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È cosa assolutamente normale il fatto che tale libro risente dell’influsso del CVII: la
commissione incaricata della revisione aveva avuto il preciso compito di tenere in
considerazione tutti i documenti conciliari. Ci limitiamo ad alcuni esempi: si confrontino
il c.22 e il #19 della Christus Dominus (CD) e Gaudium te Spes #74; il c.87 ç1 con CD
8; c. 145 ç1 con PO 20.
Sono i principi approvati dal sinodo dei Vescovi del 1967 per la revisione del Codice.
Tali principi, in pratica, obbligavano i membri della Commissione incaricata della
revisione del Codex ad applicare i pronunciamenti del Concilio stesso.
Alcuni di tali pronunciamenti e principi si trovano, tra le righe, anche nel Libro I come in
tutto il CIC.
Nel primo principio si chiedeva che il nuovo Codice conservasse la sua indole giuridica,
con esigenza di precisione, terminologica e formale, che consentisse una applicazione
chiara e precisa, senza mai perdere di vista la prospettiva salvifica del diritto canonica en
la suprema lex dell’Ordinamento.
La natura giuridica risulta evidente nel Libro I, le norme danno il quadro globale, i
principi ermeneutici, le tipologie normative, le disposizioni procedurali che devono
trovare applicazione e riscontro nell’attività giuridica della Chiesa.
Nel principio terzo: si auspicava che dalla revisione del Codice emergesse chiaramente
la dimensione pastorale della Chiesa e quindi non si dovesse indulgere ad una eccessiva
rigidità rendendo più evidenti la giustizia, la carità, la temperanza, l’umanità e l’equità.
Esempi ne sono il c. 10 che per le leggi irritanti prevede che deve risultare inequivoca la
loro identità; il c. 18 prevede che le leggi penali siano sottoposte a interpretazione stretta
e il c. 19 vieta, in materia penale, l’analogia. Solo per citarne alcuni.
Nel principio quarto e quinto stabilivano che la facoltà di dispensa dalle leggi generali
che erano concesse ai vescovi in forma straordinaria potessero diventare ordinarie,
riservando alla S. Sede solo cause che esigevano un'eccezione. Tale principio ha trovato
accoglienza nel c. 87 che riconosce il diritto del vescovo di dispensare dalle leggi
disciplinari e universali non riservate alla Sede Apostolica.
Il principio sesto trova puntuale applicazione nel Libro I. Si chiedeva che diritti delle
persone fossero definiti e tutelati in modo idoneo. Il c. 57 con la limitazione legislativa
delle discrezionalità del Superiore è finalizzata proprio alla tutela dei diritti del fedele
nella Chiesa così da prevenire ogni forma di arbitrio nell’esercizio dell’autorità.
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Troviamo il CVII anche in altri canoni del Libro I: i cc. 1 e 11, ad esempio che fanno
propri i principi del Concilio di rispetto delle proprie tradizioni e riti; il rispetto dello
spirito ecumenico del c. 11 come anche del c. 96 sul concetto di persona
nell’Ordinamento.
Il CVII si coglie anche nelle disposizioni circa gli uffici ecclesiastici (cc.145-195), la
definizione di Ufficio è tratta da PO 20.
Il Libro del Codice è introdotto da 6 canoni preliminari, senza titolazione rubricale. Essi
definiscono l’estensione e il valore della legislazione del Codice.
La distinzione tra Chiesa latina e Chiese orientali è di antica origine. Alcuni richiamo:
agli inizi della Chiesa assistiamo al sorgere delle Chiese particolari caratterizzate sia da
vincoli di unità nella fede, nei sacramenti, nella comunione gerarchica ma anche da
grande varietà tra loro in ragione del proprio rito inteso come patrimonio liturgico e
spirituale-teologico.
Una prima ripartizione avviene per motivi politici, operata per la divisione fatta da
Diocleziano, dell’Impero romano in occidentale e orientale, con due distinte capitale.
I due gruppi di chiese conobbero, nel corso del tempo, realtà differenti. Quelle orientali
si caratterizzarono subito per una grande varietà di centri che richiedevano pari dignità le
une tra le altre distribuite nell’Impero; esse mantennero, da sempre, la loro autonomia.
Quelle occidentali, invece, si polarizzarono intorno Roma uniformando progressivamente
il loro rito e patrimonio.
Esse non rimasero estranee alle vicende politiche: nel 1054 ricordiamo il grande scisma
d'oriente. Non tutte le chiese si separarono -ad esempio rimasero la Maronita - e in seguito
alcune delle separate vollero tornare in comunione con Roma (chiese Uniate o unite).
Esse però continuarono a conservare le loro tradizioni.
Alla luce di tale canone il CIC non è fonte di Diritto per le Chiese orientali. Tale principio
non è nuovo. In forma, seppur non così esplicita, era stato affermato già nel c. 1 del Codex.
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Nel rispetto di tali tradizioni si è ritenuto opportuno elaborare un corpus giuridico
differente che, dopo lunghi lavori, iniziati già nel 1929 per decisione di Pio XI vedranno
l’alba il 18 ottobre 1990 con la promulgazione da parte di Giovanni Paolo II del Codex
Canonum Ecclesiarum Orientalium abbreviato CCEO.
La Chiesa cattolica riconosce le chiese orientali tornate alla comunione come cattoliche
e riaspetta il loro patrimonio (Unitatis Redintegratio 17).
Chiese orientali: sono le Chiese riconosciute da Roma nelle varie epoche; il CVII le
chiama chiese particolari o riti.
Da queste cinque diverse tradizioni derivano le rispettive Chiese organizzate nei loro
modi propri ed in comunione con la Chiesa universale.
C. 2:
Sappiamo bene che il Codice non è l’unica fonte normativa per la vita della Chiesa, anche
se è la più importante tra le fonti. È impossibile, come avviene anche negli ordinamenti
civili, avere un unico testo normativo che possa disciplinare la vita intera di una società
che, per sua stessa natura, è in continua mutazione.
Tra le norme che non trovano collocazione del Codice abbiamo le norme liturgiche,
contenute nei relativi libri liturgici ed in altri documenti emanati dalle competenti autorità
della Chiesa.
La Liturgia è il culto pubblico della Chiesa; essa, mentre rende lode a Dio, santifica i
fedeli. L’attore principale è Cristo stesso.
La Liturgia si esprime attraverso delle azioni liturgiche, regolate dalla Chiesa stessa
proprio perché atto di culto. La regolamentazione ha lo scopo di assicurare sia validità
degli atti posti in essere, in modo particolare, nei Sacramenti sia la liceità e fruttuosità in
modo che l’azione liturgica raggiunga il suo fine che è la glorificazione di Dio e la
santificazione dei fedeli.
Le azioni liturgiche si esprimono attraverso i riti che sono regolati dai libri liturgici
appositi che prevedono come tali riti devono essere posti e vissuti.
L’insieme della normativa che riguarda i riti liturgici costituisce il diritto liturgico in
senso proprio e stretto. Esso ha come oggetto il rito stesso, gli elementi che lo
costituiscono.
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Il Codice, per sua natura, non si interessa del diritto liturgico in senso proprio e stretto: i
libri liturgici in vigore già prima del 1983 conservano intatta la loro validità. Tuttavia
qualora il Codice dovesse disporre su tali materia, è ovvio che essa prevale sul diritto
liturgico pre esistente. In tale prospettiva si comprende la revisione dei libri liturgici
operata dopo il 1983.
Oltre il diritto liturgico in senso stretto, che ha per oggetto i riti e la loro regolamentazione
esiste un insieme di norme che riguardano la liturgia in senso ampio, in modo indiretto e
mediato. Tali norme, più che avere como oggetto la liturgia in sé, toccano ciò che attiene
la liturgia in senso ampio: sono norme liturgiche in senso ampio quelle che non si
riferiscono direttamente ai riti ma si limitano piuttosto ad indicare i loro elementi
istituzionali, quali sono, ad esempio, quelli che determinano i requisiti che devono
verificarsi nelle persone, negli oggetti, nei luoghi interessati alla liturgia.
Le norme liturgiche in senso ampio sono oggetto del Codice: esso tratta norme
disciplinari circa la liturgia piuttosto che norme propriamente liturgiche.
Le fonti del diritto liturgico: sono indicate nel c. 838 che ha come sua fonte principale la
SC 22.
Il canone dopo aver affermato l’esclusiva competenza della Chiesa in materia liturgica,
stabilisce ciò che spetta alla Sede Apostolica, alle Conferenza Episcopale e ai singoli
Vescovi.
Per Santa Sede, si intende lo stesso Romano Pontifice o una dicastero della Curia
Romana. In materia liturgica è competente la congregazione per i Sacramenti ed il Culto
divino (PB 62).
Le fonti conoscitive del diritto liturgico sono i libri liturgici sia a livello universale che
particolare.
Il codice non definisce i riti che devono essere osservati nelle celebrazioni liturgiche. Con
i termine rito, qui, deve intendersi l’ordinamento sostanziale dell’azione liturgica. Il
canone afferma che il codice non definisce, il più delle volte, i riti, può però farlo. In
seguito di ciò:
Le leggi liturgiche vigenti prima del CIC permangono nel suo valore. Per leggi liturgiche
qui si intendono le norme che regolamentavano i riti prima del codice. Esse continuano
a godere della propria autonomia rispetto al CIC. Decadono solo se risultano contrarie al
CIC stesso.
Canone 3.
Anche le norme di carattere pattizio che la Santa Sede ha concordato prima del CIC non
vengono toccate. Esse conservano la loro autonomia ed il loro valore obbligante.
La prassi di stipulare convenzioni con altre Nazioni è tradizione antica per la Santa Sede.
Tali convenzioni possono avere i nomi più diversi: concordati, protocolli, accorti, patti).
La forma più ampia e solenne è data dal Concordato che costituisce un trattato di diritto
internazionale tra enti sovrano per regolare ambiti di interesse comune.
Vale anche per la Santa Sede il principio di diritto pacta sunt servanda. È ovvio che tali
convenzioni non possono essere normate dal CIC essendo internazionale il loro carattere.
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Il CIC in tale canone si riferisce solo ai trattati stipulati dalla Santa Sede. Restano esclusi
quelli delle Conferenze Episcopali e dei singoli Vescovi: in tali ultimi due casi se tali
accordi violano il CIC essi non si considerano validi e devono essere considerati abrogati.
Canone 4.
Il canone parla di diritti acquisiti e di privilegi. Si può verificare il caso in cui, sotto il
regime della precedente Legge gli effetti giuridici di atti compiuti sotto la vigenza di
precedenti leggi continuino a permanere nel tempo. La legge è la fonte del diritto e può
capitare che una legge nuova possa modificare le cose e le materie. Si può verificare
anche il caso in cui una legge nuova fa cessare la facoltà che quella antica riconosceva.
Il canone regola ta li diritti o facoltà che venivano riconosciuti dalla precedente legge e
consente di mantenerli. Diritto acquisito: si può parlare di essi solo quando in base ad un
preciso fatto o atto posto, la legge in vigore ha attribuito determinati effetti che sono
entrati nel patrimonio giuridico del soggetto. A meno che non siano espressamente
revocati dai canoni del presente codice.
Una volta acquistati non si perdono più. (se per laurerami occorrevano 20 esami, il fatto
che la nuova legge ne prescrive 30 non toglie il titolo a chi lo ha conseguito sotto la
vigenza della precedente normativa).
27 febbraio
Considerazioni Introduttive.
Quando parliamo delle fonti del diritto intendiamo riferirci alle fonti che producono il
diritto e che creano norme giuridiche.
Anche se le norme possono essere prodotte in diversi modi dobbiamo sempre riconoscere
che esiste una gerarchia tra le varie fonti: la potestà giudiziale e quella esecutiva sono
subordinate a quella legislativa e devono operare sempre nell’osservanza delle leggi.
Questo discorso conduce a delle riflessioni circa la differenza tra la suddivisione di poteri
- di stampo illuministico - che le moderne società hanno teorizzato e realizzato per
arginare l’arbitrio dei regnanti e, invece, la compagine ecclesiale.
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Nel corpo mistico della Chiesa il fatto che l'autorità possa prevaricare sui singoli
battezzati costituisce una preoccupazione estranea, aliena dalla stessa natura della Chiesa.
Va altresì ricordato che lo scopo dell'ordinamento nella chiesa non è la protezione dei
diritti ma la realizzazione della communio e il raggiungimento della salus animarum che
nell’ordinamento è suprema lex.
Per questo motivo non si è mai posto come di primaria importanza tale distinzione.
La tradizione canonica non accetta la separazione dei poteri come avviene nello Stato:
tutta l'autorità conferita da Cristo deve essere esercitata in modo congiunto per il bene e
la salvezza delle anime.
I c. 7-95 trattano, pertanto, delle fonti del diritto escluse quelle della potestà giudiziaria
che vedrete del Liber VII.
1) Legge: posta dalla potestà legislativa e data per iscritto a una comunità per il suo bene.
(cfr. S Tommaso)
2) Consuetudine: si tratta di una legge non scritta con la caratteristica che trae origine
da un comportamento della comunità con l’intenzione di obbligarsi ad esso
implicitamente o esplicitamente approvato dal legislatore.
3) Legge in senso proprio e anche il decreto generale che viene emanato da un'autorità
priva del potere legislativo ma in forza di una delega, oppure emanata dal potere
legislativo ma senza le procedure previste dalla via ordinaria.
4) Decreto generale esecutivo e istruzioni: appartengono alla potestà esecutiva ma
hanno stretta relazione con le leggi di cui ne presuppongono l'esistenza e sono appesi
vincolate e subordinate.
5) Atti Amministrativi singolari: riguardano persone singole o singoli casi ed investono
il potere amministrativo nella chiesa. Tra essi ricordo I decreti e i precetti. I primi
hanno per oggetto una decisione, i secondi un comando.
6) I privilegi: appartengono al genere dei rescritti. Sono atti mediante i quali il superiore
con potestà legislativa, anche se con un atto di carattere amministrativo, concede una
situazione. Hanno la peculiarità ed il valore della legge.
7) La dispensa: ha natura di atto amministrativo singolare ed è concessa in forza della
potestà esecutiva. È una specie di rescritto in quanto presuppone una richiesta. La
dispensa ha valore normativo in quanto toglie l'obbligo dell'osservanza di una norma.
8) Per quanto riguarda gli statuti ed i regolamenti siamo fuori degli atti amministrativi
singolari. La loro natura giuridica va esaminata alla luce della natura dello stesso
soggetto che emana tali norme; essi possono rientrare nel concetto di leggo oppure
avere il carattere di pattuizione tra privati.
Parliamo di fonti del diritto perché siamo di fronte un insieme di luoghi giuridici da cui
scaturiscono norme giuridiche oggettive per l'intera Chiesa, per il suo modificarsi e
attuarsi.
Primo Gruppo.
Annovera gli istituti giuridici relativi alle fonti del diritto canonico di natura generale di
cui si occupano i primi tre titoli:
- le leggi,
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- Le consuetudini,
- I decreti generali
- Istruzioni
LA LEGGE
Il codice non una offre definizione di legge. La canonistica tradizionale ha fatto sempre
riferimento al concetto di legge che troviamo in Santo Tommaso: la legge non è che un
comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una
collettività (S. Th, I-II, q.90, a.4)
Secondo tale definizione la legge è una ordinatio, cioè un atto di volontà di colui che ha
la cura della comunità E che impone, per il bene della comunità stessa, di fare o non fare
qualcosa.
Il comando deve avere una intrinseca razionalità ed essere conforme alla ragione umana.
Il comando ha poi la caratteristica della imperatività cioè è obbligatorio in quanto viene
promulgato dal chi ha l'autorità per condurre la comunità al suo fine.
A dire il vero in occasione di revisione del codice venne proposta una definizione di leggi
che però non appare nel testo promulgato dal papa. La definizione, nello schema codicis
del 1980, al c.7 diceva: Lex, norma scilicet generalis ad bonum commune alicui
communitati a competenti autoritate data, instituitur cum promulgatur.
Dal c. 29 possiamo però, indirettamente ricavare una definizione di legge. Siamo nel
contesto dei Decreti Generali e qui si afferma che essi sono propriamente leggi. Di tali
dei crediti viene data una definizione: dal legislatore competente vengono date
disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una legge.
- Generalità
- Astrattezza
- Certezza
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- Stabilità
- Esteriorità
Generalità:
La legge ha la funzione di regolare la vita di una comunità e dei suoi soggetti nel loro
rapporto interpersonale. Le legge non potrà mai riferirsi un singolo soggetto. La comunità
dei fedeli è la destinataria della legge. Non si tratta di una qualsiasi comunità: è la
comunità capace di ricevere le leggi. È tale una comunità che sia persona giuridica
pubblica nella chiesa e che sia parte delle sue struttura in modo che su essa possa
esercitarsi la funzione legislativa. Deve trattarsi di comunità pubblica e di un bene
pubblico da perseguire a nome della Chiesa.
Generalità: soggetti passivi, quindi, capaci di ricevere le leggi sono la Chiesa Universale,
la Chiesa particolare, gli IVC e la SVA.
La fattispecie può essere generale ed astratta quando si parla di quella contenuta nella
legge. Con tale termine si può però indicare anche un caso concreto che costituisce,
appunto, la fattispecie concreta.
Con la generalità e l'astrattezza si intende indicare che la legge deve essere in grado di
normare un numero illimitato di casi.
Certezza:
E la qualità che deriva dalla natura normativa della legge. Se la legge deve regolare i
rapporti della comunità essa non sarebbe normativa se non si presentasse certa in ciò che
vuole regolare è normare. Una legge incerta non può essere tale perché interpretabile in
vari modi e quindi non più legge univoca per tutti.
Stabilità:
Essa è inerente la stessa nozione di legge che, per sua natura, ha una certa nota di
perpetuità giuridica nel senso che, in genere, non ha limite di tempo. La Stabilitas
appartiene alla stessa categoria del bene comune in quanto una variazione troppo
frequente delle norme contribuisce ad una instabilità dei rapporti giuridici che diviene,
poi, nociva. Santo Tommaso stesso afferma che le leggi non devono mutare troppo
facilmente (S. Th., I-II, q.97, a.2)
Esteriorità:
La legge regola i rapporti tra i membri di una comunità; non possono che essere I rapporti
esterni, rapporti che si pongono mediamente la corporeità e giungono nel mondo esterno.
Ciò non significa che il rapporto si limiti alla esteriorità o li si esaurisce. Si vuole
sottolineare che la legge norma quei rapporti che, pur avendo origine nel cuore umano,
sfociano poi comportamenti esterni. Ricordate la frase: non si processano le intenzioni.
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In ragione dei destinatari:
Le leggi si distinguono in universali e particolari. Sono universali le leggi emanate per
tutta la Chiesa da parte dell’autorità suprema. È da notare che non si dice che queste leggi
valgono per tutti i fedeli ma per tutta la Chiesa. Il c. 12 afferma che alle leggi universali
sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date. Certamente sono universali
anche le leggi emanate per una categoria di fedeli di tutta la Chiesa, anche se si parlerà
più propriamente di leggi speciali. Sono anche universali, ad esempio, le leggi emanate
per tutti gli IVC anche se non riguardano, evidentemente, tutti i battezzati.
Possono presentarsi come consuetudine con forza di legge (can. 23-26) o come statuti
perché promulgati in forza di una autorità legislativa (can. 94, s3)
Anche in ragione dell’Autore possono assumere svariate forme: si pensi alla pluralità di
atti di cui dispose il Romano Pontifice (costituzione apostoliche, motu proprio, decisioni,
dichiarazioni, etc.)
Can. 7: la legge si dice istituita quando viene all’esistenza come legge. Come tale, esiste
in forza di un atto del legislatore. Il codice coglie il momento promulgativo come
momento istitutivo della legge.
La promulgazione è l’atto pubblico tramite il quale chi ha la potestà legislativa intima alla
comunità una norma obbligante.
La promulgazione è l’atto più importante nel processo formativo della legge perché
istitutivo di essa. Non dobbiamo però dimenticare tutto l’iter che si deve compiere per
arrivare qui: consultazione della comunità e non arbitrio; la legge deve essere opus
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sapientiae e per questo deve essere ascoltata la comunità. In tal senso anche l’imperatività
della legge acquisisce tutto un altro sapore.
Can. 8: la promulgazione è l’atto con cui si istituisce la legge. Non si tratta di una
semplice comunicazione informativa bensì della trasmissione di un comando che è
vincolante dal punto di vista giuridico. Di solito la legge non entra in vigore al momento
della promulgazione; ad essa segue la vocatio legis che dà alla comunità la possibilità di
conoscere circa l'esistenza della nuova legge. Il periodo varia a seconda della legge
universali ho particolare o in base a quanto in esse stesse stabilito. Il modo di promulgare
le leggi e il tempo di vacanza sono regolati dal can. 8
Le Leggi universali sono promulgate negli Acta Apostolicae Sedis. Il periodo di vacanza
è di tre mesi da computarsi a partire dalla data del fascicolo di pubblicazione. Possono
essere previste modalità diverse di pubblicazione, come ad esempio sull’Osservatore
Romano, si tratta però di casi particolari. Il periodo di tre mesi è norma generale. La
stessa legge può stabilire un tempo più breve come anche più lungo.
5 marzo
LE LEGGI ECCLESIASTICHE
Can. 8
Si colgono così tre momenti nel processo attraverso il quale una legge viene alla nascita:
la fase istitutiva con la quale la legge nasce e viene posta in essere; la fase promulgativa
con la quale la legge è data come norma obbligante, la pubblicazione con la quale viene
portata a conoscenza della comunità.
È ovvio que questi tre momenti sono contestuali nel processo di formazione della legge
canonica ma è sempre utile dare uno sguardo più analitico per una maggiore
consapevolezza.
Can. 9
Si stabilisce il principio dell’irretroattività delle leggi. Tale principio ha grande valore
per la vita ecclesiale: è garanzia di sicurezza nei rapporti interpersonali e giuridici. Non
esclude tuttavia, che in alcuni casi il legislatore possa ravvisare la possibilità di estendere
gli effetti della legge nuova al passato: ciò dovrà essere fatto nominatamente, afferma il
can. 9, indicando di volta in volta quando la legge si applica al passato. In questi casi non
vengono eliminati i diritti acquisiti (can. 4) bensì viene regolata in modo nuovo la
modalità di esercizio dei diritti o e delle facoltà acquisite...esempi di eccezioni alla
irretroattività:
Interpretazione dichiarativa, can. 16, S2. È il caso della interpretazione che riguarda una
legge passata. L’interpretazione dichiarativa di una legge non dubbia non crea diritto né
modifica gli effetti delle leggi. Il contenuto della dichiarazione ha però carattere
retroattivo.
Can. 1313, S1: il caso di applicazione della legge più favorevole in materia penale. Caso
di retroattività.
Can. 10
10
Anche nella Chiesa ci si è posti il problema degli atti compiuti contra legem ossia di come
valutare dal punto di vista giuridico gli atti posti in difformità a prescrizioni di legge
concernenti la capacità del soggetto, la sostanza, la forma o altro requisiti richiesti dalla
legge stessa.
Il can. 10 afferma che il Legislatore può fissare determinati requisiti e condizioni che
dovranno essere rispettati, pena la nullità dell’atto stesso.
Tale scopo si raggiunge con le leggi irritanti o inabilitanti. Sono irritanti o inabilitanti
quelle leggi che stabiliscono la nullità dell’atto posto in difformità con la disposizione
legislativa o l’inabilità della persona a porre un determinato atto.
La violazione delle leggi irritanti e inabilitanti rende nullo l’atto posto. È di facile
comprensione la differenza: nel caso di leggi irritanti queste concernono l’atto
dichiarandone la sua nullità se posto in dissonanza con certi requisiti.
L’assenza di tali requisiti o dell’abilità della persona renderà nullo l’atto solo se ciò è
espressamente affermato dalla legge. In assenza di tale statuizione l’atto rimane valido
anche se illecito.
Viene adottata la regola generale che dispone la validità dell’atto contra legem salvo
espressa previsione normativa. È una esigenza di fermezza del diritto.
Can. 11
Il canone determina i soggetti passivi delle leggi ecclesiastiche e, dal testo, si evincono
tre criteri di assoggettazione:
1. Criterio ecclesiologico
2. Criterio psicologico
3. Criterio cronologico
1. Criterio ecclesiologico.
Il primo criterio afferma che sono soggetti alle leggi ecclesiastiche coloro che sono stati
battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti. Con l’espressione vel in eadem recepti
ci si riferisce a coloro che sono stati battezzati in confessioni cristiane acattoliche e
successivamente sono entrati a far parte della compagine ecclesiale secondo i tre vincoli
di appartenenza dati dal can. 205: il vincolo della professione della fede, dei sacramenti
e del governo ecclesiastico.
2. Criterio Psicologico
Tale criterio afferma che, chi non ha un sufficiente uso di ragione è escluso
dall’osservanza delle leggi ecclesiastiche. Questo perché lo stato psicologico di un
soggetto può non permettere di poter sentire come obbligante una legge o può anche
essere in condizioni di non osservarla. Il canone non dice che la mancanza dell’uso di
ragione toglie l’obbligo dell’osservanza ma dice che non si è sudditi della legge. Non si
tratta di dispensa ma di esenzione.
Tale contesto porta alla nostra considerazione il caso degli intervalli lucidi e stati di
demenza transitoria. Come considerarli? Il legislatore ha voluto considerare come
prevalenti gli stati di non uso di ragione e quindi di non assoggettare mai tali soggetti,
anche se transitoriamente sarebbero capaci in relazione all’intervallo di lucidità.
3. Criterio cronologico
Tale criterio afferma, in via generale, che si è tenuti ad osservare le leggi ecclesiastiche
se si sono compiuti i sette anni di età. Si tratta di una condizioni cumulativa a quella
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dell’uso di ragione. Le due condizioni devono essere presenti in modo simultaneo: per
essere sottomessi alle leggi ecclesiastiche non basterà aver compiuto i sette anni ma sarà
altresì necessario aver l’uso della ragione.
Cann. 12-13
Le leggi sono sempre di natura personale perché raggiungono la persona e ad essa si
rivolgono. Tuttavia l’uomo esiste nello spazio e nel tempo. La sua attività può estendersi
oltre l’ambito diocesano, nazionale: come dovrà comportarsi in simili situazioni?
Il principio di personalità delle leggi consiste nel prendere come punto di partenza una
determinata qualità della persona: il fatto di possedere o no tale qualità rende la persona
assoggettabile o meno a tale legge. Siccome tale qualità è portata dalla persona con sé, si
dirà che tali leggi adhaeret ossibus, obbligando la persona ovunque ella va.
Il principio di territorialità rende sudditi di una legge per effetto del domicilio o quasi-
domicilio in un determinato territorio. Il territorio è un fatto a cui il Legislatore ha annesso
determinati effetti giuridici, primo fra tutti la sudditanza ad una legge.
Si è pertanto sottoposti alla legge in quanto si è nel territorio; fuori del territorio non si è
più sudditi di dalle legge.
Can.12 SS 1-2.
Le leggi universali obbligano in tutta la Chiesa tutti coloro per i quali sono date. Appunto
perché universali sono per tutta la Chiesa. Ma non tutte le leggi universali -come già
accennato- sono per tutti i fedeli. Di fatto possono riguardare solo alcune categorie, in tal
caso si parla di leggi speciali. Per il fatto che possono riguardare solo un settore del popolo
di Dio tali leggi non cessano di essere universali né diventano per questo personali.
s3. Le leggi particolari territoriali sono quelle date per un determinato territorio. Ad esse
si è assoggettati in forza del domicilio o quasi-domicilio. Essendo territoriali si è tenuti
all’osservanza se di fatto si vive in quel territorio.
Can 13.
Intende offrire alcuni ulteriori criteri per una corretta applicazione dei suddetti principi.
Si distinguono così i forestieri (peregrini) dai girovaghi (vaghi).
Il forestiero è colui che si trova fuori sede non sono obbligati alle leggi del loro territorio
fintantoché sono assenti, con ovviamente l’eccezione che la trasgressione possa recare
danno alla comunità a cui si appartiene, anche se compiuta fuori territorio. I forestieri, in
linea generale, sono tenuti alle leggi del territorio in cui si trovano.
I girovaghi sono tenuti sia alle leggi universali che a quelle particolari vigenti nel territorio
in cui si trovano. Non avendo né domicilio né quasi domicilio, diventerebbero altrimenti
senza legge, almeno quelle particolari e ciò costituirebbe un vuoto legislativo.
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Can 14.
Una delle caratteristiche fondamentali delle leggi e l'alloro certezza. Il Legislatore,
dovendo normare i comportamenti della comunità, non può non volere leggi chiare e
certe. Tuttavia, essendo leggi generali e astratte, si possono verificare nei fatti delle
situazioni nuove ed impreviste che non rientrano nella formulazione generale della legge.
A volte la stessa formulazione della legge può essere non tanto accurata e presentare
aspetti oscuri per cui la loro comprensione non è chiara e certa. Può capitare, così, che la
legge risulti dubbia.
Dubbio di fatto: si ha quando, pur essendo la legge è chiarissima e cerca in se stessa, non
si conosce bene e in modo certo la situazione concreta, per cui non si sa se tale situazione
rientra o no nella norma.
Dubbio di diritto: si ha quando il dubbio riguarda l'esistenza stessa della norma (per esse.
Se è entrata in vigore o no, la sua estensione, se sia cessata o meno) o sulla sua portata di
significato. Si dice di diritto perché il dubbio riguarda la norma stessa come forza
giuridica vincolante il comportamento. Il dubbio può riguardare la norma nella sua totalità
oppure soltanto un suo aspetto.
Dubbio Positivo: quando si hanno motivi oggettivi reali per dubitare del fatto o della
norma che regola il fatto.
Dubbio Probabile: I motivi che fanno sorgere il dubbio debbono essere di una validità
tali che pur non raggiungendo la certezza morale, sono di un grado di probabilità per cui
l’opinione opposta, pur essendo probabile, non ha rilievo di certezza e non prevale sul
dubbio.
Si segnala altresì che il dubbio positivo e probabile non nasce da contestazione personale
ma dagli esperti del diritto che devono considerarla come tale, ossia dubbia.
Si stabiliscono i seguenti principi:
Le leggi dubbie di diritto non urgono, non sono obbliganti. È come se non esistessero e
si applica il noto principio lex dubbia lex nulla. Il principio riguarda anche le leggi irritanti
e inabilitanti. In riferimento a tali leggi se il dubbio riguarda l’aspetto irritante o
inabilitante e non il contenuto percettivo o proibente, allora tali leggi urgono non sotto il
primo aspetto bensì soltanto nel loro contenuto normativo.
Nel dubbio le leggi urgono ma tale dubbio si può ricorrere all’Ordinamento per Ottenere
la dispensa.
Can 15.
Dal dubbio si distinguono l’ignoranza e l’errore.
L’ignoranza è la semplice assenza di conoscenza della legge, mentre l’errore è un giudizio
falso sulla legge.
Anche se sono esperienze diverse esse hanno la medesima radice: nascono dalla non
conoscenza esatta della legge.
L’ignoranza o l’errore non sono considerate cose ovvie dal Legislatore visto l’obbligo di
tutti i battezzati di conoscere le leggi che normano la vita ecclesiale. Tuttavia non sono
rari i casi in cui la legge è ignorata o conosciuta male e anche tale ipotesi è prevista dal
Legislatore.
La legislazione tiene due livelli di considerazione e stabilisce norme diverse a seconda
che si tratti di leggi irritanti o inabilitanti o altre tipologie di norme.
L’ignoranza legis è definita come una carenza di scienza che riguarda l’esistenza, la
natura, l’estensione, la portata o la comprensione della legge per cui non si è in grado di
intendere che la propria condotta con i suoi effetti sono contrato alla legge. L’ignoranza
può essere parziale della legge, nel secondo caso se ne ha una conoscenza parziale; pur
essendo tale conoscenza sufficientemente precisa non si è però in grado di comprendere
che il proprio comportamento viola la legge.
Il soggetto è in grado di valutare gli effetti mescenti dalla propria condotta ma non è in
grado di valutare il carattere antigiuridico e quindi tali effetti vengono erroneamente
considerati conformi alla legge.
14
In sintesi affermiamo che l’ignoranza vincibile dipende dalla volontà del soggetto che
non ha voluti informarsi o non ha fatto quanto poteva e doveva, mentre l’ignoranza
invincibile è indipendente dalla volontà del soggetto ed è sempre voluta, direttamente o
indirettamente, e quindi colpevole, in quanto é voluta la causa dell’ignoranza.
Esso dispone che l’ignoranza e l’errore circa le leggi irritanti e inabilitanti non
impediscono l'effetto delle medesime, a meno che non sia stabilito espressamente altro
(S1). Data la particolare natura di tale leggi si esige la massima certezza nella loro
applicazione. Tale cosa sarebbe impossibile se la loro efficacia dipendesse dalla
conoscenza dei sudditi.
Se l’ignoranza verte invece su altre leggi o su altri fatti l’atto posto, sia pure per ignoranza,
ha la sua efficacia in quanto la legge non lo rende nullo.
Il S2. Offre dei criteri di presunzione. La presunzione consiste in una presa di posizione
della legge che stabilisce un criterio di verità come punto di riferimento che rimane valido
finché non sia provato il contrario.
Presunzioni iuris tantum. si ammette la possibilità della prova contraria. Presunzioni iuris
et de iure non è ammessa prova contraria. Il codice attuale parla solo di presunzioni senza
specificarne la natura.
Due sono le ipotesi circa la presunzione: l’ignoranza o l’errore circa un fatto personale
o un fatto notorio di altri non si presumono. La ragione è evidente. Il Codice dà per
assodata la conoscenza dei fatti che riguardano la nostra vita e dei fatti notori della vita
altrui. Attenzione però all’espressione: non è detto che si presume la conoscenza ma che
non si presume l’ignoranza o l’errore. È aperto ad esaminare gli elementi così come si
presentano.
La presunzione di ignoranza è invece stabilita per un caso solo: un fatto non notorio di
altri. Tale presunzione è iuris tantum e ammette la prova contraria. L’onus probandi cade
su chi vuole dimostrare il contrario. Esse: impedimenti matrimoniali, agli ordini sacri.
Can. 16-18
Una delle legge esigenze fondamentali dell’ordinamento è quella della retta e giusta
interpretazione della legge. Essa costituisca una delle attività più importanti che il
canonista è chiamato a fare.
Le regole fondamentali per l’interpretazione delle leggi sono date dai cann. 16-18 e sono
il risultato di una lunga tradizione dottrinale in materia. In molti casi non si pongono
particolari problemi interpretativi perché il testo è chiaro e certo; può darsi tuttavia il caso
in cui si verificano delle incertezze.
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La dottrina distingue diversi tipi di interpretazione: autentica, dottrinale, stretta, larga,
restrittiva, estensiva. Torneremo sull’interpretazione autentica.
L'interpretazione restrittiva vedrebbe come tale solo che ha emesso la professione solenne
mentre quella estensiva anche il professo temporaneo.
La dichiarativa riguarda una legge in sé chiara si dice dichiarativa mentre se riguarda una
legge dubbia si ha la costitutiva. In questo secondo caso l’interpretazione è nuova legge.
Ciò premesso entriamo nello specifico del can. 16 che riguarda l’interpretazione
autentica.
Can. 16
L’interpretazione autentica si impone con lo stesso valore della legge. Essa può essere
data solo dal Legislatore o da chi ne abbia la potestà in virtù di una concessione. Quando
si parla di Legislatore non si fa riferimento al soggetto bensì all’Ufficio che ha
competenza sulla Legge. Può essere infatti anche il successore.
Trattandosi di potestà legislativa, dobbiamo richiamarci per attimo al can. 135 s.2 che
stabilisce come la potestà legislativa non può essere delegata se non è disposto
esplicitamente altro dal diritto. Ciò vale per la autorità inferiori alla Sede Apostolica per
la quale, invece, è stato istituto il Pontificio consiglio per i testi legislativi. La sua
competenza non è limitata all’interpretazione del codice ma di tutta la normativa della
Chiesa.
16
L’interpretazione autentica può essere fatta in una triplice maniera: a modo di legge, a
modo di sentenza giudiziale, a modo di atto amministrativo. Si noti l’espressione a modo
di.
Con essa si vuole indicare che propriamente non è una legge, né una sentenza, né un atto
amministrativo. Si intende invece affermare che l'interpretazione è contenuta in un atto
che è emanato come una legge, sentenza o atto amministrativo.
L’interpretazione per modum legis ha la medesima forza della legge. Tale interpretazione
è soggetta all’iter delle leggi e quindi anche alla promulgazione. Se si tratta di
interpretazione dichiarativa allora non è sottoposta alla vacatio legis ed ha valore
retroattivo: dichiara soltanto una legge certa già esistente, non vi aggiunge nulla. Se
invece si tratta di interpretazione restrittiva o estensiva allora si tratta di una vera e propria
legge in quanto aggiunge qualcosa di nuovo, estendendo o restringendo la portata della
legge. Se non è disposto altrimenti non è prevista la vacatio legis.
Can. 17.
Viene anzitutto offerto un criterio unico: le leggi ecclesiastiche sono da intendersi
secondo il significato proprio delle parole, considerato nel testo e nel contesto. Gli altri
criteri sono sussidiari e vengono in aiuto quando il primario non è sufficiente. La dizione
del can. 17 non lascia dubbi: …che se rimanessero dubbie e oscure, si deve ricorrere…
Criterio primario: è il senso proprio delle parole. Viene perciò escluso il senso metaforico
e traslato. Tuttavia il senso proprio suo essere molteplice a seconda che si intenda quello
etimologico, usuale, tradizionale o giuridico. Non necessariamente il senso proprio indica
un senso univoco. È ovvio che il primo senso è quello giuridico. Rimane però aperta la
possibilità anche per gli altri sensi propri.
Il senso si cerca poi nel testo e contesto, cioè nel testo della legge stessa intesa però nel
contesto delle altre leggi ed in relazione alla semantica codiciale: il Codice può essere
visto come una legge unitaria.
Mens Legislatoris: si parla in questo caso di interpretazione soggettiva che non va intesa
come fatto soggettivo del Legislatore stesso. Si tratta di uno stile che si addice ad un
pontificato, in base ad elementi aggetti che caratterizzato anche le leggi. A tale
interpretazione soggettiva si oppone quella oggettiva che considera maggiormente il testo
legislativo come distinto dal suo autore e circostanze. L’interpretazione oggettiva rende
della realtà ecclesiale. Tale criterio va utilizzato quando i testi dei lavori preparatori si
discostano dal Codice promulgato. (Cfr. Esempio dei diaconi permanenti e della
possibilità di risposarsi se rimasti vedovi dopo l’ordinazione: il lavori preparatori lo
consentivano, il Codice no).
Si ricorda che i criteri sussidiari sono utilizzabili solo quando il criterio primario Nan
rende la legge chiara e certa. Il significato della legge, infatti, va desunto dal testo e dal
contesto della stessa.
Can. 18
17
Interpretazione stretta: in alcuni casi il Legislatore chiede una interpretazione stretta della
legge. Sono tre casi:
a) Le Leggi Penali: con l’interpretazione stretta della legge penale la sua portata è
limitata e sono minori le possibilità di incorrervi. Di per sé l'interpretazione stretta
non coincide con la più benevola.
b) Più difficile determinare la portata delle altre due ipotesi: di fatto ogni legge
restringe il libero esercizio dei diritti. Possiamo dire che vi sono leggi che autorizzano
o riconoscono uno spazio di libero esercizio dei diritti. Tali diritti possono avere delle
restrizioni e le leggi che impongono tali restrizioni sono sottoposte ad interpretazione
stretta.
c) Quando al terzo caso, l’eccezione alla legge esse sono le leggi speciali che derogano
a quelle generali. In tal caso la legge generale già prevede la possibilità di una
restrizione. L’eccezione è da ritenere in senso stretto.
Can. 19
Il Legislatore, per quanto attento, non potrà mai normare tutte le fattispecie che la vita
concreta di una comunità e il correre dei tempi possono costituire. Si può verificare,
quindi, un vuoto legislativo o lacune dell’ordinamento per cui si impone la necessità di
integrare i comandi legali. Le lacune legislative sono inevitabili per i motivi detti. Il
Legislatore offre i criteri per simili casi nel can. 19, sono criteri suppletivi:
a) Le leggi date in casi simili si tratta di tener presente una legge che norma un caso
simile. Si parla di analogia legis. La questione si complica quando mancano anche
leggi per i casi simili. Si dovrà ricorrere alla
b) Analogia Iuris: è il riferimento ai principi generali del diritto come la rationalitas, il
bene delle anime, la dignità del cristiano in forza del battessimo, la collegialità
episcopale, solo per indicarne alcuni. Sono come degli orientamenti che stanno alla
base di diritto l’ordinamento canonico, tali principi vanno applicati con equità.
c) La giurisprudenza, rotale in modo particolare.
d) Il modo di sentire comune dei dottori e della tradizione canonica.
Cann. 20-21
L’abrogazione si verifica quando la legge viene cancellata in toto, la deroga quando
invece modifica na parte. Il can. 20 prevede 3 modi di abrogazione e deroga:
a) Menzione espressa: in questo caso l’abrogazione o la deroga sono espressamente
poste nella legge posteriore, anche se può dirlo in modo implicito (ricordiamo il
termine espressamente non significa solo esplicito anche implicito).
b) È direttamente contraria: si ha tale caso quando l’osservanza della norma posteriore
è esclude quella della norma anteriore. Si tratta di incompatibilità di norme che può
vertere su tutta la legge (abrogazione) o su parte (deroga).
c) Riordinamento integrale della materia: si riprende in mano tutta la materia e quindi
si ha una nuova legislazione. La precedente si considera abrogata o derogata.
Il can 20, nella seconda parte, stabilisce un criterio suppletivo: la legge universale non
deroga al diritto particolare a meno che non sia disposto espressamente. Questo per motivi
già visti: il legislatore universale non può avere in mente e conoscere tutte le situazioni
della Chiesa, rimanda perciò ai legislatori particolari il dovere di normarli.
18
El can. 21 ci fa capire il principio secondo il quale , nel caso di successione di leggi net
tempo, l’abrogazione della precedente non si presume affatto ma deve essere indicata.
Questo perché non necessariamente le leggi che normano la stessa materia vertono sui
medesimi ambiti. Si potrebbe trattare di un ampliamento do estensione della disciplina
già vigente.
Can. 22: la Chiesa è autonoma nel proprio campo ed è libera da ogni legislazione esterna
per quanto riguarda la sua vita interna. Tuttavia nel tempo la Chiesa ha sempre mostrato
interesse per le leggi civili: i fedeli sono anche contemporaneamente cittadini di uno
Stato. Non di rado la Chiesa ha accolto e coglie le norme che ritiene valide anche per il
suo ordinamento. Tale fenomeno si chiama canonizzazione: con tale processo una legge
che appartiene ad un altro ordinamento viene fatta propria dalla Chiesa che le dà valore
facendola divenire anche sua legge. Spesso ciò accade nella normativa sui beni temporali
(Lib. V)
Abbiamo due limiti: le leggi statali non devono essere contrarie al diritto divino o a
disposizioni del diritto canonico. Dalla armonisia ione si differenzia il semplice richiamo
all'osservanza delle leggi statali
Cann. 23-28:
Il tema della consuetudine è stato sempre oggetto di vivace discussione e interesse da
parte della dottrina. La consuetudine si definisce quale norma oggettiva non scritta
introdotta dalla prassi della comunità. La consuetudine deriva dal diritto romano, per lo
più consuetudinario. È solo nel 1234 che Gregorio IX, nella Decretale Quun tanto, dà
ufficialmente spazio alla consuetudine nell'ordinamento della Chiesa, considerandola a
pieno titolo come fonte del diritto a condizione, però, che sia ragionevole e
legittimamente prescritta.
La consuetudine è stata discussa in dottrina perché non sarebbe fonte certa e stabile del
diritto ma provocherebbe una realtà fluttuante e indecisa. (Cfr. Wernz) mentre altri la
vedono necessaria solo in caso di insufficienza della legge (Cfr. Michiels).
Cann. 23-28
La tradizione canonistica, pur non riconoscendo la volontà popolare quale fonte del diritto
e della legge, ha dato grande rilievo al fenomeno consuetudinario. Vi è chi vede nella
consuetudine la possibilità di inculturazione giuridica del messaggio evangelico e di
adattamento della legge universale alle varie realtà particolari. Laddove ciò avvenisse
solo attraverso interventi legislativi si avrebbe il rischio di una lentezza pericolosa e
dannosa per la comunità stessa.
Parte della dottrina sostiene che tale fondamento sia rinvenibile nel sensus fidei fidelium,
nella capacità da parte del Popolo di Dio di cogliere la verità di fede. Il popolo di Dio
sarebbe abilitato dallo Spirito Santo non solo a cogliere l verità teologica ma anche la
concretizzazione pratica di quanto intuito.
19
Tale attualizzazione pratica sarebbe appunto la consuetudine. A sostegno di quanto
appena affermato viene invocata la Dei Verbum dove si afferma che il sensus fidelium si
realizza pienamente sotto la guida dei pastori.
Tale proposta seppur pregevole, ha dei limiti: non possiamo trasporre nella consuetudine
tutto il contenuto teologico del sensus fidelium che è una realtà propria della Chiesa
universale con un contenuto immutabile, mentre la consuetudine si muove su un piano
contingente e muta con le circostanze. Resta però il fatto che il battezzato può cogliere la
verità di fede che potrà sentire come ragionevole e giuridicamente vincolante.
S. Tommaso: il fedele attraverso il suo comportamento ripetuto nel tempo può individuare
enucleare ed esprimere principi giuridici vincolanti che arrivano a creare nuovo diritto
modificando il precedente.
Can 23.
Tale canone afferma che la consuetudine si struttura per la compresenza di una causa
materiale, rinvenibile nel comportamento della comunità e di una causa formale,
rinvenibile nell'intervento del Legislatore.
La consuetudine acquista forza di legge per un concorso di volontà dei fedeli che si
esprime attraverso un certo comportamento e l'intervento autoritativo del Legislatore che
si esprime attraverso l'approvazione. La tradizione della Chiesa ha sempre distinto
un'approvazione specifica da un'approvazione legale o generica. Quella specifica si
verifica allorché il legislatore, venuto a conoscenza di un certo uso, lo fa proprio,
approvandolo come vera legge anche prima del decorso del tempo stabilito.
Can. 24
Tra i requisiti previsti per approvazione legale si fa menzione della conformità al diritto
divino e della razionalità.
Il primo requisito è evidente nella sua enunciazione e nella sua necessità. Nessuna legge
umana può essere contraria al diritto divino inteso quale nucleo irreformabile della
rivelazione in tema di fede e costumi (pensiamo a consuetudini che introducono la
simonia o l'usura).
Can. 24
20
Cosa vuol dire che tale consuetudine deve essere razionale? Si intende che essa deve
essere congruente al bene comune, ovvero che tale consuetudine potrà ricevere
approvazione legale quando rappresenta un vero incremento al conseguimento di
un'utilità sociale e del bene dei fedeli.
Si richiede che tale consuetudine sia osservabile non può presentarsi ultra vires
comandando qualcosa di impossibile. Ciò costituirebbe una norma assolutamente
irragionevole e non avrebbe alcun carattere di cogenza.
Es: la consuetudine che toglie libertà al vescovo di scegliersi i collaboratori nella visita
pastorale è riprovata, la scelta di due amministratori diocesani, parroci... è riprovata.
L'introduzione di nuovi impedimenti matrimoniali per consuetudine è riprovata ... ecc.
Can. 25
Continua l'elencazione dei criteri per cui la consuetudine può diventare legge. Afferma:
nessuna consuetudine ottiene forma di legge se non sarà stata osservata da una comunità
capace almeno di ricevere una legge, con l’intenzione di introdurre un diritto.
Come individuare tale comunità? Si deve trattare di una comunità a capo della quale vi
sia chi detiene la potestà legislativa: deve trattarsi di una vera comunità per la quale sia
configurabile la promulgazione di una legge, comunità che per sua natura deve avere
norme giuridiche. Si richiede una realtà stabile, istituzionalizzata comporta in modo
omogeneo in rapporto allo scopo che si prefigge, identificabile a prescindere dalle
persone che la compongono.
Can 26.
Tale canone si riferisce alla approvazione legale. Si stabilisce che la consuetudine riceve
approvazione generica o legale quando osservata dalla comunità almeno per 30 anni
consecutivi.
21
Tale tempo è richiesto perché possa manifestarsi con certezza l'intenzione da parte della
comunità di introdurre un nuovo diritto vincolandosi ad esso. I trent'anni devono
trascorrere senza interruzione da parte delle comunità che non deve interrompere l'uso in
corso mediante atti contrari alla consuetudine che sta sorgendo.
Il tempo va computato dal momento in cui la maggior parte della comunità osserva tale
comportamento che è già divento stabile. Se il decorrere del tempo viene interrotto esso
può riprendere dal momento in cui la comunità si riappropria di tale uso.
Can. 27
Tale canone è di forte tradizione romanistica. Nel diritto romano la legge nasceva dalla
consuetudine ed è quindi normale che essa presentasse una grande forza interpretativa nei
confronti della legge.
Tale canone per essere rettamente inteso va interpretato nel senso che laddove la comunità
tende a tenere una certa condotta in conformità ad un disposto legislativo, tale
comportamento è particolarmente utile per interpretare la legge stessa ed evincerne il suo
significato adeguato.
Can 28.
Tale canone determina la revoca della consuetudine disponendo che, fermo restando il
can. 5, la consuetudine contro e fuori la legge è revocata per mezzo di consuetudine o
legge contraria; se però non si fa espressa menzione la legge non revoca la consuetudini
centenarie o immemorabili, né la legge universale revoca quella particolare.
Cann. 29-30
Tale canone offre la definizione dei Decreti Generali e la loro regolamentazione. Si
afferma che essi sono disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una legge.
Il can. 30 specificherà subito che può emanarli sono chi detiene la potestà legislativa; esso
hanno tutte le caratteristiche delle leggi, se si esclude l'aspetto formale.
Can. 30
Prevede la possibilità della delega con tali parole: “a meno che in casi particolari a norma
del diritto ciò non gli sia stato espressamente concesso dal Legislatore competente, e
adempiute le condizioni stabilite nell’atto della concessione”.
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La delega è possibile; per il legislatori inferiori la possibilità è solo all’interno della norma
canonica e per di più ciò tocca la validità della delega stessa. Tale delega è prevista per
casi particolari. Essa deve essere data espressamente e l’emanazione del decreto deve
rimanere nell’ambito di tale delega e nelle condizioni stabilite da essa.
Le conferenze Episcopali hanno il potere, con quorum stabiliti, di emanare tali Decreti in
determinate materie prevista dal codice e anche in altri ambiti, ottenuto il mandato della
Sede Apostolica.
Cann. 31-33
Dai decreti generali si distinguono i decreti generali esecutivi. Essi sono veri e propri atti
della potestà esecutiva. La legge si presenta sempre, nella sua formulazione, come
generale ed astratta e non può che essere così. Gli Ordinamenti, in virtù di tali
caratteristiche delle leggi, hanno sempre avuto la necessità di emanare atti propri del
potere esecutivo che avessero come scopo quello di dettagliare la legge, di chiarirla e
individuare le modalità di applicazione e le procedure stabilite.
Tali decreti determinano i modi da osservarsi nell'applicare le leggi. Essi hanno come
presupposto l'esistenza delle leggi e non hanno vita autonoma. Sono emanati da colui che
detiene la potestà esecutiva (Romano Pontefice, Curia Romana, Vescovi, Superiori
Religiosi, Vicari Generali, Episcopali). Anche se non sono leggi per essi si stabilisce la
promulgazione, la vacanza secondo il can 8. Non si applicano ad essi le altre norme
relative alle Leggi.
Can. 32
I decreti generali esecutivi obbligano coloro che sono tenuti alle Leggi. Tali decreti non
possono derogare alle leggi e se sono ad esse contrari sono nulli. Se la legge viene
abrogata anche loro perdono il loro valore, non avendo vita autonoma dalla legge a cui
fanno riferimento.
Tali decreti non cessano, invece, con il venir meno del Superiore che li ha emanati.
Possono essere revocati pur rimanendo in vigore la legge a cui fanno riferimento. Le
Conferenze Episcopali possono anche emanare Decreti Generali esecutivi ed Istruzioni.
Can. 34
Le Istruzioni rendono chiare le disposizioni di legge e sviluppano i procedimenti per la
loro applicazione. Esse non intendono. come i decreti generali, creare un diritto oggettivo
nuovo ma solo rendere chiare le disposizioni che esistono e precisare le procedure
applicative. Esse non riguardano la comunità ma coloro che devono applicare il diritto.
Cann. 35-93
Il campo dove la potestà amministrativa occupa uno spazio notevole e quello degli atti
amministrativi singolari. In essi vi sono compresi i decreti, i precetti, i rescritti, i privilegi,
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le dispense. Un vasto settore dove si manifesta l'aspetto pastorale dell’autorità
ecclesiastica.
In tali interventi singolari la rigidità della norma, generale ed astratta, viene messa al
servizio delle esigenze dei singoli e degli specifici casi. Con gli atti amministrativi
singolari le leggi vengono applicate ai casi particolari. Con essi l'autorità interviene nel
caso concreto anche verso la sua sensibilità che implica il buon governo, la sensibilità
pastorale e culturale, la conoscenza degli strumenti a disposizione. Sicuramente nella
funzione amministrativa è chiamato in campo l'aspetto umano che non va sottovalutato.
Si parla di discrezionalità dell'autorità nell'esercizio della potestà esecutiva: tale
discrezionalità non va mai confusa con l'arbitrio.
Can. 35.
I diversi atti amministrativi singolari hanno ciascuno un significato e delle caratteristiche
peculiari che esigono una regolamentazione propria. Hanno però degli elementi in
comune che sono normati da medesime norme che vanno dal can. 35 al can. 47.
Trattandosi di atto amministrativo esso può essere emanato nell'ambito della propria
competenza, sia rispetto alle persone che al territorio ma soprattutto rispetto alla legge.
Can. 36.
Anche per gli Atti Amministrativi singolari sono vigenti i cann. 17-18 circa
l'interpretazione della legge; vi sono però aspetti propri che tengono in considerazione la
particolare natura dell'atto amministrativo.
Il criterio fondamentale per cogliere il senso del testo è il senso proprio delle parole. Non
si parla di testo e contesto perché l'atto amministrativo si esamina nella sua singolarità e
non ha un contesto come un codice o altro. Viene aggiunto invece come criterio
interpretativo l’uso comune di parlare con tale espressione va intesto in primis il senso
giuridico dei termini ma anche quello non tecnico. Tale criterio è primario.
Se questo non dovesse bastare abbiamo il criterio sussidiario. A seconda dei casi
l'interpretazione può essere stretta o larga.
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Va notato che il criterio sussidiario si potrà utilizzare solo quando il primario non dirime
la questione sul senso autentico del testo dell'atto amministrativo.
Va sempre ricordato che qualora fossero problemi interpretativi nonostante il criterio
primario e secondario si può ricorrere al all’autorità perché tale senso sia chiarito in
modo definitivo.
Can. 37
Gli atti amministrativi vanno posti, generalmente, in forma scritta. Essi sono dati per il
foro esterno e la forma scritta è il modo per provare la loro esistenza. A norma però del
can. 10 la forma scritta non è in via generale per la validità a meno che non sia
espressamente previsto da altre prescrizioni (es. Can. 54).
Can. 38
Tale canone evidenzia i limiti dell'atto amministrativo. Il legislatore stabilisce che l'atto
amministrativo è privo di effetto: nella misura in cui lede un diritto acquisito. Essi sono
salvaguardati dal can. 4.
Essa è fonte di legge mano che l'autorità competente abbia posto clausola derogatoria: si
suppone che tale autorità competente sia la stessa che detiene la potestà legislativa
concedendo essa la deroga al caso singolo. Tale deroga deve essere espressamente
introdotta nel testo dell'atto.
Can. 39
Il canone fa riferimento alle condizioni che il superiore può inserire nell'atto
amministrativo singolare. Non si tratta ne di “elementi costitutivi ne di forma essenziale”.
Emanando l'atto il superiore pone delle condizioni che devono essere adempiute. In taluni
casi le condizioni sono di tale importanze che il superiore subordina la validità stessa
dell'atto amministrativo al verificarsi o meno di determinate condizioni. Tali condizioni
sono introdotte dalle particelle
Ovviamente il superiore non è vincolato all'uso di tali particelle per stabilire che le
condizioni sono poste per la validità. Può dirlo, ad esempio, in modo esplicito. Rimane
fermo il principio del can. 10: laddove la nullità non risulti expresse l'atto dovrà essere
sempre considerato valido.
Cann. 40-45
Esecuzione degli atti amministrativi singolari.
L'atto amministrativo può essere emanato in forma graziosa o commissoria. Nella forma
graziosa abbiamo un esecutore necessario in quanto egli non ha altro compito che quello
di eseguire la decisione già presa; la stessa autorità che pone l'atto non si serve di
intermediario: l'atto amministrativo esiste dal momento che lo emette l'autorità
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competente. Se c'è un intermediario questi ha un valore meramente esecutivo, cioè di
trasmissione o comunicazione dell'atto.
In non pochi casi si ha anche la forma commissoria: qui il superiore, per esempio per
lontananza, non sempre conosce bene le situazioni. In tali casi l'autorità affida l'incarico
ad un'altra persona di emanare l'atto amministrativo, verificate le condizioni. Abbiamo la
forma commissoria. L'atto non è emesso dall'autorità competente ma da quella che riceve
l'incarico.
Can. 40
L'esecutore non esegue validamente un atto amministrativo di qualsiasi genere se prima
non ha ricevuto la relativa lettera e ne ha verificato l'autenticità e integrità. Si tratta di atti
della pubblica amministrazione e quindi hanno le loro formalità. Altri modi di
trasmissione sono possibili ma solo in via eccezionale e purché siano stabiliti dall'autorità
competente nell'atto di emanare il documento.
Can. 41
Obbligo di esecuzione. L'esecutore in certi casi può e in altri deve rifiutare o sospendere
l'esecuzione.
a) Quando l'atto appaia in modo manifesto che è nullo o per latra grave causa non può
essere sostenuto oppureò che le condizioni apposte non sono state adempiute.
b) Deve interrompere se l'esecuzione è inopportuna a motivo delle circostanze di
persona o di luogo, come per esempio se una concessione può destare scandalo o non
essere compresa.
c) Nel caso di rifiuto o di sospensione si deve ricorre all'autorità che ha emesso il
decreto. Essa può modificare, revocare o confermare l'atto
Can. 42
Ove si stabilisce un rapporto non meramente esecutivo ma commissorio l'esecutore deve
procedere a norma del mandato ricevuto dalla competente autorità.
La validità dell'esecuzione viene compromessa soltanto la dove si tratti di condizioni
essenziali apposte nella lettera o che si tratti di procedura sostanziale.
Cann. 43-44
Il codice prevede anche la possibilità di un sostituto nell'esecuzione. Si prevedono dei
limiti:
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Cann. 48- 58.
Vi sono due tipologie di atti amministrativi: i precetti ed i decreti; i rescritti. La distinzione
è fatta in base al soggetto che prende l'iniziativa: se l'atto amministrativo è stato richiesto
abbiamo il rescritto il cui contenuto come vedremo, può essere vario se l'atto procede
dall'iniziativa dell'autorità abbiamo il decreto.
Can. 48
Trattiamo in questo caso del Decreto Singolare che va distinto da quello Generale di cui
già abbiamo parlato. Il decreto singolare è un atto amministrativo con il quale l'autorità
intende provvedere ad un caso particolare; l'oggetto è piuttosto ampio perché può trattarsi
sia di una decisione che di una provvisione. Si ha una decisione quando si pone fine ad
una controversia, si irroga o si dichiara una pena; la provvisione non si intende solo in
riferimento all'Ufficio Ecclesiastico ma qualsiasi altro provvedimento che non sia una
decisione (facoltà, etc. Viene posto un limite: si tratta di decisioni che non su alcuna
domanda, saremmo altrimenti nel campo dei rescritti.
Can. 49
Il precetto è sempre un atto amministrativo singolare. Cambia rispetto al decreto,
l'oggetto: con esso viene imposto ad una persona o ad un gruppo di persone determinato
che si faccia o si ometta qualcosa. Si tratta pertanto di una imposizione, di un ordine dato.
Non sembra esserci una particolare distinzione tra precetto e decreto; il precetto è una
forma d decreto.
Nel diritto penale il decreto si differenzia notevolmente dal precetto precetto costituisce
la pena, il decreto la irroga o la dichiara. Ricordiamo, ma lo vedrete nel corso di diritto
penale come anche con me in Processo penale canonico, che per decreto non possono
imporsi pene espiatorie perpetue, fatti salvi i casi del m.p. SST.
L'ascolto delle persone è determinato con l'inciso "per quanto possibile' il che rende
improbabile un esito positivo in caso di ricorso per tale motivo.
All obbedienza di tale norma va comunque subordinata la legittimità degli atti
amministrativi.
Can. 51
Richiede che le motivazioni del decreto sia espresse per iscritto. Ciò per evitare un puro
arbitrio nelle decisioni dell'autorità. Da tali motivazioni si può partire per un eventuale
ricorso.
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Le motivazioni, essendo un decreto, devono essere poste in modo sommario; o meglio: il
codice pone come condizione sufficiente la loro sommaria esposizione. La forma è
ordinariamente quella scritta.
Can. 52.
I decreti toccano le persone in quanto tali: hanno carattere personale e obbligano solo le
persone per le quali sono stati dati e per le relative materie. Le persone ne sono soggette
anche fuori del loro territorio. Il decreto e il precetto stabiliscono un rapporto personale
tra superiore suddito, anche al di fuori del territorio di giurisdizione.
Can. 53.
Prende in considerazione il caso in cui siano presenti più decreti; è il caso di più decreti
per la stessa materia che sembrano non essere concordi. Se si tratta di contrarietà tra
decreto generale e particolare prevale il particolare. Se si tratta di due decreti particolari
il posteriore prevale sul precedente. Tale norma non vale per il decreto o rescritto in
generale ma solo per la parte che non è conciliabile e per cui risultano contrari. Se i decreti
provengono da soggetti diversi prevale quello dell’autorità gerarchicamente superiore.
Can. 54
Tenendo sempre a mente la distinzione tra decreto grazioso e commissorio, in tale canone
si stabilisce il principio che ove non si tratti di una pura esecuzione ma l'applicazione del
decreto si affida all'esecutore, il decreto ha effetto dal momento dell'esecuzione;
altrimenti il decreto è efficace nel momento in cui viene legittimamente notificato alla
persona interessata.
Cann. 55-56.
Vi possono essere delle ragioni gravissime per cui non risulta opportuno consegnare il
decreto scritto nelle mani della persona interessata che, ad esempio, potrebbe divulgarlo,
portarlo sul web, creare non comprensione nelle comunità. In tali casi e per causa
gravissima si può effettuare l'intimazione straordinaria del decreto. In tal caso è
sufficiente che il decreto venga letto all'interessato davanti al solo notaio oppure davanti
a due testimoni, redigere il verbale e farlo sottoscrivere a tutti i presenti.
Altra forma straordinaria è quella presunta, stabilita dal can. 56: se si verifica che il
destinatario non si presenti a ricevere il documento o si rifiuta di sottoscriverlo senza
giusta causa, in tal caso il decreto si ritiene intimato ugualmente salvo la possibilità di
provare il contrario. E necessario che egli sia stato chiamato con documento scritto e se
la mancata comparizione è per giusta causa (malattia) non si ha presunzione di
intimazione.
Can. 57
Si tratta di un nuovo canone che vuole provocare la pubblica amministrazione a non
dilazionare le decisioni e le risposte. Si prevedono due distinte ipotesi: vi sono dei casi in
cui la legge prevede l'obbligo di emettere il decreto a favore del fedele e dei casi nei quali
il fedele può chiedere un decreto all'autorità. In caso di richiesta da parte del fedele il
28
superiore deve emettere decreto entro tre mesi dalla richiesta. Il tempo stabilito non è ad
finiendam ma ad urgendam obbligationem il che significa che l'obbligo rimane anche se
trascorsi i tre mesi. Se entro tre mesi non si ha riposta, tale silenzio si interpreta
negativamente: si presume risposta negativa, si parla di silenzio-diniego.
Can. 58
Il decreto cessa con la revoca fatta dall'autorità competente o con la cessazione della legge
per la quale il decreto fu emesso Il precetto singolare cessa una volta che sia venuta meno
la potestà di chi lo ha emesso: questo però solo nel caso in cui il precetto non fu imposto
senza legittimo documento. Se il precetto fu imposto con legittimo documento esso
permane anche con il venir meno dell'autorità che lo ha emesso: tale precetto può cessare
solo per revoca o cessazione della legge, rientrando nella norma generale sui decreti.
Can. 59
Il Rescritto rientra nella più ampia categoria dell'atto amministrativo singolare. La
specificità è che essi presuppongono una domanda, una richiesta anche se il rescritto, a
volte, può produrre effetto verso coloro che non lo hanno richiesto.
Il rescritto ha come contenuto un privilegio, una dispensa o una grazia. Esso comprende
più fasi: la richiesta, la valutazione di essa e la risposta.
Possiamo avere rescritti secundum legem dove si concede qualcosa previsto dal diritto
Rescritti praeter legem dove si concedono indulgenze e titoli onorifici. Rescritti contra
legem quando vengono elargiti dispense o privilegi.
Cann. 60-62
Il rescritto può essere ottenuto da chiunque, anche se non in piena comunione con la
Chiesa. Un'eventuale proibizione deve essere pressa. Il rescritto può essere ottenuto per
sé e per altri senza il loro assenso e fatte salve le clausole contrarie. Il rescritto vale dalla
data che esso porta ed ha effetto dal momento in cui è firmata la lettera, se non vi un
esecutore, oppure dall'inizio dell'esecuzione.
Cann. 63 e 66.
Il Rescritto è in se qualcosa di anomalo ed occorrono ragioni per legittimarlo che devono
essere espresse nella richiesta. Tali ragioni sono motive o principali e impulsive o
secondarie a seconda del caso in cui esse vengono considerate come sufficienti per una
risposta positiva o invece possono solo concorrere a sostenere la ragionevolezza di una
richiesta, ma di per se sono insufficienti. Le motive sono ragioni valide e sufficienti; le
impulsive sono valide ma insufficienti. Più cause impulsive a volte sono considerate
sufficienti.
Quali siano queste cause va dedotto dal superiore. Il richiedente potrebbe presentare della
cause motive che non corrispondono a verità: si ha in caso potrebbe tacere cose che
devono essere espresse nella richiesta; si ha la subreptio. Un rescritto viziato da obreptio
o ha subreptio è nullo.
29
La surrezione o l’orrezione rendono invalido il rescritto anche se esse si presentano in
buona fede. Per dichiarare nullo il rescritto basterà constatare tale situazione.
Cann. 63 e 66.
Il can. 66 affronta la questione degli errori nel rescritto. Tale canone dispone che qualora
si tratti di errori riguardanti l'identità della persona che ha emesso il rescritto o del
destinatario, del suo domicilio il rescritto è ugualmente valido purchè comunque non ci
sia nessun errore circa la persona o il contenuto del rescritto Fa eccezione il caso in cui
l'errore sia frutto di orrezione: in tal caso il rescritto è nullo
Cann. 64 e 65
Si tratta della negazione di una richiesta e dei principi che si devono avere presenti per
salvare l'unità del Governo nella Chiesa. Come criteri base: l'autorità inferiore o di stesso
livello non può mutare la precedente decisione; l'autorità superiore si ma previa
interrogazione a quella precedente che ha dato risposta negativa. L'applicazione concreta
la danno i canoni in oggetto.
Se si tratta di Santa Sede si dovrà distinguere tra Romano Pontefice e Dicasteri. Il Papa è
sempre libero. I Dicasteri non possono dare una riposta positiva ad una richiesta che, già,
da altro dicastero è stata negata se non con il consenso del Dicastero negante.
Can. 67
Rescritti molteplici e contrari. In caso di contrarietà del particolare sul generale prevale
il particolare. La volontà si considera maggiormente determinata per il particolare che nel
generale. Nel caso di rescritti successivi, ugualmente generali o particolari, prevale quello
anteriore nel tempo a meno che il successivo non facci espressa menzione del precedente.
Tale regola si basa sul fatto che l'autorità non voglia revocare con il successivo rescritto
ciò che è stato concesso con il primo. Si presume che l'autorità non si penta di ciò che ha
concesso creando, con tale rescritto, diritti e situazioni giuridiche. Si tratta di una regola
che dà stabilità alle decisioni prese.
Cann. 68 69.
Il caso ipotizzato è quello del rescritto ottenuto dalla Santa Sede e che essere presentato
all'Ordinario del richiedente. L'obbligo di presentare il rescritto non c'è a meno che non
sia detto nella stessa lettera oppure si tratti di cose pubbliche o si rende necessario
comprovare le condizioni. Non è in questione le validità bensì si tratta di esigenza di
pubblicità del rescritto di fronte alla comunità perché non sorga disorientamento o
scandalo. Ad es: il caso di un matrimonio rato et non consumato. In ogni caso i tre modi
indicati dal canone sono tassativi.
Il can. 69 prevende che se non è disposto altrimenti nel testo del rescritto esso può essere
esibito all'esecutore a discrezione dell'interessato a meno che non ci sia dolo o frode.
Vediamo un attimo la questione...
30
Can. 70.
Se l'autorità competente non concede il ma incarica un'altra persona a farlo, il rescritto
viene concesso in forma commissoria. In tal caso la concessione è lasciata al prudente
apprezzamento dell'esecutore. Si tratta di una facoltà delegata.
Can. 71.
Di per se non esiste l'obbligo di servirsi del rescritto concesso soltanto a proprio favore.
Tale obbligo però può sorgere da altra fonte: ad esempio il matrimonio super rato.
Can. 72.
I rescritti scadono o spirano una volta scaduto il termine o esaurito il numero dei casi per
i quali venne concessa la grazia. Il rescritti della Santa Sede possono essere prorogati solo
da Essa. Il can. 72 concede tale facoltà anche al Vescovo diocesano ma a delle condizioni:
una volta sola, per non oltre tre mesi e solo per giusta causa. La proroga va fatta dopo la
spirazione dei rescritti e non ha forza retroattiva.
Can. 73
Viene enunciato un principio valido solo per i rescritti. Nessun rescritto è revocato da una
legge contraria a meno che la legge stessa lo stabilisca. Si suppone infatti che la legge,
generale ed astratta, non prevalga sul diritto particolare per i motivi ormai più volte
illustrati. Can. 74 la grazia concessa dal rescritto può riguardare solo il foro interno o
esterno. Nel primo caso il rescritto si esaurisce nel foro interno: qualora però riguardi
quello esterno il rescritto deve essere provato. Il can. 74 impone l'onere della prova in
foro esterno ogni qualvolta ciò sia legittimamente richiesto L'oggetto del canone riguarda
in modo particolare i rescritti del Papa o della Santa Sede. Per la prova è sufficiente la
testimonianza di testimoni qualificati, qualora non ci fosse il documento ma sia rescritto
orale. Tali testimoni sono i prefetti ed i segretari dei Dicasteri La grazia concessa
oralmente non è efficace se non può essere provata.
10 aprile
Can. 76:
Dall'analisi del canone emergono diversi elementi che configurano la natura del
privilegio. Si tratta di una grazia concessa in favore sia di persone fisiche che giuridiche,
pubbliche c private. Privilegio può essere contra o praeter ius nel senso che l'autorità può
31
concedere grazie contrarie al diritto o anche al di là del diritto stesso Tale grazia è
concessa con un atto particolare non ha le caratteristiche della generalità e universalità. Il
privilegio non è una legge e non ne ha i caratteri
Ciò che va dimostrato è il possesso o l’uso. Tale presunzione ammette la prova contraria
e, pertanto, può essere demolita ma solo se, nonostante il possesso centenario, di fatto
non c’è stato nessun titolo all'origine. La prova contraria pertanto e contro il titolo e non
contro il possesso o uso.
Can 77:
Per l'interpretazione dei privilegi, essendo un atto amministrativo, si applicano le norme
relative a tali atti singolari. Va aggiunto però qualcosa di specifico: ci si deve servire di
una interpretazione tale che i destinatari di un privilegio consegui o, davvero, una grazia.
Il legislatore intende salvare il privilegio, non solo formalmente ma anche nel suo
contenuto.
Can 78
Il privilegio e, in qualche modo, perpetuo. Abbiamo detto che si tratta di una presunzione
che prevede la prova contraria. Il legislatore stesso, al can 78, offre criteri por individuare
la durata di alcuni tipi di privilegi: distingue tra privilegio personale locale, reale.
32
Se e legano ad una persona giuridica si dovranno tenere a mente i modi di estinzione delle
persone giuridiche stesse.
Cann. 79 84:
Il privilegio cessa per intervento dell'autorità competente che lo revoca Tale revoca dovrà
seguire quanto disposto dal can. 47 circa la revoca degli atti amministrativi singolari. La
revoca può venite o dall'autorità che lo ha concesso o da una superiore.
Il privilegio non cessa in virtù di una legge contraria a meno che la legge non revochi i
privilegi con contenuto ad essa contrari. Vi sono tuttavia dei modi attraverso cui il
privilegio può cessare:
Per rinuncia: il privilegio cessa con la rinuncia del titolare accettata dall’autorità
competente. Non è sufficiente la rinuncia ma necessaria l'accettazione, ciò perché che il
privilegio non è dato per un bene particolare ma per il bene comune e quindi la rinuncia
deve essere accettata da chi ha il discernimento del bene comune. Se il rinunciatario è
persona fisica, questa può rinunciare solo se il privilegio è dato in suo favore; se è persona
giuridica. La rinuncia andrà presa dagli organi collegiali secondo e modalità stabilite dagli
statui. In nessun caso può essere fatta se è di pregiudizio per la Chiesa.
Cann. 79.84:
Cessazione per non uso o per uso contrario: il can. 82, in tal caso, chiede la verifica se il
privilegio è oneroso per altri o no. Se non è oneroso ad altri non cessa e, in ogni modo, è
sempre necessaria l'accettazione dell’autorità competente; se è oneroso ad altri, come
l'esenzione dai tributi o l'imposizione di tributi, esso si perde nella misura in cui si
verifichino le condizioni prescrittive o acquisitive previste dai cann. 197-199.
Per decorso del tempo o per esaurimento dei casi per i quali fu concesso.
Per privilegio divenuto illecito o nocivo: tale giudizio spetta alla autorità competente
l'intervento non è per revocare il privilegio ma per attribuirne il carattere di illiceità o
nocività; tale giudizio ha efficacia dichiarativa. In tal caso cessa la causa finale per cui il
privilegio c costituito. La legge non dice nulla in caso di privilegio divenuto inutile.
Per abuso: l'abuso può essere di vari tipi. Il can. 84 stabilisce che chi abusa del privilegio
non ne viene privato automaticamente ma dovrà prima essere ammonito dall'autorità.
Dopo di questo si può revocare.
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Oggetto della dispensa è la legge. Il nuovo Codice, considerando la dispensa come atto
amministrativo, ne concede la facoltà ai titolari della potestà amministrativa. Rimane
sempre il can 90 S1 che considera la possibilità dell’invalidità della dispensa senza giusta
causa.
Can. 85: La dispensa viene definita come l'esonero dall'osservanza di una legge
puramente ecclesiastica in un caso particolare. La dispensa, quindi, non tocca le leggi
divine dalle quali non è possibile dispensare. Vedremo che vi sono anche limiti dalla
possibilità di dispensare da leggi puramente ecclesiastiche.
In virtù della dispensa la legge non urge perché il superiore competente ne ha tolto, per il
caso singolo, la sua obbligatorietà; non si tratta di abrogazione della legge ma di esonero
in un caso particolare. Si tratta, abbiamo detto, di un caso singolare, tale termine va inteso
sia come singolarità dell'individuo; del gruppo a cui si può rivolgere.
Ripetiamo: la dispensa può essere concessa da coloro che godono di potestà esecutiva.
Can. 86:
Limiti: un primo limite sta nell'ovvia di dispensare dalle leggi divine: solo il Suo Autore
potrebbe diminuirne la cogenza.
Vi è poi impossibilità di concedere la dispensa dalle leggi che descrivono gli elementi
essenziali di un istituto giuridico: il can. 86 afferma, infatti, che non sono suscettibili di
dispensa le leggi in quanto definiscono quelle cose, che sono essenzialmente costitutive
degli istituti o degli atti giuridici. Non possono essere dispensate leggi che determinano
gli elementi essenziali di tali istituti; esempio: non posso dispensare dai voti per entrare
in un Istituto religioso di vita consacrate; non posso dispensare dal requisito della Sacra
Ordinazione per conferire la nomina di parroco o per avere lo status clericale; non posso
dispensare dal prestare il consenso matrimoniale per costituire un valido matrimonio.
La dispensa non può mai intaccare la struttura giuridica dell'atto. Notiamo che la
normativa vigente non esplicita gli elementi costitutivi degli istituti giuridici: è compito
della dottrina individuarli. Essi sono solo implicitamente delineati dalla legge
Cann. 87-88:
Il vescovo diocesano può dispensare validamente... dalle leggi disciplinari sia universali
sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi
sudditi. Si tratta della dispensa da leggi date dalla Santa Sede e che hanno valore nelle
Chiese particolari.
Il vescovo può dispensare, come vedremo, dalle leggi disciplinari ma non può dispensare
dalle leggi penali e processuali in quanto i beni in gioco sono molto alti e una rilassatezza
in tali ambiti porterebbe alla possibilità di gravissime violazioni dei diritti umani oppure
potrebbero crearsi gravi disordini all'interno del corpo ecclesiale.
Il can. 87 S 1 avverte che non possono dispensarsi le materie riservate alla competenza
della Sede Apostolica. Con l'attuale Codice troviamo un può sparse nei vari libri, le norme
riservate alla Sede Apostolica e quindi non dispensabili da autorità inferiori.
La facoltà di dispensa è connessa all'ufficio episcopale: i vescovi devono avere nelle loro
diocesi tutti gli strumenti per pascere il loro gregge.
34
La facoltà di dispensare rientra tra le facoltà ordinarie in capo al Vescovo. L'esercizio di
tale facoltà è riservata al Vescovo ogni qualvolta giudichi necessaria la dispensa per il
bene spirituale dei suoi fedeli, essendo in presenza di giusta causa che giustifichi la
dispensa e ne sia il motivo. Non dimenticare infatti che la legge nella Chiesa già per il
bene spirituale dei fedeli. Si tratta, pertanto, con l'istituto della dispensa, di valutare il
bene del fedele nel singolo caso e nella situazione concreta in presenza di giusta causa.
Il can. 87 S 1 afferma che il Vescovo può dispensare da leggi disciplinari. Che senso e
portata ha tale affermazione? In gran parte della dottrina legge disciplinare si intende la
legge ecclesiastica e molti Autori non si pongono il problema di definire il contenuto di
tale locuzione. Il can. 17 che abbiamo studiato dice di ricorrere ai luoghi paralleli quando
dei significati rimangono oscuri. Dall'insieme del Codice -non stiamo qui adesso a fare
l'elenco analitico- risulta che il temine disciplina è utilizzato in contesti precisi e non
come sinonimo di ecclesiastico.
8:58 am
16 aprile
Can 101:
Nel nuovo codice non sembra che il luogo di origine ha grande importanza per le
conseguenze giuridiche all'interno della Chiesa. Tuttavia il S1 stabilisce che il luogo di
origine del figlio va determinato in base al domicilio o quasi domicilio dei genitori; per
un girovago, il S 2 precisa che è semplicemente il luogo della nascita o ritrovamento.
Cann. 102-107: domicilio e quasi domicilio: vanno distinti quelli legali, imposti dalla
legge, da quelli che sono frutto della libera scelta del soggetto. Il primo è determinato
dalla legge indipendentemente dalla volontà del soggetto: i canoni affrontano poi
l'acquisto e la perdita del domicilio e quasi domicilio.
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territorio. L'elemento intenzionale si riferisce al luogo dove la persona intende stabilirsi.
Quando è presente essa il domicilio si acquista immediatamente. Mancando elemento
intenzionale, il domicilio si acquista ipso iure dopo cinque anni di permanenza.
Cann. 102-107:
Quasi domicilio: l'acquisizione o la perdita del quasi-domicilio avvengono analogamente
al domicilio. Unica diversità è il tempo richiesto per la permanenza intenzionale o di fatto.
La dimora nel territorio deve essere congiunta con l'intenzione di rimanervi almeno tre
mesi oppure deve essere protratta effettivamente per tre mesi (can. 102, S I cann. 103-
105 fanno riferimento al domicilio c quasi domicilio legali. Essi riguardano le persone
che non sono libere di determinarsi in tale requisito perché magari sono membri di istituti
religiosi, minorenni, etc. Can. 103: va precisato che il domicilio c quasi domicilio legale
sono dati dalla legge non ai membri di tutti gli istituti di vita consacrata ma solo ai membri
di istituti religiosi. I membri degli istituti secolari vedono il luogo normato dal can. 102.
Le SVA sono invece equiparata agli istituti religiosi in quanto i membri vivono in
comunità case che sono decise superiori. Per tali membri quindi, religiosi e appartenenti
ad SVA, il domicilio e quasi domicilio sono determinati dalla legge, in particolare:
Can. 103:
Il domicilio è quello del luogo della casa in cui sono ascritti. Notiamo che non e
necessariamente il luogo della casa dove dimorano ma dove sono ascritti. La perdita del
domicilio avviene con l'ascrizione ad altra casa.
Il quasi domicilio è invece il luogo dove il religioso o membro di SVA di fatto dimorano
con l'intenzione di starvi almeno tre mesi o con permanenza protratta per quel tempo.
Can. 104: i coniugi. Il principio generale è che i coniugi hanno in comune il domicilio o
quasi domicilio. Tale principio deriva dagli obblighi matrimoniali. ammessa anche la
possibilità che prevede per ciascuno domicilio o quasi domicilio diversi. Una giusta causa
giustificherà tale scelta.
Can. 107:
Il domicilio e quasi domicilio sono importanti perché in base ad essi una persona diventa
membro di una parrocchia e di una diocesi; in altri termini acquista un parroco ed un
ordinario Siccome molteplici possono essere i domicili e quasi domicili, molteplici
possono essere i parroci e gli ordinari. Il parroco e ordinario del luogo è quello in cui il
girovago si trova.
La normativa del domicilio e quasi domicilio è basata sul principio della territorialità;
tuttavia sono previsti altri criteri per l'acquisizione di un parroco o di un ordinario e sono
i criteri della personalità: il fatto di avere particolari requisiti personali (ese. ordinariato
militari) fa appartenere ad una realtà piuttosto che un'altra.
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Can. 108:
Altra circostanza che determina la capacita giuridica della e persona data dalla parentela.
Essa è un rapporto vincolante tra le persona che deriva o dalla natura (parenti) o dalla
legge (Adozione). Il primo vincolo si chiama consanguineità, il secondo affinità e
adozione.
Linea: è la serie delle persone che discendono dallo stesso stipite. Abbiamo, secondo il
canone, linea reatta, linea obliqua o collaterale.
Retta: è la serie di persone che discendono l'una dall'altra in modo successivo: padre,
figlio, nipote. Essa può essere considerata sia in via ascendente che discendente.
Obliqua: è al discendenza da uno stesso stipite ma tra di loro non si discendono in senso
carnale: fratello, sorella, zio, nipote, cugini.
Can. 108:
Tra il padre e il figlio ci sarà un primo grado (figlio padre: 2 persone. Abbiamo detto che
si toglie il capostipite quindi rimane 1 persona ergo I grado)
Nonno: contiamo le persone: nonno, padre, figlio. 3 persone. Si toglie il capostipite quindi
rimangono 2 persone. Consanguineità in linea retta di II° grado.
Fratello e sorella: Per vedere si va al capostipite: quindi padre, fratello, sorella. Tre
persone. Si toglie il capostipite quindi 2 persone. Consanguineità in linea collaterale di II
grado.
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Zio c nipote: Vediamo il capostipite: Nonno, padre, zio, nipote. Quattro persone:
consanguineità collaterale di IIIº grado.
Can. 109. Gli EFETTI GIURIDICI che consanguineità e affinità producono sono
molteplici nella vita della persona fisica. Solo per citarne alcuni che vedrete, poi, nel corso
della licenza. Sottomissione del minorenne ai genitori. Acquisizione del domicilio da
parte del figlio. Doveri dei genitori nei confronti dei figli Impedimenti matrimoniali
Impedimenti nel poter conferire uffici ecclesiastici (non può essere affidato ad un
consanguineo del vescovo fino al IV grado) (can. 478, 1298) Nel processo cfr. can. 1548;
1448: 1449)
Per analogia l'adozione fa sorgere diritti c obblighi dei genitori nei confronti dei figli.
L'ordinamento canonico prende in considerazione l'adozione in relazione alla vita
familiare considerandola come impedimento al matrimonio.
Can. 111: rito: ricordate i canoni preliminari e il concetto di rito nel diritto canonico. Il
canone determina le condizioni per appartenere al rito latino.
Il can. 111 S 1 distingue la chiesa latina dalle altre e ne determina criteri di appartenenza:
a) Ricezione del battesimo: quando i genitori sono entrambi di rito latino l'ascrizione
del figlio è al rito latino.
b) Quando i genitori appartengono a riti diversi si presuppone un comune accordo circa
l'ascrizione del figlio ad un rito scelto dai genitori. Se mance il comune accordo il
canone ascrive il figlio alla chiesa rituale cui è ascritto il padre. Lacuna: non si
considera il caso nel quale non sia battezzato.
c) Scelta fatta dal minorenne al compimento del 14° anno di età che ancora deve ricevere
il battesimo. Sarà ascritto al rito da lui richiesto presentando domanda a chi deve
amministrare il battesimo.
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Can. 2: ascrizione ad altro rito. L'ascrizione ad una Chiesa, oltre che per il battesimo, può
avvenire per passaggio. E normata dal can. 112. Ci sono tre casi in ci i battezzati di rito
latino possono passare ad altre chiese rituali. Il cambiamento di rito deve essere annotato
nel registro dei battesimi.
a) Licenza della Sede Apostolica. Chi desidera cambiare rito per cause diverse da quelle
connesse al matrimonio deve chiedere e ottenere la licenza alla Sede Apostolica. Il
passaggio comporta un cambio disciplinare, liturgico e dottrinale. La licenza è
necessaria ad validitatem ed concessa con rescritto in forma commissoria per cui si
ha effetto dopo l'esecuzione.
b) Matrimonio. Il coniuge, all'atto del matrimonio, può dichiarare di voler passare ad
altra chiesa rituale alla quale appartiene il coniuge. Il canone non determina a quale
autorità si deve presentare tale richiesta.
c) Età dei figli. Prima dei 14 anni i figli seguono il rito dei genitori. Compiuti i l4 anni
possono tornare al rito che desiderano.
Cann 113-123:
Il secondo tipo di soggetto di diritti e di doveri è dato dalla persona giuridica trattata ai
canoni sopra citati.
Il can. 113, S 1 afferma, in relazione alla Chiesa Cattolica e alla Sede Apostolica, la
qualifica di persone morali Tale espressione è stata riservata a tali enti c tale espressione
fa dedurre che la persona morale non è una persona giuridica sotto tutti gli aspetti.
Il codice, nel mettere in risalto, la personaltà morale della Chiesa Cattolica e della Sede
Apostolica pone in evidenza che esse non sono state erette da volontà umana. La Chiesa,
pertanto, non dipende da alcun ente: essa gode di personalità per il fatto che esiste, por
diritto nativo e per sua stessa natura.
È critica la qualifica di persona morale alla Sede Apostolica. Si può solo riferire alla
persona del Romano Pontefice e alla potestà ad Egli attribuita dallo stesso diritto divino.
Da tali canoni emerge che: le persone giuridiche sono considerate in parallelo con quelle
fisiche. L'origine di tali persone è solamente un atto giuridico e si estingue unicamente
per mezzo di un altro atto giuridico. I modi di estinzione di tali persone evidenzia che la
loro natura giuridica non dipende dalla volontà delle singole persone fisiche ma da una
disposizione del diritto o dall'autorità competente. In pratica: la loro esistenza dipende chi
ha competenza giuridica e potestà di giurisdizione. Da questo punto di vista il nostro
ordinamento non riconosce la capacità di erigere persone giuridiche ai laici che hanno
solo capaciti di porre in essere delle associazioni.
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Le persone giuridiche nascono nella Chiesa solo con il conferimento della parte della
rispettiva Autorità (can. 114, S 3). L'atto di personalità da riconoscimento, di costituzione
è una autentica creazione che realizza la nascita della persona giuridica.
17 aprile
Can 114 e ali: secondo questi canoni la persona giuridica si potrebbe definire come un
ente giuridico formalmente (decreto) costituito o dal diritto o dalla autorità, come
soggetto di diritti e di doveri, con un fine ecclesiale che trascende i singoli e indipendente
dalle persone che la compongono.
La persona giuridica a differenza di quella fisica, per esistere ha bisogno di essere
costituita dall'autorità competente. a persona giuridica riceve la sua esistenza in un
duplice modo: dallo stesso diritto, cioè dal Codice, o dalla autorità competente.
Essa gode di soggettività giuridica pertanto come soggetto di diritti e di doveri si equipara
alla persona fisica. I loro diritti e doveri sono determinati dalla loro stessa natura.
Le persone giuridiche si distinguono in territoriali e personali.
Can 114 e ali: a persona giuridica ha un proprio fine che trascende quello delle singole
persone che la compongono e costituiscono.
Tale fine coincide con la sua missione, con il suo dono nella Chiesa.
Questo è diverso a seconda della natura della persona giuridica. persona giuridica deve
essere costituita ed eretta. La costituzione della persona giuridica implica due elementi:
a) elemento materiale;
b) elemento formale.
aaa) l'unità: l'insieme deve possedere una unità intenzionale costituendo cosi una unica
ed indivisibile unità di intenti e volontà. L'unità è una caratteristica fondamentale perché
trascende i singoli intenti. Senza unità non ha senso la personalità giuridica.
aaaa) Il fine da conseguire che è la ragione di essere della persona giuridica. fine deve
avere la caratteristica dell'Eclesialità (deve corrispondere con la missione della Chiesa).
La partecipazione alla missione della Chiesa varia a seconda della natura della persona
giuridica.
Utilità: essa è valutata dalla autorità in considerazione dei tempi e dei luoghi. Generalità
il fine della persona giuridica deve trascendere quello dei singoli
40
Can 114 e alii: b) nell'elemento formale: si tratta dell'erezione canonica con decreto al
quale però sono richiesti degli atti previ.
Per la liceità: prima di procedere l'autorità deve verificare i fini ed i mezzi per conseguirlo.
Per la validità:
A) consenso o parere di un collegio o di persone singole. Pensate ai pareri del consiglio
presbiterale per erigere una parrocchia.
Al consenso del vescovo diocesano per erigere nella sua diocesi una associazione.
B) approvazione degli statuti. Essa deve essere previa alla erezione della persona
giuridica.
L'approvazione degli statuti non concede nulla ma è obbligatoria. Non si può erigere, ex
can. 117, senza prima aver approvato gli statuti. L'approvazione e l’erezione sono due atti
giuridici diversi con effetti differenti.
L'importanza degli statuti sta nel fatto che determinato il funzionamento interno
dell'insieme e i mezzi di attuazione.
Decreto singolare: E la concessione da parte della competente autorità Tra queste possono
esserci: la regione ecclesiastica, il capitolo dei canonici eretto dalla Santa Sede, le
associazioni di fedeli
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In forza del primo elemento tutti i membri concorrono o partecipano nel prendere le
decisioni e rutti ne hanno il diritto perché costituiscono una sola persona giuridica. La
partecipazione è determinata dal diritto o dagli statuti.
a) Collegio tra uguali. In questo caso tutti partecipano con lo stesso voto.
b) Collegio tra non uguali. In tali persone tutti i membri hanno diritto a concorrere perché
costituiscono un collegio ma non tutti hanno uguale diritto
La più importante di tali persone è il Collegio dei Vescovi dove vige un diritto disuguale
tra il Sommo Pontefice e gli altri vescovi. Altro esempio è la conferenza episcopale dove
non tutti hanno gli stessi diritti.
Can 115-116: non collegiali. Le corporazioni non collegiali sono quelle dove non tutti i
membri concorrono a prendere le decisioni. La determinazione dell'attività della persona
giuridica è competenza d alcuni a norma del diritto e degli statuti. Esempio sono le
diocesi, le parrocchie, seminari, istituti religiosi.
Can 115-116:
MISSIONE o MUNUs PROPRIUM. Missione significa l'incarico peculiare che l'autorità
affida (anche l'affidamento è retto da norme proprie). Con tale affidamento la persona
giuridica pubblica agisce in nome della Chiesa e con carattere pubblico e non in nome
della persona giuridica e non in nome della persona giuridica. Sono attività della Chiesa
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affidate alla Persona giuridica. Pensate alle Chiese particolari, alle parrocchie, agli IVC:
partecipano per natura alla missione della Chiesa.
Le altre persone pubbliche ricevono l'incarico mediante decreto della Santa Sede, dei
vescovi diocesani, delle Conferenze episcopali.
Missione: con il decreto di erezione di persona giuridica privata essa ottiene anche una
missione propria, il fine stabilito dai propri statuti che deve essere adempiuto per il bene
dalla Chiesa.
Can 116: PERSONE GIURIDICHE PRIVATE: esse sono soggette alla vigilanza da
parte della autorità ecclesiastica al fine di evitare che introducano abusi nella disciplina
ecclesiastica e di vita della Chiesa. Di qui il diritto-dovere dell'ordinario di visitarle e
verificare il loro operato.
I beni appartengono alla persona giuridica privata c non alle persone fisiche che la
compongono.
Le persone giuridiche private sono di carattere territoriale. Esse hanno i limiti della
Chiesa particolare alle dipendenze dell'Ordinario del luogo.
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Bene comune e bene pubblico: anche tali persone giuridiche devono perseguire il bene
comune, il bene pubblico della Chiesa. Anche esse, seppur in termini di rappresentanza
non hanno lo stesso valore delle persone giuridiche pubbliche, sono in un certo qual modo
di carattere pubblico per il perseguimento del bene pubblico della Chiesa.
Il diritto particolare, sia quello delle Conferenze Episcopali, dei concili plenari e
provinciali che quello del Vescovo diocesano stabilisce le competenze del rettore del
seminario.
Gli statuti stabiliscono il modo di governo dei titolari. Tali rappresentanti, alle volte, sono
tenuti a valersi dell'opera o collaborazione di un collegio o consiglio. Ne parleremo più
avanti.
Can 119: LE NORME CIRCA GLI ATT COLLEGIALI: le disposizioni del can. 119
devono essere osservate qualora il diritto proprio non disponga niente in materia, ciò vuol
dire che le materie che il diritto proprio o gli statuti non hanno regolato, sono soggette a
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norme comuni, perché la lacuna o il silenzio del diritto proprio non vuol dire che tali
materie siano in un vuoto legislativo.
a) Legittima convocazione. Il primo requisito richiede che coloro che devono partecipare
alle elezioni devono essere convocati. La convocazione è competenza del presidente del
collegio o gruppo. Tale convocazione deve essere fatta in modo legittimo, secondo le
norme del diritto in modo tale che coloro che hanno il diritto di assistere possano farlo.
La convocazione deve indicare il giorno, l’ora e il luogo dove si svolgeranno le votazioni
perché ciò è costitutivo della convocazione. Per quanto riguarda il modo l’autorità deve
osservare quello stabilito dal diritto proprio (lettere circolari, bollettini, etc)
Can 119: LE NORME CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: il secondo requisito riguarda
la presenza dei convocati. Sccondo la norma vigente è necessaria l'assistenza della
maggior parte di quelli che devono essere convocati per costituire un collegio elettorale,
a meno che il diritto proprio non disponga altrimenti.
Per maggior parte si intende più della metà. Ad esempio, la maggior parte di un collegio
di 12 elettori è di 7; di un collegio di 61 membri è 31. Se la maggior parte non è presente
non è possibile procedere all'elezione e se si realizza essa è priva di valore. Da qui si
desume che convocazione e costituzione del collegio sono due atti giuridici differenti.
Il can. 119, 1° parla di presenti (praesentes): sono quelli che sono fisicamente presenti
presenti alla riunione in un luogo unico: essi sono sia quelli che possono esprimere voto
sia quelli che non hanno diritto di voto.
Secondo le norme comuni è esclusa qualsiasi altra forma di emettere voto, sia per lettera
che per procura. Es: l'assemblea plenaria della Conferenza Episcopale, dei capitoli
generali. provinciali, etc.
Quando gli elettori non si riuniscono in un unico luogo il diritto può prevedere la
possibilità di voto por lettera o procuratore.
Can 119: LE NORME CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: in questo caso, anche se in
luoghi fisici differenti, si costituisce un unico collegio elettorale.
Costituito il collegio, il successivo momento è l'emissione del voto che atto collegiale di
tutti i presenti che ne hanno facoltà. Si tratta di un atto giuridico al quale ciascuno
concorre con la propria individualità e l'atto collegiale è dato dalla somma di tutti anche
se ciascuno conserva la propria libertà; il can. 119 infatti non richiede l'unanimità bensì
una maggioranza. Ciò presuppone che gli elettod manifestino la propria volontà in modo
indipendente dagli altri, in un'azione Comune.
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errore, ignoranza e dolo. Con il sistema della scheda l'elettore può anche astenersi.
Riguardo l'astensione vi è una grande novità rispetto la legislazione precedente.
Per maggior parte si intende pii della metà Ad esempio, maggior parte di un collegio di
12 elettori è la Sé la maggior parte non è di 7; di un collegio di 61 membri è 31. presente
non è possibile procedere all'elezione e se si realizza essa è priva di valore. Da qui si
desume che convocazione e costituzione del collegio sono due atti giuridici differenti.
Il can. 119, 1° parla di presenti (praesentes) sono quelli che sono fisicamente presenti alla
riunione in un luogo unico: essi sono sia quelli che possono es voto sia quelli che non
hanno diritto di voto.
Secondo le norme comuni è esclusa qualsiasi altra forma di emettere voto, sia per lettera
che per procura. Es: l'assemblea plenaria della Conferenza Episcopale, d capitoli generali,
provinciali, etc. Quando gli elettori non si riuniscono in un unico luogo il diritto può
prevedere la possibilità di voto per lettera o procuratore.
Can. 119: LE NORME CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: in questo caso, anche se
in luoghi fisici differenti, si costituisce un unico collegio elettorale.
Costituito il collegio, il successivo momento è l'emissione del voto che atto collegiale di
tutti i presenti che ne hanno facoltà. Si tratta di un atto giuridico al quale ciascuno
concorre con la propria individualità e l'atto collegiale è dato dalla somma di tutti anche
se ciascuno conserva la propria libertà: il can. 119 infatti non richiede l'unanimità bensì
una maggioranza. Ciò presuppone che gli elettori manifestino la propria volontà in modo
indipendente dagli altri, in un'azione Comune.
Con il sistema della scheda l'elettore può anche astenersi. Riguardo l'astensione vi è una
grande novità rispetto la legislazione precedente...
In passato essa era vista come una rinuncia al voto, una non partecipazione. La nuova
legislazione, invece, considera l'astensione come una partecipazione all'atto collegiale,
perché la presenza dell'elettore deve essere tenuta in conto per il calcolo della
maggioranza richiesta. L'astensione può essere cosi considerata come un diritto, nel caso
in cui non si è totalmente favorevoli all'elezione; un obbligo quando, per esempio, si è a
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conoscenza di qualche inidoneità del candidato. La legge speciale per l'elezione del
Romano Pontefice non prevede l'astensione: tanti presenti, tanti votanti.
Il can. 119, 1o esige la maggioranza assoluta dei voti dei presenti. La maggioranza
numerica si computa sul numero dei presenti, non sul numero dei votanti; cio significa
che anche coloro che non votano o si astengono determinano il numero su cui calcolare
la maggioranza.
Esempio: in un collegio elettorale di 300 persone dove i voti emessi sono 200 la
maggioranza assoluta di 1 voti e non 101. Per essere eletti si dovranno raggiungere 151
voti. Tale principio si segue nei primi due scrutini.
I candidati della terza votazione sono coloro che hanno ottenuto più voti nella seconda
votazione. casi in cui ci sia parità tra più candidati essa si risolve in favore dei due più
anziani di età. Tale norma non considera ne la data di ordinazione ne quella di eventuale
professione perpetua. Gli elettori potranno scegliere solo tra due candidati. Il canone non
recita nulla riguardo alla possibilità per i candidati di votare.
Dopo il terzo scrutinio, se rimane la parità si ritenga eletto colui che è pin anziano. In
merito non si dice nulla se sia necessaria la maggioranza assoluta o relativa. Anche qui la
dottrina si divide tra coloro che richiedono quella assoluta e invece quelli che sostengono
la maggioranza relativa. Secondo il Martin il testo riconosce implicitamente la necessità
della maggioranza relativa ossia chi dei due consegue più voti rispetto all'altro. Al terzo
scrutinio è eletto chi ha conseguito voti in modo assoluto o relativo.
Nei casi in cui la convocazione è fatta per altre questioni dall'elezione si procede con due
scrutini e non con tre Qualora nei due non si raggiunga la maggioranza bisognerà
procedere con un'altra convocazione. E richiesta la maggioranza assoluta dei suffragi per
dirimere la questione.
Il n° 3 del can. 119 na cosa che riguarda tutti come singoli: su essa tutti la devono
approvare. Tale norma, molto discussa, non riguarda diritti ed obblighi della persona
giuridica bensì delle fisiche che la costituiscono. Gli atti posti su questi diritti personali
non sono atti del collegio ma atti della somma dei singoli.
Can 119: LE NORME: CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: qualora tutte le persone che
costituiscono un collegio periscono e rimane una sola persona, il can. 120, S 2 dispone la
sopravvivenza della persona giuridica e attribuisce all'unico superstite l'esercizio dei
diritti e dei doveri inerenti la persona giuridica che continua nella sua sopravvivenza.
Si norma il caso in cui delle persone giuridiche si fondono costituendone una nuova. Si
viene a costituire, cosi, un nuovo soggetto giuridico e l'estinzione dei precedenti che si
fondono insieme.
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Si distingue pertanto la soppressione e la costituzione della nuova persona giuridica. Tali
atti devono essere compiuti dalla competente autorità ecclesiastica, visto che si tratta di
persone giuridiche pubbliche.
Per principio la nuova persona giuridica ottiene tutte le situazioni giuridiche e
patrimoniali positive e negative delle precedenti.
Questione importante, in tali casi, è quella degli oneri. La destinazione dei beni riguarda
l'autorità competente Essa può procedere o personalmente o tramite persona delegata a
questo, un esecutore. La divisione dei beni deve essere secondo il giusto, l'onesto, l'equo
e il buono. Ciò comporta una conoscenza dei valori del bene e l'accantonamento di
principi di superficialità in merito.
Principi che guidano la destinazione dei beni: si deve anzitutto osservare la volontà dei
donatori e degli offerenti, i diritti acquisiti e gli statuti applicativi.
Per i beni divisibili: si esige la proporzionalità, l'equità e la giustizia.
Per i beni indivisibili: devono esser usati in comune con la dovuta proporzione.
È il caso che considera la divisione: dalla parte divisa nasce una nuova persona giuridica
pubblica. In tal caso bisognerà costituire una nuova persona giuridica pubblica
osservando tutte le norme previste per l'erezione delle persone giuridiche pubbliche. Il
can. considera due ipotesi: dalla divisione nasce una persona giuridica subordinata (a
prima divisione in provincie di un Istituto, ad esempio); dalla divisione nasce una persona
giuridica uguale (a divisione di un parrocchia troppo estesa).
Questione importante, in tali casi, è quella degli oneri. La destinazione dei beni riguarda
l'autorità competente. Essa può procedere o personalmente o tramite persona delegata a
questo, un esecutore. La divisione dei beni deve essere secondo il giusto, l'onesto, l'equo
e il buono. Ciò comporta una approfondita conoscenza dei valori del bene e
l'accantonamento di principi di superficialità in merito.
Principi che guidano la destinazione dei beni: si deve anzitutto osservare la volontà dei
donatori e degli offerenti, i diritti acquisiti e gli statuti applicativi.
Can. 120, S1: LA DURATA DELLA PERSONA GIURIDICA: il can stabilisce diversi
principi. Il primo è quello della perpetuità. La persona giuridica è perpetua. Il soggetto
dei diritti e dei doveri è la persona giuridica e non le persone fisiche che la compongono.
Essa trascende i suoi componenti. La costituzione, una volta avvenuta, non ha limite di
tempo. Tuttavia le persone giuridiche non sono eterne possono avere una fine.
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Estinzione: quella pubblica si estingue tramite soppressione fatta dall'autorità. La
oppressione va fatta legittimamente, conformemente al diritto. Per analogia con le norme
sulla pressione degli enti si richiede una grave causa, l'obbligo di sentire il consiglio
presbiterale prima di sopprimere una parrocchia, can. 515, S 2.
In pratica: l'estinzione della fondazione richiede non solo il fatto materiale della
cessazione dell'attività per mancanza di beni, di materiali o altro ma è necessario anche il
giudizio dell'autorità competente. Se manca questo non si può parlare di fondazione
estinta.
I beni destinazione dei beni è regolamentata dagli statuti, rispettando sempre la la volontà
dei donatori.
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LA POTESTÀ DI GOVERNO
Cann 129-144: il Codice non offre nessuna definizione di potestà di governo che è
chiamata anche potestà di giurisdizione. In riferimento a tali espressioni l'attuale
codificazione preferisce il termine potestà di governo. Tale espressione coincide
maggiormente con quelle che ritroviamo nei documenti conciliari dove si distingue, in
particolare in LG, il munus docendi, sanctificandi et regendi. Il termine "potestà di
giurisdizione' potrebbe creare confusione con la potestà giudiziale quando invece è più
costituisce tutt'altra cosa. In tal senso l'espressione "potestà di governo” confacente e in
essa troviamo l'esercizio delle tre funzioni: legislativa, esecutiva e giudiziale.
La potestà di governo è definita come la pubblica pot ordinata al altri; la pubblica potestà
ecclesiastica è definita da Maroto come la pubblica potestà del legittimo Superiore,
concessa da Gesù Cristo o dalla Chiesa, per mezzo della missione canonica, per
governare i battezzati in ordine alla salvezza eterna.
Si tratta, in primis, di potestà pubblica e non privata (come potrebbe essere quella dei
genitori sui figli e si applica per il bene degli altri. E' la potestà che comprende le tre sue
funzioni in ordine al fine supremo che è la salvezza delle anime.
Esempio: il can. 966, S 1 afferma che per la valida assoluzione dei peccati si richiede che
il ministro, oltre alla potestà d'ordine, abbia la facoltà di esercitarla sui fedeli. Dal testo si
evince che tale ministro deve avere la potestà di governo sui quali amministra la potestà
d'ordine e tale potestà di governo non la si riceve con il sacramento dell'ordine ma per
mezzo di un ufficio o di una delega. Perciò tale potestà di governo si perde con la perdita
di ufficio o della delega mentre la potestà d'ordine rimane.
Cann 129-1. 4: il can. 129 afferma l'origine divina della potestà di governo stabilirà anche
l'assoluta necessità di essa nella vita della Chiesa. I'origine della potestà di governo è
ravvisabile nel mandato che Gesù Cristo dà agli Apostoli di evangelizzare il mondo:
«Andate dunque ed insegnate a tutti popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo insegnando loro ad osservare le cose che io ho comandato» (Mt 28
19-20).
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Successore di Pietro che è il Supremo Pastore della Chiesa, ha ereditato dagli Apostoli,
sia in forza di quella vita che Cristo comunica alle sue membra (AG, 5).
Da qui deriva la natura missionaria della Chiesa che ha come compito fondamentale e
fondante quello della evangelizzazione Paolo VI nella EN riprenderà tale concetto quando
affermerà che la Chiesa nasce da un annuncio e si fonda su di un annuncio. La Chiesa è
per sua natura missionaria.
Tale potestà, una volta ricevuta, deve essere esercitata in comunione gerarchica con
Pietro, il primo tra tutti.
Per quanto riguarda la modalità di ricezione di tale potestà i testi codiciali menzionano
due modi differenti a seconda che si tratta della potestà dei Vescovi e quella dei fedeli in
relazione al sacramento del Battesimo. Il can. 375 afferma che i Vescovi sono i successori
degli Apostoli e sono costituiti astori con la consacrazione episcopale affinché siano
anch'essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del governo. Essi con il
sacramento d ricevono la potestas sacra con la funzione di santificare, insegnare e
governare. Il CVII in tal senso afferma che i Vescovi con il sacramento dell'ordine
ricevono i tre doni (tria munera) di insegnare, santificare c governare ma non la potestà
corrispondente.
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concessione di un particolare ufficio o nell'assegnazione dei sudditi, ed è concessa
secondo le norme approvate dalla suprema autorità».
In tal senso, con la sola consacrazione, il Vescovo non riceve la potestà di governo
annessa all'ufficio. In tal senso si dirige LG, 23 dove si pone la differenza tra vescovo
consacrato c vescovo diocesano:
i singoli Vescovi, che sono preposti a Chiese parti esercitano il loro pastorale governo
sopra la porzione del popolo di Dio loro affidata, non sopra le altra Chiese ne sopra la
Chiesa universale Ma, in Collegio non Apostoli sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa
una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con atti di giurisdizione, sommamente
contribuisce al bene della Chiesa.
Il can. 381, S 1 afferma che al Vescovo diocesano, in virtù dell'Ufficio ricevuto compete
nella diocesi tutta la potestà ordinaria, propria cd immediata, che è pastorale. Tale potestà
si svolge nella triplice richiesta per l'esercizio di tale uffici funzione legislativa, esecutiva
e giudiziale.
È chiaro che con l'ordinazione episcopale non si ricevono dei sudditi. Essere suddito,
come vedremo, è condizione essenziale perché l'atto giuridico sia valido.
Ci sono vescovi c sacerdoti senza potestà, pensiamo agli emeriti come ci sono coloro che
senza sacramento hanno invece potestà: pensiamo ai prefetti e amministratori apostolici
stabilmente costituiti: non sono vescovi ma hanno potestà di governo.
Il codice distingue bene la potestà di governo dalla potestà d'ordine e si afferma, can. 129,
S 1 che l'ordine sacro rende abile la persona ad avere la potestà di governo.
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Pertanto: il sacramento dell'ordine non conferisce la potestà di governo ma la potestà
d'ordine cioè quella grazia spirituale e l'abilità ad esercitare la potestà di governo che,
però, ha un'altra origine.
Ci sono nella Chiesa Uffici ecclesiastici di natura non gerarchica che non richiedono
necessariamente il sacramento dell'ordine. Per questi esempi vi rimando al Libro III dove
si parla del munus docendi... Lo vedrete anche nel II in riferimento ai diritti e doveri dei
fedeli.
I chierici: in virtù dell'ordine sacro i chierici sono soggetti abili a detenere la potestà di
governo, a norma delle disposizioni del diritto. I chierici sono coloro che hanno il
sacramento in uno dei suoi gradi: diaconato, presbiterato, episcopato.
La potestà di governo ha come radice, in tal caso, quella d'ordine (nel senso prima
indicato). Titolare di tale potestà, avendo come radice quella di ordine, è la persona fisica
e non quella giuridica.
In ragione all'origine i gradi della potestà di governo possono essere di diritto divino
ecclesiastico.
Di diritto ecclesiastico: sono tutti gli altri uffici a cui viene conferita potestà ecclesiastica
dalla Chiesa.
I laici: il S2 parla di un principio generale di ricevere tale potestà anche in capo al laicato,
Cooperari possunt: quale è il significato di tale espressione? Cooperare significa operare
con un altro per realizzare la stessa cosa. Cooperare nell'esercizio della potestà di governo
è esercitare la stessa potestà che ha colui con cui si coopera.
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ecclesiastico si fa agli uffici strettamente gerarchici. A questi non appartengono gli uffici
degli Istituti religiosi che non appartengono alla gerarchia della Chiesa, pur essendo veri
uffici ecclesiastici.
Cooperare alla potestà, come abbiamo detto, significa possederla. Ciò vale anche per i
laici che svolgono particolari uffici ecclesiastici in Istituti Religiosi, gli uffici di giudice
laico e di uditore, per fare solo degli esempi.
Alcuni uffici laicali: applicazione di quanto stiamo dicendo è, per esempio, il can. 228
che riconosce come i laici sono giuridicamente abili a essere assunti in quegli uffici
ecclesiastici che possono assumere in conformità con le disposizioni del diritto.
Applicazione ampia di tali principi si ha, senza dubbio, nei territori di missione. I laici
possono ricevere l'ufficio missionario in senso giuridico e ciò comporta la facoltà di
predicare anche in una Chiesa od oratorio, di amministrare i sacramenti che non
prevedono il sacerdozio ministeriale, il battesimo ad esempio.
In merito all'ultimo esempio, sappiamo che possono essere nominati dei giudici laici. La
differenza con il giudice chierico sta nel fatto che il giudice laico non può fare il giudice
unico ne essere presidente del collegio giudicante.
La potestà del giudice laico è la medesima del chierico: ordinaria vicaria. Egli e titolare
di una potestà ordinaria vicaria che esercita solo all'interno del collegio, a nome del
Vescovo.
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La prima questione riguarda la persona che può esercitare tale funzione. Il can. Distingue
tra legislatore supremo e legislatori inferiori. Tale distinzione c fondamento di una
limitazione, la non delegabilità da parte dei legislatori inferiori.
Altra questione riguarda il contenuto della legge particolare emanata dal legislatore
inferiore.
Il legislatore inferiore non può dare validamente una legge contraria ad una norma
superiore. Non può permettere ciò che è negato dalla norma superiore c non può negare
ciò che e concesso dalla norma superiore.
La potestà legislativa del vescovo diocesano è limitata all'ambito del suo ufficio.
Altra questione è appunto la modalità di esercizio: deve avvenire a norma del diritto: tale
potestà , come abbiamo detto, per i legislatori inferiori non è delegabile.
A norma del diritto: i legislatori inferiori sono tenuti all'osservanza dei canoni sulle leggi
(7-22). Tale obbligo riguarda solo gli inferiori e non per il Legislatore Supremo.
Non delegabile, tale potestà deve essere esercitata dal titolare personalmente. Il
legislatore supremo può delegarla, quello inferiore no.
Tale canone distingue espressamente la sentenza che è l'atto tipico della potestà giudiziale
dagli atti preparatori di un decreto o di una sentenza. Tale distinzione consente di arrivare
ad una nozione della potestà giudiziale: «la potestà giudiziale e la potestà necessaria, non
delegabile della quale gode il giudice in ragione del suo ufficio, o della delega del
Romano Pontefice, per giudicare le controversie circa i diritti delle persone fisiche o
giuridiche violati, dichiarare i fatti giuridici c applicare o dichiarare una pena»
Mentre nella legislazione passata la potestà giudiziale poteva essere ordinaria c delegata,
nclla legislazione presente la potestà giudiziale non delegabile, eccezion fatta per il
Romano Pontefice (can. 1412).
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POTESTÀ ESECUTIVA: essa è trattata dal S 4 del can. 135. Non si parla delle persone
che ne sono titolari e non se ne offre una nozione. Ci si occupa direttamente dell'esercizio
di tale facoltà.
Titolari di tale potestà: il canone tratta di una autorità non specificata che esercita la
potestà sui sudditi e su di un determinato territorio con atti amministrativi singolari e
generali. Abbiamo già visto la specificità di tali atti. Ci sono canoni che attribuiscono tale
potestà esecutiva ovviamente al Vescovo diocesano, al vicario generale, episcopale, ai
superiori maggiori degli Istituti di Vita Consacrata e delle SVA di diritto pontificio. Essi
detengono potestà esecutiva in forza dell'ufficio. zio seguono il criterio personale,
territoriale c reale.
Ambito: gli ambiti di Cosi la potesti esecutiva si esercita sui propri sudditi pur stando
fuori del territorio oppure sui sudditi benché assenti dal territorio, (domicilio o quasi
domicilio Verso i foresti cri presenti sul territorio.
Can. 130 FUNZIONI ED ESERCIZIO DELLA POTESTÀ DI GOVERNO. La potestà
esecutiva è una potestà diversa da quella legislativa e giudiziale. La potestà esecutiva è la
funzione di applicare la legge ai casi concreti. Si tratta di una funzione complementare ed
esecutiva, appunto, della potestà legislativa e da questa, ovviamente, dipende.
La potestà di governo, ex can. 130 di per se viene esercitata nel foro esterno e, come
eccezione, anche nel foro interno. Attenzione: non si tratta di due tipologie della potestà
esecutiva ma della medesima potestà che viene esercitata sia nel foro esterno che in quello
inter Foro esterno: tutto ciò che riguarda l'ambito sociale e visibile della vita della Chiesa;
ciò che è conosciuto. Foro interno: tutto ciò che riguarda l'intimo dell'uomo; ciò che non
è conosciuto da altri. Il foro esterno è l'ambito principale di esercizio della potestà
esecutiva. Su tale ambito abbiamo fatto tanti esempi ma soprattutto pensate agli atti
amministrativi singolari
Sacramentale: nel sacramento della penitenza l'assoluzione è un atto che discende dalla
potestà di governo: il confessore, come vedrete, può dispensare dagli impedimenti occulti
sia durante la confessione che fuori di essa. Il confessore può rimettere in foro interno
sacramentale alcune censure latae sententiae.
Per ciò che riguarda gli effetti giuridici il can. 130 considera solo quelli annessi alla
potestà di governo esercitata nel foro interno. Tale potestà ha effetti solo nel foro interno
e non produce effetti nel foro esterno Gli effetti riguardano solamente la Persona in causa.
Non si estende ad altre persone e non viene conosciuto da altre.
Si può avere l'eccezione stabilita dal diritto per la quale la potestà esercitata in foro interno
ha effetti anche su quello esterno. Un caso è dato dal can. 1082 che riguarda la dispensa
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da impedimento matrimoniale occulto rilasciata dalla Penitenzieria Apostolica. Essa va
annotata nel libro e conservata in Curia, archivio segreto.
La potestà ordinaria. Can. 131: il can. 131, composto da due paragrafi, stabilisce il
modo di ottenere la potestà ordinaria e dichiara la sua divisione.
S 1: nozione e acquisizione: dalla formulazione del canone si evince che la potestà sia
acquisisce con l'ufficio a cui è annessa. In tal senso si specifica che la potestà ordinaria
non esiste in senso autonomo o separato ma sempre connessa ad un ufficio. Pertanto chi
riceve tale ufficio, con esso, riceve anche la potestà ad esso annessa.
La potestà ordinaria. Can. 143: per quanto riguarda l'estinzione essa di perde con la
perdita dell'ufficio a cui è annessa. Ciò è conseguenza del fatto che la potestà ordinaria è
annessa ad un ufficio e non indipendente da esso La perdita dell'ufficio comporta la
perdita della relativa potestà. Circa i modi di perdere l'ufficio lo vedremo più avanti.
La potestà delegata dipende dal delegante, per questo non si presume e deve essere
provata. Il can. 131, S 3 ricorda che a chi asserisce di essere delegato incombe l'onere di
provare la delega. Tale prova è data da un documento scritto.
La potestà delegata: chi e munito di potestà delegata può affidare suo esercizio a da altri.
Si chiama, questa, potestà suddelegata.
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La potestà delegata può essere singolare o generale. Quella singolare è per un atto
singolo immettere un parroco, assistere ad un matrimonio). Generale per un insieme di
casi.
La potestà delegata può essere concessa in ragione dell'ufficio come anche per qualità
personali.
La concessione dovrebbe avere la finalità di risolvere casi difficili, urgenti c non previsti
dal Codice. Le facoltà abituali non costituiscono una decentralizzazione di potere.
Le facoltà abituali sono una categoria della potestà di governo e non debbono essere
assolutamente confuse con un privilegio concesso; potremmo definire le facoltà abituali
come: potestà di governo concessa dal diritto o dall'autorità competente secondo le norme
canoniche a persone fisiche in ragione dell'ufficio o per altra motivazione al fine di
risolvere casi di necessità urgenti non previsti dal diritto e sono rette dalle disposizioni
sulla potestà delegata e anche ordinaria».
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I DELEGATI.
Sono coloro che ricevono la potesti delegata Vediamo, allora, chi può ricevere tale potestà
ed entro quali limiti.
La delega può essere fatta a persona fisica e giuridica. Se la persona è fisica allora
l'esercizio di tale potestà non pone particolari problemi: compete alla persona delegata o
alla suddelegata. Se la delega e concessa ad una persona giuridica, come ad esempio una
conferenza episcopale, l'esercizio di tale potestà sarà secondo le norme e gli statuti delle
persone giuridiche.
Il codice prevede la delega della potestà a più delegati. Ci sono tre possibilità: in solido,
collegialmente, successivamente.
Delegati Collegialmente. Si tratta della seconda possibilità, quella della delega fatta a
parecchi delegati collegialmente per trattare un affare. In tal caso la potestà appartiene a
tutti ma non in modo indipendente. In tale situazione per procedere ci si dovrà attenere
alle norme sugli atti collegiali stabilite dal can. 119 e tutto quanto abbiamo già visto circa
la legittima convocazione, la presenza della maggior parte e le relative maggioranze in
caso di elezioni o di trattazione di altre questioni.
Delegati Successivamente: si tratta della delega data a più persone in modo successivo.
La competenza è di chi per primo ha ricevuto la delega. Se il delegato primo non compie
l'affare allora spetta al secondo e cosi via. Se il primo assolve la delega, agli altri cessa
con l'adempimento da parte del primo.
Il delegato deve provare di aver ricevuto la delega attenersi alla competenza attribuitagli
entro i limiti di tale competenza e limitarsi all’oggetto della delega.
La cessazione di tale potestà avviene anche per revoca della delega da parte del delegante,
per perdita dell'autorità da parte del delegante. Qui però dobbiamo fare una precisazione:
in casi normali la perdita della potestà da parte del delegante non fa cessare la potestà
delegata. Ciò è stabilito dal can. 142, S 1. Tuttavia il delegante può condizionare, con
apposite clausole, la delega alla perdita della sua potestà. In questo caso la delega dipende
totalmente dalla volontà del delegante.
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La potestà cessa anche per rinuncia da parte del delegato e, anche questo va previsto, per
morte del delegato. Tale aspetto riguarda, come vedremo, anche i modi con cui perdere
gli uffici ecclesiastici.
Ricordiamo che si tratta della potestà di governo e non della potestà di ordine e, inoltre,
sottolineiamo che la supplenza di potestà riguarda la sola esecutiva e non quella
legislativa o giudiziale.
Nelle condizioni previste dal can. 144 la mancanza di potestà di governo è supplita dalla
Chiesa. Supplire significa integrare la mancanza di qualcosa o porre rimedio a tale
mancanza. La finalità della supplenza è quella di garantire che l'atto sia valido e quindi la
stabilità dei rapporti giuridici tra le persone nella comunità ecclesiale.
La supplenza di potestà non deve essere intesa come sanazione di un atto invalido ma
come la concessione della potestà necessaria perché l’atto sia valido.
Tale supplenza è valida dal momento in cui ricorrono le condizioni del can. 144.
Le condizioni sono l'errore comune ed il dubbio, non altre. Le condizioni che prevedono
tale supplenza hanno una origine doppia: dal soggetto passivo della potesta stessa o dal
soggetto attivo.
Vediamo le condizioni previste dal can. 144 perché si possa attivare la supplenza nella
potestà di governo.
Errore comune di fatto o di diritto: l'errore, come già abbiamo visto, è un giudizio falso
su una cosa o persona. Nel caso del 144 l’errore è il giudizio falso della comunità, di
molte persone sulla competenza del ministro sacro di porre un atto giuridico. Si dice
errore comune quello che riguarda la comunità o comunque molte persone. L'errore può
essere di fatto quando la causa dell'errore è un fatto su cui erra tutta la comunità o molti.
In pratica, basandosi su fatti e circostanze, si pensa che la persona abbia la facoltà di
operare. L'errore di diritto non significa invece errore sulla legge, come abbiamo visto in
altri casi. Si tratta dell'errore in cui, date le circostanze, la comunità potrebbe cadere. Si
tratta di un errore virtuale che non si produce.
Pertanto l'errore di diritto si dice errore virtuale in quanto nessuno vi cade. Nell’errore di
diritto la circostanza potrebbe indurre in errore la comunità; non significa ciò la comunità
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è tratta in errore ma che potrebbe essere indotta ad un errore circa la potestà di quella
determinata persona.
L'oggetto del dubbio può essere un fatto oppure il diritto il dubbio sul fatto verte sul fatto
mentre quello di diritto sull'esistenza della legge nel caso concreto.
In tutte queste situazioni di dubbio positivo e probabile la chiesa supplisce la potestà del
ministro.
c) Stabilità. È una condizione essenziale dell’ufficio: che sia costituito in modo stabile, il
che non significa che il titolare dell'ufficio rimanga in perpetuo ma l'ufficio, in senso
oggettivo, deve essere costituito in maniera stabile, tale stabilità trac origine dalla natura
giuridica dell'ufficio stesso.
d) Finalità. L'ufficio ecclesiastico è costituito per un fine spirituale: è il fine della Chiesa,
la salvezza delle anime. Questa è la ragione ultima che giustifica l'esistenza degli uffici.
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Il fine spirituale può essere immediato o mediato. Fine immediato è quello che si addice
a tutti gli uffici che implicano la piena e diretta cura delle anime. Fine mediato è quello
che perseguono gli uffici che contribuiscono al raggiungimento del fine immediato, es.
ufficio di Curia.
Dal diritto: si dice che l'ufficio è definito dal diritto quando il complesso dei suoi diritti
ed obblighi è stabilito dalla legge. Per diritto intendiamo quello divino, positivo,
universale e particolare.
Sempre il 146 afferma che l'ufficio ecclesiastico non può essere validamente ottenuto
senza provvisione canonica.
62
Forme di conferimento: libero conferimento degli uffici istituzione, se è preceduta dalla
presentazione; conferma o ammissione se è presente elezione o postulazione; elezine
costitutiva, per semplice elezione dell'eletto (conclave).
Il can. 148 pone un principio generale che riguarda l'autorità che può conferire gli uffici.
Il criterio è che l'autorità che erige, modifica o sopprime un ufficio è la medesima che lo
conferisce. Un'autorità inferiore non e competente nel concedere un ufficio che può essere
provvisto dall'autorità superiore Secondo il criterio del canone ci sono uffici maggiori la
cui competenza è della Sede Apostolica, al Romano Pontefice: erezione di chiese
particolari, la proposizione dei Vescovi, invio di Legati Pontifici, etc.
Altri sono di competenza del vescovo diocesano: erezione della parrocchia, nomina del
parroco, uffici di curia.
Lo stesso criterio si applica agli IVC SVA clericali di diritto pontificio, i loro superiori
hanno competenza sui loro sudditi e sugli uffici da conferire secondo le disposizioni del
diritto proprio.
L'Eccezione prevista dal can. 155. (Se limita alla sola provvisione del ufficio)
I1 Codice prevede dei casi in cui, per delle condizioni impedienti, chi deve provvedere
all'ufficio è impossibilitato a farlo o è negligente nel farlo. In tal caso si ha la forma
straordinaria di provvisione che prende il nome di devoluzione o supplenza o delega a
iure.
Il supplente o delegato non acquista potestà sulla persona designata e la potestà del
supplente si esaurisce nel porre l'atto di supplenza. La persona designata non cambia nella
sua condizione di essere sottoposta all'autorità che doveva provvedere al conferimento.
Il can. 149, mantenendosi nella generalità, stabilisce le condizioni generali del soggetto
che è chiamato a ricevere un ufficio ecclesiastico.
La prima condizione richiesta è che il candidato sia nella comunione con la Chiesa. Come
sappiamo dal can. 96 la comunione ecclesiale richiede i vincoli della fede, dei sacramenti
e del governo ecclesiastico. Se ne manca uno non abbiamo piena comunione ecclesiastica.
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La ragione giuridica di tale condizione è scontata: non si può affidare un incarico da
svolgere a nome della Chiesa se non si è in perfetta comunione con Essa.
Oltre ai battezzati che lo dichiarano, non sono in piena comunione gli scismatici, gli
eretici, gli apostati.
L'altra condizione posta viene definita in modo generale come idoneità del candidato.
Per idoneità, ex can. 149, 1 significa essere dotato delle qualità richieste dall'ufficio per
diritto universale e particolare. Le qualità richiesta, o can. 241. 1 sono quelle umani
naturali ossia la salute fisica e psichica, le qualità morali intellettuali e spirituali.
Vediamole più analiticamente....
Qualità morali. L'onestà dei costumi can, 521, 2. È richiesta prudenza, saggezza e altre
virtù umane; l'essere degni di fiducia, integra reputazione e fama, onesta condotta.
Qualità intellettuali: tutti i chierici devono prestare il tempo opportuno allo studio e
all'aggiornamento. Al parroco è richiesta sana dottrina. Formazioni più specifiche sono
richieste per altri uffici, il dottorato in particolari materia (vescovi, vicari, etc).
Qualità spirituali. I candidati a particolari uffici devono avere fede eminente e salda,
buoni costumi, pietà e zelo per le anime, ex can. 378, 1, 1 (per i candidati all'episcopato.
Il vescovo diocesano è tenuto ad offrire esempio di santità nella carità, nell'umiltà e
semplicità di vita, can. 387. il candidato a parroco deve essere dotato di zelo per le anime
e di ogni altra virtù richiesta per esercitare la cura pastorale.
Per gli uffici gerarchici è richiesto come requisito il sacerdozio. Can. 150. In genere,
l'essere chierico è necessario per gli uffici il cui esercizio richiede la potestà d’ordine o
quella di governo ecclesiastico.
Il can. 149, S 2 mette indirettamente in risalto il caso di provvisione valida c di
provvisione invalida.
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ha bisogno del parere o del consenso di altri. Cosi nella Curia romana per l'assunzione di
officiali è necessario il parere del Segretario...
... Capo ufficio, nulla osta della Segreteria di Stato. Per la provvisione di un ufficio
diocesano sarà il vescovo a fare opportuno discernimento secondo i criteri anche della
compartecipazione.
Altra causa di invalidità è la provvisione fatta per simonia can. 149, 3. si tratta del caso
in cui l'autorità vende il titolo al candidato che lo compra. Tale provvisione è invalida
anche se perpetrata da una terza persona senza che l'interessato sappia nulla. Cio che
rende invalida la provvisione è appunto al simonia.
Il Legislatore pone, por determinati uffici, altre condizioni, il rispetto di alcune di queste
è ad validitatem. Tali condizioni si riferiscono al carattere dell'ufficio, alla sua
compatibilità con altri uffici, il tempo entro cui provvedere l'ufficio, la sua durata, la
condizione di vacanza.
Il codice distingue tra gli uffici che prevedono la diretta cura di anime e quelli che invece
non la prevedono.
Per gli uffici con diretta cura di anime si deve provvedere senza differire a meno che ci
sia grave causa. Can. 151.Tale canone non impone un tempo entro cui agire, come
avveniva in passato (sei mesi ma sottolinea che la provvisione di tali uffici è urgente e
solo una causa grave giustifica il differimento. Tale norma riguarda maggiormente la
modalità del libero conferimento perché in altri casi è il Codice che stabilisce i limiti per
presentare i candidati a parroco, quando sia possibile, si stabiliscono 3 mesi per la prima
volta e 1 mese per la seconda. Il Collegio dei Consultori, in sede vacante, ha 8 giorni per
eleggere l'amministratore diocesano, se non lo fa come abbiamo già visto perde il diritto
di elezione.
Per gli altri uffici esiste il principio generale per il quale l'autorità deve provvedere entro
tre mesi (can. 57, 165).
Il Codice stabilisce anche la possibilità della incompatibilità fra due o più uffici e chiede
che non vengano conferiti alla medesima persona uffici incompatibili. Per incompatibilità
deve intendersi l'impossibilità per la persona di adempiere gli obblighi inerenti tali uffici.
65
Secondo la norma attuale il conferimento di uffici incompatibili non un conferimento
invalido perché il canone 152 non prevede nessuna clausola irritante.
Il can. 153 si occupa del tempo' in relazione allo spazio entro cui si deve provvedere ma
anche in relazione alla durata dell'ufficio conferito.
Il can. 153 stabilisce il tempo entro ci provvedere e prende in considerazione la situazione
dell'ufficio vacante e quella della non vacanza. Si applica sempre quanto detto rima in
relazione al can. 57 e ai tre mesi da rispettare nel libero conferimento.
La vacanza dell'ufficio è retta dai cann. 153-154. attenti bene: la vacanza dell'ufficio,
eccetto il caso del romano pontefice, è condizione indispensabile per poter conferire un
ufficio ecclesiastico. L'ufficio vacante quando non ha titolare. La vacanza si produce per
diverse forme:
- Per morte,
- Per rinuncia,
- Per trasferimento,
- Per privazione.
Si può avere una vacanza piena, ossia di diritto e di fatto ma anche una vacanza non piena
ossia di diritto ma non di fatto.
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aver promesso un ufficio ma, successivamente, potrebbe essersi resa conto della non
idoneità della persona a tale ufficio. Non può essere vincolata ad una promessa passata.
DURATA. Nel codice esistono degli uffici che sono conferibili a tempo determinato ed
altri a tempo indeterminato. La differenza di tali possibilità non risiede nella natura
dell'ufficio ma da quanto deciso dal legislatore.
Tempo indeterminato: si tratta di quegli uffici che richiedono la massima stabilità del
titolare: vescovo diocesano, parroco, cappellano. E chiaro che si tratta di una perpetuità
relativa perché si può sempre rinunciare, essere trasferiti, etc., ciò a dimostrazione del
fatto che nessuno è proprietario dell’ufficio assegnatoli. Il Codice, anche in questi casi,
limiti il possesso dell'ufficio alla condizione dell'età: 75 anni per vescovi e parroci, ad
esempio.
Tempo determinato: sono gli uffici conferiti per un tempo determinato. Tale limite può
essere definito dal diritto universale ma anche dall'autorità che conferisce l'ufficio Es:
economo, CdAE, consultori, vengono nominati ad quinquennium.
In altri casi è l'autorità che stabilisce il tempo di permanenza nell'ufficio nella biglietto di
nomina. I vicari generali, episcopali, devono vedere determinato il loro ufficio nel tempo
e non a tempo indeterminato o ad nutum.
FORMALITÀ DA OSSERVARE.
Oltre a tutti i requisiti di cui abbiamo parlato, il conferimento va effettuato nel rispetto di
formalità che lo stesso codice richiede, a tutela sia dell'ufficio che del titolare di esso.
Si tratta di formalità che deve rispettare l'autorità che conferisce l'ufficio. In taluni casi il
Vescovo necessita del parere di altre persone (consiglio presbiterale, collegio dei
consultori). A seconda della necessità stabilita dal diritto sarà vincolante il consenso
quando richiesto mentre non vincolante il parere quando richiesto (per nominare economo
è richiesto il parere dei consultori e del CdAE per nominar come cancelliere o giudice è
necessario il consenso del rispettivo un religioso superiore maggiore).
Ricordo Sulla forma scritta degli atti amministrativi singolari abbiamo già discusso. solo
che la provvisione di un ufficio si richiede la forma scritta che è elemento costitutivo,
anche ai fini della prova della titolarità dell'ufficio stesso. Se manca la forma scritta l'atto
amministrativo è nullo ex can. 124 sugli atti giuridici.
In questa forma di provvisione, il designato non può vantare come invece accade nella
elezione o nella postulazione alcun diritto sull'ufficio ecclesiastico.
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Il libero conferimento degli uffici à la forma più comune di provvedere all'ufficio
ecclesiastico nel governo della Chiesa particolare.
Il can. Citato parla di Uffici all'intero della propria Chiesa particolare, ossia nella
giurisdizione del vescovo diocesano. Si tratta pertanto degli uffici diocesani. Tale canone
pertanto non si riferisce ad altre chiese ne tantomeno alla Curia Romana come nemmeno
alla Conferenza Episcopale Il Vescovo diocesano non può conferire uffici al di fuori della
propria chiesa particolare. Chi conferisce gli uffici?
Il can. 157 nega al Vicario Generale o episcopale la potestà di conferire gli uffici per virtù
del loro ufficio di ordinari del luogo, a meno che il Vescovo diocesano abbia concesso
apposita delega.
Nonostante quanto detto il Codice attribuisce agli ordinari del luogo nel conferimento di
qualche ufficio: nominare e istituire il cappellano, il confessore della monache, ad
esempio.
Nomina dell'economo: deve sentire il parere del collegio dei consultori e del CdAE.
Nomina dei canonici: deve sentire il parere del capitolo Stabilire la destinazione delle
offerte: sentire il consiglio presbiterale Per conferire un ufficio ad un religioso deve
sentire il superiore suo proprio.
I legati pontifici possono nominare pro prefetti e pro vicari apostolici quando la sede sia
vacante.
Il can. 158 parla della presentazione ed essa è la designazione del candidato chc non dà
nessun diritto all'ufficio da parte del candidato stesso. Secondo tale canone il diritto di
presentazione può essere di una persona fisica come anche di un collegio o di un gruppo.
Qualora si dovesse trattare di persona fisica la persona con tale diritto deve essere
determinata dalla legislazione; si verifica nelle leggi di fondazione, qualora non fosse
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detto nulla si va al diritto particolare e, qualora ancora nulla, al diritto universale (stesso
criterio per le elezioni che abbiamo già esaminato).
Il can. 377, S 4 riconosce al vescovo diocesano il diritto di proporre tre candidati por
l'ufficio di vescovo ausiliare, la Santa Sede potrebbe però attribuirne un altro. sul di
presentazione non si dice nulla nel canone Le leggi particolari o di modo fondazione
possono prevedere contenuti particolari quali indagini, informative…
La presentazione fatta dal collegio o dal gruppo deve essere effettuata seguendo le norme
sulle clezioni stabilite dal can. 158, S 2. La designazione del candidato è un atto collegiale
che comporta una elezione canonica secondo il disposto del can. 119.
Per quanto riguarda il soggetto passivo, il candidato: il can. 159 csige la disponibilità del
candidato e il 160 parla del numero dei candidati come anche della impossibilità di
presentare se stesso. Il 161 richiede l'idoneità.
Idoneità: è una condizione generica per le quali si richiedono elementi in tutti i candidati
agli uffici ecclesiastici come anche una condizione specifica che per particolari uffici
sono previste; la perizia in particolari materie, etc. Per certi uffici si richiede il
presbiterato, per altril'età, solo per citarne alcuni.
Il can. 159 indica l'impossibilità di presentare qualcuno contro la propria volontà. Il can.
159 stabilisce il modo ed il tempo per ottenere la disponibilità e verificarla. Il canone
esige la disponibilità c l'accettazione previa da parte del candidato per cre presentato; il
can. 161 stabilisce la possibilità di rinunciare all'istituzione. L'autorita, prima di portare
avanti la presentazione, ad ottenere il consenso del candidato, ad ere presentato perche si
farebbe una provvisione nulla.
Il consenso alla presentazione (e non alla provvisione) si ritiene implicito trascorsi gli
otto giorni da quando gli è richiesto il suo parere. Se in tale tempo il candidato rifiuta non
può essere presentato, si d procedere ad una nuova individuazione.
Il can. 160 dispone che si possono presentare anche più candidati in una unica soluzione
o anche successivamentc canone ricorda e richiede la legittimità della presentazione
anche se non offre alcuna determinazione.
Ultimo requisito per la valida presentazione è il rispetto del tempo stabilito. tempo varia
a seconda che si tratti di prima o seconda presentazione.
La prima deve essere fatta entro tre mesi dalla vacanza dell'ufficio.
La seconda entro un mese dalla rinuncia del candidato alla prima presentazione.
Trascorso il tempo si perde il diritto di presentazione stabilito dal can. 162. Si perde altresi
la possibilità di presentazione se si presenta una persona non idonea per due volte.
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Prima di procedere al conferimento l'autorita deve verificare, da solo o tramite opportune
consultazioni, l'idoneità del candidato all'ufficio. Se consta non idoneo non può istituirlo,
se consta idoneo deve istituirlo.
Can. 163, si tratta, come abbiamo detto, di un atto giuridico diverso dalla presentazione.
L'istituzione spetta all'autorità; essa si individua in relazione all'ufficio che si deve
provvedere.
Si tratta in questi canoni della elezione canonica ll diritto che si osserva in tale elezione è
quello stabilito dagli Statuti, il diritto proprio o particolare e, se non vi sono disposizioni
in tali ambiti, si osservano le normc stabilite dal codice, can. 165 e seguenti.
La prima condizione, ex can. l'ufficio sia in caso contrario il procedimento sarà nullo per
lo stesso fatto della non vacanza.
Il tempo entro il qualc è necessario procedere alla elezionc puo cssere stabilito dal diritto
particolare, proprio o universale. Per esempio la costituzione apostolica universi domini
gregis prevede il tempo di 15 giorni, massimo 20, per l'elezione del sommo pontefice. Il
diritto universale prevede 8 giorni per l'amministratore diocesano.
Qualora manchi il diritto proprio o particolare il codice stabilisce una norma generale che
prevede un termine di tre mesi entro il quale bisogna procedere alla elezione. I tre mesi
iniziano a decorrere dal tempo in cui è notificata ufficialmente la vacanza dell'ufficio.
Si concede un mese per la seconda elezione qualora la prima vedesse un rifiuto da parte
dell'eletto.
Decorsi tali termini il collegio perde il diritto di elezione a meno che il decorso inutile
non sia imputabile al collegio. In tali situazioni il collegio non perde il diritto di eleggere
nuovamente (166. S 2).
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Can. 166: la convocazione degli elettori. La convocazione è quell'atto tramite il quale
l'autorità competente convoca gli elettori per procedere all'elezione. È necessaria la
convocazione tramite la quale gli elettori sono riuniti in un unico luogo nel medesimo
orario per poter procedere. La convocazione precede l'elezione ed è necessaria per la
validità dell'elezione.
Hanno diritto di essere convocati tutti gli appartenenti al collegio elettorale. Devono
essere convocati tutti e solo questi. Il 166, SS 2-3 parlano del difetto di convocazione. Gli
effetti giuridici della non convocazione di qualcuno sono diversi a seconda del numero
dei trascurati, sia in buona che in mala fede. Se il numero dei trascurati è superiore al
terzo l'elezione è invalida.
La convocazione deve essere fatta in modo legittimo, cioè conforme alle norme. Può
essere personale o generale.
Il can. 167 s 1 distingue tra il diritto di voto e l'esercizio di tale diritto. Il can. 165 stabilisce
che tutti coloro che fanno parte del collegio devono essere convocati. Di conseguenza il
diritto di voto è in relazione all'appartenenza al suddetto collegio. Il can. 171 determina
in modo espresso coloro che non possono dare il voto e impliciter coloro che lo possono
dare.
Gli elettori hanno sempre il diritto di voto ma non sempre la possibilità di esercitarlo.
Oltre al diritto è pertanto necessaria la facoltà di dare il voto. Ci si riferisce al diritto
particolare che può concedere la possibilita di voto tramite lettera o per procuratore o altre
determinazioni più specifiche.
In mancanza di tali disposizioni il can. 167 stabilisce che si deve essere presenti nel luogo
della votazione oppure, eccezione, trovarsi nella casa dove avviene l'elezione ma impediti
per malattia.
In tal caso l'eccezione consiste nell'ammettere validamente chi non si trova presente nel
luogo della votazione; tale eccezione si può applicaro verificate tre condizioni trovarsi
nella stessa casa, impediti da malferma salute, la richiesta del voto scritto deve essere
fatta dagli scrutatori.
La prima condizione necessaria e che siano presenti gli elettori il giorno stabilito per
l'elezione. In linea generale esclusa la possibilità di dare il voto tramite lettera o per
procuratore. Questo perché il voto deve essere espresso il giorno della elezione e non
prima inoltre il numero delle schede deve essere uguale al numero degli elettori presenti.
Anche se uno avesse più titoli per dare il voto non potrebbe farlo, una testa un voto.
Se nulla dispone il diritto particolare circa la presenza degli elettori allora si fa riferimento
al can.119 che chiede la presenza della maggior parte degli elettori.
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Altra causa di validità o invalidità è la convocazione o meno di una parte degli aventi
diritto. L'elezione è invalida se più della terza parte degli elettori fosse stata trascurata.
Perché sia invalida è necessaria la mancanza di più di un terzo e che tale mancanza sia
dovuta alla non convocazione.
Il collegio elettorale deve esprimersi in modo libero. Un collegio coartato o sotto timore
non procede ad una elezione valida. Per quanto riguarda la maggioranza richiesta
sappiamo già dal can.119 che essa è assoluta nelle prime due convocazioni e relativa nella
terza. In caso di parità nel terzo scrutinio è eletto il più anziano di età.
Per principio tali elezioni sono valida a meno che la maggioranza sia determinata da un
voto espresso da persona inabile in tale caso ex can 5 2 l'elezione è 171 invalida.
Modalità di elezione: può essere fatta in modo esplicito per alzata di mano o per scrutinio
segreto, per acclamazione, per compromesso.
Scrutinio: il can. Stabilisce come prima cosa la designazione degli scrutatori e del notaio.
La designazione va fatta dal collegio e non dagli interessati e deve farsi le canone dispone
che si tratti di almeno due scrutatori, possono designare in un numero maggiore di due
Gli scrutatori devono essere membri del collegio elettorale. In linea generale sono esclusi
gli estranei il diritto particolare potrebbe stabilire altro.
L'elezione inizia con la votazione e l'emissione del voto da parte degli elettori. Si puo
votare in diversi modi, per parola o altri segni, stabiliti dal diritto particolare. La forma
comune stabilita dal canone è quella della scrittura.
Si passa ad esaminare se il numero delle schede è pari a quello degli elettori. L'elezione
invalida se il numero delle schede è maggiore; se è minore è valida perche ci potrebbe
essere stata qualche rinuncia al voto.
Verificati tali fatti si procede alla proclamazione dei voti. Se nella votazione non emerge
l'eletto si procede con la nuova votazione con il relativo scrutinio.
Se l'elezione è efficace risulta eletto chi ha ottenuto il numero di voti necessario: can.119,
1: nei primi due scrutini maggioranza assoluta: nel terzo la relativa. Gli statuti possono
esigere numeri diversi.
L'elezione può essere fatta per compromesso excan. 174 Tale modalità elettiva è esclusa
da Giovanni Paolo II per l'elezione del Romano Pontefice. In cosa consiste?
Se il diritto non dispone altro e se si ha l'unanimità degli elettori circa questa modalità di
clezione si puo effettuare l'elezione scegliendo delle person dctte compromissari ai quali
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viene demandata la facoltà di emettere voto e di procedere alla clezione Essa è possibile
se non è vietata dagli statuti, se non è prescritta un'altra forma obbligatoria dal diritto
proprio.
Nel compromesso gli elettori, in modo unanime, trasmettono il diritto di voto ad altre sia
del gruppo sia estranei perché agisca o agiscano in nome tutti secondo le facoltà concesse.
Non si richiede una particolare causa per tale modalità. Si pensa che debba esserci vista
la particolariti di tale modalità elettiva.
Vi sono delle condizioni che vanno rispettate sia da parte di chi designa sia da parte di
chi è designato.
La designazione dei compromissari deve essere fatta dal gruppo in maniera mediata o
immediata. Mediata quando la scelta è affidata ad una persona e non al gruppo: immediata
quando c il gruppo che sceglie.
Il compromissario/ i deve essere idoneo. Può anche non essere membro del collegio. Se
il collegio è composto da chierici, il compromissario deve essere ordinato.
L'elezione fatta dai compromissari ha la stessa efficacia di quella fatta dagli elettori. La
cessazione del compromesso è normata dal can. 175:
L'elezione valida per avere i suoi effetti giuridici deve essere accettata dall'eletto.
Secondo passo: l'eletto deve notificare entro otto giorni dalla notifica l'accettazione o
meno. Trascorso tale tempo il silenzio è inteso come rinuncia e l'elezione non ha valore.
Nel caso di presentazione, se ricordate, il silenzio è considerato come accettazione tacita.
(159)
La non accettazione comporta la necessità di una nuova elezione e l'eletto perde i diritto
proveniente dall clezione. L'accettazione successiva al rifiuto non ha valore perche
ilrifiuto ha già resa inefficace l'elezione che non ha più valore Se si ha accettazione allora
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bisogna vedere se si tratta di elezione costitutiva o di elezione che necessita di conferma
da parte dell'autorita
In tutti gli altri casi l'elezione necessita di conferma. Pertanto l'eletto con la semplice
accettazione non acquisisce l'ufficio ma uno ius ad rem ossia il diritto ad ottenerlo da
parte dell'autorità. Una volta accettata l'elezione, l'eletto personalmente o altro in sua
vece, entro otto giorni, chiede all'autorita la conferma e cosi la provvisione dell'ufficio.
La conferma deve essere data per iscritto (179 S3). La forma scritta è per la validità della
provvisione che richiede la possibilità della prova in foro esterno.
Intimata la conferma, se il diritto particolare o gli statuti non prevedono altro, l'eletto
ottiene l'ufficio ed è immesso in esso.
Se l'eletto è idoneo e non viene confermato, dopo tre mesi di silenzio, pu ricorrere al
superiore gerarchico.
POSTULAZIONE (180-183)
La postulazione è l'ulteriore modalità per provvedere agli uffici ecclesiastici. Essa è simile
all'elezione ma porta delle differenze.
Anche nella postulazione si devono osservare le norme delle elezioni. Per quanto riguarda
le differenze: nella postulazione, la persona presentata ha un impedimento canonico per
l'ufficio. Mentre l'elezione porta al diritto dell'eletto all'ufficio, la postulazione una grazia
che viene concessa.
Gli elementi della postulazione (can. 180). Essa, come forma eccezionale di
conferimento, può essere fatta a determinate condizioni stabilite dal codice stesso.
Nella postulazione sono richicsti, per il suo valore, i due almeno terzi dei voti (can. 181.
S10. Non è richiesta ne maggioranza assoluta ne relativa ma solo il minimo dei due terzi
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dei presenti che, come sappiamo, devono essere la maggior parte del collegio elettorale.
Non si può dare voto per lettera o procuratore.
Per quanto riguarda la formula si può avere la postulazione senza elezione, in questo caso
nella scheda gli elettori scriveranno partulo N.N.
Si può avere anche il caso di postulazione cd elczione insieme quando magari non si è
sicuri della presenza o meno di impedimenti sulla persona del candidato La formula sarà
eleggo o portulo N.N. L'atto successivo è la trasmissione della postulazione all'autorità
competente ed è regolamentato dal can. 182.
Qualora il presidente non trasmetta la postulazione entro gli otto giorni la postulazione,
per lo stesso fatto è nulla. Il tempo è quindi un elemento costitutivo della postulazione.
Tuttavia se il collegio prova che il ritardo è per causa di forza maggiore allora il collegio
non perde il diritto di trasmissione. Nel caso di legittimo impedimento il decorso del
tempo inizia con il finire dell'impedimento.
Il can. 183 determina gli effetti della postulazione. Se essa non viene confermata
dall'autorità competente, il diritto di eleggere torna al collegio. L'autorità non è obbligata
ad ammettere la postulazione che sempre una grazia La non risposta entro tre mesi si
intende come accettazione.
La perdita dell'ufficio è l'atto mediante il quale il titolare perde l'ufficio che diviene
vacante. Le cause di perdita dell'ufficio sono stabilite dal can. 184: sono cause naturali a
morte) esse sono indipendenti dalla volontà del titolare dell'ufficio: la cessazione del
superiore che concesse l'ufficio, la scadenza del tempo.
Vi sono poi cause giuridiche come decisioni del Superiore e abbiamo il trasferimento, la
rimozione e la privazione.
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Ricordiamo che, come per la provvisione, la perdita dell'ufficio avviene per atto giuridico
posto dall'autorità competente pertanto non saranno le cause (naturali o altro) a
determinarne la cessazione ma sempre un atto della competente autorità.
Morte: l'ufficio ecclesiastico si perde con il decesso del titolare. Esso non può essere
trasmesso agli eredi. In altri casi come di malattia fisica o mentale necessaria pero la
rinuncia.
Cessazione del superiore: il canone stabilisce espressamente che salvo che il diritto non
disponga altrimenti il titolare dell'ufficio non perde l'ufficio con il venir meno del
superiore concedente. In certi casi però il diritto menziona espressamente che il venire
meno del Superiore produce la vacanza di certi uffici come gli uffici vicari per i vicari
generali ed episcopali. Anche qui la vacanza degli uffici si produce dal momento in cui
sono emessi gli Atti pontifici sulla vacanza della sede (can. 417).
Per taluni uffici, con il nuovo superiore, si esige la conferma o meno che in pratica
costituisce una nuova provvisione (vicari giudiziali, segretari dei dicasteri).
Scadenza del tempo: lo scadere del tempo per il quale l'ufficio fu concesso non produce
automaticamente la perdita dell'ufficio perche al tempo non sono riconosciuti effetti
giuridici; è sempre necessario un atto dell'autorita con il quale si priva l'ufficio del suo
titolare.
Raggiunti limiti di età: anche qui vale la stessa considerazione: la cessazione dell'ufficio
non avviene per raggiunti limiti di età ma sempre da un atto giuridico che pone fine alla
titolarità.
Il can. 18, s 3 e il can. 186 parlano della notificazione e della perdita dell'ufficio
ecclesiastico.
La perdita può essere sospesa' in caso di ricorso gerarchico: mentre è sospesa non si puo
fare nulla.
Il can. 185 parla del titolo di emerito che è una istituzione nuova del Codice equiparata
ad un titolo onorifico, il titolo di emerito può essere concesso quando si cessa l'ufficio per
raggiunti limiti di età o per rinuncia accettata. Il titolo, come sempre, non si ottiene con
la rinuncia all'ufficio ma con un conferimento da parte della autorità competente.
Eccezione: il vescovo, can. 402, S 1, che rinuncia e la cui rinuncia viene accettata
mantiene il titolo di vescovo emerito della sua diocesi a meno che la Sede Apostolica non
disponga altrimenti.
altra causa di perdita dell'ufficio è la rinuncia. Essa è data dalle dimissioni che viene
considerata come una libera domanda, da parte del titolare dell'ufficio, di cessare in tale
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titolarità. Come abbiamo già detto, la semplice petizione non produce effetti giuridici in
quanto sara l'accettazione da parte della autorità a produrli.
La rinuncia può essere assoluta o condizionata. Nel primo caso il titolare rinuncia in
modo puro e semplice e in senso assoluto senza porre condizioni ne parti. Nel secondo
caso alla rinuncia è annessa qualche condizione (can. 1743).
I canoni stabiliscono dei requisiti per porre l'atto giuridico della rinuncia.
Persona abile i cann. 187-188 mettono in chiaro le condizioni personali necessarie per
porre in essere validamente un atto di rinuncia.
Il primo requisito è che la persona sia abile, capace di intendere e volere, libera. La libertà
e condizione essenziale: in caso di rinuncia fatta per dolo o errore sostanziale la rinuncia
è invalida quando riguarda elementi costitutivi dell’atto giuridico. Se il dolo ed errore
sono accidentali allora la rinuncia produce effetti.
Il secondo requisito per la rinuncia è la manifestazione della volontà, can. 189 S 2 Tale
manifestazione prende il nome di presentazione e si esprime a parole o per iscritto. Il can.
187 esige una causa per la rinuncia all'ufficio: la causa deve essere giusta e costituisce il
motivo per la rinuncia che poi va sempre accettata. Il giudizio sulla causa spetta
all'autorità per accettare o meno la rinuncia.
Per quanto riguarda le formalità che devono essere rispettate, il can. 189, S 1 chiede una
forma per la presentazione. È necessario anzitutto che la rinuncia venga presentata
all'autorità competente, in modo scritto oppure orale davanti a due testimoni.
Eccezione è la rinuncia del Romano Pontefice che per essere valida deve esser posta in
modo libero e debitamente manifestata.
Il codice stabilisce dei casi in cui non è necessaria l'accettazione della rinuncia: il caso
del Romano Pontefice, il caso dell'amministratore diocesano.
Nei casi in cui non necessaria l'accettazione, l'effetto giuridico della rinuncia è immediato
e l'efficacia proviene dal diritto. L'ufficio pertanto diviene vacante.
La rinuncia non può essere revocata e tale rinuncia deve essere notificata a coloro che
devono provvedere.
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L'autorità, in base a tale causa, può accettare o respingere la rinuncia. La non
accettazione può essere espressa o tacita e non richiede formalità mentre l'accettazione
deve essere sempre espressa in modo formale.
Tempo: il can. 189,53 prevede i tre mesi per l'accettazione della rinuncia. Quando
l'autorità non da risposta entro tre mesi la rinuncia perde il suo valore.
Finche non ha prodotto il suo effetto giuridico la rinuncia può essere revocata dal titolare.
L'efficacia della rinuncia inizia con gli atti dell'autorità che intima o notifica.
Altro modo con cui si perde l'ufficio è il trasferimento. Di questo si occupano i due canoni
citati.
Si parla di causa giusta; qualora non dovesse esserci la giusta causa il trasferimento e
sempre valido.
Forma scritta: il trasferimento, S 3, va intimato per iscritto tramite la notifica del decreto
singolare.
Effetti giuridici: can. 191: il trasferimento comporta a la vacanza del primo ufficio con
il possesso del secondo ufficio ottenuto. Non è sufficiente l'intimazione fatta per iscritto
perché il trasferimento sia efficace.
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ufficio. Non è cosi in quanto in questo caso dal momento della pubblicazione del
trasferimento l'ufficio è vacante e cessa la potestà del vicario generale ed episcopale.
La remunerazione del primo ufficio, can. 191, si perde con il possesso del secondo.
a) Per decreto. In generale il titolare non può essere rimosso se non per causa grave;
potrebbe essere causa grave l'inadempienza degli obblighi dell'ufficio...
Oltre all'esistenza di giusta causa si dovrà osservare la procedura prevista che vuole la
raccolta di prove, l'ascolto degli interessati, l'applicazione del can. 50 e la motivazione
posta nel decreto.
b) Dal diritto: si è rimossi per cause stabilite dal diritto stesso. Perdita dello stato
clericale. Abbandono pubblico e notorio della fede cattolica e comunione con la Chiesa.
Attentato al matrimonio da parte di un chierico.
Nel caso di abbandono della comunione ecclesiale e tentato matrimonio la rimozione deve
essere dichiarata dall'autorità competente mediante decreto dato con formalità che
sappiamo. La finalità del decreto non è di dichiarare vacante l'ufficio ma che il possesso
di esso è illegittimo. Tale dichiarazione di illegittimità è necessaria per provvedere alla
nomina di un altro titolare.
Il can. 195 chiede all'autorità che rimuove anche la cura e il sostentamento economico del
rimosso. L'espressione del canone di provvedere economicamente per un congruo periodo
di tempo' significa che tale tempo sarà determinato. La durata del sostentamento è lasciata
al giudizio della autorità.
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Il termine "prescrizione' indica, nella nostra accezione, la scadenza o la perdita di una
cosa materiale o immateriale e anche l'estinguersi di un obbligo o di un diritto.
Ai sensi del can. 197 la prescrizione è appunto questo: un modo di acquistare o di perdere
un diritto o di liberarsi da un obbligo.
Secondo il can. 197 di distingue la prescrizione liberativa e acquisitiva.
Perché la prescrizione sia valida è necessario che la materia sia adatta. Altra condizione
è il titolo poi la buona fede, il possesso e, infine, il tempo.
Materia adatta: la prima condizione è che l'oggetto del possesso sia prescrittibile, cioè
soggetto a prescrizione. Il principio generale è che ogni materia sia prescrittibile; il can.
199 determinerà le materie imprescrittibili.
Titolo: è la ragione per cui si acquista un diritto I titoli della prescrizione sono tanti:
l'acquisto, la donazione, i lasciti, la dote, etc.
Buona fede: la buona fede è coscienza di non fare il male al legittimo possessore. La
buona fede integra il titolo ma non si sostituisce ad esso. La buona fede è richiesta per
tutto il decorso del tempo della prescrizione
la buona fede si prova o si deduce dalle circostanze nelle quali si realizza il possesso. La
buona fede è richiesta solo per la prescrizione acquisitiva. Questo concetto, per ovvi
motivi, non si applica alla prescrizione estintiva. Possesso: per essere alla base della
prescrizione deve avere i seguenti requisiti: Giuridico: consiste nel possedere la cosa a
nome proprio e con l'animo di titolarità Continuato e senza interruzione: deve esserci
anche la buona fede per tutto il tempo e non solo all'inizio del possesso. Giusto, ossia non
viziato. Esempi di vizio sono la violenza, la clandestinità... Tempo: il tempo richiesto per
la prescrizione è quello stabilito dalle singole leggi. Anche qui come nel caso degli uffici
ecclesiastici ribadiamo il fatto che non è solo il tempo ed il suo decorso a determinare la
prescrizione. Si tratta della concomitanza della presenza di tutte le condizioni che
abbiamo visto a determinare l'effetto giuridico della prescrizione Non solo il decorso del
tempo Far coincidere il del tempo con la prescrizione non è proprio corretto
I diritti e gli obblighi di legge divina naturale o positiva (primato del romano pontefice,
obblighi del battesimo, etc).
I diritti che si possono ottenere solo per privilegio apostolico: si tratta di facoltà di
dispensa concesse dalla Santa Sede, le conferenze pontificie, la facoltà di concedere
indulgenze...
I diritti e gli obblighi che riguardano la vita spirituale dei fedeli annuncio del vangelo,
diritto di avere tutti gli aiuti spirituali, di scegliere il proprio confessore.
Elemosine o oneri delle Messe: si deve sempre rispettare la volontà dei donatori. Con il
passare del tempo non viene meno l'obbligo di destinare le offerte secondo le intenzioni
e di rispettare gli oneri.
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Provvisione di ufficio ecclesiastico dove è previsto l'ordine sacro: il conferimento
invalido non viene reso valido con il decorso del tempo. Il diritto di visita e l'obbligo di
obbedienza.
Mediante gli atti giuridici si modifica il patrimonio giuridico del destinatario e quindi i
suoi rapporti all'interno della comunità ecclesiale.
Gli atti giuridici si distinguono dai fatti giuridici: questi sono degli eventi che non
dipendono dalla volontà dell'uomo ma che producono effetti giuridici (si pensi alla nascita
e alla morte). La distinzione tra fatti ed atti giuridici risiede, fondamentalmente nella
presenza della volontarietà negli atti giuridici e nell'assenza di volontà nei fatti giuridici.
Con gli atti giuridici è la volontà della persona a volere determinati effetti; la cosa non è
la medesima coi fatti giuridici dove, invece, non entra la volontarietà.
Il can. 124 stabilisce che per la validità l'atto giuridico deve essere posto da persona abile
e che in esso ci sia cio che costituisce l'atto stesso come pure le formalita ed i requisiti
posti dalla legge per la validità. Sono dunque tre le condizioni imposte per la validità
dell'atto giuridico: abilità della porsona; presenza degli elementi essenziali formalità
richieste dal diritto.
Abilità della persona: affinché l'atto sia valido è necessario che si posto da una persona
capace di voler produrre effetti giuridici. Il can. 124 parla di atto posto persona abile.
È richiesto innanzitutto che il soggetto sia in possesso della capacità di agire senza la
quale la persona sarebbe radicalmente inabile all'atto in quanto priva dell'attitudine di
compiere manifestazioni idonee a modificare la propria situazione giuridica. Sappiamo
che il legislatore fa dipendere il possesso di tale facoltà oltre che dal battesimo anche da
altri fattori quali l'età, l'uso di ragione.
La validità dell'atto giuridico dipende dalla presenza di tutti gli elementi che lo
costituiscono senza i quali l'atto è inesistente. Sono la volontà dell'autore, la causa e il
contenuto dell'atto. Un atto giuridico senza un suo clement costitutivo irragionevole e
quindi invalido.
La validità dipende altresì dal rispetto delle formalità prescritte dal diritto come anche
dalle modalità con le quali l'atto viene posto in essere. Non si tratta di requisiti che devono
essere presenti nell'autore ma sono elementi procedurali formali esterni all'atto. Per
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trasferire un parroco il vescovo deve seguire una particolare procedura che manifesta una
sua ragionevolezza.
Per assicurare una adeguata certezza giuridica il can. 124 introduce la presunzione di
validità per l'atto che risulti rispettoso degli elementi esterni.
Violenza fisica: il can. 125 dichiara che l'atto posto per violenza inferta dall'esterno alla
persona a cui essa non può in alcun modo tesistere è nullo. ha la nullità dell'atto perche,
in assenza della violenza fisica inferta e irresistibile, la volonta non sarebbe stata presente
nella persona che stata costretta. La violenza è quindi esterna, viene da fuori. Assoluta:
non è possibile resisterle.
Timore grave: si distingue dalla violenza fisica e si qualifica come "violenza morale".
Nel timore grave è presente la coazione, la pressione psicologica o una minaccia sulla
persona che diminuiscono nella persona la capacità della sua libertà e volontà.
A differenza della violenza esterna assoluta con il timore grave la volontà della persona
non è totalmente annichilita la tra l'agre c il minacciato. motivo, l'atto posto sotto timore
grave è valido codice prevede pero la possibilità di rescinderlo quando: il timore deve
avere un carattere di gravita tale da aver avuto influsso rilevante sulla libertà della
Persona: il timore essere esterno o interno, deve esser incusso ingiustamente.
In tali casi il soggetto potra fornire al giudice laprova per ottenere l'annullabilità dell'atto
posto
Dolo: il dolo sappiamo cosa è. Una serie di raggiri, artifizi posti con il fine di ingannare
una persona per indurla a compiere un determinato atto giuridico che senza quell'inganno
non avrebbe posto in essere.
Il can. 125 giunge per il dolo alle medesime conclusioni del timore grave: l'atto è valido
salvo espresse previsioni codiciali di nullità, in tali casi il dolo rende invalido l'atto:
rinuncia dell'ufficio; amissione al noviziato; voto religioso; matrimonio stesso…
Ignoranza ed errore. Anch'essi rientrano nei vizi che limitano il pieno esercizio della
libertà. Anche questi non rendono invalido l'atto giuridico a meno che sia il legislatore a
prevederlo espressamente. La norma dichiara valido l'atto ma si potrà richiedere
l'annullamento da parte del giudice Dobbiamo però distinguere: quando ignoranza ed
errore riguardano elementi essenziali dell'atto, esso è invalido (es: consenso
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matrimoniale, errore di persona); valido negli altri casi, ossia quando ricadono su elementi
non essenziali.
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