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BookTime

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Saggi
Sossio Giametta

Contromano
Gli uomini che pensano in modo serio e profondo
si trovano di fronte al pubblico in cattiva posizione.
Goethe

Prima edizione: ottobre 2019

Proprietà letteraria riservata


© 2019 BookTime Milano
isbn 978-88-6218-313-0
www.booktime.it
info@booktime.it
A mo’ di prefazione

Nella rivista «MicroMega» del giugno 2019 Tomaso Montanari


scrive:
Il linciaggio politico mediatico che ho subito per essermi espresso
contro la beatificazione di un mediocre regista come Franco Zef-
firelli mostra che il sistema non è disposto a tollerare nemmeno
un atomo di dissenso. C’è quindi un enorme problema di peda-
gogia civile e di ricostruzione di un senso comune che riconosca
la necessità del conflitto.
Aveva già dovuto interrompere la collaborazione al «Corriere fio-
rentino», dorso locale del «Corriere della Sera», «per incompatibi-
lità con la linea del giornale», cioè per aver criticato Matteo Renzi
allora sindaco di Firenze. Ma questo è solo uno degli innumerevoli
episodi odierni di intolleranza della critica.
Ma non è sempre stato così? E non sarà, ahimè, sempre così?
Abbastanza nota è diventata ormai la tragedia di Ipazia, la filo-
sofa e matematica assassinata dai cristiani; pochi sanno, invece,
di Ippaso di Metaponto, non registrato in tutte le enciclopedie
filosofiche, sebbene sia stato un membro importante della scuola
pitagorica. Solamente, ebbe il torto di scoprire le grandezze incom-
mensurabili, che mettevano in crisi la concezione fondamentale del
pitagorismo. Lui non lo fece, beninteso, che per la maggior gloria
del pitagorismo, ma che premio ne ebbe? Secondo la leggenda, fu
scacciato dalla comunità, evidentemente «per incompatibilità con
la linea della scuola», e gli fu eretta una tomba come a uno che
fosse già morto.
Tuttavia, che altro può fare il ricercatore vocato e onesto se
non continuare a ricercare e ad agire come tale, finché non glielo
impediscono con la forza? Non sempre, del resto, va così male.

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Meglio andò infatti, più tardi, a un altro rivoluzionario membro illuminare lo stato attuale dell’Europa e dell’umanità europea,
della stessa scuola, Aristarco di Samo, che teorizzò, con quindici la vituperatissima pena capitale, diventata impronunciabile e in-
secoli di anticipo su Copernico, l’eliocentrismo. violabile tabù, ma che resiste ancora in vari Paesi, tra cui gli Stati
Ma l’eliocentrismo fu abbandonato dall’astronomia classica a Uniti e il Giappone.
favore del geocentrismo tolemaico, tanto più umano, e l’autore,
s.g.
questa volta, non fu punito se non col silenzio, la stessa punizione
che è stata riservata, ai nostri giorni al libro L’ospite e il nemico di
Raffaele Simone, una grande e spregiudicata analisi del problema
dell’Europa e dei migranti.
Simone è un linguista di fama internazionale che su tale scot-
tante argomento, sul bailamme che se n’è impadronito e sulla
pseudocultura e la corruzione che ormai vi spadroneggiano (sul
sottofondo della progrediente decomposizione dell’Europa), ha
scritto un vasto, acuto e documentatissimo studio. Ma il suo li-
bro è caduto, appunto, ne Il silenzio degli “accoglienti”, come è
stato intitolato l’articolo apparso sul «Corriere della Sera» del 26
maggio 2019 di Ernesto Galli Della Loggia, che in toni vibranti
depreca il caso. Simone ha scritto anche altri libri illuminanti
sulla sinistra, sulla democrazia e in generale sulla situazione poli-
tica italiana ed europea (oltre a un grande romanzo filosofico: Le
passioni dell’anima), ma, come premio per la sua indipendenza e
spregiudicatezza, è stato messo alla porta prima da «la Repubbli-
ca» e poi da «l’Espresso», a cui collaborava, per essere finalmente
punito appunto col silenzio dei recensori. Ma, messo al bando in
Italia, egli è tradotto con successo in mezza Europa, a cominciare
da Gallimard in Francia.
Importanti analisti della cultura e delle tendenze politiche della
nostra epoca, pur scarseggiando, come sempre, gli spiriti veramente
indipendenti non mancano, né in Italia né negli altri Paesi europei
e negli Stati Uniti, e non solo da adesso (uno gigantesco fu già
Alexis de Tocqueville).
A tutti questi maltrattati eroi del libero pensiero, tento mode-
stamente di accodarmi anch’io con questi miei articoli, contraddi-
stinti rispetto ai suddetti studi da un particolare approfondimento
filosofico, che osa ridiscutere perfino, non per ripristinarla ma per
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Contromano
Antirazzismo, fanatismo, razze, migranti

L’antirazzismo è una delle grandi conquiste della modernità. An-


che quello all’interno delle singole razze, dove sono considerati di
razza inferiore le donne, gli omosessuali, gli obesi, i giovani, gli
animali ecc. Tra la guerra delle razze e la coesistenza pacifica, per
quanto difficile, la soluzione è una sola: l’antirazzismo. Ma c’è
modo e modo di farlo valere, in particolare un modo realistico e
un modo fanatico.
Col fanatismo gli uomini si procurano forza, carattere e uno
scopo nell’esistenza, altrimenti difficili da conquistare. Ma le basi
antropologiche dell’antirazzismo fanatico sono soprattutto due: 1)
il bisogno inconscio di eccitarsi, cioè di movimentare e far vivere
la sfera affettiva, che soffre del ristagno. È la ragione per cui sono
così popolari i libri gialli e noir, i film di guerra e di orrore e altri
facili strumenti del genere. L’affettività ha bisogno di alimentarsi,
di vivere, come tutto ciò che compone l’organismo, cioè ha bisogno
di emozioni, che sono il movimento e la vita. Anche per la sfera
affettiva, dunque, vita motu constat; 2) d’altro lato, l’uomo è spinto
per natura a pensare di sé tutto il meglio, cioè tutto quanto può
aiutarlo nell’eterna lotta dell’esistenza e farlo gioire della sua forza
e potenza. Ha bisogno di auto-stimarsi, possibilmente di auto-
esaltarsi, e concepisce volentieri una causa nobile per cui lottare,
senza veramente volerne pagare il prezzo di impegno e sacrificio.
Questi motivi dell’antirazzismo fanatico non sono quindi pura-
mente idealistici, come si credono, ma egoisticamente esistenziali,
come non sospettano di essere.
Nel perseguimento di questo scopo esistenziale, il fanatico non
si dà cura di pensare correttamente: gli basta procurarsi l’impulso
all’impegno che lo fa star bene, che lo fa sentire un lottatore eroico
per una causa nobile. Pensare correttamente significherebbe invece,
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nella assoluta problematicità della vita, esitare, dubitare, ponderare, spesso ostili immigrati, fatta eccezione per i rifugiati politici e per
distinguere. I greci chiamavano Dio il Distintore. Significherebbe quelli che hanno un contratto di lavoro.
essere realisti. I più grandi pensatori, dagli antichi Eraclito e Anas- I migranti sono differenti rispetto ai locali, non solo per il colore
simandro fino ai moderni Spinoza e Machiavelli, sono stati realisti, della pelle, e le differenze fanno soffrire. L’espressione inglese to
cioè hanno considerato gli uomini non come soggetti liberi e capaci, have a difference con qualcuno significa discutere, litigare. Dunque
solo che lo vogliano, di “cambiare il mondo”, quali li concepiscono prima di imporre l’antirazzismo come Diktat, invece che come
e si concepiscono gli idealisti, ma come oggetti di quel grande e l’unica soluzione umana possibile del problema della coesistenza
inopinato soggetto che è la Natura, come cipolle con molte sfoglie dei popoli, bisogna perseguire una gradualità e un equilibrio dei
e un cuoricino di autonomia: un’autonomia, però, che si può far reciproci sforzi e sacrifici, non fare dell’immigrato extracomuni-
valere unicamente negli ambiti in cui la natura la lascia valere, e tario «la figura nobile per antonomasia» (Millet), da preporre agli
solo se si studia e si tiene conto della realtà circostanziata e delle sue immigrati europei, così da poter evitare odio, violenza e ingiustizia,
ineludibili necessità. Dunque con un’inversione copernicana di cui a vantaggio di entrambe le parti. Bisogna ponderare le ragioni del
i fanatici e gli idealisti sgangherati e presuntuosi non hanno idea. pro e del contro e, nel fare ciò, dare il giusto peso alle difficoltà che
La storia dimostra che costoro, col loro idealismo, non fanno che si oppongono all’antirazzismo fanatico, in primis alla complessità
disastri, un inferno lastricato delle loro buone intenzioni e utopie. che rappresenta per i popoli accettare gli appartenenti a popoli
«I grandi spiriti» diceva Nietzsche, «sono scettici», cioè sono re- che hanno diversi e talvolta ostili costumi, usi, credenze, leggi,
alisti. Come tali, però, essi non piacciono, non sono mai piaciuti e tradizioni, istituzioni, morali e religioni. Essi pretendono che gli
mai piaceranno ai non-grandi, perché somministrano amare verità. immigrati si adattino ai loro usi e costumi, obbediscano alle loro
Hanno a cuore la verità e ritengono indegno e nefasto l’illudersi; leggi e imparino la loro lingua. Ora, alcuni degli extracomuni-
ma, secondo l’epigrafe premessa a questo libretto, «Gli uomini che tari fanno sforzi in questo senso, sapendone i vantaggi, ma i più
pensano in modo serio e profondo si trovano di fronte al pubblico sono restii a farlo. Perché adattarsi agli usi e costumi dei popoli
in cattiva posizione» (“Tief und ernstlich denkende Menschen haben ospitanti e obbedire alle loro leggi significa per loro rinunciare ai
gegen das Publikum einen bösen Stand”), come dice Goethe. Il quale propri, ossia alla propria identità e alla fine a se stessi. Quindi è
dice però anche: «Ogni uomo è un organo del suo secolo, che agi- comprensibile che non lo facciano e non lo vogliano fare. Per que-
sce per lo più inconsapevolmente», cioè obbedisce alla natura e alla sto, però, «l’operazione dell’integrazione è fallita» ha proclamato
storia e, se vuole costruire qualcosa, non è libero di scapricciarsi ufficialmente la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo che la
coi suoi uzzoli e arbìtri. Germania vi si era per anni impegnata nel modo più serio. I due
Ciò significa che gli antirazzisti seri, non fanatici, pur mante- milioni e mezzo di turchi, per non parlare degli altri, che sono nel
nendo fermo il loro nobile obiettivo, cioè pur riprovando la di- Paese, rappresentano pertanto una bomba a orologeria, pronta a
scriminazione «dei razzisti, degli antisemiti, degli anticlericali, dei esplodere qualora i rapporti della Germania con la Turchia, già
rigoristi, degli atei» eccetera, come dice Richard Millet nel suo difficili, dovessero peggiorare ulteriormente. Si è visto recentemen-
L’antirazzismo come nuovo terrore letterario, sono portati a con- te, in occasione di un contrasto Merkel-Erdogan, che i turchi sono
siderare con comprensione e senza disprezzo le difficoltà che la stati tutti per Erdogan.
gente comune, presa alla sprovvista, sperimenta per accettare gli Tra le razze, la bianca, la nera e la gialla, ci sono innegabili
indesiderati e diversi, bisognosi e necessariamente esigenti e nocivi, differenze. Queste differenze non sono antropologiche, innate,
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come crede e scrive il conte Arthur de Gobineau nel suo Essai sur ormai poco reattivo dell’Europa. E la povertà, come si sa, rende
l’ inégalité des races humaines, o il medico e antropologo scozzese molti proni alla delinquenza e alla violenza.
Robert Knox nel suo The Races of Men (dalle misure antropometri- Ora, a parte che in molte città europee i migranti occupano inte-
che si ricaverebbero le conquiste culturali di una razza), o ancora, ri quartieri, dove impongono le loro leggi e usanze e ne scacciano i
come scriverà più tardi, l’avvocato americano Madison Grant, già residenti, di delinquenza i Paesi europei non scarseggiavano affatto:
esaltato e ringraziato da Hitler, nel suo The Passing of the Great la delinquenza è come i vermi nel formaggio: dove c’è il formaggio
Race, del 1916, per il quale l’uguaglianza degli uomini decretata lì spuntano anche i vermi, e in Europa c’è tanto formaggio! Noi
dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti si riferirebbe italiani, in particolare, proprio di importare delinquenza dall’estero
ai soli fondatori anglo-americani, cioè ai bianchi, e non agli schiavi non avevamo bisogno. Ne abbiamo avuto sempre abbondantemen-
neri massicciamente importati dall’Africa. Ci sono tuttavia tra le te di nostra e ne abbiamo esportato per decenni e decenni; proprio
razze differenze storiche, e queste, pur non essendo naturali, innate non avevamo bisogno di importarne massicci supplementi, specie
o incorreggibili, rendono le razze diverse e generalmente inadatte a dall’Albania e dalla Romania e ora dalla Nigeria, come è avvenuto.
mescolarsi, per cui l’attuale “travaso intercontinentale dei popoli” Per non parlare dei terroristi che si intrufolano tra i migranti e
non è meno di una tragedia epocale. causano stragi e disastri nei Paesi europei.
Anche se per origine e costituzione naturale, dunque, le razze Queste sono oggi le nuove invasioni barbariche, che stanno fa-
sono tutte uguali, e tali debbono rimanere anche sul piano giuri- cendo e faranno sempre più sprofondare l’Europa invecchiata e
dico, il loro incontro nella realtà si trasforma inevitabilmente in decaduta, snervata dalla lunghissima pace e dal crasso benessere
scontro, e la vita dei Paesi attualmente invasi dai migranti, che, materiale, ormai priva dell’energia e della spirituale robustezza che
spinti dalla disperazione alcuni o semplicemente desiderosi di l’hanno fatta grande. Il problema è di gravità estrema, ma non
migliorare la loro vita o di vivere all’avventura altri, senza farsi il risolvibile: da un lato una tragedia immane di intere popolazioni,
minimo scrupolo circa le possibilità di accoglienza altrui (e questo che non può non toccarci nel profondo, non può renderci indif-
è il segno che a spingere c’è semplicemente il fatale, l’invincibile ferenti alle sofferenze e ai drammi dei nostri simili in fuga dalla
“Corso storico”), decidono di trasferirsi in altri paesi da loro scelti, guerra e dalla miseria, non può non indurci a salvare i migranti
viene profondamente pregiudicata da tali massicce irruzioni. Si dall’affogare e poi ad accoglierli, per lo stesso alto grado di civiltà
capisce quindi che vari Stati, tra cui la civilissima e tollerante Gran e di umanità raggiunto da noi europei, però non gratuitamente
Bretagna, innalzino muri di sbarramento contro i sempre crescenti bensì a costo di secoli di lavoro, di lotte e di guerre, di invenzioni,
tentativi di irruzione di tali masse. E si capisce il malcontento delle progressi e conquiste materiali e spirituali; dall’altro la distruzio-
popolazioni dei Paesi che tali muri non innalzano o non possono ne dell’Europa. Perché senza loro colpa e premuti dalle più gravi
innalzare, essendo circondati dal mare (isole greche) o aperti sul necessità, i migranti, come le cavallette, divorano e distruggono
mare (Spagna, Italia), perché si trovano non solo a dover accettare e tutto quello che incontrano. Oggi sono qualche milione, e hanno
sopportare usi e costumi, leggi, morali e religioni altrui fin troppo già fatto gravi e irreversibili danni; ma saranno presto, inarrestabil-
spesso avversi e incompatibili con i propri, ma anche si sentono mente, decine, forse centinaia di milioni, costituendo un’irruzione
minacciate da orde ingovernabili e perturbatrici del normale svol- e un’invasione insopportabile e devastante per “la piccola penisola
gimento della vita locale. Queste masse di migranti sono infatti dell’Asia” che è l’Europa. Contro di esse nessun movimento rozza-
orde di diseredati famelici, che si avventano sul corpo grasso e mente contrario, di quelli che sorgono in numero crescente da ogni
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parte e si illudono di poter sfuggire alla sorte comune europea, Il ratto d’Europa
potrà far niente di conclusivo.
Purtroppo, la crisi europea esplosa nella seconda metà dell’Ot-
tocento e conclusasi con le due guerre mondiali nella prima metà
del Novecento, con l’arresto del motore propulsivo e la perdita del
primato mondiale dell’Europa, è proseguita e prosegue sempre
più, ed è vano sperare, come sperano alcuni, che l’Europa possa Per il sabato, 10 novembre 2018, era programmato a Cesano Ma-
ristabilirsi, cioè il vecchio possa tornare giovane. Ciò nonostante, derno un incontro con Alessandro Barbero e Franco Cardini sul
anche quando il motore propulsivo e rinnovante si ferma, le grandi tema «L’Europa è finita? Ecco quello che resta». Per ragioni di sa-
civiltà (l’impero romano, la religione cattolica, il Commonwealth lute, Cardini non poté essere presente. Al suo posto doveva esserci
britannico), resistono ancora per secoli, e noi europei vogliamo Massimo Cacciari. Ma Cacciari si era sbagliato di giorno e si era
sperare e operare perché così avvenga anche per la vecchia, gloriosa presentato il giorno prima della data stabilita. Per il giorno dopo
Europa. aveva, purtroppo, già un impegno. “Disperata”, l’organizzatrice e
moderatrice Eva Musci, non sapendo a che santo votarsi, chiese
a Cardini se poteva invitare al suo posto me, che mi ero detto
disponibile. Cardini, che sapeva di me perché era stato allievo di
Mazzino Montinari, diede il suo assenso, e fu così che mi trovai, in
un’affollata chiesa sconsacrata di Cesano Maderno, a far fronte agli
attuali problemi dell’Europa. Era appena uscito un mio libretto,
Capricci napoletani (Edizioni Olio Officina) e ne approfittai per
presentarlo insieme ai libri di Alessandro Barbero.
Da quel simpatico mattatore che è, Barbero tracciò uno splen-
dido ritratto dell’Europa e dei problemi a cui essa si trova attual-
mente confrontata. A un certo punto disse che non si capiva come
mai gli europei, che si facevano guerra tra loro, fossero riusciti a
conquistare e a colonizzare una gran parte del mondo, mentre altre
potenze prive di contrasti interni, come il sultanato di Turchia,
la Russia zarista ecc. non erano state capaci di fare altrettanto.
Quando toccò a me di parlare, cercai di rispondere a tale inter-
rogativo. Spiegai che la legge della diastole e sistole, che regola il
ritmo del nostro cuore, regola anche il ritmo sia dell’universo sia
della politica. Nell’universo non c’è l’idea della quantità (su cui, sia
notato, si fondano le scienze): il piccolo e il grande sono sottoposti
alla stessa legge, e già Pascal notava che l’atomo è un sistema come
quello solare. Poiché dal Big Bang in poi le galassie si irradiano
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dal nucleo originario sempre più velocemente (per cui è buio, dato ecco le avvisaglie della decadenza: dopo il flusso, il riflusso, dopo la
che le stelle non ce la fanno a illuminarlo), è segno che l’universo è diastole, la sistole. Tardivamente, nazioni che non avevano parteci-
ancora nella fase diastolica, cioè dell’espansione. Quando la spinta pato al banchetto della colonizzazione, come l’Italia e la Germania,
originaria si sarà esaurita, subentrerà la fase sistolica, della con- si risvegliarono con una fame arretrata e cominciarono in fatale
trazione, quella del Big Crunch o del Big Bounce, cioè del grande ritardo la corsa verso la colonizzazione di restanti parti del mon-
schiacciamento o del grande rimbalzo (da un universo che finisce a do, che però era ormai diventata impossibile, e la perpetuazione
uno che comincia, come la scienza tende a pensare oggi). Prevarrà dell’ormai barcollante primato politico europeo con il solo mezzo
dunque la forza di gravità, con la conflagrazione finale, l’Ekpyrosis, ancora possibile: la violenza. Ciò in obbedienza alla legge della
già teorizzata dagli stoici. storia, che non consente né l’inizio né lo spegnersi pacifico di una
La stessa legge, spiegai, vale anche per la politica. Quando una grande civiltà – in questo caso della bimillenaria civiltà europea.
civiltà è al suo massimo, sperimenta una fase diastolica, cioè di Per contrastare il declino del primato europeo, sempre più mal-
massima espansione. E fu così che le nazioni europee si spinsero, fermo, nel mondo, non c’era infatti oggettivamente che la possibili-
nei secoli della loro maturità, alla conquista e alla colonizzazione tà della forza. Come in una famiglia, quando i figli sono diventati
di una buona parte del resto del mondo, nonostante i loro con- adulti, il padre che voglia continuare a esercitare su di essi la patria
trasti interni, come del resto aveva fatto già l’Impero romano, pur potestà non può che ricorrere alla costrizione, così i vari fascismi
lacerato da secolari guerre intestine. Ma come si sa, la massima europei e soprattutto la forma più radicale e potente di essi, il
realizzazione di qualsiasi movimento o processo storico prelude nazismo, servito dalla potenza della nazione tedesca, provarono a
alla decadenza. Si prenda, per fare un esempio fuori della politica, puntellare, anzi a rilanciare il primato europeo sotto le bandiere dei
il plurisecolare sviluppo dell’arte italiana, da Giotto ai primitivi popoli avidi rimasti indietro, come in primo luogo quello italiano
e dai primitivi ai grandi classici del Rinascimento. Basta dire che e quello tedesco. Ma come il padre non può veramente sperare di
i due più grandi di questi, Leonardo e Michelangelo, confinano prolungare il suo potere sui figli adulti oltre un breve periodo, così
direttamente, il primo col regno delle ombre, che si addenseranno i popoli fascisti europei poterono soltanto, con la loro aggressività,
in pittura sempre più (si pensi a Rembrandt) e il secondo con le guadagnare tempo, prima della catastrofe finale: il nazifascismo
forme grandiose, giganteggianti del barocco (si pensi al colonnato fu il grande colpo di coda sferrato dall’Europa attraverso i suoi
di Bernini). popoli meno muniti prima della catastrofe finale iscritta nelle leggi
Nonostante i loro contrasti, nella loro espansione gli Stati eu- ineluttabili della storia.
ropei si muovevano verso il resto del mondo come un organismo Per i popoli colonizzati la Seconda guerra mondiale fu, con la
unitario multicefalo. Pervennero così (come appunto gli antichi sconfitta dei fascismi, la grande occasione per rivendicare l’in-
romani) a insignorirsi di molti popoli e a depredarne le ricchezze, dipendenza, che fu concessa talvolta pacificamente, come per
esportando tuttavia in essi la loro civiltà, i loro costumi, le loro esempio dalla Gran Bretagna, o altre volte solo dopo guerre dis-
lingue, leggi e istituzioni, al punto tale che ancora adesso i Paesi sanguanti, come per esempio dalla Francia. A perdere dunque la
membri dell’ex-Commonwealth britannico guardano alla Gran Seconda guerra mondiale furono in realtà, per le conseguenze
Bretagna, che in quello stesso modo si comportò con loro, come sconvolgenti che ne derivarono, le nazioni che l’avevano vinta, in
alla loro madrepatria. primis il Regno Unito di Gran Bretagna. Questo vide dissolversi il
Ma dopo un congruo periodo di sfruttamento delle colonie, suo Commonwealth e quello che una volta Churchill disse in una
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riunione: «Credete che io sia qui per liquidare il Commonwealth stanze, è dunque guadagnare tempo. Possono resistere ancora per
della Gran Bretagna?» era evidentemente un lapsus freudiano. Da qualche secolo se si compattano e fanno quadrato in un’Europa
allora, la sistole ha avuto grande svolgimento. Gli europei erano politica. Gli isolazionisti e i sovranisti, un Bleibsel, un rimasuglio e
andati verso il mondo, ora il mondo veniva verso l’Europa, e ci un rigurgito nell’assoluta interdipendenza del mondo globalizzato,
verrà sempre più. credono di sfuggire alla sorte comune dell’Europa e di salvarsi da
A questa “invasione” universale nessun rimedio è possibile. So- soli: “Chacun pour soi et Dieu pour tous!”, cioè “Si salvi chi può!”.
gnare che l’Europa ritrovi la sua potenza ed energia (repellente), si- Ma si illudono gravemente. I loro movimenti non fanno che au-
gnifica sognare che un vecchio possa ridiventare giovane. Dunque mentare il disgregamento tra i popoli europei e la loro capacità di
le “invasioni barbariche” attuali non potranno che avere ragione resistenza alle invasioni pacifiche ma involontariamente distruttive
dell’Europa, pacificamente, per la sola forza dei numeri. Questo dei migranti, il cui flusso è destinato a crescere sempre più (sono
processo, iniziato da tempo e ormai ben inoltrato, si dimostra centinaia di milioni e provengono ormai da tutto il mondo, non
inarrestabile. La finis Europae è inevitabile, come appunto la si- solo dall’Africa). Perché l’Europa è attualmente il corpo grasso e
stole dopo la diastole. Accadde all’impero romano, è accaduto alla inerte che offre, impedito dalla sua stessa civiltà e umanità, il me-
Chiesa cattolica, impero più potente e longevo di quello romano, glio di tutto quello che le masse affamate e diseredate del mondo
sta accadendo anche all’“impero” europeo. possono desiderare. I popoli europei sentono questo pericolo con
Ma noi europei, possiamo e dobbiamo subire passivamente que- istinto animale e, poiché l’Europa da questo e da altri lati non fun-
sto sempre più rapido e massiccio sprofondamento della nostra ziona ancora come dovrebbe, si gettano in braccio a isolazionisti e
civiltà? Non possiamo bloccarlo con i mezzi che ancora abbiamo? sovranisti, cioè scelgono irrazionalmente la via della disperazione,
No. A parte la questione morale, che si scontra fatalmente con la la via sbagliata.
ragione di Stato, niente può fermare o sviare il “Corso storico”.
Furono usate le persecuzioni e le armi contro i cristiani, i cristiani
vinsero; furono usate le persecuzioni e le armi contro i laici, i laci
hanno vinto. I migranti sono per lo più persone normali, deside-
rose di vivere una vita migliore di quella possibile, fattasi spesso
impossibile, nei loro paesi d’origine. Dunque hanno, umanamente,
pieno diritto alla nostra solidarietà. Non si può vivere tranquilli
assistendo alle loro tragedie in mare o per terra. Ma anche le ca-
vallette, mi si perdoni il paragone, sono innocenti: non vogliono
che nutrirsi per continuare a vivere. L’effetto degli uni e degli altri
è lo stesso, la distruzione involontaria di tutto quello che trovano.
È solo questione di numero e di tempo. «L’integrazione si è rivelata
un fallimento» proclamò ufficialmente Angela Merkel, il capo
politico più aperto ai migranti, anche se non ha smesso di offrirla,
l’integrazione, ai migranti regolari, come non si può non fare.
La sola cosa che gli europei possono fare nelle attuali circo-
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Il convegno di Verona sulle famiglie di New York), resti qualcosa di anomalo, con una connotazione
e la questione dell’omosessualità negativa.
Agli omosessuali viene addebitato di non contribuire alla ripro-
duzione della specie. Se fosse per loro, si dice, la specie umana si
estinguerebbe. Questo è vero, ma bisogna vedere se, in un mondo
da Malthus in poi minacciato dalla sovrappopolazione, che è e
Il convegno internazionale di Verona sulle famiglie ha risusci- sarà il principale problema dell’umanità futura, la mancanza di
tato e rinfocolato discussioni e polemiche che per la verità non nascite a causa di una minoranza di omosessuali possa essere un
erano mai cessate, ma che sembravano sopite. Gli “irregolari”: danno, salvo magari in Italia e in Europa, dove la diminuzione
omosessuali, transgender, famiglie arcobaleno, temono una ri- della natalità è diventata un problema serio. Ma a esso, come a
messa in discussione dei diritti faticosamente acquisiti e ancora quello generale, si possono pensare rimedi.
nient’affatto consolidati e pacificati. Si tratta di questioni su cui Osservando per esempio che l’omosessualità si accompagna
è difficile fare chiarezza, ma proprio per questo non è male, anzi spesso a doti straordinarie, di cui in Italia abbiamo esempi no-
è doveroso tentare. Il presente articolo vuole essere appunto un tevoli, quelli – se non vogliamo fare i nomi sommi di Cesare e
tentativo in tal senso. Leonardo (Leonardo non rappresenta l’infinito, come una volta, al
I suddetti “irregolari” chiedono: «Ma chi minaccia la famiglia?». Salone del libro di Torino, ho sentito dire da Vittorio Sgarbi, ma
Nessuno la minaccia, individualmente; ma in modo evidente i l’indefinito, l’ambiguo, e la sua poesia è proprio la poesia dell’am-
“regolari” temono che le continue rivendicazioni di diritti di ogni biguità, anche nella mescolanza di luce e ombra) – dei grandi sarti
genere da parte degli “irregolari” creino disordine e finiscano con che trainano il “made in Italy” nel mondo dell’abbigliamento o
l’oscurare il valore della famiglia tradizionale. In verità le autorità anche solo molti omosessuali che si incontrano nella vita comune
del convegno, che in questi giorni si sono avvicendate in tv, si sono e che, con le loro doti particolari, contribuiscono all’arricchimento
mostrate piuttosto ben preparate e coscienti dei limiti delle loro della società e della specie. L’arricchimento o potenziamento della
istanze; esse, salvo frange scalpitanti e la richiesta di abrogazione specie, infatti, insieme a quello della propagazione, fa parte dei
della legge 194 (negata comunque dall’ormai ex ministro dell’In- “fini” della natura.
terno Salvini), non mettono in questione i diritti acquisiti sulle Ma evidentemente l’avversione che essi suscitano non è frutto di
unioni civili e le famiglie arcobaleno, ma vantano il primato della ragionamento, ma è qualcosa di istintivo. Comunque, a dispetto
famiglia classica e dei generi e sessi regolari; soprattutto mettono della naturalezza o non-morbosità dell’omosessualità, e dei meriti
in questione l’adozione di bambini da parte degli omosessuali. Ma particolari degli omosessuali, non si può dire che l’omosessualità
nello svolgimento pratico ci sono state delle degenerazioni, degli sia del tutto normale, perché quello che mondialmente può non
eccessi, per far fronte ai cortei di segni opposti, che reclamavano essere un danno (la mancanza di attitudine alla procreazione), lo
“la libertà di amare”. è in sé, e non è detto che non abbia, in molti casi, effetti negativi,
A noi sembra che in tutto ciò il punto discriminante sia sta- distorcenti sul carattere. È questo che da sempre fa pesare sull’o-
bilire se l’omosessualità sia del tutto normale o se, pur essendo mosessualità la suddetta connotazione negativa.
naturale e non un vizio o una malattia, diffusa com’è anche tra L’omosessualità, per la verità, ha anche conosciuto qualche sta-
gli animali (famosa la coppia di pinguini gay Roy e Silo nello zoo gione di esaltazione, come, sia pure per non molto tempo, in Grecia
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all’epoca di Socrate e Platone, quando la pederastia era interpretata questo campo. Considerò infatti l’omosessualità corruzione e vizio,
in senso educativo; ma si è trattato di un episodio particolare, in- e le pratiche omosessuali «un attentato infame contro la natura»
sieme ad altri simili. Ci sono state nella storia coppie omosessuali (sebbene d’altro canto irridesse la natura che ha fatto delle vie degli
famose: Gilgamesh ed Enkidu, Achille e Patroclo, Naomi e la escrementi quelle dell’amore). In detto articolo egli non fa altro
nuora vedova del figlio Ruth, David e Gionata, Ling e Mizi Xia, che cercare di confutare tutti i casi che possono far pensare che
Krishna e Arjuna, Saffo e l’amica, Alessandro Magno e Bagoas l’omosessualità sia qualcosa di naturale e legittimo, e si appella alla
o Efestione, Socrate e Alcibiade, Adriano e Antinoo, Leonardo e fine alla legge Scantinia contro la pederastia a Roma, che non fu
Salaì, per non parlare di Michelangelo, Shakespeare e Caravaggio. mai abrogata e fu poi rimessa in vigore dall’imperatore Filippo.
Ciononostante, da sempre pesa sull’omosessualità un giudizio Certo, il caso che ipotizza, dei gesuiti che approfittano di qualche
negativo. L’episodio giovanile del soggiorno di Cesare dal re di scolaro, non fa pensar bene dell’omosessualità. Ma questo e altri
Bitinia, per esempio, viene addebitato a Cesare come un punto ne- casi simili, frequenti nella Chiesa, sono casi di corruzione di mi-
gativo; e un giudizio negativo, per quanto bonario, traspare anche nori che vanno giudicati alla stessa stregua dei casi di corruzione e
dal modo in cui i soldati che sfilavano nel trionfo celebrato a Roma violenza degli eterosessuali e non spiegano la diffusissima avversio-
dopo la conquista della Gallia, inneggiavano scherzosamente a lui ne all’omosessualità. Questa si manifesta addirittura – bisogna dire
come il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti. Secon- tutto – come un senso di repulsione che in genere gli eterosessuali
do il latinista Alessandro Fo, Catullo aggredì Cesare «mettendone provano alla vista di coppie omosessuali. Ora, certamente, questo
in piazza i costumi sessuali più condannati dal senso comune del senso di repulsione va vinto e represso, per rispetto delle persone
suo tempo, come l’omosessualità passiva». Nel cristianesimo, da omosessuali, ma ciò non toglie che esso sia ancora provato istinti-
duemila anni, il giudizio negativo è stato netto, anche se ai nostri vamente dagli eterosessuali.
giorni esso va, certamente per ragioni esterne, attenuandosi. Per la Questa profonda avversione non può essere spiegata con la sem-
Chiesa l’omosessualità è vizio e peccato e come tale incompatibile plice omofobia; ci deve essere alla sua base qualcosa di oggettivo, e
con la fede cristiana. questo qualcosa di oggettivo consiste appunto nel fatto, percepito
Per l’islamismo l’omosessualità è addirittura passibile della pe- tanto più violentemente quanto più inconsciamente, che, se l’o-
na di morte. Ma anche al di fuori della religione, per esempio mosessualità si generalizzasse, determinerebbe la fine del genere
nell’ateo Schopenhauer, il giudizio non è meno negativo, tanto umano, come non manca di notare Voltaire. Sembra quasi che
da fargli credere che, a differenza dell’antica Grecia, dell’antica essa sia fomentata dalla natura stessa in quanto specie. E questo
Roma e dell’Asia di tutti i tempi, l’Europa fosse salvaguardata ci muova a pietà per i nostri fratelli nati diversi. È questo che, in
dall’omosessualità già solo dalla paura che questa ispirava («In alleanza con abitudini millenarie (l’uomo è fatto di abitudine nella
Europa si contrappongono all’omosessualità così potenti motivi stessa alta percentuale in cui il corpo umano è fatto di acqua), tra-
di religione, morale, legge e onore, che quasi tutti tremano già vaglia le coscienze e le dispone negativamente. È la stessa ragione
solo all’idea di essa»). per cui gli atti omosessuali sono considerati contro natura. Se si
L’omosessualità ha conservato finora una connotazione negativa risponde che tutto è natura nella natura, si controbatte che anche
anche presso gli autori più aperti e tolleranti. Se prendiamo per le mostruosità sono nella natura, ma restano tuttavia mostruosità.
esempio la voce “Amore cosiddetto socratico” del Dizionario filo- D’altro canto, se la morale consiste, come noi riteniamo (a ab-
sofico di Voltaire, vediamo che Voltaire non fu affatto tollerante in
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biamo altrove cercato di dimostrare),1 nella coincidenza del be- L’identità
ne ricercato dall’individuo col bene della specie (propagazione e
potenziamento), se ne deduce che gli atti coi quali si persegue un
bene divergente o contrario a quello della specie sono immorali.
Ma questa moralità, come agire in un certo modo perché si è fatti
in un certo modo, non presuppone una scelta, e dove non c’è scelta
non c’è responsabilità né merito, salvo per quello che si fa e si soffre L’identità è una medaglia con due facce: il diritto e il rovescio.
per attuare la propria scelta. La responsabilità e l’immoralità non Ma poiché il rovescio è brutto in quanto, se si alza il piatto della
possono dunque ammettersi per l’omosessualità naturale, dove bilancia dell’amore e della stima di sé, si abbassa corrispondente-
non c’è scelta, per cui questa va rispettata, nelle persone e nei loro mente quello dell’amore e della stima degli altri, alcuni rispettabili
diritti. Non va però incoraggiata, in quanto rappresenta comunque maîtres-à-penser tendono a ridurre il valore dell’identità negando
una deviazione dal tipo normale, che reca in sé la capacità di ri- che una vera identità ci sia, negando cioè la faccia della meda-
prodursi. Se si ha buon gusto, non va neanche esibita, sbandierata, glia che costituisce il diritto. E anche quando lo ammettono, lo
salvo magari per uno scopo politico, perché la differenza è uno sminuiscono. Allora dicono, come per esempio ha detto Claudio
shock e una provocazione per la maggioranza degli individui, al Magris nel discorso tenuto all’Istituto italiano di cultura di New
cui rispetto la legge attribuisce rilevanza. York il 19 aprile 2017 in occasione dell’incontro con lo scritto-
Se non si dà importanza a questa differenza e si ritiene che gli re rumeno Norman Manea, che sì, «l’appartenenza garantisce al
omosessuali siano in tutto e per tutto normali e uguali agli etero- soggetto radici, basi, solidità», ma d’altra parte «può portare a
sessuali, allora essi hanno anche tutti i diritti degli eterosessuali, pericolose forme di nazionalismo o eccesso di protezionismo verso
compreso quello di esaltare e diffondere l’omosessualità contro ciò che si sente come proprio». Tutto giustissimo, a cominciare
l’eterosessualità, di sposarsi come le coppie eterosessuali, come già dall’importante concessione iniziale. Magris, che è uno degli uo-
fanno in vari Stati, e di adottare bambini, che per imitazione e/o mini più illuminati della nostra scena culturale, cita a sostegno
insegnamento saranno fatalmente coinvolti e avviati a loro volta Padre Dante:
all’omosessualità, anche se per natura sono eterosessuali. Dante sapeva che l’amore per Fiorenza, appreso dall’acqua dell’Ar-
no, doveva condurlo a sentire che la nostra patria è il mondo, come
ai pesci il mare. Dobbiamo tenere sempre in mente l’immagine
delle matrioske. Noi non siamo una identità, ma siamo tante iden-
tità insieme.
In un tempo in cui «i Trump puntano a innalzare muri, le
Le Pen minacciano di proporre ai francesi referendum di uscita
dall’Unione Europea e dalla moneta comune e le May indicono
nuove elezioni per guadagnare la maggioranza e zittire i dissensi
in Parlamento», non si dovrebbe far passare il concetto espresso da
1
Cfr. Sossio Giametta, Grandi problemi risolti in piccoli spazi, Bompiani, Milano Magris che «siamo esattamente come le matrioske? Cioè contenito-
2018, pp. 29-32.

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ri che contengono tante culture, e non monoliti mono-culturali?», Ma è proprio qui che l’identità nazionale diventa un veleno. Cre-
e che «non c’è nessun cuore puro al centro, nessuna patria unica, ata per favorire la solidarietà, può finire per diventare l’ostacolo
in quanto siamo la sovrapposizione di tutti quanti i singoli strati alla cooperazione su scala più larga. Creata per ridurre conflitti
identitari che collezioniamo nel corso di una vita, e di tutte le case interni, può finire per generare conflitti esterni ancora più dannosi.
che abitiamo»? Già, perché «non si può mai possedere una casa, Le intenzioni dei padri fondatori del mio paese erano buone nel
promuovere un’identità nazionale italiana, ma solo pochi decen-
uno spazio ritagliato nell’infinito dell’universo, ma solo sostarvi,
ni dopo questa è sfociata nel fascismo, estrema glorificazione di
per una notte o per tutta la vita, con rispetto e gratitudine». Giu- identità nazionale. Il fascismo ha ispirato il nazismo di Hitler. La
stissimo anche questo. Solo, bisogna vedere se una identità non si passionale identificazione emotiva dei tedeschi in un singolo Volk
formi lo stesso, pur essendo noi tutti matrioske, come qualcosa di (in un singolo Reich e in un singolo Führer) ha finito per devastare
diverso e indipendente da esse, un risultato, dunque, affrancato la Germania e il mondo. Quando [...] alla ricerca di compromessi
dalle parti che lo compongono. e regole comuni si preferisce mettere la propria nazione davanti a
Un altro negatore dell’identità, fra tanti altri, è il fisico-scrittore tutto, l’identità nazionale diventa tossica.
Carlo Rovelli. Nel suo articolo intitolato L’ identità nazionale è
A parte questa costruzione concettosa e improbabile, sembra
veleno, pubblicato il 25 luglio 2018 su «The Guardian» e ripetuto
dunque che l’identità nazionale non sia una realtà naturale, ma
il 30 luglio 2018 sul «Corriere della Sera», poi raccolto con altri
una costruzione artificiale. E allora la domanda: ma l’identità na-
articoli nel libro Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è
zionale, noi l’abbiamo o no? Be’, sì, dice Rovelli, noi le identità
importante la gentilezza (Milano 2018, pp. 114-18), critica forte-
nazionali le abbiamo,
mente l’identità. Anche lui premette che non c’è niente di male,
anzi è una cosa buona, saggia e di lungimirante politica «unificare ma perché ognuno di noi è un crocevia di identità molteplici e
popolazioni diverse – veneziani e siciliani, o diverse tribù anglosas- stratificate (cioè non l’abbiamo). Mettere la nazione in primo luo-
soni – perché collaborino a un bene comune», precisando: go è tradire tutte le altre. [...] Chiunque siamo, siamo in tanti. E
abbiamo un posto meraviglioso da chiamare “casa”: la Terra, e una
Lo scambio di idee e merci, sguardi e sorrisi, i fili che tessono la meravigliosa, variegata tribù di fratelli e sorelle con i quali sentirci
nostra civiltà, ci arricchisce tutti, in beni, intelligenza e spirito. a casa e con i quali identificarci: l’umanità.
Fare convergere persone diverse in uno spazio politico comune è
vantaggio per tutti. Rafforzare poi questo processo con un po’ di Ma questa è una caduta nella retorica, nel “volemose bene”,
ideologia e teatro politico, per tenere a bada i conflitti istintivi, giacché, fermo restando l’ideale della fratellanza (e della libertà
montare la farsa di una Sacra Identità Nazionale, per quanto sia e dell’uguaglianza degli uomini), da che mondo è mondo, questi
un’operazione fasulla, è comunque utile. È prendere in giro le per- fratelli e sorelle non hanno mai smesso di scannarsi per difendere
sone, ma chi può negare che la cooperazione è meglio del conflitto? ciascuno la sua nazione o tribù. Tutti pazzi? Pazzi sicuramente,
Ma dopo questo riconoscimento, strappato coi denti, della faccia ma fino a un certo punto.
buona dell’identità, del suo diritto, Rovelli, meno equilibrato di Notiamo intanto che uno Stato che se non è il più potente del
Magris, si scaglia furiosamente contro quest’ultima. Noi però ci mondo, è certamente uno dei più potenti, gli Stati Uniti, è una
domandiamo: non è già questa lode il rovescio? Non è contenuto mescolanza delle più svariate popolazioni di immigrati: inglesi,
già in essa il biasimo dell’identità? Infatti Rovelli continua: tedeschi, italiani, irlandesi ecc. Ha esso per questo poca o nessuna
identità? Non è quello che ne dimostra da più di un secolo tantissi-
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ma? D’altra parte, non ne dimostra tantissima la stessa vita umana, Nietzsche decentra l’Io, lo decifra in quanto finzione, in quanto
specie, più chiaramente, nei grandi uomini? Che cosa significa, dal unità illusoria e pertanto privo di identità. Già meglio Hegel, per
punto di vista dell’identità nazionale francese, un uomo, un eroe il quale l’individuo è costituito da una forza unificante che domina
come Charles De Gaulle? E, senza l’identità francese, ci sarebbe forze contrastanti, ma anche fa dell’individuo qualcosa di diverso
stato a difendere la dignità del suo popolo? e superiore alle forze di cui si compone.
La vita degli uomini è intimamente programmata dalla natura Nella sua negazione del soggetto, Nietzsche è seguito, tra gli al-
proprio su quella che non si può non chiamare la sua identità, e si tri, da Rimbaud, per il quale: «È falso dire: “Io penso”. Si dovrebbe
svolge secondo la sua legge interna anche quando l’uomo non se ne dire “io sono pensato”. Io è un altro (“Je est un autre”)».
rende conto: ognuno diventerà quello che è destinato a diventare, Ma soprattutto è preceduto dal Buddhismo. Come sostiene
come col senno di poi si può constatare chiaramente. Gianmario Sabini,
Sì, perché le argomentazioni di Magris e Rovelli si applicano La dottrina dell’anātman afferma l’inesistenza di un “io” indi-
non solo alle nazioni, ma altrettanto agli individui, quindi, alla viduale, essendo tale illusione figlia della percezione della realtà
stessa stregua dell’identità dello Stato e del cittadino, viene altresì convenzionale, figlia della credenza che ci sia qualcosa di trova-
negata l’identità dell’individuo. bile e concreto, qualcosa di sostanziale e monolitico. Ma questo
Si tratta dello stesso problema. Nietzsche sembra qui dare man senso dell’“Io”, d’identificazione, è l’ignoranza alla base di tutte
forte. Da Nietzsche in poi la negazione o decostruzione del sog- le altre afflizioni mentali, è lo stimolo del soffrire (dukkha). In
getto, infatti, è diventata un luogo comune. realtà l’“Io”, la persona, il sé, sono qualcosa di puramente nomi-
Nietzsche rovescia l’uomo nella natura e la natura nell’uomo. In nale. Tanto più è presente l’“Io personale”, tanto meno è possibile
tal modo l’individuo diventa una mera concrezione naturale, l’Io l’ascesa verso il trascendente. Buddha indica nella realizzazione
perde la sua individualità ineffabile, nella quale tutti crediamo. del Shunyata (vacuità – annullamento del sé) la soluzione, il su-
E Nietzsche, il grande (ma troppo radicale) tedesco Nietzsche, peramento di dukkha (patimento). Bisogna calarsi con disciplina
se tutto questo fosse vero, precipiterebbe nella voragine insieme nell’esperienza del mistero, attraverso la rettitudine (samyag). Nella
filosofia buddhista l’“ignoranza” e l’idea di “ego” sono la stessa
con tutto il resto. Il soggetto esiste, secondo Nietzsche, solo per cosa. Infatti l’ignoranza sostiene l’ego, in esso trova la sua sede
un fatto grammaticale, cioè per il fatto che ci siamo abituati a originale. Ma con la realizzazione l’ordine istituito dall’ignoranza
pensare le cose in termini di soggetto, oggetto e predicato. Egli viene sovvertito radicalmente. L’“Io” va negato, e bisogna recare
dice, per esempio, in Frammenti postumi 1885-1887, 7[60], fine preminenza all’universalità dell’inter-dipendenza. Il buddhismo
1886 - primavera 1887: «[...] il “soggetto” non è niente di dato, è evidenzia il fatto che la sensazione di sé sia apparente, sorge da un
solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di ap- caos noumenico originario. Bisogna riconoscere l’evanescenza e
piccicato dopo», mentre nel frammento 34[123], aprile-giugno la vacuità del fenomeno della soggettività, perché si possa vivere
1888, afferma: «L’uomo è una pluralità di forze che sono ordinate l’“illuminazione”, perché si possa raggiungere il Nirvāṇa.
secondo una gerarchia. [...] Il concetto di “individuum” è falso». Ma questo è il punto: l’Occidente non è come l’Oriente, non
In Così parlò Zaratustra, I, Dei dispregiatori del corpo, afferma è buddhista, crede nella passione, nell’azione e nell’affermazio-
infine: «“Io” dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ne tragica, tanto per citare ancora una volta Nietzsche in senso
ancora più grande, cui tu non vuoi credere, è il tuo corpo e la sua opposto.
grande ragione: essa non dice “io”, ma agisce da “io”». Dunque
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Crede nella realtà, nell’«Io che tutto conosce e da nessuno è tutto si può perdere
conosciuto», come dice Schopenhauer. Il grave pericolo che i so- se si resta quel che si è.”)
vranismi e i nazionalismi attualmente imperanti comportano per (Goethe, Divano Occidentale-orientale, VII, 7, Libro di Suleika.)
l’Europa, riformanda ma nostra unica speranza in mezzo a un
mondo di giganti (tale il nostro mondo è diventato), nel quale È una perfezione assoluta, e quasi divina, saper godere lealmente
nessun singolo Stato membro dell’Europa è da solo capace di so- del proprio essere. Noi cerchiamo altre condizioni perché non
stenere l’urto delle grandi formazioni politiche mondiali, spingono comprendiamo l’uso delle nostre, e usciamo fuori di noi perché
le persone che seguono la ragione a combatterli e a combattere non sappiamo che cosa c’è dentro. (c) Così, abbiamo un bel mon-
l’identità (degenerata) su cui essi si appoggiano; ma in certi casi, tare sui tampoli, ma anche sui trampoli bisogna camminare con
come quelli da noi qui considerati, oltre il limite giusto. Per giu- le nostre gambe. E anche sul più alto trono del mondo non siamo
stizia, bisogna infatti dire che l’identità esiste, non solo, ma che è seduti che sul nostro culo (Montaigne, Saggi, II, Adelphi, Milano
la nostra principale risorsa e ricchezza. 1982, p. 1496 e s.).
Ciò che uno è in sé e ha in se stesso, in breve la sua personalità,
e poi il suo valore, sono l’unico mezzo diretto per conseguire la
felicità e il benessere spirituale. Tutto il resto è indiretto e il suo
effetto può essere vanificato, mentre quello della prima cosa no:
è anche per questo che, se viene percepita, essa suscita particolare
invidia (Schopenhauer, Cogitata, p. 361).

Volk und Knecht und Überwinder,


Sie gestehn, zu jeder Zeit:
Höchstes Glück der Erdenkinder
Sei nur die Persönlichkeit.

Jedes Leben sei zu führen,


Wenn man sich nicht selbst vermißt;
Alles könne man verlieren,
Wenn man bliebe, was man ist.

(“Popolo, servo e vincitore,


van dicendo in ogni tempo
che somma felicità dei figli della terra
è soltanto la personalità.

Ogni vita si può vivere,


se non ci si rimette se stesso;

34 35
La cittadinanza dirla invece in modo meno scioccante, di ritrovarsi con un nuovo
cittadino che, in cose necessarie o importanti, è un ostacolo al
normale, pacifico svolgimento della vita italiana? C’è chi sostiene,
come ha fatto per esempio Umberto Galimberti in un numero di
«Io Donna» del maggio 2019, che pretendere dagli stranieri una
conversione al modo di vivere degli italiani, è far loro violenza.
Vivo a Bruxelles dal 1° luglio 1965. In questa data presi servizio Non ha torto, perché è come pretendere da loro che rinneghino la
presso il Segretariato del Consiglio dei ministri della Comunità loro identità e assumano al suo posto quella del Paese ospitante.
Europea, come allora si chiamava l’attuale Unione Europea. Ci ho Ricordiamo (scherzosamente, perché ci fa sorridere) che quando
lavorato ventinove anni. Sono rimasto a Bruxelles anche dopo il Accattone, nell’omonimo film di P.P. Pasolini, considera il cam-
pensionamento, perché intanto avevo formato famiglia e avevo una biamento minacciato della sua vita da accattone con una vita di
casa. Posso rimanere in Belgio sempre, rinnovando ogni cinque lavoro, sogna il suo funerale con la solita musica bachiana che Pa-
anni il permesso di soggiorno, e naturalmente comportandomi solini mette dappertutto. Ognuno è attaccato alla propria identità,
comme il faut. I miei tre figli sono nati a Bruxelles. Sono figli di qualunque essa sia, cioè a se stesso, come non potrebbe non essere.
padre italiano e di madre tedesca. Per nessuno di essi si è mai Si dice e si ripete: siamo tutti uguali, siamo fratelli e sorelle.
parlato di ius soli. Il Belgio non ammette questo istituto sic et Ma anche se non vogliamo rovesciare la frase e dire: siamo tutti
simpliciter, ma solo a condizioni particolari, importanti. Così lo disuguali, siamo fratelli coltelli, ci sono studiosi che sostengono
ammette attualmente anche l’Italia, facendo attendere gli stranieri che «la mente di individui che provengono da ambienti e culture
che desiderano acquisire la cittadinanza italiana fino al compimen- differenti funziona in modi differenti. Anche per calcoli semplici
to dei diciotto anni e a conndizione che ne facciano domanda. come 1+1=2, cinesi e americani attivano aree cerebrali distinte». È
È ingiusto? Bisognerebbe concedere la cittadinanza automatica- scritto ne «La Lettura» del 31 marzo 2019, che annuncia e illustra
mente a tutti quelli che nascono in Italia anche in seno a famiglie con un articolo di Ida Bozzi il convegno Tabula rasa? Neuroscienze
straniere? Questo è quello che chiede insistentemente la sinistra, e culture, organizzato a Firenze per il 4-6 aprile, con fra gli altri la
anche se in passato il Pd vi ha soprasseduto, prevedendo una gran graziosa scienziata cinese Hong Ying-yi, originaria di Hong Kong
maggioranza contraria. dove ha insegnato, avendo poi insegnato anche negli Stati Uniti
Ma se uno nasce in Italia in seno a una famiglia islamica attac- ed essendo dunque ella stessa la prova della sua teoria. Insomma,
cata non solo alla sua religione, come è naturale – con tutto quello siamo tutti uguali, ma la storia e la geografia, per non parlare d’al-
che ciò comporta in contrasto con le leggi italiane – ma anche agli tro, ci fanno tutti disuguali, più disuguali e (spesso per fortuna)
usi e costumi del suo paese, a cui non è disposto a rinunciare in irripetibili più ancora di quanto in realtà già siamo per origine.
caso di contrasto con gli usi e costumi italiani, bisogna dare anche Da vecchio studioso di Nietzsche quale sono, non posso non
a questo nato, automaticamente, la cittadinanza italiana per ius ricordare la sua terribile sentenza: «Gli uomini non sono uguali:
soli? Sì, automaticamente e non per meriti speciali, specificano a questo dice a me la giustizia», per tacere dell’ancora più terribile
sinistra i sostenitori di questa tesi, perché tale concessione non è capitolo Della canaglia in Così parlò Zarathustra.
un dono ma un diritto. Ma così facendo, non si corre il rischio, Ho parlato di una “terribile sentenza”, ma a essa, in realtà, ci sa-
per dirlo con parole chiare, di allevarsi una serpe in seno, ossia, per rebbe rimedio: basterebbe distinguere l’uguaglianza sul piano giu-
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ridico dalla disuguaglianza sul piano della natura, come Nietzsche rò, quanto a lui, non solo era ridotto dal senso incombente della
non fa. Cioè noi siamo tutti disuguali sul piano della natura, ma brevità della vita e della fatalità della morte, a bon vivant, ma addi-
dobbiamo essere tutti uguali sul piano del diritto, avere, nella gara rittura una volta in battaglia, trovandosi a mal partito, non scelse
che la vita rappresenta, tutti la stessa partenza. Questo, certamente, la dolce e onorevole morte per la patria, ma, poco onorevolmente,
si può fare, anzi lo si fa già. Non possiamo però nasconderci che la fuggì abbandonando lo scudo. Però portò a casa la pelle e molta
disuguaglianza sul piano della natura ha una fortissima tendenza a eccelsa poesia.
prevalere sull’uguaglianza anche sul piano del diritto, al punto che Per il fatto dunque di sentire e considerare la patria, nella sua
c’è chi identifica il diritto con la forza, come fa per esempio Baruch grandezza, la sua vera origine, ancora una volta l’origine della sua
Spinoza, che afferma: «Unusquisque tantum habet juris quantum identità al di sopra dell’origine dai suoi genitori, di tale sua origine
potentia valet», “ognuno ha tanto (o soltanto) di diritto quanto ha il cittadino è in genere orgoglioso. È difficile trovare qualcuno, da
di forza”. Spinoza sbaglia nell’identificare completamente il diritto qualsiasi parte venga, che non sia orgoglioso della sua patria d’o-
con la forza, lo jus con la potentia, tuttavia la storia attesta che rigine, fosse anche la più umile o corrotta, al punto che se si trova
nella sostanza quell’identificazione è più o meno sempre avvenuta. qualcuno talmente critico da vedere nella patria piuttosto i difetti
Dunque il problema rimane. e i vizi che i pregi e le virtù, si tende a pensare a uno sviamento o
A questa prevalenza, l’onestà e la civiltà ci comandano di op- a qualche disturbo mentale o esistenziale.
porci, a favore di una piena efficacia dell’uguaglianza voluta dalla Non sempre, tuttavia, l’amor di patria porta buoni frutti; non
legge: è un nostro preciso dovere; ma non possiamo d’altra parte di rado, anzi, allo stesso modo dell’identità degenerata, ne porta
ignorare i non pochi lati buoni, per non dire essenziali, che pre- di marci e maleolenti, e molti danni possono essere collegati all’or-
senta anche, ai fini della propagazione e del potenziamento della goglio patrio. Ai nostri giorni lo si può constatare con la Brexit,
specie, che è quello che la natura “vuole” dagli uomini, la disu- un distacco del Regno Unito dall’Unione Europea, che esso ha
guaglianza incarnata nelle «persone che sono diverse, con doti e sempre depredato e scavato dall’interno (per cui De Gaulle non
complessioni diverse» (Bruno). l’aveva mai voluto membro). Esso è stato certamente determinato
La cittadinanza costituisce per l’individuo il più importante dal persistente orgoglio imperiale dei cittadini britannici soprat-
stato giuridico soggettivo. E si capisce: perché essa lega l’individuo tutto di quelli di provincia, cioè i meno progrediti.
alla sua patria come il figlio al padre e alla madre. Per principio, Ma di per sé l’amor di patria è soprattutto una grande virtù,
in cambio di tutto quello che riceve dallo Stato a cui appartiene, che spinge al ben fare e in tanti casi all’eroismo e alla grandezza.
in primo luogo la sua identità, ma poi anche ogni forma di prote- Insomma, come l’identità, il vincolo di cittadinanza ha a sua volta
zione e di vantaggio che i non-cittadini non ricevono, il cittadino due facce, una buona e l’altra cattiva. Cattiva quando porta a met-
è tenuto a servire gli interessi dello Stato al di sopra degli interessi tere la propria patria illegittimamente al di sopra delle altre, come
personali con ogni sorta di doveri e obblighi, ma in primo luogo per esempio quando i tedeschi cantano Deutschland über alles o la
mettendo a disposizione la sua vita in caso di guerra. E il buon Francia vanta la sua superiorità su tutti gli altri popoli e Rosmini e
cittadino magari non se ne risente, perché ama la patria e l’identità Gioberti esaltano il primato degli italiani ecc. Ma pur ammettendo
che gliene viene, di cui normalmente fruisce, vive e si bea. Nei questo pericolo degli indebiti e funesti sconfinamenti, l’amor di
casi migliori è perfino felice di sacrificarsi per essa, perché: dulce patria è, in primo luogo, sano e naturale, e distingue i cittadini
et decorum est pro patria mori, come cantava Orazio, il quale pe- da quelli che non lo sono, anche quando a questi ultimi viene ac-
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cordata la cittadinanza. Li distingue, secondo Thomas Jefferson, forte e più longevo dello stesso impero romano, e fondarono una
anche dai mercanti, perché, com’egli scrive a H.G. Spafford nel nuova civiltà che col tempo generò gli Stati europei. In Italia ci
1814, «i mercanti non hanno patria». Concorda in ciò con Platone, furono infine la civiltà dei comuni, la grande poesia di Dante e la
che aveva detto: «Il commercio rovina la purità dei costumi», citato grande pittura di Giotto, poi, in seguito al risveglio della civiltà
da Montesquieu ne Lo spirito delle leggi. antica, l’Umanesimo e il Rinascimento, che inondarono di luce e
Un popolo è una grande famiglia, internamente litigiosa e pro- bellezza tutta l’Europa, fino al grandioso Barocco, sia pure con la
na alle ingiustizie e malefatte di ogni tipo, come certamente si divisione dell’Italia in piccoli Stati e la soggezione dell’intero paese
può e si deve dire per onestà del popolo italiano, e come si può alle grandi monarchie straniere. Con Napoleone anche l’impero
certamente dire anche di altri popoli, fra i quali quelli non dediti di Venezia ebbe termine e l’Italia rimase in balia di se stessa e
alla microcriminalità come il nostro, sono magari dediti alla ma- degli stranieri che la occupavano, finché venne il Risorgimento e
crocriminalità, come si sono storicamente dimostrati i tedeschi al con esso l’unità d’Italia. Dunque un italiano ha dentro di sé tutte
tempo del nazismo e i russi al tempo del comunismo. queste cose, la grande lezione dei santi, dei poeti, dei navigatori,
«Civis romanus sum» ripetevano con orgoglio molti personaggi degli artisti e filosofi rinascimentali, è erede dei sacrifici e benefici
romani, e tale era il prestigio connesso alla cittadinanza romana della sua stirpe che sono diversi e lo fanno diverso dai cittadini
che perfino Paolo di Tarso, imputato per le leggi del suo popolo delle altre nazioni. I suoi connazionali hanno fatto l’Italia quale
e nella sua terra, ottenne dall’imperatore Nerone, peraltro feroce essa è e continuano a farla, col loro assiduo contributo.
persecutore dei cristiani, di essere portato a Roma in catene e sotto Lo straniero che vuole diventare cittadino italiano, può essere
scorta per esservi da lui giudicato, dall’imperatore romano dunque. ammesso, per beneficio di accoglienza e di solidarietà, se ne ha
A questo riguardo è rimasta famosa la frase furba pronunciata dal la volontà e le doti necessarie, ma non è fatto come i cittadini; né
presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy a Berlino Ovest il lui né i suoi connazionali hanno fatto niente per meritare i bene-
26 giugno 1963: «Duemila anni fa l’orgoglio più grande era poter fici connessi con la cittadinanza, ha un’identità diversa, che può
dire: “Civis romanus sum”. Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più apportare un contributo alla ricchezza della nazione di cui entra
grande è dire: “Ich bin ein Berliner” (‘io sono un berlinese’)». a far parte, ma anche, se non soccorrono i necessari requisiti di
Che cos’è che fa la patria e l’appartenenza a essa? La nascita compatibilità, disordine e problemi, come è avvenuto e avviene
in mezzo a un popolo che ha magari una lunga storia, come per continuamente dappertutto in Italia, con l’irruzione di masse di
esempio il popolo italiano, il quale ha la sua gloriosa gioventù nel poveri e con l’intrusione delle mafie albanesi, rumene, cinesi e
popolo romano, fondatore del più grande impero dei suoi tempi e nigeriane, delle quali il nostro paese, esportatore da sempre di
instauratore per più di tre secoli della pax romana, una pace pre- “eccellenze” in fatto di mafie, proprio non aveva bisogno.
ziosa che permise ai popoli inclusi nell’impero, alla fine tutti con
cittadinanza romana e fruenti del rispetto delle loro religioni e dei
loro culti, di vivere in un così lungo periodo senza guerre fratricide,
dediti alla vita e allo sviluppo delle positività della vita. Né i buoni
effetti finirono lì, perché lo scettro del potere passò poi dai pagani
ai cristiani, i quali fondarono a loro volta, con armi spirituali e
non con gli eserciti, salvo eccezioni importanti, un impero più
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Serotonina di Michel Houellebecq Rasy nel «Sole 24 Ore» del 6 gennaio 2019: «[...] a leggere Seroto-
Florent-Claude Labrouste come incarnazione del tramonto dell’Occidente nina non viene in mente di associarne l’autore a qualche sia pure
confusa ideologia. Il pessimismo di Houellebecq, o semplicemente
il suo costante malumore, la sua pervicace irritazione contro la
nefandezza del tempo, sono così assoluti e elementari da apparire
sinceri e spontanei, caratteriali piuttosto che meditati».
Ho letto varie recensioni, delle molte che sono uscite in Italia, Nel primo esempio il grande romanzo del maschio occidentale
di Serotonina, l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq. A parte non so se c’entri veramente molto con Serotonina. Cioè non c’entra
le «reazioni mediatiche imbizzarrite» (Elisabetta Rasy) suscitate direttamente. Qui D’Orrico ha cercato un riferimento, un attacco
dall’aggressività e dalla “volgarità” di linguaggio di Houellebecq, o uno sfondo per il romanzo del francese che forse, appunto, non
che non hanno valore critico, le recensioni sono tutte interessanti c’è, trattandosi, come vedremo, di altro. Quanto all’altro esempio,
e colgono tutte punti importanti del libro; molti sono anche, in Labrouste-Houellebecq è effettivamente lontano da ogni ideologia
esse, i riferimenti alla decadenza dell’Europa, in cui si rispecchia e anzi del tutto inaccessibile a una qualunque di esse, quindi «il suo
la “decadenza” del protagonista, Florent-Claude Labrouste, e al costante malumore e la sua pervicace irritazione» sono certamente
“maschio occidentale” in crisi. Ma ciò avviene in passaggi diretti, sinceri e spontanei; solo che non sono “caratteriali”, neanche d’altra
in salti trasversali dall’uomo alla crisi dell’Europa e dalla crisi parte “meditati”: sono la risposta spontanea e sincera a quello che
dell’Europa all’uomo. Tali recensioni, e probabilmente anche altre, si consuma nel suo tempo insieme al disastro dell’agricoltura e di
dunque, non operano cioè quel taglio netto che secondo noi sareb- tante altre cose in Francia: la civiltà europea. La quale si consuma
be necessario, tra la narrazione in quanto tale, tra la storia concreta naturalmente soprattutto negli e attraverso gli individui.
chiusa in sé del personaggio nel suo svolgimento drammatico con Fa eccezione, in questo senso, la forte recensione di Scurati su
epilogo tragico, e il suo significato simbolico che ne determina il «Tuttolibri». In essa la storia del protagonista, sempre presa in
valore e, a guisa di trasfigurazione, ne fa un libro unico. considerazione nella sua concretezza e individualità, è tuttavia co-
Faccio un paio di esempi. Nella «Lettura» del 10 marzo 2019, stantemente ribaltata, cioè interpretata come crisi dell’Occidente,
Antonio D’Orrico vede in Serotonina, nonostante l’aperta dichia- tuttavia non senza qualche notazione che, magari solo per una
razione di Labrouste-Houellebecq sulla fine della civiltà da lui questione di parole, toglie un po’ di chiarezza al significato del
riportata: «Il sequel del grande romanzo del maschio occidentale, libro, come per esempio quella messa nel titolo dell’articolo: Michel
interrottosi con la scomparsa di Philip Roth fino alla conseguenza Houellebecq non ha più niente da dire, anche se poi Scurati aggiunge
estrema: “Ecco come muore una civiltà, senza seccature, senza che però, «se lo dice in un romanzo non semplicemente ultimo
pericoli né drammi e con pochissimo spargimento di sangue, una ma definitivo, allora siamo costretti a chiederci: a che punto è la
civiltà muore semplicemente per stanchezza, per disgusto di sé”. notte del nichilismo europeo nel terzo millennio della sua storia?»
Non con un bang, come aveva detto il poeta. E nemmeno, pur- (il terzo millennio: «il millennio di troppo»). Scurati esamina acu-
troppo, con una gang bang» (allusione alle orge, anche con cani, tamente lo stile del libro, esaltandolo tanto più quanto più serve a
della giovane fidanzata giapponese di Florent, all’inizio), bensì – si esprimere wit come «Dio è uno sceneggiatore mediocre» e oggetti
potrebbe aggiungere sempre citando “il poeta”, cioè Eliot – con repellenti; ma poi sottolinea che, pur con la sua grande capacità
un frignio. L’altro esempio è tratto dalla recensione di Elisabetta di scrivere, Houellebecq ha smarrito le ragioni per scrivere, e ciò
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crea appunto un certo equivoco. Perché Houellebecq ha scritto libido sessuale e lo rende impotente, non solo sessualmente, per-
il suo non smilzo libro proprio perché, di ragioni per farlo, ne ché in realtà gli spegne ogni forma di vitalità, man mano che egli
aveva fin troppe, ragioni grandi e pesanti. Ed è per questo che «il passa da uno smacco all’altro. La sua vita, come quella dell’intero
suo sguardo dissolutore, di distruzione in distruzione, è rimasto, Occidente, è una fuga da ogni forma di vitalità e responsabilità
alla fine, privo di oggetto, posato su di un mondo vuoto, bianco, e una ricerca di sempre nuovi stimoli e stordimenti, di sempre
spoglio, evacuato». nuovi rifugi e tane, in cui l’animale braccato dal fato possa trova-
Dunque Scurati esamina in maniera corretta il romanzo co- re respiro. Ma niente di quello che Florent intraprende risolve e,
me racconto di fatti individuali concreti, senza passaggi diretti essendo ormai divenuto una fatalità, può risolvere: il suo problema
a simbolismi, come storia in cui il protagonista esprime imme- fondamentale. Questo è senza speranza, sicché egli è spinto, come
diatamente solo se stesso; ma poi Scurati passa, altrettanto cor- unica soluzione, alla decisione finale del suicidio.
rettamente, al significato simbolico di tutto questo, affermando Ma non senza aver prima fatto strage di un genio come Goethe e
che il protagonista di Serotonina è pur sempre, di Houellebecq, di un paio di grandi ingegni letterari come Thomas Mann e Mar-
quell’«unico personaggio: l’europeo nichilista e decadente di fine cel Proust, senza per questo risparmiare Epicuro, che Houellebecq
secolo e d’inizio millennio, l’eroe della migrazione della scena del anzi sistema per primo dicendo che secondo lui (seguiva le trasmis-
mondo che ha confinato l’Europa prima alla periferia del secolo sioni culinarie in tv) anche lui non pensava ad altro che al man-
[?] e dell’impero americano e poi di quello cinese». Di libro in giare («Qu’est-ce qu’Epicure avait d’autre en tête au juste?»). Poi è il
libro, come dice, questo personaggio unico, «l’ultimo uomo [...] o turno di Goethe: «Ce vieil imbécile de Goethe: l’ humaniste allemand
l’ultimo maschio», ha effettivamente «abbattuto, uno dopo l’altro tendance méditerranéenne, l’un des plus sinistres radoteurs [=rim-
tutti gli idoli della cultura europea al suo tramonto»: «la giovinez- bambiti] de la littérature mondiale». Quindi, di Thomas Mann:
za intesa come alba di una nuova vita e di un nuovo mondo», «il Thomas Mann, Thomas Mann stesso, ed era estremamente grave,
sapere scientifico o umanistico, con le sue ricadute di progresso era stato incapace di sfuggire alla fascinazione della gioventù e
tecnologico», «il turismo, epitome della cultura del loisir, unica della bellezza, che aveva infine poste al di sopra di tutto, al di
rimasta in un mondo pensato come un enorme villaggio-vacanze», sopra di tutte le qualità intellettuali e morali, e davanti alle quali
«il libero amore, con l’addentellato dell’emancipazione femminile», egli si era, in fin dei conti anche lui, senza il minimo ritegno,
«l’arte come promessa di rappresentazione benigna della realtà», rotolato per terra abiettamente. Così tutta la cultura del mondo
«la democrazia politica in una società multietnica». Last not least, non serviva a niente, tutta la cultura del mondo non portava
per Scurati, «qualunque fosse la regione dell’essere su cui, di volta alcun beneficio morale né alcun vantaggio, perché negli stessi
in volta, si posa lo sguardo dissacratore e malinconico [di Labrou- anni, esattamente negli stessi anni, Marcel Proust concludeva,
ste], orbita la suprema illusione della nostra epoca: la metafisica con una straordinaria franchezza, alla fine del Tempo ritrovato, che
del sesso, investito della responsabilità di sostituirsi a Dio come non erano soltanto le relazioni mondane, ma finanche le relazioni
fonte di una rivelazione escatologia, di un senso ultimo della vita». tra amici che non offrivano niente di sostanzioso, che offrivano
semplicemente una perdita di tempo, e che non era affatto di
Ma il sesso, che nel libro occupa un posto preminente, viene conversazioni intellettuali che lo scrittore aveva bisogno, contra-
meno al protagonista a causa del Captorix, un medicinale che ri- riamente a ciò che crede la gente di questo mondo, ma di “amori
lascia la serotonina, l’“ormone della felicità”, di cui egli fa uso per leggeri con ragazze in fiore”.
reggere alla sempre crescente depressione. Il Captorix gli spegne la
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[...] Tengo molto, in questa fase dell’argomentazione, a rimpiaz- perché «Conan Doyle era l’autore, oltre che della serie di Sherlock
zare “ragazze in fiore” con “giovani fiche umide”; ciò contribui- Holmes, di un numero impressionante di novelle, di lettura costan-
rà, mi sembra, alla chiarezza del dibattito senza nuocere alla sua temente piacevole, e talvolta perfino francamente palpitanti. Per
poesia (che cosa c’è di più bello, di più poetico, di una fica che questo egli era indubbiamente il migliore della storia letteraria mon-
comincia a inumidirsi? Chiedo che vi si pensi seriamentte prima di diale. [...] In ciascuna sua pagina si sente infatti vibrare la protesta
rispondermi. Un cazzo che comincia la sua ascesa verticale? Lo si
di un’anima nobile, di un cuore sincero e buono». Sembra Thomas
può sostenere. Tutto dipende, come molte cose in questo mondo,
dal punto di vista sessuale che si adotta. Marcel Proust e Thomas
Bernhard che condanna la pittura universale salvando solo i ritratti
Mann, per tornare al mio argomento, avevano un bel possedere del Tintoretto, che comunque è ben altra cosa rispetto a Conan
tutta la cultura del mondo, avevano un bell’essere alla testa (in Doyle. Evidentemente, la crisi di Labrouste ovvero dell’Europa,
questo impressionante inizio del XX secolo che sintetizzava da solo è una crisi di autodistruzione, in cui i valori spirituali diventano,
otto secoli e anche un po’ più di cultura europea) di tutto il sapere nello sguazzare nell’ultimo fango prima della fine, trash.
e di tutta l’intelligenza del mondo; avevano un bel rappresentare, Come stanno allora veramente le cose col libro di Houellebecq?
ciascuno dal suo lato, la sommità delle civiltà francese e tedesca, Per chiarirlo bisogna prenderla da lontano e fare riferimento al
vale a dire delle civiltà più brillanti, più profonde e più raffinate Doctor Faustus di Thomas Mann. Del Faustus si sa e si dice che è
del loro tempo; non per questo erano rimasti meno alla mercé il libro il quale, attraverso la storia, anche qui del tutto concreta
di, e pronti a prosternarsi davanti a, qualunque fica umida o a (come la legge della narrativa esige, anche se le intromissioni rifles-
qualunque giovane cazzo gagliardamente eretto – a seconda delle sive di Mann sono alla fine troppe e guastano il romanzo) del suo
loro preferenze personali. Thomas Mann rimase a questo riguardo protagonista, rappresenta simbolicamente la tragedia della Ger-
indeciso, e Proust in fondo non fu neanche lui molto chiaro. [...]
Una ninfetta avrebbe potuto rendere pazzo sparato Thomas Mann;
mania, la sua morbosità (già frutto di decadenza in Europa) che
Rihanna avrebbe fatto sbarellare Marcel Proust; questi due autori, innesca il titanismo e la volontà di potenza, inutilmente scongiurati
coronamenti delle loro rispettive letterature, non erano, per dirlo da Goethe con la sua non recepita lezione di misura. Ebbene, Se-
altrimenti, degli uomini rispettabili. rotonina è un nuovo e diverso, cioè progredito Doctor Faustus, è il
libro della finis Europae vista dall’interno, e Houellebecq avrebbe
Così pensa Labrouste, così pensa Houellebecq. Giustamente? potuto e dovuto tenerne conto, come del libro che ha preceduto il
Non giustamente! Perché da un lato né Thomas Mann né Marcel suo nella rappresentazione della crisi europea, invece di perdersi
Proust si sono mai sognati di negare la forza impetuosa e selvaggia in maldicenze sulla Montagna incantata.
del sesso, e dall’altro hanno osato sfidarla, riuscendo ad affermare, Del tramonto dell’Occidente si è parlato in innumerevoli libri e
con la dedizione e il sacrificio di tutta la loro vita, grandi valori articoli, ma sempre e solo sul piano filosofico; finora non c’era stata
spirituali, umani, sullo sfondo di un’Europa avviata al suo fatale un’incarnazione della crisi europea in un individuo, raccontata in
declino, dunque piantando sullo sfacelo in corso la bandiera vit- un romanzo. Questa incarnazione della crisi è quella, ineguaglia-
toriosa dell umanità. bile, di Labrouste in Serotonina (inutile paragonarlo al protagonista
Ma quale autore, d’altra parte, amava lui, Houellebecq ovvero del Presentimento di Emmanuel Bove o a Un uomo che dorme di
Labrouste, invece di Goethe, Thomas Mann e Marcel Proust? Aveva Georges Perec). Il disfacimento dell’Europa attraverso il disfaci-
una preferenza per Baudelaire e Nerval, ma amava soprattutto Sir mento del protagonista del libro assume, così, una grandiosità da
Arthur Conan Doyle, e in lui ritrovava un certo conforto. Anche tregenda, una drammaticità dantesca.
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Tutto, ripeto, nella storia del protagonista è concreto e autono- corretto e nella pedagogia dell’ottimismo, che ad autore e perso-
mo, la storia è fine a se stessa e non funzionale ad alcun simbo- naggio appaiono come la grande mistificazione attuale». Come la
lismo, non si ripromette di esprimere altro da quello che narra. lingua sono anche tutte le altre componenti del romanzo.
Se lo avesse fatto, non sarebbe riuscita un’opera autenticamente Ma Serotonina è alla fine, e nonostante tutto, un romanzo d’a-
artistica, ma un romanzo a tesi senza valore artistico. Ma per creare more, perché l’amore, «legame primario e fondatore» (Federico
un’opera del tutto concreta, che però abbia una valenza simbolica Iarlori, «mimina&moralia», 11 gennaio 2019) è quello che fon-
grandiosa e tragica, bisogna viverla, non la si può programmare a damentalmente manca a Labrouste e all’Occidente, è quello di
freddo, fingerla. È questo che fa l’artista originale, l’artista vero, cui egli ha dolorosa nostalgia, la nostalgia dell’amore come quello
ed è questo che fa sì che gli artisti autentici siano così rari. Non è tra i suoi genitori, santificati nel romanzo. La loro coppia è un
detto neanche che gli artisti si rendano poi conto della consisten- equivalente letterario del Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van
za e del vero, profondo significato delle loro creazioni; accadde a Eyck; l’amore è quello che Florent cerca di ritrovare, senza osare
Cervantes col Don Chisciotte, scritto per divertire un nipote, e nel tuttavia, essendo diventato “impossibile”, rifarsi vivo con l’amata
caso di Houellebecq c’è da scommettere che egli non si sia reso rintracciata, spiata e adorata nel ricordo, come la ragazza danese
conto della vera portata del suo libro, anche se non può non averla conosciuta all’università. Nella sua vita e nell’Occidente, ormai
oscuramente sentita. Forse non accetterebbe neanche quello che non ci sono più le condizioni dell’amore puro. Tutto segue la deriva
io qui segnalo di forte, ottimo e unico della sua opera. Tra la nar- inarrestabile della gloriosa civiltà bimillenaria europea nell’auto-
razione e la sua trasfigurazione simbolica c’è invero una divisione negazione, nel disgusto, nel fuoco e nel fango.
stagna, e però tutto è da una parte (la concretezza) e dall’altra (il
simbolismo), e ogni parte è ferreamente coerente in sé e chiusa
all’altra parte. Sono due procedimenti paralleli che non si incon-
trano mai, senza leakings e andirivieni dell’una nell’altra, senza
straripamenti dall’una all’altra. In questo sta la grandezza del libro
ed è questo che ne fa un libro unico, pur essendo apparentemente
fatto del contrario di tutto quello che per tradizione costituisce la
sostanza di un capolavoro.
Per esempio la lingua. Finora i capolavori sono stati detti tali
anzitutto per la brillantezza, in un senso o nell’altro, del linguag-
gio, perché i capolavori della letteratura sono capolavori lingui-
stici: il massimo, secondo Borges, è quello di Dante. Serotonina
è il contrario, è un capolavoro per la rottura, l’abbassamento e la
“volgarità” del linguaggio. La lingua del protagonista è, come nota
Rasy, «bassa, corriva, sbadatamente oscena». Ma così essa deve
essere, perché «solo questa lingua piana, sbrigativa e maleducata è
adeguata, ogni registro alto o intonazione tragica suonerebbero af-
fini a quel conformismo consolatorio che si annida nel linguaggio
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Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli divenne la nostra mascotte nell’équipe dell’edizione Nietzsche,
formata appunto dai due direttori e dai due collaboratori fissi, a
cui si aggiungevano man mano collaboratori occasionali.
Ma Colli era un personaggio grandioso, autore di imprese cul-
turali grandiose: oltre all’edizione Nietzsche e alla fondazione
dell’Enciclopedia di autori classici, progettava una vasta e profonda
Quando, tra Firenze e Weimar, collaboravo con Giorgio Colli e rilettura dei filosofi preplatonici nella Sapienza greca in undici
Mazzino Montinari all’edizione critica delle opere di Nietzsche, volumi, che però si fermò ai primi due, a causa della sua morte
divenuta poi l’edizione di riferimento mondiale, Colli non ave- precoce (in seguito vi fu aggiunto un terzo libro, da Colli solo
va successo, non solo perché il suo mondo non aveva niente da parzialmente elaborato, su Eraclito, curato da Dario Del Corno);
spartire con l’attualità filosofica italiana ed europea (per lui «un in più professava una filosofia piena di cose antiche-nuove ecla-
lazzaretto inquinato da morbi orrendi»), ma anche perché non tanti, nella loro profondità; non era dunque concepibile che un
faceva mistero del disprezzo che nutriva per filosofi in auge come personaggio così vistoso rimanesse relegato in un angolo come
Heidegger, Jaspers e Sartre, da lui definiti ciarlatani, e dei filosofi magari gli accademici pensavano o auspicavano (Gianni Vattimo,
moderni eccettuati Bruno e Spinoza, con una parziale eccezione per esempio, direttore della “Garzantina” di filosofia, rifiutò di
(nella scia di Schopenhauer) per Schelling (che era spinoziano fino includervelo per «meditate ragioni», come disse), sicché il successo
a fare, dell’emulazione di Spinoza, una morbosità). non tardò molto ad arridergli. Colli cominciò a fare interventi alla
Proprio alla traduzione che facevo allora dell’Ethica di Spino- radio e in televisione, che facevano a modo suo rivivere l’antichità
za per mio uso privato (terapeutico, perché, come ho raccontato greca, che dunque colpivano ed erano molto seguiti; affascinava
altrove, correvo allora il rischio di una malattia mentale da cui la soprattutto i giovani, per i quali diventò il maître-à-penser alla mo-
filosofia di Spinoza secondo me mi salvò) e non per pubblicarla, da, e ricordo il suo giubilo quando mi annunciò di essere inserito
come poi accadde, dovetti la fortuna di fare la sua conoscenza. in una collana economica, cioè diffusa tra i giovani appunto, nei
Infatti, quando lui seppe ciò da un galoppino della Boringhieri quali soprattutto credeva.
che mi aveva conosciuto, verso la fine degli anni Cinquanta, a Dopo la sua morte prematura, grazie alla pubblicazione delle
casa di un amico comune, mi invitò a Firenze, dove allora abitava opere postume curate assiduamente e magistralmente per l’Adelphi
ancora prima di trasferirsi in un ex-casino di caccia dei Medici a dal figlio Enrico (era architetto, ma anche grecista) e alle iniziative
San Domenico di Fiesole (acanto alla villa che ospitava, quando di seri e famosi studiosi come Cacciari, Sini, Campioni, Dario
veniva a Firenze, la regina d’Inghilterra). Del Corno e altri, accompagnate com’erano dal lavoro capillare e
Nel lungo colloquio che avemmo si stabilì un tale rapporto di indefesso, che continua ancor oggi, della figlia Chiara, il successo
consonanza e di simpatia, da parte sua, che mi valse la pubblica- non fece che aumentare sempre più, e oggi i convegni su di lui
zione della traduzione sia dell’Ethica sia, poi, del De bello gallico non si contano e si assiste a una fioritura di libri e saggi su di lui e
nell’“Enciclopedia di autori classici”, la collana da lui fondata pres- sulla sua filosofia, esposta soprattutto nella Filosofia dell’espressione
so la Boringhieri. A quel colloquio dovetti anche che mi scegliesse, (Adelphi, 1969), quale forse egli stesso non avrebbe mai immagi-
prendendomi per così dire dalla strada, come collaboratore fisso, nato a così breve distanza di tempo, anche se ripeteva alla moglie
insieme alla fresca e graziosa fiorentina Marilù Pampaloni, che Anna Maria, e lei ripeteva poi continuamente dopo la sua morte,
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quando era già in preda all’Alzheimer: «Sentirai parlare di me!». Colli potrebbe essere dunque un visionario autore di una filosofia
Dunque il suo nome è fatto e per questo non c’è più molto da poetizzante, in particolare un cacciatore dell’essere, destinato alla
desiderare per chi tiene alle sue sorti, anche se Cacciari, uno dei caduta come Icaro nel suo volo temerario. Dubbi trapelano anche
suoi primi estimatori famosi, sostiene che «i contributi critici sono dai contributi del libro più positivi, come per esempio dal Dialogo
ancora assolutamente incomparabili alla originalità e importanza su Colli di Alberto Banfi e Federica Montevecchi (p. 314 e ss.): la
di Giorgio Colli». concezione nietzschiana della filosofia come decadenza rispetto
Il coronamento di tutto ciò arriva ora con un libro di Akropo- alla sapienza, fatta di oracoli, di ebbrezza e di sprazzi di follia dei
lisLibri, Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli, a cura di Clemente greci più antichi, l’antistoricismo di Schopenhauer (cfr. p. 318) e
Tafuri e David Beronio (2018). In 722 pagine esso contiene 39 tra la trasposizione dei suoi concetti di volontà e rappresentazione in
contributi su di lui e scritti autografi (fra cui purtroppo manca pro- quelli di interiorità ed espressione, l’atteggiamento socratico messo
prio il contributo di Cacciari). È una silloge maestosa, che prende al fondo della sua pratica filosofica e il paradosso di riprodurre
in considerazione tutto quanto in Colli è importante ed essenziale. attraverso la scrittura testi nati da una cultura orale.
Sta di fatto, però, che, nonostante la sua presenza ormai ingom- Lo delusi certamente quando, dopo che mi aveva dedicato il
brante nel panorama culturale italiano e i più ampi e autorevoli suo libro maggiore «con amicizia», non mi trovò, quando ci rive-
riconoscimenti (e traduzioni all’estero), Colli rimane un enigma. demmo, rapito e invasato dal fuoco sacro dell’entusiasmo, come
Grandioso, infatti, non vuol dire necessariamente grande, e non certamente – poiché mi riteneva aperto alla grandezza – si era
è del tutto chiaro se Colli sia un pensatore nuovo, puro, originale, aspettato da me. Tale era stata per lui la reazione del suo grande
indipendente, grande appunto, quale i suoi seguaci sostengono amico regista e filosofo Alessandro Fersen: «Lui ha dimostrato
che sia, o, come ritengono altri, un dubbio erede e prosecutore, una tenacia e un’amicizia che mi hanno commosso [...] è entrato
un epigono della sacra trimurti a cui rimase sempre fedele: Scho- completamente dentro i problemi. È entusiasta dello stile e del-
penhauer, che era la vera pupilla dei suoi occhi, Wagner, la cui la parte sui Greci, e ha affrontato addirittura la parte centrale»
musica, dice, è pari a quella dello Zarathustra, e Nietzsche, di cui (p. 322). Io non avevo reagito come Fersen perché, nonostante
mi confessò una volta, in un momento di confidenza, di ritenersi le tante cose egregie, anche straordinarie, che il libro contiene,
una reincarnazione, il che naturalmente non vuol dire tale e quale però, a causa della concezione “dionisiaca” di fondo basata sulla
e neanche con lui sempre d’accordo: da questi tre avrebbe tratto rottura del principio di individuazione, e di un’invenzione compli-
idee e motivi per le sue opere, compresa la predilezione del passa- catissima, difficilmente penetrabile, dei rapporti tra l’“interiorità”
to e la difesa della schiavitù. La stessa Sapienza greca ripeterebbe e l’“espressione”, non mi sentivo, cultore come sono della sana
l’esaltazione nietzschiana dei preplatonici a danno della logica e ragione in un organismo aperto, nella sua normalità, all’ignoto
della ragione, concepita in Socrate come decadenza. Nel mio libro e alla grandezza, di aderire alla sua visione, che fa soprattutto affi-
Colli, Montinari e Nietzsche (La Vita Felice, 2018), si vede in ciò damento sull’ebbrezza e sulla follia. Non mi sentivo di condividere
l’inconsapevole trasposizione di Nietzsche verso la Grecia arcaica la sua idea che la filosofia, diversa dalla sapienza orale, operi una
violenta, quale era già stata per Hölderlin, della crisi europea di «falsificazione radicale, poiché viene trasformato in spettacolo per
cui era inconsciamente l’incarnazione, e delle correnti selvagge una collettività ciò che non può essere staccato dai soggetti che
del suo tempo, essendo egli tutto e solo attualità, sebbene si ri- l’hanno costituito» (p. 31). Non riesco insomma a proiettarmi nel
tenesse il pensatore più indipendente e inattuale della sua epoca. tempo delle «condizioni preletterarie del pensiero, valide in una
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sfera di comunicazione soltanto orale, quelle condizioni appunto Scienza e filosofia
che ci hanno indotto a distinguere un’età della sapienza come
origine della filosofia» (ibidem). Non posso quindi seguirlo nel suo
«riconvocare alla dignità teoretica, iniziatica e mistica delle origini
greche del pensiero» (p. 233).
Una particolare menzione, dal punto di vista umano, merita a
ogni modo il contributo della figlia di Colli, Chiara. Esso riprodu- Nell’Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico (Parte seconda,
ce parte del carteggio tra suo padre e sua madre quando non erano proposizione 47), Spinoza afferma: «La mente umana ha cono-
ancora sposati e getta una nuova luce sulle due figure. La madre, scenza adeguata dell’essenza eterna e infinita di Dio», e fa seguire
in preda a un pessimismo immedicabile, e il padre, appassionata- la Dimostrazione. Ma questa è alquanto lunga e complicata e non
mente dedito alla sua missione di insegnamento. La madre: «Tu immediatamente chiarissima, per cui la sintetizzo dicendo che con-
vieni, poi te ne andrai, poi tornerai e te ne andrai ancora. Chiara siste nel fatto che noi tutti conosciamo il mondo che ci circonda,
è nata, cresce, imparerà a parlare, diventerà alta, sarà felice, sarà e il mondo è appunto Dio (deus sive natura), sicché «quanto più
triste. Vivrà anche lei come siamo vissuti noi e anche lei morirà. intendiamo le cose singole, tanto più intendiamo Dio» (V, pro-
Come mi pare inutile vivere in certi momenti. Non è vero che si posizione 24). E questo per mettere a posto Hegel, che taccia lo
vive per gli “attimi di verità”. Non esistono attimi di verità. Non spiozismo di acosmismo. Precisiamo appena che, sempre secondo
c’è niente, non rimane niente, tutto passa, passa, passa.» Ma poi Spinoza, il mondo, che è una sola realtà, viene da noi percepito sia
invoca: «Vieni a dirmi che non è vero quello che penso io, vieni secondo l’attributo dell’estensione (come res extensa) sia secondo
a parlarmi di cose belle, di quelle cose di cui parli ai tuoi paides. l’attributo del pensiero (come res cogitans), e specifichiamo che la
Fammi credere in qualcosa. Ho bisogno di credere. Riscaldami scienza si occupa di esso solo secondo l’estensione, ossia solo come
con la fiamma che hai dentro e che ti fa amare la vita» (p. 301). mondo materiale, fisico, ignorando o negando, in generale, che
esso esista anche come mondo spirituale (ciò spiega poi l’inciampo
della coscienza, che nessuno scienziato riesce a spiegare). L’unico
passo che la scienza fa verso il mondo spirituale si può considerare
l’ammissione del mondo psichico, che però è da essa considera-
to appunto un’emanazione e continuazione di quello materiale,
che comprende naturalmente gli organismi, ed è indagato dalle
neuroscienze.
La lotta della scienza per la conoscenza del mondo è forse vec-
chia quanto l’uomo, ma qui limitiamoci a quella di cui abbiamo
notizia a partire dall’antichità classica, in Anassimandro, Leucippo,
Democrito eccetera. Parlo di “lotta” perché il mondo, intendendo
per esso l’intera realtà e non solo l’universo fisico che conosciamo,
non si può logicamente pensare se non come infinito (e quindi gli
universi come infiniti), e nella sua infinità è un mistero insonda-
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bile. Perché? Perché conoscere vuol dire riportare l’ignoto al noto, Boncinelli. Ma, a parte che molti scienziati invece pregiano la fi-
e il mondo non si può riportare a niente, dato che comprende già losofia, va notato che il metodo sperimentale, arma vincente della
tutto e al di fuori di esso non c’è niente. Esso è stato infatti definito scienza, ne segna anche il limite, perché la inchioda all’unico uni-
da Anassimandro il perìecon e da Jaspers das Umgreifende, il “tutto verso di cui abbiamo notizia ed esperienza, mentre, come abbiamo
abbracciante”. L’uomo, che spunta in esso in un punto preciso detto e come affermò già nel Cinquecento Giordano Bruno, gli
dello spazio e del tempo, cioè della geografia e della storia, non universi sono, cioè non si possono pensare se non come infiniti,
potrà mai abbracciare ciò che, abbracciando tutto senza eccezio- sia nella successione sia nella contemporaneità, vale a dire sia nel
ni, abbraccia anche lui come parte infinitesimale del tutto, come tempo sia nello spazio.
cellula dell’organismo universale che segue la legge dell’organismo L’impresa scientifica fa parte della grandezza umana ed è fonte,
e non la sua propria. come abbiamo detto di continui e grandi acquisti, anche se non
Il mondo tuttavia non è inaccessibile alla conoscenza umana; da tutti di natura benigna, come per esempio la bomba atomica. Ma
sempre l’uomo si adopera per conoscerlo sempre di più, e sebbene così va la vita, e il bene è legato al male in maniera indissolubile,
sullo sfondo permanga l’ostacolo insuperabile della sua infinità, sicché non si può che andare avanti così come si fa da sempre, cer-
che sconvolge per incompatibilità ogni finito e ben ordinato siste- cando naturalmente di tenere e rafforzare il bene e di scongiurare
ma di conoscenza, le tappe che il piccolo uomo ha segnate nella o indebolire il male. Così però non è avvenuto nel secolo scorso,
conoscenza di esso sono prodigiose, specie quelle raggiunte nel quando invece è avvenuto il contrario, cioè il peggio del peggio
1900 con la teoria della relatività di Einstein e la fisica quantistica che aveva mai fatto registrare la storia umana. Cerchiamo dun-
di Eisenberg e Bohr (e tanti altri). que di invertire la rotta puntando con forza sul bene e cerchiamo
Aumentano così sempre più, con grande soddisfazione degli di capire per il momento, se è possibile, su che cosa si fonda il
scienziati e grande avanzamento dell’uomo in genere, che è arri- genio che porta alle scoperte scientifiche. Esso è ricco ormai di
vato a sbarcare sulla Luna e pensa sempre più a Marte, per non tali testimonianze e prove, che volerlo negare o sminuire sarebbe
parlare delle innumerevoli utilità apportate alla vita umana dalla impresa da pazzi.
tecnologia o scienza applicata, le ambizioni degli scienziati e il loro Ebbene, quanto all’origine del genio scientifico, Platone direbbe
sogno di scoprire la legge universale di tutti i fenomeni, per defini- probabilmente che essa consiste nell’anamnesi, ossia nei ricordi
zione impossibile, data l’impossibilità sopra rilevata di raggiungere latenti in noi delle idee conosciute in una vita e in un’esperienza
l’infinito a partire dal finito. Per questo motivo, in particolare per anteriori (dunque non abbiamo una sola vita). Secondo noi, mo-
il fatto di procedere secondo il metodo sperimentale, che dà una destamente, esso si fonda invece sull’omogeneità e consustanzialità
notevole garanzia al suo sapere, sebbene non la certezza (con la dell’uomo con la natura, la quale è presente in ogni sua parte,
fisica quantistica siamo solo alla probabilità e alla provvisorietà), magari in forma latente, sempre nella sua totalità, sicché, se ri-
la scienza si è inorgoglita di fronte alla filosofia, che non funziona corre l’opportuna occasione, tale omogeneità e consustanzialità si
col metodo sperimentale ed è aperta a tutte le assurdità, come, attivano, illuminando e unendo zone rimaste fino allora separate
con una frase diventata celebre, notò già Cicerone, amantissimo nell’ombra.
della filosofia. La scienza si vanta quindi di aver ormai spodestato Si dice che poeti si nasce, ed vero, ma si nasce anche filosofi
la filosofia, di averla superata e sostituita, pur provenendo da essa e scienziati o artefici delle calzature e dell’abbigliamento come
come la farfalla dalla crisalide, secondo una metafora di Edoardo Ferragamo. Chiesero al mitico Totò come mai avesse fatto il co-
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mico. Lui rispose semplicemente: «Perché sono nato così». E ad lo star fermo, immobile, ed è l’admiratio di Spinoza, che blocca ap-
altre domande consimili diede sempre la stessa risposta. Cioè egli punto la mente. Ma sotto la pressione delle circostanze gli uomni,
stesso non sapeva spiegarselo altrimenti. Di più, infatti, del pro- se non riescono a trovare la causa vera o presunta delle cose, non se
prio talento, ingegno o genio non si può dire, anche se, d’altra ne rimangono imbambolati: non se lo possono permettere. Passano
parte, non si può neanche non sospettare che, essendo la specie ad altro, salvo qualcuno che ci si ferma su – e allora magari nasce
un organismo articolato, e tanto più articolato quanto più sono i un filosofo. Perché anche se costui riesce a risolvere il problema
suoi membri, ogni genialità eserciti una funzione necessaria per la che lo aveva impegnato, si trova poi a far fronte agli che da quello
vita complessiva di tale organismo, come i diversi organi del corpo scaturiscono e con quello sono collegati, finché costituiscono tutta
umano esercitano attività che confluiscono nella vita complessiva una serie che inchioda la sua attenzione.
dell’organismo. Non è neanche escluso che tutto ciò affiori nella A differenza dello scienziato, che è mosso unicamente dalla sua
storia, La complementarità che può unire le cose più disparate e sete di sapere e non è minacciato da alcun pericolo particolare,
più lontane l’una dall’altra e più apparentemente estranee l’una quindi, diciamo, ha vita serena, il filosofo è invece costretto alla
all’altra, è tale che, per fare l’esempio più banale, dove c’è un filosofia per fronteggiare l’enigma del mondo che lo minaccia. La
fascista lì ci sarà probabilmente anche un comunista. Si nasce natura, infatti, minaccia l’uomo con la sua strapotenza attiva e in-
scienziato, in particolare, quando il pensiero di fenomeni tra loro differente, per la quale un uragano forza cinque, come Dorian che
distanti e apparentemente tra loro estranei, attirano come tali l’at- ha imperversato sulle Bahamas nel settembre del 2019 seminando
tenzione e provocano in chi li osserva il tentativo di accomunarli, morte e devastazione e, sia pur rallentato, sta per investire gli Stati
per cosìdire tramite un cortocircuito. Uniti, come pure, d’altra parte, il genocidio degli ebrei ad opera
La stessa cosa avviene in filosofia. Per il fatto di essere nati dei nazisti avvenuto nella seconda guerra mondiale, o il mostruo-
dall’incontro sessuale di un uomo e una donna, noi ci troviamo so inquinamento degli oceani, sono fenomeni del tutto normali
a vivere in un mondo che è un uragano di energia. Di esso igno- che non scalfiscono minimamente l’ordine della natura e non ne
riamo origine, senso e fine, che non ha, mentre ha una potenza mutano minimamente il corso. Quindi, benché male armato, per
attiva, immane, rispetto alla quale noi siamo pochissima cosa. non dire impotente, il filosofo non può fare a meno di affrontare
Noi facciamo il mondo oggetto dei nostri pensieri, ma in realtà è la natura, perché essa minaccia continuamente, con forze imma-
il mondo che è il soggetto, noi, come sue emanazioni, ne siamo ni, lui e i suoi simili. È un David che non può non affrontare un
l’oggetto. Siamo come le foglie che pensano l’albero come loro Golia, pur sapendo che, a differenza del David leggendario, a lui
oggetto, mentre sono oggetto dell’albero. la vittoria finale non potrà mai arridere, il suo sarà sempre e solo
Per orientarci, ad ogni modo, nel gigantesco labirinto della na- come sostiene Ortega y Gasset o Jaspers, un naufragio. Per questo
tura e cercarvi il necessario per vivere, perché i viventi vivono in fatto, che il filosofo, sentinella ai confini dell’ignoto, è sproposita-
ricambio continuo col mondo esterno, noi abbiamo l’intelletto, tamente piccolo e affronta un nemico spropositatamente grande
l’organon, secondo Aristotele, che inquadra i fenomeni nello spazio («La nature, voilà l’ennemie!»), egli, specie se si monta la testa, è
e nel tempo e ne cerca la causa. Se non la trova si incanta, sia nel destinato a cadere in assurdità tragicomiche, mentre lo scienziato,
senso della meraviglia (da cui si dice e ridice che nasce la filosofia), nella sua vita tranquilla, è al riparo da tutto ciò. La sua è teoria
sia nel senso dell’ostacolo che ciò rappresenta al procedere oltre: è sucitata solo da un bisogno teoretico, mentre la speculazione del
il thaumàzein greco, lo stupire anche per paura, è lo stupere latino, filosofo è teoria suscitata da una reazione a pericoli gravi. E questa è
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la vera differenza tra scienza e filosofia, differenza per cui la scienza
non potrà mai superare la filosofia.
Ma la filosofia non porta agli uomini l’utilità che porta loro la
scienza? E che cos’è allora la civiltà, costruita a forza di lavoro seco-
lare e millenario soprattutto dai Platoni e Aristoteli, dagli Hobbes
e Spinoza, dai Rousseau e Voltaire? Dai Montesquieu e Tocque-
ville? La civiltà, per quanto imperfetta e piena di disagi (Freud), La pena capitale
è il paradiso creato nell’inferno della terra, la chiazza d’olio che
placa le acque nell’Oceano in tempesta, il sogno aureo realizzato
dell’uomo che lo salva dalla giungla, dalla lotta bestiale, feroce e
irremissibile dell’uomo contro l’uomo, che può trasformare l’homo
homini lupus in homo homini deus e consente, soprattutto dove
funziona al meglio, ma anche, fondamentalmente, dove funziona
meno bene, una vita civile, ordinata, pacifica, non selvaggia, non e
non infernale, per quanto anche non angelica. La civiltà è il grande
capolavoro creato dagli uomini per gli uomini, soprattutto sotto la
guida della filosofia, e questa è l’utilità, massima, della filosofia, per
cui, «se vedrai un filosofo discernere ogni cosa con netta ragione,
veneralo; è animale celeste, non terrestre» (Pico della Mirandola).

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Premessa

Non sono un fautore della pena di morte, come potrebbe legittima-


mente pensare chi legge il presente saggio, in cui i motivi a favore
sembrano prevalere su quelli contro. Ma esso è scritto tentatively,
cioè è una simulazione di difesa della pena capitale per esaminare
i problemi che essa e la negazione di essa comportano più in ge-
nerale, dunque a puro fine di chiarificazione e illuminazione. Con
questo saggio, cioè, io non mi propongo un fine pratico, non cerco
in particolare di fare proseliti per il partito favorevole alla pena di
morte, che è stato in Europa definitivamente sconfitto. Per questo,
non mi occupo del problema dell’applicazione, che è un problema
grave, la cui soluzione o non soluzione può essere determinante
per l’istituzione o abolizione della pena. Non si sa tuttavia quan-
to l’abolizione abbia convinto, con i loro rappresentanti, anche i
popoli, larga parte dei quali è ancora a favore. La pena capitale è
del resto ancora in vigore in molti Stati, compresi gli Stati Uniti
e il Giappone. L’avversione all’“omicidio di Stato”, per qualcuno
addirittura alla punizione in genere, come Edgar Morin, è una
disposizione umana nobile e rispettabile. Si tratta solo di vedere
se gli uomini se la possono permettere.
Io non sono di quei molti, in realtà la stragrande maggioranza,
che credono che l’uomo possa tutto solo che lo voglia e si attivi
per realizzarlo; appartengo invece a quei pochi che credono che
per ogni suo progetto politico o sociale, l’uomo se la debba vedere
con la natura o, se si preferisce, con le condizioni di esistenza e con
quelle sociali. Queste ci influenzano ferreamente e non si lascia-
no ignorare o saltare, a pena, in caso di trasgressione, di farcelo
scontare nel modo più grave, come è avvenuto, per fare l’esempio
massimo, con l’ideale e l’utopia comunista, che sono stati pagati
con la più grande catastrofe della storia umana: un centinaio di
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milioni di morti e inenarrabili distruzioni e sofferenze di interi sua maestà Polemos. Ormai priva di una vera capacità di reagire,
popoli. Ma l’indagine su ciò che gli uomini, dipendenti da una essa fa la scelta tipica della debolezza: sposa il partito che dovrebbe
natura onnipotente, indifferente e non-umana, quindi fin troppo combattere, e ciò all’insegna dell’umanitarismo, maestoso alibi
spesso per noi “disumana”, si possono o non si possono permettere, della rinuncia.
di quello che sarebbe a loro più consono e gradito, è generalmente Persiste nondimeno per gli uomini il dovere di rendersi consa-
invisa alla stragrande maggioranza degli uomini appunto, come le pevoli di ciò che vivono per interagire con esso, e di non abbando-
dure verità che essa insegna. In questo saggio si parla dunque di narsi ciecamente, come gli animali, all’automatismo degli istinti e
tempi andati, ma importanti da conoscere nelle loro motivazioni. delle forze storiche; persiste il dovere di cercare la verità in modo
L’abolizione della pena capitale è prevalsa negli Stati europei e libero e spregiudicato, difendendosi dalla tentazione di gettarsi
tutta l’Europa è ormai al di là di ogni possibilità di scelta, al pun- in braccio alle consolanti illusioni, che sono nemiche della verità
to che detta abolizione è per gli Stati una condizione essenziale e della dignità. Dunque questo saggio si propone esclusivamente
per l’appartenenza all’Unione Europea. D’altra parte c’è, per chi un fine di approfondimento e di delucidazione del problema, di
dissente, un dovere di solidarietà con i concittadini europei che illuminazione dei confratelli europei sulla nostra situazione attuale
hanno fatto una tale irrevocabile scelta, sicché nell’Europa di oggi, e sul destino che incombe sull’Europa.
che si trova al riguardo oltre la linea di non ritorno, è doveroso l’at-
teggiamento col quale Benedetto Croce rinunciò ai suoi tempi alle Platone:
sue convinzioni personali e si schierò contro la pena di morte, cioè [...] nessuna pena inflitta in base alla legge ha il fine di danneggiare,
per rispetto della maggioranza dei suoi concittadini, come disse. ma attua, direi, una di queste due cose: rendere chi la subisce mi-
Ma non si può e non si deve nascondere che, oltre la linea di gliore di prima o almeno meno malvagio. Se invece è un cittadino
non ritorno, che nega appunto la pena capitale e ne rifiuta ormai che risulta commettere un delitto sacrilego, autore, contro gli dei,
perfino la discussione, l’Europa è andata anche e soprattutto per contro i genitori, contro lo stato di uno di quei gravi crimini che
quanto riguarda la sua sopravvivenza come quel continente ori- uno non oserebbe nemmeno raccontare, il giudice deve ritenere
ginale, attivo, energico e creativo che, nel bene e nel male, è stato questo uomo ormai incurabile, considerando quale educazione ed
protagonista della storia mondiale degli ultimi secoli. Ciò è durato allevamento il colpevole ha ottenuto fin da bambino e che ciono-
sino alla Seconda guerra mondiale, dalla fine della quale, con la nostante non si è astenuto dai mali più gravi. La pena per lui è la
perdita del suo primato mondiale già da essa esercitato come or- morte, il minore dei mali, divenuto così egli stesso esempio utile
ganismo multicefalo – con la Gran Bretagna, tra le nazioni, come a tutti gli altri che senza onore lo vedranno annientato fuori dei
prima inter pares – data la sua decadenza, che si trasforma sempre confini dello Stato.2
più in decomposizione. Egli dice anche che «[...] tutti i malvagi sono in ogni caso mal-
Oggi cioè l’Europa sprofonda sempre più sotto il peso crescente vagi involontariamente».3
delle orde dei diseredati che, in masse sempre più massicce e incal- Il concetto della pena capitale in caso di “incurabilità” è raf-
zanti, provengono da altri continenti in cerca di salvezza da guerre, forzato più oltre:
carestie e devastazioni, i meno, e di una vita migliore, i più. Esse
si avventano sul corpo grasso e indifeso dell’Europa, inebetita dal 2
Tutto Platone II, Bari 1966, p. 863, Leggi, IX, 854de855a.
benessere e da una pace protratta oltre ogni limite sopportabile per 3
Tutto Platone, op. cit., p. 869, 860d.

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E per colui che [...] il legislatore riconosce inguaribile, quale legge, sente che la sua vita non è più possibile senza tale delitto, fa una
quale pena riserva per lui e quelli come lui? Riconoscendo che scelta sulla quale gli altri non possono giudicare moralmente. Ma
per tutti costoro è meglio non continuare a vivere e doppiamente ciò non vuol dire che la società, cui incombe di tutelare il bene
gioverebbero agli altri se abbandonassero la vita, agli altri cui di- comune, possa digerire tutto questo senza reagire adeguatamente;
venteranno d’esempio a non essere ingiusti, rendendo così essi lo cioè non possa e non debba giudicare giuridicamente. Perché il
stato vuoto di uomini malvagi, per tutto questo è necessario che il
principio della giustizia, senza la quale l’umanità zoppica troppo e
legislatore, in relazione a tali uomini, attribuisca loro la morte con
la funzione di punire i loro delitti, e nessun’altra pena.4
la società si disgrega, è uno solo, ma fondamentale e insostituibile:
l’uguaglianza dei cittadini. È il principio che Kant, l’illuminista
Dunque per Platone la pena non ha un fine afflittivo, di castigo, Kant, fa valere con estremo vigore e rigore:
bensì un fine morale e sociale e di prevenzione. La pena di morte è
La punizione giuridica [...] non può mai venir decretata semplice-
ammessa solo quando il reo è irrecuperabile. Ma, dopo quasi due mente come un mezzo per raggiungere un bene, sia a profitto del
millenni e mezzo, sembra chiaro che né l’una cosa, il miglioramen- criminale stesso, sia a profitto della società civile, ma deve sempre
to del reo, né l’altra, la sua incurabilità, e nemmeno la terza che venirgli inflitta soltanto perché egli ha commesso un crimine. E ciò
poi si dice, che nessuno fa il male volontariamente, sono sicure. perché l’uomo non deve mai essere trattato come un puro mezzo
Per principio, secondo noi, bisogna rispettare, sul piano morale, in servizio dei fini di un altro ed essere confuso con gli oggetti del
la libertà del reo, la sua libertà di scegliere tra il bene e il male, diritto reale, contro di che egli è garantito dalla sua personalità
cioè anche il male, come la rispettiamo per noi stessi e per tutti. innata, quantunque possa benissimo essere condannato a perdere la
All’uomo essa semplicemente non può essere tolta. E nessuno può sua personalità civile. Egli dev’essere trovato passibile di punizione,
impancarsi a giudice, sempre moralmente parlando, se un uomo prima ancora che si possa pensare di ricavare da questa punizione
sceglie la delinquenza invece della vita onesta: moralmente cia- qualche utilità per lui stesso o per i suoi concittadini. La legge
scuno è responsabile solo verso la propria coscienza, e verso Dio penale è un imperativo categorico e guai a colui che si insinua
se crede in Dio, non verso gli altri, salvo per quanto riguarda il nelle spire tortuose dell’eudemonismo per scoprirvi qualche van-
taggio, la speranza del quale, secondo la sentenza farisaica per cui
danno loro arrecato. Per questo deve e non può non dovere pagare
«è meglio che muoia un uomo solo, piuttosto che si corrompa tutto
un prezzo. un popolo», dissipi ai suoi occhi l’idea della punizione o l’attenui
Se un uomo ritiene che le cose della vita siano messe in modo anche soltanto di un grado; perché, se la giustizia scompare, non
che solo con la violenza e il delitto egli possa ottenere quella che ai ha più alcun valore che vivano uomini sulla terra. [...]
suoi occhi è giustizia, nessuno ha da ridire sulla sua scelta, specie Ma quale principio e quale misura la giustizia pubblica deve
sapendo che molti, che apparentemente scelgono il “bene”, ossia mai seguire per determinare la specie e il grado della punizione?
la legalità, fanno poi con malignità e sottigliezza altrettanto se Nessun altro principio se non quello dell’uguaglianza (figurato
non più male dei delinquenti dichiarati. È il ragionamento del dalla posizione dell’ago nella bilancia della giustizia), il quale con-
padrino nel libro omonimo, dove non mancano gli esempi di siste nel non inclinare più da una parte che dall’altra. Onde si può
persone altolocate che, sotto il manto della legalità, si macchiano dire: il male immeritato che tu fai a un altro del popolo, lo fai a
di colpe nefande. Anche chi uccide il coniuge “traditore”, perché te stesso; se rubi a lui, rubi a te stesso; se colpisci lui, colpisci te
stesso; se uccidi lui, uccidi te stesso. Soltanto la legge del taglione
(ius talionis), ma ben’inteso solo davanti alla sbarra del tribunale
4
Tutto Platone, op. cit., p. 872, 862e-863a.

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(non nel tuo giudizio privato), può determinare con precisione la mai di arrivare gloria e applausi, cosa vera soprattutto oggi. Ma
qualità e la quantità della punizione; tutti gli altri princìpi sono occupiamoci ora delle idee di Kant.
oscillanti e non possono, per le considerazioni estranee che vi si Chiaramente Kant concepisce la pena solo come retribuzione,
mescolano, accordarsi con la sentenza della pura e stretta giustizia. non come prevenzione, e in senso afflittivo, non in funzione del
[...] Se poi egli [il ladro] ha ucciso, deve morire. Qui non esiste recupero del reo. Per lui la punizione è un imperativo categorico,
nessun altro surrogato che possa soddisfare la giustizia. Non c’è
fondato sul fatto che, «se la giustizia scompare, non ha più alcun
nessuna omogeneità tra una vita per quanto penosa e la morte; e
di conseguenza non esiste altra uguaglianza fra il delitto e la pu-
valore che vivano uomini sulla terra». Questa concezione può esse-
nizione, fuorché nella morte giuridicamente inflitta al criminale, re considerata troppo rigorosa, nel senso che è basata su un criterio
spogliata però di ogni maltrattamento che possa mostruosamente morale o metafisico invece che, oppure oltre che, su un criterio
degradare l’umanità nella persona del paziente. Anche quando la giuridico, che è il solo necessario in conseguenza della separazione
società civile si dissolvesse col consenso di tutti i suoi membri [...], negli Stati moderni della sfera del diritto dalla sfera della morale
l’ultimo assassino che si trovasse in prigione dovrebbe prima venir e della metafisica. Ma, sul piano giuridico, niente si può obiettare
giustiziato, affinché ciascuno porti la pena della sua condotta e il al principio della giustizia che Kant fa valere: l’uguaglianza. A tale
sangue versato non ricada sul popolo che non ha reclamato quella riguardo, come abbiamo visto, egli parla della legge del taglione:
punizione: perché questo popolo potrebbe allora venir considerato occhio per occhio, dente per dente. Ora molti, anche Hegel, in-
come complice di questa violazione pubblica della giustizia.[...] tendono questa legge come legge della vendetta. Ma, secondo noi,
Invece il marchese Beccaria, per un affettato sentimentalismo qui bisogna distinguere. La vendetta è un sentimento parossistico,
umanitario (compassibilitas) sostiene di contro a ciò la illegalità di morboso e come tale non può trovare accoglimento nel diritto. Di
ogni pena di morte: essa infatti non potrebbe essere contenuta nel
contratto civile originario, perché allora ogni individuo del popolo
vendetta però non si può parlare quando la punizione è dettata
avrebbe dovuto acconsentire a perdere la vita nel caso ch’egli aves- dal principio dell’uguaglianza ed è comminata, sine ira et odio,
se a uccidere un altro (nel popolo); ora questo consenso sarebbe quando il delitto non è stato ancora commesso, cioè quando la
impossibile perché nessuno può disporre della propria vita. Tutto punizione è un’azione e non una reazione. Vedremo se non ci sia
ciò però non è che sofisma e snaturamento del diritto.5 magari qualche altro principio che possa ostare all’applicazione
dell’uguaglianza secondo la legge del taglione. Ma di per sé è
Anche Hegel critica, con argomentazioni profonde, Beccaria. Il sbagliato identificare il taglione sic et simpliciter con la vendetta.
rapporto dei cittadini con lo Stato non è di natura contrattuale, Non è neanche indifferente che gli uomini lo abbiano applicato
come Beccaria sostiene. Né lo Stato è lì per proteggere incondi- per millenni fino alle soglie della nostra era.
zionatamente la vita degli individui in quanto tali. Anzi esso, Per ora cerchiamo di sgombrare il campo da alcune obiezioni,
in caso di necessità, può anche reclamarla ai fini della propria secondo noi mal poste, contro la pena di morte. Ci riferiremo,
conservazione. nel far ciò, soprattutto a un articolo di Antonio Cassese, Pena di
Aggiungiamo che anche per Alessandro Manzoni Beccaria, nel morte. Se lo Stato cancella una vita, pubblicato insieme con altri
suo famoso libro Dei delitti e delle pene (1764), non diceva gran- due, uno di Franco Cordero, La pena capitale è un pessimo affare,
ché, e che l’abate Galiani nomina Beccaria come uno degli autori e uno di Sandro Veronesi, Quell’alba terribile in una camera a gas,
ai quali, poiché prendono «il tono più alla moda», non mancano ne «la Repubblica» del 4 maggio 2007, nell’ambito di un ampio
5
Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 165-69. servizio sulla pena di morte. Questo servizio fu occasionato dal
68 69
dibattito sulla moratoria proposta dall’Italia all’Onu, che fu poi plicarlo più rigorosamente, soprattutto nei casi estremi, in modo
accettata. L’articolo di Cordero è una carrellata storica esagitata. da escludere ogni possibilità di errore.
Quello di Veronesi è il racconto del caso di Robert Alton Harris, Un’altra obiezione, anch’essa basata sulla definitività e irreversi-
giustiziato dodici anni dopo la condanna e dopo essere stato due bilità della pena capitale, è mossa da coloro che ritengono che in un
volte nella camera a gas in attesa dell’esecuzione; insomma esso moderno Stato democratico la pena non debba essere retributiva
si basa sull’orrore dell’attesa e gioca dunque soprattutto sul senti- ma correttiva, socialmente ispirata, debba cioè non castigare, ma
mento. Solo en passant si menziona che Alton Harris aveva ucciso sforzarsi di migliorare e trasformare il colpevole in modo da con-
due diciassettenni. Purtroppo, quando si parla della pena di morte, sentirgli di reinserirsi nella società. Ma, stabilito che la possibilità
quasi mai si fa attenzione all’atrocità dei delitti, allo strazio delle di riscattarsi moralmente deve sempre essere data al condannato
vittime e alla loro perdita per i congiunti. Invece l’articolo di Cas- quando ciò è possibile, questa concezione, se fatta valere in assoluto,
sese è sereno ed equanime e riassume chiaramente gli argomenti viola il principio di uguaglianza senza darne giustificazione. Per i
essenziali a favore e contro. fautori della pena di morte il reo, a causa del crimine commesso,
Un’obiezione che viene sempre ripetuta è la definitività e irreversi- perde questo diritto. Ciò da un lato. Dall’altro questa obiezione
bilità della pena capitale. Essa impedisce il recupero degli innocenti presume, alla maniera di Platone, che il colpevole non abbia fatto
condannati per sbaglio, quando la loro innocenza risulta solo suc- volontariamente il male, che se ne penta e voglia cambiare. Ma
cessivamente. È questa un’obiezione che merita la più grande atten- questa è un’idea spesso sbagliata e in fondo puerile. Molte volte i
zione, perché già la giustizia è non meno di una tragedia, quando delinquenti, per esempio i mafiosi e i terroristi, sanno fin troppo
viene amministrata correttamente; essa diventa poi un disastro che è bene e sono fin troppo convinti di quello che fanno; essi vogliono
assolutamente da evitare, quando viene amministrata scorrettamente e fanno proprio quello che fanno per scelta lungamente maturata.
e si traduce in atroce e cocente ingiustizia. Diventa allora un diso- Talvolta lo dichiarano anche apertamente o rispondono sarcasti-
nore per l’umanità. Casi di innocenti giustiziati si sono purtroppo camente a quelli che cercano di “convertirli”. Quasi sempre, essi
verificati ripetutamente e possono sempre ancora verificarsi. non sono affatto disposti a cambiare; tutt’al più a far finta, se a loro
Tuttavia qui non cozzano due principi, ma un principio e un’ap- conviene. Non sono rari i detenuti che evadono fruendo di permes-
plicazione, un principio e un incidente per quanto grave, ripetuto si concessi per la loro “condotta esemplare”. Col volerli rieducare
e ripetibile. Bisogna allora osservare tutte le precauzioni necessarie per forza si ricade nella mancanza di intelligenza e soprattutto di
per evitare questi errori giudiziari, i casi come quello di Sacco e rispetto della persona del delinquente, della sua libera scelta tra il
Vanzetti, per intenderci. Ma la possibilità dell’errore non scalza il bene e il male, che Dio ha concesso a tutti e che la società deve a
principio, se questo è fondato, come un aereo che cade non scalza sua volta concedere a tutti. Altrimenti li si tratta da esseri inferiori,
l’aviazione. Come si può provvedere? Astenendosi dal comminare da minorati o malcapitati. Lo riconosce serenamente Cassese:
la pena di morte quando la condanna non è suffragata da prove Chi conosce le carceri moderne e ha parlato con più di un dete-
certe e sufficienti. Molte volte infatti tale condanna è pronunciata nuto, sa che quell’argomento è di difficile realizzazione, perché nei
in base a indizi, supposizioni, deduzioni eccetera, ossia ad argo- fatti tanti detenuti non sono suscettibili di emendarsi, e ciò non
menti privi di certezza, ed è la certezza acquisita in seguito che solo per colpa del modo insoddisfacente in cui le carceri adempio-
talvolta scagiona, quando ormai è troppo tardi, il giustiziato. Nella no la loro funzione di privazione della libertà.
giurisdizione vale già il principio in dubio pro reo; ma bisogna ap-
70 71
Prendiamo nota del fatto che c’è anche, a fare ostacolo, il cattivo Ma anche indipendentemente da questo argomento fondamen-
adempimento delle carceri alla loro funzione di detenzione. Se poi tale, non si può non osservare che negare efficacia di prevenzione
si considera che in Italia le carceri scoppiano, che in esse si vive alla pena di morte è come negarla a tutte le sanzioni, di cui la pena
una vita disumana, spesso dominata dalle gang che vi si formano, di morte è la più grave. Cioè è ostinazione o follia. Il fatto che né
è facile capire che finiscono di deturpare una vita già di per sé la pena di morte né l’ergastolo né tutto il codice penale abbiano
lontana dalla dignità. D’altra parte bisogna notare che, una volta mai impedito e mai impediranno che si commettano reati, furti,
che un uomo è entrato nella logica della delinquenza, questa lo rapine, assassinii ecc., è una verità lapalissiana e inevitabile, perché
condiziona in modo tale che è difficile che egli, anche volendolo, l’umanità, la specie umana, è un organismo aperto, open ended,
ne possa uscire, possa affrancarsene, come per esempio si racconta non chiuso, e avrà sempre una testa e una coda, ci saranno sempre
nell’ottimo noir di Edward Bunker, Come una bestia feroce (1973), dei primi e degli ultimi, l’individuo avrà sempre un cervello e un
in cui una sottile poesia scaturisce dal fatto che si capisce che il intestino crasso come un’automobile, finché va a benzina, avrà
protagonista è praticamente costretto dalla sua vita pregressa a fare sempre un motore e uno scappamento. Nell’umanità ci saranno
quello che, se fosse libero, non farebbe. cioè sempre da un lato santi, filantropi, poeti, filosofi, scienziati,
Non vogliamo qui tacere, visto che Cassese ne parla, due argo- eroi, politici e altri benefattori, che sono al vertice della specie e
menti utilitari degli antiabolizionisti, che come tali hanno tuttavia come tali sono massimamente centripeti, accrescitori del suo patri-
un’importanza secondaria: monio genetico, e dall’altro gli egoisti, arrivisti, parassiti, criminali,
1) Infliggendo la morte agli autori di reati gravi, si impedisce un’e-
malfattori, che sono in coda alla specie e come tali massimamente
ventuale recidiva, che avverrebbe se [il reo], incarcerato, venisse centrifughi, depauperatori di detto patrimonio. Ma questa, appun-
prima o poi liberato e tornasse a commettere crimini. to, non è una buona ragione per non avere un codice penale e per
non punire, dato che solo queste due cose rendono possibile la
Sappiamo, purtroppo, che ciò avviene fin troppo spesso. convivenza civile, mentre la loro abolizione significherebbe il più
2) Posto di fronte a persone che si sono macchiate di reati orrendi, gigantesco incoraggiamento al crimine. Cassese conferma:
lo Stato risparmia se le uccide, invece di tenerle per tutta una vita [...] i criminologi moderni, statistiche alla mano, dimostrano che
in carcere, a spese della comunità. negli Stati degli Usa in cui viene utilizzata la sedia elettrica o l’inie-
Un’importante obiezione degli abolizionisti è la negazione zione letale, i reati più gravi non sono diminuiti. Alcuni crimino-
dell’efficacia preventiva della pena capitale. Questo discorso ri- logi rispondono però che l’argomento in sé potrebbe valere anche
per il codice penale: ogni giorno viene violato, certo; ma se non
mane naturalmente estraneo alla pena, se a questa si attribuisce
ci fossero quei divieti penali, i reati aumenterebbero a dismisura.
carattere afflittivo e non di prevenzione. Ma in realtà la massima La pena capitale, a loro dire, servirebbe almeno a raffreddare in
prevenzione la esercita, secondo noi, proprio la pena afflittiva, nel qualche modo la naturale violenza omicida degli individui.
senso che, se essa fa giustizia, tiene i cittadini avvinti allo Stato,
mentre la mancanza della giustizia stacca i cittadini dallo Stato e Un’obiezione veramente seria alla pena capitale, capace per gli
lo disgrega intimamente, nel senso che i cittadini non si sentono abolizionisti di intaccare perfino il principio di uguaglianza, è
adeguatamente protetti e non si sentono quindi obbligati verso quella avanzata, dopo che da Beccaria, da Norberto Bobbio, come
uno Stato che tradisce la loro aspettativa di giustizia e protezione. Cassese riferisce, e in realtà anche da tanti altri, come «l’unica

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robusta ragione contro la pena di morte». Essa «si basa sul coman- interesse, la propria passione e la propria volontà contro tutto e
damento “non uccidere”, e impone che lo Stato non si trasformi tutti, si espone automaticamente alla giusta punizione. Quanto a
in assassino, uccidendo legalmente chi ha ucciso illegalmente». Nietzsche, nel 1888, ultimo anno della sua vita lucida, egli scrive,
Premesso che il prezzo di ciò è la rinuncia all’uguaglianza e dun- con uno scatto degno del grande poeta che era:
que alla giustizia, si può rafforzare questa opinione con l’aforisma La pena di morte è il risultato di un’idea mistica, che è oggi del
70 di Umano, troppo umano, che per una volta sposta l’aristocratico tutto incompresa. La pena di morte non ha come fine la società
autore a sinistra: da sauver, matériellement: essa vuole sauver la società e il colpe-
Esecuzione. Com’è che ogni esecuzione ci offende più di un omi- vole spirituellement. Perché il sacrificio sia perfetto, ci deve essere
cidio? È la freddezza dei giudici, sono i meticolosi preparativi, è il acconsentimento e gioia da parte della vittima.
sapere che qui un uomo viene usato come un mezzo per spaven- Belle parole! Ma per venire a tempi e circostanze più vicini a
tarne altri. Giacché la colpa non viene punita, se anche ce ne fosse
noi, diciamo che, il 6 settembre 2010, Francesco Alberoni scrisse
una: questa è negli educatori, nei genitori, nell’ambiente, in noi,
non nell’omicida – intendo le circostanze determinanti.
sul «Corriere della Sera» che nell’individuo si forma precocemente
un nucleo morale indipendente dall’educazione e dall’ambiente so-
Ma Nietzsche, si sa, nega la responsabilità, come il merito. «Nes- ciale, per cui si può crescere in mezzo alla camorra e non diventare
suno è responsabile per le sue azioni, nessuno per il suo essere; camorristi, in mezzo ai fanatici e non diventare fanatici, in mezzo
giudicare equivale a essere ingiusti» dice e ribadisce. E non è affatto a scolari che copiano e non copiare, sbagliare senza dare agli altri
il solo a sostenere il fatalismo universale, lui con annesso amor fati. la colpa dei propri sbagli, insomma che si può essere responsabili.
Molti sono coloro che sostengono che noi agiamo tutti per neces- Ma ecco come Cassese commenta l’opinione di Bobbio:
sità, anche l’assassino, e quindi che egli deve solo essere messo in
Si potrebbe controbattere che lo Stato spesso deve comunque tra-
stato di non nuocere ulteriormente. Diciamo comunque che, per la sformarsi in assassino autorizzato, quando è costretto a partecipare
questione fondamentale del libero arbitrio, che per forza dev’essere a guerre legittime, quando usa la forza per prevenire gravissimi
alla base della responsabilità, non sussiste filosoficamente nessuna reati, quando combatte contro ribelli in insurrezioni armate. Ma
soluzione sicura e accettata da tutti. Ma abbiamo già detto che in quelle ipotesi non esistono alternative, mentre nel caso di cui
la sanità del giudizio porta ad ammettere la responsabilità e che sto parlando un’alternativa c’è.
tutti i Paesi civili la ammettono, nel loro diritto, con una precisa
graduazione. Dove per responsabilità non bisogna intendere una La mancanza di alternative tappa a meraviglia il buco apertosi
libertà assoluta, ma la capacità di intendere e di volere, cioè di con l’uccisione a opera dello Stato nei tre casi citati, formalmente.
giudicare il valore di un’azione e di soppesare adeguatamente le Questo ragionamento insomma sembra funzionare perfettamente.
conseguenze giuridiche di essa. Esso tuttavia non impedisce il dubbio che non sia così pacifico pas-
Dunque, anche ammessa la necessità al posto della libertà, la sare, con un semplice switch, da un comportamento a quello toto
minaccia della pena entra a farne parte. Diviene una necessità de- coelo contrario. Se si tira in ballo il comandamento “non uccidere”,
stinata a controbilanciare la necessità contraria. Se il reo trascura non lo si può poi così facilmente mettere da parte negli altri casi,
quella necessità, ossia la necessità di tener conto di ciò che è do- solo perché allora si può uccidere. Una volta ammesso che la vita
vuto agli altri, e fa prevalere quella contraria, seguendo il proprio può essere sacrificata a un principio, che l’uomo può assimilarsi al

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deus sive natura nell’esercizio del potere di vita e di morte, di cui una dimostrazione della condanna a morte di un presunto inno-
non solo i signori della guerra, ma anche la Chiesa da una parte cente o di un ingenuo. E qui potremmo fermarci, perché questo
e le mafie e camorre dall’altra hanno esercitato (la Chiesa fino a dello Stato assassino sembra un ostacolo insuperabile per la nostra
non molto tempo fa) o esercitano “tranquillamente” (per le mafie dignità. Ma Cassese dice poi delle cose che ci inducono a prose-
è uno scialo), non si può più negare che la vita, la quantità della guire la riflessione e forse ci aiutano ad avvicinarci al problema che
vita, possa essere sacrificata anche al principio dell’eguaglianza e si cela in fondo alla questione sulla pena di morte.
della giustizia, cioè alla qualità della vita. Che cos’altro dice Cassese? Anzitutto:
Spinoza dice che l’uomo conosce l’eterna e infinita essenza di È decisivo, io credo, il fatto che quella pena costituisca le negazione
Dio. Ma conoscere, qui, non vuol dire anche partecipare a essa? della cultura moderna dei diritti umani, una cultura che si incentra
Partecipare quindi anche all’esercizio del potere “divino” di vita e sul rispetto della vita e della dignità della persona.
di morte? Non è anche così che l’uomo, abbandonato nella natura
ostile e onnipotente a se stesso, si fa simile a Dio, come Aristo- E poi:
tele dice che l’uomo deve farsi il più possibile (homoiosis theo), a [...] la battaglia contro la pena di morte non deve assorbire tutta
quel Dio che nella natura non è presente, come lamenta Pascal? la nostra attenzione. Se si vuole la fine del patibolo, bisogna nel
Non è questa un’assunzione di potere e responsabilità legittima e contempo battersi per la prevenzione sociale dei crimini. E bisogna
doverosa, inevitabile, data la precarietà e problematicità, che non battersi contro la disumanità delle carceri in tanti paesi del mondo.
esclude né il dramma né la tragedia di tutta la vita umana? Così Che senso ha suggerire la carcerazione come pena alternativa alla
legittime, dunque, le eccezioni al divieto di uccidere a noi non sedia elettrica, se poi nelle carceri si soffre perché sono sovraffollate,
paiono, dal momento che si invoca la sacertà del comandamento. degradanti, inumane, e tanti detenuti si suicidano, talché si finisce
Da un lato, chi viola la sacertà della vita altrui viola la sacertà con una pena capitale “auto-inflitta”? E come trascurare il fatto che
della vita in genere e quindi anche della propria; dall’altro, noi molti Stati oggigiorno la morte la infliggono non solo sotto forma
di punizione legale, ma anche uccidendo e massacrando in guerre
vediamo come possibile, in risposta a un tale comandamento, solo civili o internazionali, o lasciando morire di fame o di malattie i
un atteggiamento alla Gandhi, o se no una revulsione delle cose propri cittadini? Insomma: l’opposizione alla pena capitale deve
affermate come legittime. essere parte della più generale battaglia per una vita di dignità,
Comunque vogliamo rafforzare l’opinione del venerato amico contro le guerre assurde e le aggressioni, la miseria, l’arretratezza.
Bobbio con quella di Nietzsche e quella di Camus. Nietzsche affer-
ma, in Aurora, 236: «Pena. Una cosa strana, la nostra pena! Non Tutte parole sante per una vita santa, cioè civile, in cui trionfi la
purifica il delinquente, non è un’espiazione; al contrario, sporca dignità umana e le carceri siano, come si dice di quelle olandesi,
più del delitto stesso». E Camus: «La pena di morte, così come la ideali, con il diritto dei rei di incontrare in privato il coniuge o il
si applica, è una disgustosa macelleria, un oltraggio inflitto alla partner, etero o omosessuale, e di godere di tutti i comfort moder-
persona e al corpo». A parte che tale è soprattutto l’assassinio, ni – e in cui trionfi, all’interno e all’esterno dei popoli, la pace e
prima della pena, qui il “come la si applica” apre uno spiraglio alla la solidarietà invece dell’egoismo e dell’aggressività, della miseria,
distinzione tra principio e applicazione. Le difficoltà di una giusta dell’arretratezza, della guerra, dello sterminio. Gli uomini, che
applicazione sono tali da indurre molti a negare la pena capitale altro possono e devono fare se non adoperarsi in tal senso? Ma per
proprio su questa base. Il romanzo Lo straniero di Camus è tutto adoperarsi in tal senso con convinzione ed efficacia è necessario

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ritenere possibile o non impossibile il raggiungimento di tali mete. Ma come la pensava al riguardo colui che Nietzsche considerava
Ed è più facile ritenerlo possibile o non impossibile se si crede, il suo “unico” e “grande” maestro, Schopenhauer? Nietzsche men-
contro ogni evidenza, che la vita sia divina o sacra e che gli uomini ziona «il suo sguardo orrificato verso un mondo sdivinizzato, di-
abbiano un valore infinito, cioè siano divini o sacri a loro volta, non venuto stupido, cieco, pazzo e problematico, il suo onesto orrore».
solo per se stessi, come è fin troppo naturale, ma anche per gli altri Schopenhauer, ognuno lo sa, ce l’aveva con Hegel. Lo insultava
e soprattutto per la vita stessa, per la natura. Così credeva o voleva continuamente, e anche questo ognuno lo sa. Secondo Giorgio
credere in gioventù Nietzsche, quando appose sul frontespizio della Colli, il dieci per cento dell’opera di Schopenhauer è fatto di insulti
Gaia scienza il motto di Emerson: «Per il poeta e il saggio tutte le a Hegel (buon per Heidegger, ci vien da dire, che Schopenhauer
cose sono affratellate e benedette, tutte le esperienze utili, tutti i non ci fosse più!). Non ognuno sa però che, sotto le escandescenze
giorni sacri, tutti gli uomini divini». verbali, il nerbo stesso della sua filosofia è l’antihegelismo, che Il
mondo come volontà e rappresentazione, tecnicamente tributario di
Ma questa fede, ahimè, non resse a lungo. Il motto scomparve
Kant, emozionalmente viene da Hegel, cioè reagisce alla provo-
dal frontespizio già nella seconda edizione della Gaia scienza del
cazione hegeliana. E ciò non è più un fatto personale, ma è storia
1887. E vedete un po’ cosa si trovava già dentro al quinto libro
della filosofia. Lo racconta bene Nietzsche in quel grande aforisma
(aforisma 346), aggiunto in tale seconda edizione:
357 della Gaia scienza, da cui abbiamo tratto il brano appena citato
Ci siamo fin troppo fatti all’idea, e siamo in essa diventati freddi e in cui Nietzsche fa il grande passo dall’ascetismo predicato dal
e duri, che nel mondo le cose assolutamente non vanno in modo suo maestro al nichilismo. Fu il «grandioso tentativo» di Hegel,
divino, anzi neppure in modo ragionevole, misericordioso o giusto dice, di «persuaderci della divinità dell’esistenza, da ultimo anche
secondo l’umana misura: lo sappiamo, il mondo in cui viviamo con l’aiuto del nostro sesto senso, il “senso storico”», a scatenare la
è sdivinizzato, immorale, “inumano” – fin troppo a lungo ce lo risposta di Schopenhauer:
siamo spiegato in maniera falsa e menzognera, secondo i desideri e
i voleri della nostra venerazione, ossia secondo un bisogno. Giacché La non divinità dell’esistenza era per lui qualcosa di dato, di tan-
l’uomo è un animale venerante! Ma è anche un animale diffidente: gibile, di indiscutibile; perdeva il suo flegma filosofico e andava in
e che il mondo non abbia quel valore che credevamo, è all’incirca collera ogni volta che vedeva qualcuno esitare su ciò o perdersi in
la cosa più sicura di cui alla fine la nostra diffidenza si sia impos- giri di parole. In questo sta tutta la sua rettitudine: l’assoluto onesto
sessata. Tanta diffidenza, tanta filosofia. Ci guardiamo bene dal ateismo è appunto il presupposto della sua problematica, come una
dire che esso ha meno valore. vittoria della coscienza europea raggiunta infine con difficoltà, co-
me l’atto più ricco di conseguenze di una bimillenaria educazione
In tono con ciò, ecco, in Al di là del bene e del male, 9: alla verità, che alla fine si vieta la menzogna della fede in Dio.
“Secondo natura” volete voi vivere? O voi, nobili stoici, che im- Non ci sono santi: l’innegabile evidenza dice che la natura non
postura di parole! Se immaginate un essere qual è la natura, sper-
ha rispetto per nessuna delle sue creature, tutte fungibili, tut-
peratore senza misura, indifferente senza misura, senza intenzioni
e attenzioni, senza misericordia e giustizia, fecondo e desolato te sostituibili con innumerevoli altre, e le tratta come suoi meri
e incerto insieme; se poi immaginate l’indifferenza stessa come strumenti, come anelli di una catena e tappe per i suoi “scopi” di
potenza – come potreste voi vivere secondo questa indifferenza? propagazione della vita, scopi ciechi, fini a se stessi. Ma questo
assoluto abbandono dell’individuo a se stesso comporta anche au-

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tomaticamente che questi si investa dei massimi poteri, che faccia di ozio e di pace, la vittoria seguita da presso dalla propria morte.
posto, nel suo comportamento, soltanto al proprio giudizio, alla Nessuna rinunzia, nessuna diserzione dalla vita Omero propone
propria coscienza e al proprio senso di responsabilità, con l’uso e cerca; nessuno scampo, nessun ritiro in un mondo senza lotta,
senza altri scrupoli e riguardi di tutti i mezzi possibili e adeguati. in un oltremondo. [...] Si suole celebrare Omero maestro delle
Qui non è in questione in primo luogo l’esistenza o l’inesistenza genti greche; ma tale dovrebbe chiamarsi di tutte le genti umane,
alle quali egli, in quella prima cospicua creazione poetica che si
di Dio, dato che un Dio potrebbe esistere anche in un modo così
vide al mondo, diè, per virtù di poesia, la visione vera ed etica e
grandioso da arrivare a noi come terrificante; qui è in questio- religiosa della vita.
ne semplicemente la nostra situazione esistenziale. La condizione
umana, che, si creda o non si creda in Dio, è quella che è, è quella Qual è la differenza tra l’Iliade e l’Odissea?
descritta da Nietzsche e Schopenhauer, e solo la disonestà la può È la distinzione [...] tra poesia indomita e poesia addomesticata,
mentire o negare. La vita usa e distrugge normalmente la vita, per tra poesia genuina, lirica o tragica che si dica, e poesia gradevole e
continuare e accrescersi, la morte è l’altra faccia della vita, non amena, e perciò [...] non veramente genuina ossia non radicalmente
esistono la vita e la morte, esiste la vita-morte, cioè solo la vita che poesia, quanti e quali che siano i tratti delicati, e anche poetici,
finisce, come non esistono lo spazio e il tempo ma solo lo spazio- che in sé accolga e contemperi. [...] nell’Odissea al drammatico
tempo. La vita è naufragio, come dice e ribadisce Ortega y Gasset, dell’Iliade succede il narrativo e si effonde l’amore dei miti, il pia-
è tragedia degli individui, lanciati proditoriamente alla caccia della cere del novellare e del discorrere; e in essa non è pari a quello
felicità. È questa la visione già di Omero, il quale comunque sta dell’Iliade il vigore, la costante sublimità, la piena delle passioni, la
più dalla parte dell’affermazione tragica di Nietzsche che non da forza oratoria, la ricchezza delle immagini, e vi si inclina, in talune
quella della negazione della volontà di vivere di Schopenhauer. parti, al modo di ritrarre la vita in comune che è della commedia.
Edgar Morin: Naturalmente, diciamo noi,
La lutte contre la mort est aussi mortifère: c’est tuer d’autres vivants, [...] l’omerista Drerup ha preso partito, come tantissimi oggi, per
végétaux et animaux afin de s’en nourrir. La vie est comme le cato- la superiorità poetica dell’Odissea, la quale [...] con le sue dipinture
blépas, animal fabuleux qui se nourrit en se dévorant lui-même.6 fantastiche e piene di colori, con l’eternamente giovane canto della
Benedetto Croce, nel saggio su Omero, in Poesia antica e mo- fedeltà coniugale e della finale riunione dopo la lunga separazione,
riesce al nostro sentire moderno più vicina che non la sanguinosa
derna, espone con toni caldi e partecipi: serie di battaglie dell’Iliade, dell’Iliade greve e pesante.
Oggettivo e non già indifferente, Omero è tragico e non pessimista
e desolato e disperato, perché quel che sempre sormonta nel suo Ma Croce non ci sta e obietta:
sentire e lo conclude è l’idea della volontà eroica. Sanno i suoi [...] l’Odissea è bensì un’opera d’arte, ma non più, nel suo intrin-
eroi che debbono presto asciugar le lagrime e riprendere la loro seco, d’impetuosa poesia; e se l’Iliade sta a capo di tutta la grande
parte nella vita, perché il destino fece agli uomini l’animo atto poesia moderna, l’Odissea sta invece, esemplare squisito, a capo
a soffrire, che Zeus li astringe a combattere dalla giovinezza fino della letteratura dei libri di viaggi e di avventure, di lunghe se-
all’estrema vecchiezza, fino a che a uno a uno morranno; e, come parazioni e dispersioni e di sospirati e conseguiti ritrovamenti, di
Achille, essi prescelgono la breve vita di fatica e di guerra alla lunga quanto eccita e intrattiene l’immaginazione senza troppo impe-
gnare l’animo e la mente.
6
Edgar Morin, Connaissance ignorance mystère, Fayard, Paris 2017, p. 77.

80 81
Parlando dell’umanità di Omero, Croce aveva prima detto: I vegetariani qualche vita la salvano. Ma il loro rifiuto di accettare
Perfino negli episodi più atroci dell’Iliade, com’è l’uccisione del
la vita nella sua costituzione tragica non si può condividere se non
giovinetto Licaone per mano di Achille, questo sentimento di rinunciando alla vita. Sotto la serenità che per fortuna tante volte
umanità, di tragica umanità, affiora. C’è tutt’insieme in Achille pur domina nella vita, noi siamo tutti potenzialmente come quel
la belva umana inferocita e dilaniatrice e schernitrice; e c’è l’uomo maiale, quando giunge il nostro momento. Possiamo non urlare,
che giudica sé stesso e la vita e si sottomette alla sua legge, accet- perché siamo ragionevoli. Tanti urlano. Ma che urliamo o no,
tando il proprio fato di morte. L’odio, la vendetta, la rabbia di non niente cambia e niente può cambiare.
poter infliggere al nemico maggior male che la morte [!], quella A che, si può domandare a questo punto, tutta questa esposi-
morte che incombe prossima su lui stesso, si volgono in sarcasmo zione sulla tragicità e crudeltà della vita? Che cosa ha essa a che
orridamente crudele verso il giovinetto che lo aveva supplicato di fare col problema della pena capitale? Ebbene, essa vi ha a che fare
risparmiarlo e che egli, beffardamente nel parlargli accarezzan- perché le istanze abolizioniste, sempre più vittoriose in Europa –
dolo del nome di “amico” e di “caro” (φίλος), esorta e quasi vuol attenzione: in Europa ma non o non ancora in America, figlia e
persuadere ad acconciarsi a quella morte, lui che è così poca cosa continuatrice dell’Europa – sono, giuste o non giuste che siano,
(ma quella poca cosa era, per il giovinetto, l’infinito della vita!) in
confronto a coloro che sono stati e saranno trucidati, tra i quali lo
fondate su una visione della vita falsamente ottimistica, su una
stesso presente dator di morte, che potrebbe risparmiarlo e non lo visione della vita come divina o sacra. Ma questa è una forzatura,
risparmia, e che cadrà similmente ucciso. che contrasta con la realtà e con la dignità e si può spiegare solo
con l’umanitarismo decadente della nostra civiltà stramatura, con
Quand’ero ragazzo assistetti una volta alla macellazione di un la deriva umanitaria dell’Europa, con la sua Zivilisation così diversa
maiale. Ero amico di un figlio del macellaio, che quel giorno dalla sua Kultur. Questa, finché ebbe sanità e nerbo, fu energica,
lavorava col padre e mi portò al macello. Il maiale era nel cortile. creativa e rude, non conobbe sensibleries. Sarebbero dunque sen-
Quando giunse il momento, alcuni uomini cercarono di spingerlo sibleries i diritti e la dignità umani? si può domandare. Non essi
nel macello. Ma il maiale, che aveva capito tutto, si ribellò con stessi, si risponde, ma la visione su cui oggi i loro promotori basano
tutte le sue forze. Allora gli ficcarono nel collo dei rampini e così, in genere le loro istanze.
tra urla laceranti, lo trascinarono nel macello. Con grande fatica, Che se ne renda conto o no, l’uomo di oggi si illude di fondare
lo issarono sul ceppo e lo scannarono, tra furiosi quanto inutili nella natura un regno dell’uomo contrario al regno della natura.
dibattimenti del povero animale. Prima si recuperò il sangue che Non parliamo di quel regno problematico e mai sicuro che è la
sgorgava a fiotti dalla gola. Poi si passò a lavorarne il corpo. Fu civiltà, la civiltà consapevole della sua fondamentale mancanza di
uno spettacolo che non ho più dimenticato. Eppure mangiamo autonomia e dell’instabilità delle sue basi (vedi Il disagio della civil-
gli arrosti di maiale senza il minimo turbamento. E, nonostante le tà di Freud), bensì un regno dell’uomo autonomo e indipendente,
proteste dei vegetariani, purtroppo è anche giusto così. La vita ser- che pretende di ignorare e negare la natura. È sempre Nietzsche
ve la vita. La vita si nutre solo di se stessa, è strutturata così e non che qui insorge, nel già citato aforisma 346 della Gaia scienza:
altrimenti: molti animali si nutrono di vegetali, che sono comun-
que anch’essi esseri viventi, ma molti altri, compresi gli uomini, si Tutto l’atteggiamento uomo contro mondo, l’uomo come principio
che nega il mondo, l’uomo come misura di valore delle cose, come
nutrono di altri animali. E non c’è alternativa. Non c’è nulla da
giudice del mondo, che alla fine mette l’esistenza stessa nella sua
fare. È tutto normale. Questa è la normale dimensione della vita.

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bilancia e la trova troppo leggera la mostruosa insulsaggine di aggiungere, in una civiltà che fila diritto verso la sua fine, che si fa
questo atteggiamento è entrata come tale nella nostra coscienza e scudo della sua abolizione per cercare un alibi alla sua impotenza
ci ha disgustato. e deriva. Chiesero a una madre che aveva assistito alla condanna
È e rimane giusto e doveroso lottare per i diritti umani e per la all’ergastolo degli assassini di suo figlio se era soddisfatta della
dignità, ma bisogna farlo sulla base di una visione sana e schietta, sentenza. Rispose, omericamente: «Sì, ma loro respirano. Mio figlio
non artefatta, vile e mentita, come quella che è alla base dell’attuale non respira». Ovidio canta:
tanatofobia. Questa paura della morte, infatti, copre in realtà, con [...] neque enim lex aequior ulla est,
pretesti umanitari, la paura della vita nella sua essenza tragica. quam necis artifices arte perire sua.7
Per questa concezione doverosa, l’Europa non ha più coraggio, e
fa di tutto per far sprofondare col proprio il coraggio che ancora Da sempre nell’umanità vige una legge per la quale, nel contra-
in parte gli Stati Uniti, solo usbergo dell’Europa, hanno in questa sto tra la quantità e la qualità della vita, si sceglie la qualità. Il buon
e in altre cose. Il vero rispetto della vita è l’accettazione della sua soldato sacrifica alla patria la sua vita, cioè sacrifica alla qualità (al
grandezza tragica, non il suo rapetissement buonista antropocen- suo dovere) la quantità (la durata della sua vita). Anche lo Stato,
trico. «Laudato si, mi Signore, per sora nostra morte corporale» dichiarando guerra, ossia sacrificando molti dei suoi cittadini allo
cantava Francesco. Bisogna domandarsi se non sia più dignitoso scopo che è causa della guerra, sacrifica la quantità alla qualità.
adottare una visione della vita disinteressata, nobile, che accetti la Non si può applicare questo principio anche alla giustizia penale?
morte, anche quale pena, come normale avvicendamento con la Se si considera che, come dice Goethe,
vita, la morte dunque non ostracizzata come qualcosa di nefando, la natura riempie con la sua sconfinata fecondità tutti gli spazi. Con-
la morte come semplicemente l’altra faccia della vita, non come sideriamo soltanto la nostra terra: tutto quello che chiamiamo cat-
entità in sé ma come semplice consumazione della vita, come suo tivo, infelice proviene dal fatto che essa non può dare spazio a tutte
strumento, che è nel destino di tutti gli esseri e a cui tutti siamo le creature, e ancor meno può conferire loro durata (massima 1251)
commessi, perché altri nascano e prendano il nostro posto. ci rendiamo conto che disponendo, con la pena capitale, della
Sdrammatizzando, disammorbando, normalizzando la morte, durata, della quantità della vita a favore della qualità, ossia della
accettandola cioè come l’accettano gli eroi di Omero, che non per giustizia, dell’uguaglianza tra gli uomini, non facciamo altro che
questo negano valore alla vita, alla dolce vita, a cui si attaccano tan- continuare, con imitazione sublime, il lavoro della natura con i
to quanto più è precaria, può darsi che il principio di uguaglianza, suoi stessi mezzi, non facciamo che applicare la stessa legge fonda-
che solamente, come sostiene Kant, assicura la giustizia e al quale mentale che essa applica alle sue creature. È una legge di vita, non
i popoli, se non i loro rappresentanti, sono attaccati (lo si è visto una legge di morte. Spinoza dice che bisogna punire per amore. La
in Francia) non susciti più l’orrore che suscita attualmente, anche giustizia e l’uguaglianza sono indispensabili per la vita e la dignità
se non è realistico e neanche più lecito sperarlo della nostra civiltà dell’umanità, così come è indispensabile che l’offesa, l’umiliazione
(europea), che già da più di un secolo corre inesorabilmente alla e l’oltraggio che gli efferati crimini rappresentano per la società
sua fine e decomposizione. Anche perché, come diceva Goethe, siano puniti con massima, sacra severità. Sentiamo l’ultimo presi-
abolire la pena di morte sarà difficile. Se accadrà, la ripristinere- dente democratico degli Stati Uniti:
mo alla prima occasione (massima 684). Salvo, avrebbe potuto
7
Ovidio, Ars amatoria, I, 655-56.

84 85
While the evidence tells me that the death penalty does little to Indice
deter crime, I believe there are some crimes mass murder, the
rape and murder of a child so heinous, so beyond the pale, that
the community is justified in expressing the full measure of its
outrage by meeting out the ultimate punishment (Barack Obama,
The Audacity of Hope, Chapter 2, Values).
A mo’ di prefazione
Contromano
Antirazzismo, fanatismo, razze, migranti
Il ratto d’Europa
Il convegno di Verona sulle famiglie e la questione dell’omoses-
sualità
L’identità
La cittadinanza
Serotonina di Michel Houellebecq
Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli
Scienza e filosofia
La pena capitale

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50. Marco Zoppas, Ballando con Mr D.
51. Rinaldo Gianola, «Milano-sera». Un giornale per la Repubblica
52. Roberto Burchielli, Grazie, le faremo sapere...
53. Romain Rolland, I tre lampi e altri racconti
54. Scipione Gonzaga, Autobiografia Commentariorum rerum suarum
55. Davide Pinardi, Narrare, Dall’Odissea al mondo Ikea. Una riflessione
teorica. Un manuale operativo
56. Marina, Giordana, L’alfabeto segreto
57. Pietro Migliorini, I premi Nobel. La vita, le scoperte e i successi dei
premiati in fisica, chimica, medicina, letteratura, pace, economia dal
1901 al 2016
58. Luigi Butti, Quando le donne hanno spiccato il volo. La presenza
femminile nel mondo dell’aviazione
59. Giulio Cesare Maggi - Pierfranco Vitale, La vita felice di Wolfgang
Amadé Mozart
60. Marcello Fanfoni, Nel cuore della metropoli ibernica
61. Luigi Lunari, La Costituzione della Repubblica Italiana
62. Michele Focarete, Milano by Night
63. Andrea Bosco, Scoprendo Salinger
64. Emilio Colombo, La vita sportiva di Carlo Galetti
65. Luigi Lunari, Monologhi (a una o due voci)
66. Luca Gasparini, Sembrava un gioco
67. Giuseppe Valditara, Sovranismo. Una speranza per la democrazia
68. Rinaldo Giarola, Luraghi. L’uomo che inventò la Giulietta
69. Matteo Marangoni, Saper vedere. Come si guarda un’opera d’arte
70. Sossio Giametta, Colli & Montinari
71. Luigi Lunari, L’ateismo di Papa Francesco
72. Danilo Favarelli, Mozart a Londra
73. Renato Zanganelli, Ma chi erano mai questi Beatles?
74. Renato Magosso, Frank Sinatra. Una vita da boss

89
75. Rinaldo Gianola, L’inganno populista. Cronaca di un anno vissuto Questa edizione di
pericolosamente Contromano
76. Paolo Barbieri, Polemos. Guerra, politica, tecnica di Sossio Giametta
77. Jacques Bainville, Napoleone è stata stampata su carta che non contribuisce
78. Matteo Marangoni, Saper vedere alla distruzione delle foreste primarie
da Tempo Libro srl - Milano
79. Giovanni Chimirri, Psicologia e sociologia del crimine

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