla concomitante loro completa “noncuranza” verso le copiose esigenze di rapporto affettivo dei
figli, e dal loro successivo, in questi casi non sporadico, lasciarli “soli e abbandonati a livello
emozionale” (Ferenczi, 1908c; 1927; 1929)

All’introiezione alienante dello stato emotivo dell’altro dominante corrisponde anche quella
particolare dinamica difensiva del bambino nota come identificazione con l’aggressore, ancora
individuata da S. Ferenczi (1933): il bambino, preso nella confusione e nel timore creatigli dal
comportamento abusante dell’adulto, oscilla in vissuti ambivalenti: pur vittima, egli giunge da un lato
a considerarsi cattivo e colpevole e dall’altro ad introiettare il volere ed il potere dell’adulto
adattandosi e anche anticipando i suoi desideri.

(Ferenczi S, 1933) “I bambini si sentono indifesi fisicamente e moralmente, la loro personalità è


ancora troppo lontana dall’essersi consolidata perché essi siano in grado di protestare sia pure solo
mentalmente; la forza prepotente e l’autorità degli adulti li ammutolisce, spesso toglie loro la facoltà
di pensare. Ma questa stessa paura, quando raggiunge un certo livello, li costringe automaticamente
a sottomettersi alla volontà dell’aggressore, a indovinare tutti gli impulsi di desiderio e, dimentichi
di sé, a seguire questi desideri, identificandosi completamente con l’aggressore. Con
l’identificazione, diciamo meglio con l’introiezione dell’aggressore, quest’ultimo scompare come
realtà esterna; l’evento da extrapsichico diviene intrapsichico”

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Mazzotta (2014) ricostruisce i passaggi nel dinamismo interiore del bambino dalla formazione al
tentativo di espulsione del sé alieno: “Come posto in evidenza da D. Winnicott (1960) quando un
bambino non trova il suo stato emotivo riflesso nel volto o nello stato mentale del caregiver, cioè non
sente riconosciuto il suo stato d’animo, è soggetto ad assorbire e far proprio lo stato emotivo del
caregiver. Col tempo questa ripetuta internalizzazione dello stato d’animo o delle difese del genitore
possono portare alla formazione di una struttura falso-Sé nel bambino.
P. Fonagy ha sviluppato questa idea osservando che questo tipo di internalizzazione porta alla
formazione di un sé non conosciuto, alieno, che può essere esperito dal bambino come un possibile
oggetto persecutore (Fonagy, et al., 1993). Questo oggetto alieno nel sé porterà il bambino a non
poter sviluppare un senso di sé sicuro ed indipendente poiché avrà introiettato dall’altro una
rappresentazione distorta del sé che viene assimilata come una parte inevitabile ma disturbante,
dalla quale il bambino può anche cercare disperatamente di disfarsi in ogni modo.
L’esternalizzazione del sé alieno diventa un problema di vita o di morte per chi abbia subito un
trauma ed abbia finito con l’internalizzare l’abusante come parte del sé. Egli per mezzo
dell’identificazione proiettiva avrà la necessità di “mettere” in un’altra persona le parti aliene del
sé. In questo modo le parti di sé persecutorie vengono sperimentate come presenti nell’altro.
A questo punto l’altro verrà avvertito come persecutorio, e nello stesso tempo avente il controllo di
quelle parti del sè predisposte proprio per distruggere il sé. Si viene a creare così una dipendenza di
tipo masochistico dall’oggetto. Ne risulta una esperienza emotiva molto negativa che può includere
sentimenti di abbandono, cattiveria, incomprensione, vittimizzazione e inferiorità [(Bradley, et al.,
2005); (Zanarini, et al., 2003); (Zittel Conklin, et al., 2005)].
L’esternalizzazione di stati interni insopportabili originati da questo processo è riconoscibile nel
vissuto controtransferale del terapeuta che lavora con pazienti borderline: rabbia e odio, senso di
inutilità, paura e preoccupazione, risentimento o il sentire di dover salvare il paziente a tutti i costi
difendendolo da un pericolo immediato, sono tra gli stati emotivi più frequenti. “

Non sempre il bambino può spostare all’esterno un oggetto interno persecutore. Nel caso di relazione
con un caregiver abusante sul piano corporeo o perturbante sul piano psicologico, che agisce un
attacco al sè infantile o lo invade, il bambino può trovarsi in una situazione di incastro che opera in
lui un effetto ‘alieno’ nel tempo. Troppo piccolo per motivare una testimonianza attendibile o troppo
fragile per focalizzare ed esplicitare la propria posizione di vittima, il bambino sviluppa una relazione
fortemente ambivalente verso l’adulto abusante o perturbante: bloccato dal timore e preso
dall’attaccamento affettivo, non si azzarda a mostrargli il suo disagio e si mostra anzi compiacente
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con lui mentre manifesta forti oscillazioni emotive verso l’altro genitore sul quale scarica la propria
tensione insolubile con comportamenti ‘difficili’, che vanno dal ritiro regressivo alla reattività
aggressiva. Questo genitore può trovarsi così soggetto ad essere visto come carente ed essere posto
sotto esame da parte degli operatori psico-sociali mentre il genitore abusante o perturbante può
mostrarsi adeguato e non viene colto nella sua reale grave problematicità. L. Cancrini per primo
(2013) ha iniziato a porre in luce questa complessa dinamica intrapsichica e interpersonale indicando
l’assoluta necessità di una lettura psicoterapeutica specialistica sia del malessere denunciato dal
bambino che delle sue relazioni a funzionamento ‘incrociato’ con i caregiver.

S. Selingman (2008), nella sua analisi sull’interazione precoce del genitore con il figlio neonato
connotata da induzioni proprie dell’identificazione proiettiva, rileva come il paziente che le ha subìte
da bambino possa ripetere tali modalità verso il terapeuta :“ pazienti che da bambini sono stati
imprigionati in attribuzioni errate che hanno condotto ad un senso permanente di un Sé inautentico
e mal costruito, iniziano spesso un’analisi con una modalità coercitiva pre-verbale di dar forma ad
un’influenza asimmetrica in situazioni diadiche… Il transfert, specie il transfert negativo, può
riprodurre la pressione delle attribuzioni genitoriali su cui si può difficilmente riflettere; quanto più
sono patologici i primissimi processi, tanto più rigido ed esente da riflessione sarà il transfert.”

Lingiardi (2014) facendo riferimento agli studi sull’attaccamento di Fonagy, pone in evidenza
l’effetto di disturbo dei ‘sé alieni’ che si sono formati in situazioni abusanti sullo sviluppo della
funzione riflessiva e delle possibilità stessa di mentalizzazione, carenza questa che contribuisce alla
riattivazione agìta dell’abuso: “Secondo Fonagy e Target (2001, 2012), l’area dei disturbi borderline
avrebbe la sua origine in uno sviluppo inadeguato della funzione riflessiva, che spiegherebbe la
scarsa capacità di regolazione affettiva, il frequente ricorso a difese di acting, la difficoltà a gestire
le relazioni intime e l’assenza di un sé coeso.”
(Lingiardi, 2004) “Chi ha avuto un caregiver abusante dal punto di vista psicologico non ha avuto
la possibilità di interiorizzare una rappresentazione del sé come soggetto intenzionale e ha dovuto
invece interiorizzare le rappresentazioni dello stato mentale del caregiver. Queste costituiscono
appunto quei «sé alieni» che impediscono la continuità della propria identità, determinano un senso
di falsità della propria esistenza e vengono «espulsi» per mezzo di un meccanismo, analogo
all’identificazione proiettiva, che P. Fonagy ha chiamato traslocazione rappresentazionale
intersoggettiva.

Per P. Fonagy, la violenza relazionale è una risposta esagerata del sistema di attaccamento. Come
altri autori (Bowlby, 1988; Mayselles, 1991; Dutton et al., 1994; Dutton, 1998; West, George, 1999)

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egli avanza l’ipotesi che fare del male al proprio partner rappresenti un’esagerazione o una
perversione del comportamento di attaccamento. L’intensità e la forza di tale abuso possono essere
viste come reazioni a un attaccamento insicuro da parte di uomini con limitate capacità di
mentalizzazione che sono stati in passato a loro volta abusati o che hanno assistito a scenari
familiari violenti e traumatici.”

Il dinamismo intrapsichico dell’alieno non poteva non trovare risonanza sul piano del pensiero
psicosomatico.
L’approccio junghiano che fa ricerca e terapia tramite la Sand Play Therapy, porta a pensare che la
sofferenza corporea e quella psichica si presentano all’unisono portando entrambe in sè un unico
messaggio simbolico, latente e misterioso, che al momento del sorgere del disagio non ha trovato
altro canale espressivo che il sintomo fisico (M. Talamini, 2016) il quale solo viene riconosciuto e
oggettivato, assumendo nella persona una valenza emotiva di fenomeno alieno dalla percezione di sè.
Queste osservazioni portano ad ipotizzare che la difficoltà nella gestione psichica dell’esperienza
conflittuale o distruttiva ostacoli l’accesso alla funzione simbolica e di conseguenza il piano somatico
venga sovraccaricato nell’espressione degli effetti dei vissuti conflittuali e delle relazioni distruttive.
Nell’immaginario collettivo è la malattia tumorale che viene percepita e pensata come drammatico e
traumatico fenomeno biologico alieno che, dall’interno del corpo, lo invade e demolisce.
Nell’esperienza psicoanalitica tramite la Sand Play Therapy con persone con malattia tumorale è stata
osservata (S. Marinucci, 1989) “una grave difficoltà ad elaborare le perdite affettive …incapacità ad
accettare e gestire le pulsioni aggressive, tendenza ad usare rimozione e negazione come meccanismi
di difesa …”.
Ci si può domandare se alla carenza delle risorse psichiche difensive più differenzianti corrisponda
una carenza difensiva a livello biologico, anch’essa non differenziante, che lascia spazio al riprodursi
delle cellule tumorali, divenute totipotenti per regressione delle cellule normali a loro volta non più
in grado di differenziarsi.
La malattia come fenomeno alieno assume una valenza di estraneità, oggettivizzazione di sè in cui
un livello soggettivo non è facilmente pensabile.

Borgogno F. (2010), “Ferenczi e il trauma: una piccola mappa introduttiva.” Interazioni, 25 (2),
2005, pp. 73-80.

Cancrini L. (2013), “La cura delle infanzie infelici. Viaggio nell’origine dell’oceano borderline.”
Raffaello Cortina Editore
Ferenczi S. (1933): “Sprachverwirrung zswischen den Erwachsenen und dem Kind (Die Sprache der
Zärlichtkeit und der Leidenschaft)”. International Zeitschrift für Psychoanalyse, 19, pp.5-15. Trad.
4
It: “Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della
passione”. In: “Fondamenti di Psicoanalisi”, a cura di G. Carloni ed E. Molinari, 4 voll., Guaraldi,
Rimini, 1972-75, e in: Opere, a cura di G. Carloni, Vol. IV (1927-1933), Raffaello Cortina, Milano,
2002, pp.91-100.
Fonagy P., Moran G. e Target M. (1993), “Aggression and the psycological self” International
Journal of Psycoanalysis, 74., p. 471-485. In Mazzotta L., “Le modalità di rispecchiamento” , 2018,
https://www.lucamazzotta.it
V.Lingiardi (2004), “Personalità dipendente e dipendenza relazionale: aspetti diagnostici, descrittivi
e dinamici “, Milano, Il Saggiatore.
V. Lingiardi (2014) “La personalità e i suoi disturbi. Un'introduzione.” Milano, Raffaello Cortina
Editore.

Mazzotta L. (2014), “Differenti modalità di rispecchiamento”,“Trauma e disturbo borderline”,


www.lucamazzotta.it
Marinucci S. (1989), “Possibilità prognostiche della Sand-Play in psicosomatica” in Rivista di
Psicologia Analitica, n.39, 1989, Roma.

Seligman S. (2008) “Contributi teorici: identificazione proiettiva e asimmetrie coercitive nelle


interazioni bambino-genitore: una applicazione convergente degli approcci kleiniani ed
intersoggettivisti” in www.centropsicoanalisiromano.it

Talamini M. (2016) comunicazione personale.

Winnicott D.W. (1960): “La distorsione dell’Io in rapporto al vero e al falso Sé.” In “Sviluppo
affettivo e ambiente” (1965). Armando, Roma, 1970, pp. 177-193.

Versione aggiornata 3.11.2019


Mariella Saletti - Sé alieno - Note e contributi psicoanalitici

In campo analitico il sé alieno ha a che fare con la ‘contaminazione’ della psiche da parte e con
aspetti ‘altri’, estranei, che invadono o vanno oltre i confini del soggetto.
Illuminante è stato il lavoro di Ferenczi nell’aver individuato la sottile dinamica sottesa alla
formazione del sé alieno nel bambino.
(Borgogno, 2010) “In questa luce …. molta sofferenza psichica origina così per lui dalla
trasmissione interpsichica e si connette “all’introiezione non libera e non intenzionale”, spesso
subita passivamente e forzosamente, di messaggi pulsionali grezzi e primitivi e di ordini
ipnotici inconsci per nulla favorevoli alla salute mentale e all’evoluzione della persona
(Ferenczi, 1909b). Questa introiezione primitiva alienante, un’“incorporazione”, potremmo più
correttamente dire con Abraham e Torok (1987) – non è comunque per Ferenczi il vero e unico
agente patogeno. Lo sono invece la rimozione delle rappresentazioni ad essa collegate
(Ferenczi, 1908b) o, per essere più precisi, la non rappresentabilità psichica di ciò che si è
vissuto e si è introiettato, sostenute e promosse – esplicita Ferenczi – dall’ “amnesia del proprio
esser stati bambini” da parte dei genitori e dalla concomitante loro completa “noncuranza”
verso le copiose esigenze di rapporto affettivo dei figli, e dal loro successivo, in questi casi non
sporadico, lasciarli “soli e abbandonati a livello emozionale” (Ferenczi, 1908c; 1927; 1929)

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All’introiezione alienante dello stato emotivo dell’altro dominante corrisponde anche quella
particolare dinamica difensiva del bambino nota come identificazione con l’aggressore, ancora
individuata da S. Ferenczi (1933): il bambino, preso nella confusione e nel timore creatigli dal
comportamento abusante dell’adulto, oscilla in vissuti ambivalenti: pur vittima, egli giunge da
un lato a considerarsi cattivo e colpevole e dall’altro ad introiettare il volere ed il potere
dell’adulto adattandosi e anche anticipando i suoi desideri.
(Ferenczi S, 1933) “I bambini si sentono indifesi fisicamente e moralmente, la loro personalità
è ancora troppo lontana dall’essersi consolidata perché essi siano in grado di protestare sia
pure solo mentalmente; la forza prepotente e l’autorità degli adulti li ammutolisce, spesso toglie
loro la facoltà di pensare. Ma questa stessa paura, quando raggiunge un certo livello, li costringe
automaticamente a sottomettersi alla volontà dell’aggressore, a indovinare tutti gli impulsi di
desiderio e, dimentichi di sé, a seguire questi desideri, identificandosi completamente con
l’aggressore. Con l’identificazione, diciamo meglio con l’introiezione dell’aggressore,
quest’ultimo scompare come realtà esterna; l’evento da extrapsichico diviene intrapsichico”

Mazzotta (2014) ricostruisce i passaggi nel dinamismo interiore del bambino dalla formazione
al tentativo di espulsione del sé alieno: “Come posto in evidenza da D. Winnicott (1960) quando
un bambino non trova il suo stato emotivo riflesso nel volto o nello stato mentale del caregiver,
cioè non sente riconosciuto il suo stato d’animo, è soggetto ad assorbire e far proprio lo stato
emotivo del caregiver. Col tempo questa ripetuta internalizzazione dello stato d’animo o delle
difese del genitore possono portare alla formazione di una struttura falso-Sé nel bambino.

P. Fonagy ha sviluppato questa idea osservando che questo tipo di internalizzazione porta alla
formazione di un sé non conosciuto, alieno, che può essere esperito dal bambino come un
possibile oggetto persecutore (Fonagy, et al., 1993). Questo oggetto alieno nel sé porterà il
bambino a non poter sviluppare un senso di sé sicuro ed indipendente poiché avrà introiettato
dall’altro una rappresentazione distorta del sé che viene assimilata come una parte inevitabile
ma disturbante, dalla quale il bambino può anche cercare disperatamente di disfarsi in ogni
modo.
L’esternalizzazione del sé alieno diventa un problema di vita o di morte per chi abbia subito un
trauma ed abbia finito con l’internalizzare l’abusante come parte del sé. Egli per mezzo
dell’identificazione proiettiva avrà la necessità di “mettere” in un’altra persona le parti aliene
del sé. In questo modo le parti di sé persecutorie vengono sperimentate come presenti
nell’altro.
A questo punto l’altro verrà avvertito come persecutorio, e nello stesso tempo avente il
controllo di quelle parti del sè predisposte proprio per distruggere il sé. Si viene a creare così
una dipendenza di tipo masochistico dall’oggetto. Ne risulta una esperienza emotiva molto
negativa che può includere sentimenti di abbandono, cattiveria, incomprensione,
vittimizzazione e inferiorità [(Bradley, et al., 2005); (Zanarini, et al., 2003); (Zittel Conklin, et
al., 2005)].

L’esternalizzazione di stati interni insopportabili originati da questo processo è riconoscibile


nel vissuto controtransferale del terapeuta che lavora con pazienti borderline: rabbia e odio,
senso di inutilità, paura e preoccupazione, risentimento o il sentire di dover salvare il paziente
a tutti i costi difendendolo da un pericolo immediato, sono tra gli stati emotivi più frequenti. “

Non sempre il bambino può spostare all’esterno un oggetto interno persecutore. Nel caso di
relazione con un caregiver abusante sul piano corporeo o perturbante sul piano psicologico,
che agisce un attacco al sè infantile o lo invade, il bambino può trovarsi in una situazione di
incastro che opera in lui un effetto ‘alieno’ nel tempo. Troppo piccolo per motivare una
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testimonianza attendibile o troppo fragile per focalizzare ed esplicitare la propria posizione di
vittima, il bambino sviluppa una relazione fortemente ambivalente verso l’adulto abusante o
perturbante: bloccato dal timore e preso dall’attaccamento affettivo, non si azzarda a mostrargli
il suo disagio e si mostra anzi compiacente con lui mentre manifesta forti oscillazioni emotive
verso l’altro genitore sul quale scarica la propria tensione insolubile con comportamenti
‘difficili’, che vanno dal ritiro regressivo alla reattività aggressiva. Questo genitore può trovarsi
così soggetto ad essere visto come carente ed essere posto sotto esame da parte degli operatori
psico-sociali mentre il genitore abusante o perturbante può mostrarsi adeguato e non viene
colto nella sua reale grave problematicità. L. Cancrini per primo (2013) ha iniziato a porre in
luce questa complessa dinamica intrapsichica e interpersonale indicando l’assoluta necessità
di una lettura psicoterapeutica specialistica sia del malessere denunciato dal bambino che delle
sue relazioni a funzionamento ‘incrociato’ con i caregiver.

S. Selingman (2008), nella sua analisi sull’interazione precoce del genitore con il figlio neonato
connotata da induzioni proprie dell’identificazione proiettiva, rileva come il paziente che le ha
subìte da bambino possa ripetere tali modalità verso il terapeuta :“ pazienti che da bambini
sono stati imprigionati in attribuzioni errate che hanno condotto ad un senso permanente di un
Sé inautentico e mal costruito, iniziano spesso un’analisi con una modalità coercitiva pre-
verbale di dar forma ad un’influenza asimmetrica in situazioni diadiche… Il transfert, specie il
transfert negativo, può riprodurre la pressione delle attribuzioni genitoriali su cui si può
difficilmente riflettere; quanto più sono patologici i primissimi processi, tanto più rigido ed
esente da riflessione sarà il transfert.”

Lingiardi (2014) facendo riferimento agli studi sull’attaccamento di Fonagy, pone in evidenza
l’effetto di disturbo dei ‘sé alieni’ che si sono formati in situazioni abusanti sullo sviluppo della
funzione riflessiva e delle possibilità stessa di mentalizzazione, carenza questa che contribuisce
alla riattivazione agìta dell’abuso: “Secondo Fonagy e Target (2001, 2012), l’area dei disturbi
borderline avrebbe la sua origine in uno sviluppo inadeguato della funzione riflessiva, che
spiegherebbe la scarsa capacità di regolazione affettiva, il frequente ricorso a difese di acting,
la difficoltà a gestire le relazioni intime e l’assenza di un sé coeso.”
(Lingiardi, 2004) “Chi ha avuto un caregiver abusante dal punto di vista psicologico non ha
avuto la possibilità di interiorizzare una rappresentazione del sé come soggetto intenzionale e
ha dovuto invece interiorizzare le rappresentazioni dello stato mentale del caregiver. Queste
costituiscono appunto quei «sé alieni» che impediscono la continuità della propria identità,
determinano un senso di falsità della propria esistenza e vengono «espulsi» per mezzo di un
meccanismo, analogo all’identificazione proiettiva, che P. Fonagy ha chiamato traslocazione
rappresentazionale intersoggettiva.

Il dinamismo intrapsichico dell’alieno non poteva non trovare risonanza sul piano del pensiero
psicosomatico
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L’approccio junghiano che fa ricerca e terapia tramite la Sand Play Therapy, porta a pensare che
la sofferenza corporea e quella psichica si presentano all’unisono portando entrambe in sè un
unico messaggio simbolico, latente e misterioso, che al momento del sorgere del disagio non
ha trovato altro canale espressivo che il sintomo fisico (M. Talamini, 2016) il quale solo viene
riconosciuto e oggettivato, assumendo nella persona una valenza emotiva di fenomeno alieno
dalla percezione di sè.

Queste osservazioni portano ad ipotizzare che la difficoltà nella gestione psichica


dell’esperienza conflittuale o distruttiva ostacoli l’accesso alla funzione simbolica e di
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conseguenza il piano somatico venga sovraccaricato nell’espressione degli effetti dei vissuti
conflittuali e delle relazioni distruttive.

Nell’immaginario collettivo è la malattia tumorale che viene percepita e pensata come


drammatico e traumatico fenomeno biologico alieno che, dall’interno del corpo, lo invade e
demolisce.
Nell’esperienza psicoanalitica tramite la Sand Play Therapy con persone con malattia tumorale
è stata osservata (S. Marinucci, 1989) “una grave difficoltà ad elaborare le perdite affettive
…incapacità ad accettare e gestire le pulsioni aggressive, tendenza ad usare rimozione e
negazione come meccanismi di difesa …”.
Ci si può domandare se alla carenza delle risorse psichiche difensive più differenzianti
corrisponda una carenza difensiva a livello biologico, anch’essa non differenziante, che lascia
spazio al riprodursi delle cellule tumorali, divenute totipotenti per regressione delle cellule
normali a loro volta non più in grado di differenziarsi.
La malattia come fenomeno alieno assume una valenza di estraneità ed oggettivizzazione di sè
in cui un livello soggettivo non è facilmente pensabile.

Borgogno F. (2010), “Ferenczi e il trauma: una piccola mappa introduttiva.” Interazioni, 25 (2),
2005, pp. 73-80.
Cancrini L. (2013), “La cura delle infanzie infelici. Viaggio nell’origine dell’oceano borderline.”
Raffaello Cortina Editore
Ferenczi S. (1933): “Sprachverwirrung zswischen den Erwachsenen und dem Kind (Die
Sprache der Zärlichtkeit und der Leidenschaft)”. International Zeitschrift für Psychoanalyse, 19,
pp.5-15. Trad. It: “Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza
e il linguaggio della passione”. In: “Fondamenti di Psicoanalisi”, a cura di G. Carloni ed E.
Molinari, 4 voll., Guaraldi, Rimini, 1972-75, e in: Opere, a cura di G. Carloni, Vol. IV (1927-1933),
Raffaello Cortina, Milano, 2002, pp.91-100.
Fonagy P., Moran G. e Target M. (1993), “Aggression and the psycological self” International
Journal of Psycoanalysis, 74., p. 471-485. In Mazzotta L., “Le modalità di rispecchiamento” ,
2018, https://www.lucamazzotta.it
V.Lingiardi (2004), “Personalità dipendente e dipendenza relazionale: aspetti diagnostici,
descrittivi e dinamici “, Milano, Il Saggiatore.
V. Lingiardi (2014) “La personalità e i suoi disturbi. Un'introduzione.” Milano, Raffaello Cortina
Editore.
Mazzotta L. (2014), “Differenti modalità di rispecchiamento”,“Trauma e disturbo borderline”,
www.lucamazzotta.it
Marinucci S. (1989), “Possibilità prognostiche della Sand-Play in psicosomatica” in Rivista di
Psicologia Analitica, n.39, 1989, Roma.
Seligman S. (2008) “Contributi teorici: identificazione proiettiva e asimmetrie coercitive nelle
interazioni bambino-genitore: una applicazione convergente degli approcci kleiniani ed
intersoggettivisti” in www.centropsicoanalisiromano.it
Talamini M. (2016) comunicazione personale.
Winnicott D.W. (1960): “La distorsione dell’Io in rapporto al vero e al falso Sé.” In “Sviluppo
affettivo e ambiente” (1965). Armando, Roma, 1970, pp. 177-193.

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